dell - Villa Cambiaso

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RIVISTA ARTE E CULTURA DI SAVONA E FUORI PORTA
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Spedizione in A. P. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 2 - Direzione Commerciale Savona - Tassa Pagata - Taxe Perçue
Anno XIV - N° 72 - Marzo 2014 - Direttore: Pio Vintera - Aut. Trib. di Savona N° 544/03
Redazione: Via Torino, 22R - 17100 Savona - Tel. 349 6863819 - Grafica e Fotografia: Mattia e Veronica Vintera
Edicole: P.za Diaz di Mauro Sguerso - C.so Italia, 129/Bis di Matteo Zanardo - Via Torino 50R di Michela Sebastiani
Ingresso principale di Villa Cambiaso
GRUPPO BANCA CARIGE
2
Territorio
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
QUATTRO PASSI A LAVAGNOLA
Una Lavagnola da (ri)vedere
L
a Delegazione di Savona del FAI
(Fondo Ambiente Italiano) ha
scelto, per la ventiduesima edizione
delle Giornate di Primavera, 22 – 23
marzo 2014, Lavagnola. Frazione di
Savona, fino a tutto l’Ottocento era
separata dalla città (distante 1,65 Km.)
da una vasta distesa di terreni
pianeggianti e collinari, irrigati da
canali (beudi) e dalle acque del
Letimbro, il cui nome era Lavagnola
prima che il poeta savonese Gabriello
Chiabrera lo definisse “laetus imber”.
Il torrente (lungo 20 Km. con sorgente
a Sella ad Est di Altare, a 400 mt. Sul
mare) riceve proprio nel quartiere
lavagnolese il suo maggior affluente il
Lavanestro (lungo 15 Km. che scende
dal Colle di Cadibona, a 350 mt. sul
mare).
Lavagnola oggi, a seguito dello
sviluppo edilizio del Novecento che
ha portato alla parziale scomparsa di
orti e frutteti, è ormai unita al
capoluogo.
Il borgo risale all’epoca romana e,
nell’organizzazione amministrativa
voluta da Augusto, nel 27 a.C., faceva
parte della Nona Provincia.
Pare che Savona non fosse toccata nel
periodo augusteo dalle grandi strade
romane che facevano capo a Vado: la
Via Aurelia, che da Genova raggiungeva Albissola, saliva a “Vico
Vi r g i n i s ” i d e n t i f i c a b i l e c o n
Lavagnola. Quivi, come scrive lo
storico Nicolò Cesare Garroni:
“L’antichissimo passaggio offre
accesso alla strada diruta sotto il colle
della Madonna degli Angioli che
metteva precisamente nei Vadi”.
A Vado i Romani rimasero dal 109
a.C. al 13 a.C., anno in cui Augusto
fece continuare la Julia Augusta, poi
denominata Aurelia fino ad Arles.
Prima del Mille si ha notizia della
strada “Montis Mauri” che, da
Lavagnola a Cantagalletto, lungo la
sinistra del Lavanestro, giungeva al
Colle di Montemoro dove si
raccordava con la Via Antiqua di
Castagneto Reale e proseguiva per
Cadibona, Altare e Carcare. Questa
via era la più percorsa per i collegamenti con Torino e Alessandria, ma
perse importanza all’inizio
dell’Ottocento quando Napoleone
fece costruire la strada militare di
Cadibona.
Savona, a seguito della proclamazione
a Libero Comune nel 1191, esercitava
la sua giurisdizione oltre che sulla città
e sul distretto, anche sul territorio
podestarile, così chiamato perché a
capo delle “Ville” che lo costituivano
vi era un podestà. Lavagnola, come le
altre Ville di Legino, di Vado e Segno,
di Bruciati e Celle, era guidata da un
Console eletto tra i cittadini savonesi
che avessero compiuto il 30° anno di
età e fossero abitanti di Savona da
almeno vent’anni. Il Console, il cui
compito consisteva nell’amministrare
la giustizia, era affiancato,
nell’esercizio della sua carica, da uno
“Scriba” iscritto al Collegio dei Notai
di Savona, e veniva controllato
direttamente dal Podestà.
L’incarico del Console si svolgeva
dall’ora terza fino al vespro di tutti i
“giorni dominicali” presso la Chiesa
di San Dalmazio costruita in collina
poco prima dell’XI secolo ricca di
opere d’arte: un polittico di Barnaba
da Modena, gli affreschi di Lazzaro
De Maestri, una statua lignea di
Antonio Brilla e una di Filippo
Martinengo. L’aumentato benessere
economico consentì, nel periodo
medioevale, la costruzione di nuovi
edifici religiosi. Risale al XII secolo la
Chiesetta di San Martino, collocata sul
lato sinistro del Letimbro, con
ospedale destinato ad ospitare ed
assistere temporaneamente pellegrini
e stranieri di passaggio. Nel XIV
secolo l’assistenza fu estesa ai malati
bisognosi. La piccola Chiesa, a navata
unica, nella seconda metà del XVI
secolo, fu sopraelevata. La struttura
attuale, con l’originario campanile
quadrato, chiuso da una cuspide
ottagonale, e pronao all’ingresso, è il
risultato di un rifacimento ottocentesco in forme neoromaniche secondo le
indicazioni dell’architetto portoghese
Alfredo D’Andrade. All’interno il
tetto ligneo a capriate scoperte venne
dipinto dall’ornatista savonese
Giuseppe Bertolotto nel primo
Novecento. Su una parete uno dei
pochi esempi di scultura medioevale
in Savona: una lapide commemorativa
della costruzione del ponte datata
1264, rappresentante Dio Padre
affiancato da due Angeli, dedicata a
Simone Doria, Podestà in quell’anno.
All’esterno su un pilone una formella
marmorea con la scritta “Vitam
praesta puram/item para tutum”. Oggi
la cappella, dopo un periodo di semi
abbandono, è sede di un laboratorio
d’arte del pittore ritrattista Piergiorgio
Vangelista.
Sulla sponda destra del Letimbro
sorge la cappella di Santa Maria o
della Madonna del Ponte, collegata a
quella di San Martino dal ponte ad
arco acuto. Punto di passaggio della
romana Via Emilia ha resistito alle
cicliche piene diversamente dagli altri
25 ponti sul torrente che hanno subito
Case di Lavagnola sul letimbro, 1980. Trittico a olio 300x90 cm, Pio Vintera (Prop. CRS)
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
danneggiamenti e distruzioni.
La cappella di Santa Maria, a
navata unica, con piccolo
campanile a vela, in facciata
portale a tutto sesto, sovrastato
da un rosone trilobato
baroccheggiante, ha all’interno
un altare marmoreo, risalente al
Seicento, ornato da una tela
raffigurante la Madonna con
Bambino tra Angeli attribuita a
G.A. Ratti. L’edificio, in epoca
passata alloggio per i pellegrini,
ha subito un lungo abbandono.
Le case di Lavagnola, come
oggi, con le facciate a colori
vivaci, dal rosa al rosso
mattone, al giallo ocra, e con i
tetti grigi di ardesia o rossi di
coppi, si allineano “a schiera”
da una parte sul torrente e
dall’altra sulla strada, spianata
ed allargata tra il 1539 e 1644,
che porta alla frazione di
Santuario distante 6,04 Km. Ivi,
sulla piazza venne costruita nel
1536 la Chiesa di Nostra
Signora della Misericordia, uno
dei più importanti centri di culto Mappa elaborata
mariano, nel luogo dove il dal Geom. Alex Vaiani
contadino Antonio Botta il 18
marzo e l’8 aprile 1536 ebbe
Madonna al frate cappuccino Padre
l’apparizione della Madonna. A
Agostino da Genova il 18 marzo 1580.
Lavagnola è stata edificata la prima
All’interno della cupola l’affresco di
delle nove cappellette seicentesche,
Bartolomeo Guidobono riportato al
tutte a forma di cubo (3,80 mt x 6,60
suo originario splendore a seguito di
mt.), equidistanti 400 metri, sette
un recente restauro. La Cappella fu
donate dal genovese Franco Borsotto
edificata nel 1679-80 ad opera del
e due dal marchese Giacomo Filippo
“prete savonese” Bartolomeo
Durazzo. Il cammino devozionale
Guidobono e del “prospettico” Gio
termina alla Cappella della Crocetta
Enrico Haffner.
costruita in alto a sinistra della
Degni di particolare menzione, su
Basilica, su roccia viva, a forma di
corso Ricci, la Torre Pancalda
prisma ottagonale, con cupola a
appartenuta alla famiglia di Leon
squame di ardesia. L’edificio è stato
Pancaldo, il nocchiero di Magellano;
donato dal nobile genovese Pier Paolo
all’inizio di via Nazionale Piemonte il
Franchi proprietario del terreno, a
Castello Imperiale-Migliardi con
ricordo dell’apparizione della
affreschi ben conservati di Raffaello
Territorio
3
Resio, il “pittore degli angeli”,
in via Santuario la seicentesca
Villa Grassi.
La popolazione lavagnolese si è
dedicata per secoli ad attività
agricole: frutteti, castagneti,
uliveti, coltivazioni di ogni tipo
di ortaggi, piantagioni di lino e
canapa. Inoltre ha costruito e
gestito falegnamerie, segherie,
cartiere e una filanda.
Nel Novecento si intensifica
l’edilizia popolare, aumentano
le aree agricole abbandonate e i
siti industriali dismessi. Si
costruiscono capannoni come
“opere di riqualificazione
urbana”.
L’ a t t i v i t à s p o r t i v a d e i
lavagnolesi negli ultimi decenni
è stata favorita dalla realizzazione di aree per lo sport: campi da
calcio, da calcetto, da bocce e da
una piscina. Centri di
promozione sociale e culturale
sono la parrocchia e la storica
Società di Mutuo Soccorso.
Anche gli artisti, coniugando
l’estetica all’etica, hanno
fornito un loro contributo: la
pittrice-ceramista Anita Santoni
con il monumento a Giacomo Minuto,
pioniere savonese dell’Idea
Repubblicana, e con l’opera
commemorativa del viaggio
apostolico di Benedetto XVI il 17
maggio 2008; l’artigiano-artista
Benedetto Bignone-Martin- con il
monumento alla Resistenza e l’Opera
dedicata alle lavandaie ricordate così
da Maria Acquarone:
“U beu scuriva lungu Lavagòa a quei
tempi in pò a sinistra in pò a destra, in
pò sciurtiva foa e in se sò spunde a
tratti ghean e bugaixe che lavavan tè i
drappi pè è casanne”.
Graziella Ferrari
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Territorio
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
ORTI FOLCONI: RADICI NEL CEMENTO
Progetto per la realizzazione di un roseto napoleonico e giardinaggio collettivo
I
n prossimità di Corso Ricci, tra via
Lichene e via Frugoni, c’è un
pezzettino di Savona che versa in
condizioni di profondo degrado e
abbandono; una piccola steppa
metropolitana, il cui perimetro è stato
recintato nel tentativo di celare ai
Savonesi la sua più intima bruttezza.
Sto parlando degli Orti Folconi, zona
un tempo agricola divenuta poi sede di
svariate attività (officine, imprese
edili, vivai etc),
ma da una decina
d’anni in stato di
pressoché
c o m p l e t o
abbandono.
Molti progetti si
sono fatti su tale
area, secondo
l’amministrazio
ne su questo
terreno nascerà
un insediamento,
composto da
palazzine
(molte) e aree
verdi (pochine),
che dovrebbe
collegare Corso
Ricci con il
Piazzale della
Stazione; un
progetto molto
dibattuto,
osteggiato dai
cittadini della
zona e dalle
molte associazioni ambientaliste, che per il
momento pare essere stato accantonato anche per mancanza di investitori
disposti a spendere le somme
necessarie a realizzarlo, o forse per
altre oscure (almeno per chi scrive)
ragioni di carattere speculativo.
Rispetto all’effettiva esigenza nella
nostra città di nuovi stabili e abitazioni
basta citare il fatto che il mercato
immobiliare versa in una condizione
di profonda crisi, molti sono gli stabili
sfitti (ne parlavano anche i giornali la
scorsa settimana) e poche le persone
che oggi potrebbero permettersi di
investire denaro in beni immobili;
probabilmente questo è uno dei motivi
per cui nessun imprenditore si è
ancora arrischiato a costruire su quel
terreno.
Comunque sia, Savona si trova con
uno spazio che può tranquillamente
essere catalogato come “non luogo” a
pochi passi dal suo cuore, un “non
luogo” che ha inoltre il grande difetto
di essere talmente vicino alla stazione
ferroviaria da risultare il primo
scorcio di cui un visitatore, giunto in
treno, gode della nostra città; una
steppa desolata, punteggiata di ruderi
e sovrastata da quell’abbominio del
nostro Palazzo di Giustizia.
Un ben misero biglietto da visita per
una città che coltiva velleità turistiche.
L’abbandono e l’obblio sono quindi il
substrato su cui sta fiorendo
un’iniziativa davvero singolare per il
nostro territorio: alcuni cittadini
aderenti al gruppo denominato
OSTinati hanno pensato di coinvolgere la cittadinanza per mettere un freno
a tale declino e riqualificare almeno
una porzione degl’Orti Folconi, nella
speranza che questo primo sforzo
collettivo possa dare il via a un
processo di recupero generale della
zona; l’intenzione è quella di
recuperare in termini filologici la
zona, riportandola alla sua primordiale funzione di giardino e di punto di
aggregazione.
Il progetto prevede infatti la
realizzazione di un roseto costruito
secondo le regole rinascimentali in
onore dei Della Rovere, che fecero la
grandezza di Savona a cavallo tra 400
e 500 e di cui la pianta riprenderà lo
stemma; un oasi di bellezza entro la
steppa dell’abbandono.
Oltre al roseto il progetto prevede
anche la realizzazione di alcuni orti
coltivati con la tecnica
dell’agricoltura sinergica (a questo
link qualche informazione in
proposito).
L’area su cui si sta realizzando tale
progetto è quella
dell’ex Vivaio
Scotto messa a
disposizione
gentilmente
dalla famiglia
che la possiede,
tale area si trova
nella porzione di
via Lichene
adiacente a
Corso Ricci (di
fianco all’ex
c e n t r a l e
operativa dei
Carabinieri).
Già pronto un
progetto di
ampliamento
con una sezione
di roseto
Napoleonico, da
realizzare su
terreni adiacenti
di proprietà
pubblica qualora
venissero
concessi, con cui
si traguarderebbe l’apertura di un nuovo, sontuoso,
corridoio di collegamento tra Corso
Ricci e il piazzale della stazione.
L’aspetto davvero interessante
dell’iniziativa è il suo carattere
collettivo, i promotori hanno
contattato il proprietario, il quale ha
accettato di partecipare al progetto
concedendo il terreno, che versava in
stato di profondo abbandono, e
impegnandosi attivamente alla sua
pulizia e riqualificazione.
A questo primo gruppo di “ottimisti”,
da molti sbertuciati in verità, si sono
pian piano aggiunti nuovi membri,
alcuni provenienti da realtà associative, come la GASSA (Gruppo di
Acquisto Solidale Savonese),
sensibili al tema della cementificazione eccessiva del territorio quindi ben
disposte a partecipare a iniziative che
Territorio - Artisti
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
offrano una concreta alternativa alla
costruzione di nuovi palazzi; altri,
“semplici” cittadini della zona
motivati dalla necessità di riqualificare e rendere migliore il paesaggio
ammirabile dalle loro finestre.
Anche Palazzo Sisto, bisogna dirlo, si
è reso conto della bontà del progetto e
ha contribuito, tramite l’Assessorato
all’Ambiente, inviando ATA con i
suoi mezzi a prelevare l’immondizia
prodotta dalla pulizia dell’area; grazie
anche agl’interventi del Consigliere
Aschiero che come membro degli
OSTinati ha parlato in più occasioni
dell’iniziativa al Consiglio e alla
Giunta.
L’azione di giardinaggio collettivo, a
priori se giungerà o meno al
compimento del suo scopo quindi alla
realizzazione del roseto, rappresenta
per la comunità savonese una palestra
di responsabilità; un luogo dove i
cittadini possono esercitare
attivamente la gestione condivisa del
territorio su cui vivono.
La gestione del nostro territorio,
specie in periodi di crisi, può e deve
essere configurata in termini di
responsabilità condivisa; il roseto
degl’Orti Folconi è un esempio
lampante di risposta dal basso a un
esigenza della comunità, a cui il
Comune non riusciva, a vario titolo, a
dare una risposta.
Si parla di esigenza della comunità per
5
due ragioni: la prima, da quando si è
cominciato a lavorare al roseto si è
assistito a un aumento abbastanza
incoraggiante dei “lavoratori”; la
seconda, da quando si è cominciato a
parlare dell’iniziativa, sulla stampa e
sul web, si sono raccolti quasi
esclusivamente pareri favorevole.
Anche se il progetto, per qualsiasi
ragione, non arrivasse a concludersi,
l’obiettivo di diffondere nella
comunità una visone di cittadinanza
attiva e responsabile nella gestione del
proprio territorio sarà comunque stato
raggiunto, almeno tra coloro che il
progetto avrà direttamente coinvolto.
Andrea Guido
ENRICO ANDREOLI
Il pittore marinaio di Varazze diventato internazionale
S
e vi capita d’incontrarlo noterete
che è un marinaio ligure, con due
occhi dilatati dal grosso spessore delle
lenti d’occhiali che porta e che non
mascherano uno sguardo umile,
gentile, quasi a smentire il veleno del
vissuto e quella ruvidezza che è un
fenomeno tipico di tutta la gente di
mare abituata alle fatiche, alle sfide
del tempo instabile quando
naviga.
Quando vi osserva in modo del
tutto naturale sembra
esorcizzare tutto il vostro
intimo, messo a nudo e a
confronto con la realtà più
amara e impietosa.
Enrico Andreoli per vivere ha
fatto tanti mestieri d’uomo di
mare, poi è diventato un
guardiano del porto di Varazze
fino ad andare in pensione per
incominciare la sua vita più
vera e più congeniale al suo
temperamento. Il suo grande
sogno è sempre stato quello di
fare il pittore e questo è quello
che ha sempre voluto e cercato
di fare, tra un lavoro e un altro,
tra un viaggio intercontinentale sulle rotte del mondo e una
fermata in un porto qualsiasi.
Lui ha sempre dipinto con
accanimento e fin dagli anni
più giovanili l’arte è stata la
sua vera attività, il suo
linguaggio e la sua umana
essenza.
È stato in questo modo che si è
sempre più affermato, più
internazionalizzato, che si è
fatto conoscere, apprezzare, usando
una ricca tavolozza cromatica che ha
nutrito di colori espressionisti e
d’immagini raccontate dentro ai suoi
quadri originali e tipici che, come ha
rilevato Ennio Cavallo: “stuzzicano
un mondo borghese, spesso banale e
crudele, con un’accentuazione intima
e poetica che non esclude l’ironia e il
dramma dell’uomo d’oggi”.
L’aria un po’ stravagante e bizzarra dei
suoi personaggi caricaturali, talvolta
crudeli, altre volte trasognati, trascina
l’osservatore in atmosfere sensuali ed
erotiche, in situazioni esistenziali, che
ricordano gli “espressionisti” e quelli
della “nuova oggettività” (Nolde,
Schmidt-Rottluff, Kirchner, Grosz,
Dix, Schad, etc...) in un clima
più vicino a noi, quello per
intenderci dei “nuovi
selvaggi”, se non altro per la
cruda violenza espressiva del
segno e le deformazioni più
impetuose delle figure che
caratterizzano le sue
composizioni.
Andreoli è un individualista
testardo e cocciuto che nutre
una visione particolare, e a suo
modo sociologica, della realtà
che è in atto nel mondo d’oggi.
Coerente, in quanto risolve le
sue meditate accensioni con
emozioni vissute, quasi
gridate, agitando all’interno
delle sue figurazioni il suono
ritmico d’una vita da lui stesso
interpretata, contesta con una
sua poetica gli stimoli prodotti
dalla civiltà dei consumi
portati dal progresso d’una
condizione falsa e opulenta,
combattuta con la sua
visionarietà quasi profetica,
rivelata dai suoi pensieri
figurati che combattono il
presente.
Franco Passoni
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Territorio
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
CIRCOLO CALAMANDREI
Punto d’incontro e dibattito con il gotha di cultura, politica, storia ed economia
D
a dove parte l’idea. Concentrate,
per un attimo, la vostra
attenzione sull’incrocio tra Corso
Italia e Via Paleocapa. Negli anni ‘50 e
‘60 era popolarmente conosciuto
come l’“angolo dei misci” (i senza
soldi), punto di incontro dei giovani,
ma non solo. Il ritrovo ideale, a costo
zero, dove si poteva discutere di
qualsiasi argomento per arrivare fino
al pettegolezzo. Alla politica andava il
posto d’onore. Venivano commentati
avvenimenti riportati dalla stampa,
dalla radio, e per quanto fosse ancora
poco diffusa, dalla televisione.
Attraverso quelle fonti si percepiva la
situazione del momento. Uno dei temi
all’ordine del giorno era il nuovo tipo
di conflitto che
minacciava la
pace, cioè: la
“guerra fredda”.
Si temeva che i
c a v a l i e r i
dell’apocalisse
tornassero a
cavalcare.
Savona, sentiva
m o l t o
l a
presenza delle
forze politiche
ancorate ad un
ideologismo
eccessivo. Non
dimentichiamo
che negli anni
cinquanta
e s i s t e v a
l ’ U n i o n e
Sovietica di
Stalin, la quale,
aveva una
n o t e v o l e
influenza sul Pci
e anche sul Psi; la Dc subiva
direttamente quella del Vaticano. Le
rivelazioni di Nikita Kruscev,
l’invasione nello stesso anno (1956) e
successivamente, nell’agosto del
1968, l’occupazione della
Cecoslovacchia, crearono lo
scompiglio nel Pci e tra la gente
comune. Scompiglio che infiammò
anche la vita culturale esistente. Fino
ad allora le iniziative venivano prese
dai partiti o dalle istituzioni. Ora c’era
la volontà di affrontare democraticamente una seria discussione su ciò che
di nuovo stava emergendo. All’interno
delle strutture partitiche rimaneva,
tuttavia, ancora una certa rigidità
verso l’esterno. Intellettuali militanti e
no, decidono di impegnarsi nella
creazione di un polo di attività criticoculturale. Sarà una delle esperienze
più interessanti della nostra città.
Nel marzo 1958, un gruppo di loro,
visibilmente emozionato, si reca in
uno studio notarile per ufficializzare
l’ambizioso progetto: la creazione del
Circolo Calamandrei. Alcuni giorni
dopo, eleggono il primo comitato
direttivo composto da: Gerolamo
Assereto, Giovanni Burzio, Pier
Franco Beltrametti, Arrigo Cervetto,
Luigi Chiazza, Gina Lagorio,
Maurizio Marrone, Giuseppe Racca,
Giovanni Urbani, Gian Franco Zino e
Mirko Bottero. Quest’ultimo svolgerà
un ruolo particolare, determinante, per
la vita del circolo. Sarà l’anima e
soprattutto le gambe
dell’organizzazione. Ancora oggi,
dopo tanti anni, chi lo conobbe non
può che riconoscere come essenziale
il suo contributo al successo di quella
iniziativa. La tenacia, l’intuito
organizzativo, l’impegno costante,
supplivano alla modesta cultura
personale e infondevano la forza e
l’entusiasmo necessari a tutto il
gruppo per portare avanti l’agognato
progetto. Senza di lui, quel Circolo
non avrebbe potuto avere la storia che
ha avuto. Scrive il senatore. Giovanni
Urbani sulla Civetta, bimestrale del
Circolo degli Inquieti, nel 2004:
“Mirko seguiva con attenzione lo
scontro politico culturale ma voleva
portarlo a Savona attraverso figure
note, più o meno famose che si
battevano per la cultura di sinistra. Mi
sorprendeva che riuscisse a farlo
senza soldi, Credo che il suo successo
nascesse da quel misto di ingenuità e
sfrontatezza nell’approccio. In
qualche modo prendeva gli interlocutori e ne stimolava l’interesse. Aveva
l’entusiasmo per la cultura
dell’operaio consapevole delle
proprie ragioni di classe, direi che lo
portavano ad avere stima e considerazione per gli intellettuali di sinistra che
sentiva dalla stessa parte della
barricata ma da
pari a pari”.
Inizia la vera e
propria attività
l ’ a n n o s u ccessivo. Si
e l e g g e p r es i d e n t e l ’ a vvocato Pier
F r a n c o B e ltrametti, che
ricoprirà quel
ruolo fino al
1 9 7 4 .
I n
un’intervista
rilasciata a “Il
Lavoro” e “Il
S ecolo X I X ”,
dirà: “Siamo nati
quindici anni
orsono senza
eccessive ambizioni, ma con
molto entusiasmo. Per noi si
trattava di un tipo
di opera quasi da pionieri soprattutto
se si considera che a Savona fino ad
allora non esisteva nulla sul piano
culturale”. Ribadirà, la volontà di
mantenere intatta la matrice laica ed
antifascista, senza peraltro aggregarsi
a nessun carro.
Perché “Piero Calamandrei”. Il nome
voleva essere un doveroso omaggio ad
una delle voci più nobili della
Resistenza italiana. Nel direttivo non
mancavano personaggi impegnati
politicamente mantenendo un’identità
indipendente. Nonostante ciò si
potevano riconoscere in quella piccola
organizzazione che liberamente
affrontava ogni tema con senso critico
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
senza dover rendere conto a nessuno.
Per questo motivo l’atmosfera con i
vari partiti risultava piuttosto fredda.
Tuttavia non bastò a scoraggiarne
l’attività che, a quel punto spostava il
luogo del confronto al n° 1 di Via Pia.
Ricordo, quella sede. All’entrata,
storicamente nobile, seguivano scale
di marmo consumato dal tempo. Un
atrio piuttosto buio le anticipava.
Dopo la prima rampa una porta, meno
nobile, introduceva alla sede vera e
propria. Un piccolo ingresso e quindi
una sala dal soffitto affrescato.
Ammobiliata con un tavolo dove
sostavano perennemente depliant,
manifesti, libri in disordine. Molte
sedie sparpagliate qua e là, ma
nonostante tutto, ci si sentiva liberi e al
riparo da condizionamenti. Il Circolo
rimane un protagonista indiscusso
della cultura savonese fino al 1974.
Grazie, però, al nuovo filone culturale
che segue l’arte del cinema si
trasforma, nel 1975, in “Film Studio”
sempre per iniziativa di Mirko
Bottero, coadiuvato da nuovi
intellettuali come: Carlo Freccero,
Tatti Sanguinetti, Aldo Grasso, Felice
Rossello per citarne alcuni.
Mirko è stanco, ma credo che si senta
anche solo. Non sarà lontana la sua
uscita di scena. Come savonesi, penso
che, avremmo dovuto ricordarlo più
adeguatamente. Un suo ultimo ricordo
rimane legato al “Nuovo Film
Studio”. Dal “Calamandrei”, in quegli
anni, sono passati i massimi
rappresentanti della cultura, della
politica, della storia, del cinema, del
teatro, del giornalismo. Si sono
dibattuti i temi più scottanti e di
attualità di quegli anni: dalla guerra in
Vietnam all’Ottobre messicano, dalla
svolta cubana al caso Allende, dal
Concilio Vaticano al possibile dialogo
tra comunisti e cattolici, dal
referendum sul divorzio alle lotte per
l’emancipazione morale e civile della
donna, da piazza Fontana
a l l ’ o b i e t t i v i t à d e l l a t v, d a l l e
prospettive del socialismo in Europa e
Territorio - Libri
7
n e l m o n d o a l l o s v i l u p p o d e ll’economia cinese.
Incontri e dibattiti che hanno
trasformato il Calamandrei in un
punto di riferimento politico-culturale
di altissimo livello nazionale. Ed è
anche per rendere un omaggio a Mirko
Bottero, che ne fu promotore e
artefice.
Ne ricordiamo alcuni tra i più
significativi: Lelio Basso, il fondatore
di Lotta comunista Arrigo Cervetto, la
senatrice Angiolina Merlin, Paolo
Sylos Labini, Antonio Giolitti,
Giuseppe Boffa, il giornalista Piero
Ottone, padre Nazareno Fabretti,
Umberto Segre, Alessandro Natta, il
padre del divorzio Loris Fortuna,
l’allora ministro Ugo La Malfa, Kino
Marzullo, Carlo Galante Garrone,
Marco Pannella, Marco Boato, lo
scrittore Gianfranco Venè, Umberto
Terracini, Lucio Magri, Luigi Pintor.
Grazie “Calamandrei”. Grazie Mirko.
Claudio Tagliavini
SOLI, INSIEME
Il secondo romanzo–giallo di Gianfranco Barcella
S
oli, insieme è un romanzo-giallo,
il secondo della serie che vede
protagonista il Commissario Cantoni,
un milanese trasferito a Genova per
doveri d’ufficio, sposato e senza figli.
L’opera è stata scritta dal prof.
Gianfranco Barcella, giornalista
pubblicista, già direttore di periodici,
docente di Materie Letterarie. Il primo
volume, dal titolo: “Una sola verità”,
edito per i tipi dell’editore De Ferrari
di Genova è stato definito dalla critica
come un “giallo culturale” che cerca di
nobilitare l’origine e la natura del
genere letterario a cui appartiene,
considerato alla stregua della
letteratura minore o d’evasione. Ma
ritorniamo a “Soli, insieme”. Il
protagonista Leonardo, un giovane
ligure senza “arte né parte”, un
intellettuale –eternamente precario si
direbbe oggi– che vive rincorrendo un
ideale di bellezza decadente per
soffocare la sua angoscia esistenziale,
si accompagna ad una ricca vedova
che lo scorrazza in giro per le località
più amene della Riviera. La signora
Leda, un brutto giorno, viene ritrovata
morta nel bagno di una suite
dell’Hotel Royal di San Remo. Il
giovane compagno, indiziato di
omicidio dal commissario Cantoni,
inizia così una fuga spasmodica per
l’Italia. A suo dire, si sente braccato
ingiustamente. Prima tappa è Roma e
lì si innestano nuove “relazioni
pericolose”. Di certo Leonardo è
disposto a tutto per soddisfare i propri
desideri ma la sua vita di esteta senza
morale lo porterà alla rovina. È il
tipico eroe negativo del nostro tempo
o forse solo una vittima del lavoro
“eternamente precario”, di una società
insensibile ai bisogni dei più deboli
che tende ad emarginare e non ad
accogliere, della decadenza d’ogni
valore che non sia quello del mero
consumismo. Lascio al cortese lettore
il resto della vicenda come sfida ed
invito. Aggiungo solo questa
indicazione finale. Il viaggio di
Leonardo vuole essere la metafora
dell’iter esistenziale d’ogni creatura
che è destinato a concludersi “male”
perché cerca disperatamente una “via
di fuga” dalla morte, nell’ossessiva
avidità. Noi siamo accolti dalla vita
senza sapere cosa sia la vita stessa
(cito a memoria Claudio Magris), e la
consapevolezza di questa verità ci
pone in una condizione di disagio
profondo. Unico linimento per
l’anima senza fede in Dio, resta la
bellezza che si ama con immediato
trasporto come l’incanto di una rosa,
pur consapevoli che tutto sia destinato
a perire nello spazio di un mattino ed a
svanire nel nulla. Potremmo definire
la bellezza così come l’unico antidoto
al vuoto che cura lo spirito malato ma
non lo guarisce.
Il romanzo giallo di Gianfranco
Barcella fa riflettere dunque sulla
condizione umana che resta schiava
del nichilismo se non mira al
trascendente. È di grande attualità,
purtroppo!
8
Libri
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
IL RICORDO E L’OPERA DI GIUSEPPE CAVA
Presentazione del volume di Giuseppe Milazzo con Pino Cava
G
iuseppe Cava torna a far sentire
la sua voce.
Il 30 marzo 1940 cessava di vivere il
più grande poeta savonese, l’autore
indimenticato delle liriche apparse nel
1930 nel volume “In to remöin”. A 74
anni dalla sua morte, per l’editore
Marco Sabatelli, viene pubblicato un
nuovo volume sull’opera del celebre
autore dialettale ligure. Il libro,
intitolato “Il ricordo e l’opera di
Giuseppe Cava” è stato scritto da
Giuseppe Milazzo, già autore, nel
2007, di un’accurata biografia su
questo poliedrico personaggio, che,
nel corso della sua esistenza, fu anche
organizzatore operaio, esponente di
spicco del movimento anarchico
cittadino, giornalista, disegnatore e
caricaturista, tipografo e, persino,
inventore di giocattoli. Il nuovo testo
che viene oggi dato alle stampe è, in un
certo senso, la continuazione e il
completamento del precedente,
riportando in modo preciso l’elenco di
tutti i testi scritti da Giuseppe Cava nel
corso della sua vita: poesie in dialetto
e in lingua italiana, articoli per
giornali, testi teatrali, racconti e
romanzi, alcuni dei quali tuttora
inediti. Pino Cava, il nipote del poeta,
ha collaborato attivamente alla
realizzazione di questo libro,
mettendo a disposizione di Milazzo il
vasto archivio di famiglia e ideando il
progetto stesso del volume,
disegnandone anche la
copertina, con la fotografia
di una scultura che è stata
appositamente realizzata
dall’artista savonese Anna
Maria Frizza. All’interno
del libro i lettori potranno
trovare la ricostruzione
completa ed approfondita
di tutti gli eventi e le
iniziative tenute nel corso
degli anni, nella nostra
città, per mantenere vivo il
ricordo dell’opera poetica e
in prosa di cui fu autore
Beppìn da Cà. Soprattutto,
obbiettivo dichiarato
dell’autore è sottolineare
come, in questi oltre
settant’anni, la critica
letteraria nazionale e il
mondo universitario abbia
espresso giudizi assolutamente lusinghieri sul
valore dei testi poetici di
Cava, tanto da farne, unanimemente, il
maggior poeta dialettale ligure del
Novecento, insieme a Edoardo Firpo.
Accanto ai saggi scritti da studiosi
quali Stefano Verdino, Enrico Malato
e Fiorenzo Toso, va in particolare
ricordato The Other Italy: The
Literary Canon in Dialect (1999), un
saggio in lingua inglese sulla poesia
dialettale italiana realizzato dal prof.
Hermann W. Haller, docente di Lingua
e letteratura italiana al Queens
College e direttore di Dipartimento al
Graduate Center della City University
di New York, che ha inserito il nome di
Giuseppe Cava tra gli autori più
importanti del panorama dialettale
italiano. Addirittura, un’artista di
fama quale Roberta Alloisio ha
inserito due liriche di Beppìn da Cà
nei suoi ultimi lavori discografici,
Lengua serpentina e Ianua, che hanno
ottenuto il favore della critica,
ricevendo anche il Premio Tenco nel
2011. Il valore dell’opera di Cava è
quindi indiscutibile e riconosciuto.
La pubblicazione di questo nuovo
libro di Milazzo giunge, purtroppo, a
quasi un anno dalla scomparsa di colui
che ne fu il maggior promotore: Pino
Cava ci ha infatti lasciato lo scorso 8
giugno, all’età di 77 anni. Per
ricordarne la figura, il volume ospita
una corposa appendice, con interventi
scritti da alcune tra i personaggi che
gli furono vicini nel corso della sua
vita e che condivisero con lui varie e
diverse esperienze di politica, di
lavoro e culturali: Luciano Angelini,
Mauro Baracco, Elmo Bazzano, Silvia
Bottaro, Anna Maria Frizza, Bruno
Marengo, Aldo Pastore, Rocco
Peluffo, Silvio Riolfo Marengo, Carlo
Ruggeri, Umberto Scardaoni, Sergio
Tortarolo e Giovanni Urbani.
Il libro “Il ricordo e l’opera di
Giuseppe Cava” sarà presentato
sabato 29 marzo 2014, alle ore 16.00,
presso la Sala Rossa del Comune di
Savona. Interverranno, oltre
all’autore, Ferdinando Molteni, Silvia
Bottaro, Silvio Riolfo Marengo e
Bruno Marengo.
Secondo la volontà dell’autore e della
famiglia Cava, il volume verrà
distribuito gratuitamente a tutti coloro
che ne faranno richiesta.
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
Libri
9
ELVEZIA
Commento di Franca Maria Ferraris al nuovo romanzo di Bruno Marengo
I
n questo nuovo romanzo breve, o
racconto lungo che dir si voglia,
Bruno Marengo traccia un ritratto
psicologico per ciascuno dei
personaggi che ne animano la vicenda,
affidando la parte più significativa, e
quindi di protagonista, a un uomo che,
giunto ad una età avanzata, sente forte
il desiderio di “tirare le somme” sulla
qualità del proprio agire fino a quel
momento della vita.
Il signore in questione, chiamato
intenzionalmente Aliquis, nel senso di
“qualcuno”, o di “uno fra i tanti”, è
impegnato in politica, e ben deciso a
portare avanti la sua carriera senza
troppi scrupoli. Attraverso un’attenta
osservazione svolta sia sul soggetto
sia su coloro che lo circondano,
osservazione seguita da riflessioni
profonde, Marengo mette a nudo la
durezza d’animo di Aliquis, forse più
acquisita che naturale, necessaria,
però, per raggiungere le mete
prefissate, immolando le azioni più
spregevoli sull’altare del proprio
sfrenato egocentrismo e della propria
ambizione personale. Ciò accade
senza procurargli rimorsi
fino al giorno in cui,
folgorato da un risveglio di
coscienza (o nauseato di sé?)
inizia a comprendere che un
agire così ambiguo gli
provoca sgomento. Dolorosa
è la constatazione, ma il
ministro Aliquis è ormai
entrato in un “giro” da cui è
difficile uscire. Infatti, né la
visione del padre redivivo
(puntualizzata con abilità
narrativa), sempre contrario
alle sue idee e al suo agire, né
il ricordo della compagna di liceo
Elvezia (figura che risalta per
eccellenza significativa), ragazza
dotata di grande umanità, che ha
nutrito nei confronti di lui
un’affezione amorosa mai apertamente svelata perché non condivisa,
riusciranno a demolire la gabbia di
ferro entro cui egli ha rinchiuso il suo
animo, sebbene ora, a scoppio
ritardato, il ricordo di queste due
persone, per lui così importanti, lo
commuova.
Magistralmente,
M a r e n g o
scolpisce con
argomentazioni, le
più svariate al
r i g u a r d o ,
l’immagine
psicologica di
quest’uomo,
creando con la
tecnica del
flashback alcune
situazioni in cui
vibra il fascino
della poesia,
sempre presente
nelle descrizioni
del paesaggio
ligure su cui non
smette di puntare
lo sguardo e di
immergervi i
personaggi dei
suoi romanzi. In
questo costante
rivolgersi al
passato per capire
e penetrare meglio
il presente, in
questo acuto senso
di nostalgia mai
patetico, ma
tormentato da ciò
che avrebbe potuto essere, e per
inerzia o avverso destino non fu, in
questa connaturata presenza di
umanità, s’innerva lo stile di una
scrittura che determina l’attrattiva del
romanzo Elvezia, come di ogni altro
romanzo marenghiano. Ottimo
narratore di storie sempre riferite a un
ben determinato periodo storico, in
questo nuovo racconto ambientato
nell’attualità, essendo egli, per
esperienza diretta, profondamente
consapevole che la politica non è
soltanto qualcosa di estraneo, ma è
invece strettamente connessa al vivere
dell’uomo, offre al lettore l’immagine
di un uomo politico di cui analizza le
radici e le ragioni –o le non ragioni–
del suo modo di essere e di agire.
D’altronde, lo scrittore Bruno
Marengo è molto apprezzato proprio
perché sa dare al pubblico ciò che da
lui il pubblico si aspetta in quanto
uomo politico, quale in realtà è stato
nella sua pratica di vita votata
all’onestà e ai grandi ideali, e in
quanto, appunto, scrittore, quale, non
smentendo la sua essenza interiore,
non può fare a meno di apparire
tuttora, attraverso ciò che scrive.
Poiché, è grazie a tale interiorità o,
direi meglio, innata appartenenza alla
“res publica”, che egli, avendo
conosciuto da vicino l’animo di certi
personaggi politici negativi, i quali
agendo nella Polis, non possono che
trasmettervi, purtroppo, la loro
negatività, ha preso come spunto per il
suo racconto la figura di uno fra
questi, Aliquis, che fortunatamente
non li rappresenta tutti, e ha saputo
focalizzarne un ritratto così realistico
da essere riscontrabile, e ripeto
purtroppo, nelle figure di molti
politici operanti sulla scena del mondo
attuale.
Libri - Conferenza
10
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
I TAROCCHI
Giunta a compimento la trilogia di Guido Araldo
stato pubblicato il libro “i Tarocchi
come via iniziatica anche nella
Divina Commedia” a compimento di
una trilogia, da parte dell’Editore
Bastogi di Roma, dopo “Il Mistero di
Saliceto” e “Torino magica”.
Anche questa volta un’intero capitolo
è dedicato a “Le Maddalene nel paese
dell’esoterismo...”. Un esperto di
Tarocchi, giunto quasi per caso a
È
curiosare a Saliceto da Milano, è
rimasto esterrefatto: nel pastore della
natività giottesca in castello ha
individuato il “Matto”: l’arcano senza
numero. In tal caso sarebbe la più
antica (metà XIV secolo) rappresentazione di una carta dei Tarocchi al
mondo... Non a caso è un pastore
senza gregge, nemmeno una pecora...
e va solitario con il fagotto e il cane.
I Tarocchi come mai sono stati
studiati, analizzati, interpretati.
Un viaggio iniziatico-massonico
in compagnia del “Matto”: dalla
bestialità del recinto di Circe
pieno di maialini a “fatti non foste
per viver come bruti ma per seguir
virtute e canoscenza”!
Dante! Sì proprio Dante! Il
percorso della Divina Commedia
tracciato dagli Arcani Maggiori
dei Tarocchi.
I “Babylonios numeros” di
Leuconoe, amante del poeta
latino Orazio, sono i Tarocchi?
I Fedeli d’Amore, Dante, i
Tarocchi, la Divina Commedia:
nodi sciolti da riannodare.
Non esiste libro più antico dei 22
Arcani Maggiori dei Tarocchi: un
libro di sole immagini che tutti, in
ogni parte del mondo, in tutte le
epoche, possono leggere e
interpretare.
G
uido Araldo è nato a Saliceto
(CN) da una famiglia presente in
loco da secoli. Intensa e varia è stata la
sua attività lavorativa: insegnante, poi
capo gestione nelle Ferrovie dello
Stato, funzionario tributario del
Ministero delle Finanze e infine
cancelliere presso il tribunale di
Cuneo.
La sua attività letteraria e le sue
ricerche storico-artistiche coprono un
arco di trent’anni, sia attraverso viaggi
in Europa, sia
attraverso la
frequentazione di biblioteche ed archivi storici.
È autore di 22
romanzi stor i c i a mbientati in
s e c o l i d iversi.
Un libro sumero? Il libro della torre di
Babele, che superò l’incomprensione
delle lingue o il libro del dio egizio
Toth?
Un libro intriso di religiosità arcana, la
più antica, senza Dei.
Il libro dimenticato dei Fedeli
d’Amore e dei franc-maçons
costruttori di cattedrali?
CONFERENZA SULLA FINE DEL MONDO
Il 1 Marzo a Villa Cambiaso, dibattito teologico con Giorgio Bongiovanni
A
Vi l l a C a m b i a s o ,
l’Associazione
culturale Giordano Bruno ha
presentato la conferenza
teologica di Giorgio
Bongiovanni, sulla Giustizia
di Dio nell’Antico
Te s t a m e n t o , r i p r e s o
successivamente da Gesù
Cristo nel Nuovo
Te s t a m e n t o , q u a n d o i l
messia profetizza se stesso
come colui che giudicherà il
mondo con la sua seconda
venuta sulla terra. Per
illustrare come molte fonti profetiche,
indicano il periodo in corso la “Fine
dei tempi”, all’incontro con Giorgio
Bongiovanni, mistico stigmatizzato,
sarà presente Pier Giorgio Caria,
ricercatore e documentarista.
Quello attuale quindi, è un momento
storico di grandi eventi, che
porteranno alla trasformazione
completa del mondo. La “Santa ira di
Dio”, sconvolgerà le fondamenta
della Terra e della società, e conoscere
le implicazioni di tutto ciò, è
di fondamentale importanza.
Dal punto di vista teologico,
spirituale e fisico l’Ira di Dio
è di fondamentale importanza per prepararsi ai grandi
sconvolgimenti e trasformazioni che accadranno nel
prossimo futuro.
“La Bibbia spiega chiaramente che proprio come
Dio è buono verso coloro che
confidano in Lui, Tanto Egli
è terribile verso coloro che
non lo fanno. Gesù stesso
precisò che la retribuzione sarebbe
stata proprorzionata al merito di
ciascuno”.
M.COS. - Estratto da
“La Stampa” del 28/02/2014
ASSOCIAZIONE NAUTICO LEON PANCALDO
LA VOCE
D E L L ’
ESTRATTO AUTONOMO DELLA RIVISTA VILLACAMBIASO
www.alpleonpancaldo.org
[email protected]
A.LP.
N° 23 - Marzo 2014 - Redazione: A.LP. - Via Torino, 22 R - 17100 Savona - Tel: 349/6863819 - E-mail: [email protected]
R
ingraziamo il Dott. Aldo Pastore
per averci fornito una testimonianza sul naufragio della Tito
Campanella
MIO PADRE TRA I DIMENTICATI DEL NAUFRAGIO TITO
CAMPANELLA
S
ono passati trent’anni e ancora
oggi i familiari delle 24 vittime del
naufragio della nave da carico “Tito
Campanella” aspettano risposte.
Vedove, figli, fratelli e sorelle dei 24
marinai che persero la vita in quella
tragica notte tra il l3 e il l4 gennaio del
l984 non hanno una tomba su cui poter
piangere i propri cari. La realtà dei
fatti non è mai stata accertata, né la
nave né i corpi delle vittime sono mai
stati ritrovati.
Nel giorno del trentesimo anniversario della tragedia i parenti sono tornati
a invocare la verità. «Non mi darò
pace finché non saprò cosa sia
successo a mio padre». A dare voce al
vivo dolore dei parenti dei dispersi è
Anna Gaggero. Aveva appena 13 anni
quando suo papà Antonio sparì
insieme alla nave su cui era imbarcato,
inghiottito dalle acque dell’oceano
Atlantico, al largo del Golfo di
Biscaglia.
Tra le vittime svanite per sempre
insieme al cargo “Tito Campanella”
tre savonesi: il radiotelegrafista Pier
Giovanni Dorati, di 50 anni, il
ventitreenne Mario Incorvaia e il
cellese Antpnio Gaggero, il papà di
Anna.
La sede operativa A.LP.
a Villa Cambiaso
(Via Torino 22r - Savona)
è aperta il 1° e il 3° Martedì
di ogni mese
dalle 17.00 alle 18.30.
Luglio e Agosto esclusi.
Tel: 349 6863819
«E terribile non sapere che fine abbia
fatto. –racconta con coraggio– Ma
forse è ancora peggiore l’indifferenza
che ci hanno riservato le istituzioni.
Siamo completamente soli, nessuno si
ricorda di noi e dei nostri cari».
Un giallo quello del naufragio della
“Tito Campanella”, della compagnia
armatrice Alframar e iscritta al
Compartimento Marittimo di Savona,
che non è mai arrivato a un punto.
Persino il carico rimane tutt’oggi
avvolto nel mistero. Si arrivò persino
ad ipotizzare che la nave potesse
trasportare da armi sovietiche a rifiuti
tossici.
Conclusosi il processo, il caso finì nel
dimenticatoio, come le famiglie delle
24 vittime che a trent’anni dal quel
tragico evento ancora non conoscono
la terribile fine che hanno subito i
propri cari. «Non è credibile che
ancora oggi nessuno sappia cosa sia
accaduto. Gli interrogativi rimasti in
piedi sono troppi, e tanti gli elementi
che portano a pensare che la verità non
la si voglia dire. Noi non ci stancheremo di chiedere. Noi non possiamo
dimenticare». E nel giorno della
ricorrenza della morte di suo padre, le
ultime parole di Anna vanno alle
vittime della Concordia: «Mi sento
particolarmente vicina ai parenti. In
quei momenti ho rivissuto la morte di
mio papà. Ho pregato perché
venissero ritrovati i corpi. Almeno ora
hanno una tomba su cui piangere».
COSÌ LO RICORDIAMO
G
iovanni
Verzello,
ex-allievo del
Nautico Leon
Pancaldo di
Savona, Direttore di Macchina, socio e
consigliere sia
dell’Associazione A.LP. di
Savona che
del compartimento di Genova del Collegio Nazionale Capitani
L.C. e M. ha navigato per 28 anni con
varie compagnie sia italiane che
estere, alternando periodi a bordo di
petroliere e di navi passeggeri; sempre
sensibile alle condizioni lavorative
della gente di mare ed alla loro
sicurezza a bordo. Dopo una vita
trascorsa in mare è entrato a far parte
d e l l ’ A . L P. r i t r o v a n d o v e c c h i
compagni di scuola che aveva perso di
vista a causa del suo lavoro. Per il
primo martedì di ogni mese aveva
attivato incontri conviviali con amici
ed ex-compagni del Nautico, noi
dell’A.LP. manteniamo il tradizionale
incontro anche per onorare il ricordo
della sua grande generosità.
Silvia Simoncelli
Estratto da “Il Secolo XIX”
del 15/01/2014
Sabato 12 Aprile
ore 16.00
Assemblea ordinaria
e
Rinfresco Pasquale
Gianluca Piovano, lo ricorda
tutta l’A.LP., in particolare
Vintera come suo insegnante
12
A.LP.
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
ISTRUZIONE NAUTICA IN TURCHIA
La generazione del dopoguerra tra nuova cultura e bisogno di lavorare
I
l Propeller Club Porto of Genoa ha
promosso il 13 febbraio, a palazzo
San Giorgio, una conferenza del prof.
Turco Reza Ziarati , Vice rettore PIRI
REIS University Maritime di
Istambul-Costantinopoli. Piri
Reis era un famoso Ammiraglio ottomano a cui si
deve l’elaborazione di una
delle prime cartografie
marittime mondiali, circa 500
anni orsono, che considerano
data di inizio Accademia.
Trattasi di un complesso di più
edifici con nave scuola, che
fanno formazione professionale per marittimi, ma anche
studi nautici in generale (sito
www.marifuture.org). In
particolare formazione su
STCW, Automazione, Inglese
marittimo, Situazioni
d’emergenza, E learning,
Sicurezza in generale, SOS,
G M D S S , e c c . L’ e p o c a d e l l a
fondazione Sec. XVI coincide col
grande impero del Califfo Solimano il
Magnifico che si estendeva dal’attuale
Iraq, alla penisola anatolica e
balcanica, ed all’Africa settentrionale,
impero che aveva attività commerciali
con l’occidente, ma non si poteva dire
amico proteggendo i corsari turchi nel
mediterraneo.
Curiosità, la preferita del Califfo era
una ex schiava pisana Rosellana
(sepolta nella gran tomba di Solimano), madre di Selim, Ammiraglio
turco sconfitto a Lepanto, 1571
dall’Armata navale cristiana
comandata da Don Giovanni
d’Austria. Lepanto e la battaglia di
Vienna, vinta dal Re di Polonia
Giovanni Sobieski, 1683, posero fine
all’espansione turca in
Europa. Ora la Turchia
moderna, ridotta ad
Istambul ed alla
penisola Anatolica,
chiede l’ingresso in
Europa, e fa parte della
Nato. Nel 5 nov. 2012, a
bordo della La Superga
venne firmato dai
sottosegretari italiano e
turco un protocollo
d’intesa sulla formazione nautica. Col
passare dei secoli i nemici
diventano amici!
I Nautici italiani purtroppo, a
causa di riforme fatte nell’ottica
del risparmio, si trovano in difficoltà,
e la Unione Europea ha aperto al
riguardo procedura d’infrazione.
Sulle navi italiane pare si preferiscano
marittimi dell’Est, filippini, indiani,
ecc. Ci facciamo passare avanti anche
dai Turchi?
Ing. Giorgio Paolo Prefumo
COSTA CONCORDIA
Galleggiamento e Demolizione
M
ichael Thamme (nuovo
Amministratore Delegato
Costa Crociere) ed ing. Franco
Percellacchia hanno illustrato le
ultime fasi lavori. La rimozione scafo
verrà fatta nel giugno
1914, il costo lavori in
tutto sarà di 600 milioni
di dollari, il 5% dei
quali per la rottamazioni. Dodici Ditte hanno
dimostrato interesse
alla rottamazione,
preferibili i porti
italiani maggiori Verrà
utilizzata la Vangurd
con un costo con un
contratto di $ 30
milioni. Tale maxi nave
può portare però può
sollevare fino a fino
poco oltre 100.000 t, la
Concordia piena
ancora d’acqua pesa
250.000 t, e bisognerà
svuotarla riempiendo una apposita
nave cisterna in quanto trattasi di
acque inquinate (l’IMO prescrive
attualmente depurazione anche acque
di zavorra), ovviamente dovranno per
il galleggiamento collegare alla
fiancata che era immersa i cassoni
necessari, il pescaggio del complesso
risulterà di 18,5 m, quindi nessun
porto italiano al momento potrà
riceverla, lo spostamento senza la
Vanguard è ritenuto
pericoloso. Si ritiene
che il recupero sul Pil
per tutti tali lavori sia di
540 milioni, il rottame
sarà utilizzato come
materiale ferroso di
recupero, gli
arredamenti interni e
macchine non sono
recuperabili in grande
parte.
In figura si vede che è
circondata da “panne”
anti sversamenti.
Ing. Giorgio Paolo
Prefumo
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
A.LP.
13
IL RITORNO DEL BELEM A VENEZIA
Torna in Italia il veliero Belem, ex-nave scuola della Fondazione Giorgio Cini.
T
estimone del
prestigioso
patrimonio
marittimo francese,
il Belem è il più
antico tre alberi
tutt’ora navigante
in Europa e tra più
prestigiosi velieri al
mondo. Costruito
nei cantieri di
Dubigeon in
Chantenay-surLoire nel 1896, il
Belem era in
origine una nave
mercantile che
viaggiava sulle
rotte atlantiche
soprattutto per il
commercio del
cacao con il Brasile.
Nel 1952 divenne
proprietà della
Fondazione Cini
che la riarmò a nave
goletta e la ribattezzò Giorgio Cini
utilizzandola per la prima volta come
nave scuola per gli allievi dell’istituto
Nautico Scilla sull’isola di San
Giorgio a Venezia.
Fu poi disarmata nel 1968 e dopo
qualche anno riacquistata dalla
Francia.
Un grande ritorno a casa per questo
veliero che per dieci giorni sosterà in
Riva San Biagio (di fronte il Museo
Navale), a due passi da Piazza San
Marco, e che verrà aperto al pubblico
per visite e manifestazioni secondo il
calendario di prossima pubblicazione.
È notizia di grande interesse la
conferma della presenza di quello che
fu il “Giorgio Cini” oggi “Belem”
rinato con i Francesi, a Venezia dal 18
al 24 Aprile, periodo Pasquale.
Considerando che alcuni di noi
associati all’A.LP siamo stati a fare lo
stage sull’allora Nave scuola degli
Istituti Nautici, è con questo reperto
veramente di lusso, che ricordiamo i
Velieri di Lungo Corso, quelli di Capo
Horn. È davvero impossibile pensare
che quei tempi siano potuti davvero
esistere e che ci siano stati uomini
assoggettati a rischi, come era
d’abitudine allora per i naviganti, dal
cibo (non c’erano i frigoriferi) alle
malattie, il salire e scendere su vele e
pennoni con mare in burrasca, vento,
pioggia, ecc.
Eppure, non è passato molto tempo da
quando i Quaranta Ruggenti o anche i
Cinquanta Urlanti, con venti nevi ed
anche ghiaccio, erano routine.
Soltanto Joseph Conrad, con la sua
magica penna è riuscito a darci quasi
una foto di quello che erano quei
tempi.
Fino alla Prima Guerra Mondiale, un
secolo fa, i luoghi più sperduti del
globo venivano toccati ancora grazie
alle navi a vela, dato che con il vapore
non si poteva affrontare per ragioni di
economia e mancanza di punti di
rifornimento per il carbone nell’allora
terzo e quarto mondo.
Il Belem, rimane in assoluto l’ultimo
testimone di quei tempi e di quella
storica navigazione che venne a finire
anche con lo sviluppo del mondo
moderno e l’affermarsi dei Canali di
Suez e di Panama.
Cap. Riccardo Roemer
14
A.LP.
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
LE “INDUSTRIALI” DI PIAZZA BRENNERO
La generazione del dopoguerra tra nuova cultura e bisogno di lavorare
V
illapiana è sempre stato un
quartiere popolare con elevata
percentuale giovanile. Al centro, un
tempo, c’era la Scarpa & Magnano,
fabbrica che prima del passaggio alla
Montedison contava oltre 1200
dipendenti. In quel periodo, buona
parte delle maestranze (già presente
nel pre-bellico) era composta da
militanti antifascisti. Otto anni dopo la
fine della guerra, i numerosi ex
combattenti reduci dalla lotta di
Liberazione ed il sindacato, erano
ancora costretti a difendersi dalle
discriminazioni politiche del nuovo
padronato. I bambini del quartiere,
inconsapevoli, crescevano respirando
quell’aria particolare. Aria che
influenzava, inevitabilmente, l’intera
città. Il ricordo dell’olio bruciato, gli
echi delle macchine che producevano
interruttori a bassa, media ed alta
tensione, i messaggi scritti a caratteri
cubitali, le immagini dei vari
personaggi politici del momento,
entravano a far parte della loro cultura.
Una fabbrica modello
Sul piano professionale, era
riconosciuta da tutti come una
fabbrica molto qualificata e quindi
tenuta in alta considerazione. I titolari
ne andavano fieri. Di Giovanni Scarpa
si racconta che nutrisse un particolare
interesse per le giovani generazioni.
Attingeva tra i migliori alunni dell’Itis
di piazza Brennero, per inserirli nel
ciclo produttivo. Intanto le conseguenze della guerra, ancora vive nella
memoria della gente, condizionavano
economicamente le famiglie. La
possibilità per i genitori di mantenere i
figli nel difficile percorso di studi
pesava e imponeva limiti al loro tenore
di vita. Situazione constatabile dal
loro comportamento e dagli umili
costumi. Anche la mentalità risultava
proporzionale ai sacrifici, alle
privazioni.
A distanza di tanti anni e in condizioni
ben diverse si possono, affettuosamente, ricordare quei tempi, parlarne
con simpatia e rispetto, e perché no,
anche con un po’ di ilarità.
molte di loro, la meta di un diploma
per il proprio figlio, rappresentava la
massima aspirazione. D’altra parte, a
quei tempi, non era ancora consentito
l’accesso all’Università, come non vi
era la scuola dell’obbligo, per cui, i più
sfortunati dovevano fermarsi
all’avviamento. Ma urgeva trarne
profitto, il più presto possibile, per
entrare nel mondo del lavoro. Molti
ragazzi provenivano anche dalla
provincia, persino dal basso
Piemonte, una marea che al mattino
colmava le strade di Villapiana. Tre
anni di avviamento e cinque di
indirizzo professionale. Per molti,
purtroppo, i primi tre potevano
significare la conclusione degli studi.
Itis scuola di vita
Nel 1934 viene inaugurata, in piazza
Brennero, la Regia Scuola Tecnica
Industriale “Paolo Boselli”, su un
progetto del 1930. Il 4 luglio 1941, con
D.R., prende il nome di Regio Istituto
Industriale, successivamente
intitolato ad Alessandro Mussolini.
Appena terminata la guerra, il 14
maggio 1945, viene intitolato a
Galileo Ferraris, scienziato, ingegnere
e fisico.
Nel 1947, anch’io, come tanti altri
ragazzi, entro a far parte della grande
famiglia dell’Itis. La maggior parte
degli studenti proviene da famiglie
povere, prevalentemente operaie. Per
Come eravamo
Vestivamo come potevamo. Ora
possiamo anche sorriderne, allora una
condivisa solidarietà mascherava la
comune condizione. La miseria, celata
da un dignitoso pudore, ne limitava
l’importanza. Generalmente,
nonostante la varietà dei colori e delle
taglie che non corrispondevano mai,
vestivamo in modo sobrio preoccupati
più di non patire il freddo che di
sfigurare. Il più delle volte si trattava
di abbigliamento dismesso dal padre o
da un fratello maggiore. Calzoni con
cuciture seminascoste e inevitabile
toppa posteriore. Spesso corti sotto al
ginocchio, nella migliore delle ipotesi
Anno XIV n°72 - Marzo 2014
alla zuava,
raccolti sopra al
polpaccio
tramite asola e
bottone oppure
con elastico.
Alcuni potevano
averli lunghi (i
più grandi), ma
sempre usati,
destinati a finire
regolarmente
sotto il tacco
delle scarpe.
C a l z e
o
calzettoni di
lana, fatti dalla
nonna, che si
arrotolavano
sopra alle
caviglie. Scarpe,
un tempo lucide,
portate dal padre
nel giorno del
suo matrimonio,
diventate opache
con qualche
crepa marginale
e con probabile orifizio sotto la suola.
Ricordo che, per uno dei tanti
compagni di percorso, quel problema
era un dramma. Ultimo di quattro
fratelli, il padre cameriere dalle scarse
possibilità, venne a trovarsi con le
scarpe ridotte a tal punto da doverle
gettare nell’immondizia. La madre,
disperata, che fa? Ne prende un paio
delle sue, e con un colpo ne trancia il
tacco a spillo. Il ragazzo si recherà a
scuola con andatura ballerina ma
almeno non a piedi nudi.
Che look, come si dice oggi, in quegli
anni. Maglioni di lana grezza, sempre
lunghi, che coprivano le mani.
Giacche facilmente accessoriate da
una protezione di velluto nero sui
gomiti, per attenuarne l’usura. Le
cartelle erano normalmente di cartone
pressato, dopo un po’ bisognava
cinturarle per assicurarne la chiusura.
Al loro interno si alternavano libri di
seconda, a volte di terza mano,
rivestiti con fogli di giornale per una
più lunga conservazione.
Compagni indimenticabili
C’è un altro compagno di classe che
ricordo con piacere. Corporatura
tarchiata, capelli ispidi a mo’ di riccio,
aria apparentemente afflitta,
tratteggiata, ogni tanto, da un timido
sorriso. Per lui, ero l’amico con il
quale sfogarsi, il suo modo di fare
celava un grande cuore. Nei nostri
incontri si parlava di un po’ di tutto,
dai mali del mondo alle marachelle,
diciamo così, che ci avevano visto
protagonisti ai tempi dell’Itis.
Purtroppo, proprio in questi giorni, ho
saputo della sua scomparsa.
Il mistero del panino
Ad uno di quelli che venivano da fuori
provincia, è legato il mistero, mai
svelato, dei panini tranciati. Veniva
ogni giorno da Spigno, viaggiava sulle
carrozze di terza classe color marrone
scuro, ad ogni fila di posti una porta di
accesso. Su ognuna, le FF.SS.,
avevano pensato bene di fissare un
grosso numero 3, forse per distinguerle dalle altre due classi, anche se erano
inconfondibili. La prima classe, sedili
in velluto, aveva addirittura i
poggiatesta con le foderine in lino
bianco. Un lusso vietato ai più, anche
se qualcuno provava a sostarci prima
di essere cacciato dallo spietato
controllore.
Quel compagno di scuola, portava
sulle spalle una cartella gigante piena
di libri ma dalla quale spuntavano le
estremità di un enorme filone di pane
rigorosamente farcito con frittata o
salame. Era il suo pranzo. Lo
mangiava, con sana avidità, nel tempo
libero prima delle lezioni pomeridiane. Lo divorava anche un pomeriggio,
durante la proiezione di un film
western al mitico “pigugin”, come era
A.LP.
15
definito il cinema Moderno di via
Boselli. Una vera topaia. Fatto è che,
fattosi largo in mezzo alla folla di
spettatori per arrivare ai secondi posti,
cioè quelli più economici, al suo filone
mancavano sempre le punte emergenti
dalla cartella. Trascorso oltre mezzo
secolo il caso è rimasto insoluto.
Un morettino dai capelli ricci, che
piaceva tanto a mia mamma, oggi è un
sacerdote apprezzato per la sua
propensione ai problemi della povera
gente. Avevamo concezioni diverse
della vita che non hanno impedito una
solida amicizia. Tenute sempre sul
binario del dialogo hanno trovato
sempre convergenze condivisibili.
Ho citato solo alcuni ricordi personali,
paragonabili a tanti altri, per dire che
quella Scuola straordinaria ha formato
molti giovani della nostra generazione. Quell’Istituto, severo e umano
nello stesso tempo, l’ha dotata di
carattere, senso del dovere, professionalità, seppur armata solo di speranze.
I tempi, da allora sono molto cambiati.
Le condizioni, la mentalità, la società
non sono più le stesse. Altri ricordi si
ripetono per i nuovi studenti, ma credo
che la Scuola del dopoguerra, proprio
per le condizioni nelle quali ha svolto
le sue funzioni meriti un’attenzione
particolare. A conferma che talvolta il
passato contiene più futuro di quanto
non ne contenga il presente.
Cap. Claudio Tagliavini
Pannello in ceramica realizzato da
Renato Geido per uno dei Muretti
degli Artisti di Villa Cambiaso