117 - Centro Studi Cinematografici

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117 - Centro Studi Cinematografici
Maggio-Giugno 2012
117
MAGNIFICA PRESENZA
di Ferzan Özpetek
Anno XVIII (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma
QUASI AMICI
di Eric Toledano, Oliver
Nakache
HUNGER
di Steve McQueen
I COLORI DELLA
PASSIONE
di Lech Majewski
DIAZ
di Daniele Vicari
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SOMMARIO
n. 117
Anno XVIII (nuova serie)
n. 117 maggio-giugno 2012
Arrivo di Wang (L’) .................................................................................
39
Arthur e la guerra dei due mondi ..........................................................
4
A Simple Life .........................................................................................
28
ATM – Trappola mortale ........................................................................
17
Bel Ami – Storia di un seduttore ...........................................................
21
Biancaneve ...........................................................................................
12
Buona giornata .....................................................................................
22
Abbonamento annuale:
euro 26,00 (estero $50)
Versamenti sul c.c.p. n. 26862003
intestato a Centro Studi Cinematografici
Ciliegine ................................................................................................
30
50 e 50 ..................................................................................................
15
Colori della passione (I) ........................................................................
26
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Diaz .......................................................................................................
2
17 ragazze ............................................................................................
19
…E ora parliamo di Kevin .....................................................................
11
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Furia dei Titani (La) ...............................................................................
43
Henry ....................................................................................................
33
Hesher è stato qui .................................................................................
27
Hunger ..................................................................................................
24
Hunger Games ......................................................................................
16
Lady (The) – L’amore per la libertà .......................................................
38
Leafie – La storia di un amore ..............................................................
44
Magnifica presenza ...............................................................................
34
Mio migliore incubo (Il) ..........................................................................
29
Paradiso amaro .....................................................................................
6
Pink Subaru ..........................................................................................
8
Pollo alle prugne ...................................................................................
42
Posti in piedi in Paradiso .......................................................................
40
Principe del deserto (Il) .........................................................................
7
40 carati ................................................................................................
20
Quasi amici ...........................................................................................
9
Raven (The) ..........................................................................................
31
Senna – Il film .......................................................................................
41
Sfiorati (Gli) ...........................................................................................
37
Succhiami .............................................................................................
3
Tre uomini e una pecora .......................................................................
13
To Rome With Love ...............................................................................
18
Vacanze di Natale a Cortina .................................................................
5
Young Adult ...........................................................................................
25
Tutto Festival – Torino Film Festival 2011 ........................................
46
Bimestrale di cultura cinematografica
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
Sito Internet: www.cscinema.org
E-mail: [email protected]
Aut. Tribunale di Roma n. 271/93
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Cast e credit a cura di: Simone Emiliani
Segreteria: Cesare Frioni
Redazione:
Marco Lombardi
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Hanno collaborato a questo numero:
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Tiziano Costantini
Marianna Dell’Aquila
Davide Di Giorgio
Simone Emiliani
Jacopo Lo Jucco
Fabrizio Moresco
Danila Petacco
Francesca Piano
Silvia Preziosi
Tiziana Vox
Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Film
Tutti i film della stagione
DIAZ
Italia, Francia, Romania 2012
Regia: Daniele Vicari
Produzione: Domenico Procacci, Bobby Paunescu e Jean Labadie per Fandango, Madragora Movies, Le Pacte
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 13-4-2012; Milano 13-4-2012)
Soggetto: Daniele Vicari
Sceneggiatura: Daniele Vicari, Laura Paolucci, Alessandro
Bandinelli (Collaborazione alla sceneggiatura), Emanuele
Scaringi (Collaborazione alla sceneggiatura)
Direttore della fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Benni Atria
Musiche: Teho Teardo
Scenografia: Marta Maffucci
Costumi: Roberta e Francesca Vecchi
Effetti: Mario Zanot, Storyteller
Interpreti: Claudio Santamaria (Max Flamini), Jennifer
0 luglio 2001. Nella redazione di
“La Gazzetta di Bologna”, dove
lavora Luca, arriva la notizia
della morte di Carlo Giuliani. Il giornalista decide così di partire per Genova, dove
ci sono già stati degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. In città intanto
sono giunte moltissime persone. Tra queste ci sono Alma, una ragazza tedesca,
scossa dalle violenze a cui ha assistito, che
vuole cercare di rintracciare le persone
disperse con Marco e Franci, rispettivamente organizzatore del Genoa Social Forum e avvocato del Genoa Legal Forum.
In quella convulsa giornata, s’incrociano
anche i destini di altri personaggi: Nick,
un manager che si occupa di economia solidale giunto nel capoluogo ligure per se-
2
Ulrich (Alma Koch), Elio Germano (Luca Gualtieri), Davide
Iacopini (Marco), Ralph Amoussou (Etienne), Fabrizio
Rongione (Nick Janssen), Renato Scarpa (Anselmo Vitali),
Mattia Sbragia (Armando Carnera), Antonio Gerardi (Achille
Faleri), Paolo Calabresi (Francesco Scaroni), Francesco
Acquaroli (Vinicio Meconi), Alessandro Roja (Marco
Cerone), Eva Cambiale (Donata Stranieri), Rolando
Ravello (Rodolfo Serpieri), Monica Birladeanu (Costantine
Giornal), Emilie De Preissac (Cecile), Ignazio Oliva (Marzio
Pisapia), Camilla Semino (Franci), Aylin Prandi (Maria), Michaela Bara (Karin), Sarah Marecek (Inga), Lilith Stanghenberg
(Bea), Christian Blumel (Ralph), Christoph Letkowski (Rudy),
Ester Ortega (Ines), Pietro Ragusa (Aaron), Gerry Mastrodomenico (Sesto Vivaldi)
Durata: 120’
Metri: 3300
guire il seminario dell’economista Susan
George; Anselmo, un vecchio militante
della CGIL che con i suoi compagni e amici
e pensionati ha partecipato a un corteo
contro il G8; Etienne e Cécile, due anarchici francesi; Bea e Ralf, di passaggio in
città. Chi per un motivo, chi per un altro,
hanno deciso di fermarsi a pernottare presso la scuola “Diaz-Pascoli” prima di ripartire che per l’evento è utilizzata come
dormitorio. Poco prima della mezzanotte
del 21 luglio, centinaia di poliziotti irrompono nell’edificio scolastico. In testa c’è
il 7° nucleo è comandato da Max, vicequestore aggiunto del 1° reparto mobile di
Roma che non vede l’ora di tornare a casa
dalla moglie e dalla figlia. Seguono gli
agenti della Digos e della mobile. I cara-
binieri intanto circondano lo stabile. Entrati nella scuola, le forze dell’ordine picchiano selvaggiamente tutte le persone che
si trovano lì dentro, disarmati e con le mani
alzate. Quando Max si rende conto di ciò
che sta avvenendo, con corpi stesi a terra
con volti tumefatti e alcuni che sembrano
in pericolo di vita, da l’ordine di fermarsi
ma è ormai troppo tardi. Vengono arrestate 93 persone che sono state massacrate.
Alcuni di loro, tra cui Anselmo, vengono
portati in ospedale così come Alma. La ragazza poi viene condotta nella caserma di
Bolzaneto dove, assieme ad altri partecipanti, subisce ulteriori violenze e umiliazioni.
Marco non era alla Diaz. Aveva passato la notte con una ragazza spagnola.
L’indomani si trova davanti a una città
devastata. Raggiunge la scuola e si rende
conto della gravità del massacro. Tornato in ufficio, riceve la telefonata della
madre di Alma. Lui non sa cosa le sia successo, ma promette che farà di tutto per
ritrovarla.
uò capitare di confondere il coinvolgimento emotivo, l’indignazione, con il valore del film. E Diaz
potrebbe a prima vista correre questo rischio. Del resto, sui fatti avvenuti durante
il G8 di Genova, tra il 20 e il 21 luglio 2001,
esistono moltissimi frammenti, anche se
spesso polverizzati: i servizi tv dei telegiornali, ma soprattutto le migliaia di riprese
con telecamerine dei partecipanti visibili
anche su youtube. C’è infatti nel film di
Daniele Vicari, quasi all’inizio, la soggettiva di una telecamerina e questa è già una
P
2
Film
precisa linea intenzionale di una pellicola
girata non più a di 10 anni di distanza (e
presentata all’ultimo Festival di Berlino
nella sezione “Panorama Special” dove ha
riscosso un grande successo), ma proprio
come se i fatti che venivano filmati stessero accadendo proprio in quel momento.
Quindi un salto nel buio, all’indietro, dove
la ricostruzione cinematografica in qualche
modo duplica gli innumerevoli pezzi di un
puzzle che avrebbero potuto formare un
documentario ideale, ma impossibile da
realizzare nella sua continuità temporale.
E lo sguardo di Daniele Vicari non è ambiguo ma si schiera, trascinandosi dietro
un’autentica rabbia, quella così estranea
a quelle forme anche recenti di cinema civile che vuole dare più risposte certe invece che porre domande, come a esempio
Romanzo di una strage di Giordana. Certo in Diaz i frammenti documentari entrano, come le immagini tra gli scontri che
appaiono sempre sul punto limite tra finzione e repertorio. Le tracce noir del precedente film del regista, Il passato è una
Tutti i film della stagione
terra straniera, si addensano come ombre
lugubri in Diaz, grazie anche all’ottimo lavoro di Gherardo Gossi (dopo Bigazzi, il
direttore della fotografia migliore oggi in
Italia), in cui le immagini sporche iniziali
sembrano poi progressivamente piombare in una persistente penombra. Un film
corale dove, a un certo punto, alcuni dei
volti dei protagonisti (ci sono nel film oltre
100 personaggi) piombano dal buio, quasi come se si trattasse di figure reali, ma
anche proiezioni mentali, allucinazioni di
una visione sempre più incredula. Se la
parte iniziale da l’idea di essere un po’ descrittiva, soprattutto nel modo come sono
rappresentate le diverse storie prima che
si ricongiungano e se a tratti il fatto scatenante (la bottiglietta filmata in ralenti) viene mostrato più volte in modo forse eccessivo, Diaz s’infiamma potentemente dal
momento dell’entrata nella scuola. Già si
sentono le avvisaglie nella partenza delle
forze dell’ordine, dove Claudio Santamaria (ancora più di Elio Germano) gioca di
sottrazione tranne nel momento in cui si
rende conto di quello che sta realmente
accadendo e grida: “Basta!”, ma l’attacco
ha una fisicità devastante, replicato poi nei
momenti della caserma di Bolzaneto, in cui
i luoghi diventano spazi senza uscita, opprimenti nella loro apparente freddezza
come quelli di Garage Olimpo di Bechis.
Diaz riesce a creare una nuova tensione
davanti a fatti già accaduti. Mostrati in quella maniera, senza freni; sembra di essere
lì dentro a cercare vie di fuga. Tra calci in
faccia, volti tumefatti, sputi e sangue. Dove
quelle immagini hanno una potenza che
lasciano il segno, un cinema dove Vicari è
coinvolto in ogni angolo di ogni inquadratura. Oggi le ferite sono ancora aperte, tra
un po’ di anni forse si apprezzerà di più. E
il finale con le vittime e i familiari rompe
tutti gli indugi di un cinema che progressivamente ha saputo lasciarsi andare e termina con uno stacco (sempre nel vuoto)
all’improvviso bello, di una bellezza che fa
riapparire nuovamente la luce.
Simone Emiliani
SUCCHIAMI
(Breaking Wind)
Stati Uniti 2011
Regia: Craig Moss
Produzione: Craig Moss, Bernie Gewissler, Amy Jarvela
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 13-1-2012; Milano 13-1-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Craig Moss
Direttore della fotografia: Rudy Harbon
Montaggio: Austin Michael Scott
Musiche: Todd Haberman
Scenografia: Russell M. Jaeger
Costumi: Ariyela Wald-Cohain
Interpreti: Eric Callero (Edward), Heather Ann Davis (Bella),
Frank Pacheco (Jacob), Peter Gilroy (Jasper), Alice Rietveld
idanzata con Edward Cullen, il
vampiro vegetariano più in vista
della scuola, Bella, dopo essersi
“distratta” con l’intera squadra di basket,
ha deciso di mettere la testa a posto, pur
continuando a frequentare anche il
licantropo sovrappeso Jacob. In realtà, da
quando i due si sono fidanzati, il povero
Jacob non riesce a farsene una ragione; è
arrivato persino ad abbandonare la palestra per dedicarsi a tempo pieno al cibo
spazzatura. Mentre i due fidanzatini progettano il loro matrimonio, una nuova stirpe di letali vampiri si mette sulle tracce di
Bella per ucciderla. Gli altri vampiri suoi
amici (tra cui la perfida Rosa) e i lupi man-
F
(Alice), Jessica Kinsella (Jessica Stanley), Taylor M.
Graham (Emmet), Eric Tiede (Willy Wonka/Edward mani di
forbice), Danny Trejo (Billy Black), Alissa Kramer (Shirley),
John Stevenson (Carlisle), Austin Michael Scott (Austin), Nic
Novicki (Jasper da piccolo), Heidi Kramer (Laverne), Michael
Adam Hamilton (Ronald), Ashley Martin (Ashley), Pancho
Moler (Edward da piccolo), Kelsey Collins (Victoria), Rebecca Ann Johnson (Esme), Jesse Pruett (Jesse), Flip Schultz
(Charlie), Martin Ruskov (Seth), Charles Anteby (Harry Levin), Dillon Garcia (Embry)
Durata: 88’
Metri: 2370
nari per la prima volta decidono di unire
le proprie forze al fine di salvarle la vita.
Come se non bastasse a preoccupare
Edward ci sono i terribili esseri duplicati,
alter ego dei vampiri. Sotto gli occhi ciechi del bel tenebroso di cui è innamorata,
durante una notte di veglia, in attesa dello
scontro finale, Bella sarà salvata dall’assideramento grazie a un incontro ravvicinato in tenda con l’amico licantropo. Finalmente i due gruppi nemici si trovano
faccia a faccia e dopo un’epica battaglia
nella foresta e l’apparizione dei millenari
Vulturi (in realtà bambini dell’asilo) l’intervento di Bella sarà fondamentale per
stendere letteralmente a terra gli avversa-
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ri. Così i due fidanzatini finalmente possono convolare a nozze e, dopo una focosa
prima notte nell’esotico Brasile, la neo-signora Cullen si ritroverà incinta di un pargolo che però riserva alla coppia qualche
imprevista (non più di tanto) sorpresa. Le
analisi del sangue dimostrano che il dna
non corrisponde a quello di Edward.
e non fosse bastato Mordimi, per
i fan sfegatati arriva un’altra razione di prese in giro della popolarissima saga di Twilight, che stavolta riguarda i capitoli più recenti della storia di
Edward e Bella. Per chi non ne può più di
vampiri e simili, il film diretto da Craig Moss
S
Film
rappresenta una versione “riveduta e corretta” del fortunatissimo ciclo. A uso esclusivo dei suoi cultori, la pellicola conferma
quanto la parodia cinematografica americana di nuova generazione sia, troppo
spesso, solo una sequela di scurrilità. Succhiami risulta aggravato da una comicità
addirittura meno inventiva rispetto a quella della già molto discutibile pellicola distribuita nel 2010. A partire dal titolo equivoco, la sceneggiatura infatti è davvero
imbarazzante, la narrazione arranca in situazioni prive di mordente e comicità tra
ripetute allusioni sessuali, siparietti sgradevoli e totale mancanza di ritmo. Nean-
Tutti i film della stagione
che le inquadrature dei paesaggi mozzafiato, accompagnate dalle insensate riflessioni di Bella, riescono ad alzare il livello.
Tanti sono i riferimenti e le battute alla cultura pop del momento, agli idoli e ai social
network che hanno invaso l’universo giovanile. Ma niente di intelligente e sensato
che valga la pena di menzionare. Del resto non è una novità. Passando in rassegna gli svariati Epic Movie, Hot Movie, Disaster Movie, 3ciento, nessuna di queste
parodie è realmente guardabile. E i
vari Scary Movie, con il quinto episodio in
uscita nel 2012, hanno ormai i giorni contati.
Dunque non solo il film non diverte, ma
mette una tristezza infinita e appare più che
altro uno spreco di tempo, spazio, soldi ed
energie. Il ricorso insistito alla scatologia, ai
rutti e alle flatulenze risulta irriverente e fastidioso fino al disgusto. Se gli adolescenti
di oggi amano queste porcherie, c’è davvero da preoccuparsi. Per fortuna il cast, a parte Danny Trejo, è composto da giovani attori
sconosciuti: Frank Pacheco, Heather Ann
Davis e Eric Callero. L’unica cosa di cui si ha
voglia è di uscire al più presto dalla sala e di
chiedere un rimborso per danni morali.
Veronica Barteri
ARTHUR E LA GUERRA DEI DUE MONDI
(Arthur et la guerre des deux mondes)
Francia 2010
Regia: Luc Besson
Produzione: Luc Besson, Emmanuel Prévost, Stéphane Lecomte per Europacorp in coproduzione con TF1 Films Production, Apipoulaï Prod, Avalanche Productions
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 23-12-2011; Milano 23-12-2011)
Soggetto: Luc Besson, Céline Garcia
Sceneggiatura: Luc Besson
Direttore della fotografia: Thierry Arbogast
Montaggio: Julien Rey
l temibile Maltazard è ormai alto
più di due metri, ed è entrato nel
mondo degli umani con l’intento
di conquistarlo grazie al suo esercito. Arthur, Selenia e Betameche vogliono a tutti
i costi impedirgli di raggiungere il suo scopo, e sperano di riuscirci grazie a una pozione in grado di far passare chiunque
dall’altezza dei minimei a quella degli
umani. Questa soluzione si trova però nella libreria di Archibald; quindi devono riuscire a entrare in casa e prenderla.
Nel frattempo, Maltazard si aggira per
le campagne indisturbato, e viene notato
dal padre di Arthur, il quale rimane profondamente turbato da questa visione, al
punto da chiamare gli sceriffi di zona dichiarando loro di aver visto il diavolo.
Questi lo assecondano, attribuendo le parole dell’uomo agli effetti del caldo e di
una possibile insolazione, ma durante il
loro ritorno in centrale avvistano quel
“diavolo” proprio in mezzo alla strada, rimanendone terrorizzati.
Intanto Arthur e la sua combriccola
provano a entrare in casa per mezzo di una
bolla. Con questo sistema, non appena
qualcuno si decida ad aprire un rubinetto
o una qualsiasi fonte d’acqua, essi potran-
I
Musiche: Eric Serra
Scenografia: Hugues Tissandier
Costumi: Olivier Bériot
Effetti: Pierre Buffin
Interpreti: Freddie Highmore (Arthur), Mia Farrow (Nonna),
Richard William Davis (M), Penny Balfour (Rose), Robert Stanton (Armand), Ronald Leroy Crawford (Archibald)
Durata: 101’
Metri: 2755
no salire tramite le condutture. Lo fa proprio Archibald e i tre minimei si ritrovano
in casa in poco tempo, precisamente nel
bagno. Da qui si spostano in camera di Arthur, il quale prende iniziativa e sale insieme agli altri in una macchina giocattolo,
con la quale riesce a spostarsi più velocemente, per poi passare invece a un treno a
elettricità.
Mentre i tre si muovono all’interno
della casa, sull’uscio della stessa si è appena presentato un uomo molto alto, dall’aspetto inquietante ma al contempo goffo per via degli imprecisi e rapidi ricorsi
estetici; comunque con un’aria familiare
per lo stesso Archibal, il quale anche per
questo gli apre la porta. Si tratta ovviamente di M il Malvagio, che però si presenta come un vecchio residente delle campagne circostanti.
I tre minimei intanto devono affrontare un ulteriore pericolo, il figlio di Maltazard, Darkos, li ha seguiti ed è anche lui
nella camera di Arthur, con il quale si trova a duellare sul treno giocattolo. Durante lo scontro però Darkos rivela il suo animo buono, mostrandosi triste per il comportamento del padre nei suoi confronti, e
sentendosi quindi abbandonato cerca con-
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forto nei tre che gli promettono di stargli
vicino e aiutarlo.
Intanto Maltazard è stanco della pantomima e si toglie la maschera rivelando
la propria identità ad Archibald, a sua moglie, ai genitori di Arthur presenti in casa,
obbligando inoltre l’anziano a donargli la
pozione dell’altezza.
Dopo averla ottenuta, M svuota l’intero contenuto nelle acque del lago più vicino, attirando a esso tutti i suoi seguaci,
che risalendo in superficie vengono avvolti dalla magica pozione e assumono anche
loro la statura e la grandezza degli esseri
umani.
Intanto Arthur – ancora in versione
minimeo – sfida le sue paure e, nonostante
l’allergia alle punture delle api, sale a bordo di uno di questi insetti insieme a Selenia e Betameche, fino al cospetto dell’Ape
Regina, alla quale chiedono un’unione di
forze per contrastare Maltazard e di concedere pertanto l’elisir della vita al giovane e abile condottiero Arthur.
Un enorme sciame di api si aggira ora
nel bosco a ridosso della casa del ragazzo; pertanto i suoi genitori, preoccupati per
la sua sparizione e per la sua allergia, decidono di chiamare il pronto intervento per
Film
la disinfestazione, con lo scopo di distruggere tutti gli alveari. Fortunatamente, però,
Arthur riesce a contattare la madre proprio grazie alle api, le quali si dispongono
nell’aria formando delle parole; in questo
modo i genitori capiscono che Arthur si trova lì e non è in pericolo.
Il minimeo prende l’elisir e torna così
un bambino, mentre anche Darkos assume
proporzioni umane grazie ad Archibald che
decide di fidarsi di lui, venendo adeguatamente ricompensato.
Così Arthur, Archibald e Darkos arrivano in città, dove trovano una situazione
apocalittica: l’esercito di Maltazard, in sella a zanzare giganti, sta mettendo tutto a
ferro e fuoco.
I tre cercano di attuare un piano; così
Darkos, senza esser visto, si fa trovare alle
spalle del padre, minacciandolo di morte
con la sua spada se non deciderà di porre
fine al massacro.
M però riesce a raggirare con le parole l’ingenuo figlio, convincendolo di aver
compreso i propri errori e che tutto ciò che
ha fatto fino a quel momento è stato soltanto in funzione del futuro dello stesso
Darkos, promettendogli di proclamarlo
nuovo comandante. Darkos cede, e alla
prima disattenzione viene catturato dal padre e fatto legare dai sicari; ma il figlio di
Maltazard ha le pelle dura e riesce presto
a liberarsi e a mettere a tappeto un ingente numero di guerrieri. Nel frattempo, anche l’esercito nazionale arriva in loro soccorso e sbaraglia i nemici, mentre M il
Malvagio torna improvvisamente alla sua
altezza da minimeo e viene intrappolato da
Tutti i film della stagione
Arthur in un bicchiere, e conservato poi al
sicuro nella propria cucina.
uando si parla di una saga, soprattutto quelle composte da tre
film, solitamente si ritiene che il
primo capitolo sia il migliore, mentre il secondo è il più delle volte un ibrido con il
principale scopo di far transitare la storia
dalla fase iniziale a quella finale. Ovviamente a questa legge non scritta non mancano le numerose eccezioni; una di queste è rappresentata da Arthur.
L’idea che Luc Besson stesso abbia
dato vita alle parole scritte di proprio pugno nel romanzo avrebbe dovuto aiutare
l’ago del giudizio a pendere verso la positività, ma la sua trasposizione cinematografica è la prova lampante di quanto non
sempre sia facile e possibile trasferire un
libro su pellicola, nonostante Besson sia
indubbiamente un ottimo regista e un buon
romanziere.
Pertanto se Arthur e il popolo dei minimei racchiude tutta l’essenza del suo operato e più generalmente del fantastico, altrettanto non si può dire di La vendetta di
Maltazard, e meno che mai di questo terzo capitolo, La guerra dei due mondi, che
in quanto a banalità e noia potrebbe avvalersi di un premio.
La linearità del plot è sconvolgente ed
è una delle poche volte in cui ciò non costituisce un pregio, ma un terribile difetto.
Non c’è mai una scossa, né un brivido, tutto
è talmente prevedibile da provocare ripetuti sbadigli; il modo in cui viene proposta
una storia senz’altro poco originale, ma
potenzialmente dotata di incanto e magia
(non soltanto nel senso letterale, ma an-
Q
che metaforico) non fa che livellarla alla
più comune frivolezza.
Ogni tema viene affrontato in maniera poco analitica, come ad esempio il tormentato rapporto padre-figlio tra Maltazard e Darkos, che pur essendo un braccio della storia mantiene sempre un’aura
artificiale e non viene sufficientemente approfondito.
Questa mancata ispezione cova un’ulteriore gravità, costituita dal poco appeal
che in questo capitolo seminano le situazioni riguardanti i cattivi, nonostante il villain stesso sia pressoché perfetto nel suo
ruolo, ma assai meno per ciò che lo circonda, e gli effetti delle sue azioni si addormentano nella culla della debolezza
dell’opera di Besson.
Una delle principali cause dell’inaspettato flop può esser riscontrato in un’ideale
tensione verso un pubblico giovanissimo,
teoria che trova veridicità nei numerosi
argomenti sfiorati dal regista, come quelli
già citati, o come i più comuni amore e
amicizia, valori nei quali i piccoli eroi credono al punto da rischiare il tutto per tutto.
Ma come detto, quest’esplorazione dell’animo umano viene accarezzata per poi
esser superata con poca accortezza.
Eccezion fatta per poche scene, come
un finale che tira in ballo Star Wars, Arthur
e la guerra dei due mondi è un film che
non sa emozionare e che si basa troppo
su effetti scenici, senza dubbio brillanti, ma
assai sterili poiché non finalizzati a un progetto complessivo.
Tiziano Costantini
VACANZE DI NATALE A CORTINA
Italia 2011
Regia: Neri Parenti
Produzione: Aurelio De Laurentiis & Luigi De Laurentiis per
Filmauro
Distribuzione: Filmauro
Prima: (Roma 16-12-2011; Milano 16-12-2011)
Soggetto e Sceneggiatura: Neri Parenti, Carlo Vanzina,
Enrico Vanzina
Direttore della fotografia: Tani Canevari
Montaggio: Luca Montanari
Musiche: Bob Sinclair
’avvocato Covelli dopo una vita
passata a tradire la moglie decide di diventare un marito modello e di chiudere con tutte le relazioni extraconiugali. Felice del suo proposito raggiunge la consorte, Elena, a Cortina per
L
Scenografia: Luca Gobbi
Costumi: Alfonsina Lettieri
Interpreti: Christian De Sica (Roberto Covelli), Sabrina Ferilli
(Elena Covelli), Ricky Memphis (Massimo), Valeria Graci (Brunella), Katia Follesa (Wanda), Giuseppe Giacobazzi (Andrea),
Ivano Marescotti (Ing. Brigatti), Dario Bandiera (Lando), Olga
Calpajiu (Galina), Patricia Varvari (Cristiana), Silvia Quondamstefano (Giulia), Niccolò Senni (Valerio), Monica Riva (Daniela)
Durata: 113’
Metri: 3100
le feste di Natale. All’arrivo, però, scopre
un uomo nudo in camera da letto della
moglie. In realtà è il fidanzato della cameriera, ma Elena, stanca dei continui tradimenti coglie la palla al balzo e gli fa credere che sia il suo amante.
5
L’uomo è distrutto e per tutta la vacanza
continua a ripensare al suo rapporto con
la moglie fino a quando non scopre la
verità e finge di andar via di casa. Elena
convinta di aver torturato troppo il marito lo riaccoglie a braccia aperte e gli
Film
racconta di aver inventato tutto per punirlo.
Sempre a Cortina l’ingegner Brigatti è alle
prese con un danaroso magnate russo piuttosto reticente a chiudere un contratto per la
fornitura di gas. Ad aiutarlo nell’impresa il
suo autista Lando che, però, una sera commette l’irreparabile errore di andare a letto
con Galina, la giovane moglie dell’imprenditore. L’uomo sa di essere stato tradito e
decide di firmare il contratto solo quando
scoprirà il volto dell’uomo che ha passato la
notte con la moglie. L’ingegner Brigatti inizia a investigare e ben presto scopre che l’artefice del ritardo nella fornitura di gas è proprio il suo autista. Il destino però gli va incontro. Il russo, infatti, si innamora di un’altra donna e chiede proprio all’ingegnere di
aiutarlo a sbarazzarsi della moglie senza
pagarle gli alimenti. L’uomo allora lo porta
da Lando per avere una confessione, ma nella
stanza d’albergo con il ragazzo c’è anche la
nuova fiamma del magnate. Quest’ultimo
furioso, oltre a cacciare la moglie, rifiuta di
intrattenere per il futuro rapporti economici
con l’ingegner Brigatti. Lando viene licenziato e fatti i bagagli si dirige verso la stazione. Qui incontra Galina in partenza per
la Russia e decide di andare con lei.
Wanda e Andrea, proprietari di un’edicola insieme ai cognati Massimo e Brunella,
dopo una cospicua vincita a un gioco televisivo iniziano a vivere come dei milionari. Ogni occasione è buona per ostentare
ricchezza soprattutto di fronte ai parenti
meno fortunati costretti a sorbirsi i pregi
di una vita lussuosa. Una sera Wanda e
Andrea comunicano ai cognati di aver prenotato una vacanza natalizia nell’albergo
più esclusivo di Cortina. Massimo e
Brunella stanchi delle continue vessazioni
si mettono su internet e riescono a trovare
la stessa vacanza a un prezzo irrisorio.
Tutti i film della stagione
I quattro cognati si ritrovano a Cortina e
per delle fortunate casualità, Massimo e
Brunella riescono a entrare a cene esclusive, party con gente famosa. Wanda e Andrea sono rosi dall’invidia e escogitano un
piano per rovinare la vacanza: fanno una
telefonata fingendosi vigili e comunicano
alla coppia che la loro casa è allagata. A
malincuore i due coniugi lasciano Cortina
per correre a vedere i danni non prima,
però, di aver regalato ai cognati due biglietti per un cenone di capodanno con alcuni vip. Wanda e Andrea non sono più
nella pelle, ma qualcosa va storto e rimangono bloccati sulla seggiovia per tutta la
notte dei festeggiamenti.
Massimo e Brunella, invece, festeggiano
in un semplice autogrill dove per caso vincono una grossa somma di denaro e un
week-end nella villa sul lago di Como di
George Clooney.
ualcosa è cambiato. Nessuna fila
al botteghino, pubblico in sala annoiato e i critici inopinatamente
“morbidi”. Sono segnali inequivocabili della
fine di un’era, quella del “cinepanettone”.
Come ad ogni ciclo che si conclude
verrebbe spontaneo dire “Che tristezza!”,
ma in questo caso l’accezione è differente. L’amarezza che si percepisce, infatti,
nasce dal vedere un gruppo di protagonisti accanirsi su un soggetto esanime. E
farlo con un sorriso smagliante che nasconde la tragedia.
Difficile pensare che non si siano resi
conto di nulla, ma a volte è meglio negare
e fingere che vada tutto bene, magari adottando qualche piccolo accorgimento per
camuffare il tutto, piuttosto che cedere alla
realtà. Nasce così l’operazione “nostalgia”
che ha riportato il baraccone vacanziero
nella Cortina dei vip, come agli inizi.
Q
Una mossa astuta? Decisamente no.
Certo è apprezzabile la profonda pulizia
dalle troppe volgarità che caratterizzavano le ultime pellicole, ma per il resto nulla
di nuovo.
È il solito panettone riciclato che gira
di casa in casa come strenna dell’ultimo
momento e che fa felice solo chi ne mangia un pezzo perché “è tradizione”. E ultimamente queste persone, che fino a qualche anno fa rivendicavano con forza la risata all’italiana, scarseggiano.
Vacanze di Natale a Cortina cinematograficamente parlando non fa ridere, è
grottesco. Come la recitazione forzatamente teatrale di Christian de Sica e Sabrina
Ferilli nel consueto siparietto moglie tradita, marito donnaiolo reso ancora più surreale dal paragone, fatto dagli stessi attori
in un eccesso di autostima, con Alberto
Sordi e Monica Vitti.
Fra i tre episodi, invece, il più interessante è sicuramente quello dei cognati che
si fanno la guerra a suon di vip. La pellicola in questo passaggio rasenta livelli altissimi di drammaticità. È atroce, infatti, vedere come delle persone comuni possano
agognare lo sguardo, il saluto di personaggi il cui unico merito è avere qualche comparsata in tv. Ed è veramente impressionante notare come questi ultimi si prestino al gioco ridicolizzando se stessi. La
domanda nasce spontanea: ma l’avranno
capito che è una farsa? Che lo scopo è
ridere anche di loro? Qualche dubbio onestamente rimane.
Di certo c’è solo una cosa: l’appuntamento il prossimo anno con il “nuovo” cinepanettone, perché nel pubblico qualcosa è cambiato, ma siamo ancora troppo
lontani dalla rivoluzione.
Francesca Piano
PARADISO AMARO
(The Descendants)
Stati Uniti, 2011
Interpreti: George Clooney (Matt King), Shailene Woodley
(Alexandra King), Beau Bridges ( Cugino Hugh), Robert
Forster (Scott Thorson), Judy Greer (Julie Speer), Matthew
Lillard (Brian Speer), Nick Krause (Sid), Amara Miller (Scottie
King), Mary Birdsong (Kai Mitchell), Rob Huebel (Mark Mitchell), Patti Hastie (Elizabeth King), Barbara L. Southern (Alice
Thorson), Linda Rose Herman (Dott.ssa Herman), Matt
Esecson (Cugino Boom), Celia Kenney (Reina), Scott Michael Morgan (Barry Thorson), Milt Kogan (Dott. Johnston),
Matt Corboy (Cugino Ralph), Melissa Kim (Emily)
Durata: 110’
Metri: 3050
Regia: Alexander Payne
Produzione: Alexander Payne, Jim Burke, Jim Taylor per Ad
Hominem Enterprises
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Prima: (Roma 17-2-2012; Milano 17-2-2012)
Soggetto: Kaui Hart Hemmings
Sceneggiatura: Alexander Payne, Nat Faxon, Jim Rash
Direttore della fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Kevin Tent
Musiche: Richard Ford
Scenografia: Jane Ann Stewart
Costumi: Wendy Chuck
6
Film
att King vive alle Hawaii. Fa
l’avvocato, è ricchissimo perché discende da una facoltosa
famiglia hawaiiana e abita nel posto che
tutto il mondo considera un vero paradiso
terrestre. È un marito distante e un padre
assente, ma la sua vita viene improvvisamente sconvolta dall’incidente nautico al
largo del mare di Waikiki in cui è coinvolta
la moglie, Elisabeth. Non si riprenderà più,
è in coma irreversibile. Matt, da anni troppo concentrato sul lavoro, si ritrova improvvisamente ad affrontare la decisione più difficile della sua vita: staccare la spina alla
moglie. Ma soprattutto si ritrova a dover
riprendere il rapporto con due figlie che non
conosce poi così bene. Scottie infatti è ancora troppo piccola e Alexandra, la più
grande, vive in una clinica di
disintossicazione. Il dolore di Matt si trasforma subito in stordimento e confusione
quando non solo deve affrontare la famiglia della moglie e tutti gli amici, ma soprattutto quando scopre che Elisabeth aveva un amante e, per questo, stava per chiedergli il divorzio. Mentre Matt cerca di
ricompattare i rapporti con le figlie, deve
affrontare anche la difficile decisione sulla
possibilità di rintracciare l’amante della
moglie per dirgli dell’incidente. Si tratta di
un dentista che vive su una delle isole
hawaiiane insieme alla moglie e ai figli. Con
la complicità della figlia più grande, Matt
riesce con una scusa ad allontanare la moglie e a parlare con l’uomo. Ora a Matt non
resta che prendere un’altra decisione, quella
che riguarda la vendita di un terreno appartenente alla sua famiglia da generazioni e posto in uno dei luoghi incontaminati
delle Hawaii. Il terreno è molto ambito da
un lato da un gruppo di immobiliaristi che
vorrebbe costruirci un centro turistico, dall’altro invece da un gruppo di missionari.
Matt quindi si ritrova a dover affrontare il
peso delle decisioni, ma soprattutto si ritrova a dover rimettere insieme i pezzi del
passato, cercando, in questo modo, di poter
affrontare il futuro.
Tutti i film della stagione
M
arebbe facile dire che poco importa se il film di Alexander Payne, Paradiso amaro, è piaciuto o
meno. Ma così non è. Se un film viene girato è per piacere al pubblico, per raccontare una storia e delle emozioni, eppure
non si può negare che le facce del pubblico uscente dalla sala, dopo la visione del
film, non erano così entusiaste come la
penna di chi scrive. Forse colpa di un George Clooney doverso dal solito, o forse
colpa di un film un po’ lento nei ritmi. Ma a
noi invece sembra che il Paradiso amaro
di Payne riesca perfettamente a descrive-
S
re ciò che già dal titolo ci viene comunicato. Attraverso la figura di Matt King, magnificamente interpretato da un George
Clooney distante dal solito ruolo del bel
tenebroso, il regista riesce a scavare nella
dimensione emotiva e psicologica dei suoi
personaggi, riuscendo in maniera quasi
perfetta a mantenere compostezza e delicatezza anche estetica in ogni momento
del film. Colpisce l’equilibro tra ironia e
dolore che Payne riesce a mantenere per
tutto il tempo senza mai scadere con i toni.
Complice anche un Clooney assolutamente adeguato, sin dalle prime battute, al ruolo dell’uomo confuso e comune, esattamente come potrebbe essere qualsiasi altra persona. Perfetto nei suoi silenzi, nei
suoi abiti e nelle sue parole da uomo qualunque. Perché è proprio questo l’aspetto
che più colpisce di tutti nel film: l’aver saputo raccontare emozioni e situazioni in
cui tutti si possono riconoscere. Una dimensione universale raccontata e indagata
quasi per sottrazioni, piuttosto che per
enfatizzazioni. Nella scheggiatura sono
stati preferiti momenti di silenzio piuttosto
che dialoghi pieni di inutili parole (molto
toccante la lunga e silenziosa scena finale del saluto al capezzale della moglie),
mentre la regia si è concentrata su primo
piani e ambienti lasciando che siano essi
stessi a raccontare.
Marianna Dell’Aquila
IL PRINCIPE DEL DESERTO
(Black Gold)
Francia, Italia, Qatar 2011
Regia: Jean-Jacques Annaud
Produzione: Carthago FilmsS.A.R.L., The Doha Institute, France 2 Cinéma, Prima
Tv, Quinta Communications
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 23-12-2011; Milano 23-12-2011)
Soggetto: dal romanzo “La Sete Nera” di Hans Ruesch
Sceneggiatura: Menno Meyjes, Jean-Jacques Annaud, Alain Godard
Direttore della fotografia: Jean-Marie Dreujou
Montaggio: Hervé Schneid
Musiche: James Horner
Scenografia: Pierre Quefféléan
Costumi: Fabio Perrone
Interpreti: Tahar Rahim (Principe Auda), Antonio Banderas (Nassib), Mark
Strong (Amar), Freida Pinto (Principessa Lallah), Riz Ahmed (Ali), Akin Gazi (Saleeh),
Liya Kebede (Aicha), Corey Johnson (Thurkettle), Erik Ebouaney (Hassan Dakhil),
Jan Uddin (Idriss)
Durata: 130’
Metri: 3580
7
Film
Penisola araba, primi anni del
’900.
È appena finita la guerra tra Ne
sib, emiro di Hobeika e Amar, sultano di
Salmaah; le condizioni di pace dettate dal
vincitore, Nesib, prevedono che il territorio desertico denominato “La Striscia Gialla” che divide i due regni, resti terra di
nessuno; a garanzia del trattato i due figli
maschi di Amar, Saleh e Auda, andranno a
vivere in adozione presso il vincitore.
Passano una quindicina d’anni: Saleh
è diventato un uomo d’armi e provetto falconiere mentre Auda ha preferito seguire
la strada dei libri grazie ai quali in breve
tempo è divenuto un maestro di grande
cultura; è nei confronti di quest’ultimo che
si forma sempre più l’interesse e presto
l’amore di Leyla, la figlia di Nesib.
Nel frattempo, proprio nella “Striscia
Gialla” una squadra di tecnici texani ha
trovato il petrolio, che, se estratto secondo un procedimento industriale, potrebbe
coprire d’oro il regno che decidesse di
sfruttarlo.
Nesib cerca dapprima la via diplomatica per non rinunciare a tutta la ricchezza che ha sotto i piedi e combina così il
matrimonio tra Leyla e Auda; ma la fuga
di Saleh e la sua uccisione nel tentativo di
tornare dal padre mandano all’aria ogni
tentativo di risoluzione pacifica della questione. Così Auda, non giudicato pericoloso da Nesib, è inviato come ambasciatore da Amar per arrivare a un compromesso sul territorio tanto ambito, ma il destino cambia le cose profondamente.
P
Tutti i film della stagione
Amar e Auda decidono di non cedere e
si convincono che l’unica soluzione sia,
purtroppo, un’altra guerra: così mentre il
sultano e il grosso dell’esercito si mette in
marcia per colpire l’emirato nemico da
nord, Auda dovrà solo farsi “vedere” sul
campo di battaglia a sud perchè Nesib si
convinca di essere accerchiato.
Auda invece scopre di avere nel sangue i geni del condottiero pur essendo un
uomo di lettere e guida brillantemente, a
prezzo di enormi sacrifici nella traversata
del deserto, l’attacco a sud: la masnada di
galeotti che ha sotto il suo comando impara ad apprezzare e rispettare la sua guida
e ben presto lo adora, mentre intorno tutte
le tribù, una tempo disperse, lo acclamano come Mahadi, cioè “Ben guidato da
Dio”.
Nesib riconosce la sconfitta e si inchina al nuovo Auda che non ha però progetti
di rivalsa; Amar capisce bene quanto l’immensa sete di petrolio dell’occidente e il
fiume di denaro che presto scorrerà nel
deserto corromperà le coscienze e preferisce stare in disparte, come custode delle
tradizioni del passato; Nesib è inviato da
Auda negli Stati Uniti come membro del
consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera per tutelare gli interessi
degli Arabi; Auda infine, riconquistato
l’amore di Leyla, darà corso a una nuova
monarchia, ricca, colta, illuminata.
L
’intento non era malvagio: una
storia d’avventure nel deserto
che avesse sempre davanti a sé
la lezione di David Lean come nume ispiratore; un conflitto tra antico e moderno,
tra tradizioni che sembrano sgretolarsi giorno per giorno sotto i colpi di una modernità vorace e spietata e le esigenze di stare
al passo con i tempi; un conflitto di identica forza tra opposti sentimenti e opposte
fedeltà, quella ai valori rappresentati dalla
fermezza ieratica di Amar e quella ai progetti finalizzati a una nuova famiglia e a
una nuova nazione.
Tutto questo poggiato sulla consumata esperienza professionale di Antonio
Banderas e dei suoi sguardi ammaliatori
e sulla freschezza forte e concentrata del
giovane attore franco-algerino Tahar
Rahim, nonché sul budget sontuoso (quaranta milioni di dollari, sembra) assicurati
dal produttore internazionale Tarak Ben
Ammar.
Tutto questo però non è bastato e la
regia di Jean Jacques Annaud, cineasta pur
abituato a spaziare dalle epoche più diverse ai più diversi territori, non è riuscita a
comporre quell’affresco epico e storicamente attendibile che era, di certo, nei progetti.
Ci ha dato così un’opera piuttosto banale,
appena “televisivamente” accettabile che
affoga nella retorica e nella affabulazione
sonora di dialoghi e musiche. Cosicchè il
pathos, il coinvolgimento avventuroso che
dovrebbe avvenire quando si seguono storie come questa abortisce subito, soffocato
dal folclore, dall’ovvietà e dalla ridondanza
del nostro doppiaggio.
Fabrizio Moresco
PINK SUBARU
(Pink Subaru)
Giappone, Italia 2009
Interpreti: Akram Telate (Elzober), Lana Zreik (Aisha), Michal Yanai (Smadar), Akram Khoury (Mahmoud), Nidal Badarneh (Jamil), Mantarô Koichi (Zen), Nozomi
Kawata (Sakura), Dan Toren (Dani), Salwa Nakkara ( Im Subaru), Ruba Blal (Moglie di Mahmoud), Michael Warshaviak
(Gedeon), Ronny Wertheimer (Shlomo), Louai Nufi (Ladro
d’auto), Giuliana Mettini (Miss Legacy), Hassan
Taha (Mustafa), Merav Sheffer (Esther), Eli Maman (Jordan),
Nahd Bashir (Adel), Raquel Shore (La zia)
Durata: 96’
Metri: 2620
Regia: Kazuya Ogawa
Produzione: Mario Miyakawa per Compact, Revolution
Distribuzione: Iris Film
Prima: (Roma 2-9-2011; Milano 2-9-2011)
Soggetto e Sceneggiatura: Akram Telawe, Kazuya Ogawa,
Giuliana Mettini
Direttore della fotografia: Hiroo Yanagida
Montaggio: Kazuya Ogawa
Musiche: Yasunori Matsuda
Scenografia: Offer Rachamim Harpaz
Costumi: Rami Ardah
n’automobile nuova, lucida,
fiammante. Per molti abitanti
delle cittadine arabo-israeliane e
palestinesi che si trovano al confine con il
turbolento territorio della West Bank (la
Cisgiordania tristemente nota alle crona-
U
che internazionali) possederne una è un
sogno. Così il desiderio si realizza per Elzober, vedovo quarantacinquenne padre di
due bambini, che dopo vent’anni di lavoro
come cuoco in un sushi-bar di Tel Aviv, riesce ad acquistare l’auto desiderata, una
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nuovissima Subaru Legacy nera metallizzata. Dopo aver portato l’auto nella cittadina arabo-israeliana di Tayibe e aver festeggiato l’evento, il mattino dopo scopre
che è stata rubata. Elzober piomba nella
disperazione coinvolgendo tutta la comu-
Film
nità di amici e parenti. Ma una scomoda
verità viene a galla, l’auto non era ancora
stata assicurata perché la venditrice aveva rimandato di poche ore la stipula della
polizza. Tutti cercano di aiutare Elzober,
in primo luogo sua sorella Aisha, poi Mahmoud, ex ladro d’auto, Jameel, il buffone
della compagnia, Dani, il proprietario del
ristorante in cui lavora, Sakura una ragazza giapponese sua collega nel sushi-bar,
Jordan ed Esther una coppia di ebrei sefarditi. E così tra sfasciacarrozze, ladri,
maghe che leggono i fondi di caffè, un anziano zio, Elzober compie un viaggio disperato e comico insieme. Tra le varie disavventure, Elzober deve vedersela con la
disperazione della sorella Aisha che, a un
passo dalle nozze, non vuole più sposarsi.
Tutti i personaggi coinvolti nella ricerca si ritroveranno nella città palestinese
di Tulkarem attorno a una Subaru di color
rosa. In realtà, si tratta proprio dell’auto
rubata, che tra mille avventure, aveva cambiato colore. Per Elzober è il momento del
ricongiungimento con la sua tanto desiderata auto.
ink Subaru è una commedia multietnica in tutti i sensi, diretta da
Kazuya Ogawa, giovane videomaker giapponese, scritta dal regista insieme all’arabo israeliano Akram Telawe (che
è anche l’attore protagonista, un palestinese che vive in Israele) e all’italiana Giuliana
Mettini. Una specie di cooperativa multirazziale che ha lavorato con grande spirito di
gruppo: produzione italo-giapponese (il produttore Mario Miyakawa è un giapponese
cresciuto in Italia), cast tecnico metà italiano e metà giapponese, collaboratori palestinesi e israeliani. Insomma un vero ‘melting pot’ filtrato da culture diverse: italiana,
giapponese, palestinese, israeliana. La distribuzione ha deciso, con scelta coraggiosa, di conservare questo livello di multicul-
P
Tutti i film della stagione
turalità distribuendo il film in lingua originale perché nel doppiaggio si perderebbe il
miscuglio di lingue parlate che è il suo tesoro maggiore (come ha ricordato il produttore non c’era una lingua comune nemmeno sul set!). Certo la scelta di mantenere il film in lingua originale, in Italia penalizzerà gli esiti al botteghino (il pubblico del
belpaese è ancora molto restio a vedere
pellicole in originale sottotitolate).
Ma il film merita, soprattutto per l’inconsueta ambientazione nei territori “caldi” della Cisgiordania ma anche per il messaggio di fondo. L’idea che il film vuole restituirci di Palestina e Israele è infatti lontana da quella che abbiamo dai telegiornali, perché, come ha ricordato la sceneggiatrice, “in un paese in guerra esiste la
vita”. Lo stesso regista ha dichiarato che i
fuochi d’artificio dei matrimoni sono state
le uniche esplosioni che lo hanno accompagnato durante il suo soggiorno in quei
territori (ma anche lui ha confessato di
averli scambiati per bombe la prima volta
che li ha sentiti).
Un altro valore aggiunto è rappresentato proprio da lui, il regista Kazuya Ogawa
(nato in Giappone, studi e prime esperienze lavorative a New York, da qualche anno
lavora in Italia) che ha voluto cercare un
parallelismo tra le difficoltà della vita quotidiana nei territori palestinesi e il dramma
vissuto nei territori giapponesi colpiti dal
terremoto e dallo tsunami nel 2011. Anche in Giappone si è pianto molto per le
vittime del disastro, ma si pensa allo stesso tempo al futuro e si cerca di vivere la
vita di tutti i giorni anche con il sorriso. Le
sue parole in proposito sono indicative:
“Spero che il pubblico percepisca attraverso il film che alla fine siamo noi esseri
umani, tutti uguali e che la felicità è qualcosa di molto semplice”.
Una commedia originale che a tratti osa
parecchio, mescolando realismo e inserti
onirici, ma pregevole per gli intenti e tutto
sommato piacevole. Il sogno è il leitmotiv di
tutto il film. Il sogno è una nuova Subaru, il
cui simbolo è (guarda caso) la costellazione delle Pleiadi, la casa automobilistica più
diffusa nei territori palestinesi a partire dagli anni Settanta quando gli altri marchi erano restii a commercializzare le loro auto in
quelle terre (oggi sono ancora moltissime
le vetture rubate a Tel Aviv e ritrovate in
Palestina). La scelta del giovane regista nipponico di mettere al centro della sua storia
un oggetto fortemente simbolico come l’auto si è rivelata felice. L’auto è come una bella
donna e il protagonista la tratta così. Quando la guida per la prima (e unica) volta, Elzober la accarezza, la bacia, le sussurra
parole dolci, ci si sdraia sopra come se ci
facesse l’amore. E in sogno la sua amata
vettura gli apparirà come una provocante e
bellissima ragazza vestita di nero in riva al
mare.
La scelta del colore rosa è l’ovvia metafora che domina il finale, con l’auto che
ricompare a sorpresa (e con un colore diverso) dopo mille peripezie. Così come
scoperto è il simbolismo di oggetti feticcio
disseminati qua e là, come gli slip rosa
capitati per sbaglio nelle mani del protagonista e l’abito rosa indossato nelle scene finali dalla ragazza giapponese.
“Hanno rubato il mio sogno” dirà il protagonista disperato. Ma tutti lo aiuteranno
a ritrovarlo in una strana comunità dove
non si bada troppo alle differenze di lingua e religione. Noi possiamo augurarci
che territori così tormentati da un’eterna
guerra più spesso vengano mostrati come
in questo film, nei loro stralci di vita quotidiana, liberi da check-point e carri armati.
Il sogno deve rimanere vivo, il futuro
“può” essere rosa, in fondo non costa nulla immaginarlo così.
Elena Bartoni
QUASI AMICI - INTOUCHABLES
(Intouchables)
Francia 2011
Regia: Eric Toledano, Olivier Nakache
Produzione: Quad Productions, Chaocorp, Gaumont, TF1 Films Productions
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 24-2-2012; Milano 24-2-2012)
Soggetto: dal romanzo “Il diavolo custode” di Philippe Pozzo di
Borgo
Sceneggiatura: Eric Toledano, Olivier Nakache
Direttore della fotografia: Mathieu Vadepied
Montaggio: Dorian Rigal-Ansous
Musiche: Ludovico Einaudi
Scenografia: François Emmanuelli
Costumi: Isabelle Pannetier
Interpreti: François Cluzet (Philippe), Omar Sy (Driss), Anne
Le Ny (Yvonne), Audrey Fleurot (Magalie), Clotilde Mollet
(Marcelle), Alba Gaïa Kraghede Bellugi (Elisa), Cyril Mendy
(Adama), Christian Ameri (Albert), Marie Laure Descoureaux
(Chantal), Grégoire Oestermann (Antoine)
Durata: 112’
Metri: 3080
9
Film
Tutti i film della stagione
l film trae spunto da una storia vera,
della quale gli autori hanno senz’altro inteso accentuare gli aspetti
positivi, di cui nessuno forse avrebbe mai
potuto immaginare l’esistenza. Il titolo originale “Intouchables” (intoccabili) parte da
un quadro che, nell’attuale società, viene
spesso reso negativo dal reale quotidiano
che ha intorno: un tetraplegico è, in fondo,
per una società che si ferma a quel che
vede, un intoccabile (che cosa si potrebbe
mai fare di lui o, persino, con lui?). Un giovane nero è “intoccabile” da parte di coloro che hanno tradizioni umane e culturali
diverse, anche se egli è inserito in un Paese che di Neri ne ha (storicamente) moltissimi, fin da quando li colonizzava. Ma le
difficoltà dei due personaggi sono oggi diffuse in tutta l’Europa.
E allora perché non fare in modo che
i due protagonisti si aiutino da soli? Non
era possibile che Philippe “entrasse” nella realtà sociale di Driss, quindi il retroterra umano e culturale del giovane viene fatto apparire ben poco, sottolineando
che il giovane sta sviluppando una sua
nuova cultura che il suo ambiente ancora
non capisce, almeno per ora. È più logico
che Driss sia pronto a cogliere tutte le
novità che gli propone una classe sociale
finora considerata nemica. Alcune scene
sparse nel film ci pongono possibili riflessioni di questo tipo, ma lo svolgersi della
vicenda ha la gradevolezza della continua “sincerità” con cui i due protagonisti
si mostrano l’un l’altro.È un duetto comico di espressioni, frasi, gesti in cui i due
si prendono il campo a vicenda, dandosi
lo slancio quasi per stupirsi l’un l’altro.
Sono entrambi l’uno il Pigmalione dell’altro.
La vicenda si svolge senza cadute di
tono, senza collegamenti forzati tra le parti. Dominano i primi piani dei due protagonisti, perfettamente sostenuti dagli interpreti. Non si esclude nessuna possibile
valutazione del film come storia sociale,
psicologica o quant’altro; la vicenda e la
realizzazione tecnica della sceneggiatura
possono sostenerle. Si deve dare atto al
titolo italiano, non potendo raggiungere la
forza di quello originale, di essere in grado di suggerire che dietro le quinte della
trama ci sono sfumature serie. Ma il comico, giustamente, prevale.
La comicità della vicenda nasce dal
fatto che gli “intoccabili” stringono una intesa che li porta a opporsi a quanto il mondo quotidiano si aspetterebbe da loro: in
particolare, che arrivassero a capirsi come
amici.
I
l film inizia con un giovane nero
che, di notte, a Parigi guida a
folle velocità una Maserati; accanto a lui c’è un cinquantenne tetraplegico, entusiasta quanto il giovane. La polizia li insegue, il giovane è costretto a fermarsi e subito si scaglia contro i poliziotti: dice che sta portando a casa un uomo
malato, che sta per avere una crisi; in effetti, l’uomo inizia a soffocare e a perdere
bava; li agenti si convincono tanto che si
mettono a fare scorta all’auto, in corsa.
Rimasti soli, i due compagni di viaggio
muoiono dal ridere e il nero si stupisce
ancora una volta che il suo amico riesca a
fare quel trucco.
Da qui inizia il film, che è dunque un
lungo flash-back. Il giovane, Driss, vive in
un quartiere disagiato con una famiglia
povera ed è disoccupatio; ha bisogno di
trovare qualcuno che firmi la sua richiesta di assunzione per poter avere il sussidio di disoccupazione. Per fortuna, è assunto per un periodo di prova da Philippe,
un cinquantenne tetraplegico (in seguito a
un incidente con il parapendio) e molto
ricco. Driss dovrà vivere sei mesi in una
stupenda villa, costantemente a fianco di
Philippe, per fare proprio tutto per lui. Le
donne di casa (segretarie, governanti) gli
insegnano il da farsi e le sue reazioni sono
costantemente o di stupore o anche di rifiuto, ma sempre momentaneo, perché in
effetti questo giovane, un po’ sboccato e
che parla ad alta voce, riesce a portare
costanti novità in una vita che, purtroppo,
deve essere organizzata in modo preciso.
Impara a svolgere con serietà e correttezza tutte le terapie di cui Philippe ha bisogno; pranzando in casa, impara a comportarsi con lo stile giusto; da Philippe riceve
I
di continuo informazioni di alto livello. Ma
quando lo accompagna a teatro, per assistere a un’opera lirica, non riesce a non
ridere vedendo i personaggi vestiti da alberi e contagia Philippe. Quando, in casa,
un quartetto suona musica classica, Driss
si intromette facendo sentire musica rap e
coinvolge tutti nell’ascolto e nella danza.
Driss porta Philippe nella neve e un’altra
volta lo fa correre con la sedia a rotelle;
per ovviare ai dolori psicosomatici di Philippe, lo porta a passeggiare nel parco alle
due di notte. Quando devono uscire in auto
e un vicino di casa, come al solito, è fermo
davanti allo spazio riservato a Philippe,
che si rassegna, Driss mostra il modo per
ovviare al problema: scende e va a prendere per la collottola il maleducato. I due
mondi si aiutano!
Il momento più bello è quando Philippe porta Driss in cima a un colle e, con
l’aiuto degli amici del club di parapendio,
lo fa legare a uno di quegli strumenti, come
fa legare sé: Come al solito, Driss esordisce con il suo “Io no, no, no” e poi fa volare nel cielo il suo grido di gioia.
Driss incoraggia l’amico ad approfondire una relazione epistolare con una Eleonore, gli dice di mandarle una foto. Finiti i
sei mesi, Philippe dice che il giovane amico
non può vivere facendo il badante, così si
lasciano; Driss trova lavoro in una società
di trasporti, ma Philippe non trova più un
aiuto capace e si lascia andare; la sua assistente informa Driss, il quale decide si portare l’amico in un giro in auto: è l’inizio del
film. In seguito, Driss porta l’amico in un
ristorante con vista sul mare, saluta e gli
augura fortuna per il suo incontro: arriva
infatti Eleonore; il giovane si allontana lungo la riva del mare, sorridendo all’amico.
10
Danila Petacco
Film
Tutti i film della stagione
…E ORA PARLIAMO DI KEVIN
(We Need to Talk About Kevin)
Gran Bretagna, Stati Uniti 2011
Regia: Lynne Ramsay
Produzione: Independent in associazione con Artina Films e
Rockinghorse Film, BBC Films e UK Film Council in associazione con Footprint Investment, LLP, Piccadilly Pictures, Lipsync Productions
Distribuzione: Bolero Film
Prima: (Roma 17-2-2012; Milano 17-2-2012)
Soggetto: dal romanzo di Lionel Shriver
Sceneggiatura: Lynne Ramsay, Rory Stewart Kinnear
Direttore della fotografia: Seamus McGarvey
Montaggio: Joe Bini
Musiche: Johnny Greenwood
va è sola in una casa, tutto intorno a lei è rosso, ripensa al passato.
Si va indietro nel tempo, Eva conosce
Franklin, rimane incinta e mette da parte
la sua carriera e le sue ambizioni per dare
alla luce Kevin. Ma il piccolo dà problemi
già a partire dai primi mesi di vita, non
smette di piangere, non sembra trovare
calma in nessun luogo e a fatica la mamma riesce a farlo addormentare. Eva è distrutta, mentre Franklin minimizza. A pochi anni di vita, Kevin ancora non parla,
sembra non sentire quello che gli si dice e
non reagire a nessuno stimolo. Eva lo porta da un medico che la rassicura: il piccolo ci sente e non è autistico, non reagisce
agli stimoli ma fisicamente sta bene. Eva e
Franklin cambiano casa ma Kevin continua a essere un bambino problematico: fa
continui dispetti alla madre che cerca di
coccolarlo, rifiuta di mangiare seduto a
tavola, continua a non trattenere i bisogni. Un giorno, Eva per disperazione, dopo
aver subito l’ennesimo dispetto, gli da una
spinta provocandogli la rottura di un braccio. La donna è distrutta dai sensi di colpa. Il fragile equilibrio familiare è ancora
più sconvolto quando Eva partorisce una
bambina, Celia. Kevin assume fin dall’inizio atteggiamenti aggressivi con la sorella. Passano gli anni, Kevin è adolescente,
Eva continua a tentare di avere un dialogo
col figlio ribadendogli il suo amore e portandolo fuori con lei ma il ragazzo continua a tenere atteggiamenti provocatoriamente ostili. Gli hobbys che lo interessano
sviluppano ancora di più la sua aggressività. In particolare il tiro con l’arco, cui
Kevin si dedica assiduamente nel giardino
di casa. Il ragazzo è aggressivo anche con
la sorellina, prima provocando la morte
dell’amato criceto della piccola, poi cau-
E
Scenografia: Judy Becker
Costumi: Catherine George
Effetti: Lip Sync Post
Interpreti: Tilda Swinton (Eva), Ezra Miller (Kevin adolescente), John C. Reilly (Franklin), Jasper Newell (Kevin, 6-8 anni),
Rocky Duer (Kevin piccolo), Ashley Gerasimovich (Celia),
Siobhan Fallon (Wanda), Alex Manette (Colin), Kenneth
Franklin (Soweto), Ursula Parker (Lucy), Lauren Fox (Dott.ssa
Goldblatt), Aaron Blakely (Uomo), James Chen (Dottor
Foulkes), Leslie Lyles (Donna)
Durata: 112’
Metri: 2800
sando un incidente con l’acido che le causa la perdita di un occhio. Alla vigilia del
suo sedicesimo compleanno, Kevin compie una efferata strage nella sua scuola.
Subito dopo, armato delle sue frecce, torna a casa e uccide anche il padre e la sorellina. Precipitatasi prima a scuola e poi
a casa, Eva assiste senza parole alle stragi compiute dal figlio–mostro.
Si torna al presente. Due anni dopo,
Eva va a trovare Kevin in carcere: è l’anniversario della strage, il ragazzo sta per
compiere diciotto anni e sta per essere trasferito in una prigione vera. Guardando
dritto negli occhi suo figlio, Eva gli chiede
solo il perché di tutto ciò che ha fatto, ma
Kevin non riesce ormai neanche a farsene
una ragione. Eva lo abbraccia, risoluta e
dolente.
l rosso, il colore del sangue, del dolore, delle ferite, domina fin dalla
prima scena. Un rito di massa con
una serie di corpi imbrattati di pomodoro,
apre il film con una sequenza che colpisce diritto negli occhi e nel cuore di chi
guarda. Il colore rosso è declinato insistentemente nel film: nel tempo presente con
quella vernice rossa di cui è imbrattata la
casa e l’auto della protagonista, nel lungo
flashback del passato con i primi piani sulla
rossa marmellata nei toast del piccolo Kevin, sul rosso delle ferite, sul rosso del tiro
al bersaglio, hobby-ossessione del protagonista.
E ora parliamo di Kevin, ma chi è Kevin?
Kevin è il male, nient’altro, forse una
delle più vivide e asciutte rappresentazioni del male assoluto che si siano mai viste
sul grande schermo.
Il film è composto come un puzzle, una
sinfonia del dolore di una madre costruita
I
11
attraverso tasselli. L’azione procede per
salti temporali: una struttura spezzata che
si rivela quella drammaticamente più efficace per comporre il quadro d’insieme.
Cioè la storia di Kevin.
Il merito va innanzitutto alle grandi prove dei due attori, madre e figlio. Una Tilda
Swinton semplicemente straordinaria soprattutto nei suoi silenzi dolenti ma carichi
di emozione e un sorprendente Ezra Miller (una storia di bambino prodigio alle
spalle), giovane talento più maturo e colto
di tanti suoi coetanei che stupisce per la
capacità di comunicare con un solo ghigno maligno tutta la portata della sua rabbia repressa.
E ora parliamo di Kevin è una storia di
disagi e di solitudini. Un figlio non voluto
che percepisce la grave carenza fin dai
primi mesi di vita, una madre che ripercorre le tappe della sua relazione col figlio,
rivive gli episodi che hanno determinato il
fallimento educativo e affettivo. Fino a restare con un unico interrogativo: il perché
di tanto odio.
La crescente aggressività del protagonista sembra psicoanaliticamente da considerarsi la conseguenza di una profonda
frustrazione, risultato di una ‘disfunzione
affettiva’ dell’ambiente in cui è cresciuto.
La violenza di Kevin è ripetitiva, meccanica, esplicita ma, soprattutto, drammaticamente ‘anaffettiva’ cioè senza passioni,
come nelle ricorrenti rappresentazioni della
violenza dell’oggi. Ecco, Kevin sembrerebbe incarnare in senso lato il rigurgito di violenza dei nostri tempi. Violenza pura, senza una ragione, senza un vero perché.
Come lascia intendere il ragazzo nell’ultima scena del film davanti a una madre sfinita.
Un film che ha un epilogo degno di
una tragedia classica, con quella strage
Film
finale che può ricordare quella di Elephant, capolavoro di Gus van Sant ma di
matrice diversa. Se nel film di van Sant si
trovava forse una ragione (se così si può
dire) nel vuoto dell’adolescenza, qui alla
base ci sono dolorose e irrisolte dinamiche madre-figlio che sfociano in una vendetta dura contro una madre colpevole di
un sentimento ambivalente nei confronti
del figlio.
Tratto dall’omonimo romanzo di Lionel Shriver, E ora parliamo di Kevin è
un’opera ricca di simboli, condita da una
fotografia che gioca su un’efficace e vivi-
Tutti i film della stagione
da scala cromatica e da una colonna sonora che sembra andare di pari passo con
il crescente stato ansioso della madre
dolente.
La regista scozzese Lynne Ramsay filma impassibile, registra i fatti senza distogliere mai lo sguardo (tranne nella scena
della strage in cui sceglie opportunamente di lasciare la macchina da presa fuori
dalla scuola degli orrori), ma soprattutto
decide coraggiosamente di affrontare e
smitizzare uno dei temi tabù per eccellenza della nostra cultura: l’amore materno,
assoluto e naturale. Il senso di colpa della
madre è sottile ma insistente e percorre,
come una corrente sotterranea, tutta la
pellicola. Eva non finisce di farsi domande
sul perché il figlio le butti addosso un odio
così forte e il film non dà risposte perché
le risposte non ci sono.
C’è solo rabbia, paura e poi il dolore,
estremo, assoluto, una sofferenza che quasi toglie il fiato e che raggiunge come un
colpo tirato nello stomaco dello spettatore. Un film spietato e durissimo. In una
parola bellissimo.
Elena Bartoni
BIANCANEVE
(Mirror, Mirror)
Stati Uniti, 2012
Effetti: Toma wood, One Of Us, Comen VFX, Modus FX, Mokko Studio, Rodeo FX, Tippett Studio
Interpreti: Julia Roberts (Regina), Lily Collins (Biancaneve),
Armie Hammer (Principe Alcott), Nathan Lane (Brighton),
Mare Winningham (Margaret), Michael Lerner (Barone), Robert Emms (Charles Renbock), Sean Bean (Re), Jordan
Prentice (Napoleone), Mark Povinelli (Mezza pinta), Joe
Gnoffo (Mangione), Danny Woodburn (Grimm), Sebastian
Saraceno (Lupo), Martin Klebba (Macellaio), Ronald Lee
Clark (Riso)
Durata: 105’
Metri: 2850
Regia: Tarsem Singh
Produzione: Citizen Snow Film Productions, Rat Entertainment,
Relativity Media
Distribuzione: 01 Disatrubution
Prima: (Roma 4-4-2012; Milano 4-4-2012)
Soggetto: dalla fiaba di Jakob e Wilhelm Grimm
Sceneggiatura: Melissa Wallack
Direttore della fotografia: Brendan Galvin
Montaggio: Nick Moore, Robert Duffy
Musiche: Alan Menken
Scenografia: Tom Foden
Costumi: Eiko Ishioka
a principessa Biancaneve vive insieme al padre, il Re, in un paese
felice e opulento. Un giorno l’uomo decide di prendere in moglie una donna bellissima che nasconde un terribile
segreto: è esperta di magia nera.
La vita coniugale dura poco, il Re, infatti, muore misteriosamente nel bosco lasciando la figlia nelle grinfie della Regina.
Passano diversi anni, Biancaneve ormai adulta, sotto consiglio della sua cameriera, esce dal castello per vedere da
vicino la situazione del suo popolo. Durante il tragitto incontra il principe di un
paese straniero e tra i due scocca la scintilla, ma la ragazza presa dal suo compito
scappa via. Arrivata al villaggio scopre che
la sua gente è poverissima a causa delle
continue tasse richieste dalla Regina e che
la felicità che c’era durante il regno di suo
padre ormai è solo un ricordo lontano.
Decide, allora, di fare qualcosa.
Intanto a palazzo è arrivato il principe. La Regina folgorata dalla sua avvenenza organizza subito un ballo per conquistarlo. Ai festeggiamenti partecipa anche
Biancaneve che monopolizza l’attenzione
L
del ragazzo mandando su tutte le furie la
Regina. La donna, invidiosa, decide di fargliela pagare e ordina al suo servo di portarla nel bosco e mettere fine alla sua vita.
Il poveretto cerca di svolgere l’amara
incombenza, ma, preso da pietà, non riesce ad uccidere la principessa che è costretta a scappare il più lontano possibile
dal castello.
Biancaneve, sola e infreddolita, trova
riparo in una casetta. Ben presto scopre
che è di proprietà di una banda di ladri
formata da nani. La ragazza racconta la
sua storia e dopo la titubanza iniziale viene invitata a restare.
Al castello tutti piangono la morte di
Biancaneve, in particolare il principe, insensibile alle attenzioni della Regina. Quest’ultima, allora, decide di preparare una
pozione per conquistarlo. La magia fa il
suo dovere e in breve tempo la Regina annuncia il suo matrimonio.
La notizia arriva anche a Biancaneve
gettandola nello sconforto. I nani convinti
che ci sia qualcosa di losco dietro le propongono di mandare a monte il matrimonio e di rapire il principe poco prima delle
nozze. La principessa accetta e insieme ai
12
suoi amici riesce a portare il ragazzo lontano dal castello e con un bacio lo sveglia
dall’incantesimo.
La Regina furibonda decide di occuparsi di persona della sua figliastra e le
scaglia contro un terribile mostro stregato. Biancaneve, però, riesce ad annullare
la magia e con sua grande sorpresa vede
la bestia trasformarsi in suo padre.
Tutto sembra risolto e il regno pronto
a festeggiare le nozze di Biancaneve con il
suo principe, ma proprio durante la cerimonia una vecchia si avvicina alla giovane sposa offrendole una mela in dono. La
principessa riconosce nella donna la Regina e la invita a mangiarne un pezzo prima di lei. Compresa la sconfitta, la vecchia, addenta il frutto e scompare sotto gli
occhi di tutti. Biancaneve e il principe, finalmente liberi dal pericolo, iniziano a festeggiare insieme al loro popolo.
a strega di Biancaneve è uno di
quei personaggi che difficilmente si dimentica. La più cattiva fra
le cattive, invidiosa, perfida e, nella versione disneyana, foriera di traumi infantili
che solo l’età adulta ha saputo cancellare.
L
Film
Ciononostante è il personaggio più riuscito della famosa fiaba tedesca rielaborata
dai fratelli Grimm. Se Biancaneve, infatti,
rappresenta uno stucchevole tripudio di
buone qualità raramente riscontrabile nella vita reale, la Regina è l’emblema della
femminilità guerriera che, seppur esasperata, sottolinea le caratteristiche di un mondo che di “gentile” ha solo la fisicità.
Partendo da questa considerazione è
interessante analizzare l’ultimo lavoro del
regista indiano Tarsem Singh Biancaneve.
Nella pellicola, la dolce principessa dai
capelli d’ebano non è più una martire in
balia del destino, ma una ragazza consapevole delle proprie capacità pronta a combattere per qualcosa di più del solito “e vissero felici e contenti”. La Biancaneve di
Singh è una pasionaria che invece di rassettare la casa dei nanetti preferisce imbracciare le armi per aiutare il suo popolo
affamato senza, però, venir meno alla sua
natura di donna. Eh sì perché ci sono delle battaglie che vanno combattute con armi
non convenzionali come un rossetto o, in
alternativa, una fragola succosa. Stiamo
parlando ovviamente della lotta fra Biancaneve e la Regina per il cuore del principe. Che dire? Finalmente le due donne
giocano ad armi pari sul terreno delle astuzie e ciò le rende meravigliosamente moderne senza alterare l’intento pedagogico
della fiaba. La Regina, un’ironica Julia
Roberts, viene sconfitta perché va oltre,
gioca sporco lasciandosi consumare dal-
Tutti i film della stagione
la cattiveria e dall’invidia. Non c’è nessun
cavaliere che ribalta le sorti del racconto,
anzi a dirla tutta, il principe in questione
viene ridicolizzato durante tutta la pellicola dalle sue stesse contendenti. È Biancaneve la vera eroina, capace di salvare e
salvarsi grazie all’intelligenza non subordinata ad uno specchio. Un’immagine psicologica interessante che il regista indiano ha saputo valorizzare mantenendo
sempre il registro leggero e spensierato
della commedia. Senza dimenticare il gusto per il classico che Tarsem Singh ha
reinventato attraverso un’insolita commistione con atmosfere decisamente più contemporanee. Il risultato è un film coloratissimo e divertente con tanto di finale spettacolare in stile Bollywood. Dopotutto è cinema di intrattenimento, un balletto stravagante ci può anche stare.
Francesca Piano
TRE UOMINI E UNA PECORA
(A Few Best Men)
Australia, Gran Bretagna 2011
Costumi: Lizzy Gardiner
Interpreti: Xavier Samuel (David), Kris Marshall (Tom), Kevin
Bishop (Graham), Tim Draxl (Luke), Olivia NewtonJohn (Barbara), Laura Brent (Mia), Rebel Wilson (Daphne), Jonathan Biggins (Jim), Steve Le Marquand (Ray), Elizabeth
Debicki (Maureen), Oliver Torr (Kall), Guy Gross (Yanni), Solveig Walking (Ragazza), David Sullivan (Vip Sicurity aereoporto), Angela Bishop (Reporter di Canale 10)
Durata: 97’
Metri: 2660
Regia: Stephan Elliott
Produzione: Quickfire Films
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 10-2-2012; Milano 10-2-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Dean Craig
Direttore della fotografia: Stephen F. Windon
Montaggio: Sue Blainey
Musiche: Guy Gross
Scenografia: George Liddle
ue giovani ventenni, l’inglese
David e l’australiana Mia si conoscono durante una vacanza su
un atollo da sogno, ma quella che nasce
solitamente come una “cottarella” estiva
destinata a concludersi con il viaggio di
ritorno si trasforma in qualcosa di molto
più complesso: i due perdono la testa l’uno
per l’altra e decidono di sposarsi.
La scelta coglie un po’ tutti di sorpre-
D
sa e nonostante gli amici di David, che
purtroppo è orfano, siano alquanto scettici a causa dell’eccessiva rapidità dei tempi; lo sostengono comunque e lo seguono
nel viaggio verso l’Australia. Infatti le nozze avranno luogo nel paese natale di Mia,
nel cuore delle incantevoli Blue Montains,
dove David, insieme ai fidati Tom, Graham
e Luke arriva con un giorno di anticipo, in
modo da sistemarsi con cura.
13
I quattro intuiscono dal momento in cui
scendono dall’aereo che la famiglia della
ragazza abbia una posizione alquanto importante, poiché vengono scortati dalla
sicurezza e accompagnati alla residenza
Ramme (il cognome della futura sposa).
Jim Ramme, il padre di Mia, è infatti
un ricco, e importante senatore, e la sua
famiglia è da generazioni possidente della
più antica tenuta della zona. Mentre Da-
Film
vid viene accolto in casa, Tom e Graham
vanno all’appuntamento con uno spacciatore trovato via web, per prendere un po’
di erba da regalare a David per il suo addio al celibato; Luke invece rimane in macchina triste e disperato perché la sua ex
fidanzata lo ha lasciato per un altro.
Quando entrano nella roulotte di Ray
– lo spacciatore – Graham viene preso dal
panico e non vede l’ora di andar via, mentre Tom appare più disinvolto. La preoccupazione del giovane genera un repentino cambiamento di personalità in Ray, che
mostra uno strano e ambiguo interesse verso Graham e lo invita a prendere una birra una sera prima della loro partenza.
Questi asseconda l’uomo, temendolo per
il suo esser burbero e pericoloso; così trova una scusa per andar via.
Una volta tornati alla residenza dei
Ramme, si susseguono strani e bislacchi
comportamenti della troupe di David, il
quale non fa altro che scusarsi e vergognarsi per ciò che combinano i suoi amici
e cerca anche di rassicurare la famiglia
della sua futura sposa sul fatto che l’addio al celibato sarà qualcosa di molto sobrio e tranquillo.
Durante l’assenza dei suoi amici David ha finalmente conosciuto anche Ramsey, una pecora alla quale il senatore
J.Ramme deve moltissimo, tanto da giudicarla il pezzo forte della sua campagna
elettorale e da tempestare la residenza di
foto e altri oggetti raffiguranti l’animale.
Quando arriva la notte dell’addio al
celibato, i quattro amici ovviamente non
prestano fede alle dichiarazioni di David
e tornano a casa ubriachi finendo poi per
vestire Ramsey da donna, con tanto di rossetto e filmare il tutto con il cellulare.
Al mattino seguente il risveglio è a dir
poco traumatico. C’è chi è totalmente
nudo, con spinelli sistemati in parti del
corpo poco consone, e chi si ritrova con
una maschera sadomaso al volto. Ma c’è
chi è in condizioni peggiori: David si ritrova in stanza con la pecora vestita e truccata.
Preso dal panico riesce a distogliere
la suocera dall’intenzione di entrare nella
sua camera, e corre subito dai suoi amici
per cercare una soluzione.
I tre non sembrano essere di grande
aiuto, ma, nonostante tutto, David riesce
a farsi promettere che sistemeranno Ramsey nel suo recinto e soprattutto che la puliranno e svestiranno.
Con l’animo leggermente più tranquillo, il promesso sposo inizia a prepararsi
per le nozze, ma quando scende giù deve
badare a Luke, che ubriaco da far schifo
orina in una bottiglia di champagne ten-
Tutti i film della stagione
tando di far “canestro”. Decide allora di
chiuderlo in macchina, ma una volta addormentatosi, Luke toglie per errore il freno a mano e la macchina colpisce una enorme pianta dalle dimensioni sferiche, che
scivola giù velocemente, distruggendo tutto
ciò che incontra sul cammino e finendo
sull’altare, rischiando persino di colpire i
due sposi, che hanno appena pronunciato
il “sì”.
Jim Ramme è già su di giri; inoltre gli
viene data la notizia della sparizione della
pecora, che ovviamente il gruppo di sballati non ha ancora riportato nel recinto.
Graham e Tom intanto si accorgono
che c’è stato uno scambio di borse e hanno lasciato la propria nella roulotte di Ray,
prendendo per errore quella dello spacciatore, contenente armi e cocaina.
Decidono così di chiamarlo al telefono, gli lasciano un messaggio in segreteria per spiegargli le buone intenzioni nel
commettere tale misfatto, e scusarsi.
Il messaggio però viene disturbato da
una cattivare ricezione e Ray crede di esser stato truffato dai due. In preda alla
collera trova nella borsa di Graham l’invito alla cerimonia nuziale; indossando
l’abito dell’amico di David si avvia in direzione della residenza Ramme, con tutta
l’intenzione di far fuori i due impostori.
Nel frattempo, gli amici si accorgono
che la pecora ha mangiato tutte le bustine
contenenti la droga, e Graham si trova
costretto a infilare una mano nel posteriore dell’animale per tirarle fuori una ad una.
Mentre i quattro sono impegnati nell’abominevole pratica, vengono scoperti da Mia,
che si aggirava per casa in cerca di David. La ragazza scappa via e il novello sposo la insegue cercando in tutti i modi di
farle capire l’accaduto, e promettendole di
risolvere la situazione.
Una volta liberata la pecora dalla cocaina, i ragazzi la puliscono e trovano un
bizzarro modo per portarla fuori, ovvero
facendola calare dalla finestra nel giardino tenendola avvolta con delle lenzuola.
Finalmente l’assistente del senatore
ritrova Ramsey al suo posto e corre a dargli la lieta notizia, che viene accolta nel
migliore dei modi da Jim, il quale spera
ancora di salvare la faccia in questo matrimonio alquanto strano.
Ray intanto è arrivato nella residenza,
con tanto di invito. Cerca e trova Graham,
che però sfrutta il fascino che inspiegabilmente esercita sullo spacciatore, per far
uscire fuori il suo lato benevolo. Tom, vedendo i due parlare nel bagno con l’amico
nella vasca, teme il peggio per Graham e
si precipita, colpendo in testa Ray con una
bottiglia di vetro. A questo punto provano
14
a chiuderlo in una sauna, cercando di limitare i danni, ma poco dopo il delinquente è di nuovo sveglio e seriamente arrabbiato, al punto da arrivare con un fucile
fino al banchetto nuziale. Qui però ritrova
suo padre che non vedeva da molti anni e i
due si lasciano andare a un abbraccio commovente.
Ovviamente i danni non finiscono qui
e, alla lunga serie, va aggiunto anche il
filmato che David aveva preparato per
Mia, ma che per errore viene sostituito da
quello amatoriale girato durante l’addio
al celibato, nel quale ne fanno di tutti i
colori a Ramsey.
Questo è il colpo di grazia per Mia e
per suo padre, i quali cacciano David a
malo modo.
Il ragazzo è disperato, e la sera torna
da sua moglie cercando di scusarsi, e mostrandole il vero video. Mia si emoziona e
capisce che David è veramente il ragazzo
che fa per lei, andando così anche contro
le resistenze di Jim.
Alla fine, anche Luke riesce a superare la crisi dell’abbandono e Graham si
bacia finalmente con una ragazza, ovvero
la sorella di Mia.
’ è molto Dean Craig e molto Funeral Party nella collaborazione
che ha dato vita a questo A few
best man, o meglio – anzi peggio – l’atrocemente italianizzato Tre uomini e una
pecora.
Ma c’è anche molto Hangover, in una
sfumatura però troppo aggressiva, quasi
calcata e caricaturale, in una maniera che
ricerca esasperatamente la risata e la rende pertanto meno naturale di quella di
Funeral Party, opera assai più genuina e
convincente.
Sia chiaro, questo prodotto realizzato
dalla collaborazione di Stephan Elliot e
Dean Craig ha una riuscita senza dubbio
positiva, confermata anche da una critica
nel complesso benevola, ma penalizzata
da questa sorta di parossismo.
Lo sfrenato successo ottenuto da Todd
Phillips con i due eccentrici addii al celibato delle “notti da leoni” ha infatti generato
tra registi e sceneggiatori comici una corsa al clone più bello, cadendo così spesso
nella trappola già citata. Nonostante le divertenti gag di cui Tre uomini e una pecora è costituito, non riusciamo a esimerci
dal paragone con Hangover, soprattutto
per scene come il risveglio, che appaiono
ricreate con lo stampino basato sulla pellicola di Phillips; e il paragone ovviamente
non può che esser a svantaggio di Elliot e
Craig.
Passando sopra a tali precisazioni,
C
Film
ecco che abbiamo invece un film degno di
nota, che strappa più volte la risata, in alcuni casi di gusto e in altri a denti più stretti, ma che è comunque in grado di trasmettere la necessaria spensieratezza allo
spettatore.
A onor del vero, va però segnalato che
è al contempo evidente la differenza e il
distacco dall’onda comica americana, grazie a uno humour tipicamente british che
a più riprese emerge con forza, anche grazie a personaggi come Tom, che ne rac-
Tutti i film della stagione
chiudono l’essenza (anche dal punto di
vista estetico).
Continuando poi sulla scia del precedente paragone, non si può fare a meno
di notare la schematica somiglianza di
questi personaggi con quelli di Una notte
da leoni: se David è la fedele riproduzione
di Doug, Tom ricorda un po’ Phil nel suo
essere affascinante ma spocchioso,
Graham è la perfetta crasi di Stu e Alan.
Nella spirale delle demenzialità c’è
spazio un po’ per tutto, anche per temi un
po’ più elevati, come lo scontro fra diverse
culture, l’impostazione severa di un certo
tipo di pater familiae, ma ognuno di questi
elementi coinvolge poi verso la struttura
più funzionale dell’opera, ovvero il divertimento, a tratti becero e spassionato.
Se pertanto avete voglia di farvi quattro risate senza dover riflettere su problematiche impegnative, Tre uomini e una
pecora è una giusta ricetta per l’allegria.
Tiziano Costantini
50 E 50
(50/50)
Stati Uniti 2011
Regia: Jonathan Levine
Produzione: Nicole Brown, Evan Goldberg, Ben Karlin, Seth
Rogen per IWC Productions, Mandate Pictures, Point Gray
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 2-3-2012; Milano 2-3-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Will Reiser
Direttore della fotografia: Terry Stacey
Montaggio: Zene Baker
Musiche: Michael Giacchino
Scenografia: Annie Spitz
Costumi: Carla Hetland
dam è un ragazzo di ventisette
anni che conduce un’esistenza
tranquilla. Lavora come autore di
programmi radiofonici assieme al suo migliore amico Kyle e convive da poco con la bella
fidanzata Rachel, un’artista egocentrica e dominante. A causa di alcuni persistenti dolori
alla schiena, Adam si reca in ospedale per
degli accertamenti, dove gli viene diagnosticata una rara forma di cancro al midollo
spinale. Secondo le statistiche ha il 50% di
possibilità di salvarsi. Comincia così il suo
percorso di accettazione della malattia e la
sua lotta per sconfiggerla. Accanto a lui si
stringono Kyle e Rachael, oltre alla soffocante madre Diane e alla neo psicoterapeuta Katherine. Dopo le comprensibili difficoltà iniziali, questa ingiusta e crudele situazione darà tuttavia ad Alan l’opportunità di
capire quali siano le cose veramente importanti e preziose nella sua vita, oltre a fargli
scoprire un lato sconosciuto di se stesso e
delle persone che ha intorno.
A
0/50 è un delicato “cancer-movie”
basato su una storia vera, quella
dello sceneggiatore Will Reiser,
che racconta con delicatezza, profondità e
inaspettato umorismo la propria esperienza. Non è certamente facile riuscire a fab-
5
Interpreti: Joseph Gordon Levitt (Adam), Seth Rogen (Kyle),
Anna Kendrick (Katherine), Bryce Dallas Howard (Rachael),
Anjelica Huston (Diane), Serge Houde (Richard), Andrew
Airlie (Dott. Ross), Matt Frewer (Mitch), Philip Baker Hall
(Alan), Donna Yamamoto (Dott.sa Walderson), Sugar Lyn
Beard (Susan), Yee Jee Tso (Dott. Lee), Sarah Smyth (Jenny), Peter Kelamis (Phil), Jessica Parker Kennedy (Jackie),
Daniel Bacon (Dott. Phillips), P. Lynn Johnson (Bernie), Laura
Bertram (Claire), Matty Finochio (Ted)
Durata: 100’
Metri: 2760
bricare una spiritosa commedia fondata su
avvenimenti drammatici, il rischio è di scadere nella parodia o comunque nel cattivo
gusto. Al contrario, questa sceneggiatura
affronta con pungente onestà e senza alcuna forma di pietismo un tema molto sensibile, divertendo e, al contempo, facendo
riflettere. La regia di Levine è ordinata ed
impercettibile: asseconda gli exploit travolgenti di un cast ottimamente assortito ed
evidenzia con precisione sia i momenti più
scuri che quelli più leggeri attraversati da
Adam. La bravura del regista si manifesta,
sostanzialmente, attraverso un equilibrio
che gli consente di non calcare troppo la
mano durante le fasi drammatiche e di non
esaurire anzitempo la verve comica dei suoi
attori. Inoltre, Levine è abile nel legare insieme una sceneggiatura che è praticamente una serie di sketch, formando un filo logico conduttore coerente e razionale. Francamente il finale potrà apparire in qualche
modo scontato, però è altrettanto vero che
dispensa molte emozioni, non è mai superficiale ed è corroborato da una piacevole e
speranzosa sincerità. Il film, fondamentalmente, non pretende di rispondere ai quesiti esistenziali più comuni, ma viceversa
offre un punto di vista su come si possa
reagire in circostanze così spiacevoli. I due
15
protagonisti maschili, Gordon-Levitt e Rogen, forniscono una prova di recitazione assolutamente di ottimo livello e sono indiscutibilmente gli elementi trainanti del film. La
loro chimica è armoniosa ed emozionante,
descrivono un’amicizia vera, solida, nella
quale qualsiasi cosa si può affrontare scherzando insieme. Gordon-Levitt si conferma
essere, ancora una volta, uno dei giovani
attori americani più talentuosi del momento, capace di spaziare dal cinema indipendente a grosse produzioni con nonchalance, scegliendosi ruoli sempre diversi e interpretandoli convincentemente (ultimamente è stato l’indimenticabile capellone
ribelle in Hesher è stato qui e presto sarà
sugli schermi con Il Cavaliere Oscuro – Il
Ritorno, l’ultimo capitolo della saga Batman
di Nolan). Rogen è simpaticissimo nei panni del migliore amico Kyle, un vero maestro
nel servirsi di un umorismo politicamente
scorretto, che rende il film più godibile e
veritiero (indimenticabile il suo consiglio di
usare la malattia per rimorchiare, oltre alla
scena della rasatura di Adam). La componente femminile del cast è di altrettanto ottimo livello; Howard interpreta una fidanzata fastidiosa, egoista e moralmente riprovevole con sicurezza e impeto, pare che
realmente non si renda conto della gravità
Film
delle proprie azioni. Angelica Huston è una
mamma apprensiva e asfissiante, sebbene lasci intendere che ciò non sia stata una
scelta personale ma piuttosto una reazione agli eventi spiacevoli nella sua vita. Per
Tutti i film della stagione
concludere, Anna Kendrick è deliziosa nel
ruolo della psicologa alle prime armi, capace di unire saggezza, dolcezza e humour
in dosi ben misurate ed equilibrate (ogni
seduta infatti regala almeno un istante di
riflessione e molti momenti spassosi, particolarmente quando tenta di avere con
Adam un contatto fisico di rassicurazione).
Jacopo Lo Jucco
HUNGER GAMES
(The Hunger Games)
Stati Uniti, 2012
Regia: Gary Ross
Produzione: Color Force, Larger Than Life Productions, Lionsgate, Ludas Productions
Distribuzione: 01 Disatrubution
Prima: (Roma 1-5-2012; Milano 1-5-2012)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Suzanne Collins
Sceneggiatura: Gary Ross, Suzanne Collins, Billy Ray
Direttore della fotografia: Tom Stern
Montaggio: Stephen Mirrione, Juliette Welfling
Musiche: T-Bone Burnett, James Newton Howard
Scenografia: Philip Messina
Costumi: Judianna Makovsky
Effetti: Rising Sun Pictures
Interpreti: Jennifer Lawrence (Katniss Everdeen), Josh Hu-
n un futuro non meglio specificato, quello che era un tempo il
Nord America è risorto in uno
stato chiamato Panem, il cui governo tiene in scacco i suoi abitanti attraverso rigide regole. Panem è formata da una ricca capitale, Capitol City e dodici poveri
distretti periferici. Come promemoria della punizione inferta alla popolazione per
la ribellione di settanta anni prima, ogni
anno viene organizzato tra i distretti che
compongono lo stato, un crudele reality
show, noto con il nome di “Hunger Games”. A ogni famiglia viene imposto il sacrificio di un ragazzo e una ragazza tra i
12 e i 18 anni, che dovrà partecipare ad
un gioco al massacro. Addestrati al combattimento e alla sopravvivenza, i concorrenti si sfideranno fino a che non emergerà un unico vincitore, il sopravvissuto.
Quando la piccola Primrose Everdeen viene selezionata per partecipare, la sorella
sedicenne Katniss decide di offrirsi volontaria e risparmiarle la vita. Nonostante le
suppliche dei familiari e del migliore amico Gale, Katniss è determinata più che mai
ad andare fino in fondo. Costretta da anni
a cacciare illegalmente cibo dopo la morte del padre, la giovane è una vera leonessa, abile arciera e sprezzante del pericolo.
Con lei viene selezionato Peeta Mellark,
anche egli proveniente dal Distretto numero dodici, collocato in una regione ricca
di carbone e segretamente innamorato di
Katniss dall’infanzia. Una volta infatti le
I
tcherson (Peeta Mellark), Liam Hemsworth (Gale Hawthorne), Woody Harrelson (Haymitch Abernathy), Elizabeth Banks
(Effie Trinket), Lenny Kravitz (Cinna), Stanley Tucci (Caesar
Flickerman), Donald Sutherland (Presidente Snow), Wes Bentley (Seneca Crane), Toby Jones (Claudius Templesmith),
Alexander Ludwig (Cato), Isabelle Fuhrman (Clove), Amandla Stenberg (Rue), Willow Shields (Primrose Everdeen), Leven Rambin (Glimmer), Jacqueline Emerson (Foxface), Paula Malcomson (Sig.ra Everdeen), Latarsha Rose (Portia), Dayo
Okeniyi (Thresh), Jack Quaid (Marvel), Brooke Bundy (Octavia), Nelson Ascencio (Flavius), Kimiko Cazanov (Venia), Karan Kendrick (Atala)
Durata: 142’
Metri: 3900
aveva ha salvato la vita, offrendole il proprio pane quando la famiglia di lei stava
per morire di stenti. Katniss e Peeta condotti a Capitol City, incontrano gli altri
“tributi” e vengono introdotti al pubblico
di Panem. Durante l’intervista di presentazione, Peeta rivela in diretta i propri sentimenti nei confronti di Katniss. I giochi
cominciano con undici dei 24 tributi uccisi nel primo giorno, durante il quale Katniss dimostra la propria abilità nella caccia e nelle tecniche di sopravvivenza per
superare tale prova. Nel corso dei giochi
continuano a morire altri ragazzi, ma sia
Katniss che Peeta riescono ogni volta a
cavarsela. Katniss fa amicizia anche con
una bambina di un altro distretto che l’aiuta a salvarsi da un agguato teso dai tributi
“favoriti”; ma poi la bambina viene poi
ferita a morte. Viene annunciata una nuova regola nel corso dei giochi, che prevede la possibilità a due tributi dello stesso
Distretto di vincere in pareggio. In conseguenza a tale proclama, Katniss si pone
alla ricerca di Peeta, lo trova ferito e lo
soccorre, conquistando il favore del pubblico che tifa per un amore tra i due. Quando la coppia rimane finalmente sola in gioco, i gestori del gioco decidono però di revocare la nuova regola e cercano di forzarli a un drammatico finale nel corso del
quale uno dovrà uccidere l’altro per vincere. Ciò nonostante, i due giovani decidono di tentare il suicidio nella speranza
che gli organizzatori possano accettare di
16
avere due vincitori invece di nessuno. Questo espediente ha successo e sia Katniss
che Peeta sono dichiarati vincitori dell’edizione degli Hunger Games.
olverizzando tutti i record d’incasso il film Hunger Games è riuscito a incassare la bellezza di seicento milioni di dollari in tutto il mondo. Primariamente perché è tratto come la saga
di Twilight o Harry Potter da una collana di
libri vendutissimi e secondariamente per
l’enorme battage pubblicitario che ha circondato qualsiasi piccolo evento fosse attinente alla pellicola. Tuttavia mentre l’inglese Rowling s’inventa intorno al suo maghetto un mondo letterario, Suzanne Collins,
autrice del bestseller americano, si limita a
prendere ispirazione dai miti classici e metterli a macello in un calderone stereotipato,
alla Grande fratello. E la regia di Gary Ross
conferisce al film la giusta cornice per sbancare al box office. Eppure l’eroina a cui l’autrice si ispira sembra avere decisamente
poco a che fare con il mondo romano e greco. Il mito di Teseo, a cui l’autrice dice di
rifarsi, narra che Minosse fece rinchiudere
il Minotauro nel Labirinto di Cnosso e che,
quando Androgeo figlio di Minosse, morì
ucciso da ateniesi infuriati perché aveva vinto troppo ai loro giochi disonorandoli, Minosse decise di vendicarsi ed impose alla
città di Atene, sottomessa allora a Creta, di
inviare periodicamente sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro.
P
Film
Proprio come in Hunger Games, a ricordo
simbolico della sconfitta dei Distretti che si
ribellarono, vengono mandati i tributi a morire nei “giochi della fame”. La stessa protagonista, con arco e frecce ci ricorda Diana,
affascinante e coraggiosa dea della caccia.
Ma il mito greco sopracitato non è l’unico aggancio a quel mondo lontano; l’idea
delle bacche che giunge come un “invito”
al suicidio, ricorda l’epoca in cui Nerone
riteneva che il filosofo Seneca avesse preso parte alla Congiura dei Pisoni. Anche i
nomi dei personaggi Caesar, Cinna, Lux,
Cato e la Cornucopia sono chiari riferimenti
al mondo romano. Lo stesso paese si chiama Panem, cioè “pane” in latino. A capo di
questa mitoideologia, un cinico Presidente Snow (Donald Sutherland) che interviene nel racconto con frasi definitive e parafilosofiche sulla dura realtà del potere o sui
vantaggi che gli vengono dalla speranza
illusoria concessa ai sudditi. Già,
perché Hunger Games semina anche in
alcune scene dei momenti che non è illecito supporre “politici”, e che riempiono
ancor di più una sceneggiatura già di per
sé densa. Si cita persino la paura di una
fine della democrazia, con l’avvento di
politica totalitaria, che fagociti e schiacci
le nuove generazioni.
Ma Ross, Collins e lo sceneggiatore
Ray preferiscono giocare a loro volta con
la violenza e con la morte. Nel gioco si
perde così ogni velleità critica, mentre i
Tutti i film della stagione
caratteri dei personaggi si moltiplicano inutilmente e si banalizzano. E alla fine resta
solo una vuota preoccupazione di audience. La vera ragione del successo del film è
infatti il calcolo commerciale dell’operazione, in cui a uno scarso grado di scrittura e
di invenzione si affianca una confezione
patinata, ingenua o ruffiana, che da sempre accompagna la letteratura dei giovani
adulti. Altra sottolineatura la merita il valevole gruppo di attori che compone il cast
di supporto del film: su tutti l’intramontabi-
le Donald Sutherland, mellifluo e ipnotico
come soltanto lui sa essere e il camaleontico Stanley Tucci. Per quanto riguarda invece il lato più specificamente tecnico del
film, la fotografia e le musiche sono le cose
più riuscite. Insieme a una scelta stilistica
nervosa e a un buon impatto visivo del futuro hi-tech, quasi clownesco, svetta il talento emozionale e misurato della protagonista Jennifer Lawrence.
Veronica Barteri
ATM – TRAPPOLA MORTALE
(ATM)
Stati Uniti, Canada 2011
Regia: David Brooks
Produzione: Buffalo Gal Pictures, Gold Circle Films, The Safran Company
Distribuzione: M2 Pictures
Prima: (Roma 17-2-2012; Milano 17-2-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Chris Sparling
Direttore della fotografia: Bengt Jonsson
Montaggio: David Brooks
Musiche: David Buckley
avid è un broker finanziario. Alla
festa di Natale dell’azienda finalmente riesce a dichiararsi alla
collega Emily, ottenendo di poterla accompagnare a casa. Tuttavia alla coppia si aggiunge anche Corey, bisognoso di un passaggio. I tre decidono di fermarsi a uno
sportello bancomat per un prelievo, quando inaspettatamente all’ingresso della cabina si presenta un minaccioso sconosciuto. Le sue intenzioni si manifestano quan-
D
Scenografia: Craig Sandells
Costumi: Patricia J.Henderson
Interpreti: Alice Eve (Emily), Josh Peck (Corey), Brian Geraghty (David), Steve Nagribianko (BGP), Will Woytowich (Sargent), Aaron Hughes (Poliziotto), Glen Thompson (Harold),
Robert Huculak (Robert), Omar Khan (Cristiano)
Durata: 90’
Metri: 2460
do all’improvviso aggredisce un innocuo
passante, uccidendolo a sangue freddo. Inizia così un sadico gioco che costringerà i
tre a una spietata lotta per la sopravvivenza, tenuto conto inoltre della temperatura
sotto lo zero portata dalla notte.
TM – Trappola Mortale è un film
d’alta tensione che si svolge,
quasi interamente, in uno spazio
circoscritto. L’intenzione è di amplificare l’an-
A
17
sia provocata dall’apparentemente ingiustificata e imprevedibile aggressione di un maniaco sanguinario, abbinandola a un senso di claustrofobia dettato dall’ambiente
confinato. Il fulcro della storia consiste nello stravolgere il falso senso di sicurezza
assicurato dalla tecnologia moderna, evidenziando la vulnerabilità della quotidiana
normalità. I tre ragazzi infatti inizialmente
pensano che verranno salvati dal sistema
di telecamere a circuito chiuso e dal telefo-
Film
no cellulare, ma ben presto si renderanno
conto che lo squilibrato li costringerà a una
lotta di primordiale sopravvivenza. La sceneggiatura è scritta di Chris Sparling, già
autore nel recente passato di Buried. Il fil
rouge che lega queste opere è abbastanza
evidente, solo che stavolta i protagonisti
passano dall’essere sepolti vivi al trovarsi
intrappolati in una cabina bancomat. Purtroppo però il risultato in questo caso è abbastanza deludente e non pianificato nel
dettaglio; chiaramente una persona relegata
in una bara sottoterra non ha possibilità di
fuga mentre in ATM le occasioni sarebbero
molteplici. L’istinto di sopravvivenza dei tre
protagonisti viene sopraffatto troppo facilmente da un sentimento di paura probabil-
Tutti i film della stagione
mente esagerato. Risultano così poco credibili e si mostrano assolutamente incapaci e pasticcioni: in tre contro uno sarebbe
bastato ingegnarsi un po’ per trovare delle
valide contromisure, al contrario perfino far
scattare l’allarme anti-incendio diventa per
loro un’impresa ciclopica. La regia di David Brooks non riesce a sopperire alle lacune della storia e il montaggio, da lui stesso curato, è pretenzioso e inutilmente disordinato. Le prove recitative dei tre interpreti principali sono facilmente dimenticabili. Geraghty in particolare appare impostato e poco naturale, l’energia e il carisma di Peck si affievoliscono rapidamente
rendendo il personaggio banale e ingessato. Per concludere, l’interpretazione di
Eve è probabilmente la migliore del film,
pur non essendo niente di speciale in termini assoluti. A loro discolpa, gli attori si
trovano alle prese con una sceneggiatura
poco impegnativa e mal-pianificata, soprattutto nei dialoghi che non riescono a far
affiorare le giuste tensioni. In un thriller di
reclusione ci si aspetta, solitamente, che i
personaggi rivelino i propri caratteri gradatamente e incontrollatamente, mentre in
questo caso palesano una bidimensionalità mediocre e deludente. Il finale a sorpresa tenta di porre riparo alle numerose
pecche, riuscendoci solo in parte e non abbastanza efficacemente.
Jacopo Lo Jucco
TO ROME WITH LOVE
(To Rome With Love)
Stati Uniti, 2012
Regia: Woody Allen
Produzione: Mediapro, Medusa Film
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 20-4-2012; Milano 20-4-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Woody Allen
Direttore della fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografia: Anne Seibel
Costumi: Sonia Grande
Effetti: Leonardo Cruciano Workshop
Interpreti: Woody Allen (Jerry), Alec Baldwin (John), Roberto
Benigni (Leopoldo), Penélope Cruz (Anna), Judy Davis (Phyllis),
Jesse Eisenberg (Jack), Greta Gerwig (Sally), Ellen
Page (Monica), Antonio Albanese (Luca Salta), Fabio
Armiliato (Giancarlo), Alessandra Mastronardi (Milly), Ornella
Muti (Pia Fusari), Flavio Parenti (Michelangelo), Alison Pill (Hayley), Riccardo Scamarcio (Ladro), Alessandro Tiberi
(Antonio), Carol Alt (Carol), David Pasquesi (Tim), Lynn Swanson (Ellen), Monica Nappo (Sofia), Corrado Fortuna (Rocco),
oma, oggi.
John, architetto attento soprattutto alla lucrosa commercializzazione del design dopo un serio passato dedito allo studio di nuove forme artistiche e
strutturali, è in vacanza a Roma dove tenta di ritrovare il quartiere e le strade teatro della sua boheme: vi riesce perchè aiutato da Jack, un ragazzo incontrato per
caso che, ricordandogli la sua giovinezza,
lo conduce a ritrovare luoghi e angoli che
pensava perduti per sempre. Il legame diventa quasi un’amicizia che permette a
John di fare da consigliere, naturalmente
inascoltato, circa il precipitoso innamoramento del ragazzo per Monica, amica tra
l’altro della sua fidanzata, civettuola, bugiarda, affascinante e furba quanto basta
R
Margherita Vicario (Claudia), Rosa Di Brigida (Mariangela), Giovanni Esposito (Impiegato hotel), Gabriele Rapone (Gabriele),
Camilla Pacifico (Camilla), Cecilia Capriotti (Serafina), Duccio
Camerini (Amico al cinema), Lina Sastri (Amica al cinema), Roberto Della Casa (Zio Paolo), Ariella Reggio (Zia Rita), Gustavo
Frigerio (Zio Sal), Simona Caparrini (Zia Giovanna), Sergio
Solli (Autista di Leopoldo), Massimo De Lorenzo (Regista), Marta Zoffoli (Marisa Raguso), Lino Guanciale (Leonardo), Fabio
Bonini (Max), Marina Rocco (Tanya), Sergio Bustric (Sig. Massucci), Augusto Fornari (Cliente di Anna), Mariano Rigillo (Cliente di Anna), Gian Marco Tognazzi (Cliente di Anna), Vinicio Marchioni (Aldo Romano), Donatella Finocchiaro (Reporter), Ninni
Bruschetta (Detective), Carlo De Ruggieri (Detective), Giuliano
Gemma (Hotel Manager), Rita Cammarano (Nedda/Colombina),
Matteo Bonotto (Tonio, lo scemo/Taddeo), Antonio Taschini (Silvio), Vinicio Cecere (Peppe/Arlecchino), Ruggero Cara (Pedone), Maria Rosaria Omaggio (Pedone), Maricel Álvarez (Reporter)
Durata: 105’
Metri: 2850
per fare perdere la testa a un maschio, all’inizio di una carriera d’attrice per la quale è disposta a dare la vita propria
e...quella degli altri. Finirà, naturalmente, male con Jack abbandonato e col cuore
a brandelli.
Anche Jerry, regista d’opera in pensione, arriva a Roma con la moglie per conoscere il fidanzato italiano della figlia; non
è però questo l’argomento che più lo occuperà, bensì la scoperta che il futuro consuocero Giancarlo, impresario di pompe
funebri, ha una voce tenorile migliore del
grande Pavarotti. C’è solo un particolare:
Giancarlo riesce a esprimersi solo sotto
la doccia altrimenti è sopraffatto da stecche abissali. Proprio attrezzandogli una
cabina doccia in palcoscenico, Jerry rie-
18
sce a organizzare per il tenore mancato una
serata memorabile.
Anche Antonio e Milly sono arrivati a
Roma, in questo caso dalla provincia, per
fare colpo sui parenti di lui, importanti,
ricchi ma puritani. Inutile dire che lo scambio fortuito di moglie (ad Antonio si affianca per una giornata una procace escort a
causa di un equivoco mentre Milly è corteggiata da un divo del cinema) non porterà nulla di buono.
L’ultimo personaggio: Leopoldo, comune travet, noioso e senza attrattive è di
colpo considerato un uomo famoso senza
capire il come e il perchè. Giornalisti e
paparazzi assediano la sua casa per accaparrarsi ogni minima azione della sua giornata, interessati alla vita sua e della sua
Film
Tutti i film della stagione
famiglia per farne partecipe una folla di
spettatori e lettori adoranti. Poi, di colpo
e senza motivo tutto finisce, come di colpo
e senza motivo era nato, lasciando più di
un amaro in bocca al povero e incolpevole
Leopoldo.
stato detto di tutto ma tutto ha
fatto capo a una tesi fondamentale: il vecchio Allen si è rimbambito e nel suo mettere in piedi una città da
cartolina ha ritrovato tutti i vecchi fantasmi
del suo cinema, ormai privo di graffi e di
nerbo e tra “Volare” e “Romantica” ci ha
dato una città che non esiste davvero e
forse non è mai esistita se non nei sogni
di chi oggi ha qualche anno di troppo, che
faccia il cineasta o meno. Se poi andiamo
a ritroso a rispolverare i suoi film ci rendiamo conto che neanche Parigi era Parigi, così Londra, così Barcellona e forse,
chissà, neanche la grande Manhattan dei
sogni di una generazione rappresentava
davvero il centro di New York ma solo la
centralità onirica, sentimentale, intellettuale e culturale di un regista di genio che ci
ha fatto amare, desiderare e sognare una
città come fosse nostra, come se ci abitassimo tutti da tempo.
Woody Allen quindi fedele a se stesso
anche ora, nell’impedirci di trovare una
definizione adatta alla città che abbiamo
visto e abilissimo nell’averci gettato negli
stupidi, amletici dubbi tipo “ma non si è
accorto che Roma è oggi un’altra cosa,
sporca, violenta, ostile, volgare, caotica,
ubriaca di ossido, in una parola inospitale
e disumana?” Ma certo che se ne è accor-
È
to e lo sa. Non lo sapevano Fellini, Bergman, Truffaut come fossero le loro amatissime città dove vivevano le loro donne e i
loro uomini, personaggi veri e finti di ciò
che era vero e finto solo dentro se stessi?
E tutto è vero e finto in questa città vera
e finta, colorata come un cartone animato
da Darius Khondji e punteggiata e accompagnata da una musica dolciastra che sa
di nostalgia perchè tutto deve essere pronto a contenere il girotondo di personaggi
che sgorgano dalla fantasia del maestro e
che ci prendono per mano per farsi accarezzare e amare e farci prendere da quel
sorriso, da quell’incantamento a cui ci rendiamo disponibili quando andiamo a vedere un film del cineasta della nostra vita.
È il luogo comune che diventa grandezza, non privo di graffi e sgomento come
nell’episodio dello sconosciuto diventato
d’improvviso una star e presto ricaduto
nell’anonimato: l’accanimento demenziale del circo mediatico televisivo che brucia
vite e persone senza un interesse e senza un perchè lascia davvero inariditi e incapaci di affrontare questa futilità irreale:
meglio continuare a sognare questa città
delle favole così piena di colori accattivanti
e di strade magiche, calde e consolatorie
dove poterci fermare in silenzio e senza
oppressioni in compagnia di un vecchio
amico come Woody Allen.
Fabrizio Moresco
17 RAGAZZE
(17 filles)
Francia 2011
Regia: Delphine Coulin, Muriel Coulin
Produzione: Archipel 35, Arte France Cinéma, Canal +, Cinécinéma, Arte France
Prima: (Roma 23-3-2012; Milano 23-3-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Delphine Coulin, Muriel Coulin
Direttore della fotografia: Jean-Louis Vialard
Montaggio: Guy Lecorne
Scenografia: Benoit Pfauwadel
un piccola città della Bretagna,
Lorient, la diciassettenne Camille
Fourier, rimane incinta. La giovane vive con una madre assente, troppo
assorbita dal suo lavoro e con un fratello
che combatte in Afghanistan. Leader del
U
Costumi: Dorothée Guiraud
Interpreti: Louise Grinberg (Camille), Juliette Darche
(Julia), Roxane Duran (Florence), Esther Garrel (Flavie), Yara
Pilartz (Clémentine), Solène Rigot (Mathilde), Noémie
Lvovsky (Infermiera), Florence Thomassin (Madre di Camille), Carlo Brandt (Preside), Frédéric Noaille (Florian), Arthur
Verret (Tom)
Durata: 90’
Metri: 2460
gruppo del suo liceo, inizialmente Camille
è spaventata dalla gravidanza, ma poi supportata con affetto dalle sue amiche, decide di tenere il bambino. Improvvisamente
la sua condizione la rende diversa agli
occhi delle altre: una donna speciale, un
19
esempio e un modello, per la forza e la
voglia di cambiare la vita per prendersi finalmente le sue rivincite. E così, quello che
era solo un gioco provocatorio, diventa,
dal loro punto di vista, un atto d’amore e
di ribellione. Quando anche un’altra ra-
Film
gazza dello stesso liceo confessa di essere
incinta, non soltanto Julia, Florence,
Flavie, Clémentine e Mathilde prendono
la decisione di emulare la loro amica, ma
anche il resto del liceo. Diciassette ragazze, tutte insieme e nell’arco di poche
settimane, restano così incinte. L’idea,
sempre più bizzarra e utopistica, è quella di crescere con le altre i loro figli tutte insieme, come in una comune, con il
supporto e la vicinanza di ognuna, senza alcuna interferenza dal mondo adulto, per avere il libero arbitrio delle loro
scelte e dei loro sbagli, intenzionate a
fare a meno di chiunque, sia dei partner
che dei genitori, troppo impegnati a mantenerle e ad educarle per capire pienamente il loro gesto. La gravidanza delle
diciassette minorenni procede dunque
contemporaneamente, lasciando interdetti la comunità e le autorità scolastiche, che, impotenti, non riescono a trovare ragioni né spiegazioni per l’accaduto. Genitori e insegnanti restano sbigottiti e impreparati di fronte a tale scelta
e non sembrano possedere strumenti per
persuadere le ragazze a ragionare o cambiare idea. Persino il telegiornale annuncia la notizia in prima serata. Il gruppo
è felice della sua situazione e si sente invincibile rispetto al mondo esterno. Ma
una sera al ritorno da una serata tutte
insieme, Camille senza ancora aver preso la patente prende la macchina della
madre e per andare a soccorrere un’amica perde il controllo della macchina ed
esce fuori strada. A causa dell’incidente
ha il distacco della placenta e perde il bambino. Nessuno da quel momento avrà più
notizia di lei. Intanto le ragazze partoriscono e finiscono il liceo, crescendo ognuna per sé il proprio bambino.
Tutti i film della stagione
e registe Delphine e Muriel Coulin, dopo cinque cortometraggi,
portano in scena un fatto vero,
accaduto nel 2008 nel Massachusetts, trasportandolo da questa parte dell’Atlantico,
in un porto bretone. Un luogo dominato da
spiagge sterminate e palazzoni popolari,
dove le prospettive sociali sono scarse e la
sera un adolescente per divertirsi non ha
niente di meglio che il fast food. Dopo il passaggio a Cannes, 17 ragazze non rimane
inosservato; anzi, ricordandoci il cinema di
Truffaut, riesce a conquistarsi il Premio speciale della Giuria all’ultimo Festival di Torino.
Composta da inquadrature lunghe e silenziose, la pellicola in questione si potrebbe
definire “riflessiva” perché lascia allo spettatore il tempo per interrogarsi su ciò che sta
vedendo, per entrare nell’immagine non solo
con gli occhi. La regia delle due sorelle francesi è quasi documentaristica, fatta di inquadrature che sembrano casuali più che stabilite. Quasi che la macchina da presa vaghi
senza sapere di preciso cosa riprendere, l’inquadratura non ha confini netti. Le interpreti, quasi tutte non professioniste, tranne Louise Grinberg (Camille), già vista ne La Classe, si muovono in maniera spontanea, come
se non stessero recitando e fossero segretamente spiate da una macchina da presa.
La sensazione che si prova guardando 17
ragazze è proprio quella di non assistere alla
proiezione di un film, ma di ricercare la realtà, ascoltare una storia vera che ci è capitata davanti agli occhi. Una storia tutta al
femminile, in cui il desiderio di maternità e
la lotta adolescenziale si trasformano in un
atto di protesta e non c’è più spazio per gli
uomini, troppo lontani e irresponsabili. In
quel delicato periodo della vita umana in
cui è più evidente il conflitto con se stessi,
con il proprio corpo e con il mondo esterno,
L
subentra la gravidanza, non casuale, ma
programmata a tavolino. Non però per ridicolizzare la società, ma per far risuonare
ancor più forte l’incapacità del mondo degli
adulti di rispondere alle domande che i figli
gli pongono. La stessa inettitudine che
emerge nelle scene in cui i professori delle
ragazze, riuniti in consiglio, dimostrano nel
non comprendere le ragioni e le ripercussioni di quella che tutto è tranne che “una
moda”. Il gesto di Camille e le altre è un
inno al riprendere le redini della propria vita
e a condurla con coraggio e determinazione fuori dal caos pietrificato e oramai privo
di sensi che le circonda. Un atto coraggioso che non una, ma ben diciassette ragazzine minorenni hanno avuto sufficiente “incoscienza” di compiere. E proprio su questo strano avvenimento (quale quello di una
migrazione sconsiderata di coccinelle verso la spiaggia) il film lavora e insiste, mostrando le protagoniste sempre con la sigaretta accesa o la bottiglia di alcol in mano,
in perenne corsa, salto, movimento libero di
quei loro corpi sui quali rivendicano possesso e consapevolezza. Così piccole, ma già
così organizzate, piene di progetti e ingenuamente sicure del futuro. Poi, durante un
falò sulla spiaggia, un pallone da calcio prende fuoco, così iniziano a giocarci. Ed è questa la scena chiave del film, quella che raffigura la loro situazione e preannuncia il disastro e la crescita. Donne energiche, vitali, piene di forza, sicure di loro stesse e della loro
amicizia, hanno messo in moto un meccanismo incandescente, che credono di saper
domare. In realtà è giocare con qualcosa più
grande di loro: la vita che cresce lentamente
dentro i loro giovani corpi. Ed è proprio da
qui che nasce il gesto rivoluzionario.
Veronica Barteri
40 CARATI
(Man on a Ledge)
Stati Uniti, 2012
Effetti: Richard Kidd, Method Studios
Interpreti: Sam Worthington (Nick Cassidy), Elizabeth
Banks (Lydia Anderson), Jamie Bell (Joey Cassidy), Anthony Mackie (Mike Ackerman), Edward Burns (Jack Dougherty), Genesis Rodriguez (Angie), Kyra Sedgwick (Suzie
Morales), Ed Harris (David Englander), Mandy Gonzales
(Direttore), Patrick Collins (Padre Leo), J. Smith-Cameron
(Psichiatra)
Durata: 102’
Metri: 2800
Regia: Asger Leth
Produzione: Di Bonaventura Pictures, Summit Entertainment
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 10-2-2012; Milano 10-2-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Pablo F. Fenjves
Direttore della fotografia: Paul Cameron
Montaggio: Kevin Stitt
Musiche: Henry Jackman
Scenografia: Alec Hammond
Costumi: Susan Lyall
N
ew York. Nick Cassidy è un ex poliziotto appena evaso dalla prigione. Nick infatti era stato con-
dannato a una lunga pena perché accusato ingiustamente di aver rubato un prezioso diamante a un importante e avido uomo
20
d’affari, David Englander. Oltre che di
averlo rubato, Nick è accusato anche di
aver tagliato e rivenduto la pietra. Ora, a
Film
un anno dalla sua fuga, l’ex poliziotto si
trova al Roosevelt Hotel a Manhattan, in
bilico sul cornicione di una delle finestre
ai piani più alti, a ben settantotto metri dal
suolo. L’ex poliziotto si dichiara innocente e minaccia di buttarsi giù. Inevitabile
che l’attenzione dei passanti, dei media e
della polizia si concentri tutta su di lui in
poco tempo. Nick, che ha fornito false generalità, chiede che arrivi anche la poliziotta e psicologa Lydia Spencer, nota all’intera nazione per aver provato qualche
tempo prima, senza successo, di evitare il
suicidio di una persona. Mentre Lydia, sicura che l’uomo voglia suicidarsi davvero, prova a convincerlo a non compire il
folle gesto, Nick in realtà sta pianificando
e guidando da lì sopra una rapina supertecnologica. La strategia dell’ex poliziotto, infatti, quella di distogliere l’attenzione della polizia dai movimenti di suo fratello che sta per commettere davvero il più
grande furto di pietre preziose di tutti i tempi. L’oggetto della rapina è, tra l’altro, proprio il prezioso del cui furto Nick era stato
accusato. Il ritrovamento della pietra, infatti, potrebbe servire a dimostrare la sua
innocenza. In un concitare di azioni, diret-
Tutti i film della stagione
te televisive 24 ore su 24 alla ricerca di
scoop, la polizia incomincia a mettersi in
posizione per fare irruzione nell’hotel,
mentre Lydia non sa più chi stia dicendo
la verità e chi stia mentendo. Se suicidarsi
davvero o ha un altro scopo? Intanto la
sua vita è sempre di più in bilico.
l titolo originale del film, Man on a
ledge, significa in italiano L’uomo
sul cornicione. Messa così, piace
decisamente di più un titolo come quello
effettivamente scelto, 40 carati. Eppure, se
vogliamo partire da una considerazione
puramente estetica e da una valutazione
della regia, dovremmo rimanere fedeli alla
traduzione del titolo originale. Il film di
Asger Leth infatti è davvero girato ai piani
alti di un hotel, al punto che tutta la dinamica dell’azione e della trama partono proprio da quella dimensione spaziale. Anche
il punto di vista delle spettatore assume
spesso una visione iperbolica dall’alto verso il basso, avvicinandosi molto alla soggettiva del protagonista Nick (Sam Worthington).
È soprattutto dall’analisi dei diversi livelli spaziali su cui viene costruita la strut-
I
tura filmica di 40 carati e dei diversi punti
di osservazione proposti dal regista che si
capisce la sua origine come documentarista. Il passaggio al thriller, segnato proprio
da questo film, emerge forse con un comportamento troppo accondiscendente nei
confronti degli stereotipi del genere. E qui
ne abbiamo molti: dal poliziotto accusato
ingiustamente alla psicologa indagatrice,
dal familiare complice (Jamie Bell) all’avido David (Ed Harris), per finire con quella
che forse rappresenta il vero senso del film:
la reporter (Kyra Sedgwick) in cerca di informazioni per essere lei stessa l’artefice
della notizia.
Esattamente come i piani spaziali, anche quelli narrativi sono costruiti con una
logica ben precisa, in cui ogni tassello (in
primis i personaggi) sono incastrati perfettamente. Lo spettatore è chiamato a ogni
azione a domandarsi cosa avverrà dopo.
Ci sono pochi colpi di scena o, meglio, ci
sono poche sorprese, ma tutto è congegnato alla perfezione e le aspettative del
pubblico sono caricate di quella la suspence tipica del genere.
Marianna Dell’Aquila
BEL AMI – STORIA DI UN SEDUTTORE
(Bel Ami)
Gran Bretagna, Francia, Italia 2012
Regia: Declan Donnellan, Nick Ormerod
Produzione: Redwave Filmsin associazione con XIX Film, Protagonist Picture e Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 13-4-2012; Milano 13-4-2012)
Soggetto: dal romanzo di Guy de Maupassant
Sceneggiatura: Rachel Bennette
Direttore della fotografia: Stefano Falivene
Montaggio: Masahiro Hirakubo
Musiche: Lakshman Joseph De Saram, Rachel Portman
Scenografia: Attila Kovacs
arigi, 1890.
Georges Duroy, tornato in patria
dopo un lungo periodo sotto le
armi è solo e senza un soldo. Un incontro
fortuito con Charles Forestier, conosciuto
nella campagna nordafricana, gli apre le
porte del salotto giusto, pieno di uomini
che contano e di belle signore, a cui lui
accede forte di un vestito nuovo che Forestier gli regala e del suo fascino di tenebroso vilain per cui le donne cominciano
presto a perdere la testa, giustificandone
il soprannome di Bel Ami.
Forestier è il caporedattore di un quotidiano diretto da Rousset, interessato più a
P
Costumi: Odile Lynch-Robinson
Interpreti: Robert Pattinson (Georges ‘Bel Ami’ Duroy), Uma
Thurman (Madeleine Forestier), Kristin Scott Thomas (Madame Rousset), Christina Ricci (Clotilde de Marelle), Colm
Meaney (Rousset), Philip Glenister (Charles Forestier), Holly
Grainger (Suzanne Rousset), James Lance (Francois
Laroche), Natalia Tena (Rachel), Pip Torrens (Paul), Amy
Marston (Nanny), Christopher Fuldor (commissario di polizia)
Durata: 102’
Metri: 2800
sostenere i fruttuosi intrallazzi con i politici
che a scrivere cronache giuste e veritiere.
Georges è incaricato di scrivere un articolo sulla sua esperienza di combattente e di
reduce e in un batter d’occhio accontenta
Rousset, sodddisfatto di unire alla redazione una penna nazionalista. C’è un piccolo
particolare: Georges è incapace di scrivere
alcunchè di serio, l’unica cosa che sa fare è
sedurre le belle donne dell’alta società e
trarre da questo il massimo del tornaconto.
Gli articoli saranno quindi sempre scritti
da altri, anzi da altre.
La prima a cadere tra le sue braccia è
Clotilde de Marelle, moglie di un facolto21
so uomo d’affari sempre in giro e quindi
piuttosto libera di incontrarsi con George
nel loro nido d’amore da lei, ovviamente,
pagato. Quasi contemporaneamente Georges stringe una relazione con Madeleine
Forestier, moglie del caporedattore, sposandola quando questo muore di tisi e da
lei poi divorziando a suon di milioni quando scoprirà il suo tradimento. Il culmine è
la relazione che Georges stringe con Madame Rousset, moglie del Direttore, da cui
ha l’appoggio pieno per entrare nei posti
giusti e conoscere le notizie giuste.
Anche i mariti traditi hanno però le loro
armi: Rousset non rende partecipe Geor-
Film
ges dei progetti espansionistici in Africa
del nuovo governo, tenendolo fuori dalla
speculazione sulle azioni delle miniere africane e negandogli così un guadagno di svariati milioni.
Non mancano a Georges le carte per
la risposta: l’ultima sua conquista è l’obiettivo più ambito, la giovanissima figlia dei
Rousset con cui convola a nozze nonostante
le isteriche opposizioni della madre.
Il finale non apre nessuno squarcio su
quali potranno essere le mosse di Bel Ami,
adesso che lui ha raggiunto un così alto
piedistallo.
Tutti i film della stagione
obert Pattinson, reduce dalla
saga di Twilight, ha voluto utilizzare al più presto l’immensa base
di pubblico conquistata per fare il suo ingresso nel cinema “adulto” e consolidare così
fama e successo per la costruzione del suo
futuro. È stato accompagnato nel progetto
da una coppia di registi, Donnelan e Ormerod, al loro esordio cinematografico ma di
forte provenienza teatrale e quindi ben capaci di guidare un giovane nei meandri della
recitazione e della finzione scenica in un film
così ricco di interni come questo. Aggiungiamo che a far da “madrine” all’esordio se-
R
rio di Pattinson sono state convocate tre
splendide attrici d’alta scuola come la Thurman, la Scott Thomas e la Ricci, maestre
della seduzione come dell’uso di sguardi,
gesti e comportamenti che danno al loro recitare la padronanza assoluta della scena.
Eppure tutto questo non è bastato: gli
sguardi da bel tenebroso di Pattinson non
risultano utili né sufficienti a contrastare
sullo stesso piano l’amoralità, la corruzione e l’inciviltà politica del periodo e anche
se l’andamento della storia sembra dare
ragione ai suoi comportamenti, pare davvero che tutto accada perchè tutto è già
scritto e non perchè il personaggio sia in
grado di dominare il suo destino. C’è la languidezza, c’è la bellezza ingabbiata forse
ancora nel vampirismo o, forse, tenuta un
po’ ingessata proprio per uscire dal recente passato cinematografico; manca il fascino che deriva dalla depravazione, manca quella vertigine che unisce i sensi e la
consapevolezza della manipolazione di
donne e uomini che si realizza semplicemente nella consapevolezza del potere.
Forse tutto questo è dovuto alla giovane
età (ventisei anni): Pattinson ha dimostrato
in questo film progressi, concentrazione e
lavoro; qualche anno in più avrebbe potuto
stendere il guasto di un po’ di polvere consumata sul suo bel viso levigato e conferire
al personaggio quel velo di dissolutezza e di
degenerazione che sono invece mancate.
Fabrizio Moresco
BUONA GIORNATA
Italia 2012
Interpreti: Diego Abatantuono (Romeo Telleschi), Lino
Banfi (Leonardo Lo Bianco),Teresa Mannino (Rosaria Miccichè),
Maurizio Mattioli (Alberto Dominici), Vincenzo Salemme (Luigi
Pinardi), Christian De Sica (Ascanio Cavallini), Paolo
Conticini (Cecco), Chiara Francini (Chiara), Tosca D’Aquino (Marisa), Gabriele Cirilli (Settimio), Mario Ierace (Mario), Giuseppe
Centola (Peppino), Antonio Centola (Tonino), Daria Baykalova
(Svetlana), Giorgia Trasselli (Luciana), Gianantonio Martinoni
(Federico), Teresa Pietrangeli (Zia Iole), Luis Molteni (Alfonso)
Durata: 97’
Metri: 2660
Regia: Carlo Vanzina
Produzione: International Video 80, Medusa Film in collaborazione con Sky
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 30-3-2012; Milano 30-3-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Enrico e Carlo Vanzina
Direttore della fotografia: Carlo Tafani
Montaggio: Raimondo Crociani
Musiche: Manuel De Sica
Scenografia: Tonino Zera
Costumi: Nicoletta Ercole
oma ore 6.20, un principe caduto in disgrazia si sveglia, poco
dopo anche a Milano, Napoli,
Monopoli, Firenze, altri personaggi iniziano
la giornata. Queste le storie che si intrecciano nelle stesse ore in diversi luoghi d’Italia.
A Roma il principe decaduto Ascanio
Gaetani Cavallini si procura da vivere af-
R
fittando la sua nobile dimora storica alle
troupe delle fiction; ma non basta: lo sfratto è imminente. Ascanio non se ne preoccupa più di tanto e passa le sue giornate
da perfetto nullafacente presenziando a
funerali, inaugurazioni di qualsiasi tipo
(perfino di un negozio di sanitari) e feste.
Il nobile decaduto non si cura del fatto che
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sta per restare in mezzo alla strada e conclude la sua giornata a una festa in via
Veneto, dove non riesce a combinare un
matrimonio per salvare le sue finanze.
A Milano la manager siciliana trapiantata al nord Rosaria Miccichè, prende il treno di prima mattina per Roma corredata
dalle sue inseparabili tecnologie: computer,
Film
cellulari e carte di credito. Ma a Bologna,
mentre è scesa per fare stretching, il treno
riparte senza di lei. Rosaria si ritrova sul
marciapiede senza la sua inseparabile tecnologia, tutta la sua vita è lì dentro e ora che
le manca non ha più identità. Disperata, tenta
di fare di tutto per riprendere un treno ma
senza carte di credito e cellulari non riesce a
pagarsi il biglietto. Arrivata con diversi espedienti a Roma, finisce per essere fermata
dalla polizia perché priva di documenti.
Scambiata per un’immigrata illegale, viene
messa su un volo di rimpatrio insieme a un
gruppo di clandestini africani.
A Monopoli vive Romeo Telleschi, milanese trapiantato in Puglia. La sua ditta che
vende prodotti di domotica è sull’orlo del
fallimento e come se non bastasse il rapporto con moglie e figli è disastroso. La moglie
lo accusa di non comportarsi abbastanza da
uomo e con i figli non ha dialogo. Ogni tentativo di riavvicinamento con i figli Melissa,
Noemi e Lello è fallimentare e l’epilogo della sua storia è una vera tragedia.
A Roma, in una grande villa sulla Laurentina vive Alberto Dominici, ricco imprenditore romano e grande evasore fiscale. Ma
la Guardia di Finanza è sulle sue tracce.
Alberto inizia una lotta contro il tempo per
nascondere tutto coinvolgendo il suo autista tuttofare Settimio. Il suo assistente deve
far sparire di corsa una serie di documenti
fiscali dai suoi uffici, sgomberare la villa di
tutti i mobili, far sparire il vistoso yacht di
nome “Bamboleira”, portare via il costoso
SUV del suo datore di lavoro lasciando solo
il suo motorino davanti alla villa. All’alba,
all’arrivo della guardia di finanza, tutto è
sparito e Dominici sembra quasi un nullatenente che abita in una villa vuota, ma l’arrivo del figlio su un bolide rombante proprio davanti ai finanzieri finisce per incastrarlo nella maniera più plateale.
A Roma lavora anche il senatore Leonardo Lo Bianco: oggi il Senato dovrà votare se accettare o no l’autorizzazione a procedere contro di lui per corruzione e abuso
d’ufficio. Il voto è in bilico, basterebbe una
sola defezione per rovinare tutto. Lo Bianco
si affanna così a reclutare su e giù per l’Italia i suoi colleghi costringendoli a precipitarsi nella capitale per il voto di fiducia. Ma
mentre Lo Bianco si avvia al Senato, una telefonata lo informa che uno dei suoi colleghi
è morto d’infarto mentre s’intratteneva con
un trans brasiliano. Ora la maggioranza non
ci sarà più. Disperato, Lo Bianco corre ai
ripari, “riportando in vita” il suo collega e
spingendolo in carrozzella fino ai banchi del
Senato per farlo votare.
A Napoli vive Luigi Pinardi facoltoso
notaio dalla vita monotona. A complicare
la vita ci si mette però Svetlana, una prosti-
Tutti i film della stagione
tuta raccomandata a Pinardi da un amico,
con cui il notaio decide di distrarsi qualche
ora mentre la moglie Marisa è a Ischia. Ma
la moglie, tornata in anticipo, lo scopre con
la ragazza. Colto sul fatto, Pinardi inventa
che è sua figlia, nata da una relazione giovanile di cui non sapeva l’esistenza fino a
quel momento. Ma qui iniziano i guai perché Svetlana è molto conosciuta anche dalla cerchia di parenti del povero Pinardi. E
Marisa non tarderà a smascherarlo.
Completa il quadro Cecco, scaramantico tifoso della Fiorentina che parte per
una trasferta per Verona con la sua fidanzata Chiara per seguire la sua squadra del
cuore. Ma il viaggio si trasforma presto in
un incubo. L’anno prima la Fiorentina aveva vinto e lui era presente. Ora pretende
di non cambiare una virgola di quello che
aveva fatto l’altra volta. Stesso percorso,
stesso albergo, stesso ristorante. Ed è proprio lì che accade il “fattaccio”. Cecco e
Chiara ritrovano un cliente del ristorante
che era lì anche l’anno prima e con il quale avevano fatto amicizia. Ma Cecco scopre che, mentre lui era allo stadio, Chiara
e il tizio erano andati a letto insieme. Allora la Fiorentina aveva vinto e ora, schiavo
della superstizione, Cecco è costretto a
chiedere ai due di fargli di nuovo le corna.
Nel finale la ex manager “terrona”
Rosaria tenta la fortuna in TV al gioco di
Fabrizio Frizzi “I soliti ignoti” dove si trova a dover scoprire l’identità di quattro
protagonisti delle storie che si sono intrecciate nella giornata.
uona giornata! Augurano i Vanzina a tutte le loro creature prima di seguirle nelle loro rocambolesche (dis)avventure per ventiquattro
ore. Da Roma a Milano, passando per Verona e Napoli con una puntatina in Puglia,
una parata di celebrità del cinema italiano
dà vita a una serie di macchiette più o meno
indovinate. E se non vi bastano più i soliti
De Sica-Abatantuono- Salemme-Mattioli,
ecco rispolverare un Lino Banfi d’annata,
chiamato a rinverdire i fasti delle sue commedie nazional-popolari anni Settanta, nei
panni di un senatore simil-Scilipoti. A condire il piatto infine, la “prezzemolina” Teresa Mannino, l’immancabile Paolo Conticini
e il frizzante Gabriele Cirilli.
Questa volta i Vanzina bros. provano a
tornare all’antico modello di riferimento del
film a episodi che tanta gloria ha regalato
all’italica commedia. Ma la struttura del film
resta unitaria e le storie, a onor del vero,
sono ben intrecciate. Nello spazio di una
sola giornata alcuni italiani-tipo affrontano
i loro problemi strappando qualche risata
con una comicità dalle sfumature diverse,
B
23
dalla grana grossa, alla simil-pochade, alla
macchietta vera e propria. Va detto che la
satira sociale tentata resta molto di superficie, ma i Vanzina hanno sempre dichiarato leggerezza e semplicità d’intenti. Confessando di aver preso spunto da un magazine che proponeva decine di scatti fotografici su diversi aspetti del nostro Paese, hanno voluto riprendere l’Italia di oggi
attraverso una ‘giornata particolare’ di alcune persone normali colte in situazioni
più o meno buffe. Ed ecco una galleria di
maschere: dal principe fannullone sull’orlo del fallimento, all’evasore fiscale totale,
dal milanese (mal) trapiantato al sud, alla
terrona diventata manager a Milano, dal
notaio napoletano ‘sciupafemmine’, al senatore corrotto a caccia di voti di fiducia.
Sono diversi i richiami cinematografici più
o meno scoperti, dal Marchese del Grillo a
Week-end con il morto fino alla commedia
francese Joyeuses Pâques con Sophie Marceau, quest’ultima indicata dagli stessi Vanzina bros tra i modelli di riferimento.
Evasori totali, corrotti, nullafacenti, bugiardi sciupafemmine, calcio-dipendenti,
schiavi di tutte le ultime tecnologie. Tanti vizi,
poche (anzi pochissime) virtù. Ma gli italiani
sono davvero così? Come al solito, peggio
del solito (non mancano neppure le escort
russe e i trans brasiliani, riferimenti per nulla
casuali alle prime pagine di cronaca). L’italietta messa in scena dai Vanzina è davvero
meschina, ma purtroppo tristemente vera.
Dobbiamo registrare che, rispetto al
passato, alcune cose indovinate ci sono.
Felice la scelta dell’unità di tempo, che
concentra tutto in ventiquattro ore, e indovinata anche la grafica dei titoli di testa.
Tanti orologi animati e tante lancette che
girano al suono di una distensiva musica
retrò. Che sia un omaggio alla vecchia
commedia costume all’italiana di cui Vanzina senior fu uno dei padri fondatori?
Certo le cadute di gusto non mancano. Una su tutte, l’episodio che vede protagonista Vincenzo Salemme, notaio napoletano sciupafemmine, più che ispirarsi
alla pochade francese (modello invocato
dai due registi) scivola, come su una buccia di banana, su un finale in cui a dominare sono le solite volgarità ‘italian style’.
Lontani dal Natale e dalle tante Vacanze che li hanno resi famosi, i Vanzina ci
riprovano piazzando l’uscita della loro commedia sotto Pasqua. Qualcuno ha anche
provato a parlare di “Cineuovo”. Sarà, ma
forse anche loro sono stufi delle etichette.
Ma il grande pubblico in cerca dell’intrattenimento a buon mercato continuerà
a premiarli?
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
HUNGER
(Hunger)
Gran Bretagna 2008
Regia: Steve McQueen
Produzione: Blast! Films, Chanel Four Films, Film4
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 27-4-2012; Milano 27-4-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Steve McQueen, Enda Walsh
Direttore della fotografia: Sean Bobbit
Montaggio: Joe Walker
Musiche: David Holmes, Leo Abrahams
Scenografia: Tom McCullagh
Costumi: Anushia Nieradzik
Effetti: Bob Smoke
Interpreti: Michael Fassbender (Bobby Sands), Liam Cunnin-
1981, Irlanda del Nord, Belfast.
L’esercito protestante di Margaret Thatcher affronta col sangue
e la repressione le forze repubblicane cattoliche che rispondono con attentati e omicidi di personaggi collusi con Londra. Il
Primo Ministro inglese considera come
criminali qualsiasi i dissidenti arrestati
mentre questi si rifiutano di indossare nelle carceri le uniformi dei prigionieri comuni. Nel penitenziario di Long Kesh scoppia così “la protesta delle coperte” e “la
protesta dello sporco” che trasformano i
rapporti tra agenti e detenuti, già al limite
della sopportazione, in un inferno.
Gli internati nel penitenziario riescono
comunque a mantenere un contatto con il
mondo esterno e con le loro famiglie: è proprio questo che l’ultimo entrato Gillan apprende da un altro detenuto repubblicano,
Campbell che ha organizzato tutta una serie di sistemi per fare entrare nel carcere
1
gham (Padre Dominic Moran), Lalor Roddy (William), Stuart
Graham (Raymond Lohan), Brian Milligan (Davey Gillen), Liam
McMahon (Gerry Campbell), Laine Megaw (Sig.ra Lohan),
Helena Bereen (Madre di Ray), Karen Hassan (Ragazza di
Gerry), Frank McCusker (Direttore del carcere), Helen
Madden (Sig.ra Sands), Des McAleer (Sig. Sands), Geoff
Gatt (Uomo con la barba), Rory Mullen (Sacerdote), Ben
Peel (Stephen Graves, agente penitenziario antisommossa),
Paddy Jenkins (Sicario), Billy Clarke (Ufficiale sanitario), Ciaran Flynn (Bobby a 12 anni), B.J. Hogg (Inserviente lealista)
Durata: 96’
Metri: 2635
messaggi e comunicazioni di ogni genere,
perfino un minuscolo apparecchio radio.
La vera anima della ribellione è Bobby Sands che alla fine dell’ultima sommossa sedata con pestaggi e umiliazioni, decide di passare insieme ad altri compagni
allo sciopero totale della fame. Di questo
Bobby informa in un ultimo, drammatico
colloquio, Padre Moran che invano tenta
di dissuaderlo dal sacrificare inutilmente
la propria vita.
Cominciano così gli ultimi sessantasei
giorni dell’esistenza di Bobby Sands, un
vero e proprio calvario, una sofferenza senza fine che trasforma un giovane sano in
uno scheletro e poi in un cadavere. Altre
scelte disperate di altri patrioti incarcerati accompagnano Bobby alla morte.
Anche se allora sembrò che gli scioperi
della fame portati alle estreme conseguenze non avessero prodotto alcun miglioramento della situazione, pure, fu proprio que-
24
sto periodo terribile a gettare le basi di quel
lungo processo di pace che si concluse con
gli accordi del Venerdì Santo del 1998.
ual è il limite del recitare e (se
c’è) quando lo si supera per fare
un’altra cosa, per rendere se
stessi, il proprio corpo e la propria anima
appartenenti a un’altra dimensione?
Non sappiamo, naturalmente, se tutto
questo sia vero, sappiamo però che può
accadere qualcosa di particolare, l’abbiamo visto con De Niro, con O’ Toole per
esempio, quando il lavoro di un attore si libera dal suo peso specifico per condurre lo
spettatore per mano in un altro, inesplorato
territorio: dove non c’è più la “recita” del
personaggio, dove scompare la più o meno
diligente realizzazione della storia secondo le indicazioni registiche perchè tutto è
spazzato via per fare posto a una specie di
idea platonica, cioè un forma pura, un archetipo della sofferenza, della gioia, della
disperazione, dell’odio e così via. L’attore
non recita più ma è, è quell’idea.
La discesa nella sofferenza che Fassbender fa percorrere al suo personaggio
a dimostrare il significato della libertà e di
come e quanto questi sia in grado di disporne diventa, fotogramma dopo fotogramma,
insostenibile: giorno dopo giorno dei suoi
ultimi sessantasei,il ragazzo irlandese compie l’esaltazione della propria vita e delle
proprie idee che va di pari passo con la scarnificazione, brandello dopo brandello, di
tutto ciò che in maniera sublime possiede
e non può essere occupato da altri, il proprio corpo. In una concentrazione senza
sbavature, in una compostezza umana, ideale e formale che va oltre lo schermo, oltre
l’immagine, per ritornare e ritrovarsi facendo il cammino a ritroso, appunto, come idea,
come forma pura.
Naturalmente tutto questo è possibile
Q
Film
quando un’espressione così sovrumana
incontra un sostegno artistico di uguale
spessore nella personalità e nell’azione di
un regista.
Così è stato, perchè Steve Mc queen,
fin dall’inizio della sua giovane carriera interessato al culto maniacale dell’immagine
realizzato nella fotografia e nella scultura
ha instaurato con Fassbender una modalità di fare cinema colto, ambizioso, insomma nell’accezione più autentica, d’autore.
Tutti i film della stagione
I due cineasti arrivano così alla composizione di un linguaggio che modifica la
“normale” e comune azione di chi si occupa di cinema per lastricare una strada completamente nuova che non sappiamo, per
ora, quali traguardi possa raggiungere.
Basta pensare al dialogo tra Sands e il
prete cattolico, ripreso con macchina fissa per più di dieci minuti: chi avrebbe oggi
la voglia, il coraggio (e la capacità...) di
girare così?
Avevamo già visto in Shame, il film uscito a Venezia prima di questo che aveva premiato Fassbender, la realizzazione di una
“diversità” cinematografica costruita sull’utilizzo di un corpo, prigioniero, in quel caso,
di un’ossessione; qui l’utilizzo libertario del
corpo nel film uscito per primo, è il manifesto di un linguaggio politico, è l’appropriazione sofferta di una nuova forma d’arte.
Fabrizio Moresco
YOUNG ADULT
(Young Adult)
Stati Uniti 2011
Regia: Jason Reitman
Produzione: Jason Reitman, Diablo Cody, Charlize Theron,
Russell Smith, Lianne Halfon, Mason Novick per Mr. Mudd
Pruduction, Mandate Pictures, Right of Way Films, Denver and
Delilah Productions, Indian Paintbrush
Prima: (Roma 9-3-2012; Milano 9-3-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Diablo Cody
Direttore della fotografia: Eric Steelberg
Montaggio: Dana E. Glauberman
Musiche: Rolfe Kent
avis Gary è una ghost-writer di
libri adolescenziali che abita a
Minneapolis. La donna vive
come se fosse una giovane eroina dei suoi
racconti e passa molto tempo a “rubare”
dialoghi reali da adolescenti in strada che
inserisce nelle sue storie. Quando riceve
l’e-mail di Beth Slade, la moglie del suo
ex boyfriend del liceo Buddy che annuncia
la nascita del loro figlio, Mavis ha un’illuminazione e il suo desiderio principale diventa riconquistare il suo vecchio amore.
La donna torna a Mercury, la sua città
natale, dove era una studentessa nella fase
del suo massimo splendore: era la ragazza più bella della scuola ed era fidanzata
con l’amore della sua vita, Buddy Slade.
Mavis pensa di potersi riprendere tutto,
convinta che Buddy si stia accontentando
di una mediocre vita provinciale e di una
moglie non alla sua altezza. Appena tornata nella cittadina, in un bar, Mavis si imbatte in Matt Freehauf, un ex compagno di
scuola, fisicamente handicappato in seguito a un episodio di bullismo all’epoca della scuola, anch’egli, come lei, arrabbiato
e disadattato nei confronti della vita. Mavis gli confessa di essere tornata per riconquistare il suo ex fidanzato, convinta
che neanche lui l’abbia mai dimenticata.
All’appuntamento con Buddy, Mavis si presenta vestita in modo provocante e decisamente fuori luogo per un bar della piccola
M
Scenografia: Kevin Thompson
Costumi: David C. Robinson
Interpreti: Charlize Theron (Mavis Gary), Patton Oswalt (Matt
Freehauf), Patrick Wilson (Buddy Slade), Elizabeth Reaser (Beth
Slade), Jill Eikenberry (Hedda Gary), Richard Bekins (David
Gary), Collette Wolfe (Sandra Freehauf), Mary Beth Hurt (Jan),
Kate Nowlin (Mary Ellen Trantowski), Hettienne Park (Vicki Robek), John Forest (Mike Moran), Nicholas Delany (Alan)
Durata: 94’
Metri: 2600
provincia americana. La cordialità dell’uomo viene scambiata da Mavis per interesse. La donna sembra non prendere coscienza della realtà neanche quando va a far
visita a casa di Buddy, completamente preso dal suo bambino appena nato e da sua
moglie Beth che cordialmente la invita a
un concerto della sua piccola band al femminile. Quella sera, dopo il concerto, Beth
torna a casa presto mentre Mavis si offre
di accompagnare Buddy che vuole continuare la serata. Davanti alla porta di casa,
Mavis bacia il suo ex fidanzato che sta al
gioco seppur con evidente imbarazzo.
Convinta che stia per lasciare la moglie
per tornare con lei, Mavis si confida con
Matt. Ma i due finiscono per accusarsi a
vicenda: Matt dice a Mavis che si sta rendendo ridicola rifiutandosi di vedere la
realtà della vita matrimoniale di Buddy,
mentre la donna rinfaccia all’amico di
prendere come scusa il suo handicap fisico, in realtà frutto di una semplice scaramuccia ai tempi della scuola. Pochi giorni dopo Mavis incontra in paese sua mamma che aveva tenuto all’oscuro del suo
ritorno. Nella vecchia casa dei genitori,
Mavis torna nella sua cameretta rimasta
intatta dai tempi della scuola e indossa la
vecchia felpa che le aveva regalato il suo
boyfriend. Al party del battesimo del bambino di Buddy, Mavis dà il peggio di sé,
gettandosi sfacciatamente tra le braccia del
25
suo ex sotto gli occhi degli invitati. Respinta con fermezza dall’uomo, Mavis finisce
per scontrarsi con Beth dicendole in faccia il peggio che pensa di lei davanti a tutti gli invitati. Dopo aver fatto una confessione shock, dichiarando che poteva essere lei oggi la moglie di Buddy se avesse
tenuto il bambino che aspettava da lui ai
tempi della scuola, Mavis lascia la festa.
Rifugiatasi da Matt, la donna si sfoga con
l’amico finendo a letto con lui. La mattina
dopo, in cucina, Mavis incontra Sandra,
la sorella di Matt, e si sfoga con lei. Sandra inietta una sferzata di forza nell’ego
di Mavis; le confessa di non vedere i suoi
lati negativi, ma di averla sempre invidiata per la sua bellezza, per la sua vita di
successo al di fuori di quella cittadina,
dove si vive in una comunità chiusa nella
gretta mentalità di provincia. Sandra sfoga tutta la sua infelicità e prega Mavis di
portarla con lei. Dopo essersi rifiutata dicendole che Mercury è il posto giusto per
lei, Mavis sale in auto e torna a Minneapolis e alla sua vita, forse finalmente con
una nuova coscienza.
n ossimoro. Giovane adulta, letteralmente. Una donna bellissima
ma fragile, emotivamente immatura e ritardata, problematica, complicata,
una donna che, a trentasette anni, vive la
vita come se fosse una liceale.
U
Film
‘Young Adult’ è il termine con il quale il
marketing definisce quella fascia di pubblico che va dai 14 ai 21 anni. ‘Young Adult’,
giovani non ancora del tutto adulti, sono
anche i destinatari delle storie di cui è autrice la protagonista che, però, scrive sotto falsa identità.
Il nucleo emotivo della protagonista,
‘giovane adulta’ fuori tempo massimo, è
ben delineato per merito della sceneggiatrice Diablo Cody (premio Oscar per la
migliore sceneggiatura originale di Juno),
qui alla seconda collaborazione con il regista Jason Reitman (Thank you for Smoking, Tra le nuvole) dopo Juno.
Una borsa rosa dentro cui nascondere un cagnolino, T-shirt con il faccino di
Hello Kitty, tuta da ginnastica, mini-cooper
rossa su cui sfrecciare al ritmo delle hit di
gioventù, atteggiamenti infantili che contrastano con l’alcoolismo e con un comportamento aggressivo con l’altro sesso
(con cui è incapace di relazionarsi in modo
Tutti i film della stagione
maturo): ecco come si presenta la bella
disadattata protagonista.
Mavis è un personaggio in bilico, cammina sul filo del rasoio tra estremi che si
toccano, è sgradevole e allo stesso tempo
affascinante, una “passive aggressive mean
bitch che sputa soltanto odio sul mondo che
la circonda” come l’ha definita il regista Jason Reitman. Charlize Theron è praticamente perfetta, l’unica attrice che poteva interpretare questo ruolo, dotata di quella capacità di rendere personaggi in qualche
modo “mostruosi”, spregevoli, complessi.
Un talento capace di far prendere forma a
caratteri difficili e farli convivere con una
bellezza prepotente, quasi smaccata, rendendoli paradossalmente ancora più potenti. Una ‘bellissima sfigata’ ci viene spontaneo definire questo personaggio inconsueto, pungente, ricco di sfumature e contrasti, una felice invenzione di scrittura tradotta sullo schermo da un perfetto lavoro di
regia. Una sboccata, egoista e provocante
immatura legata ossessivamente allo splendore di una gioventù che non c’è più, circondata da un microcosmo di falsità dove,
sotto la patina del perbenismo, si celano
ipocrisie e rancori; il piccolo mondo della
provincia americana che viene impietosamente fuori nella scena madre del party del
battesimo e nel confronto finale tra la protagonista e la sorella del suo unico amico.
Nell’universo dipinto da Reitman non
si assegna la palma del vincente a nessuno. E se la ‘giovane adulta’ del titolo è una
derelitta che vive allo sbando la sua età
matura diventando spesso solo una ridicola caricatura di sé stessa, nessuno è vincente intorno a lei, neanche la coppia (apparentemente) perfetta formata dal suo ex
fidanzato e dalla mogliettina saggia e premurosa. Perché i vincenti non esistono e,
in fondo, la vita è un continuo percorso a
ostacoli dove bisogna solo guardare avanti.
Elena Bartoni
I COLORI DELLA PASSIONE – THE MILL AND THE CROSS
(The Mill and the Cross)
Polonia, Svezia 2011
Interpreti: Rutger Hauer (Pieter Bruegel), Charlotte
Rampling (Maria), Michael York (Nicholas Jonghelinck), Joanna Litwin (Marijken Bruegel), Dorota Lis (Saskia Jonghelinck),
Ruta Kubas (Esther), Mateusz Machnik (Wheelfield), Bartosz
Capowicz (Crocifisso), Marian Makula (Mugnaio), Sylwia Szczerba (Netje), Wojciech Mierkulow (Jan), Sebastian Cichonski (Venditore ambulante), Lucjan Czerny (Bram), Aneta Kiszczak (Mayken), Adam Kwiatkowski (Traditore), Pawel Kramarz
(Pedro De Erazu), Tadeusz Kwak (Rogier De Marke), Andrzej
Jastrzap (Scharmouille), Józef Barczyk (Ladro), Bernadetta
Cichon (Moglie di Miller), Krzysztof Lelito (Millhand), Jerzy
Suchecki (Pitje), Emilia Czartoryska (Beta), Agata Kokosinska (Wero), Tatiana Juszniewska (Magdali), Dariusz Lorek
(Josef), Miroslaw Fuchs (Fabbro)
Durata: 97’
Metri: 2660
Regia: Lech Majewski
Produzione: Lech Majewski, Malgorzata Domin, Piotr Ledwig
per Telewizja Polska, Freddy Olsson, Bokomotiv Filmproduktion, Odeon Studio, Silesia film, 24 Media, Supra Film, Arkana Studio, Piramida Film
Distribuzione: CG
Prima: (Roma 30-3-2012; Milano 30-3-2012)
Soggetto: dal libro omonimo di Michael Francis Gibson
Sceneggiatura: Michael Francis Gibson, Lech Majewski
Direttore della fotografia: Lech Majewski, Adam Sikora
Montaggio: Elliot Ems, Norbert Rudzik
Musiche: Lech Majewski, Józef Skrzek
Scenografia: Katarzyna Sobanska, Marcel Slawinski
Costumi: Dorota Roqueplo, Ewa Kochanska
Effetti: Pawel Tybora, Wojciech Lebkowski, Artur Kopp, Piotr
Kierzkowski, Odeon Film Studio, Katamaran, Rosenbot
iandre XVI secolo. Il pittore fiammingo Pieter Bruegel osservando un ragno tessere la tela trova
l’ispirazione per uno dei suoi quadri più
celebri: “La salita al Calvario”. Protagonisti dell’epico capolavoro gli abitanti del
suo villaggio, ritratti nella loro quotidianità, durante la sanguinosa occupazione
spagnola.
F
aramente al cinema si ha il privilegio di assistere a un capolavoro, impresa ancora più ardua vederne due contemporaneamente. Eppure
ogni tanto accade, senza trionfalismi, sen-
R
za rumore. Un po’ come quando, per caso,
si tende a indugiare lo sguardo sulla tela
di un ragno e attraverso le sue trame si
scopre un angolo di vita pulsante e silenziosa che è pura poesia.
Probabilmente il vero segreto di queste esperienze è l’assenza di stimoli esterni
coercitivi, di quel chiasso che seda le masse. O forse più semplicemente la mancanza di un fine che non sia l’Arte per se stessa. Come accade in I Colori della Passione ultima straordinaria pellicola del regista polacco Lech Majewski.
È veramente difficile usare gli strumenti
classici per recensire questo lavoro, per-
26
ché non ci troviamo di fronte a un film, ma
a una esperienza estetica di altissimo livello.
Majewski, dopo diversi anni di studio
sul testo critico di Michael Francis Gibson
e grazie alla tecnica dei tableaux vivant ,
immerge lo spettatore in uno dei quadri più
famosi del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio: La salita al Calvario, e contemporaneamente lo educa alla visione. Il
tutto, però, non si riduce ad una lezione
pedagogica, ma si trasforma in un percorso emozionale che vede, da una parte, il
tormento della popolazione afflitta dall’occupazione spagnola e dall’altra la Passio-
Film
ne di Cristo, due eventi uniti anacronisticamente da un continuum narrativo che ne
enfatizza il senso, il dolore.
Bruegel, interpretato da uno ieratico
Rutger Hauer, si trasforma così da narratore esterno in cronista dell’evento che
rende immortale attraverso la sua tela.
Nessuna azione viene enfatizzata e nessun personaggio prevaricato da tinte più
forti. Majewski rimane fedele a questo concetto del pittore e nella sua pellicola non
si limita a filmare solo le scene dal forte
impatto visivo, ma concede respiro anche
con numerosi squarci di vita rurale che
prendono vita accanto ad una scenografia che confonde. Il paesaggio stesso, infatti, diventa personaggio da guardare,
scrutare, magari socchiudendo un po’ gli
occhi, per coglierne le sfumature, i toni
bruni o un semplice movimento all’orizzonte che ricorda allo spettatore la natura dello
spettacolo a cui sta assistendo.
E poi l’uso della parola, misurato,
scarno che lascia alle immagini, nella loro
vividezza, il compito di svelare gli eventi.
La stessa voce di Maria, roca, sofferente
perde di forza se paragonata al suo sguardo che spalanca le porte ad un dolore atavico e, forse, non completamente accettato.
È dunque la vista il catalizzatore di tutto il film, il senso con cui Majewski impasta le forme fino ad annullare ogni altra
percezione, portando all’estremo una scel-
Tutti i film della stagione
ta stilistica già adoperata in passato da
diversi autori. Quasi doveroso citare
l’esempio di Tarkoswkij in Lo specchio, o
fare riferimento ai numerosi richiami pittorici nelle opere di Pasolini, eppure
Majewski va oltre. Scava nel passato e attinge al cinema degli albori quando le passion play medioevali prendevano vita in
celluloide e una nuova forma d’arte si affacciava ad un secolo tormentato.
Per questi motivi sarebbe inopportuno
definire I Colori della Passione “innovativo”; è piuttosto una pellicola che, magistralmente, assorbe la lezione del passato e la
esalta con i sofisticati mezzi contemporanei e un pizzico di genialità. Imprescindibili caratteristiche che trasformano un semplice film in Cinema.
Francesca Piano
HESHER È STATO QUI
(Hesher)
Stati Uniti, 2010
Regia: Spencer Susser
Produzione: Lucy Cooper, Matthew Weaver, Scott Prisand,
Natalie Portman, Spencer Susser, Johnny Lin, Win Sheridan
per Corner Store Entertainment, The Last Picture Company,
Handsomecharlie Films, American Work Inc., Dro Entertainment, Dreaming Entertainment, Catchplay, Nu Image
Distribuzione: Bolero Film
Prima: (Roma 3-2-2012; Milano 3-2-2012)
Soggetto: Brian Charles Frank
Sceneggiatura: Spencer Susser, David Michôd
Direttore della fotografia: Morgan Susser
Montaggio: Michael McCusker, Spencer Susser
J è un ragazzino di tredici anni a
cui è da poco morta la madre in
un incidente stradale. Insieme al
padre Paul vengono accolti in casa della
nonna, che cerca disperatamente di accudirli e di farli uscire dalla stasi emotiva nel quale sono piombati. Contemporaneamente TJ sviluppa un sentimen-
T
Musiche: Frank Tetaz
Scenografia: Laura Fox
Costumi: April Napier
Interpreti: Joseph Gordon Levitt (Hesher), Devin
Brochu (T.J.), Rainn Wilson (Paul Forney), Natalie Portman
(Nicole), Piper Laurie (Nonna), John Carroll Lynch (Larry),
Brendan Hill (Dustin), Paul Bates (Sig. Elsberry), Frank Collison (Impresario di pompe funebri), Monica Staggs (Madre),
Mary Elizabeth Barrett (Meryl), Audrey Wasilewski (Coleen),
Lyle Kanouse (Jack)
Durata: 100’
Metri: 2760
to nei confronti di Nicole, una ragazza
più grande di lui, che lavora come cassiera in un supermercato e apparentemente incapace di reagire alle avversità che le si presentano. Questa quotidianità grigia e deprimente viene tuttavia scossa e spazzata via non appena
irrompe Hesher nelle loro vite: un me27
tallaro disadattato sporco e volgare,
una scheggia impazzita assolutamente
imprevedibile e con una passione per la
piromania. Quest’ultimo provocherà in
tutti un desiderio di cambiamento istintivo e violento, influenzando indiscutibilmente il percorso di riabilitazione per
ognuno di loro.
Film
esher è stato qui è un film indipendente presentato al Festival
di Sundance del 2010 e solo recentemente uscito in Italia. Il principio fondamentale sul quale si basa la sceneggiatura è l’inserimento di un personaggio anomalo e anticonformista all’interno di un nucleo familiare ben definito. Ne consegue che
più è ampia la differenza tra le parti e più
inattesa e spregiudicata sarà la gamma di
risultati possibili. Il punto di forza del film è
infatti l’eccentricità del personaggio di Hesher, nettamente in contrasto con l’innocente dolcezza di TJ, la rassegnata abulicità di
Paul e la timorosa insicurezza di Nicole. Il
resto della storia, scritta a quattro mani dal
regista esordiente Spencer Susser con
David Michod, è abbastanza lineare e purtroppo ha un epilogo abbastanza prevedibile, dopo essere stato a tratti promettente
e disorientante. Ciò che rimane impresso è
soprattutto il processo di elaborazione del
lutto (e di maturazione) di un preadolescente in crisi, contornato da un messaggio in-
H
Tutti i film della stagione
solito e potente: a volte, prima di poter ricostruire bisogna distruggere, radere al suolo e questo vale metaforicamente per il carattere di ognuno dei protagonisti. Hesher
incarna questo spirito con rabbia e sfrontatezza e, per quanto discutibili possano apparire i suoi atteggiamenti, è comunque
convincente e magnetico. La regia è onesta e ordinata, capace di creare tensione e
di assecondare l’ipotesi che Hesher possa
essere in realtà una proiezione dell’immaginazione di TJ, un’allucinazione; la crudezza di alcuni avvenimenti e un elemento di
surreale ambiguità infatti caratterizzano la
pellicola, dando questa impressione e ulteriormente rafforzando lo spessore dei personaggi. Gordon-Levitt è sicuramente l’elemento portante del film e la sua interpretazione di Hesher è precisa e assolutamente
calzante. Questo giovane attore si è sempre scelto ruoli stimolanti e molto diversi
facendosi le ossa in una varietà di film indipendenti (l’interessante Brick, Shadowboxer ed ultimamente 500 Giorni Insieme) e
recentemente sta sfondando anche in produzioni di grande successo come Inception.
Un’altra nota lieta è rappresentata da Brochu, il quale è veramente sorprendente nei
panni di TJ. L’intensità del suo dolore assieme al suo essere disorientato dalla perdita
della mamma è commovente e mai pietoso. I suoi duetti con Gordon-Levitt sono
spassosi e memorabili, come quando Hesher esorta il ragazzino a passeggiare con
la nonna per difenderla da possibili gerontofili. Wilson è abile a interpretare l’agevole
ruolo di un vedovo depresso e incapace di
riprendersi e Laurie è pienamente a proprio agio nell’interpretazione di una nonna
spigliata ed accudente. Portman merita una
menzione speciale non tanto per la prova
di recitazione comunque ottima (un’esteticamente insignificante cassiera insicura e
smarrita), quanto per aver coprodotto un’inconsueta opera prima con coraggio e intuizione.
Jacopo Lo Jucco
A SIMPLE LIFE
(Tao Jie)
Cina, Hong Kong 2011
Regia: Ann Hui
Produzione: Bona Entertainment Company/Focus Films Limited, Sil-Metropole Organisation Limited
Distribuzione: Tucker Film
Prima: (Roma 8-3-2012; Milano 8-3-2012)
Soggettoe Sceneggiatura: Susan Chan, Roger Lee
Direttore della fotografia: Nelson Yu Lik-wai
Montaggio: Manda Wai, Kwong Chi-Leung
Musiche: Law Wing-Fai
h Tao è una donna anziana, da
quando era poco più di una bambina è stata assunta “a servizio”
nella famiglia in cui è cresciuto Roger,
adesso giovane in carriera e unico membro della famiglia a essere rimasto ad
Hong Kong (gli altri si sono trasferiti negli Stati Uniti).
Roger è un produttore cinematografico spesso in viaggio. A prendersi cura di
lui e della casa, la anziana domestica: l a
donna pulisce, riassetta e cucina, si raccomanda che Roger stia bene e mangi.
Quando lui esce, terminata la colazione,
lei sbocconcella qualcosa in piedi, come
se sentisse non suo il diritto di sedersi a
tavola. Ma una sera Ah Tao si sente male e
sviene colpita da un infarto; il ritorno di
Roger la salva, ma la convince anche che
non è più in grado di svolgere il suo lavoro, per cui decide di entrare in una casa di
A
Scenografia: Albert Poon Yck-Sum
Interpreti: Andy Lau (Roger), Deannie Yip (Ah Tao), Qin
Hailu (La signora Choi), Anthony Wong Chau Sang (Proprietario casa anziani), Tsui Hark (Direttore Tsui), Chapman To
(Dentista), Suet-Fa Kong (Receptionist casa anziani), Paul
Chun (Zio Kin), Raymond Chow , Wang Fuli
Durata: 119’
Metri: 3300
riposo. Roger si mette quindi alla ricerca
del posto migliore in cui farla trasferire,
trovando una sistemazione accogliente e
dignitosa.
Quindi inizia ad assisterla con un rispetto e una devozione che mobilitano un
po’ tutti: dai suoi vecchi compagni di scuola fino alla famiglia, che torna a Hong
Kong dall’America per starle vicino, tanto da farle provare l’orgoglio di una madre per il proprio figlio.
l film è un tributo alla gratitudine
e alla cura reciproca, elemento
semplice di relazioni umani (troppo) spesso complesse. A simple life racconta la storia vera del rapporto tra un produttore cinematografico e la sua domestica settantenne: lui un professionista single, indaffarato e spesso all’estero per lavoro; lei una minuta vecchina da cinque
I
28
generazioni al servizio della famiglia dell’uomo, sempre attenta all’ordine della
casa, alla bontà del cibo e al rispetto delle
abitudini. Una materia così semplice e quotidiana poteva apparire un argomento senza mordente; invece acquista spessore e
carattere nelle mani della regista Ann Hui,
che regala un affresco commovente dei
rapporti umani, e più ancora, familiari che
si cementano nel tempo di una vita.
Un uomo nel fiore degli anni e la sua
anziana cameriera: il film mette a confronto le età dell’uomo, sottolinea con delicatezza come cambino i rapporti di forza tra
generazioni, per cui chi prima si prendeva
cura del più giovane deve poi rassegnarsi
a essere a sua volta accudito. Al tempo
stesso, sta alla responsabilità di Roger, e
all’affetto che prova per chi lo ha cresciuto, farsi carico della vecchiaia di Ah Tao,
cercando di alleviarne le difficoltà e – so-
Film
prattutto – evitando che si senta sola o dimenticata.
La regia esperta di Ann Hui fa emergere la storia come se fosse osservata da lontano, seguita di nascosto da una cinepresa
raramente fissa, capace di gestire la pros-
Tutti i film della stagione
simità al punto tale che nulla interrompe mai
il fluire del racconto e dell’approfondimento
delle relazione di affetto e di gratitudine tra
Roger e Ah Tao. Accade così che prenda
corpo una pellicola toccante e ben costruita, che permette allo spettatore di affezio-
narsi alla figura della protagonista come se
fosse una propria familiare, di ridere alle
situazione buffe del quotidiano e di commuoversi nei momenti più toccanti.
Tiziana Vox
IL MIO MIGLIORE INCUBO!
(Mon pire cauchemar)
Francia 2011
Regia: Anne Fontaine
Produzione: Ciné-@, Maison de Cinéma, Pathé Production,
F.B. Production, M6 Films Entre Chien Et Loup, Artémis Productions
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 30-3-2012; Milano 30-3-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Nicolas Mercier, Anne Fontaine
Direttore della fotografia: Jean-Marc Fabre
Montaggio: Luc Barnier, Nelly Ollivault
Musiche: Bruno Coulais
Scenografia: Olivier Radot
Costumi: Karen Muller Serreau, Catherine Leterrier
Interpreti: Isabelle Huppert (Agathe), Benoît Poelvoorde (Patri-
’incontro tra due mondi e due caratteri opposti. Lei, Agathe dirige un’importante galleria d’arte
contemporanea, vive con il figlio e il marito editore, François, in un prestigioso
appartamento parigino di fronte ai Giardini del Lussemburgo. Lui, Patrick, sbarca il lunario con lavoretti saltuari e con i
sussidi dell’assistenza sociale e vive con
suo figlio nel retro di un furgone. Lei ha
rapporti stretti con il Ministero della Cultura e delle Arti, lui ha legami molto ravvicinati con le bevande alcoliche. A lei piace il dibattito intellettuale, lui è un amante
del sesso occasionale con donne dalle
grandi forme. Entrano in contatto diretto
perché i loro figli diventano amici inseparabili. E così dopo che suo figlio Tony si è
praticamente stabilito nella bella casa dell’amico Adrien, figlio di Agathe, anche
Patrick si installa nell’appartamento dopo
che il padrone di casa François lo assume
per costruire una nuova cabina armadio
per la moglie. È l’inizio di un incontroscontro dagli esiti sorprendenti.
Agathe è infastidita dalla presenza di
Patrick in casa e dai suoi modi volgari.
Dal canto suo, l’uomo cerca di tenersi stretto quel nuovo lavoro perché è sotto la lente d’ingrandimento di un’assistente sociale, Julie, che gli chiede se ha un alloggio:
in caso negativo, l’uomo rischia la custodia del figlio. Venuto a conoscenza delle
L
ck), André Dussollier (François), Virginie Efira (Julie), Corentin
Devroey (Tony), Donatien Suner (Adrien), Aurélien Recoing
(Thierry), Eric Berger (Sébastien), Philippe Magnan (Principale),
Bruno Podalydès (Marc-Henri), Samir Guesmi (Ispetore DDASS),
Françoise Miquelis (Psicologa), Jean-Luc Couchard (Milou),
Emilie Gavois-Kahn (Sylvie), Serge Onteniente (Scenografo),
Hiroshi Sugimoto (Sugimoto), Yumi Fujimori (Traduttrice),Valérie
Moreau (Evelyne), Antoine Blanquefort (Assistente), Arielle
d’Ydewalle (Ballerina), Émeline Scatliffe (Ballerina), Jessica
Lefèvre (Ballerina), Régis Romele (Pittore), Léa Gabriele (Madre), Laurence Colussi (Madre), Marie Boissard (Madre), Gilles
Carballo (Padre), Rose Cool (Cliente bar)
Durata: 103’
Metri: 2830
difficoltà di Patrick, François gli offre di
abitare nella mansarda sopra il suo appartamento. I due uomini entrano in confidenza e François finisce per confessare che i
suoi rapporti sessuali con la moglie sono
da tanto tempo praticamente inesistenti.
Pochi giorni dopo, Patrick presenta
François a Julie: tra i due sembra esserci
intesa a prima vista. In breve tempo, l’editore allaccia una relazione con l’assistente sociale e confessa la cosa alla moglie
Agathe lasciandola. Intanto Agathe e Patrick iniziano a dialogare e a lasciarsi andare a reciproche confidenze. Una sera,
durante l’inaugurazione di un’importante
mostra nella fondazione diretta da Agathe,
la donna beve molti drink insieme a Patrick. Una volta a casa, i due, completamente ubriachi, continuano a scherzare e, perso ogni freno inibitorio, finiscono a letto
insieme. Col passare del tempo, i due continuano la loro strana relazione, ma le difficoltà e le incomprensioni sono all’ordine
del giorno. Sulla testa di Patrick incombono gli assistenti sociali che gli vogliono
togliere Tony che, a differenza del figlio di
Agathe, è un ragazzo promettente negli studi. Sul punto di lasciare in tutta fretta Parigi a bordo del suo camion insieme al figlio, Patrick viene fermato da Agathe che
ha un’idea per salvarlo: sposarsi. Alle nozze è presente anche François, ormai prigioniero della relazione con Julie. L’uo-
29
mo, di indole mite, è completamente succube delle manie ecologiste della donna.
Come dono di nozze, Agathe regala a Patrick un’importante fotografia d’arte che
la ritrae, opera del famoso artista-fotografo Hiroshi Sugimoto. Ma Patrick ne combina una delle sue rovinando la preziosa
fotografia. Dopo essersi reso conto del
danno che ha fatto, l’uomo si allontana da
Agathe. Mesi dopo ricompare completamente riabilitato e pronto a iniziare una
nuova vita. Agathe ne è felice e il matrimonio si trasforma da falso a vero. Patrick infine riesce a realizzare il suo sogno e
allestisce una bizzarra mostra di acquari
contenenti donne seminude.
li opposti si attraggono? Affermazione vecchia quanto il mondo
ma forse vera, almeno stando a
questa commedia di Anne Fontaine.
C’era una volta “la strana coppia” si
potrebbe dire, e c’è ancora, si potrebbe
continuare.
Una strana coppia ancora una volta sul
grande schermo, questa volta ‘made in
France’. E i due opposti in questione non
potrebbero essere più diversi.
Era ora che questa deliziosa commedia presentata al Festival del Cinema di
Roma 2011 (titolo originale Mon pire cauchemar) uscisse finalmente nelle sale.
Il punto di partenza è noto. Il cinema
G
Film
francese infatti gioca ancora una volta con
quello che ormai può essere considerato
un topos ricorrente e cioè la coppia di opposti costretti a vivere a stretto contatto
(basta guardare i più grandi successi del
cinema d’Oltralpe da La cena dei cretini a
Giù al Nord fino al recente exploit di Quasi
amici per avere chiaro il quadro). E vince
di nuovo.
Questa volta la dirompente comicità,
irriverente e a tratti provocatoria, di Benoît
Poelvoorde, già venuta fuori nel divertente Niente da dichiarare? accanto a Dany
Boon (regista e interprete di Giù al Nord),
si incontra e si incastra alla perfezione con
Tutti i film della stagione
la classe algida di Isabelle Huppert, chiamata a fare un po’ il verso a sé stessa (o
comunque all’immagine che viene fuori
dalle sue interpretazioni più famose) con
il ruolo di una snob, rigida (e anche un po’
odiosa) gallerista d’arte. Ed ecco che tante barriere, false quanto inutili, cadono con
la giusta dose di sottile ironia. Ne viene
fuori una lotta di classe frizzante, dal ritmo
sostenuto, un po’ sboccata, un po’ sexy. E
così le martellate con cui Patrick abbatte
una parete della casa di Agathe fino a entrarle, per sbaglio, in bagno, sono i colpi
simbolici con cui l’operaio fallito e ubriacone abbatte la cortina di ferro della ricca
intellettuale borghese fredda e infelice. Ed
è romanticismo, sui generis magari, ma pur
sempre romanticismo. Magari un po’ irreale, o forse no.
E così Anne Fontaine, che aveva già
diretto Benoît Poelvoorde in Entre ses
mains e Coco avant Chanel, oltre a divertire, azzarda anche un filino di critica al
perbenismo borghese con particolare riferimento alle èlite intellettuali spesso vacue e autocompiaciute del mondo dell’arte e dell’editoria. Perfette le rapide pennellate con cui vengono dipinti gli ambienti in
cui lavora la protagonista che trasudano
supponenza da tutte le parti e delicata la
sensibilità con cui viene tratteggiata la crisi di una coppia di mezza età.
E così i cliché con cui vengono ritratti i
personaggi all’inizio del film, man mano
vengono messi in discussione. Come ha
sottolineato la protagonista Huppert, il film
finisce per riconciliare il mondo dell’intelletto e quello dei sensi, un’opposizione che
in fondo è, essa stessa, un cliché.
Divertimento intelligente e piacevole,
tutto sommato privo di volgarità (a parte
qualche uscita eccessiva del rozzo operaio), alcune battute particolarmente felici,
interpreti indovinatissimi (con altri due l’esito non sarebbe stato lo stesso).
E poi dite la verità, avreste mai immaginato di vedere Madame Isabelle Huppert
ubriaca che si rotola nel pavimento di casa
o intenta ad accennare a una lap-dance in
un night di periferia?
Elena Bartoni
CILIEGINE
(La cerise sur le gâteau)
Francia, Italia 2012
Costumi: Agata Cannizzaro
Interpreti: Laura Morante (Amanda), Pascal Elbé (Antonie),
Isabelle Carré (Florance), Samir Guesmi (Maxime), Patrice
Thibaud (Hubert), Frédéric Pierrot(Bertrand), Vanessa
Larré (Valerie), Georges Claisse (Psicanalista), Nadia
Fossier (Mathilde), Yves Verhoven (Victor), Elisabeth
Catroux (Fabienne), Emmanuelle Galabru (Béatrice), Frédéric
Moulin (Bruno), Mathilda Vives (Claire), Louis-Charles
Finger (Léo), José Fumanal (François), Sandrine Le
Berre (Anne-Lise), Ennio Fantastichini (Sig. Faysal)
Durata: 85’
Metri: 2330
Regia: Laura Morante
Produzione: Francesco Giammatteo, Philippe Carcassonne,
Bruno Pesery per Nuts & Bolts Productions, Maison de Cinema, Soudaine Compagnie in Associazione con Mangouste
Production, Cofinova 7
Distribuzione: Bolero Film
Prima: (Roma 13-4-2012; Milano 13-4-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Laura Morante, Daniele Costantini
Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Nicola Piovani
Scenografia: Pierre-François Limbosch
manda ha sempre avuto con gli
uomini rapporti complicati, li trova irrimediabilmente inaffidabili ed è sempre pronta a cogliere i segnali
certi dell’arroganza, dell’indifferenza, del
tradimento. Ogni particolare, anche il più
banale pretesto, può diventare una scusa
A
per interrompere le sue relazioni. E così
accade puntualmente. Alla vigilia di Natale, durante una romantica cenetta, Amanda mette in seria discussione il suo rapporto con il compagno Bertrand perche
l’uomo è colpevole di aver mangiato l’unica ciliegina che campeggiava sulla fetta
30
di torta che avevano davanti per festeggiare il loro anniversario, in un momento in
cui la donna era distratta a raccogliere la
sua borsa.
Secondo Hubert, il marito psicoanalista della sua migliore amica Florence,
Amanda è affetta da “androfobia”. Ma, a
Film
un veglione organizzato da un’amica di
Florence la notte di Capodanno, Amanda
incontra Antoine, un uomo che la spinge a
cambiare il suo consueto atteggiamento
con l’altro sesso. La donna appare fin dal
loro primo approccio, tenera, indulgente
e, per la prima volta, sembra instaurare
un perfetto feeling con un uomo. Che sia
scoppiato un colpo di fulmine? In realtà
Amanda è vittima di un equivoco, convinta che Antoine sia gay e quindi innocuo.
Poco tempo dopo Florence si accorge
del malinteso: prima della sera di Capodanno lei aveva detto ad Amanda che l’unico uomo solo presente alla festa sarebbe
stato un suo amico gay, ma l’uomo non si
presentò. Quindi Amanda scambiò Antoine, da solo alla festa, per gay. Florence vuole confessare tutto all’amica ma il marito le
chiede di non dirle la verità. Lo psicanalista è convito che, affinché Amanda riesca a
superare il suo disturbo, bisogna che l’equivoco continui: quindi Antoine deve fingersi
gay. Solo così Amanda forse riuscirà a non
mettere in moto il solito meccanismo di difesa. Intanto, dopo continui tira e molla,
Bertrand, stufo delle mille manie di Amanda, la lascia definitivamente. La donna invece si trova sempre più a suo agio con Antoine, convinta che lui sia diverso dagli altri uomini perché omosessuale. Avvisato da
Florence, l’uomo è costretto a stare al gioco e continuare, seppur controvoglia, a fingersi gay. Dopo mesi di frequentazione è
giunto il momento di mettere Amanda alla
prova. E così Antoine si ammala e finge che
Maxime, un collega di lavoro gay dichiarato, sia il suo compagno. Tutti i giorni Amanda è costretta ad andare ad accudire Antoine quando Maxime esce per andare al lavoro. La prova è molto dura per la donna
che, folle di gelosia, finisce per dire ad Antoine che forse è meglio che non si vedano
più. A quel punto Antoine getta la maschera e la bacia. Amanda fugge. Antoine le scrive raccontandole tutta la verità. Tempo
dopo, Amanda e Antoine sono da soli in una
romantica stanza d’albergo di fronte al
mare, sono a letto e si dichiarano amore
reciproco. Subito dopo, girandosi dall’altra parte, Antoine d’impulso si copre con il
lenzuolo scoprendo involontariamente
Amanda. La donna, assopita e serena, a quel
gesto improvviso spalanca un occhio.
È davvero guarita dalla sua androfobia?
fine pasto cosa c’è di meglio di
una ciliegina fresca e gustosa per
addolcire il palato? E così proprio
come un invitante e succulento dessert,
ecco Ciliegine, frizzante e garbato debutto nella regia per Laura Morante.
A
Tutti i film della stagione
L’attrice italiana fa il pieno: del film è
infatti regista, interprete, sceneggiatrice
(insieme a Daniele Costantini) e anche coproduttrice (insieme al marito Francesco
Giammatteo).
Con un occhio a Woody Allen, richiami alla commedia francese dell’ultimo decennio, ma soprattutto con evidenti omaggi all’universo dei fumetti “Peanuts” di
Schulz (debito dichiarato apertamente
dalla regista), Laura Morante confeziona
un dolcetto davvero appetitoso, impreziosito, non da una, ma da tante “ciliegine”.
I turbamenti amorosi di una “androfoba” e le paure che si nascondono dietro a
un atteggiamento di impietosa critica nei
confronti degli uomini sono il motore della
vicenda. E proprio l’errore iniziale, il “furto” dell’unica ciliegina che campeggia solitaria su una fetta di torta al cioccolato,
commesso dal distratto compagno della
protagonista durante una cena romantica,
innesca la miccia. E la coppia scoppia. Ad
accendere un rinnovato interesse della
nostra eroina verso l’altro sesso sarà, non
a caso, un uomo gentile e solitario, apparentemente diverso (forse in tutti i sensi).
Lo sviluppo degli eventi si basa su una
reale teoria freudiana contenuta nel saggio di interpretazione sul romanzo “Gradiva” di Wilhelm Jensen che convince lo psicanalista Hubert, marito della migliore
amica di Amanda, a continuare l’inganno
per portare la donna a superare il suo disagio. Il pretesto psicoanalitico ingarbuglia
la vicenda quanto basta fino alla finale
guarigione (ammesso che sia tale).
La necessità della menzogna per arrivare alla verità dei sentimenti. Una picco-
la grande verità? Forse, davvero. E magari lo scopo è arrivare all’happy end (sintomatico che l’insegna della casa editrice
presso cui lavora la protagonista reciti proprio “Editions Happy End”).
Non c’è dubbio, la bravura e la sensibilità della neoregista vengono fuori da
questa commedia che si prende un po’ in
giro scherzando affettuosamente sui cliché
del sentimentalismo.
Passeggiate nei parchi, cene romantiche, notti stellate (anche se contemplate
da un planetario) e perfino svolazzanti tende di mussola bianca aperte su finestre
vista mare. Il repertorio del romanticismo
è sventagliato. No, non manca nulla.
Musiche spensierate e dallo stile vagamente ‘alleniano’ di Nicola Piovani, bella fotografia dai toni caldi e interpreti indovinati fanno da contorno a una Morante
perfettamente in parte in un ruolo che sembra cucito addosso a lei. Pascal Elbé è un
tenero e fascinoso cuore solitario, Isabelle Carré (vista quest’anno in un altro ‘pasticcino’ francese, Emotivi anonimi) è una
simpatica amica-confidente, Patrice Thibaud il marito psicoanalista e “deus ex
machina” della menzogna terapeutica.
La Morante ha dichiarato di aver impiegato sette lunghi anni per vedere realizzato il suo progetto, speriamo di non
doverla attendere così a lungo per la prossima prova da regista.
Leggerezza, ironia, romanticismo e un
tocco di psicoanalisi, un film delizioso,
come il suo titolo. Appetitoso esordio, brava Morante.
Elena Bartoni
THE RAVEN
(The Raven)
Stati Uniti, Ungheria, Spagna 2012
Regia: James McTeigue
Produzione: Intrepid Pictures, Filmnation Entertainment, Galavis Film, Pioneer Pictures
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 23-3-2012; Milano 23-3-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Hannah Shakespeare, Ben Livingston
Direttore della fotografia: Danny Ruhlmann
Montaggio: Niven Howie
Musiche: Lucas Vidal
Scenografia: Roger Ford
Costumi: Carlo Poggioli
Effetti: Paul Stephenson, Marcus Hindborg, Jan Stoltz, Trixter Film, Filmgate
Interpreti: John Cusack (Edgar Allan Poe), Luke Evans (Ispettore Emmett Fields),
Alice Eve (Emily Hamilton), Brendan Gleeson (Capitano Charles Hamilton), Oliver
Jackson-Cohen (Ufficiale Cantrell), Jimmy Yuill (Capitano Elderidge), Brendan
Coyle (Reagan), Kevin McNally (Henry Maddox), Pam Ferris (Sig.ra Bradley), Dave
Legeno (Percy), Ana Sofrenovic (Lady Macbeth), Sam Hazeldine (Ivan)
Durata: 111’
Metri: 3050
31
Film
altimora, 1849. Un serial killer
uccide barbaramente le sue vittime. La polizia brancola nel buio
fino a quando il detective Fields scopre
delle inquietanti analogie fra i crimini e i
racconti di Edgar Allan Poe.
Lo scrittore viene immediatamente sospettato, ma proprio durante l’interrogatorio l’omicida colpisce ancora. La polizia, allora, chiede a Poe di aiutarli nelle
indagini. Lo scrittore acconsente e insieme alle forze dell’ordine si dirige verso il
luogo del delitto. Qui, vicino al cadavere,
scova una maschera con un biglietto che
cita i passi di un suo racconto dove la
Morte colpisce durante un ballo in maschera.
Poe realizza che a breve il padre di
Emily, la sua amata, darà proprio una festa del genere e fa di tutto per fargliela
annullare. Il vecchio non vuole sentire ragioni: il ballo organizzato da tempo avrà
luogo. La polizia, però, gli impone la sua
presenza.
Arriva la sera tanto attesa. Tutto sembra andare bene fino a quando un uomo
mascherato entra in sala e sotto gli occhi
delle forze dell’ordine rapisce Emily.
Sono tutti sconvolti in particolare Poe
che, subito dopo, riceve un biglietto dall’assassino in cui gli viene fatta una proposta: Emily rimarrà viva fino a quando
lui scriverà , sul giornale locale e con dovizia di particolari, i delitti che seguiranno. Inoltre, in ogni delitto, ci sarà una prova che lo porterà sempre più vicino al luogo di prigionia della donna.
La polizia consiglia a Poe di accettare. I crimini si susseguono così come i rac-
B
Tutti i film della stagione
conti sul giornale. Ogni ipotesi sul possibile colpevole sembra vacillare, Poe esausto scrive l’ultimo pezzo dove propone uno
scambio: la sua vita in cambio di quella
di Emily e la conseguente cessazione di
ogni altro crimine. La risposta, tramite un
biglietto, arriva presto, insieme al giornale del mattino. Troppo presto. Grazie a
delle goccioline di pioggia presenti sul
pezzetto di carta, infatti, Poe capisce che
il biglietto è antecedente al giornale e
quindi il colpevole può essere solo uno
dei suoi colleghi che avrebbe avuto la
possibilità di leggere il tutto prima della
stampa. Di corsa si dirige in redazione
dove scopre il direttore, il suo principale
sospettato, assassinato e dietro di lui Reynold, il compositore tipografico con un
sorriso beffardo.
L’uomo confessa i delitti e costringe
Poe a bere il veleno in cambio della vita
di Emily. Poi lasciando l’ultimo indizio
scappa in Francia. Lo scrittore intuisce
che la donna è sepolta sotto il pavimento e con le ultime forze rimaste la libera.
Emily in fin di vita viene portata in ospedale mentre Poe si siede su una panchina ad aspettare la morte. Prima di esalare l’ultimo respiro, però, riesce a mandare un messaggio con il nome dell’assassino al detective Fields che va in
Francia e con un colpo di pistola uccide
Reynold.
eynold. Un nome, pronunciato
ossessivamente in punto di morte, che ha solleticato la fantasia
di studiosi, medici e semplici appassionati. Cosa avrà mai voluto dire lo scrittore
R
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Edgar Allan Poe durante un delirio che è
diventato leggenda? In verità non lo sapremo mai con certezza anche se numerosi critici hanno portato alla luce ipotesi
suggestive che trasformano la morte di
Poe nel suo ultimo e più sconvolgente racconto.
James Mc Teigue, regista del controverso V per Vendetta, non si è lasciato
sfuggire l’occasione e partendo proprio da
quella panchina in cui tutto ha avuto inizio
(o fine) ha confezionato un thriller che offre un’insolita visione sugli ultimi giorni
dello scrittore statunitense.
La trama, piuttosto semplice in verità,
si snoda attorno a degli efferati delitti ispirati ai romanzi di Poe e gioca sul classico
schema della caccia all’uomo da parte
della polizia. Unico elemento innovativo è
proprio la presenza di Poe che, imitando il
suo celebre monsieur Dupin, diventa parte attiva nelle indagini.
Il ritmo è serrato e la pellicola scorre
veloce, ma nonostante i continui rimandi,
si ha la sensazione che la presenza di Poe
sia solo un pretesto per un thriller in costume.
A guardar bene, effettivamente non
si riesce a scovare fra le smorfie dello
scrittore, interpretato da un convincente
John Cusack, il “genio tra anime inferiori” decantato da Baudelaire. Il Poe di
McTeigue, infatti, è un uomo “normale”
quasi rassicurante, un borghese così lontano dalle descrizioni dei suoi contemporanei che diventa un estraneo agli occhi di chi ha familiarità con la sua morbosa fantasia. Fatta eccezione per un
paio di minuti iniziali è come se la pellicola volesse, a suo modo, riabilitare la
figura disordinata dello scrittore, allinearla al gusto compito di una nazione e
farne, nel finale, un eroe.
Una beffa che Poe non avrebbe esitato a condannare in uno dei suoi vivaci articoli e che rimanda ai continui moralismi di
cui è stato vittima e che ha ferocemente
combattuto per tutta la sua vita.
Se si riesce a passare sopra questo
particolare The Raven può risultare un
film apprezzabile, anche se troppo legato ai canoni di genere. Da McTeigue ci
saremmo aspettati qualcosa in più rispetto a questo compitino eccessivamente indulgente, dopotutto non si può chiamare in causa Edgar Allan Poe e poi offrirgli una mentina disgustati dalla puzza di
alcol.
Francesca Piano
Film
Tutti i film della stagione
HENRY
Italia 2011
Regia: Alessandro Piva
Produzione: Alessandro Piva in associazione con Donatella
Botti per Seminal Film in associazione con Bianca Film
Distribuzione: Iris Film
Prima: (Roma 2-3-2012; Milano 2-3-2012)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Giovanni Mastrangelo
Sceneggiatura: Alessandro Piva
Direttore della fotografia: Lorenzo Adorisio
Montaggio: Alessandro Piva, Giacobbe Gamberini
Musiche: Andrea Farri
Scenografia: Marianna Scriveres
ianni è un giovane ragazzo innamorato di Nina, una bella insegnante di aerobica. I due decidono di trascorrere insieme la serata e Nina
chiede a Gianni di procurarsi della cocaina da Spillo, lo spacciatore del quartiere.
Gianni però quel pomeriggio era già stato
da Spillo perché il suo amico Rocco aveva
tanto insistito affinché lo accompagnasse
da lui per potersi prendere qualche dose.
Quando Gianni però era salito in casa del
pusher, ci aveva trovato alcuni uomini di
colore che gli avevano urlato di andarsene e così lui aveva lasciato Rocco lì ed era
andato a prendere Nina in palestra. Gianni però si lascia convincere dalla ragazza
e decide di passare di nuovo da Spillo per
prendere “la roba” e poi tornare da Nina
per passare con lei la serata. Mentre Nina
e Gianni sono in palestra e si organizzano, Rocco vede uscire dal portone di Spillo gli uomini di colore e decide così di salire dal ragazzo per potersi finalmente
prendere qualcosa. Prima però Rocco telefona al capo di un clan di malavitosi coinvolti nel giro della droga e dai quali Spillo
prende la roba da rivendere, informandoli
del doppio gioco di Spillo (che vende anche per “i neri”).
Rocco entra in casa di Spillo chiedendogli qualche grammo, ma Spillo che deve
avere da lui ancora 1500 euro per un debito precedente si prende i soldi senza dargli nulla. Rocco è arrabbiato, ma lucido e,
prima di andare via, prende una statuetta
a forma di Colosseo e colpisce Spillo alla
testa. Il ragazzo cade a terra morto; nel
frattempo rientra la madre e così Rocco
colpisce ed uccide anche la signora. Prima di scappare via si prende dell’eroina
che Spillo avrebbe dovuto vendere per “i
neri”.
Intanto Gianni, che nel frattempo aveva detto a Nina di aspettarlo a casa poi-
G
Costumi: Carolina Olcese
Interpreti: Carolina Crescentini (Nina), Claudio Gioè (Commissario Silvestri), Aurelien Gaya (Kueku), Pietro De
Silva (Rocco), Eriq Ebouaney (Karanja), Paolo Sassanelli (Bellucci), Michele Riondino (Gianni), Dino Abbrescia (Martino),
David Coco (Ciccio), Vito Facciolla (Salvatore), Roberta
Fiorentini (Madre di Spillo), Susy Laude (Marta), Max
Mazzotta (Spillo), Alfonso Santagata (Franco), Pietro Manigrasso (Agente Mannoni)
Durata: 86’
Metri: 2360
chè sarebbe passato da Spillo, entra nell’appartamento con la porta già aperta e
trova il ragazzo e sua madre a terra ormai
morti. D’istinto decide di prendersi comunque alcuni grammi di eroina che erano rimasti in casa, ma improvvisamente arriva
la polizia.
Il commissario Silvestri, sposato con
una donna un po’ noiosa da cui aspetta un
bambino, viene chiamato per recarsi sul
posto insieme al suo compagno Bellucci.
Gianni viene trattenuto in attesa degli esiti dell’autopsia e i referti della scientifica.
Nel frattempo Rocco si reca a casa di Nina
per avvisarla dell’accaduto, ma ovviamente racconta i fatti in modo diverso senza
spiegare che Gianni si era trovato lì per
caso e che a uccidere Spillo e la madre era
stato lui; la avvisa che a breve sarebbero
arrivati in casa sua per una perquisizione,
fornisce un avvocato al ragazzo e cerca di
scaricare la colpa sul gruppo di neri.
Quando il commissario Silvestri e Bellucci arrivano da Nina, non trovano nulla in
casa e le chiedono alcune informazioni.
Intanto Gianni viene portato in carcere, mentre Nina cerca di trovare i neri che
erano stati in casa di Spillo; quando poi
va in carcere da Gianni lui si arrabbia con
lei ed inizia a insultarla. È per colpa sua
che lui era tornato da Spillo quella sera,
forse lei lo aveva incastrato, o forse no,
ma se si trovava in carcere in quel momento
era per essersi fatto convincere da lei e le
dice che non vuole più vederla. Intanto
anche Rocco è intenzionato a trovare i neri
che avevano rifornito Spillo per potersi
guadagnare un posto nel clan dei malavitosi di Civitavecchia. In qualche modo infatti, uccidendo Spillo li aveva aiutati e ora
voleva andare avanti. Così, una sera Nina
e Rocco si recano in un locale dove sanno
di trovare questi “neri”, ma, mentre Rocco è lì con l’intento di ucciderli (seguito
33
da alcuni uomini di Civitavecchia), Nina
vuole capire come sia andata veramente
la storia di Spillo e così fa amicizia con
Kueku, uno dei ragazzi di colore che Rocco (e gli altri) vogliono uccidere. Nina parla con Kueku, inizia a capire che Rocco le
ha nascosto alcune cose e così decide di
aiutarlo a scappare e lo porta in casa sua.
Intanto Gianni subisce maltrattamenti in
carcere dagli altri detenuti e viene portato
in ospedale, mentre il commissario Silvestri, interrogandolo nuovamente, inizia a
credere alla sua innocenza. Rocco invece
insieme con gli uomini di Civitavecchia
torna a casa di Nina perché si è accorto
che lei ha aiutato il ragazzo a scappare e
quando li trovano in casa decidono di rapirli per farsi dire da Kueku chi era il suo
capo, dove viveva e perché si era messo a
spacciare nella loro zona. Kueku, che aveva già detto al suo capo Karanja di voler
uscire dal giro, spiega tutto agli uomini e
indica loro il suo appartamento.
Nel frattempo, Nina riesce a comunicare tramite un messaggio con il cellulare
l’indirizzo verso cui sono diretti al commissario Silvestri. Kueku, Nina, Rocco e
tutti gli uomini del clan di Civitavecchia
arrivano in casa di Karanja, ma poco dopo
arrivano anche Silvestri e Bellucci che non potendo attendere l’arrivo di altri uomini- decidono di fare irruzione. Bellucci
resta subito ucciso, mentre Silvestri sotto
shock riesce a nascondersi la pistola del
compagno dietro la schiena e consegna la
sua facendo credere agli altri di essere
quindi disarmato. Il capo clan obbliga
Kueku ad uccidere Karanja, poi lascia due
suoi uomini con Nina, Kueku e il commissario per farli uccidere, ma Silvestri riesce a eliminare i due anche con l’intervento degli uomini della polizia che intanto
erano arrivati. Il capo clan e il suo braccio destro però riescono a scappare, non
Film
prima di aver ucciso Rocco che li aveva
aspettati in macchina.
Nina resta con Kueku in ospedale per alcune ferite, mentre Gianni ancora sconvolto, è finalmente libero.
opo aver diretto per il grande
schermo i film LaCapagira (1999)
e Mio cognato (2002), Alessandro Piva è tornato alla regia con Henry che
ha ottenuto il Premio del Pubblico al 28esimo Torino Film Festival. Ambientato nella
Roma di periferia, una giovane insegnante di aerobica e il suo fidanzato un po’ infantile si ritrovano coinvolti in una storia
molto più grande di loro, tra un clan di malavitosi italiani e un altro di africani che si
fanno la guerra per conquistare il mercato dell’eroina nella capitale. Accanto a
loro, due poliziotti, amici e colleghi, indagano su un duplice omicidio e sul traffico
di droga.
Una storia che si svolge in pochi giorni, o meglio in poche notti, con i protagonisti che girano per le strade di Roma, inseguendosi tra loro e ruotando intorno a
D
Tutti i film della stagione
storie molto più grandi di quelle che avrebbero voluto.
Henry è un giallo perché racconta la
storia di due omicidi, con le inchieste e le
domande dei poliziotti, ma, allo stesso tempo, è un moderno noir, ambientato nell’oscurità delle strade romane che si sofferma con particolare attenzione sulla psicologia dei personaggi, facendo raccontare a
loro stessi le impressioni e le sensazioni
vissute in quei pochi giorni che hanno cambiato per sempre le loro vite. E sono proprio le deposizioni dirette dei personaggi o
il flusso di memoria di Nina che rendono il
film più completo e più profondo, grazie
anche a un cast ben riuscito: da Carolina
Crescentini a Pietro De Silva, passando per
Claudio Gioè e Michele Riondino.
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Giovanni Mastrangelo, Henry è
un film cupo e denso, girato prevalentemente in notturna e con un senso del grottesco,
in una città abitata da spacciatori, poliziotti
smarriti e ragazzi confusi dalle loro stesse
vite. Rocco (Pietro De Silva) è un uomo che
non ha nulla da perdere e poco da fare, trop-
po preso dal suo bisogno di assumere droghe per rendersi conto di quello che ha scatenato e di quello che gli accade intorno.
Gianni (Michele Riondino) è un ragazzino
che fa uso di droga per passare il tempo,
innamorato della bella Nina per la quale
farebbe qualunque cosa; ma è proprio per
lei che resta incastrato e la sua vita sarà
rovinata per sempre da quelle tre notti passate in carcere. Nina (Carolina Crescentini) è una ragazza trasgressiva ma buona,
lei cerca da sola di capire cosa sia veramente successo a Spillo e quindi a Gianni,
per poterlo così far uscire dal carcere, ma
resta coinvolta ancora una volta in qualcosa di più grande, innamorandosi di un altro
uomo. E poi c’è il commissario Silvestri
(Claudio Gioè), un uomo di legge e di cuore che mantiene la sua etica nonostante
viva in un mondo a cui sente di non appartenere. Il suo è anche uno sguardo del regista su un paese soffocato da corruzione
e debolezze, dove non esiste più neanche
il cinema, ma soltanto la fiction.
Silvia Preziosi
MAGNIFICA PRESENZA
Italia, 2012
Interpreti: Elio Germano (Pietro), Paola Minaccioni (Maria), Beppe Fiorello (Filippo Verni), Margherita Buy (Lea Marni), Vittoria
Puccini (Beatrice Marni), Cem Yilmaz (Yusuf Antep), Claudia
Potenza (Elena Masci), Andrea Bosca (Luca Veroli), Ambrogio
Maestri (Ambrogio Dardini), Matteo Savino (Ivan), Alessandro
Roja (Paolo), Gea Martire (Gea), Monica Nappo (Olga), Bianca
Nappi (Nina), Giorgio Marchesi (Massimo), Gianluca Gori (Ennio),
Platinette (Badessa), Massimiliano Gallo (Dottore Cuccurullo),
Anna Proclemer (Livia Morosini), Eleonora Bolla (Carlotta)
Durata: 105’
Metri: 2860
Regia: Ferzan Özpetek
Produzione: Domenico Procacci per Fandango e Faros Film
con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 16-3-2012; Milano 16-3-2012)
Soggettoe Sceneggiatura: Federica Pontremoli, Ferzan
Özpetek
Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Walter Fasano
Musiche: Pasquale Catalano
Scenografia: Andrea Crisanti
urante i titoli di testa mentre la
solita dedica stavolta è diretta a
Wislawa (Szymborska?) si vedono alcuni dettagli di occhi truccati, maschili e femminili, di attori e attrici che indugiano dietro un sipario chiuso in attesa che
il pubblico si accomodi in sala. Poi si passa a Pietro un giovane di origini siciliane
giunto a Roma ospite della cugina Maria,
che sta visitando una casa in affitto nel
quartiere Monteverde (vecchio) di Roma,
che decide di prendere per sé e Massimo
al quale manda sms, senza che questi gli
risponda. Pietro è a Roma non solo per
Massimo ma anche per cercare di intraprendere la carriera d’attore. Intanto per
D
mantenersi lavora di notte in una pasticceria, unico italiano tra altri pasticceri
cittadini stranieri, dove sforna cornetti.
A un provino per una pubblicità viene
notato e chiamato per un secondo provino
per una fiction tv.
Di giorno sistema la casa per sé e per
Massimo, si ambienta nel nuovo quartiere, fa amicizia con due ragazze che lavorano nel bar di fronte casa, che trapelano scetticismo quando capiscono quale appartamento il ragazzo abbia affittato. Appena si trasferisce nella casa,
Pietro sente dei rumori e dei bisbiglii,
poi vede un bambino ciccione nascosto
sotto un tavolo e, infine, gli altri occu-
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panti della casa: sette adulti e un bambino in tutto, vestiti con abiti eleganti e
retrò. Pietro pensa che siano degli abusivi e cerca di contattare la padrona di
casa invano. Impaurito dalla loro presenza chiede aiuto a Maria ma solo lui
sembra vedere gli intrusi ai quali chiede
di lasciare l’appartamento. La sera che,
finalmente, Massimo arriva a casa, il ragazzo, un giovane regista, gli intima di
lasciarlo in pace, dicendogli che non può
continuare a tormentarlo con mail e sms
solo per una serata passata insieme due
anni prima. La scenata avviene dinanzi
gli intrusi, che ormai, è sicuro, solo Pietro riesce a vedere; i quali, dopo che
Film
Massimo è andato via, cercano di consolarlo e tirarlo su. Intanto fanno conoscenza. Filippo Verni un giovane vestito
in frak si presenta come capocomico della compagnia Apollonio e gli presenta gli
altri: le cugine Lea e Beatrice Marni,
Yusuf Antep marito di Beatrice, loro figlio Ivan (il ragazzino ciccione) Ambrogio Dardini dalla possente stazza, e voce,
Elena Masci e Luca Veroli. Tutti credono che Pietro sia lì per aiutarli a uscire
dall’appartamento. Credono che l’abbia
mandato una certa Livia Morosini. Tutti
interpretano il silenzio frastornato di Pietro come timore di esporsi e lo rassicurano che non farebbero mai il suo nome. Senza dire niente, Pietro va a dormire. Viene
svegliato da Luca, che lo stava guardando
mentre dormiva, sedotto dalla sua bellezza. Affascinato da quelle presenze all’incontro con la padrona di casa per rescindere il contratto organizzato da Maria, che
si spaccia per avvocato, nello studio dove
lavora in realtà come segretaria, Pietro
decide di rimanere nell’appartamento con
grande stizza della donna evidentemente
abituata a incassare l’anticipo di 4 mesi
prima e alla successiva fuga degli affittuari
appena vedono gli …abusivi. Pietro si rende conto che i suoi ospiti sono dei fantasmi. Cerca su internet informazioni della
compagnia e su questa Lidia Morosini,
scoprendo solo che di loro si sono perse
le tracce nel 1943.
Inizia una convivenza fatta di momenti
in comune, tra le prove della compagnia,
momenti in cui scartano le figurine di un
album che celebra il 150enario dell’unità
d’Italia e momenti di drammi personali
come quando Beatrice si preoccupa per le
sorti del figlio grande che ha deciso di
mandare al nord…
Una sera, Luca sveglia Pietro, pensando di fargli una cortesia, sa che lavora di notte. Ma quella sera è il giorno di
riposo di Pietro che se ne rende conto solo
quando arriva in pasticceria. Di ritorno
a casa
incontra per strada un uomo non più
giovane, che parla di sé al femminile, indossa una parrucca biondo cenere e ha
subito un’aggressione in un parco dove si
può fare sesso con altri uomini, lì vicino.
Pietro lo soccorre portandolo a casa e gli
confida dei fantasmi (uno dei quali, Youssef, ha per lui dei commenti di rimprovero), al quale l’uomo dice di credere perché, se crede a se stessa, non può non credere anche ai fantasmi.
Intanto Maria confessa a Pietro, in lacrime, di essere incita di uno dei tre avvocati per i quali lavora e di non sapere quale dei tre sia il padre.
Tutti i film della stagione
In procinto di andare al secondo provino Pietro riceve consigli dai fantasmi
che lo fanno truccare e atteggiare come
andava di moda nel 1943. Al provino Pietro si impone per la sua stravaganza ma
strafà. Tornato a casa, arrabbiato coi fantasmi per i cattivi consigli ricevuti, non li
trova.
Deciso a cercare Livia Morosini chiede aiuto all’uomo che ha soccorso che lo
invia da uno strano personaggio, che vediamo in un capannone circondato da vecchie donne trans che lavorano alle macchine da cucire, il quale fornisce a Pietro
l’indirizzo di Livia che nel frattempo ha
cambiato cognome.
Quando Pietro si presenta all’indirizzo la donna dice di non conoscere nessuna
Livia né la parola d’ordine che gli ha indicato Elena e non lo riceve.
Sul tram di ritorno a casa, Pietro incontra Paolo, un vicino di casa col quale
ha già scambiato qualche parola, che lo
soccorre: Pietro infatti perde sangue dal
naso e sviene. In ospedale Pietro è raggiunto da Maria che spiega al dottore delle sue visioni e l’uomo lo ricovera nel reparto psichiatrico per stress.
Tornato a casa dopo qualche settimana, Pietro non vede più i fantasmi e se ne
rammarica.
Da solo in casa viene raggiunto da Livia che gli racconta quello che sa. I componenti della compagnia sono morti per
la fuga di gas di una stufa difettosa, nel
1943. I fantasmi scoprono così dalla stessa voce di Livia quello che è capitato
loro… Livia lascia la casa di Pietro il
quale la segue mentre lei finisce di raccontargli la loro storia. La compagnia si
35
muoveva liberamente in Europa, per la
tournée e loro ne approfittavano per mantenere i contatti della resistenza europea.
Erano spie. Poi una sera la polizia venne
a cercarli a teatro (e rivediamo le scene
viste già durante i titoli di testa) inducendoli a nascondersi in quell’appartamento mentre lei si rifugiò a Buenos Aires con
un’altra identità.
Di ritorno a casa Pietro incontra Maria che lo invita a bere qualcosa per festeggiare il suo fidanzamento con il dottore che lo ha curato, che ha deciso di riconoscere il figlio che Maria aspetta. Distratto dalla presenza di Ivan per strada Pietro
lascia il bar e riaccompagna il bambino
in casa dove viene bombardato di domande dei fantasmi su cosa è successo da quando sono morti. Pietro usa internet per spiegare i fatti principali e aggiornarli fino a
Obama, il primo presidente nero degli Stati
Uniti.
Sempre su internet cercano se il figlio
di Beatrice e Youssef , quello che avevano
mandato al nord, sia ancora vivo e commossi vedono online alcune sue foto. Il figlio non solo è ancora vivo ma ha avuto a
sua volta un figlio che ha chiamato con il
nome di suo nonno, il padre di Youssef.
Con la scusa di restituirle alcune conchiglie di un vestito di scena, Pietro torna a trovare Livia e le chiede perché non
ha mai parlato di loro e se sa chi li abbia denunciati. Poi quando Livia uccide
con impeto un insetto che passeggia sul
tavolo Pietro intuisce che è stata lei a
denunciarli e Livia gli dà del frocetto
saputello dicendogli che non può permettersi di criticarla lei che è stata una grande attrice.
Film
A casa Pietro racconta ai fantasmi
quello che ha scoperto, i quali reagiscono con una liberatoria risata collettiva.
Adesso che sanno davvero come i fatti si
sono svolti possono lasciare la casa,
prendere il tram e recarsi a teatro dove
Pietro, unico spettatore, può vederli sul
palcoscenico, gli occhi imbambolati e
commossi, mentre scorrono i titoli di
coda, nei quali campeggia un’altra dedica a troppi nomi per poterli ricordare
tutti.
he nei film di Ozpetek ci siano
sempre dei buchi di sceneggiatura è una critica così ricorrente
da essere diventata ormai un luogo comune. In realtà una delle caratteristiche
più evidenti dello stile del regista, oltre
alla direzione degli attori, che nei suoi
film non sono mai banali o piatti, è proprio la capacità di saper restituire un’atmosfera, un punto di vista, con pochi elementi, nonostante i buchi di sceneggiatura più o meno proditoriamente rimproveratigli, arrivando a evidenziare con precisione, in ogni suo film, un aspetto del
nostro paese, della sua storia e dei suoi
cittadini.
Questa volta Ozpetek ci mostra come
la volgarità maschilista e patriarcal-omofobica non sia figlia del berlusconismo
ma abbia radici ben più profonde, risalenti almeno ai tempi del ventennio fascista. Ce lo dimostra il personaggio di
Livia Morosini, una splendida Anna Proclemer, donna anziana e unica presenza in carne ed ossa di quegli anni, quando, scoperta da Pietro come la delatrice
della compagnia, mostra il suo vero volto di donna arrogante, aggressiva e squisitamente fascista (parola che, ricordiamo, è attestata nel vocabolario della lingua italiana anche come sinonimo di prepotente).
Gli altri personaggi in carne ed ossa di
Magnifica presenza mostrano invece una
diffusa e attualissima immaturità emotiva.
Pietro è incapace di intessere una relazione sentimentale al punto da non accorgersi nemmeno di stare facendo
stalking con Massimo, fraintendendo una
piacevole serata che ha trascorso con lui,
due anni prima, con l’inizio di una inesistente relazione. Sua cugina Maria, più
grande di lui e, apparentemente, coi piedi per terra, rimane incinta per caso senza nemmeno sapere chi dei tre avvocati
sia il padre, segno evidente che alla sacrosanta libertà sessuale non corrisponde una adeguata attenzione e coscienza
di sé.
C
Tutti i film della stagione
A questa sprovvedutezza sentimentale corrisponde una diffusa ignavia civile,
prima ancora che politica.
Nel film ci sono sfruttatori, come la
padrona di casa di Pietro, che approfitta
della presenza dei fantasmi per incassare
i 4 mesi di anticipo di pigione prima che i
locatari scappino impauriti, o i tre avvocati, che pensano di condividere Maria non
solo come segretaria. Ci sono anche gli
sfruttati come, il dottore che Maria sposa
pur di non essere ragazza madre, le trans
del capannone, se possiamo leggere quella scena in questa chiave, e gli aggrediti
come il bislacco omosessuale uscito dagli
anni Cinquanta ,che Pietro soccorre una
sera, senza che nessuno ne prenda coscienza, o senza che, peggio ancora, se
ne indigni.
Solo Pietro sembra accorgersene, essendo però completamente sprovveduto
per poter fare qualcosa.
L’impegno civile nella resistenza degli
attori-fantasmi rende allora il comportamento dei personaggi vivi ancora più colpevole, vigliacco e ingiustificabile.
Siamo più morti noi vivi di oggi, sembra dirci Ozpetek, di quanto lo siano gli
attori-fantasmi di allora.
Come al solito nei suoi film queste profonde, precise e lucide notazioni, hanno
efficacia proprio perché sono a margine
della trama, emergono come in controluce rispetto il film che ha sempre la vocazione del racconto e mai quella del saggio
o del pamphlet.
Purtroppo questa volta quello che al
film sembra mancare del tutto è proprio la
storia, che presenta dei personaggi magnifici come i fantasmi ai quali però non
succede nulla.
Il film sembra molto più interessato a
risolvere il mistero della loro morte (senza
spiegarne mai bene nemmeno la dinamica della fuga di gas, che ci viene detta ma
non mostrata) che a parlarci davvero di loro
(con l’unica eccezione di Youssef del quale però ci viene mostrata la storia del figlio
e del nipote, non la sua).
Magnifica presenza ci presenta un contenitore narrativi interessante e felicemente
pensate che gli sceneggiatori sembrano
non sapere di cosa riempire, come se quello che contasse non fosse la storia da raccontare, ma il format narrativo.
Quel poco che accade nel film è infatti più adatto all’attenzione scarsa e saltuaria con cui guardiamo la tv nel privato
delle nostre case che a quella totale che
ci impone il buio della sala cinematografica
Una caratteristica che, sospettiamo, sia
36
la cifra distintiva di Federica Pontremoli,
che firma la sceneggiatura con Ozpetek,
un altro film della quale, Habemus papam
di Moretti, ha lo stesso identico difetto strutturale.
Magnifica presenza sembra allora proseguire nelle trame parallele nessuna delle quali però si sviluppa veramente.
Nulla sappiamo dell’esito del secondo provino di Pietro, oltre la figuraccia
fatta per i consigli sciocchi dei fantasmi.
Nulla sappiamo di Paolo, il vicino di casa
che sembra interessato a Pietro, che
scompare dal film senza lasciare traccia,
stessa sorte capita alle due bariste, all’omosessuale anni 50 e alle trans cucitrici.
Anche il ricovero di Pietro nel reparto
psichiatrico non serve ad approfondire
nulla (se i fantasmi sono una fantasia di
Pietro non può conoscere la parola d’ordine che i fantasmi gli dicono tanto che Livia
gli chiede come lui faccia a conoscerla) se
non a fare fidanzare Maria con il dottore.
Far capire a Pietro che è Livia la delatrice, semplicemente perché la donna uccide un insetto con violenza, è un espediente talmente debole che Stefano Disegni, nella sua deliziosa parodia al film su
Ciak di aprile 2012, lo irride con giusta ironia.
Una sceneggiatura che non sembra
avere davvero nulla da raccontare se non
creare un’atmosfera basata sulla presenza di maschere, di personaggi strani, che
intrattengono lo spettatore per la loro diversità, offrendo al pubblico lo svago di una
esperienza esotica come il capannone con
le trans.
Anche il personaggio di Pietro (uno
splendido bravissimo Elio Germano), nonostante l’impegno di Ozpetek di mostrarci dei gay persone e non macchiette, non
si sottrae dalla consuetudine tutta italiana
che vede i gay soli, incapaci di avere relazioni sentimentali, impossibilitati a vivere
il proprio orientamento sessuale in maniera
altrettanto piena e gratificante dei personaggi etero.
Gli errori di Magnifica presenza non
sono però solo della sceneggiatura ma
anche della produzione che ha la sua responsabilità nell’aver mandato in sala un
film così male sviluppato. Ci chiediamo
cosa sarebbe potuto diventare Magnifica
Presenza nelle mani di produttori che facevano il loro mestiere come Cristaldi il
quale, non convinto della versione di Tornatore di Nuovo Cinema Paradiso lo rimaneggiò facendogli vincere l’Oscar.
Alessandro Paesano
Film
Tutti i film della stagione
GLI SFIORATI
Italia 2011
Regia: Matteo Rovere
Produzione: Domenico Procacci pewr Fandango
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 2-3-2012; Milano 2-3-2012)
Soggetto: Sandro Veronesi
Sceneggiatura: Matteo Rovere, Laura Paolucci, Francesco
Piccolo
Direttore della fotografia: Vladan Radovic
Montaggio: Giogiò Franchini
oma. Méte è un giovane grafologo, appassionato della ricerca
del carattere di ogni essere umano nascosto dietro la scrittura. Il ragazzo
è innamorato dell’unica persona sulla terra che non può amare, la sua sorellastra
Belinda, bellissima e misteriosa adolescente spagnola, inafferrabile, quasi lontana
dalla terra, che vive nascosta dagli occhi
del mondo reale. Méte e Belinda hanno il
padre in comune, Sergio, ex giocatore ed
ex dirigente di calcio, rimasto a lungo lontano dal figlio e da anni legato a un’altra
donna, Virna, la madre di Belinda. Ora finalmente, dopo una lunga convivenza, Sergio sta per sposare Virna. Una settimana
prima del matrimonio, Sergio comunica a
Méte che Belinda andrà a vivere in casa
sua fino alle nozze. Il precario equilibrio
della vita del ragazzo viene sconvolto. Per
lui è difficile accettare tutto insieme il ritorno del padre nella sua vita dopo sei anni
di lontananza (per di più un padre che si
sta risposando con un’altra donna) e la
convivenza con quella sorellastra da cui è
fortemente attratto. Méte e Belinda praticamente non si sono mai conosciuti davvero, ma ora sono costretti a passare sotto
lo stesso tetto la settimana che precede il
matrimonio del padre. Nella vita di Méte
ci sono presenze importanti come quelle
dei suoi due amici, Bruno, suo collega grafologo, padre separato in difficoltà economiche e Damiano agente immobiliare donnaiolo e pronto a tutto per una nuova conquista. Méte è a disagio nei confronti di
Belinda e perciò cerca di fare di tutto per
evitarla. Ma Damiamo mette gli occhi sulla ragazza e ciò provoca una reazione di
immediata gelosia da parte di Méte. Per
distogliere la sua attenzione dalla sorellastra, Méte approccia Beatrice Plana a una
festa, una nota frequentatrice delle notti
romane, una giovane donna dall’umore
instabile. Quella stessa notte, coinvolto
dall’intraprendenza di Beatrice, Méte fa
R
Musiche: Andrea Farri
Scenografia: Alessandro vannucci
Costumi: Monica Celeste
Interpreti: Andrea Bosca (Méte), Miriam Giovanelli (Belinda),
Claudio Santamaria (Bruno), Michele Riondino (Damiano), Asia
Argento (Beatrice Plana), Massimo Popolizio (Sergio), Aitana
Sánchez-Gijón (Vima), Chiara Brunamonti, Ugo De Cesare
Durata: 111’
Metri: 3050
sesso con lei, ma il mattino dopo il ragazzo è a disagio. Arrivato tardi a un appuntamento di lavoro, viene preso di petto da
Bruno che gli rimprovera di essere un ragazzo poco responsabile. Il giovane confessa di avere dei problemi e dice di volere
essere lasciato in pace. Quella stessa sera,
tornato a casa, Méte vuole portare Belinda a una festa ma la ragazza si rifiuta per
l’ennesima volta di uscire. Recatosi da solo
alla serata, il ragazzo vede Beatrice e lascia la festa. Tornato a casa, Méte fa sesso
con Belinda. Quella stessa notte Damiano
va a letto con Beatrice. Il mattino dopo è il
giorno del matrimonio di Sergio: Beatrice
propone a Damiano di passare la giornata insieme ma il ragazzo dice di non essere
libero perché deve recarsi a un matrimonio. Indispettita, prima di lasciare l’appartamento in vendita dove Damiano porta
tutte le sue conquiste, Beatrice chiude dentro il ragazzo e si porta via le chiavi.
Intanto Méte e Belinda vanno al matrimonio del padre. Al matrimonio c’è anche Bruno, Méte gli consegna ciò che voleva da tempo: un foglio con la sua scrittura. Bruno la archivia insieme ad altri
campioni grafologici della nuova categoria che sta studiando, gli sfiorati.
Dopo la cerimonia Méte e Belinda,
cantano felici per le strade di Roma insieme ai neosposi a bordo di una decappottabile
hi sono “gli sfiorati”? “Individui
che vivono molto afferrando
poco, e magri rendendosi conto
solo più tardi di quello che gli è passato
accanto, o addosso. Giovani e meno giovani, individui inquieti ma pronti a vivere,
positivi e alla ricerca di qualcosa”.
Così li ha definiti il regista Matteo Rovere che affida al personaggio di Bruno,
amico e collega di Méte, protagonista del
film, un’altra definizione della categoria
degli “sfiorati” desunta da diverse analisi
C
37
grafologiche: “Gli sfiorati sono quelli che
sembrano sempre lontani, distratti. Non
sono affatto superficiali, giocano consapevolmente, gli sfiorati possono attraversare
cose meravigliose o anche cose terribili,
cose che magari gli altri nemmeno vedono. Qui siamo in un altro mondo”.
Un altro mondo? Gli “sfiorati” sono una
categoria umana e dello spirito, che nel film
i due grafologi Méte e Bruno scoprono in
modo quasi scientifico attraverso l’analisi
di alcune scritture ma che probabilmente
è sempre esistita.
E carico di senso di spaesamento nei
confronti dello stare al mondo è l’universo
a sé in cui vive il giovane Méte (colui che
meglio coglie il nucleo dello “sfioramento”),
protagonista della storia tratta dal romanzo di Sandro Veronesi “Gli sfiorati” pubblicato per la prima volta nel 1990. Nel passaggio dal libro allo schermo, Matteo Rovere, al suo secondo lungometraggio dopo
Un gioco da ragazze del 2008, ha spostato la vicenda nella Roma contemporanea
mantenendo intatto il nucleo emotivo dei
personaggi.
Una particolare menzione merita l’attore protagonista, Andrea Bosca (che si è
fatto notare nell’affresco risorgimentale di
Martone Noi credevamo) volto bello, intenso e al tempo stesso misterioso, che, insieme ai suoi due amici-confidenti, interpretati da Claudio Santamaria e Michele
Riondino, forma un terzetto di giovani uomini convincente anche (e soprattutto)
nelle rispettive debolezze. Sono loro la
parte migliore del film. Ognuno dei tre personaggi sembra portare il carico di sofferenze irrisolte che incidono su vite insicure, problematiche, a volte edoniste e superficiali, in corsa, forse, verso la distruzione. Come potenzialmente distruttivo è
l’amore impossibile e drammatico vissuto
dal protagonista per l’unica persona che
non può amare, una bellissima “sfiorata”.
Il film resta per molti aspetti sospeso e
Film
irrisolto, ha un andamento ondivago e
frammentato, a tratti quasi onirico, immerso in una Roma contemporanea pigra e
molle (come i personaggi che la vivono),
lasciando in chi scrive la forte tentazione
di sospendere anche un giudizio definitivo.
Una pellicola magari non memorabile
ma che, per paradosso, “fissa” un tema
interessante delineato nel romanzo da cui
è tratto: quella “schiumevolezza” che altro
Tutti i film della stagione
non è che l’atteggiamento di navigare sulla superficie delle cose senza averne profonda esperienza, quindi senza rimanerne feriti. Sandro Veronesi ha raccontato di
essere rimasto, all’epoca del romanzo,
colpito da un incontro con dei ciechi e di
come per loro sia fondamentale il verbo
sfiorare perché toccare può essere troppo
pericoloso. “Come i personaggi del libro,
che s’avvicinano molto alle cose perché
ne hanno una percezione limitata, non
esperiscono profondamente, ma neanche
evitano, che permette loro di andare oltre,
verso la prossima esperienza. La prudenza, la superficialità, sono modi di proteggersi dal mondo”.
E mai come oggi c’è davvero bisogno
di farsi scudo dal mondo che ci circonda.
Ma allora non viviamo un po’ tutti con la
tentazione di diventare “sfiorati”?
Elena Bartoni
THE LADY – L’AMORE PER LA LIBERTÀ
(The Lady)
Francia, Gran Bretagna 2011
Interpreti: Michelle Yeoh (Aung San Suu Kyi), David
Thewlis (Michael Aris), Jonathan Raggett (Kim), Jonathan
Woodhouse (Alex), Susan Wooldridge (Lucinda), Benedict
Wong (Karma), Dujdao Vadhanapakorn (Nita May), Htun
Lin (Generale Ne Win), Agga Poechit (Than Shwe), William
Hope (James Baker), Sahajak Boonthanakit (Leo
Nichols), Marian Yu (Daw Khin Yi), Nay Myo Thant (Win
Thein),Victoria Sanvalli (Ma Then)
Durata: 127’
Metri: 3500
Regia: Luc Besson
Produzione: Luc Besson Andy Harries e Virginie silla per Europa Corp., Left Bank Pictures, France 3 Cinéma
Prima: (Roma 23-3-2012; Milano 23-3-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Rebecca Frayn
Direttore della fotografia: Thierry Arbogast
Montaggio: Julien Rey
Musiche: Eric Serra
Scenografia: Hugues Tissandier
Costumi: Olivier Bériot
ung San Suu Kyi, figlia di un generale birmano nazionalista assassinato dai rivoluzionari rossi
subito dopo la seconda guerra mondiale,
una volta adulta ha trasferito i propri interessi e la propria vita nel mondo occidentale: ha sposato un professore di Oxford, Michael Aris, con cui ha avuto due figli e, pur
attenta a quanto avviene in Oriente, vive la
sua vita nella cittadina inglese.
Nel 1988 la svolta: richiamata a Rangoon per l’aggravarsi della salute della
madre, Suu piomba nella drammatica realtà del suo Paese. La dittatura militare di
Saw Maung opprime la Birmania con la
violenza e la privazione di qualsiasi libertà; la popolazione più illuminata vede nel
ritorno di Suu, figlia di un martire, colta,
progressista e ancora sensibile alla situazione politica della Birmania, la possibilità di una redenzione. Così lei si convince
a mettersi a capo di una formazione democratica che alle elezioni stravince con
il supporto delle campagne più lontane
come degli abitanti della città.
La democrazia vera rimane però un sogno: mentre Michael e i figli ritornano a
Oxford la repressione militare fa terra bruciata dei desideri usciti dalle urne, soffoca ogni
speranza nel sangue e chiude Suu agli arresti
domiciliari nella sua casa sul lago Inya.
Questo periodo di confinamento e di costrizione, guardata a vista dai militari, dura
A
circa vent’anni, con sporadiche visite dei suoi
che sempre con maggiori difficoltà ottengono i visti necessari per entrare in Birmania.
Il marito continua per tutti gli anni del
suo isolamento a battersi per lei da lontano, riuscendo a promuovere per la moglie
il premio Nobel per la pace. Quando Michael si ammala di cancro non si rivedranno più perchè Suu è ben conscia che la sua
partenza dalla Birmania sarebbe senza ritorno e significherebbe troncare con il suo
mondo per sempre. Così Suu resta, Michael
muore, i suoi figli diventano adulti e tornano a trovarla in Birmania, ma Suu, alla
fine degli arresti domiciliari, non abbandona più il suo Paese continuando a lottare per la dignità del suo popolo e per le
proprie idee di libertà e giustizia.
un film nato (come ha detto nelle
interviste lo stesso regista) da un
incontro fatale, folgorante e inaspettato: Luc Besson, noto per la sua cinematografia caratterizzata da azioni senza
fiato e da ritmi ossessivi e spesso inviso
alla critica per le sue immagini patinate e
sontuose ma considerate vuote e gratuite,
incontra la vera Aung San Suu Kyi e ne rimane estasiato. Forse Besson ha creduto
finalmente di trovare quell’incarnazione di
eroina civile e carismatica che inseguiva dai
tempi di Giovanna D’Arco o la personificazione di quell’umanità sempre mancante
È
38
alle protagoniste dei suoi film, fatto sta che
il regista francese, colpito e commosso da
questa donna fragile e forte, sensibile, intensa e tenace ha voluto costruirle intorno
un film; non solo, un film che parlasse soprattutto di lei e avesse al centro la sua evoluzione intellettuale, sociale e politica e tenesse sullo sfondo lo scenario storico in cui
lei agiva. Anzi, Besson ha voluto in questo
modo che il contesto sociopolitico in cui Suu
Kyi ha realizzato i suoi ideali e affrontato la
repressione della dittatura militare acquistasse una valenza e una divulgazione più
ampia possibile proprio attraverso la sua
figura di donna e di combattente.
Tutto questo è l’assunto ideale su cui
Besson ha costruito la sua storia che, non
dimentichiamo, è un film, un mezzo cioè in
cui i valori e le idee devono essere portati
con passaggi ben chiari a interessare il cuore e la ragione dello spettatore, altrimenti il
prodotto che ne esce va oltre la stessa azione del regista, finendo per divorarlo come
un figlio ingrato che divori il proprio genitore.
Questo per dire che il personaggio di Suu
Kyi, spinto al massimo della purezza agiografica, resta fine a se stesso, inanimato,
capace di abbracciare di colpo la causa libertaria del proprio Paese senza che si dica
granchè sull’iter intimo e personale vissuto
per arrivare a passi di questo genere mentre la giunta militare è presentata come un
gruppo di cattivi da operetta, non privi di una
Film
Tutti i film della stagione
certa vis comica. Sarebbe questo il “nemico” per cui una donna vede figli e marito
quattro volte in vent’anni senza manifestare
per quest’ultimo il benchè minimo desiderio
o dimenticata passione né pietà né rimorso
nemmeno quando il poveretto si ammala di
cancro e muore solo come un cane?
È chiaro che così un personaggio risulta distaccato, indifferente, freddo, monolitico e, colpa grave per una trattazione
cinematografica, poco credibile, nell’ambito quindi di un lavoro poco avvincente.
Besson avrebbe dovuto spingere il proprio sforzo creativo ben oltre la presentazione di una frigida icona ma, a questo
punto, stiamo parlando di come sarebbe
dovuto essere un altro film...
Fabrizio Moresco
L’ARRIVO DI WANG
Italia 2011
Regia: Manetti Bros.
Produzione: Manetti Bros. Film, Dania Film, Pepito Produzioni, Surf Film in collaborazione con Rai Cinema
Prima: (Roma 9-3-2012; Milano 9-3-2012)
Soggettoe Sceneggiatura: Manetti Bros.
Direttore della fotografia: Alessandro Chiodo
Montaggio: Federico Maria Maneschi
Musiche: Pivio, Aldo De Scalzi
Scenografia: Noemi Marchica
Costumi: Patrizia Mazzon
aia, un’interprete di cinese che
sta lavorando alla traduzione di
un film, viene chiamata per un
lavoro urgentissimo, segretissimo e molto
ben pagato. Mezz’ora dopo viene prelevata
da un’automobile e si trova di fronte Curti,
un agente privo di scrupoli e dai modi bruschi, che ha bisogno di lei per interrogare
un misterioso signor Wang. Durante il tragitto viene bendata e condotta in un luogo
non ben identificato: per la segretezza, l’interrogatorio avviene al buio. Ma Gaia non
riesce a tradurre bene e chiede di accendere la luce. A questo punto la giovane interprete scopre, con sua grande sorpresa, perché l’identità del signor Wang viene tenuta
celata. L’incontro con Wang cambierà per
sempre la sua vita. Ma anche quella di tutto
il pianeta terra. Wang è infatti un extraterrestre dall’aspetto inquietante e curioso; è
legato alla sedia ed è sottoposto a un fuoco
incessante di domande da parte di Curti.
L’agente infatti vuole sapere il vero motivo
dell’arrivo di Wang sulla terra. Si chiede
G
Effetti: Simone Silvestri, Maurizio Memoli, Palantir Digital Media
Interpreti: Ennio Fantastichini (Curti), Francesca Cuttica
(Gaia), Li Yong (Wang), Juliet Esey Joseph (Amunike), Antonello Morroni (Max), Carmen Giardina (Dottoressa), Rodolfo
Baldini (De Renzi), Angelo Nicotra (Generale), Massimo
Triggiani (Riboldi), Furio Ferrari Pocoleri (Torricelli), Jader
Giraldi (Falco), Marco Iannitello (Poliziotto al centralino), Claudio Lullo (Giovane politico)
Durata: 82’
Metri: 2250
perché sia piombato a casa della signora
Amounike. E che cosa sia lo strano oggetto
che aveva lasciato in casa della signora e
che poi era tornato a prendere. Wang era
poi sparito misteriosamente per due settimane. Dove era andato? Cosa cercava di
fare con quello strano oggetto? Curti sospetta che Wang sia a capo di una missione
di attacco alieno alla terra. Mentre Gaia
traduce, Wang continua a rispondere di essere venuto in pace e di cercare solo amicizia e dialogo con i terrestri. Ma Curti non
ci crede e i suoi toni divengono sempre più
alterati e violenti; Gaia invece sembra credere alla buona fede di Wang e non tollera i
modi dell’agente, convinto invece che Wang
sia fuggito dalla casa della signora Amounike. Wang si sente male, ha mani e piedi
legati, è disidratato, ha urgente bisogno di
bere. Gaia riesce a dargli da bere e poi abbandona la stanza dell’interrogatorio: è
scossa, vuole chiamare Amnesty International per denunciare quei maltrattamenti. La
giovane interprete riesce a scappare all’in-
39
terno del misterioso edificio in cui si trova.
Trova un ufficio deserto e prova a telefonare ad Amnesty International ma viene bloccata da Max, l’autista e assistente di Curti.
Dopo una colluttazione, Gaia riesce a mettere al tappeto Max e a scappare. Per i deserti corridoi dell’edificio incontra Amoukine con la quale cerca una via d’uscita. Ma,
giunte sulla porta, Gaia lascia andare
Amoukine e decide di tornare indietro a salvare Wang. Tornata nella stanza dell’interrogatorio, trova Wang da solo e lo libera.
Finalmente libero, l’alieno prende in mano
il suo transistor e dà il via l’attacco delle
astronavi aliene alla terra. Dalla sala operativa dei servizi segreti, Curti insieme a generali e vertici della difesa, assistono impotenti all’attacco massiccio delle astronavi aliene nel cielo di Roma.
n inizio degno di un thriller, un finale da fumetto originalissimo,
fantasy, metaforico, simbolico.
Non semplicemente un film di genere, ma
U
Film
una contaminazione di universi e linguaggi, un’interfaccia tra fantasia e realtà, tra
fumetti e quotidianità.
L’arrivo di Wang, perdonateci il gioco
di parole, arriva, spiazza, colpisce. E non
potrebbe essere altrimenti, visto che si tratta di un’opera partorita dal genio imprevedibile e creativo dei romani Manetti Bros.
Chi è davvero Wang? Da dove viene?
Cosa è venuto a fare tra noi?
Ancora un problema di identità misteriosa e per nulla rassicurante. Un interessante recente studio aveva notato come
da tempo il cinema americano sembri aver
rinunciato ai punti di riferimento di un tempo, alla nozione tradizionale di corpo, alle
componenti tranquillizzanti della nostra
identità. Vedendo questo film abbiamo pensato che davvero era ora che iniziasse a
farlo anche il cinema italiano. Generi come
la fantascienza e l’horror da decenni hanno messo davanti agli occhi di noi spettatori riflessioni inquietanti sull’altro, sul diverso, sul mostruoso e, nel cinema più re-
Tutti i film della stagione
cente, la sua identificazione con una realtà sfuggente, mutante, talvolta persino
onirica. Ed ecco Wang.
Il film dei Manetti ruota attorno a uno
strano terzetto composto dal misterioso signor Wang che parla solo il cinese mandarino (l’idioma più diffuso al mondo ma certo
poco parlato in Italia) e da due persone diversissime che lo stanno interrogando. Una
stanza chiusa, spoglia, un fuoco di domande, un interrogatorio al buio. E poi la luce.
Quello che ne esce fuori sorprendentemente è un vero fantasy nostrano, intriso di humour nero e arricchito da decise
pennellate thriller. Variazione sul tema della
diversità, il film punta su un argomento
universale, la difficoltà di comprendere l’altro ma, in fondo, anche noi stessi. E mentre la tensione narrativa sale, si fa strada il
vecchio pregiudizio nei confronti di chi ci
appare come diverso per tentare, da un’angolazione inedita, di dare un colpo di scure a tutti gli stereotipi, eccessivamente
buonisti o inutilmente violenti che siano.
Bella fotografia, pregevoli effetti speciali (ancor più ammirevoli se si pensa al
basso budget), buona colonna sonora, ritmo che sale nel climax finale, un risultato
più che apprezzabile che va ben oltre la
facile e riduttiva etichetta del “cinema di
genere”. Il grande merito dei talentuosi
Manetti Bros. (tra i pochi autori giovani che
hanno portato davvero un po’ di aria fresca nel panorama italiano dal Coliandro
televisivo al Piano 17 per il grande schermo solo per fare due esempi) è di riuscire
a tenersi lontani da quel buonismo dispensato a dosi eccessive dal cinema quando
si mette a parlare del “diverso”. Viva il coraggio, viva la fantasia, viva l’originalità.
Forse gli “alieni” del cinema made in
Italy sono proprio loro.
Una fortuna che ci siano e che siano
riusciti a presentare il loro “piccolo” film alla
Mostra del Cinema di Venezia 2011 nella
sezione “Controcampo italiano”.
Elena Bartoni
POSTI IN PIEDI IN PARADISO
Italia, 2012
Regia: Carlo Verdone
Produzione: Aurelio De Laurentis e Luigi De Laurentis per Filmauro
Distribuzione: Filmauro
Prima: (Roma 2-3-2012; Milano 2-3-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Carlo Verdone, Pasquale Plastino, Maruska Albertazzi
Direttore della fotografia: Danilo Desideri
Montaggio: Antonio Siciliano
Musiche: Gaetano Curreri, Fabio Liberatori
Scenografia: Luigi Marchione
lisse, Fulvio e Domenico sono tre
padri separati alle prese con una
situazione personale ed economica sempre più problematica con il passare
del tempo.
Ulisse è un ex produttore musicale
spazzato via dalle esigenze del nuovo mercato discografico e oppresso dagli obblighi del mantenimento di una moglie un
tempo cantante dal non promettente futuro e di una figlia ormai diciassettenne; ora
Ulisse gestisce (dormendo nel retrobottega) un negozietto di dischi in vinile di una
certa rarità e di vecchi cimeli appartenenti a star del passato come il famoso cinturone aureo di Jim Morrison.
Fulvio è un critico cinematografico caduto in disgrazia per avere sedotto la moglie
del suo direttore ed è ora relegato a occuparsi
di gossip su riviste di infimo ordine; cacciato
U
Costumi: Tatiana Romanoff
Interpreti: Carlo Verdone (Ulisse Diamanti), Pierfrancesco
Favino (Fulvio Brignola), Marco Giallini (Domenico Segato),
Micaela Ramazzotti (Gloria), Diane Fleri (Claire), Nicoletta
Romanoff (Lorenza), Nadir Caselli (Gaia), Valentina D’Agostino (Marisa), Maria Luisa De Crescenzo (Agnese), Giulia
Greco ( Marika Segato) Gabriella Germani (Luisella), Roberta Mengozzi (Gilda)
Durata: 119’
Metri: 3270
di casa, vive in un pensionato di suore ed è
anche lui alle prese con le esigenze del mensile da assicurare alla sua ex moglie.
Domenico infine è nella situazione più
difficile: una volta imprenditore affermato poi alla deriva per il gioco d’azzardo
in cui ha bruciato tutti isuoi soldi, ha ora
un’agenzia immobiliare i cui scarsi affari lo costringono a dormire nella barca
di un amico; per arrotondare, offre a pagamento (e sostenute da pastiglie di viagra) prestazioni sessuali a signore di una
certa età; di famiglie poi Domenico ne ha
due, una di età giovanile con un figlio
ormai adulto, prossimo alla laurea e una
giovane compagna degli ultimi anni che
gli ha dato una bambina: è ovvio che con
questo menage così variegato i soldi non
bastino mai.
I tre personaggi hanno modo di incon40
trarsi quando Ulisse e Fulvio capitano per
un equivoco allo stesso appuntamento concordato con Domenico per vedere un appartamento da prendere in affitto: i tre riconoscono immediatamente l’uno nell’altro gli
stessi guai e seduta stante decidono di affittare insieme il locale per dividere le spese.
Inizia così un’originale coabitazione che
presto porta tutti e tre sull’orlo di una crisi di
nervi che più volte sta per compromettere definitivamente il loro equilibrio esistenziale.
A tutto ciò, come se non bastasse, si
aggiunge una serie di altri eventi determinanti: a causa di un preoccupante malore
notturno di Domenico dovuto ai suoi eccessi, i tre conoscono Gloria, cardiologa
sciroccata appena lasciata dal fidanzato e
lei stessa per prima bisognosa di cure...
psicologiche; tra Gloria e Ulisse nasce
presto un rapporto piuttosto stretto, quasi
Film
un amore, anche se disturbato dalla comparsa del primo marito di lei, appena uscito
dal manicomio; il furto in un appartamento disabitato che Ulisse e Fulvio compiono su istigazione di Domenico, che nella
casa vicina si intrattiene con una delle sue
signore, finisce in un ovvio e ridicolo fallimento; la figlia di Ulisse che vive a Parigi
con la madre, rimane incinta del suo boyfriend e con lui decide di tenere il bambino e iniziare insieme una vita che certo si
prospetta difficile, nonostante gli avvertimenti e la disperazione di Ulisse, volato a
Parigi.
L’ultima parte del film pare rimettere
le cose a posto: Ulisse decide di accettare
l’offerta di un ricco collezionista per la
cintura di Jim Morrison, per potere così
aiutare la figlia all’inizio della sua nuova
vita; Fulvio sembra riconciliarsi con la
famiglia per l’amore della bambina; Domenico, salvo per miracolo da un brutto
incidente automobilistico, è assistito in
ospedale proprio dal figlio da cui era stato sempre allontanato e disprezzato.
arlo Verdone affronta l’Italia di
oggi prendendo spunto da un disastro che, per una legislazione
carente e non lungimirante e per il logoramento dei rapporti umani ha accentuato
ancora di più l’imbarbarimento di larghi
strati della società cioè i padri separati:
questi, costretti a corrispondere gli alimenti
alla ex famiglia e sempre più impoveriti dai
bassi redditi, dal caro affitti e dai vari costi
che affliggono il vivere quotidiano, si trovano sempre più frequentemente in una
situazione drammatica.
Naturalmente Verdone lo fa alla sua
maniera, con la commedia e mettendo alla
ribalta una serie di personaggi rappresentativi dei vizi e delle miserie che infarciscono le vite di tutti, le nostre vite; perchè
davvero non si salva nessuno, nell’insistenza soprattutto di un aspetto, la precarietà,
tema che non riguarda solamente un particolare e doloroso lato dell’organizzazione del lavoro di oggi, ma la vita stessa: si
è precari per il lavoro e per il denaro, precariamente si sopravvive e si stringono
rapporti, precariamente si ama.
Questi sono gli elementi che gonfiano
il film di Verdone, forse troppi, a significare
quanto il regista desiderasse, sentisse
quasi il bisogno di mettere mano a tante
cose di questa società mostrandoci tutti i
suoi “mostri”, miserabili, inaffidabili mostri
pieni di tic, fissazioni, bassezze, incapacità, meschini, nevrotici e traditori, oppressi
da desideri e sogni infranti, ma bisognosi
sempre e ugualmente d’amore.
In questo girotondo di caratteri e si-
C
Tutti i film della stagione
tuazioni che Verdone approfondisce
drammaturgicamente nella scrittura di una
sceneggiatura perfetta come struttura linguistica e cinematografica, viene in evidenza l’affiatamento dell’autore con gli
altri due interpreti della storia cioè Favino e Giallini; insieme costruiscono un
meccanismo perfetto, un’altalena a orologeria che oscilla tra i tempi comici dell’avanspettacolo e le grandi prove della
commedia all’italiana. Agli uomini si unisce la bella caratterizzazione di Micaela
Ramazzotti, una specie di Un sacco bello al femminile, dolcissimamente sbandata e bravissima a tenere testa ai tre
schiacciasassi maschi.
Commedia all’italiana abbiamo detto,
di cui sicuramente Verdone è figlio e a cui
lui si rifà continuamente, convinto, come
spesso ha detto nelle interviste, che nessun genere meglio della commedia possa
raccontare temi ostici e difficili, spesso mal
rappresentati da tanti film seri.
Certo Verdone non è Risi né Monicelli; gli manca, o non predilige, quell’amarezza, quel graffio con cui gli autori d’allora dipingevano i mostri d’allora: tutta la
parte finale, il conforto, l’aiuto decisivo che
i figli di oggi sanno dare ai loro padri per
dare finalmente una sterzata significativa
a una vita dissipata è un inno e una celebrazione della forza e della capacità dei
giovani che, pur appartenenti a una società disastrata, si dimostrano, proprio
loro, in grado di risollevare le sorti di coloro che sono, almeno in parte, i padri del
disastro.
Bene, il sapore è dolciastro, decadente e il significato che ne esce non regala
una solida positività per il futuro, ma risulta eccessivamente e facilmente consolatorio e poco credibile: posti in Paradiso,
molto probabilmente, non ci sono, né in
piedi né seduti, per nessuno.
SENNA
Gran Bretagna 2010
Regia: Asif Kapadia
Produzione: Working Title Films, Studio Canal, Midfield Films
Distribuzione: Universal Pictures International Italia
Prima: (Roma 11-2-2011; Milano 11-2-2011)
Soggettoe Sceneggiatura: Manish Pandey
Direttore della fotografia: Jake Polonsky
Montaggio: Gregers Sall, Chris King
Musiche: Luis Siciliano, Giovanni Vernia, Marco Zangirolami
Durata: 107’
Metri: 2930
41
Fabrizio Moresco
Film
roiettato per la prima volta il 7
ottobre del 2010 a Suzuka – in occasione del Gran Premio di Giappone – il film documentario, diretto da Asif
Kapadia, racconta la vita del campione di
Formula Uno, Ayrton Senna. Attraverso
immagini inedite, interviste rilasciate dai
genitori, dai collaboratori, ma soprattutto
dallo stesso Senna, Kapadia ha ricostruito la vita del campione fin da quando appena ragazzino vinse i campionati di Kart.
P
I
l film ripercorre tutta la carriera
di Ayrton, ma non si limita a riprendere immagini di vittorie o di
lui in pista; l’aspetto più interessante è infatti quello personale. Senna era un ragazzo molto religioso ed estremamente comunicativo e fu per il Brasile una sorta di eroe
nazionale che riusciva a far sorridere e gioire i suoi connazionali nonostante la povertà. I contenuti inediti; le riunioni dei piloti
prima di scendere in pista; l’iniziale amicizia e poi i duri scontri con un altro grande
campione della Formula Uno quale era
Prost; le tre vittorie del campionato (ma
Tutti i film della stagione
anche le vittorie dei singoli gran premi); la
vittoria in Brasile e l’abbraccio con il padre;
le interviste alla mamma e poi le interviste
e le considerazioni dello stesso Ayrton Senna, tutto questo rende il documentario del
regista inglese un lavoro davvero ben costruito e interessante. Nulla è lasciato al
caso, le immagini che si susseguono raccontano la vita del campione, la sua crescita, la sua natura e la sua intelligenza. La
Formula Uno era (e lo è ancora)un mondo
che seguiva anche le regole economiche e
Senna cercava di combatterlo, studiando
ogni minimo passaggio del regolamento e
creando molto spesso dei precedenti. Da
ogni vittoria e da ogni incidente Senna ne
usciva più forte e più cosciente, il percorso
della sua vita e della sua carriera si fondevano sempre più e la bravura di Kapadia
sta proprio in questo. La sua ricostruzione
aiuta lo spettatore a capire chi fosse Senna, quali fossero i suoi pensieri più profondi, quale il suo modo di affrontare la vita,
ma anche la pista.
Tutto porta poi all’incidente mortale di
Imola, avvenuto il 1 Maggio 1994 e al quale
il regista dedica gli ultimi 20 minuti del suo
bel documentario. Impressionanti le dichiarazioni di Ayrton nei giorni e nei momenti
precedenti la sua ultima gara, come se
fosse consapevole di ciò che stava per
accadere; un tragico epilogo che consacrò definitivamente Senna come eroe e
persona indimenticabile nel mondo della
Formula Uno e dello sport in generale.
Un lavoro davvero ben riuscito, che ha
ricevuto anche molti riconoscimenti e premi come miglior documentario nei festival
internazionali, dal Sundance Festival, al
Los Angeles Film Festival,al British Indipendent Film Awards, al British Academy
Film Awards. Hanno contribuito alla realizzazione del documentario anche la famiglia di Ayrton, l’associazione presieduta da Alain Prost e nata dopo la morte di
Senna per aiutare i bambini brasiliani a ricevere un’istruzione e infine la stessa società della Formula Uno che, per la prima
volta, ha dato il consenso all’utilizzo di
materiale visivo mai mostrato prima.
Silvia Preziosi
POLLO ALLE PRUGNE
(Pulet aux prunes)
Francia, Germania, Belgio 2011
Effetti: Damien Stumpf
Interpreti: Mathieu Amalric (Nasser Alì), Édouard Baer
(Azraël), Maria de Medeiros (Faranguisse),Golshifteh
Farahani (Irâne), Éric Caravaca (Abdi), Chiara Mastroianni (Lili adulta), Mathis Bour ( Cyrus), Enna Balland (Lili),
Didier Flamand (Maestro di musica), Serge Avédikian (Padre di Irâne), Rona Hartner (Soudabeh), Jamel Debbouze
(Houchang/Mendicante), Isabella Rossellini (Parvine), Timothé Riquet (Nasser Alì da bambino), Frederic Saurel,
Dustin Graf
Durata: 91’
Metri: 2500
Regia: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud
Produzione: Celluloid Dreams, The Manipulators, Ufilm, Studio 37, Le Pacte, Lorette Productions, Film(S), Arte France
Cinéma, Zdf-Arte
Distribuzione: Officine Ubu
Prima: (Roma 6-4-2012; Milano 6-4-2012)
Soggetto: Marjane Satrapi
Sceneggiatura: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud
Direttore della fotografia: Christophe Beaucarne
Montaggio: Stéphane Roche
Musiche: Olivier Bernet
Scenografia: Udo Kramer
eheran, 1958. Nasser Alì, musicista e virtuoso suonatore di violino, incontra casualmente per
strada il suo grande amore del passato,
Irana ma lei non lo riconosce o meglio,
come più tardi è mostrato, finge di non riconoscerlo per struggersi subito dopo in
un pianto dirotto.
Nasser Alì torna a casa e, prendendo
spunto dall’ennesimo scontro con la moglie Faranguisse che gli fracassa un violino Stradivari appena acquistato, si mette
a letto per rinunciare completamente alla
vita, cosa che riesce a fare in otto giorni.
Durante quest’ultimo, lancinante peri-
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odo della sua esistenza, Nasser Alì ripercorre, in un’andata e ritorno di flashback, i
passi fondamentali che hanno segnato la
propria esistenza: la scelta di una professione come quella del musicista, così poco
consolidata, almeno allora, e dal futuro incerto; la conseguente negazione al matrimonio con Irana da parte del padre di lei
(allora il no di un genitore era legge); la
combine organizzata dalla madre di lui per
arrivare al matrimonio con Faranguisse,
unione da subito senza interesse e senza
passione; la nascita di due figli, amati sì,
soprattutto la ragazza ma di un amore inutile e senza costrutto; la constatazione defi-
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nitiva per Nasser Alì che l’unico sostegno
alla vita è dato dall’arte e, nel suo caso,
dalla musica. E proprio il contemporaneo
e definitivo riconoscere che è proprio questo che la moglie non aveva mai compreso
porta il violinista a lasciarsi morire.
uò un’opera d’arte come un quadro, una statua, una composizione musicale cambiare la vita di
qualcuno? No, tantomeno un libro nè, per
carità, la visione di un film. Può però contribuire a dare un significato a quale tipo
di uomo o di donna si voglia appartenere
e a quale tipo di esistenza credere.
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Film
Nasser Alì aveva le doti di un grande
musicista, solo però dal lato tecnico e strumentale, mancandogli una vera ispirazione artistica, come sosteneva il suo grande
maestro; avere però perdutamente amato
Irana e non avere potuto colmare questa
esigenza d’amore con lei lo aveva portato
a riempire questo vuoto nella completa
appropriazione del senso della musica, del
suono del suo violino. Il respiro dell’arte
aveva da un lato sostituito quel respiro
d’amore negato e contemporaneamente di
questo si era nutrito portando la grandezza dell’uno e la mancanza dell’altro a livelli di vertigine. Questo è stata la vita di
Nasser Alì, il resto era zero. Ovvio che la
distruzione dello Stradivari da parte della
moglie, donna di spessore e di lui, a suo
modo, innamorata, codifica la diversità dei
due mondi, il superamento del non ritorno. Dopo non si può fare altro che morire.
Tutto ciò è raccontato con la fantasia e
lo spessore cromatico di un vecchio cartone animato (il film è la traduzione sullo
schermo della graphic novel della regista
Marjane Satrapi) che accomuna ambienti
e interpreti in una dimensione fiabesca,
distaccata nello spazio e nel tempo, di cui
è difficile in più di un momento dire o capire se si tratti di un racconto reale o di fantasia, se sia un sogno o uno struggimento
o la voglia illusoria di fuggire dal doloroso
ripetersi del quotidiano.
Tutti i film della stagione
Poi abbiamo capito che è tutto questo
insieme perchè tutto questo è il cinema,
un incontro di sogno a cui per tutta la vita
hanno pensato gli occhi sbarrati e increduli di un intensissimo Amarlic, davvero
attore che più attore non si può; un giardino di piante e fiori che invade una casa
dai colori pastello spessi e finti, adatti ad
accogliere i ricordi e gli affanni del protagonista; una città ricostruita interamente
in teatro, alveo perfetto di una fantasia che
regna sovrana e che sembra agire come
in transe sotto la spinta delle ali di maestri
come Fellini, Bergman, Kurosawa...
Se davvero il cinema non determina
una scelta di vita, può condurre a miscelare realtà e finzione in una dimensione a
noi vicina a cui unicamente sentiamo di
appartenere, capace di dare corpo ai nostri sogni, lenire le nostre angosce, dare
una speciale forma di concretezza a ciò in
cui crediamo.
Fabrizio Moresco
LA FURIA DEI TITANI
(Wrath of the Titans)
Stati Uniti, 2012
Regia: Jonathan Liebesman
Produzione: Louis Leterrier, Basil Iwanyk per Thunder Road Film,
Warner Bros.Pictures in associazione con Legendary Pictures
Prima: (Roma 30-3-2012; Milano 30-3-2012)
Soggetto: Beverly Cross (da i suoi personaggi), Greg Berlanti,
David Leslie Johnson, Dan Mazeau
Sceneggiatura: Dan Mazeau, David Leslie Johnson
Direttore della fotografia: Ben Davis
Montaggio: Martin Walsh
Musiche: Javier Navarrete
Scenografia: Charles Wood
Costumi: Jany Temine
Effetti: Nick Davis, Neil Corbould, Conor O’Sullivan, Framestore
erseo, pur essendo un semidio e
figlio di Zeus, ha da tempo scelto
la vita degli uomini in un tranquillo villaggio di pescatori insieme al figlio adolescente. La tranquillità non può
però durare a lungo in quanto negli abissi
del Tartaro dove è stato relegato e impri-
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Interpreti: Sam Worthington (Perseo), Ralph Fiennes (Ade),
Liam Neeson (Zeus), Rosamund Pike (Andromeda), Bill Nighy (Efesto), Édgar Ramírez (Ares), Toby Kebbell
(Argenor), Danny Huston (Poseidone), John Bell (Helius), Lily
James (Korrina), Alejandro Naranjo (Mantius), Freddy Drabble (Apollo), Kathryn Carpenter (Athena), Matt Milne (Guardia
scelta), Kett Tur ton (Guardia scelta), Sinéad Cusack
(Clea), Spencer Wilding (Minotauro), Juan Reyes (Capo del
carcere), Jorge Guimerá (Theodulus), Asier Macazaga (Theron), Daniel Galindo Rojas (Eustachius), Lamber to
Guerra (Timon)
Durata: 100’
Metri: 2750
gionato Crono dai tre figli Zeus, Ade e Poseidone stanno covando la ribellione. Il volo
di mostri orrendi che seminano la distruzione nei villaggi è il primo segnale di quanto
sta per succedere: lo scopo è quello di rubare il potere agli dei e con l’esercito di Titani
risalire dal Tartaro e battere gli uomini.
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La prima parte sembra andare secondo i progetti dei ribelli grazie al tradimento di Ade e Ares che imprigionano Zeus alla
roccia del Tartaro. Perseo a questo punto
non può più tentennare; torna a impugnare la spada guidando l’esercito degli uomini insieme alla regina guerriera Andro-
Film
meda, al cugino Agenore (figlio di Poseidone) e ad Efesto, grande tecnico di macchine e armi micidiali.
Tutti insieme sconfiggono i Titani in
una terribile battaglia, salvando Zeus, che
lascia il potere a Perseo e tutto il genere
umano.
ue facce della stessa medaglia.
La prima: la trama didascalica e
letteralmente esplicativa a livello
elementare, infarcisce in un cockatil di intrecci e immagini retaggi mitologici d’epoca scolastica e pennellate di psicanalisi a
buon mercato sciorinata a livello promo-
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Tutti i film della stagione
zionale. Così lo scontro padri e figli, continuamente ripetuto e riproposto fin dalla
notte dei tempi, qui si rinnova in un continuo divorarsi tra generazioni di dei e semidei con i rispettivi tradimenti e pentimenti
che non mancano mai; aggiungiamo l’entrata in scena di un dio caduto (Efesto), la
cui azione si rivela basilare per la risoluzione della storia e, naturalmente, la figura femminile di una regina guerriera che
aiuta Perseo a ritrovare quell’animus pugnandi di cui all’inizio l’eroe sembra un po’
deficitario.
La seconda: il lavoro tecnico-autoriale è davvero ben fatto e trova nella rea-
lizzazione in 3D la naturale spettacolarizzazione di tanto impegno. La fantasia
di tutta l’equipe che ha dato vita a Ciclopi, Minotauri e Chimere, a voli entusiasmanti a cavallo di Pegaso, a duelli apocalittici e a discese all’inferno (l’isola di
Tenerife e le cave del Galles come impianti naturali e gli studi Shepperton in
Inghilterra come supporto tecnologico) si
è realizzata senza risparmio mettendo in
mostra gli ingenti investimenti produttivi
così visivamente e tangibilmente ottimizzati.
Fabrizio Moresco
LEAFIE – LA STORIA DI UN AMORE
Madangeul naon amtak
Corea del Sud 2011
Regia: Oh Seongyun
Produzione: MK Pictures
Distribuzione: Mediterranea Productions
Prima: (Roma 24-4-2012; Milano 24-4-2012)
Soggetto: dal racconto di Hwang Seonmi
Sceneggiatura: Kim Eunjeong
eafie è una gallina che ha grandi progetti per il suo futuro, vorrebbe vedere il mondo, sentirsi
libera, godere del profumo dei fiori, fare
una passeggiata nello stagno e conoscere
ogni singolo animaletto della foresta. È per
questo motivo che decide di provare il tutto per tutto per scappare dalla fattoria dove
si trova rinchiusa in gabbia insieme ad altre centinaia di sue amiche. Costretta come
in una catena di montaggio a sfornare le
sue uova e frustrata dal non poterle covare, Leafie inizia a digiunare fino a quando
non viene portata via insieme alle altre
galline morte per essere gettata via. Quando si riprende dallo svenimento, si ritrova
in mezzo al bosco sotto attacco di una donnola affamata, One Eye, e viene salvata
da Wanderer, un germano reale, un’elegante e maestosa anatra guardiana che ha
un’ala fuori uso, ma tanto coraggio da
vendere. Leafie prova ad andare a vivere
con gli animali da cortile, ma non è facile
farsi accettare dagli altri. Così decide di
tornare nella foresta e trovare un posto
adatto per poter vivere. A darle una mano
è il sindaco della zona, una lontra simpatica e fracassona, che possiede il control-
L
Direttore della fotografia: Lee Jonghyuk
Montaggio: Kim Gaebum. Kim Sangbum
Musiche: Lee ji-soo
Durata: 92’
Metri: 2555
lo assoluto sul “mercato immobiliare” intorno alla palude. Il destino farà rincontrare Wanderer e Leafie in un tragico momento. One Eye ha fatto un’altra vittima,
pur di placare il suo istinto di sopravvivenza: l’anatra compagna del germano
reale, che ha appena deposto un uovo. Leafie decide senza indugio di prendersi cura
dell’uovo ed è proprio per difendere il nido
in cui l’amica Leafie sta covando il suo piccolo, che Wanderer viene ucciso dalla spietata donnola. Proprio in quella notte l’uovo si schiude per dar vita all’anatroccolo
dalla piuma verde sulla testa, Greenie. La
coraggiosa gallina Leafie si fa in quattro
per difendere dai pericoli e crescere al
meglio il piccolo anatroccolo come se fosse suo figlio, insegnandogli valori importanti come la libertà, il sacrificio e l’amore incondizionato. Presto il piccolo tuttavia inizia ad accorgersi delle differenze con
gli altri anatroccoli e a soffrire del non
saper volare. Chiede dunque aiuto agli altri animali e decide di allontanarsi dalla
madre per cavarsela da solo. Un giorno
però viene catturato dal proprietario dell’allevamento e rischia di perdere per sempre le sue ali. Appena Leafie viene a cono-
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scenza di ciò, si precipita nella fattoria per
salvare il suo piccolo. La gallina, grazie
anche all’aiuto del buon sindaco riesce a
salvare suo figlio. È tempo di migrazioni e
arriva nello stagno un enorme stormo di
anatre, che subito bandisce una gara per
eleggere il nuovo guardiano dello stagno.
Greenie, pur non avendo alcuna esperienza, decide di partecipare. Sfida con coraggio gli altri avversari e riesce a vincere.
Fiero del suo nuovo posto da guardiano
ora però Greenie è costretto a salutare sua
madre per condurre il suo stormo in altri
lidi. E la trova nella tana di One Eye a vegliare sui suoi cuccioli. Dopo l’ultimo commovente saluto il figlio lascia la madre e
parte. Leafie, orgogliosa del suo piccolo,
decide di rinunciare alla sua vita e si immola, offrendosi come cibo per sfamare i
cuccioli della donnola.
uasi sei anni di lavorazione e un
grande successo al botteghino
coreano e cinese, Leafie La storia di un amore ha raggiunto incassi che
hanno persino superato quelli di Kung fu
Panda 2. Richiamando alla memoria La
gabbianella e il gatto di D’Alo, la pellico-
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Film
la sud coreana l’anno scorso ha conquistato il premio come miglior film animato
all’Oscar asiatico, battendo agguerriti
concorrenti. La sceneggiatura è basata
su un libro per ragazzi che il regista Oh
Seong-yun, al suo esordio, ha voluto
portare sul grande schermo. Il valore del
film cresce man mano che la storia si
snoda e per alcune trovate assai efficaci, come, per esempio, la marcia delle
galline fuori dalle gabbie, che sembra assumere un tono epico (con l’allontanamento della macchina da presa e ripresa dall’alto) e per il delinearsi dei sentimenti tra i vari personaggi e lo scavo psicologico che diventa sempre più profondo. Storia d’amore sì, ma non solo tra
madre e figlio (adottivo, perché anatra),
ma tra animali di razze diverse che passano da un atteggiamento di superbia e
superiorità alla solidarietà verso chi è in
pericolo. Chi appare certamente in cattiva luce in questo contesto è l’uomo, che
non solo schiavizza le galline in gabbie
microscopiche, ma vuole ridurre il germano reale ad animale da cortile tagliandogli le ali. Simile a un lungo percorso
tra le gioie e i dolori della vita, il film vero
e proprio romanzo di formazione, è la sto-
Tutti i film della stagione
ria di una crescita, di un amore materno,
di un adattamento alla natura. Prova infatti a raccontare la vita, con le sue difficoltà e le tappe più importanti, con picchi acuti di tenerezza e drammaticità, che
lo rendono appetibile a un pubblico giovane, ma godibile anche per un pubblico non proprio giovanissimo. La scalata
di Greenie al potere e la conquista del suo
posto nella “società” grazie alla vittoria
nella gara di volo non può non farci pensare ad Avatar (chissà che non sia un
omaggio), proprio quando anche lì il protagonista doveva conquistarsi il suo spazio nei cieli. Alcuni passi sono notevoli.
La scoperta di ciò che c’è al di là della
gabbia e del cortile per la gallina Leafie
rimanda tanto a una agognata lotta per la
libertà; ma anche la rivolta del figlio anatroccolo contro la madre, quando scopre
di essere diverso da lei e per questo sbeffeggiato da tutti. Il ritrovare il legame con
lui invece quando, spinto a seguire la sua
natura e ad affrontare la sfida dei suoi simili, vince la lotta contro la paura e il nuovo. Tanti temi, quindi, tutti ugualmente portati a termine con l’ausilio di un ottimo disegno di animazione, che sembra colorato a matita, con tonalità forti e luminose
seppure molto schematico, di una musica che si adatta ai diversi momenti e di
dialoghi scarni, ma efficaci. La verità è che
Leafie incanta e conquista proprio per la
forma espressiva che sceglie nel rappresentare un apologo amaro e commovente. Nel finale, già fuori scena, ma presente solo attraverso la voce della gallina, il
sacrificio di una madre perché un’altra
madre, la donnola, possa allattare i suoi
cuccioli. L’animazione, fin troppo appannaggio di happy ending e colpevolmente
pronta a veicolare un’idea di crescita che
non fa mai rima con dolore, ha qui una
forza e una sincerità per noi inedita. La
Corea del Sud ci regala quindi un film
per bambini e adulti puramente pedagogico, così come lo erano le fiabe dei fratelli Grimm e i primi film di casa Disney,
tra tutti Bamby, restituendo dignità ad un
genere che spesso si è riscoperto ipocrita e fin troppo buonista. Grazie dunque per averci fatto aprire gli occhi verso una natura che non è né buona né
cattiva, ma semplicemente è fatta di leggi che devono essere rispettate. Bando
alla retorica, viva i sentimenti.
Veronica Barteri
VALUTAZIONI PASTORALI
Arrivo di Wang (L’) – n.c.
Arthur e la guerra dei due mondi –
consigliabile / semplice
A Simple Life – complesso-problematico / dibattiti
ATM – Trappola mortale – n.c.
Bel Ami – Storia di un seduttore –
complesso / superficialità
Biancaneve – consigliabile / poetico
Buona giornata – consigliabile / brillante
Ciliegine – consigliabile / brillante
50 e 50 – consigliabile / problematico
Colori della passione (I) –
raccomandabile-poetico / dibattiti
Diaz – complesso-violento / dibattiti
17 ragazze – complesso / scabrosità
…E ora parliamo di Kevin – complesso-problematico / dibattiti
Furia dei Titani (La) – consigliabile /
semplice
Henry – complesso-ambiguo / dibattiti
Hesher è stato qui – futile / scabrosità
Hunger – consigliabile - problematico
/ dibattiti
Hunger Games consigliabile / problematico
Lady (The) – L’amore per la libertà –
consigliabile-semplice / dibattiti
Leafie – La storia di un amore –
consigliabile / semplice
Magnifica presenza – complesso /
problematico
Mio migliore incubo (Il) – consigliabile
/ superficialità
Paradiso amaro – complesso-problematico / dibattiti
Pink Subaru – consigliabile / semplice
Pollo alle prugne – consigliabile / poetico
Posti in piedi in Paradiso – complesso / brillante
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Principe
del
deserto
(Il)
–
consigliabile / semplice
40 carati – consigliabile / semplice
Quasi amici – consigliabile / semplice
Raven (The) – consigliabile / problematico
Senna – Il film – n.c.
Sfiorati (Gli) – complesso-problematico / dibattiti
Succhiami – sconsigliato-non utilizzabile / volgarità
Tre
uomini
e
una
pecora
–
consigliabile / superficialità
To Rome With Love – consigliabile /
brillante
Vacanze di Natale a Cortina –
consigliabile / superficialità
Young Adult – consigliabile-problematico / dibattiti
Film
Tutti i film della stagione
TORINO FILM FESTIVAL 2011
ALTMAN, SIONO, GREEN
A cura di Flavio Vergerio e Davide Di Giorgio
Gianni Amelio ed Emanuela Martini (insieme alla loro banda agguerritissima di curatori di sezioni e di selezionatori) hanno proposto un’edizione “monstre” del Torino Film
Festival. Quello che riteniamo il più cinefilico dei festival italiani, (oltre alla proposta di
film inediti del Concorso, una “informativa”
di molte opere interessanti provenienti da
Cannes e altri festival, anteprime, sezioni
documentaristiche e altro ancora), ha offerto
tre straordinarie retrospettive dedicate a un
“grande” del cinema americano “non riconciliato”: Robert Altman, al nuovo regista di
“culto” giapponese Siono Sion, e a un eccezionale erede del cinema “bressoniano”, Eugene Green.
La New Hollywood anni ’70 dei Rafelson,
Penn e Pollack manifestava un dichiarato furore icononoclasta nei confronti del capitalismo americano, viziato da un certo schematismo ideologico. Altman non crede nelle
inarrestabili sorti progressive dell’umanità e
si dedica piuttosto alla messa in luce dei meccanismi rappresentativi di una società i cui
rapporti umani sono inguaribilmente fondati
sul valore di scambio fra danaro, sesso e potere. Il mondo che egli analizza presenta una
totale coincidenza fra realtà e rappresentazione, fra natura e palcoscenico. Non c’è più nei
suoi film differenza fra ciò che è vero e ciò
che è finto, o meglio in essi la finzione ha
definitivamente sostituito il mondo reale. Una
società che si è sempre retta sui miti bugiardi
dell’american dream e della eterna nuova
frontiera appare nei film di Altman come un
assemblaggio caotico e casuale di superficialità, individualismo ipocrita, solitudine e follia. Altman dà conto di questa società con le
forme della destrutturazione e della decostruzione. Un ponderoso catalogo curato dalla
stessa Martini ha raccolto in occasione della
retrospettiva un serie di saggi penetranti e in
qualche modo “definitivi” sulla personalità
del grande regista scomparso nel 2006.
Le strutture narrative dei film di Eugene Green (presentato all’interno della sezione sperimentale “Onde” curata da Massimo Causo e Roberto Manassero) raccontano vicende analoghe di amori, di abbandoni e di ricerca di assoluto nel ricordo e nella sua trasformazione in una dimensione “altra”, indicibile e inconoscibile. La dimensione dell’as-
senza e dell’attesa (ad esempio un uomo si
innamora di una donna, che lo abbandona
quando ritorna il fidanzato lontano di questa,
cui lei è rimasta comunque fedele) diviene
metafora di ricerca di una dimensione “spirituale” per l’uomo, nell’indeterminato e nell’infinito.
Siono Sion, dopo alcune prove giovanili di
cinema rigorosamente “sperimentale”, si dedica a una rivisitazione, critica, intelligente e
talvolta divertita di alcuni ”generi” del cinema giapponese, dal manga, all’horror, allo
splatter, alla commedia erotica. La sua è una
visione dell’esistenza umana lucidamente
pessimista, ma volta a svelare le origini del
nostro malessere e della violenza nei rapporti interpersonali.
Omaggio cinefilico voluto da Gianni Amelio
quello dedicato a Dorian Gray (nome d’arte
letterario di Maria Luisa Mangini), recentemente scomparsa. La Mangini, dopo una breve carriera come soubrette di rivista, si era
imposta come attrice “brillante” con Totò e
successivamente in alcune commedie di Franciolini, Comencini, Bianchi, Mastrocinque e
Camerini. Ma aveva rivelato le sue grandi
potenzialità drammatiche nell’interpretare la
dolorosa figura della benzinaia Virginia ne Il
grido di Antonioni.
Interessante anche la sezione “Figli e amanti”, divenuta al terzo anno un appuntamento
originale del TFF, in cui registi italiani “in
crescita” hanno dichiarato nella scelta di un
film le loro ascendenze estetiche e tematiche.
Val la pena di citarli, perché non sempre scontati e quindi in qualche modo rivelatori. Kim
Rossi Stuart, esordiente nella regia con il
dolente Anche libero va bene, ha riproposto
la storia del difficile rapporto madre-figlio di
Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini;
Michele Placido ha dichiarato il suo legame
al neorealismo scegliendo Il tetto (1956) scritto da Cesare Zavattini e diretto da Vittorio
De Sica; Ascanio Celestini ha rivelato il suo
interesse per i movimenti rivoluzionari ottocenteschi riproponendo Allonsanfan (1974)
di Paolo e Vittorio Taviani; Sergio Rubini ha
sorprendentemente scelto una cupa storia di
esplosione di violenza in Cane di paglia
(1971) di Sam Peckinpah; Antonio Albanese
ha proposto con Round Midnight (1986) di
Bertrand Tavernier una riflessione sul dolore
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e la solitudine dell’artista (la figura di un sassofonista jazz).
IL CONCORSO
In nessun altro festival come a Torino il “concorso” non è la sezione più importante, intrecciata com’è con lo “spirito” delle altre
sezioni “informative” e con le retrospettive.
In effetti i direttori e i selezionatori cercano
più che altrove di liberarsi dalle leggi di mercato e di andare alla ricerca di opere sinceramente innovative e di registi esordienti (nell’anima più che nella biografia). Funzione di
“scoperta” certamente non facile e sempre
pericolosa e aleatoria. Anche quest’anno il
raccolto ha dato alcuni buoni frutti e qualche
delusione.
La Giuria ha premiato un’opera compatta e
ambiziosa dal punto di vista stilistico, Either
Way (Un’altra strada) del sorprendente esordiente islandese Hafsteinn Gunnar Sigurðsson. In un’atmosfera rarefatta e quasi metafisica, lungo una strada deserta che non sembra portare da qualche parte, due uomini, uno
più anziano, l’altro più giovane, lavorano
come precari alla manutenzione estiva del
manto stradale. È la crisi lassù, come altrove. I due hanno qualche dissapore inespresso
fra di loro (il più maturo ha un legame con la
sorella del più giovane), si parlano poco, alienano le loro giornate impegnati negli stessi
gesti del lavoro, del cibo e del sonno, accompagnandosi con l’ascolto di un’incongrua
colonna sonora di canzoni anni ’80. Si pensa
al rapporto fra il vecchio custode di dighe e
il giovane liceale di Il tempo si è fermato di
Olmi, ma forse siamo piuttosto dalle parti
dell’umorismo nero di Kaurismaki o dei problemi comunicativi ed esistenziali di Beckett
e Antonioni. Poi qualcosa sembra smuoversi, i rapporti umani si sgelano, forse si può
continuare a vivere fianco a fianco. La natura immobile assiste, sorda e beffarda....
Premiato da due altre giurie esterne a quella
ufficiale (Premio Cipputi per i film sul mondo del lavoro e Premio FIPRESCI dei critici
stranieri) Le vendeur (Il venditore) di un altro esordiente, il canadese Sébastien Pilote,
doloroso e inquietante ritratto di un vedovo,
anziano venditore di auto in un desolato Qué-
Film
bec innevato. Vittima della “religione” del
lavoro l’uomo è colpito dalla crisi del settore
e annichilito dalla morte accidentale della figlia e del nipotino. Rimasto solo, l’uomo perde ogni possibile orientamento per la sua esistenza. Apologo amaro sull’alienazione di
una vita dedita all’illusione dell’affermazione personale in un mondo dominato dalla
metafora della “vendita” perenne, il film comunica un profondo senso di desolazione.
Meno convincente a mio avviso il Premio Speciale della Giuria attribuito a 17 filles (17 ragazze) delle sorelle francesi Delphine e Muriel Colin (anch’esse esordienti), teorema troppo didascalico sulla ribellione di un gruppo di
adolescenti ai programmi esistenziali imposti
dalle famiglie e a una società immota (siamo
in un villaggio francese solare affacciato sull’Atlantico). Le ragazze si fanno mettere incinte, rifiutando di abortire, seguendo l’esempio di una compagna dotata di un certo carisma, non tanto per amore quanto per un’affermazione libertaria e di critica a una società
perbenista. Ma la logica del “tutto e subito”
sarà destinata al fallimento.... Incerto fra i toni
della commedia e quello acre del dramma, il
film sembra alla fine vago nei suoi propositi e
privo di una scelta estetica. Eppure il film trasmette un certo sapore agro-dolce destinato a
produrre qualche interrogativo. Il secondo Premio Speciale è stato attribuito significativamente a un’ opera di coproduzione Emirati
Arabi/Libano, Tayeb, Khalas, Yalla (Va bene,
basta, arrivederci) di Rania Attieh e Daniel
Garcia (di nascita libica e americana), che sembra fare il verso a Pranzo di ferragosto di Gianni di Gregorio. Si tratta di un ritratto ironico (e
crudele) di uno zitellone, piccolo commerciante solitario, che entra in crisi profonda quando
viene abbandonato dalla madre. Quando assume una donna eritrea per far cucina e per i
lavori di pulizia rivela tutta la sua incapacità a
comunicare con gli altri e il suo latente razzismo. Commedia amara, capace di rivelare alcuni aspetti nascosti della complessa società
libanese.
Intensa e corposa l’opera seconda del tedesco Andreas Kannengiesser, Vergiss Dein
Ende (Dimentica la tua fine), cui é stato assegnato il premio per la migliore interpretazione femminile a Renate Krossner. Hannelore, una donna matura, ma ancora abitata da
pulsioni e da voglia di vivere, si occupa praticamente a tempo pieno del marito disabile,
colpito da demenza senile. Logorata da una
situazione disperante, la donna fugge in un
villaggio sul Mar Baltico, raggiungendo Gunther, un vicino di casa che sembra interessarsi a lei, e abbandonando il marito alle cure
del figlio inesperto. Ma la fuga durerà poco:
Gunther, omosessuale, è chiuso nel suo dolore per la morte del compagno, il figlio non
è in grado di accudire il padre e la donna ritorna nella sua prigione esistenziale. Il film
si impone per la sua forza drammaturgica e
l’intenso realismo delle situazioni descritte,
privo di buonismo e infingimenti.
Tutti i film della stagione
Inconsueto dramma carcerario, Ghosted (Isolato) di un altro esordiente, l’inglese Craig
Viveiros, descrive la lotta per la sopravvivenza e la riconquista dei legami familiari di Jack
un delinquente che manifesta in prigione un
comportamento irreprensibile per ottenere un
sconto della pena e poter così riabbracciare la
moglie. Quando la moglie lo lascia nell’anniversario della morte del figlio, l’uomo si chiude nel più cupo dolore. Per sopravvivere si
dedica alla protezione di Paul un giovane che
rischia di farsi manipolare da un gruppo di
carcerati, violenti spacciatori di droga e che lo
obbligano a rapporti omosessuali. Quando
però scopre che Paul è coinvolto nell’uccisione del figlio, rischia di ucciderlo e lo perdona
solo all’ultimo momento. Il film manifesta una
forte tensione drammatica che il regista ottiene con la capacità di descrivere i rapporti di
violenza reciproca e di dominio psicologico
fra i carcerati in una dimensione claustrofobica. Il film ha ottenuto il premio per la migliore
interpretazione maschile al già noto Martin
Compston (Paul).
Interessanti a vario titolo altri film dimenticati dal palmarés. Ganjeung (Una confessione) del coreano Park Soo-min è il ritratto
inquietante di un vecchio torturatore della
polizia, perseguitato dai rimorsi. Il suo ravvedimento e la riconquista della fede si concluderanno paradossalmente in tragedia.
Seh-o-nim (Tre e mezzo) dell’iraniano Naghi Nemati narra il tentativo frustrato di tre
ragazze carcerate che approfittano di un permesso di libera uscita per tentare una fuga
all’estero alla ricerca di migliori condizioni
di vita. Si scontrano con una serie di difficoltà che farà abortire il tentativo. Il film
denuncia con le consuete (per il cinema iraniano) armi dell’allusione e del non-detto lo
stato di polizia in cui versa il Paese e il profondo maschilismo che opprime la donna.
Oggetto curioso e difficile a mio avviso da
definire Serbuan maut (Il raid) del gallese
Gareth Huw Evans che narra l’attacco di una
squadra di polizia indonesiana al covo di una
banda di trafficanti di droga e assassini. Male
e bene si confondono: i “cattivi” stanno da
ambedue le parti. Il film si sviluppa attorno
a una serrata interminabile sequela di scontri di arti marziali e di sparatorie. Ma non si
tratta solo di un action movie. Il talentuoso
regista nobilita la messa in scena con un alto
livello coreografico e con un distanza critica rivelata dall’ironia. Apparentemente commedia classica hollywoodiana Win Win dell’americano Tom McCarthy, già noto per
L’ospite inatteso, delicata operina sull’integrazione, rivela un doppio fondo amarognolo. Il protagonista Mike è un piccolo avvocato in crisi (accattivante interpretazione di
Paul Giamatti) che si dedica nel tempo libero ad allenare una sfigata squadra di lotta
libera di un liceo. Un suo cliente gli affida
un nipote introverso che si rivela un piccolo
campione nella disciplina. Ma dietro il suo
buonismo si nasconde l’interesse economico
47
(si appropria impropriamente dell’eredità
della madre). Commedia dei rapporti umani,
ma anche occasione per riflettere sulla doppiezza dell’animo umano.
Flavio Vergerio
FESTA MOBILE: UNO SPAZIO IN
MOVIMENTO
La sezione “Festa Mobile” tenta di essere
qualcosa in più di un contenitore/cuscinetto
situato fra le altre proposte codificate del festival (ovvero il concorso e le retrospettive):
la sua ambizione è quella di definire uno spazio “fluido”, all’interno del quale l’eterogeneità delle offerte costituisca la vera cifra stilistica, che sia perciò capace di fornire allo
spettatore la possibilità di creare percorsi personali, tanto più stimolanti quanto coraggiosi e sorprendenti si rivelano gli accostamenti. Uno spazio che dunque è, allo stesso tempo, di sperimentazione e di consolidamento,
lungo la doppia direttrice di conservazione/
riscoperta e di ricerca/folgorazione che ha
sempre contraddistinto la manifestazione piemontese. Virtualmente impossibile da esplorare nella sua interezza, “Festa Mobile” si
offre con la forza di un programma che vede
affiancati nomi importanti come Werner Herzog, Aki Kaurismaki, Woody Allen, Alexander Payne e Christophe Honoré, talenti di
genere come Jaume Balaguerò o Juan Carlos
Fresnadillo, ma anche nuove scoperte come
Clay Jeter e Valerie Donzelli, senza dimenticare un’intera sezione dedicata ai documentari (“Figure nel paesaggio”).
Difficile pertanto cercare una traccia comune,
che non sia quella di un’espressione cinematografica stratificata e complessa e, forse anche per questo, ci pare che uno dei percorsi
più interessanti sia quello che definisce una
doppia natura interna ai singoli film, che spesso
si pongono in una prospettiva, salvo poi disattendere consapevolmente le aspettative, portando lo spettatore verso derive inattese. Come
definire altrimenti il Woody Allen che in Midnight in Paris carezza l’effetto nostalgia salvo
poi portarci alla conclusione che il rimpianto
per il passato è frutto unicamente dell’errore
soggettivo di chi guarda? O il Balaguerò che
con il suo Mientras Duermes sembra comporre un thriller hitchcockiano su un portiere che
perseguita una bella inquilina, salvo poi provare empatia per un protagonista afflitto da
solitudine e desiderio di normalità? Tutto questo mentre il francese Honoré in Les Bien Aimés passa in rassegna decenni di storia contemporanea con il piglio lieve del musical e il
taglio più cupo del melodramma sul desiderio
d’amore che muove il mondo. Forse a sintetizzare meglio di tutti il percorso è l’Albert
Nobbs di Rodrigo Garcia, incentrato sulla figura duplice di una donna che indossa abiti
maschili fingendo una seconda identità e che
vede mattatrice la grande Glenn Close.
Film
È chiaro che quando, al contrario, il film si
ripiega su meccanismi più tipici, il risultato
appaia invece più scontato e poco interessante, come dimostra l’horror Bereavement, di
Stevan Mena, ennesimo esercizio sull’educazione del serial killer di turno, che non riesce mai a spiccare realmente il volo. Ma può
anche capitare che un’opera apparentemente
programmatica come Jess + Moss, di Clay
Jeter, sull’estate di due cugini americani alle
prese con i reperti vintage di una casa abbandonata, sia al contrario capace di sprigionare
un lirismo autentico sul senso di appartenenza al proprio tempo e sui sentimenti che muovono il presente in una generazione ancora
ignara del futuro e ingenuamente curiosa rispetto al passato: le atmosfere ipnotiche, l’importanza dei luoghi e degli oggetti, insieme
agli splendidi paesaggi diventano così la chiave per esprimere emozioni intime e universali al tempo stesso. Anche questo è un esempio di quel rapporto felice fra immediatezza
e complessità che “Festa Mobile” riesce a
esprimere molto bene.
RAPPORTO CONFIDENZIALE:
OMAGGIO A SION SONO
Le fonti sono un po’ contraddittorie, ma intrecciandole per quanto possibile, risulta che
Sion Sono abbia diretto 22 fra medi e lungometraggi, cui vanno aggiunti anche gli immancabili corti: si tratta senza dubbio di un talento
Tutti i film della stagione
prolifico, ben più espanso di quanto non facesse immaginare il “caso” Suicide Club, che
fece parlare di sé anni fa a causa dell’incipitshock in cui un gruppo di studentesse si lancia
sotto un treno. Pertanto la riscoperta torinese
arriva graditissima e, sotto molti aspetti, opportuna per offrire qualche appiglio più solido. La sezione “Rapporto Confidenziale” non
ha puntato sull’integralità assoluta della selezione, ma su una proposta qualitativa che cercasse di restituire le molteplici sfaccettature
dell’opera di Sono, dai corti di inizio carriera,
al passaggio al lungo in Super 8, fino al successo e alle moderne sperimentazioni di titolifiume come Love Exposure, sorprendente sarabanda di toni grotteschi e melò, combinati
con un gusto autentico del fare cinema. In effetti ciò che colpisce positivamente dell’autore è la sua capacità di giocare con gli opposti,
evidenti già nell’eleganza discreta dei suoi
modi, nelle sue dichiarazioni sempre a favore
di un rapporto pieno e complice della vita, contrapposte a pellicole dove si affronta il tema
del suicidio, e i personaggi sembrano oppressi non tanto da un destino crudele, quanto da
una sovrastruttura sociale e culturale che sembra premere perché ogni afflato vitalistico sia
ricondotto in percorsi di normalizzazione e –
in ultima istanza – di infelicità. Da questo punto di vista Sono è un artista critico nei confronti del suo presente e del mondo in cui vive,
in un intelligente mix di sensazioni che lo porta a riflettere sui meccanismi emulativi tipici
della società basata su icone e fenomeni pop
(in Suicide Club sembra che la piaga del suicidio fra i giovani sia veicolata da un gruppo
canoro), ma anche su malesseri innati che affondano poi in rapporti umani basilari, come
quello familiare o di lavoro. Il tutto con un
gusto per l’invenzione visiva davvero trascinante, che rende ogni sua opera una sfida dai
toni molto forti, che rovescia letteralmente
addosso il suo malessere, ma che è anche capace di affascinare per la perizia dimostrata
nei confronti del mezzo. Così, violenza esibita e rapporti umani complessi si configurano
ogni volta in diverse modalità espressive tipiche dei linguaggi di genere: Strange Circus
(2005) è una sorta di moderna rappresentazione grand-guignol, Hair Extension (2007) una
risposta ai cliché del “J Horror” alla Ring,
mentre Cold Fish è una spietata discesa agli
inferi in cui un povero padre di famiglia si ritrova prigioniero di una situazione senza uscita a causa di un collega di lavoro che lo rende
complice dei suoi omicidi. Capita poi che il
titolo-outsider sia quello che riesce a affrontare i temi personali con una piega intimista che
risulta perciò ancora più sorprendente: è il caso
di Be Sure to Share (2009), in cui un giovane
affronta il dramma della malattia paterna con
una delicatezza di toni che all’amarezza generale accompagna una sincera voglia di serenità e di condivisione delle emozioni. Una perfetta teorizzazione delle sensazioni duali che
suscita la figura di Sion Sono.
Davide Di Giorgio
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