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I LUNEDÌ DEL CINEMA
settembre/dicembre 2008
rassegna di cinema internazionale d’autore
www.lunedicinema.com
dal 15 settembre al 22 dicembre 2008
Spettacoli ore 20.15 e 22.15
Circolo Arci Xanadù Cinema Gloria Via Varesina 72 Como 031 449 108 0
LUNEDÌ DEL CINEMA - I FILM
Spettacoli ore 20.15 e 22.15
Ingressi Intero € 7.00 - Soci Arci € 5.00 – Ridotto (studenti - over 65) € 4.00 Tessera 20 film a scelta su 27 (lunedì e mercoledì) € 60 - Tessera 10 film a scelta € 35
Lunedì 15 settembre
spettacolo unico ore 21
IL DIVO di Paolo Sorrentino
Italia 2008
Lunedì 22 settembre
LA BANDA di Eran Kolirin
(Bikur Ha-Tizmoret) Israele/Francia 2007
Lunedì 29 settembre
LONTANO DA LEI di Sarah Polley
(Away From Her) Canada 2006
Lunedì 6 ottobre
LA ZONA di Rodrigo Plà
(La zona) Spagna/Messico 2007
Lunedì 13 ottobre
LA FAMIGLIA SAVAGE di Tamara Jenkins
(The Savages) Stati Uniti 2007
Lunedì 20 ottobre
UNA BALLATA BIANCA di Stefano Odoardi
Italia/Olanda 2006
Lunedì 27 ottobre
IL TRENO PER IL DARJEELING di Wes Anderson
(The Darjeeling Limited) Stati Uniti 2007
Lunedì 3 novembre
SOTTO LE BOMBE diPhilippe Aractiingi
(Sous les bombes) Francia,/Gran Bretagna/Libano 2007
Lunedì 15 settembre
IL DIVO
di Paolo Sorrentino
Regia: PAOLO SORRENTINO Sceneggiatura: GIUSEPPE
D’AVANZO, PAOLO SORRENTINO Fotografia: LUCA
BIGAZZI Montaggio: CRISTIANO TRAVAGLIOLI
Scenografie: LINO FIORITO Personaggi e interpreti:
Giulio Andreotti TONI SERVILLO, Paolo Cirino
Pomicino CARLO BUCCIROSSO, Signora Enea PIERA
DEGLI ESPOSTI, Franco Evangelisti FLAVIO BUCCI,
Vittorio Sbardella MASSIMO POPOLIZIO, Livia
Andreotti ANNA BONAIUTO.
ITALIA 2008 - 110 minuti
Festival Di Cannes 2007 Premio Speciale della Giuria
Finalmente il cinema italiano acuisce lo sguardo sulla
realtà, sociale, politica e culturale, senza mezzi
termini. Emerge la capacità di affrontare con coraggio
temi scomodi e difficili, aprendo gli occhi e additando
le cose, innovando al contempo il linguaggio filmico, in
una ricerca stilistica indispensabile per dare forma
compiuta a quei contenuti e a quelle analisi, con un
limpido sguardo contemporaneo. Sorrentino affronta
l'inaffrontabile. Dare forma compiuta al ritratto
dell'uomo più importante e più misterioso dell’intera
storia repubblicana: Giulio Andreotti, oltre
sessant’anni di vita politica, una vita segnata da
un’impressionante connivenza con tutte le vicende
che hanno fatto l’Italia. Una figura colossale,
ingombrante e sfuggente al contempo. Paolo Sorrentino trova la forma cinema perfetta per materializzare
in immagini il divo Giulio ed il suo mondo, la sua
persona e il suo pensiero, arrivando ad aprire squarci
di luce sulla sua anima. Lo fa con un linguaggio
fortemente metaforico, una struttura che pur narrando
precisi fatti storici si fa in qualche modo atemporale,
mettendo in scena lo spettacolo del potere in modo
scioccante e geniale, fino a renderlo universale. La
sceneggiatura raggiunge momenti di lucida e
chiarificatrice verità, non tanto dicendo più di quello
che i fatti possono provare, ma mostrando nei modi
dell'acuto e sagace Andreotti tutto l'orrore e lo
sconcerto per come abbia attraversato, quasi indenne,
tutto il male della nostra storia recente. Il suo compito
non è assolvere o condannare un uomo, ma svelarne lo
stile, il modus operandi, portando lo sguardo sempre più
vicino, fin dentro alla sua essenza, che è l'essenza
stessa del potere. E attraverso questo svelamento, ci
scuote, ci porta ad interrogarci, a capire di più, a volere
capire di più.
NOTE DI Paolo Sorrentino
Mi sono affannato a cercare un piano umano di Giulio
Andreotti che difficilmente viene fuori, e forse, quello
che di umano si evince nel film sono solo deduzioni mie.
Tra l’altro detesto quelli che sostengono che i registi non
dovrebbero mai prender posizione. E’ un alibi, e mi sono
stancato di sentirlo dire, io credo che una posizione
bisogna prenderla, soprattutto quando in un modo o
nell’altro si affrontano fatti che coinvolgono molti. In
altri paesi in cui ci sono stati dei misteri si è poi giunto ad
una verità. Da noi i misteri sono ancora tali, ed è meno
facile farne un film … Nelle due volte in cui ci siamo visti
lui ha parlato per tre ore senza raccontare nulla di
significativo. Lui è un grande conversatore, salta da un
argomento all’altro, e poi, proprio mentre tu magari ti
stai assopendo se ne esce con una frase che vuole farti
capire che lui ha accesso a un mondo a cui tu non
accederai mai. Ci tiene a farti intuire che questo mondo,
magari, tu non sai neanche che esiste. Sa farti capire
che lui le cose le sa con largo anticipo…Girando questo
film ho scoperto che la DC, che sembra un mondo molto
noioso, è invece molto divertente. Si davano soprannomi
fra di loro... Di base poi ho fatto di tutto per spettacolarizzare, in senso alto, qualcosa che avevo paura fosse
noioso. Allora ho lavorato molto sul montaggio e il
suono. Qui trovo meglio coniugati forma e contenuto,
mentre nel film precedente la ricerca formale era fin
troppo preponderante.
PAOLO SORRENTINO (Napoli, Italia, 1973)
Ha scritto per il cinema e la televisione. E’ autore di
cortometraggi, vincitore del Premio Solinas con
DRAGONCELLI DI FUOCO (1997), nel 1998 ha diretto il
corto L'AMORE NON HA CONFINI. Con UN UOMO IN
PIÙ (2001) ha debuttato come autore di lungometraggi,
vincendo diversi premi, tra cui il Nastro d’argento per
l’opera prima e il Ciak d’oro per la sceneggiatura. Nel
2004 si rivela al pubblico con LE CONSEGUENZE
DELL'AMORE e nel 2006 con L’AMICO DI FAMIGLIA.
Lunedì 10 novembre
MARS - DOVE NASCONO I SOGNI di Anna Melikian
(Mars) Russia 2006
Lunedì 17 novembre
L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN VACANZA di Cao Hamburger
(O ano em que meus pais saíram de férias) Brasile 2006
Lunedì 24 novembre
INTERVIEW di Steve Buscemi
(Interview) Stati Uniti 2007
Lunedì 1 dicembre
ALEXANDRA di Aleksandr Sokurov
(Alexandra) Russia 2006
Lunedì 8 dicembre
INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO di Elio Petri
Italia 1970
Lunedì 15 dicembre
NOI DUE SCONOSCIUTI di Susanne Bier
(Things We Lost in the Fire) Stati Uniti/Gran Bretagna 2007
Lunedì 22 dicembre
FILM ANTEPRIMA
Presentazione de I LUNEDì DEL CINEMA Gennaio/Maggio 2009
FUMETTANDO
26
27
28
SETTEMBRE
2° convention mostra mercato del fumetto
VENERDÌ 26
ore 17.30
INAUGURAZIONE dell’esposizione di tavole originali di Sergio Toppi,
presso la Biblioteca Comunale di Como.
ore 18.00 APERTURA DELLA MOSTRA MERCATO del fumetto presso gli spazi del
Cinema Gloria.
ore 19.30 PROGETTO Aperitivo di apertura e presentazione del progetto DISEGNI
PAZZI.
ore 21.30 INCONTRO con Claudio Villa.
ore 23.00 FILM TEKKON KINKRETT di Michael Arias (Giappone 2007 - 111 minuti).
SABATO 27
ore 17.30 INCONTRO/PERFORMANCE CONTAMINAZIONI: LE NUOVE STRADE DEL
DISEGNO con Squaz, Blu, Dr. Pira, Thomas Ott, Dem ed i giovani autori
comaschi.
ore 21.30 SPETTACOLO DR. JEKYLL spettacolo basato sulle tavole originali di
Mattotti/Kramsky, con accompagnamento musicale dal vivo di Fabrizio
Ostani.
ore 23.00 FILM PERSEPOLIS di Marjane Satrapi (Francia/Stati Uniti 2007 - 95 minuti).
DOMENICA 28
ore 10.30 LABORATORIO di fumetto con Squaz, Stefano Misesti, Stefano Palumbo,
presso gli spazi del Cinema Gloria.
ore 17.30 PERFORMANCE Blu dipinge sulla parete del Cinema Gloria (con musica
e bar).
ore 19.30 PROIEZIONE: selezione da ANTISTORIA DEL FUMETTO ITALIANO di
Stefano Misesti, Stefano Pistolini, Massimo Salvucci e Matteo Stefanelli.
INCONTRO con Thomas Ott.
ore 21.30 FILM KEN IL GUERRIERO. LA LEGGENDA DI HOKUTO di Takahiro
Imamura (Giappone, 2006 - 90 minuti).
Lunedì 22 settembre
LA BANDA
(Bikur Ha-Tizmoret)
di Eran Kolirin
Regia: ERAN KOLIRIN Sceneggiatura: ERAN KOLIRIN
Fotografia: SHAI GOLDMAN Montaggio: ARIK LAHAV
LEIBOVITZ Scenografie: EITAN LEVI Musiche: HABIB
SHEHADEH HANNA Personaggi e interpreti: Tewfiq
SASSON GABAI, Dina RONIT ELKABETZ, Haled SALEH
BAKRI, Simon KHALIFA NATOUR, Camal IMAD
JABARIN.
ISRAELE/FRANCIA 2007 - 90 minuti
Festival di Cannes 2007 Un Certain Regard Premio
Coup De Coeur - Munich Film Festival 2007 Premio
Del Pubblico - Zurich Film Festival 2007 Miglior
Opera Prima
La banda musicale della polizia di Alessandria d'Egitto
viene invitata a suonare all'inaugurazione del centro
culturale arabo di una cittadina israeliana.
All'aeroporto di Tel Aviv il pragmatico direttore
d'orchestra e colonnello Tewfiq decide di raggiungere
il luogo con un autobus locale. Arrivato nella remota e
desertica cittadina capisce che, per un difetto di
pronuncia, ha sbagliato destinazione. Non si trova nella
moderna Petah Tikva, bensì nell'arida Bet Hatikva.
Poiché non c'è modo di andarsene da lì, una sola
corriera passa una volta al giorno, la banda è costretta
a rimanerci per una notte. La straniante situazione li
porterà a spogliarsi delle loro uniformi, innescando con
gli abitanti del luogo, sul sottofondo della reciproca e
astiosa diffidenza tra arabi ed ebrei, inattese possibilità
di comunicazione. E’ questo il senso profondo della
lieve e delicata novella dell’esordiente israeliano Eran
Kolirin, che con un racconto ricco di valore, trova un
modo del tutto originale e sorprendente per parlare del
suo paese e del perenne conflitto con il mondo arabo.
Lo fa con umorismo, sentimento e nostalgia, utilizzando
un linguaggio delicato e suadente, che muove da tutto
quello che si cela dietro le rispettive uniformi, per
portare in primo piano quello che in verità accomuna
tutti gli esseri umani. Anche per questo il collante del
racconto è la musica, il linguaggio tramite il quale si
aprono inediti squarci di sentimenti affratellanti, di cui è
immagine emblematica la danza delle mani del
colonnello, che muovendosi sinuosamente nell'aria
mostrano alla locandiera come si dirige un'orchestra.
Al di là delle divergenze culturali e delle barriere
linguistiche c'è la musica, ed ovviamente l'amore.
NOTE di Eran Kolirin
Quando ero ragazzino, la mia famiglia ed io avevamo
l’abitudine di guardare i film egiziani. Negli anni ottanta,
questa era una consuetudine tipica delle famiglie
israeliane. Di venerdì, nel tardo pomeriggio, noi assistevamo con il fiato sospeso agli amori impossibili e alle
terribili sofferenze di Omar Sharif, Pathen Hamama,
I’del Imam nell’unico canale televisivo della nazione. In
realtà, era una cosa piuttosto strana per un Paese che
aveva passato metà della sua esistenza in uno stato di
guerra con l’Egitto.. I film arabi sono ormai scomparsi
da molto tempo dai nostri schermi. In seguito, Israele ha
costruito il nuovo aeroporto, dimenticando di tradurre i
segnali stradali in arabo. Tra le migliaia di negozi che
sono stati costruiti lì, non si è trovato alcuno spazio per
questa strana e sinuosa scrittura, che è la madrelingua
di metà della nostra popolazione. E’ semplice dimenticare le cose. Col tempo, abbiamo dimenticato anche noi
stessi… Molti film hanno affrontato le ragioni per cui
non esiste la pace nella regione, ma mi sembra che
siano stati pochi quelli che si sono posti la domanda
“perché abbiamo bisogno della pace?”. Abbiamo perso
le cose più naturali, impegnati come eravamo nelle
conversazioni incentrate solo sui vantaggi e gli interessi
economici. Quello che è certo, è che abbiamo perso
qualcosa in questo percorso e abbiamo dimenticato il
legame tra gli esseri umani e la magia della conversazione.
ERAN KOLIRIN (Haifa, Israele, 1973)
Il primo lavoro di Eran Kolirin per il cinema è stato lo
script del film ZUR - HADASSIM grazie al quale si è
aggiudicato il premio Lipper per la miglior sceneggiatura al Festival cinematografico di Gerusalemme nel
1999. Nel 2004 ha scritto e diretto THE LONG JOURNEY,
un film per la televisione. LA BANDA è il primo film di
Kolirin per il cinema. Attualmente, sta scrivendo il suo
secondo film, che si intitolerà PATHWAYS IN THE
DESERT.
Via Milano 16 - Como - 031 267 344 b- fax 260 246
[email protected]
Lunedì 29 settembre
mento visivo essenziale alla messa in scena di un film
prezioso che pone domande universali.
Lunedì 13 ottobre
LONTANO DA LEI
di Sarah Polley
(Away from Her)
NOTE di Sarah Polley
Mi ha spaventato molto non recitare, perché è in ogni
modo un lato della mia carriera in cui ho messo molto
impegno, e due anni fuori dagli schermi possono
nuocere, ma sono stata ottimista e ho pensato che si
potessero fare entrambe le cose in modo paritario. Il
racconto della Munro mi affascinava perché narra di
un amore incondizionato. Penso sia davvero qualcosa
di più di una storia d'amore, quasi una specie di ordalia
umana a settant'anni. I protagonisti scoprono se stessi
e quello di cui sono capaci proprio alla fine della loro
vita insieme. Per comprenderli meglio, dall'inizio delle
riprese ho cercato di fare amicizia con persone della
generazione dei miei nonni, ed è stato molto strano. Ho
passato molto tempo nell'ospizio di mia nonna e ho
letto tantissimi libri sull'Alzheimer, ma nulla è
paragonabile ai mesi passati a parlare direttamente
con le persone... Ho sempre avuto amici di età diverse,
anche molto più grandi di me, come Julie Christie od
Olympia Dukakis, ma comprendere davvero quello che
può pensare un individuo di quell'età è stata una reale
sfida.
LA FAMIGLIA SAVAGE
di Tamara Jenkins
(The Savages)
Regia: SARAH POLLEY Sceneggiatura: SARAH POLLEY
dal racconto "L'orso attraversò la montagna" di ALICE
MUNRO Fotografia: LUC MONTPELLIER Montaggio:
DAVID WHARNSBY Musiche: JONATHAN GOLDSMITH
Personaggi e interpreti: Fiona Andersson JULIE
CHRISTIE, Grant Andersson GORDON PINSENT, Marian
OLYMPIA DUKAKIS, Aubrey MICHAEL MURPHY, Kristy
KRISTEN THOMSON, Dr. Fischer ALBERTA WATSON.
CANADA 2007 - 110 minuti
Fiona e Grant, sono una coppia sposata da quarant'anni,
ma quando a Fiona viene diagnosticato l'Alzheimer, i due
sono costretti a separarsi per la prima volta dopo molti
anni di felice convivenza amorosa. Quando Fiona entra in
casa di cura l’alternata dissolvenza della memoria la porta
a dimenticarsi di lui, a vivere come da lontano i sentimenti
e i ricordi della loro vita comune... Sarah Polley è da quasi
un decennio una delle interpreti più sensibili del panorama
internazionale, il prototipo dell’attrice che sceglie con
attenzione le proprie apparizioni, aderendo solo a progetti
che la coinvolgono umanamente. Il suo primo film è della
stessa qualità che ha contraddistinto il suo lavoro di
attrice. “Away from Her”, adattamento del racconto
"L'orso attraversò la montagna" di Alice Munro, è la
traduzione in regia del suo sistema interpretativo e di
valori. La giovane regista, ventotto anni di incredibile
maturità, dispiega il racconto con tutta la delicatezza e il
pudore possibile. Una regia attenta, supportata da
intensissime interpretazioni e illuminata dallo splendore
senile di Julie Christe, segue il progressivo distacco della
coppia, raccontando i due processi antitetici che li
travolgono. Grant assiste impotente alla propria
dissolvenza dalla psiche di Fiona, fino al momento in cui lei
quasi non lo riconosce, totalmente immobile al cospetto
della mente mobilissima di lei, che rimuove o ritrova di
volta in volta frammenti della loro lunga vita in comune.
Sarah Polley attenta ai mezzi toni e a tutte le sfumature del
caso, senza negarsi nemmeno qualche sorriso ed un velo
di vitale ottimismo, ci parla di sentimenti vivi, di corpi e
menti nello sfumare dell’esistenza, sullo sfondo immenso
del paesaggio innevato dell’inverno canadese, completa-
Lunedì 6 ottobre
LA ZONA
di Rodrigo Plà
(La zona)
Regia: RODRIGO PLÁ Sceneggiatura: LAURA
SANTULLO Fotografia: EMILIANO VILLANUEVA
Montaggio: BERNAT VILAPLANA, ANA GARCÍA
Scenografie: ANTONIO MUÑOHIERRO Musiche:
FERNANDO VELÁZQUEZ Personaggi e interpreti: Daniel
DANIEL GIMÉNEZ CACHO, Mariana MARIBEL VERDÚ,
Gerardo CARLOS BARDEM, Alejandro DANIEL TOVAR,
Miguel ALAN CHÁVEZ.
SPAGNA/MESSICO 2007 - 95 minuti
Festival di Venezia 2007 Premio Miglior Opera Prima
Festival di Toronto 2007 Premio Internazionale della
Critica
Alejandro è un adolescente privilegiato che vive nella
“Zona”, quartiere benestante nel centro di Città del
Messico, protetto da guardie private e circondato da
alte mura. Oltre quei confini e quel filo spinato c’è la
miseria delle favelas. Tre ragazzi riescono a penetrare
nella Zona per introdursi a rubare in una delle case. La
rapina finisce male e un’anziana donna muore. Due
giovani rapinatori sono uccisi. Il terzo, Miguel, riesce a
fuggire, ma non a lasciare la Zona. I residenti si
riuniscono per decidere il da farsi. La maggioranza
decide di farsi giustizia da sola. Miguel, nel frattempo,
ha trovato rifugio nella cantina di Alejandro che,
scoprendolo, non sa che decisione prendere... Primo
lungometraggio del messicano d’adozione Rodrigo Plá,
“La Zona” è un film composto di diverse e variegate
sfaccettature, uno stile e un tono che rieccheggia il
noir, l’apologo sociale, l’indagine neorealista,
incentrato su una grande idea forza: l’universo urbano
contemporaneo diviso compartimenti stagni che
quando casualmente si rompono, esplicita l’inedito
incontro con l’altro da sé. Il centro del racconto risiede
nel confronto, viso a viso, tra Alejandro e Miguel.
L’occasione per Alejandro di vedere i confini del suo
ghetto, di vedersi confinato in una prigione dorata fatta
di viali alberati e ville monofamiliari, da difendere con
SARAH POLLEY (Toronto, Canada, 1979)
Figlia d’arte, il padre attore e la madre direttrice di
casting, Sarah Polley esordisce al cinema ad appena
cinque anni, ma il primo ruolo in una produzione
prestigiosa è del 1988 con LE AVVENTURE DEL
BARONE DI MUNCHAUSEN di Terry Gilliam. Il primo
riconoscimento internazionale è nel 1997 grazie a IL
DOLCE DOMANI di Atom Egoyan, che l’aveva già
diretta in EXOTICA. Con David Cronenberg, EXISTENZ
nel 1999, per proseguire con IL MISTERO DELL’ACQUA
di Kathryn Bigelow nel 2000 e LE BIANCHE TRACCE
DELLA VITA di Michael Winterbottom. Nel 2003
l’incontro con la regista spagnola Isabel Coixet che la
dirige in LA MIA VITA SENZA ME e tre anni dopo in LA
VITA SEGRETA DELLE PAROLE. Autrice di diversi
cortometraggi realizza con AWAY FROM HER il suo
primo lungometraggio.
la forza. Una dolorosa presa di coscienza, un percorso
di iniziazione alla vita vera che Rodrigo Plá, coerentemente con il suo assunto, mette in scena con uno stile
caotico e controllato al contempo. Come la sinistra
convivenza di uomini e luoghi apparentemente
rispettabili che invece nascondono paure e furori
inconfessabili. Come il contrasto netto tra due mondi
che non possono più comunicare tra loro. Alejandro si
pone alla ricerca di un altro ordine, fuori dall’illusoria
oasi di benessere, aprendo il conflitto con la generazione disillusa e indurita dei "padri" che si sono autoreclusi.
NOTE di Rodrigo Plà
La Zona è un “personaggio” a sé stante, il protagonista
principale di questo film. Mi interessava scavare a
fondo in quello che succede dentro ad universi chiusi,
governati dal terrore, che finiscono per inventarsi
regole a proprio uso e consumo, senza curarsi della
legge. Mi interessava esaminare il modo in cui le regole
morali, le nozioni fondamentali di rispetto e coesistenza,
degenerino gradualmente in forme di comportamento
primitive dove “l’altro”, il ladro, l’estraneo non è più
visto come una persona, ma semplicemente come un
nemico che deve essere distrutto. Era mia intenzione
fare in modo che la struttura del film funzionasse come
un canto corale, una polifonia di voci e personaggi, un
tutto organico che attraverso la propria incapacità di
guardare fuori e riconoscere le proprie contraddizioni e i
propri fallimenti, pianta il seme della sua
autodistruzione…Mi è parso essenziale sfruttare l’uso
delle telecamere a circuito chiuso per creare
un’impressione di sorveglianza costante, per rafforzare
un’atmosfera di paranoia, con i residenti che aspettano
l’attacco imminente. Quella stessa paranoia li porta ad
adottare un comportamento totalizzante, da branco.
Attraverso la diversa qualità delle immagini sono
riuscito a creare un modo per distinguere il “dentro”
dal “fuori”, enfatizzando all’interno della Zona l’idea di
un mondo idilliaco, pulito, così perfetto da sembrare
una scenografia, falsa ed ipocrita.
RODRIGO PLÁ (Montevideo, Uruguay, 1968)
Uruguayano di nascita e messicano di adozione, ha
studiato fotografia, sceneggiatura e regia presso il
Centro de Capacitación Cinematográfica a Città del
Messico dove vive e lavora. L’esordio alla regia avviene
nel 1988 con il corto MOIRA. Tra il 1995 e il 2000 realizza
NOVIA MIA e EL OJO EN LA NUCA (miglior cortometraggio straniero, Student Academy Awards 2001). LA ZONA
è la sua opera prima come lungometraggio.
Viale F.lli Rosselli 13 - Como - telefono 031 570 445
www.unipolcomo.it
Regia TAMARA JENKINS Sceneggiatura TAMARA
JENKINS Fotografia MOTT HUPFEL Montaggio BRIAN
A. KATES Musiche STEPHEN TRASK Personaggi e
interpreti Wendy Savage LAURA LINNEY, Jon Savage
PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, Lenny Savage PHILIP
BOSCO, Larry PETER FRIEDMAN, Jimmy GBENGA
AKINNAGBE, Kasia CARA SEYMOUR.
STATI UNITI 2007 - 114 minuti
I fratelli Jon e Wendy Savage hanno due vite separate
ormai da molto tempo. Lui insegna a New York e sta
scrivendo un saggio sul dramma borghese. Lei invece
vorrebbe veder realizzata la prima commedia a teatro,
ma nel frattempo sbarca il lunario lavorando come
segretaria nell’East Side. Le loro vite si incontrano di
nuovo quando scoprono che il loro padre, Jon, ha il
morbo di Parkinson…
Un melodramma dai toni soffusi che non si perita di
nascondere l’imbarazzo e la pena dei figli davanti alla
malattia del proprio genitore: imbarazzo nello scoprire
la propria animosità al ricordo delle sue mancanze e
imperfezioni e pena per la sofferenza che sta vivendo.
Ma soprattutto colpa, nell’ammettere a se stessi di
non riuscire veramente a volergli bene come si
dovrebbe ad un padre e per non averlo ancora
perdonato. Dai dialoghi e dalle situazioni, infatti,
trapelano efficacemente sfumature e atteggiamenti
caratteriali dei due protagonisti coinvolti, ma senza
mai appesantire, volgendo semmai il ritmo narrativo
sul versante della commedia. Tamara Jenkins affronta
il tema in modo adulto, crudo, realista con una buona
dose di ironia e tantissima umanità.
La sua scrittura è diretta, non ci porta in nessun mondo
fantastico o enigmatico. I suoi personaggi sono persone
reali, ricche, complesse, sfaccettate, piene di contraddizioni, incapaci di affrontare la vita. Il rapporto che
s'instaura tra loro, complice la comune sofferenza per il
padre, è descritto con cura ed eleganza nella sceneggiatura firmata dalla stessa Jenkins. I buoni dialoghi
sono supportati in maniera esemplare dalla recitazione
di entrambi gli attori. Grande Hoffman nel ruolo di un
fratello nevrotico e sfiduciato nei confronti della vita.
Ancor più grande l’interpretazione della Linney, che con
la sua “debolezza” riesce a fronteggiare con orgoglio il
carattere cinico del fratello.
NOTE di Tamara Jenkins
Non intendevo, con la rappresentazione della famiglia
che ho dato nel film, mostrare una situazione contemporanea della famiglia, oggi meno unita di quanto poteva
essere nel passato. Ma è vero che oggi la realtà è più
simile a quella che ho descritto, anche se il mio
desiderio principale era quello di raccontare i personaggi che ho creato per questa storia, il loro viaggio
attraverso la malattia che gli permette di rivedersi come
esseri tridimensionali e non più come stereotipi
familiari. Alla fine di questa esperienza, entrambi
riescono a riappropriarsi della loro vita.
TAMARA JENKINS Philadelphia, Stati Uniti, 1962
Tamara Jenkins si trasferisce ben presto a Beverly Hills
con il padre e i due fratelli in seguito alla separazione
dei genitori. Si sposta a Boston con un fratello e poi a
New York, dove si laurea in Cinema e molto presto inizia
a calcare i palcoscenici. Dal teatro d'avanguardia di
New York passa al grande schermo. Ma presto anche il
ruolo di attrice le sta stretto: la Jenkins decide di
passare alla scrittura e alla regia, prima di
cortometraggi per la televisione e poi di lungometraggi.
Il suo esordio dietro la macchina da presa, L'ALTRA
FACCIA DI BEVERLY HILLS (1999), prodotto da Robert
Redford e molto apprezzato al Sundance Film Festival, è
la commedia semi-autobiografica che la consacra
come uno dei più promettenti talenti del panorama
indipendente americano. Dopo il successo di critica del
film, la regista si dedica ancora alla scrittura
pubblicando su diverse riviste letterarie. A quasi dieci
anni di distanza dal suo primo film, torna dietro la
macchina da presa per dirigere LA FAMIGLIA SAVAGE.
Lunedì 20 ottobre
UNA BALLATA BIANCA
di Stefano Odoardi
Regia: STEFANO ODOARDI Sceneggiatura: STEFANO
ODOARDI, KEES ROORDA Fotografia: TAREK Montaggio: STEFANO ODOARDI, TAREK Scenografie: FRANCA
DE MARTIS Musiche: CARLO CRIVELLI Interpreti:
NICOLA LANCI, CARMELA LANCI, SIMONA SENZACQUA.
ITALIA/OLANDA 2007 - 80 minuti
In un appartamento, la vita di una coppia di anziani,
marito e moglie, si svolge come un vecchio giradischi:
lenta e meccanica. La donna non può vivere a lungo.
Soffre di una malattia mortale. Evitano di parlarne.
Sono silenziosi. Lo sono sempre stati ma ora lo sono
ancora di più. Le parole non possono più esprimere
significati. La presenza della morte rende importante
e definitiva ogni minima interazione tra la coppia
d'anziani. “Una Ballata Bianca” è un viaggio
cinematografico di parole e immagini sull’isolamento,
sulla decadenza e sull’amore, sulla complessa e
incomprensibile dimensione tra la vita e la morte. “Io
parto dal presupposto che il film diventi una poesia.
Una ballata di vuoto. Non un vuoto disperato ma un
vuoto sottile”. Così afferma Stefano Odoardi, abruzzese di nascita ma da anni oscillante fra Italia e Olanda
che, al di là di una proficua attività di cortista con
consensi in alcuni dei migliori festival internazionali, è
autore anche di diverse videoinstallazioni e di opere
sospese tra cinema e arte visiva. Come la sua vita il
suo film è un’opera di confine, sospesa fra due mondi
e due culture. Tratto dall’omonimo testo teatrale
dell’attore e drammaturgo olandese Kees Roorda,
“Una ballata bianca” ha qualcosa di intimamente
religioso e spirituale, qualcosa che è immanente allo
scabro paesaggio che fa da sfondo al racconto, e che
trova nel silenzio e nel tenue ascolto dei suoni
d’ambiente momenti di feconda espressività visiva.
NOTE di Stefano Odoardi
Il mio film non è un film fatto per piacere. Faccio
questo tipo di cinema perché mi piace affrontare i
grandi temi dell'esistenza. In questo film ho affrontato
un tema come la morte che, per un lungo periodo della
mia vita, ha avuto un'importanza fondamentale.
Una ballata può essere una poesia, ma anche una
musica, una danza, una metafora che racchiuda tutti
questi elementi per trasformarli in qualcosa d'altro.
"Bianca" perché questo è un film sul vuoto. Ecco, ho
sempre pensato che mi sarebbe piaciuto portare a
compimento un film sul vuoto, provare a capire cosa c'è
dopo la morte, se c'è qualcosa. Una visione non direi
religiosa quanto umana. Ho una fortissima fede
nell'essere umano, credo nella possibilità di un qualsiasi
riscatto. Dopotutto il cinema serve a rendere visibile
l'invisibile, ad avvicinare il tangibile all'intangibile. “Una
ballata bianca” è proprio questo. Un film che lascia
spazio alla speranza. Ho girato il film in Abruzzo, la mia
terra di origine. Ho preso due attori non professionisti
che si sono prestati a recitare in silenzio la loro reale
situazione: una coppia che sente vicino il momento
dell'abbandono. Due persone che l'età sta per separare
e che hanno passato insieme tutta la loro vita. I miei
prossimi lavori verteranno invece sul pessimismo e
sull'amore. Ma non su quello fra due esseri umani,
vorrei portare a compimento qualcosa di più universale,
qualcosa che indaghi sull'amore e sulle sue
"mancanze".
STEFANO ODOARDI (Aquila, Italia, 1967)
È filmmaker e video artista che vive tra l’Olanda e
l’Italia. Ha realizzato diversi cortometraggi che sono
stati selezionati e premiati in diversi film festival
internazionali. Nel 2002 ha ricevuto ad Amsterdam un
post-graduate diploma dalla DasArts (The Amsterdam
School Advanced Research in Theatre and Dance
Studies). Nel 2005 ha girato il suo ultimo cortometraggio
ESILIO DELLA BELLEZZA. Nel 2005 ha presentato alla
triennale di Milano un film ispirato a Joseph Beuys
UTOPIA CONCRETA DELLA TERRA. Un suo progetto di
installazione "Esilio della Bellezza" è stato inaugurato
nel settembre 2006 presso Grathem (Eindhoven). UNA
BALLATA BIANCA il suo primo lungometraggio. Il film è
stato presentato nel 2006 alla Festa del Cinema di Roma
e nella selezione ufficiale del 36th Festival del Cinema di
Rotterdam 2006. Si sta preparando a girare il secondo
lungometraggio MANCANZA.
Via Varesina 68 Como - telefono 031 587 706 0 www.ilgrandebluviaggi.it - [email protected]
Lunedì 27 ottobre
IL TRENO PER IL DARJEELING
di Wes Anderson
(The Darjeeling Limited)
Regia: WES ANDERSON Sceneggiatura: WES ANDERSON, ROMAN COPPOLA, JASON SCHWARTZMAN
Fotografia: ROBERT D. YEOMAN Montaggio: Andrew
Weisblum Scenografie: MARK FRIEDBERG Musiche:
dai film di SATYAJIT RAY e MERCHANT IVORY Personaggi e interpreti: Francis OWEN WILSON, Peter ADRIEN
BRODY, Jack JASON SCHWARTZMAN, Rita AMARA
KARAN, l’uomo d’affari BILL MURRAY, Patricia
ANJELICA HUSTON.
STATI UNITI 2007 - 91 minuti
Tre fratelli americani che non si parlano tra loro da un
anno pianificano un viaggio in treno in India, con lo
scopo di ritrovare se stessi e il legame reciproco che
avevano un tempo. La loro ‘ricerca spirituale’, tuttavia,
rapidamente sfocia nel caos e li lascia bloccati da soli
in mezzo al deserto con undici valigie, una stampante e
una macchina rilegatrice… “Il treno per il Darjeeling”
ha un prologo, “Hotel Chevalier”, un cortometraggio in
testa al film, uno dei tanti frammenti vagoni che il suo
racconto raccoglie e dissemina lungo i binari del Darjeeling. Una storia a sé, ma in qualche modo collegata al film
principale, della durata di tredici minuti. Inizio emblematico
del narrare di Wes Anderson, una delle più importanti e
fresche personalità del panorama cinematografico
americano, fin dal suo esordio (“Bottle Rocket“, 1996) come
nei successivi “Rushmore“, “The Royal Tenenbaums“,
“The Life Aquatic with Steve Zissou“, vera summa poetica
del suo cinema. “The Darjeeling Limited“, quinto
lungometraggio del regista, presenta tutte le qualità
essenziali del suo stile: il surreale umorismo con cui
descrive le grottesche realtà dei suoi personaggi, i toni
pungenti e coloriti, la bellezza dei fotogrammi. Il suo
procedere disorganico e folle, qui perfettamente a suo
agio nel confronto straniante con l’universo dell’India,
apre di volta in volta porte su mondi umani inaspettati,
con personaggi alla ricerca vana e tenace di un senso
della vita. Il film si accende per frammenti di fulminanti
immagini, situazioni, volti, ambienti, un treno di luci
colorite, indecifrabile e affascinante.
NOTE di Wes Anderson
Ho deciso che mi sarebbe piaciuto fare un film in India, ho
deciso che mi sarebbe piaciuto fare un film su un treno e
ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare un film su tre
fratelli. Allora, ho chiesto ai miei amici Jason Schwartzman e Roman Coppola di unirsi a me nello scrivere il film.
e così siamo andati in India tutti assieme. Abbiamo
incominciato a scrivere la storia a Parigi. Poi, ad un certo
punto, ci siamo detti “forse sarebbe una buona idea
recarci in India”. È stato allora che abbiamo iniziato a
vivere veramente le cose di cui parlavamo. L’ispirazione
iniziale per i personaggi derivava dai rapporti personali e
dalle nostre esperienze di viaggio. In questo modo sono
nati i tre fratelli Whitman. Li abbiamo portati con noi
durante il viaggio, nell’atmosfera elegiaca, nell’energia
movimentata e nel clima vivace dellIndia, tutti elementi
che sono filtrati nelle svolte esilaranti e nei cambiamenti
del racconto. L’India non è un posto come gli altri, è un
luogo dove tanti aspetti della vita sono così radicalmente
diversi dai nostri che ha influenzato notevolmente la
sceneggiatura. Anche se la storia parla di Francis, Peter
e Jack che provano a capirsi l’uno con l’altro, noi
sentivamo che fosse molto importante che queste
conversazioni si svolgessero su tragitti ferroviari che li
facevano veramente viaggiare attraverso questa nazione
antica. In India ci sono venute molte idee che non
sarebbe stato possibile creare o immaginare dal nulla.
Erano dei momenti magnifici che valeva proprio la pena
di catturare. Il treno e l’India sono diventati dei veri
personaggi. L’interazione è interessante. All’inizio l’India
rimane sullo sfondo, in quanto i tre uomini rimangono nel
loro mondo, si trovano in una nazione straniera. Ma poi
sono costretti a trovare un punto d’incontro e così si
avvicinano sempre di più all’autentica esperienza che
stavano cercando. Spero che lo spirito vibrante e caotico
che abbiamo trovato in India emerga chiaramente nel
film.
WES ANDERSON (Houston, Texas, 1969)
Ha frequentato la University of Texas a Austin. E’ stato
regista e cosceneggiatore del suo primo film nel 1996
UN COLPO DA DILETTANTI (Bottle Rocket), cui seguirà
nel 1998 RUSHMORE. Trova visibilità internazionale nel
2001 con I TENENBAUM (The Royal Tenenbaums) e nel
2004 con LE AVVENTURE ACQUATICHE DI STEVE
ZISSOU (The Life Aquatic with Steve Zissou).
Lunedì 10 novembre
MARS - DOVE NASCONO I SOGNI
di Anna Melikian
(Mars)
Regia: ANNA MELIKIAN Sceneggiatura: ANNA
MELIKIAN Fotografia: OLEG LUKICHEV Montaggio:
IVAN LEBEDEV Scenografie: ULIYANA RYABOVA
Musiche: ALEKSEY AIGI Personaggi e interpreti: Boris
GOSHA YURI KUTSENKO, Greta NANA KIKNAZDE,
Grisha ARTUR SMOLIANINOV, Galina YEVGENIYA
DOBROVOLSKAYA, Vera ELENA.
RUSSIA 2004 – 97 minuti
Boris, un pugile stanco della sua notorietà si ritrova in
una città sperduta, Mars. La presenza del laconico
boxeur che conosce il mondo non può passare inosservata nella comunità e attira le attenzioni di un gruppo di
particolari personaggi, tanto più vitali quanto a disagio
nel loro presente: la piccola e pragmatica Nadya,
l’ingenuo ed entusiasta Grigorij, l’eterea bibliotecaria
Greta e altri eterogenei abitanti Marsiani che anelano
ad un futuro che li porti lontano, verso nuovi orizzonti.
Nel giro di appena ventiquattrore i loro destini fibrillanti
si incroceranno con quello dello straniero e cambieranno per sempre. Una pellicola visivamente affascinante, una commedia agrodolce costruita con
immagini incantevoli, firmata da una regista emergente
di grande talento che con il suo nuovo film “Mermaid”
ha ottenuto il premio per la Miglior Regia al Sundance
Film festival 2008 e il premio della critica internazionale
al Festival di Berlino 2008. Mars, suo primo lavoro del
2005, ci parla, attraverso la forza della metafora, dello
spirito della Russia attuale, un luogo di frattura e
straniamento, mobilità e possibilità, cantieri in evoluzione, contraddizioni pungenti, in cui convivono le rovine
di ciò che fu e le fantasie immaginarie del futuro. Con
una regia brillante, mai debordante, Anna Melikian
realizza una versione cinematografica delle pitture di
Chagall, delle sue atmosfere e dei suoi personaggi
volanti. Una pellicola visionaria e fluttuante, che nella
sua leggerezza guarda e critica la realtà politicosociale, e che proietta la tradizione russa dell’assurdo e
del grottesco verso il cinema surreale, fatto di tanti
spunti originali, di grande resa scenica e riuscita
sperimentazione cinematografica.
Lunedì 3 novembre
Lunedì 17 novembre
SOTTO LE BOMBE
di Philippe Aractingi
(Sous les bombes)
L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI
ANDARONO IN VACANZA
di Cao Hamburger
(O ano em que meus pais saíram de férias)
Regia: PHILIPPE ARACTINGI Sceneggiatura: MICHEL
LÉVIANT, PHILIPPE ARACTINGI Fotografia: NIDAL
ABDEL KHALEK Montaggio: DEENA CHARARA
Scenografie: MOUHAB CHANESAZ Musiche: RENÉ
AUBRY LAZARE BOGHOSSIAN Personaggi e interpreti:
Zeina NADA ABOU FARHAT, Tony GEORGES KHABBAZ.
FRANCIA,/GRAN BRETAGNA/LIBANO 2007 - 98 minuti
Zeina vive a Dubai. In pieno divorzio, decide di mandare il
figlio Karim a casa della sorella a Kherbet Selem, un
piccolo villaggio nel sud del Libano, per proteggerlo dai
litigi coniugali. Qualche giorno più tardi scoppia la guerra.
Zeina, folle d’angoscia, parte velocemente per il Libano,
passando per la Turchia. A causa del blocco però non
riesce ad arrivare al porto di Beirut che il giorno del
“cessate il fuoco”. È qui che avviene l’incontro con Tony,
il solo tassista che accetta di portarla verso Sud… Due
giorni dopo l'esplosione di una nuova e drammatica
guerra in Libano (la terza guerra israelo-libanese del
2006), Philippe Aractingi gira un film con due attori, tutti gli
altri, rifugiati, giornalisti, militari, religiosi sono persone
vere, compresi i bombardamenti. Il regista francolibanese dimostra una straordinaria capacità di filmare
ambienti autentici, inserendo senza confini visibili la
storia di una madre alla ricerca disperata del figlio. Una
storia che trova nel ricorso ad ambienti e situazioni reali
una forza di verità assoluta. Una lezione di onestà e
coerenza, quella di “Sotto le bombe”, che prende le
distanze dai reportage televisivi. Aractingi mostra gli
orrori e contemporaneamente mostra il Libano in tutta la
sua bellezza, con i paesaggi affascinanti e i piccoli e
bellissimi centri dell’interno del paese, nascosti e
sconosciuti. Il regista impone il suo punto di vista, che
non accusa né giustifica nessuno, si limita a mostrare gli
orrori, la sofferenza e le incomprensioni e lo fa andando
dove i media non arrivano mai. Il film va oltre la spettacolarizzazione della guerra e la rifiuta, imponendo il proprio
sguardo carico di dolore e empatia.
NOTE di Philippe Aractingi
Questo film è nato in maniera spontanea. Il dodici luglio
2006 è scoppiata la guerra in Libano e il quattordici ho
messo su carta l'idea di un film con due soli personaggi
gettati nel caos. Poi nel 2006, quando esplose
quest'ultima guerra, fu come ricevere una sberla, sentii
un dolore che risvegliò in me i ricordi di conflitti
precedenti. Ero maturo e pronto per realizzarla, nel
frattempo infatti avevo girato tanti documentari, avevo
fatto il mio primo lungometraggio. Restava soltanto la
paura di girare letteralmente sotto le bombe… Ho
scelto di fare un film di finzione perché girando molti
documentari mi sono accorto che questo cinema parla
molto alla ragione, emozionando poco. Tre giorni dopo
la fine della guerra sono tornato in Libano su un battello
e ho cominciato a girare con la mia troupe e i miei due
attori. Ho diviso la struttura di “Sotto le bombe” in due
parti: una è quella girata a caldo, quella spontanea che
riprendeva la distruzione e la polvere alzata dalle
bombe, dove gli attori hanno improvvisato su un testo
che io avevo scritto in tempi brevissimi. Subito dopo
sono "ritirato" in Francia per scrivere invece la parte
propriamente di finzione. Rientrato in Libano abbiamo
poi iniziato le riprese di quello che consideravo il
nucleo della finzione. Allontanarmi per un po' è stato
necessario perché non volevo fare un film di
propaganda, la mia intenzione era quella di scrivere
con la giusta concentrazione e per farlo avevo bisogno
di stabilire un minimo di distanza dal dramma che stava
colpendo il mio paese.
PHILIPPE ARACTINGI (Beirut, Libano, 1964)
Franco-libanese, Philippe Aractingi nasce nel 1964 a
Beirut dove passa la sua infanzia. Nella sua carriera
realizza una quarantina di film tra cui reportages,
documentari e film, girati in Francia, in Libano, ma
anche nel resto del mondo arabo, in Sudafrica, Sri
Lanka, Mongolia. Autodidatta, dopo dodici anni
trascorsi a Parigi, Aractingi torna alle sue radici e si
trasferisce in Libano, dove gira BOSTA (2005) il suo primo
lungometraggio di finzione, premiato poi in sei festival e
selezionato a rappresentare il Libano agli Oscar.
Via Borgo Vico 107 - 22100 Como - telefono 031 576 058 - Cell. 347 711 426 7
Regia: CAO HAMBURGER Sceneggiatura: CAO
HAMBURGER, CLÁUDIO GALPERIN, BRÁULIO MANTOVANI, ANNA MUYLAERT Fotografia: ADRIANO
GOLDMAN Montaggio: ARMANDO TORRES JR.
Scenografie: CASSIO AMARANTE Musiche: BETO
VILLARES Personaggi e interpreti: Mauro MICHEL
JOELSAS, Shlomo GERMANO HAIUT, Hanna DANIELA
PIEPSZYK, Bia SIMONE SPOLADORE, Italo CAIO BLAT.
BRASILE 2006 - 104 minuti
Nel 1970 il Brasile e il mondo intero sembrano essere
sconvolti, ma il centro dell’attenzione del dodicenne
Mauro, un ragazzino medio borghese di padre ebreo e
madre cattolica, non ha niente a che vedere con la
nascente dittatura militare. Il suo sogno più grande è
vedere il Brasile diventare per la terza volta vincitore
della Coppa del Mondo ai campionati di Città del
Messico. I genitori, militanti di sinistra, costretti a
fuggire in clandestinità, si trovano obbligati ad affidare
il figlio al nonno Mòtel, morto improvvisamente di
infarto poco prima di accoglierlo. Mauro viene allora
adottato dalla comunità ebraica del quartiere di Bom
Retiro, a San Paolo del Brasile, dove convivono da
generazioni ebrei di varia estrazione nazionale… Il film
di Cao Hamburger è un viaggio iniziatico che coniuga
ampie riflessioni umaniste con una straordinaria
delicatezza di racconto, la cui guida è lo sguardo
innocente e curioso del dodicenne Mauro. Il forzato
allontanamento dal guscio familiare gli pone nuove
realtà, nuove domande con cui misurarsi, che saranno
per lui altrettante occasioni per comprendere la sua
identità e il suo mondo. Nel suo viaggio si mescolano
temi politici, i mondiali di calcio, le tante piccole storie
private della colorita comunità ebraica, un mondo
culturale più antico e complesso dei legami familiari.
Con una capacità rara il regista riesce a fondere la
“Storia” e le “storie”, con serietà e sobrietà al contempo,
NOTE di Anna Melikian
Con le scenografie coloratissime di “Mars” ho voluto
crare un palcoscenico sul quale in sottofondo si svolge
l’incontro fra persone tanto diverse, accomunate dal
fatto che vogliono cambiare la loro vita. Ho voluto
creare un contro altare alla Mosca di oggi. Mentre a
Mosca la vita continua, a Mars si ferma; mentre da
Mosca si fugge, a Mars si arriva per caso; mentre a
Mosca la gente vive l’una accanto all’altra come se
fossero su pianeti diversi, a Mars i sogni s’intrecciano in
un unico universo. In altre parole metto in scena un
sogno postmoderno, per riuscire a trasmettere la poesia
del quotidiano attraverso colori, gesti teatrali e
stravaganze umane. Un universo che ho riempito di
dettagli audiovisivi, colori, oggetti e prospettive. Spero
che alcune immagini abbiano la forza di rimanere in
mente perché voglio colpire ed accendere la fantasia
degli spettatori, portarli a sognare. La nostra gente ormai
si è stancata dei film d’azione. Oggi il pubblico preferisce
delle storie vere e umane, vuole piangere al cinema e
vedere film d’amore. Negli ultimi anni, infatti, dopo una
fase di sorprese, effetti high-tech ed attrazioni, il cinema
russo si è mosso nella direzione del cinema europeo, ci
sono più storie che guardano ai sentimenti ed alla vita.
ANNA MELIKIAN (Baku, Azerbaigian, 1976)
Anna Melikian è considerata una delle più promettenti
registe della generazione post sovietica. Nel 1994 entra
nel l’Istituto Nazionale di Cinematografia di Mosca. Dal
2002 lavora per la televisione dirigendo documentari e
programmi televisivi. I suoi cortometraggi hanno vinto
numerosi premi tra cui il Premio della Giuria per POSTE
RESTANTE a Clermont-Ferrand nel 2000. MARS, il suo
primo lungometraggio, di cui è anche sceneggiatrice, ha
riscosso un grande successo di pubblico e critica al
Festival di Berlino 2005.
lavorando soprattutto sui mezzi toni, conferendo
profondità, rendendo visibili anche i più impercettibili
movimenti emozionali. Grazie anche ad uno stile
capace di inventare precise e adeguate sequenze di
vero cinema, il film si iscrive di diritto tra i migliori
esempi di rappresentazione della pubertà al cinema,
l’età più difficile da raccontare.
NOTE di Cao Hamburger
È un film sull’esilio, sui vari tipi di esilio, sulla scoperta
della transitorietà della vita da parte del protagonista,
che impara ad andare d’accordo con gli altri e a
sopravvivere in questo nostro mondo. Inoltre, sebbene
nel film il calcio non sia il tema principale, ma resti un
contesto, volevo parlare del mito rappresentato dalla
squadra che ha vinto la Coppa del Mondo nel 1970.
Volevo anche contribuire a sfatare alcuni pregiudizi
comuni, stereotipi e false idee che generalmente gli
stranieri hanno del Brasile. Tutto questo mi ha ispirato a
tentare di raccontare una storia in cui si toccassero
questi argomenti. “L’anno in cui i miei genitori andarono
in vacanza” è un film sulle differenze generazionali e
sul lavoro di squadra. Il film racconta molto del periodo
in cui io e molti miei collaboratori del film eravamo
bambini. Come il protagonista Mauro avevamo una
visione frammentaria della realtà. Questo film, in un
certo senso racconta la nostra storia. Senza la mia
troupe, che è quanto di meglio avrei mai potuto
sperare, un risultato così soddisfacente da un punto di
vista artistico e tecnico e da un punto di vista contenutistico, non sarebbe mai stato possibile.
CAO HAMBURGER (San Paolo, Brasile, 1962)
L’ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN
VACANZA è il secondo lungometraggio. Il suo primo
film RÁ-TIM-BUM, THE MOVIE (1999) ha ottenuto un
buon successo di critica e di pubblico. In televisione, il
regista è responsabile di successi tra le quali pregiatissime serie per bambini che hanno vinto premi in tutto il
mondo. Più recentemente ha lavorato alla creazione e
alla regia della serie FILHOS DO CARNAVAL (2006),
prodotta da HBO. Prima dei lungometraggi, Hamburger
ha diretto diversi cortometraggi per i quali è stato
premiato in Brasile e all’estero.
Via Giulini 10 - Como - telefono 031 272 458
www.libraccio.it
Lunedì 24 novembre
INTERVIEW
di Steve Buscemi
(Interview)
Regia: STEVE BUSCEMI Sceneggiatura: STEVE
BUSCEMI, DAVID SCHECHTER Fotografia: THOMAS
KIST Montaggio: KATE WILLIAMS Scenografie: LOREN
WEEKS Musiche: VICKI FARRELL Personaggi e
interpreti: Pierre Peders STEVE BUSCEMI, Katya
SIENNA MILLER, Robert Peders MICHAEL BUSCEMI,
Theo JACKSON LOO, Maggie TARA ELDERS, Avvocato
ROBERT HINES.
STATI UNITI 2007 - 110 minuti
Pierre conosce bene la violenza e la crudeltà della vita.
Si è fatto un nome come reporter di guerra, ha viaggiato
in tutto il mondo e vissuto esperienze estreme. Non
sorprende quindi che si irriti alquanto per l'intervista che
deve realizzare ad una famosa attrice di soap opera,
Katya. I due si incontrano ed entrano immediatamente in
contrasto. Ma come il confronto si fa più intimo, Pierre e
Katya svelano progressivamente le tante sfaccettature
della loro personalità, trovando una comunicazione...
Basato sull'omonimo film del 2003 di Theo Van Gogh,
regista olandese vittima di omicidio per mano di un
fondamentalista arabo, "Interview" è un film che scandaglia, osserva, analizza le dinamiche delle relazioni
umane, cercando, nell'incontro tra immagine cinema e
teatralità, di svelarne i sentimenti nudi, veri. La schermaglia tra Pierre e Katya, di cui il doppiaggio spegne la
necessaria fluidità e importanti sfumature attoriali,
oscilla tra argomenti banali e risvolti difficili, ruolo
sociale e desideri intimi, retroterra personale e tensioni
emozionali. Un sotterraneo gioco di seduzione permea
l'incontro di due esseri che si pensano molto diversi,
falsati dai rispettivi ruoli sociali, con cui la loro vita si
fonde e si confonde. La sofferenza amorosa di Katya è
anche il copione di un serial, il protagonismo del reporter
Pierre è anche un sottile strumento di autoinganno. Un
gioco a due che Buscemi segue con tre telecamere, due
costantemente focalizzate sui protagonisti, una che
coglie il gioco d'insieme. A completare il quadro la
colonna sonora di Evan Lurie (ex Lounge Lizard) che con
un jazz di toni in chiaro scuro si adatta perfettamente alle
granulose atmosfere notturne delle immagini.
NOTE di Steve Buscemi
Girando questo film non era mia intenzione essere
critico nei confronti dei media, quello che mi interessava era impersonare questo personaggio, questo
giornalista, cercare di capire e vedere chi fosse e che
cosa facesse per guadagnarsi da vivere. Dall'altra
parte non volevo nemmeno esprimere un giudizio sul
mondo delle star e delle celebrità anche se, ovviamente
alla fine, il film un commento in questo senso lo fa.
Quello che invece maggiormente mi premeva era il
rapporto che si instaura molto rapidamente fra queste
due persone, un rapporto che inizia in una maniera
disastrosa come spesso accade nella vita in alcuni
relazioni, partite male e poi trasformate in qualcosa di
profondo. Il giornalista e la star, l'uomo e la donna,
condividono quelle che sono le esperienze di una vita
intera nel giro di poche ore, ovviamente si tratta di un
rapporto disfunzionale, dove c'è in un certo senso una
dipendenza reciproca. I due protagonisti provano un
senso di repulsione e allo stesso tempo mantengono
questo forte legame, ed era proprio questa relazione
che mi interessava esplorare.
STEVE BUSCEMI (New York, USA, 1957)
Buscemi ha iniziato a recitare durante l’ultimo anno del
liceo. Poco dopo, si è trasferito a Manhattan e ha
studiato con John Strasberg. E lì che ha iniziato a
scrivere e interpretare i suoi testi negli spazi teatrali
del downtown. Attore di molti film importanti.
MYSTERY TRAIN di Jim Jarmusch, NEW YORK
STORIES di Martin Scorsese, CROCEVIA DELLA
MORTE, BARTON FINK, IL GRANDE LEBOWSKI,
FARGO dei fratelli Coen. Nel 1998 ha scritto e interpretato il primo film MOSCHE DA BAR. Il suo secondo film
ANIMAL FACTORY è stato presentato al Sundance Film
Festival nel 2000.
Lunedì 8 dicembre
INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI
SOPRA DI OGNI SOSPETTO
di Elio Petri
Regia: ELIO PETRI Sceneggiatura: ELIO PETRI E UGO
PIRRO Fotografia: LUIGI KUVEILLER Montaggio:
SERGEJ IVANOV Scenografie: CARLO EGIDI Musiche:
ENNIO MORRICONE Personaggi e interpreti:
L'ispettore GIAN MARIA VOLONTÈ, Augusta Terzi
FLORINDA BOLKAN, Commissario di polizia GIANNI
SANTUCCIO, Ispettore Biglia ORAZIO ORLANDO,
Mangani ARTURO DOMINICI.
ITALIA 1970 - 114 minuti
loro rappresentante, un “cittadino al di sopra di ogni
sospetto”. Il protagonista, un personaggio senza nome
perfettamente cosciente del proprio ruolo, arriverà a
sfidare con audacia i colleghi, convinto della sua
intoccabilità, in quanto il Potere è “per forza” al di
sopra della legge. L’ndimenticabile colonna sonora di
Ennio Morricone che segue l’alternarsi ansiogeno
delle indagini con i flashback della relazione fra
l’uomo e la sua vittima: un rapporto contrassegnato da
una latente frustrazione da parte dell’uomo, il cui motto
che risuona nelle sale della Questura è la frase
“repressione è civiltà”.
Festival di Cannes 1970 Premio Speciale della Giuria
Academy Awards 1970 Oscar Miglior Film straniero
Il capo della Squadra Omicidi di una grande città
italiana, soprannominato "il dottore", per l'efficienza
dimostrata in servizio viene promosso dirigente
dell'Ufficio Politico della Questura. Proprio nel giorno
della promozione, l'alto funzionario, che dietro
l'apparente sicurezza nasconde una psiche
disturbata, uccide la sua amante, con la quale ha da
tempo una relazione sessuale. Certo di essere al di
sopra di ogni sospetto in virtù della sua posizione di
potere, volutamente lascia tracce e indizi del suo
passaggio. Come previsto, le indagini intraprese dai
colleghi della Questura non lo toccano, complici ignari
del superiore… Primo capitolo della “trilogia sul
potere” firmata da Elio Petri, “Indagine su un cittadino
al di sopra di ogni sospetto” presentato al Festival di
Cannes del 1970, dove ha ricevuto il Gran Premio della
Giuria. Sceneggiato da Petri con Ugo Pirro, ed
interpretato da un formidabile Gian Maria Volonté, il
film rappresenta una delle opere più importanti nella
carriera del regista. Uno dei titoli più significativi del
cinema italiano di quegli anni. È difficile classificare il
film di Petri in un singolo genere: : “Indagine su un
cittadino al di sopra di ogni sospetto” è al contempo
un poliziesco, un thriller psicanalitico, una commedia
nera ed una tragedia satirica.
L’intera trama è costruita su un’invenzione paradossale
dove lo spettatore si ritrova a seguire le indagini degli
inquirenti, che pur avendo fra le mani decine di indizi non
riescono a concepire che il colpevole possa essere un
ELIO PETRI (Roma, Italia, 1929 - 1982)
Entra nel mondo del cinema nel 1951 come aiuto
regista di Giuseppe De Santis mentre è critico
cinematografico per “L’Unità”. Nei lustri che seguono,
egli lavora alla sceneggiatura di numerose pellicole
(“Uomini e lupi”, “L’impiegato”, “Il gobbo”, “I mostri”)
e dirige due corti, “Nasce un campione” (1954) e “I
sette contadini” (1957). Firma il suo primo
lungometraggio nel 1961 con L’ASSASSINO, atipico
poliziesco di analisi psicologica con un ottimo Mastroianni; ancor più convincente risulta I GIORNI CONTATI
(1963). seguono IL MAESTRO DI VIGEVANO (1963) e LA
DECIMA VITTIMA (1965), elegante adattamento di
Ennio Flaiano e Tonino Guerra di un bel racconto di
fantascienza di Robert Sheckley. Il seguente A
CIASCUNO IL SUO (1967) traduce in immagini la pagina
di Sciascia con notevole vigore: si affaccia qui quella
propensione per il cinema d’impegno civile che troverà
più tardi compiuta espressione in INDAGINE SU UN
CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO (1970) e
in LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO (1971). I
successivi prima della prematura scomparsa sono LA
PROPRIETÀ NON È PIÙ UN FURTO (1973), TODO MODO
(1976) e BUONE NOTIZIE (1979).
Lunedì 1 dicembre
ALEXANDRA
di Aleksandr Sokurov
(Alexandra)
Regia: ALEKSANDR SOKUROV Sceneggiatura:
ALEKSANDR SOKUROV Fotografia: ALEKSANDR
BUROV Montaggio: SERGEJ IVANOV Scenografie:
DMITRI MALIC-KONKOV Musiche: ANDREJ SIGLE
Personaggi e interpreti: Alexandra GALINA
VISHNEVSKAYA, Denis VASILI SHEVTSOV, RAISA
GICHAEVA, Baku ANDREJ BOGDANOV, ALEKSANDR
KLADKO.
RUSSIA 2007 - 90 minuti
In un accampamento di soldati russi, nella Cecenia dei
nostri giorni, un’anziana donna, Aleksandra Nikolaevna,
arriva a far visita a suo nipote Denis, ufficiale dell’esercito.
Trascorre con lui qualche giorno. Quanto basta a farle
scoprire un mondo a lei sconosciuto, fatto di uomini soli,
senza calore né conforto. A pochi chilometri di distanza, al
fronte, si combatte ogni giorno tra la vita e la morte.
Eppure le donne del luogo non hanno perduto il loro antico
senso di ospitalità. E i soldati, tutti i soldati, sono soltanto
ragazzi impauriti…Un’anziana donna che cammina sulle
macerie dell’Impero, memento di un’epoca lontana,
completamente avulsa dall’universo militare, giovane e
maschile. Questa potrebbe essere l’estrema sintesi del
film di Aleksandr Sokurov che rinnova il sodalizio con
Galina Vishnevskaya, straordinaria soprano e icona
vivente della Russia, da poco rimasta vedova del non
meno celebre violoncellista Mstislaw Rostropovich. La
Storia, ciò che fu Impero, poi Repubblica Federale
Socialista, e che oggi vive di un presente e un futuro
ambigui e incerti, attraversa l’anima di una donna,
testimone attonita ma lucida, stupita ma presente, di
eventi che non riesce a comprendere. Tutt’altro che
rassegnata, attivamente impegnata a modificare il corso
delle cose, la tenera donna nel recare conforto a suo
nipote, finisce per portarne a tutti coloro che incontra, al di
là delle distinzioni di bandiera o di appartenenza etnica.
Visivamente ricchissimo di riferimenti pittorici e con la
consueta cura della forma il film di Sokurov è un’opera
politica e spirituale al contempo, che cerca l’armonia
nell’etica, la bellezza nella giustizia.
NOTE di Aleksandr Sokurov
Per me, questa non è una storia che ha a che fare con
l’attualità, ma con ciò che è eterno. Non racconta della
Russia di oggi, della sua politica nel Caucaso, del suo
esercito, è una storia senza tempo. Non c’è guerra in
questo film sulla guerra. Le operazioni militari non sono
riprese o rappresentate. Non amo i film di finzione sulla
guerra; mi è bastato aver visto una volta sola la guerra
vera perché quei corpi cadenti in ralenti mi evocassero un’idea di volgarità e di finzione. Non c’è alcuna
poesia nella guerra, alcuna bellezza. Non bisogna
filmare la guerra in modo poetico: l’orrore è inesprimibile, così come è inesprimibile l’umiliazione dell’uomo
di fronte alla guerra… Quello che noi definiamo
contemporaneo è sempre relativo. Il tempo durante il
quale abbiamo girato il film, rapportato a oggi,
appartiene già al passato. Abbiamo cercato di esprimere questa collisione tra passato, presente e futuro,
come una sorta di presente continuo. Un uomo dotato
di un profondo senso sociale può trovare il nostro film
molto contemporaneo, ma non c’è niente di attuale.
Non c’è una sola parola che non sia già stata pronunciata. Così come parliamo di cose che vanno oltre i
confini russi. La mia eroina potrebbe essere
un’americana che fa visita al nipote in Iraq, così come
una nonna inglese in Afghanistan…
ALEKSANDR SOKUROV (Podorvikha, Russia, 1956)
Nel 1974 consegue la laurea in storia e filosofia
all’Università di Gorky mentre nel 1979 porta a
compimento gli studi di cinema presso l’Istituto di
Cinematografia di Mosca. Il suo primo film THE LONELY
VOICE OF MAN (1978) vince il Pardo di Bronzo al
Festival di Locarno. Tra il 1980 e il 1987 cura la regia di
due lungometraggi, numerosi corti e documentari,
nessuno dei quali ottiene l’autorizzazione della
censura sovietica. Dal 1980 lavora per la Len Film
Studios realizzando film e documentari. Fra i suoi titoli
più famosi MADRE E FIGLIO (1997), MOLOCH (1999),
THE SECOND CIRCLE (1999), TAURUS (2000), ARCA
RUSSA (2002), IL SOLE (2005). Sokurov si è anche
cimentato nell’adattamento di testi letterari di Shaw,
Flaubert e Dostoevskij. Molto apprezzate anche le sue
'elegie', veri e propri esperimenti di poesia visuale.
benzonibijoux
Via Adamo del Pero 23 Como - telefono 031 264 481
Grazie anche alle intense e misurate interpretazioni di
Halle Berry e Benicio Del Toro che vestono magistralmente i rispettivi ruoli.
Lunedì 15 dicembre
NOI DUE SCONOSCIUTI
di Susanne Bier
(Things We Lost in the Fire)
Regia: SUSANNE BIER Sceneggiatura: ALLAN LOEB
Fotografia: TOM STERN Montaggio: PERNILLE BECH
CHRISTENSEN, BRUCE CANNON Scenografie:
RICHARD SHERMAN Musiche: JOHAN SÖDERQVIST,
GUSTAVO SANTAOLALLA Personaggi e interpreti:
Audrey Burke HALLE BERRY, Jerry Sunborne BENICIO
DEL TORO, Brian Burke DAVID DUCHOVNY, Harper
Burke ALEXIS LLEWELLYN.
STATI UNITI/GRAN BRETAGNA 2007 - 118 minuti
Audrey è felicemente sposata con Brian, ha due figli,
conduce una vita agiata e tranquilla. A sconvolgere
tutto arriva una tragica fatalità: mentre cerca di sedare
un litigio per strada Brian rimane ucciso da un colpo di
pistola. Durante il funerale, Audrey incontra dopo
tempo Jerry, vecchio amico del marito, tossicomane,
ma al quale Brian non aveva mai smesso di offrire il suo
aiuto. Jerry non è mai stato ben visto da Audrey, ma il
forte e reciproco legame con il ricordo di Brian li porrà
in comunicazione… Susanne Bier, la regista danese di
“Dopo il matrimonio” torna con un nuovo lavoro tutto
americano per produzione e cast. Con sguardo intenso
e partecipe, con la consueta attenzione ai processi
emotivi, racconta l’incontro inaspettato tra due anime
perdute, due persone distanti solo in apparenza e unite
dal destino, capaci di affrontare insieme le scelte più
difficili della loro vita. Un percorso di perdita e redenzione girato con grande maestria, che sancisce nel
passaggio americano la continuità e coerenza della
poetica dell’autrice. Il pericolo di scivolare nelle
semplificazioni, cui sono caduti molti autori europei, è
scampato. La regista danese conferma con stile il suo
retroterra culturale, il coraggio nel mostrare e analizzare
il dolore senza scivolare in inutili esibizionismi emotivi.
NOTE di Susanne Bier
Io spero davvero di ripetere molto presto l'esperienza
appena conclusa di girare un film negli States. Sono un
po' stufa dell'atteggiamento supponente di alcuni
colleghi europei che considerano spazzatura ogni cosa
prodotta in America. Al contrario di altri autori, io non
sopporto di essere magnificata per il già fatto,
l'esperienza americana mi ha consentito di mettermi
alla prova come artista, mi piace trovare delle
resistenze, mi piace non darmi per scontata. Prima di
trovare la sceneggiatura di Allan Loeb ho letto più di
duecento script. La storia di Allan e mi è piaciuta subito
molto perché aveva la qualità rara di descrivere
personaggi profondamente veri. La cosa meravigliosa e
che mi hanno lasciata libera di interpretare la sceneggiatura a modo mio, naturalmente non volevo fare un
film americano e così ho cambiato l'incipit e l'epilogo
della sceneggiatura originaria. Volevo fare un film
sull'amicizia e sull'amore ma soprattutto mostrare il
dolore creato dalla dipendenza. Volevo mettere in
scena due personaggi che rientrano lentamente nella
vita dopo aver subito una perdita enorme. Non era mia
intenzione fare un film con un messaggio, non è il mio
genere, ma certamente volevo far vivere allo spettatore
una storia forte, di quelle che ti restano addosso e
diventano l'occasione perfetta per una riflessione.
SUSANNE BIER (Coopenaghen, Danimarca, 1960)
Forse la voce più interessante del cinema scandinavo
contemporaneo, Susanne Bier si diploma alla Danisch
School of Film di Copenhagen nel 1987, iniziando da
regista con diversi cortometraggi e clip musicali. Il suo
primo film, FREUD’S LEAVING HOME (1990) la impone
all’attenzione generale. A confermare il successo di
critica e pubblico arrivano poi FAMILY MATTERS (1993),
LIKE IT NEVER WAS BEFORE (1995), CREDO (1997) e
THE ONE AND ONLY (1999), premiato ai Danish Film
Academy Awards. In seguito dirige ONCE IN A
LIFETIME (2000) e il film Dogma OPEN HEARTS (2002).
La platea internazionale la conosce nel 2004 con NON
DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI. A superare questi
risultati è DOPO IL MATRIMONIO (2006), nomination
all’Oscar per il Miglior film straniero.
I FILM del MERCOLEDÌ
Ai confini del cinema
Spettacolo unico ore 21.00
Ingressi
Intero € 7 - Soci Arci € 5 – Ridotto (studenti - over 65) € 4
Tessera 20 film a scelta su 27 (lunedì e mercoledì) € 60
Tessera 10 film a scelta su 27 € 35
Mercoledì 1 ottobre
Mercoledì 15 ottobre
LETTERE DA IWO JIMA
MONGOL
Interpreti Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Shido
Nakamura, Tsuyoshi Ihara, Ryo Kase, Hiroshi
Watanabe, Takumi Bando.
Stati Uniti 2006 - 142 minuti.
Interpreti Tadanobu Asano, Honglei Sun, Khulan
Chuluun, Odnyam Odsuren, Aliya, Ba Sen.
Russia/Germania 2007 - 120 minuti.
di Clint Eastwood
(Letters From Iwo Jima)
di Sergei Bodrov
(Mongol)
NUOVI CLASSICI
Mercoledì 1 ottobre
LETTERE DA IWO JIMA
"I soldati scavano le buche in cui combatteranno, e
nelle quali moriranno".
Si apre con questo epitaffio preventivo l'ultimo,
attesissimo lavoro di Clint Eastwood, seguito organico
e ideale al tempo stesso di Flags of our Fathers. Con
Flags abbiamo appreso tutto della guerra dal punto di
vista yankee: la comunicazione, la stampa, la politica,
la persuasione e, infine, il combattimento. Lettere da
Iwo Jima ci porta direttamente sul campo, in mezzo
alla lotta per la conquista di un maledetto sasso in
mezzo all'Oceano Pacifico, l'unica base aerea adatta
per far decollare gli aerei con destinazione Giappone
ed avere qualche discreta speranza di vederli tornare.
Il tempo dei quaranta giorni nei quali si sviluppò la
terribile lotta per l'isola, che vide cadere sul proprio
suolo quasi trentamila uomini, viene frammentato,
contratto. Vi sono contenuti dentro tutti i temi del film,
svolti passionalmente dalle lettere lette da una voice
off. E il puro sentimentalismo, l'anelito speranzoso dei
testi, fanno da cornice a una realtà secca, dura, infida.
Eastwood costruisce un'opera perfettamente speculare
a Flags. Lì era mostrata la gigantesca macchina del
fronte interno (come già descritto su queste pagine), e
posto al centro l'individualismo, la solitudine del singolo
di fronte all'enorme marchingegno della storia, per cui
un semplice gesto di quattro soldati diventava il cuore
pulsante di tutta l'attività bellica. Qui, al contrario, si
parla della prima linea, delle pallottole fischianti, e di
come, a partire da singolo, si sviluppi e si incardini
nella storia un senso complessivo delle cose, per cui
l'azione del singolo personaggio si fonde in un magma
continuo di azioni e sensazioni senza quasi soluzione
di continuità. Un lavoro che sintetizza buona parte del
cinema di guerra americano e che acquista una luce
nuova e scintillante se messo in relazione a quello che
è il dittico della guerra di Eastwood.
Una grande co-produzione internazionale per un film
che mescola abilmente storia ed intrattenimento. È
questo, in estrema sintesi, “Mongol“, nuova pellicola
del regista russo Sergei Bodrov (di lui si ricordi Il
prigioniero del Caucaso, già candidato agli Oscar)
incentrata sulla vita del condottiero e sovrano mongolo
Gengis Khan. Il film condensa una parte importante
della vita del leggendario imperatore, quella che va
dall'infanzia alla conquista del potere e all'unificazione
dello stato mongolo, passando per la schiavitù e lo
scontro con il fratello di sangue Jamukha. La sceneggiatura integra le informazioni storiche presenti nel
testo “La storia segreta dei Mongoli“, poema risalente a
pochi anni dopo la morte del sovrano, con quelle carpite
dal libro “La leggenda della freccia nera“, scritto dallo
storico russo Lev Gumilev. Il risultato è un affresco
visivamente potente, di notevole fascino estetico, che si
sforza di dare un ritratto sfaccettato e imparziale di un
personaggio fondamentale per il periodo preso in
esame (gli anni a cavallo tra XII e XIII secolo), con un
occhio sempre presente alle esigenze spettacolari che
possano rendere appetibile il film per il grande pubblico.
Le sequenze d'azione sono quanto di più crudo e
realistico il cinema ci abbia mostrato negli ultimi anni
(un paragone in questo senso può essere fatto solo con
“Seven Swords“ di Tsui Hark. Sangue e sudore, terra e
sporcizia: ci sono tutti gli ingredienti di un cinema
storico/avventuroso intriso di fisicità, in cui la graficità
della messa in scena contribuisce alla definizione di un
contesto e di un intero universo. Il fascino delle
scenografie naturali, le sconfinate distese della steppa
ricreate in esterni situati tra Cina, Kazakistan e Mongolia, contribuisce insieme alla buona fotografia, di
stampo naturalistico, a donare al film il senso di epicità
che lo permea fino in fondo.
Mercoledì 8 ottobre
Mercoledì 8 ottobre
Mercoledì 22 ottobre
L'ALBERO DELLA VITA
L'ALBERO DELLA VITA
IL PETROLIERE
Interpreti Hugh Jackman, Rachel Weisz, Ellen Burstyn,
Stephen McHattie, Mark Margolis, Fernando Hernandez, Sean Patrick Thomas, Cliff Curtis.
Stati Uniti 2006 - 96 minuti.
Interpreti Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Kevin O'Connor,
Ciarán Hinds, Dillon Freasier, Colleen Foy.
Stati Uniti 2007 - 158 minuti.
di Clint Eastwood
(Letters From Iwo Jima) Stati Uniti 2006
Mercoledì 22 ottobre
IL PETROLIERE
di Paul Thomas Anderson
(There Will Be Blood) Stati Uniti 2007
Mercoledì 12 novembre
ONORA IL PADRE E LA MADRE
di Sidney Lumet
(Before the Devil Knows You're Dead) Stati Uniti 2007
Mercoledì 3 dicembre
NON È UN PAESE PER VECCHI
di Ethan Coen, Joel Coen.
(No Country for Old Men) Stati Uniti 2007
SOVVERSIONI
di Darren Aronofsky
(The Fountain) Stati Uniti 2006
Mercoledì 29 ottobre
GO GO TALES
di Darren Aronofsky
(The Fountain)
di Paul Thomas Anderson
(There Will Be Blood)
di Abel Ferrara
(Go Go Tales) Stati Uniti 2007
Mercoledì 19 novembre
FUNNY GAMES
di Michael Haneke
(Funny Games)
Gran Bretagna/Stati Uniti/Austria 2007
TRANSGENERE
Mercoledì 15 ottobre
Epico
MONGOL
di Sergei Bodrov
(Mongol) Russia/Germania 2007
Mercoledì 5 novembre
Commedia Nera
IN BRUGES - LA COSCIENZA DELL'ASSASSINO
di Martin McDonagh
(In Bruges) Gran Bretagna/Belgio 2008
Mercoledì 26 novembre
Horror
CLOVERFIELD
di Matt Reeves
(Cloverfield) Stati Uniti 2008
XVI° secolo. Tomas il conquistador lotta per proteggere la regina Isabella da un feroce nemico che la
perseguita. XXI° secolo. Lo scienziato Tommy Creo
cerca disperatamente una cura per salvare la moglie
Izzi, malata terminale di cancro. XXVI° secolo. Tom
esplora l'universo rinchiuso in una bolla che contiene
l'Albero della Vita, ossessionato dal fantasma di Izzi e
dal desiderio di ridarle la vita. Le tre storie convergono
in un'unica disperata ricerca, il raggiungimento
dell'immortalità che passa attraverso il ritrovamento
della Fontana della Giovinezza, ma il movente che
spinge Tommy, in ognuna delle tre epoche, a superare
ogni limite cognitivo per conquistare la vita eterna è
l'amore per la compagna. Alla sua terza regia, Darren
Aronofsky sceglie di cambiare completamente stile
ancora una volta spiazzando decisamente lo
spettatore e realizzando il suo lavoro, almeno fino ad
ora, più visionario e new age. Organizzato su tre livelli
temporali che si compenetrano e si interscambiano in
continuazione, il film basa molta della sua forza sulla
girandola vorticosa di effetti visivi realizzati con le
tecniche più disparate mixando trucchi profilmici,
digitale e effetti chimici volti a ottenere immagini
astratte di notevole interesse. Ma “L'albero della vita“
è anche e più semplicemente una storia d'amore, è
una dichiarazione di fallibilità, è l'accesso negato al
segreto della vita eterna e l'invito a rassegnarsi alla
propria natura umana come fa la giovane moglie del
protagonista. In tempi in cui si è persa familiarità con la
morte, quella privata e non quella rappresentata in diretta
(suicidio o esecuzione capitale), il regista statunitense ne
affronta il mistero in un'opera controversa, sospesa e
confusa tra fantasy e metafisica. Dopo “Pi greco – Il
teorema del delirio“ e “Requiem for a dream“, Aronofsky
come Thomas prosegue la sua ricerca del significato
ultimo della vita. Fosse anche celato dietro una stella
estinta o dentro un amore ostinato.
Ai primi del XX secolo Daniel Plainview, un ambizioso
petroliere, arriva in California in cerca dell'oro nero. I
suoi pozzi porteranno alla crescita di una ridente
comunità a Little Boston, ma con gli anni Daniel
diventerà sempre più arido e allontana da sé qualunque
affetto. Basterebbe il bellissimo incipit, denso e
vigoroso, a dimostrare che il film vuole raccontare
l'epos di un uomo piuttosto che di una nazione. Siamo
nel 1898 e Daniel è solo, chiuso in uno scavo della
selvaggia California, intento a trovare pietre d'argento
con tutti i mezzi e l'ingegno di cui dispone. Improvvisamente e incidentalmente dal terreno emerge del
petrolio, la cui scoperta oltre a cambiargli la vita gli
costerà la deambulazione. La prima ellisse ci trasporta
avanti nel tempo di pochi anni, all'inizio del novecento e
delle fortune petrolifere di Daniel e di suo figlio H.W.,
ancora in fasce. Neanche è finito il primo "atto" del film
che è chiaro che Anderson non può e non vuole
affrancarsi dal suo uomo che aleggia, anche nelle
rarissime scene in cui è assente dalla scena, con la sua
fisicità e il suo sguardo magnetico e minaccioso.
Daniel Day-Lewis è un corpo calamita di sentimenti tesi
e oscuri. La sua interpretazione, supportata dalla
frontalità sorprendente della messa in scena e dalla
straordinaria colonna sonora composta da Jonny
Greenwood creano un'indomabile tensione sotterranea,
di cui si fa fatica a liberarsi perfino ore dopo la visione. E'
ovvio che non è più tempo di cinema post-moderno per
non c'è più spazio per il virtuosismo di “Magnolia“ o per
i giochi cromatici e le ellissi acrobatiche di “Ubriaco
d'amore“. Il miglior cinema americano sembra inequivocabilmente tornare indietro nel tempo e Anderson si
adegua portando in dote la sua innata abilità narrativa e
uno sguardo che lascia il segno.
Mercoledì 17 dicembre
Commedia
BE KIND REWIND - GLI ACCHIAPPAFILM
di Michel Gondry
(Be Kind Rewind) Stati Uniti 2007
Via Carducci 3 - 22100 Como - telefono 031 262 995 - www.einaudi.it
Mercoledì 29 ottobre
GO GO TALES
di Abel Ferrara
(Go Go Tales)
Interpreti Willem Dafoe, Bob Hoskins, Matthew
Modine, Stefania Rocca, Asia Argento, Justine Mattera.
Stati Uniti 2007 - 100 minuti.
un inglese nato e cresciuto a Londra da genitori
irlandesi. Capace di alternare momenti di introspezione e di intrattenimento puro, dialoghi pungenti e
gustose perle di saggezza, “In Bruges“ ha il grande
pregio di essere semplicemente se stesso, di non
assomigliare a nessun altro film.
Mercoledì 12 novembre
ONORA IL PADRE E LA MADRE
di Sidney Lumet
(Before the Devil Knows You're Dead)
Interpreti Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke, Albert
Finney, Marisa Tomei, Aleksa Palladino, Michael
Shannon.
Stati Uniti 2007 - 117 minuti.
I due assassini psicotici invece sono, molto
astutamente, americani e hanno i volti puliti ed
enigmatici di Michael Pitt e Brady Corbet. Haneke ha
tenuto a precisare che questo film è rivolto essenzialmente a chi non ha mai visto l'originale e in effetti non
c'è da stupirsi perché ci troviamo di fronte a un
remake shot by shot, cioè una perfetta copia per
inquadrature e sceneggiatura del primo. Chi ha quindi
già sopportato i vecchi giochi potrà quindi fare a meno
di vedere il nuovo “Funny Games“, che ha come unica
novità e attrativa i suoi interpreti, talmente bravi e
calati nella propria parte, però, da rendere il film
eccezionale come il precedente, ancora godibile e
detestabile nello stesso momento per quei sentimenti
contrastanti che Haneke ha saputo creare con la sua
pellicola. Tornano quindi a giocare vittime e carnefici:
da una parte la famigliola in vacanza che vuol
finalmente godersi quel che possiede, dall'altra una
coppia di ragazzi perbene che si presentano alla loro
porta sfoggiando estremo garbo, prima di intrappolarli
in un incubo di sopraffazione psicologica e tortura
fisica assolutamente immotivata. “Funny Games“ è
innanzitutto una riflessione sul consumo della
violenza al cinema, sul godimento del pubblico di
fronte all'esplosione dell'aggressività, della follia,
della brutalità sullo schermo, sul piacere e
l'eccitazione nello spettacolo del terrore.
Mercoledì 26 novembre
CLOVERFIELD
di Matt Reeves
(Cloverfield)
Ray Ruby è il titolare di un club di lap dance denominato “Paradise” in downtown Manhattan. Lo coadiuva
l'amministratore Jay mentre il silente fratello Johnny è
colui che finanzia l'impresa. Il problema è dato dal fatto
che il fallimento è alle porte e l'anziana proprietaria
dell'immobile non sembra più contenibile. Il Paradise è
una babele di suoni, rumori e attrazioni da cui
sembrano autoescludersi uomini e donne come esseri
umani. Definito dagli stessi produttori come una
screwball comedy, il film è in effetti lontanissimo dalle
atmosfere malsane o maledette dei precedenti film di
Ferrara: non c'è traccia di violenza, il sesso è visto
come arte grazie alle sensuali movenze delle
ballerine/spogliarelliste del locale in cui è ambientato
ed anche il finale è conciliatorio e da perfetta commedia. E' così che un'intera notte nel Ray Ruby's Paradise
Lounge tra spogliarelli, mariti gelosi, un biglietto
vincente della lotteria apparentemente scomparso e
perfino imbarazzanti numeri da cabaret può far ridere
con intelligenza grazie ad accattivanti dialoghi e
personaggi ben delineati interpretati da tutti gli attori.
A fare da collante c'è il solito carismatico Willem
Dafoe e in tanti (più o meno) piccoli ruoli di contorno
facce conosciute come quelle di Matthew Modine,
Bob Hoskins e Burt Young, e tante belle prime donne
tra cui spiccano le italiane: l'esordiente (splendida ma
non molto in vista, a dire la verità) Bianca Balti, la
grintosa Asia Argento e la brava Stefania Rocca.
Mercoledì 5 novembre
IN BRUGES - LA COSCIENZA
DELL'ASSASSINO
di Martin McDonagh
(In Bruges)
Interpreti Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph
Fiennes, Jérémie Renier, Thekla Reuten.
Gran Bretagna/Belgio 2008 - 101 minuti.
Interpreti Lizzy Caplan, Jessica Lucas, T.J. Miller,
Michael Stahl-David, Mike Vogel, Odette Yustman.
Stati Uniti 2008 - 85 minuti.
Sidney Lumet torna al cinema con un thriller che è
prima di tutto un coraggioso dramma familiare nel
quale i sentimenti in campo si scontrano e mutano in
continuazione. E' la discesa all'inferno di una intera
famiglia, al termine della quale il diavolo aspetta
ognuno dei suoi componenti per far scontare loro le
colpe di una vita terrena sciupata nella volgarità
dell'individualismo e della noncuranza. A dare il via
alla catena di drammatici eventi che porta dritta alla
più classica delle peggiori tragedie è il bisogno di soldi
di due fratelli: ad Andy servono soldi per mantenere
uno stile di vita elevato, per la droga di cui si imbottisce
ogni giorno e soprattutto per coprire gli ammanchi di
cassa dell'azienda presso la quale lavora e dalle quali
ha attinto a piene mani per permettersi i propri vizi;
Hank è invece un giovane padre squattrinato che deve
pagare gli alimenti all'ex moglie e nutrire perciò la loro
figlia. Per recuperare in fretta una consistente somma
di denaro Andy decide di organizzare il colpo perfetto,
una rapina nella gioielleria di famiglia che sarà
svaligiata dell'incasso settimanale e dei preziosi da
ricettare, ma verrà ricompensata dai soldi
dell'assicurazione, il tutto naturalmente senza far
parola ai genitori. Caratterizzato da un montaggio non
lineare, con numerosi salti temporali che raccontano
la vicenda dai punti di vista dei vari componenti della
famiglia (più precisamente da quelli maschili) “Before
the Devil Knows You're Dead“ si trasforma nel finale in
un coraggioso e singolare confronto tra padre e figlio,
un duello di sentimenti estremi vinto infine dalla sete di
vendetta. Il castigo per il delitto commesso diventa un
atto catartico consumato in nome dell'amore per la
donna amata, a discapito del legame primordiale che
lega un padre al proprio figlio, in questo caso il
primogenito. Sul monitor dell'ospedale si mescolano i
battiti cardiaci dei due uomini, ma la linea di uno dei
due deve appiattirsi per poter permettere la degna
conclusione dell'esistenza dell'altro
Mercoledì 19 novembre
FUNNY GAMES
di Michael Haneke
(Funny Games)
Interpreti Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt,
Devon Gearhart, Brady Corbet, Boyd Gaines.
Gran Bretagna/Stati Uniti/Austria 2007 - 111 minuti.
Ray e Ken vengono spediti a Bruges dal loro capo
Henry, un implacabile gangster inglese permaloso e un
tantino psicopatico. I due killer irlandesi dallo spiccato
humor nero si trasformano così in due maldestri turisti
costretti a nascondersi e a ingannare il tempo in attesa
di istruzionI. Perennemente in bilico tra sarcasmo e
tragedia, permeato dallo stesso tagliente humor
irlandese che caratterizza anche tutte le sue opere
teatrali, “In Bruges“ è il film d'esordio alla regia di
Martin McDonagh. Un'opera prima di grande impatto
emotivo, un'avventura al limite del mistico, alla
scoperta della natura umana che racconta il viaggio,
dell'anima e del corpo, di tre criminali alla ricerca di
se stessi, tre uomini schiacciati dai sensi di colpa in
colpa in cerca di redenzione dopo una vita spesa
all'insegna del peccato. Luci e ombre, monotonia ed
eccitazione, dramma e commedia, atmosfere dark e
romantiche, antiche verità e misteri convivono da
sempre in questo luogo incantato che a vederlo
sembra uscito da una fiaba. Contrasti che rendono
unico questo film, tutti racchiusi nel celebre passato di
questa ridente cittadina delle fiandre occidentali che
ha fatto letteralmente innamorare McDonagh, e che ha
prestato non solo il nome, ma ogni angolo, ogni piazza,
ogni canale e ogni sua meraviglia architettonica alla
realizzazione di questa interessante produzione
britannica: Bruges è uno degli incantevoli protagonisti
di questa surreale e brillante storia scritta e diretta
senza fronzoli ma con un pizzico di istintiva crudeltà da
La scommessa di “Cloverfield“ aveva una posta
decisamente alta. La sfida non da poco di realizzare
oggi, ancora in pieno post 11/9, un monster-movie, un
film catastrofico ambientato in quel di New York. Ma il
regista Matt Reeves ed il diabolico produttore J.J.
Abrams la loro scommessa la vincono a mani basse.
La vincono per due motivi, o, se volete, su due
differenti livelli: il primo è quello di un film che gli
anglosassoni definirebbero "a hell of a ride", teso e
avvincente, in grado di catturarti e di stupirti per la
spettacolarità delle scene, per la misura e
l'intelligenza con le quali l e distruzioni vengono
mostrate (o non mostrate), in grado di farti appassionare alle vicende dei giovani protagonisti; il secondo e conseguente - è quello di un film che per stile, forma
e scelte narrative si rivela l'unica via possibile al
cinema catastrofico dopo il crollo delle Torri Gemelle.
Raccontato unicamente attraverso l'occhio di una
videocamera digitale, che documenta l'impresa di
alcuni amici impegnati nel disperato tentativo di
salvare l'amata da uno di loro “Cloverfield“ ha il suo
centro narrativo non nel mostro o nella devastazione
della città di New York, ma nei suoi protagonisti, nei
personaggi, nelle lororelazioni. Protagonisti che sono
amici, fratelli, fidanzati, innamorati. Persone che
devono fare i conti con i loro sentimenti prima ancora
che con il disastro che gli si para di fronte. Dopo l'11/9
mostrare è sostanzialmente inutile, poiché nulla che il
cinema può rappresentare sarà mai tanto sconvolgente quanto quel che abbiamo visto quel giorno alla
televisione. Certo, quel che “Cloverfield“ mostra della
New York devastata ci colpisce, ma - complici anche
numerosi riferimenti più che espliciti (i crolli, le nuvole
di polvere, i fogli che volano nell'aria) - la nostra
immaginazione torna sempre lì. A quel che è già
accaduto. Quel che resta, quello che è sempre nuovo,
imprevedibile, rinnovabile, siamo noi, sono i nostri
legami, le persone care, i nostri sentimenti. E la scelta
della videocamera non serve solo a rimandare ai
documenti reali dell'11/9 ma è funzionale alla
memoria: alla necessità di raccontare non un evento,
ma delle persone, la loro vita, i loro sentimenti. La loro
morte.
Mercoledì 3 dicembre
NON È UN PAESE PER VECCHI
di Ethan Coen, Joel Coen
(No Country for Old Men)
Paganini non ripete, Michael Haneke sì. A undici
anni dal primo “Funny Games“, il regista austriaco
torna sul luogo del delitto, anche se è un altrove, si
diverte a fotocopiare un'opera che aveva fatto
all'epoca molto scalpore, per gettarla in pasto al
pubblico anglofono, e in particolare agli
americani,che di sottotitoli e lingue diverse dalla
propria non vogliono proprio sentir parlare. Allora
riecco i suoi giochi divertenti e spietati masticati
beffardamente in inglese, escogitati e subiti da
nomi noti del panorama hollywoodiano, anche se
Naomi Watts è nata in Gran Bretagna, ma cresciuta
in Australia, mentre Tim Roth è così inglese da aver
ottenuto il suo primo successo come attore in un tv
movie intitolato “Made in Britain“.
Interpreti Tommy Lee Jones, Javier Bardem, Josh
Brolin, Woody Harrelson, Kelly MacDonald, Garret
Dillahunt.
Stati Uniti 2007 - 122 minuti.
Cominciamo col dire che “No Country for Old Men“ non
solo è un bellissimo film, ma è in realtà il film che tutti gli
amanti del cinema dei fratelli Coen aspettavano, perché
rappresenta contemporaneamente un ritorno al cinema
più noir e sanguinolento del primo periodo ma allo
stesso tempo non rinuncia ai personaggi eccentrici e
così profondamente vitali (e divertenti) dei vari “Fargo“
o “Il grande Lebowski“. Tratto dall'omonimo romanzo di
Cormac McCarthy, lo script prende avvio in Texas con il
ritrovamento da parte di Llewelyn di due milioni di
dollari appartenuti a dei trafficanti di narcotici, e si
trasforma presto in una caccia tra gatto e topo, in cui si
inserirà un serial killer psicopatico e, ovviamente, la
polizia locale. Che ci troviamo di fronte ad un Coen
autentico lo si capisce dalla straordinaria caratterizzazione dei personaggi che appare evidente fin dalla
prima sequenza. Quanto più la storia è semplice e
lineare, tanto più i due fratelli possono sfruttare le loro
straordinarie doti narrative nel pennellare dialoghi
memorabili e personaggi eccentrici (se non completamente folli) come da migliore tradizione, ma al tempo
stesso reali, così come reali sono le problematiche che
si portano appresso, come la stanchezza di vivere e
l'ineluttabilità della morte, non solo degli uomini stessi
ma anche dei valori in cui essi credono. Sono tanti gli
elementi che risuoneranno familiari per i conoscitori del
cinema dei terribili fratelli minnesotani, ma si tratta di
piacevoli richiami, mentre il film comunque mantiene
una sua indipendenza e scorrevolezza nonostante le
due ore piene di durata. Molto d'atmosfera i paesaggi
splendidamente fotografati dal fedele Roger Deakins,
che come sempre hanno un ruolo di grande rilevanza
per un cinema profondamente calato nella provincia
americana come quello di Joel Coen e Ethan Coen.
Mercoledì 17 dicembre
BE KIND REWIND - GLI ACCHIAPPAFILM
di Michel Gondry
(Be Kind Rewind)
Interpreti Jack Black, Mos Def, Danny Glover, Mia
Farrow, Melonie Diaz, Irv Gooch, Chandler Parker.
Stati Uniti 2007 - 98 minuti.
Be Kind Rewind è un lavoro proteiforme, complesso e
stratificato che dietro il paravento della facile etichetta
di genere nasconde un'anima molteplice e sfuggente.
La prima possibile chiave di lettura ci viene offerta dallo
stesso regista con gli splendidi titoli di testa che
introducono fin da subito lo spettatore nel piccolo
mondo antico della comunità di Passaic, isola felice a
ridosso di New York dove la dimensione comunitaria ha
ancora un peso preponderante. La raffinata eleganza
delle immagini e il bianco e nero d'epoca ci iniziano al
vero fulcro della pellicola: l'omaggio a un glorioso
passato personificato nella figura dell'eroe locale, il
pianista jazz afroamericano Fats Waller, omaggio che
culminerà nelle struggenti riprese collettive di un film
dedicato al mitico jazzista e realizzato artigianalmente
dai suoi concittadini. E proprio questo 'fare insieme'
rappresenta l'essenza costitutiva della pellicola di
Gondry, il concetto che permea questo lavoro
fotogramma dopo fotogramma è la celebrazione
dell'atto creativo puro e semplice, genuino, povero,
spontaneo, poetico. La filosofia che sottende “Be Kind
Rewind” non può non riportare alla mente lo straordinario omaggio tratteggiato da Tim Burton in “Ed Wood”,
lucida e toccante biografia perché incredibilmente
focalizzata su ciò che per Burton rappresenta l'essenza
stessa del cinema: la passione pura per il medium
cinematografico, la fiducia incrollabile nei propri mezzi
anche quando questi sfiorano il dilettantismo e
l'entusiasmo inesauribile che permette di superare
qualunque ostacolo.
TABORELLI ANGELO s.a.s.
SOLUZIONI PER LʼUFFICIO
Via I° Maggio 3 - 22070 Montano Lucino (Como) - telefono 031 471 688 - fax 031 471 688
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I LUNEDì del CINEMA
I FILM del MERCOLEDÌ
LUNEDÌ
dal 15 settembre al 22 dicembre 2008
MERCOLEDÌ
dal 1 ottobre al 17 dicembre 2008
Lunedì 15 settembre
spettacolo unico ore 21
Mercoledì 1 ottobre
rassegna di cinema internazionale d’autore
IL DIVO
di Paolo Sorrentino
Italia 2008
ai confini del cinema
LETTERE DA IWO JIMA
di Clint Eastwood
Stati Uniti 2006
Mercoledì 8 ottobre
Lunedì 22 settembre
LA BANDA
di Eran Kolirin
Israele/Francia 2007
L'ALBERO DELLA VITA
di Darren Aronofsky
Stati Uniti 2006
Mercoledì 15 ottobre
Lunedì 29 settembre
AWAY FROM HER
di Sarah Polley
Canada 2006
MONGOL
di Sergei Bodrov
Russia/Germania 2007
Mercoledì 22 ottobre
Lunedì 6 ottobre
LA ZONA
di Rodrigo Plà
Spagna/Messico 2007
IL PETROLIERE
di Paul Thomas Anderson
Stati Uniti 2007
Mercoledì 29 ottobre
Lunedì 13 ottobre
LA FAMIGLIA SAVAGE
di Tamara Jenkins
Stati Uniti 2007
GO GO TALES
di Abel Ferrara
Stati Uniti 2007
Mercoledì 5 novembre
Lunedì 20 ottobre
UNA BALLATA BIANCA
di Stefano Odoardi
Italia/Olanda 2006
IN BRUGES
di Martin McDonagh
Gran Bretagna/Belgio 2008
Mercoledì 12 novembre
Lunedì 27 ottobre
IL TRENO PER IL DARJEELING
di Wes Anderson
Stati Uniti 2007
ONORA IL PADRE E LA MADRE
di Sidney Lumet
Stati Uniti 2007
Mercoledì 19 novembre
Lunedì 3 novembre
SOTTO LE BOMBE
di Philippe Aractingi
Francia/Gran Bretagna/Libano 2007
FUNNY GAMES
di Michael Haneke
Gran Bretagna/Stati Uniti/Austria 2007
Mercoledì 26 novembre
Lunedì 10 novembre
MARS
di Anna Melikian
Russia 2006
CLOVERFIELD
di Matt Reeves
Stati Uniti 2008
Mercoledì 3 dicembre
Lunedì 17 novembre
L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI
ANDARONO IN VACANZA
di Cao Hamburger
Brasile 2006
Lunedì 24 novembre
INTERVIEW
NON È UN PAESE PER VECCHI
di Ethan Coen e Joel Coen
Stati Uniti 2007
Mercoledì 17 dicembre
BE KIND REWIND
di Michel Gondry
Stati Uniti 2007
di Steve Buscemi
Stati Uniti 2007
Lunedì 1 dicembre
ALEXANDRA
di Aleksandr Sokurov
Russia 2006
Lunedì 8 dicembre
INDAGINE SU UN CITTADINO
AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO
di Elio Petri
Italia 1970
Lunedì 15 dicembre
NOI DUE SCONOSCIUTI
di Susanne Bier
Stati Uniti/Gran Bretagna 2007
Lunedì 22 dicembre
FILM ANTEPRIMA 2009
Circolo Arci Xanadù
CINEMA GLORIA
Via Varesina 72 Como
031 - 4491080
[email protected]
www.arcixanadu.it
Ingressi
Intero € 7 - Soci Arci € 5 - Ridotto (studenti - over 65) € 4
Tessera 20 film a scelta su 27 (lunedì e mercoledì) € 60
Tessera 10 film a scelta su 27 € 35