Stefania Limiti

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Stefania Limiti
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Lorenzo Fazio
Direttore editoriale Chiarelettere
© 2013 Chiarelettere editore srl
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Inchieste e reportage
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Autori e amici di
chiarelettere
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Sommario
iii
“La funzione storica
di Cosa nostra è stata
quella di costituire
un corpo di polizia
delle strutture parallele.”
Domenico Sica, ex alto commissario per la lotta alla mafia.
pretesto 1
f pagina 14
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iv
Doppio livello
“La strage di Capaci è al 90
per cento di mafia,
il resto lo hanno messo altri.
Per quella di via D’Amelio
siamo 50 e 50 e per le stragi
sul continente la percentuale
mafiosa scende
vertiginosamente.”
Luca Cianferoni, avvocato di Totò Riina, conversazione con l’autrice, 2010.
“La P2 è un prodotto
di importazione
americana.”
Francesco Cossiga.
pretesto 2
f pagine 408-409, 206
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Sommario
v
“Non penserà mica che fu opera
soltanto di quattro mafiosi?...
Mi creda, quei poveri scemi piazzati
nella casetta sopra la curva
dell’autostrada credono davvero
di aver compiuto un attentato con tutti
i crismi della professionalità…
non si sono accorti che altri,
ben più all’altezza di tali situazioni,
hanno fatto tutto con grande capacità,
lasciando a loro solo l’effimera illusione
di essere veri criminali...”
Testimonianza all’autrice di un ex gladiatore siciliano.
“Il nostro paese ha subito
una forma molto aggressiva
di ‘consociativismo occulto
di destra’ perché gli apparati
dello Stato hanno lavorato
a stretto contatto con gli
uomini del neofascismo.”
pretesto 3
f pagine 406, 414, 73
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vi
Doppio livello
LA RETE ATLANTICA, OVVERO LA STORIA
ITALIANA MANOVRATA DAI SERVIZI
SEGRETI INTERNAZIONALI
“Dagli anni Sessanta
in poi, ufficiali delle basi
Nato italiane hanno coltivato
rapporti con elementi
di Ordine nuovo.
Questi signori… sono
diventati coprotagonisti
dello stragismo,
verosimilmente manovrati
anche dai nostri servizi militari.”
Giudice Carlo Mastelloni, 1998.
“L’area veneta è stata
il cuore della Rete atlantica
in Italia. Lì si concentravano
le materie prime essenziali:
strutture e organismi militari
Usa e Nato e tanta
manovalanza nera disponibile
a collaborare.”
pretesto 4
f pagina 35
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vii
“Il governo degli Usa
ha mandato soldi alla P2.
La somma toccò anche
la cifra di dieci milioni
di dollari al mese. La Cia
si era servita della loggia
di Gelli per creare situazioni
favorevoli all’esplodere
del terrorismo in Italia.”
Testimonianza dell’agente Cia Richard Brenneke, agosto 1990.
pretesto 5
f pagina 220
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Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A.
Lorenzo Fazio (direttore editoriale)
Sandro Parenzo
Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)
Sede: via Melzi d’Eril, 44 - Milano
isbn 978-88-6190-412-5
Prima edizione: aprile 2013
www.chiarelettere.it
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Stefania Limiti
Doppio livello
chiarelettere
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Stefania Limiti è nata a Roma ed è laureata in Scienze politiche. Giornalista professionista, ha collaborato con varie testate, in particolare con il settimanale «Gente»,
su temi di attualità e di politica internazionale. Inoltre ha lavorato per «l’Espresso»,
«Left», «La Rinascita della Sinistra» e «Aprile». Si è dedicata negli ultimi due anni
alla ricostruzione di pezzi ancora oscuri della nostra storia attraverso la lettura delle
sentenze giudiziarie e interviste ai protagonisti: il risultato di questo lavoro giornalistico viene presentato nelle pagine seguenti.
Segue con molta attenzione la questione palestinese e ha scritto I fantasmi di Sharon
(Sinnos 2002), nel quale ricostruisce la strage nei campi profughi di Sabra e Shatila
e le responsabilità libanesi e israeliane, e «Mi hanno rapito a Roma» (Edizioni L’Unità 2006) sulla vicenda del sequestro da parte del Mossad di Mordechai Vanunu,
che mise l’Italia sotto i riflettori del mondo intero nel 1986. Inoltre ha realizzato
un’inchiesta sul dossier di Bob Kennedy sull’assassinio del presidente degli Stati
Uniti dal titolo Il complotto. La controinchiesta segreta dei Kennedy sull’omicidio di
Jfk (Nutrimenti, 2012). Con Chiarelettere ha pubblicato L’Anello della Repubblica
(2009), più volte ristampato.
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Sommario
doppio livello
Introduzione7
False bandiere e tecniche di destabilizzazione
11
L’operazione Nisva e la Rete di agenti atlantici
29
Ordine nuovo: un servizio segreto clandestino
73
L’altra Gladio e la guerra tra la folla
135
Oltre la P2
203
L’agenzia del crimine
277
L’uomo del doppio livello
327
False bandiere a Capaci
405
Indice dei nomi
461
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doppio livello
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Ringrazio le tante persone che nel corso di questo lavoro mi
hanno sostenuta con i loro consigli e incoraggiamenti.
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A papà, Foffo e Iaio,
che mi mancano tanto
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Si può sospettare che esista una segreta carta costituzionale
che al primo articolo reciti: la sicurezza del potere si fonda
sull’insicurezza dei cittadini. Di tutti i cittadini, in effetti:
anche di quelli che, spargendo insicurezza, si credono sicuri...
Leonardo Sciascia
Se è vero che da verità nasce verità, vi è sempre un filo di speranza.
Gianfranco Donadio, procuratore aggiunto Dna
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Introduzione
Alcune persone sanno chi sono i mandanti delle stragi e dei delitti
politici che hanno segnato la storia del nostro paese. Non possono
o non vogliono parlare, ma sanno tutto, questo è certo. C’è chi
ha usato questa conoscenza come arma per ottenere potere e chi
ha scelto di usarla per garantirsi l’immunità: sempre di ricatto
si tratta. Nessuno di loro parlerà, ormai è chiaro.
La coscienza collettiva, invece, si interroga da sempre, guardandosi indietro per cercare la verità, molto spesso senza trovarla.
Mentre scriviamo, la Procura di Milano sta decidendo cosa fare
di quattro nuovi filoni d’inchiesta sulla strage di piazza Fontana
(12 dicembre 1969) – non importa qui l’esito di quella decisione ma il fatto che le indagini non si siano mai fermate – e la
Procura di Firenze ha da poco ordinato l’arresto del pescatore
che ha fornito una parte dell’esplosivo per la strage di Capaci
(23 maggio 1992): in entrambi i casi, una ricerca lunga, infinita.
Un percorso interminabile dal quale è emerso che gli architetti
delle stragi hanno goduto sempre di un’estesa impunità e sono
rimasti senza volto.
Tutto questo è stato possibile perché nelle stragi e nei delitti
politici è esistito un doppio livello. Affinché questo si attivi,
occorre l’incrocio di interessi, aspirazioni e progetti tra chi
realizza il crimine e i concorrenti esterni (che soggetti di natura
anche totalmente differente si siedano, cioè, intorno a un ideale
tavolo di pianificazione per portare avanti un obiettivo paral-
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Doppio livello
lelo) oppure che l’esecutore dell’azione stragista sia indotto a
ritenersi l’artefice di un processo, si illuda di essere il dominus
di un’operazione in realtà ideata da altri. Non basta perciò la
più semplice distinzione tra mandanti ed esecutori, valida nella
grande maggioranza dei fenomeni criminali.
Questo libro vuole entrare nel doppio livello della destabilizzazione, che è poi il filo invisibile che lega la storia della nostra
repubblica, dalla sua nascita fino alle stragi mafiose, tentando
di capire come sia stato possibile realizzare una così grande
operazione di camuffamento e deviazione della verità.
Nel ripercorrere le vicende politico-criminali che hanno tormentato il nostro paese, si può cogliere l’ombra di qualcuno che
ha lavorato con meticolosità per scompaginare tutto il quadro e
impedire la comprensione di fenomeni terroristici trasformati
in trame intricate e incomprensibili, inafferrabili nelle aule giudiziarie. Non occorre andare troppo indietro negli anni. Basta
pensare all’incredibile depistaggio messo in atto dopo l’omicidio
del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta nel luglio 1992:
è stato mandato in galera un delinquente estraneo alla strage
ma, nel frattempo, quale verità doveva essere protetta? L’Italia è
stata così trasformata nel paese dei misteri, dei segreti condivisi
solo da alcuni. Qualcuno sostiene che anche l’assenza di un’unica procura nazionale che si occupi dei fenomeni terroristici e
mafiosi non sia casuale, ma frutto di quell’opera di scomposizione
dell’intero quadro eversivo.
Se proviamo a ricomporre pazientemente alcune storie, avremo
una rappresentazione nuova di vicende anche note. Ad esempio
Gladio: quando fu rivelata da Giulio Andreotti la sua esistenza,
molti dissero che stavamo per penetrare nei segreti d’Italia. Una
persona esperta e acuta, il giudice Giovanni Tamburino, fece
osservare che in realtà il prodotto di quella novità era «un effetto abbagliamento. Come un lampo di magnesio in una notte
senza stelle. La rivelazione di Gladio ha obbligato a ragionare di
questa struttura a partire dagli elementi che sono stati forniti.
Il metodo va invece ribaltato: bisogna partire dagli elementi
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Introduzione
9
di cui si dispone per definire la struttura».1 Perché in questo
modo si scoprono aspetti nuovi di una realtà che si pensava di
conoscere bene. Si pensi alle terribili stragi di mafia dei primi
anni Novanta: sono state eseguite da Cosa nostra ma, quando
sulla scena del crimine compare una donna, bisogna allargare
il punto d’osservazione. Il mistero della presenza di una bionda
nei commando che colpirono in via dei Georgofili a Firenze e
in via Palestro a Milano2 scompagina l’ipotesi che quelle fossero
azioni di puro terrorismo mafioso: non c’è dubbio che il ruolo
femminile non si concili con la classica azione mafiosa e che,
anzi, confermi le ormai sempre più consistenti intuizioni sui
«concorrenti esterni».
Proprio come racconta in questo libro un ex appartenente alla
Gladio siciliana: «Non crederà mica che la strage di Capaci fu
opera soltanto di quattro mafiosi?» mi disse durante un nostro
incontro. In effetti, strani oggetti distrattamente lasciati sul
luogo della strage, e molti altri indizi, autorizzano a ricostruire
la dinamica dell’operazione, facendo entrare in scena altre presenze, impegnate a garantire la riuscita di un «grande botto».
Quando si studia la destabilizzazione si scopre che niente è
come sembra e che le operazioni che la realizzano sono sempre
camuffate. Occorre scomporre ogni volta il quadro e poi ricomporlo, mettendo insieme pezzi apparentemente slegati. Questo
lavoro prova a farlo tornando a raccontare alcune vicende note
solo per cercare verità ancora sconosciute.
Sul sito www.chiarelettere.it è disponibile un’appendice con
materiale di approfondimento.
«La Repubblica», 15 aprile 1995.
Sul ruolo di una donna in queste due circostanze stragiste ha insistito
l’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso nella sua ultima
audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia (22 ottobre 2012). Si veda «La Stampa», 23 ottobre 2012.
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False bandiere e tecniche di destabilizzazione
È necessario sapere che cosa occorra osservare. Il nostro giocatore
non si pone limiti; l’oggetto è il gioco ma non per questo trascura
di trar deduzioni da ciò che è estraneo al gioco.
Edgar Allan Poe
Nel 1988 un uomo molto importante all’interno delle istituzioni,
Vincenzo Parisi, si espresse con parole chiare e non usuali nella sua
veste di capo della polizia circa gli scopi perseguiti da chi voleva
le stragi. Parlò di mandanti «schermati da cortine protettive» che
impedivano «di risalire lungo la strada delle attribuzioni degli
incarichi dall’uomo di paglia al cervello dell’organizzazione».
Per poi affermare:
La scelta destabilizzante delle stragi appare quindi collocabile
nell’ambito di quel carattere di «guerra surrogata» assunto (per
molteplici aspetti) dal terrorismo. Le stragi possono, quindi, essere
inquadrate in una pianificazione, di ampio rilievo strategico, che
tenta, per un verso, di ostacolare i paesi colpiti nella loro opera
di progettazione ed elaborazione degli interventi socio-politicoeconomici necessari al progresso sociale e, per l’altro, di influire
su equilibri politici, economici e militari di livello internazionale.
All’Italia spetta il triste primato di essere il paese, a democrazia
avanzata, con il più alto numero di vittime provocate dallo stragismo. Gli attentati di tipo stragistico perpetrati nel corso degli
ultimi decenni si proponevano, quindi, di incrinare la compattezza
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Doppio livello
delle istituzioni e soprattutto di creare tensione, panico e confusione all’interno della società, con il massacro indiscriminato. Si
tende con l’atto criminoso a frammentare il sistema di sicurezza e
l’ordine statuale, sollecitando divisioni e contrasti all’interno dello
schieramento democratico. Ripeto quanto ho già avuto modo di
affermare: lo «stragismo» strumento malvagio, volto a intaccare e
incrinare il sistema politico, può, di conseguenza, diventare esso
stesso strumento politico (non qualificato in forma democratica,
ma qualificantesi con interventi impropri ed esiziali).1
A ben riflettere sembra proprio che queste parole traducano in
termini moderni il suggerimento che Voltaire aveva affidato al
suo Candido (1759): «In questo paese è bene ammazzare di tanto
in tanto un ammiraglio, per dare coraggio agli altri».
Prima di Parisi, il concetto di «guerra surrogata» era stato elaborato in forme diverse da un saggista di formazione anarchica,
Gianfranco Sanguinetti, il quale si diceva convinto, già a metà
degli anni Settanta, dell’ampia manipolazione dei fenomeni
eversivi, poi emersa in parte negli anni successivi. Sanguinetti
parlò di «terrorismo artificiale», creato ad arte, pianificato con
scopi diversi da quelli che poi gli vengono attribuiti. A suo dire,
il terrorismo artificiale aveva uno scopo preciso, «quello di far
credere a tutta la popolazione, insofferente o in lotta con lo
Stato, di avere almeno un nemico in comune con questo Stato,
dal quale nemico lo Stato la difende a condizione di non essere
più messo in questione da nessuno. La popolazione deve così
convenire che almeno in questo ha bisogno dello Stato, al quale
deve però delegare i più ampi poteri perché possa affrontare con
vigore l’arduo compito della comune difesa da un nemico oscuro, misterioso, perfido, spietato e, in una parola, chimerico».2
Audizione in Commissione stragi del capo della polizia Vincenzo
Parisi, 6 dicembre 1988.
2
Gianfranco Sanguinetti, Del terrorismo e dello Stato: la teoria e la pratica del terrorismo per la prima volta divulgate, Edigraf, Milano 1979,
p. 32.
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Gli atti di terrorismo, dalle azioni meno cruente, quelle
che creano panico nelle strade, apparenti «provocazioni» di
criminali comuni se non di squilibrati, fino alle stragi, dove
una mano oscura semina morte, condividono sempre lo stesso
scopo, quello di immobilizzare le energie di un paese. Questo
riguarda fenomeni apparentemente distanti e diversi. Le storie
che raccontiamo in questo lavoro sembrano slegate. In realtà,
tra loro esiste un inesorabile punto di contatto: hanno tutte
un retroscena invisibile e inesplorato, spesso noto ma non
ricomposto a sufficienza per poter vedere il doppio livello della
destabilizzazione, cioè quello che ha consentito l’impunità dei
mandanti, se non degli stessi esecutori.
Dobbiamo chiederci se davvero gli attentati ai treni che annunciarono la strage di piazza Fontana non abbiano lo stesso «calco»
delle sette stragi «mafiose» che in undici mesi hanno terrorizzato
le strade di questo paese dal 14 maggio 1993 al 14 aprile 1994;
perché il 5 gennaio 1992 è stata tentata una strage sulla tratta
ferroviaria Brindisi-Lecce, evitata solo perché il convoglio viaggiava con due minuti di ritardo;3 e perché la fantomatica Falange
armata rivendicò quel gesto. E poi: la P2 è stata solo una potente
Era il treno Espresso 388 diretto a Zurigo via Milano, in transito
alla stazione di Surbo, a pochi chilometri da Lecce. Sul convoglio
viaggiavano 1200 persone: l’ordigno scoppiò sotto un ponte stradale prima che arrivasse il treno, partito da Lecce intorno alle 21: le
conseguenze dello scoppio sarebbero state devastanti. Il fallito attentato segnò il punto più acuto di episodi criminosi avvenuti nei mesi
precedenti contro la Questura e il Palazzo di giustizia di Lecce e altri
obiettivi di cui parlò un pentito dell’organizzazione mafiosa Nuova
sacra corona unita, Cosimo Cirfeta, di 28 anni, braccio destro di uno
dei capi dell’organizzazione, Gianni De Tommasi. Cirfeta riferì ai
magistrati sul modo in cui era organizzata la Nscu, parlando poi della
sua dissoluzione e di una nuova associazione, la Rosa dei venti, che
sarebbe stata creata dalle ceneri della Nscu. Rosa dei venti, come è
noto, era la denominazione del gruppo paramilitare legato alla Nato
svelato nel 1973 dal giudice Giovanni Tamburino. Si veda Ansa, 25
febbraio 1993.
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Doppio livello
associazione segreta con un leader scaltro e capace, oppure Licio
Gelli aveva solo un potere «delegato»? E chi glielo aveva conferito? Fu solo un caso che pochi giorni prima della tragedia del
Rapido 904 (23 dicembre 1984, Grande Galleria dell’Appennino,
all’altezza di Vernio) si svolse proprio in Toscana l’operazione
Mangusta 84/2, un’esercitazione di guerriglia e controllo del
territorio alla quale presero parte i reparti scelti di Gladio, tra i
quali anche uomini del Centro Scorpione di Trapani?4 E ancora: se le stragi «mafiose» del ’92 sono la continuazione di una
strategia della tensione che «non ha mai abbandonato l’Italia»,5
come ha ammesso l’ex capo della Procura nazionale antimafia,
Pietro Grasso, chi le ha ideate e pianificate? Se la funzione storica
di Cosa nostra, secondo Domenico Sica, ex alto commissario
per la lotta alla mafia, è stata quella di costituire «un corpo di
polizia delle strutture parallele»,6 perché si è sempre parlato di
terrorismo mafioso come di un fatto tutto interno alla logica
rivendicativa o preventiva della Cupola siciliana?
A questo punto è possibile che qualche lettore, nonostante il
Candido di Voltaire, pretenda di appellarsi alla ragione e voglia
affrettarsi a chiudere il discorso perché gli ripugna qualsiasi
forma di «occultismo politico».7 La storia è fatta dai grandi
movimenti ideali, religiosi e politici, a cosa serve – già sentiamo
il commento – cercare l’intrigo di una combriccola clandestina?
Nella sua recensione a un libro sull’assassinio di John Kennedy,
il giornalista Gianni Riotta, oggi amministratore delegato della
Fondazione Memoriale Caduti per la Pace,8 scrive: «Non ci sono
né complotti né innocenti, solo il sordo, feroce dipanarsi della
«L’Unità», 24 febbraio 1992.
Conferenza stampa alla Procura di Caltanissetta. Ansa, 8 marzo
2012.
6
Conversazione con l’autrice, gennaio 2012.
7
Gianni Riotta, È il complotto, bellezza!, «La Stampa», 9 febbraio
2012, recensione a James Hepburn, Il complotto, la controinchiesta
segreta dei Kennedy sull’omicidio di Jfk, Nutrimenti, Roma 2012.
8
Ansa, 21 febbraio 2012.
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False bandiere e tecniche di destabilizzazione
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guerra fredda dove l’aggettivo non deve nascondere il sostantivo.
E in ogni guerra guardare al palese avvicina alla verità più che
non sprofondare, con intenzioni magari generose, nel “non a
caso” dell’occultismo politico...».9 In effetti, sarebbe molto
bello poter sollevare un velo per scoprire cosa c’è sotto ognuno
di questi segreti. Solo che, per definizione, gli avvenimenti che
compongono la trama di una strategia terrorista vengono pensati,
pianificati e realizzati insieme a tutti gli elementi depistanti, in
modo che sia assicurata la «deviazione» della verità.
Un protagonista della vita politica italiana, sempre ben informato, Rino Formica,10 ha proposto una efficace sintesi dei
«misteri» della repubblica: «C’è un metodo assai collaudato
quando vengono consumate stragi e delitti: immediatamente
si alimenta quella che è una giusta esigenza, sapere la verità,
indicando mille possibili verità. Poi inizia il depistaggio scientifico. E così si guadagna il primo tempo, prezioso, che serve a
eliminare le impronte digitali. Poi si guadagna altro tempo, con
l’aiuto di un’opinione pubblica nauseata dal bombardamento
di verità contraddittorie. E in questa fase vengono soppresse
le prove e qualche volta, è successo, i testimoni. Poi, dopo un
certo numero di anni, la questione si ripropone perché qualcuno
pensa di poter offrire una verità accettabile. Ma nel frattempo
sono state fatte sparire le tracce e ci si avvita nuovamente. Il caso
emblematico è piazza Fontana: dopo aver indicato piste di ogni
colore, la Corte d’appello di Bari [dove fu spostato il processo
nell’agosto dell’85, ndr] ha assolto tutti. L’unica cosa che non
hanno potuto cancellare è la strage».11
Naturalmente, le macchinazioni non fanno la storia ma esistono, soprattutto nelle società dove i poteri occulti hanno assunto
G. Riotta, È il complotto, bellezza!, cit.
Esponente del Partito socialista, entrato in parlamento nel 1979,
capogruppo socialista alla Camera, poi ministro dei Trasporti, del
Commercio con l’estero e anche delle Finanze e Lavoro.
11
«Epoca», 27 novembre 1988.
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Doppio livello
un’importanza via via crescente. Lo storico Angelo Ventura
descrive i requisiti essenziali del concetto di poteri occulti, per
non «cadere nel paradosso e dilatar[n]e il concetto sino a privarlo
di significato reale e quindi di efficacia»12 e individua i seguenti
caratteri costituenti: «Il segreto, che copre in tutto o in parte i
membri, le azioni e talvolta gli stessi fini e addirittura l’esistenza
dell’organizzazione; la funzione di contropotere, in quanto perseguono autonomamente fini propri di potere, diversi o contrari
rispetto al potere legittimo; il carattere illegale delle attività e, per
lo più, della stessa esistenza dell’organizzazione occulta». Dopo
la definizione, lo storico identifica i principali poteri occulti
operanti nel nostro paese almeno nell’ultimo ventennio, poteri
attivi in una dimensione internazionale e caratterizzati da un
complesso intreccio di rapporti: i servizi segreti nazionali, o settori di questi servizi, nella misura in cui assumono il carattere di
corpi separati sottratti al controllo del governo politico, e quelli
stranieri che operano nel nostro territorio con metodi illegali
e senza l’autorizzazione del governo italiano; le organizzazioni
eversive clandestine, rosse e nere; la loggia massonica P2 e le
altre logge segrete; la grande criminalità organizzata, definita
anche «strutturata». Sono i soggetti che incontreremo nel nostro
racconto, quelli che hanno potuto giocare la loro partita anche
in autonomia, partecipando a una guerra sotterranea che ha
trovato il suo luogo più naturale nel paese chiave del Mediterraneo, «ventre molle» dell’Alleanza atlantica.
Al grande gioco della destabilizzazione partecipano diversi
soggetti che usano strumenti variegati. Non si tratta di evocare
l’esistenza di una Spectre, cioè di una mente diabolica che stabilisce il piano e lo fa attuare. Non è così. Ma la cospirazione
esiste, come dicevamo, e si attua con i modi e i tempi dettati
dalle contingenze: non sempre riesce. La maggior parte delle volte
è invisibile, tanto che non è quasi mai possibile stabilire in un
Angelo Ventura, Per una storia del terrorismo italiano, Donzelli, Roma
2010, p. 140.
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False bandiere e tecniche di destabilizzazione
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processo chi l’ha ordita, spesso neanche chi l’ha messa in pratica.
Spesso si realizza attraverso agenti di influenza che non usano
la coercizione, ma il convincimento e la persuasione ideologica.
Non sono spie né informatori, ma persone in grado di orientare
le scelte di un governo attraverso i propri rapporti o la propria
posizione professionale, spesso raggiunta appositamente per
la missione che si propongono e ottenuta per intercessione di
qualche potente.
Un’efficacissima definizione di agente di influenza è stata data da Francesco Cossiga nel suo Abecedario,13 sintetico
manuale di intelligence di ampia divulgazione. Innanzitutto, il
lavoro dell’agente di influenza viene classificato sotto la categoria «attività offensive». Tra queste vengono poi distinte quelle
ordinarie, volte ad «aggredire» il paese di interesse, carpendone
i segreti (spionaggio) o influenzandone il processo decisionale
(ingerenza e influenza). Tra le attività non ordinarie rientrano
quelle finalizzate al danneggiamento di infrastrutture militari
o scientifiche (sabotaggio) o a promuovere la guerriglia contro
il regime vigente.
L’agente di influenza ha un ruolo attivo e un’ampia potenzialità
operativa, perché non deve nascondersi ed è molto difficile che
venga scoperto. Licio Gelli è stato per decenni uno dei più importanti agenti di influenza che hanno operato nel nostro paese.14
Ad esempio, per pura finzione, si pensi al caso di un paese in
guerra, mercato appetibile per i mercanti di armi: sempre per
ipotesi, mettiamo si tratti della Somalia. Per garantire un lungo
Francesco Cossiga, I servizi e le attività di informazione e di controinformazione. Abecedario per principianti, politici e militari, civili e gente
comune, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002.
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Esiste un’infinita varietà di operazioni camuffate, perché tante sono
le modalità attraverso cui influenzare la vita di un paese, spesso anche molto sofisticate. Dietro un fenomeno apparentemente criminale come il riciclaggio di soldi possono mimetizzarsi personaggi che
si muovono non solo per fare soldi. Per approfondimenti, si veda
l’appendice disponibile sul sito www.chiarelettere.it.
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Doppio livello
conflitto, occorre creare un canale per il traffico illecito. A tal fine,
un paese terzo, mettiamo sia l’Italia, viene convinto a realizzare
una missione umanitaria nel luogo dove occorre far affluire la
micidiale merce che verrà così spedita insieme a medicinali o
alimenti. Magari il ministro che si dà da fare per far approvare
dal parlamento quella missione non è neanche consapevole degli
scenari che sono dietro quella decisione.
Le operazioni sotto falsa bandiera
La strategia della destabilizzazione è figlia di un lungo percorso.
Daniele Ganser, storico presso l’Università di Basilea, ha dimostrato che gli Stati Uniti, subito dopo la fine della Seconda guerra
mondiale, hanno realizzato in Europa, grazie a un meticoloso
controllo del territorio, reti clandestine e armate che poterono
operare indisturbate almeno fino alla fine della guerra fredda
perché trattati e accordi intercorsi dal dopoguerra in avanti con
i rispettivi Stati nazionali lo consentivano. Il funzionario della
Cia in pensione Thomas Polgar, dopo la scoperta degli eserciti
segreti in Europa occidentale, confidò a Ganser che essi erano
stati coordinati da «“una sorta di gruppo di pianificazione di
guerra non convenzionale” legato alla Nato. Anche la stampa
tedesca lo confermò, parlando di un dipartimento riservato
della Nato rimasto per tutta la durata della guerra fredda sotto
il dominio statunitense. “Le missioni degli eserciti occulti vengono coordinate dalla ‘sezione Forze speciali’ in un dipartimento
di massima sicurezza del quartiere generale Nato a Casteau”
riportava la stampa tedesca. “Una grigia porta d’acciaio che
si apre come il caveau di una banca soltanto mediante una
particolare combinazione numerica impedisce l’accesso ai non
autorizzati”».15
Daniele Ganser, Gli eserciti segreti della Nato. Operazione Gladio e
terrorismo in Europa Occidentale, Fazi, Roma 2005.
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False bandiere e tecniche di destabilizzazione
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Forse non sapremo mai quanti organismi clandestini e illegali
siano nati per gemmazione dagli eserciti segreti.
Sappiamo però che in Italia la dottrina della guerra non
convenzionale, o guerra non ortodossa, ha allevato alti ufficiali,
agenti dei servizi segreti e quadri del neofascismo, e che uno dei
principali veicoli di insegnamento e diffusione delle tecniche della
guerra non convenzionale è stato un organismo di nome Aginter
Press, camuffato sotto l’apparente attività di un’agenzia di stampa
fondata a Lisbona nel settembre del 1966. L’Aginter Press, che
in realtà era una dépendance dei servizi segreti occidentali, è stata
portatrice di un patrimonio di conoscenze enorme, tramandato
negli anni. Basti pensare che nel 1978 in casa del militante di
Ordine nuovo Gianluigi Napoli furono trovati due opuscoli dal
titolo Norme generali e Il foglio d’ordine, datati marzo e maggio
1978. Gli erano stati consegnati dal camerata Gianni Melioli
e contenevano principi e metodi ai quali dovevano attenersi
i «soldati politici» dell’organizzazione neofascista fondata da
Pino Rauti. I due opuscoli erano praticamente una fotocopia
del manuale pratico rinvenuto presso la sede dell’Aginter Press:
il legame è sostanzialmente certo, hanno detto gli investigatori.
L’Aginter Press fu punto di collegamento tra gli organismi Stay
Behind e la galassia dei gruppi neonazisti e neofascisti in Europa e
operò come un vero e proprio servizio segreto parallelo alle dipendenze della Cia e delle strutture dell’Alleanza atlantica, insegnando
a praticare la strategia della tensione attraverso l’infiltrazione e
l’intossicazione dei movimenti e le tecniche con cui attribuire la
responsabilità degli attentati a persone o a organizzazioni estranee.
Negli anni successivi a quelli dell’attività dell’Aginter Press,
per studiare i fenomeni della destabilizzazione è stato introdotto
uno strumento di analisi che può essere molto utile nella comprensione di fatti anche recenti: si tratta del concetto di false
flags (false bandiere).16
Per approfondimenti, si veda l’appendice disponibile sul sito www.
chiarelettere.it
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