Questo Quaderno è a cura di Paolo Pennesi

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Questo Quaderno è a cura di Paolo Pennesi
Questo Quaderno è a cura di Paolo Pennesi
Gli Autori dei testi sono:
Paolo Pennesi - Direttore generale per l’attività ispettiva
Danilo Papa - Funzionario della Direzione generale per l’attività ispettiva
Germano De Sanctis - Responsabile dell’unità operativa vigilanza ordinaria presso
la Direzione provinciale del lavoro di Pescara
Giuseppe Lella - Funzionario della Direzione regionale del lavoro della Puglia
Pierluigi Rausei - Funzionario della Direzione provinciale del lavoro di Ascoli Piceno
La collana Quaderni di lavoro è pubblicata nell’ambito del progetto del Ministero del Lavoro
e della Previdenza Sociale “Adeguamento delle potenzialità ispettive alle esigenze connesse
con l’implementazione della legislazione comunitaria in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” realizzato dalla Direzione generale per le politiche per l’orientamento e la formazione, dalla Direzione generale per l’attività ispettiva, dalla Direzione generale delle risorse umane e affari generali e da Italia Lavoro.
Il coordinamento editoriale è a cura del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e
di Italia Lavoro.
1
Indice
Presentazione di Paolo Pennesi
pag
5
Provvedimento di sospensione dell’attività
imprenditoriale: primi chiarimenti dal Ministero
pag
7
Lettera circolare del Mlps del 22.08.2007
e circolare del Mlps 14.11.2007 n. 24
pag 20
Decreto del Mlps del 24.10.2007
Documento unico di regolarità contributiva
pag 38
La responsabilità solidale negli appalti
pag 45
Appalti genuini: criteri distintivi
pag 70
Il sistema sanzionatorio delle esternalizzazioni
pag 86
3
Presentazione
Perché nasce l’esigenza di impostare uno specifico percorso formativo del personale ispettivo sulle
problematiche della vigilanza nel settore edile?
La risposta va ricercata nella considerazione che il mondo dell’edilizia, oltre a rappresentare il settore trainante dell’economia nazionale, è anche l’ambito produttivo nel quale con maggiore evidenza il
fenomeno del lavoro “irregolare” si interseca con quello del lavoro “insicuro”.
Questo per l’ispettore del lavoro significa trovarsi a contatto con un ambito di intervento dove la problematica della tutela delle condizioni di lavoro, si evidenzia in tutte le sue articolazioni sia sul profilo
più strettamente tecnico sia sul piano della correttezza degli adempimenti amministrativi.
Non è un caso infatti che l’ambito edile, anche per una forte presenza della bilateralità, sia, da sempre, un laboratorio di sperimentazione nel quale vengono testate l’efficacia di nuove disposizioni volte
a contrastare il ricorso al lavoro sommerso (comunicazione preventiva di assunzione, tessere di riconoscimento) ovvero a prevenire i rischi derivanti dal fenomeno infortunistico (sospensione dell’attività
aziendale).
Lo stesso Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), che nasce nel settore edile nell’ambito degli appalti pubblici, trova una applicazione generalizzata, con la riforma del mercato del lavoro,
a tutto il mondo dell’edilizia e, da ultimo, con il decreto ministeriale attuativo delle disposizioni della
Finanziaria 2007, si trasforma in un vero e proprio documento di regolarità aziendale che, dalle sole
problematiche contributive, finisce per costituire un elemento di valutazione della complessiva regolarità aziendale sotto i diversi profili di corretta applicazione delle normativa lavoristica e prevenzionistica.
Anche le problematiche degli appalti e subappalti, e il regime della somministrazione e distacco di
manodopera, trovano specifiche applicazioni nell’ambito di tale settore e meritano un’approfondita
riflessione. Al personale ispettivo, infatti, è richiesta con maggiore frequenza l’analisi delle dinamiche
aziendali, che coinvolgono l’intero processo produttivo del settore, da sempre caratterizzato da una
forte specializzazione ma, da ultimo, addirittura, da una vera e propria destrutturazione. Basti pensare in tal senso al fatto che, oramai, il numero di operatori edili che lavorano con contratti di natura subordinata è inferiore al sempre più crescente numero di prestatori autonomi, artigiani e non.
È per rispondere a tali esigenze che la dispensa suggerisce spunti di riflessione sia sui profili tecnici
della vigilanza, mediante indicazioni operative chiare e definite di carattere applicativo, che sulle problematiche più recenti, derivanti dalle disposizioni che introducono nuove prerogative del personale
ispettivo in ordine all’adozione di provvedimenti interdettivi di natura cautelare.
Di particolare rilievo, inoltre, sono anche i contributi sui temi delle esternalizzazione e degli appalti in
quanto su tali argomenti si concentrano le maggiori incertezze di carattere interpretativo del personale ispettivo, incertezze derivanti, in verità, da un panorama normativo in continua evoluzione e non
sempre caratterizzato da disposizioni coerenti.
Senza la pretesa di fornire un quadro necessariamente definitivo e completo su tali problematiche;
mi auguro, però, che tale strumento costituisca un’utile guida di riflessione per gli operatori, lasciando ai docenti ed ai tutor, il compito di stimolare ulteriori osservazioni e spunti critici, di natura costruttiva, nel corso dell’attività formativa, spunti critici e riflessioni che potranno essere utili ai fini di una
più completa e matura sistemazione della materia trattata.
Paolo Pennesi
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Provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale:
primi chiarimenti dal Ministero
Paolo Pennesi e Danilo Papa*
La L. n. 123/2007, recante “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa
in materia”, ha introdotto nuovi ed incisivi strumenti di contrasto al lavoro “nero”,
fra i quali spicca l’estensione del provvedimento di sospensione “dei lavori nell’ambito dei cantieri edili” – già previsto dall’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006 (conv.
da L. n. 248/2006) – con riferimento ad ogni attività imprenditoriale.
Il provvedimento di sospensione nasceva come un istituto di natura cautelare che,
nei pensieri dei suoi ideatori, voleva esplicitare il forte legame che esiste tra lavoro sommerso, violazione delle norme in materia di tempi di lavoro ed infortuni sul
lavoro, consentendo al personale ispettivo del Ministero la sospensione delle attività di chi opera nei cantieri edili in presenza di gravi violazioni in materia lavoristica.
Alla disciplina contenuta nel citato art. 36 bis è stata dunque affiancata quella prevista dall’art. 5 della L. n. 123/2007 (nel testo normativo la compresenza delle
due discipline è sottolineata dall’incipit secondo cui resta fermo “quanto previsto
dall’articolo 36-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223”), il che richiede una
analisi comparativa dei due istituti per individuare con esattezza gli ambiti applicativi di ciascuno di essi.
Con riferimento alla più recente disciplina va poi evidenziata la tempestività del
Ministero del lavoro che, con lettera circolare del 22 agosto, ha fornito i primi
chiarimenti al proprio personale ispettivo sulla applicabilità del nuovo potere di
sospensione. La lettera circolare – che in parte riprende i contenuti della circ. n.
29/2006, interpretativa dell’art. 36 bis – pur sottolineando la transitorietà delle
istruzioni fornite1, appare piuttosto esauriente, affrontando ogni singolo profilo
applicativo delle previsioni entrate in vigore il 25 agosto scorso.
Ambito applicativo
Prima di esaminare il contenuto delle disposizioni normative e del documento ministeriale si rendono opportune alcune osservazioni sull’ambito applicativo dei due
*Rispettivamente Direttore generale e Responsabile area giuridica e attività di interpello della Direzione
generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del lavoro. Si segnala che le considerazioni contenute nel
presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero degli Autori e non hanno carattere in alcun
modo impegnativo per l’Amministrazione.
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provvedimenti interdittivi. Da un lato occorre osservare che il “vecchio” potere di
sospensione dei lavori è rimesso in via esclusiva al personale ispettivo del
Ministero del lavoro, competente a vigilare in materia prevenzionistica nell’ambito
dell’edilizia in virtù di quanto previsto dall’art. 23, comma 2 del D.Lgs. n.
626/1994 e dal D.P.C.M. n. 412/19972, mentre il “nuovo” potere interdittivo è
rimesso anche al personale ispettivo delle AA.SS.LL. Dall’altro, l’esercizio del potere di sospensione ex art. 36 bis D.L. n. 223/2006 è limitato all’ambito dei cantieri edili, mentre il provvedimento introdotto dall’art. 5 della L. n. 123/2007 è
applicabile in ogni altra ipotesi in cui sia esercitata una attività imprenditoriale. La
differenza che reca tuttavia maggiori perplessità è costituita dal fatto che la più
recente disciplina è applicabile, oltre che in presenza di lavoratori “in nero” e di
violazione delle norme in materia di tempi di lavoro, anche in caso “di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza
sul lavoro”, mentre così non sembrerebbe per i lavori “nell’ambito dei cantieri
edili”. In altre parole salta subito all’occhio come proprio nell’ambito dell’edilizia,
dove maggiori sono i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, non sia probabilmente possibile adottare un provvedimento di sospensione motivato da esigenze di natura prevenzionistica3. Sulla questione occorre dunque fare maggiore
chiarezza atteso che, con un comunicato stampa del 23 agosto4, i vertici politici
del Ministero del lavoro hanno invece evidenziato come “l’art. 5 si riferisce anche
alla possibilità di sospensione delle attività delle imprese edili”5.
Certamente non va dimenticato che per garantire la sicurezza e la salute del lavoro gli ufficiali di polizia giudiziaria, quali sono il personale ispettivo del Ministero del
lavoro e delle AA.SS.LL., possono disporre di altri strumenti di carattere interdittivo, quale ad esempio il c.d. sequestro cautelare; senza contare il potere di prescrizione obbligatoria previsto già dal D.Lgs. n. 758/1994. Proprio l’art. 20,
comma 3, del decreto potrebbe infatti rappresentare un mezzo per ovviare alla
problematica sull’impossibilità di sospendere l’attività imprenditoriale per violazioni
prevenzionistiche nell’ambito dei cantieri edili. La norma in questione stabilisce
infatti che “con la prescrizione l’organo di vigilanza può imporre specifiche misure
atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”, misure che potrebbero essere rappresentate, per l’appunto, dal provvedimento di sospensione dei lavori recentemente disciplinato. Non si nasconde
la complessità di tale ricostruzione ma sulla questione non sembrano al momento esserci altri “spazi di manovra”.
Per tornare all’ambito applicativo dei poteri di sospensione va dunque ricordato
quanto chiarito dal Ministero del lavoro sia con la circ. n. 29/2006 che con la
lettera circolare del 22 agosto in commento. Il provvedimento di sospensione previsto dall’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006 trova applicazione – stante il riferimento a “l’ambito dei cantieri edili” – nei confronti delle imprese che svolgono le
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attività descritte dall’allegato I del D.Lgs. n. 494/1996, “nel quale sono ricomprese sia aziende inquadrate o inquadrabili previdenzialmente come imprese edili
sia imprese non edili che operano comunque nell’ambito delle realtà di cantiere”6.
Al di fuori di tale ambito sembra dunque trovare applicazione l’art. 5 della L. n.
123/2007, il quale fa riferimento ai soli datori di lavoro imprenditori escludendo,
pertanto, i soggetti che non esercitano attività di impresa. Quanto alla individuazione della nozione di “attività imprenditoriale” il Ministero precisa che la stessa è
da intendersi riferita alla specifica “unità produttiva” rispetto alla quale, conseguentemente, vanno sia verificati i presupposti di applicazione del provvedimento
che circoscritti gli effetti sospensivi dello stesso.
Art. 5. L. n. 123/2007
(Disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute
e della sicurezza dei lavoratori)
1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 36-bis del decreto-legge 4 luglio
2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n.
248, come modificato dal presente articolo, il personale ispettivo del Ministero
del lavoro e della previdenza sociale, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, può adottare provvedimenti
di sospensione di un’attività imprenditoriale qualora riscontri l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria in
misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente
occupati, ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, ovvero di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela
della salute e della sicurezza sul lavoro. L’adozione del provvedimento di sospensione è comunicata alle competenti amministrazioni, al fine dell’emanazione da
parte di queste ultime di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con
le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche di durata
pari alla citata sospensione nonché per un eventuale ulteriore periodo di tempo
non inferiore al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni.
2. È condizione per la revoca del provvedimento da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di cui al comma 1:
a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;
b) l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di
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reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile
2003, n. 66, o di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
c) il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva rispetto a quelle di
cui al comma 3 pari ad un quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate.
3. È comunque fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative vigenti.
4. L’importo delle sanzioni amministrative cui al comma 2, lettera c), e di cui
al comma 5 integra la dotazione del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo
1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, ed è destinato al finanziamento degli interventi di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all’articolo 1, comma 1156, lettera g), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
5. Al comma 2 dell’articolo 36-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:
«b-bis) il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva rispetto a quelle di cui alla lettera b), ultimo periodo, pari ad un quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate».
6. I poteri e gli obblighi assegnati dal comma 1 al personale ispettivo del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale sono estesi, nell’ambito dei compiti istituzionali delle aziende sanitarie locali e nei limiti delle risorse finanziarie,
umane e strumentali complessivamente disponibili, al personale ispettivo delle
medesime aziende sanitarie, limitatamente all’accertamento di violazioni della
disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. In tale
caso trova applicazione la disciplina di cui al comma 2, lettere b) e c).
Art. 36 bis,, commi 1 e 2, D.L. n. 223/2006
(conv. da L. n. 248/2006),
come modificato dall’art. 5 della L. n. 123/2007
(Misure urgenti per il contrasto del lavoro nero e per la promozione
della sicurezza nei luoghi di lavoro)
1. Al fine di garantire la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori nel settore dell’edilizia, nonché al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommer-
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so ed irregolare ed in attesa dell’adozione di un testo unico in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per
l’esecuzione dei lavori di cui all’articolo 5, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, e successive modificazioni, nonché le competenze in tema di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente in materia di salute e sicurezza, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza
sociale, anche su segnalazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale
(INPS) e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro
(INAIL), può adottare il provvedimento di sospensione dei lavori nell’ambito dei
cantieri edili qualora riscontri l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, in misura pari o superiore al 20 per
cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati nel cantiere ovvero in
caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi
di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del
decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni. I competenti uffici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale informano tempestivamente i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture dell’adozione del
provvedimento di sospensione al fine dell’emanazione da parte di questi ultimi
di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche di durata pari alla citata
sospensione nonché per un eventuale ulteriore periodo di tempo non inferiore
al doppio della durata della sospensione, e comunque non superiore a due
anni. A tal fine, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministero delle infrastrutture e il Ministero del
lavoro e della previdenza sociale predispongono le attività necessarie per l’integrazione dei rispettivi archivi informativi e per il coordinamento delle attività di
vigilanza ed ispettive in materia di prevenzione e sicurezza dei lavoratori nel settore dell’edilizia.
2. È condizione per la revoca del provvedimento da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di cui al comma 1: a) la
regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria; b) l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di
lavoro nelle ipotesi di reiterate violazioni alla disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni. È comunque fatta
salva l’applicazione delle sanzioni penali e amministrative vigenti; b-bis) il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva rispetto a quelle di cui alla
lettera b), ultimo periodo, pari ad un quinto delle sanzioni amministrative
complessivamente irrogate.
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Presupposti applicativi
I presupposti di adozione del provvedimento sono in parte comuni ai due provvedimenti di sospensione. In particolare è anzitutto possibile sospendere l’attività
imprenditoriale:
- qualora sia accertato l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da
altra documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei
lavoratori regolarmente occupati;
- in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi
di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del D.Lgs.
n. 66/2003.
Sul primo presupposto il Ministero richiama quanto già precisato con la precedente circolare n. 29/2006 e cioè:
- il personale “non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria” va individuato nel personale totalmente sconosciuto alla P.A. in quanto non
iscritto nella documentazione obbligatoria né oggetto di alcuna comunicazione prescritta dalla normativa lavoristica e previdenziale. Ne consegue che da tale formulazione restano esclusi, ad esempio, eventuali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto che, seppur ritenuti fittizi, risultano comunque iscritti sul libro matricola, così come previsto dal D.Lgs. n. 38/2000. Viceversa, eventuali forme di collaborazione occasionale ritenute non genuine, in assenza di qualunque formalizzazione su libri o documenti obbligatori, potranno contribuire alla
determinazione della percentuale di personale “in nero”;
- la percentuale del personale “in nero” va rapportata alla totalità dei lavoratori
regolari della singola unità produttiva o della singola impresa operante nel cantiere al momento dell’accesso ispettivo (e non già complessivamente in forza
all’azienda)7.
A questo va aggiunto – precisazione non contenuta nella precedente circ. n.
29/2006 – che nel computo della percentuale di lavoratori “in nero” va ricompreso anche il personale extracomunitario clandestino, rispetto al quale il Ministero
ha peraltro recentemente chiarito che trova applicazione anche la c.d. maxisanzione di cui all’art. 36 bis della L. n. 223/20068.
Quanto al presupposto relativo alle reiterate violazioni della disciplina in materia di
superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli
articoli 4, 7 e 9 del D.Lgs. n. 66/2003 il Ministero aveva già chiarito che il termine “reiterate” va interpretato come “ripetizione di una o più delle diverse condotte illecite contemplate nella norma in esame, riferita ad almeno un lavoratore,
in un determinato arco temporale (l’art. 8 bis della L. n. 689/1981, ad esempio, prende in considerazione gli ultimi 5 anni), tale da non poter considerare la
condotta stessa meramente occasionale”.
Un ulteriore presupposto per l’adozione del provvedimento di sospensione – che,
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come detto, sembrerebbe però operare solo al di fuori dell’ambito dei cantieri edili
– attiene alle “gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della
salute e della sicurezza sul lavoro”. Il Ministero al riguardo ha precisato che:
- per “gravi” devono intendersi le violazioni riscontrate a carico dei soli datori di
lavoro e dei dirigenti punite con le pene più gravi (sia di carattere detentivo che
pecuniario);
- la reiterazione va intesa come “recidiva aggravata” e cioè relativa ad una violazione della stessa indole (violazione grave in materia di sicurezza e salute del lavoro) e commessa nei cinque anni precedenti all’ultima condotta oggetto di prescrizione obbligatoria ovvero di giudicato penale.
Ovviamente la verifica del requisito della reiterazione richiederà un frequente
scambio di informazioni tra Direzioni provinciali del lavoro e AA.SS.LL., probabilmente da realizzare attraverso strumenti informatici, così come peraltro richiede
l’art. 5 del D.Lgs. n. 124/2004 in riferimento alla attività di vigilanza del
Ministero del lavoro e degli Enti previdenziali9. In sede di prima applicazione la lettera circolare stabilisce pertanto che l’eventuale sussistenza della reiterazione
possa essere verificata o richiedendo al datore di lavoro copia dei verbali redatti
da personale ispettivo delle AA.SS.LL. nell’ultimo quinquennio ovvero acquisendo
una dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000 relativa alla assenza di provvedimenti prescrittivi o di sentenze penali passate in giudicato aventi ad oggetto le ipotesi di reato in materia.
AMBITO
Provvedimento di
APPLICATIVO
sospensione ex
Ambito dei cantieri edili
art. 36 bis D.L. n. (imprese che svolgono le attività descritte dall’allegato I
223/2006
del D.Lgs. n. 494/1996)
Provvedimento di
sospensione ex
art. 5 L. n.
123/2007
Ogni altro ambito
TITOLARE DEL POTERE
DI SOSPENSIONE
PRESUPPOSTI PER L’ADOZIONE
DEL PROVVEDIMENTO
Solo personale ispettivo
Ministero del lavoro
Per utilizzo lavoratori “in nero”
e violazione della normativa
sui tempi di lavoro
Per utilizzo lavoratori “in nero”,
violazione della normativa sui
Personale ispettivo Ministero tempi di lavoro e per gravi e
del lavoro e AA.SS.LL.
reiterate violazioni in materia di
sicurezza e salute del lavoro
Discrezionalità del provvedimento
Sia la formulazione normativa del “vecchio” provvedimento di sospensione che
quella contenuta nell’art. 5 della L. n. 123/2007 disciplinano il potere interdittivo come un potere di carattere discrezionale (“il personale ispettivo… può adottare il provvedimenti di sospensione”). Al fine di limitare tale discrezionalità il
Ministero è dunque intervenuto chiarendo anzitutto che il provvedimento debba “di
norma” essere adottato ogni qual volta ne siano accertati i presupposti, “salvo
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valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità,
di non adottare il provvedimento in questione”. Le circostanze che possono indurre il personale ispettivo a non adottare il provvedimento sono anzitutto legate ad
esigenze di sicurezza e salute del lavoro; in altre parole – come già chiarito dalla
circ. n. 29/2006 – laddove la sospensione dell’attività possa determinare a sua
volta una situazione di maggior pericolo per l’incolumità dei lavoratori o di terzi
sarà opportuno non emettere alcun provvedimento. Ecco allora che la lettera circolare del 22 agosto afferma come “un utile criterio volto ad orientare la valutazione dell’organo di vigilanza va legato alla natura del rischio dell’attività svolta dai
lavoratori irregolari, tenendo conto che il provvedimento può non essere adottato
nei casi in cui l’immediata interruzione dell’attività comporti a sua volta una imminente situazione di pericolo sia per i lavoratori che per i terzi”. Ma non è tutto. Va
infatti tenuto conto che, anche al di fuori dell’ambito dei cantieri edili, la sospensione dell’attività imprenditoriale può dar luogo a conseguenze che possono incidere sulla stessa sopravvivenza dell’impresa: si pensi alle attività a ciclo continuo
o al settore dell’agricoltura nel periodo del raccolto. Ebbene, in tutti questi casi il
provvedimento di sospensione, secondo un bilanciamento degli interessi che
dovrebbe guidare l’emanazione di ogni provvedimento amministrativo, potrebbe
non essere adottato. È così che, secondo il Ministero, “appare opportuno altresì
non adottare il provvedimento di sospensione nel caso in cui l’interruzione dell’attività di impresa comporti un irrimediabile degrado degli impianti o delle attrezzature”; l’osservazione è certamente condivisibile, anche se può non ricomprendere
tutte le ipotesi in cui si rende opportuno astenersi dal sospendere l’attività imprenditoriale. Basti pensare all’esempio ora citato concernente il settore dell’agricoltura, in cui l’eventuale sospensione delle attività di raccolta di frutta o verdura, pur
non determinando un irrimediabile degrado “degli impianti o delle attrezzature”,
può dar luogo ad ingenti danni per le aziende. A ciò, ad onor del vero, va tuttavia
risposto che, come si dirà meglio in seguito, i destinatari del provvedimento sono
comunque messi subito nelle condizioni di ottenere un provvedimento di revoca
della sospensione e quindi di limitare al massimo eventuali danni alla produzione.
Ottemperanza al provvedimento
Una volta adottato, il provvedimento di sospensione è trasmesso al presidio territoriale dell’Arma dei Carabinieri, alla Questura ed al Comune ove è situata l’unità
produttiva oggetto di interdizione, affinché tali soggetti siano messi nelle condizioni di poter eventualmente verificarne il rispetto.
Qualora non si ottemperi al provvedimento è possibile incorrere nell’ipotesi di
reato di cui all’art. 650 c.p. che punisce “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o
d’ordine pubblico o d’igiene” con l’arresto sino a tre mesi o l’ammenda sino ad €
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206. In tal caso – spiega il Ministero – “si è in presenza di un provvedimento emanato per ragioni di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori che, quale bene
costituzionalmente tutelato, rientra nell’ambito della nozione di sicurezza pubblica
(in tal senso Cass., sez. III, 17 novembre 1960 e Cass., sez. III, 14 febbraio
1995 n. 3375)”.
Certamente va notato che, seppur presidiata penalmente, la fattispecie di reato
potrebbe tuttavia non scoraggiare eventuali imprenditori dal continuare la propria
attività, in particolare in quelle ipotesi in cui, come detto in precedenza, il provvedimento di sospensione possa dar luogo a forti perdite economiche.
Revoca del provvedimento
La lettera circolare si dilunga, giustamente, nel fornire ogni possibile chiarimento
sulle modalità di revoca del provvedimento di sospensione, modificando sensibilmente il proprio orientamento rispetto a quanto già chiarito con la circ. n.
29/2006 sulla scorta del nuovo assetto normativo.
Anzitutto va osservato che le due discipline, quella contenuta nell’art. 36 bis del
D.L. n. 223/2006 e quella di cui all’art. 5 della L. n. 123/2007, sono pressoché identiche, tenuto anche conto che lo stesso art. 36 bis è stato appositamente modificato. Le istruzioni fornite dal Ministero sulla revoca del provvedimento
sono allora da intendersi riferite all’una e all’altra disciplina. Anzitutto, sulla regolarizzazione dei lavoratori “in nero” il Dicastero del lavoro ribadisce quanto già
detto in passato e cioè:
- è necessaria la registrazione dei lavoratori sui libri obbligatori;
- è necessario versare, ove sia scaduto il periodo di paga, i relativi contributi previdenziali ed assicurativi;
- è necessaria l’ottemperanza agli eventuali obblighi di natura prevenzionistica di
cui al D.Lgs. n. 626/1994, con specifico riferimento almeno alla sorveglianza
sanitaria ed alla formazione ed informazione sui pericoli legati all’attività svolta nonché alla fornitura degli eventuali dispositivi di protezione individuale.
Peraltro, per quanto concerne gli obblighi di natura prevenzionistica, il Ministero
coglie l’occasione per ricordare al personale ispettivo che ogniqualvolta venga
accertata la presenza di manodopera “in nero” e sussistano detti obblighi in relazione all’attività svolta, si configurano nella quasi totalità dei casi violazioni punite
penalmente, in relazione alle quali occorre impartire al datore di lavoro una prescrizione obbligatoria e verificarne successivamente l’ottemperanza. Sul punto la
lettera circolare osserva ancora che, ai fini della revoca del provvedimento di
sospensione, il datore di lavoro potrà procedere immediatamente alla regolarizzazione delle violazioni oggetto di prescrizione obbligatoria senza che sia altresì
necessario il pagamento della somma indicata dall’art. 21 del D.Lgs. n.
758/1994 (somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la con-
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travvenzione commessa).
Per quanto concerne il “ripristino delle regolari condizioni di lavoro” nelle ipotesi di
violazioni in materia di tempi di lavoro e di riposi il Ministero, come anticipato,
modifica il proprio orientamento rispetto a quanto detto con circ. n. 29/2006,
dove sosteneva che la regolarizzazione non poteva che avvenire con il solo pagamento delle relative sanzioni amministrative. In tal caso, infatti, il Ministero precisa che la regolarizzazione presuppone “la fruizione di eventuali riposi compensativi o, almeno, nei casi in cui non sia immediatamente possibile tale fruizione, la programmazione degli stessi entro un arco temporale congruo”. In altri termini il
datore di lavoro che abbia violato la disciplina in materia di tempi di lavoro, ai fini
della revoca del provvedimento di sospensione, potrà limitarsi a concedere ai lavoratori interessati i relativi riposi compensativi o, addirittura, è sufficiente che dimostri di aver pianificato detti riposi, trasmettendo la relativa programmazione alla
Direzione provinciale del lavoro unitamente all’istanza di revoca. La scelta interpretativa, sebbene del tutto condivisibile in quanto mira ad un sostanziale ripristino
dell’integrità psicofisica dei lavoratori più che ad un formale ripristino dell’ordine
giuridico violato attraverso il pagamento delle relative sanzioni amministrative, dà
luogo ad alcune perplessità solo per il fatto che le violazioni in materia di tempi di
lavoro e riposi sono state da sempre considerate “non sanabili”10 con riferimento
alla possibile applicazione della procedura di diffida di cui all’art. 13 del D.Lgs. n.
124/2004. C’è poi da chiedersi cosa avvenga nell’ipotesi in cui la programmazione dei riposi compensativi non sia in seguito rispettata; in tal caso si potrebbe pensare alla adozione di un nuovo provvedimento di sospensione sulla base degli stessi presupposti che hanno giustificato l’emissione del primo, considerato comunque
che la revoca è intervenuta a suo tempo legittimamente.
Sia in caso di ricorso a lavoratori “in nero” che di violazione della disciplina in materia di tempi di lavoro e riposi, per la ripresa dell’attività imprenditoriale, è altresì
necessario “il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva (…) pari ad un
quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate”. Sul punto occorre far chiarezza.
Va anzitutto osservato che la norma fa riferimento ad una “sanzione amministrativa” quantificata sulla base delle altre (eventuali) sanzioni amministrative irrogate.
Al riguardo verrebbe da chiedersi se, in concreto, non si tratti invece di un semplice onere pecuniario da versare ai fini della revoca del provvedimento giacché,
in caso contrario, potrebbe trovare applicazione la disciplina della L. n.
689/1981. Ciò vorrebbe dire applicare anche l’art. 16 di tale legge, concernente la quantificazione delle sanzioni in misura ridotta, cosicché il datore di lavoro
che volesse corrispondere l’importo nei successivi 60 giorni dalla sospensione dell’attività dovrebbe essere ammesso a pagare solamente 1/3 della somma (in concreto 1/3 di 1/5 delle sanzioni amministrative irrogate). Sebbene tale ricostru-
16
zione lasci un po’ interdetti, se non altro per l’esiguità degli importi che verrebbero a determinarsi, non può non notarsi come il Legislatore, qualora non avesse
voluto applicare il regime sanzionatorio amministrativo, avrebbe più semplicemente fatto riferimento al pagamento di una “somma” quantificata sulla base delle sanzioni amministrative irrogate e non al pagamento di una “sanzione”. Sul punto il
Ministero non si esprime, sebbene sembra possibile ritenere che, pur non contestando la natura di sanzione amministrativa degli importi in questione, agli stessi
non vada applicato il regime agevolativo dell’art. 16 citato, considerato che la normativa ha già inteso determinare in modo esplicito il quantum di ciò che occorre
versare per la ripresa dell’attività imprenditoriale11. Qualora poi per una medesima violazione siano irrogate più sanzioni amministrative (si pensi ad una società
di persone tutte responsabili degli adempimenti in materia di lavoro e legislazione
sociale), la sanzione aggiuntiva dovrebbe calcolarsi sull’ammontare complessivo
degli importi sanzionatori.
Va comunque sottolineato che la scelta interpretativa del Ministero, circoscrivendo alle sole sanzioni “immediatamente accertate” la base di calcolo della sanzione
aggiuntiva, consentirà il personale ispettivo di mettere in condizione immediatamente i datori di lavoro di richiedere la revoca del provvedimento di sospensione,
circostanza peraltro confermata dal fatto che già nel modello di provvedimento
allegato alla lettera circolare è data indicazione dell’importo della sanzione aggiuntiva. La lettera circolare chiarisce infatti che “il personale ispettivo dovrà quantificare l’importo totale delle sanzioni in misura ridotta (art. 16 L. n. 689/1981)
accertate e quindi indicare nel provvedimento di sospensione la somma di un quinto di tale importo da versare al Fondo per l’occupazione così come stabilito dal
comma 4 della disposizione in esame (codice tributo 698T)”.
Il pagamento delle restanti sanzioni amministrative non sarà dunque più necessario – così come lo era sulla base della previgente disciplina e della relativa interpretazione fornita dal Ministero del lavoro con circ. n. 29/2006 – ai fini della
revoca del provvedimento. Tali sanzioni seguiranno il loro iter procedimentale dettato dalla L. n. 689/1981.
Impugnazione del provvedimento di sospensione
Un’ultima osservazione il Ministero la dedica alla possibilità di impugnare il provvedimento in sede amministrativa. Al riguardo, come già chiarito dalla citata circ. n.
29/2006, la lettera circolare ricorda come “sembra potersi ammettere un ricorso di natura gerarchica alle Direzioni regionali del lavoro territorialmente competenti, secondo quanto stabilito in via generale dal D.P.R. n. 1199 del 1971”,
ferma restando la possibilità della Direzione provinciale del lavoro di revocare il
provvedimento di sospensione in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21 quinquies
17
e 21 nonies della L. n. 241/1990.
1Nella lettera circolare si dice infatti a chiare lettere che le istruzioni operative ivi contenute sono fornite
“in attesa di più approfonditi chiarimenti sulla disciplina del nuovo istituto, integrativi o modificativi di quanto riportato (…)”.
L’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 626/1994 stabilisce che “ferme restando le competenze in materia
di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente all’ispettorato del lavoro, per attività lavorative comportanti rischi particolarmenteelevati, da individuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Nella lettera
circolare si dice infatti a chiare lettere che le istruzioni operative ivi contenute sono fornite “in attesa di
più approfonditi chiarimenti sulla disciplina del nuovo istituto, integrativi o modificativi di quanto riportato
(…)”.
2L’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 626/1994 stabilisce che “ferme restando le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente all’ispettorato del lavoro, per attività lavorative comportanti rischi particolarmenteelevati, da individuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (…),
l’attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di sicurezza può essere esercitata anche
dall’ispettorato del lavoro che ne informa preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza dell’unità
sanitaria locale competente per territorio”. Il D.P.C.M. n. 412/1997 ha conseguentemente previsto che
“le attività comportanti rischi particolarmente elevati, per le quali la vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro può essere esercitata anche dai servizi di ispezione del lavoro delle direzioni provinciali del lavoro, sono:
a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati. Lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l'impiego di esplosivi;
b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei”.
3Altra interpretazione vorrebbe invece il personale ispettivo delle AA.SS.LL. competente a sospendere l’attività imprenditoriale in edilizia anche con riferimento a violazioni di natura prevenzionistica. Ciò sulla base
di una estensione del potere interdittivo – prevista dall’art. 5, comma 6, L. n. 123/2007 – non solo sotto
il profilo soggettivo ma anche sotto quello oggettivo. In altre parole la norma – nello stabilire che “i poteri e gli obblighi assegnati (…) al personale ispettivo del Ministero del lavoro (…) sono estesi nell’ambito dei
compiti istituzionali delle aziende sanitarie locali (…) al personale ispettivo delle medesime aziende sanitarie, limitatamente all’accertamento di violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro” – potrebbe indurre a pensare che il potere di sospensione per violazioni di natura prevenzionistica sia esercitabile nell’ambito dei cantieri edili da parte degli ispettori AA.SS.LL. non essendo
ad essi applicabile la disciplina speciale (e limitativa) dell’art. 36 bis D.L. n. 223/2006.
A ciò, tuttavia, potrebbe obiettarsi che il potere “esteso” alle AA.SS.LL. è un potere che nasce già limitato ad un ambito diverso da quello dei cantieri edili.
4V. Il Sole 24 Ore, Edilizia, correzioni dal lavoro, p. 24.
5Continua il comunicato: “d’altra parte sarebbe assurdo conferire al personale ispettivo del Ministero del
lavoro poteri di sospensione in materia di sicurezza sul lavoro per attività imprenditoriali che esulano dalla
loro competenza escludendo invece la possibilità di intervenire con provvedimenti sospensivi nell’ambito
dell’edilizia che per quanto riguarda la sicurezza rientra nei propri specifici poteri”.
6Si tratta in particolare di imprese che svolgono:
1) lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristruttura-
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zione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese
le linee elettriche, le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro;
2) scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per i lavori edili o di ingegneria civile.
7A titolo esemplificativo la circ. n. 29/2006 riporta quanto segue: “si consideri l’ipotesi di un’impresa
con 30 dipendenti in forza che occupa in un cantiere, al momento dell’accesso ispettivo, 10 lavoratori,
di cui 3 non iscritti sul libro matricola. Detta impresa potrà essere destinataria del provvedimento di
sospensione in quanto i 3 lavoratori irregolari – rapportati ai 7 lavoratori regolarmente occupati (i 3 lavoratori irregolari vanno dunque esclusi dalla base di calcolo) – rappresentano oltre il 40% della totalità della
manodopera”.
8Con nota del 4 luglio scorso il Ministero del lavoro, affrontando anche la problematica circa la compatibilità della maxisanzione con la sanzione penale prevista dall’art. 22, comma 12, del D.Lgs. n.
286/1998, ha infatti precisato che “il Legislatore (…) precisa che la sanzione amministrativa trova applicazione ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore. Ciò evidentemente implica che la condotta sanzionabile, nella sua materiale realizzazione, realizzi una pluralità di offese a diversi beni giuridici i quali, a loro volta, non godono tutti del medesimo tipo di tutela, ma possono
essere differentemente garantiti in base alle valutazioni di opportunità fatte dal Legislatore. La tutela dei
diversi interessi giuridici coinvolti in una determinata fattispecie, in altri termini, non sempre è assicurata dalla prevalenza della sanzione penale rispetto a quelle di altra natura. Alla luce di quanto sopra, si ritiene perciò compatibile l’applicazione della maxisanzione in concorrenza alla sanzione penale di cui al D.Lgs.
n. 286/1998, atteso che le due disposizioni sono solo parzialmente coincidenti in quanto volte a tutelare diversi beni giuridici. Da un lato, infatti, la previsione penale ha la specifica finalità di disciplinare i flussi migratori di lavoratori extracomunitari ed è volta a contrastare la permanenza di soggetti clandestini
sul territorio nazionale mentre, dall’altro, la sanzione amministrativa è volta a contrastare il fenomeno del
lavoro sommerso tout court, indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati e dalla qualificazione del rapporto di lavoro (…)”.
9Il comma 1 della disposizione, che non ha tuttavia ancora trovato attuazione, prevede infatti che “al fine
di razionalizzare gli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza sul territorio, é istituita (…) una banca
dati telematica che raccoglie le informazioni concernenti i datori di lavoro ispezionati, nonché informazioni e approfondimenti sulle dinamiche del mercato del lavoro e su tutte le materie oggetto di aggiornamento e di formazione permanente del personale ispettivo. Alla banca dati (…) hanno accesso esclusivamente le amministrazioni che effettuano vigilanza ai sensi del presente decreto”.
10Cfr. le circolari del Ministero del lavoro n. 8/2005 e n. 9/2006.
11Il personale ispettivo dovrà dunque quantificare la sanzione aggiuntiva tenendo conto di qualsiasi violazione accertata (non soltanto, come sottolinea il Ministero, di quelle riferite all’occupazione di lavoratori
“in nero” o alle violazioni in materia di tempi di lavoro) il che, va comunque osservato, desta qualche perplessità, se non altro per le possibili incongruenze che potrebbero derivarne, legate in particolare alla
diversa competenza del personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle AA.SS.LL. Su tale aspetto,
infatti, va rilevato che una medesima violazione di natura prevenzionistica che determini un provvedimento di sospensione, potrebbe essere subordinata o meno al pagamento della sanzione aggiuntiva in relazione al soggetto (ispettori del Ministero o delle AA.SS.LL.) che ha proceduto agli accertamenti ed ha
disposto la sospensione della attività imprenditoriale. Infatti il personale ispettivo del Ministero oltre a
richiedere, ai fini della revoca del provvedimento, la regolarizzazione delle violazioni in materia di sicurezza e salute accertate, potrebbe richiedere all’impresa il pagamento della sanzione aggiuntiva calcolata
sulla base di altre e fors’anche numerose sanzioni amministrative che, a differenza del personale delle
AA.SS.LL., ha la possibilità di irrogare (si pensi, solo per fare un esempio, alla c.d. maxisanzione per il
lavoro “nero”).
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LETTERA CIRCOLARE
Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale
Direzione generale per l’Attività Ispettiva
Roma, 22 agosto 2007
Divisione I - Consulenza, contenzioso,
formazione del personale ispettivo e affari generali
Alle Direzioni regionali e provinciali del Lavoro
e p.c.
Prot. 25/1/0010797
LORO SEDI
All’INPS
Direzione Centrale Vigilanza sulle Entrate ed
Economia Sommersa
All’INAIL
Direzione Centrale Rischi
Al Comando generale dell’Arma dei Carabinieri
Al Comando Carabinieri per la tutela del lavoro
All’Agenzia delle Entrate
Direzione Centrale Accertamento
Al Comando Generale della Guardia di Finanza
Alla Provincia Autonoma di Bolzano
Alla Provincia Autonoma di Trento
All’Ispettorato regionale del lavoro di Palermo
All’Ispettorato regionale del lavoro di Catania
All’Associazione Nazionale Comuni Italiani
Al Coordinamento tecnico delle Regioni
LORO SEDI
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Oggetto: L. 3 agosto 2007, 123 “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia” – provvedimento di
sospensione dell’attività imprenditoriale – prime istruzioni operative al personale ispettivo.
Come noto la L. n. 123/2007, oltre a dettare i principi di delega per la elaborazione di uno o
più decreti legislativi “per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro”, ha introdotto alcune disposizioni di immediata attuazione,
in vigore dal 25 agosto p.v., fra le quali assume un particolare rilievo quella concernente il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, già previsto dall’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006
(conv. da L. n. 248/2006) limitatamente alle attività dell’edilizia.
Al riguardo, in attesa di più approfonditi chiarimenti sulla disciplina del nuovo istituto,
integrativi o modificativi di quanto riportato di seguito, si ritiene comunque opportuno fornire
alcune istruzioni operative al personale ispettivo al fine di uniformarne l’attività su tutto il territorio
nazionale.
Ambito di applicazione
L’art. 5 della normativa in esame introduce dunque la possibilità, da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro nonché del personale ispettivo delle AA.SS.LL., di adottare a meri fini
cautelari “provvedimenti di sospensione di un’attività imprenditoriale”, in caso di accertate violazioni in materia di legislazione sociale e prevenzionistica.
Come già accennato, detto potere è in parte analogo a quello già previsto dall’art. 36 bis del
D.L. n. 223/2006 con riferimento alle attività dell’edilizia, con l’importante novità rappresentata dalla
possibilità di adottare il provvedimento interdittivo anche nelle ipotesi di reiterate e gravi violazioni
in materia di sicurezza e salute del lavoro.
In primo luogo va chiarito che il provvedimento in questione trova applicazione per tutte le
attività imprenditoriali che esulano dunque dal campo di applicazione del citato art. 36 bis e quindi al
di fuori dell’ambito dell’edilizia.
La previsione, inoltre, fa riferimento ai soli datori di lavoro imprenditori e, pertanto, non trova
applicazione nei confronti dei soggetti che non esercitano attività di impresa.
Quanto alla individuazione della nozione di “attività imprenditoriale” va inoltre precisato che
la stessa più propriamente è da intendersi riferita alla specifica “unità produttiva” rispetto alla quale,
pertanto, vanno sia verificati i presupposti di applicazione del provvedimento che circoscritti gli effetti sospensivi dello stesso.
Presupposti di adozione del provvedimento
Per quanto attiene ai presupposti di adozione del provvedimento di sospensione comuni anche
21
alle attività dell’edilizia – e cioè all’occupazione di manodopera “in nero” in percentuale superiore al
20% dei lavoratori regolarmente occupati e di reiterate violazioni in materia di riposi e superamento
dell’orario massimo settimanale di lavoro – si rinvia anzitutto a quanto già chiarito con la circ. n.
29/2006 di questo Ministero. Ad integrazione di quanto già precisato con la citata circ. n. 29/2006, si
sottolinea tuttavia che nel computo della percentuale di lavoratori “in nero” va ricompreso anche il
personale extracomunitario clandestino, rispetto al quale trova peraltro applicazione la c.d. maxisanzione di cui al citato art. 36 bis della L. n. 223/2006 (cfr. ML nota 4 luglio 2007).
Rispetto invece al presupposto concernente la sussistenza di gravi e reiterate violazioni in
materia di sicurezza e salute del lavoro appare necessario eliminare quanto più possibile ogni incertezza interpretativa in ordine alla loro identificazione. In tal senso si ritiene opportuno far riferimento ad un elemento di carattere oggettivo, rappresentato dalla sanzione che l’ordinamento ricollega alla
violazione riscontrata a carico dei soli datori di lavoro e dei dirigenti. Le sole disposizioni sanzionatorie a carico dei responsabili aziendali punite con le pene più gravi (sia di carattere detentivo che
pecuniario) costituiscono dunque le “gravi violazioni” cui fa riferimento il Legislatore e la cui commissione può comportare l’emanazione del provvedimento di sospensione. Tale presupposto non è
però sufficiente in quanto va necessariamente integrato con l’ulteriore requisito della “reiterazione”
dell’illecito da intendersi come “recidiva aggravata” e cioè riferita ad una violazione necessariamente della stessa indole (violazione grave in materia di sicurezza e salute del lavoro) e commessa nei cinque anni precedenti all’ultima condotta oggetto di prescrizione obbligatoria ovvero di giudicato penale.
La verifica del requisito della reiterazione impone evidentemente uno scambio di informazioni con gli altri organi di vigilanza competenti in materia ed in particolare con le Aziende Sanitarie
Locali. In tal senso, almeno in sede di prima applicazione della disciplina, appare opportuno richiedere al datore di lavoro copia dei verbali redatti da personale ispettivo delle AA.SS.LL. nell’ultimo quinquennio ovvero acquisire una dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000 relativa alla assenza di provvedimenti prescrittivi o di sentenze penali passate in giudicato aventi ad
oggetto le ipotesi di reato in materia.
“Discrezionalità” del provvedimento
Come nella corrispondente ipotesi di cui all’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006, la ratio della
disposizione è quella di garantire l’integrità psicofisica dei lavoratori e tale finalità deve opportunamente guidare il personale ispettivo nell’esercizio del potere discrezionale riconosciuto dalla disposizione. Si ritiene pertanto che il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale debba essere di norma adottato ogniqualvolta si riscontri la sussistenza dei presupposti di legge, salvo valutare
circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottare il provvedimento in questione. In particolare, come segnalato con la citata circ. n. 29/2006, un utile criterio volto
ad orientare la valutazione dell’organo di vigilanza va legato alla natura del rischio dell’attività svol-
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ta dai lavoratori irregolari, tenendo conto che il provvedimento può non essere adottato nei casi in cui
l’immediata interruzione dell’attività comporti a sua volta una imminente situazione di pericolo sia
per i lavoratori che per i terzi. Appare opportuno altresì non adottare il provvedimento di sospensione nel caso in cui l’interruzione dell’attività di impresa comporti un irrimediabile degrado degli
impianti o delle attrezzature.
Oggetto del provvedimento di sospensione è la immediata cessazione dell’attività di impresa,
ad eccezione delle sole operazioni strettamente necessarie alla eliminazione delle violazioni oggetto
di accertamento.
Ottemperanza del provvedimento di sospensione
Ai fini della eventuale verifica circa l’ottemperanza al provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale si ritiene opportuno che lo stesso sia trasmesso al presidio territoriale dell’Arma
dei Carabinieri, alla Questura ed al Comune ove è situata l’unità produttiva oggetto di interdizione.
L’eventuale inosservanza del provvedimento di sospensione dell’attività di impresa configura
l’ipotesi di reato di cui all’art. 650 c.p. il quale punisce “chiunque non osserva un provvedimento
legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o
d’igiene” con l’arresto sino a tre mesi o l’ammenda sino ad € 206. In tal caso, infatti, si è in presenza
di un provvedimento emanato per ragioni di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori che, quale
bene costituzionalmente tutelato, rientra nell’ambito della nozione di sicurezza pubblica (in tal senso
Cass., sez. III, 17 novembre 1960 e Cass., sez. III, 14 febbraio 1995 n. 3375).
Prescrizione obbligatoria
Con l’adozione del provvedimento di sospensione il personale ispettivo, nelle ipotesi di gravi
e reiterate violazioni della disciplina prevenzionistica, deve procedere alla adozione dei provvedimenti di prescrizione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 758/1994 assegnando al contravventore anche un
termine per la regolarizzazione delle violazioni accertate. Ovviamente, fermo restando il temine
impartito con il provvedimento di prescrizione, il datore di lavoro potrà procedere alla immediata
regolarizzazione al fine di ottenere la revoca della sospensione dell’attività di impresa.
Revoca del provvedimento
L’art. 5, comma 2, della L. n. 123/2007 stabilisce che “è condizione per la revoca del provvedimento da parte del personale ispettivo (…):
a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione
obbligatoria;
b) l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di reiterate
violazioni alla disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o di gravi e reiterate violazioni della disci-
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plina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
c) il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva, rispetto a quelle di cui al comma
3, pari ad un quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate”.
Quanto al primo presupposto occorre chiarire che per la regolarizzazione dei lavoratori “in
nero”, oltre alla registrazione degli stessi sui libri obbligatori ed all’eventuale versamento dei relativi
contributi previdenziali ed assicurativi (ove sia scaduto il periodo di paga), è necessaria anche l’ottemperanza agli obblighi più immediati di natura prevenzionistica di cui al D.Lgs. n. 626/1994, con
specifico riferimento almeno alla sorveglianza sanitaria (ove ne sussistano i presupposti) e alla formazione ed informazione sui pericoli legati all’attività svolta nonché alla fornitura degli eventuali dispositivi di protezione individuale.
A tal proposito, si coglie l’occasione per ricordare al personale ispettivo – come già indicato
dalla circ. n. 29/2006 – che ogniqualvolta venga accertata la presenza di manodopera “in nero” e sussistano obblighi di natura prevenzionistica in relazione all’attività svolta, si configurano nella quasi
totalità dei casi violazioni punite penalmente (ad es. con riferimento all’omessa sorveglianza sanitaria e alla mancata formazione ed informazione), in relazione alle quali il predetto personale ispettivo
dovrà impartire la relativa prescrizione obbligatoria e verificarne successivamente l’ottemperanza.
Per quanto invece concerne il “ripristino delle regolari condizioni di lavoro” nelle ipotesi di
violazioni in materia di tempi di lavoro e di riposi, considerata le finalità di tutela della integrità psicofisica dei lavoratori presidiata da tali istituti, si ritiene che detta regolarizzazione – anche in riferimento alla sospensione dei lavori nell’ambito dei cantieri edili – presupponga la fruizione di eventuali riposi compensativi o, almeno, nei casi in cui non sia immediatamente possibile tale fruizione, la
programmazione degli stessi entro un arco temporale congruo; detta programmazione dovrà essere
trasmessa unitamente all’istanza di revoca del provvedimento di sospensione alla Direzione provinciale del lavoro competente.
In ambedue i casi indicati la revoca del provvedimento è altresì subordinata al pagamento di
una sanzione amministrativa “aggiuntiva” rispetto alle sanzioni complessivamente irrogate (non soltanto riferite all’occupazione di lavoratori “in nero” o alle violazioni in materia di tempi di lavoro).
Al riguardo va chiarito che la quantificazione dell’importo sanzionatorio dovrà avvenire con riferimento alle sole sanzioni immediatamente accertate.
Dal punto di vista operativo, pertanto, il personale ispettivo dovrà quantificare l’importo totale delle sanzioni in misura ridotta (art. 16 L. n. 689/1981) accertate e quindi indicare nel provvedimento di sospensione la somma di un quinto di tale importo da versare al Fondo per l’occupazione
così come stabilito dal comma 4 della disposizione in esame (codice tributo 698T).
Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione, pertanto, non risulta necessario l’immediato pagamento delle restanti sanzioni amministrative e civili che seguiranno l’ordinario iter procedimentale.
Ove il provvedimento di sospensione sia intervenuto per la violazione della normativa preven-
24
zionistica, inoltre, la revoca dello stesso può aversi con la verifica della regolarizzazione delle violazioni accertate, senza necessariamente attendere anche il pagamento dell’importo della somma dovuta a seguito di prescrizione obbligatoria ai sensi della L. n. 758/1994 in quanto ciò che rileva è la mera
reintegrazione dell’ordine giuridico violato.
È appena il caso di ricordare che il pagamento della sanzione aggiuntiva costituisce condizione imprescindibile per la revoca del provvedimento di sospensione anche nelle ipotesi in cui lo stesso sia adottato nell’ambito delle attività dell’edilizia, considerata la modifica apportata al comma 2
dell’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006 da parte della comma 5 della normativa in esame.
Impugnazione del provvedimento di sospensione
Un’ultima osservazione attiene alla possibilità di impugnare il provvedimento cautelare in
sede amministrativa. Al riguardo, come già chiarito con la più volte citata circ. n. 29/2006, sembra
potersi ammettere un ricorso di natura gerarchica alle Direzioni regionali del lavoro territorialmente
competenti, secondo quanto stabilito in via generale dal D.P.R. n. 1199 del 1971. Resta comunque
inalterata la possibilità della Direzione provinciale del lavoro, di revocare il provvedimento di sospensione in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della L. n. 241/1990.
IL DIRIGENTE
(Dott. Paolo Pennesi)
DP
25
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
Direzione Provinciale del Lavoro di
Servizio Ispezione del lavoro
Via
Tel.
Fax
Indirizzo e-mail [email protected]
PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DELLA ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE
(art. 5, comma 1, legge 3 agosto 2007, n. 123)
L’anno
il giorno
del mese di
alle ore
, i/il sottoscritti/o ufficiale/i di
polizia giudiziaria
Ispettori del Lavoro/Addetti alla vigilanza, addetti/o al Servizio
Ispezione Lavoro/Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro della intestata Direzione
Provinciale del Lavoro, in occasione delle indagini compiute a seguito della visita ispettiva
effettuata presso la ditta con sede legale sita in
alla via
, hanno/ha riscontrato a
carico della medesima ditta
avente unità produttiva in
via/p.zza
:
l’impiego di personale in calce indicato non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, in misura pari al
per cento (n.
) del totale dei lavoratori regolarmente occupati dalla ditta medesima nella citata unità produttiva all’atto dell’ispezione (n.
)
reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di
riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile
2003, n. 66, e successive modificazioni, in quanto
,
gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela e della sicurezza sul
lavoro, in quanto
,
Per quanto precede, a norma dell’art. 5, comma 1, legge 3 agosto 2007, n. 123, i/il sottoscritti/o adottano/adotta col presente atto, con decorrenza ed efficacia immediata, dalla data
di notifica dello stesso, il
PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DELLA ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE
RELATIVA ALLA CITATA UNITÀ PRODUTTIVA
In proposito si avverte che il presente provvedimento sarà revocato esclusivamente a condizione che si accerti:
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la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;
il ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di reiterate violazioni alla
disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al D.Lgs. n. 66/2003 o di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia
di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
il pagamento della sanzione amministrativa quantificata ai sensi dell’art. 5, comma
2, lettera c) della legge 3 agosto 2007, n. 123, per un importo pari ad €
da versare al Fondo per l’occupazione di cui all’art. 1, comma 7, del decreto legge 20 maggio
1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236 (codice tributo 698T).
Si avverte, inoltre, che:
- è comunque fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative vigenti;
- in caso di prosecuzione dei lavori in violazione del presente provvedimento si provvederà
ad informare l’Autorità Giudiziaria per violazione dell’art. 650 del codice penale.
Si informa, altresì, che si provvederà a dare notizia tempestivamente alle competenti amministrazioni dell’adozione del presente provvedimento di sospensione al fine dell’emanazione
da parte di queste ultime di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche di durata pari alla citata sospensione, nonché per un eventuale ulteriore periodo di tempo non inferiore al doppio della durata della sospensione, e comunque non superiore a due anni.
Avverso il presente provvedimento è ammesso ricorso gerarchico alla Direzione Regionale
del Lavoro (art. 1, D.P.R. n. 1199/1971), entro 30 giorni dalla notifica dello stesso, ovvero
ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (L. n. 1034/1971, come modificata dalla L. n.
205/2000) entro 60 giorni dalla notifica.
Il presente provvedimento di sospensione è altresì inviato in copia al presidio territoriale
dell’Arma dei Carabinieri, alla Questura, nonché al Comune di __________ per le eventuali verifiche in ordine all’ottemperanza al medesimo.
I/IL VERBALIZZANTI/E
…………………………………….
27
ELENCO LAVORATORI IRREGOLARI (generalità e mansioni):
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
sottoscritto/i
presente verbale a
quale
RELATA DI NOTIFICA
in servizio presso l’intestata Direzione Provinciale del Lavoro ha/hanno notificato il
Ditta
sede legale a
via
● mediante consegna in busta chiusa al Sig.
identificato a mezzo di
nella sua qualità di
● mediante invio di raccomandata A.R. dall’Ufficio Postale di
Data e luogo
Firma del/dei verbalizzante/i
28
n.
Alla Direzione provinciale del lavoro di _________
Servizio Ispezione Lavoro
ISTANZA DI REVOCA DEL PROVVEDIMENTO
DI SOSPENSIONE DELL’ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE
(art. 36 bis¸ comma 2, D.L. n. 223/2006 conv. da L. n. 248/2006 e art. 5, comma 2, L. n. 123/2007)
Il sottoscritto ________________________, nato a ___________, il ___________, C.F.
___________, in qualità di ______________________ della ditta _______________, C.F./P.I.
______________________ con sede legale in ___________
PREMESSO CHE
con provvedimento notificato in data ___________ è stata sospesa l’attività esercitata dalla citata ditta
con riferimento alla unità produttiva sita in ______________________ (con riferimento al cantiere
sito in ______________________) per i seguenti motivi: ______________________;
si è provveduto alla regolarizzazione delle violazioni accertate ed in particolare si è provveduto a:
______________________;
si è versato al Fondo per l’occupazione l’importo di € ______________________ determinato con il
provvedimento di sospensione (1/5 delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate);
CHIEDE
la revoca del citato provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale ed a tal fine allega la
seguente documentazione:
copia del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale;
ricevuta di versamento della somma di € ______________________ al Fondo per l’occupazione;
______________________
______________________
______________________
Luogo e data ______________________
firma
______________
29
CIRCOLARE N. 24/2007
Roma, 14 novembre 2007
Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale
Direzione generale per l’Attività Ispettiva
Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro
Alle Direzioni regionali e provinciali del lavoro
all’INPS
Direzione Centrale Vigilanza sulle Entrate ed
Economia Sommersa
Prot. 25/SEGR/14869
all’INAIL
Direzione Centrale Rischi
Prot. 15/SEGR/15858
e p.c. LORO SEDI
all’Ispettorato regionale del lavoro di Palermo
all’Ispettorato regionale del lavoro di Catania
alla Provincia autonoma di Trento
alla Provincia autonoma di Bolzano
alla Comando Carabinieri per la tutela del
lavoro
30
Oggetto: L. n. 123/2007 – norme di diretta attuazione – indicazioni operative al personale
ispettivo.
Con riferimento alla concreta applicazione delle norme di diretta attuazione contenute nella L.
n. 123/2007, questo Ministero ha provveduto a fornire le prime indicazioni di carattere interpretativo
al personale ispettivo, seppur con esclusivo riferimento al provvedimento di sospensione dell’attività
imprenditoriale.
A seguito di un più attento ed approfondito esame delle questioni connesse alla applicazione
della citata normativa si ritiene opportuno fornire i seguenti chiarimenti a parziale modifica ed integrazione dei contenuti della lettera circolare del 22 agosto 2007, chiarimenti formulati d’intesa con la
Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e sentito il Coordinamento tecnico delle
Regioni.
Provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale
La nuova formulazione contenuta nell’art. 5 L. 123/2007 riprende sostanzialmente i contenuti dell’art. 36 bis del D.L. 223/2006 (conv. da L. n. 248/2006), ampliando però sia la platea dei destinatari che i presupposti operativi del provvedimento interdittivo.
Ferme restando, pertanto, le previsioni di cui al citato art. 36 bis, si sottolinea il legame di forte
continuità fra le due disposizioni, entrambe volte a coniugare i principi di sicurezza e di regolarità del
rapporto di lavoro e caratterizzate dalla sussistenza dei medesimi presupposti operativi.
L’elemento innovativo introdotto dall’art. 5 della L. n. 123/2007, rappresentato dal presupposto delle “gravi e reiterate violazioni in materia di sicurezza”, non fa altro che rafforzare l’efficacia
dello strumento interdittivo, in particolare in tutte quelle realtà caratterizzate da rischi rilevanti e da
una particolare incidenza del fenomeno infortunistico.
Ne consegue, pertanto, che la nozione di attività imprenditoriale, già interpretata nel senso di
“unità produttiva” con la predetta lettera circolare del 22 agosto u.s., non può non ricomprendere,
necessariamente, anche le aziende operanti nel settore edile nel quale, come noto, maggiormente si
avverte l’esigenza di elevare gli standards di sicurezza e tutela delle condizioni di lavoro.
Discrezionalità del provvedimento di sospensione
Fermo restando quanto già precisato con la citata lettera circolare del 22 agosto u.s., relativamente alla possibilità di non emanare il provvedimento di sospensione nelle ipotesi in cui la sua adozione comporti una imminente situazione di pericolo sia per i lavoratori che per i terzi nonché nelle
ipotesi in cui l’interruzione dell’attività imprenditoriale comporti un irrimediabile degrado “degli
impianti e delle attrezzature”, vanno svolte ulteriori considerazioni in ordine alla opportunità di non
adottare o differire l’adozione dello stesso provvedimento.
In particolare, va attentamente valutata l’opportunità di adottare il provvedimento di sospen-
31
sione in tutte quelle ipotesi in cui si venga a compromettere il regolare funzionamento di una attività
di servizio pubblico, anche in concessione (ad es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica,
acqua, luce, gas ecc.), così pregiudicando il godimento di diritti costituzionalmente garantiti.
Una possibile limitazione all’esercizio di tali diritti trova invece giustificazione laddove il
provvedimento di sospensione per gravi e reiterate violazioni della normativa in materia di sicurezza
sia funzionale alla tutela del primario diritto costituzionale alla salute di cui all’art. 32 Cost.
Strumentalità dell’accertamento delle violazioni in materia di sicurezza
Un primo dubbio interpretativo sollevato attiene al riconoscimento in capo al personale ispettivo del Ministero del lavoro, in virtù dell’art. 5, comma 1, della L. n. 123/2007 di una generalizzata
competenza nelle materia attinente alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
In primo luogo va chiarito che con la citata disposizione il Legislatore non sembra aver voluto modificare il preesistente quadro delle competenze che, come noto, prevede il conferimento in via
generale delle funzioni di vigilanza nella materia in questione al personale ispettivo delle aziende sanitarie locali (L. n. 833/1978) e una competenza “concorrente”degli ispettori del lavoro limitatamente
alle materie individuate con il D.P.C.M. n. 412/1997.
Da ciò consegue che, almeno in via di prima applicazione dell’istituto, salvo successive diverse istruzioni da concordare con il Coordinamento tecnico delle Regioni, il personale ispettivo del
Ministero del lavoro provvede ad adottare l’atto di sospensione in caso di gravi e reiterate violazioni
in materia di tutela della sicurezza e salute del lavoro con esclusivo riferimento al proprio ambito di
competenza e cioè nel settore delle costruzioni edili o di genio civile, nei lavori in sotterraneo e gallerie, nei lavori mediante cassoni in aria compressa e subacquei, nei lavori in ambito ferroviario e nel
settore delle radiazioni ionizzanti.
Per quanto attiene al requisito della reiterazione, da intendersi come ripetizione di condotte
illecite “gravi” nell’arco temporale dell’ultimo quinquennio, in ossequio a quanto previsto dall’art. 11
delle Disposizioni sulla legge in generale, lo stesso va individuato a decorrere dalla data di entrata in
vigore della L. n. 123/2007 con esclusione, quindi, delle condotte antecedenti a tale data.
La verifica del requisito della reiterazione impone, evidentemente, una ricerca delle violazioni pregresse da svolgersi nel modo più rigoroso e quindi, in particolare, sia all’interno della
Amministrazione di appartenenza sia mediante lo scambio di informazioni con gli altri organi di vigilanza competenti in materia, sia tramite l’accertamento dell’esistenza di sentenze penali passate in
giudicato, sia presso l’impresa soggetta ad ispezione.
Per quanto attiene invece alla individuazione delle “gravi” violazioni in materia prevenzionistica, nel ribadire che in tale ambito rientrano le violazioni che giustificano l’adozione del provvedimento interdittivo in quanto ledono i principi fondamentali del sistema prevenzionale e mettono a
repentaglio gli interessi generali dell’ordinamento, si fa riserva di definire un elenco esplicito delle
stesse da concordarsi con il Coordinamento tecnico delle Regioni. Ciò nel rispetto del principio di tas-
32
satività che non può non connotare il presupposto per l’adozione di un provvedimento di rilevante gravità quale la sospensione di una attività imprenditoriale.
Natura della “sanzione amministrativa aggiuntiva”
Un altro dubbio interpretativo attiene al pagamento della “sanzione amministrativa aggiuntiva” quale presupposto per la revoca del provvedimento di sospensione.
Al riguardo occorre preliminarmente precisare che, nonostante il tenore letterale della disposizione normativa, non si è in presenza di una sanzione amministrativa, quanto piuttosto di un “onere
economico accessorio”.
A tale conclusione si giunge considerando, da un lato, che ad essa non trova applicazione il
meccanismo di quantificazione di cui all’art. 16 della L. n. 689/1981, in quanto il criterio di computo
è già definito dalla legge, dall’altro perché in caso di mancato pagamento da parte del trasgressore di
detto onere, l’unica conseguenza consiste nella mera permanenza degli effetti sospensivi del provvedimento, senza alcun ulteriore seguito in termini di riscossione coattiva del relativo importo.
Individuazione delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate
Ulteriore nodo interpretativo da sciogliere concerne l’esatta individuazione della nozione di
sanzioni amministrative complessivamente irrogate.
In primo luogo è da rilevare che la questione si pone evidentemente solo con riferimento
all’ipotesi di cui alla lettera a) del comma 2 dell’art. 5 della L. n. 123/2007 e cioè alle violazioni da
considerarsi “connesse” all’illecito concernente l’utilizzazione di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria.
A titolo esemplificativo, pertanto, si possono considerare tutte quelle ipotesi di violazione conseguenti all’occupazione di manodopera in nero e cioè la “maxisanzione”, l’omessa istituzione ed esibizione dei libri obbligatori, la mancata scritturazione del personale sui libri obbligatori, il mancato
inoltro all’INAIL della denuncia nominativa assicurati, l’omessa comunicazione di assunzione al
Centro per l’Impiego, l’omessa consegna al lavoratore della lettera di assunzione nonché del prospetto di paga.
Quanto alla formulazione normativa che fa riferimento alla “irrogazione” delle sanzioni, già
con la lettera circolare del 22 agosto 2007, si è fatto ricorso alla nozione di violazioni immediatamente accertate dal personale ispettivo in sede di verifica in quanto, in realtà, l’accertamento è il presupposto logico necessario all’irrogazione delle sanzioni stesse.
Dal punto di vista operativo, pertanto, è sufficiente considerare gli importi relativi alle violazioni riportate nel verbale di accertamento, indipendentemente dal fatto che per le stesse, a livello procedimentale, si debba adottare la diffida obbligatoria ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004, ovvero procedere alla contestazione di illecito amministrativo ai sensi dell’art. 14 della L. n. 689/1981.
Inoltre, per quanto attiene alla quantificazione dell’importo relativo alle violazioni di cui sopra
33
- così come già indicato con la citata lettera circolare del 22 agosto 2007- lo stesso va comunque
quantificato ai sensi dell’art. 16 della L. n. 689/1981, a prescindere che sussistano o meno i presupposti della diffida obbligatoria.
Va tenuto presente, infatti, che la commisurazione di tale importo aggiuntivo è meramente
strumentale alla adozione della revoca del provvedimento di sospensione ma, come già detto, non ha
una sua autonomia quale distinta fattispecie sanzionatoria.
Sotto il profilo procedimentale, infine, l’adozione del provvedimento di diffida o di notificazione di illecito amministrativo, relativi a dette violazioni, può avvenire anche in un momento successivo all’adozione del provvedimento di sospensione, secondo l’iter ordinario.
Modificazioni al D.Lgs. n. 626/1994 in materia di appalti
Di particolare rilievo appare la previsione che, sostituendo il comma 3 dell’art. 7 del D.Lgs. n.
626/1994 dà un significato puntuale alla nozione di cooperazione e coordinamento fra datore di lavoro committente e appaltatore in ordine alla pianificazione di sicurezza, introducendo a carico del
primo l’obbligo di elaborare un documento unico di valutazione relativo ai rischi scaturenti dalla
“interferenza” delle lavorazioni.
È evidente che per tutti gli altri rischi non riferibili alle interferenze resta immutato l’obbligo
per ciascuna impresa di elaborare il proprio documento di valutazione dei rischi e di provvedere all’attuazione delle misure di sicurezza necessarie per eliminare o ridurre al minimo i rischi specifici propri dell’attività svolta.
Premesso che nell’ambito della nozione di “appalto”, in considerazione delle finalità sopra
evidenziate, non possono non rientrare anche le ipotesi di subappalto così come quelle di “fornitura e
posa in opera” di materiali, tutte accomunate dalla caratteristica dell’impiego necessario di manodopera, si precisa che l’obbligo di pianificazione a carico del committente trova applicazione in tutti gli
appalti c.d. “interni” nei confronti di imprese o lavoratori autonomi ma, in virtù delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 910, della L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007), anche nel caso di affidamento
di lavori o servizi rientranti “nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima”. Ciò
comporta che l’obbligo di elaborazione del documento unico di valutazione del rischio sussiste anche
nelle ipotesi di appalti “extraziendali” che tuttavia risultino necessari al fine della realizzazione del
ciclo produttivo dell’opera o del servizio e non siano semplicemente preparatori o complementari
della attività produttiva in senso stretto.
È da ritenere che da tale ambito debbano escludersi le attività che, pur rientrando nel ciclo produttivo aziendale, si svolgano in locali sottratti alla giuridica disponibilità del committente e, quindi,
alla possibilità per lo stesso di svolgere nel medesimo ambiente gli adempimenti stabiliti dalla legge.
Il documento unico di valutazione del rischio, inoltre, non può considerarsi un documento
“statico” ma necessariamente “dinamico”, per cui la valutazione effettuata prima dell’inizio dei lavori deve necessariamente essere aggiornata in caso di subappalti o forniture e posa in opera intervenu-
34
ti successivamente ovvero in caso di modifiche di carattere tecnico, logistico o organizzativo incidenti sulle modalità realizzative dell’opera o del servizio che dovessero intervenire in corso d’opera.
Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e documento di valutazione dei rischi
Modificando l’art. 19, comma 5, del D.Lgs. n. 626/1994 la normativa in esame interviene a
risolvere con chiarezza la problematica concernente la fruizione da parte del Rappresentante dei
Lavoratori per la Sicurezza del documento di valutazione dei rischi. Nonostante già con circ. n.
68/2000 di questo Ministero il diritto di accesso al documento in questione fosse stato interpretato
come materiale consegna del documento salvo ipotesi eccezionali, continuavano a verificarsi comportamenti datoriali non in linea con la citata interpretazione ministeriale. La previsione normativa esplicita ora che il datore di lavoro è tenuto a consegnare materialmente copia del documento nonché del
registro infortuni al Rappresentare dei Lavoratori per la Sicurezza.
A tal proposito è però opportuno ricordare che l’art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 626/1994 impone ai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza il segreto in ordine ai processi lavorativi di cui
vengono a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni. Si rimarca, altresì, che i Rappresentanti dei
Lavoratori per la Sicurezza possono utilizzare le informazioni contenute nei documenti in parola unicamente per esercitare le funzioni loro riservate, dovendo rispettare al riguardo le previsioni di legge
in materia di tutela del segreto industriale e riservatezza.
Tessera di riconoscimento del personale impegnato in appalti
L’art. 6 della normativa in esame introduce, anche per i datori di lavoro operanti in attività non
edili, l’obbligo di munire il personale occupato nell’ambito degli appalti e subappalti, a decorrere dal
1º settembre 2007, di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro.
Quanto al campo di applicazione della previsione va precisato che l’ambito di riferimento è da
individuarsi nei soli appalti “interni”, considerata la ratio della disposizione volta a consentire una più
agevole identificazione del personale impegnato in contesti organizzativi complessi caratterizzati
dalla compresenza, in uno stesso luogo, di lavoratori appartenenti a diversi datori di lavoro.
L’obbligo datoriale, come risulta chiaramente dalla formulazione normativa, è quello di
“munire” il “personale occupato” dall’azienda – come tale intendendosi sia i lavoratori subordinati
che coloro i quali risultano comunque inseriti nel ciclo produttivo, ricevendo direttive in ordine alle
concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa dedotta in contratto (ad es. lavoratore a
progetto) – della tessera di riconoscimento, mentre l’obbligo in capo al lavoratore è quello di esporre detta tessera.
Tenuto conto delle citate finalità della disposizione, i lavoratori sono tenuti a portare indosso in
chiara evidenza la tessera di riconoscimento e medesimo obbligo fa capo ai lavoratori autonomi che
operano nell’ambito dell’appalto, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto (ad es. artigiani).
35
I dati contenuti nella tessera di riconoscimento devono consentire l’inequivoco ed immediato
riconoscimento del lavoratore interessato e pertanto, oltre alla fotografia, deve essere riportato in
modo leggibile almeno il nome, il cognome e la data di nascita. La tessera inoltre deve indicare il
nome o la ragione sociale dell’impresa datrice di lavoro.
La previsione normativa stabilisce ancora che, in via alternativa, i soli datori di lavoro che
occupano meno di dieci dipendenti (cioè massimo nove) possono assolvere all’obbligo di esporre la
tessera “mediante annotazione, su apposito registro vidimato dalla Direzione provinciale del lavoro
territorialmente competente da tenersi sul luogo di lavoro, degli estremi del personale giornalmente
impiegato nei lavori”.
Con riferimento all’ambito applicativo della previsione si rinvia a quanto già precisato dalla
circ. n. 29/2006 di questo Ministero.
Dalla formulazione della norma, inoltre, si evince che l’obbligo di tenere il registro in argomento è riferito a ciascun appalto di opere o servizi, cosicché l’impresa interessata è tenuta ad istituire più registri qualora svolga la propria attività in luoghi diversi.
Tale registro non può mai essere rimosso dal luogo di lavoro in quanto altrimenti si vanifica la
finalità per la quale lo stesso è stato istituito; va altresì precisato che le annotazioni sullo stesso vanno
effettuate necessariamente prima dell’inizio dell’attività lavorativa giornaliera in quanto trattasi di un
registro “di presenza” sul luogo di lavoro.
Per quanto concerne le modalità di vidimazione del registro da parte delle Direzioni provinciali del lavoro è possibile rinviare in via analogica a quanto previsto dal T.U. n. 1124/1965 con riferimento ai libri di paga e matricola.
Sotto il profilo sanzionatorio la mancata tenuta sul luogo di lavoro del registro ovvero l’irregolare tenuta dello stesso comporta in capo al datore di lavoro la medesima sanzione prevista con riferimento alle tessere di riconoscimento (da €100 ad € 500 per ciascun lavoratore), essendo il registro
uno strumento alternativo ed equipollente alle stesse.
Nei confronti di tali sanzioni si ricorda da ultimo che non è ammessa la procedura di diffida
di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n. 124/2004 per espressa previsione normativa.
Modifiche al comma 1198 della L. n. 296/2006
L’art. 11 della legge modifica l’art. 1, comma 1198, della L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007)
che precludeva per un anno gli accertamenti ispettivi anche in materia di sicurezza nei confronti delle
imprese che hanno presentato domanda di emersione, prevedendo altresì un periodo di moratoria di
pari durata per la regolarizzazione delle carenze prevenzionistiche. Preso atto delle possibili criticità
anche sul piano dei principi costituzionali della formulazione normativa, la disposizione chiarisce in
modo inequivoco che la sospensione delle verifiche ispettive non trova applicazione con riferimento
alla materia della sicurezza e salute dei lavoratori, materia in ordine alla quale rimangono intatte le
prerogative accertative degli organi di vigilanza. È dunque conseguentemente soppressa la possibili-
36
tà da parte del datore di lavoro di usufruire del termine annuale per la regolarizzazione delle citate
carenze prevenzionistiche.
Applicazione della diffida da parte del personale amministrativo degli Istituti previdenziali
L’art. 4, comma 6 interviene a risolvere la problematica concernente la applicazione dell’istituto della diffida obbligatoria di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004 da parte del personale amministrativo degli Enti previdenziali che accerta d’ufficio la sussistenza di violazioni amministrative
“comunque sanabili”. Essendo l’istituto della diffida prerogativa del personale ispettivo del Ministero
del lavoro e degli Enti si poneva infatti il problema della sua adozione –anche in quanto condizione
di procedibilità dell’illecito – da parte di personale degli Enti che non riveste tale qualifica pur svolgendo, ai sensi dell’art. 13 della L. n. 689/1981, una attività accertativa in materia previdenziale. La
disposizione, con estrema chiarezza, prevede dunque l’estensione della procedura di diffida anche con
riferimento a tale personale risolvendo peraltro una delicata questione sul piano della parità di trattamento dei contravventori e privilegiando il profilo “sostanziale” del procedimento di composizione
dell’illecito amministrativo rispetto all’elemento “formale” della qualifica rivestita dal soggetto accertatore.
Il Direttore generale per l’Attività Ispettiva
(Dott. Mario Notaro)
Il Direttore generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro
(Dott.ssa Lea Battistoni)
37
Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
DECRETO 24 Ottobre 2007
Docum ento unico di regolarita' contributiva.
IL M INISTRO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE
VISTO l’articolo 2 della legge 22 novembre 2002, n. 266 di “Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, recante
disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di
lavoro a tempo parziale”;
VISTO l’articolo 86, comma 10, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.
276 e successive modifiche e integrazioni sulla “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n.
30”;
VISTO l’articolo 2, comma 1 lett. h), del citato decreto legislativo 10 settembre
2003 n. 276 con il quale vengono definiti gli enti bilaterali come “organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del
mercato del lavoro attraverso (…) la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva”;
VISTO il decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 ed in particolare l’articolo 38
del citato decreto secondo il quale “resta fermo, per l’affidatario, l’obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all’articolo 2, del decreto
legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito dalla legge 22 novembre 2002, n.
266 e di cui all’articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14 agosto 1996, n.
494 e successive modificazioni e integrazioni”;
VISTO l’art. 1, comma 1176, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 che prevede l’adozione di un Decreto Ministeriale per la definizione delle modalità di rilascio
e dei contenuti analitici del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC);
VISTE la circolare Inps n. 92 del 26 luglio 2005, la circolare INAIL n. 38 del 25
luglio 2005 e le direttive del Comitato della bilateralità del 1° marzo 2005, 17
marzo 2005, 30 marzo 2005 e 14 ottobre 2005;
38
CONSIDERATA l’esigenza di una disciplina uniforme in ordine alle modalità di rilascio ed ai contenuti analitici del Documento Unico di Regolarità Contributiva
(DURC), sia per la concessione di agevolazione “normative e contributive”, sia per
gli appalti di lavori servizi e forniture pubbliche che per i lavori privati dell’edilizia,
nonché per la fruizione di benefici e sovvenzioni previsti dalla disciplina comunitaria;
SENTITI gli Istituti previdenziali e le parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale negli incontri del 12, 13, 28 e 29 marzo 2007 e 14
giugno 2007.
DECRETA
Art. 1
(Soggetti obbligati)
1. Il possesso del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) è richiesto
ai datori di lavoro ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi in materia di lavoro e legislazione sociale previsti dall’ordinamento nonché ai fini della fruizione dei benefici e sovvenzioni previsti dalla disciplina comunitaria. Ai sensi della
vigente normativa il DURC è inoltre richiesto ai datori di lavoro ed ai lavoratori
autonomi nell’ambito delle procedure di appalto di opere, servizi e forniture pubblici e nei lavori privati dell’edilizia.
Art. 2
(Soggetti tenuti al rilascio del DURC)
1. Il DURC è rilasciato dall’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) e
dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e,
previa apposita convenzione con i predetti Enti, dagli altri Istituti previdenziali che
gestiscono forme di assicurazione obbligatoria.
2. Per i datori di lavoro dell’edilizia il DURC ovvero ogni altra certificazione di regolarità contributiva emessa ai fini di cui al presente decreto sono rilasciati oltre che
dagli Istituti di cui al comma 1, nei casi previsti dalla legge e previa convenzione
con i medesimi Istituti, dalle Casse edili costituite da una o più associazioni dei
datori o dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale che siano,
per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
3. Al fine di realizzare la banca dati telematica di cui all’articolo 10, comma 1 del
39
decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124 e successive modificazioni, i soggetti
di cui al comma 1 mettono a disposizione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale il DURC secondo le modalità definite nel decreto ministeriale di cui
al medesimo articolo 10.
4. In via di prima sperimentazione e per un periodo di ventiquattro mesi successivi all’emanazione del presente decreto, gli enti bilaterali di cui all’articolo 2,
comma 1 lettera h) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, costituiti da una o più associazioni dei datori o dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale che siano, per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono rilasciare il DURC previa apposita convenzione, approvata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con gli
Istituti di cui al comma 1 e limitatamente ai propri aderenti ..
5. Sulla base degli esiti della sperimentazione, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e gli Istituti di cui al comma 1, si provvede a ridefinire la disciplina di cui al comma 4.
Art. 3
(Soggetto richiedente e modalità di rilascio)
1. Il DURC è richiesto dagli interessati utilizzando l’apposita modulistica unificata
predisposta dagli Istituti previdenziali, dalle Casse edili e dagli Enti bilaterali di cui
all’articolo 2.
2. La richiesta ed il rilascio del DURC avviene, di norma, attraverso strumenti
informatici. Dette modalità sono obbligatorie qualora la richiesta provenga dai soggetti di cui al comma 3 o, per conto dell’interessato, da un consulente del lavoro
nonché dagli altri soggetti di cui all’articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
3. Nell’ambito delle procedure di appalto il DURC relativo al soggetto appaltatore
o subappaltatore può essere richiesto dalle amministrazioni pubbliche o dai soggetti privati a rilevanza pubblica appaltanti e dalle Società di Attestazione e
Qualificazione delle Aziende (SOA).
4. Qualora l’Istituto previdenziale che rilascia il DURC è lo stesso soggetto che
ammette il richiedente alla fruizione del beneficio contributivo ovvero agisce in qualità di stazione appaltante, l’Istituto stesso provvede alla verifica dei presupposti
per il suo rilascio senza emettere il DURC, fermo restando quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, del presente Decreto.
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Art. 4
(Contenuto del Documento)
1. Il DURC attesta la regolarità dei versamenti dovuti agli Istituti previdenziali e,
per i datori di lavoro dell’edilizia, la regolarità dei versamenti dovuti alle Casse edili.
2. Il DURC deve contenere:
a) la denominazione o ragione sociale, la sede legale e unità operativa, il codice
fiscale del datore di lavoro;
b) l’iscrizione agli Istituti previdenziali e, ove previsto, alle Casse edili;
c) la dichiarazione di regolarità ovvero non regolarità contributiva con indicazione
della motivazione o della specifica scopertura;
d) la data di effettuazione della verifica di regolarità contributiva;
e) a data di rilascio del documento;
lf) il nominativo del responsabile del procedimento.
Art. 5
(Requisiti di regolarità contributiva)
1. La regolarità contributiva è attestata dagli Istituti previdenziali qualora ricorrano le seguenti condizioni:
a) correntezza degli adempimenti mensili o, comunque, periodici;
b) corrispondenza tra versamenti effettuati e versamenti accertati dagli Istituti
previdenziali come dovuti;
c) inesistenza di inadempienze in atto.
2. La regolarità contributiva sussiste inoltre in caso di:
richiesta di rateizzazione per la quale l’Istituto competente abbia espresso parere
favorevole;
b) sospensioni dei pagamenti a seguito di disposizioni legislative;
c) istanza di compensazione per la quale sia stato documentato il credito.
3. La regolarità contributiva nei confronti della Cassa edile sussiste in caso di:
a) versamento dei contributi e degli accantonamenti dovuti, compresi quelli relativi all’ultimo mese per il quale è scaduto l’obbligo di versamento all’atto della richiesta di certificazione;
b) dichiarazione nella denuncia alla Cassa Edile, per ciascun operaio, di un numero di ore lavorate e non lavorate non inferiore a quello contrattuale, specificando
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le causali di assenza;
c) richiesta di rateizzazione per la quale la Cassa competente abbia espresso
parere favorevole.
Art. 6
(Emissione del DURC)
1. Gli Istituti previdenziali rilasciano il DURC entro il termine massimo previsto per
la formazione del silenzio assenso relativo alla certificazione di regolarità contributiva rilasciata dagli stessi Istituti, fissato in 30 giorni dai rispettivi atti regolamentari.
2. Le Casse edili e gli Enti bilaterali rilasciano il DURC nei termini previsti dalla convenzione.
3. Nelle ipotesi di cui al comma 3 dell’articolo 7 il termine di 30 giorni per il rilascio del DURC è sospeso sino all’avvenuta regolarizzazione, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 8, comma 3.
Art. 7
(Validità del DURC e verifica dei requisiti)
1. Ai fini della fruizione delle agevolazioni normative e contributive di cui all’articolo 1 il DURC ha validità mensile.
2. Nel solo settore degli appalti privati di cui all’articolo 3, comma 8, del decreto
legislativo 14 agosto 1996 n. 494 e successive modifiche, il DURC ha validità trimestrale, ai sensi dell’articolo 39 septies del decreto legge 30 dicembre 2005,
n. 273, convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
3. In mancanza dei requisiti di cui all’articolo 5 gli Istituti, le Casse edili e gli Enti
bilaterali, prima dell’emissione del DURC o dell’annullamento del documento già
rilasciato ai sensi dell’articolo 3, invitano l’interessato a regolarizzare la propria
posizione entro un termine non superiore a 15 giorni.
Art. 8
(Cause non ostative al rilascio del DURC)
1. Il DURC è rilasciato anche qualora vi siano crediti iscritti a ruolo per i quali sia stata disposta
la sospensione della cartella amministrativa a seguito di ricorso amministrativo o giudiziario.
2. Relativamente ai crediti non ancora iscritti a ruolo:
a) in pendenza di contenzioso amministrativo, la regolarità può essere dichiarata
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sino alla decisione che respinge il ricorso;
b) in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità è dichiarata sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, salvo l’ipotesi in cui l’Autorità giudiziaria abbia adottato un provvedimento esecutivo che consente l’iscrizione a ruolo
delle somme oggetto del giudizio ai sensi dell’articolo 24 del decreto legislativo 26
febbraio 1999, n. 46.
3. Ai soli fini della partecipazione a gare di appalto non osta al rilascio del DURC
uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera
grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione o, comunque, uno
scostamento inferiore ad € 100,00, fermo restando l’obbligo di versamento del
predetto importo entro i 30 giorni successivi al rilascio del DURC.
4. Non costituisce causa ostativa al rilascio del DURC l’aver beneficiato degli aiuti
di Stato specificati nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato
ai sensi dell’articolo 1, comma 1223 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sebbene non ancora rimborsati o depositati in un conto bloccato.
Art. 9
(Irregolarità in m ateria di tutela delle condizioni di lavoro
non ostative al rilascio del DURC)
1. La violazione, da parte del datore di lavoro o del dirigente responsabile, delle
disposizioni penali e amministrative in materia di tutela delle condizioni di lavoro
indicate nell’allegato A al presente Decreto, accertata con provvedimenti amministrativi o giurisdizionali definitivi, è causa ostativa al rilascio del DURC per i periodi indicati, con riferimento a ciascuna violazione prevista dallo stesso allegato. A
tal fine non rileva l’eventuale successiva sostituzione dell’autore dell’illecito.
2. La causa ostativa di cui al comma 1 non sussiste qualora il procedimento penale sia estinto a seguito di prescrizione obbligatoria ai sensi degli articoli 20 e
seguenti del D.Lgs. n. 758/1994 e dell’articolo 15 del D.Lgs. n. 124/2004
ovvero di oblazione ai sensi degli articoli 162 e 162 bis del codice penale.
3. Ai fini della procedura di rilascio del DURC l’interessato è tenuto ad autocertificare l’inesistenza a suo carico di provvedimenti, amministrativi o giurisdizionali,
definitivi in ordine alla commissione delle violazioni di cui all’allegato A ovvero il
decorso del periodo indicato dallo stesso allegato relativo a ciascun illecito.
4. Nelle ipotesi in cui il DURC sia richiesto dalle stazioni appaltanti o dalle SOA le
stesse provvedono alla verifica della autocertificazione rilasciata dall’interessato
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relativamente alla non sussistenza delle condizioni ostative di cui al comma 1.
5. Le cause ostative al rilascio del DURC di cui al presente articolo sono riferite
esclusivamente a fatti commessi successivamente all’entrata in vigore del presente decreto.
6. Nell’ambito degli appalti pubblici le cause ostative di cui al presente articolo non
rilevano ai fini del rilascio del DURC finalizzato al pagamento delle prestazioni già
rese alla data dell’accertamento definitivo dell’illecito.
Art. 10
Efficacia del provvedim ento
1. Le previsioni di cui al presente decreto trovano applicazione decorsi 30 giorni dalla
pubblicazione del presente decreto nella gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.
Roma, 24 ottobre 2007
Il Ministro: Damiano
ALLEGATO A
ELENCO DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO DI CUI
ALL’ARTICOLO 9 LA CUI VIOLAZIONE È CAUSA OSTATIVA AL RILASCIO DEL DURC
VIOLAZIONE
PERIODO DI NON
RILASCIO DEL DURC
Articoli 589, comma 2, c.p.
Articolo 437 c.p.
590, comma 3, c.p.
Disposizioni indicate dall’articolo 22, comma 3 lett. a), del decreto legislativo 14
agosto 1996, n. 494
Disposizioni indicate dall’articolo 89, comma 1 e comma 2 lett. a), del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626
24 mesi
24 mesi
Disposizioni indicate dall’articolo 77, comma1 lett. a) e b), del decreto del
Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164
Disposizioni indicate dall’articolo 58, comma 1 lett. a) e b), D.P.R. n. 303/1956
Disposizioni indicate dall’articolo 389, comma1 lett. a) e b), D.P.R: n. 547/1955
Articolo 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998
Articolo 3, commi da 3 a 5, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito,
con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73 (come modificato dall’articolo 36
bis del decreto legge , 4 luglio 2006, n. 223 conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248)
Articoli 7 e 9 D.Lgs. n. 66/2003
18 mesi
12 mesi
12 mesi
12 mesi
12 mesi
12 mesi
8 mesi
6 mesi
3 mesi
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La responsabilità solidale negli appalti
Germano De Sanctis*
Premessa
I moderni sistemi d’organizzazione aziendale tendono sempre più a favorire il
decentramento produttivo da parte delle attività imprenditoriale, attraverso il
ricorso massiccio alle esternalizzazioni, cioè all’affidamento delle attività produttive (non sempre accessorie o marginali) ad imprese terze specializzate nelle singole lavorazioni, al fine di migliorare l’efficienza e di ridurre i costi.
Il sistema industriale classico, basato su una struttura di tipo tayloristico e concentrata in un’unica sede produttiva, si trasforma, con il ricorso alle esternalizzazioni in una sorta di rete, composta da unità, semiautonome od autonome, caratterizzate da forme elastiche di coordinamento1, prive di collegamenti gerarchicifunzionali weberiani, ma caratterizzate da strutture divisionali semplici.
Pertanto, stanno scomparendo le gerarchie classiche, sulle cui strutture è stato
elaborato, nel corso del XX secolo, il diritto del lavoro, il quale, quindi, entra in
crisi dinanzi a dinamiche sempre più imprevedibili.
In tale contesto, appare sempre più frequente il ricorso da parte degli imprenditori alle forme di c.d. esternalizzazione interna, mediante le quali vengono cedute a soggetti terzi, intere fasi del ciclo produttivo, le quali , poi, vengono reimmesse nella processo di produzione attraverso il sistema degli appalti. Tali appalti si
esplicano, talvolta, anche attraverso l’utilizzo delle stesse attrezzature e del capitale umano impiegato in precedenza dal committente, venendosi, in tal modo, a
combinare i vantaggi offerti dal decentramento formale con l’esigenza di contiguità spaziale delle singole sottoproduzioni.
L’impresa si trasforma, quindi, in una specie di contenitore, caratterizzato dalla
compresenza di più imprese, intente in attività complementari all’intero processo
produttivo finale2.
Di conseguenza, vengono a scomparire alcuni dei connotati tipici del rapporto di
lavoro tradizionale ex art. 2094 cod. civ., quali la coincidenza tra il datore di lavoro formale ed il datore di lavoro reale3.
Di fronte alla disintegrazione dell’attività produttiva tradizionalmente intesa, si
*Responsabile dell’unità operativa vigilanza ordinaria presso la Direzione provinciale del lavoro di
Pescara. Si segnala che, con riferimento alla Circolare del 18 marzo 2004 del Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali, le opinioni e considerazioni espresse nel presente elaborato sono frutto del
pensiero esclusivo dell’Autore e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
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pone il problema di come assicurare che la flessibilità dei rapporti di lavoro non
comporti un arretramento delle tutele dei lavoratori e non favorisca l’irresponsabilità dell’impresa esternalizzante nei confronti dei lavoratori interessati.
Il diritto del lavoro del XXI secolo deve, quindi, svolgere il compito di dipanare questo complesso intreccio di rapporti, al fine di orientare i soggetti individuali e collettivi, permettendo loro di non smarrirsi nei processi di decentramento4.
Il processo di regolamentazione della tutela dei lavoratori interessati dai processi
di esternalizzazione deve necessariamente passare per una più stringente condivisione delle responsabilità tra una pluralità di datori di lavoro circa gli obblighi derivanti dai rapporti di lavoro5.
In tale contesto uno degli istituti giuridici maggiormente coinvolti dai processi di
esternalizzazioni è rinvenibile proprio nell’appalto di servizi, il quale è stato oggetto di profondi interventi normativi iniziati con l’entrata in vigore del D.Lgs., nr.
276/03 e proseguiti fino all’emanazione della recente Legge, nr. 123/07, i quali,
tuttavia, non appaiono essere animati da un unico disegno legislativo, come, invece, richiederebbe la complessità e la rilevanza della materia in esame6.
Nozione d’appalto di servizi
Ai sensi del combinato disposto dell’art. 1655 cod. civ. e dell’art. 29, com m i 1
e 3, D. Lgs. , nr. 276/03, l’appalto di servizi è un contratto, mediante il quale un
soggetto (com m ittente) incarica un imprenditore (appaltatore) di compiere un
servizio, a fronte di un corrispettivo in denaro . L’appaltatore assume il compimento del servizio, ricorrendo all’organizzazione dei m ezzi necessari e con
gestione a proprio rischio 7.
Pertanto, l’imprenditore (appaltatore) per compiere l’opera od il servizio commissionati deve:
a ) organizzare i m ezzi necessari (dirige i lavoratori alle proprie dipendenze, senza
che il committente possa interferire nelle modalità concrete di svolgimento del
lavoro stesso). L’organizzazione dei mezzi può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto , dall’esercizio del potere
organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto. È considerato legittim o anche l’appalto nel quale l’apporto di attrezzature e di capitale risulti m arginale rispetto a quello delle prestazioni di lavoro di lavoro .;
b ) assum ere il rischio d’im presa, cioè, l’appaltatore deve rispondere del risultato finale davanti al committente.
A seguito dell’emanazione, prima, della Legge, nr. 248/06 (legge di conversione con
modificazioni del D.L., nr. 223/06), e, poi, della Legge, nr. 296/06, il legislatore nazionale è intervenuto recentemente nel riformare la materia in esame, prevedendo un’ulteriore estensione del regime di responsabilità solidale tra committente ed appaltatore.
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La definizione di appalto irregolare
Un appalto è definito genuino quando l’appaltatore non risulti essere un interm ediario , ma un vero im prenditore che, come tale, impieghi una propria organizzazione produttiva ed assuma i rischi della realizzazione dell’opera, o del servizio
pattuito.
In caso di appalto irregolare, solo sull’appaltante (od interponente), gravano gli
obblighi in materia di trattamento economico, normativo ed in materia di assicurazioni sociali.
Non può configurarsi una concorrente responsabilità solidale dell’appaltatore in
virtù dell’apparenza del diritto e dell’apparente titolarità del rapporto di lavoro8.
Non costituisce un illecito trasferimento d’azienda o di parte d’azienda, l’acquisizione del personale già im piegato nell’appalto, a seguito di subentro di un nuovo
appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale o di clausola del contratto d’appalto.
In assenza dei requisiti di legittimità dell’appalto poc’anzi individuati, si configura
una ipotesi di som m inistrazione irregolare.
Per quanto concerne la tutela giurisdizionale, come vedremo meglio più avanti, il
lavoratore interessato può richiedere, mediante ricorso giudiziale ex art. 414
c.p.c. la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo ai
sensi dell’art. 29, com m a 3- bis , D. Lgs. , nr. 276/03.
In caso di appalto irregolare, solo sull’appaltante (od interponente), gravano gli
obblighi in materia di trattamento economico, normativo ed in materia di assicurazioni sociali.
Non può configurarsi una concorrente responsabilità solidale dell’appaltatore in
virtù dell’apparenza del diritto e dell’apparente titolarità del rapporto di lavoro9.
La differenza tra appalto e som m inistrazione
Ai sensi dell’art. 29, com m a 1, D. Lgs. , nr. 276/03, il contratto di appalto si
distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze
dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo
e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.
Quindi, la legittimità dell’appalto non dipende, come prevedeva il previgente art. 1,
comma 3, Legge nr. 1369/60, dalla presunzione legale del possesso dei mezzi
di produzione (capitali, macchine ed attrezzature) in capo all’appaltatore, bensì
dal rilievo che assume l’esercizio di un effettivo del potere direttivo ed organizzativo nei confronti del personale impiegato da parte dell’appaltatore, tale da non configurarlo come semplice intermediario.
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L’art. 29, comma 1, D.Lgs., nr. 276/03 ha recepito l’elaborazione giurisprudenziale in materia che, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, ha dedotto
la consistenza imprenditoriale dell’appaltatore, a seconda dei casi, dal possesso
delle conoscenze tecniche necessarie per condurre l’attività economica interessata, o dall’effettivo esercizio di un potere di direzione e di coordinamento organizzativo sui lavoratori10.
In particolare, la giurisprudenza ha posto particolarmente in rilevo la necessità di
riscontrare la soggezione del lavoratore al potere direttivo e/o organizzativo dell’appaltatore rispetto agli strumenti utilizzati11.
Invece, la dottrina ha posto l’accento su come nell’organizzazione dei mezzi necessari debba ricomprendersi anche quella strumentazione materiale che risulti indispensabile a connotare l’attività imprenditoriale12.
Le caratteristiche
L’appalto di opere e di servizi è caratterizzato dall’assunzione di una obbligazione
solidale tra il committente e l’appaltatore: ciò significa che, salvo diverse previsioni dei C.C.N.L., i lavoratori dipendenti dell’appaltatore possono rivolgersi, entro
due anni dalla fine del contratto di appalto, al committente per riscuotere i crediti da lavoro (retribuzione, contributi etc.), nel caso in cui il loro datore di lavoro
non li abbia pagati (art. 29, com m a 2, D. Lgs. , nr. 276/03, come modificato dall’art. 6, comma 1, D.Lgs., nr. 251/04).
Ferme restando le sanzioni penali e amministrative di cui agli artt. 18 e 19,
D.Lgs., nr. 276/03, le disposizioni di cui all’art. 29, com m a 2, D. Lgs. , nr.
276/03, non trovano applicazione qualora il committente sia una persona fisica,
che non esercita attività di impresa o professionale (art. 29, com m a 3- ter ,
D. Lgs. , nr. 276/03, come introdotto dall’art. 6, com m a 2, D. Lgs. , nr.
251/04).
Gli elementi che distinguono il contratto d’appalto dalla somministrazione sono,
come già evidenziato sopra, l’organizzazione dei m ezzi necessari e l’assunzione
dei rischi d’impresa. Non costituisce trasferim ento d’azienda o di ramo della
stessa l’ipotesi in cui un nuovo appaltatore subentri al contratto d’appalto ed assuma i lavoratori già impiegati nell’appalto stesso (art. 29, com m a 3, D. Lgs. , nr.
276/03). Non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda, l’acquisizione del personale già im piegato nell’appalto, a seguito di subentro di un nuovo
appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale o di clausola del contratto d’appalto.
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Il subappalto
Il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore cede ad un terzo (il c.d.
subappaltatore), necessariamente previa autorizzazione del committente, l’esecuzione dell’opera, o del servizio oggetto del contratto di appalto.
Tutte le prestazioni e le lavorazioni possono essere oggetto di subappalto a determinate condizioni, fermi restando i divieti previsti dalla legge.
L’esecuzione delle prestazioni affidate in subappalto non può form are oggetto di
ulteriore subappalto .
Non si configurano com e attività affidate in subappalto l’affidamento di attività
specifiche a lavoratori autonom i e la subfornitura di prodotti informatici.
Ai sensi dell’art. 118, com m a 11, D. Lgs. , nr. 163/06, è considerato subappalto di appalti pubblici qualsiasi contratto avente ad oggetto attività, ovunque espletate, che richiedano l’impiego di manodopera, se:
singolarmente di importo inferiore al 2% dell’importo delle prestazioni affidate o di
importo superiore ad €. 100.000;
qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al
50% del contratto da affidare.
Tutte le prestazioni e le lavorazioni possono essere oggetto di subappalto a determinate condizioni, fermi restando i divieti di legge (art. 118, com m a 11, D. Lgs. ,
nr. 163/06).
L’esecuzione delle prestazioni affidate in subappalto non può formare oggetto di
ulteriore subappalto (art. 118, com m a 9, D. Lgs. , nr. 163/06).
Ai sensi dell’art. 118, com m a 12, D. Lgs. , nr. 163/06, non si configurano come
attività affidate in subappalto:
l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi;
la subfornitura a catalogo di prodotti informatici.
La responsabilità solidale delineata dall’art. 35, com m i da 28 a 34,
Legge, nr. 248/06
La Legge, 4 agosto 2006, nr. 248, (che ha convertito, con modificazioni, il D.L.,
4 luglio 2006, nr. 223), ha delineato una nuova disciplina del regime di responsabilità in materia di appalti e di subappalti, contenuta, appunto, nell’art. 35,
com m i da 28 a 34, Legge, nr. 248/06.
Il fine perseguito dal legislatore del 2006 consiste nell’incrementare il livello di
adempimento degli obblighi fiscali, previdenziali ed assicurativi cui sono obbligate
tutte le imprese che operano in qualità di appaltatori e di subappaltatori, migliorando, al contempo, l’efficienza del sistema di riscossione dei crediti di cui sono
titolari gli enti impositori e previdenziali13.
È bene, tuttavia, ricordare che l’introduzione di misure volte a tutelare i soggetti
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terzi nei confronti dei quali il contratto di appalto può produrre degli effetti risale
già alla legislazione giuslavoristica degli anni Sessanta del secolo scorso, quando
venne emanata la Legge, 23 ottobre 1960, nr. 1369, la quale svolto il ruolo di
capostipite di tutta una serie d’interventi normativi in materia che, fino ai giorni
nostri, hanno cercato di seguire l’evoluzione del mercato (anche relativamente alla
questione degli appalti pubblici), cercando di garantire una grado di tutela adeguata, rispetto alla complessità delle dinamiche afferenti ad ogni singolo appalto.
La novella legislativa in esame, inoltre, è stata direttamente coordinata con il testo
del già vigente art. 29, D. Lgs. , l0 settem bre 2003, nr . 276, il quale ha
anch’esso come oggetto il regime di responsabilità applicabile agli appalti di servizi stipulati nel settore privato.
L’am bito d’applicazione. Venendo all’esame specifico della normativa in questione,
bisogna, innanzi tutto, sottolineare che, il nuovo regime di responsabilità solidale
trova applicazione nei confronti di tutti i contratti d’appalto e di subappalto,
d’opere, di forniture e di servizi, conclusi sia dai soggetti che stipulano i predetti contratti nell’ambito di attività rilevanti nel campo d’applicazione dell’I.V.A. (ex
art. 1 D. P. R. , 26 ottobre 1972, nr. 633, relativamente a tutte le cessioni di
beni ed a tutte le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio d’imprese, o nell’esercizio d’arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate), sia da soggetti di cui agli artt. 73 e 74, D. P. R. , 22 dicem bre
1986, nr. 917 (con conseguente automatica estensione anche ai contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione).
La normativa in esame parla espressamente di subappalto, il quale rappresenta
una tipologia che ha avuto una larga diffusione nel settore degli appalti sia privati
che pubblici, e vede l’affidatario di un’opera o di un servizio commissionati dalla
Pubblica amministrazione affidarne l’esecuzione ad un terzo appaltatore.
Orbene, pur essendo in presenza di una chiara definizione dell’ambito d’applicazione della responsabilità solidale, permangono alcuni dubbi interpretativi relativamente all’esatta individuazione delle fattispecie contrattuali sottoposte a siffatto
regime di responsabilità. Infatti, il tenore letterale dell’art. 35, comma 34, Legge,
nr. 248/0614 indica chiaramente che la normativa in questione debba ritenersi
operante sia nei confronti dei contratti di appalto che di subappalto, anche se i
commi da 28 a 33 dell’art. 35, Legge, nr. 248/06 parlano solo di responsabilità solidale dell’appaltatore e del subappaltatore, In altri termini, il comma 34, svolgendo la funzione di norma generale di chiusura del presente sistema di responsabilità solidale, prevale sulle precedenti disposizioni specifiche, aventi ad oggetto
soltanto il subappalto.
Inoltre, non bisogna dimenticarsi del fatto che il subappalto non è delineato nel
sistema civilistico (cfr., art. 1656 cod. civ.) come un’autonoma forma contrattua-
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le nominata, bensì come un’applicazione concreta della più generale disciplina del
subcontratto. Pertanto, il subappalto non esula dall’ambito d’applicazione dell’istituto contrattuale generale dell’appalto, in quanto ne rappresenta soltanto il reimpiego ad opera di una parte contrattuale nei confronti di un terzo avente causa
della posizione che gli deriva da un contratto in corso, definito “contratto base”
(l’appalto, appunto)15.
L’oggetto della responsabilità solidale. Ai sensi dell’art. 35, com m a 28, Legge,
nr. 248/06, l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore della effettuazione e del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del
versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per
gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui è tenuto il
subappaltatore. Pertanto, la responsabilità tra l’appaltatore ed il subappaltatore
ha per oggetto sia l’effettuazione del versamento delle ritenute fiscali sui redditi da
lavoro, sia del versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori
per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti cui è tenuto il
subappaltatore.
Pertanto, la novella legislativa si connota per la finalità di rafforzare il principio
della solidarietà passiva tra appaltante ed appaltatore, che viene esteso a tutti i
crediti insorgenti verso i terzi in ragione delle prestazioni di lavoro rese nell’ambito del contratto. Infatti, mentre l’art. 29, D.Lgs., nr. 276/03 si limita a tutelare
solo i crediti retributivi e contributivi del lavoratore, l’art. 35, commi da 28 a 35,
Legge, nr. 248/06 prevede che l’appaltatore sia solidarmente responsabile con
il subappaltatore del versamento delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente, dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui è tenuto il subappaltatore. In virtù di questa espressa previsione normativa, il regime di responsabilità solidale abbraccia anche gli oneri fiscali dovuti per il lavoro dipendente e non
versati, che nel sistema previgente non era oggetto di alcuna tutela.
Le deroghe ed i lim iti al regim e di responsabilità solidale. Tuttavia tale regime di
responsabilità ammette delle deroghe. Infatti, l’art. 35, com m a 29, Legge, nr.
248/06 prevede che l’appaltatore non è responsabile per le obbligazioni gravanti sul subappaltatore, se verifica, acquisendo la relativa documentazione prima di
effettuare il pagamento del corrispettivo, che gli adempimenti di cui all’art. 35,
com m a 28, Legge, nr. 248/06 connessi con le prestazioni di lavoro dipendente
concernenti l’opera, la fornitura o il servizio affidati siano stati correttamente eseguiti dal subappaltatore medesimo. Inoltre, l’appaltatore può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione da parte del subappaltatore della predetta documentazione.
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Il valore di quest’ultima norma, consiste nell’incentivare il committente ad esigere
dall’appaltatore l’adozione di comportamenti giuridicamente corretti e rispettosi
degli adempimenti. Pertanto, si responsabilizza l’appaltatore, rendendolo un sorta
di “stretto collaboratore” dello Stato nello sforzo di garantire un omogeneo rispetto su tutto il territorio nazionale della normativa giuslavoristica. Sul piano della
natura giuridica, siamo di fronte ad un onere, il cui assolvimento comporta un’automatica esclusione della responsabilità solidale.
Un altro onere di analogo tenore è, poi, contenuto nell’art. 35, com m a 32,
Legge, nr. 248/06, nel quale viene prescritto che il committente deve provvedere al pagamento del corrispettivo dovuto all’appaltatore, soltanto a seguito dell’esibizione da parte di quest’ultimo della documentazione attestante che gli adempimenti di cui all’art. 35, com m a 28, Legge, nr. 248/06, connessi con le prestazioni di lavoro dipendente concernenti l’opera, la fornitura o il servizio affidati sono
stati correttamente eseguiti dall’appaltatore. Il comma in esame svolge anche un
ulteriore e più importante ruolo, poiché pone a capo della catena di controllo il
committente (che può essere un soggetto privato, ma anche una Pubblica
Amministrazione). Costui paga quanto dovuto all’appaltatore, soltanto se quest’ultimo esibisce la documentazione attestante gli adempimenti del subappaltatore in
materia di versamenti obbligatori contributivi e fiscali.
La responsabilità solidale non è, tuttavia, illimitata, in quanto l’art. 35, com m a
30, Legge, nr. 248/06 dispone che gli importi dovuti dall’appaltatore per gli
importi di cui all’art. 35, com m a 28, Legge, nr. 248/06 non possono eccedere complessivamente l’ammontare del corrispettivo dovuto dall’appaltatore al
subappaltatore. Trattasi di una mera ripetizione dei principi codicistici contenuti
negli artt. 1655 ss. cod. civ..
Profili procedurali. A livello procedurale, invece, l’art. 35, com m a 31, Legge, nr.
248/06 disciplina la notifica degli atti e la competenza territoriale. I provvedimenti soggetti a termine di decadenza devono essere notificati entro lo stesso termine, sia all’obbligato principale (subappaltatore), sia all’obbligato solidale (appaltatore). La competenza degli Uffici impositori e previdenziali (Agenzia delle Entrate,
I.N.P.S., I.N.A.I.L., etc.) è determinata in relazione alla sede legale del subappaltatore. Grazie a questa previsione, sussiste una stretta coincidenza tra i termini
di decadenza applicabili all’appaltatore, che al subappaltatore, anche relativamente alle azioni dirette da parte di terzi aventi causa.
La nuova disciplina, inoltre, è stata dotata anche di un adeguato apparato sanzionatorio. L’art. 35, com m a 33, Legge, nr. 248/06 prevede che l’inosservanza
delle modalità di pagamento previste all’art. 35, com m a 32, Legge, nr. 248/06
è punita con la sanzione amministrativa da €. 5. 000 ad €. 200. 000, qualora
risulti che gli adempimenti di cui all’art. 35, com m a 28, Legge, nr. 248/06 con-
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nessi con le prestazioni di lavoro dipendente concernenti l’opera, la fornitura od il
servizio affidati non siano stati correttamente eseguiti dall’appaltatore e dagli eventuali subappaltatori. La competenza territoriale dell’ufficio che irroga la presente
sanzione è determinata in rapporto alla sede dell’appaltatore.
Il coordinam ento con il regim e di responsabilità dell’art. 29, D. Lgs. , nr.
276/03. Come già accennato, la disciplina contenuta nell’art. 35, Legge, nr.
248/06 deve essere coordinata con quella contenuta dall’art. 29, D.Lgs., nr.
276/03.
L’art. 29, D.Lgs., nr. 276/03 disciplina il regime di responsabilità tra committente ed appaltatore nel caso in cui vengano stipulati appalti di opere e servizi, con
esclusione dei contratti sottoscritti da persone fisiche e di quelli conclusi con la
Pubblica Amministrazione (nei confronti della quale non s’applicano le norme del
D.Lgs., nr. 276/03, salvo alcune espresse eccezioni), mentre la disciplina contenuta nell’art. 35, comma 34, Legge, nr. 248/06 s’applica ai contratti di appalto
e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da imprenditori privati o dalla
Pubblica Amministrazione.
Il legislatore del 2006 ha risolto tale problema di coordinamento attraverso
l’espressa previsione contenuta nell’art. 35, com m a 34, Legge, nr. 248/06, in
virtù del quale, resta fermo quanto previsto dall’art. 29, comma 2, D.Lgs., nr.
276/03, che deve intendersi esteso anche per la responsabilità solidale per l’effettuazione ed il versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente.
Siffatta disposizione ha, innanzi tutto, il pregio di chiarire, in virtù dell’espresso rinvio all’art. 29, D.Lgs., nr. 276/03, che anche gli appalti di servizi stipulati in ambito privatistico sono soggetti alla nuova disciplina. Inoltre, viene anche precisato
che l’art. 29, D.Lgs., nr. 276/03, pur prevedendo una più ridotta estensione del
regime di responsabilità passiva, non debba ritenersi implicitamente abrogato per
la sopravvenuta entra in vigore della Legge, nr. 248/06. Anzi L’art. 29, D.Lgs.,
nr. 276/03 risulta essere parzialmente integrato dall’art. 35, comma 34, Legge,
nr. 248/06, poiché, adesso, il regime di solidarietà passiva disciplinato dalla
prima norma ricomprende anche il mancato versamento delle ritenute fiscali che
il datore di lavoro è tenuto ad operare nei confronti dei propri lavoratori dipendenti. Infine, si condivide l’opinione secondo la quale l’art. 35, comma 34, Legge, nr.
248/06, nel prevedere la predetta clausola di salvaguardia contenuta dell’art.
29, comma 2, D.Lgs., nr. 276/03, abbia voluto garantire la permanenza nel
nostro ordinamento, prevista da quest’ultima norma, di limitare il regime di solidarietà passiva tra il committente e l’appaltatore, mediante l’inserzione di un’apposita disciplina del contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative16.
Il Decreto Interm inisteriale (Econom ia-Lavoro) d’attuazione. Infine, l’art. 35,
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com m a 34, Legge, nr. 248/06 precisa che le disposizioni di cui all’art. 35,
com m i 28-33, Legge, nr. 248/06, troveranno applicazione soltanto dopo l’emanazione di un Decreto del M inistro dell’Econom ia e delle Finanze, di concerto
con il M inistro del Lavoro e della Previdenza Sociale, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, che stabilisca la documentazione attestante l’assolvimento degli adempimenti di cui all’art. 35, com m a 28, Legge, nr. 248/06, in relazione ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell’ambito di attività rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al D. P. R. , nr. 633/72, con esclusione dei committenti non
esercenti attività commerciale, e, in ogni caso, dai soggetti di cui agli artt. 73 e
74, D. P. R. , nr. 917/86. La Legge, nr. 248/06 è entrata in vigore il 5 agosto
2006, ma tale decreto attuativo (con conseguente entrata a regime delle nuove
regole) non è stato ancora adottato, pur essendo stato superato il termine del 3
novem bre 2006.
In altri termini, siffatto Decreto Interministeriale, individuando la documentazione
che potrà essere utilizzata dal committente per attestare l’assolvimento degli
adempimenti cui esso è tenuto per non essere sottoposto alla responsabilità solidale con l’appaltatore, ha il fine di limitare la portata del regime di responsabilità
in questione, in coerenza con quanto previsto dal già esaminato art. 34, com m a
28, Legge. , nr. 248/06.
Il Decreto Interm inisteriale, oltre ad individuare la documentazione attestante
l’assolvimento degli adempimenti ex art. 35, com m a 28, Legge, nr. 248/06,
precisa che siffatti documenti devono essere attinenti ai contratti di appalto e di
subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell’ambito delle attività rilevanti ai fini dell’I.V.A. ed, in ogni caso, dai
soggetti individuati dagli artt. 73 e 74, D. P. R. , nr. 917/86. Quest’ultimi sono:
a) le società per azioni;
b) le società in accomandita per azioni;
c) le società a responsabilità limitata;
d) le società cooperative e di mutua assicurazione;
e) gli Enti pubblici e privati con oggetto esclusivo o principale rappresentato da attività commerciali residenti;
f) le società e gli Enti di ogni tipo, comprese quelle ad ordinamento autonomo,
anche se dotate di personalità giuridica;
g) i Comuni;
h) le Province;
i) le Regioni;
j) le Comunità montane;
k) i consorzi tra gli Enti Locali;
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l) le Associazioni;
m ) gli Enti gestori del demanio collettivo.
Tale elenco non comprende soltanto i committenti non esercenti attività commerciali (come, ad
esempio, il privato cittadino che commissiona lavori di ristrutturazione del proprio appartamento).
Il sistem a sanzionatorio. L’ordinamento ha previsto anche un’espressa previsione sanzionatoria oltre a quella poc’anzi citata, in quanto ai sensi dell’art. 35,
com m a 28, Legge, nr. 248/06, il committente d’appalto d’opera, fornitura o
servizio che ha provveduto al pagamento del corrispettivo dovuto all’appaltatore
stesso, senza la previa esibizione della documentazione attestante la regolarità
degli adempimenti fiscali e previdenziali relativi alle prestazioni lavorative dei dipendenti impiegati nell’appalto, a fronte di una non esecuzione, o di una non regolare
effettuazione degli adempimenti stessi da parte dell’appaltatore o di eventuali
subappaltatori, è tenuto, ai sensi dell’art. 35, com m a 33, Legge, nr. 248/06,
al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria, nell’importo da €. 5. 000
ad €. 200. 000, che, ridotto ai sensi dell’art. 16, Legge, nr. 689/81, così come
modificato dall’art. 52, D. Lgs. , nr. , 213/98, è pari ad €. 10. 000. La diffida ex
art. 13, D.Lgs., nr. 124/04 non è consentita.
L’art. 35, com m i 33 e 34, Legge, nr. 248/06 ha precisato che l’irrogazione
della sanzione amministrativa in questione avviene ad opera dell’ufficio nel cui territorio ha la sede dell’appaltatore, ma non risulta chiarito se, una volta accertata
la violazione circa la solidarietà, compete agli enti impositori (Agenzia delle
Entrate, od Enti Previdenziali), ovvero alla D.P.L. comminare la sanzione.
Resta fermo quanto già, in precedenza previsto dall’art. 29, D. Lgs. , nr. 276/03,
in quanto tale responsabilità solidale riguarda il periodo successivo alla cessazione dell’appalto.
Il regime di responsabilità di cui all’art. 29, D. Lgs. , nr. 276/03, deve, ora, intendersi esteso anche agli adempimenti fiscali.
Resta ferma la possibilità di prevedere nel C.C.N.L. una diversa regolamentazione della responsabilità solidale.
La disciplina riguarda tutti i contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e
servizi conclusi anche prima del 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del D. L. ,
nr. 223/06) ed ancora in corso al momento dell’entrata in vigore di tale norma
sanzionatoria.
Anche tale norm a entrerà in vigore soltanto dopo l’em anazione del citato
Decreto Interm inisteriale (Econom ia-Lavoro) ex art. 35, com m a 34, Legge, nr.
248/06 che doveva uscire nel termine (ordinatorio e non rispettato) di novanta
giorni successivi alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di siffatta legge di conversione.
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La responsabilità solidale tra com m ittente ed appaltatore (art. 29, com m i 2
e 3- ter , D. Lgs. , nr. 276/03; art. 1, com m a 911, Legge, nr. 296/06)
L’am bito d’applicazione. A far data dal 1° gennaio 2007, l’art. 29, com m a 2,
D. Lgs. , nr. 276/03, così come introdotto dall’art. 1, com m a 911, Legge, 27
dicem bre 2006, nr. 296, ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo regime
di solidarietà passiva dell’imprenditore committente. Difatti, in caso di appalto
di opere o di servizi, il committente imprenditore, o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere
ai lavoratori i trattamenti retributivi ed i contributi previdenziali dovuti.
Rispetto al testo previgente17, il regime di responsabilità solidale del committente, imprenditore o datore di lavoro, in materia di corresponsione dei trattamenti
retributivi e dei contributi previdenziali dovuti ai lavoratori impiegati nell’appalto
muta notevolmente, in quanto il nuovo art. 29, com m a 2, D. Lgs. , nr. 276/03
presenta tre principali novità:
la norma in questione opera in via generale, in quanto ha eliminato ogni riferimento alle diverse previsioni previste dalla contrattazione collettiva nazionale;
il termine prescrizionale viene esteso da uno a due anni, decorrenti (come in precedenza) dalla data di cessazione dell’appalto;
la responsabilità solidale sussiste anche nei confronti delle obbligazioni delle
im prese subappaltatrici e, pertanto, i dipendenti del subappaltatore possono
azionare i loro diritti anche nei confronti del committente18.
Rimane in vigore, poiché non modificato dalla Legge, nr. 296/06, quanto già stabilito in precedenza dall’art. 29, com m a 3- ter , D. Lgs. , nr. 276/03 in base al
quale, fermo restando quanto previsto dagli artt. 18 e 19, D.Lgs., nr 276/03
le disposizioni di cui all’art. 29, comma 2, D.Lgs., nr. 276/03 non trovano applicazione qualora il com m ittente sia una persona fisica che non esercita attività
di im presa o professionale.
La Circ. Ag. Entrate, 4 agosto 2006, nr. 28/E ha chiarito che la responsabilità solidale è estesa anche nei confronti del versamento delle ritenute fiscali sui
redditi di lavoro dipendente.
Nel caso di subappalto nell’am bito di appalti pubblici, l’affidatario è tenuto ad
osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionali e territoriali in vigore per il settore e per la zona nella quale
si eseguono le prestazioni. Inoltre, è responsabile in solido dell’osservanza di tali
obblighi da parte dei subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti per le prestazioni rese nell’ambito del subappalto.
Come visto, l’art. 35, com m a 34, Legge, nr. 248/06, prevede l’introduzione di
nuove disposizioni, la cui applicabilità è differita al momento in cui sarà approvato il decreto interministeriale d’attuazione19.
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Bisogna, però, precisare che il regime di responsabilità solidale tra committente,
appaltatore e subappaltatori, oltre ai trattamenti retributivi e contributivi, si
estende anche alle obbligazioni fiscali, ai sensi dell’art. 35, com m a 34, ultim o periodo, Legge, nr. 248/06, il quale è già operativo, poiché non dipendente dall’emanazione del Decreto interministeriale20. Infatti, secondo tale norma, in
tutti i contratti di appalto e di subappalto di opere, forniture e servizi conclusi nell’ambito di attività rilevanti, ai fini IVA, ed, in ogni caso, da parte di soggetti IRES
(artt. 73 e 74, D. P. R. , nr. 917/86), il committente e l’appaltatore, nonché
(l’eventuale subappaltatore) rispondono in solido dell’effettuazione del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dei contributi previdenziali e dei prem i I. N. A. I. L. , per le prestazioni concernenti l’opera,
la fornitura, od il servizio affidati. Gli importi dovuti per la responsabilità solidale
non possono eccedere complessivamente l’ammontare del corrispettivo dovuto.
La responsabilità viene meno se il committente (o, nel caso di subappalto, l’appaltatore), verifica, acquisendo la relativa documentazione prima del pagamento del
corrispettivo, che detti adempimenti siano stati correttamente eseguiti dall’appaltatore (o dall’eventuale subappaltatore).
Alla luce di quanto finora affermato, emerge che l’attuale regime di responsabilità solidale, rispetto alla previdente disciplina contenuta nella Legge, nr. 1369/60
(espressamente abrogata dall’art. 85, comma 1, lett. c), D.Lgs., nr. 276/03),
da un lato, riprende ed amplia il principio della responsabilità solidale anche con
riguardo agli appalti esterni all’impresa committente ed ai datori di lavoro non
imprenditori, dall’altro non contempla più il rilevante principio della parità di trattamento, economico e normativo, all’interno dello stesso luogo di lavoro tra i lavoratori alle dipendenze del committente e quelli alle dipendenze dell’appaltatore (in
passato, previsto dall’art. 3, Legge, nr. 1369/60). Tale esclusione del principio
di parità nell’appalto di servizio contrasta con l’espressa previsione (ex art. 23,
comma 1, D.Lgs., nr. 276/03) del medesimo principio in tema di somministrazione di lavoro21.
Il sistema sanzionatorio. Inoltre, come ha ampiamente chiarito la giurisprudenza
l’abrogazione della Legge, nr. 1369/60 a seguito dell’emanazione del D.Lgs., nr.
276/03 non ha comportato la caducazione del divieto d’interposizione di manodopera. Anzi, i giudici di legittimità hanno avuto modo di precisare che ricorre al riguardo un’ abrogazione senza abolizione del reato in questione, dal momento che alcune
delle condotte punite dalla Legge, nr. 1369/60 continuano ad essere riconosciute dall’ordinamento come ipotesi di reato anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs.,
nr. 276/0322. Infatti, l’appalto privo dei suoi requisiti essenziali, oltre a consentire al
lavoratore di chiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore ex art. 29, comma 3-bis , D. Lgs. , 276/03 23, la quale espone il
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committente e l’appaltatore alla contravvenzione penale di cui all’art. 18, comma 5bis , D. Lgs. , nr. 276/03, pari all’ammenda di €. 50 per ogni lavoratore occupato e
per ogni giornata di occupazione (se, invece, vi è sfruttamento di minori, la pena è dell’arresto fino a diciotto mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo).
La sicurezza sul lavoro (art. 7, D. Lgs. , nr. 626/94)
L’am bito d’applicazione. È, ormai, un fatto notorio che il settore degli appalti e dei
subappalti si distingue per l’essere tra quelli maggiormente interessati dal numero e dalla gravità degli incidenti sul lavoro24.
L’art. 7, D.Lgs., nr. 626/94, sin dalla sua originaria formulazione, ha previsto un
più penetrante coinvolgimento del datore di lavoro committente nell’attività di prevenzione a favore, oltre che dei propri dipendenti, dei lavoratori autonomi e dei
dipendenti delle imprese appaltatrici.
Inoltre, il Legislatore del 2006 ha operato una notevole estensione del campo
d’applicazione dell’art. 7, D.Lgs., nr. 626/94, non limitata, come in precedenza,
ai soli c.d. appalti interni. Difatti, l’art. 1, com m a 910, Legge, nr. 296/06, ha
modificato la linea dell’art. 7, com m a 1, D. Lgs. , nr. 626/94, che, adesso,
estende gli obblighi relativi alla sicurezza del lavoro in caso di contratto d’appalto
o contratto d’opera ad ogni datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori ad
imprese appaltatrici od a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di
una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima. Pertanto, s’evidenzia la responsabilità del datore di
lavoro committente rispetto a tutta la catena dell’appalto e del subappalto, anche
sul c.d. versante esterno , dovendosi intendere, con il ricorso a tale espressione,
il riferimento all’intero ciclo produttivo dell’im presa esternalizzante . In altri termini, si privilegia, un profilo funzionale, più che meramente topografico, dell’appalto, interessando, in tal modo, tutte le lavorazioni collegate all’organizzazione produttiva del committente, indipendentemente dalla collocazione fisica delle medesime25.
Gli obblighi del datore di lavoro com m ittente. Venendo, ora, all’esame degli obblighi specifici, l’art. 7, com m a 1, D. Lgs. nr. 626/94 impone al datore di lavoro
committente di verificare, anche attraverso l’iscrizione alla Camera di Commercio,
Industria ed Artigianato, l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici, o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera” (art. 7, com m a 1, lett. a ), D. Lgs. nr. 626/94) e di fornire agli stessi dettagliate inform azioni sui rischi specifici esistenti nell’am biente in cui sono
destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in
relazione alla propria attività (art. 7, com m a 1, lett. b ), D. Lgs. nr. 626/94).
verificare, di verificare, anche attraverso l’iscrizione alla Camera di Commercio,
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Industria ed Artigianato, l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici, o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera (art. 7, com m a 1, lett. a ), D. Lgs. nr. 626/94). Tale onere rappresenta un’applicazione specifica della più generale culpa in eligendo, sussistente in capo al datore di lavoro e consistente nella verifica dell’effettiva iscrizione alla
Camera di Commercio, Industria ed Artigianato, la, quale, però, è solo uno dei
possibili strumenti identificativi dell’affidabilità dell’impresa appaltatrice, o del lavoratore autonomo. Tale interpretazione è avvalorata dall’esame del tenore letterale della norma in questione, la quale ricorre all’utilizzo della congiunzione “anche”
nel testo normativo. Tale verifica, invece, può essere effettuata attraverso il ricorso al riscontro della sussistenza della conoscenza dei requisiti tecnico-professionali delle maestranze impiegate, al controllo dei mezzi e delle attrezzature disponibili per l’esecuzione dei lavori, all’esame dell’elenco dei lavori simili eseguiti in precedenza26. Trattasi di una serie d’informazioni che sono necessarie per conseguire la realizzazione il coordinamento di interventi a cui il committente è tenuto in
virtù del dettato normativo dell’art. 7, D.Lgs., nr. 626/94. In sede d’accesso
ispettivo, siffatta documentazione può essere rinvenuta in allegato al capitolato di
appalto, in quanto tale documento deve contenere tutte le norme che regolano il
contratto d’appalto27;
fornire alle imprese appaltatrici, o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da
affidare in appalto o contratto d’opera dettagliate inform azioni sui rischi specifici esistenti nell’am biente di lavoro in cui sono destinati ad operare e sulle m isure di prevenzione e di em ergenza adottate in relazione alla propria attività (art.
7, com m a 1, lett. b ), D. Lgs. nr. 626/94). Questo secondo requisito s’esplica
nel consentire ai lavoratori autonomi od ai dipendenti delle imprese appaltatrici, a
loro volta adeguatamente informati, di operare con la necessaria prudenza in un
ambiente di lavoro a loro sconosciuto28. In merito alle modalità in cui s’esplica l’obbligo d’informazione del datore di lavoro committente, la giurisprudenza ha escluso che siano da annoverare tra i destinatari, oltre all’appaltatore (ed ai lavoratori
autonomi), anche i singoli dipendenti del medesimo, i quali, invece, dovranno essere adeguatamente informati dal loro datore di lavoro, nel rispetto delle modalità
indicate dall’art. 21, D.Lgs., nr. 626/9429 In tema di prevenzione degli infortuni
sul lavoro, la scelta legislativa di prevedere l’obbligo del datore di lavoro di fornire
alle imprese appaltatrici e ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi
specifici e nel prevedere, altresì, l’obbligo per i datori di lavoro di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dei lavoratori dai rischi di incidenti connessi all’attività oggetto dell’appalto ha determinato a carico del datore
di lavoro medesimo una posizione di garanzia e di controllo dell’integrità fisica
anche del lavoratore dipendente dall’appaltatore30.
In virtù dell’art. 7, com m a 2, D. Lgs. , nr. 626/94, nell’ipotesi di cui all’art. 7,
59
com m a 1, D. Lgs. , nr. 626/94, i datori di lavoro (cioè, il committente e l’appaltatore) devono:
cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul
lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto. Con il termine cooperare, il legislatore ha inteso imporre ai datori di lavoro l’obbligo di collegare razionalmente le varie fasi dell’attività in corso31. L’obbligo della cooperazione tra committente ed appaltatore è limitato all’attuazione delle misure prevenzionali rivolte ad
eliminare i pericoli che, per effetto dell’esecuzione delle opere appaltate, vanno ad
incidere sia sui dipendenti dell’appaltante, sia su quelli dell’appaltatore. Essa ha il
fine di eliminare o ridurre la fascia, spesso molto ampia, dei rischi comuni ai lavoratori delle due parti, mentre, per il resto, ciascun datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d’opera subordinati, assumendosene la relativa responsabilità, Nel caso di lavori ripetitivi, il committente è
tenuto ad informare ogni volta l’appaltatore, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett, b),
D.Lgs., nr. 626/94;
coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i
lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle
interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera
complessiva. Il termine coordinare sottintende un’attività molto più complessa ed
onerosa, rispetto alla predetta mera attività di cooperazione, perché tale obbligo
s’esplica nel contribuire attivamente, sia parte dell’una, che dell’altra parte, a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie32.
L’obbligo di collaborazione prevenzionale imposto dall’art, 7, D.Lgs., nr. 626/94
tra il committente e l’appaltatore o lavoratore autonomo che hanno assunto il
compito di eseguire l’opera, prescinde dalla forma giuridica del contratto, sussistendo, sia nel caso di appalto ordinario di opere o servizi, sia nel caso, peraltro
vietato, di appalto di manodopera, atteso che in entrambi i casi ricorre l’esigenza
di tutela prevenzionale dei lavoratori33.
Bisogna, comunque, sottolineare che sussiste in capo al datore di lavoro committente l’onere di promuovere la cooperazione e il coordinamento, non potendo,
però, estendersi siffatto obbligo ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese
appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, rispetto ai quali non si può attribuire
una responsabilità al committente (art. 7, com m a 3, D. Lgs. , nr. 626/94)34.
Quindi, il dettato normativo chiarisce che tale obbligo consiste nel fatto che il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui
all’art. 7, comma 2, D.Lgs., nr. 626/94, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze. Tale
documento è allegato al contratto di appalto o d’opera. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. (art. 7, com m a 3, D. Lgs. , nr. 626/94,
60
così come sostituito dall’art. 3, com m a 1, lett. a ), Legge, nr. 123/07).
L’art. 7, comma 3, D.Lgs., nr. 626/94 prevede, comunque, un’esenzione del
datore di lavoro committente dall’obbligo di cooperazione e di coordinamento con
l’appaltatore per l’attuazione delle misure di prevenzione dei rischi di infortunio sul
lavoro quando trattasi dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, opera esclusivamente con riguardo alle precauzioni dettate da regole richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale
(generalmente mancante in chi opera in settori diversi) nella conoscenza delle procedure da adottarsi nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche
o nell’uso di determinate macchine. Non può, quindi, considerarsi come rischio
specifico, ai fini dell’applicabilità della suddetta norma, quello che sia riconoscibile
da chiunque, indipendentemente dalla sue specifiche competenze35.
Queste ultime considerazioni ci permettono di affermare con tranquillità che è
sicuramente configurabile un profilo di colpa generica a carico del datore di lavoro committente, nel caso in cui egli possa rendersi conto delle condizioni di estremo pericolo in cui sono eseguiti i lavori36. In altri termini, l’obbligo di cooperazione e di coordinamento sussistente tra il committente e l’appaltatore37 concerne i
rischi comuni a cui possono incorrere i lavoratori dipendenti delle due parti per
effetto dell’esecuzione dell’appalto38. Il committente e l’appaltatore sono solidalmente responsabili, anche in caso di mancata cooperazione e coordinamento.
Essi sono, altresì, responsabili solidalmente in caso di mancata cooperazione e
coordinamento all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione e di mancata informazione reciproca al fine di evitare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese. Eventuali clausole di trasferimento del rischio all’appaltatore tese ad esonerare il committente da ogni responsabilità in materia sono
inefficaci in quanto contrarie a norma di ordine pubblico, in sede d’ispezione viene,
pertanto, verificata l’idoneità dell’avvenuto coordinamento accertando se siano
stati redatti eventuali atti scritti per promuovere la cooperazione ed il coordinamento e se sia stato individuato un referente con il compito di dare impulso agli
stessi39.
In virtù di quanto detto finora, è possibile affermare che l’interprete si trova dinanzi al ribaltamento del sistema di responsabilità previgente all’emanazione del
D.Lgs., nr. 626/94. L’originario onere di non ingerenza si è trasformato un effettivo e stringente obbligo d’iniziativa, penalmente sanzionato, a carico del committente40. Difatti, s’evidenzia che l’obbligo sancito dall’art. 7, comma 3, D.Lgs., nr.
626/94 è punito a carico del datore di lavoro e del dirigente, ai sensi dell’art.
89, com m a 2, lett. b ), D. Lgs. , nr. 626/94 ed a carico del preposto, ai sensi
dell’art. 90, com m a 1, lett. b ), D. Lgs. , nr. 626/94 41.
Bisogna, altresì, evidenziare, che la giurisprudenza ha esteso l’operatività dei principi normativi dettati dall’art. 7, D.Lgs., nr. 626/94, anche in caso di subappal-
61
to, argomentando che la condizione dell’appaltatore, rispetto a quella del subappaltatore, risulta essere sostanzialmente equivalente a quella del committente42.
Quest’ultimo ragionamento è stato seguito anche in caso di esternalizzazione di
alcune fasi del processo produttivo, poiché si è affermato che il datore di lavoro
ha l’obbligo di accertare i rischi per qualsiasi motivo conseguenti all’affidamento
dei lavori commissionati a soggetti terzi, al fine di rendere edotti i propri dipendenti della sussistenza, o della permanenza, di situazioni di pericolo ed al fine, altresì, di munirli di dispositivi di sicurezza idonei ad eliminare le situazioni di pericolo
riscontrate43.
La giurisprudenza si è spinta oltre fino a dichiarare che, qualora manchi la figura
dell’appaltatore unico incaricato della realizzazione di tutte le opere edili, le quali,
invece, siano affidate a m olte piccole im prese individuali, di fatto prive dei requisiti minimi per l’attuazione delle misure di sicurezza del cantiere, sussiste la
responsabilità della committenza, o di chi la rappresenta, circa l’obbligo di provvedere ad apprestare le predette misure antinfortunistiche e di verificare le modalità d’esecuzione dei lavori44.
Infine, il committente risponde penalmente degli eventi dannosi subiti dai dipendenti dell’appaltatore quando si sia ingerito nell’esecuzione dell’opera mediante una
condotta che abbia determinato o concorso a determinare l’inosservanza di
norme di legge, regolamento o prudenziali poste a tutela degli addetti. Non può,
invece, essere considerata ingerenza, e non è, pertanto, idonea ad estendere
all’appaltante obblighi e responsabilità propri del datore di lavoro, la condotta del
committente che consista nella sollecitazione ad osservare le misure di sicurezza,
ad adottare i presidi di tutela, a comportarsi con prudenza e cautela45.
Non assumono alcuna rilevanza in materia, dovendosi ritenere nulle ex art. 1419,
comma 2, cod. civ., le eventuali clausole contrattuali di trasferim ento del rischio
e di responsabilità trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie46.
La responsabilità solidale in m ateria di sicurezza. Giunti a questo punto, nell’economia del nostro discorso, necessita sottolineare che l’art. 7, com m a 3- bis ,
D. Lgs. , nr. 626/94, così come introdotto dall’art. 1, com m a 910, lett. b ),
Legge, nr. 296/06, sancisce che l’imprenditore committente risponde in solido
con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, per
tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro. Quindi, con l’introduzione dell’art. 7, comma 3-bis,
D.Lgs., nr. 626/94, il legislatore del 2006 ha voluto prevedere una specifica
responsabilità in solido dell’imprenditore committente con l’appaltatore, nonché
con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, per tutti i danni per i quali il
62
lavoratore dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’I. N. A. I. L. .
È importare chiarire, sin d’ora, la reale portata di siffatta previsione normativa, in
quanto la novella legislativa in esame deve essere coordinata con il contenuto dell’art. 2116, comma 1, cod. civ.. Tale ultima norma prevede l’automaticità delle
forme di previdenza ed assistenza obbligatorie previste dall’art. 2114 cod. civ.,
anche quando il datore di lavoro non abbia regolarmente versato i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza ed assistenza. Pertanto, il lavoratore, in virtù della
previsione normativa dell’obbligo assicurativo, in caso d’infortunio o di malattia professionale, è, in ogni caso, tutelato dall’I.N.A.I.L., anche nell’ipotesi in cui il proprio
datore di lavoro non abbia provveduto al pagamento del premio assicurativo.
Trattasi di una norma fondamentale, poiché essa s’applica anche in presenza di
quelle attività, che risultano essere escluse dall’ambito d’applicazione dell’istituto
dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali47. Inoltre, l’art. 2116, comma 1, cod. civ. assume una sua rilevanza operativa, anche in relazione al risarcimento del così detto danno biologico, in quanto, ai sensi dell’art. 13, comma 1, D.Lgs., nr. 38/00, l’I.N.A.I.L. indennizza, soltanto le menomazioni di grado pari o superiore al 6%, sotto forma d’erogazione
di capitale (art. 13, comma 1, lett. a), D.Lgs., nr. 38/00), e, sotto forma d’erogazione di rendita, i gradi d’invalidità superiori al 16% (art. 13, comma 1, lett. a)
e b), D.Lgs., nr. 38/00). Pertanto, la responsabilità solidale sussistente in capo
al committente, all’appaltatore ed al subappaltatore rimane inoperante, in presenza di lesioni di lieve entità (cioè, inferiore al 6%) e prive di copertura assicurativa
nonché, soprattutto, in caso di lesioni che cagionino un danno il cui ammontare
debba essere liquidato secondo gli ordinari criteri civilistici, e comporti l’erogazione di una somma di denaro superiore all’indennità corrisposta ex lege
dall’I.N.A.I.L. (c.d. danno differenziale )48. Infine, risulta essere interamente risarcibile il c.d. danno m orale , relativamente al quale l’ordinamento vigente non ha
previsto nessuna forma d’indennizzo da parte dell’I.N.A.I.L.49.
Ferme restando le disposizioni in materia di sicurezza e salute del lavoro previste
dalla disciplina vigente degli appalti pubblici, nei contratti di somministrazione, di
appalto e di subappalto, di cui agli articoli 1559, 1655 e 1656 cod. civ., devono
essere specificamente indicati i costi relativi alla sicurezza del lavoro. A tali dati
possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori di cui all’art. 18,
D.Lgs., nr. 626/94 e le organizzazioni sindacali dei lavoratori. (art. 7, com m a 3ter , D. Lgs. , nr. 626/94, così come introdotto dall’art. 3, com m a 1, lett. b ),
Legge, nr. 123/07).
Allo scopo di ridurre i rischi connessi allo svolgimento delle attività lavorative prestate in regime di appalto, il committente e l’appaltatore sono tenuti ad adempiere ad una serie di obblighi. Esaminiamoli analiticamente.
63
In caso di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici od ad lavoratori autonomi
all’interno della propria impresa, o di una singola unità produttiva della stessa,
nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’impresa medesima:
verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare loro in appalto, anche attraverso l’iscrizione alla CCIAA. L’avvenuta verifica dell’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore da parte del committente deve essere valutata dall’organo di vigilanza, in
sede di controllo, attraverso criteri di accertamento ex ante dell’assenza di profili di culpa in vigilando50;
fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici dell’ambiente in cui devono operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate;
inform are in modo dettagliato, dopo la sottoscrizione del contratto di appalto e
prima dell’inizio dei lavori da parte dell’appaltatore, le imprese ed i lavoratori autonomi sui rischi specifici presenti nell’ambiente di lavoro in cui devono operare e
sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività;
cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;
coordinare gli interventi di prevenzione e protezione contro i rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente allo scopo di evitare i rischi dovuti a
possibili interferenze tra lavoratori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione
dell’opera complessiva. Tale coordinamento deve essere promosso dal datore di
lavoro appaltante, ma non deve estendersi ai rischi specifici propri delle attività
delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi;
inform are sul proprio piano di emergenza e prendere visione del piano di sicurezza redatto da ogni impresa appaltatrice, ai fini di un coordinamento reciproco,
anche tenendo presenti gli eventuali rischi che l’attività dell’appaltatore introduce
nell’impresa ospitante;
prom uovere la cooperazione nella attuazione delle misure di sicurezza ed il coordinamento degli interventi di protezione.
In caso di subappalto, il committente ha, nei confronti dei subappaltatori, l’obbligo di coordinarsi, per gli aspetti riguardanti la sicurezza con i relativi datori di lavoro, anche tenendo presenti gli eventuali rischi che l’attività del subappaltatore
introduce nell’impresa ospitante.
Dal 1° gennaio 2007, l’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore e
con ciascuno dei subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore dipendente dagli
stessi non risulti indennizzato dall’I.N.A.I.L..
Nella generalità dei casi, è l’appaltatore che risponde dei danni arrecati ai terzi.
La responsabilità del committente sussiste solo qualora si dimostri che:
il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartito-
64
gli dal direttore dei lavori, o da altro rappresentante del committente stesso;
il committente abbia affidato il compimento dell’opera o del servizio ad una impresa
appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determino situazioni di pericolo per i terzi.
I principi poc’anzi enunciati valgono anche in tema di subappalto, poiché il subcommittente (rectius: appaltatore) risponde nei confronti dei terzi, solo nel caso in cui
abbia esercitato un’ingerenza nell’attività del subappaltatore al punto da rendere
quest’ultimo un mero esecutore51.
La tutela giurisdizionale. L’azione diretta contro il com m ittente.
Ai sensi dell’art. 29, com m a 3- bis , D. Lgs. , nr. 276/03, come introdotto dall’art.
6, comma 2, D.Lgs., nr. 251/04, quando il contratto di appalto sia stato stipulato in violazione di quanto disposto dall’art. 29, comma 1, D.Lgs., nr. 276/03,
il lavoratore interessato può richiedere, mediante ricorso giurisdizionale, a norma
dell’art. 414 cod. proc. civ., notificato anche al soggetto che ne ha utilizzato la
prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.
In tal caso, tutti i pagam enti effettuati dallo pseudo-appaltatore, a titolo retributivo o contributivo, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato
la prestazione dal debito corrispondente fino alla concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dallo pseudo-appaltatore per la costituzione e la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale lo pseudo-appalto ha
avuto luogo, si intendono compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.
L’appaltatore responsabile in solido con il subappaltatore per gli obblighi di quest’ultimo (art. 35, com m i da 28 a 34, Legge, nr. 248/06). L’appaltatore dovrà
garantire (acquisendo la relativa documentazione prima del pagamento del corrispettivo) il corretto versamento da parte del subappaltatore delle ritenute fiscali
sui redditi di lavoro dipendente e dei contributi previdenziali e assicurativi obbligatori per i lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto. L’appaltatore può, a tal
fine, sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione da parte del
subappaltatore della relativa documentazione. È, comunque, previsto un limite
massimo: l’appaltatore risponde solo fino all’ammontare del corrispettivo da lui
dovuto al subappaltatore.
I dipendenti dell’appaltatore, che hanno partecipato all’esecuzione dell’opera o del
servizio, possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire
quanto loro dovuto, sia pure entro i limiti del debito residuo del committente verso
l’appaltatore, in relazione al contratto di appalto.
L’azione diretta contro il committente può essere proposta entro due anni dalla
cessazione dell’appalto. Ai fini della proposizione dell’azione diretta, occorre che
65
sussistano i seguenti presupposti:rapporto di lavoro subordinato alla dipendenze
dell’appaltatore;
esecuzione della prestazione lavorativa per il compimento di quella particolare
opera o di quello specifico servizio commissionati da quel determinato committente;
credito di lavoro in capo ai lavoratori, inadempiuto da parte dell’appaltatore-datore di lavoro (art. 2099 cod. civ. );
credito dell’appaltatore verso il com m ittente in relazione al compimento dell’opera o del servizio commissionatogli (art. 1657 cod. civ. ).
L’azione diretta è pienamente distinta ed autonoma rispetto a quella che, eventualmente, venga simultaneamente proposta nei confronti dell’appaltatore-datore di
lavoro52.
L’esercizio dell’azione diretta impedisce qualsiasi altra iniziativa individuale, anche
se proveniente dall’appaltatore o dagli altri suoi creditori e senza che rilevi il mezzo
processuale impiegato.
Conseguentemente, anche l’apertura del fallimento non può produrre effetti sulle
ragioni vantate dai lavoratori53.
La semplice conoscenza del credito del dipendente dell’appaltatore non fa sorge
alcun obbligo in capo al committente (estraneo al rapporto di lavoro).
Solo dal momento della proposizione della domanda giudiziale di pagamento da
parte dei dipendenti nei confronti del committente, quest’ultimo non può più pagare all’appaltatore, né a qualunque altro creditore54.
1
Cfr., R. DE LUCA TAMAJO, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, in Riv. it. dir. lav., 2007, I, pag. 4.
2 Cfr., R. DE LUCA TAMAJO, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, in Riv. it. dir. lav., 2007, I, pagg. 6 ss..
3 Cfr. in particolare R. DEL PUNTA, Statuto dei lavori ed esternalizzazioni, in Dir. rel. ind., 2004, pagg.
218 ss..
4 Cfr., in tal senso, A. PERULLI, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva
comparata: problemi e prospettive, in Riv. it .dir. lav., 2007, I, pag. 31.
5 Cfr., amplius sul punto, A. PERULLI, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una
prospettiva comparata: problemi e prospettive, in Riv. it .dir .lav., 2007, I, pagg. 60 ss..
6 Cfr., G. FALASCA, Con la Finanziaria cambia la disciplina degli appalti, in Guida Lav., 2007, nr. 4,
pag. 41.
66
7 Hanno scritto sulla nuova normativa, tra gli altri: M. T. CARINCI, La tutela dei lavoratori negli appalti di servizi, in F. CARINCI (a cura di), Commentario al D.Lgs., 10 settembre 2003, n. 276, Vol II, M.
T. CARINCI e C. TESTER (a cura di), Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda,
pag. 198 ss.; R. DEL PUNTA, La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, in
AA.VV., Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2004, pagg. 161 ss.; M. MAGNANI, Le esternalizzazioni e il nuovo diritto del lavoro, in M. MAGNANI e P. A. VARESI (a cura di), Organizzazione del
mercato del
lavoro e tipologie contrattuali, Torino, 2005, pagg. 283 ss; M. TIRABOSCHI,
Somministrazione, appalto di servizi, distacco, in M. TIRABOSCHI (a cura di), La riforma Biagi,
Commentario allo schema di decreto attuativo della legge delega sul mercato del lavoro, in Guida Lav.,
2003, nr. 4, suppl., pag. 68; P. TOSI, Appalto, distacco, lavoro a progetto. Appunti da una conferenza, in Lav. Giur..
8 Cfr., in tal senso, Cass., Sez. Un., 26 ottobre 2006, nr. 22910.
9 Cfr., in tal senso, Cass., Sez. Un., 26 ottobre 2006, nr. 22910.
10 R. DEL PUNTA, Il nuovo divieto di appalto di manodopera, in D.P.L., 2005, pagg. 1955 ss..
11 Cfr., tra le ultime, Trib. Milano nr. 4110/06, relativo all’affidamento in appalto ad una cooperativa del servizio di lettura di contatori per conto di una società di energia elettrica, con utilizzo di palmari di proprietà della società appaltante.
12 R. DEL PUNTA, Il nuovo divieto di appalto di manodopera, in D.P.L., 2005, pagg. 1955 ss..
13 Cfr., in tal senso, Circ. Ag. Entrate, 4 agosto 2006, nr. 28/E.
14 Art. 35, comma 34, Legge, nr. 248/06: “Le disposizioni di cui ai commi da 28 a 33 si applicano
[…], in relazione ai contratti di appalto e subappalto […]”.
15 C. M. BIANCA, Diritto civile, Vol. III, Il contratto, Milano, 1987, pag. 691.
16 G. FALASCA, Cambia ancora il regime di responsabilità per appalti e subappalti, in Guida Lav.,
2006, nr. 36, pag. 29.
17 Arti 29, comma 2, D.Lgs., nr. 251/91, così come modificato dall’art. 6, comma 1, D.Lgs., nr.
251/04: “Salvo diverse previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da associazioni dei
datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, in caso di appalto di opere o di
servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il
limite di un anno dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i
contributi previdenziali dovuti”.
18 G. FALASCA, Con la Finanziaria cambia ancora la disciplina degli appalti, in Guida Lav., 2007, nr.
4, pag. 40; F. NATIVI, La nuova disciplina degli appalti , dispensa relativa al convegno su Appalto e
sicurezza del lavoro, Centro Studi Nazionale C.I.S.L., tenutosi a Firenze in data 20 febbraio 2007; F. ROTONDI, Appalto,lavori atipici, P.A. e maternità: novità della Finanziaria, in D.P.L., 2007, pag. 223; P. SOPRANI,
Sistema prevenzionistico e di igiene del lavoro: effetti della manovra , in D.P.L., 2007, pagg. 297 ss..
19 Cfr., in tal senso, Circ. Ag. Entrate, 4 agosto 2006, nr. 28/E.
20 Sul regime di responsabilità solidale in materia di appalti e subappalti delineato dall’art. 35, commi
da 28 a 34, Legge, nr. 248/06, non ancora operativo nell’attesa dell’emanazione del Decreto
Interministeriale d’attuazione, cfr., G. FALASCA, La legge di conversione cambia ancora il regime di
responsabilità per appalti e subappalti, in Guida lav., 2006, nr. 36, pagg. 26 ss.. Per quanto concerne, invece, la problematica relativa al coordinamento di tale disciplina con quanto già disposto dall’art.
29, D.Lgs., nr. 276/03, cfr. F. NATIVI, La nuova disciplina degli appalti, dispensa relativa al convegno su “Appalto e sicurezza del lavoro, Centro Studi Nazionale C.I.S.L., tenutosi a Firenze in data 20
febbraio 2007.
21 R. DEL PUNTA, Statuto dei lavori ed esternalizzazioni, in Dir. rel. ind., 2004, pag. 223, il quale evidenzia che non si riesce a comprendere per quale ragione si dovrebbe far ricorso all’istituto dello rivolgere allo staff leasing quando è possibile ottenere lo stesso risultato, rivolgendosi ad una impresa
appaltatrice, la quale, inoltre, può operare sottocosto, così come operano sottocosto, ad esempio, le
67
società cooperative di lavoro.
Cfr., tra le tante, Cass. Pen., 21 novembre 2005, nr. 41701; Cass. Pen., 25 agosto 2004, nr.
34922; Cass. Pen., 26 gennaio2004, nr. 2583.
23 S’evidenzia che la norma stessa ricorda che, in tali ipotesi, trova applicazione la prescrizione contenuta nell’art. 27, comma 2, D.Lgs., nr. 276/03, avente ad oggetto la somministrazione. irregolare.
24 COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO, Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla sicurezza e sull’igiene del lavoro, Roma, 22 luglio 1997, relatore C. SMURAGLIA, pagg. 18 s..
25 G. FALASCA, Con la Finanziaria cambia ancora la disciplina degli appalti, in Guida Lav., 2007, nr.
4, pag. 39; F. NATIVI, La nuova disciplina degli appalti , dispensa relativa al convegno su Appalto e
sicurezza del lavoro, Centro Studi Nazionale C.I.S.L., tenutosi a Firenze in data 20 febbraio 2007.
26 COORDINAMENTO DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME, Linee guida per l’applicazione
del D.Lgs. n. 626/94, Ravenna, 1999, documento nr. 6, p. 195.
27 COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO, Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla sicurezza e sull’igiene del lavoro, Roma, 22 luglio 1997, relatore C. SMURAGLIA, pag. 190.
28 Relativamente ad una interpretazione “ampia” del concetto di “rischio ambientale” e sul conseguente obbligo informativo esistente in capo al committente, cfr., da ultimo, Cass. Pen., 17 ottobre 2003,
in c. Luciano e altro, in I.S.L., 2004, pag. 597 ss., con nota di P. SOPRANI, relativa ad un infortunio
mortale occorso ad un lavoratore autonomo incaricato d’installare l’insegna luminosa di un locale e
precipitato a terra, a causa del crollo della controsoffittatura lungo la quale si stava muovendo.
29 Cfr., in tal senso, Cass. Pen., 5 dicembre 1998, in c. Duilio, in I.S.L., 1999, pag. 96.
30 Cfr., in tal senso, Cass. Pen., 22 novembre 2004, nr. 45068.
31 A. CULOTTA, M. DI LECCE, G. C. COSTAGLIOLA, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro,
Milano, 1996, pag. 181.
32 A. CULOTTA, M. DI LECCE, G. C. COSTAGLIOLA, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro,
Milano, 1996, pag. 181.
33 Cfr., Cass. Pen., 28 gennaio 2004, nr. 2946.
34 Cfr., Cass. Pen., 29 novembre 2005, in c. Limonta, in I.S.L., 2006, pag. 57.
35 Cass. Pen., 29 novembre 2005, nr. 43085; Cass. Pen., 19 agosto 2005, nr. 31296.
36 Per la responsabilità del committente in caso di appalto di lavori altamente pericolosi, in violazione
di regole minime di prudenza e sicurezza, cfr., Cass. Pen., 8 ottobre 2003, in c. Scalia, in I.S.L.,
2003, pag. 720.
37 Per il significato ed i limiti di tale cooperazione, cfr., Cass. Pen.,20 settembre 2002, in c. Zanini
e altro, in I.S.L., 2004, pag. 75, con nota di P. SOPRANI.
38 A. CULOTTA, M. DI LECCE, G. C. COSTAGLIOLA, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro,
Milano, 1996, pag. 182.
39 Cfr., in tal senso, Circ, Min. Lav., 12 gennaio 2001 nr. 8
40 Cfr. B. DEIDDA, La responsabilità penale delle figure previste dal decreto 626/94, in
Ambiente e Sicurezza sul lavoro, 1996, nr. 9, pag. 15.
41 Per la verifica dell’avvenuto coordinamento ad opera del datore di lavoro committente quale presupposto per l’irrogazione della sanzione in questione, cfr., la Circ. Min. Lav., nr. 8/01.
42 Cass. Pen., 16 luglio 2004, in c. Di Tria e altro, in I.S.L., 2004, pag. 755; Cass. Pen., 3 luglio
2006, in c. Beltrami e altri, in I.S.L., 2006, pag. 569.
43 Cfr. Cass. Pen., 5 dicembre 2003, nr. 18603.
44 Cfr., Cass. Pen., 3 ottobre 2001, nr. 35823.
45 Cfr., Cass. Pen. 30 gennaio 2001 nr. 3516
46 Cass. Pen. 21 giugno 2006, in c. Clemente e altro, in I.S.L., 2006, pag. 748.
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47
M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino, 2007, pagg. 434 ss.
Trib. Bassano del Grappa, 10 gennaio 2007, in D.P.L., 2007, nr. 13, inserto, pag. IX.
49 F. NATIVI, La nuova disciplina degli appalti, dispensa relativa al convegno su Appalto e sicurezza del
lavoro, Centro Studi Nazionale C.I.S.L., tenutosi a Firenze in data 20 febbraio 2007.
50 Così, Cass. Pen., 11 agosto 2004, nr. 34371.
51 Cfr., Cass., 23 marzo 1999, nr. 2745.
52 Cfr., Cass., 4 settembre 2000, nr. 11607.
53 Cfr., Cass., 9 maggio 2006, nr. 10626.
54 Cfr., Cass., 27 settembre 2000, nr.12784.
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Appalti genuini: criteri distintivi
Giuseppe Lella*
La distinzione tra appalti genuini e non (utilizzando la dizione “genuino” di cui all’art.
84, co. 2 del decreto) è argomento su cui negli anni si è stratificata una normativa complessa, nonché una ampia casistica giurisprudenziale ed una intensa elaborazione dottrinale.
Gli interpreti che si trovano di fronte all’esigenza di valutare la genuinità di un
appalto sanno bene quanto possa essere difficoltoso, in concreto, utilizzare gli
strumenti indicati dalla legge e specificati e perfezionati dalla giurisprudenza, e
quanto la linea di confine tra le due ipotesi possa essere sottile ed incerta.
Essa, poi, diviene ancor meno visibile in quei settori ad alta intensità di lavoro, nei
quali o per la particolare complessità dell’attività o, al contrario, per la sua estrema semplicità, le prestazioni lavorative dei lavoratori coinvolti diventano il fulcro del
rapporto, rendendo estremamente difficile la distinzione con altre fattispecie di utilizzo della forza lavoro legittime (somministrazione, distacco) o illegittime (intermediazione e interposizione).
Se a questo si aggiunge che le modifiche del sistema produttivo e dei rapporti
socioeconomici intervenute negli ultimi decenni, con la crescente specializzazione
ed integrazione delle organizzazioni produttive, hanno prodotto una crescita esponenziale delle ipotesi di esternalizzazione di parti dei processi produttivi agevolate
anche da una legislazione sempre più a sostegno di questi fenomeni, si comprende come il tema della distinzione tra legittime operazioni datoriali ed illecite azioni
fraudolente sia diventato sempre più scottante, anche in ottica ispettiva.
Prima di esaminare le specificità che il problema assume nel settore dell’edilizia si
proverà a ricapitolare brevemente e schematicamente la attuale situazione in
tema di criteri distintivi per valutare la genuinità dell’appalto.
Occorre innanzitutto ricordare che, ai sensi dell’art. 1655 del codice civile, deve
ritenersi genuino l’appalto nel quale una parte assume, il com pim ento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, con organizzazione dei m ezzi
necessari e con gestione a proprio rischio.
Dunque, i due elementi che devono sempre essere presenti (anche dopo l’intervento del legislatore del 276/2003, che non ha modificato l’art. 1655 c.c.) sono:
a) l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore;
b) la gestione a proprio rischio da parte dell’appaltatore.
*Funzionario della Direzione regionale del lavoro della Puglia
70
La legge richiede, quindi, che l’appaltatore debba disporre di una, seppur minima,
organizzazione imprenditoriale; dall’altro, essa specifica che la prestazione dedotta in contratto è una prestazione di risultato.
In altre parole l’appaltatore, affinché il contratto di appalto possa considerarsi
genuino, dovrà avvalendosi, in assoluta e piena autonomia, di una propria organizzazione imprenditoriale e di proprio personale dipendente, gestendo il tutto a proprio rischio e nell’ottica di realizzare un opera o un servizio compiuto.
E’ il caso, come anticipato, di quegli imprenditori a cui vengono affidati, da parte
di una impresa, uno o più servizi proprio perché tali realtà imprenditoriali o aziendali, sono specializzate o tecnicamente più attrezzate per l’esecuzione dei servizi
stessi1. Appalti che spesso attengono non solo alla realizzazione al di fuori del perimetro aziendale di pezzi del processo produttivo, ma anche alla cessione di parti
del processo all’interno dell’azienda.
I parametri individuati dal legislatore fin dal Codice civile sono volti proprio a distinguere le corrette operazioni imprenditoriali descritte dalla semplice cessione di
forza lavoro da un intermediario o interposto ad un imprenditore che realizza così
l’obiettivo di liberarsi delle proprie responsabilità e dei propri obblighi nei confronti della forza lavoro da lui impiegata.
E’ questo il caso della cd. mera interposizione di lavoro, che si realizza quando un
soggetto si interpone tra lavoratore e datore di lavoro appaltando al primo dietro
compenso la mera forza lavoro di uno o più soggetti, senza disporre di alcuna
organizzazione di mezzi e di strutture e, soprattutto, senza assumere alcuna
responsabilità in ordine al completamento dell’opera o del servizio.
E’ noto che questo fenomeno in Italia è stato contrastato per decenni grazie alla
legge n. 1369 del 1960, volta a combattere la piaga del caporalato particolarmente diffusa, soprattutto in alcuni settori (edilizia ed agricoltura, in particolare)
negli anni della sua approvazione. Più ampiamente la condivisibile motivazione della
norma – come di recente ricordato dalla Suprema Corte – era quella di “proteggere i lavoratori da forme di sfruttamento conseguenti alla dissociazione tra la titolarità formale del rapporto e la sua effettiva destinazione”2
Ai requisiti codicistici di genuinità dell’appalto si aggiungeva la presunzione di cui
all’art. 1, co 3 della legge 1369 del 1960 secondo cui era “considerato appalto
di m ere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed
attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto
un compenso all’appaltante.”
Il concretizzarsi di un appalto di mere prestazioni di lavoro determinava gli effetti
di cui al comma 5 dello stesso articolo 1 secondo cui “I prestatori di lavoro, occu-
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pati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli
effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro
prestazioni”.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale ciò si concretizzava in un
duplice effetto novativo: la violazione del divieto di intermediazione nell’assunzione
di lavoratori subordinati, posto dalla legge 1369 del 1960, comportava la conversione legale del rapporto in capo all’effettivo titolare, ovvero la novazione legale del
rapporto mediante la sostituzione soggettiva dell’interponente all’interposto, e
quella oggettiva del contenuto economico e normativo tipico dei contratti di lavoro dell’imprenditore reale, per cui il rapporto si considera costituito fin dall’inizio
con l’imprenditore appaltante e non con l’appaltatore, e deve ritenersi a tempo
indeterminato.
A distanza di molti anni dalla legge n. 1369 è nuovamente intervenuto il legislatore, abrogando la disciplina previgente e stabilendo all’art. 29 del DLgs
276/2003 che:
“Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di
appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si
distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per
la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa .
I requisiti richiesti dal legislatore delegato, al fine di distinguere l’appalto genuino
dalla somministrazione di lavoro (v. infra sul regime sanzionatorio in caso di pseudo appalto volto a mascherare una somministrazione di lavoro) paiono dunque gli
stessi indicati dal legislatore nell’art. 1655 c.c., vale a dire la organizzazione dei
m ezzi necessari da parte dell’appaltatore, e la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’im presa .
E, tuttavia, l’art. 29 del 276 contiene anche una specificazione apparentemente
limitata ma, in realtà, di grandissimo rilievo, tanto da aver fatto parlare in dottrina di “una nuova nozione di appalto”3. Essa, accogliendo le indicazioni provenienti
dalla giurisprudenza maggioritaria, comporta un radicale cambiamento in quella
operazione di individuazione della sottile linea distintiva tra appalto genuino e interposizione. Chiarisce difatti, il legislatore, che “la organizzazione dei m ezzi necessari da parte dell’appaltatore, può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto […]”.
Si realizza così una smaterializzazione della distinzione tra appalto genuino e non,
72
svincolando l’interpreta dalla ricerca dell’organizzazione di mezzi, alla quale può
sostituirsi il mero esercizio del potere direttivo, collegato all’assunzione del rischio
d’impresa da parte dell’appaltatore. Risulta, così, del tutto svalutato l’elemento
che nel sistema previgente fondava la presunzione d’illiceità dell’appalto, vale a dire
la proprietà dei mezzi di produzione (art. 1, co. 3, legge n. 1369/60).
Occorre però allo stesso tempo sottolineare che anche a fronte del nuovo testo
dell’art. 29 il contratto di appalto non può avere ad oggetto la m era fornitura
di m anodopera: il riferimento all’assunzione del rischio di impresa ed alla organizzazione datoriale indica che l’appalto di servizi deve necessariamente essere
caratterizzato dalla fornitura di un qualcosa in più, che non può essere solo la
mera direzione dei lavori e che determina la sussistenza di una soglia minima di
imprenditorialità dell’appaltatore. Come incisivamente sottolineato dalla dottrina
“la tipizzazione dell’oggetto del contratto di somministrazione di lavoro comporta
che l’appalto non può avere ad oggetto il servizio di fornitura di prestazioni di
lavoro, con ciò alterando (melius, capovolgendo) il meccanismo civilistico […] da
cui si evince che nessun servizio è precluso alla forma legale dell’appalto”4.
In senso contrario alla flessibilizzazione operata dall’art. 29 sembrerebbe andare
la dizione letterale dell’art. 84, co. 2, del D. Lgs. n. 276/2003, il quale con riferimento al contratto d’appalto parla di “rigorosa verifica della reale organizzazione dei m ezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore”.
A svalutare questo riferimento, tuttavia, valgono due considerazioni: da un lato, la
assoluta contrarietà di una diversa interpretazione con la ratio del legislatore del
276 che è, indubbiamente, quella di favorire la libertà datoriale di regolare la propria organizzazione produttiva facendo ricorso con la maggior flessibilità possibile
allo strumento dell’appalto e in generale delle esternalizzazioni; dall’altro, la circostanza per cui questa norma è collocata in una diversa parte del decreto relativa
più che alla regolazione del contratto in esame, alla certificazione dei contratti di
appalto.
Alla luce dell’art. 29, potrà, dunque, aversi un appalto genuino e legittimo, pur in
presenza di un appaltatore privo di una propria organizzazione imprenditoriale
materiale, ed il cui ruolo si estrinsechi esclusivamente nell’esercizio dei propri
poteri datoriali nei confronti dei propri lavoratori coinvolti nell’appalto, i quali opereranno esclusivamente con mezzi propri dell’appaltante.
Si amplia così la sfera di legittimità delle operazioni imprenditoriali di affidamento
all’esterno di parti della propria attività ovvero di attività complementari svolte nel
perimetro aziendale, riducendo i casi nei quali potrà materialmente individuarsi
una illegittima somministrazione di mere prestazioni di lavoro (e, quindi, per un
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verso, semplificando l’attività del personale ispettivo) ma, al tempo stesso rendendo più incerto il confine tra le due fattispecie (e, dunque, per questo verso, complicando la vita degli ispettori).
Occorre, tuttavia ribadire che, come affermato dalla giurisprudenza nelle più
recenti sentenze in tema di appalto e interposizione, “la più recente riforma del
mercato del lavoro, attuata dal d.lg. n. 276 del 2003, lungi dall’introdurre una
totale deregolamentazione del settore della somministrazione di manodopera ha
solo ampliato il previgente sistema derogatorio ad un’attività generalmente illecita, prevedendo che tale attività possa essere lecitamente svolta purché nel rispetto di plurime e specifiche condizioni.”5
A queste indicazioni del legislatore, brevemente riassunte, vanno poi aggiunti gli
esiti dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale pluridecennale in tema di individuazione della genuinità dell’appalto.
Particolare interesse, in questa materia, rivestono le indicazioni provenienti dalla
giurisprudenza che si è dovuta confrontare con l’esigenza di risolvere in concreto
le diverse fattispecie esaminate, individuando una serie di indici grazie ai quali è
possibile orientarsi nella valutazione della casistica da affrontare.
Facendo ricorso alla schematizzazione recentemente operata da un autorevole
commentatore6 essi possono sintetizzarsi come segue:
1) mancanza in capo all’appaltatore della qualifica di imprenditore, o meglio di
un’organizzazione (tecnica ed econom ica) di tipo im prenditoriale;
(2) mancanza dell’effettivo esercizio del potere direttivo da parte dell’appaltatore;
3) impiego di capitali, m acchine e attrezzature fornite dall’appaltante;
4) la natura delle prestazioni svolte esula da quelle dell’appalto, afferendo a
mansioni tipiche dei dipendenti del committente;
5) corrispettivo pattuito in base alle ore effettive di lavoro e non riguardo
all’opera compiuta o al servizio eseguito, ovvero corresponsione della retribuzione direttamente da parte del committente.
Esaminiamoli uno ad uno:
1) M ancanza in capo all’appaltatore della qualifica di im prenditore, o
m eglio di un’organizzazione (tecnica ed econom ica) di tipo im prenditoriale
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Si tratta, con tutta evidenza del più rilevante degli indici utilizzabili atteso che esso
racchiude in sé i riferimenti ad entrambi i requisiti di cui all’art. 1655 c.c., vale a
dire l’ organizzazione dei mezzi necessari, e la assunzione, da parte dell’ appaltatore, del rischio d’impresa. E’ evidente, difatti, che in assenza di un’organizzazione (tecnica ed economica) di tipo imprenditoriale ben difficilmente potranno aversi tali requisiti.
A tal proposito, occorre sottolineare che la giurisprudenza in passato ha, affermato che si ha ugualmente interposizione di manodopera anche nel caso in cui
l’appaltatore sia fornito di una propria effettiva e autonoma organizzazione imprenditoriale, quando egli, di fatto, si limiti a prestare soltanto la manodopera, senza
assumere su di sé alcun rischio economico nell’esecuzione dei lavori appaltati.
Naturalmente, alla luce della previsione dell’art. 29 del d.lgs. n. 276, l’interprete
dovrà anche verificare che l’appaltante abbia fatto ricorso ai poteri datoriali che,
al contrario, avrebbero dovuto essere esercitati esclusivamente dall’appaltatore.
La fittizietà dell’impresa rappresenta, dunque, un criterio indiziario, potenzialmente rivelatore di una interposizione illecita, anche secondo i parametri di valutazione dell’art. 29 del D. Lgs. n. 276/20037. Un caso esemplare, in questo senso,
è quello in cui il presunto committente, imprenditore genuino, ma anche interponente effettivo, quanto meno per una parte della sua attività aziendale, determina
personalmente o per il tramite di propri fiduciari le caratteristiche del prodotto,
nonché la scelta e le modalità dei tempi di lavoro, dirigendo sostanzialmente il personale dipendente formalmente dall’appaltatore fittizio.
Con riferimento alla mancata disponibilità di attrezzatura specifica per lo svolgimento del lavoro appaltato, in capo a un imprenditore titolare di impresa artigiana, la giurisprudenza ha chiarito che non è determinante ai fini della ricorrenza
dell’interposizione di manodopera, se il tipo di prestazione esige soltanto l’impiego
di semplice attività lavorativa, essendo necessario verificare da chi e come, concretamente, l’energia lavorativa viene organizzata: così tipicamente in caso di
appalto di servizi, che richiedono quasi esclusivamente l’uso di energie fisiche.
Del resto l’ipotetica prevalenza del lavoro rispetto al capitale, ovvero l’inconsistenza o anche l’irrisorietà dell’apparato strumentale o in genere delle risorse a disposizione, rilevano ormai, come si vedrà, soltanto quali meri indizi della mancanza
effettiva di una autonomia gestionale.
Ulteriori indici di assenza dell’autonomia organizzativa possono essere : a) la mancanza di una significativa esperienza nel settore interessato dall’appalto; b) il fatto
che l’appaltatore non svolge l’attività lavorativa che il presunto dipendente dovrebbe eseguire presso il committente; c) la mancanza di personale tecnicamente pre-
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parato per lo svolgimento dell’attività lavorativa appaltata.
Quanto all’esercizio dei poteri datoriali, evidenziato dal legislatore del 276 ed individuato come vero e proprio spartiacque rispetto alla genuinità dell’appalto, va
detto che esso dovrà comunque essere verificato in concreto tenendo presente
che esso è strettamente correlato alla natura e alla tipologia dell’appalto, giacché
il legislatore condiziona tale profilo alla valutazione delle concrete “esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto”.
Vale a dire che, inevitabilmente, l’intensità del potere direttivo ed organizzativo dell’appaltatore varieranno di caso in caso, e che, dunque, un’attenuazione dello stesso non potrà essere sufficiente, in alcuni casi, a far ritenere illegittimo l’appalto
stipulato (ma v., più approfonditamente, il punto 2). L’appalto di opera o di servizi, dunque, sarà “genuino”, purché vi sia assunzione del rischio d’impresa, anche
quando l’imprenditore appaltatore non disponga di specifici mezzi, ovvero si avvalga dei mezzi dell’appaltante, purché il servizio o l’opera oggetto dell’appalto siano
tali da caratterizzarsi per una prevalente o esclusiva necessità di lavoro intellettuale o comunque personale dei lavoratori impiegati nell’appalto (si pensi al settore informatico e quindi ai servizi di gestione siti web o intranet, di tenuta di archivi o data base, ovvero alla realizzazione di software applicativi o di sistemi operativi), o comunque si tratti di servizi che hanno per oggetto dei servizi a basso tasso
di “materialità”, che si contraddistinguono per il loro evolversi nel mero coordinamento organizzativo dello specifico know-how del personale impiegato nell’appalto
ovvero anche delle tecnologie avanzate d’impresa, mediante il coordinamento funzionale dei dipendenti addetti all’esecuzione del servizio.
Come notato da alcuni commentatori spiccano, in questo ambito, i servizi informatici e tecnologici complessivamente intesi, ma anche, più semplicemente, i servizi di pulizia, nelle loro poliedriche e molteplici manifestazioni, laddove il riferimento esplicito del legislatore all’organizzazione dei mezzi “necessari” e quindi il richiamo al concetto dato dal binomio “necessità-sufficienza” sembrano chiaro indizio di
recepimento, finanche letterale, delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza
più avveduta e maggiormente aperta alle esternalizzazioni dell’era post-industriale 8.
2) Esercizio del potere direttivo del com m ittente
Come anticipato, l’indice che più da vicino richiama l’innovazione introdotta dall’art.
29 del D. Lgs. n. 276/2003, è, senza dubbio, la titolarità in capo all’ appaltante
(rectius interponente) dei poteri datoriali che dovrebbero al contrario essere incardinati nell’appaltatore.
In queste ipotesi l’attività lavorativa svolta per conto del committente è esclusivamente oggetto dell’organizzazione imprenditoriale dello stesso e risulta intimamente connessa con le sue finalità aziendali, non essendo in alcun modo riconducibi-
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le ad una specifica caratterizzazione autonoma del presunto appaltatore, in termini gestionali, logistici e organizzativi.
In altre parole il lavoratore “appaltato” opera alle dipendenze e sotto la direzione
non già del suo formale datore di lavoro (l’appaltatore) ma dell’appaltante, il quale
esercita il proprio potere direttivo, senza che l’interposto abbia alcun ruolo nella
concreta conformazione della prestazione.
Si tratta di un indice che consente all’interprete di mantenere l’orientamento
rispetto a quegli appalti che richiedono uno scarso apporto di mezzi produttivi, nei
quali è proprio l’elemento della preposizione all’organizzazione del lavoro (direzione
del personale, scelta delle modalità e dei tempi di lavoro) a tracciare la linea di
demarcazione fra appalto genuino e interposizione vietata9.
E’ possibile ricorrere ancora una volta all’elencazione proposta da altro Autore10,
che ha brevemente riassunto i principali parametri utilizzati dalla giurisprudenza di
merito e di legittimità per verificare la sussistenza di tale parametro:
● i presunti dipendenti dell’appaltatore seguono il medesimo orario di lavoro di
quelli del committente, senza alcuna differenziazione;
● i dipendenti dell’appaltatore giustificano le proprie assenze al committente anziché all’appaltatore;
● l’appaltante provvede direttamente al pagamento delle retribuzioni;
● i presunti dipendenti dell’interposto lavorano sotto il controllo diretto dei dipendenti regolari del committente o di preposti da questi incaricati, senza alcun preventivo confronto e accordo con l’appaltatore;
● l’appaltante decide gli aumenti retributivi e la concessione di ferie e permessi;
● il committente decide volta per volta il numero di lavoratori da utilizzare;
● il committente esercita con piena autorità il potere direttivo, gerarchico e disciplinare, decidendo anche dei licenziamenti dei dipendenti del presunto appaltatore;
● l’appaltante cura la contabilità dell’appaltatore e provvede agli adempimenti fiscali di questo;
● il committente intrattiene e gestisce le relazioni sindacali con i presunti dipendenti dell’appaltatore;
● l’organico dell’impresa committente viene ridimensionato con riguardo alla possibilità di utilizzare in modo stabile i lavoratori messi a disposizione dal presunto
appaltatore.
Ad ulteriore specificazione va aggiunto che secondo una parte della giurisprudenza,
non è sufficiente una costante, sia pure assidua, direzione tecnica dei lavori da
parte di quest’ultimo o di apposito personale da lui incaricato, per considerare sussistente un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato fra lavoratori forniti dal
falso appaltatore e committente, poiché la direzione tecnica non ha nulla a che vedere con l’esercizio del potere direttivo datoriale, vale a dire con la subordinazione del
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lavoratore agli ordini gerarchici e ai provvedimenti disciplinari del datore di lavoro.
L’esercizio del potere direttivo non va neppure confuso con l’esercizio dell’indispensabile coordinamento funzionale fra imprese appaltatrici, che non ha a che fare
con la titolarità dei poteri datoriali sui dipendenti, ma attiene alla indispensabile
armonizzazione fra le diverse attività in campo, specie quando l’opera o il servizio
appaltato richiede una complessa struttura imprenditoriale.
Parimenti, secondo la giurisprudenza dovrebbe escludersi l’interposizione illecita
se le istruzioni del committente si rivolgono all’appaltatore, il quale provvede poi
personalmente a girarle con apposite istruzioni ai propri dipendenti impegnati nell’appalto.
3) Im piego di capitali, m acchine e attrezzature del com m ittente
Si è già evidenziato che l’art. 1, co. 3 della legge n.1369/1960 con sui si stabiliva che “è considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere e servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante quand’anche per il
loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante” è stato abrogato dal
d.lgs. n. 276 del 2003.
Viene così meno un pilastro del previgente sistema di contrasto allo pseudo appalto, mediante il quale si riuscivano spesso a vincere, in via presuntiva, le difficoltà
di provare la sussistenza di una realtà interpositoria celata dietro un contratto di
appalto. D’altronde, tale presunzione era fondata su una evidenza empirica difficilmente contestabile, soprattutto a fronte del sistema socio economico di quegli
anni: a che serve un appalto da parte di un’impresa che possiede tutti i mezzi di
produzione se non a procurarsi manodopera?
Va detto, tuttavia, che negli anni più recenti tale presunzione apparentemente
assoluta era stata resa assai più flessibile dalle interpretazioni giurisprudenziali
che ne avevano progressivamente allargato le maglie.
Venuta meno la presunzione legale, tuttavia, rimane la fondatezza del ragionamento operato in precedenza, e, dunque, l’impiego esclusivo o prevalente di capitali,
macchine e attrezzature del committente può rappresentare un interessante indice di una possibile fraudolenza dell’operazione datoriale esaminata dall’ispettore.
La giurisprudenza, tuttavia, è intervenuta, anche su questo punto, chiarendo che
esiste uno spazio, non piccolo, per appalti genuini che si svolgano con utilizzo
anche esclusivo di attrezzature e beni del committente e che questo, di per sé,
non significa che si sia in presenza di un appalto non genuino.
Ad esempio, si è sostenuto che non è sufficiente a determinare l’interposizione
illecita di manodopera un conferimento finanziario e strumentale m inim o, richie-
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dendosi invece che la rilevanza di tale apporto da parte del committente risulti
tale da rendere assolutamente marginale o insignificante il contributo organizzativo dell’appaltatore.
Tale orientamento va incontro alle esigenze di settori come il cd. “terziario avanzato”, dove in genere il servizio o l’opera dati in appalto si svolgono con l’utilizzo
specifico e necessitato di beni e strutture, peraltro di alto valore economico, del
committente.
Nello stesso senso si è affermato, ancora di recente11, che perché sia configurabile una somministrazione illecita, l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di mezzi
dell’appaltante deve essere significativa e non marginale nell’ambito dell’insieme
dei mezzi utilizzati, e soprattutto riferirsi al rapporto di appalto una volta che l’esecuzione di quest’ultimo sia a regime e non limitata ad un momento iniziale di assestamento.
Nei casi in esame, nei quali a poco rileva la proprietà dei beni strumentali alla
realizzazione dell’appalto, assume specifico rilievo giuridico il tipo di gestione e di
organizzazione posto in essere dall’appaltatore, che deve vantare una struttura
imprenditoriale autonoma, con personale specializzato e con un determinato
know-how, sviluppato propriamente svolgendo, nel tempo, la propria attività aziendale12.
La giurisprudenza ha inoltre chiarito che non può esservi interposizione illecita
neppure quando le materie prime vengano fornite dal committente a garanzia
della qualità e delle caratteristiche del lavoro oppure perché devono essere trasformate dall’appaltatore.
Neppure può considerarsi come somministrazione illecita di manodopera la fattispecie che vede l’appaltatore svolgere il servizio commissionatogli (elaborazione
dati, creazione data base) operando su attrezzature e macchinari (hardware) del
committente impiegando personale e beni immateriali (software e know how informatico).
In questi casi la congruità, la non marginalità e la significanza dell’apporto organizzativo “dei mezzi necessari” da parte dell’appaltatore andranno valutate caso
per caso, in concreto, esaminando l’oggetto e il contenuto sostanziale e intrinseco del contratto di appalto stipulato fra i soggetti interessati, a nulla valendo eventuali dichiarazioni contrattuali d’intenti, volte ad affermare la disponibilità di capitali, attrezzature e macchinari che poi concretamente non vengono utilizzati, ricorrendo a quelli messi a disposizione dal committente, in assenza di caratterizzazioni dell’opera o del servizio (appalto “smaterializzato o immateriale”) che giustifichino un contributo organizzativo di più basso profilo al limite ricondotto al solo esercizio del potere direttivo nei confronti dei lavoratori impegnati nell’appalto.
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4) Natura delle prestazioni lavorative
Le osservazioni svolte nei punti precedenti trovano concreta conferma nelle caratteristiche che la prestazione lavorativa deve avere, secondo la giurisprudenza,
affinché si possa affermare la genuinità dell’appalto; caratteristiche che possono
essere riassunte nello schema elaborato da un altro Autore13:
l’attività svolta rientra concretamente fra quelle tipiche dell’appaltatore;
l’opera ha carattere contingente e si esaurisce in un tempo determinato;
manca un inserimento stabile dei lavoratori impegnati nell’appalto nel contesto
organizzativo del committente;
le prestazioni svolte dai lavoratori dell’appaltatore non appartengono alle mansioni tipiche dei dipendenti dell’appaltante;
l’attività lavorativa dei lavoratori utilizzati non rientra esclusivamente nelle finalità
sociali e aziendali del committente.
5) Tipologia e natura del com penso
Ultimo indice, e probabilmente quello meno rilevante, è rappresentato dalla tipologia del compenso e dalle modalità della sua corresponsione.
Esso trae origine da una corretta indicazione della giurisprudenza secondo cui l’appalto deve sfociare in una interposizione allorquando il contributo imprenditoriale
dell’appaltatore risulta marginale o comunque insignificante, come nel caso in cui
si riduca ad un apporto di capitale nei limiti di quanto necessario a pagare le retribuzioni dei lavoratori utilizzati, ovvero a coprire le singole voci che compongo il
costo del lavoro, in assenza dell’esercizio del potere direttivo e organizzativo nei
confronti dei dipendenti impiegati nell’appalto.
In queste ipotesi, difatti, il rischio assunto dall’appaltatore coincide esclusivamente con il pagamento delle retribuzioni in vece dell’appaltante, senza che egli fornisca alcun apporto reale alla realizzazione dell’opera o servizio; il compenso pattuito e versato dal committente servirà dunque a coprire i costi legati ad una mera
fornitura di lavoro ed il margine rappresenterà il guadagno di un’operazione illecita.
Una spia interessante di un potenziale intento fraudolento è rinvenibile nell’ipotesi
in cui il compenso da corrispondere allo pseudo-appaltatore anziché essere stabilito preventivamente in misura fissa e predeterminata, sulla base del raggiungimento del risultato (opera o servizio), viene proporzionato ai costi sostenuti dal presunto (fittizio) appaltatore; ovvero l’ipotesi in cui il committente determini il compenso
da versare all’appaltatore sulla base della retribuzione oraria dei lavoratori coinvolti.
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Rientra ancora nel campo illecito della interposizione di manodopera, salvo specifiche caratteristiche dell’opera o del servizio appaltati, la situazione nella quale il
presunto committente determina il compenso in base al numero di ore effettivamente lavorate oppure al numero di giornate lavorative.
A questo proposito è opportuno ricordare che il fatto interpositorio rileva anche a
prescindere dalla concreta pattuizione di un compenso tra committente e pseudo-appaltatore: la somministrazione illecita di manodopera è punita anche nelle
ipotesi di “interposizione gratuita”, essendo gli artt. 18 e 28 del D. Lgs. n.
276/2003 destinati a sanzionare e prevenire l’appalto di mere prestazioni di lavoro14.
Le linee guida del Ministero
Come noto l’art. 84 del d.lgs. n. 276 del 2003 ha previsto che “le procedure di
certificazione di cui al capo primo possono essere utilizzate, sia in sede di stipulazione di appalto di cui all’articolo 1655 del codice civile sia nelle fasi di attuazione
del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto ai sensi delle disposizioni di cui al Titolo III del presente decreto legislativo.
Entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro
e delle politiche sociali adotta con proprio decreto codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino, che tengano
conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore. Tali codici e indici presuntivi recepiscono, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali o di categoria stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
In sede di definizione delle modalità di costituzione e funzionamento delle
Commissioni di certificazione con la Circolare n. 48 del 15 dicembre 2004, il
Ministero del Lavoro, ha inserito un allegato 5 (“Linee guida alla certificazione”) nel
quale sono stati esplicitamente richiamati alcuni “elementi utili” che ribadiscono la
coessenziale natura definitoria dell’art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276/200315.
La Circolare ministeriale, invita i certificatori ad esaminare puntualmente i principali “elementi del contratto” espressamente elencati, e cioè: “attività appaltata,
durata presumibile del contratto, dettagli in ordine all’apporto dell’appaltatore ed
in particolare precisazioni circa l’organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell’opera o del servizio dedotto in contratto”.
In secondo luogo, sempre nella Circolare n. 48/2004, si chiede alle Commissioni
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di certificazione di valutare la tipologia e la qualità dell’effettivo “apporto dell’appaltatore”, distinguendo a seconda dei casi prevalenti:
(a) se trattasi di “contratti d’appalto concernenti lavori specialistici”, laddove l’aggettivo viene utilizzato al fine di individuare la speciale rilevanza delle competences
dei lavoratori impiegati a fronte della irrilevanza dell’utilizzo “di attrezzatura o di
beni strumentali”, si chiede alla certificazione di acquisire “notizie” e informazioni
utili con riguardo al know how aziendale posseduto dall’appaltatore ma anche con
riferimento alle professionalità vantate dal personale impiegato nell’appalto che
devono risultare “elevate”, ma anche di evidenziare le specifiche indicazioni concernenti le modalità di esercizio “del potere organizzativo e direttivo” proprio con
riguardo ai lavoratori impegnati nell’appalto cd. labour intensive;
(b) se, invece, si tratta di un appalto con caratteristiche sostanziali (e formali) di
“monocommittenza”, vale a dire attività rese dall’appaltatore per il solo committente che congiuntamente a quello invoca la certificazione, la Circolare n.
48/2004 spinge il certifier a valutare attentamente il contratto predisposto, “al
fine di verificare se in capo all’appaltatore incomba l’organizzazione dei mezzi
necessari e se è rintracciabile il rischio d’impresa”.
Il “rischio d’impresa” rappresenta il terzo dei criteri segnalati dalle linee guida ministeriali, col suggerimento operativo riguardo ad una serie di indici che ne possono rivelare la sussistenza:
- l’appaltatore ha già in essere un’attività imprenditoriale che viene esercitata abitualmente;
- l’appaltatore svolge una propria attività produttiva in maniera evidente e comprovata;
- l’appaltatore opera per conto di differenti imprese da più tempo o nel medesimo
arco temporale considerato.
Infine, la Circolare n. 48/2004 invita le commissioni a considerare con attenzione l’obbligazione solidale che incombe sul committente del contratto di appalto da
certificare: “deve essere richiamato l’obbligo solidale che vincola le parti contraenti in relazione ai trattamenti retributivi e contributivi dovuti alle maestranze
impiegate nell’appalto”.
In particolare: il settore Edile
La distinzione tra appalto e mera fornitura di lavoro, già difficoltosa alla luce di
quanto detto finora, risulta poi assai problematica in un settore, quale quello dell’edilizia, in cui, ormai, la specializzazione delle aziende è sempre più accentuata.
Sempre più numerose, ed in numero prevalente rispetto alle altre, sono le imprese specializzate in singoli spezzoni dell’ attività edilizia. Pensiamo, ad esempio, a
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lavori come il montaggio di ponteggi che vengono ormai quasi sempre subappaltati ad aziende specializzate che affittano le attrezzature necessarie.
Questa esasperata specializzazione ha come risultato la costruzione di una filiera nella quale il subappalto diventa la regola, obbligando gli operatori ad una continua operazione interpretativa volta a distinguere il subappalto lecito dalla mera
fornitura.
E, tuttavia, in edilizia ci si trova sempre più spesso a confrontarsi con appalti che
hanno ad oggetto prestazioni labour intensive, ad alto contenuto di lavoro, ma, al
tempo stesso, povere di specifiche professionalità. Non si tratta, difatti, di lavoratori esperti nella conduzione di una gru o di altri complessi macchinari, ma di lavoratori, spesso alle prime armi, che si occupano di operazioni semplici e ripetitive,
rispetto alle quali risulta particolarmente difficile apprezzare il valore aggiunto
offerto dall’appaltatore che giustifica l’operazione imprenditoriale posta in essere
tra i due soggetti imprenditoriali.
Anche in edilizia, in ogni caso, potranno e dovranno trovare applicazione i criteri
e gli indici analizzati in precedenza. In particolare la sussistenza di un’autonoma
organizzazione aziendale, l’assunzione del rischio, l’esercizio in proprio da parte
dell’appaltatore dei poteri datoriali, l’utilizzo sia pur parziale di attrezzature e macchinari di proprietà dell’appaltatore rappresenteranno sicuri indici di genuinità dell’appalto.
Restano, tuttavia, attività tipiche dei cantieri edili nelle quali la linea distintiva è particolarmente difficile da individuare.
Come anticipato, minori problemi sono offerti da quelle realtà nelle quali alcune
parti dell’attività sono ormai generalmente esternalizzate e affidate in subappalto
ad imprese specializzate. Nella prassi alcune di queste aziende si limitano, peraltro, a fornire personale specializzato, ad esempio, nel montaggio e smontaggio di
particolari attrezzature, utilizzando comunque attrezzature del subappaltante. In
tali ipotesi si tende a considerare questo tipo di attività come un appalto genuino,
e, dunque, lecito, atteso che proprio l’elevato livello di specializzazione produttiva
del subappaltatore, accompagnata da un autonoma organizzazione aziendale giustifica l’operazione imprenditoriale, offrendo al subappaltante un servizio più efficiente ed economicamente vantaggioso di quello che egli stesso potrebbe garantire.
Altre ipotesi sono più problematiche: si tratta, in particolare delle attività che vengono ricondotte sotto la voce “fornitura e posa in opera”.
Si tratta, difatti, di una definizione talmente generica da non consentire di delimi-
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tare chiaramente ciò che vi può rientrare o meno. Tale attività può riguardare
astrattamente tanto la fornitura e la posa in opera di parti ben definite, ed estranee al core business dell’azienda subappaltante (si pensi, ad esempio, all’azienda
che fornisce e pone in opera le finestre nell’ambito di un subappalto stipulato con
un’azienda esperta in lavori di muratura e costruzione), quanto, in astratto, la fornitura di una parte qualsiasi dell’attività (si pensi all’azienda che affermi di fornire
in subappalto la lavorazione del cemento o la realizzazione di opere in muratura
realizzata esclusivamente con proprio personale).
Essa sconta, inoltre, la tradizionale incertezza circa i criteri di distinzione tra fornitura e appalto di lavori ereditata dalla disciplina degli appalti pubblici. Peraltro,
negli appalti pubblici la questione è stata parzialmente risolta attraverso il riferimento ad una soglia di valore; afferma il Codice degli appalti pubblici che “l’oggetto principale del contratto è costituito dai lavori, e conseguentemente un contratto pubblico è considerato appalto pubblico di lavori o concessione di lavori pubblici se l’importo dei lavori assume rilievo superiore al 50%, salvo che, secondo le
caratteristiche dell’appalto, i lavori abbiano carattere meramente accessorio
rispetto ai servizi o alle forniture, che costituiscano l’oggetto principale del contratto”.
Il problema della correttezza degli appalti di forniture rimane, tuttavia, intatto nel
privato.
In ogni caso se il punto di partenza dell’analisi non si riduce alla semplice accettazione delle concrete scelte delle imprese coinvolte come la migliore delle soluzioni possibili, si dovrà allora ribadire che i criteri fissati dalla legge non rappresentano inutili e rigidi formalismi, ma importanti paletti che delimitano lo spazio di
legittimità dell’azione imprenditoriale.
Di conseguenza, si dovrà affermare che la dizione “fornitura e posa in opera” non
può assolutamente riguardare una qualsiasi fase di lavorazione all’interno del cantiere, e che in ogni caso essa non potrà essere realizzata semplicemente mediante la fornitura di prestazioni di lavoro.
1
Così P. RAUSEI, in Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per
una corretta certificazione dei contratti, Working Paper Adapt, n. 18/2006, secondo il quale “In questo ambito si muove il contratto di appalto di servizi, nei cui confronti l’impresa italiana volge ormai da
qualche decennio un’attenzione precipua, dando a questa tipologia contrattuale uno spazio sempre più
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numeroso e crescente: sia nell’industria vera e propria (basti pensare all’affidamento in appalto dei
servizi di installazione, di montaggio-smontaggio, di manutenzione di impianti e/o attrezzature), sia nel
terziario (e qui si ponga pensiero ai servizi legati ai sistemi informatici, alle reti, alla pubblicità, all’informazione, al marketing, al customer service).”
2 Cassazione civile, sez. lav., 18 maggio 2006, n. 11678.
3 P. CHIECO, Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco)e appalti labour intensive, in P. CURZIO, Lavoro e diritti a tre anni dalla legge 30/2003, Cacucci,
Bari, 2006, 186.
4 P. CHIECO, Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco)e appalti labour intensive, in P. CURZIO, Lavoro e diritti a tre anni dalla legge 30/2003, Cacucci,
Bari, 2006, 188.
5 Così, tra le altre, Tribunale Bari, sez. II, 16 febbraio 2006, n. 201.
6 P. RAUSEI, in Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per una
corretta certificazione dei contratti, Working Paper Adapt, n. 18/2006.
7 P. RAUSEI, Certificazione dei contratti, indagine ispettiva e sistema sanzionatorio, in Dir. Prat. Lav.,
2006, 42, 2369 ss.
8 Così, in particolare, P. RAUSEI, in Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per una corretta certificazione dei contratti, Working Paper Adapt, n. 18/2006.
9 Così Corte appello Firenze, 24 settembre 2003.
10 P. RAUSEI, Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per una
corretta certificazione dei contratti, Working Paper Adapt, n. 18/2006.
11 Cassazione civile, sez. lav., 24 febbraio 2006, n. 4181.
12 P. RAUSEI, Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per una
corretta certificazione dei contratti, Working Paper Adapt, n. 18/2006.
13 P. RAUSEI, Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per una
corretta certificazione dei contratti, Working Paper Adapt, n. 18/2006.
14 Così testualmente, P. RAUSEI, Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per una corretta certificazione dei contratti, Working Paper Adapt, n. 18/2006.
15 Cfr. ampiamente, P. RAUSEI, Certificazione dei contratti, indagine ispettiva e sistema sanzionatorio,
in Dir. Prat. Lav., 2006, 42, 2369.
85
Il sistema sanzionatorio delle esternalizzazioni
Pierluigi RauseI*
Il Titolo III del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (cd. “Riforma Biagi”) disciplina
tutto il fenomeno delle esternalizzazioni ovvero, come si usa dire con terminologia
anglosassone, dell’outsourcing1: la somministrazione di lavoro, evoluzione del lavoro temporaneo o interinale introdotto dalla legge 24 giugno 1997, n. 196 (cd.
“Pacchetto Treu”)2, l’appalto di opere e di servizi, in special modo quello cd. labour
intensive, e il distacco di manodopera.
Qui si illustrano le fattispecie sanzionatorie (penali e amministrative)3 che governano le forme patologiche degli istituti negoziali menzionati, trattando distintamente dapprima la somministrazione di lavoro (Sezione I) e in seguito l’appalto e il
distacco (Sezione II).
Si tenga presente, peraltro, in premessa, che, secondo quanto annunciato dal
Ministro del Lavoro lo scorso 30 ottobre, all’esito dell’esame del cd. “pacchetto
sicurezza”, varato dal Consiglio dei Ministri, è stato proposto un emendamento
governativo al disegno di legge per la Finanziaria 2008 recante “Disposizioni penali contro il grave sfruttamento dell’attività lavorativa e interventi per contrastare lo
sfruttamento di lavoratori irregolarmente presenti sul territorio nazionale”, specificamente finalizzato a contrastare il fenomeno del “caporalato” e ad inasprire l’apparato sanzionatorio in materia di esternalizzazioni.
In particolare, se il testo proposto dal Governo verrà accolto nel dettato legislativo dal parlamento, è previsto l’innalzamento delle pene detentive e pecuniarie stabilite dall’art. 18, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 276/2003 per le ipotesi di somministrazione e di intermediazione abusiva:
- con riferimento al reato di somministrazione abusiva e di utilizzazione illecita si
passa da 50 a 100 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro, con elevazione della pena dell’arresto fino a 30 mesi in caso di sfruttamento
di minori;
- con riguardo alla intermediazione abusiva, che diviene delitto da contravvenzione
qual è attualmente, le originarie pene dell’arresto fino a sei mesi e dell’ammenda
da 1.500 a 7.500 euro passano alla pena della reclusione da sei mesi a due anni
e della multa da 3.000 a 15.000 euro, con una pena della reclusione da uno a
tre anni in caso di sfruttamento di minori.
Inoltre, è prevista l’introduzione nel codice penale di una nuova ipotesi di reato relati-
*Centro Studi Attività Ispettiva del Ministero del lavoro e della previdenza sociale
Docente di Diritto sanzionatorio del lavoro nell’Università di Modena e Reggio Emilia.
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va al grave sfruttamento del lavoro con lesione dei diritti fondamentali del lavoratore.
Il nuovo reato, secondo quanto abbozzato nella proposta normativa, risulterebbe
contrassegnato dalla “induzione” datoriale del lavoratore ad accettare supinamente un rapporto di lavoro contraddistinto dal grave sfruttamento, con conseguente
approfittamento, da parte del datore di lavoro, della situazione di inferiorità o dello
stato di necessità in cui versa il lavoratore indotto; in ragione della comprovata
sussistenza di una grave e sistematica violazione delle più elementari norme poste
a tutela della dignità e della personalità del lavoratore, con riguardo alla retribuzione, al rispetto dei tempi di lavoro e di riposto, nonché alla tutela della sicurezza e dell’igiene nei luoghi di lavoro, ovvero anche all’assoggettamento del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di controllo e di sorveglianza o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti e umilianti.
La fattispecie di delitto di nuovo conio prevedrebbe, secondo la proposta governativa, la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da 1.000 a
2.000 euro per ciascun lavoratore, con aumento della pena fino alla reclusione
da due a sei anni e alla multa da 1.500 a 3.000 euro in presenza di circostanze
aggravanti; alla pena detentiva e pecuniaria si accompagnano le pene accessorie
della interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese e del
divieto di contrattare con la pubblica amministrazione.
Sezione I
Somministrazione di lavoro
1. Il reato di somministrazione illecita
(art. 18, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003)
Il D.Lgs. 6 ottobre 2004, n. 251 ha contribuito in maniera chiara a delineare i
contorni normativi delle ipotesi di reato che vengono integrate dall’esercizio abusivo della somministrazione di lavoro, in qualsiasi forma e tipologia negoziale, e dall’utilizzazione illecita dei lavoratori abusivamente somministrati4.
All’evidenza, pertanto, dovrà ora necessariamente discutersi di due distinte figure
di reato, entrambe di tipo contravvenzionale:
a) il reato di somministrazione abusiva, quello commesso dal somministratore che
senza autorizzazione esercita le attività di somministrazione di lavoro a termine o
a tempo indeterminato (art. 18, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. n.
276/2003);
b) il reato di utilizzazione illecita, quello commesso dall’utilizzatore che ricorre alla
somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetto non autorizzato e li
occupa nella propria attività lavorativa (art. 18, comma 2, del D.Lgs. n.
276/2003).
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D’altra parte la differenziazione fra le due ipotesi di contravvenzione, ora evidenziate e appresso esaminate, appariva ancor più netta nello schema di decreto legislativo approvato il 3 giugno 2004 dal Consiglio dei Ministri.
Ben è vero, tuttavia, che la novella primariamente proposta si caratterizzava in
negativo proprio per la intollerabile e ingiustificata disarticolazione normativa fra le
due fattispecie5, che non solo lasciava in vita la pena dell’ammenda pari a 5 euro
per l’utilizzazione illecita, elevando a 50 euro la pena pecuniaria per il solo somministratore abusivo, ma si spingeva addirittura a negare per il somministratore l’aggravante dello sfruttamento dei minori, che il testo iniziale del decreto correttivo
vedeva concretarsi in capo al solo utilizzatore.
Secondo l’originario art. 3, comma 1, dello schema di decreto correttivo, infatti,
rimaneva estraneo alla fattispecie aggravata, paradossalmente, proprio il somministratore al quale è comunque addebitabile la scelta del minore avviato abusivamente al lavoro in somministrazione illecita.
D’altro canto, rispetto al primo testo proposto, che come detto differenziava le
due ipotesi contravvenzionali considerate in termini di quantum e di circostanza
aggravante, il testo definitivo dell’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 251/2004, ha
scelto assai opportunamente di abbandonare la prima idea di differenziare la pena
fra la condotta del somministratore abusivo e quella dell’utilizzatore, valutando in
senso oggettivo i vantaggi che dai comportamenti illeciti e abusivi ricadono in capo
ad entrambi i soggetti, sebbene, a più approfondito ragionamento, appaia ben
chiaro come in termini di offensività la condotta dell’utilizzatore, che ha per oggetto l’avvalersi di lavoratori dipendenti, illecitamente e abusivamente somministrati,
senza assumerli direttamente, giustifica l’esistenza di quella del somministratore:
nessuno somministrerebbe abusivamente manodopera se non vi fosse qualcuno
interessato ad utilizzarla.
Raccogliendo i suggerimenti della dottrina, allora, il Legislatore del decreto correttivo ha inteso confermare la nuova pena pecuniaria dell’ammenda di 50 euro al
giorno per ciascun lavoratore in capo ad entrambi i soggetti i quali, peraltro,
rimangono attori di una fattispecie illecita di tipo unitario e complesso che si configura nella “somministrazione abusiva” in un primo momento, all’atto dell’individuazione e dell’invio dei lavoratori da somministrare illecitamente, e nella “utilizzazione illecita” in una fase successiva, allorquando i lavoratori abusivamente somministrati vengono concretamente occupati e adibiti ad attività lavorative alle dipendenze (di fatto) dell’utilizzatore.
Per quanto ora segnalato, quindi, e per come sono strutturati, i due reati in argomento non possono non configurarsi simultaneamente, divenendo per tale via
riconducibili alle forme unitarie del “reato composto” ovvero di una fattispecie di
reato plurisoggettivo eventuale proprio6.
D’altronde, il mantenimento di una identica reazione sanzionatoria dieci volte più
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pesante di quella originaria, per entrambe le condotte illecite rappresenta anche
una soluzione seria e rigorosa a fronte degli effetti della introduzione generalizzata della prescrizione obbligatoria, ad opera dell’art. 15 del decreto legislativo 23
aprile 2004, n. 1247, che ammette il contravventore al pagamento di un quarto
dell’ammenda: si ha quanto meno l’apparenza di una riduzione di pena meno odiosa, in termini di tutela soggettiva della persona offesa e di efficacia della pena,
preventiva ma anche mediante repressione.
Nel ridefinire il contesto normativo risultante dalla abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, il Legislatore della riforma, anche con l’intervento correttivo
in commento (art. 4 D.Lgs. n. 251/2004), ha voluto precisamente introdurre nel
sistema alcune nuove penalità che soltanto in parte finiscono per riprendere il previgente schema dispositivo, peraltro allontanandosene nettamente sotto un profilo strettamente sanzionatorio.
Il reato di somministrazione abusiva appare, dunque, solo parzialmente analogo
alla vecchia “interposizione illecita di manodopera”.8
Anzitutto, va segnalato che la fattispecie illecita in esame costituisce, già nello
schema delineato fin dall’inizio dal D.Lgs. n. 276/2003, il grado medio nella somministrazione non a norma di legge e, quindi, l’ipotesi base di reato.9
Nella scala ideale di gravità crescente delle ipotesi di somministrazione posta in
essere in violazione delle disposizioni vigenti, al grado più basso si colloca, infatti,
la somministrazione irregolare, che viene sanzionata in capo al somministratore
e all’utilizzatore con una sanzione di tipo amministrativo e non penale, seppure
affiancata da importanti riflessi civilistici (art. 27, comma 1, del D.Lgs. n.
276/2003).
All’estremo opposto, al grado massimo della graduazione del disvalore sociale
della condotta del somministratore e dell’utilizzatore si situa, invece, il reato contravvenzionale di tipo doloso della somministrazione fraudolenta.
Come si nota, sia pure da questi brevissimi cenni, a differenza dei due estremi
della somministrazione irregolare (violazione amministrativa) e di quella fraudolenta (illecito penale), che vedono o possono vedere coinvolti congiuntamente il somministratore e l’utilizzatore, la somministrazione abusiva rappresenta un reato
proprio del somministratore al quale fa da naturale pendant il reato di utilizzazione illecita, ma le due fattispecie permangono, in ogni caso, distinte, sia pure in
una ottica unitaria di ricomposizione fra le due violazioni.
La somministrazione abusiva, dunque, si configura, in primo luogo, quale reato di
tipo contravvenzionale (esattamente come la vecchia interposizione illecita di
manodopera), ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, comma 1, che, appunto, punisce il comportamento del somministratore con la pena pecuniaria dell’ammenda.
La contravvenzione de qua, d’altro canto, si presenta come reato di azione che
necessita quindi di una condotta attiva, non essendo sufficiente a realizzarlo una
89
mera partecipazione omissiva da parte del soggetto agente.
Inoltre, si tratta di un reato a struttura unitaria, giacché non si commettono tanti
reati distinti quanti sono i lavoratori coinvolti, ma piuttosto un unico illecito penale, nei confronti del quale il numero delle unità lavorative interessate dalla somministrazione abusiva giungono a determinare la sanzione proporzionalmente progressiva, come si evidenzierà nel prosieguo.
La somministrazione abusiva rappresenta, sotto altro profilo, una contravvenzione di pericolo, in quanto la realizzazione concreta del fatto di reato non abbisogna,
in nessun modo, di una “prova di danno” per essere accertata sussistente.
Né lo Stato, che nell’ipotesi di reato in argomento è il soggetto tutelante, ma neppure i lavoratori, che nel caso di specie sono i soggetti tutelati (e, quindi, le persone offese dal reato), hanno la necessità di dare prova o dimostrazione di qualsivoglia danno subito, essendo sufficiente la somministrazione abusiva di lavoratori, presso un qualsiasi utilizzatore, per sé sola considerata, a determinare la reazione punitiva dell’ordinamento in ragione della antigiuridicità del comportamento
attivo di chi senza rispettare i criteri legali (autorizzazione, iscrizione all’Albo nazionale, ecc.) ha fornito mere prestazioni di manodopera10.
La fattispecie di reato in esame risulta, dunque, perfetta e compiutamente realizzata per il solo fatto di essere stata concretata nei suoi elementi, oggettivi e soggettivi, tipici.
Anzitutto, deve sussistere un contratto di somministrazione di lavoro, sia pure non
formalizzato in un documento scritto, proposto ad un qualsiasi utilizzatore, pubblico o privato, da un soggetto comunque non autorizzato: perché non costituito in
forma di Agenzia per il lavoro ovvero non autorizzato come tale, o anche perché
pur essendo un’Agenzia non risulta iscritto alla sezione dell’Albo nazionale che
rende possibile e lecita la fornitura di manodopera (a termine o a tempo indeterminato), nei termini indicati dal Legisaltore.
Deve, quindi, rilevarsi una partecipazione psicologica del somministratore alla fattispecie illecita realizzata, sotto il profilo almeno della condotta colposa, perché ha
proposto la stipula di un contratto di somministrazione di lavoro non usando della
normale diligenza, prudenza e perizia richieste dall’ordinamento giuridico secondo
id quod plerumque accidit.
Da ultimo, il reato di somministrazione abusiva potrà considerarsi integrato con
la verifica della effettiva utilizzazione delle prestazioni lavorative dei lavoratori
oggetto del contratto di somministrazione, illecitamente occupati e impiegati nell’attività lavorativa interessata dall’operazione o in altra pure diversa a favore e nell’interesse dell’utilizzatore.
Con riguardo poi agli effetti, al contrario della interposizione illecita di manodopera di
cui agli artt. 1 e 2 della abrogata legge n. 1369/1960, che secondo la dottrina prevalente doveva ritenersi qualificabile come reato permanente, l’attuale somministrazio-
90
ne abusiva costituisce, invece, un’ipotesi di reato istantaneo con effetti permanenti.
Ciò che il Legislatore viene a vietare non è soltanto lo sfruttamento della manodopera abusivamente somministrata per essere illecitamente utilizzata, ma già, in
un momento antecedente, in senso logico e cronologico, la mera sottoscrizione
del contratto di somministrazione o, in ogni caso, il raggiungimento di un accordo negoziale in tal senso fra il somministratore non autorizzato e l’utilizzatore11.
Tornando al soggetto attivo del reato, la somministrazione abusiva di cui al primo
periodo dell’art. 18, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, così come sostituito dall’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 251/2004, è in primo luogo posta in essere dall’agenzia di somministrazione che esercita l’attività di fornitura di manodopera a
tempo determinato o indeterminato e, a tal fine, stipula contratti, con o senza
forma scritta, priva della necessaria autorizzazione ministeriale e della conseguente iscrizione all’Albo delle Agenzie12.
L’elemento oggettivo del reato è, dunque, integrato dalla attivazione di un contratto di somministrazione di lavoro a termine o a tempo indeterminato da parte di
soggetti non iscritti regolarmente all’Albo.
Tuttavia, per come la fattispecie legale appare costruita, si configura una sorta di
condizione (implicita o intrinseca) di punibilità13 nel valutare attentamente la pena
parametrata sulle giornate (effettive) di lavoro: in effetti, non la mera negoziazione fra somministratore e utilizzatore, ma l’effettivo utilizzo dei lavoratori somministrati, dà luogo alla concreta punibilità del reato in oggetto.
Da qui scaturisce anche una letterale conferma di quanto sopra si diceva con riferimento alla unitarietà o contiguità delle due fattispecie di reato della somministrazione abusiva e della utilizzazione illecita, considerato che l’una rappresenta il presupposto dell’altra e, reciprocamente, questa la condizione di punibilità della
prima.
D’altro canto, per onestà intellettuale, alla luce del D.Lgs. n. 251/2004, potrebbe non apparire troppo peregrina neppure l’ipotesi di una punibilità legata esclusivamente al numero dei lavoratori coinvolti nell’operazione di somministrazione abusiva di manodopera che non sia poi concretamente sfociata in una utilizzazione illecita: si tratterebbe, tuttavia, anzitutto di superare il dato letterale che parla di
lavoratori “occupati” e, in secondo luogo, di recuperare una diversa valutazione
della lesività/offensività della condotta che, nello schema del D.Lgs. n.
276/2003 e così pure, ben è vero, in quello previgente della legge n.
1369/1960, risulta fortemente incentrata su una tutela, diremmo quasi “proattiva” e diretta, del lavoratore coinvolto nella fornitura abusiva e illecita di mere prestazioni di lavoro. Peraltro, non può sottacersi il fatto che l’individuazione di taluni
lavoratori per un’ipotetica somministrazione di lavoro poi non realizzatasi concreta per sé sola l’attività di intermediazione fra eventuale utilizzatore e lavoratori interessati, ragione per la quale tale condotta risulterà agevolmente punibile, sempre
91
in sede penale, in virtù del disposto dell’art. 18, comma 1, secondo periodo, del
D.Lgs. n. 276/2003, che punisce, appunto, l’intermediazione abusiva14.
In buona sostanza, secondo il dato normativo, “l’esercizio non autorizzato” dell’attività di somministrazione si concretizza, sempre e solo, se e quando i prestatori
di lavoro oggetto di somministrazione vengono ad essere effettivamente impiegati dall’utilizzatore15.
D’altra parte, in questo senso, l’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003 sembra allontanarsi dalla più generale impostazione penalistica riguardante la tipologia di reato
dell’abusivo esercizio di specifiche “professionalità”, autorizzate da una pubblica
amministrazione o istituzione, non essendo sufficiente il compimento di un qualsiasi atto a rilevanza esterna (la mera stipula del contratto o il raggiungimento dell’accordo) a concretare l’abusivo esercizio dell’attività di somministrazione, ma
piuttosto la conseguente effettiva utilizzazione16.
Quanto poi all’elemento soggettivo, il grado di partecipazione psicologica del soggetto agente nel reato, come sopra anticipato, può essere dato anche dalla sola
colpa, senza che il Legislatore giunga a richiedere necessariamente la presenza
di una appropriazione psicologica soggettiva di tipo doloso, sebbene, concretamente, apparirà alquanto difficile, per il somministratore, limitare il giudizio di
responsabilità penale alla sola colpa.
Il somministratore, in effetti, “non può non sapere” dello stato sociale e giuridico
della propria soggettività imprenditoriale, nonché dell’iter dell’eventuale pratica
avviata per ottenere il riconoscimento dei titoli legali utili e necessari per l’esercizio dell’attività somministratoria17.
La pena ora prevista dall’art. 18, comma 1, novellato per la somministrazione
abusiva è quella pecuniaria dell’ammenda, pari a 50 euro per ogni lavoratore
occupato e per ogni giornata di lavoro.
Si tratta, dunque, di una pena proporzionale impropria, ovvero di una pena a proporzionalità progressiva18, dove rilevano due elementi distinti: la base sanzionatoria stabilita in misura fissa predeterminata dal Legislatore e il coefficiente moltiplicatore che varia secondo le concrete circostanze di fatto verificatesi nella fattispecie sottoposta ad accertamento19.
Qui rileva, inoltre, il profilo attinente alla opzione ermeneutica per l’esatto criterio
da adottarsi ai fini del calcolo corretto della pena effettivamente applicabile.
Sussistono, in effetti, due diverse teoriche in proposito: una secondo la quale si
dovrebbe procedere ad una somma dei prodotti ricavati moltiplicando la base
pecuniaria per ciascun coefficiente proporzionale (giornate e lavoratori); la seconda per cui la quantificazione dell’ammenda dovrebbe, invece, derivare da una duplice moltiplicazione dapprima moltiplicando la base monetaria per un coefficiente e
in seguito moltiplicando il prodotto derivante da tale operazione per l’altro coefficiente. Pressoché unanime è l’opinione degli interpreti a favore dell’adozione del
92
secondo dei due sistemi di calcolo richiamati, quello della doppia moltiplicazione20.
Infine, sotto un profilo più strettamente processuale o rectius procedimentale,
data la natura di contravvenzione punita con la sola pena dell’ammenda, il somministratore abusivo è ammesso alla prescrizione obbligatoria di cui all’art. 15 del
D.Lgs. n. 124/2004, che ammette il contravventore al pagamento di un quarto
dell’ammenda, pur sempre calcolata col sistema proporzionale progressivo (per
lavoratore e per giornata di lavoro).
Con riferimento all’operatività di tale istituto21, ferma restando la perplessità di
fondo circa l’opportunità dell’estendersi dello stesso alle ipotesi di reato in esame,
v’è da chiedersi con quali modalità concrete il personale ispettivo possa procedere ad impartire una prescrizione al somministratore abusivo e in particolare quale
possa essere l’oggetto della prescrizione.
Nessun dubbio, infatti, può sussistere circa il fatto che la lesività e l’antigiuridicità
della somministrazione abusiva posta in essere e accertata non è in alcun modo
rimuovibile dall’ordinamento per tutto quanto concerne il periodo lavorativo già sviluppato presso l’utilizzatore illecito, residua, quindi, soltanto la possibilità di prescrivere l’immediata cessazione dell’operazione di fornitura di manodopera.
Conclusivamente, poi, il somministratore abusivo potrà essere comunque ammesso all’oblazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 162 cod. pen., anche questa
misura di estinzione agevolata del reato, tuttavia, potrebbe, di fatto, far venire
meno qualsiasi effetto preventivo e repressivo nei riguardi della somministrazione
abusiva, stante l’esiguo importo sanzionatorio che verrà ad essere in ogni caso
irrogato, a seguito della procedura oblativa, al soggetto attivo del reato.
1. 1. La form a aggravata
La lettera dell’art. 18, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, dopo l’intervento del
D.Lgs. n. 251/2004, prevede con assoluta chiarezza che, nel caso in cui la somministrazione abusiva avvenga con sfruttamento di minori, la pena risulti notevolmente aggravata: l’ammenda viene aumentata fino al sestuplo (300 euro per ciascun lavoratore e per ciascuna giornata) e si applica congiuntamente alla pena
detentiva dell’arresto fino a 18 mesi.
Va evidenziato che si tratta di una vera e propria circostanza aggravante22, rispetto all’ipotesi base di reato contravvenzionale sopra esaminata, e pertanto sarà
soggetta al trattamento previsto per le fattispecie circostanziali, essendo la previsione normativa in parola riconducibile all’alveo delle circostanze speciali ad effetto speciale, poiché comporta da un lato l’aumento dell’importo della sanzione in
misura di gran lunga superiore a un terzo, inoltre muta la specie stessa della
pena, aggiungendosi a quella pecuniaria una pena detentiva (art. 63, comma 3,
cod. pen.).
93
Quanto poi a che cosa debba intendersi con la locuzione “sfruttamento dei minori” pare potersi sviluppare una chiara interpretazione del concetto utilizzato dal
D.Lgs. n. 276/2003 soltanto con riferimento al disposto normativo della legge
17 ottobre 1967, n. 977, così come modificata dal D.Lgs. 4 agosto 1999, n.
34523.
Alla luce dunque degli artt. 3 e 4 della legge n. 977/1967, l’aggravante di cui
all’art. 18, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 colpirà il somministratore che invii
al lavoro presso l’utilizzatore i bambini, ovvero i minori che non hanno compiuto i
quindici anni di età e comunque che non hanno concluso il periodo di istruzione
obbligatoria, al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge.
Analogamente pare di poter affermare che di “sfruttamento” di minori, con riguardo all’ipotesi aggravata in esame, debba parlarsi anche per quanto concerne l’adibizione al lavoro degli adolescenti (il minore tra i 15 e i 18 anni di età che ha concluso l’obbligo scolastico) nelle mansioni, nei processi e nei lavori espressamente
valutati e considerati dall’art. 6 della legge n. 977/196724.
D’altra parte, ci si deve legittimamente interrogare circa la rilevanza penale della
condotta di abusivo svolgimento di attività lavorativa da parte dei minori anche con
specifico riguardo alle previsioni sanzionatorie, sempre di natura penale, stabilite
dall’art. 26 della stessa legge n. 977/1967, come sostituito dall’art. 14 del
D.Lgs. n. 345/1999 (arresto fino a sei mesi, art. 4; arresto non superiore a sei
mesi o ammenda fino a 5164 euro, art. 3).
La questione deve risolversi, d’altronde, in ragione del dettato normativo dell’art.
81 cod. pen., non potendosi ascrivere la fattispecie criminosa aggravata in oggetto al novero del concorso apparente di norme (art. 15 cod. pen.): si tratta, in
effetti, di due distinte ipotesi di reato, entrambe di tipo contravvenzionale, che
risultano perfettamente e compiutamente integrate con una unica azione realizzata dal somministratore e dall’utilizzatore.
Pare, allora, di non doversi fare ricorso a nessuno dei criteri utilizzati per discernere la fonte normativa sanzionatoria prevalente (assorbimento, specialità, consunzione), ben potendosi e forse dovendosi, al contrario, dare seguito alla disciplina stabilita dal citato art. 81, comma 1, cod. pen. per le situazioni di concorso
formale di reati, in questo caso eterogeneo, vale a dire riferito a diverse fattispecie di reato.
Infine, quanto al concetto di “sfruttamento” che il D.Lgs. n. 276/2003 utilizza,
non sembra utilmente rintracciabile nel corpo del vigente sistema penalistico un
riferimento giuridico testualmente idoneo a chiarirne la portata specifica, l’aggravante in argomento, pertanto, opererà nei confronti del somministratore abusivo
per aver avviato al lavoro illegalmente dei minori25.
Da ultimo, con riferimento alle vicende di redazione del decreto correttivo, va
segnalato che l’aggravante in argomento, risultava in un primo momento, come
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sopra anticipato, inopinatamente riservata al solo comportamento illecito dell’utilizzatore, mentre il testo definitivo del nuovo art. 18, comma 1, del D.Lgs. n.
276/2003 ha riconfermato la piena compatibilità dell’aggravamento della pena
per il somministratore abusivo che somministra illecitamente lavoratori minori.
1. 2. Una presunta attenuante
Ancora in tema di somministrazione abusiva, occorre evidenziare che l’art. 4 del
D.Lgs. n. 251/2004 ha provveduto ad eliminare, come suggerito dai primi commentatori26, un ulteriore profilo di criticità o, comunque, di problematicità, con
la cancellazione dalla stesura originaria del primo comma dell’art. 18 del D.Lgs.
n. 276/2003, della estensione, testualmente pure possibile, della ipotesi sanzionatoria attenuata “senza fini di lucro”27.
Invero, la somministrazione abusiva senza lucro scompare da qualsiasi ipotetica
applicazione, sulla scorta della constatazione che la mancanza di una finalità lucrativa nella condotta somministratoria priva di autorizzazione è assolutamente eccezionale e, nella più parte dei casi, del tutto inverosimile: chi somministra contra
legem un lavoratore ad un altro soggetto (utilizzatore) si avvantaggia dell’omesso
rispetto degli obblighi (normativi, organizzativi e finanziari) imposti dagli artt. 4 e
5 del D.Lgs. n. 276/2003 a carico delle Agenzie per il lavoro di somministrazione regolari (autorizzate e iscritte), per l’effetto, il somministratore abusivo consegue, inevitabilmente, un “lucro” diretto o indiretto, immediato o mediato, patrimoniale o di altra natura.
Per la verità il testo della norma risultava ab initio articolato in modo da renderne difficile la leggibilità esaustiva.
Dopo aver considerato le ipotesi di esercizio non autorizzato delle attività delle
agenzie per il lavoro (e fra queste quella di somministrazione di manodopera, con
integrazione del reato di somministrazione abusiva), l’originario testo dell’art. 18
dedicava una specifica attenzione alle ipotesi di intermediazione abusiva, per poi
precisare che “se non vi è scopo di lucro la pena è della ammenda da euro 500
a euro 2500”.
Tra i primi commentatori vi è stato chi ha concluso per il sicuro riferimento
all’esercizio dell’attività senza scopo di lucro relativamente alla sola intermediazione, sulla scorta del tenore letterale della norma; parallelamente alcuni hanno inteso riferire l’ipotesi attenuata anche alla somministrazione abusiva28.
In realtà a tale estensione della portata letterale della norma ostavano non poche
osservazioni logico-giuridiche.
In primo luogo, l’articolazione consequenziale del testo normativo che sembrava
operare un vero e proprio “inciso” a favore di una valutazione separata, differenziata e specifica della intermediazione non autorizzata.
95
In seconda battuta andava sottolineato come l’evento della mancanza di una finalità lucrativa nella condotta somministratoria fosse assolutamente impraticabile,
per quanto cennato in precedenza.
Da ultimo, in conclusione, non può non evidenziarsi l’originaria incongruità della
previsione sanzionatoria, giacché la differenziazione della tipologia della pena fra
l’ipotesi base e quella attenuata comportava l’assurdo risultato di una somministrazione abusiva con scopo di lucro sanzionata meno gravemente di quella (ipotetica) senza alcuna finalità lucrativa29.
1. 3. La confisca obbligatoria
L’inciso finale del novellato art. 18, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 impone
di riferire la sanzione penale accessoria della confisca del mezzo di trasporto eventualmente utilizzato a tutte le attività richiamate dalla norma sanzionatoria, compresa quindi la somministrazione abusiva30.
Si noti che nella norma in esame la confisca, prevista in via generale dall’art. 240
cod. pen. come strumento sanzionatorio di tipo facoltativo, diviene, al contrario,
obbligatoria, sebbene l’obbligo potrà di fatto sorgere esclusivamente nelle ipotesi
di somministrazione abusiva di carattere doloso, in considerazione della evidenziata strumentalità dell’utilizzo del mezzo confiscando alla voluta e programmata realizzazione del reato31.
Va segnalato che la confisca del mezzo di trasporto rappresenta la reazione immediata e visibile propria dell’ordinamento giuslavoristico, contro l’attività del cosiddetto “caporalato”, ovvero di quella mediazione illegale fra domanda e offerta di
lavoro che oggi ben può rientrare nella nuova definizione dell’attività di intermediazione abusivamente esercitata.
Peraltro, nell’intento del Legislatore della riforma, sul punto particolarmente aderente ad una reazione penalistica omnicomprensiva, qualsiasi attività inerente al
regolare andamento del nuovo mercato del lavoro, laddove venga ad essere svolta con comportamenti riconducibili al “caporalato” e, quindi, comporti l’attività illecita di individuazione, “raccolta” e trasporto dei lavoratori, ivi compresa ovviamente quella operata nell’ambito di una somministrazione abusiva, debba essere sanzionata penalmente, con la pena accessoria della confisca dell’automezzo.
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Tab 1. Som m inistrazione abusiva
ILLECITO
SANZIONE
Art. 18, co. 1 D. Lgs. 276/2003
Per aver esercitato l’agenzia per il
lavoro o il somministratore attività
di somministrazione di lavoro in
assenza di apposita autorizzazione
ovvero fuori dalle ipotesi previste
ed espressamente autorizzate dall’art. 20, commi 3 e 4, D.Lgs. n.
276/2003.
Art. 18 co. 1 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 2 del D.Lgs. n. 251/2004
Ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e
per ciascuna giornata di occupazione.
Se vi è sfruttamento di minori la pena è dell’arresto fino
a 18 mesi e dell’ammenda fino a euro 300.
In caso di condanna è disposta la confisca del mezzo
eventualmente utilizzato.
Prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n.
124/2004): è applicabile nella sola ipotesi base (punita
con la pena dell’ammenda), si prescrive la cessazione
del comportamento illegale e il ripristino immediato
della legalità, prescrivendo l’immediata cessazione dell’operazione di fornitura di manodopera abusiva (prescrizione “interdittiva”); sanzione pari a 12,50 euro per
ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di
occupazione
Oblazione (art. 162 c.p.): può essere ammessa nella
sola ipotesi base (punita con la pena dell’ammenda),
sanzione pari a 16,66 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione
Per i reati commessi fino al 25 ottobre 2004 (entrata
in vigore del D.Lgs. 251/2004) l’importo dell’ammenda
è pari a 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione (prescrizione pari a 1,25
euro; oblazione pari a 1,66 euro)
2. Il reato dell’utilizzatore (art. 18, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003)
Allo stesso modo del somministratore, secondo l’intenzione espressa del Legislatore
delegante, si rende “correo”, quale concorrente diretto necessario dell’unitaria figura del reato composto di “interposizione illecita di manodopera”, nelle nuove forme
della somministrazione abusiva di lavoratori illecitamente utilizzati, l’utilizzatore che
ricorre, appunto, alla somministrazione di mere prestazioni di lavoro da parte di un
soggetto (pseudo-agenzia) non autorizzato all’esercizio di siffatta attività.
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Leggendo, dunque, in forma unitaria le due fattispecie contravvenzionali in argomento, sotto un profilo soggettivo ci si trova ancora oggi, come già durante la
vigenza della legge n. 1369/1960, davanti ad una sorta di reato plurisoggettivo
proprio, in cui due soggetti rispondono penalmente di un comportamento, sia
pure differenziato nelle due forme della somministrazione abusiva cui fa seguito
l’utilizzazione illecita, che viola le disposizioni normative dettate dal titolo II e dal titolo III del D.Lgs. n. 276/2003 a tutela di una corretta e legalmente disciplinata
fornitura di lavoro.
Peraltro, occorre riconoscere che, con riguardo ad una lettura strettamente formale del dato normativo, sembrano doversi distinguere le due posizioni soggettive dell’utilizzatore e del somministratore.
Anzitutto, come anticipato, per la differente considerazione e connotazione delle
due condotte, già sotto un profilo meramente letterale.
In effetti, le due distinte ipotesi di reato, che giungono comunque a comporre, in
ultima istanza, il reato unitario di cui si è detto32, non solo sono previste e normate su due differenti commi (primo e secondo) dell’art. 18, ma le identiche sanzioni penali prescritte per entrambi i soggetti non pongono rimedio alla differenziazione delle condotte illecite sanzionate, sia pure a fronte di una (ancora attuale)
sostanziale reciprocità fra le stesse.33
Se il somministratore opera senza essere preventivamente munito della prescritta apposita autorizzazione rilasciata dal Ministero del Lavoro, dal canto suo il datore di lavoro che utilizza i lavoratori in base alla somministrazione abusiva risponde, quanto meno della negligenza, imperizia o imprudenza, caratterizzate dalla
mancata valutazione degli elementi contenuti nel contratto, che, secondo l’impostazione garantista del D.Lgs. n. 276/2003, deve essere obbligatoriamente in
forma scritta (art. 21).
Proprio la forma scritta del negozio di somministrazione, infatti, consente all’utilizzatore di verificare primariamente la sussistenza in capo al somministratore dei
requisiti autorizzatori di legge, e quindi la sussistenza dell’autorizzazione ministeriale in corso di validità (art. 21, comma 1, lett. a).
Di talché il soggetto che utilizza illecitamente i lavoratori somministrati abusivamente, avendo omesso di esercitare correttamente il potere di verifica e di controllo che il Legislatore ha inteso attribuirgli, si rende soggettivamente e personalmente responsabile del reato in esame.
Anche l’utilizzazione illecita si configura come contravvenzione, stante la previsione da parte dell’art. 18, comma 2, della identica pena dell’ammenda.
La struttura della fattispecie legale segue, inoltre, parallelamente, quella della
somministrazione abusiva, si tratta, infatti, di un reato:
- di azione, alla cui realizzazione concorre la condotta attiva dell’utilizzatore che
occupa concretamente i lavoratori abusivamente somministrati;
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a struttura unitaria, il numero dei lavoratori coinvolti nell’illecita utilizzazione non
determina la realizzazione di plurime ipotesi di reato, ma viene assunto a parametro per la sola determinazione della pena;
di pericolo, si realizza con la mera esecuzione delle prestazioni lavorative da parte
dei lavoratori già coinvolti nel reato di somministrazione abusiva.
Anche sotto il profilo degli elementi costitutivi del reato, l’utilizzazione illecita ricalca
quelli della somministrazione abusiva, salvo che per quanto concerne gli effetti.
Per quel che riguarda l’elemento oggettivo, la contravvenzione in argomento si
configura per la concreta ed effettiva utilizzazione da parte del soggetto agente
dei lavoratori che sono stati forniti dalla “pseudo-agenzia” per lo svolgimento di
mere prestazioni di lavoro, nell’ambito della attività aziendale interessata dall’operazione o in un’altra, che può anche risultare diversa, pur sempre nell’esclusivo
interesse dell’utilizzatore. Peraltro, il dato testuale dell’art. 18, comma 2, sembra
considerare penalmente rilevante anche l’utilizzazione illecita che si concretizza
nell’occupazione di prestatori di lavoro somministrati al di fuori dei limiti legalmente previsti e stabiliti per la somministrazione a termine e per quella a tempo indeterminato.
Conseguentemente, la condotta illecita e punibile dell’utilizzatore non sarebbe solo
quella legata allo sfruttamento di lavoratori somministrati dalla agenzia non autorizzata o autorizzata alle sole attività diverse dalla somministrazione, ma anche
quella dell’aver fatto svolgere attività lavorativa a lavoratori somministrati da una
agenzia specialista o generalista, regolarmente autorizzata, senza il rispetto dei
limiti di cui all’art. 20, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 276/200334.
L’elemento soggettivo, d’altro canto, non potrà non richiedere un grado di partecipazione psicologica anche minima da parte dell’utilizzatore, nelle forme della condotta colposa, per aver fatto svolgere attività lavorativa a lavoratori forniti per
effetto di un contratto di somministrazione di lavoro stipulato con un soggetto non
autorizzato ovvero in assenza di qualsiasi momento negoziale35.
Quanto agli effetti del reato, l’utilizzazione illecita, diversamente dalla somministrazione abusiva, costituisce un’ipotesi di reato permanente, la violazione consiste, a
ben guardare, nell’effettivo sfruttamento (illecita utilizzazione) della manodopera
abusivamente somministrata36.
Nel presupposto di aver partecipato al reato del somministratore abusivo, l’utilizzatore realizza il reato (suo proprio) di utilizzazione illecita fin dal primo momento
in cui si avvale dei lavoratori al di fuori degli schemi legali previsti, ma lo perpetua
costantemente nel susseguirsi dei giorni di lavoro effettivo in cui utilizza gli stessi.
Si ripropone, dunque, per l’ipotesi di reato della utilizzazione illecita, figlia della
somministrazione abusiva, la ricostruzione teorico-dogmatica già avanzata dalla
dottrina maggioritaria nei confronti della vecchia interposizione illecita di manodopera (artt. 1 e 2 della legge n. 1369/1960), essendo il comportamento vietato
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non tanto la mera negoziazione-stipulazione del contratto illecito di somministrazione con la “pseudo-agenzia” (abusiva), ma piuttosto il perpetuarsi della situazione di sfruttamento della manodopera.37
Anche per l’utilizzatore, alla luce delle argomentazioni già svolte, la pena (prevista
dall’art. 18, comma 2, novellato per effetto del D.Lgs. n. 251/2004) è proporzionalmente progressiva ed è stabilita nell’ammenda pari a 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (pena proporzionale impropria).38
Con riguardo alla prescrizione obbligatoria di cui all’art. 15 del D.Lgs. n.
124/2004, l’istituto può trovare applicazione anche in questa ipotesi di reato,
per cui l’utilizzatore potrebbe essere ammesso al pagamento di un quarto dell’ammenda, per lavoratore e per giornata di lavoro, qualora provveda ad adempiere ai
contenuti dell’azione correttiva di regolarizzazione postuma.
Anzi, nei confronti del soggetto che illecitamente utilizza i lavoratori somministrati abusivamente la prescrizione potrebbe corrispondere efficacemente, almeno in
un caso, all’esatta e complementare previsione normativa dell’apparato sanzionatorio di natura civilistica posto a tutela del lavoratore nel corpo del D.Lgs. n.
276/2003.
Si fa riferimento all’ipotesi di una utilizzazione illecita su somministrazione abusiva
in assenza di qualsiasi contratto scritto: in tale fattispecie, infatti, l’art. 21,
comma 4, nel nuovo testo derivante dall’intervento correttivo del D.Lgs. n.
251/2004, stabilisce che “in mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore”.
In tale situazione, dunque, il personale ispettivo appare legittimato, nell’esercizio
delle funzioni di polizia giudiziaria, ad impartire una apposita prescrizione con la
quale l’utilizzatore illecito non venga meramente invitato a cessare l’utilizzazione
contra legem, come invece nella generalità dei casi, ma piuttosto provveda ad
assumere regolarmente i lavoratori illecitamente occupati alle proprie dipendenze.
Peraltro, parrebbe di poter sostenere, in tale ipotesi, anche l’applicazione, all’utilizzatore che adempia a siffatta prescrizione, per analogia iuris, della condizione
favorevole di cui all’art. 27, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, per cui i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata”, inoltre “gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la
gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto
luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione”.
100
Anche l’utilizzatore, in ogni caso, potrà essere altresì ammesso all’oblazione di cui
all’art. 162 cod. pen., esattamente come il somministratore.
Da ultimo, trova parimenti applicazione nel reato di utilizzazione illecita l’aggravante dello sfruttamento dei minori, negli stessi ambiti di operatività già sopra esaminati con riferimento alla somministrazione abusiva.
2. 1. L’utilizzatore pubblico
In deroga a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, l’art.
86, comma 9, estende espressamente alle pubbliche amministrazioni la disciplina della somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Merita, dunque, qualche cenno l’ipotesi di una utilizzazione illecita di manodopera
posta in essere da un utilizzatore pubblico, giacché la norma da ultimo richiamata esplicitamente estende alla pubblica amministrazione le sanzioni amministrative dell’art. 19 del D.Lgs. n. 276/2003, ma nulla dice con riguardo alle sanzioni
penali e amministrative del precedente art. 18 in materia di somministrazione illecita o irregolare.
D’altro canto, pur in assenza di una menzione esplicita, occorre necessariamente concludere che il riferimento normativo contenuto nell’art. 86, comma 9, a
tutta la “disciplina della somministrazione”, con eccezione dell’art. 27, comma 1,
relativo alla costituzione ope iudicis del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore39,
comprende l’applicabilità di tutte le restanti reazioni sanzionatorie, di tipo penale,
ma anche amministrativo, previste dall’ordinamento sia pure con specifico riguardo alla sola somministrazione a termine40.
In questo senso il D.Lgs. n. 276/2003 spazza via tutte le questioni interpretative insorte durante la vigenza della legge n. 1369/1960 circa l’assoggettamento
al divieto interpositorio per la generalità delle pubbliche amministrazioni41, che
avevano portato alla conclusione, abbastanza condivisa in dottrina e in giurisprudenza, della applicazione delle sanzioni penali soltanto ed esclusivamente con riferimento ad eventuali attività che avessero un contenuto sostanzialmente imprenditoriale42.
Ora qualsiasi pubblica amministrazione, ovvero uno qualunque dei soggetti di natura pubblicistica (amministrazioni, enti e aziende) cui fa riferimento l’art. 1, comma
2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, senza eccezione alcuna, sarà
assoggettato alle pene stabilite dall’art. 18, comma 2, e, in caso di somministrazione fraudolenta, dall’art. 28 del D.Lgs. n. 276/2003, a prescindere da qualsivoglia valutazione nel merito dell’attività lavorativa concretamente svolta dai lavoratori abusivamente o fraudolentemente somministrati.
Ovviamente, dato l’odierno sistema penalistico che attribuisce la responsabilità
penale diretta al soggetto (persona fisica) che personalmente agisce e compie il
reato (societas delinquere non potest)43, le pene andranno a colpire il dirigente
101
pubblico o il responsabile del servizio o dell’unità operativa che abbia concretamente posto in essere la contravvenzione accertata44.
Con specifico riferimento all’utilizzatore pubblico rileva il recente pronunciamento
del TAR Piemonte, Sez. II, 27 giugno 2006, n. 2711, che, nel ricondurre nell’alveo di una somministrazione illecita una ipotesi di appalto di mere prestazioni di
lavoro avviato da una pubblica amministrazione per prestazioni infermieristiche,
risolve nel senso indicato nel testo il quadro normativo applicabile alla fattispecie:
“Sussiste, quindi, un apparente contrasto tra il tenore dell’art. 1, comma 2, e
quello dell’art. 86, comma 9, del decreto legislativo 276/2003, che deve essere risolto mediante i principi generali sui rapporti tra norme, rilevando il carattere generale della prima disposizione e quello speciale della seconda. In altre parole con la previsione contenuta nell’art. 1, comma 2, in precedenza citato, il legislatore ha inteso escludere un’applicazione generalizzata della disciplina in esame
alle pubbliche amministrazioni ma non ha escluso che singole previsioni normative trovino, invece, applicazione anche ai rapporti di lavoro instaurati con soggetti
pubblici ed è proprio questa la funzione della disposizione di cui al citato art. 86,
comma 9, il cui tenore testuale è talmente univoco da non lasciare alcun dubbio
in merito all’astratta applicabilità della disciplina in tema di “somministrazione di
lavoro” a tempo determinato anche ai procedimenti amministrativi tendenti all’instaurazione di un siffatto modello contrattuale”.
102
Tab. 2. Utilizzazione illecita
ILLECITO
SANZIONE
Art. 18, co. 2 D. Lgs.
276/2003
Per aver fatto ricorso l’utilizzatore a soggetti non
autorizzati o al di fuori dei
limiti delle autorizzazioni
rilasciate.
Art. 18 co. 2 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 3 del
D.Lgs. n. 251/2004
Ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.
Se vi è sfruttamento di minori la pena è dell’arresto fino a 18 mesi e dell’ammenda fino a euro 300.
Prescrizi one obbl i gatori a ( art. 15, D.Lgs. n. 124/2004) : è applicabile nella
sola ipotesi base (punita con la pena dell’ammenda), a seconda dei casi, il
personale ispettivo procederà a prescrivere all’utilizzatore la cessazione
del comportamento illegale e il ripristino immediato della legalità, ordinando l’immediata cessazione dell’operazione di utilizzo della manodopera fornita abusivamente (prescrizione “interdittiva”), oppure, in mancanza di
contratto in forma scritta (contratto nullo), ordinando che questi provveda ad assumere regolarmente i lavoratori illecitamente occupati alle proprie dipendenze; sanzione pari a 12,50 euro per ogni lavoratore occupato
e per ciascuna giornata di occupazione
Obl azi one ( art. 162 c.p.) : può essere ammessa nella sola ipotesi base
(punita con la pena dell’ammenda), sanzione pari a 16,66 euro per ogni
lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.
Per i reati commessi fino al 25 ottobre 2004 (entrata in vigore del D.Lgs.
251/2004) l’importo dell’ammenda è pari a 5 euro per ogni lavoratore
occupato e per ciascuna giornata di occupazione (prescrizione pari a 1,25
euro; oblazione pari a 1,66 euro)
3. La som m inistrazione fraudolenta (art. 28, D. Lgs. n. 276/2003)
Nel sistema sanzionatorio che governa oggi il fenomeno della somministrazione di
lavoro mediante Agenzia, il grado massimo45 di illiceità della condotta illecita e/o
abusiva viene ad integrare una distinta e diversa fattispecie penalmente rilevante,
pur sempre di natura contravvenzionale, quale è quella denominata “somministrazione fraudolenta” di cui all’articolo 28 del decreto legislativo 10 settembre 2003,
n. 276.
Con tale ipotesi di reato, che appare idonea ad integrare (dopo decenni di esclusiva depenalizzazione) il momento iniziale di un complessivo ripensamento del regime sanzionatorio in materia di lavoro, con la valutazione costituzionalmente orien-
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tata del bene meritevole di tutela giuridica di rilevanza penale, il legislatore stabilisce, in effetti, una specifica normativa di tutela e di sanzione con riferimento alle
condotte di somministrazione contra legem a completamento del più generale
quadro sanzionatorio delineato nell’articolo 18 del decreto legislativo n. 276/2003.
Ci si interrogherà, peraltro, in coda al presente intervento, circa la praticabilità di
una riconduzione nell’alveo della somministrazione fraudolenta delle ipotesi di interposizione illecita da pseudo-appalto e da pseudo-distacco che muovano verso una
specifica e predeterminata elusione dei parametri essenziali di tutela delle condizioni sostanziali dei lavoratori impiegati in un appalto (prevalentemente endoaziendale di servizi) o in un distacco ab initio privi dei requisiti legali.
In buona sostanza, dal punto di vista definitorio della fattispecie illecita, si tratta di
una contravvenzione unitaria che vede nel somministratore e nell’utilizzatore due
soggetti attivi dell’unica fattispecie di reato.
La somministrazione fraudolenta rappresenta, dunque, quanto all’analisi del profilo soggettivo attoreo, un vero e proprio reato plurisoggettivo proprio, in cui le due
parti del contratto commerciale di somministrazione di lavoro rispondono penalmente di una specifica condotta posta al di fuori degli schemi tipici di liceità.
Andando a ben guardare le caratteristiche soggettive dell’autore del reato, peraltro, se nulla muta per quanto concerne l’utilizzatore, rispetto al medesimo soggetto autore della contravvenzione di cui all’articolo 18, comma 2 (utilizzazione illecita), al contrario per quanto concerne la figura del somministratore qui deve opportunamente evidenziarsi che mentre il reato di somministrazione abusiva è compiuto esclusivamente dal soggetto che esercita la somministrazione senza essere
preventivamente autorizzato dal Ministero del Lavoro nelle forme previste e senza
la necessaria iscrizione alla relativa sezione dell’Albo nazionale delle agenzie per il
lavoro, nel reato di somministrazione fraudolenta soggetto attivo può essere
anche l’agenzia di somministrazione perfettamente regolare, autorizzata e iscritta
all’Albo46.
Quanto poi all’elemento della colpevolezza, vale a dire della partecipazione psicologica dei due soggetti agenti al reato in argomento, deve rilevarsi che il grado di
rimproverabilità della condotta qui non è più semplicemente quello della colpa
(come invece nel reato “composto” di somministrazione abusiva con utilizzazione
illecita), in quanto il legislatore prevede una consapevolezza dolosa psicologicamente orientata da parte dei due responsabili, utilizzatore e somministratore47.
L’articolo 28 del decreto legislativo n. 276/2003, in effetti, definisce “somministrazione fraudolenta” quella che “è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore”.
Rileva, quindi, una fattispecie penale di dolo specifico48, dove non soltanto viene in
considerazione l’intenzionalità del reato, ma la specifica finalità dello stesso, chiedendo che vi sia un’intesa fra utilizzatore e somministratore o, quanto meno, la
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effettiva consapevolezza riguardo all’utilizzo illecito della manodopera (c.d. consilium fraudis)49, vale a dire nei confronti di un uso illecito del contratto di somministrazione che viene specificamente finalizzato alla elusione del sistema normativo
di protezione configurato in dettagliate tutele legali o contrattuali50.
D’altra parte, si tenga presente che anche la somministrazione fraudolenta, come
già quella abusiva, si connota quale reato di pericolo: in effetti, l’illecito penale
potrà considerarsi realizzato ogniqualvolta la finalità elusiva dell’azione risulterà
provata, a prescindere da qualsiasi indagine circa gli eventuali esiti concreti dell’elusione agita e voluta, che potranno anche mancare51.
3. 1. I profili sanzionatori
Quanto poi al profilo sanzionatorio qui la pena non si sostituisce a quella prevista per la somministrazione abusiva con utilizzazione illecita tout court, ma piuttosto si aggiunge ad essa52, aggravandone l’esito sanzionatorio, con specifica
sottolineatura della gravità del comportamento criminoso censurato dal legislatore.
Con una tecnica legislativa non del tutto tipica della legislazione penale, viene, in
realtà, confermato l’intero apparato sanzionatorio contenuto nell’articolo 1853,
senza alcuna distinzione fra quello di natura penale (commi 1, 2 e 5-bis) e quello di tipo amministrativo (comma 3), a questo viene poi aggiunta la sanzione
pecuniaria dell’ammenda pari a 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto dall’operazione fraudolenta e per ogni giorno di utilizzazione del lavoratore fraudolentemente somministrato.
Si tratta, pertanto, quanto alla natura della sanzione penale di una pena proporzionale impropria, ovvero di una pena a proporzionalità progressiva54, dove rilevano due elementi distinti: la base sanzionatoria stabilita in misura fissa predeterminata dal Legislatore e il coefficiente moltiplicatore che varia secondo le concrete circostanze di fatto verificatesi nella fattispecie sottoposta ad accertamento55.
Qui rileva, inoltre, la problematica relativa al criterio che occorre adottare ai fini
del calcolo corretto della pena applicabile.
Una prima teorica sostiene che si dovrebbe procedere ad una somma dei prodotti ricavati moltiplicando la base pecuniaria per ciascun coefficiente proporzionale (giornate e lavoratori); mentre una seconda impostazione spinge per la
quantificazione dell’ammenda derivante da una duplice moltiplicazione (dapprima
moltiplicando la base monetaria per un coefficiente e in seguito moltiplicando il
prodotto derivante da tale operazione per l’altro coefficiente). Pressoché unanime è l’opinione degli interpreti a favore dell’adozione del secondo dei due sistemi di calcolo richiamati, quello della doppia moltiplicazione56.
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Per quanto attiene alle modalità di estinzione agevolata del reato, la contravvenzione di cui all’articolo 28 del decreto legislativo n. 276/2003 sarà, di fatto,
oblazionabile (articolo 162 c.p.).
Parimenti, anche il reato di somministrazione fraudolenta verrà ad essere assoggettato al nuovo potere di prescrizione degli ispettori del lavoro che opera in tutte
le ipotesi di contravvenzione, per cui la pena dell’ammenda verrà ulteriormente
ridotta a seguito di prescrizione obbligatoria (articolo 15 del decreto legislativo
n. 124/2004)57 e il procedimento penale potrebbe neppure avviarsi concretamente.
D’altro canto, si segnala a questo proposito la concreta possibilità per il personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro di procedere ad impartire una
prescrizione con la quale l’utilizzatore fraudolento non è chiamato solo a cessare il comportamento illecito, e quindi di interrompere l’utilizzazione illecita dei
lavoratori somministrati come in genere è chiamato a fare in costanza di utilizzazione illecita da somministrazione abusiva58.
In caso di somministrazione fraudolenta, piuttosto, gli ispettori del Ministero del
Lavoro, nelle loro vesti di ufficiali di polizia giudiziaria, dovranno (e potranno) provvedere, mediante prescrizione obbligatoria, ad ordinare al datore di lavoro utilizzatore fraudolento l’immediata regolarizzazione dei lavoratori fraudolentemente
occupati, assumendoli a tutti gli effetti di legge alle proprie dipendenze, dal punto
di vista documentale, assicurativo e contributivo.
Fondamento normativo per tale atteggiamento degli organi ispettivi in materia di
lavoro è da individuarsi nella valutazione giuridica del contratto di somministrazione nel caso di specie, giacché l’accordo negoziale fra somministratore e utilizzatore che abbiano operato in frode alla legge è, per i principi generali dell’ordinamento, radicalmente nullo per illiceità della causa negotii (articoli 1344 e
1418, comma 2, c.c.), con la naturale estensione della previsione contenuta
nell’articolo 21, comma 4, del decreto legislativo n. 276/2003, secondo cui
quando il contratto di somministrazione è nullo “i lavoratori sono considerati a
tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore”59.
Sotto altro profilo, legato alle finalità della pena, più sociologico che giuridico, per
quanto possa apparire odiosa una significativa riduzione dell’importo della sanzione penale a seguito di ottemperanza alla prescrizione obbligatoria da parte del
contravventore utilizzatore fraudolento, vale la pena evidenziare l’effetto sostanziale del provvedimento di polizia giudiziaria di cui all’articolo 15 del decreto legislativo n. 124/2004, che in questo caso trasforma la pena in sanzione amministrativa ed estingue il reato solo perché, ed in quanto, il soggetto riconosciuto
autore e responsabile della violazione penalmente sanzionata si sia “autodichiarato” colpevole procedendo, nel termine assegnato, a regolarizzare, riconducendola a norma sotto un profilo lavoristico, la situazione illecitamente posta in essere.
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3. 2. Ipotesi di “fraudolenza”
Volendo entrare maggiormente nel dettaglio, con riferimento all’ipotesi in cui la
somministrazione fraudolenta sia posta in essere da un soggetto non autorizzato
e non iscritto all’Albo delle Agenzie per il lavoro di somministrazione (I e II
sezione)60, sembra opportuno riflettere su una circostanza non di poco momento.
Non si comprende, in effetti, come possa giustificarsi una somministrazione di
lavoro (a tempo determinato o indeterminato) che si connoti per essere illegale
nel senso di “abusiva” (e cioè svolta da soggetto privo della necessaria autorizzazione ministeriale), senza una finalità chiaramente e speditamente elusiva rispetto alle previsioni normative, di natura contrattuale o legale, in materia di lavoro,
con riguardo al trattamento retributivo, previdenziale ed assicurativo dei lavoratori abusivamente somministrati ed illecitamente utilizzati.
Anzitutto è agevole argomentare sul fatto che utilizzatore e somministratore, per
il solo fatto di aver posto in essere il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro
al di fuori delle condizioni di liceità espressamente e tassativamente sancite dal
decreto legislativo n. 276/2003, mostrano l’intento di voler “by-passare” gli obblighi normativi generali in materia di assunzione e di collocamento della manodopera, oltre ché di trattamento retributivo e previdenziale dei lavoratori occupati.
Allora, bisogna inquadrare meglio l’ambito di operatività della somministrazione
fraudolenta che potrà trovare presupposto sostanziale in ogni e qualsivoglia ipotesi di somministrazione di manodopera illecita, abusiva o irregolare, ma che di fatto
opererà concretamente soltanto nei casi in cui la magistratura inquirente o gli ufficiali di polizia giudiziaria incaricati delle indagini riescano a raccogliere elementi atti
a dimostrare o a porre in rilievo61 la partecipazione dolosa specifica della fraudolenza del comportamento tenuto, comunque penalmente rilevante62.
Tuttavia, come si accennava, le ipotesi in cui l’articolo 28 del decreto legislativo n.
276/2003 sembra avere più peso specifico sono quelle nelle quali il soggetto attivo del reato è un’agenzia di somministrazione perfettamente regolare.
Si ha somministrazione fraudolenta, allora, anche in presenza di una somministrazione in sé e per sé perfettamente lecita e regolare, perché attuata con soggetto legalmente autorizzato e iscritto all’Albo delle agenzie per il lavoro, ma eseguita e realizzata in piena elusione di legge o di norme contrattuali63, come, a titolo
di esempio nei casi di:
una “presa in carico” ai sensi e per gli effetti dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 276/2003, laddove il somministratore, potendo venire meno in tali ipotesi
all’obbligo di parità di trattamento (articolo 23, commi 1 e 2), si avvalga di tale
operazione contrattuale più volte in tempi ravvicinati;
un lavoratore svantaggiato che viene fatto dimettere per essere poi assegnato
all’ex datore di lavoro in seguito a somministrazione di lavoro, con trattamento
normativo ed economico inferiore ai sensi del menzionato articolo 13;
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una somministrazione a tempo indeterminato che viene più volte riproposta presso lo stesso utilizzatore da una o più agenzie di somministrazione, con l’effetto di
dare vita a singoli periodi di somministrazione, di fatto a tempo determinato, in
ipotesi in cui la ditta utilizzatrice applica un contratto collettivo di lavoro che stabilisce un limite quantitativo alla somministrazione a tempo determinato di fatto
superato con l’artificio fraudolento.
Un’ulteriore ipotesi di somministrazione fraudolenta viene evidenziata, in linea
generale, dallo stesso Ministero del lavoro nella Circolare 22 febbraio 2005, n.
7, con riferimento alla somministrazione a tempo determinato64.
Secondo le indicazioni ministeriali, infatti, nel “fare ricorso alla somministrazione a
tempo determinato in tutte le circostanze, individuate dall’utilizzatore sulla base di
criteri di normalità tecnico-organizzativa ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali
non si potrà esigere, necessariamente, l’assunzione diretta dei lavoratori alle
dipendenze dell’utilizzatore e nelle quali, quindi, il ricorso alla somministrazione di
lavoro non assume la finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto
collettivo. Diversamente, infatti, la somministrazione potrebbe integrare una ipotesi di somministrazione fraudolenta ai sensi dell’articolo 28 del decreto legislativo n. 276/2003”.
3. 3. Il som m inistratore “fraudolento”
In effetti, una lettura ampia della norma, nel senso ora esemplificato, che consente di tracciare un profilo soggettivo del somministratore particolarmente largo
(dall’abusivo al regolarmente autorizzato), sembra trovare una conferma testuale
nel riferimento letterale fatto dal legislatore al “somministratore” sic et simpliciter,
senza alcuna specificazione, quindi anche all’agenzia effettivamente autorizzata,
rispetto alla quale, quindi, l’articolo 28 pare acquisire una sfera di applicabilità efficace ed efficiente, senza aprioristiche esclusioni.
L’evidenza dell’importanza di tale lettura della norma si comprende, peraltro, soltanto riflettendo sull’estensione reale delle finalità elusive, che integrano il reato
de quo, a tutte le tutele inderogabili (di legge o di contratto) relative ai lavoratori
che si trovano ad essere “somministrati” dal proprio datore di lavoro presso altro
datore di lavoro dal quale finiscono, di fatto, per essere eterodiretti e gestiti, con
trattamenti retributivi e previdenziali senza dubbio meno garantistici rispetto a
quelli dovuti.
La frode della somministrazione regolare o abusiva che il legislatore intende punire, infatti, seppure legata alla tutela del lavoratore somministrato65, si estende a
tutti i profili di protezione che le disposizioni legali e contrattuali gli riconoscono:
retributivo, assicurativo, previdenziale e normativo.
La formulazione della norma, in termini significativamente ampi, peraltro pare affidare alla somministrazione fraudolenta un ruolo nuovo e di assoluto rispetto nel
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panorama sanzionatorio delle diverse fenomenologie esternalizzanti, giacché di
somministrazione fraudolenta, ai sensi dell’articolo 28 del decreto legislativo n.
276/2003, potrà pure parlarsi, ad avviso di chi scrive66, anche quando, al fine
di eludere tutti o alcuni dei diritti inderogabili dei lavoratori, si realizzano ipotesi di
appalto (articolo 29) o di distacco (articolo 30) che configurano, in realtà, una
interposizione illecita di manodopera67.
In questa prospettiva, fatte salve le sanzioni penali introdotte dal decreto legislativo n. 251/2004, all’articolo 18, comma 5-bis, pseudo-committente e pseudodistaccatario68 potrebbero vedersi puniti con l’ulteriore ammenda di 20 euro per
giornata di occupazione e per lavoratore occupato, con la conseguente applicazione della prescrizione obbligatoria (articolo 15, decreto legislativo n. 124/2004)
alla immediata regolarizzazione dei lavoratori, impiegati in un appalto ovvero
distaccati senza i requisiti previsti dalla legge, per effetto della nullità del contratto in frode alla legge.
Permangono, peraltro, alcuni profili di incertezza e di sicura criticità, in tale ipotesi, per quanto concerne la necessaria lettura in combinato disposto degli articoli
21, comma 4, 28, 29, comma 3-bis, e 30, comma 4-bis, del decreto legislativo
n. 276/2003, giacché le ultime due norme richiamate, ripetendo la formula già
stabilita dall’articolo 27, comma 1, per le ipotesi di somministrazione irregolare,
stabiliscono in capo ai lavoratori interessati dallo pseudo-appalto o dal distacco illecito, la facoltà di adire il Giudice del lavoro per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dello pseudo-committente ovvero dallo pseudo-distaccatario, in
qualità di datore di lavoro effettivo.
In realtà, sembra potersi ragionevolmente insistere in una riconduzione dell’analisi giuridica del fenomeno interpositorio fraudolento nel senso qui indicato, per
effetto della diversa gravità della condotta fraudolenta, rispetto a quella meramente illecita, analogamente a quanto accade, secondo la lettura proposta, in merito
alla somministrazione abusiva che si connota in termini di fraudolenza.
Nel caso in cui il distacco e l’appalto siano semplicemente privi dei requisiti di liceità legalmente stabiliti dai rispettivi primi commi degli articoli 29 e 30 scatterà
l’ipotesi di reato di cui all’articolo 18, comma 5-bis, con il riconoscimento in capo
al lavoratore interessato della titolarità all’esercizio di una azione costitutiva del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore illecito (committente o distaccatario fasullo).
Al contrario, nel diverso caso in cui la fattispecie concretamente realizzatasi emerga in tutti i suoi connotati come “via di fuga” preventivamente e volutamente scelta per eludere le tutele inderogabili di legge e di contratto collettivo, gli organismi
di vigilanza ministeriali (nelle vesti di ufficiali di polizia giudiziaria) e l’Autorità giudiziaria potranno procedere a contestare il diverso reato di “somministrazione fraudolenta” di cui all’articolo 28, proprio in virtù dell’ampiezza lessicale e strutturale
della norma, già più sopra segnalata.
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In questo senso, d’altro canto, sembrerebbe deporre anche l’orientamento del
Ministero del lavoro, così come manifestato nella richiamata Circolare n.
7/200569, laddove si afferma espressamente, con riguardo al distacco che “nell’ipotesi in cui la somministrazione senza autorizzazione si concretizzi in assenza
di un contratto scritto, il contratto di somministrazione deve comunque ritenersi
nullo e i lavoratori sono considerati alle dirette dipendenze dell’utilizzatore e questo indipendentemente dalla convinzione che l’invio del lavoratore presso il terzo
integra la diversa ipotesi del distacco”.
Analogamente, la stessa Circolare stabilisce con riguardo all’appalto, prevedendo
che “nell’ipotesi in cui la somministrazione senza autorizzazione si concretizzi in
assenza di un contratto scritto, il contratto di somministrazione deve comunque ritenersi nullo e i lavoratori sono considerati alle dirette dipendenze dell’utilizzatore e
questo indipendentemente dalla supposta qualificazione del contratto come appalto”.
Ne deriva, dunque, secondo l’interpretazione ministeriale, che il distacco e l’appalto illecito, anche qualora non rivestano un fraudolento convincimento, possono
concretizzarsi in una somministrazione nulla perché senza contratto scritto.
A maggior ragione, pertanto, seguendo il ragionamento qui esposto, quando a
fronte di tale fattispecie si individuano anche i caratteri della fraudolenza dell’azione in capo al solo utilizzatore effettivo o ad entrambi i soggetti attivi del reato di
interposizione illecita.70
Tab. 3. Som m inistrazione fraudolenta
ILLECITO
SANZIONE
Art. 28 D. Lgs. 276/2003
Per avere posto in essere
la somministrazione con la
specifica finalità di eludere
norme inderogabili di legge
o di contratto collettivo.
(somministratore e utilizzatore)
Art. 28 D. Lgs. 276/2003
Ammenda di euro 20 per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.
Prescrizi one obbl i gatori a ( art. 15, D.Lgs. n. 124/2004) : è applicabile, il personale ispettivo procederà a prescrivere la cessazione del comportamento illegale e il ripristino immediato della legalità, ordinando al somministratore fraudolento l’immediata cessazione della fornitura di manodopera
(prescrizione “interdittiva”) e all’utilizzatore fraudolento l’ordine di provvedere ad assumere regolarmente i lavoratori illecitamente occupati alle proprie
dipendenze (contratto nullo perché in frode alla legge); sanzione pari a 5
euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione
Obl azi one ( art. 162 c.p.) : può essere ammessa, sanzione pari a 6,66 euro
per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione
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4. Som m inistrazione irregolare (art. 27, D. Lgs. n. 276/2003)
Il D.Lgs. n. 276/2003 parla di “somministrazione irregolare” con riferimento alle
ipotesi in cui la somministrazione avviene “al di fuori dei limiti e delle condizioni di
cui agli articoli 20 e 21, lettere a), b), c), d) ed e)” (art. 27, comma 1).
Le conseguenze di tale comportamento “irregolare” da parte di utilizzatore e somministratore operano su due diversi piani.
Su un piano sanzionatorio entrambi saranno soggetti alla sanzione amministrativa
pecuniaria di cui all’art. 18, comma 3, prevista nell’importo da 250 a 1250 euro
(sanzione ridotta pari a 416,66 euro).
Su un piano strettamente giuslavoristico, invece, il lavoratore potrà presentare
ricorso al Tribunale quale Giudice del lavoro (art. 414 c.p.c.) nei confronti dell’utilizzatore che ne ha utilizzato le prestazioni lavorative ai fini di ottenere il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di questi, con
effetto fin dal sorgere della somministrazione.
Il Giudice, quanto ai presupposti, dovrà, peraltro, limitare il proprio controllo all’accertamento della esistenza delle ragioni che consentono la stipula di un contratto
di somministrazione a termine ovvero a tempo indeterminato, senza peraltro
entrare nel merito di “valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che
spettano all’utilizzatore” (art. 27, comma 3).
Da ultimo il decreto di riforma stabilisce, implicitamente, che nessun’altra sanzione civile né amministrativa potrà essere irrogata all’utilizzatore con riferimento agli
aspetti previdenziali ovvero alla costituzione e alla gestione del rapporto di lavoro.
Per quanto riguarda i contributi e la retribuzione dovuti i pagamenti già effettuati
dal somministratore, infatti, valgono a liberare l’utilizzatore fino alla concorrenza
delle somme versate.
Sotto l’altro aspetto gli atti compiuti per la costituzione e la gestione del rapporto
dal somministratore si intendono compiuti dall’utilizzatore che viene riconosciuto
datore di lavoro effettivo (art. 27, comma 2).
4. 1. I riflessi civilistici della som m inistrazione irregolare
Nell’esaminare le vicende relative alla sanzionabilità in sede civile della somministrazione irregolare vi è da domandarsi, anzitutto, se tale “irregolarità” emerga
soltanto da una reale ed effettiva utilizzazione dei lavoratori somministrati oppure
possa derivare dalla mera stipulazione del contratto.
In realtà, sotto questo profilo, il contratto di somministrazione può ben essere
dichiarato nullo, a prescindere da qualsiasi reale utilizzazione dei lavoratori somministrati da parte dell’utilizzatore.
Mentre per potersi discutere di somministrazione irregolare è necessario, a rigore di norma, che la somministrazione di lavoro “avvenga” e pertanto che essa sia
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concretamente posta in essere e l’utilizzatore si avvantaggi materialmente delle
prestazioni lavorative dei lavoratori somministrati, al di fuori dei limiti e delle condizioni previste dalla legge (art. 27, comma 1).
Il D.Lgs. n. 276/2003 prevede che, tanto in caso di somministrazione nulla (art.
21, comma 4), quanto nelle ipotesi di somministrazione irregolare (art. 27,
comma 1), il lavoratore che sia stato assegnato in somministrazione presso il singolo utilizzatore venga considerato alle dipendenze dirette di quest’ultimo quale
effettivo ed esclusivo datore di lavoro.
Si ritiene dunque che il contratto di lavoro originario fra lavoratore somministrato
e agenzia di somministrazione rimanga sostanzialmente valido, tuttavia opera ex
lege un “trasferimento” della titolarità del contratto di lavoro stesso, nelle forme
e nei contenuti originari, in capo all’utilizzatore.
L’art. 27, comma 2 prevede che i pagamenti delle retribuzioni, dei contributi e dei
premi effettuati dal somministratore liberano l’utilizzatore (adempimento del terzo,
art. 1180 cod. civ.), tuttavia è ipotizzabile che in forza del contratto commerciale nullo o irregolare l’agenzia di somministrazione possa agire nei confronti dell’utilizzatore per la ripetizione dell’indebito soggettivo (art. 2036 c.c.) ovvero, più giustificatamente, per arricchimento senza causa (art. 2041 c. c.).
Nessuna sanzione amministrativa sarà applicata all’utilizzatore con riferimento
all’obbligo di comunicazione di assunzione ovvero di consegna della dichiarazione
di assunzione o ancora di registrazione nei libri obbligatori di lavoro o di consegna
dei prospetti paga, in quanto, ai sensi dell’art. 27, comma 2, “tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il
periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come
compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione”.
Troveranno tuttavia esplicita applicazione le sanzioni amministrative pecuniarie
previste dall’art. 18, comma 3 per gli illeciti scaturenti dalla irregolare stipulazione e gestione del contratto di somministrazione.
Trattandosi di un’azione giudiziaria che comporta inevitabilmente l’indagine sul concreto svolgimento dei rapporti di lavoro dei lavoratori somministrati a seguito del
contratto di somministrazione di lavoro, non sembrano esserci dubbi circa la
riconducibilità della controversia nell’alveo dell’art. 409, n. 1 c.p.c., in relazione
all’oggetto (“rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio di un’impresa”): competente a decidere della controversia sarà pertanto il
Tribunale, in veste monocratica, in funzione di Giudice del lavoro.
Peraltro in tal senso si esprime testualmente l’art. 27, comma 1 del D.Lgs. n.
276/2003 allorché stabilisce che il lavoratore somministrato possa agire per il
riconoscimento dell’effettiva titolarità del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore
“mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c.”
Se questa è la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 276/2003 con riferimento alla
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tutela diretta del lavoratore somministrato che in tal modo ottiene il riconoscimento dell’effettiva sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze del soggetto datoriale che ne ha utilizzato integralmente le prestazioni lavorative, inserendolo nella propria organizzazione aziendale, occorre anche evidenziare che il medesimo apparato regolativo non opera soltanto nei riguardi della
somministrazione c.d. “irregolare” o in occasione di una somministrazione c.d.
“nulla”, per nullità del contratto, ma piuttosto in ogni caso di somministrazione illecita o, ancora, di interposizione illecita.
In effetti, come è stato detto, l’art. 27, comma 1 del D.Lgs. n. 276/2003 è chiamato “a presidiare il rispetto dei confini tra somministrazione e appalto ovvero tra
somministrazione e comando. Infatti, anche nel caso in cui nelle fattispecie di confine manchi alcuno degli elementi costitutivi di tali altre tipologie contrattuali si ricadrà in una somministrazione di lavoro ovviamente posta in essere da parte di soggetto privo dei requisiti formali richiamati dall’art. 20, comma 1 e, quindi, oltre
che “irregolare” anche illecita (art. 18, commi 1 e 2)”71.
E allora l’art. 27, comma 1 soccorre ora l’interprete rispetto alla coerenza, sebbene dentro nuovi limiti e per altre prospettive, del vecchio meccanismo previgente contenuto nell’art. 1, comma 5 della legge n. 1369/1960.
Il nuovo apparato normativo stabilisce, in effetti, che il lavoratore ha la facoltà di
chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del c.p.c notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di
un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della
somministrazione.
Una differenza sostanziale e di non scarso significato deve tuttavia saltare agli
occhi dell’operatore, nel confrontare l’art. 27, comma 1, del D.Lgs. n.
276/2003 con l’art. 1, comma 5 della legge n. 1369/1960: per fare scattare
la sanzione civile della ricostruzione del rapporto di lavoro subordinato in capo
all’utilizzatore ora il lavoratore deve avanzare apposita domanda giudiziale, in precedenza, invece, riconosciuta l’illiceità o l’illegittimità dell’interposizione di manodopera scattava automaticamente l’apparato sanzionatorio e i lavoratori venivano
“considerati a tutti gli effetti” alle dipendenze dell’effettivo imprenditore-utilizzatore.
Peraltro si tenga presente quanto già anticipato in materia di somministrazione
vietata (che rientra appieno fra i casi di somministrazione irregolare), e cioè l’opinione72, qui pienamente condivisa, secondo cui la previsione della legittimazione
esclusiva del lavoratore ad esercitare l’azione processuale per la costituzione del
rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore irregolare non esclude la legittimazione di soggetti terzi (rispetto al rapporto di lavoro), come gli istituti previdenziali o lo stesso somministratore, nel promuovere una azione rivolta a fare accertare la sussistenza del rapporto di lavoro – fra lavoratore irregolarmente somministrato e utilizzatore irregolare – come naturale e indispensabile presupposto per
113
la rivendicazione dell’adempimento di un diritto ovvero per la tutela di diritti soggettivi connessi.
D’altro canto, invece, l’art. 21, comma 4 del decreto di riforma ricollega alla nullità del contratto la sanzione civile affermando che i lavoratori sono considerati alle
dipendenze dell’utilizzatore, senza riferimenti ad azioni o a domande giudiziali da
proporre.
Guardando allora meglio alla fattispecie negoziale si deve individuare il contratto di
somministrazione nullo perché illecito o illegittimo che, qualora si leggesse l’art.
27, comma 1 nei termini anzidetti, relativamente alla necessità di una specifica
azione processuale, resta in vita se un soggetto terzo rispetto al contratto (il lavoratore somministrato) non agisce per farne scaturire l’effetto predeterminato
dalla legge della ricostruzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dirette e
immediate dipendenze dell’utilizzatore.
Piuttosto, sembra doversi leggere la norma in argomento quale mera norma di
carattere processuale73, volta ad individuare la posizione del lavoratore quale
unico soggetto legittimato a far accertare giudizialmente la natura interpositoria
della somministrazione posta in essere.
Il rapporto di lavoro fra lavoratore somministrato e utilizzatore viene costituito con
effetto retroattivo, da qui la considerazione secondo cui non soltanto il contratto
di somministrazione è caducato per nullità, ma lo stesso contratto di lavoro somministrato (fra agenzia e lavoratore) verrà travolto per una nullità di riflesso.
Sebbene l’art. 27, comma 2 stabilisca che su un piano squisitamente pratico, gli
effetti regolativi prodotti dal contratto di lavoro originario permangono sotto ogni
profilo (documentale, previdenziale, retributivo): tutti i pagamenti effettuati dal
somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a
liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito
corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli
atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto,
per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono
come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione
Da ultimo si sottolinea ulteriormente che l’art. 27, comma 3 sembra stabilire un
limite significativo al sindacato del giudice del lavoro chiamato a giudicare della
sussistenza del rapporto di lavoro fra lavoratore somministrato e utilizzatore: ai
fini della valutazione delle ragioni di cui all’articolo 20, commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro il controllo giudiziale è limitato esclusivamente,
in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all’utilizzatore.
In realtà, il controllo giudiziale rimane quello ordinariamente operante nel nostro
114
ordinamento giuridico, con riferimento a tutti gli atti che siano espressione della
libertà a contrarre dei privati, né parrebbe essere altro il senso del richiamo ai
“principi generali dell’ordinamento” contenuto nella disposizione da ultimo citata.
Sul punto la Circolare n. 7/2005 del Ministero del Lavoro ha inteso precisare che
“il controllo giurisdizionale è limitato alla sola valutazione della esistenza delle condizioni che rendono possibile il ricorso alla somministrazione ai sensi della disciplina di legge vigente, al di là di ogni giudizio di merito o valutazione di un ipotetico
nesso di causalità. Fondamentale è, dunque, l’esplicitazione nel contratto di somministrazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (somministrazione a termine) ovvero delle causali tipizzate dal legislatore o
dalla contrattazione collettiva (somministrazione a tempo indeterminato) che legittimano il ricorso all’istituto. In caso di verifica in sede giurisdizionale della veridicità delle ragioni poste a giustificazione del contratto di somministrazione, l’onere
della prova circa la reale sussistenza delle condizioni di legittima stipulazione del
contratto di somministrazione ricadono pertanto sull’utilizzatore della prestazione
lavorativa”.
4. 2. Sanzioni am m inistrative per la som m inistrazione irregolare
Per quel che attiene ai profili di sanzionabilità in sede amministrativa, ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto legislativo n. 276/2003, le ipotesi di illecito
amministrativo che vengono prese in considerazione dalla norma interessano contestualmente, quali corresponsabili personali e diretti, sia il somministratore che
l’utilizzatore.
La sanzione pecuniaria amministrativa, infatti, colpisce entrambi i soggetti per le
violazioni di carattere formale74 che attengono alla stipula di un contratto di somministrazione irregolare.
Fa eccezione soltanto l’ipotesi della omessa effettuazione della comunicazione scritta al lavoratore somministrato, all’inizio dell’incarico di somministrazione e del conseguente invio presso l’utilizzatore, in quanto tale obbligo è posto in capo dal legislatore al solo somministratore, che pertanto risponde dell’eventuale omissione.
La irregolare stipula dei contratti di somministrazione di lavoro, a termine o a
tempo indeterminato, posti in essere dalle aziende utilizzatrici e dalle agenzie di
somministrazione, senza rispettare i limiti e i criteri legali dettati dagli articoli 20
e 21 del decreto legislativo n. 276/2003, viene, dunque, ad esporre i due contraenti ad una sanzione pecuniaria amministrativa da 250 a 1.250 euro (sanzione pari a 416,66 euro nella misura ridotta determinata ai sensi dell’articolo 16
della legge 24 novembre 1981, n. 689, vale a dire un terzo del massimo edittale), che si applica al somministratore e all’utilizzatore, congiuntamente, in caso di
violazione delle disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 20, nonché dei
commi 1 e 2 dell’articolo 21, mentre si applica al solo somministratore nell’ipote-
115
si di violazione di cui all’articolo 21, comma 375.
Ciò per effetto dell’intervento di modifica ad opera dell’articolo 4, comma 3, del
decreto legislativo n. 251/2004, che ha eliminato l’erronea sanzionabilità delle
ipotesi in cui il contratto di somministrazione viene ad essere stipulato con un
somministratore a ciò non preventivamente autorizzato.
Dall’originaria elencazione contenuta nella prima versione dell’articolo 18, comma
3, che comprendeva anche un riferimento all’articolo 20, comma 1, si palesava
un sicuro problema di coordinamento con la previsione dell’articolo 18, commi 1
e 2, del decreto legislativo n. 276/2003 in materia di somministrazione non
autorizzata (abusiva) e di utilizzazione illecita.
In effetti, dall’illecito amministrativo relativo alla stipula di un contratto di somministrazione con un somministratore non autorizzato non poteva non scaturire
anche la contravvenzione richiamata: il contratto concluso con soggetto non autorizzato è l’atto formale mediante il quale viene conclamata la somministrazione
abusiva, penalmente sanzionata in uno con l’utilizzazione illecita dei lavoratori abusivamente somministrati.
Vi era da chiedersi, allora, se il sistema sanzionatorio in materia di somministrazione potesse legittimamente prevedere l’incorrere del somministratore non autorizzato, e dell’utilizzatore che a questi si rivolga, in due reazioni sanzionatorie differenti da parte dell’ordinamento giuridico (una di natura penale e una amministrativa) ovvero in una tipologia soltanto di sanzioni e, se del caso, quale.
Sul punto avrebbe potuto sovvenire l’articolo 9, comma 1 della legge n.
689/1981, laddove stabilisce che quando un medesimo fatto è punito contestualmente da una disposizione penale e da una norma che prevede una sanzione amministrativa “si applica la disposizione speciale”76, tuttavia non appariva univocamente individuabile il criterio di specialità in grado di attagliarsi al caso di specie.
Né sembrava invocabile un generico principio di maggiore favorevolezza prevalente per il reo/trasgressore.
Più attinente al nuovo schema sanzionatorio introdotto dal decreto legislativo n.
276/2003 poteva apparire, allora, in extremis, la soluzione della duplicità di
intervento sanzionatorio a carico dei due soggetti datoriali (utilizzatore e somministratore) che da un lato violano la norma penale che tutela i lavoratori e il mercato del lavoro dall’esercizio abusivo della attività di somministrazione, dall’altro trasgrediscono la norma penale-amministrativa che sanziona il comportamento elusivo rispetto agli obblighi legali, nella consapevolezza che la punibilità della fattispecie penalmente rilevante risulta legata all’effettiva utilizzazione dei lavoratori interessati, mentre la violazione amministrativa scaturiva dal mero accordo negoziale
fra i due soggetti agenti77.
Ma anche questa ricostruzione non convinceva appieno78, ragione per cui, raccogliendo gli inviti della dottrina, il decreto correttivo ha operato un utile riassetto
116
normativo sul punto specifico, eliminando dall’alveo della sanzionabilità amministrativa questa ipotesi che rientra così, assai opportunamente, nel solo ambito di illegalità penalmente rilevante, ponendo rimedio al bis in idem derivante dalla previsione di due tipologie di sanzioni, differenti per natura, scopo e contenuto, per una
identica condotta antigiuridica.
Individuiamo, dunque, le singole fattispecie di illecito amministrativo previste dalla
riforma in carico ad entrambi i soggetti, dopo l’intervento del decreto legislativo n.
251/2004.
Anzitutto, rileva l’ipotesi del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato concluso al di fuori dei casi in cui lo stesso è espressamente e tassativamente ammesso (articolo 20, comma 3).
Si tratta non già di una “deroga”79 all’ambito di applicazione della tutela penalistica sopra esaminata, ma piuttosto della costruzione della illiceità della somministrazione di lavoro su due livelli ben distinti.
Da un lato si colloca l’esercizio abusivo, perché non autorizzato, della attività di
somministrazione e, parallelamente, il ricorso ad una utilizzazione illecita dei lavoratori somministrati abusivamente (sanzione penale, articolo 18, commi 1 e 2).
Dall’altro lato si pone, invece, la somministrazione posta in essere da un soggetto comunque regolarmente autorizzato, ma in un caso diverso da quelli previsti
astrattamente dalla norma e comunque non riconducibile ad essi (sanzione amministrativa, articolo 18, comma 3).
Analogamente, risulta sanzionata la stipula di un contratto di somministrazione di
lavoro a tempo determinato senza indicazione delle ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo legittimano (articolo 20, comma 4).
Ripercorrendo lo schema dualistico poc’anzi riassunto, anche in questo caso l’illecito amministrativo si affianca a quello penale, ma non ne determina in alcun
modo i confini.
Ben è vero, tuttavia, che questa seconda ipotesi di violazione amministrativa deve
legittimamente qualificarsi come una “depenalizzazione” rispetto al previgente articolo 10, comma 1, della legge 24 giugno 1997, n. 196, a norma del quale la
fornitura di lavoro temporaneo al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge ricadeva, anche se posta in essere da soggetto autorizzato, nell’alveo della interposizione illecita di manodopera e, quindi, nella sfera di applicazione della reazione
punitiva di natura penale.80
Peraltro, va opportunamente segnalato che la violazione ora esaminata ben difficilmente, sotto un profilo strettamente pratico ed operativo, potrà trovare uno
spazio applicativo evidente. In effetti, salva l’ipotesi, piuttosto inusuale, di assoluta
mancanza di indicazione delle ragioni giustificatrici, è inverosimile che il personale
ispettivo del Ministero del lavoro possa concretamente individuare l’infondatezza
delle ragioni comunque addotte, se non nelle rare occasioni in cui accertino l’in-
117
sussistenza, oggettiva e conclamata, dei parametri assunti a riferimento (ad es.
somministrazione a termine per ragioni organizzative legate ad un nuovo ciclo
organizzativo-produttivo che risulta, di fatto, mai avviato nell’azienda ispezionata).
Altra ipotesi di illecito amministrativo è quella relativa alla conclusione di un contratto di somministrazione nei casi in cui esso è tassativamente vietato dalla
legge, vale a dire nelle situazioni di sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; di somministrazione presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o in cui sia operante
una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, riguardo a lavoratori adibiti alle stesse mansioni; di
somministrazione senza previa effettuazione della valutazione dei rischi (articolo
20, comma 5).
Anche qui, se si vuole, può parlarsi di una sorta di ottica depenalizzante posta in
essere dal legislatore, almeno con riferimento al regime previgente secondo cui
la società fornitrice di lavoro temporaneo in costanza di divieto legale veniva automaticamente ad essere penalmente sanzionata alla stregua di un qualsiasi interpositore illecito ai sensi della abrogata legge n. 1369/1960.
Ancora una sanzione amministrativa che sostituisce una precedente ipotesi di
reato è quella relativa alla stipula di un contratto di somministrazione di lavoro
senza forma scritta ovvero senza la precisa indicazione degli elementi prescritti
dal primo comma dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 276/2003.
Invero, volendo fare il punto sulle ipotesi di illecito amministrativo “depenalizzanti”
ora cennate, va significato che il più generale orientamento “sostanzialistico” e
non “formalistico” del complessivo impianto normativo riformatore ha inteso privilegiare una tutela “reale” per i lavoratori coinvolti (articoli 21, comma 4, e 27,
comma 1), graduata a seconda delle “irregolarità” manifestate dai due datori di
lavoro (quello di diritto, somministratore, e quello di fatto, utilizzatore), a fronte di
una opzione sanzionatoria volta a punire con la reazione di tipo penale soltanto i
comportamenti legati all’abusivismo e concretatisi in una somministrazione illecita, residuando una responsabilità solo amministrativa (accanto alla persistente
responsabilità civile e lavoristica) per le violazioni comunque estranee all’esercizio
non autorizzato della attività in questione.
D’altro canto, mentre con riguardo alle fattispecie ora argomentate nel previgente regime operava ben è vero una sanzione penale, ma soltanto in capo alla società fornitrice, nel nuovo sistema sanzionatorio la violazione amministrativa trova,
come detto, in entrambi gli autori dell’operazione commerciale-lavoristica81 i soggetti responsabili da assoggettare a specifica sanzione (somministratore e utilizzatore).
Un ulteriore caso di illecito amministrativo imputabile ad entrambi i soggetti datoriali viene preso in considerazione dall’articolo 18, comma 3, quello della conclu-
118
sione di un contratto di somministrazione di lavoro senza il necessario adeguamento ed il contestuale recepimento relativo alle indicazioni contenute nei contratti collettivi (articolo 21, comma 2).
Si tratta di una violazione ben individuabile anche in sede di verifica ispettiva, a
seguito del raffronto fra le discipline specifiche previste dalla contrattazione collettiva di riferimento e il contratto di somministrazione sottoposto ad indagine
ispettiva.
L’ultima fattispecie di illecito amministrativo riguarda, invece, il solo somministratore e consiste nella omessa comunicazione scritta al lavoratore di tutte le informazioni relative al contratto, compresa la data di inizio e la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore, all’atto della stipula del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’azienda utilizzatrice, prima dell’effettivo inizio
della prestazione lavorativa.
Peraltro, si pone una questione di coordinamento sistematico fra la disposizione
de qua, dettata dall’articolo 21, comma 3, del decreto legislativo n. 276/2003,
e quella contenuta nell’articolo 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 21 aprile
2000, n. 181, come modificato dall’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, relativa all’obbligo di consegna della dichiarazione di assunzione.
Entrambe le norme considerate, in effetti, prevedono un obbligo di informazione
nei confronti del lavoratore ed entrambe si rivolgono al datore di lavoro che, nel
contratto di somministrazione, è rappresentato dalla sola agenzia di somministrazione, richiedendo identici contenuti informativi.
Stante la diversa previsione sanzionatoria di cui all’articolo 19, comma 2, prevista per la dichiarazione di assunzione (da 250 a 1.500 euro, pari a 500 euro
nella misura ridotta ex articolo 16 della legge n. 689/1981), l’interprete e l’operatore devono chiedersi se tale ipotesi di illecito risulti doppiamente sanzionata
oppure se il somministratore che ometta di fornire tempestivamente al lavoratore le informazioni sul concreto svolgimento del rapporto di lavoro presso un utilizzatore sia sanzionabile soltanto con la sanzione amministrativa prevista per
l’omessa consegna della dichiarazione di assunzione.
Invero, se così fosse non si comprenderebbe per quale ragione il legislatore
abbia voluto specificatamente sanzionare con ammontare differente tale inadempimento ove commesso dal somministratore e, soprattutto, apparirebbe anomala la discrasia normativa del decreto legislativo n. 276/2003 sul punto in
esame.
Soluzione maggiormente sensata, in chiave sistematica, pertanto, pare essere
quella di intendere differenziati i due adempimenti e conseguentemente singolarmente sanzionati, per il fatto di dover contenere la comunicazione ex articolo 21,
comma 3, dati aggiuntivi rispetto alla dichiarazione di cui all’articolo 4-bis,
119
comma 2, del decreto legislativo n. 181/2000, quali, ad esempio, gli estremi
dell’autorizzazione del somministratore e le ragioni oggettive del contratto.
D’altra parte a sostegno di tale interpretazione soccorre il dato di fatto che mentre la dichiarazione di assunzione sarà una ed una soltanto per tutta la durata
del rapporto di lavoro, la comunicazione in argomento potrà essere dovuta al
lavoratore somministrato in molteplici occasioni, se durante il proprio rapporto
alle dipendenze della medesima agenzia di somministrazione sarà chiamato a
prestare attività lavorativa presso più utilizzatori.
Quanto alla applicabilità dell’istituto della diffida, di cui all’articolo 13 del decreto
legislativo n. 124/2004, occorre segnalare anzitutto che lo stesso risulta operativo, secondo le indicazioni fornite dal Ministero del lavoro con la circolare 24
giugno 2004, n. 24, con riferimento ai soli illeciti amministrativi accertati le cui
inadempienze risultino “comunque sanabili”.
Nelle ipotesi trattate dall’articolo 18, comma 3, pertanto, la diffida potrà operare con riferimento alla violazione dell’obbligo di inserire nel contratto scritto di
somministrazione il contenuto di cui all’articolo 21, comma 1, lettere f)-k), del
decreto legislativo n. 276/2003, in quanto in tali casi la tutela sostanziale dei
lavoratori è senza dubbio recuperabile. Analogamente si ritiene nelle ipotesi in cui
il contratto di somministrazione debba essere integrato con le indicazioni contenute nella contrattazione collettiva (articolo 21, comma 2) ovvero nei casi di
omessa consegna della comunicazione di somministrazione al lavoratore (articolo 21, comma 3).
Tuttavia il Ministero del Lavoro con la propria Circolare 23 marzo 2006, n. 9 ha
stabilito che la diffida ex art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004 potrà essere applicabile soltanto nelle ipotesi di somministrazione priva del contenuto facoltativo (art.
21, comma 1, lett. f-k) e di mancata consegna al lavoratore della comunicazione di inizio somministrazione (art. 21, comma 3).
Il datore di lavoro “diffidato” che provveda ad integrare il contenuto contrattuale
ovvero a consegnare la prescritta comunicazione, nel termine assegnato dal personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro, si vedrà ammesso al pagamento di una sanzione “ridottissima”, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del
decreto legislativo n. 124/2004, pari al minimo edittale, vale a dire ad euro
250, con contestuale estinzione del procedimento sanzionatorio.
Per la verità, in astratto, la diffida potrebbe trovare applicazione anche nella violazione amministrativa riguardante l’omessa indicazione dei contenuti di cui all’articolo 21, comma 1, lettere a)-e), sennonché, il legislatore ha previsto in tale ipotesi la facoltà dei lavoratori interessati di domandare all’Autorità giudiziaria la
costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dirette dell’utilizzatore (articolo 27, comma 1), per cui l’eventuale diffida rivolta al datore di lavoro potrebbe, di fatto, incidere negativamente sull’esercizio della facultas agendi da parte
120
dei prestatori di lavoro, minandone il fondamento82, quindi, in ragione dei principi generali dell’ordinamento, è da ritenersi che in tal caso l’illecito amministrativo non possa essere assoggettabile a diffida obbligatoria.
Tab. 4. Som m inistrazione irregolare
ILLECITO
SANZIONE
Art. 20, co. 3 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione a tempo indeterminato vietata.
Per avere concluso un contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato al
di fuori delle ipotesi in cui la stessa è espressamente e tassativamente ammessa
Art. 18 co. 3 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 4 del D.Lgs. n. 251/2004
Sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1250 (utilizzatore e somministratore).
Di ffi da ( art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) : non è applicabile
(Circolare Ministero del Lavoro 23 marzo 2006, n. 9)
Sanzione ri dotta ( art. 16, legge n. 689/1981) : è pari a
416,66 euro.
Codi ce tri buto ( per versamento su Mod. F23) : 741 T
Art. 20, co. 4 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione a termine vietata.
Per avere stipulato un contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato
senza indicazione delle ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo legittimano.
Art. 18 co. 3 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 4 del D.Lgs. n. 251/2004
Sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1250 (utilizzatore e somministratore).
Di ffi da ( art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) : non è applicabile
(Circolare Ministero del Lavoro 23 marzo 2006, n. 9)
Sanzione ri dotta ( art. 16, legge n. 689/1981) : è pari a
416,66 euro.
Codi ce tri buto ( per versamento su Mod. F23) : 741 T
Art. 20, co. 5 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione vietata.
Per avere concluso un contratto di somministrazione nelle ipotesi in cui è tassativamente
vietato: sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi
precedenti, a licenziamenti collettivi o in cui sia
operante una sospensione dei rapporti o una
riduzione dell’orario, con diritto al trattamento
di integrazione salariale, riguardo a lavoratori
adibiti alle stesse mansioni; senza previa effettuazione della valutazione dei rischi.
Art. 18 co. 3 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 4 del D.Lgs. n. 251/2004
Sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1250 (utilizzatore e somministratore).
Di ffi da ( art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) : non è applicabile
(Circolare Ministero del Lavoro 23 marzo 2006, n. 9)
Sanzi one ridotta ( art. 16, l egge n. 689/1981) : è pari a
416,66 euro.
Codi ce tri buto ( per versamento su Mod. F23) : 741 T
121
ILLECITO
Art. 21, co. 1 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 5 del D.Lgs. n. 251/2004
Somministrazione priva di forma.
Per avere stipulato un contratto di somministrazione di lavoro senza forma scritta.
SANZIONE
Art. 18 co. 3 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 4 del D.Lgs. n. 251/2004
Sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1250 (utilizzatore e somministratore).
Di ffi da ( art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) : non è applicabile
(Circolare Ministero del Lavoro 23 marzo 2006, n. 9)
Sanzi one ridotta ( art. 16, l egge n. 689/1981) : è pari a
416,66 euro.
Codi ce tri buto ( per versamento su Mod. F23) : 741 T
Art. 21, co. 1 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 5 del D.Lgs. n. 251/2004
Somministrazione priva del contenuto obbligatorio.
Per avere stipulato un contratto di somministrazione di lavoro senza indicazione degli
elementi prescritti dall’art. 21, comma 1,
lett. a), b), c), d) ed e).
Art. 18 co. 3 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 4 del D.Lgs. n. 251/2004
Sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1250 (utilizzatore e somministratore).
Il lavoratore interessato ha la facoltà di chiedere la
costituzione di un rapporto di lavoro
alle dirette dipendenze dell’utilizzatore (art. 27, co. 1,
D.Lgs 276/03)
Di ffi da ( art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) : non è applicabile
(Circolare Ministero del Lavoro 23 marzo 2006, n. 9)
Sanzi one ridotta ( art. 16, l egge n. 689/1981) : è pari a
416,66 euro.
Codi ce tri buto ( per versamento su Mod. F23) : 741 T
Art. 21, co. 1 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 5 del D.Lgs. n. 251/2004
Per avere stipulato un contratto di somministrazione di lavoro senza indicazione degli
elementi prescritti dall’art. 21, comma 1,
lett. f), g), h), i), j) e k).
Art. 18 co. 3 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 4 del D.Lgs. n. 251/2004
Sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1250 (utilizzatore e somministratore).
Diffi da ( art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) : è applicabile
(Circolare Ministero del Lavoro 23 marzo 2006, n. 9),
sanzione pari a 250 euro
Sanzi one ridotta ( art. 16, l egge n. 689/1981) : è pari a
416,66 euro.
Codi ce tri buto ( per versamento su Mod. F23) : 741 T
122
ILLECITO
SANZIONE
Art. 21, co. 2 D. Lgs. 276/2003
Somministrazione mancato recepimento dei
ccnl.
Per avere concluso un contratto di somministrazione di lavoro senza recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi.
Art. 18 co. 3 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 4 del D.Lgs. n. 251/2004
Sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1250 (utilizzatore e somministratore).
Di ffi da ( art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) : non è applicabile
(Circolare Ministero del Lavoro 23 marzo 2006, n. 9)
Sanzi one ridotta ( art. 16, l egge n. 689/1981) : è pari a
416,66 euro.
Codi ce tri buto ( per versamento su Mod. F23) : 741 T
Art. 21, co. 3 D. Lgs. 276/2003
Comunicazione al lavoratore.
Per avere omesso di comunicare per iscritto
al lavoratore tutte le informazioni relative al
contratto di somministrazione, compresa la
data di inizio e la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore, all’atto
della stipula del contratto di lavoro ovvero
all’atto dell’invio presso l’azienda utilizzatrice.
Art. 18 co. 3 D. Lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 4, co. 4 del D.Lgs. n. 251/2004
Sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1250
(somministratore).
Diffi da ( art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) : è applicabile
(Circolare Ministero del Lavoro 23 marzo 2006, n. 9),
sanzione pari a 250 euro
Sanzi one ridotta ( art. 16, l egge n. 689/1981) : è pari a
416,66 euro.
Codi ce tri buto ( per versamento su Mod. F23) : 741 T
5. Fondi per form azione e integrazione del reddito
(art. 12, D. Lgs. n. 276/2003)
Sotto altro e diverso profilo, con le previsioni dell’art. 12 del D.Lgs. n.
276/2003, viene stabilito, anzitutto, l’obbligo di costituzione di un fondo bilaterale da parte dei soggetti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle imprese di
somministrazione di lavoro.
La norma si presenta, sostanzialmente, quale riproposizione di quanto già prevedeva l’abrogato art. 5 della legge n. 196/1997 con riferimento ai lavoratori temporanei, anche secondo le modificazioni successivamente apportate al testo originario dall’art. 64, comma 1, lett. d) della legge n. 488/1999.
Seguita ad essere previsto che al fondo bilaterale le agenzie di somministrazione
devono versare il 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti a
tempo determinato e analoga percentuale per quelli assunti a tempo indeterminato.83
Il contributo relativo ai lavoratori “somministrati” a tempo determinato è volto ad
attivare iniziative di carattere formativo, in particolare percorsi di riqualificazione
123
e di qualificazione, al fine di incentivare l’occupabilità degli stessi, nonché a prevedere misure di natura previdenziale (Forma.temp secondo l’Accordo del 12 febbraio 2005, nel contesto dell’Accordo quadro del 2 febbraio 2005).
Mentre il contributo versato per i lavoratori oggetto di somministrazione a tempo
indeterminato (Ebiref dal 27 luglio 2005, nel contesto dell’Accordo quadro del 2
febbraio 2005) va a finanziare iniziative che attengono a:
integrazione del reddito dei lavoratori in caso di fine lavori;
verifica dell’efficacia della somministrazione quale forma di contrasto al lavoro
sommerso e agli appalti illeciti;
inserimento o la ricollocazione dei lavoratori svantaggiati nel mercato del lavoro;
percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale.
Tutti gli interventi che potranno essere finanziati dal fondo dovranno essere attuati nel quadro di politiche attive stabilite dalla contrattazione collettiva ovvero, sussidiariamente, dal Ministero del lavoro.
I fondi sono attivati a seguito di autorizzazione del Ministero del Lavoro previe le
necessarie verifiche circa la congruità, l’adeguatezza delle strutture di gestione, la
funzionalità dei criteri operativi e logistici.
Allo stesso Dicastero spetta inoltre la vigilanza sulla gestione dei fondi.
L’omesso versamento dei contributi dovuti al rispettivo fondo (Forma.temp o
Ebiref) è sanzionato in via amministrativa con una sanzione pecuniaria di importo
pari al contributo omesso ed anche l’importo delle sanzioni confluisce nel suddetto fondo.
Si tratta, come è facile notare, del mantenimento di quel modello di ammortizzatore sociale specifico, di natura squisitamente privatistica, chiamato ad occuparsi, contestualmente anche di formazione professionale.
Viene mantenuta, nell’ottica di una nuova rivitalizzazione degli enti bilaterali, la
struttura bilaterale del fondo, con ciò riservando alla contrattazione collettiva la
proposta di costituzione dei fondi stessi, sebbene l’attivazione necessiti di un procedimento autorizzatorio ministeriale, strutturato su una doppia fase di verifica:
ex ante circa il possesso dei requisiti previsti, ex post con riguardo all’attività effettivamente posta in essere84.
Il “raddoppio” dell’onere contributivo omesso viene espressamente qualificato
quale sanzione amministrativa, tuttavia, data la natura squisitamente previdenziale della materia, non vi è dubbio che la previsione di sanzioni amministrative connesse a oneri contributivi e comunque di tipo previdenziale o assistenziale obbligatorio debba seguire i principi e i criteri direttivi di cui all’art. 35 della legge n.
689/1981.
Ben è vero, allora, che ai sensi e per gli effetti dell’art. 116, co. 12 della legge
23 dicembre 2000, n. 388 tutte le sanzioni amministrative relative a violazioni di
tipo previdenziale, connesse ad omissioni contributive, sono state abolite e sosti-
124
tuite con specifiche sanzioni civili.
Se, dunque, quella prevista dall’art. 12, co. 8, D. Lgs. n. 276/2003 è una vera
e propria sanzione amministrativa (così testualmente si esprime la norma) in
materia previdenziale, allora l’art. 116, co. 12, della legge n. 388/2000 perde
la sua conclamata universalità.
Altrimenti delle due l’una: o per una svista la maggiorazione contributiva viene a
caratterizzarsi erroneamente fra le sanzioni amministrative oppure il legislatore
della riforma ha inteso superare la scelta politica abolitrice della finanziaria 2001,
aprendo così un interessante squarcio nel sistema sanzionatorio di tipo previdenziale.
Le difficoltà operative del meccanismo sanzionatorio in argomento si amplificano
anche in ragione della difficile partenza del Fondo destinatario degli importi (il
Fondo Forma.Temp può ricevere soltanto il contributo calcolato sui lavoratori in
somministrazione assunti a tempo determinato, il Fondo Ebiref che riceve i contributi relativi ai lavoratori somministrati assunti a tempo indeterminato è operativo
solo dal luglio 2005).
Tab. 5. Om essi versam enti ai Fondi
OMESSI VERSAMENTI PREVI DENZI ALI AL FONDO PER I LAVORATORI SOMMI NI STRATI
ILLECITO
SANZIONE
Art. 12, co. 1-2, D.Lgs. n. 276/2003
Per non aver effettuato, le agenzie per il
lavoro autorizzate alla somministrazione
di lavoro, i versamenti obbligatori al
Fondo bilaterale del contributo pari al 4
per cento della retribuzione corrisposta
ai lavoratori assunti con contratto a
tempo determinato per l’esercizio di attività di somministrazione ovvero per i
lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato.
Art. 12, co. 8, D.Lgs. n. 276/2003
Sanzione amministrativa pari all’importo del contributo omesso, anche in caso di omissione parziale.
La sanzione amministrativa si aggiunge al pagamento del contributo omesso e alle relative sanzioni “civili”.
125
Sezione II
Appalto e distacco
6. L’apparato sanzionatorio per lo “pseudo-appalto”
Quanto ai profili sanzionatori, occorre rilevare che uno dei principali interventi di
modifica all’impianto sanzionatorio penalistico introdotto originariamente dall’articolo 18 del D.Lgs. n. 276/2003 è dato dall’inserimento all’interno dello stesso
articolo del nuovo comma 5-bis (articolo 4, comma 5, decreto legislativo n.
251/2004), secondo cui: “nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all’articolo
29, comma 1, (…) l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena della
ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell’arresto fino a diciotto mesi e
l’ammenda è aumentata fino al sestuplo”.
Il decreto correttivo ha posto dunque fine alla diatriba, da alcuni alimentata ad
arte, secondo cui l’interposizione illecita di manodopera, scaturente da uno pseudo-appalto non sarebbe stata più da ritenersi sanzionabile, alla luce delle previsioni dell’articolo 18 del decreto legislativo n. 276/2003.
In verità, come pure rilevato dalla dottrina e confermato dalla giurisprudenza di
legittimità, sebbene con opinioni contrarie espresse dalla dottrina minoritaria ed
essenzialmente dalla giurisprudenza di merito85, alla rilevanza penale e alla meritevolezza di tutela costituzionalmente orientata per l’ipotesi di interposizione illecita nelle ipotesi di un appalto di opere o di servizi privo dei requisiti di legge o anche
di distacco senza i caratteri di liceità predeterminati, si poteva giungere già nella
prima versione del decreto attuativo della legge n. 30/200386.
In via generale, non può non riconoscersi che il comportamento che integra la fattispecie contravvenzionale della interposizione illecita di manodopera risulta sanzionabile in forza dell’articolo 18, commi 1 e 2, risolvendosi (di fatto) la condotta
penalmente rilevante nella concretizzazione di una somministrazione di manodopera al di fuori degli schemi legali oggi previsti dal legislatore.
D’altra parte la liceità odierna della somministrazione di manodopera, anche a
tempo indeterminato, rimane comunque condizionata al rispetto pieno ed integrale delle previsioni normative dettate dal legislatore della riforma e, per l’effetto, alla
ricorrenza di tutti e soli i requisiti stabiliti dal decreto legislativo n. 276/2003,
mancando i quali scattano le disposizioni sanzionatorie introdotte dal medesimo
decreto.
Lo stesso testo del decreto legislativo n. 276/2003, d’altra parte, fa richiamo
esplicito alla nozione di interposizione illecita o di appalto illecito in due diversi
punti:
- all’articolo 12, comma 2, lettera b), viene espressamente evidenziato che una
quota del contributo versato dalle agenzie di somministrazione viene destinata alle
126
azioni di lotta e di contrasto “agli appalti illeciti”;
- all’articolo 84, comma 2, dove la locuzione “interposizione illecita” figura perfino
nella rubrica, si affida al Ministro del lavoro il compito di dettare “codici di buone
pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino,
che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e
della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore”.
Non v’è chi non veda, peraltro, che l’appalto di mere prestazioni di lavoro è, di
fatto, sotto un profilo giuridico, una fornitura abusiva di manodopera: in questo
senso espressamente lo stesso Ministero del lavoro nella Circolare 21 febbraio
2005, n. 787.
Lo pseudo-appaltatore che attua il fenomeno interpositorio illecito viola precise
norme inderogabili di legge, quali sono quelle che regolamentano il contratto di
appalto: si osservi, specificamente, che lo stesso articolo 29, nel disciplinare l’appalto, si rivolge, in incipit all’intero titolo III del decreto, distinguendo, appositamente, l’appalto dalla somministrazione di lavoro, ai fini della applicazione delle sanzioni previste per le ipotesi di somministrazione illecita.
In questo senso si sono espressi precisamente i giudici della Suprema Corte,
affermando che “se si tiene presente la chiara opzione non formalistica del legislatore nella soggetta materia, per cui i contratti valgono per il loro contenuto
effettivo e non per il nomen iuris loro assegnato, e si considera la distinzione tra
somministrazione di lavoro e appalto di servizi ribadita dall’articolo 29 decreto legislativo n. 276/2003, per cui sussiste l’appalto solo nel caso in cui l’organizzazione dei mezzi produttivi, la direzione dei lavoratori e il rischio d’impresa sono intestati all’appaltatore e non al committente o utilizzatore delle prestazioni, se ne
deve concludere che ogni volta che un imprenditore utilizzi prestazioni di lavoratori forniti da altri, assumendosi però l’organizzazione dei mezzi, la direzione dei lavoratori e il rischio d’impresa, si concretizza una somministrazione di manodopera,
che resta vietata e penalmente sanzionata se priva dei requisiti soggettivi e oggettivi prescritti dalla nuova legge”88.
D’altro canto, appare opinione azzardata quella secondo la quale non esisterebbero più “appalti illeciti” nell’ordinamento giuslavoristico italiano ad eccezione degli
appalti simulati o “pseudo-appalti”89, giacché l’appalto di mere prestazioni di manodopera permane non soltanto illecito, ma penalmente sanzionato.
Ed anzi in questa prospettiva si è mosso precisamente il decreto legislativo n.
251/2004 nell’introdurre lo specifico reato di “interposizione illecita” contenuto
nel nuovo comma 5-bis dell’articolo 18 del decreto legislativo n. 276/2003, che
va, dunque, letto come esplicitazione diretta dei contenuti impliciti del combinato
disposto dell’articolo 18, commi 1 e 2, con l’articolo 29, come evidenziato dall’uso dei termini “somministratore” e “utilizzatore” per indicare, rispettivamente, lo
pseudo-appaltatore e lo pseudo-committente.
127
Non solo, ma sempre dal dato letterale dell’articolo 18, comma 5-bis occorre rilevare che la stessa determinazione della pena ricalca identicamente quella novellata della somministrazione abusiva/utilizzazione illecita.
In verità, dunque, non si è qui dinanzi ad un’ipotesi di cosiddetta “nuova incriminazione”, ma piuttosto ad una fattispecie che “riformula” e chiarisce i contenuti della
norma penale cui precedentemente veniva assegnata una valenza omnibus con
riguardo a tutte le ipotesi di illecita interposizione (somministrazione) di mere prestazioni di lavoro.
In buona sostanza qui non è stata introdotta una nuova figura di reato prima inesistente, ma piuttosto è stata meglio delineata, nel rispetto del principio di tassatività e determinatezza della norma penale, la previsione normativa già sussistente all’interno dell’ordinamento lavoristico.
6. 1. L’appalto illecito
D’altro canto, posta la sopravvivenza, anche dopo la riforma, del generale divieto
di somministrazione di manodopera al di fuori dei limiti legali previsti, se l’appalto
viene ritenuto e giudicato illegittimo e quindi illecito perché privo dei requisiti legali di cui all’articolo 29, comma 1, del decreto legislativo n. 276/2003 e all’articolo 1655 c.c., si configurerà, inevitabilmente, un’ipotesi di somministrazione illecita di manodopera, ovvero di “interposizione illecita”, utilizzando la dizione letterale contenuta nell’articolo 84, comma 2, del decreto, trattandosi, di fatto, di una
somministrazione di lavoro posta in essere da soggetto non autorizzato e del tutto
al di fuori degli schemi legali riconosciuti leciti dalla norma.
Ai sensi dell’articolo 18, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 276/2003, pertanto, l’appaltatore e il committente che abbiano posto in essere, in esecuzione
di un fittizio contratto di appalto di opere o di servizi, una mera fornitura o somministrazione di lavoratori da parte del secondo al primo, sono entrambi soggetti
alla pena, proporzionale progressiva, dell’ammenda pari a 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione90.
Qui, a differenza che nelle due contravvenzioni distinte della somministrazione abusiva e della utilizzazione illecita, il reato contravvenzionale è unico e rappresenta,
dunque, sotto un profilo soggettivo, un vero e proprio reato plurisoggettivo proprio, in cui entrambi i soggetti datoriali rispondono di una condotta attiva, che consiste nella realizzazione di un appalto al di fuori degli schemi legali precostituiti, nel
quale, di fatto, si è fittiziamente celata una vera e propria somministrazione abusiva di mere prestazioni di lavoro (interposizione illecita).
Il reato di interposizione illecita da pseudo-appalto si perfeziona, quindi, per la sussistenza dei seguenti elementi tipici:
a) contratto di appalto non genuino: il contratto di appalto, di opere o di servizi,
128
corrisponde in realtà all’esecuzione di mere prestazioni di lavoro da parte dei lavoratori impiegati dallo pseudo-appaltatore e realmente eterodiretti dallo pseudocommittente91, mancano cioè i requisiti legali che rendono perfettamente lecito
ed operativo l’appalto (articolo 29, comma 1)92;
b) partecipazione psicologica dello pseudo-committente e dello pseudo-appaltatore alla fattispecie illecita realizzata: entrambi sono corresponsabili, almeno sotto
il profilo di una condotta colposa, perché hanno stipulato un contratto di appalto
fittizio, illecito o comunque non genuino, non usando della normale diligenza, prudenza e perizia richieste dall’ordinamento giuridico;
c) effettiva e concreta utilizzazione delle prestazioni lavorative dei lavoratori: il personale fittiziamente impegnato in un appalto è stato concretamente, illecitamente, impiegato in un’attività lavorativa di tipo subordinato alle dirette e immediate
dipendenze dello pseudo-committente.
Quanto agli effetti del reato, l’interposizione illecita da pseudo-appalto costituisce
un’ipotesi di reato permanente, giacché committente e appaltatore partecipano
con le rispettive condotte alla realizzazione del fatto illecito fin dal primo momento in cui i lavoratori vengono di fatto utilizzati al di fuori degli schemi legali dell’appalto quali veri e propri dipendenti dell’appaltante, ma poi il reato si perpetua in
forma permanente nel susseguirsi dei giorni di occupazione, ma invero di lavoro
effettivo, in cui gli stessi prestano attività lavorativa sotto le direttive dello pseudocommittente93.
Per quel che concerne poi l’istituto della prescrizione obbligatoria (articolo 15 del
decreto legislativo n. 124/2004), l’applicazione di tale modalità di estinzione agevolata, o rectius di definizione in via amministrativa del reato, è fortemente condizionata dalla previsione dell’articolo 29, comma 3-bis, del decreto legislativo n.
276/2003, introdotto dall’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n.
251/2004.
Utilizzatore e somministratore sono, dunque, ammessi al pagamento di un quarto dell’ammenda, per lavoratore e per giornata di occupazione, se provvedono a
regolarizzare, ex post, la fattispecie realizzata illecitamente, ma tale regolarizzazione non potrà che consistere nella cessazione immediata dell’appalto, in quanto
l’articolo 29, comma 3-bis, ripetendo la formula già stabilita dall’articolo 27,
comma 1, per le ipotesi di somministrazione irregolare, pone in capo ai lavoratori interessati dallo pseudo-appalto la facoltà di adire il Giudice per la costituzione
del rapporto di lavoro alle dipendente dello pseudo-committente, datore di lavoro
effettivo.
Va, infatti, valutata la portata normativa dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n.
251/2004, per effetto del quale l’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 si è arricchito di un comma 3-bis, a norma del quale in caso di contratto di appalto stipulato
senza i requisiti legali del comma 1, i lavoratori impiegati nell’appalto di opere o di
129
servizi possono proporre ricorso ex art. 414 c.p.c. al Giudice del lavoro al fine di
ottenere la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative rese.
Si tratta in buona sostanza della applicazione all’ipotesi di appalto illecito e di pseudo-appalto della disposizione già contenuta nell’art. 27, comma 1.
E il richiamo all’art. 27, sebbene al disposto del comma 2, è esplicito nel nuovo
art. 29, comma 3-bis, ultimo periodo, a ulteriore conferma del rimando effettuato alla disciplina già in vigore per la somministrazione irregolare94.
D’altra parte, anche in questa contravvenzione troverà applicazione l’oblazione di
cui all’articolo 162 c.p., sia per il somministratore che per l’utilizzatore.
Nessuna modalità di estinzione agevolata del reato risulta invece possibile, allorché trova applicazione l’aggravante dello sfruttamento dei minori, per cui la pena
risulta notevolmente aggravata: l’ammenda viene aumentata fino al sestuplo (300
euro per ciascun lavoratore e per ciascuna giornata) e si applica congiuntamente
alla pena detentiva dell’arresto fino a 18 mesi.
Tab. 6. Appalto illecito
ILLECITO
SANZIONE
Art. 29 D. Lgs. 276/2003
Per aver stipulato un contratto di appalto, d’opera o di servizi, in assenza dei
requisiti di cui all’art. 29, co. 1 del D.
Lgs. n. 276/2003
Art. 18 co. 5-bis D. Lgs. 276/2003 introdotto dall’art.
4, co. 5 del D.Lgs. n. 251/2004
Ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per
ciascuna giornata di occupazione
Se vi è sfruttamento di minori la pena è arresto fino a
18 mesi e ammenda aumentata fino a 300 euro
Prescri zi one obbl i gatori a ( art. 15, D.Lgs. n. 124/2004): è
applicabile nella sola ipotesi base (punita con la pena
dell’ammenda); sanzione pari a 12,50 euro per ogni
lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione
Obl azione ( art. 162 c.p.): può essere ammessa nella
sola ipotesi base (punita con la pena dell’ammenda),
sanzione pari a 16,66 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione
Per i reati commessi fino al 25 ottobre 2004 (entrata
in vigore del D.Lgs. 251/2004) l’importo dell’ammenda
è pari a 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione di cui all’originaria versione dell’art. 18, comma 1 (prescrizione pari a 1,25 euro;
oblazione pari a 1,66 euro)
(pseudo-committente e pseudo-appaltatore)
130
7. L’appalto fraudolento
Sotto altro aspetto, l’art. 28 del D.Lgs. n. 276/2003 definisce “somministrazione fraudolenta” quella che “è posta in essere con la specifica finalità di eludere
norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore”.
Rileva, quindi, una fattispecie penale di dolo specifico, dove non soltanto viene in
considerazione l’intenzionalità del reato, ma la specifica finalità dello stesso, chiedendo che vi sia un’intesa fra utilizzatore e somministratore o, quanto meno, la
effettiva consapevolezza riguardo all’utilizzo illecito della manodopera (c.d. consilium fraudis), vale a dire nei confronti di un uso illecito del contratto di somministrazione che viene specificamente finalizzato alla elusione del sistema normativo
di protezione configurato in dettagliate tutele legali o contrattuali.
La formulazione della norma, in termini significativamente ampi, peraltro pare affidare alla somministrazione fraudolenta un ruolo nuovo e di assoluto rispetto nel
panorama sanzionatorio delle diverse fenomenologie esternalizzanti, giacché di
somministrazione fraudolenta, ai sensi dell’articolo 28 del D.Lgs. n. 276/2003,
potrà pure parlarsi quando al fine di eludere tutti o alcuni dei diritti inderogabili dei
lavoratori si realizzano ipotesi di appalto illecito in violazione dei principi e dei criteri di cui al successivo art. 29.
Quanto poi al profilo sanzionatorio qui la pena non si sostituisce a quella prevista
per l’appalto illecito, ma piuttosto si aggiunge ad essa, aggravandone l’esito sanzionatorio, con specifica sottolineatura della gravità del comportamento criminoso censurato dal legislatore.
Con una tecnica legislativa non del tutto tipica della legislazione penale, viene, in
realtà, confermato l’apparato sanzionatorio contenuto nell’art. 18, comma 5-bis,
al quale viene poi aggiunta la sanzione pecuniaria dell’ammenda pari a 20 euro
per ciascun lavoratore coinvolto dall’operazione fraudolenta e per ogni giorno di
somministrazione.
Anche qui il reato sarà, di fatto, oblazionabile (articolo 162 c.p.).
Parimenti, come già si è visto in materia di appalto illecito, anche il più grave reato
di “appalto fraudolento” verrà ad essere assoggettato al potere di prescrizione
degli ispettori del lavoro che opera in tutte le ipotesi di contravvenzione, per cui la
pena dell’ammenda verrà ulteriormente ridotta a seguito di prescrizione e il procedimento penale potrebbe neppure avviarsi concretamente (art. 15 del D.Lgs.
n. 124/2004).
D’altro canto, si segnala a questo proposito la concreta possibilità per il personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro di procedere ad impartire una prescrizione con la quale il committente-utilizzatore fraudolento non è chiamato solo
a cessare l’utilizzazione dei lavoratori somministrati, ma a provvedere all’immediata regolarizzazione dei lavoratori fraudolentemente occupati, assumendoli a tutti
gli effetti di legge alle proprie dipendenze.
131
Fondamento normativo per tale atteggiamento degli organi ispettivi in materia di
lavoro è da individuarsi nella valutazione giuridica del contratto di appalto nel caso
di specie, giacché l’accordo negoziale fra pseudo-committente e pseudo-utilizzatore che abbiano operato in frode alla legge è, per i principi generali dell’ordinamento, radicalmente nullo per illiceità della causa negotii (articoli 1344 e 1418,
comma 2, c.c.), con la naturale estensione della previsione contenuta nel richiamato art. 21, comma 4, del D.Lgs. n. 276/2003, secondo cui quando il contratto di somministrazione è nullo “i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle
dipendenze dell’utilizzatore”.
Tab. 7. Appalto fraudolento
ILLECITO
SANZIONE
Art. 28 D. Lgs. 276/2003
Per avere posto in essere la somministrazione di manodopera, nelle forme di
un appalto illecito, con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge
o di contratto collettivo.
(pseudo-committente e pseudo-appaltatore)
Art. 28 D. Lgs. 276/2003
Ammenda di euro 20 per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.
Pr esc r i zi on e o bbl i gator i a ( ar t. 15, D.Lgs. n.
124/2004): è applicabile, il personale ispettivo
procederà a prescrivere la cessazione del comportamento illegale e il ripristino immediato della
legalità, ordinando all’appaltatore-somministratore fraudolento l’immediata cessazione della
fornitura di manodopera (prescrizione “interdittiva”) e al committente-utilizzatore fraudolento
l’ordine di provvedere ad assumere regolarmente i lavoratori illecitamente occupati alle proprie
dipendenze (contratto nullo perché in frode alla
legge); sanzione pari a 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione
Obl azi one ( ar t. 162 c .p.) : può essere ammessa,
sanzione pari a 6,66 euro per ogni lavoratore
occupato e per ciascuna giornata di occupazione
132
8. “Supersanzione” negli appalti irregolari
Da ultimo, sebbene non ancora operativa, va ricordata la nuova “supersanzione”
introdotta dal DL n. 223/2006, come convertito nella legge n. 248/2006.
In effetti, sul committente di un qualsiasi appalto (opere, forniture, servizi), a fronte della sua riconosciuta posizione apicale di controllo e di responsabilità (anche
per colpa in vigilando, se non per colpa in eligendo), incombe la reazione sanzionatoria introdotta dall’art. 35, co. 33, DL n. 223/2006, che ne colpisce, con sanzione pecuniaria amministrativa, la condotta colposa per aver proceduto al pagamento del corrispettivo all’appaltatore senza i preventivi controlli documentali.
Ai sensi dell’art. 35, comma 29, del DL n. 223/2006, come convertito nella
legge n. 248/2006, la responsabilità solidale in capo all’appaltatore, nei confronti dei dipendenti dei subappaltatori, viene meno quando quello procede a verificare, acquisendone la relativa documentazione, prima del pagamento del corrispettivo, che gli adempimenti connessi con le prestazioni di lavoro dipendente concernenti l’opera, la fornitura o il servizio affidati in appalto sono stati tutti correttamente eseguiti dal subappaltatore; a tal fine, lo stesso appaltatore può sospendere il pagamento del corrispettivo fino alla completa esibizione da parte del subappaltatore della documentazione necessaria.
Se, dunque, l’appaltatore può essere esonerato dalla responsabilità solidale, non
così il committente, il quale risponderà a norma dell’art. 29, comma 2, del D.Lgs.
n. 276/2003, e che viene chiamato ad una vigilanza speciale nei confronti dell’intero assetto degli appalti e dei subappalti.
A norma dell’art. 35, comma 32, infatti, il committente può provvedere legittimamente al pagamento del corrispettivo dovuto all’appaltatore soltanto dopo che
questi gli abbia compiutamente esibito la documentazione attestante la corretta e
regolare esecuzione degli adempimenti connessi con le prestazioni di lavoro: si
tratta di un obbligo di vigilanza, peraltro, pesantemente sanzionato.
In effetti, sul committente di un qualsiasi appalto (opere, forniture, servizi), a fronte della sua riconosciuta posizione apicale di controllo e di responsabilità (anche
per colpa in vigilando, se non per colpa in eligendo), incombe la reazione sanzionatoria introdotta dall’art. 35, comma 33, DL n. 223/2006, come convertito
nella legge n. 248/2006, che ne colpisce, con sanzione pecuniaria amministrativa da euro 5.000 a euro 200.000, la condotta colposa per aver proceduto al
pagamento del corrispettivo all’appaltatore senza i preventivi controlli documentali.
Condizione di punibilità del comportamento del committente, tuttavia, è data dal
fatto che gli adempimenti previdenziali e fiscali non devono essere stati correttamente eseguiti dall’appaltatore ovvero dagli eventuali subappaltatori.
Se, dunque, nell’ambito di un appalto di opere, forniture o servizi il committente
non avveduto paga il corrispettivo dovuto all’appaltatore senza accertarsi della
regolarità degli adempimenti previdenziali e fiscali dello stesso appaltatore e di
133
eventuali subappaltatori, sarà tenuto a questa nuova “supersanzione” qualora gli
organismi di vigilanza accertino la mancata o la non corretta esecuzione degli
adempimenti dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori dipendenti (non vengono presi in considerazione i lavoratori autonomi e quelli parasubordinati, ma soltanto quelli occupati con vincolo di subordinazione).
La sanzione sarà irrogata dall’ufficio che accerta la violazione (Direzione
Provinciale del Lavoro, Agenzia delle Entrate, Istituti previdenziali), territorialmente individuato in base alla sede dell’appaltatore (non già, quindi, in base al luogo
dove si svolgono i lavori o viene eseguito l’appalto).
L’operatività della sanzione è demandata all’entrata in vigore di un apposito decreto interministeriale che avrebbe dovuto essere emanato entro il 9 novembre 2006
(art. 35, comma 34), la cui emanazione, peraltro, secondo quanto anticipato da
consulenti tecnici del Ministero delle Finanze95, dovrebbe essere imminente.
Nel decreto interministeriale in corso di emanazione, quindi, dovrebbe trovare
posto una serie specifica di obblighi informativi e documentali a carico dell’appaltatore e dei subappaltatori a garanzia della regolarità dell’appalto e al fine di rendere materialmente possibile la verifica e il controllo da parte del committente
onerato.
Così, per quanto riguarda gli obblighi fiscali, dovrebbe essere stabilito l’obbligo
espresso per ciascun subappaltatore di comunicare all’appaltatore il codice fiscale dei lavoratori impiegati nell’appalto e, conseguentemente, un identico obbligo
informativo a carico dell’appaltatore nei confronti del committente. Il subappaltatore, inoltre, dovrebbe essere tenuto ad attestare il versamento delle ritenute
fiscali dovute con riguardo ai lavoratori impiegati nell’appalto rilasciando all’appaltatore apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà congiuntamente alla
consegna delle copie dei modelli F24 riferiti al singolo subappalto (le cui caratteristiche dovranno essere stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle Entrate), corredate delle relative ricevute attestanti il pagamento. Peraltro,
dovrebbe essere consentito al subappaltatore di provvedere anche con una specifica “asseverazione” da parte dei centri di assistenza fiscale o dei professionisti
autorizzati. La dichiarazione sostitutiva e le ricevute di versamento coi modelli F24
ovvero, in alternativa, l’asseverazione dovrebbero esonerare l’appaltatore dalla
responsabilità solidale e il committente dalla applicazione della “supersanzione”.
Per quanto attiene agli obblighi previdenziali e assicurativi il subappaltatore dovrebbe essere tenuto a rilasciare all’impresa appaltatrice un “prospetto analitico” (in
forma libera che contenga i nominativi dei lavoratori impegnati, l’indicazione delle
retribuzioni corrisposte a ciascun lavoratore; l’aliquota contributiva applicata e gli
importi contributivi versati) e il Durc rilasciato dopo l’ultimazione dei lavori o della
fase interessata dalla attestazione. In alternativa al prospetto e al Durc, il subappaltatore dovrebbe poter presentare una apposita asseverazione rilasciata dai
134
medesimi soggetti anzidetti. Il subappaltatore che rilascia la documentazione menzionata o l’asseverazione esonera l’appaltatore dalla responsabilità solidale prevista, così pure l’esibizione al committente della stessa evita a questi l’applicazione
della “supersanzione”.
Il sistema di controlli, verifiche e sanzioni, peraltro, dovrebbe essere definitivamente operativo decorsi sei mesi dall’entrata in vigore del decreto interministeriale in
corso di emanazione.
Tab. 8. “Supersanzione” negli appalti irregolari
ILLECITO
SANZIONE
Art. 35, commi 28-32, DL n.
223/2006, convertito, con modif., nella
legge n. 248/2006
Per avere il committente di un appalto di
opera, fornitura o servizio provveduto al
pagamento del corrispettivo dovuto
all’appaltatore senza previa esibizione
della documentazione attestante la regolarità degli adempimenti fiscali e previdenziali relativi alle prestazioni lavorative
dei dipendenti impiegati nell’appalto, a
fronte di una non esecuzione o di una non
regolare effettuazione degli adempimenti stessi da parte dell’appaltatore o di
eventuali subappaltatori.
Art. 35, comma 33, DL n. 223/2006, convertito,
con modif., nella legge n. 248/2006
Sanzione amministrativa da euro 5.000 a euro
200.000
Diffi da (ar t. 13, D.Lgs. n. 124/2004): non è applicabile
Sanzi one ri dotta (ar t. 16, legge n. 689/1981): è
pari a 10.000 euro.
Codi ce tri buto (per versamento su Mod. F23): 741
T
135
9. Il distacco privo di requisiti com e som m inistrazione illecita
La scelta del legislatore di intervenire con il decreto correttivo (D.Lgs. n.
251/2004) anche con riguardo alle ipotesi di distacco illecito, al fine di evidenziarne la rilevanza penale (articolo 18, comma 5-bis), mostra ora il lato forte della
ritrovata sistematicità del decreto di riforma intorno alla figura (una e trina) della
interposizione illecita di manodopera.
In effetti, la configurazione del reato interpositorio viene a caratterizzarsi, correttamente, nelle tre forme della somministrazione abusiva/utilizzazione illecita, dello
pseudo-appalto e del distacco illecito.
Le tre ipotesi sono senza dubbio riconducibili, per l’appunto, alla unitaria antidoverosità e antigiuridicità della condotta interpositoria delle mere prestazioni di manodopera, al di fuori degli schemi legali tipizzati della somministrazione di lavoro96.
Nessuno può dubitare che il distacco di manodopera risulta tecnicamente costruito come una somministrazione non professionale di lavoro e che come tale viene
ad essere fortemente limitato, dal testo di legge e dalle circolari del Ministero del
lavoro n. 28/2005 e n. 3/2004, alle ipotesi in cui sussistono i requisiti espressamente e rigidamente stabiliti (articolo 30, comma 1)97.
Or bene, senza violare il principio di legalità e senza alcuna impossibile ricostruzione analogica, occorre considerare che la somministrazione di lavoro non professionale, alias il distacco, laddove risultasse priva dei requisiti della temporaneità e
dell’interesse del distaccante, doveva comunque qualificarsi, giuridicamente,
come somministrazione abusiva/utilizzazione illecita, ancor prima dell’intervento
correttivo del decreto legislativo n. 251/200498.
D’altro canto, va apprezzato lo sforzo del legislatore che non ha perduto l’occasione per ricomporre in unità lo schema della tutela penalistica nei riguardi delle fattispecie in esame.
Pertanto, nei casi in cui il distacco viene posto in essere senza i caratteri di liceità e di legalità di cui all’articolo 30 del decreto legislativo n. 276/2003, viene
materialmente a configurarsi una chiara ipotesi di somministrazione illecita di
manodopera, nelle forme di una più generale “interposizione illecita di manodopera”, alla luce dell’articolo 18, comma 5-bis99.
Lo pseudo-distaccante e lo pseudo-distaccatario che hanno posto in essere, in
esecuzione di un distacco fittizio, una mera fornitura o somministrazione di lavoratori, senza interesse e/o in maniera definitiva, sono entrambi soggetti alla pena
dell’ammenda pari a 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.
Peraltro le differenze fra distacco e interposizione illecita si possono agevolmente
individuare alla luce della valutazione strutturale della fattispecie che sebbene, in
entrambi i casi, si basi su un rapporto trilaterale (imprenditore distaccante, lavoratore distaccato, imprenditore distaccatario), finisce per presentare non poche
136
peculiarità che ne determinano, a seconda dei casi la liceità o meno:
il distacco è temporaneo e si fonda sull’interesse del distaccante, mentre l’interposizione ha carattere di definitività e si basa sull’interesse (prevalente o esclusivo) dello pseudo-distaccatario;
il rapporto di lavoro rimane regolarmente sussistente fra l’impresa distaccante e
il proprio dipendente, mentre nell’interposizione di manodopera il prestatore è
soggetto al potere direttivo, disciplinare, organizzativo e gerarchico del distaccatario-interponente;
l’impresa distaccante resta il datore di lavoro effettivo, su cui grava l’obbligo di
farsi carico di qualsiasi modificazione intervenga nel rapporto durante il distacco
in tema retributivo, previdenziale, assicurativo, di sicurezza, contrariamente a
quanto accade in occasione di una interposizione, sia pure celata nelle forme di
un distacco;
non vi è alcun vincolo lavorativo espresso di natura subordinata fra impresa distaccataria e lavoratore, sebbene quest’ultimo venga collocato e inserito nell’organizzazione aziendale con uno specifico profilo; nell’organizzazione del distaccatario il
lavoratore distaccato mantiene una posizione esterna, sia pure sotto l’aspetto
della provenienza e della atipicità, di contro in caso di interposizione egli risulta
perfettamente e stabilmente inserito nella realtà aziendale.100
Il reato di interposizione illecita da distacco illecito ripete identicamente lo schema
dello pseudo-appalto, quale reato di azione e di pericolo, a struttura unitaria, posto
in essere da entrambi i soggetti datoriali.
La contravvenzione si connota inoltre secondo i noti elementi tipici:
● distacco illecito: il comando o distacco del lavoratore si risolve nella esecuzione
di mere prestazioni di lavoro da parte dei lavoratori interessati, che vengono occupati di fatto alle immediate direttive dello pseudo-distaccatario e da questi realmente eterodiretti, mancano quindi i requisiti legali che rendono lecito il distacco
(articolo 30, comma 1);
● partecipazione psicologica dello pseudo-distaccante e dello pseudo-distaccatario
alla fattispecie illecita: entrambi i soggetti datoriali si rendono corresponsabili,
almeno per colpa, del reato avendo posto in essere un distacco fittizio (ovvero
simulato) o in sé illecito, senza usare della normale diligenza, prudenza e perizia;
● effettiva utilizzazione delle prestazioni lavorative dei lavoratori distaccati: i lavoratori oggetto dello pseudo-distacco devono essere stati concretamente impiegati in
attività lavorative alle immediate dipendenze dello pseudo-distaccatario, non
bastando a realizzare il reato il mero incontro di volontà fra distaccante e distaccatario circa l’utilizzo delle energie lavorative di singoli lavoratori preventivamente
individuati ma di fatto non impegnati in alcuna prestazione di lavoro.
Come per le altre ipotesi di “interposizione illecita di manodopera” (da somministrazione abusiva/utilizzazione illecita e da pseudo-appalto) anche in caso di
137
distacco illecito opera l’aggravante dello sfruttamento dei minori di cui si è detto.
Nell’analisi quoad effectum va rilevato, come già per l’appalto illecito, che anche
qui si realizza un’ipotesi di reato permanente, per effetto del quale la condotta illecita permane nel protrarsi dello svolgimento dell’attività lavorativa da parte dei
lavoratori fittiziamente distaccati e illecitamente utilizzati dallo pseudo-distaccatario.
Inoltre, ferma restando l’applicabilità dell’oblazione (articolo 162 c.p.), analogamente allo pseudo-appalto qui la prescrizione obbligatoria (articolo 15 del decreto legislativo n. 124/2004) opera esclusivamente nelle forme della cessazione
immediata del distacco illecito, stante la disposizione contenuta nell’articolo 30,
comma 4-bis, del decreto legislativo n. 276/2003, introdotto dall’articolo 7 del
decreto legislativo n. 251/2004, secondo cui il lavoratore distaccato illecitamente può rivolgersi al Giudice per domandare la costituzione del rapporto di lavoro
alle dipendente dell’utilizzatore (pseudo-distaccatario).
Resta, tuttavia, salva l’ipotesi del distacco che si concretizza in una somministrazione nulla perché senza contratto scritto, come chiarito dal Ministero del lavoro
nella Circolare n. 7/2005 citata: in tal caso, infatti, la prescrizione sarà nel senso
dell’immediata regolarizzazione dei lavoratori interessati (“nell’ipotesi in cui la somministrazione senza autorizzazione si concretizzi in assenza di un contratto scritto, il contratto di somministrazione deve comunque ritenersi nullo e i lavoratori
sono considerati alle dirette dipendenze dell’utilizzatore e questo indipendentemente dalla convinzione che l’invio del lavoratore presso il terzo integra la diversa ipotesi del distacco”) 101.
138
Tab. 9. Distacco illecito
INTERPOSIZIONE ILLECITA DA PSEUDO-DISTACCO
ILLECITO
SANZIONE
Art. 30 D. Lgs. 276/2003
Per aver posto in essere un distacco in
assenza dei requisiti di cui all’art. 30,
co. 1 del D. Lgs. n. 276/2003
Art. 18 co. 5-bis D. Lgs. 276/2003 introdotto
dall’art. 4, co. 5 del D.Lgs. n. 251/2004
Ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione
Se vi è sfruttamento di minori la pena è dell’arresto fino a 18 mesi e dell’ammenda aumentata fino
al sestuplo.
Pr esc r i zi on e obbl i gator i a ( ar t. 15, D.Lgs. n.
124/2004): è applicabile nella sola ipotesi base
(punita con la pena dell’ammenda); sanzione pari a
12,50 euro per ogni lavoratore occupato e per
ciascuna giornata di occupazione
Obl azione (art. 162 c.p.) : può essere ammessa
nella sola ipotesi base (punita con la pena
dell’ammenda), sanzione pari a 16,66 euro per
ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata
di occupazione
Note: Per i reati commessi fino al 25 ottobre
2004 (entrata in vigore del D.Lgs. 251/2004)
l’importo dell’ammenda è pari a 5 euro per ogni
lavoratore occupato e per ciascuna giornata di
occupazione di cui all’originaria versione dell’art.
18, comma 1 (prescrizione pari a 1,25 euro; oblazione pari a 1,66 euro)
(pseudo-distaccante e pseudo-distaccatario)
10. Il distacco fraudolento
Sotto altro aspetto, l’art. 28 del D.Lgs. n. 276/2003 definisce “somministrazione fraudolenta” quella che “è posta in essere con la specifica finalità di eludere
norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore”.
Come già si è segnalato in materia di appalto, la formulazione della norma, in termini significativamente ampi, peraltro pare affidare alla somministrazione fraudolenta un ruolo di assoluto rilievo, potendosi parlare di somministrazione fraudolenta anche quando, al fine di eludere tutti o alcuni dei diritti inderogabili del lavoratore distaccato, si realizzano ipotesi di distacco illecito in violazione dei principi e
dei criteri di cui all’art. 30, comma 1.
139
zione degli ispettori del lavoro che opera in tutte le ipotesi di contravvenzione, per
cui la pena dell’ammenda verrà ulteriormente ridotta a seguito di prescrizione e il
procedimento penale potrebbe neppure avviarsi concretamente (art. 15 del
D.Lgs. n. 124/2004).
D’altro canto, si segnala a questo proposito la concreta possibilità per il personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro di procedere ad impartire una prescrizione con la quale il distaccatario-utilizzatore fraudolento non è chiamato soltanto a cessare l’utilizzazione dei lavoratori distaccati-somministrati, ma a provvedere all’immediata regolarizzazione degli stessi, in quanto fraudolentemente occupati, assumendoli a tutti gli effetti di legge alle proprie dipendenze: il distacco in
frode alla legge, infatti, per i principi generali dell’ordinamento è da intendersi radicalmente nullo per illiceità della causa negotii (articoli 1344 e 1418, comma 2,
c.c.).
Tab. 10. Distacco fraudolento
ILLECITO
SANZIONE
Art. 28 D. Lgs. 276/2003
Per avere posto in essere la somministrazione di manodopera, nelle forme di
un distacco illecito, con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge
o di contratto collettivo.
(pseudo-distaccatario e pseudo-distaccante)
Art. 28 D. Lgs. 276/2003
Ammenda di euro 20 per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.
Pr esc r i zi on e obbl i gator i a ( ar t. 15, D.Lgs. n.
124/2004): è applicabile, sanzione pari a 5 euro
per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione
Obl azione (ar t. 162 c.p.): può essere ammessa,
sanzione pari a 6,66 euro per ogni lavoratore
occupato e per ciascuna giornata di occupazione
140
1 Per una recente definizione giurisprudenziale di “ outsourcing ” si rimanda a Cass. Civ., Sez.
Lav., 2 ottobre 2006, n. 21287: “è noto che il fenomeno c.d. di “outsourcing” comprende tutte
le possibili tecniche mediante le quali un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze base (c.d. core business). Ciò può
fare, tra l’altro, sia appaltando a terzi l’espletamento del servizio, sia cedendo un ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa all’insindacabile valutazione dell’imprenditore, a
norma dell’art. 41 Cost.”.
2 Su tutto il sistema sanzionatorio in materia di lavoro, anche con riferimento alle esternalizzazioni, sia consentito fare rinvio a P. Rausei, “ Illeciti e sanzioni. Manuale operativo del diritto sanzionatorio del lavoro ”, II ed., Ipsoa, Milano, 2007. Su somministrazione di lavoro, appalto e
distacco si vedano, i contributi di: P. Chieco, “ Somministrazione, comando, appalto. Le nuove
forme di prestazione di lavoro a favore del terzo ” in WP CSDLE “Massimo D’Antona” n.
26/2004 (www.lex.unict.it); P. Chieco, “ Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni
lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive” in P. Curzio, “ Lavoro e diritti. A tre anni dalla legge 30/2003”, Cacucci, Bari 2006; L. Corazza, “ Somministrazione di lavoro e appalti ”, in G. Santoro Passarelli (a cura di), “ Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale ”, Ipsoa, Milano, 2006; R. Del Punta, “ La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro ”, in AA.VV., “ Come cambia il mercato del lavoro ”, Ipsoa, Milano 2004;
G. Falasca, “La somministrazione di manodopera”, in G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, “Il
diritto del lavoro”, vol. 1 “Costituzione, codice civile e leggi speciali”, Giuffrè, Milano, 2007, p.
1204 segg.; L. Guaglianone, “ La somministrazione di lavoro ”, in M. Magnani, P. A. Varesi (a
cura di), “ Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali. Commentario ai decreti legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004 ”, Giappichelli, Torino, 2005; P. Ichino,
“ Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco ”, in M. Pedrazzoli (diretto da), “ Il nuovo
mercato del lavoro” , Zanichelli, Bologna, 2004; P. Ichino, Lezioni di diritto del lavoro. Un approccio di labour law and economics , Giuffré, Milano, 2004; M. Lanotte, G. Pellacani, “ La somministrazione di lavoro e il regime sanzionatorio ”, in G. Pellacani, “ Commentario alla riforma del
lavoro. I nuovi contratti di lavoro e la certificazione ”, Ipsoa, Milano, 2006; M. Magnani, “ Le
esternalizzazioni e il nuovo diritto del lavoro ”, in M. Magnani, P. A. Varesi (a cura di),
“ Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali. Commentario ai decreti legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004 ” cit.; G. Quadri, Processi di esternalizzazione. Tutela del lavoratore e interesse dell’impresa , Jovene, Napoli, 2004; P. Rausei, “ Somministrazione di lavoro ”,
III ed., Ipsoa, Milano, 2007; M. Ricci, “ La somministrazione di lavoro dopo la riforma ”, in R. De
Luca Tamajo, M. Rusciano, L. Zoppoli (a cura di) “ Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema. Dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30 al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 ”,
ES, Napoli 2004; M. Tiraboschi (a cura di), “ Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi.
Somministrazione, appalto, distacco e trasferimento di azienda ”, Giuffré, Milano, 2006; M.
Tiraboschi, “ Somministrazione di lavoro, appalto di servizi e distacco ”, in M. Tiraboschi (a cura
di), “ La riforma Biagi del mercato del lavoro – Prime interpretazioni proposte di lettura del
D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma ”, Giuffré, Milano
2004.
3 Con specifico riferimento alla trattazione dei profili sanzionatori si rinvia a: F. Basenghi, “La
somministrazione irregolare e fraudolenta”, in L. Galantino (a cura di), “La riforma del mercato
del lavoro. Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (artt. 1-32)”, Giappichelli,
Torino, 2004; C. Bizzarro, G. Bocchieri, “Il nuovo regime sanzionatorio in materia di somministrazione, appalti, distacco”, in “La Riforma Biagi. Il decreto correttivo”, in Guida Lav., 2004,
37; M. Formica, “I reati in tema di intermediazione, interposizione di manodopera e di somministrazione di lavoro”, in N. Mazzacuva, E. Amati (a cura di), “Il diritto penale del lavoro”, in F.
Carinci (diretto da), “Diritto del lavoro. Commentario”, vol. VII, Utet, Torino, 2007, 401-410;
L. Iero, “Sanzioni nel mercato del lavoro dopo il correttivo”, in “Il correttivo della legge di rifor-
141
ma del mercato del lavoro”, in F. Carinci (coordinato da), “Commentario al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276”, Ipsoa, Milano, 2005; M. Mantovani, “Commento agli articoli 18 e 19”, in
E. Gragnoli, A. Perulli (a cura di), “La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali. Commentario al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”, Cedam, Padova, 2004;
A. Morrone, “Diritto penale del lavoro. Nuove figure e questioni controverse”, Giuffrè, Milano,
2005; M. Pedrazzoli, “Commento agli articoli 18-19”, in M. Pedrazzoli (coordinato da), “Il nuovo
mercato del lavoro”, Zanichelli, Bologna, 2004; P. Pennesi, “Interposizione nelle prestazioni di
lavoro, abrogazione della legge n. 1369 del 1960 e contenzioso in atto”, in P. Olivelli, M.
Tiraboschi (a cura di), “Il diritto del mercato del lavoro dopo la riforma Biagi”, Giuffrè, Milano,
2005; P. Rausei, “Codice delle Sanzioni”, Ipsoa, Milano, 2007; S. Vergari, “L’apparato sanzionatorio nella riforma del mercato del lavoro”, in M. Magnani, P.A. Varesi (a cura di),
“Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali. Commentario ai Decreti
Legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004”, Giappichelli, Torino, 2005.
4 Sia consentito fare rinvio per un approfondimento sull’impatto normativo complessivo del
D.Lgs. n. 251/2004 a P. Rausei, Le novità del correttivo alla Riforma del lavoro , in Dir. Prat.
Lav., n. 43/2004, Inserto.
5 Per questa critica cfr. P. Rausei, Lo schema di decreto correttivo , in Dir. Prat. Lav., n.
27/2004, 1794-1796.
6 Vedi A. Cadoppi, P. Veneziani, Elementi di diritto penale. Parte generale , Cedam, Padova
2002, 383 s.
7 Per un esame sintetico dell’istituto della “prescrizione obbligatoria” nel contesto della più
ampia riforma dei servizi ispettivi vedi: P. Pennesi, E. Massi, P. Rausei, La riforma dei servizi
ispettivi in Dir. Prat. Lav., n. 30/2004, Inserto; D. Papa, La prescrizione obbligatoria in C. L.
Monticelli, M. Tiraboschi (a cura di), La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale. Commentario al decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124 , Collana AdaptFondazione “Marco Biagi”, Giuffré, Milano, 2004, 291 s.; L. Degan, M. Tiraboschi, La riforma
dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza in GLav, n. 21/2004, 15 s.; P. Rausei, La nuova
ispezione in azienda in Dir. Prat. Lav.-Oro, n. 4/2004.
8 L’analogia con la vecchia normativa era più evidente prima dell’intervento correttivo dell’art.
4 del D.Lgs. n. 251/2004, basti pensare che esattamente come nell’originario art. 18,
comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, l’art. 2 della legge n. 1369/1960 prevedeva, per l’ipotesi di reato della interposizione illecita di manodopera, la pena dell’ammenda pari a lire 10.000
(euro 5) per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (originariamente la
sanzione pecuniaria era di lire 2.000, ma l’importo è stato quintuplicato per effetto dell’art.
113 della legge n. 689/1981).
9 Vedi per questa ricostruzione sistematica anche F. Basenghi, La somministrazione irregolare
e fraudolenta , in L. Galantino (a cura di) La riforma del mercato del lavoro. Commentario al
d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (artt. 1-32) , Giappichelli, Torino, 2004, 316, che parla di
“ climax fondato sul grado di antigiuridicità della fattispecie”.
10 Vedi sul punto P. Ichino, Commento agli articoli 20-28 , in L. Montuschi, F. Liso, M. Pedrazzoli
et al. , Il nuovo mercato del lavoro , Zanichelli, Bologna, 2004, 317 s.
11 Per una sintesi sulla disciplina previgente, con riguardo al punto specifico, sia consentito rinviare a P. Rausei, Appalto di manodopera , in Dir. Prat. Lav. n. 30/2002, Inserto.
12 Prima sezione, per le agenzie generaliste che possono porre in essere qualsivoglia tipologia
contrattuale; seconda sezione, per le agenzie specialiste che possono esercitare lecitamente
soltanto l’attività di staff leasing a tempo indeterminato nei settori previsti.
13 Per una migliore disamina del più generale problema delle “condizioni obiettive di punibilità”,
cui si fa indiretto richiamo nel testo cfr. G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale ,
Zanichelli, Bologna 1995, 725-731.
142
14 Cfr. su questi aspetti, con conclusioni parzialmente differenti, M. Pedrazzoli, Commento agli
articoli 18-19 in L. Montuschi, F. Liso, M. Pedrazzoli et al. , Il nuovo mercato del lavoro cit.,
237-242.
15 Sembra aprire ad una interpretazione contraria, con riferimento al testo originario del
D.Lgs. n. 276/2003, L. Iero, Sanzioni penali nel mercato del lavoro , in M. Miscione, M. Ricci
(a cura di), Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro , in F. Carinci (a cura di),
Commentario al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 , Ipsoa, Milano 2004, I, 355.
16 Sul punto cfr. G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale , Zanichelli, Bologna,
1988, vol. I, 242-243; S. Seminara, Commento sub art. 348 , in A, Crespi, F. Stella, G.
Zuccalà, Commentario breve al Codice Penale , Cedam, Padova, 1992, 777-779; in giurisprudenza v.: Cass. Pen., Sez. VI, 13 giugno 1989, n. 8424; Cass. Pen., Sez. VI, 7 maggio 1985,
n. 4349.
17 Può immaginarsi soltanto qualche ipotesi residuale e marginale di mera colpa in capo al somministratore che, ad esempio, abbia ricevuto comunicazione della propria iscrizione all’Albo
nazionale con efficacia da una certa data e venga successivamente a conoscenza documentalmente della iscrizione in data successiva.
18 Si tratta di una tecnica sanzionatoria di largo impiego nell’ambito del diritto penale del lavoro, cfr. M. Romano, Commentario sistematico del codice penale , Giuffré, Milano 1995, 226;
T. Padovani, Diritto penale del lavoro. Profili generali , Giuffré, Milano 1990, 217 s.; M.
Mantovani, Commento agli articoli 18 e 19 , in E. Gragnoli, A. Perulli (a cura di), La riforma del
mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali. Commentario al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 , Cedam, Padova, 2004, 256-257.
19 La presenza di una pluralità di soggetti passivi e il riferimento al singolo rapporto di lavoro
depongono come meri dati di individuazione della concreta fattispecie illecita che, peraltro,
nasce da un’identica e unitaria fonte negoziale illecita, così come unica è la sanzione criminale,
commisurata, solo quanto a gravità, al numero di unità di personale sfruttato e al tempo di
impiego. Cfr., sia pure con riferimento alla medesima struttura della pena di cui all’art. 2 della
legge n. 1369/1960: T. Padovani, Diritto penale del lavoro. Profili generali cit., 258 s.; Id.,
Reati contro l’attività lavorativa , in Enc. Dir. , vol. XXXVIII, Giuffré, Milano 1987, 1221 s.; L.
Grilli, Diritto penale del lavoro , Giuffré, Milano 1985, 243; C. Smuraglia, Diritto penale del lavoro , Cedam, Padova 1980, 110.
20 Si pensi ad una somministrazione abusiva che coinvolge sei lavoratori per cinque giornate,
in cui l’ammenda applicabile di 1500 euro è data da una doppia moltiplicazione: 50 per 6
(numero di lavoratori), moltiplicato per 5 (numero di giornate di occupazione). Così anche M.
Mantovani, Commento agli articoli 18 e 19 cit., 259-260; M. Pedrazzoli, Commento agli articoli 18-19 cit., 234.
21 Per cui valga quanto chiarito ed esplicitato nella Circolare n. 24/04 del 24 giugno 2004 del
Ministero del lavoro.
22 Parla di “reato complesso in senso stretto” in virtù dell’introduzione dell’aggravante di cui nel
testo M. Mantovani, Commento agli articoli 18 e 19 cit., 266. Ricostruisce come circostanza
aggravante lo “sfruttamento minorile” anche M. Acconci, Sfruttamento minorile e sanzioni penali previste dalla legge Biagi in GLav n. 45/2004, 38, la quale correttamente evidenzia il riflesso processualistico circa la determinazione della pena per cui l’aggravamento della pena non
potrà essere bilanciato neppure dal riconoscimento e dalla concessione delle attenuanti generiche al reo.
23 Ad analoga conclusione perviene M. Pedrazzoli, Commento agli articoli 18-19 cit., 236.
Analogamente M. Acconci, Sfruttamento minorile e sanzioni penali previste dalla legge Biagi
cit., 39-40, che afferma testualmente: “lo sfruttamento dei minori deve essere inteso come utilizzo di manodopera minorile, in condizioni, circostanze e modalità difformi da quelle disciplina-
143
te dalla normativa nazionale ed internazionale a tutela dei fanciulli”.
Sul punto cfr. P. Rausei, Lavoro e previdenza: sistema sanzionatorio , in Dir. Prat. Lav.-Oro,
n. 4/2003, 111-117.
25 Cfr. M. Pedrazzoli, op. loc. ult. cit. ; M. Mantovani, op. loc. ult. cit.
26 In questo senso chi scrive si è espresso in P. Rausei, Profili sanzionatori: penale, amministrativo, previdenziale in Aa. Vv. Come cambia il mercato del lavoro , Ipsoa, Milano, 2004, 119120.
27 Questa sembra essere la posizione di M. Mantovani, Commento agli articoli 18 e 19 cit.,
262-266.
28 Vedi per questa interpretazione, sia pure criticamente, L. Caiazza, Quando scattano le
manette in La riforma del lavoro , GN, Le guide operative, Ed. Il Sole 24 Ore, Milano 2003, 108109.
29 Basti pensare ad una somministrazione non autorizzata che coinvolgesse sei lavoratori per
cinque giornate: nella ipotesi base avremmo avuto una ammenda pari a 150 euro (6 x 5 x 5),
mentre nella ipotesi attenuata, senza lucro, avremmo applicato una ammenda da un minimo di
500 euro fino a un massimo di 2500 euro.
30 Il precedente storico immediato di tale disposizione, seppure con riferimento al “sequestro”
e non alla confisca, si rinviene nel corpo dell’abrogato art. 27, comma 1, della legge 29 aprile 1949, n. 264, nonché nell’art. 20, comma 1, del D.L. 3 febbraio 1970, n. 7, convertito in
legge 11 marzo 1970, n. 83. Nel primo caso il Legislatore colpiva l’esercizio abusivo della
mediazione nell’avviamento al lavoro, nel secondo caso si sanzionava la medesima attività nello
specifico settore dell’agricoltura: in entrambe le ipotesi in aggiunta alla pena dell’ammenda,
come oggi è nel D.Lgs. n. 276/2003, si prevedeva il sequestro del mezzo di trasporto se adoperato al fine illecito.
31 Si veda per queste condivise riflessioni M. Mantovani, Commento agli articoli 18 e 19 cit.,
267.
32 Si noti che l’interposizione illecita di manodopera torna concretamente a rivestire i panni del
reato unitario, plurisoggettivo proprio, nella nuova contravvenzione di cui all’art. 18, comma 5bis, introdotto dall’art. 4, comma 5, del D.Lgs. n. 251/2004.
33 La disposizione sanzionatoria del comma 2 si differenzia da quella del comma 1, soltanto per
il riferimento alla giornata “di occupazione”, anziché “di lavoro”: in realtà non pare doversi attribuire a tale distinzione alcun significato particolare, dovendosi comunque avere riguardo, nell’una e nell’altra accezione concettuale, al lavoro effettivamente prestato dai lavoratori coinvolti nella somministrazione abusiva e nella utilizzazione illecita.
34 Cfr. M. Pedrazzoli, Commento agli articoli 18-19 cit., 244. Si tenga peraltro presente che
nel caso di specie l’agenzia generalista o specialista che abbia somministrato i lavoratori in violazione dei limiti stabiliti dall’art. 20 (per ipotesi non contemplate nell’elencazione del comma 3
ovvero per carenza di almeno una delle motivazioni di cui al comma 4) non sarà colpevole di
alcun reato, giacché alla stessa andrà applicata la sola sanzione amministrativa di cui all’art.
18, comma 3. In ogni caso, proprio la previsione della sanzionabilità amministrativa in capo
anche all’utilizzatore pone più di un dubbio circa il corretto intendimento della punibilità complessiva della condotta, al fine di evitare qualsiasi duplicazione sanzionatoria.
35 Una recente sentenza sella Suprema Corte – Cass. Pen., Sez. III, 16 giugno 2006, n.
20758 – per effetto di una clamorosa svista ha ritenuto operante una causa di giustificazione
(cd. scriminante), non più in vigore, nel mandare assolto un utilizzatore illecito; con riferimento
all’art. 6-bis del D.L. 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18
marzo 1993, n. 67 – che è stato espressamente abrogato dall’articolo 72, comma 1, lett. s),
del D.Lgs. n. 165/2001 – il Supremo Collegio (in un caso relativo ad una cooperativa operante nel settore socio-assistenziale senza fini di lucro, che aveva fornito sette lavoratori, dipen24
144
denti e non soci, ad una casa di cura privata) ha avuto modo di affermare, infatti: “la previsione derogatoria, già prevista per la legge n. 1369/1960, riguarda una fattispecie del tutto
sovrapponibile a quella prevista dal D. Lgs. n. 276/2003, nel senso che trattasi della medesima condotta materiale (somministrazione di lavoro una volta qualificata quale appalto di mere
prestazioni di lavoro), della stessa posizione soggettiva dell’agente (rappresentante di un ente
senza scopo di lucro) e dell’identico settore lavorativo (attività sanitaria socio – assistenziale)”.
36 In questo senso recentemente anche la Suprema Corte, cfr. Cass. Pen., Sez. III, 9 giugno
2004, n. 25726, in GLav n. 28/2004, 10.
37 V., per tutti, L. Grilli, Diritto penale del lavoro cit., 245; F. Morandi, Commento all’art. 2
L. 1 369/1960, in M. Grandi, G. Pera, Commentario breve alle leggi sul lavoro , Cedam,
Padova 2001, 880-881. In giurisprudenza, ex multis , con riguardo all’analoga fattispecie penale previgente, cfr. Cass. Pen, Sez. III, 13 giugno 2001 n. 23769, in Dir. Prat. Lav. n.
29/2001, 1997 s.
38 Non si tratta, infatti, di una pena pecuniaria fissa, stabilita per ogni specifica violazione, ma
piuttosto di una pena appositamente rapportata e commisurata caso per caso al numero dei
lavoratori interessati e alla durata della condotta penalmente rilevante ( “pena progressiva” o
anche “pena a proporzionalità progressiva”), una base sanzionatoria stabilita in misura fissa
predeterminata e un coefficiente moltiplicatore che varia secondo le concrete circostanze di
fatto verificatesi. Sulla questione, con riferimento alla legge n. 1369/1960, v. T. Padovani,
Diritto penale del lavoro cit., 227-237; F. Morandi, Commento all’art. 2 L. 1369/60 cit., 885.
39 Quanto ai profili civilistici della utilizzazione abusiva ad opera delle pubbliche amministrazioni
cfr. C. Zoli, Commento all’art. 1 , in L. Montuschi, F. Liso, M. Pedrazzoli et al. , Il nuovo mercato del lavoro cit., 13-18.
40 Così anche C. Zoli, Commento all’art. 1 cit., 19, che parla di applicabilità e richiamo delle
norme sanzionatorie “ per relationem ” in uno con il riferimento esplicito all’intera disciplina della
somministrazione di lavoro a tempo determinato.
41 Per una sintesi argomentata sulle diverse posizioni in campo sia consentito fare rinvio a P.
Rausei, Interposizione di manodopera nella P.A. in Dir. Prat. Lav. n. 37/2002. Cfr. anche G.
Martinucci, Inapplicabilità delle sanzioni ex l. n. 1369/1960 agli enti pubblici che non svolgono attività di impresa in LPA, 1998, 903 ss.; M.T. Carinci, La fornitura di lavoro altrui , Milano,
2000, 104 ss.
42 A tale conclusione giunse, da ultimo, il Ministero del Lavoro con la Circolare n. 44/02 del
1° agosto 2002. Cfr. in giurisprudenza: Cass., Sez. Lav., 1° dicembre 1986, n. 7110 ; Cass.,
Sez. Un., 9 luglio 1997, n. 6228; Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3135; Cons. Stato,
Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 695.
43 Sull’analisi del principio societas delinquere non potest sia consentito fare rinvio a P. Rausei,
Persone giuridiche e responsabilità penale in Il Mondo Giudiziario , 1997. Si noti, in effetti, che
i reati in materia di lavoro non sono ricompresi nell’alveo del D.Lgs. n. 231/2001, il quale ha
introdotto nel sistema penale italiano una responsabilità diretta della persona giuridica per gli
illeciti amministrativi dipendenti da reato (art. 1, comma 1), vedi A. Cadoppi, P. Veneziani,
Elementi di diritto penale. Parte generale cit., 179-180.
44 In questo senso anche C. Zoli, op. loc. cit. , che allude anche all’eventuale responsabilità per
danno erariale del funzionario o dirigente.
45 Per una ricostruzione del sistema sanzionatorio “in scala” in base alla gravità delle condotte
e degli illeciti, si veda anche F. Basenghi, La somministrazione irregolare e fraudolenta , in L.
Galantino (a cura di) La riforma del mercato del lavoro. Commentario al d.lgs. 10 settembre
2003, n. 276 (artt. 1-32) , Giappichelli, Torino, 2004, 316.
46 Parla invece di applicazione “meno probabile” della sanzione aggiuntiva F. Scarpelli,
145
Commento all’articolo 30 , in E. Gragnoli, A. Perulli (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali. Commentario al decreto legislativo 10 settembre 2003, n.
276 , Cedam, Padova, 2004, 433-434, sulla scorta di una scriminante della finalità elusiva nel
rispetto della disciplina dettata dal d.lgs. n. 276/2003. Perplessità e dubbi muove anche M.
Pedrazzoli, Commento agli articoli 18-19 , in M. Pedrazzoli (coordinato da), Il nuovo mercato del
lavoro , Zanichelli, Bologna, 2004, 237, con riferimento alla salvezza delle sanzioni dell’art. 18
che lascerebbe intendere la repressione della frode limitata a quella proveniente da agenzie non
autorizzate. Infine, per C. Perini, La somministrazione fraudolenta, commento all’articolo 28 , in
M.T. Carinci, C. Cester (a cura di), Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda , in F. Carinci (coordinato da), Commentario al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 , Ipsoa,
Milano 2004, vol. II, 172 ss., il somministratore deve essere identificato esclusivamente in un
soggetto autorizzato ai sensi degli artt. 4 e ss. del d.lgs. n. 276/2003. Cfr. anche S. Vergari,
L’apparato sanzionatorio nella riforma del mercato del lavoro , in M. Magnani, P. A. Varesi (a
cura di), Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali. Commentario ai Decreti
Legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004 , Giappichelli, Torino, 2005, 239-241.
47 Si tratta dunque di una ipotesi di contravvenzione eccezionalmente dolosa, ai sensi dell’art.
43, comma 2, c.p.
48 Di “reato a dolo specifico a tutti gli effetti” parla anche C. Perini, op. cit., 188-189, pur rilevando l’eccentricità della “espressione inconsueta” utilizzata dal legislatore per introdurre la fattispecie penalistica (“con la specifica finalità di”).
49 Contra F. Basenghi, op. cit., 316, per il quale “la finalità elusiva potrebbe essere anche riferibile al solo utilizzatore”. Dubita della riconducibilità del dolo specifico ad entrambi i soggetti del
reato di somministrazione fraudolenta anche M. Pedrazzoli, op. cit., 237.
50 Così anche F. Basenghi, op. loc. ult. cit.
51 Nel senso indicato nel testo F. Scarpelli, op. cit., 435. Di “reato di pericolo concreto” parla
anche C. Perini, op. cit., 185-186.
52 Contrario alla cumulabilità delle due ipotesi criminose richiamate nel testo è P. Chieco,
Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore del terzo
cit., 141. Nello stesso senso anche P. Tullini, Commento all’art. 5 , in M. Pedrazzoli (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro , cit., 105.
53 Legge in modo radicalmente diverso l’incipit della disposizione in argomento, in termini di
“clausola di riserva espressa e determinata”, C. Perini, op. cit., 182-183, la quale conclude per
la sussistenza di un concorso apparente di norme che si risolverebbe in favore della somministrazione abusiva (art. 18) atteso il ritenuto “carattere vicario” dell’art. 28 determinato dal principio di sussidiarietà.
54 Notoriamente una tecnica sanzionatoria di vasto utilizzo nel diritto penale del lavoro italiano,
cfr. M. Romano, Commentario sistematico del codice penale , Giuffré, Milano 1995, 226; T.
Padovani, Diritto penale del lavoro. Profili generali , Giuffré, Milano 1990, 217 s.; M.
Mantovani, Commento agli articoli 18 e 19 , in E. Gragnoli, A. Perulli (a cura di), La riforma del
mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali , cit., 256-257.
55 Si tenga presente che, sotto un profilo strutturale della fattispecie di reato considerata, la
presenza di una pluralità di soggetti passivi e il riferimento al singolo rapporto di lavoro sono
puri dati di individuazione della concreta fattispecie illecita che, peraltro, nasce da un’identica e
unitaria fonte negoziale illecita, così come unica è la sanzione criminale, commisurata, solo
quanto a gravità, al numero di unità di personale sfruttato e al tempo di impiego. Cfr., sia pure
con riferimento alla analoga struttura della pena di cui all’art. 2 della legge n. 1369/1960: T.
Padovani, Reati contro l’attività lavorativa , in Enc. Dir. , vol. XXXVIII, Giuffré, Milano 1987, 1221
s.; L. Grilli, Diritto penale del lavoro , Giuffré, Milano 1985, 243; C. Smuraglia, Diritto penale
146
del lavoro , Cedam, Padova 1980, 110.
56 Si pensi ad una somministrazione fraudolenta che coinvolge cinque lavoratori per cinque giornate, in cui l’ammenda applicabile di 500 euro è data da una doppia moltiplicazione: 20 per 5
(numero di lavoratori), moltiplicato per 5 (numero di giornate di occupazione). Così anche M.
Mantovani, Commento agli articoli 18 e 19 cit., 259-260; M. Pedrazzoli, Commento agli articoli 18-19 cit., 234.
57 Per un esame sintetico dell’istituto della “prescrizione obbligatoria” nel contesto della più
ampia riforma dei servizi ispettivi vedi: P. Pennesi, E. Massi, P. Rausei, La riforma dei servizi
ispettivi in Dir. Prat. Lav., n. 30/2004, Inserto; D. Papa, La prescrizione obbligatoria in C. L.
Monticelli, M. Tiraboschi (a cura di), La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale. Commentario al decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124 , Giuffré, Milano,
2004, 291 s.; L. Degan, M. Tiraboschi, La riforma dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza in GLav, n. 21/2004, 15 s.; P. Rausei, La nuova ispezione in azienda in Dir. Prat. Lav.-Oro,
n. 4/2004.
58 Tale “prescrizione minima” consistente nella cessazione del comportamento illecito sarà rivolta, in questo caso, al somministratore fraudolento che dovrà, appunto, ottemperare all’ordine
di immediata interruzione della fornitura illegale perché fraudolenta dei lavoratori interessati.
59 Nel senso manifestato nel testo, sia pure con riferimento ai soli profili di tutela civilistica, si
esprimono: C. Bizzarro, G. Bocchieri, Il nuovo regime sanzionatorio in materia di somministrazione, appalti, distacco, in La Riforma Biagi. Il decreto correttivo cit., VIII; P. Ichino, op. cit.,
317-321. Contra invece P. Chieco, op. cit., 144, secondo il quale “è da ritenere che all’effetto
sanzionatorio della nullità di diritto comune seguano quegli altri previsti dall’articolo 27 del
Decreto per la somministrazione irregolare”. Si vedano sul punto le interessanti argomentazioni di M. Mondelli, “L’elemento soggettivo nella somministrazione fraudolenta” in Dir. Prat. Lav.,
2005, 48, 2632.
60 Circa la natura, la struttura e le funzioni dell’Albo ministeriale sia consentito rinviare a P.
Rausei, Agenzie per il lavoro: requisiti, procedure e sanzioni , in Dir. Pra. Lav. 2004, 33,
Inserto.
61 Vale la pena segnalare, sotto un piano squisitamente pratico ed operativo, che nell’esercizio
delle funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria il personale ispettivo ministeriale non è chiamato
ad indagare nei suoi diversi aspetti l’elemento psicologico del reato e, quindi, ad evidenziare in
tutti i suoi profili la fraudolenza della condotta, ma piuttosto è tenuto a raccogliere e a documentare tutti quegli elementi di prova delle circostanze di fatto investigate, che consentiranno,
nell’eventuale prosieguo del processo penale, l’indagine giudiziaria in merito al grado di partecipazione psicologica e di colpevolezza dei soggetti agenti (utilizzatore e somministratore). Ne
consegue che la verbalizzazione e la intimazione nelle forme della prescrizione obbligatoria di cui
all’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004 dovrà essere supportata, anche in caso di contestazione
del reato di somministrazione fraudolenta, dal rilievo oggettivo degli elementi accertati e documentati che consente di ricondurre la fattispecie oggetto di indagine ispettiva all’ipotesi di reato
significata.
62 In questo senso, precisamente, insistendo sulla necessità della prova del dolo specifico F.
Scarpelli, op. cit., 435. Mentre a questo proposito M. Pedrazzoli, op. cit., 237, sostiene che
il riferimento letterale alla “specifica finalità elusiva”, se preso seriamente, conduce a porre
“una pietra tombale sulla possibilità di sanzionare la somministrazione fraudolenta”.
63 Per un esempio si fraudolenta somministrazione da parte di una agenzia regolarmente autorizzata si veda Bollettino Adapt, edizione speciale n. 13 del 13 aprile 2007 (in www.fmb.unimore.it), nel quale si analizza e commenta una ipotesi di somministrazione caratterizzata da elementi di chiara fraudolenza: il datore di lavoro A (svolgente attività di trasporto pubblico locale), per scelta strategica aziendale, occupa un numero X di lavoratori somministrati a tempo
147
determinato, prevalentemente (ma non solo) per ragioni sostitutive, rivolgendosi in modo sistematico alla Agenzia per il lavoro autorizzata alla somministrazione B; B, in concorso con A, fornisce ai relativi lavoratori “stabilmente” designati un apparecchio fax attraverso il quale, quotidianamente, l’Agenzia invia e riceve la dichiarazione di assunzione (e la comunicazione d’invio in
somministrazione) per la “regolare” costituzione del rapporto di lavoro “temporaneo” (quotidiano, settimanale o comunque di breve durata); l’apparecchio è in parte pagato dagli stessi lavoratori, i quali testimoniano che l’operazione di assunzione e cessazione del rapporto di lavoro
con l’Agenzia B avviene per l’intero anno di riferimento, con una cadenza, appunto, pressoché
quotidiana e sempre esclusivamente per le attività della società A .
64 Per un primo commento alla Circolare ministeriale n. 7/2005 si veda C. Bizzarro,
Somministrazione di lavoro: chiarimenti ministeriali , in GLav, 2005, n. 10.
65 Per uno specifico approfondimento sul punto si rinvia a F. Scarpelli, op. cit., 433-434.
66 In questo senso anche F. Scarpelli, op. cit., 434; P. Chieco, op. cit., 143-144.
67 Sull’interposizione illecita e sulla permanenza del divieto si veda, da ultimo, R. Del Punta, Il
“nuovo” divieto di appalto di manodopera , in Dir. Prat. Lav. 2005, 36, 1953 s.
68 Non sembra peregrina, al fine di insistere nelle argomentazioni supportate nel testo, neppure la considerazione relativa all’uso letterale dei concetti di “somministratore” e di “utilizzatore”
che lo stesso art. 18, comma 5-bis, del D.lgs. n. 276/2003 fa nel punire gli autori del distacco e dell’appalto illecitamente posti in essere. Sia consentito rinviare sul punto a P. Rausei,
Illeciti e sanzioni , Ipsoa, Milano 2005, 432 s.
69 Cfr. C. Bizzarro, Somministrazione di lavoro: chiarimenti ministeriali , cit., 14.
70 Peraltro, sembra potersi sostenere, anche nella ipotesi della somministrazione fraudolenta,
in qualsiasi forma la stessa si venga a manifestare, l’applicazione, all’utilizzatore fraudolento che
adempie alla prescrizione obbligatoria, dell’art. 27, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, per
cui i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito
corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata”, inoltre “gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il
quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha
effettivamente utilizzato la prestazione”.
71 P. Chieco “Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a
favore del terzo” cit., pag. 136.
72 Precisamente in questo senso le annotazioni di P. Chieco, “ Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive” cit., p.
177-178.
73 Cfr. ancora P. Chieco op. loc. ult. cit.
74 Parlano di “violazioni di carattere formale” anche C. Bizzarro, G. Bocchieri, Il nuovo regime
sanzionatorio in materia di somministrazione, appalti, distacco, in La Riforma Biagi. Il decreto
correttivo , in Guida al Lav. , 2004, n. 37, spec., VII.
75 Si noti che la sanzione amministrativa, contrariamente a quella penale più sopra esaminata
nel testo, non riceve dal legislatore una parametrazione legata al numero dei lavoratori coinvolti, pertanto è da ritenersi che tale elemento valga comunque quale riferimento ai fini del calcolo della sanzione secondo i criteri più generali contenuti nell’art. 11 della l. n. 689/1981. Salvo
a voler intendere concretata la violazione amministrativa con riferimento al singolo contratto
per il singolo lavoratore somministrato, giacché in tal caso avremmo più violazioni contestuali
della medesima norma, con relativo aggravamento del regime sanzionatorio.
76 Cfr. sulla questione E. Bartolini, Il codice delle depenalizzazioni , La Tribuna, Piacenza, 2000,
169 ss.
77 In questo senso le riflessioni di L. Iero, Sanzioni penali nel mercato del lavoro , in M.
148
Miscione, M. Ricci (a cura di), Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro , in F. Carinci
(coordinato da), op. cit. , vol. I, 354-355.
78 Sia consentito rinviare a P. Rausei, Somministrazione di lavoro: sistema sanzionatorio , in
DPL , 2004, n. 16, 1061 ss.
79 Così invece L. Iero, op. ult. cit ., 355.
80 Così esattamente L. Iero, op. ult. cit ., 355-356.
81 Per una corretta indagine sulla natura giuridica della fattispecie negoziale complessa che
ruota intorno al contratto di somministrazione di lavoro, si rinvia a: M. Tiraboschi,
Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco , in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma
Biagi del mercato del lavoro cit., 205 ss.
82 I lavoratori, in effetti, potrebbero non vedersi più riconosciuto intatto il diritto ad agire ex
art. 27, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003, a fronte di un contratto già compiutamente regolarizzato, dietro apposita diffida del personale ispettivo del Ministero del Lavoro, che in tal caso
dovrebbe, invece, limitarsi a dare atto della circostanza con specifica verbalizzazione dalla quale
discenderà l’irrogazione d ella relativa sanzione amministrativa e l’eventuale procedimento giudiziario attivato dai lavoratori interessati.
83 Il contributo al fondo del 4%, che nella prima versione originaria della legge n. 196/1997
ammontava al 5% delle retribuzioni, è da intendersi che in virtù della generale previsione degli
artt. 21, 22 e 23 del D.Lgs. n. 276/2003 sarà di fatto posto a carico dell’utilizzatore che
dovrà rimborsarlo all’agenzia di somministrazione.
84 Per un opportuno approfondimento sull’istituto, in chiave critica, vedi V. Filì “I fondi bilaterali per i lavoratori somministrati”, commento art. 12, in F. Carinci (a cura di) “Commentario al
D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276/2003” cit., tomo I, M. Miscione e M. Ricci (a cura di)
“Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro”, pagg. 257 e segg.
85 Per l’opinione favorevole ad una vera e propria abolitio criminis vedi: A. Miscione, Appalto di
manodopera dopo il D. Lgs. n. 276/2003: non punibilità del divieto , in DPL , 2004, 8; C.
Piazza, Riforma Biagi e abrogazione del divieto di interposizione di manodopera, in GLav , 2004,
5. In giurisprudenza cfr.: Trib. Ferrara 4 novembre 2003 n. 483 (in DPL , 2004, n. 8, 519520); Trib. Arezzo, sez. dist. Montevarchi, 14 novembre 2003 n. 215 (in DPL , 2004, n. 10,
665). Nella giurisprudenza di legittimità v. Cass. pen. 24 febbraio 2004 n. 7762, in DPL ,
2004, n. 19, 1308.
86 Per un mantenimento nell’alveo della punibilità del reato di interposizione illecita anche dopo
l’abrogazione della l. n. 1369/1960 vedi: R. Del Punta, La nuova disciplina degli appalti e della
somministrazione di lavoro , in Aa.Vv., Come cambia il mercato del lavoro , cit.; G. Rosin, La
somministrazione di lavoro , in GLav , 2004, n. 17; L. Tartaglione, Il lavoro esterno (la rinnovata disciplina in materia di somministrazione di lavoro, appalto e distacco, contenuta nel d.lgs.
n. 276/03) , in MGL , 2004, n. 5; anche S. Vergari, L’apparato sanzionatorio nella riforma del
mercato del lavoro , cit., 233-234; P. Rausei, Dall’interposizione di manodopera alla somministrazione di lavoro , in DPL , 2004, n. 10. In giurisprudenza vedi: Cass. pen. 26 gennaio 2004
n. 2583, in DPL , 2004, n. 10, 713, con nota di R. Guariniello, Somministrazione di lavoro tra
D. Lgs. n. 276/2003 e leggi precedenti , e in GLav , 2004, n. 13, 46, con nota di I.V. Romano,
Somministrazione e intermediazione di manodopera: prima pronuncia della Cassazione ; Cass.
pen. 9 giugno 2004 n. 25726, in GLav , 2004, n. 28, 10, con nota di C. Fossati, Rilevanza
penale dell’appalto di manodopera dopo la Riforma Biagi ; Cass. pen. 25 agosto 2004 n.
34922, in GLav , 2004, n. 48, 20, con nota di G. Falasca, Il divieto di interposizione di manodopera tra vecchia e nuova disciplina .
87 Sul punto la Circolare n. 7/2005 del Ministero del Lavoro afferma: “In caso di appalto non
genuino o di distacco fuori dai limiti individuati dall’ articolo 30 del decreto legislativo n. 276
del 2003, poiché tali ipotesi integrano una ipotesi di somministrazione senza autorizzazione e
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quindi irregolare, il legislatore ha espressamente previsto che il lavoratore possa chiedere la
costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione.
L’azione può essere proposta davanti al Tribunale in funzione di giudice del lavoro, anche solo
nei confronti dell’utilizzatore. E’ evidente, peraltro, che nell’ipotesi in cui la somministrazione
senza autorizzazione si concretizzi in assenza di un contratto scritto, il contratto di somministrazione deve comunque ritenersi nullo e i lavoratori sono considerati alle dirette dipendenze
dell’utilizzatore e questo indipendentemente dalla supposta qualificazione del contratto come
appalto ovvero dalla convinzione che l’invio del lavoratore presso il terzo integra la diversa ipotesi del distacco”.
88 Il testo riportato è tratto da Cass. pen. n. 2583/2004, cit.
89 Così, invece, criticamente, M. Miscione, L’abrogazione del divieto di interposizione (ricadute
sul piano sistematico e sanzionatorio) , in DPL , 2004, n. 37, 2402.
90 Invero, a ben guardare, la disposizione sanzionatoria del comma 5- bis differisce da quella del
comma 1, esclusivamente per il riferimento alla giornata “di occupazione”, anziché “di lavoro”,
ricalcando pedissequamente la dizione del comma 2, ma senza effetti peculiari nella ricostruzione giuridica della fattispecie illecita.
91 Peraltro, sotto un profilo oggettivo, infine, le condotte, risultanti dall’accordo negoziale in cui
si concreta la pattuizione relativa al contratto di appalto non genuino e quindi illecito (art. 84,
comma 2), finiscono per coincidere nell’avere il committente fittizio utilizzato illecitamente una
somministrazione di lavoro e nell’avere lo pseudo-appaltatore fornito manodopera senza munirsi della autorizzazione ministeriale richiesta dalla normativa.
92 Su un piano pratico, l’assenza dei requisiti di cui all’art. 29, comma 1, andrà accertata dal
personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro, a partire dalla verifica della esistenza in
capo all’appaltatore delle caratteristiche tipiche di impresa, per poi constatare la congruenza
dell’eventuale mero esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori
impiegati, a fronte della natura e delle esigenze dell’opera o del servizio oggetto dell’appalto
medesimo.
93 Cfr. Cass. pen. n. 25726/2004, cit., sia pure resa con riferimento al testo originario dell’art. 18 del d.lgs. n. 276/2003.
94 Cfr. per un approfondimento sulle sanzioni civili C. Bizzarro, Somministrazione irregolare e
somministrazione fraudolenta , in M. Tiraboschi, Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi.
Somministrazione, appalto, distacco e trasferimento di azienda cit., 391 ss.
95 Cfr. Il Sole 24Ore, 10 ottobre 2007, p. 27.
96 Per un raffronto fra le tre fattispecie considerate v. C. Bizzarro, M. Tiraboschi, La disciplina
del distacco nel decreto legislativo n. 276 del 2003 , in DRI , 2004, n. 2.
97 La successiva Circolare del Ministero del lavoro n. 28/2005, in realtà non amplifica la portata dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 ma si limita a negare la possibilità di ricorrere al
distacco in alternativa alla cassa integrazione guadagni al di fuori di un gruppo di imprese reale
e sussistente (effettiva autonomia delle imprese raccolte nel gruppo). Allo stesso modo la nota
dello stesso dicastero n. 1006 dell’11 luglio 2005 in materia di distacco in edilizia non allarga
le maglie della disciplina legale, riconoscendo alle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva
(art. 96 CCNL Edili Industria e art. 93 CCNL Edili Artigiano) la legittima assimilazione a quella
legalmente normata.
98 In questo senso, precisamente, M.P. Monaco, Il distacco del lavoratore , commento all’articolo 30 , in M.T. Carinci, C. Cester (a cura di), op. cit. , 221-223, che parla di quadro sanzionatorio “praticamente immutato”. Contra G. Vidiri, L’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003: una
norma di difficile lettura , in MGL , 2004, n. 8-9, 566-567.
99 Si tenga presente, peraltro, che qualora il distacco sia posto in essere in violazione delle
disposizioni di cui all’articolo 30, comma 3 (consenso del lavoratore per mutamento di mansio-
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ni o comprovate ragioni al distacco oltre 50 km), non si ha un’ipotesi di distacco illecito, ma
soltanto di distacco nullo per carenza di requisiti formali, con conseguente diritto per il lavoratore di seguitare a svolgere la prestazione lavorativa presso il datore di lavoro distaccante, nell’originaria sede di lavoro.
100 Cfr. per una dettagliata disamina sugli aspetti evidenziati nel testo F. Scarpelli, Commento
all’articolo 30 , in E. Gragnoli, A. Perulli (a cura di), op. cit. , 441-445.
101 Cfr. sul punto C. Bizzarro, op. ult. cit. , 14.
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Finito di stampare nel marzo 2008
da: StabilimentoTipolitografico
UGO QUINTILY S.p.a.