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Direttore Responsabile: Mario Rozza
Tr i m es t r a l e d i
s a l u te e benesse r e
La voce del sangue
febbraio 2008
www.adosanpaolo.it
Donare
sangue,
ricevere salute
Tutti possono donare una piccola
parte del loro sangue.
È un semplice gesto per chi
dona (nessun dolore, nessuna
controindicazione e il sangue si
riforma rapidamente) e un regalo
immenso per chi lo riceve e può
proseguire la sua vita con una
malattia cronica, riprendersi da
un serio incidente o superare con
successo un intervento chirurgico.
Un’adeguata e sicura provvista di plasma e derivati significa la differenza
fra la vita e la morte per chi è sottoposto a una operazione chirurgica.
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I VANTAGGI DI DARE
Chi dona il sangue si mantiene in salute e ben controllato. Per esempio a
ogni donazione vengono valutate le
transaminasi. Per quale ragione?
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IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO
L’Unità di chirurgia maxillo-facciale
è uno dei punti di eccellenza dell’azienda ospedaliera universitaria
San Paolo.
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TENERSI IN SALUTE
Tutte le persone fra i 18 e i 60 anni che pesano
oltre 50 chili possono presentarsi dalle 8:00
alle 12:00 dal lunedì al sabato al Servizio
Trasfusionale dell’Ospedale San Paolo (via di
Rudinì, 8 Blocco D, piano interrato).
Il Servizio è aperto anche la prima e la terza
domenica di ogni mese.
La donazione è preceduta e seguita da
un’attenta visita medica e da una lunga serie di
esami del sangue.
Anno 2 - Numero 1 - Milano
A COSA SERVE
Chi dona sangue almeno due volte ogni anno
imposta su solide basi la sua capacità di
prevenire le malattie. Ha, insomma, una marcia
in più rispetto agli altri.
Per informazioni telefonare allo 02.8184.4209 o
aprire la pagina www.adosanpaolo.it.
Una brutta tosse che non passa può
essere il sintomo di una malattia chiamata BPCO. Se è così, meglio trattarla in tempo.
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BENESSERE
A Milano numerosi Centri benessere
e ‘spa’ aiutano chi vuole sentirsi in
forma e dimenticare gli affanni e lo
stress.
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CULTURA
La parola sangue è un vero crocevia
di simboli, miti e significati, forse perchè coinvolge paure e desideri radicati dentro la nostra psicologia.
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ALTRE PASSIONI
Quattro itinerari a piedi tra le colline e
i boschi del Varesotto. Camminate tra
laghi e paesaggi che allargano, letteralmente, il cuore.
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A COSA SERVE
Meno male che ci siete voi!
O
ggi una larga parte degli interventi chirurgici viene realizzata
con tecniche mininvasive. Grazie a
ciò le degenze post-operatorie sono
divenute più brevi ed il recupero del
paziente più veloce; inoltre il minor
trauma consente un ricorso meno
frequente alla emotrasfusione. Ma
poiché il numero degli interventi continua ad aumentare, aumenta in conseguenza il fabbisogno di sangue.
Oggi gli interventi chirurgici programmati sono
realizzati in modo meno invasivo, consentono un recupero
più veloce del paziente e prevedono meno spesso il ricorso
al sangue trasfuso. Ma il loro numero continua
ad aumentare e se non ci fossero i donatori sarebbe
difficile eseguire tutti gli interventi necessari.
Le Unità di chirurgia
sono fortunate
a poter contare
su un Centro
trasfusionale
che funziona
ottimamente e su
un gran numero
di persone che
donano il sangue
consentendoci
di lavorare senza
preoccupazioni.
A fronte di questo aumento, purtroppo, le donazioni tendono a diminuire (non al San Paolo ma in
Italia). «La popolazione invecchia
e sempre più persone entrano nelle
fasce di età in cui è più probabile
si debbano effettuare interventi»,
commenta il Prof. Carlo Corsi, Direttore del Dipartimento di Chirurgia
e dell’Unità Operativa complessa di
Chirurgia 1 dell’azienda ospedaliera San Paolo.
Aumentano soprattutto gli interventi
‘d’elezione’ quelli cioé programmabili nel tempo. Al San Paolo vengono effettuati ogni anno circa 6
mila interventi in regime di ricovero
ordinario e molte migliaia in regime
di day surgery. «Oltre la metà sono
interventi ‘programmati’», afferma
Corsi. La struttura da lui diretta, con
7 medici e 13 infermieri realizza
ogni anno circa mille interventi chirurgici.
La domanda di sangue sarebbe aumentata in maniera esponenziale
se la chirurgia in questi decenni non
si fosse orientata verso tecniche
che riducono la perdita di sangue e
quindi il ricorso alle trasfusioni.
«Oggi negli interventi elettivi ci si
sforza in ogni modo di ridurre il sanguinamento», spiega Corsi, «così
come si punta a favorire un più veloce recupero funzionale per ridurre
le conseguenze negative di un allettamento e i disagi del paziente e
di contenere i costi della degenza.
Quando possibile ricorriamo anche
all’auto-trasfusione: il sangue del
Perché abbiamo davvero bisogno
Il professor Gianalessandro Moroni dirige il Servizio Trasfusionale e Laboratorio di Ematologia
dell’azienda ospedaliera e polo
universitario San Paolo di Milano,
che conta 55 operatori tra medici, infermieri, biologi e tecnici di
laboratorio, a cui si aggiungono
numerosi volontari.
Che ruolo svolge il donatore?
Il donatore è una componente essenziale del sistema sanitario di
un Paese. È una formica che con
il suo gesto silenzioso rende possibile quei miracoli della terapia e
della chirurgia che sono il vanto di
un Paese civile e rappresentano
la vita per milioni di persone.
L’Italia è fra i primi o fra gli ultimi
in Europa sotto questi aspetto?
L’Italia ha una grande tradizione
nella donazione del sangue, da
trent’anni il Paese ha scelto senza
incertezze l’istituto della donazione
volontaria non retribuita dal 1990 in
sintonia con l’Europa. Pochi sanno
che la raccolta e la lavorazione del
sangue sono regolati da una direttiva della Comunità europea, solitamente restia a intervenire in campo
sanitario. Nonostante questa tradizione, l’Italia è agli ultimi posti fra
i 25 paesi dell’Unione europea in
termini di donazioni/anno per mille
abitanti: 29 contro una media europea di 42.
Per quali ragioni?
Una ragione ‘tecnica’ è data dall’invecchiamento della popolazione.
Una quota sempre maggiore della
popolazione entra in quelle fasce di
età in cui donare sangue non è più
consigliabile, e le ‘classi’ di giovani che a 18 anni possono iniziare a
pensare a questo istituto sono meno
popolose. Forse c’è anche una ragione psicologica o sociale, meno
generosità meno solidarietà, meno
tempo. Si tratta evidentemente di
fattori modificabili, lo dimostra il fatto che mentre il numero di donazioni effettuate in Italia e in Lombardia
– ma anche a Milano – scende, o è
stabile, il numero dei nostri donatori
cresce.
È necessario comunque che sempre più persone donino sangue?
Il fatto è che aumenta il numero di
interventi chirurgici programmati e
di urgenza, per non parlare delle
malattie croniche o di quelle cronico degenerative (come certi tumori), che comportano una domanda
fortissima di sangue e di derivati.
Vogliamo curare tutti sempre meglio, non vogliamo lasciare indietro
nessuno e questo è giusto ed è degno di una società civile e di un Servizio sanitario universale e gratuito.
Per raggiungere questo obiettivo
però ci vuole anche un atto di generosità: la donazione appunto.
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A COSA SERVE
News dalla
ricerca medica
Attenzione agli integratori alimentari
Sempre più diffuso nei Paesi Occidentali è l’utilizzo di integratori alimentari contenenti metalli e vitamine ad azione antiossidante, pubblicizzati come dei concentrati di forza e in grado di prevenire o, almeno,
rallentare i processi di invecchiamento. Da una recente meta-analisi
è emerso che l’utilizzo continuato di integratori alimentari contenenti
betacarotene, vitamina A e vitamina E, non solo non esercita alcun
ruolo protettivo per la salute, ma addirittura aumenta la mortalità nella
popolazione in studio. Poco o nulla può invece essere affermato per
quanto riguarda un eventuale ruolo benefico o dannoso della vitamina
C e del selenio. (Fonte: JAMA 2007; 297: 842-857).
Carlo Corsi, primario della Unità operativa complessa Chirurgia 1
dell’Azienda Ospedaliera San Paolo
paziente prelevato con un certo
anticipo rispetto alla data dell’intervento viene conservato per poter
essere utilizzato, ove occorra, durante l’intervento o la degenza post
operatoria».
Le tre Unità Operative complesse
di Chirurgia Generale dell’Ospedale San Paolo effettuano una vasta
gamma di interventi con una tendenza sempre più diffusa alla differenziazione per patologia. La struttura
diretta dal professor Carlo Corsi ha
sviluppato negli anni la propria vocazione verso la chirurgia gastroenterologica e colon rettale pur non
rinunciando all’impegno verso altre
branche della chirurgia, quali per
esempio quella endocrina.
«Per quanto si cerchi di ridurre al minimo la ‘perdita di sangue’, gli interventi che prevedono l’asportazione
di gran parte o di tutto lo stomaco o
di un tratto importante dell’intestino
richiedono l’apporto di una banca
del sangue», afferma Corsi, aria da
gentiluomo d’altri tempi, una certa
somiglianza con il professor Umberto Veronesi, «le tre chirugie del San
Paolo sono fortunate a poter contare su un Centro Trasfusionale che
funziona ottimamente e soprattutto
su un gran numero di persone che
donano il sangue consentendoci di
lavorare senza preoccupazioni»,
afferma Corsi, «non voglio pensare cosa succederebbe se il nostro
o altri ospedali lombardi si trovassero improvvisamente senza una
adeguata riserva. Forse dovremmo rimandare interventi importanti
con grave pregiudizio per la salute
del paziente. Non oso immaginare
cosa succederebbe se non ci fossero tante persone di qualità che una
o due volte l’anno vengono qui al
San Paolo e con la loro generosità
consentono a noi chirughi di lavorare serenamente e ai pazienti di ottenere le terapie migliori esistenti per
le loro patologie», conclude Carlo
Corsi.
La ‘pennichella’ fa bene al cuore
Così almeno sostengono i dati di uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Archivies of Internal Medicine e condotto dal dipartimento
di Epidemiologia e Igiene dell’Università di Atene. Lo studio, che ha
coinvolto 23.681 soggetti di nazionalità greca per un periodo medio di
circa 6,3 anni, ha dimostrato che l’abitudine al sonnellino pomeridiano
è inversamente associata alla mortalità cardiaca da cause coronariche. L’effetto ‘cardioprotettore’ della siesta è risultato particolarmente
evidente nei maschi. (Fonte Arch. Intern. Med. 2007; 167: 296-301).
Telefoni cellulari e tumori
Un nuovo studio ha confermato per l’ennesima volta che non esiste
un’associazione tra l’uso di telefoni cellulari, anche prolungato, e lo sviluppo di tumori quali quelli del cervello, dell’occhio, del nervo acustico
(neurinomi), delle ghiandole salivari o leucemie. I dati di questo studio
sono stati ottenuti su una popolazione danese di ben 420.095 soggetti.
(Fonte: J. Natl. Cancer Inst. 2006; 98: 1707-1713).
Riscaldamento globale e malattie infettive
Il riscaldamento globale del nostro pianeta contribuisce in maniera importante alla diffusione delle malattie infettive, con conseguenze che
si sono fatte sentire a partire già da una decina di anni. Nel prossimo
futuro c’è da aspettarsi una crescita dei casi di malaria anche in regioni
montagnose, infezioni da virus influenzale di durata quasi annuale nelle zone equatoriali e una diffusione su larga scala di nuovi virus quali
il West Nile e il Chikungunya, già venuto alla ribalta nel nostro Paese
alla fine di quest’estate (Fonte: Agenzia France-Presse).
del vostro sangue
Tutti possono donare sangue?
Praticamente tutti dai 18 anni in su.
Esiste un limite a 55 anni per le prime donazioni ma si può continuare anche dopo. Ci sono condizioni
croniche e acute che sconsigliano
o impediscono la donazione mentre
non prevediamo controindicazioni
in termini di attitudini sessuali, per
esempio, e tantomeno appartenenze etniche. Prima di ogni prelievo effettuiamo un gran numero di analisi
e controlli e, se si tratta della prima
volta, anche una visita medica completa. L’Italia in questo si distingue
da altri Paesi. Non vogliamo solo
garantire la qualità del sangue donato ma vogliamo anche svolgere
un servizio a favore del donatore
È così semplice? Basta presentarsi al Centro Trasfusionale?
Certo, basta passare da noi. Una
telefonata preventiva è gradita, ma
non mandiamo via nessuno. Il nuovo donatore si può iscrivere all’Ado
o a un’altra associazione.
Oltre agli altri vantaggi di cui parleremo magari nei prossimi numeri di
ADO News avrà un check-up completo della sua salute.
Vale la pena di aggiungere che il
sangue donato si riforma immediatamente, senza nemmeno bisogno
di un’alimentazione particolare, anzi,
la donazione è una benefica scossa
al sistema ematopoietico.
Insomma donare fa bene anche a
chi dona.
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I VANTAGGI DI DARE
Le transa… che?
Chi dona il sangue effettua gratis in occasione di ogni
donazione il test delle transaminasi, una coppia di enzimi
la cui presenza oltre certe soglie permette di diagnosticare
condizioni frequenti e importanti che spesso non danno
altri sintomi. Cerchiamo di saperne di più.
Gratis per chi dona
Diventare donatore di sangue è anche un’ottima occasione per tenere
sotto controllo la propria salute e
per scoprire, ai primissimi sintomi,
eventuali patologie.
Presso il Servizio Trasfusionale
dell’Ospedale San Paolo, tutte le
persone che decidono di donare il
sangue ricevono a ogni donazione
i seguenti accertamenti diagnostici
gratuiti:
visita medica
determinazione del gruppo sanguigno e del fattore Rh (prima e
seconda donazione)
test di Coombs indiretto (IAT)
test di Coombs diretto (DAT)
esame emocromocitometrico com­
pleto
controllo delle transaminasi (AST
e ALT)
HBs Ag
anti-HBc
anti HCV
anti HIV 1/2
anticorpo anti treponema (TPHA)
HBV DNA-NAT
HCV RNA-NAT
HIV RNA-NAT
colesterolo totale
trigliceridi
protidemia totale
glicemia
azotemia
creatinina
sideremia
ferritina
PSA - totale
In occasione di ogni donazione viene effettuata un’accurata visita medica per accertare le buone condizioni di salute del donatore. La visita
rappresenta un momento di tutela
sia del donatore, sia per il paziente
che deve poter ricevere il sangue da
soggetti non infetti e non a rischio
di infezione. Inoltre, alla prima donazione e periodicamente, vengono
effettuati elettrocardiogramma e Rx
torace. I risultati degli esami vengono spediti per posta all’indirizzo
indicato dal donatore oppure possono essere ritirati personalmente dal
donatore presso la segreteria del
Servizio trasfusionale.
T
ra i test effettuati di routine su
tutti i campioni di sangue donati
ci sono le cosiddette ‘transaminasi’.
Il controllo delle transaminasi non
è teso tanto a garantire il sangue e
quindi la persona cui verrà trasfuso,
ma fa parte soprattutto delle attività
di screening realizzate a favore della persona che dona il sangue.
Ma cosa sono queste
transaminasi e perché può
essere utile controllarle?
Le transaminasi (o aminotransferasi) sono una sotto-sottoclasse che
comprende diverse decine di enzimi. Quelle abitualmente utilizzate in
campo clinico-laboratoristico sono
la AST (sigla di aspartato amino-
transferasi, nota anche con la sigla
GOT) e la ALT (acronimo di alanina aminotransferasi, detta anche
GPT).
Le transaminasi vengono rilasciate
nel sangue quando la cellula muore o è sottoposta a una infezione.
Qualcuno ha definito le transaminasi, in modo efficace, ‘i necrologi delle
cellule’. Le transaminasi si trovano
ovunque nell’organismo ma le due
che interessano a noi sono presenti
in misura particolare in alcuni organi: la AST è localizzata nel fegato,
nel miocardio, nel rene, nell’encefalo e nella muscolatura scheletrica;
la ALT è presente in concentrazione
molto più elevata nel fegato che negli altri tessuti.
È per questo che le transaminasi
sono frequentemente usate in medicina al fine di evidenziare la presenza di un danno epatico.
Una certa quota di transaminasi è
normalmente presente nel sangue.
Un livello superiore alla norma di
transaminasi può (e sottolineiamo il
‘può’) evidenziare una epatite acuta,
una epatite cronica, una epatopatia
tossica, una colestasi intraepatica o
una mononucleosi infettiva.
Cosa vuol dire ‘superiore alla
norma’?
I valori di riferimento sono:
AST (Got) da 10 a 45 Unità internazionali per litro;
ALT (Gpt) da 10 a 43 Unità internazionali per litro.
Tali valori possono essere comunque differenti a seconda dei laboratori e delle metodiche utilizzate
per la rilevazione. Chi ritrova, in un
esame casuale, un valore di AST o
ALT superiore alla norma non deve
necessariamente preoccuparsi. Le
transaminasi potrebbero essere
‘mosse’ a causa di un banale strappo muscolare avvenuto nei giorni
precedenti (o di un esercizio fisico
intenso nel giorno precedente). Anche una ingestione di alcol nelle ore
o nel giorno precedente potrebbe
aver mosso le transaminasi.
Se qualcosa non funziona.
Se il livello di transaminasi è molto
alto (es. più del triplo rispetto al valore limite) è necessario procedere
immediatamente a ulteriori accertamenti, se è più basso, è necessario
ripetere il test dopo qualche giorno.
Se il secondo test rivela un dato
perfettamente nella norma ci si può
mettere il cuore in pace. Se invece
i valori rimangono alti qualcosa non
sta funzionando come dovrebbe.
SETTE DOMANDE E SETTE RISPOSTE
➊ Cosa sono queste
transaminasi?
➋ Perché a ogni donazione si
controllano le transaminasi?
➌ Le transaminasi ‘alte’ sono per
forza segno di una malattia?
Degli enzimi che sono rilasciati
in maggiore quantità quando una
cellula muore o è sottoposta ad
attacco da un virus. Sono insomma i ‘necrologi delle cellule’.
Lo si fa nell’interesse del donatore.
Si tratta infatti di un esame utile per
rilevare condizioni e malattie che
spesso non danno sintomi.
No, uno strappo muscolare, una
ingestione di alcol abbondante possono causare un temporaneo aumento delle transaminasi.
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I VANTAGGI DI DARE
Che cosa?
Le cause più probabili di un aumento delle transaminasi sono, come
detto:
una epatite acuta (probabile qualora il dato sia molto alto, diciamo
superiore a 150)
una epatite cronica (più probabile
se il dato è compreso tra il valore
di norma e 100-150).
Come fare per andare a fondo del
problema?
La prima cosa da fare è... già stata fatta. Il Centro trasfusionale del
San Paolo provvede infatti automaticamente a effettuare su tutti i campioni di sangue donati una analisi
estremamente sofisticata (utilizza
le tecniche della biologia molecolare) detta HCV-RNA per verificare
l’eventuale presenza del virus della
epatite C, oltre ai test meno sofisticati ma sempre importanti che permettono di rilevare la presenza del
virus dell’epatite A e dell’epatite B.
Il test soprattutto dell’HCV richiede
qualche decina di ore ed è disponibile quindi nell’arco di uno o due
giorni dal prelievo.
La seconda indagine utile è una
ecografia addominale, un esame di
diagnostica per immagini per nulla
fastidioso o invasivo.
Sulla base del referto dell’ecografia
e degli esami del sangue è possibile diagnosticare la presenza di una
epatopatia (malattia del fegato).
L’epatite A, caratterizzata da una
fase acuta e sintomatica, di rado è
rilevata per caso (il paziente quasi
sempre sta male e si fa visitare).
Le epatiti B e C invece, così come
l’epatopatia alcolica e le steatoepatiti, sono malattie croniche spesso
prive di sintomi e molto frequenti (si
parla di milioni di persone sia per
le epatiti B e C sia per la steatoepatite).
Quel foie gras è mio.
La steatosi epatica è caratterizzata da infiltrazioni di grasso nel fegato. Persone molto sovrappeso (e
spesso con trigliceridi alti) si trovano il fegato spiacevolmente simile a
quello delle oche da ingrasso che ci
forniscono appunto il foie gras.
I depositi di grasso nel fegato sono
facili da vedere, all’ecografia assumono infatti un aspetto brillante.
La steatosi (presenza di grasso nel
fegato) regredisce riducendo il peso
e il tenore di grassi nell’alimentazio-
ne o può procedere senza necessariamente avere esiti gravi. Può però dare luogo a una
vera epatite.
Il grasso insomma non si
limita a togliere spazio al
fegato (che si ingrossa anche visibilmente) ma uccide le cellule del fegato. Si parla in questo caso di
Nash, sigla inglese per steatoepatite non alcolica.
La Nash è una
complicanza seria anche perché il
fegato svolge un ruolo centrale nel metabolismo
dei grassi e degli zuccheri, rendendo ancora più difficile per il paziente tenere sotto controllo la glicemia
e il colesterolo.
Alzare il gomito, abbassare
il fegato.
L’epatopatia alcolica è la ‘logica
conseguenza’ di un eccessivo consumo di alcol. Ogni ingestione di alcol è tossica per il fegato ma se la
quantità è moderata e senza ‘punte’
di consumo il fegato tutto sommato
ce la fa.
Meglio bere 3 grammi di alcol (un
bicchiere di vino al giorno), che 21
(un bicchierone di gin tonic) alla settimana. Se l’introito alcolico aumenta, gli effetti possono farsi sentire e
provocare una graduale deformazione del tessuto epatico (del fegato) chiamata cirrosi.
La cirrosi (chiamata così perché
nel fegato si formano delle ‘nuvole’
di tessuto cicatriziale al posto delle cellule del fegato) è un processo
lento e praticamente inarrestabile
che lede, una dopo l’altra, tutte le
importantissime funzioni di questa
centrale chimica dell’organismo che
è il fegato. Insomma, meglio fare di
tutto per non arrivarci.
L’ABC dell’epatite.
E arriviamo ora all’epatite C. Per
fortuna, abbastanza frequentemente il virus chiamato HCV è tenuto a
bada dalle difese immunitarie dell’organismo. La persona con epatite C non attiva ha, generalmente,
transaminasi dentro o di pochissimo superiori, ai valori di norma.
Farà bene ad astenersi dall’alcol,
persone con HCV (attivo o meno)
devono inoltre osservare le dovute
precauzioni nei rapporti sessuali.
Il rischio principale per la persona
con HCV cronica attiva è costituitodalla cirrosi e dall’epatocarcinoma.
Il foie gras
(fegato grasso)
delle oche è una
leccornia ma avere
il fegato grasso, condizione
spesso segnalata dalle
transaminasi, non è altrettanto
piacevole.
a controllare le transaminasi ogni
anno, a sottoporsi di tanto in tanto a
una ecografia epatica e a vaccinarsi
contro la epatite B.
Se la epatite C è cronica e attiva,
allora i controlli delle transaminasi
vanno fatti ogni tre mesi, l’ecografia
epatica ogni sei e, almeno alla diagnosi, occorre una biopsia epatica.
L’ecografia permette di rilevare l’andamento del danno al fegato in tre
modi: attraverso le dimensioni del
fegato, attraverso il profilo esterno
dell’organo e attraverso la valutazione della sua vascolarizzazione.
È possibile quindi seguire con attenzione l’andamento della malattia.
Le nostre amiche transaminasi, così
utili per diagnosticare la malattia
all’inizio, rappresentano invece un
indicatore abbastanza scadente del
suo andamento. Picchi con valori
superiori a tre volte il valore limite
vanno seguiti con attenzione, ma è
perfettamente possibile che una significativa degenerazione del
fegato avvenga pur mantenendo le transaminasi
basse (a valori di poco
superiori alla norma).
Sobria e controllata.
La persona con epatite C
non deve assolutamente mai
più toccare l’alcol e farà bene ad
avere una alimentazione sana. Le
Le terapie.
Premesso che il virus della HCV
va genotipizzato (esistono diverse
famiglie di virus con diversa capacità di resistere alle cure) la persona
con HCV attivo può essere trattata
almeno sei mesi con ribavirina e
interferone (meglio se pegilato). Si
tratta di una terapia un po’ pesante
ma che circa nel 60% dei casi garantisce la guarigione completa.
Un caso su 100.
Come tutti gli articoli di medicina
anche questo vi avrà spaventato
a morte. E forse inutilmente. Nella
pratica del Centro trasfusionale dell’ospedale San Paolo il virus HCV
è rilevato circa in un campione di
sangue ogni 100.
Una steatosi tale da muovere le
transaminasi invece, va indagata
perché si tratta di una condizione
facile da curare e che, non curata,
contribuisce a moltiplicare il rischio
cardiovascolare già alto in una persona sovrappeso o con una alta
produzione di trigliceridi.
Chi deve controllarle.
A chi consigliare di ‘fare le transaminasi’? “A tutti” è la risposta, perché il
virus HCV è presente in ogni fascia
di età (non si tratta di una malattia
a trasmissione solo o prevalentemente sessuale), magari accompagnato da una determinazione degli
anticorpi anti-HCV.
Le persone sovrappeso dovrebbero
controllare ogni anno o due le transaminasi, soprattutto se il loro sovrappeso è situato sul ventre.
La tipica pancetta dei maschi sopra i 40 anni che si concentra sotto l’ombelico come un K-way non
provoca drammi quando si sale
sulla bilancia ma è sufficiente per intasare il fegato di
grasso.
Il fegato è infatti uno dei
pochi organi che riceve
sangue ‘usato’ da altri organi. Le cellule grasse dell’addome scaricano trigliceridi
e grassi nella vena porta che afferisce appunto al fegato.
➍Q
uali problemi possono
indicare però?
➎ Come si fa una diagnosi?
➏ Sono condizioni serie?
➐ A chi posso consigliare di
controllare le transaminasi?
Più frequentemente problemi al fegato. Le cause più probabili sono:
una epatopatia steatosica (troppi
grassi che dalla pancia passano nel
fegato e lo intasano), da alcol o da
virus dell’epatite B o C.
La determinazione della presenza
del virus della epatite C o B effettuata di routine dal Centro trasfusionale del San Paolo, insieme a una
ecografia epatica, aiutano a definire
rapidamente la diagnosi che verrà
poi precisata con altri test.
Chi ha una epatite deve astenersi
completamente dall’alcol. L’epatite
C in una discreta quota dei casi è
tenuta in equilibrio dal sistema immunitario dell’organismo. Se è ‘attiva’ può essere curata con una terapia (interferone e ribavirina) che ha
successo in circa il 60% dei casi.
Tutti potrebbero avere l’epatite B o
C. Le persone sovrappeso, soprattuttp con grasso addominale sono
a rischio di steatosi. Le persone
che amano bere, sopattutto superalcolici, potrebbero avere sviluppato una epatopatia alcolica.
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IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO
Inaugurata ufficialmente il 7 febbraio del 1979,
l’Azienda Ospedaliera
San Paolo di Milano
serve un bacino di circa
500 mila persone nel sud
della città di Milano e nei comuni
confinanti. Dispone di 635 posti letto di degenza di cui 87 in day hospital o day surgery.
Pur avendo quasi trent’anni il San
Paolo è percepito dai milanesi correttamente come il ‘nuovo ospedale’
di Milano. Merito della linea moderna progettata nei primi anni ’70 dallo studio Casati, dell’attenzione posta agli spazi comuni e di degenza
(in particolare nel dipartimento materno infantile) ma anche dalla sua
natura di Centro di insegnamento
universitario.
Dal 1987, infatti, il San Paolo è Polo
Universitario, sede della Facoltà di
Medicina, Chirurgia e Odontoiatria
ospitando gli insegnamenti del corso di laurea in Medicina e Chirurgia
e di Odontoiatria e di diverse Scuole di Specializzazione per esempio
Oculistica, Pediatria e Cardiologia.
Senza tenere conto di altre figure
quali i Dottorandi, i titolari di Assegni di Ricerca e di Borse di Studio,
si può dire che 1000 studenti vengono formati al San Paolo e si aggiungono alle circa 1800 persone
che lavorano al San Paolo (361 medici, 661 infermieri, 373 persone di
supporto all’assistenza e 393 tecnico/amministrativi).
Riconosciuto dal Ministero della Salute quale ‘Ospedale di rilievo Nazionale’ il San Paolo ha condotto
nel 2007 7.600 interventi chirurgici e 4.372 di day surgery, 1.204.137
prestazioni ambulatoriali e 350.460
di Pronto soccorso.
L’Ospedale San Paolo è sede di diversi Centri di riferimento regionale:
labiopalatoschisi (Chirurgia Maxillo
Facciale), infezioni da HIV pediatriche e in gravidanza, diagnosi prenatale, fenilchetonuria, dislipidemie,
glicogenosi e galattosemia, epilessia, retinite pigmentosa. Molte delle quasi 1500 prestazioni effettuate
a pazienti provenienti da altre regioni afferiscono proprio a questi e altri
Centri di altissima specializzazione.
Un aspetto curioso del San Paolo
che con la sua mole è uno dei più
grandi edifici nell’area sud della metropoli milanese, è la presenza dell’unico Centro di Medicina penitenziaria esistente in Italia.
Regalare un sorriso
La chirurgia maxillo-facciale è uno dei punti di eccellenza
dell’azienda ospedaliera San Paolo.
L’Unità operativa complessa diretta dal professor Roberto Brusati
effettua 700 interventi chirurgici all’anno ed è Centro
di riferimento regionale per la cura delle labio-palatoschisi.
L
a chirurgia maxillo-facciale interviene sia sulla struttura ossea
della faccia e del cranio che sulle
parti molli di faccia, collo, cavo orale. «È facile che la gente ci confonda con i chirurghi estetici, con i neurochirurghi, con i dentisti», spiega
Roberto Brusati, 67 anni docente di
Chirurgia maxillo-facciale all’Università di Milano e alla scuola di specializzazione in chirurgia, «in realtà
siamo un po’ di tutto questo ma soprattutto qualcosa di diverso».
Nata negli anni ’70, la chirurgia
maxillo-facciale è stata sviluppata
in parte proprio da Brusati nei suoi
25 anni alla guida della specialità
presso il Policlinico universitario
di Parma e dal 1995 a oggi al San
Paolo. L’équipe diretta da Brusati
che comprende 7 medici, 5 specializzandi e 24 operatori sanitari,
effettua ogni anno circa 200-250 interventi di asportazione di tumori (al
viso, lingua e palato per esempio).
Impegnativi gli interventi di ricostruzione delle strutture necrotizzate a
seguito dell’utilizzo di cocaina. La
droga che viene appunto aspirata
e si deposita all’interno del naso
‘brucia’ dapprima le mucose e poi
via via la parete cartilaginea del
setto nasale e il diaframma osseo
sottostante fino a ‘bucare’ l’arcata
del palato. «Parliamo di processi
distruttivi molto gravi, guai a pensare che la cocaina sia un droga ‘pulita’», avverte Brusati che è cugino
del regista Franco Brusati.
Altri 200-250 interventi sono dovuti a traumi. «Per fortuna il ricorso a
cinture e caschi ha ridotto i traumi
da incidente ‘su strada’. In compenso rischiamo di più negli sport e nel
tempo libero». L’équipe di Brusati ricostruisce ossa e cartilagini di
persone cadute dalla mountain bike
o che hanno avuto rovinose cadute
sciando o giocando a rugby. «Non
manca poi la classica ‘scazzottata del sabato sera’ fra giovani che
non sempre si conclude solo con il
classico occhio nero», commenta
Brusati.
Con tutto il rispetto per gli interventi
finora descritti, la parte più interessante (e perfino commovente) del
lavoro svolto all’ottavo piano del
blocco B del San Paolo, è l’attività
svolta in ambito pediatrico (circa un
terzo dei casi e un po’ più delle degenze) nella risoluzione delle malformazioni e delle deformità.
In particolare la chirurgia maxillofacciale del San Paolo è famosa
in Europa per la risoluzione delle
labio-palatoschisi. Si tratta di una
malformazione che consiste nella
mancata separazione fra l’arcata
superiore della bocca (labbra e palato) e il naso. Non si tratta di chirurgia estetica: la labio-palatoschisi
oltre chiaramente a deformarlo nell’aspetto, impedisce al bambino di
succhiare e, successivamente, di
parlare correttamente
La malformazione appare in un
caso ogni 700 nati in Italia. Solo in
un quarto dei casi c’è familiarità, più
spesso la malformazione è dovuta
a malattie virali o all’uso di sostanze
con effetti teratogeni durante i primi
due mesi di gravidanza, ai farmaci,
all’abuso di alcol, al fumo e perfino
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IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO
alla vitamina A ad alte dosi durante
la gestazione.
La malformazione è visibile dall’ecografia. Brusati non nasconde
di ricevere genitori angosciati dalla prospettiva di dare alla luce un
bambino ‘diverso’. «Io posso dire
poco di rilevante a queste madri:
spiego come avviene l’intervento e
che risultati ha ma, soprattutto, le
accompagno in corsia dove trovano
una o più madri che hanno portato
a termine la gravidanza e attendono l’intervento del figlio o lo hanno
appena effettuato. Nel 99% dei casi
dopo un anno la mamma torna qui.
Con il neonato».
L’intervento classico si svolge in due
tempi e comprende una ricostruzione completa non solo del del labbro
e della narice ma di tutta l’arcata
ossea superiore e del palato. «Si
interviene a sei mesi su tutte le parti
molli e a due-tre anni sulla struttura ossea», spiega Brusati che ha
sviluppato recentemente una metodica che consente di effettuare in
un’unica soluzione i due interventi.
«Nella maggioranza dei casi lo sviluppo del bambino avviene senza
nessun problema, in qualche caso
occorre un ausilio per la fonazione
e, qualche volta, un ulteriore interevento di messa a punto del mascellare superiore iposviluppato finita la
crescita».
Il San Paolo è sede del Centro di
riferimento regionale per la labiopalatoschisi. Questo significa che
tutti i casi di labio-palatoschisi diagnosticati in Lombardia dovrebbero essere portati in via di Rudinì.
«Questo purtroppo non avviene»,
afferma con rammarico Brusati,
«noi facciamo 60 casi nuovi all’anno, 20 dei quali a pazienti di altre
regioni. Copriamo quindi un sesto
della domanda che è stimata in 250
casi annui solo in Lombardia». In altre Regioni come l’Emilia Romagna
dove opera il Centro di riferimento
creato da Brusati a Parma, in Toscana (Pisa) in Lazio (Bambin Gesù), a
Napoli i Centri di riferimento riescono a svolgere meglio la loro funzione. Ma perché è importante? Non
si tratta di questioni di potere «a noi
non mancano certo i pazienti. Il fatto è che questi interventi richiedono
una grande esperienza pratica. Il
successo insomma è proporzionale
alla casistica».
Nel caso del labbro leporino l’intervento riguarda solo le parti molli ma
va eseguito con pazienza, precisione e anche con molto senso estetico. A queste malformazioni congenite si aggiungono le deformazioni
che – a differenza delle malformazioni – si manifestano con lo sviluppo e non sono presenti alla nascita.
Ne esistono di ogni tipo: asimmetrie
nello sviluppo del cranio, cranio
allungato, o ‘largo’ (dolicocefalia
grave) ma soprattutto riguardano lo
sviluppo della mascella assai ridotto o eccessivo. In questi casi spesso l’intervento prevede l’utilizzo dei
così detti distrattori che, mediante
una vite che viene ruotata ogni giorno, allunga, al ritmo di un millimetro
al giorno, il segmento osseo sezionato a cui è applicata fino a ottenere l’allungamento desiderato.
Gli interventi per risolvere i problemi
descritti sono molto diversi: alcuni
durano un’ora, altri arrivano a dieci.
Alcuni richiedono anche l’intervento
del neurochirurgo (e in questo caso
vengono eseguiti insieme alla neurochirurgia del San Raffaele visto
che questa specialità non è presente al San Paolo). In questi casi
l’osso sezionato è asportato, rimodellato a tavolino e reinserito nel
cranio del paziente. Per altre sedi
(mandibola, mascella cavo orale)
può essere necessario ricorrere
alla microchirurgia. Viene asportato
un lembo (cute e muscolo o cute,
muscolo e osso o muscolo e osso),
con tutti i suoi vasi, lo modelliamo e
lo reinseriamo a ricostruire la parte
asportata collegando i vasi con piccolissime suture.
Tutti questi interventi sono eseguiti riutilizzando tessuti provenienti
dallo stesso paziente. Perché non
ricorrere al trapianto? «Dal punto di
vista tecnico non vi sarebbe nessun
problema, anche il pubblicizzato trapianto di faccia eseguio in Francia
non è certo al di sopra delle nostre
possibilità. C’è però una considerazione etica», sottolinea Brusati, «chi
riceve un trapianto deve seguire
una terapia a vita a base di immunosoppresori che lo espongono a
un forte rischio di infezioni e aumentano il rischio di tumori. Il gioco vale
la candela? Se parliamo di organi
vitali ovviamente sì. Se parliamo di
interventi maxillo facciali questo non
è frequentemente il caso».
Se gli interventi sono eseguiti generalmente nella prima infanzia, il
paziente viene seguito fino quasi ai
18 anni. Ci sono le visite di controllo
per il decorso postoperatorio, durante i quali viene controllata, oltre
alla fonazione, anche la dentizione:
questi bambini, come gli altri e forse più di altri, devono correggere lo
sviluppo della dentizione. Noi non
facciamo ortodonzia in ospedale
ma prepariamo delle relazioni, insomma, dei ‘progetti’ che vengono
poi eseguiti dal dentista di fiducia
del paziente».
Il follow up del paziente è il momento più bello nella vita del chirurgo,
bambini dal viso deformato, come
nessun regista di film horror potrebbe immaginare sono restituiti
a una vita piena di soddisfazioni e
normale. «Il loro sorriso ci fa andare
avanti», commenta Brusati che partecipa con la sua équipe alle attività
di Operation smile Italia, sezione italiana di una fondazione americana
che finanzia campagne di intervento
per curare bambini e adulti con labiopalatoschisi e altre malformazioni gravi che risiedono in Paesi del
Terzo mondo. Operazione sorriso:
un nome davvero ben scelto.
Emonews:
notizie goccia a goccia
I Servizi trasfusionali di Israele
cercano donatori di sangue attraverso
SMS e telefonate
Dopo il fallimento delle numerose campagne su
carta stampata, i Servizi trasfusionali israeliani
stanno cercando di incrementare il numero di donazioni di sangue inviando messaggi SMS sui cellulari e contattando direttamente a casa i donatori o
gli aspiranti tali (Fonte: Jerusalem Post).
Negli USA i civili potranno donare
il proprio sangue ai soldati
Gli Ufficiali di Stato Maggiore dell’Esercito
statunitense stanno pianificando la possibilità che civili ed ex-soldati possano donare
sangue per le truppe ferite in azioni di guerra
recandosi presso apposite strutture federali
o del Dipartimento della Difesa. Questa sarebbe la prima volta, dopo più di 50 anni, che
l’Esercito ricorre ai civili allo scopo di donare
sangue ai soldati (Fonte: The Columbus Dispatch – Ohio).
Il sangue: un bene sicuro ma costoso…
Secondo gli esperti il gran numero di test di laboratorio cui vengono
sottoposte, negli USA, le sacche di sangue raccolte con la donazione,
le ha rese estremamente sicure ma ha determinato anche un netto
incremento del loro costo: una unità di globuli rossi concentrati è infatti
passata da un prezzo medio di 96 dollari nel 2000, ai 201 del 2004.
Alcuni ospedali sono peraltro costretti a effettuare esami di laboratorio
addizionali sulla scorta delle caratteristiche demografiche della popolazione locale, con un ulteriore incremento dei costi (Fonte: Los Angeles
Time).
All’OMS si parla di sicurezza del sangue
donato nei Paesi in via di sviluppo
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha organizzato una serie di incontri allo scopo di aiutare i Paesi in via di sviluppo a creare
e implementare strategie e politiche socio-sanitarie finalizzate ad aumentare la sicurezza del sangue donato. Il primo di questi incontri si
terrà a Singapore, con la partecipazione dei rappresentanti dei Paesi
del Pacifico occidentale (Fonte: Channel News Asia).
I criteri di selezione dei donatori di sangue
sono troppo restrittivi?
È la domanda che si sono posti negli USA un gruppo di esperti, secondo i quali i più recenti criteri di sicurezza per la donazione di sangue,
più restrittivi rispetto ai precedenti, possono aver contribuito al calo nel
numero di donazioni. I ricercatori hanno stimato che circa 66 milioni di
americani vengono esclusi sulla base di tali criteri, criticati da alcuni per
la loro eccessiva rigorosità che scoraggerebbe molti nuovi potenziali
donatori. Il dibattito tra sicurezza trasfusionale e fabbisogno continuo
di sangue continua (Fonte: Reuters).
Tatuaggi e donazione di sangue negli USA
Allo scopo di incrementare il numero di potenziali donatori di sangue, i Servizi trasfusionali
statunitensi di 11 Stati hanno deciso di permettere la donazione di emocomponenti anche a
coloro che si siano recentemente sottoposti
a un tatuaggio, in precedenza costretti ad attendere un periodo di 12 mesi (Fonte: Billings
Gazette (Mont.).
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TENERSI IN SALUTE
Quella brutta tosse che non passa...
Potrebbe essere un malanno passeggero, ma anche la prima fase di una Bpco,
una malattia dei polmoni cronica e molto seria se non si interviene in tempo.
Come? smettendo di fumare e consultando uno specialista. Altrimenti...
D
ella SARS (sindrome acuta di
deficit respiratorio) detta anche
influenza aviaria, se ne parlò per
mesi, anche se i casi di trasmissione
del virus dall’animale all’uomo sono
stati in Europa poche decine. La
BPCO invece la conoscono in pochi, eppure la ‘broncopneumopatia
cronica ostruttiva’ colpisce milioni di
persone.
Cosa è questa BPCO?
La BPCO si manifesta dopo i 40
anni soprattutto nei fumatori, consiste in una infiammazione cronica,
vale a dire continua, del tessuto polmonare. Gli alveoli attraverso i quali
il sangue riceve ossigeno muoiono
e si calcificano riducendo progressivamente la capacità respiratoria.
I primi segni
In una prima fase la BPCO si manifesta attraverso tosse (soprattutto
la mattina) con espettorato e a volte
un respiro sibilante. Il paziente, che
spesso è un fumatore, attribuirà il disagio al fumo correttamente e prenderà qualche medicina spesso senza
nemmeno avvertire il medico di base.
Il secondo sintomo è la dispnea,
vale a dire la ‘fame d’aria’. Il paziente sente – in occasione di uno
sforzo breve o prolungato il ‘fiatone’.
Lo attribuirà forse alla mancanza di
allenamento e al fumo.
Il terzo elemento è una grande vulnerabilità alle bronchiti, più frequenti e più lunghe del normale. Il terzo
elemento è una grande vulnerabili-
tà alle bronchiti, più frequenti e più
lunghe del normale. Questo elemento dovrebbe allarmare il medico di Medicina generale ma, un po’
perché non sempre queste episodi
sono riferiti al medico, un po’ perché
il medico di rado tiene in considerazione la frequenza degli episodi
preferendo concentrarsi sulla loro
risoluzione, è ancora raro che il paziente venga avviato a un percorso
di diagnosi più approfondita.
Nella maggior parte dei casi, quindi,
la malattia procede, fino a quando
il paziente non inizia a sentire un
deficit di ossigeno cronico o fino a
quando una seria polmonite non lo
porta all’ospedale.
Terapie? Poche, ma la
prevenzione è facile
Non esiste una medicina che ‘fa
passare’ la BPCO. Dal punto di vista fisiologico gli alveoli persi non si
recuperano. È possibile però, prima
di tutto, rallentare molto il processo
che porta alla loro distruzione. Il primo passo ovviamente è smettere di
fumare. Su questo non si transige. Il
secondo passo è migliorare la fitness
respiratoria, perdere peso e aiutare
l’organismo a utilizzare meglio l’ossigeno. L’esercizio fisico, ovviamente graduale, e sotto controllo, ottiene ottimi risultati in questo senso.
L’esercizio fisico è importante anche
perché la BPCO ha un forte impatto
sul funzionamento cardiovascolare.
Lo sport è la miglior medicina per il
cuore e le arterie.
Smetti di fumare
Come mai in pochi anni la
BPCO è diventata una delle malattie più serie e gravi?
Il termine BPCO comprende diverse malattie che, una volta,
erano classificate singolarmente:
la bronchite cronica, l’enfisema
e la broncopneumopatia ostruttiva. È un nome nuovo per delle
patologie vecchie e in aumento.
Secondo l’Oms la BPCO è al momento la settima causa di morte
nei Paesi occidentali e potrebbe
diventare la terza.
Così tanta gente muore perché i
polmoni smettono di funzionare?
La BPCO evolve verso la progres
siva distruzione degli alveoli, il luogo
in cui il sangue si carica di ossigeno
e rilascia l’anidiride carbonica, e la
progressiva ostruzione delle ‘tubazioni’ che fanno passare questi gas.
In Italia ci sono decine di migliaia
di persone che non possono vivere senza ricevere ossigeno da una
bombola e il loro numero aumenterà.
La BPCO comporta importanti effetti sistemici e rilevanti conseguenze
per altri organi e apparati: in primis il
cuore. Prima di tutto un polmone che
funziona male porta all’ipertrofia del
ventricolo destro: il cuore cambia forma e questo compromette l’efficacia
e la garanzia del suo funzionamento.
In secondo luogo stiamo parlando di
Un medico specialista potrà anche
consigliare una serie di esercizi specifici per tenere in attività i muscoli
del respiro. Contemporaneamente
si cercherà di ridurre gli episodi acuti. La persona con BPCO è molto
predisposta alle infezioni respiratorie di origine virale, batterica o fungina ogni bronchite si porta via un bel
pezzo di polmone e per sempre, vale
la pena quindi di prendere le solite
misure per evitare infreddamenti.
Ai pazienti si raccomanda anche di
vaccinarsi regolarmente contro malattie come l’influenza o la polmonite
da pneumococchi, che potrebbero
aggravare una funzionalità polmonare già fortemente compromessa.
Esistono poi le terapie che hanno
l’effetto di permettere
al paziente di utilizzare
meglio i suoi polmoni.
Si tratta dei beta2stimolanti, degli antivagali e del cortisone,
il quale pare avere
anche effetti positivi
sull’attesa di vita del
paziente.
di misurare la capacità polmonare
residua.
Se la BPCO è diagnosticata nella
sua fase più severa (caratterizzata
da una forte riduzione della capacità respiratoria oppure dai segni
clinici di insufficienza respiratoria o
cardiaca) i medici non possono fare
molto. Il paziente si vedrà presto
costretto ad aiutare la respirazione
con una cannula collegata a una
bombola contenente ossigeno.
Si calcola che 4 milioni di persone in
Italia soffrano di BPCO, di queste 40
mila sono costrette a respirare aiutate da una bombola di ossigeno. In
realtà la malattia è gravemente sottodiagnosticata sia all’origine, sia come
causa di morte.
La diagnosi
Come sempre avviene
nelle malattie croniche,
le terapie sono tanto
più efficaci quanto più
precoce è la diagnosi.
Il principale strumento
diagnostico è la spirometria, un test molto
semplice che permette
ADO News ha intervistato Stefano Centanni,
pneumologo, responsabile dell’Unità Operativa Malattie
dell’apparato respiratorio dell’Ospedale San Paolo.
persone che non possono, o quasi,
muoversi, e la sedentarietà coatta
impedisce loro di contrastare con
l’esercizio fisico gli effetti della coronaropatia che molto probabilmente
hanno in quanto ex fumatori.
Una diagnosi precoce aiuta?
Sicuramente sì. Noi consigliamo a
tutti i medici di base e agli specialisti di richiedere una spirometria non
solo per i pazienti che lamentano una
dispnea in occasione di sforzi (anche
modesti) ma a tutti i fumatori con oltre 40 anni. Dopo la diagnosi però la
persona deve smettere di fumare. Il
paradosso è che smettere di fumare
è facile quando i sintomi sono gravi.
Ma quando i sintomi sono gravi
l’effetto è minore…
Sì, anche se non è mai troppo tardi.
Ci sono persone che smettono solo
quando hanno perso l’autonomia resporatoria, insomma sono attaccate
alla bombola. Ebbene comunque
vivono di più e meno peggio, possono camminare, per esempio, per più
mesi/anni di quello che sarebbe accaduto se non avessero smesso.
Chi non fuma è esente da BPCO?
No, ci sono delle forme ‘geneticamete determinate’ di malattia e c’è
l’inquinamento. Ma il rischio è dieci
volte inferiore per chi non fuma e non
ha mai fumato.
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TENERSI IN SALUTE
Cacao meravigliao
Vi meraviglierà sapere che il cacao è ricco
di sostanze che hanno un effetto
positivo sulle arterie.
Si calcola che il 14% degli uomini
e il 6% delle donne dopo i 45 anni
abbiano una ostruzione bronchiale
cronica moderata o grave. Il costo
per il sistema sanitario è enorme
una analisi fatta nel 2003 ha stimato
in 1261 euro all’anno per paziente i
costi diretti sul Sistema sanitario.
I farmaci più indicati per la BPCO
sono i broncodilatatori, somministrati per via inalatoria, che sono
in grado di dilatare le vie aeree e
garantire così il maggior flusso possibile di aria. Anche il cortisone nei
trial èpiù recventi sta mostrando interessanti effetti..
Attenzione a inquinamento
e fumo passivo
La complicanza principale della
BPCO, come detto, è a livello cardiaco. Il sangue è povero di ossigeno e deve essere pompato più frequentemente, per sostenere il ritmo
accelerato e perché anche i suoi
tessuti sono sotto sforzo, il cuore si
ingrossa e perde la sua simmetria.
Asma e BPCO sono ‘parenti’?
Sono due manifestazioni molto diverse dal punto di vista funzionale
che, nella pratica, possono dare effetti simili. La differenza è che l’asma
è un episodio acuto. Con il farmaco
giusto tutto torna come prima. La
BPCO è lenta e cronica, subdola
insomma.
Fumare leggero o ridurre il numero delle sigarette, aiuta?
La nicotina c’entra poco. La BPCO
è causata dal calore dell’aria, dai
prodotti della conbustione, dalle varie sostanze chimiche presenti nelle
sigarette, anche leggere. Occorre
smettere.
Serve smettere di fumare se si
vive in una zona inquinata?
A me questa sa tanto di scusa per
non smettere di fumare! Noi pneu-
Ci sono quindi problemi di contrazione e di ritmo.
Numerosi studi indicano che, tra i
fattori ambientali, il principale fattore di rischio per lo sviluppo della
Bpco è il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta (meno
quello di sigaro e pipa), che accelera e accentua il decadimento naturale della funzione respiratoria.
Anche il fumo passivo può contribuire parzialmente allo sviluppo
della malattia. Gioca un ruolo determinante anche l’esposizione a
polveri, sostanze chimiche, vapori
o fumi irritanti all’interno dell’ambiente di lavoro (per esempio silice
o cadmio).
Un altro fattore di rischio, seppure
meno influente, associato allo sviluppo della Bpco è l’inquinamento
dell’aria: non solo quello atmosferico causato da smog e polveri sottili,
ma anche quello presente negli ambienti chiusi (provocato dalle emissioni di stufe, apparecchi elettrici,
impianti di aria condizionata ecc.).
mologi abbiamo lanciato per primi l’allarme sull’inquinamento
dell’aria. Si parla tanto del Pm10
come indicatore dell’inquinamento. Ebbene la soglia di allarme del
Pm10 è 50 microgrammi per metrocubo, se lei accende una sigaretta, una sola, in questa stanza
la concentrazione di PM10 salirà
a 250 microgrammi e rimarrà tale
per 45 minuti. Ciò detto, noi stiamo partecipando a uno studio che
mette in relazione le accettazioni
al pronto soccorso con i dati dell’inquinamento atmosferico rilevati in quel giorno. Ma se parliamo delle scelte di vita teniamo il
senso delle proporzioni: chi ha la
BPCO deve smettere di fumare,
non respirare il fumo degli altri e,
fatto questo, potrà cercare di passare qualche tempo lontano dalle
aree più inquinate.
Che il cioccolato faccia bene al nostro umore è ormai assodato (come
dimenticare la mitica scena di Nanni Moretti intento a divorare un gigantesco vaso di Nutella nel film Bianca), ma sempre di più sono i
lavori della letteratura scientifica che tendono a evidenziarne ben altri
effetti benefici. Negli ultimi anni sono stati studiati con particolare attenzione gli effetti del cioccolato nero sul sistema cardiovascolare.
Una recente meta-analisi, pubblicata quest’anno sulla prestigiosa rivista statunitense Archivies of Internal Medicine e condotta dall’Università di Colonia (Arch. Intern. Med. 2007; 167: 626- 634), ha rianalizzato
i dati ottenuti da 5 studi clinici randomizzati che hanno coinvolto un
totale di 173 soggetti. Il risultato conferma che il consumo di alimenti
ricchi di cioccolato nero determina un abbassamento medio dei valori
di pressione arteriosa massima (o sistolica) e minima (o diastolica) di
circa 4,7 e 2,8 millimetri di mercurio, rispettivamente.
L’effetto benefico sulla pressione arteriosa è, con ogni probabilità, dovuto a particolari sostanze dette polifenoli (o flavonoidi), di cui il cioccolato nero, ma non quello bianco, è particolarmente ricco. I polifenoli
sembrano infatti in grado di promuovere la sintesi da parte delle cellule
endoteliali (che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni) di
ossido nitrico; quest’ultimo va ad agire sulla muscolatura della parete
delle arterie, rilasciandola e riducendo quindi la pressione.
Questi dati sono stati ulteriormente confermati da un successivo studio
randomizzato pubblicato nel luglio scorso dall’autorevole rivista Journal of American Medical Association e condotto dagli stessi ricercatori
dell’Università di Colonia (JAMA 2007; 298 (1): 49-60). Gli effetti positivi dei polifenoli contenuti nel cioccolato nero non si fermano peraltro
l cacao fa
alla riduzione dei valori di pressione
sanguigna. Come dimostrato da nubene ma nel
merosi studi, tra cui quello pubblicacioccolato
to sulla rivista Heart lo scorso anno
utilizzato
(Heart 2006; 92: 119- 120), un altro
potenziale beneficio di tali sostanze
nei dolci
deriva dalla loro capacità di influenzain commercio
re positivamente la funzione delle cellule endoteliali e delle piastrine, che
c è un alta
tanta parte hanno nello sviluppo dei
percentuale
processi di aterosclerosi e, quindi, di
patologie quali ictus e infarti.
di grassi
Anche in questo caso l’effetto benefico sembra legato alla stimolazione
della sintesi di ossido nitrico che,
oltre alla già citata azione vasodilatante, è anche dotato di proprietà antiaggreganti sulle piastrine
e protettive sull’endotelio. Non
dobbiamo però mai dimenticare il rovescio della medaglia,
ovvero l’elevato contenuto in
grassi e zuccheri del cioccolato
in commercio che tende a contrastarne gli effetti benefici, favorendo l’aumento di peso corporeo
(e quindi il rialzo dei valori pressori)
e lo sviluppo dell’aterosclerosi. Nell’attesa quindi di ulteriori studi che
confermino la bontà (nel vero senso della parola) dei risultati preliminari cui abbiamo accennato, è
imperativo non abusare di questo
delizioso e sfizioso alimento.
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ritmi della vita moderna, stressanti all’inverosimile, ci costringono
spesso a ‘staccare la spina’ a dare una tregua agli impegni quotidiani, siano essi legati al lavoro, alla vita familiare o affettiva. Si vive sempre di corsa e con l’orologio in mano, per questo è utile concedersi
ogni tanto un momento di pausa in
un Centro benessere o in una Spa.
Se consideriamo poi una metropoli come Milano, riuscire a concedersi anche poche ore di relax non può
che essere definito un lusso.
Una volta conosciuti gli effetti benefici sul corpo e sulla mente del
‘prendersi cura di sé’, l’interesse verso attività rivolte alla ricerca
del benessere è aumentato in modo esponenziale, anche in base a
quanto specificato nel rapporto della Commissione Salute dell’Osservatorio europeo sui sistemi e politiche della salute, andando a creare strutture ad hoc. Tali strutture, i
Centri benessere, anche chiamate
‘Spa’, si compongono di tutti quei
trattamenti che tendono a migliorare il proprio wellness.
Il termine ‘Spa’
deriva da una
cittadina belga
nota per le
sue acque minerali.
Le Spa o Centri
benessere,
non offrono tanto
trattamenti
termali, ma tutti
quei servizi legati
alla salute e
all’armonia del
corpo e della
mente.
Il termine Spa deriva
da una cittadina belga, nota per le sue
acque minerali. Sviluppatosi il turismo
delle terme, soprattutto da parte degli
inglesi, tale nome divenne in breve tempo termine generico
per indicare il ‘termalismo’. Ovviamente le
Spa, o Centri benessere, non offrono solo trattamenti termali,
ma tutti quei servizi
legati al riposo dallo
stress, per la salute e
l’armonia del corpo e
della mente.
Le Spa sono dei rifugi bellissimi, progettati per sembrare dei paradisi naturali. Si ispirano alla
natura, creando degli ambienti rilassanti, comodi, ad alti livelli di innovazione e
di design. Solitamente si compongono di percorsi d’acqua e rituali di benessere per raggiungere, nel modo
più gradevole possibile, l’obiettivo di
tonicità e di relax. I Centri benessere tendono a stimolare tutto l’organismo, in modo da offrire ai propri ospiti la possibilità di una forma psicofisica ottimale grazie all’abbinamento
dei trattamenti alla struttura.
Per portare alla scoperta del relax
spesso si tende a coinvolgere tutti
i centri sensoriali: udito, olfatto, gusto, tatto e ottenere un’esperienza
unica e irripetibile. Musica rilassante e profumi coinvolgenti sono alla
base della ricetta della ricerca di benessere, in modo da lasciare viaggiare la mente e concedere un momento di tranquillità. Solitamente,
fra i servizi offerti da questi Centri,
c’è la sauna finlandese, trattamento
ormai di grande diffusione che dona
benessere all’organismo, attraverso
news
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BENESSERE
Vado pazzo per il ‘fumo’
Fumare hascisch o marijuana non è un vizio
innocente. Più che l’assuefazione a questa e
altre droghe gli utilizzatori abituali rischiano di
sviluppare serie psicosi come la schizofrenia.
S
Le spa sono
dei rifugi.
il calore che fa elisioni effettuati per
i ispirano alla
minare le tossine
alcuni secondi su
natura creando
e i rifiuti della pelle
aree precise.
degli ambienti
con il sudore, perMassaggi
dremettendo al cornanti. Sono rivolrilassanti
po di migliorare la
ti al drenaggio dei
comodi ad
traspirazione.
liquidi del corpo.
Si tratta di una
Si svolgono attraalti livelli di
pratica che fa perverso una frizioinnovazione e
dere i chili in ecne forte sulla sucesso: durante la
design
perficie da trattasauna il metabore. Sono rivolti a
in modo da
lismo e il battito
chi vuole eliminaoffrire ai propri
cardiaco aumenre alcuni inestetitano, provocansmi del corpo, coospiti una
do una vasodilame, per esempio,
forma psicofisica
tazione e migliola cellulite.
rando la circolaMassoterapia. Si
ottimale
zione sanguigna.
tratta di massaggi
Favorisce inoltre
che hanno lo scoil recupero muscolare, producendo po di sciogliere e rimuovere le conun rilassamento di tutto il corpo e ha trazioni muscolari. Utili, in particolaun effetto calmante sulle terminazio- re, nei casi in cui subentra il mal di
ni nervose. La sauna finlandese, ri- testa oppure quando si hanno diffivestita di legno, può raggiungere i coltà nella rotazione del capo, do100°, inducendo un’abbondante tra- vute allo stress e alla stanchezza.
spirazione della pelle, mentre l’umi- Idromassaggio. Getti d’acqua masdità non supera il 10-20%. Simili al- saggiano il corpo, accompagnando
la sauna finlandese sono anche gli gli effetti benefici dell’acqua a quelli
Hammam, tipici della tradizione ara- del massaggio.
ba e vicini anche alla pratica delle Inoltre, nei Centri benessere è difterme romane.
fuso l’insegnamento di alcune diGli Hammam si compongono di tre scipline e tecniche di rilassamento,
sale: una sala molto calda (harara), quali: Yoga che migliora l’ossigenauna tiepida e l’ultima fresca. Ognu- zione, regolarizza il battito cardiaco
no di questi trattamenti è spesso ac- e abbassa la pressione arteriosa.
compagnato da aromaterapia. In- Con l’apprendimento delle diverse
fatti gli oli essenziali esercitano una posizioni, si può arrivare a controlserie di benefici effetti e, in seguito lare il respiro e quindi, a raggiungealla loro applicazione, sono calman- re il rilassamento fisico e mentale.
ti del sistema nervoso.
Training autogeno. Attraverso queUna delle forme più antiche e natu- sta tecnica si concentra l’attenziorali di terapia è proprio il massag- ne su alcune parti del corpo con imgio che ha un’azione stimolante sul- magini e sensazioni distensive, fino
la pelle, attraverso frizioni e pressio- a non sentire più la sensibilità fisica.
ni. I massaggi sono per lo più rivolti Così la mente si libera e riesce a teal rilassamento; di seguito ne citia- nere sotto controllo anche i dolori armo alcuni tipi.
ticolari e muscolari. Musicoterapia.
Massaggio stretching. Coinvolge Si basa sul principio che la musica
muscoli, tendini, ossa e articolazio- ha una grande influenza sull’equini e consiste in movimenti di allun- librio psicofisico dell’uomo e che il
gamento e distensione muscolare.
suo ritmo ha effetto sulla pressione
Massaggio Shiatsu. Particolar- sanguigna, la respirazione e il battito
mente utile per chi soffre di lombal- cardiaco. I brani musicali più indicagie, emicranie e dolori mestruali. Il ti per ognuno vengono individuati e
paziente si sente disteso e rilassato. selezionati da un musicoterapeuta.
È in genere molto piacevole e rilassante e consiste di trazioni e presG
iovanni Abruzzo
,
,
,
.
.
Secondo le stime più recenti, l’utilizzo di cannabis (o marijuana) riguarda nel mondo circa 160 milioni di
individui. I noti effetti della cannabis
tendono a manifestarsi nell’arco di
pochi minuti dall’assunzione, durano 2-4 ore e variano in relazione al
tipo di sostanza usata, alla modalità
di assunzione e alla personalità del
soggetto. Dopo 5 minuti compaiono
ansietà, irrequietezza e iperattività,
seguiti dopo una decina di minuti da
senso di euforia, benessere ed esaltazione interiore. Dopo 20 minuti
compaiono alterazioni dell’attività ideativa, tono dell’umore esaltato e
scoppi di ilarità; coesistono alterazioni dello schema corporeo, dello
spazio, delle percezioni visive e senso di fame, seguiti da intensa sonnolenza. Ad alte dosi sono possibili veri e propri attacchi acuti di panico
e psicosi paranoidi, generalmente di grado lieve.
È stato più volte affermato che l’utilizzo della cannabis non è in grado di determinare dipendenza. Studi recenti hanno invece evidenziato come una proporzione variabile dal 10 al 20% degli utilizzatori più
giovani sviluppi dipendenza, come dimostrato dalla comparsa di una
sindrome astinenziale nel caso di brusca sospensione dell’assunzione. Nei soggetti forti fumatori di cannabis tale sindrome astinenziale
è caratterizzata da intensa agitazione motoria, insonnia, mancanza di
appetito e forte irritabilità.
Oltre al possibile sviluppo di dipendenza, un consumo reiterato di cannabis è stato associato a problemi di apprendimento, memoria, affettività e flessibilità mentale, riduzione delle difese immunitarie e della capacità riproduttiva, danni alle vie respiratorie. Con particolare riguardo
agli effetti negativi sulle funzioni cognitive, numerosi studi identificano
la fase adolescenziale come quella a maggior rischio, probabilmente a
causa di un effetto persistente sulla plasticità sinaptica neuronale.
A conferma di quanto affermato vengono i risultati di un ampio studio
pubblicato nel luglio scorso dalla rivista Lancet (Lancet 2007; 370: 319328), in cui un gruppo di ricercatori dell’Università di Cardiff ha rianalizzato i dati ottenuti da ben 35 studi clinici precedenti. Il risultato di questa
meta-analisi conferma che l’uso reiterato di cannabis aumenta dal 40 al
200% il rischio di sviluppare negli anni a venire una psicosi (in primis la
schizofrenia); meno marcato ma altrettanto significativo sembra invece
l’effetto predisponente su patologie della sfera affettiva, quali la depressione. Il rischio, in tutti gli studi analizzati, è strettamente dose-dipendente: all’incremento del consumo di droga corrisponde un aumento
di tale rischio. Gli autori concludono sostenendo la necessità che gli
utilizzatori di marijuana
siano resi edotti del rischio potenziale di sviluppare malattie psicotiche, in particolar modo
i più giovani che, come
già ricordato, sarebbero
più sensibili a tali effetti
nefasti. Se il consumo
di cannabis cessasse,
proseguono gli autori, si
arriverebbe a prevenire
ben 800 nuovi casi di
schizofrenia all’anno nel
solo Regno Unito.
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CULTURA
La potenza simbolica del sangue
Dal colore rosso, che segnala divieto e pericolo, alla metafora genetica
e perfino razziale. Il sangue evoca mille simboli e indica tanto la morte
(spargimento di sangue) quanto la vita (sangue del mio sangue).
A cosa si deve questa ricchezza?
M
ateria primaria, elemento essenziale, fonte di vita, potenza
universale. E poi i colori: rosso, purpureo, scarlatto, o ancora blu, arterioso e nobiliare. E schizzi, macchie, pozze.
Tutto questo è il sangue nell’immaginario collettivo, non solo materia
biologica ma anche materia filosofica, oltre la pura fisicità.
Chi di noi non immagina visivamente le scene di un romanzo noir a partire da una propria personale figurazione del sangue? Chi di noi non ne
associa il mistero ai misconosciuti
rituali di tradizioni altre dalla nostra
(e quindi islamiche, ebraiche, orientali, comunque ‘diverse’?).
È forse per questo che vale la pena,
in una pubblicazione come questa,
parlare anche dell’aspetto meno
noto – probabilmente anche meno
‘importante’ davanti al tema cruciale della donazione – che ha il sangue, parlare quindi di ciò che ha a
che fare con le tradizioni religiose e
filosofiche o, ancora, della rappresentazione nell’arte di un principio
vitale di così grande potenza.
Si tratta, in buona sostanza, di affrontare l’argomento prendendo
– se ci viene passata l’espressione
– il toro per le corna, ovvero ammettendo in primo luogo che la parola
‘sangue’ assume oggi un significato
che va ben al di là di ciò che la parola stessa descrive.
È infatti l’innegabile significato simbolico quello che per primo viene messo in gioco se pensiamo a
quante volte ci può capitare in una
sola giornata, scorrendo i quotidiani
o ascoltando un qualsiasi programma radiofonico o televisivo, di incappare in quella piccola parola di
sole sei lettere, tre vocali e tre consonanti.
Quasi mai essa viene utilizzata con
il proprio specifico valore letterale,
anzi, le viene affidato un enorme
potere evocativo a indicare tutto e
il contrario di tutto, tanto la morte
(spargimento di sangue) quanto la
vita (sangue del mio sangue).
Perché si tratta di una parola ormai
assurta a simbolo, chiamata a evocare altro da sé.
La capacità di conoscere, interpretare e utilizzare i simboli è una delle
più affascinanti nella specie umana,
senza ombra di dubbio: un ‘simbolo’
è qualcosa che significa qualcosa
d’altro, una forma di specchio mentale attraverso cui un oggetto, una
parola, un luogo rimandano immediatamente a un concetto che non è
12
più quello rappresentato meramente dall’oggetto, luogo o parola in sé,
ma si fa enormemente più ampio e
complesso; sono molte le culture
che fanno dei simboli veri e propri
centri di trasmissione culturale e, in
questo viaggio, cercheremo di incontrarne alcune, di comprenderne
meglio il rapporto con il sangue quale elemento costitutivo della vita.
Quanto al significato simbolico, tutti
noi sappiamo che il colore rosso indica un divieto, la necessità di prestare attenzione maggiore (nei cartelli stradali, nei semafori, nei titoli)
e ciò ha forse dei legami profondi,
sepolti nella nostra animalità (nei
nostri istinti) con il colore del sangue. Proveremo a conoscere alcuni
di questi meccanismi.
Ma ancora, il mondo dell’arte merita
probabilmente un viaggio a sé, all’interno della poesia e della pittura,
del teatro, del cinema, della letteratura (e dell’uso della lingua, verrebbe da aggiungere), su quanto è
stato attinto dalla metafora del sangue per rappresentare – ed ecco
ancora una volta l’uso del simbolo
– le vicende umane a partire proprio
da ciò che pare essere l’elemento
costitutivo dell’esistenza in vita di
ciascuno di noi.
nostri giochi mentali, verbali, metaforici.
Vero è che ciò avviene a livello inconscio probabilmente, diciamo la
parola e neppure badiamo al reale significato fisico e biologico, ma
questo non costituisce forse un’ulteriore dimostrazione del discorso
che stiamo facendo? Di quanto sia
pervasivo l’argomento sangue nel
nostro modo di vivere, raccontare,
discutere? Affronteremo dunque un
viaggio che speriamo essere piacevole, magari interessante, auspicabilmente non noioso o inutile.
Un viaggio che ci porterà in luoghi
non usuali o a contatto con culture
con cui si fatica a trovare punti di
incontro e condivisione.
Potrà persino rivelarsi un viaggio
divertente con un po’ di fortuna e
benevolenza da parte del lettore.
Scopriremo così che la comprensione del fatto che il sangue circola è
recentissima in termini storici: risale
a circa quattro secoli orsono, grazie allo scienziato inglese William
Harvey che per primo comprese e
descrisse il sistema circolatorio. E
prima di Harvey? Va considerato
che la pratica della dissezione anatomica non incontrava grande fortuna in epoche passate ma va rilevato
Il cinema è
solo una moda
passeggera.
È il dramma
in lattina.
Il pubblico vuole
vedere storie
di carne
e di sangue
rappresentate
in palcoscenico.
Charlie Chaplin
Pensiamo, a questo proposito, anche
soltanto a come ricorrono espressioni gergali, detti, proverbi, in cui faccia capolino anche il sangue.
Sangue caliente, sangue latino, sangue freddo, vino che fa buon sangue,
farsi il sangue cattivo (o amaro), sangue che non è acqua, sangue che
chiama altro sangue.
Appare evidente che non occorre
cercare troppo per imbattersi nella
prova provata di quanto sia comune utilizzare l’elemento sangue nei
anche che per millenni l’uomo non
è stato in grado di comprendere il
ruolo né del sangue né di molti altri
organi se pensiamo che secondo
Aristotele – pure grandissima personalità nello sviluppo del pensiero
umano – il cervello aveva funzioni
di radiatore e serviva a raffreddare
il sangue, mentre a essere sede dei
sentimenti era il cuore (e infatti per
indicare un trauma emotivo si dice,
ancora oggi, che “si spezza il cuore”, non certo il cervello).
E scopriremo anche l’approccio delle religioni con l’elemento sangue,
approccio che – ne va tenuto conto – ha a che fare sia con i periodi
storici, in cui le grandi religioni sono
nate e si sono consolidate (e conseguentemente con le conoscenze
‘scientifiche’ di allora), sia con le
prescrizioni igienico-sanitarie, da cui
molti dei precetti religiosi più antichi
derivano, anche in considerazione
del fatto che le grandi fedi monoteiste sono nate in Medio Oriente, luogo in cui il grande calore rendeva indispensabile alcuni comportamenti,
poi codificati negli schemi del culto,
delle liturgie, dei sacrifici.
L’antica concezione del corpo riveste un ruolo importante nel nostro ragionamento: se è il cuore a
essere sede dei sentimenti e delle
emozioni umane, anche il sangue
assume un significato (verrebbe da
dire un’importanza, un interesse)
morale, ben prima che fisiologico.
È una concezione che precede anche le religioni monoteiste e si perde nei millenni che precedettero la
nascita di Cristo: tutti noi abbiamo
bene in mente le immagini con cui,
nelle tombe egizie, il dio Anubi dalla
testa di sciacallo, assiste Horus e
Thot nel pesare sulla bilancia il cuore del faraone defunto, ulteriore dimostrazione del fatto che la purezza interiore ha un preciso riscontro
nell’elemento fisico rappresentato
dal muscolo cardiaco che deve essere – moralmente – leggero quanto la piuma di Maat (e il luogo della
pesa era infatti la ‘stanza delle due
verità’ posta nel Duat, l’oltretomba
della religione egizia).
Proseguendo in questo filone potremo quindi incontrare numerose
analogie linguistiche, lessicali, culturali, capaci di chiarirci alcune relazioni che potrebbero, a tutta prima,
apparire oscure.
Come non rimanere affascinati dalla dottrina della transustanziazione,
attraverso cui, per i cattolici, il vino
consacrato diventa vero sangue di
Cristo? Come non cogliere il legame con la cultura ebraica, in cui il
rapporto tra vita e sangue è così
stretto che nel Levitico (Cap. 17,
Versetto 11) è scritto che “La vita
della carne è nel sangue”. Questo non è così stupefacente per
l’osservatore odierno, sennonché
questo tipo di relazione è codificato
anche nella lingua, tant’è vero che
se la parola ebraica per ‘uomo’ è
‘Adàm’ ecco che la parola sangue
è ‘Dàm’ mentre la terra è ‘Adamàh’
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CULTURA
Find the cure
Un gruppo di medici fonda ambulatori e ospedali
nella zona più povera dell’India.
Sangue caliente,
sangue latino,
sangue freddo, vino
che fa buon sangue,
farsi il sangue
cattivo, sangue che
non è acqua.
È comune utilizzare
questa parola
nei nostri giochi
mentali, verbali,
metaforici.
cosicché appare in tutta evidenza la
strettissima relazione tra l’uomo fatto attraverso la terra e in cui scorre
il sangue (ovvero la vita, in ebraico
‘Chayym’). Da qui alla proibizione
del sangue, comune a ebraismo e
islam, il passo è breve.
Sempre nel libro del Levitico il Signore proibisce di consumare il sangue
poiché (il nesso è quindi causale) la
vita della carne è nel sangue, come
si diceva poco sopra.
Lecito quindi spargere il sangue sull’altare quale sacrificio di espiazione
(pratica interrotta con la distruzione
del Tempio di Gerusalemme, luogo
sacro e unico in cui consumare i sacrifici) ma del tutto illecito cibarsene, perché non ci si può alimentare
della vita altrui.
Nell’Islam il sangue è invece elemento impuro anche perché proveniente dall’animale, che per il musulmano è creatura appartenente
alla sfera dell’imperfezione (e il cibo
è nella cultura islamica veicolo che
può far passare da una condizione
di purezza a una condizione di impurità) e può contaminare – se non
opportunamente trattato – anche
l’uomo: la Sura 5 del Corano contiene un richiamo preciso al divieto degli animali soffocati e quindi ancora
contenenti il loro stesso sangue.
Ma non faremo un viaggio unicamente nelle dimensioni del pensiero religioso o filosofico.
Anche l’arte, come dicevamo, rappresenta un territorio di incredibile
fascino in cui il sangue ha una propria peculiare rilevanza.
Non occorre pensare soltanto a
poeti quali Dylan Thomas o a scrittori come Abraham Stoker, ai fiumi
di sangue bollente di dantesca memoria o alle città infestate da vampiri come la ‘Salem’s Lot’ di Stephen
King.
Anche l’arte pittorica ha trovato nel
rosso purpureo del sangue un veicolo perfetto per la proposizione dei
propri simboli, basti pensare alla
‘Morte di Marat’ in cui Jacques-Louis
David riesce con poche pennellate
di rosso sul lenzuolo e sulla lettera
che Marat ancora stringe fra le dita,
a descrivere con grande potenza la
vitalità e la forza perdute con la morte, costruendo un esempio di come
le categorie iconografiche del sacro
vengono, attraverso il sangue, trasmesse a un’opera totalmente laica,
conferendo a Marat tratti cristologici
proprio grazie alla ferita al costato
trafitto e al fluido che ne sgorga.
E come non accostarci alla ‘Decollazione del Battista’ in cui il Caravaggio, nel 1608, utilizzò proprio
la pozza di sangue sgorgante dal
collo di San Giovanni per imprimere
la propria firma scarlatta sulla tela?
Ci apprestiamo quindi a varcare
il confine di un territorio immenso,
non fatto di terre e nazioni ma fatto
di simboli che evocano in ciascuno
di noi ricordi lontani, legati tanto alla
nostra istintualità quanto al retroterra della nostra cultura, non solo
occidentale ma anche ebraica, ellenistica, cristiana. Un viaggio in cui
incontreremo molti edifici, alcuni di
facile accesso, altri più complessi e
al contempo stimolanti.
È il viaggio nella potenza dei simboli, che poi non sono altro che richiami, contenitori di una strana e
affascinante forma di radioattività
culturale che rimanda necessariamente a realtà altre, che conoscere
può essere bello o anche solo divertente o rilassante. Non sarà comunque un viaggio da poco.
Ivano Gobbato
Anche l’arte
pittorica ha trovato
nel rosso purpureo
del sangue un
veicolo perfetto per
la proposizione dei
propri simboli.
Dopo sette anni di esperienza come medico volontario in Ghana, Tanzania, Madagascar, Nepal, Tibet e infine in India, si faceva strada in me
l’idea di iniziare qualcosa in un area priva di aiuti umanitari trattando
direttamente con la popolazione locale, senza intermediari.
Percorsi così 6 mila km nella parte più povera dell’India del sud, incontrai un indiano unico e speciale, e un piccolo campo di palme da cocco
a Kozhinjampara, una zona di confine tra il Kerala e il Tamil Nadu, un
posto ideale per aprire un ambulatorio.
Rientrato in Italia, lanciai la proposta. Con le firme di tre amici di sempre,
sotto l’occhio di un notaio di Finale Ligure, nasce così Find the cure,
comitato no profit in aiuto alle aree a basso livello di sviluppo.
Raccolgo fondi con l’amico panettiere e tipografo, cene, foto, discorsi,
manifestazioni; il preventivo per l’ambulatorio è di 15.000 euro, ne arrivano 18.000. Così il mese dopo si parte, in cinque tra medici e infermieri:
nel campo di piante di cocco si traccia la perimetria dei muri e si pone la
prima pietra, i lavori iniziano. Si creano i contatti, si cercano le strumentazioni, il personale, i farmaci, si trovano zone ancora più povere e non
si può non far nascere un secondo, un terzo e un quarto progetto.
Nell’attesa si lavora come medici nei villaggi, usando come ambulatorio
la chiesa o la casa più grande. Si rientra e si continuano a raccogliere
fondi. Arrivano il sito internet, le magliette solidali FTC, cene a ripetizione,
non so come ma Find the cure cresce e cresce rapidamente. L’ambulatorio è quasi ultimato, manca il tetto e, già che sono lì, si traccia la perimetria
e il primo muro di Project II, la casa per malati terminali a Nanguneri.
L’India è un Paese che corre veloce, bisogna stare al suo passo altrimenti non ha senso fare
dei progetti. Insieme
a quelli piccoli nasce
Project V, un ospedale per la cura del cancro: non è una scelta,
è un obbligo, in tutto
lo stato dell’Andra
Pradesh ci sono solo
due Centri di cura e,
neanche a dirlo, sono
a pagamento. Così
si prova, d’altronde
uno dei nostri motti è
‘Mordi più di quel che
puoi masticare’. In più
compriamo un piccolo furgoncino Maruti
e inizia il programma per portare cibo
e vestiti a casa dei
in tutto lo stato
più poveri, che non
riescono
neanche
dell ndra radesh ci
ad arrivare ai punti
sono solo due entri di
di aiuto. Tutto procecura e sono a pagamento
de inaspettatamente
bene (non avrei mai
pensato che così tante persone sarebbero state pronte ad aiutare in
maniera forte e spontanea), il fine è buono, il percorso divertente e la
gente in questo viaggio davvero interessante.
A ottobre si riparte, questa volta siamo in dieci, ma il lavoro è tanto, si
inizia l’attività medica dell’ambulatorio di Kozhinjampara e della casa per
malati terminali di Nanguneri. C’è da visitare nei villaggi, far fare la magliette FTC, progettare l’ospedale, portare il cibo alle case e tutto quello
che si trova sulla strada insieme ai nostri ormai solidi amici missionari
indiani, perché per noi è molto importante la meta ma in ugual misura il
percorso, fatto di templi, sorrisi, medicazioni e calce, operazioni e frutti
saporiti, fatto di una terra indiana povera e di una italiana che ancora sa
dare molto. Grazie ancora a tutti quelli che con generosità e determinazione sono saliti su questo treno.
’A
P
C
D
aniele Sciuto
13
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ALTRE PASSIONI
Camminare fra cinque laghi
La tratta lombarda del sentiero europeo E/1 può essere suddivisa
in passeggiate in mezzo al verde... e al blu.
L
a Federazione Europea Escursionismo nata nel 1969 a Stoccarda (D) ha progettato fin dagli
anni ’70 una serie di sentieri escursionistici che attraversano in lungo
e in largo tutta l’Europa favorendo
il turismo pedestre. Due passano
in Italia: l’E/1 dal confine svizzero a
Genova e l’E/5 dal confine austriaco a Verona e Venezia.
La Federazione italiana escursionismo che aderisce alla Fee, ha incaricato il suo Comitato Regionale
Lombardo di disegnare il tratto di E/1
che va da Porto Ceresio (sul Lago di
Lugano) al ponte di barche di Bereguardo (sul fiume Ticino). Con qualche contributo della Regione, un serio appoggio da parte dell’Ente Parco
del Ticino e migliaia di ore di lavoro
volontario, il Comitato regionale
lombardo della Fie, e in particolare
i membri dell’Associazione G.E.B. di
Brivio (LC) diretti da Romeo Sala e
Giorgio Mandelli, hanno disegnato,
tracciato segnalato e contribuito a
mantenere i 161 chilometri lombardi
del sentiero europeo. Abbiamo proposto una parte di sentiero suddividendolo in 4 tratti. Il primo breve ma
adatto a chi ha gambe e fiato perché
prevede una discreta salita iniziale;
il secondo brevissimo, una vera passeggiata; il terzo e il quarto pianeggianti ma lunghi.
Poco tempo, un po’ di fiato:
dal Ceresio alla Val Ganna
Quasi 18 chilometri di passeggiata
nei boschi con un dislivello in salita di 650 metri di interesse panoramico e storico culturale: resti di
fortificazioni militari nel tratto fino
a Borgnana e sul monte Pianbello,
il villaggio degli artisti di Boarezzo
(con i murales sulle facciate delle
case rappresentanti vecchi mestieri
e usanze antiche) e a Ganna la Badia di San Gemolo che risale all’ XI
secolo.
Dall’imbarcadero di Porto Ceresio (275 m) si segue la provinciale
che costeggia il lago in direzione
14
1° TRATTO
Partenza: Porto Ceresio
Arrivo: Ganna
Segnaletica europea: Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con
bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’.
Segnaletica locale: Frecce direzionali in metallo con scritta ‘Sentiero
Confinale’ e bandierine in vernice bianco/rossa con
sigla ‘SC’ solo per il tratto fino a Cuasso al Monte.
Difficoltà:
Elementare
Porto
Porto
Ceresio
Ceresio
∆ dislivello totale in salita: 820 m
Ganna
∆ dislivello totale in discesa: 635 m
∆ lunghezza percorso: 17,9 km
∆ tempo percorrenza: 5h 30’
Trasporti pubblici:
Si raggiunge Porto Ceresio con treni da Milano e Varese o autobus da Varese. La Valganna
è percorsa circa ogni mezz’ora da autobus che collegano Ganna a Varese. Chi lascia l’auto
al punto di partenza può quindi ritornare da Ganna a Porto Ceresio con due autobus o con
un autobus e un treno (il terminal bus di Varese è vicinissimo alla stazione di Trenitalia).
Nord- Ovest. Dopo circa 500 metri,
a un incrocio che a sinistra porta a
Cuasso al Piano, si prosegue a destra e, dopo poche decine di metri
(località Le Cantine), si abbandona
la provinciale per seguire la mulattiera che sale a sinistra, inizialmente scoscesa, raggiungendo in
breve delle trincee facenti parte di
una linea di difesa costruita durante l’ultima guerra (segnavia locale:
‘Sentiero Confinale’).
Si prosegue ora sulla vecchia strada militare fiancheggiando queste
trincee, con punti di ottima veduta
panoramica sulla sponda Svizzera
del lago di Lugano,
fino a giungere a un
ampio spazio erboso
(430 m c.a.).
Abbandonando ora la
linea fortificata e piegando a sinistra si attraversa il prato, raggiungendo una strada
sterrata e seguendola
a destra si raggiunge
in breve la carrozzabile, con la quale si sale
dapprima a Borgnana
(470 m) dove, lasciando momentaneamente la carrozzabile, si
sale a Cuasso al Monte (510 m).
Abbandonando ora il segnavia locale ‘Sentiero Confinale’, si attraversa
tutto l’abitato per imboccare una
mulattiera che, salendo dolcemente
nel bosco, porta al piccolo nucleo di
S. Firino (790 m), dove si trova anche una chiesa diroccata.
Si prosegue in falsopiano sino a un
bivio (830 m) dove, piegando a sinistra, si raggiunge in breve la strada
sterrata che, salendo da Cuasso al
Monte, porta alla Bocchetta di Stivione. Proseguendo su quest’ultima, dapprima si sale in moderata
pendenza e poi in falsopiano, con
buona veduta panoramica, passan-
do dalla Bocchetta dei Frati, sino al
Monte Piambello (1129 m). In realtà
il sentiero passa poco sotto la cima,
a quota 1095 m, ma con una piccola deviazione si può raggiungere la
vetta.
Dal bivio di Piambello, sempre mantenendosi sulla strada sterrata, che
nella parte iniziale fiancheggia i resti di fortificazioni realizzate durante l’ultima guerra mondiale, si scende fino al Villaggio Alpino del TCI,
da dove, proseguendo in parte sulla carrozzabile e in parte sui resti di
vecchie mulattiere, passando dal
caratteristico nucleo di Boarezzo e
poi di Campubella, si giunge a Ganna (460 m) dove si trovano i resti del
Priorato di San Gemolo (XI sec.).
Una breve passeggiata:
Ganna - Brinzio
Nemmeno quattro chilometri di passeggiata nei boschi in salita (in totale
il dislivello è di 175 metri) con ottima
veduta panoramica; da segnalare il
turistico-residenziale centro di Brinzio e l’Osservatorio Meteorologico
di Campo dei Fiori con l’annesso
Giardino Botanico.
All’uscita dell’abitato di Ganna (460
m) si incrocia la provinciale proveniente dalla Valcuvia, che si segue
a destra per poche decine di metri,
per imboccare poi a sinistra una
carrareccia pianeggiante che porta fino a un ponticello sul torrente
Prà Lugano, affluente del lago di
Ganna. Attraversato il ponticello,
si prende a destra e si inizia a salire, in moderata pendenza, su una
scoscesa mulattiera fino a raggiungere un costone a quota 660 m,
che scende dal monte Marticca da
dove, mantenendosi in un ombroso
bosco si scende, raggiungendo da
prima le baite di Valicci (635 m) e
poi il torrente Valmolina che si segue (tenendo la destra idrografica)
fino all’abitato di Brinzio (508 m).
2° TRATTO
Partenza:
Ganna
Arrivo: Brinzio
Segnaletica europea:Frecce e bandierine in
metallo di colore bianGanna
co con bande laterali
rosse e sigla di identificazione ‘E/1’.
Brinzio
Segnaletica locale:Bandierine in vernice
gialla. Frecce direzionali in metallo con segnavia “3V” e bandierine in vernice bianco/ rossa.
Difficoltà:
Agevole
∆ dislivello totale in salita: 175 m
∆ dislivello totale in discesa: 127 m
∆ lunghezza percorso: 3,9 km
∆ tempo percorrenza: 1h 30’
Trasporti pubblici: Da Brinzio degli autobus permettono di tornare
a Ganna. Ma vale la pena di ritornare a Ganna
a piedi. Come detto Ganna è ben collegata da
autobus a Varese.
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ALTRE PASSIONI
3° TRATTO
Partenza: Brinzio
Arrivo: Gavirate
Brinzio
Segnaletica europea: Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con
bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’.
Segnaletica locale: Frecce in metallo con segnavia 3V e bandierine in vernice bianco/rossa per il tratto Campo dei Fiori/Orino.
Bandierine in vernice gialla con segnavia 1 per il
tratto Pensione Irma/Forte Orino e segnavia 2 per
tratto Forte Orino/Orino.
Bandierine in lamiera e in vernice gialla con segnavia 10 per il tratto orino/Poggio della Corona.
Gavirate
Bandierine in vernice gialla con segnavia 13 per il
tratto Poggio della Corona/Cà dei Monti.
Difficoltà: Agevole
∆ dislivello totale in salita: 680 m
∆ dislivello totale in discesa: 850 m
Trasporti pubblici: Chi non ha due macchine a disposizione farà meglio a percorrere l’itinerario nella direzione opposta. Si arriva facilmente a Gavirate in treno da Milano via Varese. Da Brinzio
meglio percorrere a piedi altri quattro chilometri e raggiungere la Valganna dove in autobus è facile riguadagnare Varese e da lì (in bus o treno) Gavirate.
In mezzo ai boschi da
Brinzio a Gavirate
Tranquilla passeggiata nei boschi ricchi di funghi e di castagne, con ottima
veduta panoramica nella parte iniziale, da notare i resti del Forte di Orino
e gli abitati di Orino e di Gavirate.
Attraversato l’abitato di Brinzio si imbocca la stradina antistante la chiesa e, superate alcune case, dopo un
breve tratto pianeggiante, al primo
bivio si mantiene la destra mentre
poco oltre, nei pressi di un cippo
eretto a ricordo dei Padri Passionisti, si imbocca la mulattiera centrale
(segnavia locale n° 4 – poco distante sulla sinistra è situata la Fonte del
Cerro) con la quale si inizia a salire,
in accentuata pendenza, seguendo
il corso del torrente Intrino (che si attraversa varie volte) fino a raggiungere il valico delle Pizzelle (926 m),
dove si incrocia l’itinerario ‘Via Verde
Varesina’ ovvero ‘3V’.
Proseguendo ora in falsopiano, lungo il segnavia dell’itinerario 3V, si
raggiunge prima la scala di manutenzione della ex funicolare e poi, dopo
un tratto di ripida scalinata, il piazzale della stessa (1033 m). Trascurando ora le indicazioni dell’itinerario
3V, si segue a destra dapprima una
strada sterrata e poi un ampio sentiero gradinato (realizzato per scopi
militari dagli alpini durante l’ultima
guerra) che porta fino alla piazzola
antistante l’osservatorio militare del
Monte Tre Croci da dove, seguendo la strada asfaltata, si scende alla
Pensione Irma (1080 m) di Campo
dei Fiori, una variante molto interessante è la visita all’Osservatorio
Meteorologico (1225 m) da dove si
gode un magnifico panorama che
spazia dalle Alpi alla Pianura Padana (dalla pensione, l’Osservatorio si
raggiunge seguendo le indicazioni
dell’itinerario 3V).
Dalla pensione (1080 m) si segue
la strada carrozzabile che sale verso l’Osservatorio Meteorologico di
Campo dei Fiori fino al cancello che
ne delimita i confini. Piegando ora a
sinistra si imbocca una strada sterrata (segnavia locale n° 1 e 3V) che,
con un lungo falsopiano, porta verso
Forte Orino. Poco sotto il Forte (1110
m) si abbandona la strada per proseguire diritti su un sentiero (segnavia
locale n° 3 e 3V) che, dopo un breve
tratto pianeggiante, in località la Colma, scende rapidamente nel bosco
lungo un costone fino a raggiungere
il Pian delle Noci (714 m); qui, si incrocia una mulattiera, la si segue a
sinistra e nell’ombroso castagneto si
scende fino ad Orino (430 m), noto
centro di villeggiatura.
Appena entrati nell’abitato, si piega
a sinistra e, seguendo dapprima la
via Gorizia e poi una carrareccia, si
raggiunge il campo sportivo e l’adiacente vivaio del Corpo Forestale
(480 m). Da qui, seguendo anche le
indicazioni del segnavia locale n° 10
si prosegue dapprima in falsopiano e
poi in moderata salita verso Prà Camerèe, raggiunta la sella del Monte
Morto (670 m), trascurando il sentiero di sinistra che porta verso Forte
Orino e quello diritto che sale verso
il Monte Morto, si segue il sentiero a
destra e, dapprima in leggera discesa e poi in falsopiano, si attraversa
tutto il Poggio della Corona sino a
giungere al Piano di Caddè dove si
incrocia il segnavia locale n° 13 (585
m). Seguendo quest’ultimo lungo la
mulattiera a destra, per diversi tratti
alquanto sconnessa, si scende dapprima a Cà dei Monti (335 m) e poi a
Gavirate (266 m).
sentiero entro la brughiera. Si prosegue in direzione Bregano passando
sul margine destro della palude e sul
margine sinistro della stessa località.
Si continua su straducole campestri
passando in margine a Biandronno
si prosegue verso Travedona, ma
all’altezza di Salvario (Faraona) con
deviazione a sinistra e si entra nel
bosco per raggiungere Nocciolaro
e proseguire sul colle passando in
fianco alla cava di gesso, nel piccolo
nucleo di Pacit, alla cava di pietra,
altezza massima del percorso m
370 slm.
Si ridiscende con andamento estovest fino alla periferia sud di Trave-
Partenza: Arrivo: Segnaletica
europea:
Segnaletica
locale:
Difficoltà:
Gavirate
Somma Lombardo
Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’.
nessuna
Facile
Gavirate
Una lunga camminata verso
il Ticino: Gavirate-Somma
Lombardo
Un tratto lungo ma piano, per la
massima parte, in margine ai piccoli
laghi prealpini di Varese in una zona
cosparsa di magnifiche ville e giardini sviluppatisi principalmente nell’ultimo cinquantennio.
Dal centro di Gavirate, quota 267
slm, lungo la strada provinciale n°
18 si raggiunge Bardello dove, con
deviazione a sinistra, si entra con un
dona/ Monate ove si prende la strada comunale per Osmate passando
sul margine sud del lago di Monate.
Prima di raggiungere il paese, alla
cascina S.Giorgio si lascia la strada asfaltata e si prende un sentiero
agricolo in direzione sud entrando
nel Parco del Ticino. Si passa in
margine a Lentate Verbano, Santa
Fé per entrare nel paese di Oriano
Ticino. Si prosegue, sempre su sentiero, passando oltre la linea ferroviaria Gallarate-Domodossola, si
attraversa la S.S. n° 33 e, sempre
proseguendo verso sud e in margine
a Golasecca, si raggiunge il fiume
Ticino a Porto Torre (Somma Lombardo) in corrispondenza del ponte
sul fiume stesso a quota m 195 slm.
∆ dislivello totale in salita:
109 m
∆ dislivello totale in discesa:
171 m
∆ lunghezza percorso:
35,4 km
∆ tempo di percorrenza:
10h 00’
4° TRATTO
Porto della Torre
Trasporti pubblici:
Sia Gavirate sia Somma Lombardo sono ben
collegate alla linea Gallarate-Varese. Visto
che la passeggiata è lunga però si possono
abbreviare i tempi scendendo in treno alla stazioene di Travedona (vicina alla località Faraona) sulla linea Gallarate-Laveno. Da Somma Lombardo frequenti autobus raggiungono
Gallarate.
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EDITORIALE
Cittadini con sangue blu
(o meglio, rosso)
Come un coltellino svizzero, anche
il concetto di sangue si presta a mille usi: metafore, locuzioni e modi
di dire onnipresenti. Alcuni solo assolutamente contraddittori. Penso
all’idea di ‘sangue’ come sinonimo
di ‘razza’ o addirittura di ‘nobiltà’ (il
famoso sangue blu).
Nulla di più lontano dalla realtà. Tutti gli essere umani condividono lo
stesso tipo di sangue. I gruppi sanguigni non sono compatibili ma nulla
impedisce a un eschimese di donare
sangue a un indiano o un europeo a
un africano.
Il sangue è trasversale, non ha partito, non ha razza, non ha religione,
non ha geografia. Per tutti il sangue è
vita. In molte cose il sangue assomiglia all’acqua (un altro detto sbagliato
è ‘il sangue non è acqua’). Il sangue
come l’acqua è vita. È l’ambiente interno nel quale ci muoviamo tutti.
Per questo chi dona sangue dona
ciò che più può essere donato, che
è più intercambiabile. Dona futuro a
chi lo riceve, dona qualcosa di essenzialmente umano perché è proprio di tutti gli umani.
Donare sangue è un grande atto di
civiltà, è un modo di stare in questo
mondo. Il sangue e i suoi derivati
possono viaggiare e viaggiano da
una parte all’altra del mondo. È questa la globalizzazione che mi piace,
quella del dono e non del profitto. Di
ciò che è essenzialmente, grandemente, umano e non delle merci.
Donare sangue è un gesto che con
una parola antica potremmo definire
nobile: generoso, disinteressato. In
questo senso chi dona il sangue è
nobile ha il sangue blu, proprio perché ha ceduto il suo rosso dono.
M
ario Rozza
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Ado San Paolo
Ospedale San Paolo
Organizzazione Non-profit
iscritta nel registro Regionale
della Lombardia con D.p.g.r.
N.821/15.2.1999
Numeri utili
Via A. di Rudinì, 8 20142 – Milano
Tel.: 02/8184.3911
Fax: 02/89129988
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Vice Presidente:
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Consiglieri: Federica Corvini,
Domenico Cuscunà, Paolo
Montoneri, Antonino Ragusa,
Giuliano Sorrenti, Bruno Volonterio.
Rappresentante Avis – Gruppo
S. Paolo: Orazio Fae’
Coordinatore Tecnico-scientifico:
Gianalessandro Moroni
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ADOnews
Febbraio 2008
Centralino
02.8184.1
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Prenotazioni Libera Professione
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