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La seguente pubblicazione è il lavoro individuale di fine corso di Stefania La Malfa ed è un allegato del Ducato, periodico dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino
I materiali possono essere riprodotti in tutto o in parte previa esplicita citazione della fonte ma non possono essere utilizzati a scopo commerciale. I testi e le foto sono di Stefania La Malfa
Un futuro
su misura
Firenze, dal campo
nomadi in sartoria:
così un gruppo
di donne rom
si lascia alle spalle
un passato
fatto di elemosina
e disagio, creandosi
un lavoro. Grazie
al quartiere
e al volontariato
di Stefania La Malfa
F
orbici, ago e filo come mezzi di integrazione. Oggetti di uso quotidiano per quattro donne rom arrivate in Italia dalla ex Jugoslavia in cerca
di un futuro migliore.
Fatima, Hira, Selvije e la figlia Fatima vivono a Firenze nel villaggio del
Poderaccio, alle porte del quartiere 4 , l'Isolotto. A due chilometri di distanza c'è la sartoria-stireria dove lavorano, il laboratorio Kimeta dal
nome di una giovane donna rom morta prematuramente. Un lavoro, aggiustare gli abiti o stirare quelli che a casa si ha solo il tempo di lavare, che le rom condividono con altre donne, italiane, del volontariato di
quartiere.
Si sono incontrate dieci anni fa e da quel momento hanno iniziato un
percorso di conoscenza reciproca. Continuato, con il supporto delle
istituzioni, in un impegno delle volontarie ad aiutare donne come loro
nell'inserimento sociale. Attraverso l'alfabetizzazione e un'esperienza di lavoro.
"Vengo dalla Macedonia - racconta Fatima in un italiano non perfetto
ma comprensibile - e nel mio paese facevo lo stesso tipo di lavoro insieme con mio marito. Lui poi mi ha lasciata ed è venuto a Firenze. Non
avevo altra possibilità di lavorare e sono partita anch'io con i miei figli".
segue nelle pagine successive
UN FUTURO SU MISURA
“Così il lavoro
ci ha cambiato la vita”
Ki m e t a, t a ppe di u n i n con t r o
1995
Un gruppo di confronto su
“donne e volontariato”, promosso
dalla commissione Sicurezza del
Quartiere 4 di Firenze, decide di
entrare in contatto con le rom che
vivono al campo del Poderaccio
segue dalle pagine precedenti
Fatima ha 50 anni e da quando è arrivata in Italia, dieci anni fa, non è
mai tornata a casa. "Ho cinque figli, tre maschi e due femmine. Il più
piccolo vive con me e lavora come apprendista. La più grande abita al
villaggio, gli altri invece in case popolari. Anche mio marito vive al Poderaccio ma in un'altra casetta perché stiamo divorziando".
Anche Hira e Selvije abitano al villaggio, ma da più tempo. Vengono
entrambe dal Kosovo e per loro il lavoro ha avuto il significato di un cam-
Non solo cucire e stirare.
All’esperienza di lavoro
è stato aggiunto un corso
per insegnare alle rom
anche a leggere e scrivere
1996
Le donne del volontariato incontrano un gruppo di donne rom.
L’obbiettivo è “conoscersi, comunicare, socializzare i bisogni”. Le
volontarie raccolgono la richiesta
delle rom di trovare un lavoro per
inserirsi nella società. L’ipotesi a
cui si pensa è quella della creazione di un laboratorio di cucito.
Viene formulato un progetto di
formazione-lavoro, finanziato da
Regione, Comune e Quartiere 4.
La parola d’ordine dell’iniziativa è
“Donne per le donne”
biamento radicale.
Hira ha 53 anni ed è venuta a Firenze alla fine degli anni '80: nel suo
paese faceva la casalinga, qui chiedeva l'elemosina per strada prima
di lavorare nel laboratorio di cucito. "Mio marito non lavora e non ha permesso di soggiorno. Nei fine settimana chiedo ancora l'elemosina, ma
solo davanti alle chiese dove i parrocchiani mi conoscono. Ho quattro
figli grandi che lavorano, una di loro vive in una casa popolare".
Selvije invece è più giovane, ha 39 anni ma lo stesso
quattro figli, tre grandi e una bambina. La maggiore lavora con lei nel laboratorio di cucito. Il marito faceva il
Il laboratorio Kimeta in via Modigliani 125 a Firenze.
Sotto, Fatima (prime due foto) e Hira (terza e quarta
foto) nella parte del laboratorio dove vengono stirati i
vestiti. In copertina, Selvije mentre aggiusta alcuni abiti
muratore, al momento è disoccupato. "Vengo da Pristina - racconta - e là mio marito faceva il batterista e io la
donna delle pulizie ma non c'era più tanto lavoro così lui
è venuto in Italia e io l'ho raggiunto dopo un anno. Adesso sono quattordici anni che siamo qui".
Ringraziano le rom per l'aiuto ricevuto e soprattutto di aver
avuto la possibilità di imparare a leggere e scrivere. In particolare Fatima, la figlia di Selvije: "Ho deciso di non seguire il destino delle altre ragazze, che si sposano presto e alla
mia età hanno già due o tre figli e stanno in casa a fare le faccende".
Sono state le volontarie delle associazioni di quartiere ad avvi-
Inizia il progetto di formazionelavoro. Nel programma è inserito
anche un corso di alfabetizzazione primaria perché solo due delle
dieci donne rom sanno leggere e
scrivere. Dopo un anno, conclusa
la fase della formazione, nasce il
laboratorio di cucito e stireria
Kimeta
che con le loro famiglie vivevano ai margini della città. "Trovare
lavoro è stato il primo desiderio espresso dalle donne rom - spiega la responsabile del laboratorio Kimeta Luciana Angeloni - quindi ogni tipo di relazione poteva crescere e approfondirsi solo se si
basava su questa loro richiesta". Un percorso di formazione e lavoro con risultati positivi, iniziato con un corso di alfabetizzazione
per dieci donne rom che poi hanno trovato la loro occupazione a Kimeta. "Non erano abituate a lavorare sottoposte - aggiunge Angeloni - e all’inizio abbiamo avuto qualche difficoltà perché alcune di loro
2000
non rispettavano gli orari o non riuscivano a concentrarsi. Poi sono riuscite ad adattarsi ma comunque non ci sono mai stai problemi insormontabili".
Nel tempo alcune hanno smesso perché si sono trasferite o perché è
scaduto il loro permesso di soggiorno. Sono rimaste Fatima, Hira, Sel-
minori. Macedoni, bosniaci e kosovari partiti dalla ex Jugoslavia alla fine
vije e la figlia Fatima, che hanno un contratto di lavoro part-time a tem-
degli anni '80 per sfuggire alla guerra e alla povertà. La zona si trova all'e-
po indeterminato con la cooperativa sociale Samarcanda di cui il la-
strema periferia di Firenze, per arrivarci si superano i confini comunali. Qui
boratorio fa parte. All'inizio il progetto è stato finanziato dalla regione
ci sono il Poderaccio I e il Poderaccio II, due insediamenti vicini separati so-
e dalla provincia, ora si cerca di arrivare all’autonomia economica.
lo da una strada. I rom adesso vivono in casette di legno, fino a due anni fa
"Sono contenta di aver ripreso qui il lavoro che facevo nel mio paese",
il loro tetto era invece quello di una roulotte.
spiega Fatima, e Selvije aggiunge: "Io sapevo già un po' cucire, qui ho
Dopo più di dieci anni dall’arrivo dei rom l’amministrazione comunale non
imparato a farlo meglio ma in più ora so anche leggere e scrivere".
ha più voluto tollerare le condizioni in cui vivevano e nel 2000 ha progetta-
Le altre donne del Poderaccio fanno le casalinghe o lavorano come do-
to di smantellare i campi: "Superare l'ottica dei campi - sottolinea l'asses-
mestiche. Una di loro, Igbála, è mediatrice culturale. È stata scelta per
sore all'integrazione del comune di Firenze Lucia De Siervo - ci è sembrata
svolgere attività di intermediazione tra le rom e il consultorio della Asl
la scelta giusta per offrire loro un'accoglienza dignitosa". I nuovi villaggi so-
e sensibilizzare così sull'importanza di curare la propria salute.
no stati però realizzati e abitati solo dopo quattro anni, tra il 2004 e il 2005.
2
Il progetto riceve i finanziamenti.
La gestione del corso viene affidata a un’agenzia di formazione. È
previsto l’inserimento di dieci
donne rom, che ricevono un contributo mensile di 400mila lire.
Sono concordate regole
per
responsabilizzare le rom ad assumere l’impegno ad una presenza
costante, al rispetto degli orari, a
collaborare al riordino dei locali
1998-99
cinarsi al campo per instaurare un rapporto con quelle donne
Sono 79 le famiglie che vivono al villaggio, più di 400 persone, la metà
1997
È aperta la cooperativa sociale
Kimeta. L’esperienza non decolla
per mancanza di finanziamenti
perché “essere rom non è riconosciuto come un disagio sociale”
2003
Il laboratorio è inserito tra le attività della cooperativa sociale
Samarcanda. Sono assunte con
contratto part-time a tempo indeterminato quattro delle dieci
donne rom, le altre interrompono
l’attività. Le rom condividono il
lavoro con sette volontarie del
quartiere, alle quali si aggiunge
un’altra donna italiana come
socia-lavoratrice
segue nelle pagine successive
3
UN FUTURO SU MISURA
segue dalle pagine precedenti
Una soluzione comunque temporanea in attesa di trovare sistemazioni alternative, per esempio in case popolari. "A Firenze ci sono altri insediamenti - continua l'assessore - quello del Guarlone dove vivono sei
famiglie in villette in muratura e il campo dell'Olmatello dove i rom sono ancora nelle roulotte". Il numero dei rom nei campi è diminuito negli
anni perché molti adesso vivono, a Firenze o nel resto della Toscana,
in case in affitto: un progetto questo che durerà due anni e ha permesso
di sgomberare il campo abusivo dell'Olmatellino che era stato creato
accanto all’Olmatello".
I rom sono contenti della nuova sistemazione al Poderaccio anche se
c'è chi vorrebbe al più presto andare a vivere nelle case popolari. Il comune ha cercato di migliorare in questo modo le loro condizioni di vi-
Il nuovo villaggio
È costruito su un’area di proprietà
del comune. Le case sono in legno
lamellare ignifugo di quattro diverse
tipologie, da un minimo di 26 a un
massimo di 64 metri quadrati.
Le famiglie hanno sottoscritto un
contratto di "concessione in uso",
rinnovabile, gratuito per il primo anno
e con l’addebito dei consumi.
Sono state effettuate anche opere di
bonifica e urbanizzazione, allacci di
acqua e corrente elettrica.
Il piccolo villaggio dei rom
1954
Il 6 novembre nasce ufficialmente
il quartiere dell’Isolotto, la ‘cittàsatellite’ come definita dall’allora
sindaco di Firenze Giorgio La Pira.
Sono consegnate le chiavi del
lotto iniziale di circa mille appartamenti realizzati nell’ambito del
progetto Ina-Casa, un piano di
edilizia popolare nella zona a sudovest della città per gli immigrati
dal meridione e dalle campagne e
per gli sfrattati o gli accampati in
case sovraffollate. Il nome del
quartiere deriva dal territorio su
cui sorge: una vasta area anticamente alluvionale situata sulla
riva sinistra del fiume Arno, di
fronte al parco delle Cascine. Nei
primi anni è un quartiere-dormitorio perché privo di tutti i servizi
ta. Intorno alle casette però c'è ancora sporcizia e degrado, nonostante la zona sia stata ripulita al momento della consegna delle abitazioni. "Sono stati i rom stessi a buttare di nuovo la spazzatura dove
era stato appena pulito - chiarisce la responsabile dell'ufficio immigrati
del quartiere 4 Giusi Baffè - comunque stiamo già pensando di ripulire e creare una zona verde". È lei che quasi ogni giorno si trova a contatto con i rom e raccoglie le richieste di tutti. Non mancano infatti le difficoltà nel gestire il villaggio. I rom hanno le case in comodato gratuito
ma pagano le utenze e si lamentano delle bollette troppo alte. L'impianto costruito, cucina, bagno e riscaldamento, funziona tutto a corrente elettrica. Il comune ha scoperto però degli allacci abusivi ai lampioni, alcuni rom cercano così di avere l’elettricità e non pagarla.
I soldi comunque non sembrano mancare, viste le numerose parabole satellitari e le auto di proprietà parcheggiate vicino alle case. Chi ha
un'occupazione fa per lo più mestieri non qualificati, facchini, mano-
U n qu ar t i e r e n a t o du e v ol t e
Poderaccio I
È costituito da 50 case, 49 adibite
ad alloggi e una moschea. Le nuove
abitazioni sono state consegnate il
21 luglio 2004. L’insediamento è
provvisorio: la durata prevista è di 7
anni.
Poderaccio II
È costituito da 30 case. Le nuove
abitazioni sono state consegnate il
23 novembre 2005. L’insediamento
è provvisorio: la durata prevista è di
3 anni.
vali o uomini delle pulizie; altri sono autisti, operai, artigiani. Ma ci sono ancora molti disoccupati che il quartiere aiuta a trovare lavoro.
Per i bambini invece i risultati sembrano già positivi. Vanno a scuola
con un pulmino messo a disposizione dal comune: due donne rom fanno da accompagnatrici e ricevono per questo un rimborso spese. Quasi tutti frequentano regolarmente e ogni pomeriggio sono seguiti per i
compiti da tre educatrici di strada.
"Al Poderaccio esiste però anche una zona grigia fatta di spaccio, ricettazione e usura, un'attività quest'ultima che i rom esercitano nei
confronti di altri rom - spiega l'assessore De Siervo senza nascondere
i problemi - e qualche donna continua ancora a elemosinare".
1968
È considerato la seconda nascita
del quartiere perché gli abitanti
danno esempio di coesione sociale, affermando con forza la propria presenza. Dalla prima nascita
l’Isolotto si è ingrandito ed è
diventato quasi una città dotata di
autonomia e di una propria identità. Gli abitanti hanno superato le
differenze di provenienza e si
sono autorganizzati per rivendicare e ottenere i servizi necessari.
A metà degli anni ‘50, con la
nomina di Don Enzo Mazzi come
parroco del quartiere, era iniziata
l’esperienza della Comunità. In
una prima fase comunità parrocchiale, è protagonista di contrasti
con i vertici ecclesiastici. Viene
poi estromessa dalla Chiesa e
diventa Comunità cristiana di
base. Un gruppo eterogeneo, di
cui fanno parte cattolici e comunisti, unito dalle lotte di rivendicazione per i servizi e il lavoro e
che partecipa attivamente al processo di trasformazione della
società di questo periodo
Oggi
Il nuovo
Poderaccio.
Sopra, i due
percorsi:
dal centro
della città
al villaggio
e dal
Poderaccio
a Kimeta.
In alto, la
planimetria
dell’area
4
Ancora presente nel quartiere la
Comunità dell’Isolotto non è più
uno strumento di rivendicazione
sociale ed è quantitativamente
ridotta rispetto al passato. Si
riunisce per la Messa ogni domenica in piazza. Fa parte delle
Comunità cristiane di base italiane ed europee e partecipa al
movimento del Forum sociale.
Attraverso il Notiziario della
Comunità Isolotto - Comunità di
base vengono affrontati argomenti di riflessione di carattere
teologico, spirituale e religioso
ma anche laico
5
UN FUTURO SU MISURA
L’ a r ri v o de i r om n e l l a ci tt à
Quanti sono i rom a Firenze
Insediamenti
Presenze
Residenti
Minori
Famiglie
Lavoratori
Disoccupati
Poderaccio I
284
255
151
49
60
48
Poderaccio II
158
158
59
30
35
_
Olmatello
175
163
85
41
39
64
Guarlone
33
33
19
7
7
1
Totale
650
609
314
127
141
113
1987-88
Il Comune affronta per la prima
volta la questione dei rom presenti nel territorio fiorentino già dagli
anni ‘80. In seguito alle proteste
della popolazione, l’amministrazione assegna loro due zone periferiche, l’Olmatello nel Quartiere
5 a nord della città e il Poderaccio
nel Quartiere 4 a sud. Vivono in
roulotte gruppi composti per la
maggior parte da kosovari più
alcuni serbi, bosniaci e macedoni.
Ai lati dei due campi sorgono
insediamenti abusivi. Il numero
dei rom aumenta soprattutto
dopo le guerre nella ex Jugoslavia
I dati sono stati rilevati dalla Fondazione Michelucci tra settembre e dicembre 2005
In alternativa ai campi, condomini o abitazioni di proprietà
Comincia dalla casa
la strada verso l’integrazione
1994
La Provincia svolge il censimento
del Comitato Italiano Rifugiati
attraverso cui sono definiti i gruppi con diritto di abitare a Firenze
1996
hi non ha mai de-
munale e propone altre strade: "Se-
una situazione permanente e man-
siderato vivere in
condo noi l'alternativa potrebbe es-
terrebbe così la sua condizione di
una casa ed es-
sere comprare casa, con un aiuto
invisibilità".
serne il proprieta-
per il mutuo, o vivere in affitto".
La fondazione aveva proposto inve-
rio? A volte diffici-
Non tutte le famiglie rom comunque
ce la costruzione di un villaggio de-
le da realizzare, è
hanno le stesse esigen-
un obbiettivo comune a tutti i popo-
ze e per questo è neces-
li. Non solo a quelli sedentari ma an-
sario rispettare le diver-
che ai cosiddetti nomadi. Per i rom
sità. Una considerazio-
arrivati a Firenze negli anni '80 le pri-
ne condivisa dal coordi-
me soluzioni adottate dal Comune
natore delle attività del-
sono state quelle dei campi. Tolle-
l'Osservatorio regionale
rando coloro che si accampavano
della Fondazione Miche-
in aree abusive e non ponendosi il
lucci, Nicola Solimano.
problema di come vivessero. Una
Punto di riferimento nel capoluogo
tura mescolate a quelle di italiani
situazione cambiata però di recen-
toscano per le ricerche sui rapporti
che il Comune ha rifiutato per non
te attraverso politiche abitative e di
tra urbanistica e sociale, la fonda-
"creare un ghetto". "Un campo at-
inserimento al lavoro. Negli ultimi
zione ha svolto lo scorso anno un'in-
trezzato ha costi di manutenzione e
due anni uno dei campi della città,
dagine sull'abitare dei rom in To-
di vigilanza molto alti, altri interven-
quello del Poderaccio, è stato de-
scana, anche alla luce degli ultimi
ti sarebbero meno costosi - aggiun-
molito e ricostruito.
interventi realizzati al villaggio del
ge il coordinatore dell'Osservatorio
Per Mustafa Demir, presidente del-
Poderaccio a Firenze. "Per risolve-
della fondazione - come quello rea-
l'associazione rom "Amalipe roma-
re il problema abitativo dei rom non
lizzato al Guarlone a Firenze. Poche
no", Amicizia rom, che dal 2000 fa
esiste un'unica direzione da segui-
case inserite tra quelle degli italiani,
re - spiega Solimano -
un insediamento considerato un
perché c'è chi vuole vi-
esempio di integrazione riuscito".
vere in piccoli gruppi e
Oltre alla casa è tuttavia necessario
2004-05
chi preferisce restare
fornire anche una prospettiva di la-
nei campi". Quindi van-
voro. Rispetto a dieci anni fa la si-
no bene i condomini, le
tuazione nel capoluogo toscano è
case popolari o di pro-
sicuramente migliorata. "Ogni fami-
prietà ma anche i villag-
glia ha un reddito - precisa Solima-
gi. E sulla nuova solu-
no - nonostante i lavori dei rom sia-
di un campo, le baracche sono af-
zione adottata per il Poderaccio il
no precari e di bassa qualifica. Da-
follate e le spese troppo alte". Il por-
giudizio non è del tutto positivo. "C'è
re però un'occupazione senza risol-
tavoce dei rom non crede inoltre
stato un netto miglioramento di vita
vere adeguatamente il problema
che il progetto sarà transitorio come
per i rom- sottolinea Solimano - ma
abitativo significa realizzare un'in-
Il Poderaccio viene demolito e al
suo posto è costruito un villaggio
con case prefabbricate in legno. I
rom dell’Olmatellino sono spostati in altre città della Toscana,
dove vivono in case in affitto,
sulla base di un progetto regionale di inserimento valido per due
anni. Il campo dell’Olmatello è
tuttora costituito da roulotte: il
Comune sta cercando soluzioni
alternative
affermato dall'amministrazione co-
questa potrebbe diventare di fatto
tegrazione a metà".
C
da interlocutore con le
istituzioni, la soluzione è
"buona perché i rom non
vivono più in roulotte ma
in casette". "Si poteva
però realizzare qualcosa di più dignitoso - continua Demir - visto che
“Nei campi
le baracche
sono sempre
affollate
e le spese
troppo alte”
per noi si tratta sempre
6
“Il nuovo
Poderaccio
potrebbe
diventare
un progetto
definitivo”
finitivo a meno di un
chilometro da dove si
trova adesso il Poderaccio,
sempre
nel
quartiere dell’Isolotto,
in un'area di residenza
per
spettacoli
viag-
gianti: un quartiere di
piccole case in mura-
Le nuove
casette
costruite al
villaggio del
Poderaccio
Nelle prime
due foto, il
villaggio II,
nell’ultima,
il vilaggio I
Inizia il processo, completato in
due anni, di delega ai Quartieri 4 e
5 della gestione dei campi nomadi. Per il Poderaccio e l’Olmatello
saranno previsti interventi diversi. I tentativi di inserimento dei
rom attuati fino a questo momento dal Comune hanno sempre
incontrato ostacoli nell’opinione
pubblica
1996-98
Nel Quartiere 2 è realizzato il villaggio del Guarlone, un’area residenziale costituita da sei piccole
abitazioni in muratura. Le famiglie che abitano qui provengono
dalla Macedonia e prima vivevano al Poderaccio
2000
È smantellato il campo abusivo
delle Draghe alle Piagge, una zona
sull’argine del Fiume Arno.
Gran parte dei rom sono trasferiti
nei pressi dell’Olmatello, in un’area poi denominata Olmatellino
7
UN FUTURO SU MISURA
In Italia dagli anni ‘60, sono migrati dai paesi dell’est alla ricerca di un lavoro
Rom, un mito infranto
“Stanziali da 50 anni”
i chiamano nomadi,
balcanica si trovano invece nelle re-
zingari, gitani. Sono i
gioni meridionali. La loro occupa-
vari nomi che dal pas-
zione era la lavorazione dei metalli e
sato ad oggi sono stati
l'allevamento dei cavalli, attività che
usati per indicare i rom.
continuarono a svolgere spostan-
Migrati dall'India fino in
dosi nei mesi caldi e fermandosi du-
Europa circa mille anni fa, vivono or-
rante quelli freddi. Adesso le comu-
mai stabilmente anche nel nostro
nità più consistenti sono in Calabria
paese. "Al contrario di quanto si
e Abruzzo dove la maggioranza è
pensi - spiega Massimo Converso,
sedentaria.
presidente dell'associazione nazio-
Si sa poco della loro storia, quello
nale Opera Nomadi - è dal secondo
che è certo è che ci furono più on-
dopoguerra che i rom non sono più
date migratorie. In Italia dal 1400, gli
nomadi. Esistono gruppi diversi: al-
zingari sono arrivati da zone e in mo-
cuni sono diventati sedentari, altri si
menti diversi: alla fine dell’800 dalla
muovono ancora, per esempio gli
Romania, dopo la prima Guerra
zingari delle giostre, ma la maggior
mondiale dalla ex Jugoslavia. Poi
parte non pratica più attività basate
negli anni '60. Si tratta soprattutto di
sul nomadismo dalla fine della Se-
rom emigrati da Bosnia, Macedonia
conda Guerra”.
e Kosovo in seguito alla crisi econo-
A nord, in Piemonte, Lombardia ed
mica che ha portato alla guerra. "Si
Emilia si sono insediati i Sinti, gli zin-
sono spostati per cercare lavoro -
gari dediti al circo. Sono quelli rima-
sottolinea Converso - e migliori con-
sti in parte nomadi: tra di loro infatti
dizioni di vita. L'Italia comunque è lo
c'è ancora chi si ferma d'inverno e
Stato europeo con la minore pre-
viaggia d'estate per lavorare nelle
senza di rom, anche se l'ultima mi-
piazze. I rom venuti dalla penisola
grazione è ancora in corso".
L
Alcuni rom
davanti alle
loro case
Nella foto
al centro
insieme con
Giusi Baffè,
(la seconda
da sinistra),
dell’ufficio
immigrati
dell’Isolotto
150.000
sono i rom e sinti che vivono nel
nostro paese, quasi la metà ha la
cittadinanza italiana. Arrivano dalla
ex Jugoslavia ma non solo. È in
aumento il numero dei migranti
anche dalla Bulgaria e soprattutto
dalla Romania. Nel resto d’Europa
i rom sono circa 8 milioni.
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