La Rassegna d`Ischia 2/2009

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La Rassegna d`Ischia 2/2009
Anno XXX
N. 2
Marzo /Aprile 2009
Euro 2,00
Viaggiatori inglesi nel Golfo di Napoli
Il Manoscritto di Frat'Agostino
del «Venerabile Convento di Santa
Maria della Scala»
Lacco Ameno
Il Pisciariello
W- Cooper e l'Isola d'Ischia
Incursioni piratesche del XVI secolo
Rassegna Mostre e Libri
Forio - L'Arciconfraternita
di S. Maria Visitapoveri
Viaggio in India
Kurtògoli il corsaro ai Maronti
Una storia d'amore
chiamata Taj Mahal
Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Dir. responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Anno XXX- N. 2 Marzo / Aprile 2009 - Euro 2,00
Periodico di ricerche e di temi turistici,
culturali, politici e sportivi
Editore e direttore responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Via IV novembre 25 - 80076 Lacco Ameno (NA)
Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.2.1980
Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione
con n. 8661.
Stampa Tipolito Epomeo - Forio
Sommario
2
Premio Ischia Internazionale di Giornalismo
3
Motivi
5
Napoli - Mostre
- Storie di Donne
- Renato Mambor: In prestito dall'Infinito
- Terremoti d'Italia
8
Delphis: Festa del Defino
9
Lacco Ameno: Il Pisciariello
12
Il Manoscritto di Frat'Agostino
17
Kurtògoli il corsaro ai Maronti
25
Viaggiatori inglesi nel Golfo di Napoli
Willyams Cooper e l'Isola d'Ischia
32
Serata italo-tedesca
33
Fonti archivistiche
Capitolazioni delle Confraternite di Forio (IV)
41
Viaggio in India
Una storia d'amore chiamata Taj Mahal
46
Concorsi di Poesia e Fotografia digitale
47
Rassegna Libri
49
Racconto: Peppino il postino
50
51
Pagina poetica: Anna Di Costanzo
Meristema: Convegno Evoluzione e Biodiversità
con mostra di piante rare
Premio
Ischia Internazionale
di Giornalismo
Compie trent’anni il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, che premia i migliori giornalisti della stampa italiana e internazionale distintisi per la loro professionalità e deontologia.
La Fondazione Giuseppe Valentino ha rinnovato
giuria e format. Il nuovo progetto sarà particolarmente sensibile al mondo dei giovani ed ai fenomeni
della comunicazione connessi alle nuove tecnologie.
Una maggiore attenzione è dedicata all’informazione negata e ai giornalisti che si adoperano in difesa
dei diritti umani nei vari teatri di guerra del mondo.
La Giuria del Premio è suddivisa in Comitati. Tantissime le firme prestigiose tra i giurati della XXX edizione
che assegneranno il “Giornalista dell’anno”: Joaquin
Navarro Valls, Lucia Annunziata, Gianni Riotta, Peter
Stothard, Emilio Carelli, Jean Daniel, Giovanni Di Lorenzo, Valentina Alazaraki, Gaetano Coscia, Giovanni
Floris, Derrick de Kerckhove, Franzo Grande Stevens .
Hanno assicurato la loro partecipazione a conferenze
e dibattiti anche David Grossman, Jean Marie Colombani, Timothy Garton Ash e i più autorevoli giornalisti
dell’Albo d’oro. Walter Cronkite, il decano dei giornalisti statunitensi, invierà una testimonianza scritta.
Tra le novità della rinnovata formula del Premio l’assegnazione di riconoscimenti ai comunicatori d’impresa,
della pubblica amministrazione, della politica, ai giornalisti della stampa economica e ai web editor. Un altro
premio sarà assegnato al giornalista che ha affrontato
con maggiore capacità di analisi i temi del bacino del
Mediterraneo; tra i giurati: Gianni Massaro, Marcello
Veneziani, Orazio Carabini, Augusto Minzolini, Vittorio
Nola, Giordano Bruno Guerri, Alfonso Ruffo, Annamaria Chiariello, Gennaro Guida, Alessandro Masi,
Gennaro Sangiuliano, Massimiliano Paolucci. (continua a pagina 16)
Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista - La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti,
fotografie e disegni (anche se non pubblicati), libri e giornali non
si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le
esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza,
gli scritti a disposizione.
conto corrente postale n. 29034808 intestato a
Raffaele Castagna - Via IV novembre 25
80076 Lacco Ameno (NA)
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[email protected]
MOTIVI
Il 2009, l’anno di Vittoria Colonna – Signora d’Ischia: è questo il leit
motiv intorno al quale saranno circoscritti vari eventi, culturali e mondani,
della stagione turistica. Ricorre infatti
il quinto centenario delle nozze di
Vittoria Colonna e Francesco Ferrante d’Avalos, celebrate il 27 dicembre
1509 sul Castello Aragonese, dove
la poetessa trascorse alcuni anni
della sua vita, lontana per lo più dal
clamore delle tumultuose vicende politiche del tempo. Fu quello il periodo
più glorioso della rocca isclana, che
ospitò re e regine, principesse e nobildonne, poeti e letterati. «Durante
l'assedio di Lautrec (1528) tutti i
baroni de lo Regno, che hebbero
cervello, in quella occasione se retirorono con le loro case dentro di
Napoli, come fece, fra gli altri, Andrea Matteo Acquaviva duca d'Atri,
alcuni se ne andarono a Sorrento,
altri ad Isca, dove se riterò la casa del
Marchese de lo Vasto, la bellissima
sua moglie Donna Maria d'Aragona,
la dotta Marchesa di Pescara, Vittoria
Colonna, la Duchessa di Tagliacozzi,
la Duchessa di Amalfi, la Principessa
di Salerno, Lucretia Scaglione, bellissima e galantissima, e altre dame,
quali tutte estavano sotto il governo
e cura della Duchessa di Francavilla
Donna Costanza di Avalos, zia de lo
Marchese del Vasto, donna di gran
valore e bontà» (1).
Sono previsti gemellaggi con altre città che furono legate a Vittoria
Colonna, oltre che concerti, premi, e
incontri per avvicinarsi alla sua opera
poetica.
Altra circostanza che dovrebbe
richiamare un’attenzione particolare
ed essere occasione per un rinnovato
interesse è il decennale del Museo
Archeologico di Pihecusae, che fu
inaugurato nell’aprile del 1999; un
evento capace di dare una connotazione culturale alla stagione turistica
1) Gregorio Rosso - Historia delle cose di
Napoli sotto l'impero di Carlo V, 1635.
Raffaele Castagna
con manifestazioni che ripropongano
in primo piano l’importanza delle
scoperte archeologiche dell’isola
d’Ischia.
Degno di rilievo il trentennale
del Premio Ischia Internazionale di
Giornalismo, organizzato dalla Fondazione Giuseppe Valentino, che si
svolgerà all’inizio del mese di luglio
nel Borgo di Celsa (Ischia Ponte)
davanti al Castello Aragonese e si
preannuncia con un nuovo format.
Al momento non è stato ancora
definito il quadro completo (e ciò
costituisce una grave lacuna organizzativa in una programmazione
che dovrebbe partire con mesi di
anticipo) di tutte le manifestazioni
isolane: la festa di Sant’Anna, l’Ischia
Film Festival, il Global Ischia Film &
Music Fest, il Festival Jazz, le varie
feste patronali, etc. Soprattutto per i
grandi eventi, che ormai hanno una
caratterizzazione per lo più consolidata, occorrerebbe una divulgazione
costante in ogni tempo, in modo da
renderne possibile l’inserimento nei
carnet turistici: circostanza che, tranne qualche circostanza, non si verifica
affatto, anche perché non si è mai
certi di poter contare sui contributi
delle istituzioni pubbliche.
***
Vittoria Colonna
Continuano i gravi disagi del recapito postale, soprattutto perché non
c’è una presenza costante di postini
che possano nel tempo (breve) acquisire la conoscenza dei luoghi e delle
strade, con le relative numerazioni,
e dare la garanzia ai cittadini di ricevere normalmente la corrispondenza,
senza preoccuparsi di scadenze che
saltano, di bollette che non arrivano,
di comunicazioni ritardate. A soffrire
di tale disservizio sono molteplici
zone, dove poi si verifica anche di trovare nelle proprie cassette posta non
propria, con il conseguente dilemma
se sia più opportuno distribuirla ai
diretti destinatari oppure recarsi a
riconsegnarla negli uffici. Il problema
ormai non trova riscontro in specifici
provvedimenti per migliorare la situazione e le lamentele dei cittadini
e, a volte, delle istituzioni politiche
locali, non sono affatto prese in considerazione ai fini pratici. Si sperava
che l’interessamento della TV con
la presenza del sindaco di Forio
Franco Regine a “Mi manda Rai3”
provocasse qualche miglioramento
alla situazione generale e che i vertici
dell’ente Poste prendessero coscienza
del problema; viceversa nulla è cambiato negli ultimi tempi.
***
Comune unico, invece delle sei entità attuali che hanno sempre (tranne
una breve eccezione)) contraddistinto
il territorio isolano? Lo stesso periodo
delle università non vide mai l’isola
unificata, un progetto e un tentativo
più volte dibattuto e proposto con
varie e diverse prospettive, ed oggi
ritornato in primo piano, con la richiesta di un referendum consultivo sulla
volontà della (o delle) popolazione.
Un bel rebus, in quanto aggregare due
comuni sarebbe facile, in una scelta
che non porrebbe problemi, mentre
unirne ben sei presenterebbe molte
incertezze e altrettanti interrogativi.
Ciascun ente decide il suo proprio
continua a pagina 40
La Rassegna d’Ischia 2/2009 3
Ischia Film Festival 2009
Si svolgerà dal 21 al 27 giugno 2009 l'Ischia Film
Festival, il concorso cinematografico dedicato alle
location, che premia registi, direttori della fotografia
e scenografi che attraverso film, corti o documentari
hanno valorizzato i luoghi scelti per le riprese o ne
hanno rappresentato l'identità culturale. All'interno
del Festival si svolge dal 2005 la Borsa Internazionale delle location e del Cineturismo e dal 2008 una
selezione di film e un workshop dedicati al Product
Placement.
2009 l’anno di Vittoria Colonna
Celebrazione del quinto centenario delle nozze di
Vittoria Colonna e Francesco Ferrante d’Avalos
avvenute sul Castello Aragonese d’Ischia il 27 dicembre 1509
Marzo 2009
- Gemellaggio Ischia / Ferrara: i luoghi di Vittoria, a
cura dell’Associazione Lions d’Ischia
Aprile 2009
- Gemellaggio Ischia / Lucca: i luoghi di Vittoria, a cura
dell’Associazione Inner Wheel d’Ischia
- Vittoria Colonna e la scuola ischitana : “La dimora di
Vittoria” – Itinerario storico sul Castello Aragonese
Giugno 2009
- Premio Internazionale Vittoria Colonna alla donna che
si sia distinta in modo insigne nel campo del sapere,
dell’arte, dello sport. Serata di gala con spettacolo inedito di Salvatore Ronga nel piazzale aragonese.
Luglio 2009
- Concerto al Castello, a cura della Corale Polifonica
“Buon Pastore” di Ischia.
Agosto 2009
- Festa al Castello
Settembre 2009
4 La Rassegna d’Ischia 2/2009
- Una serata con Vittoria e Michelangelo – Lettura
del Canzoniere con Giorgio Albertazzi e Annie Pempinello
Ottobre 2009
- Gemellaggio Ischia / Viterbo: i luoghi di Vittoria, a
cura dell’Associazione SiPario Donna di Forio.
- Novembre 2009
- Gemellaggio Ischia / Pescocostanzo: i luoghi di Vittoria, a cura dell’Associazione Fidapa d’Ischia.
Dicembre 2009
- Domenica 27 - V centenario nozze con la partecipazione dei Comuni gemellati – Torneo di scherma
rinascimentale – Spettacolo equestre nel piazzale
aragonese – Annullo postale a cura dell’Associazione
Filatelica Isola d’Ischia.
Emozioni Mare
dal 3 al 13 aprile 2009
Emozioni mediterranee con la Pasqua nel golfo di
Napoli. Ischia, Capri e la Penisola Sorrentina fanno da scenario a oltre trenta eventi, con in primo
piano le processioni, i riti e le tipiche rappresentazioni della settimana santa. Spettacoli distribuiti
nelle località marine del Golfo. Si spazia dalla musica e dal cinema alla danza e alla letteratura. Non
solo spettacoli e sacre rappresentazioni. Il gusto
farà la sua parte con l'enogastronomia locale e, per
chi non si accontenta, tutte le informazionni sul patrimonio naturale e storico locale. Undici giornate
imperdibili tra architetture mediterranee, nuove e
antiche tradizioni, con un occhio alla buona cucina
ed alla natura che da sola vale un viaggio.
Nel segno del Sud-Africa il 7°
Ischia Global Film & Music Fest
Avrà luogo a Lacco Ameno dal 12 al 19 luglio 2009 e
sarà dedicata al cinema del Sud-Africa la settima edizione dell’Ischia Global Film & Music Fest, l’evento
più atteso dell’estate cinematografica mondiale. E sarà
ancora il regista americano Paul Haggis, premio Oscar
2006 per il film “Crash”, a presiedere il comitato organizzatore dell’happening fondato e prodotto da Pascal
Vicedomini e promosso dall’Accademia Internazionale
Arte Ischia (presieduta da Giancarlo Carriero) con il sostegno dell’Assessorato al Turismo e Beni Culturali della
Regione Campania e della Direzione Generale Cinema
del Ministero per i Beni e per le Attività Culturali.
Rassegna
MOSTRE
Napoli - Galleria Moderna del Pio Monte della Misericordia (sino al 30 maggio2009)
Storie di donne
La rassegna espositiva formata da circa trenta dipinti della Collezione della Provincia di Napoli propone un itinerario figurativo
intorno al tema della donna, attraverso l’osservazione della pittura
napoletana dell’Ottocento e del Novecento.
Carmine Toro (1861-1911) - Sogni, 1911 ca.
Gabriele Mattera (1929-2005) - La bagnante, 1978
La pittura del verismo della scuola
del Morelli ha costantemente offerto
immagini significative della storia
romantica e risorgimentale nelle quali
il ruolo di alcune donne è stato tale
da rappresentare vere animatrici della
storia dell’Ottocento, da eroina del
romanzo storico a protagonista degli
eventi risorgimentali.
Dai temi letterari della Pia dei Tolomei o di Camiola Turinga che rifiuta
il matrimonio con Orlando d’Aragona, alle “storie patrie” che la vedono
simbolicamente assumere un ruolo
principale nella vita del Risorgimento
italiano (Eleonora Pimenthel Fonseca,
I prigionieri di Castel Nuovo), la pittura
dell’Ottocento ci restituisce con molta
precisione immagini eloquenti della
storia e delle condizioni sociali nelle
quali si espresse l’intera società di quel
secolo.
A partire dalle donne, l’osservazione
invade inevitabilmente vari campi di
interesse storico, letterario ma anche
demo-etnoantropologico e sociale.
La pittura ci avvicina alla conoscenza
degli usi e costumi delle tradizioni
locali mediante una molteplicità di
linguaggi che, interferendo col vivere
quotidiano di quei secoli, offrono la
qualità del nostro complesso e variegato territorio culturale. Osservando
questi dipinti, riscontriamo una realtà
italiana che, dopo l’Unità d’Italia, è
fortemente legata alle società rurali e
alle tradizioni della provincia (La vigilia di San Giovanni, di Carmine Toro,
Un battesimo a Cassino di Giuseppe
Scorrano), in altri casi vediamo come
una classe di sottoproletariato urbano
cerchi la propria affermazione nei gesti
e nelle sue ritualità ancestrali (Il tatuaggio dell’amore di Vincenzo Migliaro).
Segnali complessi e significativi della
società meridionale di quel tempo nella
quale va a confrontarsi la nostra identità
culturale.
Il passaggio col nuovo secolo offre
nuove aspettative di riflessione sulla
La Rassegna d’Ischia 2/2009 5
Luigi Stabile (1822 - dopo il1880) - Camiola Turinga si dispone a ricusare
per sposo il principe aragonese Orlando d'Aragona, 1868
Mario Borgoni (1869-1936)
Settembrina, 1911 ca.
donna, attraverso lo sguardo sulla pittura del Novecento.
Chiusa nell’intimità domestica di
matrice borghese, nel ritratto di un adolescente o di una donna provata dalla
sofferenza, la pittura del Novecento
mette in evidenza tutta la solitudine
e le contraddizioni sociali del secolo
lasciato alle nostre spalle.
I ritratti femminili sono specchio di
una nuova società che le ha rese diversamente protagoniste, simbolo di una
classe agiata e benestante ma anche
tormentata nell’isolamento esistenziale
della nuova condizione borghese. Questa lettura della società contemporanea
si riflette in Pallida Mors di Mario Borgoni, in Sotto la lampada di Edgardo
Curcio fino a La Bagnante di Gabriele
Mattera.
Il taglio tematico della mostra Storie
di donne non vuole esaltare fanatismi di
matrice “femminista” ma attirare l’attenzione sulla realtà della storia passata, rendendo la donna protagonista della
letteratura, delle tradizioni popolari e
della società di quel tempo.
Catalogo e mostra sono a cura di
Luisa Martorelli, editore: Arte’m.
Napoli - Castel Sant’Elmo ospita (fino al 31 marzo 2009)
La grande antologica
Renato Mambor - In prestito dall’infinito
In mostra settanta opere dagli anni '50
a oggi tra cui diversi inediti, molti dei
quali creati per questa occasione.
Nucleo tematico dell’esposizione è la
relazione fra lo straordinario Diario degli
Amici del 1967 e l’inedito Diario del
2007 a cui è dedicata una sala. Il primo
si compone di venti tavole che Mambor aveva fatto realizzare dagli amici
artisti, tra cui Mattiacci, Boetti, Pascali,
Lombardo, Tacchi, Ceroli, Mauri, Icaro,
Marotta, con il fine di rappresentare gli
elementi costitutivi del linguaggio della
pittura: la forma, il colore, la materia, il
movimento, il tempo. La serie rappresenta uno spaccato rilevante della cultura
6 La Rassegna d’Ischia 2/2009
figurativa della fine degli anni Sessanta e
propone una catalogazione delle modalità espressive degli artisti coinvolti nel
progetto.
I pannelli del Diario del 2007 offrono
una significativa sintesi della ricerca
artistica degli ultimi anni e si concentrano sulla figura umana, rappresentata
attraverso il ricalco, la sagoma o la
mascherina, che riproducono il profilo
dell’artista e che entrano in relazione per
accostamento con tutti gli altri elementi
pittorici.
Achille Bonito Oliva commenta:
«attratto dalla moltiplicabilità anonima
dell’immagine, Mambor arriva alle
“campionature” di uomini “statistici”,
avendo ridotto la matrice delle figure a
timbro, per poi giungere ad illustrazioni
di azioni e verbi elementari (camminare,
abbracciare, asciugarsi, chiudere la porta)
con conseguente riappropriazione del
loro significato, dove è l’arte a produrre
un rinnovato ed innocente apprendimento
elementare, ma attraverso un’esibita neutralità esecutiva che discende dal rifiuto
di considerare l’artista come un individuo
privilegiato nella società».
Renato Mambor, intervistato da
Gianluca Ranzi, dichiara: «io dico che
l’arte serve a pulire lo sguardo. I sensi
sono offuscati dalle abitudini e tutto ciò
che si fa e si pensa diventa immagine,
stereotipo, filtro davanti agli occhi. L’arte
insinua un cuneo in questo meccanismo
spersonalizzante e ha il potere di ribaltarlo, in definitiva è un piccolo sforzo per
muovere il pensiero».
Tra le opere esposte si evidenzia Sprint
(tecnica mista, 2008 - foto a fianco): alcune biciclette destrutturate sono bloccate
da tavole di legno e poste l’una accanto
all’altra; un’unica bicicletta è spostata più
avanti e rompe la simmetria indicando
una transizione di fase, un movimento,
un’azione.
Achille Bonito Oliva a proposito
dell’artista afferma: «in definitiva Mambor allarga la nozione di museo fuori dal
suo luogo fisico e la dilata confermandone l’esistenza in ogni momento in cui
l’uomo acquista il potenziamento della
conoscenza».
Accompagna la mostra un esaustivo
catalogo edito da Christian Maretti Editore con testo critico di Achille Bonito
Oliva e con un’intervista all’artista di
Gianluca Ranzi.
Napoli - Facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II
Terremoti d’Italia
(Mostra: 7 marzo - 4 aprile 2009)
Il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza
del Consiglio dei Ministri ha promosso a Napoli la mostra
di carattere scientifico e storico Terremoti d’Italia, con l’intento di sensibilizzare i cittadini ed i giovani in particolare
alle problematiche connesse al rischio sismico che investe
drammaticamente gran parte del nostro Paese, di stimolare
ad un ruolo attivo nel campo della prevenzione, di creare
consapevolezza del fenomeno e delle sue caratteristiche
fondamentali, di informare su ciò che si deve fare in caso di
pericolo.
Partendo dal racconto degli eventi [la memoria]
(1) e attraverso l’approfondimento ottenuto con l’ausilio
di strumentazioni e simulazioni sul rischio sismico [la
conoscenza], intende offrire al visitatore strumenti utili
alla salvaguardia e all’incolumità personale [la difesa]. Il fulcro dell’esposizione è rappresentato dall’area
l’esperienza del terremoto dove, grazie a due grandi tavole
1) Due sottosezioni, Solidarietà e Burocrazia, riportano i momenti
più toccanti del racconto storico. La sezione Solidarietà è infatti
composta dalle lettere con cui gli italiani all’estero esprimevano
la loro solidarietà per coloro che in patria erano stati vittime del
terremoto. Tali documenti offrono anche la possibilità di percepire
il tessuto socio-politico, economico e culturale in cui vivevano gli
espatriati, nonché il loro senso di appartenenza al paese di origine.
La sezione Burocrazia è dedicata alla ricostruzione dei fatti che
portano alla creazione nel nostro paese di uffici governativi preposti
all’intervento dello Stato in occasione delle calamità naturali. Il percorso espositivo presenta inoltre libri antichi, del XVII secolo, con
relazioni sul terremoto, alcuni numeri del periodico “L’Illustrazione
Italiana” risalenti alla fine del XIX secolo, numeri de “La Domenica
del Corriere” con le colorate copertine di Achille Beltrame.
vibranti che simulano il movimento sismico, il visitatore
apprende gli effetti sulle persone e sulle cose attraverso
percezioni sensoriali.
Su di una tavola, che simula un
ambiente domestico, la Stanza Sismica, i visitatori vivono
da protagonisti l’esperienza del terremoto. Sull’altra, la
Città Sismica è riprodotto un ambiente urbano, dove sono
presenti edifici e ponti con diversi sistemi di protezione
sismica, in modo che i visitatori possano “vivere” l’esperienza del terremoto dall’esterno. Le tavole vibranti rappresentano un elemento spettacolare e di sintesi dei diversi aspetti tecnico-scientifici, a
partire dal quale si intraprende un percorso dedicato alla
memoria e alla conoscenza del terremoto e alla difesa dai
suoi effetti. Particolare attenzione è dedicata alle attività
di apprendimento da parte delle scolaresche che saranno
coinvolte in un laboratorio didattico realizzato con la
collaborazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Le classi (ultime tre della Scuola Primaria e le
tre di Scuola Secondaria di 1° grado) in visita alla mostra
possono partecipare al progetto didattico Tutti giù per terra:
un laboratorio didattico che introduce alle problematiche
del terremoto (i ragazzi sono chiamati a sperimentare in
prima persona sensazioni ed emozioni legate all’esperienza
di un terremoto, e a indagare con esperimenti scientifici le
conoscenze teoriche con strumenti-gioco).
Dispositivi scientifici e sistemi di rilevamento antichi e
moderni si ritrovano lungo il percorso espositivo che restituisce così ai visitatori la possibilità di un apprendimento
multidisciplinare del fenomeno:
La Rassegna d’Ischia 2/2009 7
- moderni dispositivi antisismici capaci di ridurre drasticamente gli effetti
del terremoto, rappresentativi dei più
moderni metodi di difesa attraverso
l’azione primaria, quella di prevenzione, mediante la riduzione della
vulnerabilità delle costruzioni;
- strumenti di misura del terremoto di
ogni epoca, dal sismoscopio cinese ai
sismografi meccanici di inizio secolo,
fino alle più moderne apparecchiature
elettroniche ed ai complessi sistemi di
monitoraggio (con questi ultimi l’intero
territorio nazionale e alcune costruzioni
significative vengono tenute costantemente sotto controllo dall’INGV e dal
DPC per garantire la difesa più efficace,
questa volta intesa come capacità di
pronto intervento in emergenza e per
favorire il miglioramento delle conoscenze attraverso lo studio dettagliato
del fenomeno);
- grandi schermi che illustrano, per
migliorare la conoscenza del visitatore,
come nascono e come si misurano i
terremoti, quali sono i comportamenti
e gli strumenti di difesa, durante e dopo
un terremoto;
- pannelli che rinnovano la memoria
dei più importanti terremoti di un secolo di storia dell’Italia, attraverso dati
tecnici, sismogrammi, giornali e foto
d’epoca relativi ai singoli terremoti;
- cartoline, foto, documenti d’epoca,
relativi ai più importanti terremoti,
provenienti dall’Archivio Centrale
dello Stato, dalla Biblioteca Nazionale
e da collezionisti privati, restituiscono
al visitatore la memoria degli eventi;
- contributi audiovisivi di repertorio
completano il percorso, grazie alla
collaborazione della Discoteca di Stato,
l’Istituto Luce e Teche Rai. (2)
Per informazioni:
www.terremotiditalia.it - www.protezionecivile.it
- http://www.reluis.it
2) Nella mostra è esposta anche una raccolta
di opere d’arte contemporanea legate al tema
del terremoto e alla memoria di luoghi in cui
si è avuto tale drammatico evento: opere provenienti dalla Reggia di Caserta e appartenenti
alla Collezione Terrae Motus di Lucio Amelio. Dal Museo Civico di Arte Contemporanea
di Gibellina provengono opere di Guttuso,
Burri, Scialoja, tele di Mario Schifano, tratte
dal ciclo Natura naturans dedicato dall’artista
a Gibellina.
Lacco Ameno - Giardino idrotermale Negombo
Festa del Delfino - VIII Edizione 14 maggio2009
In occasione della VIII edizione della Festa del Delfino, dedicata alla conservazione delle comunità di
cetacei dell’Area Marina Protetta di Ischia, Procida e Vivara, si invitano le scuole Elementari e Medie Inferiori di Ischia e Procida a partecipare alla giornata a loro dedicata.
Scopo della Festa del Delfino è diffondere informazioni sul declino dei delfini del Mediterraneo come
una conseguenza della pesca eccessiva e del degrado dell’ambiente marino.
L’Associazione Delphis s'impegna nel coinvolgimento delle comunità locali, al fine di incoraggiarle a
prendersi cura dell’ambiente marino e del suo straordinario patrimonio naturale.
Attraverso la diffusione di informazioni scientifiche nelle scuole si lavora per prevenire la diminuzione di
questi animali, assicurando anche che la pesca artigianale continuerà a far parte del nostro patrimonio culturale.
Con il supporto di insegnanti e studenti sarà possibile costruire un consenso pubblico attraverso iniziative di
gestione per preservare la biodiversità insieme ai valori culturali, in opposizione a politiche a breve termine,
mirate solo allo sfruttamento commerciale.
Il 14 maggio dalle ore 10.00 alle ore 13.00 si terranno lezioni e conferenze gratuite che introdurranno
gli studenti nel mondo dei cetacei e della loro conservazione.
Per permettere allo staff di Delphis di organizzare le lezioni in modo adeguato, gli insegnanti sono invitati
cortesemente a prenotarsi con le proprie classi non oltre il 30 aprile 2009 (e-mail [email protected] Segreteria Organizzativa Delphis, responsabile Barbara Mussi).
8 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Le acque di Lacco Ameno
Il Pisciariello
di Giuseppe Silvestri
All’inizio di via 4 novembre, scendendo, sulla destra
v’era un manufatto a forma rettangolare di pietra lavica
facciavista, addossato al muro con due porte che aprivano lateralmente sul marciapiede, mentre davanti c’era la
macchina con ruota che attingeva l’acqua dalla fonte del
Pisciariello, anche nota come acqua della Conserva (1)
o del Pozzillo (2). È stata ancora negli anni cinquanta, la
sorgente che ha dissetato la popolazione di Lacco Ameno
come già avvenuto per diversi secoli addietro. C’era costantemente un gruppo di persone più o meno folto che
attendeva il proprio turno. Si utilizzavano soprattutto le
cosiddette mummole di creta, che avevano la caratteristica
di conservare a lungo l’acqua fresca. Generazioni diverse
hanno avuto nei loro ricordi ed ancora hanno l’esperienza
di essere andate per tante volte ad attingere di quell’acqua
1
L’acqua cosiddetta della Conserva sorge nella contrada Onese,
un tempo di proprietà della famiglia Di Leo, mediante condotti di
fabbrica per opera pubblica Comunale, che se ne comprò anche la
primitiva scaturigine, si raccoglie in apposita vasca, lungo la pubblica strada che dal Lacco di Sopra, e propriamente dalla Chiesa
parrocchiale della SS. Annunciata conduce alla Marina del Lacco
sulla mano dritta. Si chiama ancora volgarmente Pisciarello per la
doppia ragione: perché promuove il corso dell’urina, e perché per
l’addietro con un prolungamento di tubi sotterranei si conduceva
all’angolo della strada delle Legne, ed in quel punto per un cannello
di ottone, dal terzo inferiore circa di una colonnetta di fabbrica, a
bella posta ivi costrutta per darvi la caduta, perennemente scorreva
per uso pubblico. Essendosene roso col passare del tempo l’interno
meccanismo, più non si è curato dal Comune riattarlo, come è avvenuto ancora alla fontana in mezzo della Marina del Lacco, che
anche riceveva l’acqua dall’istessa sorgente.
(da Venanzio Marone, Memoria contenente un breve ragguaglio
dell’isola d’Ischia e delle acque minerali, 1847, ristampa de La
Rassegna d’Ischia, giugno 1996)
2
Nel Dictionnaire Encyclopédique des Sciences Médicales (1874)
si legge: «L’acqua del Pozzillo (piccolo pozzo) di Lacco sorge
dalla collina Neso, in un vigneto distante 250 metri dalla frazione
di Pozzillo. Un condotto sotterraneo porta la sua acqua ad un pozzo
abbandonato; la sua acqua fresca alla sorgente vi arriva riscaldata
a 30° centigradi per il suolo vulcanico che percorre. Questa acqua
è di un sapore piacevole e leggermente acidulo; la sua temperatura
è di 17°, 4 centigradi, quella dell’aria essendo di 24°, 5 centigradi.
La sua densità è di 1,00129. Non è stata analizzata affatto, ma si sa
che contiene in proporzione inferiore gli elementi solidi e gassosi
contenuti nelle acque delle altre sorgenti di Casamicciola. È adoperata in bagni, ma soprattutto in bevanda abituale, la più impiegata
forse nell’asma, nelle laringiti e nelle bronchiti croniche, è certo la
più attiva per combattere o prevenire la formazione di renella o di
calcoli nelle vie urinarie. Perciò si è notato che mai gli abitanti di
Pozzillo e dei dintorni e che bevono questa acqua minerale nei loro
pasti tutto l’anno hanno sofferto di renella o di calcoli.
che era utilizzata soprattutto come acqua potabile, non
essendovi alternativa.
E dalla fonte sgorgava fresca, limpida un poco morbida e
dava conforto e dolcezza al palato oltre ad essere un’acqua
diuretica (pisciariello) e dotata anche di altre proprietà
positive.
In una recente conversazione con Luigi Iacono, direttore
di macchina in pensione e cultore della storia di Lacco
Ameno, ci siamo ritrovati a parlare del Pisciariello e tra
l’altro ne abbiamo, grazie alla sua conoscenza diretta,
ricostruita la struttura che mi sembra interessante e degna
di essere proposta.
Dalla porta laterale, scendendo una decina di scalini, si
accedeva alla vasca in cui si raccoglieva l’acqua che era
alla fine di un tunnel largo un paio di metri ed altrettanto
alto. Tutto realizzato a volta. Al centro in basso iniziavano le vasche di raccolta dell’acqua, in tutto 22, di forma
quadrata. Ognuna si collegava alla precedente tramite un
canale costruito anch’esso con impasto di lapilli e calce.
Il tunnel proseguiva verso l’alto in direzione sud est fino
a raggiungere la sorgente in località Neso. Dalla sorgente
l’acqua scendeva e passando di vasca in vasca perdeva
residui di terreno ed impurità per arrivare limpida e pura
alla fine del percorso. All’esterno, in corrispondenza del
tunnel v’erano due pozzi chiusi da grate di ferro che servivano per ispezionare e per dare luce ed aria alla struttura
sottostante. Uno era nelle vicinanze dell’incrocio di via
Fundera con il letto di lava (‘u ponte ‘a lava) era costruito
in facciavista aveva forma pressoché quadrata con il lato di
circa due metri. Soltanto da qualche anno è stato eliminato
per ampliare il parcheggio. L’altro pozzo era sulla verticale
della sorgente ed è stato eliminato nel 1985. E’ probabile
che il tunnel passasse sotto il letto di lava (adesso coperto)
per andare a prelevare l’acqua alla sorgente nella zona del
Neso.
Evidentemente si è sempre pensato di portare l’acqua
del Pisciariello verso il centro del paese, e questo già nel
1700 (lo storico d’Ascia precisa che nel cammino l’acqua
diventava termale, fino al grado 26 R, a cagione del calore
del suolo). Ancora negli anni 1950 fu portata all’angolo
della piazza del Capitello e con scarsissimo successo alla
Marina, angolo di via Roma con via Pannella Vecchia,
La Rassegna d’Ischia 2/2009 9
ma vi giungeva in quantità scarsa e
soprattutto calda.
È da dire che Lacco Ameno andava
trasformandosi e negli anni 1950 si
avviava a diventare un centro turistico
addirittura internazionale; ci fu un incremento demografico e quindi nuove
esigenze anche dal punto di vista idrico,
che furono risolte tramite navi cisterne
che partivano dal porto di Napoli, e
infine con la realizzazione dell’acquedotto. E dunque alla fine degli anni
cinquanta la fonte del Pisciariello fu
definitivamente chiusa, perché si disse
che era inquinata e perché non era ormai sufficiente a soddisfare le nuove
esigenze del paese.
Doveva essere l’anno 1959.
Se ne sentiva però la mancanza ed
infatti in una seduta del consiglio Comunale del 17 settembre 1960 (scadenza del mandato elettorale), alle comunicazioni del sindaco Mennella segue
un intervento dell’assessore delegato
comm. Ciannelli che dopo aver espresso al sindaco il plauso del Consiglio per
l’intelligenza con cui aveva presieduto
l’Amministrazione in tutto il quadriennio di attività, manifesta l’augurio che
due problemi di notevole importanza
vengano affrontati e risolti ancora in
questo scorcio di amministrazione
o nell’altro, e cioè il ripristino della
fonte d’acqua denominata Pisciariello
e l’industria della Tonnara.
Ma l’una e l’altra che erano state
parti fondamentali della vita del paese
per diversi secoli erano ormai destinate
Lacco Ameno - Corso 4 Novembre
a scomparire per sempre. Peccato che
non ne sia rimasta alcuna traccia o
quache ricordo.
Ed a proposito del Pisciariello il
d’Ascia (3) in una bellissima pagina
descrive e fa rivivere come in un poetico affresco il giornaliero impegno
delle giovinette lacchesi che soprattutto
avevano il compito di andare a prendere
l’acqua alla fonte.
«È l’ora che si avvicina al tramonto, le figlie dei pescatori e degli ortolani della pianura e della spiaggia del
Lacco, sbucano da ogni parte ed in
frotta vanno alla sorgente di due pozzi pubblici alla cava del Pozzillo, ad
attingere l’acqua per uso domestico.
Bello è a vedere queste giovinette dal
colore brunetto, dagli occhi vivaci,
dalla taglia svelta, e l’andatura leggiera, portando una grande brocca
sul capo acconciato discretamente,
correre alla fonte per riempire il
vaso, e riportarlo con disinvoltura
ed equilibrio senza curarne il peso,
e senza pericolo di guastarsi l’acconciatura della testa coverta da piccolo
fazzoletto, che a guisa di retina o cuffietta, ovvero piegato a coda, chiude
le sole trecce, facendo vedere i bruni
capelli divisi sulla fronte a grazioso
panneggio, senza timore di bagnarsi
le spalle coverte dalla sola camicia,
dall’attillato corsè, e dal fazzoletto
del collo piegato a scolla, le braccia
ignude fino al gomito.
E’ correre e spingersi e canterellare, e andare e venire con una spensieratezza, con una festa che solo si
possono assaporare nei verdi anni
delle illusioni e delle speranze.
Le lacchese sono graziose e simpatiche, un solo difetto guasta la
maggior parte di quei graziosi e
simpatici brunetti visini, la dentatura
macchiata dall’acqua muriatica dei
pozzi sorgivi accanto al mare della
quale fanno uso».
È ancora opportuno ricordare che
nella storia amministrativa del Comune
Lacco Ameno - Corso 4 Novembre visto dal Capitello
10 La Rassegna d’Ischia 2/2009
3
Giuseppe d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia,
pag. 411.
di Lacco Ameno, c’è spesso riferimento
al Pisciariello che rappresentava la fonte di approvvigionamento idrico certamente più importante, come si evince
dai registri delle delibere consiliari.
Bisognava infatti intervenire spesso
per lavori di manutenzione, di pulizia
e di riparazione all’impianto. Un avvenimento dovette essere l’installazione
della pompa che trova concretizzazione
nelle delibere di Giunta n. 227 e 237 del
1889 che sono le seguenti:
Seduta di Giunta dell’anno 1889
il giorno 4 giugno sono intervenuti
all’adunanza i signori: Frisicchio
Sergio Sindaco Presidente, Manzo
Gennaro e Piro Carlo assessori. Con la
medesima seduta il Presidente presenta
alla Giunta un notamento di spese fatte
per l’impianto della pompa all’unica
sorgente di acqua potabile del Pisciariello in esecuzione della deliberazione
di questo Consiglio del 17 febbraio
ultimo. Quale notamento ascende alla
somma di lire 295 e cent. 71 ed invita
la Giunta ad esaminarlo e stabilire il
conto da prendersi la indicata somma.
La Giunta sulla proposta del Presidente,
esaminato il notamento che trova regolare approva la spesa ed all’unanimità
delibera che la somma di lire 295 e
cent. 71 erogata per l’impianto della
pompa al pozzo pubblico sia pagata
alla persona indicata nel notamento
prelevandola dall’art. 32 cat. 6 titolo 1
bilancio 1889 stanziato per manutenzione di acquedotti e pozzi pubblici. E
poiché l’art. stesso è insufficiente alla
bisogna, delibera pure di impinguarsi di
altre lire 180.81 che verranno stornate
Lacco Ameno - La zona del Neso
dall’art. 44 cat. 9 titolo 1 del medesimo
bilancio stanziato per vari rimborsi di
quote inesigibili che ne offre la capienza. Stante l’urgenza del pagamento la
presente deliberazione va presa ai sensi
ed agli effetti dell’art.18 della legge
comunale e provinciale.
«L’anno 1889 il giorno 19 luglio
nella sala delle adunanze municipali di
Lacco Ameno si è riunita la Giunta di
questo comune. Sono intervenuti il sig:
Frisicchio Sergio, sindaco presidente,
Manzo Gennaro e Piro Carlo assessori.
Il Presidente espone alla Giunta che il
sig. Pattison ha chiesto il rimborso delle
spese fatte per la visita sopraluogo onde
elevare il progetto per l’impianto della
pompa del pubblico pozzo di questo
Comune. Quale spesa fa ascendere a
lire 50 epperò invita la Giunta a disporre il fondo da prelevarsi per la relativa
spesa .
La Giunta, visti gli atti della ditta
Pattison e considerato che questa spesa è stata giudicata tra quelle indicate
per l’impianto della pompa, delibera
all’unanimità pagarsi al sig. Pattison
la somma di lire 30 invece di 50 giusta
la richiesta e ciò in via di transazione
del compenso dovuto all’ingegnere
che venne a verificare il locale dove
piazzarsi la pompa.
Tale somma sarà data dall’art. 56
cat. 9 titolo 2 bilancio 1889. Stanziate
le spese casuali ed impreviste. Per il
Sindaco Presidente Carlo Piro Calise.
Segretario Elia Castagna.
Si trattava di una pompa a stantuffo,
tipo inglese ad un solo pistone. I pezzi
che la componevano erano di bronzo
ed anche le due manovelle che erano in
comunicazione con una ruota pesante
una settantina di chilogrammi girando
la quale si azionava la pompa che attingeva l’acqua. Ciò avveniva tramite
la manovella a forma di T applicata
sull’asta del pistone che azionato nel
cilindro aspirava acqua che terminava
il suo corso nel rubinetto.
La pompa richiedeva un’accurata
manutenzione. Per essa si adoperarono
nel 1900 l’ing. Caccioppoli, Calise
Francesco detto Mussoloro, Silvio Carlo, Monti Pietro Paolo ed infine Iacono
Francesco Paolo detto Pasticciotto.
Bisognava cambiare soprattutto gli
anelli (premitrecce) di cuoio lubrificati
con grasso di animali. Servivano per
evitare che la pompa perdesse compressione Quando la pompa non pescava,
per riavviarla bisognava versare un
poco di acqua nel cilindro. Comunque
con la pompa a stantuffo raramente si
rimaneva senza acqua e funzionava sia
di notte che di giorno.
Negli anni ‘50 la vecchia pompa a
stantuffo fu sostituita da una elettrica a
forza centrifuga. Installatore fu Iacono
Francesco Paolo che ne tenne anche la
manutenzione fino a quando è rimasto
attivato il Pisciariello.(1959-60).
Sono ancora da citare i trasportatori di acqua per le persone che non
potevano provvedere direttamente.
Vincenzo Patalano detto Ciustariello, Chiara Aiello detta Chiarina con
i figli Raffaele e Peppino (quando
erano ragazzi) detti Chiarinielli;
Nannina l’Acquaiola (Miragliuolo
Anna) ed il figlio Carlo Silvio.
Al Pisciariello quasi ogni giorno
giungevano carrozze per abbeverare i
cavalli. Ricordiamo quelle di Fabrizio
Di Costanzo, di Luigi Petrucci, di
Giovanni Scotti ed ancora di Raffaele
Ballirano detto Schinizz, di Salvatore
Schiazzano. Da Casamicciola e da
Forio venivano carrozze che portavano i villeggianti a bere l’acqua del
Pisciariello.
Giuseppe Silvestri
La Rassegna d’Ischia 2/2009 11
Il Manoscritto di Frat’Agostino
del «Venerabile Convento di Sa Maria della Scala»
di Giovanni Castagna
Il manoscritto, intitolato «Legati»
e inserito fra le pagine della Platea
corrente, si com­pone di otto fogli
piegati verticalmente per un totale
di trentadue pagine, numerate di
recente (penna biro, colore rosso).
Si tratta, in realtà, di un elenco di
vari lasciti a favore del Convento
degli agostiniani di S. Maria della
Scala del borgo Celsa, lasciti che,
con più precisioni, sono trascritti
anche nella Platea corrente. Pur nella
monotona ripetizione, obbligatoria
in questo genere, (anno, carlini,
12 La Rassegna d’Ischia 2/2009
lasciare, lascito, messa…) s’incontrano a volte notazioni interessanti:
nomi di luoghi, alcuni scomparsi, di
soprannomi, ma, soprattutto, tratti
fonetici che rivelano l’origine napoletana, più precisamente, ischitana,
del redattore.
Degno di nota è il lascito di Vittoria
Colonna di cui non si avevano notizie, almeno a nostra conoscenza:
«Lascito dell’Illma Vittoria Colonda
Marchesa di Piscaro lascia quattro
cannate d’oglio a quel tempo bisogno che fossero stati quattro stari alla
misura d’hoggi di questo lascito credo che poco sene sia hauuto e quasi
niente che per Io Frat’Ago­stino per
hauere sessanta anni non mi ri­cordo
mai tal cosa» (p.4).
Questa trascrizione ci dà la possibilità di conoscere il nome del redattore, Frat’Agostino, di cui parleremo
in seguito.
All’inizio Frat’Agostino crede
opportuno ricordare i nomi dei fondatori del Convento: «Pietro salua
Coscia e Conte billano lascio obigo
di due messe la settimana all’Altare
Magre quale fu fondatore del nostro
Convento et li lasciò tutto quello
ch’hauea nell’Isola d’Ischia […]»
(pg. 3). Opinione piuttosto corrente
fino a quando Agostino Lauro, sulla
base di una «relazione» o «rapporto», come scrive, che risale al 1650,
ha precisato che «i Salvacossa ne furono patroni e benefattori, ma non è
certo che ne siano i fondatori» (1).
L’annotazione a matita sulla prima
pagina, cui abbiamo accennato, è la
seguente: «scritto dopo il 1620 cfr.
pag 15. Probabilmente compilato nel
1640-50 quando fu richiesta la relazione sui con­venti ed il compilatore
P. Agostino (cfr. pag. 4) dev’essere
P. Agostino di Re­cene che compare
tra i firmatari della relazione sul
Convento del Soccorso di Forio».
L’estensore della nota ha letto male
la data trascritta a pagina 15, si tratta
del 1610. Per sincerarsene basta
confrontare l’uno che determina le
migliaia e l’uno che indica la decina: ambedue comportano un punto
soprascritto, come anche a pag. 18
(p° marzo 1621, data evidenziata con
tratti verticali tracciati con la stessa
matita con cui è scritta l’annotazione)
1) Lauro A., La chiesa e il convento degli
agostiniani nel Borgo di Celsa… in Ricerche
Contributi e Memorie,periodo 1944-1970,
vol. I p. 613
È molto probabile, inoltre, che nel
trascrivere la data, ci sia stata un’inversione di cifre: 1610 per 1601.
Nella Platea corrente, a pagina 29,
si legge, infatti: «1601 adì 2 Aprile
Vittoria di Maria, vedova del fu
Francesco del Piano nel suo ultimo
testa­mento dichiara erede D. Vincenzo del Piano suo figliastro con peso
di diversi legati, fra quali annovi
carlini venti al Ve­nerabile Convento
di S. Ma della Scala d’Ischia, oltre
gl’altri venti la­sciati dal fu Francesco
suo marito come questo ed altro in
esso testamento rogato per il Not.°
Gio. Aniello di Francesco li 2 Aprile
1601 […]». Come si vede anche il
cognome non concorda.
L’altra precisazione della nota
neanche ci convince e cioè: «probabilmente compilato nel 1640-50,
quando fu richiesta la relazione sui
conventi». A pagina 12, infatti, si
legge: «France­sco Imploto lascia
certe case e terre e scappa e selve
dove se dice Cofa vicino alli beni
d’aurelio Melluso con dua touaglia
di state fatta in tempo della peste con
obigo d’una messa la settimana di
queste terre non se ne haue nulla.»
L’espressione sembra indicare che
sia già passato del tempo della peste
(1656).
Per quanto concerne il nome del
compilatore siamo piuttosto del parere che si tratti di Padre Agostino
Calise, probabilmente di Panza.
Nel luglio 1603 il Convento prese
pos­sesso di alcuni beni appartenenti
a religiosi del convento stesso, fra i
nomi c’è quello di Frate Agostino
Calise:
«1603 adì 10 luglio Dal Venerabile
Convento di S. Maria della Scala
d’Ischia fu preso il possesso di diversi beni stabili spettati a diversi
religiosi del medesimo convento:
cioè, un censo di docati 50 dovuti da
Giovanni Migliaccio su d’una terra
sita nel Casale di Panza, e proprio
dove si dice Casa Iacono per istromento fatto per il Not.° Gio. Domenico Vitale, ven­duto a Frà Agostino
Calise per il Not.° Casdia. Annovi
docati quattro e mezzo da Tomaso
d’Ambra e suo fratello per istromento per il Not.° Gio.Domenico
Vitale, ed altri beni mobili spettati ad
esso Frà Agostino […] come questo
ed altro nell’istromento fatto per il
Not.° Gio.Aniello de Francesco di
Napoli li 10 luglio 1603» (p.127 )
Che fosse un ischitano si nota da
alcuni tratti fonetici e, soprattutto,
per una frequente ipercorrezione
del nesso «nn» che passa a «nd» del
tipo Colonna>Colonda, anno>ando,
vanno>vando… e viceversa, casi del
tipo «quondam» che diventa «connam», ipercorrezioni che riscontriamo spesso nelle registri anagrafici
parrocchiali del 1600; parole, inoltre
del tipo «commento, cammara, lunnedì, uennerdi,, vinticinq» ed infine
il bel plurale per indicare la famiglia
Pesce: «i Pisci». Certamente, co-
munque, era un panzese o foriano:
«vicino allo chieno del Vescovo» (p.
10).
Non crediamo che si tratti di una
relazione o rapporto da inviare alle
istanze superiori, ma piuttosto una
lista da trasmettere ad un collettore
più giovane. Egli stesso, d’altronde,
si presenta come «vecchio collettore»: «per quanto ne so io vec­chio
collettore» (p. 21) ed al momento
della trascrizione ha 60 anni: «di
questo lascito (quello di Vittoria
Colonna) credo che poco se ne sia
hauuto e quasi niente che per Io
Frat’Agostino, per hauere sessanta
anni, non mi ri­cordo mai tal cosa.»
(p.3), ed è collettore da 20 anni,
«quali Io collettore di uint’anni» (p.
11).
In tutte le sue trascrizioni si ha
piuttosto l’impressione che si affidi
ai suoi ricordi: «questo ne so io»
(p.13), «non mi ricordo mai tal cosa»
(p. 4) «bisogna cacciar lo strumento»
(p. 18), «al prettorio non dice quel
che lascia» (p. 14)… Le espressioni
«bisogna vedere», «saria bene veder
il testamento, lo strumento», ricorrono spesso.
Ci tiene a mettere in risalto «lo parere» suo «per coscienza». In altri
termini ha fatto tutto quello che era
possibile, nonostante un «prettorio»
(deposito, archivio) ove vi sono strumenti mangiati «di surici» (p.3). Alla
fine, quasi rassegnato, perché di parecchi legati «il convento non have
nulla né è per averne mai», conclude:
«pensateci vui mò» (p. 21).
Pag 1 LEGATI
(a matita): scritto dopo il 1620 cfr. pag
15. - probabilmente compilata nel 164050 quando fu richiesta la relazione sui
con­venti ed il compilatore P. Agostino
(cfr. pag.4) dev’essere P. Agostino di
Re­cene che compare tra i firmatari della
relazione sul Convento del Soccorso
di Forio.
Pag. 2 1529
Pag. 3 Intrate ed Oblighi messe del
Convento
1 - Pietro salua Coscia e Conte billano
lascio obigo di due messe la settimana
La Rassegna d’Ischia 2/2009 13
all’Altare Magre quale fu fondatore del nostro Convento et
li lasciò tutto quello ch’hauea nell’Isola d’Ischia, Case vigne
ancora molti terratorij ch’haueua in Furio che n’hauimo
trenta quattro tommola di grano l’hanno, et più cose che
non si ponno leggere allo stromento per essere mangiato
di surici lascia anchora messa il giorno quale la­sciano una
Selua alla Molara che quando li venne ogni novi anni se ne
ha sessanta ducati
2 Meo Taliercio lascia una messa la setti­mana all’Al­tre di
santo Nicola di Tolentino per certe terre lasciate conforme
dice al prettorio
Pag. 4 Obligo tener la lampa accesa al SS. Sacramento
3 - Lascito dell’Illma Vittoria Colonda Marchesa di Piscaro
lascia quattro cannate d’oglio a quel tempo bisogno che
fossero stati quattro stari alla misura d’hoggi di questo lascito credo che poco sene sia hauuto e quasi niente che per
Io Frat’Ago­stino per hauere sessanta anni non mi ri­cordo
mai tal cosa
4- Dote alla Cappella di S. Mara Vecchia fatta da Giu­liano
bruno di carlini sette et tre carlini per una messa cantata il
giorno della feste sua che sono in tutto carlini dieci
5- Simona Saracusana lascia terra aiuola per una messa
la settimana quale lo com­mento ne perciepe hoggi più di
nove du­cati.
Pag. 5
6 - Lascito d’Andriella Viuera Romana ve­dova. Un’onza d
oro et dieci carlini l’ando per uno maga­zeneno cioè case sotto
e so­pra censuate l’affitto a quel tempo per­tanto a un nostro
frate Frà Salvatore di maio con patto ch’hauesse dopo morte
da dare al Convento la sopradetta onza d’oro e carlini dieci
l’anno al Convento con peso una messa la settimana queste
credo che siano le cammare dove stà ma­stro Anto­nio.
7 - Lascito di Mauritio Abate di una messa la settimana da
rosa novella per uinti carlini l’anno con peso d’una messa
la set­timana.
8 - Lascito d’un magazeno a Ceusa da uintu­rella pre­tiosa
et Riccardo marandola suo marito con peso di tenere la
lampada ac­cesa avanto il Sacramento che debbiano ogni
domenecha et giorni festiui accen­dere due cannele di cera
bianca che ne vando do­dici a li frati
Pag. 6
9 - Istromento di Rosa Manfitana dove fa erede di tutti suoi
beni vincenzo fogliano suo nepote et raimo figlio di detto
vin­cenzo et fra Marino Migliaccio lo fa ese­guitore di tutt’i
legati che lascia la detta Rosa la­scia la trent’una e la quarant’una et eredifica la prima donatione già fatta al sopra
detto uincenzo figliano.
10 - Lascito di mastro Francesco di veza depo­sitario di una
messa lo mese alla Cappella di S.to Sabastiano et ancora
la vigilia di S.to Sabastiano allo primo ve­spero uno giorno
innanzi dalla festa si debbano di­spenzare a poveri un mezzo
tommolo di grano fatto in biscottelli e vino et far l’al­tare
grande di questo lascito lo Commento n’ha una massaria
dove si dice cala brache a Casa micciola ne havimo sei du­
cati l’anno et infeteotico.
Pag. 7
11 - Testamento di Iann’Emilia Rosa quale lascia a ma­stro
14 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Baldassar fontanaRosa certe case dintro la terra che si debbiano pagare trenta carlini l’anno già ch’hoggi noi l’hauimo
con peso di trentuna messa l’anno.
12 - Testamento di Madamma Antonella di Vito quale lascia
al nostro Convento tutti suoi beni mobili sta­bili soppelletti
di casa cioè quali sono pervenuti per sue erdita imparte
per raggione d’eredità delle robbe di sua madre brunella
e del connam fra­tello marino e della condam Isabella sua
sorella con patto e conditione che li padri siano tenuti ogni
settimana dire una messa per l’anima sua e di suoi parenti et
quel giorno di sua morte celebrare ogn’anno un an­niversario
obligo stretto per coscienza di osservarsi altrimente siano
tenuti a restitutione.
Pag. 8
13 - Obligo di uinte messe l’anno lasciato alla Cappella di
S.to Filippo Jacobo da Pier Luiso Ronto in cenzo di ducati
cinque l’anno con ancora due anniversarij l’ando uno per
Vincenzo et un altro per pier luiso di questo cenzo credo non
si n’habbia hauuto mai niente et neanco se ne hauerà.
14 - Lascito di Fusco Baldura di dudici carlini l’anno per
uinte messe l’anno et poi barrello suo figlio ne agiu­gne dieci
di più che sono in tutto trenta messe lo Commento non ne
riceve sol che dodici carlini.
15 - Testamento di D.Mariella Siuera lascia erede fra Marino
Galatola suo figlio vole di una terra a mata­resci che delli
frutti di detta terra li faccia dire una messa la set­timana in
perpetuo alla sua Cappella di Santa Trinità.
16 - Lascito di Gio.Buonsignore lascia dieci carlini l’anno
in perpetuo per una messa lo mese e lo commento li riceve
q dieci car­lini.
Pag. 9
17 - Testamento di Gio. Lubrano di Procida di carlini cinque
l’anno in perpetuo quali lo commento hoggi lo riceue con
peso d’un anniversario l’anno.
18 - Obligo d’una messa la settimana lascia Bernardino
polito di Furio carlini trenta cinque già lo com­mento lo
riceue.
19 - Lurita mellosa un anniversario l’anno due tarì.
20 - Lascito di Pietro Boccainfoso tarì quattro per otto
messe l’anno.
21- Lascito di Lucia farese moglie prima che fu di ma­stro
fabio di sirabello di carlini sei l’anno con peso di dodeci
messe.
22 -Lascito di Pasquale Cacciutto di Procida di carlini dieci
lanno con peso di dodeci messe lanno
Pag. 10
23 - Ligato di Gio.Pesce per certe case, orto, ovre piscine
allo Testaccio vicino allo chieno dello Ve­scovo con obligo
d’una messa la settimana questo legato lo convento non haue
nulla ne è per haverne mai.
Testamento
24 - Lascito di Filitiana Corcia di carlini sei l’anno per
dodici messe.
25 - Lascito di Benedetto Agnese alla Cappella di santo
nicola di baro per una messa ogni lunnedì che sono quarant’otto messe l’anno dico lascia uinti carlini pero di que­sti
se ne hanno solo carlini dieci di fon­tana l’altri dieci bisogna
litigarli.
26 - Lascito di Notar Gio. anello Mancuso a Santa Lucia sua
cappella ducati tre con peso d’una messa la settimana
Pag. 11
27 - Lascito di carlini uinti l’anno dal Magco Gio.Batta
Angnola sopra una sua casa in Ischia con peso d’una messa la settimana da dirsi al suo altare di Santa Maria della
Consolazione.
28 - Lascito di ducati dodici dalli pisci Gio.Paulo Ve­chio
alla Cappella del Soc­corso con obligo d’una messa il giorno
et anco fare dire un anniversario l’anno per l’anima di suoi
morti et farici una cona di Santa Maria del Soccorso di prezzo
docati uinticin­que a spese del Convento la cona e fatta delli
ducati dudici che lascia lo co­nuento non ha altro che du­cati
dieci gerati a tonno Juorio l’altri duo li deve pa­gare l’aerede
di detto Gio.Pauo quali Io collet­tore di uint’anni bisogna ne
devea Gio.Francisco erede di Gio.Paulo che li paga.
Pag. 12
29 - Lascito di Salustio Vecchio lascio di du­cati quatro l’anno
con obligo di due messe la settimana et due officij di morti
auen­terdi che di questi censi di quattro ducati si ne hando
legumi a fontana carlini uinti quatro et altri carlini tridici
se pagano d’un ma­gazeno uici allo ponto che se n’è mezzo
caduto quale hoggi lopone de le eredi fu mastro Christo­
fano Colasirto.
30 - Francesco Imploto lascia certe case e terre e scappa e
selve dove se dice Cofa vicino alli beni d’aurelio Melluso
con dua touaglia di state fatta in tempo della peste con
obigo d’una messa la settimana di queste terre non se ne
haue nulla.
31 - Lascito di Salvatore di Alesandro sopra una casa seu
cammara a Celli con peso d’una messa la settimana dico
lascia du­cati quattro sopra detta camera.
Pag. 13
32 - Istrumento di Vicenzo pesce che lascia tutti suoi beni al
conuento non si troua lo nome de lo notaro che l’haue fatto
alla stessa copia et uole che si prega Iddio per esso.
33 - Lascito di Lugretia Mellosa quale lascia obligo per­petuo
alli suoi eredi far dire una messa lomese lo lunedi per l’anima
sua e suoi morti la trent’uno e quarantuno non so che lascia
se po’ vedere sotto il N° 20 in carta bambacina.
34 - Lascito di Pietrillo in in Corbera di una terra santa barbara in Casa micciola con peso di dodici messe l’anno et una
messa cantata dopo la prima dome­nica d’agosto al prettorio
dice che ci sono altri obli­ghi da dirsi in chiesa nostra quali io
non li trouo scritti dice ancora che qa terra a quel tempo fo’
af­fittata per cinque tom­mola di grano questo legato si trova
in un mazzo di carta al deposito senz’anno e mese e giorni
reposto sotto il n° quattro però hora di qa terra non si hanno
solo più di dice dotto carlini lanno questo ne sò io.
Pag. 14
35 -Lascito di Gio:Vicenzo Anello planterio di ducati cinque
l’anno con peso di cinquanta messe l’anno.
36 - Camilla mollese lascia carlini quindici lanno per quindici messe bisogna vedere lo stromento che sta obligato
Mase Man­cuso paga questo cenzo allo conuento overo li
legati della detta Camilla.
37 - Lascito di Gio.Angelo Capalto bisogna ve­dere lo
stromento in cascia n° (alla fine della cancellatura si legge
…20) n°1 (spazio bianco) 180 per­ch’al pretorio non dice
quello che lascia
38 - E più un altro lascito di Gio.Antonio Ca­palto suo figlio di
carlini uinticinq lanno alla loro cappella bisogna pur vedere
lo legato di detto Gio.Antonio che peso la­scia.
Pag. 15
39 - Lascito di Giulia Mazzella moglie che fu di francesco
sasso e madre Padre Baccillier Gregorio di ducati quattro
lanno con peso di quaranta messe alla Cap­pella delli Ino­
centi.
40 - E più un altro lascito di francisco sasso suo marito di
carlini uinti lanno con peso di uinte messe lanno all’altar
dell Inno­centi.
41 - Lascito del Sig.r Frabritio Fortunato di quattro du­cati
lanno con peso di quaranta messe lanno all al­tare del Crocefisso louennerdi
42 - Lascito di Prisca Rosa Noschina di Procida moglie
che fu di Bartolomeo Mascolo carlini sette lanno per sette
messe lanno
43 - Lascito di Vittoria di marino ducati dua lanno da celebrarsi tante messe lanno per lanima sua bisogna ueder lo
stromento notar Anello di francesco alli dui aprile 1610.
Pag. 16
44 - Micco Morgione morto stà obligato al conuento di
carlini dodici e mezzo lanno per un lascito della pa moglie
filitiana sassene con peso di otto messe lanno.
­­­­­­­­­­45 - Lascito di Cicco Cigliano di carlini dieci lanno con peso
di sei messe lanno.
46 - Tolla Jacona di Vicenzo jacono di Forio moglie che
fu d’andrea lascia carlini dieci lanno con peso di diece
messe.
47 - Angiolillo Spinitillo lascia otto carlini lanno con peso di
un Anniversario overo otto messe lanno bisogna vedere lo legato che io penso (?) messe et anniversario allo prettorio.
48 - Filidoro di martino lascia carlini sei per dodici lanno.
49 - Gio. Dco Colonna alias Caparra lascia car­lini sei lanno
con peso di un anniversario lanno.
Pag. 17
50 - Lascito di mastro Gio. batta mormino di carlini uinti
lanno con peso d’una messa la settimana et una cantata la
pa doca di maggio alla loro Cappella S.M.d.S.
51 - Un altro lascito alla sopra detta Cappella da Gigante
mormilo di carlini quindici lanno con peso di quin­dici
messe.
52 - Lascito di donato foglia alla sua Capa di carlini Vitti­
quattro non so poi se sono per la donatione della Capa overo
obligo di messe l’Istromento n° 181.
53 - Un altro lascito di bernardino foglia di diecesette carlini
lanno gerati dallo detto per uno cenzo che detto haueua lanno
da Col An­gelo migliaccio Vecchio pero lo Pe Priore ch’esso
ha visto lo strumento a lo deposito che obligo di messe lascia,
ancora dice il detto Pre Priore che ha visto lo strumento in
de­posito del sopra detto trentotto carlini di questo fo­glia
obligo che lascia overo bisogna ve­derlo di nuovo.
Voltala del sopra detto lascito.
La Rassegna d’Ischia 2/2009 15
Pag. 18
54 - Un altro lascito da donato Foglia di ducati trentacin­q
cioè di carlini trentacinque lanno incomincia lanno p° di
marzo 1621 comincia lo pagamento et da uqel tempo si
debbiano cominciare a dire le messe per carlini trentacinq
lanno dodici messe lanno ogni prtmo di mese una messa un
anni­versa­rio lo p° di marzo per l’anima sua.
55 - Giuseppe di Zeppa alias di manzo carlini sei paga lo
detto per l’anima di sua madre lasciata dalla detta bisogna
vedere lo le­gato fatto da notar Gio. Anello mancuso overo
da No Anello de fran­cesco per ve­dere che lascia d’obligo
56 - Nicola di Luca et fratelli pagano sei carlini al Con­vento
pe tante messe per un lascito di sabastiano suo padre per
vedere lo la­scito bisogna cacciare lo testamto fatto da Naro
Anello di Francisco
Pag. 19
57 - Paulo di Zeppa alias di manzo lascia carlini sei lanno
però con peso di sei messe lanno ma saria bene ve­dere lo
testamento per sapere quello che lascia lo testamto Notro
Gio.Anello mancuso overo Notaro Anello di Francisco
58 - Prudentia castalda lascia Carlni uinti lanno al Con­vento
con peso di vinti messe lanno però saria bene vedere lo
testamento che lo collettore Frà Tomaso di pavia (scritto a
lapis Di Martina) ne sa il tutto hauendo fatta fare la girata
di detto lascito e questo e lo parere mio per coscienza.
59 - Costanza di Meglio madre che fu di Gio­seppe No­rato
alias Sollecca lascia tarì tre lanno al Convto bisogna vedere
lo te­stamto fatto da notaro anello Francesco che peso lascia
di messe overo anniver­sa­rio.
60 - Lascito di Gioseppe Pilato di carlini uinti lanno con
peso di quindici messe lanno.
Premio Ischia Internazionale
di Giornalismo
(segue da pagina 2)
Un riconoscimento sarà assegnato all’“Informazione per i diritti umani” con la partecipazione
in giuria del Vice Presidente del Senato Emma
Bonino, già Commissario dell’Unione Europea.
Il Comitato per l’assegnazione del “Giornalista sportivo
dell’anno” è composto dai giornalisti Enrico Varriale,
Piercarlo Presutti, Manuela Righini, Antonello Valentini, Massimo Corcione, Danilo di Tommaso e Maurizio
Ughi.
Saranno invitati ad Ischia rappresentanti degli studenti
delle principali Università Italiane di Giornalismo. Oltre
all’Alto Patronato del Presidente della Repubblica il
Premio Ischia avrà i patrocinii istituzionali e la presenza
del Presidente della Giunta della Regione Campania
Antonio Bassolino, del Presidente Confcommercio di
Napoli Maurizio Maddaloni, del Presidente dell’Istituto
di Credito Sportivo Andrea Cardinaletti, del Sindaco
di Ischia Giuseppe Ferrandino, del Sindaco di Lacco
16 La Rassegna d’Ischia 2/2009
61 - E più un altro lascito fraustina Morgione di sei car­lini
lanno con peso di sei messe lanno.
Pag. 20
62 - Lascito di Camilla migliaccio madre che fu di Ce­saro
di Meglio alias spagnuolo di dodici carlini lanno con peso
di dodici messe lanno però saria bene ve­dere lo te­stamento
che l’ ha fatto Not° Gio.Anello Mancuso.
63 - E più un altro lascito di Colo suo fratello di carlini uinti
cinq lanno lasciati lo sopra detto luno e laltro alla cappella di
Santa Caterina vicino all’altre mag­re con peso di uinticinq
messe lanno e lo testa­mento l’ha fatto Not.° come di sopra
pero Cesaro di meglio alias spagniuolo sta obli­gatato di
dutti li dua sopa dtti censi con stromento fatto di nuovo dal
soptto notaro saria bene vedere qo ultimo stro­mento fatto
con cesaro et oblighi ci sono.
Pag.21
Un lascito di Giosep.
64 - Lascito della cappella di Sta Caterina quale era prima
dentro la nostra sacristia lasciati ciò è la dota nicola malfetano di uinti carlini lanno per una messa la settimana per
quanto ne so io collettore uecchio non se n’hanno soli che
tridici carlini pensatici vui mò.
Pag. 22 «Sig.a M»
Pag. 23 «Il Pesce uinnolo della petra dello pesce caso di
mastro»
Pagine 24/32 bianche tranne pag. 25 ove si legge « il
Pesce»
Ameno Restituta Irace, del Presidente della Commissione bilancio della Regione Campania Nicola Marrazzo,
del Presidente della Federazione Italiana della Stampa
Franco Siddi e del Presidente Ordine Nazionale dei
Giornalisti della Campania Ottavio Lucarelli.
La cerimonia di consegna dei Premi si terrà dall’1 al 4
luglio 2009 nell’ “Antico Borgo di Ischia Ponte”, nella
splendida cornice del Castello Aragonese, e sarà ripresa,
in prima serata, da un’emittente televisiva nazionale.
Incursioni barbaresche del XVI secolo
Kurtògoli il corsaro ai Maronti
di Nunzio Albanelli
La segreta speranza - Giovanni,
giovane di buona famiglia, viveva nel
borgo di Celsa, dedito per lo più ai suoi
studi. Il padre infatti, rimasto vedovo,
aveva riposto le sue speranze su di lui,
che voleva assolutamente avvocato.
Perciò, dopo avergli procurato un eccellente precettore, seguiva con ansia
malcelata i progressi negli studi da parte
del figlio, in particolare da quando lo
aveva convinto a frequentare l’Università di Napoli. Giovanni dal canto suo
s’impegnava con zelo per soddisfare le
attese del genitore, consapevole com’era
che questi, da quando aveva perduto la
moglie, non aveva alcun’altra aspirazione
che vederlo ben sistemato come usava
allora. Tuttavia in cuor suo il giovane
avrebbe preferito esercitare il mestiere
delle armi, verso il quale nutriva una
vera e propria propensione. Spesso
infatti nei tornei aveva riportato significativi successi, suscitando ammirazione
e compiacimento anche negli stessi signori del Castello Aragonese. Persino in
occasione delle fastose nozze di Ferrante
d’Avalos e Vittoria Colonna, celebrate il
27 dicembre 1509, egli aveva sorpreso
tutti segnalandosi nel torneo indetto nella
circostanza. Aveva infatti scalzato di sella
un avversario tenendogli poi testa con la
spada e nella successiva partita di caccia
aveva abbattuto un grosso cinghiale. In
breve aveva individuato in Ferrante il
suo modello e perciò non si dava pace
dal momento in cui aveva saputo che era
partito per il fronte. Più che dello scudo
d’argento ricevuto in premio da Ferrante
e del nastro serico attaccato dalla sposa
Vittoria alla destra della sua spada, sul
quale erano stati ricamati in oro i nomi
degli sposi, Giovanni andava fiero degli
elogi che gli venivano rivolti e soprattutto
della promessa di Ferrante che presto
lo avrebbe condotto con sé al fronte. Il
vecchio padre invece, pur compiaciuto,
era veramente preoccupato per il timore
di perdere quell’unico figlio, oggetto di
tutte le sue cure. Ecco perché coglieva
tutte le occasioni per tenerlo occupato,
permettendogli anche di partecipare alle
campagne di pesca o di attendere alle
fatiche dei campi, cercando di instillare
in lui l’amore per la natura e soprattutto
per la sua terra, che esercitava su di lui un
fascino irresistibile. Quante volte infatti
lo aveva sorpreso di buon’ora incantato
dinanzi allo spettacolo dell’alba o al
tramonto sulla collina di Campagnano,
mentre il sole rosseggiava all’orizzonte
e conferiva al paesaggio tutti i colori
dell’iride a mano a mano che si inabissava nel mare! Giovanni era innamorato del
bello che trovava incarnato nell’incanto
dell’isola ed insieme nelle fattezze delle
giovani donne che lo seducevano a tal
punto da mettere il suo cuore in subbuglio
ad ogni incontro, anche se fuggevole.
Un incontro fatale - Quando non
*
era impegnato, Giovanni amava aggirarsi
per il borgo, in compagnia degli amici,
da cui era sinceramente benvoluto anche
per la sua indole mite e gioviale. Egli non
badava a distinzioni di casta nella scelta
degli amici, il che allarmava il padre, il
quale temeva che questi lo distogliessero dallo studio e lo inducessero allo
svago. Invece Giovanni aveva il culto
dell’amicizia e si segnalava soprattutto
per altruismo, sempre pronto a soccorrere chi fosse in difficoltà, anzi spesso a
prevenirne persino la richiesta d’aiuto.
Lo si poteva facilmente sorprendere,
mentre collaborava sulla spiaggia a tirare
in secco una barca o sul ponte mentre
aiutava i pescatori a rassettare le reti o
anche mentre sorreggeva la cesta di una
persona che si portava al mercato per
vendere i prodotti della sua terra. Talora
sostituiva in fila al fontanone il vecchietto
intento a procurarsi dell’acqua o aiutava
un contadino a scaricare dal carretto le
botticelle di vino da consegnare al vinaio.
Lo si sarebbe detto senz’altro “un tesoro
di figlio”; infatti riusciva poi con abilità
a troncare i mugugni del padre che lo
rimproverava spesso per quelle che chiamava “distrazioni”, anche se si rabboniva
rapidamente. Un giorno tuttavia accadde
l’imprevisto: l’incontro con colei che gli
avrebbe cambiato la vita.
* Kurtoğlu Muslihiddin Reis (1487 - c. 1535)
era un corsaro turco e un ammiraglio ottomano. Ebbe un ruolo importante nelle conquiste
ottomane dell’Egitto (1517) e di Rodi (1522)
durante le quali comandò le forze navali ed
ottomane. Aiutò anche la flotta indiana ed
ottomana a stabilire la base a Suez, che era comandata da suo figlio, Kurtoğlu Hızır Reis.
Kurtoğlu era noto come Curtogoli in Europa,
particolarmente in Italia, Francia e Spagna,
ma è citato alternativamente anche come Cadegoli, Cadoli, Gadoli, Kurtog Ali, Kurdogli,
Kurdogoli, Kurdoglou, Cartugli, Cartalli ed
Orthogut in molti riferimenti europei.
La Rassegna d’Ischia 2/2009 17
Passeggiava nei pressi del palazzo
vescovile con i soliti quattro amici,
coinvolto in un’accesa discussione circa
il pericolo delle incursioni barbaresche
sulle coste dell’isola, quando la vide e
ne rimase letteralmente folgorato. Un
certo Giovanni Battista Della Valle, accompagnato dalla figlia Paola, si recava
dal vescovo Donato Strineo per ricevere
il diritto di patronato nella chiesa di San
Nicola sull’Epomeo, detto allora Monte
Forte. La giovane Paola era senz’altro
avvenente: bruna, dalla pelle ambrata,
dai grandi occhi cerulei, slanciata, ricercata nell’abito lungo, dai lunghi capelli
che ricadevano con grandi riccioli sulle
spalle, sembrava un angelo. A Giovanni
bastò un’occhiata per innamorarsene
perdutamente, al punto che non riusciva a
staccare gli occhi da lei, che, accennando
ad un breve sorriso, gli apparve un po’
complice. Giovanni, risoluto qual era,
aveva subito deciso: quella sarebbe stata
la donna della sua vita! Rimase così, in
attesa che lasciasse la casa vescovile,
seduto su di un muretto, dopo aver congedato con garbo gli amici, non riuscendo
a dissimulare tuttavia il suo turbamento.
Quando finalmente la vide allontanarsi
con il padre in carrozza, la seguì a lungo
con lo sguardo, finché non scomparve
all’angolo, ripromettendosi di ritrovarla
ad ogni costo. Si informò pertanto delle
generalità di entrambi presso il servitore
del vescovo e così apprese che il Della
Valle si era rivolto proprio a lui, perché
reclutasse dei giovani interessati per le
fatiche della vendemmia in località Cupa
a Barano. Giovanni naturalmente fu il
primo che aderì con entusiasmo coinvolgendo gli amici, che in precedenza
erano con lui, in quell’iniziativa foriera
di novità e di sorprese per tutti, come
assicurava.
La vendemmia a Barano - Nel giorno convenuto Giovanni e i suoi quattro
amici si ritrovarono alla Cupa di Barano,
di buon’ora: il Della Valle li attendeva
trepidante. Al vederli puntuali e risoluti,
si rallegrò molto: egli invero aveva già
provveduto a tutto il necessario per la
vendemmia, che era allora un rito ed una
festa insieme. Consegnò perciò cesoie,
tinelli, due scalette, li catechizzò a dovere
circa il modo di cogliere i grappoli chiarendo nel contempo che purtroppo non
disponeva di un cellaio vicino alla tenuta
e che avrebbero dovuto percorrere un lun18 La Rassegna d’Ischia 2/2009
go e scomodo sentiero per raggiungerlo e
versare l’uva nei palmenti. In ogni caso,
aggiunse, egli avrebbe presieduto alle
operazioni e sarebbe stato sollecito ad
intervenire ad ogni loro richiesta. Divisi
in due squadre, si riversarono subito tra
i filari in preda ad un’insolita allegria,
cantando quasi alternativamente delle
nenie che affioravano all’improvviso dai
loro animi estasiati a quell’autentico miracolo della natura. Quei pampini dorati o
rosseggianti erano una delizia sia per gli
occhi sia per il palato, giacché ognuno,
ligio alle direttive ricevute, si adoperava
affinché neppure un chicco fosse sprecato. Dopo alcune ore con un campanello fu
annunciata la sosta: con somma loro sorpresa alcune signore, accompagnate dalle
figliuole, che gareggiavano in bellezza tra
loro, sopraggiunsero portando una grossa
insalatiera, pane fresco, formaggio, acqua
e vino, il che contribuì notevolmente a
rifocillarli da un lato e ad accrescere,
dall’altro, quel clima di amicizia e quasi
di connivenza che si era creato tra loro.
Giovanni, che non aspettava altro, si avvicinò immediatamente a Paola, deciso
a rivelarle i suoi sentimenti, mentre gli
amici, a loro volta, noncuranti quasi del
cibo, non si preoccupavano d’altro che di
parlare con quelle fanciulle, le quali apparivano in altre faccende affaccendate.
Fu veramente proficuo quell’intervallo,
perché sia Giovanni sia gli amici si resero
conto ben presto d’aver trovato la ragazza
del cuore. Ripresero perciò il lavoro con
maggiore lena ed allegria, sorprendendo
anche il vecchio che non lesinava elogi
ed incoraggiamento. Rapidamente i tini
furono riempiti e l’uva fu portata nei
palmenti dove alcuni operai, del pari reclutati, avrebbero provveduto a pigiarla.
In breve, quando al tramonto si riunirono
tutti per la tradizionale cena a base di
bucatini e coniglio, ognuno di essi, più
che provato dalla fatica, si sentiva in balia
di un sentimento dolce e consolante, mai
provato prima. Quelle fanciulle, che si
aggiravano per servirli intorno al lungo
tavolo approntato per l’occasione, ai
loro occhi sembravano delle autentiche
dee dell’Olimpo: il colpo di fulmine era
stato collettivo! Non poterono gli amici
nascondere a Giovanni la loro gioia, anzi
lo ringraziarono per aver propiziato loro
un’occasione così preziosa.
Giovanni si accattiva il vecchio
Della Valle - All’atto del congedo con
l’impegno di ritrovarseli l’indomani,
ognuno dava l’impressione di non volersi
allontanare da quella casa. Giovanni da
un canto non aveva occhi che per Paola,
mentre i suoi amici non esitarono ad
offrirsi quali accompagnatori delle ragazze. Queste dovettero però declinare
l’invito, a causa dell’intervento delle
madri preoccupate per l’ora tarda. Tuttavia mostrarono a chiare note di gradire la
loro corte, cosicché si congedarono con
ammiccamenti, sorrisi e un arrivederci
carico di promesse. Il vecchio dal canto
suo si era accorto dell’imbarazzo della
figliuola, che arrossiva ogniqualvolta
vedeva avvicinarsi Giovanni e perciò non
osò ostacolarlo, quando si accorse che
si separava dagli amici accingendosi ad
imboccare la strada del monte. Si limitò
in ogni caso a chiedergli dove si recasse
e, quando seppe che preferiva portarsi
in cima all’Epomeo per assistere allo
spettacolo dell’alba che si annunciava
incantevole ed insieme per dedicarsi
allo studio, oltremodo ammirato, gli
offrì una sorta di rifugio di sua proprietà.
Lì - gli disse - avrebbe trovato quanto
gli occorreva per starsene a suo agio e
trascorrere la notte. Giovanni accettò
con riconoscenza chiarendo che, prima di
allontanarsi da casa, aveva già palesato a
suo padre tale intento ottenendone il consenso. Salutato con cordialità il giovane,
non mancò il vecchio di interpellare la
figlia e di domandarle se lo trovava di
suo gradimento. Imbarazzata, Paola non
rispose, ma proprio con il suo silenzio
aveva avvalorato ancor più il proposito
del padre, il quale le rivolse un accorato
appello: «Figlia mia, ormai ti rendi conto
che sono vecchio, che desidero solo la tua
felicità, che proprio adesso avrei avuto
bisogno di tua madre, la quale dall’altro
mondo certamente intercede per noi. Te
ne prego: se nutri in cuore ammirazione,
simpatia od anche amore per quel giovane, non rifiutare le sue profferte che,
a mio avviso, sono senz’altro sincere. Si
tratta di un giovane serio, prestante, studioso, dotato di buona indole, di schietti
sentimenti; non lasciartelo sfuggire, ché
commetteresti un grave errore e mi daresti un grosso dispiacere». Annuiva Paola,
sempre più turbata e sorpresa dell’intuito
premuroso del padre, e perciò si limitò a
ripetergli: «Non ti preoccupare, papà, so
badare a me stessa ed ho capito subito che
quel giovane ha un interesse affettuoso
per me. Ti accontenterò, certo, ma sappi
che accontenterò ancora più me stessa».
Giovanni intanto sembrava rinato: all’alba aveva potuto bearsi di quel panorama
seducente che gli si offriva dall’Epomeo,
specialmente quando aveva visto il sole
dipanarsi lentamente tra la nebbia e, diradata questa, aveva potuto abbracciare
con un sol colpo d’occhio tutto il Golfo,
spingendo lo sguardo fino a Ventotene da
un lato e a Punta Campanella dall’altro.
Si sentiva proprio in paradiso!
Un clima idilliaco - L’ampiezza della
tenuta in località Cupa richiedeva invero
parecchie giornate di lavoro ai vendemmiatori. Riprese perciò l’operazione il
giorno seguente, con maggiore alacrità,
anche perché le ragazze avevano chiesto
al vecchio di collaborare alla raccolta
dell’uva e alle incombenze da espletarsi
nel cellaio ed erano state accontentate. Il
lavoro pertanto procedeva rapido e gioioso, e il trasporto dei tinelli al cellaio - il
vecchio aveva messo a disposizione delle
ragazze dei tinelli meno capienti - era
l’occasione che ciascun giovane coglieva
volentieri per dichiarare il suo amore
alla ragazza del cuore. Anche durante
la sosta di rito, il vecchio, che si sentiva
ringiovanito a quella festa dei sensi,
aveva osservato compiaciuto che ciascun
giovane aveva preso posto accanto alla
ragazza prescelta, ivi compreso Giovanni, che non riusciva a dissimulare la sua
baldanza per quell’amore corrisposto
quasi a prima vista. Perciò, aggirandosi
tra i filari e sollecitando qualcuno a raccogliere l’uva caduta al suolo, aveva colto
una lena quasi euforica ed insieme manifestazioni di affettuosità, sorrisi complici
e persino qualche bacio furtivo. Il vecchio
invero avrebbe voluto risparmiare quella
fatica alla figlia, ma costei aveva insistito
con lui perché potesse partecipare alle
varie operazioni: pur scotendo il capo,
il padre si era mostrato comprensivo ed
arrendevole, anche quando aveva notato
che la figlia faceva capolino tra i filari
per sorridere a Giovanni e cercava di
appartarsi trasportando con lui il tinello
al cellaio. Lungo la via del ritorno alla
vigna, Paola era caduta urtando contro
un sasso sporgente e subito Giovanni,
sollecito l’aveva aiutata a sollevarsi,
le aveva avvolto un fazzoletto intorno
al ginocchio escoriato, ma soprattutto
l’aveva abbracciata con un trasporto
straordinario. Il vecchio sorvegliava,
discreto, quell’andirivieni che prolun-
gandosi rallentava le operazioni e perciò
al pomeriggio, molto prima del solito,
pose fine al lavoro, invitando ancora una
volta tutti alla gustosa cena che le madri
delle fanciulle avevano predisposta. In
attesa dei rituali bucatini, tutti fecero man
bassa dell’abbondante antipasto a base
di uova sode, formaggi, olive bianche
e nere, acciughe da accompagnare con
pane appena sfornato. Intorno al lungo
tavolo, a capotavola c’era il vecchio che
non nascondeva la sua soddisfazione,
Giovanni sedeva accanto a lui e la figlia
di fronte. Allo stesso modo si erano
sistemati tutti, mentre le madri avevano
allontanato letteralmente le figlie dalla
cucina, di cui si erano impadronite. Sembrava una grande famiglia, ampliata nella
circostanza, in cui il vecchio padre esercitava un’autorità riconosciuta ed accettata
senza riserve. Si respirava un’atmosfera
di tranquillità, di spensieratezza e allegria
veramente idillica. Nel tardo pomeriggio
Giovanni di bel nuovo si congedò all’improvviso: aveva tanto desiderato godersi
un tramonto dall’alto dell’Epomeo e
continuare a sfogliare i testi di diritto, il
che riscosse comprensione e giustificazione da parte di tutti. Quel sole che si
congedava immergendosi lentamente nel
mare rendendolo, prima, fiammeggiante,
poi, rosato, e lasciando una interminabile
scia luminosa fino a che l’ultimo raggio
di color verde ne indicava l’imminente
scomparsa, esercitava su di lui un fascino
straordinario e gli propiziava un entusiasmo incontenibile.
Le opportune precauzioni - A
Giovanni non era sfuggito che di recente
alcune famiglie, residenti lungo le coste
del borgo, si erano trasferire sulle colline e se n’era chiesto a lungo le ragioni,
specialmente quando aveva saputo che
la maggior parte dei componenti si allontanava malvolentieri. Ebbene proprio
quella sera, grazie all’ospitalità offertagli
generosamente dal vecchio, n’era venuto a capo: aveva constatato che quasi
sulla cima del monte, più in alto del suo
rifugio, si stava innalzando un posto di
vedetta ed inoltre aveva potuto scorgere
in lontananza delle vele sospette, che
non lasciavano presagire nulla di buono.
Aveva sentito certo della guerra in corso
tra Francia e Spagna, ma anche di Mori
e Barbareschi che scorrazzavano a loro
piacimento sul mare, compiendo rapine
e saccheggi, arrecando danni ingenti
alle popolazioni e catturando prede che
fruttavano guadagni notevoli. Riflettendo poi sul fatto che le coste dell’isola,
in particolare quelle dei Maronti, erano
particolarmente esposte ad eventuali assalti, non era riuscito a chiudere occhio,
era tormentato dal timore che tra gli altri
abitanti correva serio pericolo di essere
rapita proprio la sua fidanzata, soprattutto per la sua avvenenza. Era corso
perciò di buon’ora a casa del vecchio
per manifestargli i suoi timori, ma ne fu
tranquillizzato: l’isola stava erigendo torri, rocche, posti di guardia innanzitutto;
poi i pirati conoscevano i luoghi da cui
avrebbero potuto trarre maggiori profitti
e l’isola certo non figurava tra quelli; in
terzo luogo egli corrispondeva da alcuni
mesi un compenso a due uomini, che
abitavano sull’isolotto a Sant’Angelo,
incaricati di vigilare e di lanciare un
eventuale allarme o con il fumo di giorno
o con dei fuochi di notte. Si era rasserenato Giovanni ma non del tutto, perché
aveva appreso dal vecchio che alcuni
Moropanesi, i quali avevano corteggiato
a lungo e invano le ragazze che si erano
offerte quali vendemmiatrici, si erano
spinti a minacciare le mamme e avevano
giurato di vendicarsi. In breve Giovanni
continuava ad essere allarmato e dei suoi
timori aveva parlato anche agli amici
durante la vendemmia, anzi si potrebbe
dire che il tema era stato l’argomento
ricorrente di quasi tutte le conversazioni,
persino nel corso della cena. Le stesse
mamme delle ragazze, già in ansia per
la lontananza dei mariti impegnati nel
loro mestiere, dal canto loro non erano
riuscite a nascondere né le minacce né le
loro preoccupazioni. Sapevano che quei
giovani già in lite da anni con dei coetanei
di Barano di opposta fazione, sarebbero
stati capaci di tutto! Perciò, al momento
di congedarsi, mentre Giovanni, salutata
affettuosamente Paola e suo padre, si
portò di nuovo al solito rifugio, i suoi
compagni cedettero alle pressioni delle
signore che li scongiurarono di volersi
fermare presso di loro per la notte, anche
se potevano offrire soltanto dei locali
attigui alle loro abitazioni. Uno di essi
tuttavia si assunse l’incarico di avvertire
i familiari, anche degli amici, prevedendo
a ragione che solo in tal modo avrebbe
potuto fugare la loro apprensione.
Un atteggiamento incomprensibile - Al suo ritorno a Barano quel
La Rassegna d’Ischia 2/2009 19
giovane, che si era assunto l’ingrato compito di fungere da
ambasciatore, non poté tacere di essere stato accolto con
sberleffi ed insinuazioni sia dai suoi, sia dai genitori degli
amici. All’unanimità infatti avevano deriso quella decisione,
perché si dicevano abbastanza garantiti dalle navi spagnole
alla rada in Napoli e comprendevano d’altro canto il desiderio dei figli di rimanere accanto alle “morose”. Perciò erano
dell’avviso che la sera facessero comunque ritorno a casa!
Giovanni invero ne era indignato: non riusciva a giustificare tanta leggerezza e superficialità. Riteneva inoltre che
le vele intraviste dall’Epomeo fossero foriere di tempesta.
Ritornò tuttavia cogli altri nel vigneto, risoluto più che mai
ad affrettare i tempi, in preda com’era ad una strana ansia,
quasi presaga. Riuscì a riempire i tinelli in misura doppia in
rapporto ai giorni precedenti fino all’ora di sosta, lavorando
poi instancabilmente e cercando in ogni caso di non lasciar
trapelare il suo turbamento per non allarmare la ragazza.
Spronava nel contempo anche agli amici, cosicché a sera la
vendemmia poteva dirsi ormai terminata. Il vecchio Della
Valle quasi non credeva ai suoi occhi nel constatare quello
che considerava un vero e proprio miracolo. Perciò non solo
volle imbandire una cena ancora più succulenta, ma premiare
anche tutti con uno scudo, commosso - disse - qual era per il
loro impegno. Giovanni rifiutò con garbo il bel dono dicendosi anzi doppiamente grato per l’incombenza affidatagli: il
riferimento alla figlia, un dono molto più prezioso, risultò
palese a tutti. Tuttavia, prima di congedarsi e di riprendere la
via del monte, dove si era riconciliato con l’incanto dell’isola
e aveva potuto attendere ai suoi studi serenamente, non fece
che raccomandare agli amici di fermarsi ancora una volta
presso le signore che tanto cortesemente li ospitavano, ignorando le sollecitazioni dei familiari. Suggerì poi alle stesse
signore di adoperarsi a loro volta per trattenerli e al vecchio
di vigilare sulla figlia e di stare in guardia tenendo a portata di
mano anche qualche pala, qualche forcone od anche qualche
archibugio per difendere se stesso e la figlia che considerava ormai il suo tesoro. Ne fu turbato il vecchio a quelle
sollecitazioni, che trovava esagerate e dettate probabilmente
dell’eccessiva ansia o anche da stanchezza mentale, e, nel
congedarlo, lo baciò con atteggiamento più che paterno, del
che si sorprese egli stesso. Non giudicava certo Giovanni un
profeta di sciagure, un malaugurio, tuttavia, suggestionato
evidentemente, prima di abbandonarsi al sonno, non esitò a
mettere in pratica quei suggerimenti e soprattutto a sprangare
le porte e le finestre come non aveva mai fatto in precedenza.
Inoltre munitosi di un rudimentale binocolo, che custodiva in
una cassa depositata nel ripostiglio, non mancò di scrutare a
lungo il mare all’intorno.
Terrore nel Tirreno - Giovanni era stato presago, ma,
prima di fornire le prove di tale preveggenza, è opportuno precisare che sempre più frequenti erano gli attacchi dei pirati alle
coste italiane ed in particolare a quelle ubicate sul Tirreno. Non
sorprende perciò che progressivamente tali coste si andavano
spopolando, non già per capriccio - come ritenevano alcuni
abitanti del borgo di Celsa -, bensì per necessità. Le notizie
poi dei saccheggi, delle rapine, delle violenze perpetrate da tali
predoni erano giunte anche nell’isola, che, pur avendo adottato
qualche precauzione, non poteva certo ritenersi immune. Te20 La Rassegna d’Ischia 2/2009
nuto conto della guerra in corso tra Spagna e Francia, i pirati,
provenienti per lo più dalla Barberia si muovevano a loro agio,
senza incontrare quasi nessun ostacolo con delle fuste agili e
veloci, soprattutto nel Tirreno, che appariva tranquillo. Solo
così si possono spiegare taluni episodi eclatanti, che avevano
allarmato da un lato persino il papa e dall’altro la Repubblica
di Genova. Era stato infatti rapita addirittura una galera della
guardia romana alle foci del Tevere e presso Capo Corso era
stata portata via anche una galera della guardia genovese con
l’intero equipaggio. Inoltre erano stati rimorchiati ben sedici
bastimenti carichi di grano e diretti a Genova, cosicché i
“bagni” della Barberia già rigurgitavano di schiavi cristiani
in attesa di essere riscattati o venduti. Autore di tali imprese
Navi corsare all'attracco
(dalle "Storie di Sant'Orsola" di Carpaccio)
era il turco Kurtògoli, uno dei più efferati,
che, al pari del suo degno compare, Sinam l’ebreo, si era organizzato in proprio
e si era dato alla pirateria soprattutto al
fine di procurarsi ricchezze. Ecco perché
evitava con cura qualsiasi scontro con
le forze navali dei cristiani, preferendo
compiere delle scorrerie e darsi alla
fuga. Disponeva infatti di una flottiglia
ragguardevole e di una numerosa ciurma
di ladroni, decisi a tutto osare e sempre a
caccia di riscatti. Quel predone si muoveva da Biserta, dove aveva fissato come
l’altro il covo e scorrazzava in lungo e in
largo per il Tirreno e nel risalire le coste
della penisola, a metà strada, avrebbe
potuto facilmente incontrare la spiaggia
dei Maronti, una delle più esposte perciò
alle sue incursioni. Tuttavia, considerati
i posti di vedetta istituiti qua e là, anche
in cima all’Epomeo e sul promontorio di
Sant’Angelo, avrebbe potuto portare a
termine un assalto solo di notte, quando
i segnali convenuti erano vanificati dal
buio e non c’era scampo per le popolazioni. Anche al vescovo Donato Strineo
erano pervenuti dolorosi avvisi di rapine
e di desolazioni, ma, nonostante occhi ed
orecchie oltremodo vigilanti, era impossibile sorvegliare tutto il mare intorno
all’isola. Inoltre era ormai noto che il
pirata profittava volentieri delle buone
stagioni per dare il via alle operazioni,
che di solito protraeva fino all’autunno
inoltrato, per ritirarsi poi nel suo covo,
ricco di beni e di prede, cioè donne e uomini. Questi spesso finivano con l’essere
legati ai remi delle sue fuste e galere o
delle navi da carico. Si vociferava inoltre
che quei predoni, al fine di trovare la strada sempre spianata per i loro saccheggi,
facessero talora ricorso a degli informatori prezzolati o in rotta per qualche
ragione anche politica con esponenti di
fazioni avverse, il che consentiva loro di
agire con circospezione e di trarre persino
dei benefici insperati. Perciò Kurtògoli
aveva accarezzato il progetto di ridurre
I corsari di Drake all'arrembaggio
(Dipinto di un anonimo del Seicento)
in schiavitù addirittura il capo della cristianità! È superfluo tacere che anche in
Ischia riuscì a trovare un rinnegato.
Il proditorio attacco - Il vecchio
Giovan Battista non avrebbe mai immaginato che un concittadino rinnegato
indirizzasse il terribile pirata sul lido dei
Maronti. Si trattava appunto di uno di
quei giovani moropanesi respinto dalle
ragazze, che praticava la pesca d’altura
con la sua barca lungo le coste cilentane. Avendo visto la poderosa flotta di
Kurtògoli e temendo per la sua vita, si
era avvicinato alla galera capitana sventolando un panno bianco e chiedendo di
incontrare quel predone. Accolto a bordo,
non solo lo informò delle precauzioni
adottate dagli isolani, ma gli suggerì
anche il modo più agevole per compiere
una razzia, saccheggiare il paese, soprattutto catturare giovani e fanciulle da
cui ricavare un notevole guadagno. Non
tacque inoltre i nomi dei maggiori possidenti della zona, quali i Di Meglio, i Di
Costanzo, i Florio, i Taliercio, i Conte, i
Balestrieri, che gli avrebbero garantito un
sicuro bottino. Ottenuta poi la promessa
di essere risparmiato al pari dei suoi, che,
per inciso, abitavano proprio accanto alla
chiesa della borgata, denunciò il vecchio
Della Valle come persona facoltosa e
soprattutto padre di una ragazza di straordinaria bellezza. Ne segnalò anche
l’abitazione come l’unica a due piani,
contrassegnata da pietre a faccia vista e
ubicata all’estremità orientale del paese.
Si allontanò quindi come se niente fosse
accaduto, confondendosi a sera tra i
compaesani e tentando di sminuire la
gravità del pericolo incombente, di cui
ormai parecchi avevano un certo sentore.
Più tardi si nascose accortamente, con
l’intento di assistere al saccheggio e alle
sue conseguenze. Poté così osservare
alcune fuste avvicinarsi alla spiaggia,
sentire le urla soffocate dei disgraziati
sorpresi nel sonno, delle donne scannate
mentre tentavano di resistere, vedere il
fuoco divampare dappertutto, anziani
e bambini trucidati con ferocia, tutte le
case saccheggiate e depredate di ogni
cosa, giovani donne e fanciulli incatenati
e trascinati sulle fuste violentemente, gli
stessi cellai messi a soqquadro e vuotati persino delle botti da cui era stato
spillato sia il vino custodito sia il mosto
della recente vendemmia. L’abitato ormai
non esisteva più e soprattutto i giovani,
La Rassegna d’Ischia 2/2009 21
speranza per il domani, erano letteralmente scomparsi. Tuttavia con sorpresa
il vecchio Della Valle, che aveva invano
cercato di salvare dal rapimento la figlia,
trascinata a viva forza dal pirata sulla sua
fusta, dopo essere stata strappata dal letto
e portata via discinta com’era, non riusciva a capire perché fosse stato risparmiato
da quel predone che aveva insanguinato
tutte le vie e trasformato il luogo in un
deserto. Intanto il giovane rinnegato, che
aveva abbandonato il suo nascondiglio
nei pressi, appena aveva visto allontanarsi i ladroni, gli si era avvicinato per
confortarlo, ma aveva suscitato in lui
solo fondati sospetti. Poco dopo infatti,
prelevato da uno dei ladroni per incarico
di Kurtògoli, aveva ascoltato la supplica
del vecchio che prospettava subito la
sua disponibilità a pagare il riscatto,
invitandolo a riferire ciò al pirata. Costui
intanto che aveva deciso di risparmiare i
dintorni limitandosi ad assalire le prime
abitazioni di Testaccio, spudoratamente,
postosi alla fonda al largo della baia,
quasi a sfidare gli isolani, prima, evirò
personalmente proprio i quattro amici
di Giovanni che trovava atti a fungere
da eunuchi al servizio del sultano, poi
ordinò di legare saldamente le fanciulle
catturate sistemandole in una cabina
isolata e di imprigionare nella cabina di
comando proprio Paola, dalla cui avvenenza era stato letteralmente folgorato.
Perciò volle riservarla per sé! Non solo
rifiutò inoltre ogni proposta di riscatto,
ma dispose anche che quel rinnegato,
il quale gli aveva promesso a suo dire
mari e monti, ingannandolo palesemente,
fosse squartato ed impiccato penzoloni a
due alberi della sua galera.
La disperazione di Giovanni -
Quando al mattino Giovanni dall’Epomeo ritornò ai Maronti, ascoltando
lungo la strada l’accaduto e i particolari
raccapriccianti che lo avevano contraddistinto, accelerò il passo per raggiungere
sollecitamente la zona. Non si dava pace
al pensiero che potesse essere stata rapita
proprio la sua fidanzata e fosse stato
aggredito anche il vecchio padre. Inoltre
pensava agli amici, alle loro fidanzate,
alle madri che avevano collaborato con
lui per trattenerli per la notte, al vecchio
che aveva manifestato una sicurezza
inspiegabile: in breve si rimproverava
per avere involontariamente contribuito a
quel disastro! Quando poi vide il vecchio
22 La Rassegna d’Ischia 2/2009
che, abbandonato su di un muretto, ancora annerito, fra le lacrime gli confidava
le sue perplessità per il riguardo che il
predone gli aveva usato e la sua indignazione per il rifiuto da lui opposto alla sua
proposta di riscatto - sulla quale aveva
sinceramente confidato proprio perché
era stato stranamente risparmiato -, non
poté frenare le lacrime. Si abbandonò
così ad un pianto desolato tra le braccia
del vecchio, che cercava invano di incoraggiarlo, pur non nascondendo la sua
apprensione. Il vecchio non riusciva ad
allontanare il pensiero della figlia in balia
di quel predone, impallidendo e tremando
ancora più a constatare quanto sangue
innocente era stato versato e con quale
ferocia era stato saccheggiato il paese. La
disperazione evidente del vecchio aveva
coinvolto progressivamente lo stesso
Giovanni, che si sforzava di dissimularla
per quanto poteva, allo scopo di non allarmarlo ulteriormente. Tuttavia di tanto
in tanto il discorso del vecchio cadeva
su quel rinnegato che stranamente si era
sottratto alla cattura e aveva accettato
senza remore l’incarico di comunicare
al pirata le sue proposte di riscatto.
Non poté perciò ribattere il rimprovero
affettuoso del giovane per aver affidato
proprio a quel rinnegato la delicata incombenza, lasciando per giunta trapelare
la sua disponibilità a riscattare, oltre che
la figlia, anche le ragazze amiche. Era
infatti convinto anche Giovanni che era
stato proprio lui a condurre il predone ai
Maronti, tanto più perché era stato poi
squartato e impiccato proprio da quel
pirata che credeva d’aver favorito. Il suo
corpo inoltre, staccato dagli alberi della
galera capitana e finito in mare, era stato
spinto dalla corrente proprio su quella
spiaggia. I genitori di lui intanto, accorsi
subito, invece di scagliarsi contro il figlio
di cui era ormai palese il tradimento,
levavano alte grida inveendo contro la
ragazza che aveva rifiutato ostinatamente
il suo corteggiamento ed urlando la loro
soddisfazione per il rapimento anche di
quella. “Vergogna” avevano gridato in
coro i pochi superstiti, sollecitando sia il
vecchio sia Giovanni a non lasciare nulla
di intentato per cercare di raggiungere il
pirata in fuga alla volta di Biserta e di
riscattare i giovani e le fanciulle che sapevano destinate ad una terribile sorte.
Il piano per il riscatto - Erano stati
catturati in venti quella notte ed insieme
con i quattro amici di Giovanni e le
rispettive fidanzate. Era stata presa la
bellissima figlia del Della Valle. Inoltre
erano stati rapiti anche altri giovani, che
di solito lavoravano nei campi come
contadini, ed altre ragazze, che quel
giorno avevano collaborato con loro nelle
fatiche della vendemmia. Tutti erano stati
sorpresi nel sonno, incatenati e trascinati
alle fuste senza nessuna possibilità di
scampo. L’eccidio di massa poi di coloro
che avevano opposto resistenza ed in
particolare di uomini e donne anziane e
dei bambini insieme con il saccheggio
di tutte le abitazioni gridavano vendetta,
sollecitando tutti sia ad intensificare la
vigilanza sia ad organizzare un piano
mirato al riscatto o, meglio, al recupero
dei prigionieri ridotti in stato di schiavitù.
A lungo Giovanni e il vecchio discussero
circa l’effettiva possibilità di racimolare
danaro e preziosi a sufficienza e si domandavano inoltre se non fosse il caso,
considerato il rifiuto opposto da Kurtògoli, di interpellare i trinitari o i mercenari
o anche i religiosi francescani perché
raggiungessero la Barberia e reiterassero
il tentativo di riscatto. Prevalse poi la
decisione di Giovanni di rivolgersi al
vescovo Strineo, che si trovava a Napoli
in qualità di vicario perché intercedesse
presso il pontefice incitandolo ad organizzare una spedizione punitiva contro i
Barbareschi ed insieme ad arruolare lui
stesso al suo servizio su uno dei legni
della guardia romana comandata da Paolo
Vettori. Fu accolto senz’altro Giovanni
e intanto imbarcato su una delle galere
del re Ferdinando il Cattolico di base
a Napoli, poté così partecipare a quella
caccia spietata a Kurtògoli che cominciò
nel luglio 1516 agli ordini del legato
pontificio cardinal Fregoso. Giovanni
invero era impaziente: avrebbe voluto
avere le ali ai piedi nella segreta speranza
di raggiungere quel pendaglio da forca,
fargli pagare a caro prezzo gli eccidi
perpetrati e liberare i prigionieri. Perciò
non nascondeva il proprio disappunto
a sentire le titubanze del re cattolico,
nel constatare l’imperdonabile ritardo
nell’intraprendere la caccia, in particolare
la vana ricerca del pirata che molto probabilmente aveva già raggiunto il suo covo
a Biserta. Quanti più giorni passavano,
tanto più cresceva il suo scoramento,
soprattutto nel rendersi conto che quel
predone risultava introvabile! Perciò
bisognava batterlo sul tempo, impedirgli
di portare a termine il piano che aveva
lasciato trapelare chiaramente, quando,
costeggiando il Lazio, aveva manifestato
l’intenzione di marciare sul centro della
cristianità e catturare lo stesso pontefice.
Si rincuorò tuttavia quando constatò che
Andrea Doria, deciso a vendicare i saccheggi del pirata operati nel genovese,
fu autorizzato a portarsi direttamente
nel covo di lui a Biserta per snidarlo,
trovando non solo le navi alla fonda, ma
anche indifese, essendosene allontanati
con il suo consenso i turchi che erano di
guardia. La decisione del legato pontificio, condivisa dal Doria, ebbe pertanto
pieno successo.
L’audacia e l’efferatezza di Kurtògoli - Dopo la breve sosta nella baia dei
Maronti, di cui si era giovato solo al fine
di dimostrare la sua ferocia nei confronti
di quel rinnegato, con la sua flotta agile
e veloce Kurtògoli si era subito diretto
senza deviazioni alla volta di Biserta.
Tuttavia aveva anche lasciato intendere
a tutti quei disgraziati caduti nelle sue
grinfie come si riprometteva di utilizzarli:
i giovanetti catturati, incatenati e bendati,
furono subito rapati a zero e costretti ai
remi; gli amici di Giovanni invece, ritenuti atti al servizio del sultano in qualità
di eunuchi, furono spietatamente evirati
da lui stesso, che dichiarava questo il suo
divertimento preferito. Senza preoccuparsi affatto delle conseguenze, aveva
disposto inoltre che l’indomani fossero
legati e inviati ad ingrossare le fila degli
schiavi nelle stive. Quanto alle giovinette
poi, bendate e rapate a loro volta, aveva
ordinato che fossero assicurate con catene alle colonne della sua cabina. Aveva
provveduto quindi a denudarle ad una
ad una e dopo aver verificato la verginità di ciascuna - il modo è facilmente
immaginabile - aveva confinato in una
cabina viciniore quelle che, a suo avviso,
avrebbero potuto figurare degnamente
nell’harem del sultano, mentre aveva
inviato le altre nelle maleodoranti stive
della galera in condizione di abbrutimento e di promiscuità intollerabili. Non si
era lasciato turbare per niente dai loro
pianti di disperazione e di dolore. Quanto
invece a Paola, la fidanzata di Giovanni,
trovandola particolarmente bella e formosa, le aveva riservato un trattamento
di favore: l’aveva trattenuta nella cabina
di comando, legata al pagliericcio, ma
non rapata col chiaro intento di sotto-
metterla a condizione alle sue voglie. Pur
considerandola la più degna dell’harem
del sultano, in cuor suo non era affatto
disposto a rinunciare a lei, ma avrebbe
dovuto convincerla a rinnegare la sua
fede. Questa era la condizione, prima di
intrattenere rapporti carnali con lei, che
gli erano impediti dalla sua religione: sarebbe altrimenti incorso in pene severissime. La teneva perciò nuda, incatenata
sul giaciglio, non strettamente in modo
che potesse girarsi, per l’intera giornata,
rientrando di tanto in tanto nella cabina
per ammirarne le fattezze, per palparla,
per leccarne la pelle, reiterando i tentativi di convertirla, al fine di fiaccarne la
resistenza. Non aveva altro desiderio che
sfogare su di lei la sua lussuria, ma aveva
riscontrato da parte sua un’opposizione
fiera e decisa, anche quando era passato
dalle carezze alle minacce: l’avrebbe gettata in pasto alla ciurma e fatta stuprare da
tutti, le ripeteva; l’avrebbe messa in vendita come schiava al mercato di Algeri o
di Tunisi; le avrebbe cavato gli occhi e
ne avrebbe poi abusato egli stesso. Quella
notte il predone aveva voluto addirittura
giacerle accanto, mentre lei, tenendo gli
occhi bassi, mostrava a chiare note il suo
disgusto per quelle attenzioni. Kurtògoli
ne era venuto fuori talmente imbestia-
Andrea Doria
(Ritratto di J. Matsig / XVI secolo)
lito, che aveva deciso di consentire ad
alcuni suoi sgherri di prelevare alcune
sue compagne di sventura urlando che
dipendeva da lei impedire che subissero
violenza, ma Paola, che non aveva cessato un istante di tener testa con fierezza
al suo aguzzino, aveva tenuto duro. Kurtògoli perciò aveva ben presto capito che
avrebbe potuto servirsi di lei solo per far
piacere e rendere onore al gran sultano.
Leggerezza provvidenziale del
feroce predone - Giunto in Barbe-
ria, Kurtògoli diede, come d’accordo,
la quinta parte del bottino razziato al
sovrano-bey di Tunisi, Abu Abdallah
Mohammed. Quando poi gli riferì di aver
catturato nell’isola d’Ischia giovanetti
e fanciulle e di volerne inviare alcuni
quale suo omaggio personale al sultano,
non seppe rifiutare la proposta del bey
di affidarglieli, ché avrebbe provveduto
lui a farli tenere al sultano, come desiderava. Soprattutto raccomandava a lui
quella fanciulla che era sfuggita alle sue
grinfie e, a suo avviso, sarebbe riuscita
particolarmente gradita al sultano. Si era
guardato bene intanto dal confidargli che
essa, pur in catene, aveva in realtà incatenato il suo cuore. Poiché si era costruita
la fama di corsaro duro e spietato, non
doveva lasciar trasparire alcun segno
di debolezza. A ragione sarebbe stato
chiamato presto dal sultano a comandare
la flotta ottomana. Fu, come si vedrà,
una grave leggerezza, giustificata dal
fatto che a Kurtògoli premeva soprattutto
scorrazzare per il mare, in particolare per
il Tirreno, per far bottino. Perciò aveva
fretta di riprendere le sue scorrerie e
poi ignorava i rapporti di amicizia che
intercorrevano tra il bey e i genovesi,
consolidati anche con un trattato commerciale, il che gli consigliava di non
turbarli, per poter continuare ad esercitare
i suoi traffici. Quanto agli altri prigionieri,
il bey dichiarò che li avrebbe inviati ai
bagni di Barberia e successivamente,
in caso di mancato riscatto, ne avrebbe
disposto la vendita al mercato come
schiavi. Kurtògoli si allontanò soddisfatto e intanto Andrea Doria aveva potuto
liberare tutti gli schiavi cristiani incatenati nei bagni presso il porto di Biserta e
recuperare anche la galera della guardia
sottratta ai genovesi presso Capo Corso
e trattenuta sfacciatamente dal bey, cui
l’aveva regalata lo stesso Kurtògoli. Pur
rammaricato di ciò, il bey si preoccupò
La Rassegna d’Ischia 2/2009 23
ancor più quando ricevette una missiva
dal Doria che si lamentava del riparo
offerto al corsaro fino a quel momento
e gli chiedeva una prova d’amicizia, se
voleva intrattenere buoni rapporti con
Genova. Ebbene il bey non esitò un
istante: decise di liberare senza riscatto
anche i giovanetti e le fanciulle destinate
al servizio del sultano, offrendo così al
predone il destro per screditarlo agli occhi di quest’ultimo. Mirava in realtà ad
ottenere per sé il titolo di ammiraglio e
a suggerire la sua sostituzione con KaidAlì, noto come Gaddalì, inviso al bey
di Tunisi, che lo considerava, come già
Kurtògoli, un intruso e temeva ribellioni
contro di lui. Così, al pari degli altri schiavi liberati, anche le fanciulle e i giovani
di Ischia, ricondotti dal Doria a Napoli,
poterono riprendere la via di casa, lieti
soprattutto di essere sfuggiti ad una sorte
tristissima: ormai già schiavi, in attesa di
essere legati ai remi delle galere o delle
navi da carico, erano intanto ammassati
nei sotterranei dei bagni ubicati lungo la
costa di Biserta.
Il festoso ritorno nell’isola - Quei
giovani e fanciulle redivivi furono accolti
ai Maronti con grandi feste e suono di
campane, specialmente quando entrarono
in paese, accompagnati dal vescovo Donato Strineo, cui erano stati consegnati
a Napoli direttamente da Andrea Doria.
Alle giovani donne, e soprattutto a Paola,
fu riservata poi un’accoglienza gioiosa
e commovente: la giovane finalmente,
abbandonandosi a un pianto liberatorio,
poté riabbracciare il vecchio padre e
subito dopo il suo Giovanni, ricevuto
come un autentico trionfatore. Le amiche
invece, già rattristate dal costante ricordo
delle madri tanto ferocemente trucidate
innanzi ai loro occhi, furono ancor più
sconvolte a constatare con disappunto
che i giovani fidanzati, pur liberati e
compiaciuti per la fortunata conclusione
della loro disavventura, si erano mostrati
piuttosto distaccati, schivi, restii ad ogni
approccio, persino a quelle manifestazioni d’affetto abituali in circostanze
siffatte. Più che mai rammaricate, dopo
averne discusso a cuore aperto tra loro,
non riuscivano a comprendere le ragioni
di tale comportamento. Anziché cercarle,
quei giovani si erano addirittura fermati
a casa loro nel borgo di Celsa dando loro
l’impressione di volerle persino evitare.
È chiaro che essi tentavano così di nascondere la loro ignominia, la quale li
privava per sempre della gioia di formarsi
una famiglia e soprattutto di generare dei
figli che ne prolungassero la stirpe! Le
giovani tuttavia, non rassegnate certo, ne
parlarono con Giovanni e da lui vennero
a conoscere la terribile verità: i fidanzati,
nel riabbracciare Giovanni, non avevano
saputo nascondere la tremenda mutilazione cui li aveva sottoposti lo stesso
Kurtògoli che si era ripromesso di inviarli
come eunuchi a servire presso la corte del
gran sultano. Giovanni, stringendoli al
cuore affettuosamente, non poté trattenere le lacrime e nel contempo si convinse
ancor più della necessità di adoperarsi,
come meglio poteva, per catturare ed
impiccare quel predone che continuava
ad illudersi di poter rimanere impunito,
laddove non meritava altro che la forca. A
sua volta tuttavia non riuscì a tacere che,
pur essendo felicissimo della liberazione
della sua Paola, l’aveva trovata intristita,
svagata, indifferente, quasi disinteressata
alla ripresa del rapporto affettuoso con
lui, dal che era rimasto dolorosamente
colpito, anzi ne era senz’altro allarmato.
Perciò da quel momento viveva nel timore di ricevere del pari qualche notizia
Assalto piratesco al Castello (Ceramica di Marco Salerno)
24 La Rassegna d’Ischia 2/2009
spiacevole, che, considerate le condizioni
in cui era stata tenuta dal corsaro, non era
affatto da scartare.
Le tormentate nozze di Giovanni
e Paola - Paola invero non riusciva a
fugare l’immagine di quel bruto, piegato su di lei, nuda e incatenata, intento a
scrutarla con occhi assatanati, a palparla,
a sbavare, a succhiare le sue carni, ad
esplorare ogni angolo del suo corpo con
la sua lingua maleodorante e tagliente.
Viveva perciò una vera e propria crisi!
Giovanni, che l’amava più di se stesso, di
conseguenza cercò di accelerare i tempi
e fece appello ancora al vescovo Strineo
perché esercitasse la sua influenza su di
lei e la convincesse alle nozze. Il vescovo,
che, sentito il proposito di Giovanni di
voler partecipare alla cattura del pirata,
aveva già sollecitato il cardinale Carafa,
che sostituiva a Napoli, perché intercedesse presso il pontefice ai fini dell’assunzione di lui sulle galere al comando
di Paolo Vettori, aderì con prontezza alla
richiesta. Volle così celebrare anche le
nozze di Giovanni con Paola in un’atmosfera di generale commozione e cogliere
l’occasione sia per confortare coloro
che portavano ancora il peso di quella
disavventura sia per esortare tutti ad
un’assidua vigilanza contro un pericolo
sempre più minaccioso. Assicurò inoltre
che avrebbe anche spronato i comandanti
delle galere di base a Napoli, affinché
pattugliassero soprattutto le coste del
Tirreno e delle isole particolarmente
esposte. Suggerì anche di costituire delle
confraternite che, in caso di necessità, si
incaricassero delle spedizioni di riscatto
di eventuali rapiti. Pur sottolineando i
rischi di ciò, sosteneva che, considerati
gli impedimenti frapposti alla auspicata
lega di tutti i principi, non si doveva
restare inoperosi! Correre alle armi era
l’imperativo inderogabile e perciò era
da lodare Giovanni che, giovane sposo,
si era proposto per affrontare i pirati che
scorrazzavano liberamente nel Tirreno.
Non cadendo nel vuoto, le parole del
vescovo riuscirono solo in parte a scuotere gli isolani dalla loro neghittosità,
accompagnata da un radicato fatalismo.
L’unico rimedio ritenuto più opportuno
era stato l’abbandono delle case ubicate
lungo le spiagge o in prossimità delle
coste, insieme con l’aumento dei posti di
guardia. Quella sull’Epomeo, chiamata
Monte della Guardia, non valse tuttavia a
salvare l’isola dalle incursioni successive,
ancora più terribili e sanguinose. D’altro
canto non ci si poteva più vendicare di
Kurtògoli che, ormai lontano e chiamato
a compiti più prestigiosi, aveva lasciato
il testimone ad un altro predone, il citato
Gaddalì. Questi del resto non gli era da
meno quanto a ferocia, odio per i cristiani
e desiderio di arricchirsi. Il nostro Giovanni intanto, che militava agli ordini del
Vettori, ancora una volta durante l’attacco
portato alle fuste di Gaddalì, riuscì a stento a sottrarsi alla cattura, essendo fuggito
con altri marinai su di un palischermo.
Quando ritornò a Ischia e poté rivedere
la sposa che l’attendeva trepidante, non
le poté tacere che molto probabilmente
proprio il Vettori era caduto nello scontro
e che la capitana era stata sopraffatta e
catturata. In breve Giovanni fu costretto
a rinunciare ai propositi di vendetta e
avrebbe rinunciato anche a quel mestiere
delle armi, se non avesse saputo che il
Vettori, riscattato, aveva ripreso subito
il comando delle galere della guardia.
Poté così partecipare alla missione di
accompagnare a Roma il nuovo papa
Adriano VI e collaborare alla cattura
delle due galeotte che appartenevano alla
flotta di un altro pirata sanguinario ed
astuto quant’altri mai, Sinam il giudeo,
liberando ben duecento schiavi cristiani
condannati ai remi e tornando nell’isola,
alla morte del Vettori nel 1520, quale vero
e proprio vendicatore.
ad un’infelicità irreversibile. Uno di loro,
invero, più audace degli altri, aveva osato
addirittura proporre di farsi catturare da
qualcuno dei pirati che continuavano
a veleggiare sul Tirreno e di chiedergli
senza timore di essere inviato al gran
sultano come eunuco. Gli altri però gli
avevano ricordato le condizioni terribili
di abbrutimento in cui si erano trovati,
specialmente quando avevano dovuto
condividere, in qualità di forzati legati
ai remi, la sorte degli altri sventurati di
cui parecchi erano morti di fame o di sete
ed erano stati gettati in mare. Dopo aver
molto riflettuto e aver chiesto consiglio
anche al vescovo Strineo, recandosi di
proposito a Napoli, decisero di monacarsi
scegliendo l’ordine dei francescani che
trovavano il più consono a chi, come loro,
intendeva spogliarsi di tutto e condividere la condizione dei più umili e diseredati.
Il vescovo Strineo venne poi a Ischia a
raccogliere i loro voti e non mancò di
accennare che non doveva la loro essere
considerata una vocazione forzata o
dettata dalla terribile esperienza vissuta.
Tutti i presenti al sacro rito commentarono in vario modo quelle parole, ma
solo le ragazze, che non vollero mancare,
capirono il messaggio che il vescovo
aveva inteso lanciare per restituire loro,
nonostante tutto, la serenità del cuore.
Furono poi esemplari seguaci di frate
Francesco quei neofiti, che, certamente
illuminati dalla grazia, si convinsero della
provvidenzialità di quella disgrazia. Il
Signore aveva scelto la strada delle sofferenze più umilianti per chiamarli al suo
servizio, la stessa strada che Egli aveva
voluto percorrere per redimere il genere
umano e per riconciliarlo con il Padre ed
unirlo a sé nella gloria. All’atto tuttavia di
pronunciare il loro sì, quei giovani si girarono all’unisono verso le ragazze, quasi a
chiederne l’assenso: allora si riempirono
i loro occhi di lacrime di tenerezza, di
compassione, di compartecipazione,
di rimpianto, di gioia, che sembravano
irrefrenabili. Riuscirono tuttavia quelle
lacrime a versare il balsamo della speranza su ferite ormai insanabili.
Nunzio Albanelli
La monacazione degli amici di
Giovanni - Mentre Giovanni si copriva
di gloria combattendo contro i pirati agli
ordini di Paolo Vettori, i suoi amici che,
grazie anche a lui avevano potuto recuperare la libertà, avevano discusso a lungo
sul da fare. Pur sentendosi menomati ed
inutili, non riuscivano a dimenticare le
ragazze che avevano condiviso con loro
l’esperienza della prigionia, ma nel contempo non si rassegnavano alla dolorosa
rinuncia alla quale erano costretti dalla
condizione in cui erano venuti a trovarsi.
Si chiedevano se non avrebbero a loro
volta punito quelle ragazze, colpevoli
soltanto di aver corrisposto alle loro profferte di amore, proponendo loro un matrimonio di convenienza, cui avevano in
verità pensato proprio per nascondere agli
occhi di tutti il loro disagio. Ritenevano
d’altro canto che tale proposito fosse dettato solo da egoismo e che avrebbero in
tal modo condannato proprio le fanciulle
Ischia - Chiesa dello Spirito Santo - Madonna della Salvazione
Vi sono raffigurati in basso vascelli corsari
La Rassegna d’Ischia 2/2009 25
Viaggiatori inglesi nel Golfo di Napoli
Willyams Cooper e l'Isola d'Ischia
di Vincenzo Belli
Il reverendo Willyams Cooper (1762-1816) è noto
agli appassionati di iconografia dell’isola d’Ischia per
tre incisioni che il signor J.C. Stadler eseguì su disegni
di questo cappellano di una delle navi della squadra di
Horatio Nelson; incisioni datate 1801, ma su schizzi del
1799.
Le tre incisioni riguardano: il Castello e la marina
del borgo marinaro; una marina di Lacco; il palazzo del
Duca di Acquaviva all’Arbusto (1)
Il reverendo Willyams Cooper imbarcò il 24 maggio
1798 sulla Swiftsure, un vascello britannico armato con
74 cannoni, sotto il comando del capitano Hallowell.
Il libro A Voyage up the Mediterranean descrive gli
avvenimenti cui partecipa la Swiftsure negli anni 1798
e 1799, comprendendovi la battaglia di Aboukir dell’1/2
agosto 1798 fra la squadra inglese di Horatio Nelson e
quella francese agli ordini dell’ammiraglio Villeneuve.
Oltre ai tre disegni citati, il libro del cappellano, di
gradevole lettura e contenuto, si presenta interessante ai
cultori dell’isola di Ischia, per la descrizione delle pause
distensive che il religioso ebbe in essa, ad Ischia, in una
casa sulle lave dell’Arso, ed a Lacco nella villa del duca
di Acquaviva, mentre questi era in carcere a Napoli per
gli avvenimenti tumultuosi di quegli anni.
Dell’isola il reverendo parla sempre in termini entusiastici, brevemente di Ischia Ponte e del Castello,
nel quale trova solo tre chiese; di Casamicciola, per la
fabbrica di terrecotte ed il complesso dei bagni della
Misericordia; di Lacco, oltre che dell’Arbusto, nota
gli scogli in riva al mare, dalle lave multicolori, sia pur
senza citare espressamente il Capitello, che troneggia in
primo piano nella seconda incisione citata, con evidenza
del posto di guardia che era su di esso – unica testimonianza di questa costruzione allo stato integro, se si fa
astrazione dall’invenzione di Jacob Wilhelm Huber, di
poco posteriore (1812); il Fungo viene avvicinato ad
un pagliaio e, come tale, viene rappresentato in una
interpretazione tanto diversa dalle solite; un brevissimo
cenno alla Torre di Montevico, mentre le parate delle
Queste incisioni figurano fuori testo in Cooper Willyams A.M.: A
Voyage up the Mediterranean, London, printed by T. Bensley for J.
White, seguendo rispettivamente le pagine 184, 186, 190. Le prime
due, all’acquatinta, possono essere viste a colori anche in Fino L.,
Capri, Ischia e Prcocida, memorie e immagini di tre secoli, Napoli,
Grimaldi editore, 1997, tavv. X e XI a p.71.
1
26 La Rassegna d’Ischia 2/2009
quaglie e la pesca del tonno hanno una loro esplicita
menzione e colorita descrizione.
Forio, o Furia come anche un altro Jakob (2) l’aveva
chiamata, qualche decennio prima, riceve un brevissimo
cenno, con una frettolosa lettura del suo tessuto urbano
descritto come disordinato, anche se con buone case,
chiese e conventi; un breve cenno ai commerci del paese,
allora in fase calante per le incertezze della situazione
del regno.
Del Viaggio si riporta di seguito la traduzione, per
quanto possibile fedele, delle parti in cui si parla della
nostra isola; il capitolo decimo è ad essa interamente
dedicato.
L’Isola d’Ischia descritta nel Viaggio (3)
-- Il 15 [giugno 1798], con lieve brezza, scapolammo le
isole di Palmaria e Ponza, la prima rocciosa e disabitata,
la seconda ben coltivata, e resa gradevole dalla vista di
un villaggio, alcune case sparse, ed una bianca torre di
sorveglianza su un’altura: a sud vedemmo l’isolotto della
Botte, che a distanza è spesso preso per una vela. Il 16,
scapolammo l’isola di Ventotene, sulla quale vi è un grande
edificio bianco, e una piccola isola vicina, un posto con
mura come baracche; senza avere l’opportunità di sapere
cosa fosse. Nel pomeriggio arrivammo all’isola d’Ischia,
che costituisce il confine nordovest del golfo di Napoli. Il
mattino seguente la flotta veleggiava nel golfo…
Capitolo X - Il 31 marzo [1799] uno squadrone,
composto dalle Culloden, Zealous, Monotaur, Swiftsure,
una man of war portoghese (4), dalle Seahorse e Perseus,
e da due brig, salpò dalla baia di Palermo. Il giorno seguente avvistammo l’isola d’Ischia e la costa di Napoli.
Questo giorno avemmo mare grosso, durante il quale un
uomo cadde dall’albero maestro della Swiftsure e morì.
Ci accompagnavano alcuni gentiluomini inglesi, che si
trovavano in viaggio in Italia, ed avevano viaggiato con la
flotta inglese fino a Palermo. Mr. Rushouts (5) era ospite
del capitano Hallowell, ed essendo perfettamente a suo
agio in questa terra e con la lingua italiana, ci fu di grande
aiuto in molte occasioni.
Si tratta del noto paesaggio di Jakob Philipp Hackert che così
intitola il suo lavoro, firmandosi in basso a destra della nota tela.
3
In parentesi quadre, aggiunte personali; le note sono quelle del testo
originale, salvo quelle personali.
4
La man of war è una nave a vela armata di cannoni, derivata dalla
caracca, e dalla quale, di dimensioni inferiori, provengono le fregate
di allora (nota personale).
5
Ora Lord Nortwich.
2
Figure di Willyams Cooper
In alto - Castello e città d'Ischia
Al centro - Veduta di Lacco
In basso - Il Palazzo di Acquaviva (Villa
Arbusto)
Il giorno seguente lo squadrone
ormeggiò nel golfo di Napoli. Eravamo a conoscenza del fatto che gli
abitanti erano desiderosi di tornare
sotto la corona; il capitano Hallowell,
accompagnato da Mr. Rushouts, sbarcò
nell’isola di Procida. Furono accolti
con entusiasmo e, fra le acclamazioni
della gente, salirono al castello: l’albero
della libertà francese fu abbattuto, la
bandiera tricolore distrutta, e issata in
sua vece la bandiera reale napoletana.
Lo squadrone ancorò fra la città di
Procida e Punta Miseno (6). Un reparto
di truppe da sbarco del Culloden al
comando del capitano Knox fu mandato ad Ischia per prendere possesso
di quell’isola, ed il castello d’Ischia si
dette ad essi senza opporre resistenza.
Nel pomeriggio una delle nostre barche
fu mandata [per tentare uno sbarco]
al basso litorale fra Punta Miseno e
il Mar Morto: ma appena si avvicinò
alla spiaggia alcuni ufficiali francesi
con un reparto di truppe li assalirono
con fuoco di moschetti, e li obbligò a
rientrare. Il Culloden tirò tre cannonate,
disperdendoli; tuttavia non fu giudicato
prudente cercare di sbarcare su questa
costa, per mancanza di truppe, e perché
era noto che i francesi erano presenti in
forze in quella zona.
Il commodoro Troubridge nel frattempo si preparava a future operazioni.
Il 4 aprile egli inviò il Perseo a Palermo
con un resoconto dei successi ottenuti
sino ad allora.
Le popolazioni di Procida ed Ischia
difettavano grandemente di cibo, ed
essendo sospese le forniture da Castellammare e Napoli, fu fatta richiesta
alla corte napoletana di inviare grano
da Palermo.
Il 5 aprile la Swiftsure salpò le ancore andando a Napoli; trovandosi la
Miseno, uno dei compagni di Enea, annegò
al suo largo: Enea nel rito funebre sacrificò
ai Mani sul promontorio e questo ne prese
il nome.
6
La Rassegna d’Ischia 2/2009 27
Willyams Cooper *
Willyams Cooper nacque il 22 giugno 1762 a Brighton da John Willyams
(Plaistow House, Essex), unico figlio
maschio del capitano della Royal Navy
John Willyams, defunto nel 1779, che
fu per molti anni il più anziano capitano
della Royal Navy, mentre non mi è nota
chi fosse la madre, che visse fino a 90
anni (1).
Famiglia di tradizioni militari la Willyams, poiché anche il nonno di Cooper
era stato ufficiale di marina.
Cooper studiò a Canterbury, dove
nell’ottobre del 1780 entrò nel collegio
Emmanuel, diplomandosi B.A. a 22
anni nel 1784, e conseguendo il livello
superiore, quello M.A., nel 1789, a 37
anni (2).
Sempre nel 1784 prese gli ordini, e
divenne curato di una chiesa nei dintorni
di Gloucester, città dove risiedeva la madre. Divenne vicario di Exning (Sussex),
vicino a Newmarket nel 1791.
Seguì Lord St. Vincent (John Jervis),
di cui era cappellano privato, imbarcando nel 1794 come cappellano sulla
Boyne per la campagna delle Indie, della
quale pubblicò un resoconto corredato di
molte acquetinte tratte da suoi disegni.
Il 24 maggio 1798 passò sempre
come cappellano sulla Swiftsure, sotto
il cap. Ben. Hallowell nel Mediterraneo,
partecipando alla battaglia del Nilo
(Aboukir, 1° agosto 1798). Pubblicò un
resoconto anche di questa campagna,
corredandolo di ben 43 incisioni tratte
da suoi disegni.
Nel sito:- http://grandtour.bncf.firenze.sbn.it:9080/nazionale/indici/viaggia* Le notizie che si sono raccolte provengono da documenti in rete, e principalmente
da Wilkie Chr. H.: The Parish Register of
S. Giles Kingston, Brighton, J.G. Bishop,
Herald Office (1893). (File pdf in: http://
www.archive.org/details/parishregisterso00king), e da numerosi altri siti in rete
(registro di nascite, matrimoni e morti
della Parrocchia di Saint Giles a Brighton
(GB), che contiene anche un elenco dei
Rettori della stessa Parrocchia, e delle
lapidi monumentali della chiesa e del
suo chiostro) e da The Annual Biography
and Obituary for the year 1817, London,
printed for Longman, Hurst, Rees, Orme
and Brown, pp. 606, (1817), (File pdf in
Google Books), che comprende un suo
ampio cenno biografico.
28 La Rassegna d’Ischia 2/2009
tori/willyams-cooper/biografia - si legge:
[oltre A Voyage up the Mediterranean in
his Majest’ s Ship the Swiftsure...] «compilò anche una relazione su un’esperienza
nelle Indie Occidentali risalente a qualche
anno prima (1796). I suoi taccuini di viaggio costituiscono perciò una testimonianza importante dal punto di vista militare,
enucleando principalmente le esperienze
relative alla spedizione della flotta britannica contro Napoleone. In essi troviamo
però brevi descrizioni dell’Italia, dei luoghi conosciuti al ritorno dalle campagne di
guerra, in direzione nord. Willyams partì
infatti da Livorno, soggiornò a Firenze poi
si diresse verso Bologna, Ferrara, Venezia,
Padova, Vicenza, Verona, Lago di Garda
e Mantova; infine, da Livorno, si imbarcò per le Baleari, tralasciando però di
menzionare la sua permanenza nell’isola
d’Ischia, alla quale aveva dedicato ben 3
delle 43 incisioni di cui è corredato l’intero Voyage».
Poco dopo il rientro dalla campagna
in Mediterraneo sposò Elizabeth Snell,
di Cheltenham, figlia di Peter, Esquire (3)
di Witney Court, Gloucester, dalla quale
ebbe quattro figli; i due maschi sono: Thomas Egerton, nato il 29 settembre 1806,
e battezzato il 24 novembre 1806; John
Vyner nato il 14 luglio 1809 e battezzato
privatamente, e presentato in chiesa il 19
settembre 1809; mentre non mi è noto il
nome delle due femmine.
Cooper, come visto, cappellano privato
di lord St.Vincent, ottenne da questo un incarico religioso nel Kent, destinazione che
scambiò con il rettorato di Stourmouth,
incarico che tenne in seguito, per dispensa, dal giugno 1806 unitamente a
quello di rettore di Kingston, che gli era
stato procurato da sir Egerton Brydges,
già suo compagno di scuola. Ebbe anche incarichi vari di magistrato.
Nel 1815 si ammalò (4) e, nonostante tutte le cure, per le quali si era recato
a Londra, Cooper Willyams morì in
casa di suo cognato all’età di 54 anni il
17 luglio 1816 e fu sepolto a Fulham,
Middlesex, accanto alla tomba di sua
sorella Beata.
Nella navata della chiesa di Kingston, di cui era stato rettore vi è la
seguente iscrizione:
To
The Rev. Cooper Willyams, M.A.
Rector of this Parish
and of Stourmouth,
Whose remains are deposited
With those of his beloved sister, Beata
At Fulham in Middlesex.
He was born June 22d, 1762, and died
July 17th, 1816.
Al
reverendo Cooper Willyams, M.A.
Rettore di questa parrocchia e di
quella di Stourmouth
i cui resti sono deposti con quelli
della sua adorata sorella, Beata,
a Fulham nel Middlesex
Egli era nato il 22 giugno 1762,
e morì il 17 luglio 1816.
Si sa solo che veniva dalle famiglie Dineley e Goodyear, del Worchestershire e Herefordsbire,
le cui proprietà erano finite in mano straniera.
2
I livelli di istruzione raggiunti da Cooper Willyams possono essere inquadrati in qualche
modo seguendo le definizioni che se ne trovano in Wikipedia, e che sono di seguito riassunte,
traducendole dall’inglese:
B.A. = Bachelor of Arts dal latino Arium Baccalaureus, è un livello inferiore di istruzione
conseguito per un programma di liberal arts, o liberal sciences, o per entrambi. Il termine
liberal si riferisce ad un particolare curriculum educativo grosso modo definito come educazione classica.
M.A. = Master of Arts, titolo conferito dalle Università di Oxford, di Cambridge, o di Dublin
(Trinity College), e conferito senza ulteriore studi dopo un certo tempo a coloro che hanno già
con distinzione conseguito il B.A.
Art è un campo di cultura composto da molte discipline. Nel linguaggio moderno è in genere
usualmente inteso come arti visive, comprendenti le decorative e il disegno.
3
Esquire è un titolo nobiliare esclusivamente in uso nel Regno Unito. Di norma era definito
(nel XIX secolo) esquire un proprietario terriero di un certo livello, quando non era in possesso
di altri titoli, ma il termine nacque attorno al XIV secolo, e serviva per identificare il rango
immediatamente inferiore a quello di knight (cavaliere). Dopo gli esquire vi era la categoria dei
gentlemen e degli yesmen. Solo le prime tre categorie (knight, esquire, gentlemen) erano considerate armigere. Il titolo veniva dato anche a chi ricopriva determinati uffici (da Wikipedia).
4
Si fa risalire la sua malattia alla campagna delle Indie (1794) nella quale seppellì molti
compagni, morti di febbre gialla.
1
fregata Seahorse nei pressi di Capo Sorrento e Massa, il
capitan Foote inviò le sue imbarcazioni a bruciare alcune
navi vicine alla riva, cosa che fecero senza perdite. In un
punto in cui erano sbarcati, un reparto discese fino a loro
con la bandiera dei reali napoletani, ed espressero la loro
gioia di essere liberati dal giogo francese. Apprendemmo
che il popolo era in genere ansioso di tornare sotto il re,
e che a Gaeta erano completamente fedeli. Ci fu anche
raccontato che i francesi avevano messo a morte alcuni
preti per il loro attaccamento alla causa reale.
L’8 [aprile] lo Swiftsure entrò nella rada di Baia, cercando di tagliar fuori otto grandi cannoniere che stavano
procedendo sotto costa da Napoli, ma esse si posero sotto
la protezione del castello di Baia, che essendo situato su
un’alta roccia, ed avendo una posizione dominante, ci impedì di avvicinarci. Nel frattempo il generale McDonald,
che comandava le truppe napoletane a Napoli, inviò un
parlamentare al Commodoro Troubridge con un messaggio
pieno di ingiurie e di invettive: la sua insolenza fu trattata
dal nostro prode leader come si meritava.
Il giorno seguente, scorgendo una grande barca proveniente da Napoli navigare nel golfo, ci dirigemmo su di
questa, che però si rifugiò a Pozzuoli.
Poiché i francesi stavano eseguendo lavori sull’istmo
del lago morto per nuocere alla squadra, furono mandate
nostre cannoniere e lance per impedire il loro progredire;
e sapemmo da qualche suddito fedele che molti nemici
erano stati uccisi o feriti.
Poiché il popolo di Procida stava soffrendo oltremodo
per mancanza di pane, qualche provvista fu loro inviata
dalla squadra navale inglese. Il 13, tuttavia, alcuni vascelli
arrivarono dalla Sicilia con frumento per le isole di Procida
ed Ischia; ma invece di una libera trattativa per rifornirsi
[equamente] con esso, particolari manovre furono messe
in atto dal principe di Strabia (*) per ottenerlo esclusivamente; la conseguenza fu che se ne ottennero quantità
troppo piccole per essere di reale aiuto, ed il principe fu
così eccessivo nelle sue richieste, che la povera gente fu
letteralmente affamata.
Il 17 ancorammo nuovamente con la squadra, e fummo
informati che il cardinale Ruffo stava raccogliendo una
grande armata in Calabria con la quale intendeva marciare
su Napoli.
In quei giorni ci pervenne uno strano proclama di MacDonald: esso minacciava di morte coloro che fossero fedeli
alla legittima corona, o agli inglesi, ritenendo responsabili
* Deve trattarsi del Principe di Trabia, come si legge anche in una
annotazione del capiano Edward James Foote, comandante della
Seahorse: «... Io credo mio dovere osservare che le Isole (cioè
Ischia e Procida) sono estremamente a corto di provviste alimentari e che non si debba perdere tempo nello spedire il grano che
il principe di Trabia ha menzionato nella sua ultima lettera al
Capitano Troubridge (comandante della squadra cui appartenevano sia la fregata Seahorse sia il vascello Swiftsure, sul quale
era imbarcato il cappellano Willyams) essere stato acquistato per
ordine di Sua Maestà Siciliana, del quale è giunta una quantità
molto piccola».
e passibili di morte vescovi e preti in caso di insurrezioni
o tumulti che accadessero nei loro distretti.
Al tempo di questo sanguinario proclama vi fu a Trani,
città dell’Adriatico fedele al re, un’insurrezione contro gli
usurpatori francesi. Ma i francesi, resisi immediatamente
padroni della situazione, passarono per le armi tutti gli
uomini, e poi, a sangue freddo, chiusero donne e bambini
in una grande casa, dandole fuoco, bruciandoli tutti!
Poiché non vi era modo di risolvere rapidamente questa
situazione, ottenni il permesso di passare qualche tempo
ad Ischia, e quindi mi recai lì con Mr. Rushout. Ci sistemammo in una piccola casa ad un miglio dal castello, dove
erano acquartierate le nostre truppe da sbarco agli ordini
del capitano Knox.
Il castello d’Ischia ha un aspetto imponente; è situato
su un’alta roccia a qualche distanza dalla terraferma, e
comunica con la città a mezzo di una stradina sopraelevata
costruita su archi. Nella cinta del castello vi sono non meno
di tre chiese o cappelle, una delle quali appartiene ad un
convento di monache. Il mastio del castello è situato nel
punto più elevato, e domina un ampio orizzonte; l’ascesa
ad esso è molto ripida e ventosa sotto alti archi scavati
nella roccia, e difesa in alcuni punti da robusti cancelli, e
da cannoni che dominano ogni via d’accesso.
La città di Ischia, sebbene piccola, ha molte belle case.
Le chiese (ve ne sono molte) sono notevoli per dimensioni
e decorazioni (7). Circa a mezzo miglio a nordovest della
città vi è una bella strada che attraversa una colata lavica,
che circa cinque secoli fa fuoriuscì da un cratere sul fianco
della montagna. Essa ha ancora l’aspetto di una colata
recente, presentandosi con lo stesso aspetto di quella di
Torre del Greco (8). Non si scorgono tracce di vegetazione,
ma si stende in un aspro ammasso di rocce nere e minacciose. Di qui si passa in una bella strada pavimentata di
lava che conduce ad una bella dimora, affianco al piccolo
lago dove sua Maestà siciliana usa trascorrere ogni anno
qualche tempo; quindi, attraversando un’alta collina molto
boscosa su ambo i lati, si giunge ad una grande fabbrica
di terracotta, e circa un miglio da qui si raggiunge il bel
villaggio di Lago, o Lacco, a circa cinque miglia da Ischia.
Le rocce in riva al mare sono composte di lava dai molti e
brillanti colori; ed una di queste rocce, che è distante circa
duecento metri (9) dalla riva, ha molto dell’aspetto di un
pagliaio: nei dintorni del villaggio vi sono diverse belle
case deliziosamente situate.
La vista della città e del castello d’Ischia, con la sagoma lontana
dell’isola di Capri, famosa per il palazzo di Tiberio, è stata ripresa
dalla casa ove abitiamo, costruita sulla lava [è cosa errata: la stampa,
fuori testo fra p. 184 e 185, mostra ovviamente Vivara e Procida].
8
Torre del Greco, una piccola città a circa cinque miglia da Napoli,
fu distrutta nel giugno 1794 da un’eruzione del Vesuvio, prodottasi
da un cratere alla base del grande cono. La popolazione, fortificata
dalla frequenza di queste loro disgrazie, ha già ricostruito la città
nello stesso posto, e sulla lava che copre la città, dalla quale ancora
emerge il campanile della chiesa.
9
Willyams Cooper indica in 1 furlong (201,1680 m) tale distanza,
così definita in Wikipedia: Il furlong, sebbene storicamente sia
7
La Rassegna d’Ischia 2/2009 29
Tornando ad Ischia, facemmo un giro per visitare i bagni
(10) di Casamicciola [Casa Michiola nel testo], dove ogni
comodità è provveduta per gli invalidi, una nobile istituzione per l’assistenza gratuita di trecento pazienti poveri,
con letti e provvigioni gratuite. La costruzione a forma
quadrilatera è adatta allo scopo. L’area è alberata. Si scende
ai bagni seguendo una ripida discesa, e si trova ogni cosa
per agio e convenienza dei bagnanti. Intorno ad una lunga
camera vi sono cinquanta vasche, alle quali le tubazioni
conducono acqua calda e fredda. Accanto a queste vi sono
i sudatoi, in cui entriamo; ma il calore è troppo intenso
tanto da obbligarci ad uscire immediatamente. Ci fu detto
che i pazienti chiusi in essi non resistono più di quattro o
cinque minuti.
Un altro giorno accompagnai alcuni gentiluomini
all’eremitaggio sulla cima del Monte S. Nicola; una montagna che si erge al centro dell’isola, ed è più alta del Vesuvio: vi giungemmo a dorso d’asino, che qui sono chiamati
chuchus: quello che cavalcai io era stato il chuchu preferito
di Ferdinando IV; in quest’isola talvolta si impiegano i cavalli. La nostra strada attraversava un paesaggio romantico
molto variegato da ricchi campi di grano e steccati; quindi
arbusti e pendii rocciosi. Talvolta attraversammo ponticelli
congiungenti una collina all’altra, attraverso profondi burroni formati da terremoti o esplosioni vulcaniche. Quando
ci avvicinammo alla cima della montagna ci si presentò
un’arida scena. Un tufo bianco di natura eruttiva colpì il
nostro sguardo quando giungemmo all’eremitaggio che è
situato sotto il più alto pinnacolo del monte, ed è scavato
nella roccia. Vi sono una piccola cappella e alcune celle;
ma non potemmo visitarle, essendo assenti i monaci o gli
eremiti.
Da quest’altezza si ha una bella vista a volo d’uccello
sul golfo di Napoli e dintorni. Direttamente sotto di noi la
città ed il castello di Ischia; dietro, l'isola di Procida, Capo
Miseno, l’isola di Nisida, Capo Posillipo, la città di Napoli
con il castello di S. Elmo, e le maestose cime del Somma
e del Vesuvio, e dietro ad esse, la nuvolosa catena degli
Appennini formavano il più bell’insieme di interessanti e
classici scenari che io abbia mai visto (11).
definito in molti modi, oggi viene considerato uguale a 660 piedi o
220 iarde, ovvero a 201,168 metri. Ci sono 10 catene in un furlong
e otto furlong in un miglio.
Il nome furlong deriva dall’inglese antico furl (solco) e lang (lungo). È originariamente riferito all’acro di un terreno pubblico arato
(nel Medioevo in Inghilterra un terreno comunale veniva diviso a
strisce). Il sistema del “solco lungo” divenne necessario perché per
un contadino era difficile far girare una coppia di buoi, quindi era
molto avvantaggiato con un terreno lungo e stretto rispetto ad uno
di forma quadrangolare. Per questa ragione, anticamente, il furlong
veniva definito lunghezza di un acro.
10
Vi sono molte sorgenti nell’isola; che in verità sembra essere
composta interamente da materiali vulcanici.
11
Ho fatto uno schizzo di quest’incantevole panorama, ma poiché
una accurata e ben eseguita incisione di esso è stata già pubblicata
nell’elaborata descrizione dei Campi Flegrei di sir William Hamilton,
non l’ho inserito [in questo lavoro], poiché non voglio fornire vedute
che siano già state offerte al pubblico da artisti più abili [di me].
30 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Il 27 tornai sulla Swiftsure, ed appresi che un personaggio chiamato Grande Diavolo, ovvero Great Devil, era
stato a bordo della squadra. Quest’uomo era a capo di un
grosso gruppo di realisti nel distretto di Gaeta. Le notizie
di numerose diserzioni che si verificavano in campo francese in diverse parti d’Italia, particolarmente a Mantova,
ci dettero speranze di successo.
Nel pomeriggio la Minotaur e la Swiftsure salparono,
con a bordo alcuni napoletani e truppe. All’alba del 28 essi
sbarcarono a Castellammare, e presero possesso della città,
evacuata dai francesi e dai rivoluzionari; allo stesso tempo
un valoroso soldato, che era stato caporale al servizio
reale, era avanzato con un gruppo di realisti provenendo
dalle montagne. Ma in breve tempo il nemico apparve in
forze e riprese il posto. Molti dei militari si impegnarono in
combattimento; alla lunga, soverchiati dal numero, furono
costretti a cedere terreno, e molti di essi furono catturati.
Al nostro rientro in squadra trovammo che la Zealous era
ritornata da Salerno, dove truppe da sbarco e marinai avevano compiuto con successo uno sbarco, e preso possesso
della città. Ma il nemico, rinforzato da reclute locali, fece
un assalto contro di essi con esito positivo, e li obbligò a
reimbarcarsi con la perdita di tre fanti uccisi, molti marinai
feriti, e nove caduti prigionieri. Il luogotenente Vivian della
fanteria di marina si distinse in questa situazione per il suo
valore, compiendo una buona ritirata di fronte a forze molto
preponderanti. Lord Montgomery e Mr. Stephenson, che
erano col Cap. Hood, parteciparono come volontari (12).
Il 1° maggio tornai ad Ischia, e trovai Mr. Rushout
appena giunto dall’isola di Capri, dove la popolazione
era fedele e ben disposta verso gli inglesi. Le rovine della
villa di Tiberio sono ancora visibili in quell’isola, e belle
monete si trovano talvolta fra le rovine. Poiché al nostro
gruppo dovevano aggiungersi Lord Montgomery e Mr.
Stephenson, fu necessario cercare una casa più grande;
pertanto procedemmo per Lacco, e contattammo Don
Scipio, agente del Duca di Acqua Viva, per alloggiare per
breve tempo nel palazzo di questo nobile. Ci fu detto che
il duca era allora imprigionato a Napoli dai ribelli.
Questo palazzo è delizioso, situato circa un quarto di
miglia sopra il villaggio di Lacco, ed ai piedi della montagna di S. Nicola. Esso domina un lontano prospetto del
Vesuvio; e la nostra squadra navale alla fonda a Procida
era perfettamente visibile. In questa gradevole compagnia
e residenza passai il mio tempo molto piacevolmente: il
clima era mite, l’atmosfera tersa ed elastica, la campagna
circostante molto pittoresca, e varia in modo non comune. I
Figlio maggiore dell’Earl of Eglinton. Fu con altri inglesi a Napoli
quando la Corte si ritirò e quindi fu obbligato ad imbarcarsi per
Palermo, donde seguì la nostra squadra in questa spedizione.
Il capitan Darly della fanteria di marina, che era sbarcato dalla Zealous, essendo molto padrone della lingua italiana, si offerse come
volontario per addentrasi nel paese per raggiungere il Cardinale
Ruffo. Riuscito nello scopo, seguì il Cardinale nella sua marcia
verso Napoli, ricevendo da sua Eminenza un comando superiore.
Per i suoi servigi fu avanzato al grado di colonnello nell’esercito
napoletano.
12
giardini del palazzo erano realizzati in modo da respingere
il calore che prevale nella stagione estiva, essendo interamente ombreggiati con viti che si estendevano sulle pareti
da pilastri eretti allo scopo. Vi sono anche due belle dimore
estive, che, con fontane e alberi, rendono la permanenza
oltremodo gradita. Di qui il Vesuvio mostra ogni sera un
bellissimo spettacolo. Quando il sole tramonta, il colore
delle montagne cambia da un azzurro chiaro ad un rosa
vivace; e quindi ad un pieno porpora, che gradualmente
diviene più scuro finché alla fine viene avvolto in un’ombra
nera.
Nella quiete e riposo di questo posto dimenticavamo le
scene di guerra e desolazione che ci avevano così intensamente coinvolti, e che si stavano svolgendo a non grande
distanza da noi.
La città di Furia è a circa tre miglia ad ovest di Lacco,
ma costruita molto irregolarmente; contiene buone case
e belle chiese, e conventi. Prima dei problemi attuali era
sede di un notevole commercio.
Notizie di un presunto attacco all’isola, ed anche qualche
timore di atti di ostilità in essa, indussero il capitano Knox
a mandarci alcune armi da fuoco; essendo noi otto, con i
servitori, pensavamo di resistere ad un attacco almeno per
breve tempo data la nostra posizione elevata.
Il 7 il Capitano Hallowell ci mandò un dono di vino ed
altri beni che il danaro non ci avrebbe consentito di procurarci qui: sfortunatamente nel viaggio di ritorno alla nave
la barca si capovolse, e Dixon, il timoniere del capitano,
un valido e buon marinaio, annegò.
Sul promontorio, che forma la piccola baia di Lacco, vi
è una torre quadrata: poiché un giorno mi recai a visitarla,
ebbi l’opportunità di apprendere il modo in cui il popolo
cattura le quaglie in questo paese. Essi stendono delle
lunghe e profonde reti attraverso una piccola vallata, e gli
uccelli nel loro rapido volo sono catturati in abbondanza.
Avendo spesso gustato del tonno, che è abbondante in
questa baia come a Palermo, desideravo anche vedere
come venisse pescato, e la mia curiosità venne ora soddisfatta. Le reti usate a questo scopo sono molto estese, e
disposte in quadrati a formare camere separate. Un uomo
è sempre di guardia, e le reti non vengono mai rimosse.
Quando egli avverte l’approssimarsi di un branco di tonni,
e questi, raggiunte le reti, procedono all'interno della prima
camera, egli chiude subito l'entrata, così i pesci arrivano
all'ultima camera, che è chiamata la camera della morte. Le
imbarcazioni si preparano allora per il massacro; il pesce
viene agevolmente arpionato, sollevato e posto in grandi
barche semipontate, che in breve assumono l’aspetto di un
macello, ed il mare è tutto intorno colorato di sangue (13).
Questa specie di pesce, che è pescato in grande abbondanza in questi mari, fornisce al popolo abbondanza di cibo
salutare e nutriente a buon mercato; la carne è soda, e di
colore e consistenza simile a quella vaccina. Vi è anche
13
Mentre scrivo, venti cantare di tonno sono state pescate, con ogni
cantara che assomma a 160 libbre di peso [cioè 1452,8 kg].
un’altra varietà di tonno la cui carne è più chiara.
Quando sbarcai a Lacco, scorsi un uomo che scavava
una piccola buca nella sabbia vicino alla battigia, e, con
mia sorpresa, vidi sgorgare gorgogliando acqua limpida,
praticamente bollente, con la quale egli lavò i suoi panni.
Ma tutta questa isola, come la maggior parte delle isole
vicine, sono un complesso vulcanico, e, senza dubbio,
un giorno daranno sfogo al combustibile che non si è mai
estinto. Il 15 ricevetti l’ordine di tornare a bordo (14). In
serata la squadra levò le ancore; ed il 17 arrivammo nella
baia di Palermo.
Conclusioni
Si deve ad una permanenza prolungata di una squadra
navale inglese nelle acque napoletane, se il reverendo
Willyams Cooper poté sbarcare per un breve periodo,
dimorando nella nostra isola in due luoghi distinti, ad
Ischia sulla lava dell’Arso con vista sul Castello e la
marina del borgo, e a Lacco nella villa del Duca d’Acquaviva, mentre questi era imprigionato a Napoli.
Il religioso era anche un discreto disegnatore (15):
si deve principalmente ai due disegni del Castello e di
una marina di Lacco se il suo nome figura nelle più note
raccolte di immagini dell’isola: anche se non sempre
fedeli, esse costituiscono una delle poche testimonianze
di essa nel secolo XVIII; particolarmente interessante
la marina di Lacco per la descrizione del Capitello e ciò
che vi era su di esso; la Torre di Montevico, che pure
aveva visitato, vi è raffigurata senza scarpa, ma con la
scala di accesso, mentre la piccolezza dell’incisione
non consente di verificare la presenza di altri dettagli;
la Torre di S.Restituta soffre degli stessi problemi.
A parte queste tematiche, che sono legate al mio
specifico interesse per il dispositivo difensivo dell’isola,
le pagine che Willyams Cooper scrive per ricordare la
sua permanenza ad Ischia, costituiscono una discreta
testimonianza della vita in essa, in un periodo particolarmente movimentato.
Vincenzo Belli
Al mio rientro in squadra appresi che un ufficiale di grado elevato
era arrivato da Palermo, ed era salpato con la Perseus per prendere
il comando ad Orbetello, località che era stata attaccata dai francesi.
Al suo arrivo rifiutò di sbarcare, scegliendo di recarsi in altra località
della costa, della quale ho dimenticato il nome. Tuttavia, qui, trovò
altra probabilità di pericolo, e rifiutò nuovamente di sbarcare. Il
capitan Oswald, fortemente disgustato dal comportamento di questo
ufficiale, lo rispedì nuovamente al Commodoro, che, colpito da questa pusillanimità, non consentendogli di rimanere ancora a bordo di
una nave britannica, lo rispedì a Palermo con il resoconto della sua
condotta. Ma tuttavia il maresciallo di campo, fu ricevuto a Corte
come il solito, e né punizione né rimprovero gli furono inflitti.
15
Il suo Viaggio è corredato da ben 43 illustrazioni - comprese le tre
di località dell’isola d’Ischia -, che presentano luoghi ed avvenimenti
vari, dall’Egitto alla Turchia, alla Sicilia, alle Baleari, a Gibilterra.
14
La Rassegna d’Ischia 2/2009 31
Forio - Giardini Ravino (31 maggio 2009)
Nostalgia di luce - Pittori tedeschi
a Forio e a Sant’Angelo Una serata tedesco-italiana con letteratura,
musica e pittura
Il mondo fantasioso degli artisti è il
tema della serata. Accanto ai musicisti e agli scrittori, furono soprattutto i
pittori tedeschi che scoprirono Ischia,
alcuni già prima della seconda guerra
mondiale, molti lo fecero anni dopo.
Spesso l’isola diventò la loro seconda
patria. I pittori cercavano la luce e
la vita semplice. Essi la trovavano
nella natura primigenia, nelle montagne, nei dirupi e nelle insenature
solitarie sul mare. E la rinvennero
negli uomini: pescatori, contadini
e mulattieri. Fissarono nei quadri il
loro vissuto-testimonianza preziosa
di un tempo passato. In un certo senso
furono anche i precursori del turismo
moderno.
Hans Dieter Eheim, l’autore del
libro “La torre delle ginestre” (Der
Ginsterberg), per più di venticinque
anni è stato alla ricerca di tracce per
scoprire i quadri di questi pittori.
Le ha trovate soprattutto a Forio e
a Sant’Angelo: in case private, in
pensioni e alberghi, in bar e ristoranti e nella casa di un pittore famoso
che aveva lì vissuto decenni prima.
Le sue ricerche lo hanno portato a
molti incontri interessanti e a ricche
esperienze che leggerà e racconterà,
desumendoli dai testi appena pubblicati.
La manifestazione per gli isolani
e per gli ospiti si svolgerà in lingua
italiana e tedesca, accompagnata da
antiche canzoni popolari napoletane
che getteranno un ponte di melodie
sui testi.
La serata sul tema “ Nostalgia di luce” sarà anche un’occasione
per una mostra allestita da Hans
Dieter Eheim, che verrà inaugurata
subito dopo la lettura e sarà aperta
dal 31 maggio al 15 giugno 2009. I
visitatori così avranno la possibilità di
approfondire in un altro “perspicuo”
modo le loro impressioni dei testi
letti. Verranno mostrati i quadri di più
di dieci pittori che egli ha scoperto
durante la sua “ricerca di tracce” e
su cui parlerà.
Con la sinergia di letteratura, musica e pittura, questa serata sarà uno
speciale evento culturale. Sehnsucht nach Licht
Deutsche Maler in Forio und Sant`Angelo – eine Spurensuche
Ein deutsch-italienischer Abend in den
Giardini Ravino in Forio mit Literatur,
Musik und Malerei
Die fantasievolle Welt der Künstler ist das Thema
des Abends. Neben Musikern und Schriftstellern waren
es vor allem deutsche Maler, welche Ischia für sich
entdeckten – manche schon vor dem zweiten Weltkrieg,
viele in den Jahren danach. Oft wurde die Insel für sie
zur Heimat.
Die Maler suchten das Licht und das einfache Leben. Sie fanden es in der ursprünglichen Natur: in den
Bergen, in Schluchten und einsamen Buchten am Meer.
Und sie fanden es bei den Menschen: den Fischern, den
Bauern und Maultierführern. Das Erlebte hielten sie in
Bildern fest – kostbares Erbe einer vergangenen Zeit. In
gewisser Weise waren sie auch Vorläufer des modernen
Tourismus.
Hans Dieter Eheim, der Autor des Buches „Der
Ginsterberg“, war mehr als fünfundzwanzig Jahre lang
„auf Spurensuche“, um Bilder dieser Künstler zu entdecken. Er fand sie vor allem in Forio und Sant`Angelo:
32 La Rassegna d’Ischia 2/2009
in Privathäusern, Pensionen und Hotels, in Cafes und
Restaurants und im Haus eines berühmten Malers, der
dort vor Jahrzehnten gelebt hatte. Seine Suche führte zu
vielen interessanten Begegnungen und reichen Erfahrungen, über die er aus soeben veröffentlichten Texten
lesen und erzählen wird.
Die Veranstaltung für Einheimische und Gäste findet
in italienischer und deutscher Sprache statt. Begleitet
wird sie von alten neapolitanischen Volksliedern, die
eine klingende Brücke zu den Texten schlagen werden.
Der Abend zum Thema „Sehnsucht nach Licht“ ist
auch Anlass für eine ebenfalls von Hans Dieter Eheim
zusammengestellte Ausstellung, die unmittelbar nach
der Lesung eröffnet wird. Die Besucher haben so die
Möglichkeit, ihre Eindrücke von der Lesung auf andere, „anschauliche“ Weise zu vertiefen. Gezeigt werden
Bilder von mehr als zehn Malern, die er während seiner
Spurensuche entdeckt hat und über die er sprechen
wird. Mit der Verbindung von Literatur, Musik und
Malerei wird dieser Abend zu einem besonderen kulturellen Ereignis.
Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia (XVI)
A cura di Agostino Di Lustro
Le Capitolazioni delle Confratenite di Forio
conservate nell’Archivio di Stato di Napoli
IV
5) Arciconfraternita
di Santa Maria Visitapoveri *
Il titolo di Santa Maria Visitapoveri è arrivato sull’isola
d’Ischia sicuramente dalla città di Napoli dove già nel 1573,
come si rileva dai documenti riportati negli atti della Visita
Pastorale dell’arcivescovo Annibale di Capua del 1576
conservati nell’Archivio Storico Diocesano di Napoli. Le
origini popolari del titolo ci vengono narrate da Serafino
Montorio in un’opera intitolata: Lo zodiaco di Maria. Il primo riferimento al culto verso questo titolo mariano a Forio
si ha nell’atto di morte di Caterina Patalano del 7 ottobre
1601, conservato nell’Archivio Parrocchiale di San Vito
che allora era ancora l’unica parrocchia per tutto il territorio
dell’Università di Forio, dal quale si rileva che essa donò a
Santa Maria Visita Poveri ducati sei da pagarsi dopo sua
morte dal marito Vito Castellaccio. Il Notamento degli atti
beneficiali della Città e Diocesi d’Ischia dell’Archivio Diocesano ricorda la bolla di fondazione della confraternita,
ma non indica l’anno della sua pubblicazione. Un antico
libretto nel quale sono annotate le elezioni annuali degli
Officiali della Confraternita ha come data di inizio l’anno
1614 per cui potremmo pensare che sia stata fondata intor-
* - A. Di Lustro, La confraternita di Visitapoveri a Forio, Li Causi
Editore S. Giovanni in Persiceto, 1983.
- F.P. Salvati, Architettura dell’Isola d’Ischia, Napoli Tipografia
Pironti, 1951.
- G. Alparone, Alfonso di Spigna appunti storico-artistici, 1968.
- G. Alparone, Francesco Cicino e altri appunti storico-artistici,
Napoli 1970.
- G. Alparone, Ricerche su Alfonso di Spigna, in "Ricerche contributi
e memorie, Atti del Centro di Studi su l’Isola d’Ischia 1970-1984",
vol, II, Napoli Tipografia A. Cortese, 1984.
- G. d’Ascia, Storia dell’Isola d’Ischia, Napoli Stabilimento tipografico Gabriele Argento, 1867.
- G. Castagna- A. Di Lustro, La diocesi d’Ischia e le sue chiese,
Forio, Tipolito Epomeo, 2000.
- A. Di Lustro, Gli scultori Antonio e Baldassarre di Lucca nell’isola
d’Ischia, in "La Rassegna d’Ischia", anno XVII n. 6 /1996.
- F. Sardella (a cura di), Architetture d’Ischia, S. Giovanni in Persiceto, Edizioni del Castello Aragonese, 1985.
- P. Monti, Ischia archeologia e storia, Napoli, Lino-tipografia
Fratelli Porzio, 1980.
- I. Delizia, Ischia l’identità negata, Napoli Edizioni Scientifiche
Italiane, 1987.
- A. Della Ragione, Ischia sacra, Napoli Clean Edizioni, 2005.
no a quegli anni. D’altra parte le più antiche annotazioni
di spese pervenute fino a noi, tra l’altro, riferiscono una
spesa effettuata nel 1618 di sei ducati pagati per mano di
Gerolamo Pisa al Vescovo per la bolla di jus patronatus
sull’Oratorio. Ciò mi sembra confermare la fondazione
della confraternita in questo periodo. La presenza in questa
confraternita di Gerolamo Pisa, che troviamo anche nella
fondazione di altre confraternite dell’isola d’Ischia e che
sappiamo essere persona molto vicina ai Gesuiti con i
quali ha fondato delle confraternite in alcuni casali della
diocesi di Napoli, ci fa supporre che anche la fondazione
di Visitapoveri sia avvenuta sotto l’influenza dell’attività
pastorale dei Gesuiti che certamente hanno operato ad
Ischia nei primi decenni del secolo XVII. Inoltre sappiamo con certezza che il gesuita Padre Francesco Pavone,
intrepido assertore della riforma cattolica nella prima metà
del secolo XVII, si è fermato per qualche tempo a Ischia
svolgendo una intensa attività di apostolato, anche se con
Forio - Arciconfraternita di S. Maria Visitapoveri
La Rassegna d’Ischia 2/2009 33
scarsi risultati tanto che se ne allontanò piuttosto deluso
per la cocciutaggine degli ischitani e soprattutto di alcuni
esponenti del clero.
In questi anni un pittore, il cui nome non è riportato
dai documenti in nostro possesso, dipinse un quadro della
Madonna che andò distrutto nell’incendio verificatosi nella
chiesa nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1670. L’immagine fu
subito sostituita con un altro quadro rifatto poi da Alfonso
di Spigna nel 1769 e che oggi domina sull’altare della
chiesa. Nonostante tutti i rifacimenti , l’immagine della
Madonna, almeno nello schema della figura, richiama
quella di una tela dello stesso titolo che si venera nella
chiesa di S. Giovanni Evangelista a Bonea di Vico Equense,
trafugata diversi anni fa e da qualche anno ritrovata e ricollocata nella sua antica sede. La tela di Bonea è opera del
pittore foriano Cesare Calise per cui potremmo supporre
che anche l’antico quadro di Visitapoveri di Forio fosse
opera di Cesare Calise.
Nel corso del secolo XVIII la chiesa di questa confraternita divenne un vero scrigno di arte. Francesco Starace
eseguì la splendida decorazione a stucco, certamente una
delle più belle da lui eseguite. Egli ne ha realizzato altre
sulla nostra Isola, alcune con il fratello Cesare; sua, per
esempio, è la decorazione a stucco della chiesa dell’Annunziata di Napoli e in tante altre chiese della terra ferma.
Lo scultore Antonio di Lucca realizzò, a sua volta, l’altare
marmoreo con il paliotto con al centro lo splendido medaglione di Maria mediatrice delle Grazie. Il pittore Alfonso
di Spigna, che della confraternita fu membro e nella quale
ricoprì diversi incarichi fino a quello di priore nel 1754,
realizzò i sei ovali che si ammirano lungo le pareti della
chiesa, tra i quali dobbiamo ricordare quello dell’Annunciazione che costituisce uno dei suoi capolavori, insieme
anche con quello della Visita di Maria ad Elisabetta e
all’Adorazione dei pastori. Inoltre lo stesso pittore, oltre a
rifare il quadro dell’altare, di cui abbiamo già detto, dipinse
il Martirio di S. Giovanni Battista, situato presso l’altare.
La tela raffigurante il Battista con il Redentore, che si trova
sulla parete opposta, fu donata alla confraternita da Don
Benedetto Lipari al quale era stata donata dalla famiglia
d’Avalos, come ci fanno sapere alcune note dei libri contabili conservati nell’Archivio. Il pavimento, rovinato dal
continuo e secolare calpestio, è opera di Ignazio Chiaiese,
mentre l’organo è opera dell’organaro Giuseppe Gallo.
La confraternita fu autorizzata a fregiarsi del titolo di
Arciconfraternita per decreto regio nel 1829.
Oltre alla particolare architettura della chiesa e le opere
d’arte in essa conservate, Visitapoveri è famosa per la sacra
rappresentazione che si svolge nella mattinata del giorno
di Pasqua chiamata la Corsa dell’Angelo che richiama una
folla strabocchevole di persone e di turisti. Essa si ispira
alla Resurrezione di Gesù e costituisce come un arrangiamento del testo evangelico. Il canovaccio è comune anche
a manifestazioni dello stesso argomento che si svolgono
in altre parti, particolarmente dell’Italia meridionale, ma
con delle connotazioni particolari del posto. Delle quattro
34 La Rassegna d’Ischia 2/2009
statue lignee che vi prendono parte, quella di Gesù risorto,
della Madonna e di S. Giovanni Apostolo sono opera di un
ignoto scultore di provincia della metà del secolo XVIII,
mentre la statua di legno dorato dell’Angelo, che costituisce
il protagonista di tutta la sacra rappresentazione, è opera
dell’inizio del secolo XVII, epoca alla quale risale la detta
sacra rappresentazione, uscita certamente dalla bottega
dello scultore Francesco Mollica.
Alfonso Di Spigna
Annunciazione e Natività
Documento n. 1
Archivio dell’ Arciconfraternita
Manoscritto membranaceo in 4° di tredici fogli
Ferdinandus Quartus Dei Gratia Rex utriusque Sicilie,
et Hierusalem, infans Hispaniarum, Dux Parmae Placentiae,
Castri ac Magnus Princeps etc. etc.
Reverendis in Christo Patribus quibuscumque Archiepiscopis, Episcopis eorumque Vicariis,, Cleris, Capitulis,et aliis
Ecclesiasticis, et Religiosis personis, totius huius Regni, et
Signanter Dioecesis, Civitatis Ischiae Quibuscumque Baronibus, titulatis et non titulatis, Gubernatoribus, Auditoribus,
Capitulaneis, Assessoribus, Sindicis, Electis, Universitatibus,
et aliis quibusvis personis et Officialibus, quacumque Auctoritate, fungentibus, seu eorum locumtenentibus, et substitutis
ad quos seu quem praesentes pervenerint, vel fuerint quomodolibet praesentatae Fidelibus devotis, dilectis gratiam nostram, et bonam voluntatem. Nuper pro parte infrasciptorum
supplicantium fuit Majestati Nostrae porrectum infrasciptum
memoriale cum relatione facta per Reverendum Nostrum
Regium Capellanum Maiorem, tenoris sequentis videlicet
Suae Regiae Maiestati=
Per parte degl’infrascitti supplicanti mi è stato presentato
l’infrascritto memoriale, con regia decretazione di mia commissione del tenor seguente.
Alfonso Di Spigna
Visita di Elisabetta a Maria
Alfonso Di Spigna
Sposalizio
I sottoscritti fratelli della Venerabile laical Confraternita
di Santa Maria Visita Poveri della terra di Forio d’Ischia
supplicando espongono a Vostra Maestà come hanno i supplicanti, per il buon governo di detta Confraternita, formato
alcun Regolamento, o siano Capitoli, che intendono, da oggi
avanti, inviolabilmente osservare. Supplicano per tanto la
Maestà Vostra compiacersi di avvalorarla del regale Assenso,
che riceveranno a grazia specialissima.
Don Tommaso Migliaccio Priore supplica come sopra
Notar Pietro Matarese fratello supplica come sopra
Io Giovanni Maria Castaldi fratello supplico come sopra
Io Matteo Caruso supplico come sopra
Io Michele Amalfitano supplico come sopra
Io Salvatore Castaldo supplico come sopra
Io Saverio Amalfitano supplico come sopra
Don Crescenzo d’Abundo supplico come sopra
Io Antonio Migliaccio fratello consultore supplico come sopra
Io Francesco Antonio d’Abundo supplico come sopra
Io Domenico Ionchese supplico come sopra
Io Anastasio Vollaro fratello supplico come sopra
Io Aniello d’Abundo supplico come sopra
Io Antonio di Maio fratello supplico come sopra
Io Tommaso Maddalena supplico come sopra
Io Michele Morgera supplico come sopra
Io Michele Carneglia supplico come sopra
Io Domenico Corso supplico come sopra
Io Onofrio Mattera supplico come sopra
Io Domenico Sorrentino supplico come sopra
Io Vincenzo Morgera supplico come sopra
Io Giuseppe Cafiero supplico come sopra
Io Rocco Luongo supplico come sopra
Io Giovanni d’Ambra supplico come sopra
Io Arcangelo Verde supplico come sopra
Io Vincenzo Maniero supplico come sopra
Io Pascale Castaldi supplico come sopra
Io Nicola d’Ascia supplico come sopra
La Rassegna d’Ischia 2/2009 35
Io Ambrosio Calise supplico come sopra
Io Girolamo Calise supplico come sopra
Io Michele di Lorenzo supplico come sopra
Io Aniello Migliaccio supplico come sopra
Io Vito di Nical’Antonio supplico come sopra
Io Salvatore Milone supplico come sopra
Io Natale Luongo supplico come sopra
Io Michele di Lorenzo supplico come sopra
Io Michele Calise supplico come sopra
Io Aniello Verde supplico come sopra
Io Felice Paolo Castaldo supplico come sopra
Io Francesco Antonio di Maio supplico come sopra
Io Agostino Calise supplico come sopra
Io Aniello Antonio Matarese supplico come sopra
Io Giuseppe Carcaterra supplico come sopra
Io Giacomo Antonio Sportiello supplico come sopra
Nicola Castaldo supplica come sopra
Io Giovacchino Verde supplico come sopra
Io Aniello di Lorenzo supplico come sopra
Giacinto di Maio supplica come sopra
Io Aniello di Meglio supplico come sopra
Sabato Albino supplica come sopra
Domenico Morgera supplica come sopra
Io Dottor Chirurgo Michelangelo d’Ambra supplico come sopra
Io Pascale Coppa supplico come sopra
Io Gaetano Caruso supplico come sopra
Io Gennaro della Monica supplico come sopra
Io Rocco Iacono fratello supplico come sopra
Io Baldassarre Iacono supplico come sopra
Io Matteo Alfiero supplico come sopra
Io Giuseppe Iacono supplico come sopra
Io Simone Pisano supplico come sopra
Io Giovanni Maltese supplico come sopra
Io Francesco Genovino supplico come sopra
Io Dieco supplico come sopra
Io Sebastiano Castaldi supplico come sopra
Io Cesare Furno supplico come sopra
Io Saverio Caruso supplico come sopra
Io Giacinto Calise supplico come sopra
Io Michele Castaldo supplico come sopra
Io Antuono Coppa supplico come sopra
Io Luca Mollicci supplico come sopra
Io Gaetano Pezzillo supplico come sopra
Io Gaetano Foglia supplico come sopra
Io Antonio Carcaterra supplico come sopra
Io Nicola Baccaro supplico come sopra
Io Pietro Paolo Morgera supplico come sopra
Io Pascale Buonomano supplico come sopra
Io Buonaventura Morgera supplico come sopra
Io Vito Nicola Vollaro supplico come sopra
Io Andrea Castaldo supplico come sopra
Io Stefano Maltese supplico come sopra
Io Francesco Frode supplico come sopra
Io Domenico Calise supplico come sopra
Io Vito Matteo Regine supplico come sopra
Io Agostino Migliaccio supplico come sopra
Paolo Antonio Calise supplica come sopra
Io Domenico Genovino supplico come sopra
Io Giovanni di Lustro supplico come sopra
Io Michele Cigliano supplico come sopra
Io Andrea Patalano supplico come sopra
Io Giuseppe Morgera supplico come sopra
Io Giuseppe Patalano supplico come sopra
Io Sebastiano Morgera supplico come sopra
Io Ludovico de supplico come sopra
36 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Io Nicola Abundo supplico come sopra
Io Aniello Calise supplico come sopra
Io Francesco Matarese supplico come sopra
Io Giuseppe Verde supplico come sopra
Io Giuseppe Polito supplico come sopra
Io Pascale di Maio supplico come sopra
Io Pascale Cigliano supplico come sopra
Io Aniello Amalfitano supplico come sopra
Io Loreto Verde supplico come sopra
Io Giacomo di Marco supplico come sopra
Io Vito Maltese supplico come sopra
Io Francesco Antonio Calise supplico come sopra
Io Giovanni Carcaterrra supplico come sopra
Io Arcangelo Sassano supplico come sopra
Io Cesare Polito supplico come sopra
Io Vito Antonio Luongo supplico come sopra
Bartolomeo Regine Francesco Antonio Coppola Michele Corso
Ignazio Regine Girolamo Regine secondo assistente Carlo Morgera
Vito Nicola Romano Giovanni Luise Amalfitano Vito Calise Giuseppe Morgera Aniello Antonio Schiano Matteo Calise Giuseppe
Posilipo Vito Morgera Domenico Tedesco Pietro Paolo Maschio
Pascale Castaldi Pasquale Tedesco Domenico Russo Loreto Tedesco Cristofaro Russo Pietro Calise Cristofaro Castaldo Cristofaro
Maschio Carmine Castaldo Stefano Castaldo Rocco Russo Giovan
Battista Castiglione Andrea Castaldo Nicola Patalano Francesco
Verde Vincenzo Ionchese Agostino Furno Alessio Milone Giuseppe Ionchese di Alfonso Ambrogio Caruso Giuseppe Ionchese
di Sebastiano Aniello Ferrigno Filippo Luongo Aniello Pensa
Antonio Pensa Antonio Vecchio Antonio di Tomaso Baldassarre
Calise Giovanni Andrea Regine Salvatore Polito Tommaso Regine
Angiolo Andrea Regine Casimiro di Tommaso Cristofaro Migliano
Domenico Regine Domenico Trofa Fabio Regine Fabrizio Castaldo
Francesco Castaldo Filippo Impagliazzo Filippo Iacono Francesco
Guarracino Francesco Calise Gennaro Carruopo Filippo Macia
Francesco Capuano Francesco Saffano Giovan Battista Migliaccio
Giacomo Polito Giuseppe Capuano di Giovanni Giuseppe Castaldo
Agostino di Meglio Giuseppe Iodice Giacomo Tortora Giuseppe
Carneglia Giosafat Coppa Alfonso Guarracino Giacomo Sacchetti
Gioacchino Migliaccio Giacinto di Novara Vito Luongo Giacomo
d’Abundo Donato Ru ccio Giovanni di Colantonio Giovanni Maltese
Pietro Paolo Colantonio Michele Regine Andrea Calise Nicola di
Colantonio Salvatore Capuano Nicola Matarese Antonio di Posilipo
Francesco Iacono Troiano Iacono Antonio Quariglio Ignazio Sacchetti Filippo Tortora Michele Amitrano Francesco Migliaccio Pietro
Angelo Massara Vito Nicola Mazzella Mattia d’Ambra Alessandro
Mattera Giuseppe della Monica Cesare Iacono Simone Cefagne
Cristofaro Carcaterra Michele Castaldi Ferrante Calise Raffaele
Monti Antuono Monte Loreto Buonomano Domenico Mennella
Ignazio Calise Giovanni d’Ambra Andrea Migliaccio di Crescenzo
Antonio Migliaccio Giuseppe Giuseppe mattera Ambrogio Giuliano
Pompeo del Deo Paolo Buonomano Gennaro Trofa Antonio Mattera
Vito Nicola Iacono Geronimo Polito Aniello Lubrano Innocenzo
di Colella Gabriele d’Ambra Crescenzo Coppa Pietro Paolo del
Deo Giuseppe Regine Simone Matarese Vito Coppa di Bartolomeo
Giuseppe Calise Filippo Capuano Pietro Paolo Capuano Arcangelo
Castiglione Domenico d’Apa Crescenzo Regine Giuseppe Nicola
Calise Giuseppe Capaldo di Cristofaro Gaetano Calise Salvatore
Calise di Orazio Crescenzo Amalfitano Orazio Iacono Lorenzo
Iacono Agostino di Rinaldo Nicola Caffino Onofrio Guarracino
Benedetto Andrea Caffino Crescenzo Capuano Giacomo Patalano
Lonardo di Maio Domenico d’Ambrosio Antonio Mattera Antonio
Veccia Salvatore di Nazza Paolo Iacono Vito d’Ambra Vito Matarese Sebastiano Sacchetta Antonio Polito Domenico di Spigna
Crescenzo Sacchetti Andrea Iacono Loreto Veccia Biase Mennella
Arcangelo Scuotto Domenico Castagnola Crescenzo Carcaterra
Filippo Castaldo Francesco Ametrano Nicola Mattera Marcantonio
Iacono Vito Regine Giuseppe Ametrano Giovanni Iacono Crescenzo
Manieri Gaetano Matarese Vito Nicola Castiglione Rocco Caruso
Giovanni Pepe Tommaso Senzane Michele Mattera Andrea Piro
Lorenzo e Biase Schioppa Giovanni Calise Fratelli della Venerabile
Congregazione non sapere scrivere
supplicano per mano mia, Ed in fede io Notar Emmanuele Verde
di Forio sull’Isola d’Ischia, richiesto ho segnato locus signi=
Che i sopra scritti siano tutti fratelli della nostra Venerabile
Congregazione Santa Maria Visita Poveri, e siano tali quali si
asseriscono, e compongono la maggior parte, e più sana parte
della medesima ne fo fede Io sottoscritto Segretario Forio Congregazione 18 aprile 1764
Don Orazio Calise Segratario
Che la sudetta firma sia di proprio carattere del Segretario D.
Orazio Calise, ne fo fede io sudetto Notar Emmanuele Verde, e
richiesto ho segnato Locus signi
Reverendus Regius Capellanus Maior videat, et in scriptis
referat= De Novi Berrelli= Vargas Macciuccca= Provisum
per Regalem Cameram Sanctae Clarae Neapoli, 4 Julii 1764=
Athanasius Illustris Marchio Citus Praeses Sacri Regii Consilii
tempore subscriptionis impeditus Illustrissimus caput Aulae
Gaeta, non interfuit
E con detto memoriale mi sono state presentate l’infrascritte
Regole del tenor seguente
Capitoli o sia regole da osservarsi da noi Fratelli della Venerabile Laical Confraternita di Santa Maria Visita Poveri eretta
nella Terra di Forio, sull’Isola d’Ischia.
Capo I Del Novizio
Colui che vorrà ascriversi Fratello della nostra Venerabile Confraternita dovrà aver meno degli anni trenta d’età, e sapere le
cose necessarie a salvarsi, del che ne dovrà essere esaminato
dal Maestro dei Novizi otto giorni prima di essere ascritto,
dovrà porgere supplica al Priore in Congregazione, colla fede
del battesimo, ed il Priore darà la commessa segretamente a due
Fratelli d’informarsi dei di lui costumi, e di farne relazione, la
quale essendo favorevole sia ammesso al noviziato, ed essendo
contraria non possa affatto riceversi. Nel primo giorno che si
ascriverà dovrà pagare per l’entratura grana ventiquattro, per
una volta in mano del Segretario, il quale dovrà notarlo nel
libro dei Novizi con iscriversi la giornata mese ed anno di tal
notamento, locchè si farà anche dal Maestro dei Novizi nel suo
libro che terrà a parte.
Dovrà in detto giorno il Novizio Confessarsi e Communicarsi in
Congregazione, con praticare lo stesso poi tutte le feste mobili,
in quelle di Nostra Gran Signora Maria dei Santi Apostoli, ed in
ogni prima domenica di ciascun mese.
Il suo noviziato sarà almeno di mesi sei, durante qual tempo dovrà pagare una cinquina ossia grana due e mezzo al mese, senza
godere frattanto alcun o degli emolumenti che gode il fratello,
eccetto soltanto in caso morisse, quello dell’associazione dei
Fratelli, e le torce, e senza potere avere voto né attivo, né passivo
in Congregazione; e se passati i sei mesi, e si trovasse anche nel
noviziato, e morisse debba godere tutti quei emolumenti che
godono gli altri Fratelli.
Capo II - Dell’obbligo del Fratello, e del Monte delle cinquine,
e dei barili di vino.
Ogni Fratello ascritto in detta nostra Congregazione dovrà presentarsi in Congregazione nei giorni festivi, nell’ora destinata dal
Priore, mese per mese, essere obbediente a quanto dal medesimo
gli sarà ordinato ed imposto. E mancando più volte, e corretto
dal Priore, fosse incorrigibile, e pertinace, debba il medesimo,
per la prima mancanza fraternamente, da solo a solo ammonirlo,
e per la seconda dovrà penitenziarlo in Congregazione; e mancando per la terza volta sia privo di voce attiva, e passiva; e non
avvedendosi per la quarta mancanza, possa, precedente il voto
della maggioranza dei fratelli, esser cassato.
Deve ogni fratello, per vantaggio della sua anima, confessarsi,
e comunicarsi in tutte le feste mobili, in quelle della Santissima
Vergine, dei Santi Apostoli, ed in ogni prima domenica di mese:
e sebbene in ciò non prescrive pena ai trasgressori, pure se gl’incarica, ricordando loro che il Signore dispensa prodicamente
le grazie a chi, con la dovuta disposizione, frequentemente lo
riceve.
Sarà tenuto ogni fratello pagare una cinquina ogni mese, in
Banca, e grana 25 dal primo giorno di Novembre per insino alla
mettà di dicembre, e mancando dal pagamento delle due grana
e mezzo per tre mesi continui, e delle grana venticinque per
tutta la mettà di Dicembre, s’intenda irremisibilmente privo, ed
escluso da tutti gli emolumenti che gode il fratello, non ostante
fosse passato un solo giorno, bastando questo per escluderlo, e
dichiararlo contumace; talmente che morendo senza aver soddisfatto tali pagamenti, e volesse esser seppellito nella Chiesa di
detta nostra Confraternita, debba pagare alla medesima ducati
dodici, la quale sia tenuta darli tutti l’emolumenti che si godono
dai fratelli. Ma se poi il fratello avesse soddisfatto al pagamento
delle grana due e mezzo, e mancato da quello delle dette grana
venticinque, o pure avesse adempito a questo, e mancato da
quello, in tal caso sia tenuta la detta Confraternita dare così agli
uni, che agli altri soltanto l’associazione dei fratelli, e le torce
senza esser tenuta ad altro.
Il fratello poi che vorrà soddisfare alla predetta contumacia dovrà
personalmente portarsi in detta Congregazione, in giorno festivo,
ed ivi soddisfare in Banca il suo debito, restando espressamente
proibito al Segretario, ed anche allo stesso Priore di ricevere
pagamento da fratelli contumaci fuori di Congregazione.
Capo III - Degli emolumenti che gode il fratello.
Stando qualche fratello gravemente ammalato, a segno che
ricevesse il Santissimo Viatico, sarà tenuto il Priore, subito che
ne sarà avvisato, conferirsi in Congregazione, unitamente col
Segretario, e con uno degli assistenti, ed in assenza di esso con
altro fratello, per osservare nel libro, ove si notano i pagamenti
delle grana venticinque, e trovandolo di avere adempiuto a tutto,
andrà personalmente assieme cogli altri della Banca a visitarlo,
a cui porterà una figura di nostra Signora Madre Maria delle
Grazie con una candela benedetta d’un’oncia, e mezzo, gli farà un
donativo della valuta di carlini due, e l’ammonirà fraternamente
a sopportare con pazienza quell’infermità et ad uniformarsi al
divino volere. Venendo tal Fratello a morte, ed avutone il Priore
l’avviso darà ordine al Sagrestano di sonar la campana a morto,
manderà in casa del defunto una torcia, che starà accesa a capo
del cadavere fin tanto uscirà di casa; assocerà, vestito della veste
confratale, una cogli altri della Banca, il cadavere in Chiesa, e
con essi diciotto fratelli, oltre quello che porta il Confalone,
vestiti parimenti colla veste confratale, purchè si seppellisca nella
Chiesa di detta nostra Confraternita, lo farà associare da mezzo
clero, che sarà tenuto la detta confraternita una col dritto della
stola al Parroco, e del Prete che gli assiste a ben morire, gli farà
celebrare per l’anima sua messe lette numero dieci fra giorni otto
dal dì di sua morte, e farsene far fede da sacerdoti celebranti,
per esibirsi nella discussione dei suoi conti.
La Rassegna d’Ischia 2/2009 37
In Chiesa staranno accese attorno al cadavere torce numero
quattordici durante il notturno e sei di esse durante la messa
cantata di requie, e nel primo giorno festivo, dopo la di lui morte
si canterà , in chiesa solennemente l’ufficio dei morti; cioè un
notturno colle laudi secondo la rubrica, a cui assisteranno tutti
i Fratelli che sanno leggere, e rispetto a quelli che non sanno
leggere i medesimi fratelli diranno quindici poste di Rosario,
con esser tenuti, così gli uni, che gli altri farsi, in detto giorno la
Comunione per l’anima del Fratello defunto.
Morendo il Fratello fuori dell’Isola, o pure fuori della nostra
Terra di Forio che abbia soddisfatto al pagamento , così delle
grana due e mezzo, che del le grana venticinque, e non potendo
godere dell’associazione sudetta e degli altri emolumenti, sarà
tenuto il Priore oltre l’Ufficio dei morti, Rosario, e Comunione
come sopra, far celebrare per la di lui anima messe lette numero
quarantaquattro, ed una messa cantata di requie, dal dì che n’avrà
la notizia, e farli sonare la campana a morto, della quale celebrazione ne farà fede da sacerdoti celebranti per esibirla nella
discussione dei suoi conti.
Capo IV - Dell’elezione Priore, e degli altri Ufficiali.
Nel primo giorno festivo, che sussegue alla Festività della
Visitazione della Signora Nostra Madre Maria titolo di detta
Confraternita, si farà l’elezione del Priore, il quale, perché è il
primo esemplare di tutta la Confraternita, dovrà essere la persona la più scelta, e proba della medesima. Che perciò prima di
procedersi a quella s’implorerà l’aiuto della Vergine, cantandole
solennemente le Litanie e dello Spirito Santo col Veni Creator
Spiritus. Locchè terminato, il Priore, e li due suoi assistenti, in una
con i consultori proporranno sei Fratelli, che siano i più scelti, e
probi della Confraternita, cioè due li proporrà il Priore, e quattro
gli assistenti, due per ciascuno, e detti Fratelli da nominarsi non
siano contumaci, ne debitori della Congregazione, e che abbiano
compito tre anni di Fratellanza esclusi i Parenti, e consanguinei
di essi Priore, ed assistenti sino al terzo grado inclusivamente,
secondo la computazione civile, e scritti di loro nomi in sei cartelle uguali si bussoleranno nella Banca in presenza di tutti, con
cavarne tre di essi sei, questi tre estratti si daranno i voti segreti, da
quei fratelli che godono, in mano del Segretario coll’assistenza di
due Assessori destinandi dall’intiera Fratellanza, e passati i voti,
colui che si avrà più sarà il Priore, e gli due saranno il primo. E
secondo assistente, a misura dei voti che riceveranno. Gli altri tre
poi rimasti nella bussola resteranno per consultori, i quali uniti
al nuovo Priore agli assistenti nuovi, e ai due assistenti vecchi
formeranno la consulta. E fatta sarà la elezione il vecchio Priore
calerà dalla Banca, e consegnerà al nuovo Priore il Campanello, che sarà l’atto del di lui possesso, il quale salitovi con suoi
assistenti intonerà ad alta voce il Te Deum.
Nel primo giorno festivo dopo quello dell’Elezione del Priore si
farà l’elezione degli Ufficiali, il numero dei quali dovrà essere
determinato, per non far confusione, cioè sei Sagrestani, sei
Portinari, otto Maestri di cerimonie, due Gabellieri, e due Maestri
di Novizi. Quali Officiali dovranno eleggersi dal Priore, e dagli
Assistenti. Siccome pure i medesimi dovranno eleggere il depositario, alle di cui mancanze dovranno essi dar conto solidum col
Depositario istesso, ed il Segretario, col parere della Consulta. E
essendo tra essi discordanza se ne nomineranno quattro dei più
abili dell’intero numero dei fratelli, cioè due dal Priore, e gli altri
assistenti, e dai consultori, e si bussoleranno, ed il primo estratto
sarà il Segretario, e rispettivamente il Depositario.
38 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Capo V - Dell’Ufficio del Priore, e suo obbligo, e di quello degli
assistenti.
Dovrà il Priore, ed in di lui assenza gli assistenti, presedere alla
recita dell’Ufficio, e del Santissimo Rosario, ed invigilare per
lo buon governo di detta Confraternita, per l’osservanza delle
presenti Regole, e buona disciplina dei Fratelli. Il medesimo da
se solo niuna cosa di rilevante possa fare, senza il parere degli
assistenti, e Consultori, e della maggior parte dei fratelli, come
a dire far compra, estinguere capitali, far transazioni, cassar
qualche Fratello contumace e inosservante delle Regole presenti,
far fabbrica, rifrazione, e altra insolita, ed estraodinaria spesa
eccedente ducati quattro, e volendo ciò fare, ne dovrà convocare
la consulta. Ma trattandosi di fare altre cose, e di pagare i pesi
soliti e forzosi, come a dire i Preti assistenti alla Chiesa, il Clero,
l’organista o di far altre spese straordinarie, che non eccedino i
ducati quattro, potrà farle da se solo, unito però coi due Assistenti,
e consigliere o maggior parte di essi.
Quando il Priore vorrà tenere la Consulta ne dovrà far avvisare
i Consultori per mezzo di un Portinaio, o altro Fratello, acciò
si trovino nella sacrestia della Confraternita luogo da tenersi
la Consulta, in dove essi radunati, il Priore proporrà quello che
l’occorre; e fattosi la conclusione, per via di voti segreti, che
si riceveranno dal Segretario, dovrà il medesimo Segretario
registrare le consulte in un libro, che terrà a parte, esprimendo
ordinatamente prima la giornata, mese ed anno, poi la proposizione fatta dal Priore, e finalmente la conchiusione, la quale sarà
sottoscritta dal Priore, dagli Assistenti, e dai Consultori, colla
firma del Segretario a suo luogo.
Si dovrà ogni anno impreteribilmente procedere alla nuova
elezione del Priore, e degli Assistenti, nel modo descritto nel
Capo IV, ed il Priore fra un mese dovrà dare chiaro, e lucido
conto della sua amministrazione a due Razionali erigendi dal
nuovo Priore, con maggioranza di voti segreti dei Fratelli, in
conformità del Paragrafo II et Sequentibus del Capitolo V del
Concordato, ed osservati diligentemente i conti sudetti da essi
razionali si debba procedere alla liberatoria, o significatoria se vi
capisse: Qual significatoria spedita dovrà avere la via esecutiva
prout de jure. Quali Razionali erigendi dovranno essere fuori
del ceto dei fratelli.
Il Priore passato l’anno di sua amministrazione non potrà essere
nuovamente eletto per Priore, ne esercitar altri Ufficii, non ostante
che abbia ricevuto liberatoria, se non elassi tre anni, e i due assistenti e consultori dopo due anni, non ostante che né gli uni, né gli altri
siano tenuti a dar conto. Ma ricevendo significatoria non potrà aver
voto passivo fin a tanto che non avrà data compita soddisfazione.
Capo VI
Il Cassiere, ossia il Depositario dovrà esser persona benestante,
proba, e dei migliori della Confraternita senza ostacoli di amministrazione, e di Prammatica. Sarà il suo Ufficio di tenere
depositati in suo potere non solo l’argento, oro, vasi sagri della
nostra Chiesa, e le suppellettili, dei quali se ne dovrà fare in ciascun anno esatto inventario. Ma ben anche il peculio tutto della
nostra Confraternita, però dovrà formare due quinterni, in dove
terrà registrato l’introito e l’esito.
Il denaro, che pervenirà in suo potere, così delle cinquine, che
delle grana venticinque, e dell’annue entrade in una cassa a parte
né farà alcun pagamento delle spese solite, ed ordinarie, senza il
biglietto del Priore, e trattandosi di pagare altre spese straordinarie, o che eccedono i ducati quattro, dovrà detto biglietto esser
firmato dalla banca e dalla maggior parte dei Consultori. Dovrà
in fine dell’anno, fra lo spazio di un mese, dar conto dell’introi-
to, e dell’esito, che farà, con esibire i biglietti a quei stessi due
razionali eletti per li conti del Priore, e non potrà esercitare altro
uffizio, se non sia elasso un anno dopo il suo impiego, e ricevendo
significatoria sin a tanto che non avrà sodisfatto pienamente.
Capo VII - Dell’Ufficio del Segretario, e suo obbligo
L’Ufficio del Segretario è molto geloso, e perciò avrà il Priore,
e gli assistenti, e i consultori, a quali spetta di eleggerlo, la mira
di sceglierlo abile, e di buona lettura, che non sia debitore della
Confraternita, e senza ostacoli, dovrà il medesimo tener registrato per ordine alfabetico i nomi di tutti i Fratelli in un libro, in
dove noterà mese per mese i pagamenti delle cinquine, e delle
grana venticinque scritto di propria mano i mesi, come Gennaio,
Febbraio, Marzo ecc. dando a ciascun fratello cartella stampata,
col riscontro dei loro pagamenti. In fine dell’anno dovrà firmare
su detto libro il nome suo, e cognome il pagamento di ciascun
Fratello, per sapere quanto si sia esatto in quell’anno. Dovrà tener
notato in un libro l’esazione di ciascun giorno, per confrontarlo
con quello del Cassiere, e dovrà tal confronto farsi ogni sei mesi.
Dovrà tenere altro libro, in dove registrerà le Consulte, nel modo
detto nel Capitolo V.
Nell’Elezione del Priore esso piglierà i voti dei Fratelli, coll’assistenza di due Fratelli assessori. Terrà conservato presso di se
tutte le scritture ed i libri della nostra Confraternita eccetto quello
dell’annue entrate, che si conserverà dal Priore. Dovrà, in fine
dell’anno, fra lo spazio anche di un mese dar conto di quanto avrà
esatto, e non potrà, finito l’impiego suo, esercitar altro Ufficio
se non elasso un anno dopo, e ricevendo significatoria, fin tanto
che non avrà compitamente soddisfatto.
Capo VIII - Dell’Elezione del Rettore dei Confessori, e loro
obblighi.
Nel primo giorno festivo dopo quello dell’Elezione del Priore
si dovrà procedere all’elezione del Rettore, e dei Confessori, e
riesca con quiete, dovrà il Priore con l’intelligenza degli assistenti
nominare tre sacerdoti dei più savii, scelti, e probi del Clero, che
siano Confessori approvati, e sappiano bene predicare, ed istruire,
e poi si dovranno bussolare, per voti segreti di tutti i Fratelli, ed
a chi di questi tre proposti vi sarà concorso il maggior numero
dei voti sarà il rettore, ma se il Priore avesse figlio, o fratello in
secondo grado Civile che fosse dei savi, scelti e probi del Clero, Confessore approvato, e sapesse, ed avesse altre in Pulpito
predicato, possa quello esser preferito, coll’intelligenza però
dei fratelli, e loro consenso, e non avendo esso Priore figlio, o
Fratello come sopra debba essere preferito gradatamente il figlio,
o Fratello degli assistenti. Riguardo poi ai due Confessori, all’organista, ed al cantore si eligeranno anche questi in detto giorno,
con la solennità di sopra descritta.
L’Ufficio del rettore sarà in ogni dì festivo, confessare, celebrare
la Messa per l’obbligo, che tiene la nostra Congregazione, nel
mentre si recita il SS.mo Rosario, e di fare un sermone di un
quarto di ora, sopra il Vangelo che in quel giorno corre, come
anche di fare gli esercizi spirituali per otto giorni, nella settimana
di passione, della Santa Quaresima.
Quello poi dei Confessori di confessare ogni giorno festivo. E
di celebrare la Santa Messa, anche per l’obbligo della nostra
Confraternita.
Il Rettore finito il suo impiego non potrà nuovamente essere
eletto, se non elassi tre anni. Dovrà tenere sotto la sua cura il
registro del Pio Monte delle Messe, sotto il titolo della nostra
Confraternita Santa Maria Visita Poveri. In dove Colui che vorrà
ascriversi dovrà porgere supplica al Priore in piena Congrega-
zione, colla fede del Battesimo, e quella del Medico di non esser
soggetto a male alcuno.
Essendo Fratello dovrà avere meno dell’anno quarantesimo, non
essendo tale non debba oltrepassare il trentesimo. Quali Rettore
e Confessori non possono affatto inserirsi negli affari temporali
della Congregazione, né all’elezione, e cassazione dei Fratelli.
Per provisione del Rettore se gli dovranno dare Ducati ventidue
l’anno inclusovi l’obbligo delle messe.
Per quella dei Confessori Ducati trenta, cioè Ducati quindici per
ciascuno, compresovi parimenti l’obbligo delle messe sudette,
e per provisione dell’organista, e del Cantore Ducati quattordici
ogni anno, cioè dieci per il primo, e quattro per il secondo. Ma
perché al presente rattrovasi per Rettore della nostra Confraternita
il Reverendo D. Pietro Paolo Furno, e per Confessori i Reverendi
D. Sebastiano Migliaccio, e D. Agostino Verde, i quali con soddisfazione di tutti i Fratelli hanno da più anni assistito e faticato
per la medesima, si è stabilito che debbiano i medesimi restar
fermi nei loro rispettivi impieghi sintanto vorranno i Fratelli, e
non altrimenti. Quale stabilimento non debba in avvenire passare
in esempio, né recar menomo pregiudizio alle presenti Regole,
dovendosi impreteribilmente osservare ciocchè rispetto all’elezione del Rettore e dei Confessori si è detto nel Capitolo VIII.
Ed avendo maturamente considerato il tenore delle presenti
Regole, le quali non contengono cose che pregiudichi la Regal
Giurisdizione o il Pubblico ma soltanto prescrivono il modo
di ben regolarsi detta Congregazione, con precedente il parere
del Regio Consigliere D. Stefano Patrizy Consultore del regno
di Sicilia, e Mio Ordinario; son di voto che Vostra Maestà può
degnarsi concedere su dette Regole il suo Regal Assenso, con
fargli spedire Privilegio in forma Regalis Camerae Sanctae
Clarae, colle seguenti condizioni e riserve.
Primo. Che in ogni esequie resti sempre salvo il dritto del Paroco.
Secondo. Che per il Padre Spirituale, o sia Rettore, e Confessori
si debba esattamente osservare quanto vien prescritto nel capitolo
VIII delle presenti regole.
Terzo. Che per la reddizione dei conti dei osservarsi il prescritto
de Capitolo $ primo et sequentibus del Concordato.
Quarto. Che a tenor del suo legal stabilimento fatto nel 1742
quei che devono essere eletti per Amministratori, e Razionali
di detta Congregazione non siano debitori della medesima, e
che avendo altre volte amministrate le sue rendite abbino dopo
il rendimento dei conti ottenuta la debita liberatoria, e che non
siano consanguinei né affini degli Amministratori precedenti sino
al terzo grado inclusivo, de jure civili. E per ultimo che non si
possa aggiungere, o mancare cos’alcuna dalle presente Regole
senza il precedente Regal permesso di Vostra Maestà. E questo
per Napoli a primo settembre 1764 di Vostra Maestà Umilissimo
Vassallo e Capitano Nicolò di Rosa Vescovo di Pozzuoli Stefano
Patrizy Don Carlo Albarelli= Super qua presentata relatione fecit
per nostram Regalem Cameram Sanctae Clarae interpositum
decretum tenoris sequentis.
Die vigesima quinta mensis settembris 1764 Neapoli Regalis
Camera Sanctae Clarae providet, decernit atque mandat, quod
espediatur Privilegium Regi assensus in forma Regalis Camerae
Sanctae Clarae, cum inserta forma retroscritte relationis. Hoc
suum. Citus Praeses Gaeta de fiori Perrelli Vargas Macciucca
Citus supplicantum, quatenus praeinserta capitula, confirmare,
approbare et convalidare cum omnibus et quibuscumque in dictis
capitulis contenti sed expressis et quatenus opus est de novo
assentire et consentire benignus dignaremur. Nos vero dictis
petitionibus tam iustis et piis libenter annuentes in his altis longe
La Rassegna d’Ischia 2/2009 39
Maioribus quae exuditionis gratiam rationabiliter promerendo
tenore praesentium ex certa nostra scientia deliberate et consulto ac ex gratia speciali dicta praeinserta capitula, iuxta eorum
tenore confirmamus acceptamus, approbamus, et convalidamus
nostraque munitione et presidio roboramus ac omnibus in eisdem
contenti sed praenarratis et ex gratia speciali ut supra assentimur
et consentimus nostrumque super eis assensum et consensum
interponimus et praestamus cum supradictis clausulis conditionibus, et limitationibus contentis in dicta praeinserta relazione
supradicti Reverendi nostri Regi Cappellani Maioris, ac servata
forma relationis praedictae volentes, et decernentes espresse de
eadem scientia certa nostra, quod praesens nostra confirmatio
approbatio, et quatenus opus est novae consentio sit et esse debeat praedictis confratribus dictae Congregationis praesentibus,
et futuris in perpetuum semper stabilis, realis valida fruttuosa
et firma nullumque in indiciis aut extra sentiat quovis modo
diminutionis incomodum dubietatis incomodum dubiewtatis
habeatur, aut nove alterius detrimentum pertinescat sed in suo
sempre robore et firmitate persistano in quorum fidem hoc praesens Praeceptum fidem hoc praesens praeceptum fieri fecimus
Magno Nostro Regalique sigillo pendenti munitum.
Datum Neapoli die 30 Mensis septembris anno a Nativitate Domini Millesimo Septimgentesimo sessagesimo quarto.
Pro Rege Sigillo
Dominico Cattaneo Michael Regio Iacobus Milano Ioseph
Pappacoda Petrus de Bonomia Dominicus de Gastro Stefanus
Regio Bernardus de Musices Citus
Vargas Macciucca Dominus Rex mandavit mihi.
Salvatori Spiriti a Segretis
Sua Maestà concede il suo Regio assenso alle presenti Capitolazioni fatte da fratelli della Congregazione sotto il titolo di Santa
Maria Visita Poveri della terra di Forio d’Ischia, in omnibus sotto
la forma della sudetta preinserta relazione fatta dal reverendo
Regio cappellano Maggiore in forma Regalis Camerae Sanctae
Clarae, Franciscus Citus.
Solvat pro iure sigilli tarenos duodecim Pro Magnifico Giordanini
Daxis Solvit Ducatos septem dimidio. Citus. Ioseh Valle Regalis
Perceptor. In Primis 34 fol. 1° Lanzetta.
Attesto io sottoscritto Segretario della Laical Confraternita di
Santa Maria Visita Poveri della Terra di Forio che nel dì 26
Maggio, e nel dì 30 giugno del corrente anno 1765. Furono
per ordine del Signor Don Tommaso Migliaccio attual Priore
della medesima da me lette e pubblicate le retroscritte Regole
in piena Congregazione: ed essendo stato inteso dai Fratelli il
detto loro tenore, furono le medesime unanimemente approvate
ed accettate, ed in ringraziamento all’Altissimo si cantò solennemente il Te Deum. Per la verità ne ho fatto il presente atto. Di
Congregazione 2 luglio 1765.
Aniello d’Abundo Segretario.
MOTIVI
(i cosiddetti centri storici) a danno delle zone periferiche
(oggi non più tali), dove si tende a far ricadere tutte le
conseguenze negative di molteplici problemi, come il
traffico, i rifiuti solidi, i frastuoni della vita attuale.
segue da pagina 3
destino oppure accetta il responso che l’isola nel suo
complesso determina? Nel primo caso si potrebbe riproporre un territorio ancora diversamente frazionato;
nel secondo potrebbe venir meno l’autonomia dell’uno
o dell’altro, se devono essere i relativi cittadini a determinare una scelta.
Si pensa che l’isola, ormai gravata da tanti problemi,
avrà, se unificata, maggiori probabilità di trovare soluzioni adeguate e di assumere i relativi provvedimenti
per metterle in atto. Non andrebbe trascurato inoltre un
maggiore peso politico nel contesto regionale con un
unicum capace di esprimere una presenza più autorevole. Tutte questioni che hanno il loro contraddittorio in
una realtà che oggi appare più complicata rispetto al passato, a causa dell’estensione urbanistica che in ciascun
comune si è operata e per una politica amministrativa
che, come si vede, mira a qualificare un ristretto spazio
40 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Agostino Di Lustro
Mostre
Elio Marchegiani
alla Torre di Guevara
Nel corso della stagione turistica
2009 la Torre di Guevara d’Ischia
ospiterà una mostra antologica di Elio
Marchegiani, in occasione del suo ottantesimo compleanno.
Viaggio in India
Una storia d’amore chiamata Taj Mahal
di Carmine Negro
«Una lacrima di marmo ferma sulla guancia del tempo» (Rabindranath Tagore)
Premessa - L’India si presenta agli occhi di un occidentale come un mondo
a parte. Conserva millenni di storia, arte e cultura in una società permeata
di religiosità che fa dei suoi Dei e delle cerimonie religiose una presenza
costante nella propria vita. Un mondo dove passato e presente convivono e
si mescolano permeando tutti i sensi. Sulle strade, intervallate da cumuli di
immondizia, si aprono piccoli negozi, botteghe artigianali e bancarelle, dove
si vende cibo che fa uso smodato di spezie. Di frequente ci sono spazi, spesso
demarcati in maniera rudimentale,
che portano in bella mostra oggetti con le sue truppe l’India e nel giro di
usati carichi di storia personale che pochi anni estese il suo dominio su un
focalizzano lo sguardo su una realtà vasto territorio che sarebbe diventato il
fatta di povertà e di miseria. È ancora nucleo dell’impero Moghul. Il nipote di
nelle strade che si possono sentire le Babur, Akbar, fu il più grande sovrano
Moghul; il suo dominio, fra il 1556 e
fragranze del legno di sandalo o dei
il 1605, si estese al Punjab, all’odierno
gelsomini che il venditore offre con Rajasthan, al Gujarat, al Bengala, al
grazia, incontrare lente e indolenti Kashmir e al Deccan. Nell’amministravacche sacre, ammirare le donne, zione del suo regno Akbar dimostrò una
anche le più povere, che con i loro notevole capacità organizzativa, assicusari dai colori forti sono figure stupe- randosi la fedeltà di centinaia di signori
facenti, portatrici di una femminilità
quasi divina.
La storia indiana è anche prolifica
di leggende e di storie, di racconti di
fatti reali, capaci di suscitare forti ed
appassionate emozioni.
feudali; promosse inoltre il commercio,
introdusse un equo sistema fiscale e
favorì la tolleranza religiosa. Alla sua
morte, nel 1627, il Principe Khurram
divenne il nuovo Imperatore Mogul con
il nome di Shah Jahan, Re del Mondo e
Signore delle Congiunzioni Favorevoli:
quest’ultimo titolo era particolarmente
amato da Shah Jahan perché ricordava
la sua provenienza dalla dinastia musulmana di origine mongola dei Timuridi.
Sotto il suo regno promosse lo sviluppo
di nuovi centri e rotte commerciali e il
fiorire dell’artigianato. Trasferì la capitale
dell’Impero da Agra a Delhi, divenuta
centro del potere musulmano, che abbellì di nuovi edifici che testimoniano
ancora il suo celebrato gusto estetico in
architettura. Suo figlio Aurangzeb (1658
- 1707), spietato e fanatico, dedicò gli
ultimi anni del suo regno ad una lotta
incessante contro i principi indù, che avevano creato l’Impero Maratha nell’India
meridionale, e impose in tutta l’India la
religione islamica, provocando rivolte
e guerre. Alla sua morte, avvenuta nel
La dinastia Mughal - Il Passo Khyber
è il passo di montagna che collega il Pakistan con l’Afghanistan e si apre a 1067
m di quota nella catena dell’Hindukus.
Attraverso queste strette gole con strapiombi nel vuoto di 180-300 metri, sono
passati i popoli Ariani per invadere la penisola del Deccan intorno al 1.500 a.C., il
buddismo per diffondersi dall’India verso
il Tibet, la Cina ed il Giappone a partire
dal VI secolo a.C., Alessandro Magno
con il suo esercito nel 326 a.C., i Persiani,
i Mongoli e i Tartari per convertire l’India
all’Islam attorno al XII secolo d.C.
Attraverso il passo Khyber, nel 1526
Babur, un discendente di Tamerlano, la
cui origine era mongolo-turki (1), invase
1) Con l'espressione turki viene in genere
indicata la comunanza linguistica dei popoli turcofoni dell'Asia Centrale.
La Rassegna d’Ischia 2/2009 41
1707, l’impero si disgregò, e ciò che ne
rimaneva fu definitivamente conquistato
dagli inglesi dopo i moti indiani del 1857,
chiamati Rivolta dei Sepoy.
Le storie di Agra
Agra, città dell’India Settentrionale
che fa parte dello stato federato dell’Uttar
Pradesh, situata sulle rive del fiume Yamuna, a due ore e mezzo circa di treno da
Nuova Delhi, è una destinazione che da
secoli affascina per la sua atmosfera unica, dove si fondono bellezza e spiritualità,
sacro e profano. Ad Agra mi imbatto in
una storia curiosa e affascinante riportata
in una guida scritta in italiano.
Nel nome di Allah, l’Altissimo, il Clemente, il Misericordioso. Lode ad Allah,
Signore dell’universo! Che i fatti degli
antichi siano una lezione per i moderni
acciocché l’uomo consideri i casi toccati
agli altri, rispetti le parole di coloro che
furono e, considerando ciò che ad essi
toccò, si corregga. Perciò sia gloria a
colui che conservò i racconti e con essi
le cose degli antichi come esempio per i
posteri. Orbene, di tali racconti vogliamo
narrarvi la storia di un principe e del suo
amore per una donna e della mirabile
costruzione che volle dedicarle. Si racconta, ma Allah è più sapiente, più saggio
e più potente e più benefico, che c’era
nel tempo dei tempi e negli anni passati,
e precisamente nel 1612, un principe di
nome Khurram che prese in sposa, come
seconda moglie, Arjumand Banu Begam,
meglio conosciuta come Mumtaz Mahal.
Il principe, che divenne poi il quinto
imperatore della dinastia Mughal con il
nome di Shah Jahan, amava profondamente la principessa e questa unione era
una vera e propria passione.
Mumtaz divenne compagna inseparabile di suo marito in tutti i suoi viaggi e
spedizioni militari. Era la sua consigliera e consulente ed ispirava a lui atti di
carità e di benevolenza verso deboli e
bisognosi. Ma, tre anni soltanto dopo la
sua salita al trono, a Burhanpur dove lo
aveva seguito in una campagna militare,
dopo aver partorito il loro quattordicesimo figlio la principessa muore. Si narra
che la morte della moglie abbia talmente
sconvolto ed addolorato l’imperatore
che tutti i suoi capelli e la barba si sono
imbiancati come la neve in pochi mesi.
Si narra ancora, però, che, quando
Mumtaz Mahal era viva, aveva ottenu42 La Rassegna d’Ischia 2/2009
to dall’imperatore quattro promesse:
in primo luogo, quella di costruire un
tempio, in secondo luogo, quella che si
sarebbe sposato ancora, terzo, quella
di essere gentile con i loro bambini, ed
infine quella di visitare la sua tomba agli
anniversari di morte.
L’imperatore chiamò allora a sé i
migliori artisti e dette inizio, in sua memoria, alla costruzione della tomba, che
venne completata dopo circa vent’anni
di lavoro da parte di ventimila uomini.
Shah Jahan andava in barca a visitare
la tomba della moglie. I documenti descrivono il suo arrivo al monumento dal
lato del fiume e la sua ascesa dall’argine
al terrazzo. Questa usanza, tuttavia, era
riservata all’imperatore e al suo seguito.
Tutti gli altri invece dovevano attraversare una grande corte per entrare
nel portale principale sul lato sud. In
questa corte i viaggiatori si fermavano,
venivano sfamati i poveri e distribuite
le elemosine. L’imperatore aveva così
realizzato il Taj-Mahal, meraviglia del
mondo e universalmente riconosciuto
come tempio dell’amore, e sia gloria a
coloro che conservano le parole e le cose
degli antichi.
Un giorno che passeggiava per il
bazar, tra il fracasso dei mercanti e gli
stivatori di elefanti, i suoi occhi si incontrarono con quelli di una ragazzina di
15 anni. Era la principessa Arjumand,
figlia del primo Ministro della Corte.
Immediatamente, il principe ne restò
affascinato.
Impressionato dalla bellezza della
giovane, domandò il prezzo della collana
di cristallo che lei si stava provando. Il
mercante, sorridendo, gli rispose che
non erano cristalli ma diamanti le pietre
di quella collana. Il gioiello valeva una
fortuna. Il principe lo pagò e lo regalò a
Arjumand, che immediatamente, anche
lei, ne restò ammaliata.
Dovettero, invece, aspettare cinque
anni per unirsi in matrimonio, perché non
si erano visti per tutto quel tempo. Dopo
essersi sposati, quando fu incoronato, il
principe passò a chiamarsi Shah Jahan
(Imperatore del Mondo) e lei Mumtaz
Mahal (la Eletta del Palazzo).
Il documento non porta alcun riferimento alla fonte. Anche la guida lo
racconta con particolari inediti e più
accattivanti.
C’era una volta un principe chiamato
Kurram che era stato educato nelle più
difficili discipline del sapere: astronomia,
grammatica, matematica, filosofia...
e inoltre parlava arabo (la lingua del
Corano) e persiano (la lingua della
Corte).
Taj Mahal visto da Agra
Shah Jahan
Ma quattro anni dopo avere occupato
il trono, l’imperatore soffrì la peggiore
tragedia della sua vita: la sua amata sposa, Mumtaz Mahal, non superò il parto
del quattordicesimo figlio e morì. Shah
Jahan, affranto dal dolore, comandò di
costruire il Taj Mahal per seppellirla,
come mausoleo in memoria dell’amore
che si professarono entrambi.
Una volta terminato, l’imperatore voleva costruire un altro mausoleo-tomba
per lui, identico a quello della sua sposa
ma in marmo nero, all’altro lato del fiume
Yamuna, e unire dopo entrambi mediante
un ponte di oro. E lo avrebbe fatto, se non
fosse stato per Aurangzeb.
Approfittando dello stato depressivo
e della profonda tristezza nel quale era
sprofondato l’imperatore, Aurangzeb,
terzo figlio di Shah Jahan, accecato
dall’ambizione, tradì tutta la sua famiglia, uccise i suoi fratelli (eccetto due
Il Taj Mahal
Nel caldo pomeriggio di agosto il cielo
è coperto. Siamo in tanti e tutti in fila per
il controllo all’ingresso che dà l’accesso
al giardino interno. Le verifiche sono
molto scrupolose e la polizia presente
è numerosa. Il portale di ingresso, una
imponente struttura divisa in tre piani
in arenaria rossa e marmo, ha la forma
di un’enorme nicchia semiottagonale
sovrastata da un arco ogivale che si trova
al centro della struttura. La sua altezza è
esattamente la metà dell’altezza del mausoleo. Il portale con la sua architettura
islamica ha un’importanza particolare:
rappresenta il punto di transizione tra il
clamore del mondo esterno e materiale e
la pace e la tranquillità dello spazio sacro
e spirituale interno.
Varcato il portale di accesso si rimane impressionati dalla straordinarietà
dell’opera, dalla perfetta geometria delle
sue forme e dalla ricerca quasi ossessiva
della simmetria oltre alla sua capacità di
presentarsi con un aspetto sempre diffe-
rente a seconda del momento in cui lo si
osserva. Il sottile gioco di luci e ombre sul
delicato marmo di cui è rivestita l’intera
struttura, complici le pietre incastonate
al suo interno, fanno si che il Taj Mahal
assuma una colorazione ora bianca, ora
rosa, ora dorata a seconda dell’ora del
giorno.
Il mausoleo è posto al di sopra di una
sopraelevazione di forma quadrata con
ai quattro vertici i minareti. In pianta
l’edificio è un quadrato di lato con gli
angoli smussati (in modo da avere una
forma ad ottagono irregolare).
Cinque cupole sovrastano la struttura.
La più grande è posta al centro, mentre le
altre quattro sono più piccole e sono poste
attorno a quella centrale in direzione dei
lati corti dell’ottagono. La cupola più
grande porta al di sopra un elemento di
chiusura decorativo che riprende lo stile
indù e quello persiano. Infatti questo
elemento, pur rappresentando una mezzaluna (elemento tipicamente islamico),
sorelle) e strappò il potere a suo padre.
Dopo, rinchiuse il padre in una torre
del Forte Rosso di Agra, di fronte al
Taj Mahal, e le due sorelle sopravissute
nell’altra torre.
«La vista di questo palazzo provoca
tristi sospiri e fa versare lacrime dagli occhi del sole e della luna. Questo edificio
è stato costruito per mostrare, attraverso
di esso, la gloria del Creatore» (Shah
Jahan)
presenta un’ulteriore parte appuntita tale
che assieme alla mezzaluna coricata crei
una forma a tridente, simbolo di Shiva,
divinità indù.
Anche se le pareti sono interamente
rivestite di marmi, la struttura portante è
stata realizzata in pietra arenaria rossa e
mattoni. Questo vuol che a fronte di uno
spessore dei muri che arriva ad essere di
4 metri solo un piccolo strato di circa 15
cm è costituito dal candido marmo del
Rajasthan.
La costruzione del Taj Mahal è simbolica: la massiccia struttura quadrata
della base rappresenta il mondo materiale, la cupola circolare la perfezione
della divinità e la forma ottagonale della
struttura (l’ottagono è visto come forma
intermedia tra il quadrato ed il cerchio)
l’uomo, punto di giunzione tra i due
mondi (materiale e spirituale).
Il Taj Mahal si trova nell’estremità
nord di un giardino la cui struttura si rifà
molto alla visione che si aveva in quel
periodo del paradiso: un giardino ideale
abbondantemente rifornito d’acqua.
Nei testi mistici dell’Islam era descritto
come composto da quattro canali che si
incontrano in una montagna o una cascata
centrali, che dividono il tutto nei quattro
punti cardinali. La visione del giardino
come simbolo del paradiso è rafforzata
dalle calligrafie presenti sul portale
principale, che invitano ad entrare nel
paradiso.
Anche questo giardino come tutti i
giardini della dinastia Mughal è diviso
in quattro parti uguali da due canali che
si incrociano nel mezzo. Al suo centro
nel punto di incontro dei due canali (che
rappresenta il centro dell’intero giardino
e di tutto il complesso) è stato posto un
serbatoio di acqua che, in questo modo,
riflette l’immagine del mausoleo. Sul lato
meridionale del serbatoio, in posizione
centrale, è posta una panchina: vuole
La Rassegna d’Ischia 2/2009 43
essere un invito al visitatore a sedersi
e osservare il mausoleo dalla posizione
ideale, cioè da una prospettiva centrale,
che permette di godere anche del riflesso
sul serbatoio. Panchine simili sono poste
anche lungo gli altri lati del serbatoio.
Al suo interno si trovano aiuole di
fiori, viali alberati e canali d’acqua. Ogni
quadrato formato dai canali si compone
a sua volta di quattro parti (16 in totale)
divise da percorsi rialzati, pavimentati
con pietra. Si dice che in ognuna di queste
furono piantate 400 piante. Sbalordisce
questa ripetizione del numero quattro e
dei suoi multipli.
Varcato il portale di accesso, dopo i
primi momenti di piacevole smarrimento, si è colpiti dalla massa multicolore
che si riversa nei viali. Dopo la foto di
rito, vicino alla panchina, che consente
di fissare le immagini giocando con la
prospettiva, il fiume umano si incammina
per la visita al mausoleo. Le donne nei
loro sai dalle tinte forti che fanno rivivere
i colori forti della natura sono attorniate
dai bambini e dai loro uomini. Ci sono
famiglie numerose che, festose salgono
le scale che portano alla sopraelevazione
quadrata e coppie appena sposate che fanno trasparire un’intimità fatta di sguardi,
di gesti misurati e teneri, di affettuoso
rispetto. Ci si mette in fila per entrare nel
44 La Rassegna d’Ischia 2/2009
mausoleo, una fila lunga e tortuosa; tutti
rigorosamente scalzi. A mano a mano che
ci si avvicina all’ingresso il marmo di una
bianchezza abbacinante si mostra ornato
da finissime decorazioni in pietra dura
e da eleganti bassorilievi floreali. Dalla
base marmorea sporgono leggermente
vasi di fiori intarsiati, tra cui rose, tulipani
e narcisi.
Si racconta che il Taj Mahal venne costruito utilizzando materiali provenienti
da ogni parte dell’India e dell’Asia. Oltre
mille elefanti vennero impiegati durante
le costruzioni per il trasporto delle materie prime. Il marmo bianco venne portato
dal Rajasthan, il diaspro dal Punjab e la
giada e il cristallo dalla Cina. I turchesi
erano originari del Tibet e i lapislazzuli
dell’Afghanistan, gli zaffiri venivano da
Sri Lanka e la corniola dall’Arabia.
Nei ventidue anni di durata dei lavori
(1632 – 1654) furono impegnate ventimila persone tra cui numerosi artigiani
provenienti dall’Europa e dall’Asia Centrale. Tra di essi vi era anche un artista
italiano: Geronimo Veroneo.
L’ingresso principale per l’interno,
situato sulla facciata sud della tomba,
introduce in una camera ottagonale illuminata da una pallida luce riflessa sulle
superfici marmoree tendenti al giallo.
Uno schermo di marmo intagliato così
finemente da apparire quasi traslucido
e decorato con pietre preziose diffonde
una luce sul cenotafio di Arjumand Banu
Begum, conosciuta anche con il nome di
Mumtaz Mahal, che in persiano significa
“la luce del palazzo”, al centro della
tomba, e su quello di Shah Jahan posto a
fianco. Le pietre incastonate sulle tombe
di marmo sono tra le più belle di Agra
e per eseguire il lavoro a intarsio alla
perfezione ciascun petalo o foglia può
comprendere fino a sessanta frammenti
di pietra. Nel rispetto della tradizione
moghul, questi cenotafi sono solo rappresentazioni delle bare vere e proprie,
le quali si trovano nella stessa posizione
ma al piano seminterrato, in una cripta
spoglia e umida intensamente profumata
d’incenso e petali di rosa.
In fila per entrare nel mausoleo: tutti rigorosamente scalzi
Mumtaz Mahal
L’altra storia
Il mausoleo con le tombe in origine
prevedeva la costruzione di un complesso
identico dalla parte opposta del fiume
decorato con marmo nero invece che
bianco. Esisterebbero prove archeologiche che attesterebbero l’inizio della
costruzione di quello che doveva essere
il mausoleo dell’imperatore. I due mausolei dovevano poi essere collegati con
un ponte in marmo o in oro. Secondo
alcune fonti, Aurangzeb, figlio di Shah
Jahan, preoccupato per le ingenti somme
di denaro già sborsate per la costruzione
del primo mausoleo, costrinse il padre
agli arresti e ne prese il posto sul trono nel
1658. Questa tesi sarebbe rafforzata dalla
recente scoperta di un giardino sull’altra
sponda del fiume. Se questa teoria fosse
vera, in origine l’imperatore aveva intenzione di realizzare una costruzione
con un asse di simmetria anche lungo la
direzione est-ovest e che comprendesse
il fiume Yamuna: esso, cioè, doveva
divenire parte integrante del complesso
progettato.
Alla sua morte (nel 1666), l’imperatore
Shah Jahan venne seppellito accanto alla
moglie. L’ironia della sorte ha voluto che
proprio l’imperatore fosse il responsabile
della rottura della perfetta simmetria della
struttura: le sue spoglie furono infatti
portate nel mausoleo, ma la presenza
della sua tomba non era prevista: la sua
collocazione rovina la perfezione altrimenti assoluta della simmetria del Taj
Mahal.
Il complesso, per le sue caratteristiche,
riuscì ad impressionare diversi artisti
I cenotafi
occidentali per la sua perfetta simmetria,
guadagnando l’ammirazione di numerosi
artisti neoclassici europei. Riuscì, inoltre,
a catturare l’immaginazione dei romantici, attratti dal fatto che il complesso fosse
stato costruito in onore di una donna,
diventando così un “tempio all’amore”
agli occhi degli artisti romantici.
Molti elementi della biografia di questo
imperatore del regno Mogul provenienti
dalle memorie lasciate da diversi viaggiatori europei che vissero o visitarono la
sua corte imperiale ne danno un profilo
differente.
Come gran parte dei suoi predecessori
e dei suoi antenati, Shah Jahan aveva
nella sua corte diverse mogli, concubine
e danzatrici, cosa che venne notata da
molti viaggiatori europei. Il viaggiatore
italiano Niccolò Manucci scrisse, ad
esempio, che l’unica cosa di cui sembra
curarsi questo Imperatore è la ricerca di
nuove donne che servano al suo piacere
e che per questo scopo stabilì una fiera
nella sua corte dove non era ammesso
nessuno che non fosse donna. Vecchia o
giovane, povera o nobile, purché fosse
bella. Sempre il Manucci afferma che
quando il figlio Aurangzeb lo imprigionò
nel Forte Rosso di Agra gli permise di
portare con sé tutte le sue donne, comprese le danzatrici e le cantanti e che anche
quando raggiunse l’età senile costui non
perse la sua debolezza per la carne.
I viaggiatori europei riportano anche la
sua relazione con Farzana Begum, sorella
della sua sposa Mumtaz Mahal, e la voce
secondo la quale il figlio di costei fosse
in realtà figlio di Shah Jahan. Scrive il
Manucci: per mio conto non ho dubbi
di questo fatto, poiché costui è molto
somigliante al Principe Dara.
Recenti ricerche storiche suggeriscono
che il simbolo dell’amore eterno nasconda una visione meno poetica e commovente dalla quale emergerebbe più che
altro la megalomania e la sfrenata vanità
dell’imperatore moghul rispetto alla sua
inclinazione romantica. Gli studiosi,
mentre continuano a dibattere sul simbolismo segreto del Taj, nascosto nelle
numerose iscrizioni islamiche, concordano nel non prestare fede all’immagine
popolare, ma assolutamente apocrifa,
degli ultimi giorni di Shah Jahan come
descritti dalle guide turistiche. Ben lungi
dal trascorrere la vecchiaia fissando la
tomba dell’amata moglie, più a valle
lungo il corso del fiume l’imperatore
Moghul spirò in conseguenza dell’abuso di sesso e droghe. Il suo decesso nel
1666 alla veneranda età di 74 anni non
fu causato dal dolore struggente ma da
un’overdose di oppio e afrodisiaci.
***
Certamente la bellezza di questa costruzione è resa ancor più affascinante
dalla leggenda che la avvolge, come una
bellissima fiaba. Il Taj Mahal che significa “Palazzo della Corona” o “Corona del
Palazzo” è una costruzione affascinante
ed è, di fatto, la più bella e meglio conservata tomba del mondo. Edwin Arnold, un
poeta inglese, l’ha ben descritto dicendo:
“Non un pezzo di architettura, come sono
altri edifici, ma la passione orgogliosa
di un imperatore trasformata in pietre
viventi.”
Dobbiamo comunque essere grati a
La Rassegna d’Ischia 2/2009 45
Shah Jahan, per averci regalato una delle
sette meraviglie del mondo, un’ opera
che sfida il tempo e sa raccontare a tutti
e a ciascuno cosa è capace di costruire
l’umanità.
Carmine Negro
Bibliografia
- India del Nord di David Abram, Devdan
Sen, Nick Edwards, Antonio Avallardi editore,
2004.
- India Classica, Delhi, Agra e Jaipur a cura di
Anuradha Chaturvedi, Dharmendar Kanwar e
Ranjana Sengupta, Mondatori Editore 2008.
- Introduzione all’India compilata da Vicky
Ducrot, Viaggi dell’Elefante Editore Srl.
- India: In viaggio con Fodor’s, Centro del
libro 2001.
- Storia dell’India di John Keay, scritta nel
2000 e pubblicata da Newton Compton Editori
nel 2001.
- Storia dell’India di Dietmar Rothermund - Collana “Universale Paperbacks il Mulino 2007.
- I Moghul Imperatori dell’India di Hans Georg
Behr (1979), Garzanti, 1985.
Panza – Associazione Giochi di Natale
Concorsi di Poesia e Fotografia digitale – Mostra d’Arte
L’Associazione Giochi di Natale ha indetto i concorsi di
poesia e di fotografia digitale, nati allo scopo di stimolare la
riflessione e la creatività e promuovere i valori umani, sociali
e culturali.
I due Concorsi sono articolati ciascuno in una sezione unica.
Il tema della poesia è libero, quello della fotografia è “Ieri,
Oggi, Domani”.
Questa edizione della poesia è dedicata alla Vita. Saranno
premiate le prime tre poesie in assoluto, le prime tre aventi
per tema la vita, la prima della categoria giovanissimi (fino
a 14 anni), la prima della categoria giovani (15 -19 anni) e la
prima poesia in dialetto. Un premio speciale sarà assegnato
da una Giuria popolare.
Per la fotografia saranno premiate le prime tre opere in
assoluto.
Ci saranno inoltre alcuni premi speciali. Gli altri autori
riceveranno un diploma di partecipazione, che è aperta a tutti.
Si partecipa con al massimo due opere. Il contributo spese è
di euro 10,00 per ciascuna opera presentata.
46 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Con l’adesione al concorso gli autori acconsentono a che
le loro opere siano pubblicate e declamate. In particolare
le poesie saranno inserite in una raccolta che sarà distribuita gratuitamente a tutti i partecipanti; poesie e fotografie
saranno pubblicate sui siti www.giochidinatale.it e www.
panzanelmondo.it (vi si può leggere anche il regolamento
completo).
Le poesie possono essere in lingua italiana o in dialetto;
queste ultime possono essere accompagnate da una traduzione
in italiano; le fotografie da un commento.
Poesie e fotografie devono essere originali, non aver partecipato ad edizioni precedenti del nostro concorso e non aver
vinto premi in altri concorsi; inoltre devono recare un titolo.
Esse saranno sottoposte alle giurie in forma anonima. Le
opere sospettate di plagio saranno sottoposte alla valutazione
collegiale della giuria, che a maggioranza può escluderle dal
concorso. La quota di iscrizione sarà trattenuta.
Nel caso che nelle foto siano ritratte persone riconoscibili
occorre produrre una liberatoria da parte dei soggetti interessati – o di un genitore per i minorenni – alla loro partecipazione
al concorso, all’esposizione e pubblicazione. Gli autori sono
garanti dell’autenticità della liberatoria. Il Consiglio Direttivo
si riserva di rifiutare opere ritenute contrarie alla pubblica
morale. In questo caso la quota d’iscrizione sarà restituita.
Il termine per la consegna è il 31 marzo 2009.
Sono inoltre previsti una Mostra d’Arte e Fotografia che si
terrà al Museo del Torrione di Forio dal 25 aprile al 3 maggio
2009, un Torneo di scacchi semilampo e un Torneo di scala
quaranta.
Tutti i partecipanti sono invitati alla Premiazione che si
terrà sabato 2 maggio 2009, presso il Cinema delle Vittorie
di Forio.
Rassegna
LIBRI
Profumi di Origano e Viole
Testimonianze, memorie, tradizioni, vicende umane vissute nelle
zone montuose dell’isola d’Ischia - Poesie
di Nino Mattera
LER Editrice, Marigliano.. Presentazione
di Nunzio Albanelli
di Nicola Luongo
Nella nota introduttiva al suo recente
libro “ Profumi di Origano e Viole” Nino
Mattera, per molti anni funzionario delle
Poste, oggi in pensione, spiega il significato del titolo, ravvisando nell’origano
il simbolo della laboriosità degli abitanti
del suo paese natìo (Serrara Fontana)
e degli isolani in genere, e nelle viole
quello della modestia e della semplicità
del loro carattere. Inoltre afferma, con
encomiabile modestia, di avere scritto
“senza intenti pretenziosi” il volume, corredato da suggestive fotografie in bianco
e nero e a colori, riproducenti personaggi
e aspetti naturalistici del suo comune ai
piedi dell’Epomeo che conferiscono al
testo un valore aggiunto di piacevole
leggibilità e di immediata fruibilità.
Il libro, con una puntuale presentazione di Nunzio Albanelli, una premessa
di Gianni Ianuale e una postfazione di
Caterina Grasso, si articola in due parti:
la prima con sei racconti che espongono
aneddoti autobiografici o relativi a personaggi del luogo o alle misere condizioni
di vita degli abitanti di Serrara Fontana
negli anni della seconda guerra mondiale
o di quelli immediatamente successivi.
La seconda parte comprende diciassette
componimenti poetici che traducono
esperienze e sentimenti soggettivi di
natura soprattutto religiosa o familiare.
I racconti, tutti interessanti e fluenti,
riportano, tra l’altro, notizie che suscitano particolare curiosità e attenzione. Ad
esempio, quello dal titolo “A carusella”
ci informa che con questo termine veniva
indicata una speciale paglia, particolarmente flessibile, dal cui sapiente intreccio
le donne di Lacco Ameno riuscivano a
ricavare svariati oggetti, come ventagli,
borse, le “pagliette”, rese famose dagli
attori dell’avanspettacolo e da una canzone dell’indimenticabile Nino Taranto.
La lavorazione del grano era un vero e
proprio rito, “una sorta di cerimoniale”,
durante la cui celebrazione veniva recitato il Rosario e si raccontavano favole.
In questa sua opera Nino Mattera si
rivela scrittore e poeta. Ma il discrimine
tra i due termini, nel suo caso, è molto
sfumato e impercettibile, visto che
elementi di poesia sono presenti anche
nella sua prosa limpida ed efficace, come
avviene nel racconto “Pesce d’aprile”,
in cui uno scherzo di cattivo gusto ai
danni di un anziano e sprovveduto
compaesano, rivela una buona dose di
cinismo di certi burocrati del luogo che
ordiscono una vera e propria congiura ai
suoi danni, prospettandoli alla possibilità
di una improvvisa e fortunosa ricchezza
che in realtà è solo una fata morgana.
Espressioni come «Viole incuriosite dallo
spettacolo si affacciavano timide tra le
erbe dei muri» oppure certe descrizioni
di suggestivi spettacoli naturali, come
«la luna che giocava a nascondino con le
nuvole» ed altre espressioni del genere,
rivelano un autore ricco di fantasia e di
sensibilità, dotato del senso del bello e
di profonda tensione ideale, e di un piacevole senso dell’umorismo e dell’ironia
che gli consente di sorridere con un certo
distacco di fronte a certi aspetti strani e
paradossali della realtà e della vita.
Anche le diciassette poesie della seconda parte del libro rivelano un amore
non comune per il paese natìo, per i suoi
incantevoli paesaggi, e riportano, tra
l’altro, struggenti ricordi del passato, soprattutto quelli collegati alla figura della
madre, una donna assai bella ed elegante,
dall’espressione dignitosa e austera, che
lascia intuire un carattere forte e risoluto,. Inoltre un vivo sentimento religioso
si irradia da alcune liriche, come quella
dedicata alla Madonna della Mercede
a cui «Fontana s’affida e s’inchina» e
quella rivolta a Madre Teresa di Calcutta
che «rischiara il buio della terra e impreziosisce l’armonia del creato».
Nella sua opera l’autore, pur rivelando di possedere solide conoscenze di
agricoltura e quindi di essere un “ruris
amator” non ha una visione idilliaca
della campagna dove, come affermava
Orazio, si dimentica la vita affannosa e
spasmodica della città, ma, al contrario,
vi ravvisa il terreno da coltivare con dura
fatica ed estenuanti sacrifici per ricavarne
i prodotti necessari alla sopravvivenza,
come avveniva negli anni Quaranta,
quando le famiglie del versante meridionale dell’isola erano assillate dalla
miseria e dalla fame.
Tale realtà è evidenziata in maniera
nitida e coinvolgente nel testo “Merecoppe: Storie di miseria e di grazia nelle
terre d’Ischia” dello stesso Nino Mattera
(Imagaenaria, 2002) che attesta, con la
narrazione di vicende e ricordi autobiografici, la tenace laboriosità, i sacrifici e
le privazioni dei compaesani dell’autore,
tra i quali «solo chi possedeva un terreno
era certo di avere un piatto sulla tavola
ogni giorno».
Per le preziose informazioni riguardanti
una realtà del passato osservata e prospettata con accenti sinceri di realismo e
di obiettività , Nino Mattera, con questa
sua opera permeata anche da un afflato
lirico, consegna un messaggio soprattutto alle nuove generazioni, affinché non
vadano nell’oblìo e perdute per sempre
testimonianze di vita e di operosità dei
nostri padri.
La Rassegna d’Ischia 2/2009 47
La bella Capri
Illustrata da Christian Wilhelm Allers - Descritta da
Alexander Olinda - Testo tratto da "La bella Napoli",
1893
La descrizione di Capri, “Isola delle capre”, secondo
lo storico Strabone o “Isola a forma di capra”, a parere
di altri studiosi, in questo testo pubblicato nel febbraio
2009 dalla Imagaenaria Edizioni, risulta esente dai soliti
convenzionali stereotipi propagandistici e dai ricorrenti
luoghi comuni, ma presenta aspetti originali e inediti che
ne rendono la lettura piacevole e avvincente.
Alexander Olinda descrive con acribia e pertinenza
non solo le coste alte e frastagliate dell’isola azzurra, su
cui l’abrasione marina ha scavato numerose, bellissime
grotte, ma anche l’incanto del paesaggio e la mitezza del
clima, decantata, fra gli altri dallo storico Tacito nei suoi
“ Annali”. Inoltre ha sondato il sostrato preistorico risalente al paleolitico e quello storico afferente soprattutto il
suo carattere di centro della vita imperiale con Augusto
che vi soggiornò fin quasi alla vigilia della morte e con
Tiberio che vi stabilì la propria dimora, governando di
lì il suo vastissimo Impero, come testimoniano le imponenti rovine che ancora oggi fanno intuire lo sfarzo
dell’antica Villa Jovis, situata sul cosiddetto Monte di
Tiberio.
Oltre al profilo storico-geografico, vengono citati
luoghi di particolare interesse paesaggistico o architettonico, come l’Albergo Pagano, gestito dalla famiglia
del notaio Giuseppe Pagano che nel 1826, insieme con
il poeta Augusto Kopish di Breslavia, col pittore tedesco
Ernesto Fries, riscoprì la Grotta Azzurra, che già quattro anni prima era stata esplorata dal pescatore Angelo
Ferraro. Fra gli edifici di pregio straordinario viene
citato “l’austero tranquillo“ Quisisana, primo albergo
dell’isola, alle cui fondamenta, durante i lavori di scavo,
fu scoperto materiale risalente al periodo preistorico, a
testimonianza del fatto che l’isola azzurra fu abitata fin
dagli albori della civiltà.
Secondo lo scrittore, l’atmosfera di Capri è così suggestiva e magica che induce anche il visitatore occasionale
a ritornare prima o poi sull’isola e a decantarne i pregi
nel suo Paese d’origine, perché restano indimenticabili i
giardini di limoni e di aranci, il frangersi delle onde sugli
scogli e negli anfratti, la cordialità dei suoi abitanti. A suo
dire, l’isola è così bella che in essa dovrebbero aggirarsi
“solo Naiadi e Tritoni”, mentre vi circolano «Berlinesi
con la pancia prominente, banchieri, professori, borghesi
e tutti coloro che il caso spinge da queste parti».
Non mancano nel testo personaggi bizzarri e stravaganti che trovarono a Capri il loro ambiente ideale,
rispondente al loro innato anticonformismo, illustrati
magistralmente da Christian Wilhelm Allers, come una
grinzosa Maria Maddalena Ferraro, morta nel 1804 che
«duecento anni fa l’avrebbero fatta spirare sul rogo,
mentre adesso è ricercata dagli artisti» o l’eremita del
Monte Solaro col suo cannocchiale e il suo strano modo
di comunicare con gli altri, nonché scene conviviali di
una Capri ancora idilliaca e romantica.
Opportunamente nel testo si ricorda che, al fine di
evitare una conoscenza superficiale e approssimativa
dell’isola, occorrono un congruo periodo di tempo e
una consapevole disponibilità a soffermarsi anche nei
suoi angoli reconditi per scoprirne aspetti interessanti
sotto il profilo non solo paesaggistico, ma anche storico
e culturale. Non si può pretendere di carpire il fascino
dell’Isola delle Sirene con una visita mordi e fuggi,
tipica di gran parte del turismo omologato e ricreativo
dei giorni nostri.
Dalla lettura di “La bella Capri”, in cui l’isola di fine
Ottocento viene descritta nei suoi tratti essenziali con
uno stile agile e fluido, spesso permeato da una lieve,
arguta vena umoristica, si comprendono meglio i motivi
per cui la Perla del Mediterraneo continui a conservare
quel carattere aristocratico e quel prestigio che ne
fanno la meta fra le più eleganti e ambite del turismo
internazionale (Nicola Luongo).
Leggete La Rassegna d'Ischia
48 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Racconto degli Anni Cinquanta di Nino d’Ambra
Peppino il postino
Peppino lo chiamavano. Era il postino
del paese. Alto, un po’ grassoccio, faccia
rubiconda, con un sorriso ingenuo costante
sulla bocca. Salutava tutti con la sua voce
stridula, con tono un po’ femmineo.
«Buongiorno, a Voi» - diceva -.
Era benvoluto nel paese e gli si perdonava quel piccolo difetto naturale proprio
perché in fondo suscitava tanta simpatia e
tanta comprensione.
Il postino. Già il suo mestiere lo predisponeva alla simpatia del prossimo. Non
era mica il messo notificatore che portava
contravvenzioni municipali o notificava
avvisi di tasse; faceva anche qualche piccolo piacere quando qualcuno abbisognava
dell’indirizzo di un parente in America e
non riusciva ad ottenerlo dall’altro congiunto che lo teneva ben geloso, nel timore
che un nuovo contatto epistolare o facesse
scoprire qualche piccolo segreto di terra
(magari era coltivata, ed al proprietariocongiunto in America la rappresentava
incolta) oppure temeva che quel biglietto di
cinque dollari che di tanto in tanto arrivava,
dovesse essere diviso! Erano tempi in cui
ciascuno cercava di conservarsi quel poco
che riusciva ad avere: sempre con il timore
angosciante di non poter sopravvivere.
Peppino di tanto in tanto faceva “il piacere”, si appuntava la richiesta che dopo
mesi magari riusciva a soddisfare. Forse
era l’unico personaggio con quel difetto
naturale che la gente del paese riusciva a
tollerare senza sforzi. Una cosa rara perché
casi simili non venivano perdonati nemmeno in chiesa.
Un sabato Peppino aveva invitato un
gruppo di amici nella sua casa con giardino
e cantina, sita alla periferia del paese. Erano
giovanotti che con lui stavano bene; scherzi
anche pesanti lui li sopportava con pazienza
che a volte sembrava rassegnazione: talmente timido non avrebbe saputo reagire,
anzi lo scherzo era un modo di entrare in
maggiore confidenza.
Quella sera si presentò a ricevere gli ospiti con un lungo camicione di tela bianca, un
po’ ruvida; indumento che non mancava
mai in nessuna casa del paese. I ragazzi si
guardavano e sorridevano di nascosto nel
vedere lo strano abbigliamento del loro
ospite. D’altronde stravaganze innocue
ne avevano già visto per cui non doveva
suscitare nessuna meraviglia quello strano
modo di vestirsi. Peppino aveva fatto trovare pronta la pasta per le pizze. I ragazzi
cominciarono ad infilare la legna nel forno e
a darle fuoco . Ognuno cercava di introdurvi
un pezzo più grosso. Quando il fuoco si era
avviato, arrivò Mario, il solito ritardatario,
portando una borsa piena di pigne. Gliela
strapparono di mano ed incominciarono
ad accostarle al fuoco con circospezione,
girandole continuamente con l’attizzatoio.
Erano le prime pigne di Natale. E man
mano che si aprivano e cadevano i pinoli,
si faceva a gara a prenderli sebbene fossero
molto caldi. Si sbucciavano con i denti per
assaporare quella minuscola polpa bianca.
Mario ne ruppe uno con delicatezza mostrando ai presenti il contenuto a forma
di mano impercettibile, poco più di una
formica: poteva diventare un giorno, se il
pinolo fosse andato sotto terra, la chioma
enorme del pino.
Intanto il forno era pronto ed era stato
scopato e pulito per permettere di introdurvi
delle pizze già condite con olio, pomodoro,
sale e aglio. La cottura non era lunga. Dopo
poco cominciò la distribuzione delle pizze
su capienti piatti di alluminio con un profumo che aveva inondato tutta la contrada.
Mario era l’unico che eliminava la cornice
della pizza, cioè la parte esterna, un po’ dura
per la verità e non invasa dal pomodoro e
dall’olio. Gli altri invece, appena avutala
tra le mani, cercavano con la forchetta di
ungere col sugo anche la parte esterna per
renderla appetitosa. Alla fine delle pizze
era finito anche il vino che Peppino aveva
messo in boccali di creta.
«Chi vuol venire in cantina con me?» disse Peppino -.
Tutti si precipitarono ma l’ospite disse
che dovevano attendere che lui accendesse
una candela perché in cantina non c’era luce
elettrica. Peppino affidò la candela accesa
a Mario e disse di precederli. Per una scala
a chiocciola di pietra che scendeva sotto il
pavimento della casa, Mario si avviò seguito dai compagni e da Peppino, che aveva
sempre la camicia bianca. Superati una
ventina di scalini, si trovarono in un locale
piuttosto ampio con botti di legno sistemate
su due file ed in un angolo alcuni bottiglioni
di varie dimensioni. La stearica riusciva ad
illuminare a malapena l’ambiente e i visi a
stento si distinguevano.
«Dai a me la candela – disse Peppino a
Mario – questa sera vi devo fare assaggiare
un vino speciale che spilleremo da questa
botte». Indicandone a destra una con dei
segni rossi di minio: «Voi prendete quelle
bottiglie là e man mano me le porgete
stando accanto a me». Peppino si acquattò
vicino alla botte dopo aver posato la stearica sulla parte alta della stessa fissandola
al supporto con un po’ di cera calda. Prese
un succhiello per fare un piccolo foro sulla
parte laterale e verticale della botte. Dopo
un po’ di sforzo era quasi arrivato. Lo si
comprendeva da qualche goccia di liquido
che cominciava a trasudare dall’ultimo
sottile strato di legno non ancora perforato.
Allora Peppino prese un piccolo tubicino
che aveva a portata di mano e lo tenne
pronto con la mano sinistra ad infilarlo non
appena avesse ritirato il succhiello.
Tutti i presenti cogli occhi fissi sull’operazione non si erano accorti che la candela,
evidentemente mal fissata, stava per cadere
a terra. E fu proprio quando cominciò a
zampillare il vino che la candela abbandonò
il suo precario supporto per precipitarsi
sulla mano di Peppino che, a contatto improvviso ed inaspettato della fiamma e della
cera calda, ritirò istintivamente il braccio
lasciando il tubicino subito sparato dalla
pressione del vino perché non ancora bene
incastrato.
«Mamma mia! Che è successo!» - gridò
Peppino. E mentre cercava di raccogliere
la candela che si era spenta nella caduta, il
vino usciva a fiotti inondandolo completamente.
Intorno era buio pesto e nessuno aveva
fiammiferi per riaccendere la candela.
Peppino intanto, riavutosi dalla perplessità
del primo momento, aveva otturato con il
palmo della sua mano il foro da dove usciva
il vino. Ma intanto nessuno sapeva andare
sopra a tentoni e risalire la scala a chiocciola, completamente al buio, per prendere i
fiammiferi. Infine si decise che uno di loro
avesse sostituito Peppino nel tenere otturato
il foro del vino, mentre il padrone di casa
andò sopra a prendere i fiammiferi.
Si riaccese la candela che fu tenuta in
mano da uno dei ragazzi per non rischiare
l’avventura precedente, nel contempo si
incastrò con cura il tubicino nel legno della
botte.
Peppino curvato in avanti riempiva le
bottiglie e gli ospiti contemporaneamente
gliele porgevano. Poiché la luce doveva
illuminare necessariamente l’angolo dove
venivano riempite le bottiglie in un passamano in fondo divertente, la parte posteriore del corpo di Peppino restò in ombra.
Distrattamente il ragazzo con la candela
si spostò in uno scambio di bottiglie illuminando per un attimo la schiena di Peppino.
Tutti scoppiarono in una irrefrenabile risata:
la camicia del padrone di casa era lunga
davanti e corta indietro!
La Rassegna d’Ischia 2/2009 49
Pagina poetica
Stupore
Esplosioni ardite
Snudate
Emancipate
Sfuggite alla cattura
Sguscianti repentine
Moti verticali anarchici
Improbabili
Diagonali caotiche
Disorientanti
Non stonate
Protese
Dalla prima
Le altre a susseguirsi
Infinite
Senza padrone
Stupore!
Non schivarle
Sentenziale amore
Subito
Ancora e ancora
Nutrilo tale
Caparbia
Delle più prelibate pietanze
Della molteplicità dei sapori
Di aromi calorosi
Lievi
Di bevande stimolanti
Sedanti
Deferente alle stagioni
Alla luce
Al buio
Alle penombre
Adattalo alla città
Nella folla sola
Nei monumenti consunti
Nuovi di zecca
Grigio spesso
Trasparenti
Alle montagne
Magnifiche
Insidiose
Agli ambienti marini
Tersi
Opachi
Vitali
Conturbanti
Nella pace
50 La Rassegna d’Ischia 2/2009
Nell’inquietudine
Esplosioni involute
Mortificate
Impassibili
Indifferenti
Laceranti
Pigre ustioni
Sorde alla libertà
In mani sconosciute
Scoppi strozzati nella terra
Materia informe
Subdola tenace viscosità.
Impensata la scoperta
Del mistero inespugnabile
Che ci divide
Che ci unisce
Stupore!
Miracolo in vista
Corriamo
Spiaggia deserta
Buio accecante
Luci in serie
Infinite
Mare non navigato
Nero
Contorna
Esalta
Le fiammelle
I nostri corpi
Assimilati a fari potenti
Dall’incedere modulato
Irradianti
Lo spazio lasciato
Il cammino a venire
Non una parola
Un passo falso
Ritmi regolari
Di piedi che premono
Ignorando la trasversalità
Per non mancare
La retta infinita
Finché il sole
Ci raggiunge
A creare ombre sulla sabbia
A confondere il cammino
A generare nuove simmetrie
Miracolo in vista!
Oggetti di mare
Oggetti di mare
Annaspano
Senza sosta
Nel magma
Di un corpo
Sostanza
Di umano
Non correre
Non c’è fretta
Si plasmano
Si trasformano
Impregnano
Rendono più saporito
Il tuo cuore
Qualcuno lo gusterà
Lo troverà
Acido
Gustoso
Commestibile
Tutto
Da godere
Cuore fobico
Siamo perduti
Nell’esuberante indefinito.
Minuti
Ore
Giorni
Anni
Peccano
Nell’individuare
La pluralità
Di rocce
Tronchi
Corde
Volti
Cui
È semplice
Aggrapparsi
Solo per un istante
Per sempre.
Anna Di Costanzo
18.00 Davide Tarizzo (ricercatore di Filosofia morale presso
l’Università degli studi di Salerno) - Come Darwin ha cambiato
la filosofia
Meristema
Evoluzione e biodiversità
a 200 anni dalla nascita di Darwin
Giardini Ravino 24, 25, 26 aprile 2009
Meristema è una manifestazione in cui professionisti,
amatori e collezionisti di piante succulente rare s’incontrano
per esporre le loro meraviglie botaniche, mentre studiosi di
diverse discipline illustrano e dibattono le loro tesi, incentrate, a vario titolo, sul tema della biodiversità in natura.
Evoluzione e biodiversità è l’argomento scelto per la II
edizione di Meristema, per commemorare il bicentenario
della nascita di Charles Darwin e il 150° anniversario della
pubblicazione della sua opera capitale, L’origine delle
specie, un libro che ha segnato una svolta nella storia del
pensiero occidentale.
Premio Ravino - Nel corso di Meristema, gli espositori
possono mettere in concorso i loro esemplari più interessanti,
che verranno giudicati da un’apposita giuria composta da
esperti del settore. Inoltre, anche il pubblico di Meristema
potrà indicare il proprio gradimento, indicando la propria
preferenza su una scheda da inserire in un’urna.
24 aprile 2009
Mattina - Inaugurazione
11.30 Giuseppe, Chris e Luca D’ambra (proprietari dei Giardini
Ravino) - Presentazione di Meristema e conferenza stampa
Pomeriggio - Convegno: Darwin e la scoperta della biodiversità, a cura del Circolo Sadoul di Ischia.
16.00 Elettra Carletti (responsabile delle attività culturali dei
Giardini Ravino) - Presentazione del Convegno
16.15 Ilia Delizia - Il Circolo Sadoul e i Giardini Ravino: i
motivi di una collaborazione
16.30 Barbara Continenza (docente di Storia del pensiero
scientifico presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “Tor Vergata” di Roma) - L’evoluzione biologica secondo
Charles Darwin
17.15 Pietro Greco (direttore del Master in Comunicazione
Scientifica presso la SISSA di Trieste) - Crocifiggere Darwin?
Sabato 25 aprile 2009
Mattina
10.30 Bruno Filippo Lapadula (architetto esperto in valutazione
d’impatto ambientale, professore di Storia del giardino e del
paesaggio all’Università “La Sapienza” di Roma) - Dal paradiso perduto alla scoperta dei paradisi: il giardino nel secolo
delle scoperte scientifiche:
1. Il Paradiso nella tradizione ebraico-cristiana e musulmana;
2. Il Paradiso medievale come luogo d’origine di tutta la flora
del mondo;
3. Il Giardino come imitazione del paradiso;
4. La trasformazione del Giardino in seguito alle esplorazioni
geografiche e alle scoperte scientifiche;
5. Bibliografia: Note per un’estetica del giardino di succulente.
Pomeriggio a cura dell’Associazione Cactus & Co.
16.00 Laura Guglielmone (curatrice dell’Erbario dell’Orto
Botanico di Torino) - Pelargoni succulenti e geofiti del Sudafrica.
17.00 Massimo Meregalli (dipartimento di Biologia Animale,
Università di Torino) - Alla ricerca di cactacee tra Argentina
e Uruguay.
18.00 Assemblea dei Soci CACTUS &Co.
21.00 Cena sociale dell’Associazione Cactus & Co. presso il
ristorante “Peppina” di Renato D’Ambra (prenotazione tassativa entro il 30 marzo)
Domenica 26 aprile 2009
Mattina - Convegno: La biodiversità locale
10.30 Paolo Guidetti (ricercatore presso la Scuola Superiore
ISUFI dell’Università del Salento) - Il Mediterraneo “punto
caldo” della biodiversità.
11.45 Giuseppe Sollino (botanico esperto di flora ischitana,
direttore del “Centro Ambiente Territorio” dei Giardini Ravino)
- Evoluzione degli ecosistemi dell’isola dell’Ischia: dalla colata
lavica alla pineta, dal vigneto al parco botanico.
Pomeriggio - Creazionismo e Darwinismo: un confronto socioculturale e religioso, in collaborazione con il M. E. I. C.
16.00 Massimiliano Ruzzeddu (esperto di epistemologia delle
scienze sociali, docente di Sociologia presso l’Università “Suor
Orsola Benincasa” di Salerno) - La cultura della natura: creazionismo e darwinismo
16.45 Pasquale De Toro (docente di Economia ed Estimo presso
la Facoltà di Architettura dell’Università “Federico II” di Napoli) - Il dibattito religioso tra evoluzionismo e creazionismo
Forio – La Corsa dell’Angelo -
Tra le ore undici e mezzogiorno una
folla nume­rosa si raccoglie sui due lati
della strada princi­pale che inizia dopo
la chiesa di Santa Maria di Loreto.
Lungo questa strada, portate in spalla dagli uomini, due statue di legno
dipinte avan­zano lentamente. Rappresentano le figure di San Giovanni e di
Maria Vergine, i cui volti sono co­perti
da un grande velo nero. Davanti a loro
pro­cede la Congregazione di S. Maria
Visita­poveri in lunghe bianche cotte;
e in mezzo a loro è portato un grande
Angelo dorato; e per ultima una statua
di Cristo, risorto e trionfante. Ad un
determinato segnale lo stendardo della
Forio vista dal Torrione
Congre­gazione è fatto ondeggiare;
il Cristo rimane fer­mo; e l’Angelo,
dopo essersi inchinato di fronte a Lui in segno di saluto, gira ed è portato in piena
velocità attraverso il passaggio lasciato dagli spettatori ad annunciare alla Vergine
che suo Fi­glio è risorto. La Vergine rifiuta di credere, e l’An­gelo ritorna dal Cristo a
dirGli malinconicamente del suo insuccesso. Di nuovo va dalla Vergine, ma di nuovo del tutto invano e ritorna; ma è mandato ancora nella sua urgente missione alla
Santa Madre che ora comincia, mezzo titubante, a muoversi lentamente in avanti.
Gioiosamente l’Angelo riporta questo al Figlio che ancora una volta lo spedisce per
incoraggiare San Giovanni e Sua Madre; ambedue finalmente credono, e ac­corrono
per vedere da sé la grande verità.
Durante questa scena curiosa della rappre­sentazione del miracolo, il popolo continua a cantare sonoramente il Regina Coeli; ed all’in­contro della Madre e del Figlio
il velo della Ver­gine è fatto cadere, colombi e piccoli uccelli sono lasciati volare
intorno, da ogni finestra e da ogni tetto si gettano coriandoli, e dai campanili le
campane annunciano che la cerimonia è finita. Poi gradualmente la massa di persone umane nel loro brillante vestito di festa sembra sciogliersi e svanire come un
caleidoscopio che si dissolve, e le strade riprendono il loro tranquillo carattere.
(A. & S. Fitzgerald, Naples, 1904. Testo riportato in Ischia e Capri – Imagaenaria Edizoni
Ischia, 2008)