Australopiteci

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Australopiteci
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Gentile Lettore
La Fondazione Translife ha come mission la divulgazione della
recentissima scoperta scientifica delle due matrici (double-matrix
vivente e schiavizzante), trattata nel libro Translife Revelation Anime
Libere, che cambia per sempre la storia dell’uomo e porta a
compimento millenni di ricerca e i percorsi dei grandi illuminati.
La scoperta identifica con precisione l’essere vivente non
biologico che assimila gli uomini, il programma cerebrale che installa nel
loro cervello, e le modalità per Liberarsene.
La scoperta non verrà ovviamente mai comunicata dai
canali ufficiali. Per saperne di più scarica gratuitamente il Primo
Capitolo di Translife Revelation Anime Libere seguendo il link ->
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Phylum homo sapiens
Ominazione
Mammiferi
200 milioni di anni fa
Zhangheotherium quinquecuspiden, mammifero primitivo vissuto circa
130 milioni di anni fa.
I primi mammiferi sarebbero comparsi in asia oltre 200 milioni di anni
fa, tra loro alcuni lunghi 3 cm circa e dal peso vivo di 2 grammi, con un
grande rapporto peso/cervello (come il toporagno Suncus etruscus che
con i suoi 3,5 cm di lunghezza e 2 grammi di peso rappresenta il
mammifero vivente più piccolo che si conoscano). Dieta insettivora per
i primi mammiferi, come per la vespa eusociale antenata di api e
formiche.
Mammiferi placentati
70-65 milioni di anni fa
Scenario geografico-climatico: siamo alla fine del Mesozoico, circa 70
milioni di anni fa: Europa e America settentrionale sono ancora unite
nel supercontinente di Laurasia e lungo la fascia equatoriale che lo
attraversava si formano enormi distese di piante con fiori. Grazie alla
presenza di questi alberi con fiori, si viene a creare una nicchia ecologica
molto favorevole, che permette ad un gran numero di insetti di
insediarsi e prosperare, vista l'abbondanza di cibo disponibile.
Su quegli stessi alberi trovano successivamente il loro habitat naturale
gli Insettivori che in precedenza vivevano a terra.
Questi, a loro volta, si adattano gradualmente al nuovo ambiente
sviluppando zampe prensili e una notevole agilità trasformandosi in
Proscimmie, le quali pertanto ebbero origine nei continenti del nord e
non a sud, dove si spostarono solo successivamente, in rapporto ai
cambiamenti climatici.
Secondo gli ultimi studi, i primi mammiferi placentati sarebbero nati e
cresciuti rapidamente a partire da 70-65 milioni di anni fa, dopo
l’estinzione dei dinosauri, o poco prima, con l’antenato originale che ha
iniziato a differenziarsi circa 200.000-400.000 anni dopo l’evento.
Nello specifico l’evoluzione dei placentati, sarebbe iniziata con animali
simili alle tupaie, adattati alla vita arboricola e insettivori.
Il capostipite sarebbe un piccolo insettivoro-frugivoro, il Purgatorius
ceratops, ricoperto di pelliccia, con una lunga coda e pesante poco più
di 200 grammi. La capacità di arrampicarsi sugli alberi avrebbe conferito
a tale specie un vantaggio competitivo sugli altri mammiferi, per lo più
terricoli, e ciò probabilmente contribuì al successo dei primi primati.
55 milioni di anni fa
Il fossile del più antico animale con caratteristiche da primate mai
scoperto, forse antenato comune di scimmie, scimpanzé e ominidi, è
l’Archicebus achilles, che misurava circa 7 cm, esclusa la lunghissima
coda, dal peso di circa 20-30 grammi.
La ricostruzione virtuale ha permesso di studiare nei dettagli le strutture
dello scheletro e di scoprire, per esempio, che la creatura sapeva saltare
molto bene e che questo probabilmente era il modo preferito con cui si
spostava sui rami; i piccoli denti appuntiti indicano che si cibava di
insetti; i grandi occhi sporgenti suggeriscono invece che l'Archicebus
achilles aveva una ottima vista utile alla caccia diurna.
Scimmie e ominazione
Premessa: La Rift Valley
Circa 35 milioni di anni fa, in Africa orientale, oltre al generale
deterioramento climatico, la progressiva diminuzione dell'umidità e le
alternanze marcate delle stagioni, si realizzò un evento geologico di
enorme portata: la formazione della frattura tettonica lunga oltre 5 mila
chilometri, la Rift Valley, che determinò quelle profonde depressioni
(fino a 7 km) e solcature che caratterizzano oggi la fascia orientale del
continente africano.
La frattura, dal tipico andamento tripartito, si espanse dal mar
Rosso verso sud ovest, creando una sorta di imbuto in cui si
incanalarono i venti secchi del nord; si creò quindi una sorta di barriera
ecologica che taglio fuori la foresta pluviale a est della valle, dagli
approvvigionamenti idrici.
Questi mutamenti determinarono variazioni sull'ambiente della
regione, attraverso una drastica diminuzione della copertura arborea a
est, a vantaggio di ambienti aperti tipo savana che agirono come
principale agente selettivo tra le specie esistenti. In particolare, i Primati
che più si erano specializzati nella vita arboricola, risentirono
fortemente di questi cambiamenti, estinguendosi o adattandosi alle
nuove condizioni ecologiche.
Alcuni di questi adattamenti determinarono l'inizio di quella che
oggi è considerata l'evoluzione dell'uomo con la nascita delle prime
forme di Ominidi circa 6 milioni di anni fa (comunque fra 7 e 5 milioni).
In particolare il nuovo ambiente di savana, molto selettivo e
micidiale per le caratteristiche dei primati quadrupedi di allora, portò al
successo evolutivo dei primati che tendevano alla postura eretta.
*A seguire, per “habitat”, si intende quello nella valle del Rift
Primati catarrini ->Scimmie Driopitecine ->Proconsul
25 milioni di anni fa
Dieta: frutti, germogli e foglie tenere
Habitat: foresta tropicale; viveva e dormiva sugli alberi dove trovava il
cibo per il suo sostentamento.
Tra queste scimmie vi era Il Proconsul africanus (si ritiene si nutrisse di
sola frutta), dotato proporzionalmente di un grosso cervello.
L’esemplare di Proconsul africanus ritrovato, è il più antico documento
fossile di un primate sprovvisto di coda e viene ritenuto da molti,
l'antenato diretto delle attuali scimmie antropomorfe africane
(scimpanzé e gorilla) e dell'uomo. Erano una specie che prediligeva le
foreste tropicali dell'Africa centro-orientale.
Australopiteci
4,2 milioni di anni fa
Dieta: variabile a seconda della specie e dei luoghi. Era dotato di denti
abbastanza adatti a ogni cibo.
Come abbiamo visto, la nascita della catena montuosa della Rift Valley,
creò una differenza di clima tra le regioni che si trovavano ad est da
quelle che si trovavano ad ovest rispetto ad essa. Le masse cariche di
umidità provenienti dall’Atlantico scaricavano le precipitazioni sulle
catene del Rift, giungendo nelle regioni orientali ormai scariche.
Inizialmente ad ovest le terre rimasero coperte di foreste, mentre a est
si creò un clima più arido che portò alla riduzione e alla scomparsa della
foresta, con la formazione della savana.
Gli evoluzionisti Donald Jhonson e Tim White, dopo il ritrovamento di
Lucy (un fossile così nominato), hanno pensato all'Australopithecus
afarensis come antenato dell'uomo, mentre gli evoluzionisti Ronald
Clarch, Filis Tobias e Lee Berger, paleoantropologo alla Johannesburg's
University di Witwatersrandi, hanno pensato all'Australopithecus
africanus (detto anche Australopiteco gracile).
Lee Berger, in particolare, è giunto alla conclusione che
l'andatura di A. africanus era più vicina al modello delle scimmie
antropomorfe di quanto non lo fosse quella di Lucy e così è caduta l'idea
che l'Afarensis avesse dato origine, per via di una divaricazione di
phylum (si usa anche l'adattamento fylum - filo > latino: filum -, in
italiano, tedesco, olandese, spagnolo, portoghese, svedese.... Phylum
deriva dal greco phylai: "clan, tribù, gente") all'Africanus, come
pensavano Donald Jhonson e Tim White.
Ma tutto è stato poi messo in serie difficoltà da successive
scoperte
fossili,
quali
Australopithecus
aehtiopicus
(1985),
Australopithecus bahrelghazali (1995), Australopithecus anamensis
(1965.1995), Austraolopithecus garhi (1996), Keniantropus platyops
(1999). Risulta, infatti, un vasto “cespuglio” di forme nel quale trovare
una linea di evoluzione verso l'uomo. E’ questa un'impresa che conduce
solo a dire dei “forse”, dei “si pensa”, dei “potrebbe”, senza poter mai
esibire gli ipotetici “anelli mancanti”, pur cercati a non finire. Qualcuno ha
accennato
ad
Australopithecus
anamensis,
contemporaneo
dell'Afarensis e molto più massiccio di lui, e pensa che l'Anamensis sia
l'antenato - per così dire - dell'Afarensis, ma sono solo pure
supposizioni.
Gli australopiteci avevano un'andatura eretta, ma non perfettamente,
adatta all'habitat in cui vivevano, la savana con rari alberi dove si
rifugiavano in presenza di predatori. Normalmente vivevano a terra, al
contrario delle scimmie antropomorfe idonee per una vita continuata
sugli alberi. Si cibavano di larve, bacche, insetti, radici. Nel 1994 un
gruppo dell'Università di Liverpool, in Inghilterra, studiò l'andatura degli
australopiteci includendo per essi, oltre una locomozione bipede non
perfetta, anche una locomozione quadrumene. (Fred Spoor, Bernard
Wood, Frans Zonneveld, "Implication of Early Hominid Labryntine
Morphology for Evolution of Human Bipedal Locomotion", Nature, n°
369, june 23, 1994, pag. 645-648).
La pelvi ha una conformazione umanoide, a differenza delle
scimmie antropomorfe che l'hanno allungata, pienamente adatta ad un
andatura quadrumene, ma nessun australopiteco, pur nella posizione
eretta, fu mai in grado di avere la stessa postura eretta dell'uomo e
quindi lo stesso incedere dell'uomo. Infatti la lamina dell'osso pelvico,
che nell'uomo è situata di lato, negli australopiteci è posteriore, così
come la forma del collo del femore, arrotondata nell'uomo, è piatta negli
australopiteci. L'acrominon (dati su Lucy, ma generalizzabili) risulta
piuttosto mobile, adatto per un arrampicatore.
La camminata quadrumene la doveva avere nella ricerca di cibo
a terra, utilizzando le mani chiuse a pugno, così come il gibbone e
l'orango, che camminano sulle nocche, ma spesso camminano pure con
mani chiuse a pugno.
Le dita della mano dell'australopiteco rispetto a quelle di uno
scimpanzé, capace di dondolarsi attaccato ad un ramo, sono piuttosto
corte. Le dita poi sono più curvate che nell'uomo. Il pollice è posto più
frontalmente all'indice di quanto si ha nello scimpanzé. Studiando gli
attacchi muscolari si è dedotto che la mano aveva una scarsa “presa di
forza”, mentre disponeva di una sufficiente presa di precisione (Cf.
“Lucy, le origini dell'umanità”, pag 340). Come conseguenza si
determina una presa adatta alla raccolta di frutti, con inoltre la capacità
di scavo per raggiungere e raccogliere radici per l'alimentazione.
Mancando una vera presa di forza non è attribuibile all'australopiteco
l'industria litica ritrovata a Odulvai (Etiopia).
Le dimensioni delle braccia e delle gambe non li allontanano da
una conformazione pitecoide.
La capacità cranica oscilla, per le varie specie, tra i 430 e i 500
cc. L'altezza si aggira tra i 130 cm. (australopiteco gracile) e i 150 cm.
(australopiteco robusto).
Gli australopiteci mostrano un calcagno umaniforme, ma dita
piuttosto lunghe, tali da essere confuse con quelle di una mano. Le dita
del piede sono leggermente arcuate, in analogia alle antropomorfe, il che
fa pensare che fossero adatte alla rapida salita di alberi di media
grandezza; l'alluce non è totalmente allineato.
Il ricercatore evoluzionista Bruce Latimer, studioso dei reperti
ossei di un piede pressoché integro di Afarensis, che dovrebbe essere il
piede più vicino all'uomo, dice (Cf. "Lucy, le origini dell'umanità", pag.
338): “Non è necessariamente qualcosa in transizione, non è instradato
da un piano evoluzionistico ad un altro più alto”. Latimer poi non si
dichiara in grado di dire quando e come si evolse quel piede di
Afarensis. Si profetò che erano necessari ancora una decina di anni per
avere le risposte a questi quesiti (Cf. "Lucy, le origini dell'umanità", D.
Johanson, M.Edey, Oscar Mondadori, 1981, pag. 343), ma sono già
passati una quarantina d'anni e ancora nulla, nemmeno sull'orizzonte.
I reperti fossili del cranio degli australopiteci hanno caratteri
scimmieschi. Le ricostruzioni muscolari sui reperti, e quindi la ricerca dei
lineamenti reali, non forniscono conclusioni plausibili. L'antropologoartista Jay Matternes ha fornito “ricostruzioni”, su fossili del cranio di
afarensis e di altri australopiteci, tuttavia concludendo (Cf. "Lucy, le
origini dell'umanità", D. Johanson, M.Edey, Oscar Mondadori, 1981, pag.
343): “non c'è modo di dire esattamente che forma avesse un naso o
come si distribuisse il pelo sulla faccia“.
Famoso
è
il
reperto
dell'Australopithecus
“Lucy”
(Australopithecus afarensis) rinvenuto nel 1974 ad Hadar, in Etiopia, e
risalente a tre milioni di anni fa.
L'arco di esistenza degli australopiteci va da 6-4 milioni a un
milione di anni fa.
I ritrovamenti del Sud Africa sono avvenuti scavando in fessure
calcaree (grotte) e hanno datazioni tra 3,3 e 2,9 milioni di anni fa. I
reperti della Tanzania, Kenya, Etiopia sono relativi alle aree degli strati
affiorati coi fenomeni di erosione fluviale e hanno datazioni tra 2,2 e 1,2
milioni di anni fa. Ma i ritrovamenti di Lukeino (Orrorin Tugenensis),
Chemeron, Lothagam - tutte località del Kenya - hanno datazioni tra 5 e
6 milioni di anni fa. Ovviamente si dovrebbe avere una scannerizzazione
del territorio molto più vasta per avere un quadro adeguato del
“cespuglio australopiteci”, sia riguardo alle specie che alle varietà, sia
riguardo alla cronologia.
Il fatto che gli australopitechi fossero fondamentalmente degli
scimpanzé bipedi, significa che l'evoluzione di un'andatura bipede non è
stata influenzata in modo significativo dall'aumento in capacità della
scatola cranica e quindi dall'accrescimento dell'intelligenza, come veniva
invece propugnato fino a tempi recenti da numerosi studiosi. Tale ipotesi
era stata fra l'altro già messa in discussione dal ritrovamento di Orrorin
tugenensis, primate bipede vissuto circa 6 milioni di anni fa.
La spiegazione più accreditata per l'acquisizione di un'andatura
bipede, vuole questa caratteristica come un adattamento all'avanzata
della savana in seguito ai cambiamenti climatici che interessarono
l'Africa centro-orientale attorno ai 10 milioni di anni fa: l'andatura eretta
consentiva agli australopitechi di ergersi al di sopra dell'erba alta ed
osservare agevolmente i dintorni, individuando fonti di cibo o di pericolo.
Si può quindi pensare che nei primi australopitechi, la forte
muscolatura delle gambe fosse stata evoluta come adattamento al
movimento orizzontale sui rami della volta arborea e che in un secondo
momento essa sia tornata assai utile per muoversi al suolo nelle
sterminate pianure africane.
Nonostante la taglia contenuta e la mancanza di particolari
adattamenti che ne assicurassero la competitività, gli australopitecidi
riuscirono ad affermarsi grazie alla dieta onnivora, che consentiva loro di
trovare nutrimento in qualsiasi frangente, sfruttando indifferentemente
risorse di origine animale (ad esempio carcasse di grossi erbivori uccisi
dai predatori, oppure piccole prede catturate occasionalmente) così
come le risorse offerte dalla terra (radici, frutti ed altri cibi di origine
vegetale). Questo opportunismo permise agli australopitecidi di
diffondersi in gran parte del continente africano.
Gli studiosi sono propensi a credere che dal genere
Australopithecus (ed in particolare dalla specie africanus) si siano
staccati i progenitori del genere Homo (ed in particolare Homo erectus),
attorno ai due milioni di anni fa: ciò non è inverosimile, tuttavia
recentemente sono stati rinvenuti resti fossili di primati ascrivibili proprio
al genere Homo e tuttavia antecedenti all'apparizione di Australopithecus
africanus.
Questo vorrebbe dire che il distacco dagli australopitecini degli
antenati dell'uomo moderno potrebbe essere avvenuto prima di quanto
si pensasse, ad esempio a partire da Australopithecus afarensis, o da
specie ancora più primitive, addirittura estranee al genere (come
Kenyanthropus platyops).
Homo habilis
2,4 milioni di anni fa
L' H. habilis era forse l'antenato del più avanzato Homo ergaster, che a
sua volta fu l'antenato dell' Homo erectus. Continuano ad esserci
dibattiti sulla tesi che l'H. habilis sia stato o meno un diretto antenato
dell'uomo, e vi sono anche dubbi sul fatto che tutti i fossili noti siano
stati attribuiti correttamente a questa specie.
Homo habilis mangiava certamente carne; lo provano i cumuli
di ossa che ci ha lasciato, con segni di taglio eseguiti con "coltelli di
pietra". Può darsi, specialmente agli inizi, che non andasse
propriamente a caccia, ma utilizzasse carcasse di animali predati da
Carnivori, specialmente dalle tigri con i denti a sciabola, oggi estinte,
cibandosi di parti non utilizzate da questi e specialmente del midollo
delle ossa, che le tigri con i denti a sciabola erano incapaci di
frantumare (Blumenschine 1995). Strie oblique di usura sui denti
anteriori sembrano prodotti da uno strumento con cui esso tagliava la
carne mentre veniva tenuta tra i denti stessi (Puech 1992).
Un adattamento all'alimentazione in parte a base di carne può essere
l'assottigliamento dello smalto rispetto agli Australopitecini (Beynon &
Wood 1986).
Tuttavia Homo habilis consumava anche cibo vegetale, come è
provato anche da solchi di usura prodotti da fitoliti contenuti in
Graminacee o piperacee (Puech et al. 1983b, Puech 1988), e da un caso
di erosione di un molare dovuta a cibi vegetali acidi quali frutti acerbi
(Puech et al. 1984).
Homo ergaster - erectus
2 milioni di anni fa
L'H. ergaster, assieme alle altre due varianti Homo erectus e
Homo heidelbergensis, fu il primo ominide in grado di articolare il
linguaggio.
Anche Homo erectus si nutriva di carne, come è provato anche
dai segni di taglio sulle ossa; la riduzione della dentatura ed il
miglioramento della tecnica di fabbricazione di strumenti, sembrano
anzi indicare un aumento del consumo di carne. Anche Homo erectus
tagliava la carne tenuta tra i denti con "coltelli di pietra", causando
caratteristici solchi di usura (Puech 1989, 1994). Il rapido aumento di
statura passando da H. habilis a H. erectus può essere la conseguenza di
un adattamento ad una forma di utilizzo di carcasse più di confronto,
cioè questi Ominidi non attendevano più che il predatore se ne andasse
per impossessarsi della carcassa, ma lo scacciavano attivamente
(Marean 1989).
Tuttavia esso mangiava cibi vegetali, ad esempio semi arrostiti,
come è provato da resti dei semi stessi (Rukang & Shenglong 1983).
Esso infatti utilizzava anche il fuoco per cuocere i cibi. Per analogia con
attuali popolazioni di cacciatori/raccoglitori, è probabile che le calorie
fornite dalla carne non superassero mai 1/3 delle calorie totali! Infatti
un'assunzione di proteine in quantità superiore al 50% delle calorie
totali, avrebbe portato a patologie (Speth 1989, 1991).
Homo sapiens arcaico e moderno
600.000 anni fa
Nell'Homo sapiens arcaicus rientrano i Neandertal, cacciatori e
carnivori, particolarmente presenti in Europa, oltre 150.000 anni prima
dei sapiens.
Oggi si tende a raccogliere sotto il titolo di Homo heidelbergensis, i
reperti che prima venivano posti sotto il nome di Homo sapiens
arcaicus, ma non c'è accordo tra gli studiosi, per cui è bene continuare a
parlare anche di Homo sapiens arcaicus.
Anche Homo sapiens arcaico usava coltelli di pietra, che hanno
lasciato segni obliqui sugli incisivi, indicando un uso di carne che veniva
tagliata con il coltello mentre veniva trattenuta con gli incisivi
(Fernández-Jalvo & Bermúdez de Castro 1988). Tuttavia l'abbondanza e
l'orientamento delle strie prodotte da materiale abrasivo, simili a quelle
delle attuali popolazioni prevalentemente vegetariane, mostrano una
dieta formata prevalentemente da materiale vegetale (Lalueza et al.
1996b).
Durante l’evoluzione, nonostante la differenziazione con i
sapiens, si verificarono incroci che di certo hanno inciso sul prodotto
finale. Gli incroci sono ben testimoniati da tipi umani rinvenuti in
Palestina (grotte di Skhul e Qafzef), dove 100-115 mila anni fa vivevano
uomini con crani ibridi neanderteliani-moderni.
A questo punto sono chiamati in causa gli aborigeni australiani,
che presentano caratteri di Homo sapiens arcaico, di Homo erectus e di
Homo neandertalensis. Va rilevato che oggi, tutte le razze umane sono
feconde tra di loro e generano esseri fecondi, e nessuno può avanzare
dubbi scientifici per il passato. Circa l'interfecondità tra Sapiens e
Neandertal, o in genere tipi arcaici, va segnalato che in Romania nella
Pestera cu Oase ("cava delle ossa") è stato rinvenuto recentemete il più
antico Homo sapiens europeo (36-34 mila anni fa): un maschio adulto
ed un ragazzo. La mascella dell'adulto ha rivelato caratteri primitivi
risalenti a 200 mila anni fa. Reperti ritrovati ad Herto in Etiopia, hanno
presentato un Homo sapiens di 160 mila anni fa: il più antico esemplare
ritrovato fino ad ora. Le sue caratteristiche sono chiaramente moderne,
e rendono fondato l'incrocio rivelato dai reperti della "Pestera cu Oase".
Diversi paleoantropologi (nota 2) oggi ritengono però che
“sapiens arcaico” sia una denominazione generica priva di fondamento
biologico, contenitore di comodo che nasconde vecchi pregiudizi sulla
morfologia dei progenitori, secondo cui gli antenati devono essere più
robusti dei discendenti. Capita invece che il più antico Homo europeo,
rinvenuto in Spagna, ad Atapuerca, abbia 800.000 anni e possieda
un’anatomia molto più moderna del Neanderthal, posteriore di mezzo
milione di anni.
E' comunque in Africa che sono stati rinvenuti i reperti fossili
che potrebbero testimoniare la più antica transizione da forme umane
arcaiche al moderno H. sapiens: e risalirebbero ad un intervallo
cronologico compreso fra 150.000 e 100.000 mila anni fa, ovvero ad una
fase che precede la comparsa di morfologie moderne in altre regioni
geografiche. Inoltre, per quanto riguarda aspetti strutturali della
morfologia scheletrica (in particolare del cranio), in Africa come altrove
assistiamo ad un cambiamento relativamente improvviso che, da una
volta cranica bassa e allungata (tipica delle forme arcaiche del genere
Homo), conduce a quella dell'umanità moderna, caratterizzata da un
innalzamento verticale della fronte, delle pareti laterali della volta e
dell'arco occipitale. Questo tipo di variazione morfologica - rapida e
strutturale - appare difficilmente interpretabile in termini di evoluzione
multiregionale, mentre favorisce un'ipotesi di diffusione di H. sapiens a
partire da un unico centro di origine.
La controversia scientifica sull’origine dell’uomo moderno vede in
campo due principali scuole di pensiero: la teoria dell’origine africana
recente, largamente condivisa dalla maggioranza degli evoluzionisti, e il
modello multiregionale, sostenuto da una minoranza di
paleoantropologi (M.Wolpoff, A. Thorne e altri).
Secondo il modello Out-of-Africa le popolazioni umane odierne
sono discendenti dei primi Homo sapiens emigrati dall’Africa negli ultimi
100.000 anni che, colonizzando gli altri continenti, si sostituirono
“molto velocemente” agli antenati del genere Homo che vi abitavano.
Questa tesi accreditata nella seconda metà del ‘900, porta, tra le prove
a suo supporto, gli studi sulla genetica delle popolazioni umane (in base
all’analisi del DNA mitocondriale, ad esempio, si nega ogni parentela
“filogenetica” tra uomo di Neanderthal e sapiens moderno).
La teoria dell’origine multiregionale, che si rifà agli studi di Franz
Weidenreich degli anni ’40, si basa principalmente sullo studio
comparato dell’anatomia e sostiene al contrario che uomini moderni ed
arcaici fossero interfecondi e, mescolandosi fra loro, lasciarono in
eredità ai discendenti relitti di morfologie regionali (nota 1). Quindi tra
gli individui dei vari continenti si troverebbero tracce dei caratteri ossei
dei loro lontani antenati: l’Uomo di Pechino, l’Uomo di Giava, l’Uomo di
Neanderthal europeo (prove di una convivenza di lungo periodo e
dell’incrocio di diversi tipi umani sono stati rinvenute in Croazia e
Palestina dove, 100.000 anni fa, vivevano individui con crani ibridi
neandertaliani-moderni).
In questa diatriba si collocano i caratteri cranio-facciali unici
degli Aborigeni australiani. Alcune etnie presentano una calotta cranica
di spessore notevole, con fronte ribassata e inclinata, forte
prognatismo, arcate sopraorbitali sporgenti, a volte mento sfuggente. In
paleoantropologia, questi sono i caratteri che, variando il grado di
ipertrofia ossea, distinguono le varie specie di Homo pleistocenico (dal
più gracile al più robusto sono: H.sapiens arcaico , H. erectus,
H.neanderthalensis).
I resti dell’Uomo di Giava (H.erectus di Ngandong) sono stati
recentemente post-datati a 30.000 anni (nota 4), mentre nell’Australia
sud-orientale, esemplari di H. sapiens “robusti” sono recentissimi (Kow
Swamp, 10.000 anni) e posteriori ad altri australiani “gracili” (Lake
Mungo, 60-30 mila anni).
Non è necessario postulare che l’uomo “moderno” derivi da
quello “arcaico”. Queste sono infatti denominazioni suggestive del
vecchio paradigma evoluzionista delle specie separate e successive. In
generale, i fossili del pleistocene sono interpretabili come varietà di
un’unica grande specie politipica (come suggerisce Wolpoff) e
cosmopolita che vive sulla Terra da almeno 1,5 milioni di anni. Gli
adattamenti climatici di lungo periodo hanno dato luogo a diverse
varietà regionali (o razze) “gracili” e “robuste”. In fondo la differenza tra
l’Homo erectus africano e il Neanderthal è qualitativamente la stessa
che intercorre tra i Keniani e gli Inuit di oggi, solo amplificata nelle
proporzioni: ai tropici i corpi sono alti e slanciati, con arti longilinei
adatti alla dispersione del calore, nell’Artico sono tozzi, con un tronco
ben piantato, ossa corte e robuste, per conservare al massimo la
temperatura corporea.
Il tardo pleistocene si è concluso con il cambiamento climatico
globale di 12.000 anni fa, in seguito al quale si sono avuti sia delle
massicce migrazioni che ibridazioni tra varie razze, con estinzione delle
varietà umane estreme (specializzate). La specie umana rimane
comunque uno dei mammiferi terrestri con le più ampie variazioni
fisiche, di statura, colore e conformazione degli adulti.
Secondo la teoria attualmente più accreditata, Il periodo che va
dal paleolitico medio, circa 200.000 anni fa (i più antichi resti
anatomicamente simili all'uomo moderno si possono datare a 195 000
anni fa, con una incertezza di ± 5 000 anni), all'epoca odierna, vede la
comparsa e la diversificazione della specie Homo sapiens, in Africa
orientale. Secondo le teorie prevalenti, dal continente africano, circa
65-75 000 anni fa (o secondo altre evidenze alcune decine di migliaia di
anni prima), in stretta coincidenza con un evento di fortissima riduzione
della popolazione globale, tuttora in fase di definizione, parte della
specie iniziò un percorso migratorio che attraverso un corridoio medio
orientale la portò a colonizzare l'intero pianeta.
Alimentazione dell’uomo moderno
Sembra che l'uomo moderno non si sia mai nutrito di carcasse, ma si sia
procurato la carne cacciando. Tuttavia è probabile che la carne non
abbia mai costituito la base dell'alimentazione; infatti sono stati trovati
anche resti di cestini per la raccolta di vegetali (Wing & Brown 1979).
L'esame dei fitoliti ritrovati sullo smalto dei denti e nel tartaro ha
mostrato un uso prevalente di cereali come alimenti (Lalueza et al.
1996a).
L'usura dei denti mostra un'abbondanza ed un orientamento
delle microstrie simile a quelli delle popolazioni moderne
prevalentemente vegetariane (Lalueza et al. 1996b). Il rapporto
stronzio/calcio era piuttosto elevato nel Mesolitico, indicando
un'alimentazione prevalentemente basata sui vegetali; tuttavia in
seguito, nel Neolitico, aumentò nuovamente, forse a seguito
dell'allevamento di animali (Grupe 1995). La riduzione dei denti
postcanini, e specialmente del terzo molare, che spesso manca (dente
del giudizio), sta ad indicare un cibo di minore consistenza che negli altri
Ominidi, probabilmente a causa dell'uso del fuoco per cucinare. D'altra
parte l'uomo moderno ha lo spessore dello smalto maggiore di quello
dell'uomo di Neandertal (Zilberman & Smith 1992, Molnar et al. 1993),
anche se ambedue l'hanno ben minore di Australopithecus. Ciò
potrebbe indicare un minor uso della carne da parte dell'uomo
moderno, rispetto a quello di Neandertal. L'essere ospite definitivo
quasi esclusivo di due specie di vermi solitari, indica una parziale
carnivoria costante e di lunga durata (Henneberg et al. 1998).
Adattamenti dell'uomo moderno
Negli adattamenti dell'uomo moderno dobbiamo distinguere:
adattamenti antichi, che erano già posseduti dagli Australopitecini, e
che non sono stati perduti nonostante l'innegabile cambiamento di
dieta; ed altri più recenti, che riflettono la sua storia evolutiva più
recente.
Tra gli adattamenti antichi menzioniamo:
 Forma della testa, con la dentatura sotto, anziché davanti, al
cranio. È un adattamento a mangiare cibi duri (Preuschoft 1989;
Antón 1996).
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Articolazione temporo-mandibolare: adattamento a masticare
oggetti piccoli e duri (Jolly 1970).
Arcata dentaria ampia e parabolica: adattamento a mangiare
grani di cereali (Jolly 1970).
Incisivi piccoli: adattamento a mangiare foglie.
Riduzione dei canini: adattamento a mangiare cibi duri.
Premolari e molari con cuspidi basse: adattamento a mangiare
cibi duri.
Smalto spesso: adattamento a mangiare cibi duri. Lo spessore
dello smalto si è ridotto nel corso dell'evoluzione dell'uomo, ma
attualmente è sempre molto maggiore che nelle scimmie
antropomorfe (Nagatoshi 1990, Conroy 1991).
Mano con pollice opponibile: adattamento a raccogliere piccoli
oggetti duri, probabilmente semi.
Forma del colon con tasche e pieghe semilunari: adattamento
alla folivoria (Chivers & Langer 1994).
Tra gli adattamenti recenti menzioniamo
Riduzione della grandezza dei premolari e molari e tendenza
alla riduzione del loro numero: è un adattamento a mangiare
cibo più tenero, forse un effetto della carnivoria o della cottura
dei cibi.
Riduzione della lunghezza e della superficie dell'intestino:
parziale adattamento alla carnivoria. (Maclarnon et al. 1986)
Vi sono poi degli adattamenti che non sappiamo se siano
antichi o recenti, perché riguardano parti del corpo non
scheletriche, di cui non conosciamo la disposizione negli
antichi Ominidi
Rapporto tra le superfici di stomaco+cieco+colon e intestino
tenue: adattamento alla frugivoria, con tendenza alla carnivoria
(Chivers & Hladik 1980, 1984).
Digestione alloenzimatica: adattamento a un regime alimentare
di non carnivoria (Chivers & Langer 1994).
Cuscinetti di grasso nei glutei: adattamento ad una
alimentazione a base di semi (Jolly 1970).
Globuline IgA: adattamento ad un'alimentazione a base di foglie
(Andrews 1981).
Come si può vedere, gli adattamenti dell'uomo sono in prevalenza per
un'alimentazione a base di vegetali, soprattutto semi, tuberi e foglie. Gli
adattamenti ad un'alimentazione a base di carne sono molto meno
numerosi. Considerando l'evoluzione dell'uomo, sembra che questi
adattamenti ad un'alimentazione a base di semi, tuberi e foglie, fossero
più spiccati negli Australopitecini; in seguito però alcuni di questi
adattamenti sono regrediti a seguito dell'inserimento anche della carne
nell'alimentazione degli Ominidi. Tuttavia una quantità di adattamenti
che favoriscono un'alimentazione a base di semi, tuberi e foglie si sono
conservati fino ad oggi; inoltre sembra che, mentre l'Uomo di
Neandertal si è specializzato per un'alimentazione più carnivora, l'uomo
moderno (Homo sapiens moderno) è invece ritornato su
un'alimentazione a base soprattutto di vegetali, e ciò ha influito sui suoi
adattamenti.
Il clima gioca comunque un ruolo fondamentale sulla scelta
alimentare, per cause adattative legate alla temperatura. Tutti i dati di
cui disponiamo, dicono all’unisono che quanto più ci avviciniamo al
veganismo crudista, fino al fruttivorismo, tanto più la salute, le
aspettative di vita e l’energia, si impennano. L’uomo è nato ai tropici e
non ha sviluppato alcun adattamento termico all’ambiente; ciò
significa che se risiede in luoghi freddi, dovrà avere un’alimentazione
più sul vegano crudista grasso, piuttosto che fruttivoro, e che non vi è
quindi una regola fissa, così come i climi in cui vivono gli uomini, non
sono né gli stessi, né quelli per i quali esso è strutturato, tropici a
parte.
Entrando nello specifico, gli alimenti più compatibili con la struttura
fisica umana attuale, sembrano essere in linea generale: frutta dolce
fresca, frutta semi-dolce e semi-acida, frutta acida (anche se non da
tutti ben tollerata), frutta grassa (anche qui ci sono variabili personali di
tolleranza), frutta essiccata dolce (consumata con moderazione poiché
essendo un concentrato, può causare in alcuni soggetti, fenomeni di
carie dentali ed altre problematiche più correlate al metabolismo degli
zuccheri).
A proposito di frutti, si è anche ipotizzato possa essercene uno
in particolare piu’ adatto all’uomo; la mela.
In realtà non esistono dati sufficienti per poter stabilire se esista
realmente o meno un frutto elettivo, ma tenendo conto della grande
quantità di variazioni ed adattamenti nel frattempo avvenuti durante la
storia dell’uomo, si ritiene alquanto improbabile.
Sembra invece assai più ragionevole, disporre della grande
varietà di frutti disponibili attualmente sul mercato, tenendo conto
anche della rotazione stagionale e della disponibilità di produzione
locale, oltre che dai gusti e dalle compatibilità personali.
Oltre alla frutta, l’organismo umano sembra beneficiare molto
anche del consumo di verdure, tuberi, ortaggi, fiori, semi e noci (al
naturale), germogli (anche cereali e legumi germinati eventualmente),
tutto consumato crudo o essiccato con metodi naturali.
Del resto nessun animale in natura cuoce il proprio cibo e
nonostante l’uomo utilizzi il fuoco per rendere più commestibili alcuni
alimenti non propriamente adatti alla sua fisiologia già da parecchio
tempo ormai, il cibo crudo risulta essere ancora oggi, la migliore scelta
possibile, visti i risultati in termini di salute e vitalità, che il consumo
prevalente di vegetali integrali riesce a donare all’uomo.
Il nostro organismo infatti, considera innaturale ogni materia
vivente sottoposta a radicale trasformazione molecolare, anche quella
che avviene con la cottura, in quanto le sostanze cotte subiscono
trasformazioni chimiche irreversibili.
Comunque anche una breve cottura conservativa come ultimo
pasto della giornata, di verdure/tuberi/ortaggi, sempre preceduto da
vegetali freschi crudi, non sembra causare particolari problemi. In
generale la percentuale di crudo dovrebbe aggirarsi intorno all’80/90%
almeno, per dare risultati molto soddisfacenti, a livello di vitalità e
benessere.
Il crudismo vegan integrale o frugivorismo, sembra sia possibile
raggiungerlo più facilmente e mantenerlo, preferenzialmente in zone
climatiche calde e tendenzialmente poco umide, dove abbonda la frutta
dolce e grazie al sole e alla presenza di altri fattori ambientali
particolarmente favorevoli alla fisiologia umana, è possibile anche per
lunghi periodi, con la giusta varietà a rotazione, vivere anche solo di
frutta dolce, frutta grassa e qualche ortaggio, senza l’aggiunta di
verdure a foglia e radici/tuberi, semi e noci.
La possibilità di alimentarsi in questo modo, diminuisce in
proporzione man mano che ci si avvicina al nord, verso climi piu’ freddi
ed umidi: soprattutto sembra poco adatto al fruttivorismo, mentre il
crudismo vegan con qualche eventuale pasto cotto serale, cosi’ come
descritto sopra, sembra essere piu’ sostenibile in questi casi. Del resto
siamo animali senza pelliccia ed il freddo non è assolutamente il clima
migliore per noi.
Inoltre esistono variabili molto personali di tolleranza verso
alcuni alimenti tra quelli menzionati, che determinano risultati anche
molto diversi, nell’arco di un lasso di tempo abbastanza lungo.
Ad esempio ci sono persone che tollerano molto male la frutta
acida, sviluppando col tempo problemi di demineralizzazione ai denti,
erosione, ferite alla mucosa della bocca, indebolimento ed astenia. Altri
invece sembrano beneficiarne in modo particolare, addirittura
ottenendo benefici e guarigione di malattie in stato avanzato.
In altri casi è stata notata una difficoltà a digerire i grassi di noci
e semi, mentre invece quelli da frutta risultano piu’ tollerabili (parliamo
di avocado e olive), in altri casi ancora è esattamente il contrario.
Ci sono persone che digeriscono molto bene le verdure, i tuberi
(a parte la patata bianca e gialla che risulta indigesta cruda), i fiori e le
verdure in genere, tutto consumato crudo. Altri che non riescono a
metabolizzarli in questo modo ed invece li tollerano soltanto cotti.
Alcuni sembrano funzionare molto bene con sola frutta dolce e
pochi ortaggi, altri nel tempo sviluppano carenze di minerali in questo
modo e devono tornare a consumare almeno le verdure a foglia verde.
Molto dipende da fattori ambientali climatici, come già si accennava
sopra, ma anche dalla qualità degli alimenti freschi consumati, dalle
tecniche di coltura e dalla specificità dei terreni.
Inoltre incide molto anche la storia personale alimentare
precedente al cambiamento verso il crudismo vegan a da altri fattori più
emozionali/energetici.
Insomma, difficile davvero determinare con esattezza quale sia
la cosa migliore, il consiglio è sempre quello di sviluppare col tempo una
sensibilità sufficientemente ampia verso il proprio corpo, senza
abbracciare nessun assolutismo, rimanendo elastici ed adattabili,
partendo dalle linee generali descritte precedentemente.
La scoperta non verrà ovviamente mai comunicata dai
canali ufficiali. Per saperne di più scarica gratuitamente il Primo
Capitolo di Translife Revelation Anime Libere seguendo il link ->
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