88. Matassino Podolica 29 ottobre Zungoli Atti De FEO loghi agg

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88. Matassino Podolica 29 ottobre Zungoli Atti De FEO loghi agg
CONVEGNO “DAL PASCOLO ALLA TAVOLA: SICUREZZA E QUALITA’ DEI PRODOTTI
PODOLICI”
Filosofia strategica gestionale di un bioterritorio allevante il “Bovino Grigio Autoctono Italiano
(BovGRAI)” (già “Podolica”)
Donato Matassino (*), (**)
Zungoli (AV), 29 ottobre 2011(***)
(*) Professor Emeritus - Genetic improvement in Animal production.
(**) ConSDABI – National Focal Point italiano della FAO per la tutela del germoplasma animale in via di
estinzione nell’ambito della Strategia Globale FAO per la gestione della risorsa genetica animale (GSAnGR, Global Strategy for the Management of Farm Animal Genetic Resources) – Centro di Scienza
Omica per la Qualità e per l’Eccellenza nutrizionali - Centro di Ricerca sulle Risorse Genetiche Animali
di Interesse Zootecnico in ambito mediterraneo- Centro Produzione Sperma ed Embrioni – Archivio
storico dell’Associazione per la Scienza e le Produzioni animali (ASPA) - Contrada Piano Cappelle, 123
- 82100 Benevento – Italia - Tel.: +39 0824 334300; tf.: +39 0824 334046; email:
[email protected]; Internet: http://www.consdabi.org/.
(***) Con qualche aggiornamento al 30.IX.2013.
1
1. Introduzione
Il tema propostomi è ampio, interessante, interdisciplinare, multidisciplinare e pieno di tentazioni
scientifiche.
Il titolo della relazione richiama la necessità di una precisazione semantica sull’origine della cosiddetta
razza ‘bovina Podolica’. Il termine ‘Podolica’ viene recepito da F. Faelli (1903) ed enfatizzato da E. Marchi
(1927) sulla base dell’ipotesi che tutte le popolazioni bovine Grigie taurine eurasiatiche derivino dalla regione
della Podolia in Ucraina; ipotesi quest’ultima scaturita da studi archeo-zoologici, osteologici e biometrici,
condotti nella seconda metà del 1800 e agli inizi del 1900 principalmente da ricercatori tedeschi, inglesi e
francesi quali: G. Cuvier, L. Rütimeyer, O. Wilckens, A. Sanson, F. Keller, J.U. Durst, ecc.. In particolare, si
ritiene che la prima descrizione tassonomica del bovino grigio quale “Bos taurus podolicus” possa essere fatta
risalire all’esploratore e geografo tedesco M. Wagner (1836). Recenti ricerche genetiche, paleozoologiche e
archeozoologiche, invece, testimoniano una condivisa autoctonicità mediterranea Centro-Orientale di questo
tipo genetico bovino (F. Ciani e D. Matassino, 2001, 2007, 2008; F. Ciani e A. Giorgetti, 2009; D. Matassino e
F. Ciani, 2009; A. Giorgetti et al., 2009; D. Matassino 2011a). Anche I. Bodò (1990), sulla base di indagini
storiche condotte sull’origine del bovino Podolico magiaro, esclude la possibilità di una introduzione di
bovini macroceri dalla Pannonia o dalla Podolia durante le invasioni di popolazioni barbariche, a partire
dal V secolo d.C.. Alla luce di tali constatazioni, la denominazione ‘Podolica’ è attualmente da ritenere
inesatta, restrittiva e inadeguata; pertanto, si preferisce designare tale bovino con una espressione dalla
notevole semanticità per la ricchezza della struttura sintattica del messaggio che trasmette al lettore: ‘Bovino
Grigio Autoctono Italiano’ (‘BovGrAI’). Si ricorda che la non appropriatezza del termine ‘Podolica’ viene
evidenziata anche da T.M. Bettini (1986) il quale, riferendosi a tale tipo genetico, sottolinea due espressioni:
(a) “cosiddetta Podolica meridionale”; (b) “bovini macroceri meridionali, comunemente ma impropriamente,
a mio avviso, detti ‘podolici’”.
Il ‘BovGrAI’ (già Podolica), come tutte le popolazioni bovine domestiche della sottospecie Bos
primigenius taurus discende dall’ Uro (Bos primigenius primigenius) o Aurochs, nella definizione
Anglosassone, che si evolve da bovidi primitivi in Asia circa 2 milioni di anni fa; l’Uro raggiunge l’Europa
nel Pleistocene Medio (320.000 ÷ 200.000 anni fa) e arriva in Italia durante l’Ultima Glaciazione di Würm
(80.000 ÷ 40.000 anni fa); da questo periodo e fino alla metà del Neolitico (4.000 anni a.C.), la presenza di
questo bovino selvatico interessa tutto il bioterritorio italiano comprese le attuali isole (F. Ciani e D.
Matassino, 2008). Sono numerose le raffigurazioni di Uri lasciate sulle pareti di caverne dagli artisti di quel
lungo periodo. Un esempio è mostrato nella figura 1.
2
Figura 1 - Raffigurazione di Uro maschio del Paleolitico, Italia meridionale, Grotta del Romito, Papasidero (CS) (Fonte:
M. Masseti e M. Rustioni, 1990).
In epoca Romana, Giulio Cesare (De Bello Gallico, VI, 28) cosί descrive l’Uro: “Il terzo è il genere dei
cosiddetti Uri. Questi sono leggermente piú piccoli degli elefanti, assomigliano ai tori per aspetto, colore e
forma. Sono molto forti, estremamente veloci e non hanno riguardo né per l’uomo né per gli altri animali
selvatici, quando li incontrano. I Germani li uccidono dopo averli catturati per mezzo di fosse che scavano a
tale scopo; gli adolescenti si forgiano con questo lavoro e si esercitano a questo genere di caccia, e quelli che
riescono a ucciderne molti, portandone in pubblico le corna, ricevono grandi lodi. Non si riesce ad abituare
gli Uri alla presenza degli uomini, né ad addomesticarli, neppure se catturati da piccoli. L’ampiezza , la
forma e l’aspetto delle corna differiscono molto da quelle dei nostri bovini e sono molto ricercate; le corna
vengono rifinite d’argento lungo gli orli per essere usate come coppe nei banchetti piú lussuosi”. Anche
Publio Cornelio Tacito (55 - 120 d.C.) negli Annales (IV, 72) e Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.) nel De Rerum
natura (VII, 126) riferiscono sull’Uro. In particolare, Plinio il Vecchio, anche se in modo fantasioso, cosí si
esprime: “Il ferocissimo toro dei boschi, piú grande di quello dei campi, è il piú veloce di tutti gli animali, dal
colore fulvo, dall’occhio celeste, con il pelo rivolto al contrario, le fauci spalancate fino alle orecchie, vicino
alle corna mobili, con la pelle della durezza della selce, che respinge ogni ferita”.1
La prima comparsa in Italia di bovini, di incipiente domesticazione, che conservano ancora le grandi
dimensioni e le corna dell’Uro progenitore, sarebbe accertata nei siti di Rendina (Potenza) e di Scamuso (Bari)
in Italia meridionale, risalenti al Neolitico antico (6.000 anni a.C.) (A. Tagliacozzo, 2002). Nei millenni
successivi alla diffusione della civiltà Neolitica in tutto il vasto areale italiano ed europeo, le abbondanti
incisioni e sculture in pietra, unitamente a statuette, a sigilli di vari materiali e ad affreschi, confermerebbero
che i bovini da lavoro allevati dalle civiltà preceltiche , camune, villanoviano-etrusche, iberiche, nuragiche,
italiche e minoico-micenee sono principalmente animali macroceri e somaticamente molto somiglianti fra loro
(F. Ciani e D. Matassino, 2001). Una immagine rappresentativa e qualificante di questo bovino è riportata su
di un vaso per libagioni in pietra scura, rinvenuto negli scavi del palazzo di Cnosso a Creta, risalente a 2.000
anni a.C., raffigurante la testa di un toro con corna grandi e con la presenza del tipico alone chiaro intorno al
musello, che ripropone l’ identica immagine di un moderno e attuale toro Grigio autoctono (figure 2 e 3) (F.
Ciani e D. Matassino, 2001).
1
Si ricordano alcuni dati sulla conoscenza del racconto storico, il quale narra l’esistenza di un bovino domestico
inselvatichito (Deuteronomio, VI-V secolo a.C., 33, 17; Salmi, 22, 22); tale bovino sarebbe descritto anche da Aristotele e
poi da Erodoto (484-425 a.C.); questi ultimo fornirebbe la seguente descrizione: “…….. E da qui la via piú breve per il
paese dei Lotofagi (popolazione Nordafricana vissuta nell’area della Cirenaica, regione corrispondente all’attuale Libia
orientale) , dal quale ci sono trenta giorni di marcia per arrivare a questo popolo, ove si trovano buoi che pascolano
arretrando. Hanno le corna ricurve in avanti sicché pascolano camminando all’indietro; né potrebbero farlo
avanzando, perché le corna urterebbero col suolo. E solo per questo, oltre che per lo spessore e la morbidezza della
pelle, differiscono dagli altri buoi”.
3
Figura 2 - Testa di toro-civiltà Minoico cretese, 1.700-1.450 a.C. (Fonte: H. Epstein, 1971).
Figura 3 - Toro di ‘Bovino Grigio Autoctono Italiano’ (già Podolica) (Fonte: ANABIC).
In epoca Romana nel I secolo d.C., Columella, coevo di Plinio il Vecchio, nella sua opera classica “De re
rustica” descrive il bovino Grigio da lavoro che allora era diffuso nelle varie regioni centro-meridionali
italiane a seconda dell’ecotipo: “La Campania produce buoi bianchi di piccola statura e di estrema
resistenza. L’Umbria ha buoi di grande corporatura, anch’essi bianchi, in più ha un’altra razza di colore
fromentino, non meno pregiata per indole e forza fisica; in Toscana e nel Lazio ci sono buoi compatti e
robusti nel lavoro; l’Appennino fornisce buoi resistentissimi che possono sopportare qualsiasi avversità. In
ogni caso l’aratore deve ricercare animali giovani, quadrati, dalle grandi membra, con corna grandi, scure e
robuste, dalla fronte larga e rugosa, con occhi e labbra neri, con narici larghe, giogaia ampia che arriva
quasi alle ginocchia, con petto grande, spalle possenti, dorso diritto e pianeggiante o anche leggermente
calante, natiche rotonde, arti corti e diritti, zoccoli grandi, coda lunghissima e pelosa, pelo fitto e breve su
tutto il corpo, mantello scuro o fromentino”.
Prima di entrare nel merito delle successive riflessioni ritengo, altresí, utile integrare i predetti cenni
‘storici’ con alcune tappe del recente passato sulle iniziative attuate per una maggiore conoscenza del
‘BovGrAI’ (già Podolica) (D. Matassino, 1986, 2000, 2001b, 2009a, b, c, d, e, 2011a; D. Matassino et al.,
1990).
4
1. Anno 1975 (se non erro). Viene emanata una 'circolare' dell’allora ministro Marcora sulla
possibilità dell’uso del toro podolico (oggi ‘BovGrAI’) in monta naturale in deroga alle normative
della legge 126/63.
2. Anno 1976. Su iniziativa dell’ Associazione Italiana Allevatori viene posta all’attenzione
dell’allora Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste la necessità di istituire il Libro genealogico
della Podolica (oggi ‘BovGrAI’).
3. Anno 1984. Viene istituito il ‘Libro genealogico del bovino podolico’ che rappresenta il momento
fondamentale per iniziare, nella pienezza della legalità, un'attività di razionalizzazione
dell’allevamento e di utilizzazione delle potenzialità genetiche di questa ‘fantastica’ razza; la
definizione dello standard di razza è il frutto di lunghe e animate discussioni fra una Commissione
ministeriale, istituita ad hoc nelle persone dei proff. Mario Lucifero, Orlando Montemurro e di chi
vi parla, e gli allevatori sulla base dei rilievi somatici ‘classici’ eseguiti su circa 15.000 soggetti di
età variabile fra 6 mesi e 10 anni e oltre.
4. Anni 1983÷1987. Viene attuato il Progetto finalizzato IPRA (Incremento Produttivo Risorse
Agricole), finanziato dal CNR. Tale progetto, partendo dal presupposto che la ‘marginalità’ può
essere considerata una ‘risorsa’ piuttosto che un ‘vincolo’, identifica nove aree campione
rappresentative di diverse zone territoriali italiane cosiddette ‘marginali’ quali potenziali fonti di
sviluppo orientato verso livelli qualitativi di benessere. Per la Calabria viene individuata l’area
corrispondente alla Comunità Montana ‘Sila Greca’; per la Basilicata viene presa in esame l’area
corrispondente alle Comunità montane ‘Alto Sauro-Camastra’ e ‘Melandro’, ove, nell’ambito
della tematica ‘prospettive di valorizzazione delle risorse foraggere e zootecniche’ viene
evidenziata la possibilità di incremento produttivo attraverso una opportuna razionalizzazione
dell’allevamento di tipi genetici locali o ‘endemismici’2, secondo la terminologia di A.P. De
Candolle (1820), tra i quali il bovino podolico (oggi ‘BovGrAI’).
5. Anno 1986. Viene tenuto il 1. Convegno su 'L’allevamento del bovino podolico nel Mezzogiorno
d’Italia', svoltosi in Acerno (SA) e organizzato dall’ allora Istituto di ricerche sull’adattamento dei
bovini e dei bufali all’ambiente del Mezzogiorno del Consiglio Nazionale delle Ricerche nella
persona del dott. L. Ferrara allo scopo di definire uno stato dell’arte e di rafforzare il
coordinamento nell’attività di ricerca condotta sul bovino podolico (oggi ‘BovGrAI’) da vari
Istituti di Ricerca, dal CNR, dall’allora MAF e dalle Università.
Gli atti del Convegno, dedicati al mio Maestro prof. T.M. Bettini (1908-1986), riportano la
relazione di apertura del compianto Maestro; relazione che ha coinciso con il suo ultimo lavoro
scritto in condizioni fisiche di grave sofferenza; questa memoria Bettiniana rappresenta, pertanto,
'la gemma piú bella' per i suoi contenuti sulla 'problematica della ricerca nell’allevamento
animale con riferimento alle zone interne'. T.M. Bettini inizia il suo dire sottolineando come “gli
animali nel loro habitat naturale (in un secondo tempo anche domestici) costituiscono una fonte
di osservazione che l’uomo svolge da qualche milione di anni (altrettanto vale per l’animale nei
confronti dell’ ‘animale uomo’ e di altri). Essa ha posto e continua a porre una serie di
interrogativi inopinabili al di fuori della stessa attività di osservazione. Sotto il profilo
metodologico, secondo K.Z. Lorenz (1983), l’aspetto ‘ideografico’3 deve precedere quello
‘ordinativo’ o ‘sistematico’, ed entrambi debbono precedere il momento in cui qualsiasi legge
relativa al fenomeno osservato viene formulata”…… . “L’esperienza legata all’osservazione
diretta è ‘individuale’ e può essere trasmessa ad altri soltanto parzialmente”…… “Nel campo
dell’allevamento animale la ‘regola aurea’ esposta da K.Z. Lorenz non è affatto seguita, se si
2
Il termine ‘endemismo’ (dal greco ἔνδηµος = indigeno) viene ripreso dalla terminologia medica e utilizzato per la prima
volta in botanica dal naturalista A.P. De Candolle (1820) per indicare organismi esclusivi di una determinata area
geografica.
3
Ideografia: rappresentazione grafica di idee, cioè scrittura basata non su fonemi, vale a dire sui suoni articolati del
linguaggio, ma su simboli significanti un qualche contenuto mentale, com’è in scritture antiche (sumera, egiziana) e
moderne (cinese, giapponese) e, in campo scientifico, nelle matematiche. L’ ‘ideografia logica’ include l’insieme dei
simboli con cui si rappresentano le operazioni logiche (a esempio, la rappresentazione ideografica del sillogismo
{[(A B) & (B C)] (A C)} (Dizionario delle Scienze fisiche Treccani, 2012).
5
prescinde dai pastori, illetterati e non. A parte gli etologi (fauna molto recente, salvo qualche rara
eccezione come l’iracheno Giahiz4 vissuto nel 7.-8. secolo), studiosi e ricercatori limitano il
campo di osservazione alle ristrette condizioni sperimentali, e tuttavia, dai risultati, traggono,
spesso arbitrariamente, leggi postulate di valore universale, con la conseguenza che il tecnologo,
la cui cultura è essenzialmente libresca, trasferisce sul piano operativo criteri e metodi estrapolati
da poche osservazioni eseguite in condizioni del tutto particolari, mentre manca, e/o è viziata da
idee preconcette, l’osservazione diretta”…… “L’uomo cosiddetto civilizzato non dovrebbe essere
capace di fare qualcosa di piú e di meglio di quello primitivo? Di fatto potrebbe se fino
dall’infanzia, accanto alla memorizzazione di carta stampata e alla comoda pratica di applicare
ricette, gli fosse insegnato ad osservare. Nel 1917 N.P. Armsby, un grande fisiologo della
nutrizione, ammoniva: ‘La mente umana domanda ricette, e di fatto vi è una persistente tendenza a
sostituire allo studio della nutrizione una serie di esercizi di aritmetica’ (N.d.A.: oggi di vivissima
attualità). In un mondo in cui domina la cultura libresca la capacità di osservazione si affievolisce,
e la pigrizia mentale di docenti e discenti contribuisce a peggiorare la situazione. Dice J.W.
Atkinson (1977), con riferimento all’Occidente: ‘Molti giovani sono senza confronto meno
osservatori di quei fanciulli le cui cognizioni dipendono necessariamente dalle facoltà percettive.
Un bimbo arabo o indiano osserva in un’ora in piú di quanto non riesca a fare un bimbo
occidentale in un giorno’”. ….
“ I criteri di valutazione delle formazioni botaniche naturali come supposte utilizzate dai
domestici erbivori pascolanti sono fondamentalmente: (a) la produttività, espressa in q di
vegetazione pabulare essiccata per unità di superficie per unità di tempo (generalmente ha/anno)
o in altra unità di misura (Mcal/ha/anno), che stabilisce una ipotetica ‘capacità di carico’
espressa in una non meno ipotetica ‘unità animale’ (specie referenziale: il bovino); (b) la
‘equivalenza’ fra le categorie entro la specie e fra le specie. L’interazione con la fauna selvatica è
completamente ignorata. E’ anche troppo facile dimostrare che entrambi i criteri, riportati nelle
opere speciali di ‘range management’, sono totalmente privi di consistenza, e che la loro
applicazione può portare a errori colossali. Nel primo sono implicite una serie di approssimazioni
tali da renderlo il piú spesso privo di senso. Il secondo si basa su un presupposto assolutamente
falso, ossia quello per cui le diverse specie animali utilizzino le stesse specie botaniche nella stessa
misura. In realtà le diverse specie pascolanti utilizzano la vegetazione selettivamente, per cui la
competitività fra di esse può variare da vicini a 0 a valori vicini all’unità (i valori vicini a uno non
si realizzano neppure fra i diversi tipi genetici entro la specie) e variano fra le stagioni.
Numerosi sono gli studi, soprattutto in relazione alla problematica della gestione zootecnicofaunistica di animali domestici e/o selvatici in aree protette, supportanti l’esistenza di un rapporto
di ‘compatibilità’ tra le varie specie di fauna domestica e selvatica che ‘interagiscono’
nell’utilizzazione di una fitocenosi nella sua distribuzione spaziale. Si riporta l’esempio
dell’‘alpeggio’, in cui le risorse pabulari vengono utilizzate in maniera completa da camosci,
stambecchi e bovini; infatti, nella distribuzione altitudinale delle specie pascolative durante la
stagione estiva (da maggio – giugno a settembre), il camoscio tende a utilizzare le risorse arbustive
in crescita (germogli), lo stambecco le risorse erbacee e il bovino, a causa della massa corporea,
tende a utilizzare il pascolo erbaceo delle zone pianeggianti. Il bovino, specialmente autoctono,
grazie al pascolamento stagionale permette, in ottobre, il lussureggiamento vegetazionale,
garantendo una disponibilità di risorse alimentari per la successiva stagione autunnale per tutti gli
ungulati selvatici. In mancanza di bovini la fitocenosi andrebbe incontro ad appassimento senza
fornire alcun apporto ad altre specie (D. Matassino 1978; R.R. Hofmann, 1985; R.J. Putman, 1986;
U. Zimmermann e B. Niegevelt, 1986; Y. Gordon, 1988; F. Ciani, 1997).
….. “T.M. Bettini et al. (1980), A. Simonetta et al. (1984) mettono in evidenza la fallacia di
considerare le esigenze degli animali pascolanti rispetto a una sola componente (a esempio,
foraggio), ciò che può portare alla illazione errata che due specie sono equivalenti, mentre il
4
Secondo Bel-Hai Mahmud (1977), il suo nome completo è Abu ‘Uthman ‘Amr b. Bahr al Kinani al Fukayami al Basri
al – Giahiz; secondo l’Encyclopaedia Britannica (1980) è Abu ‘Uthman ‘Amr ibn Bahr ibn Mahbud al- Giahiz. La
prima forma porrebbe l’accento sul/i gruppo/i tribale/i di appartenenza (Al) e sulla città di nascita (al Basri = di
Basra); la seconda sulla sua ascendenza pura e semplice (ibn = figlio di) (T.M. Bettini, 1982).
6
considerarle rispetto a due (a esempio, foraggio e acqua) può portare a conclusioni
diametralmente opposte”…… “Le differenze di comportamento possono essere enormi anche fra i
diversi tipi genetici di una stessa specie (a esempio, resistenza o suscettibilità a una parassitosi).
Per ciò che concerne il ‘pabulum’, le relazioni fra le specie dovrebbero essere definite in termini
di ‘competitività’, espressa come indice di ‘dissimilarità’, risultato di molte variabili, entro la
località entro l’anno entro la stagione (T.M. Bettini et al., 1980)”…… “Per mia esperienza e per
quanto concerne il nostro paese è certo che, fra i domestici, non esiste equivalenza né fra le
diverse specie erbivore né fra i tipi genetici della stessa specie e neppure entro lo stesso tipo
adattato ad habitat diversi: a esempio, fra la cosiddetta Podolica meridionale e la Maremmana né
infine, entro lo stesso tipo, fra le categorie”……. “La ‘equivalenza è competitiva’, la
‘dissimilarità è associativa’. In natura piú specie selvatiche erbivore possono convivere sullo
stesso territorio, mentre una singola specie non lo può piú di tanto: di qui la ‘territorialità
ecologica’ in quanto partecipa a salvaguardare l’ambiente”….. “L’esperienza che deriva
dall’osservazione diretta è indispensabile a chiunque lavori con gli animali nel loro ambiente,
qualunque esso sia. Quindi, non schemi da manuale, ma etologia ed ecologia applicate”.
A tal proposito, A. M. Simonetta (1986), in occasione del Convegno di Acerno sottolinea “la
necessità di sviluppare un insieme coerente di ricerche sulle dinamiche dei pascoli e sulle
interazioni tra animali e vegetazione”. Egli riporta alcune interessanti sequenze di pascolamento
che è possibile osservare in Africa orientale: subito dopo le piogge i pascoli di pianura vengono
attraversati dagli gnu (Connochaetes taurinus) che rimuovono circa l’85% della biomassa erbacea
; non appena gli gnu abbandonano il pascolo, questo viene occupato dalla gazzella di Thompson
(Gazzella thompsoni), che utilizza solo i ricacci delle piante pascolate dagli gnu. Inoltre, A. M.
Simonetta (1986) evidenzia l’importanza delle piante ‘pascolo-dipendenti’: “alcune piante
risultano piú abbondanti nelle zone pascolate che in quelle protette”.
Inoltre, T.M. Bettini (1986) suggerisce alcune linee da perseguire per una ricerca meno errata:
“La ricerca dovrebbe battere contemporaneamente e, per economia di tempo, in una prima fase
indipendentemente, vie diverse. Esse sono: (a) l’osservazione del comportamento dell’animale al
pascolo entro il tipo genetico entro la categoria entro la comunità dei conviventi, in relazione
anche alla loro numerosità; essa può essere piú o meno sofisticata (telemetria, fistola permanente
esofagea o ruminale, ecc.) e, se gli animali vivono in gruppo, è necessaria una certa conoscenza
individuale di ciascuno; (b) il rilievo dei dati individuali necessari alla stima dei parametri con i
quali si vuole caratterizzare l’unità produttiva, anch’essa da delimitare nelle sue dimensioni
spazio-temporali, e la stima di queste ultime (se gli animali vivono liberamente al pascolo, il
lavoro inerente alle operazioni periodiche – marcatura, pesa, trattamenti, ecc. – è enormemente
facilitato da apposite strutture permanenti, le quali devono essere ‘etologiche’): i parametri
servono alla messa a punto di un modello di sistema, essenziale ai fini gestionali non meno che al
miglioramento produttivo; (c) la ripartizione delle differenze osservate fra i tipi rispetto alle
maggiori fonti di variazione ambientale (alimentazione e nutrizione, ambiente termico,
suscettibilità agli ecto- ed endo-parassiti e qualsiasi altro fattore ritenuto degno di interesse); (d)
altri elementi che possono contribuire al miglioramento genetico (polimorfismo proteico, profili
metabolici individuali e aziendali, immunogenetica, citogenetica, ecc.); (e) l’adattamento (i)
fenetico e (ii) genetico, compresa la genetica del tempo biologico o ‘cronogenetica5’”……. “Nei
territori6 di cui si parla l’allevamento animale è legato a vincoli di base geopedoclimatici, socioculturali e infrastrutturali”.
5
La ‘cronogenetica’ o ‘tempo ereditario originale’ si riferisce al tempo trasmesso ereditariamente e soggetto alla
variabilità genetica; quindi, trattasi di un tempo primitivamente ‘biologico’, ossia ‘endogeno’, scandito dall’organismo
vivente come effetto del fenomeno vita. La ‘cronogenetica’, dunque, interessando grandezze temporali endogene, si
esprime come ‘tempo-durata’ e va distinta dalla ‘cronobiologia’ la quale, invece, coinvolgendo relazioni fra ‘tempo
fisico’ e ‘tempo biologico’, si esprime come ‘tempo reattivo’ (L. Gedda e G. Brenci, 1973; T.M. Bettini, 1988; D.
Matassino, 1988).
6
Si precisa che questi territori sono identificabili con quelli dell’ ‘Appennino collinare e montano dell’Italia
meridionale’, espressione ritenuta piú consona rispetto a quella di ‘area interna’ (D. Matassino, 1976a).
7
Sulla scia di L. Gedda e G. Brenci (1973), T.M. Bettini (1986) sottolinea che, nel settore
animale, le ricerche inerenti alle relazioni tra ‘stabilità del gene’ e ‘adattamento’ (oggi ‘capacità
al costruttivismo’) 7 sono quasi totalmente ignorate. “E’ un dato acquisito che le popolazioni
animali primitive – come i bovini macroceri meridionali, comunemente ma impropriamente, a mio
avviso, detti ‘podolici’ – hanno una capacità di adattamento ad ambienti sfavorevoli
notevolmente superiori a quelli ‘di cultura’, che si esprime in sostanza in un maggior controllo
omeostatico in condizioni ambientali di grande e talora di estrema variabilità (flessibilità
nell’accrescimento e sviluppo e nel peso maturo, che in condizioni sfavorevoli raggiungono
l’asintoto a un livello inferiore all’ottimo in grado di modificare anche il formato, mentre il
biochimismo e le funzioni fisiologiche ‘apparentemente’ non sono alterate), una lunghezza della
vita media maggiore, maggiore capacità di utilizzazione di foraggi poveri, di sopravvivere a
periodi anche lunghi di carenze nutrizionali specifiche, ecc.. Ciò potrebbe essere, e a mio avviso
in parte è dovuto, a una forte stabilità del/i gene/i interessato/i. Ricordo che la stabilità del gene
dipende (a) da ‘sinonimia’8 o ‘stabilità molecolare, (b) da ‘ridondanza’ o stabilità di ripetizione
dell’informazione9, e (c) dal ‘repair’ o stabilità di riparazione. Istoni e protamine, pur non
7
Si preferisce sostituire il termine ‘adattamento’ con l’espressione ‘capacità al costruttivismo’ o ‘costruzione della
propria nicchia ecologica’ di un ‘fenotipo’; tale espressione indica che le ‘novità evolutive’, per quanto imprevedibili,
non sono una produzione ‘dal nulla’, ma una trasformazione di ‘precedenti potenzialità’ grazie alle quali gli organismi
partecipano attivamente alla ‘costruzione’ del microambiente in cui vivono. Il concetto di ‘capacità al costruttivismo’
del ‘fenotipo’ è connesso a quello di ‘ereditarietà ecologica’ (ecological inheritance); concetto, quest’ultimo, che
considera la selezione naturale dipendente anche dal contributo, in termini di variazioni, di un qualsiasi organismo che
vive in un peculiare microambiente. Infatti: “mentre la trasmissione dei ‘geni’ (segmenti di DNA codificanti
polipeptide/i) è una partita che si gioca tra le mura di casa, la trasformazione dell’ambiente ecologico è un fenomeno
che coinvolge non soltanto i propri simili, ma anche le specie che vivono nella medesima regione e che in qualche modo
ne condividono il destino”. Ciò implica che le “sorti evolutive delle varie specie sono indissolubilmente intrecciate tra
loro in fitte trame ‘coevolutive’”. Pertanto, in chiave ecologica, sarebbe preferibile passare dal concetto di “evoluzione
della specie” a quello di “evoluzione delle interazioni tra specie” o, meglio, a quello di “mosaico geografico di coevoluzione” (D. Matassino, 1975, 1989, 1992; R.C. Lewontin, 1980, 1993, 2004; F.J. Odling-Smee et al., 2003; F.
Morganti, 2009; T. Pievani, 2013; J.N. Thompson, 2013).
8
La ‘sinonimia’ discende dalla mancanza di univocità fra codone e amminoacido. Quest’ultimo è codificabile da piú
di una tripletta o codone (‘degenerazione’ del codice genetico); i codoni sinonimi differiscono tra loro per il numero di
legami idrogeno tra le basi azotate complementari: due legami tra le basi citosina e timina; tre legami fra le basi citosina
e guanina. Maggiore è il numero di legami idrogeno, piú elevata è la stabilità di un codone. Pertanto, la stabilità
complessiva di una molecola di DNA, quindi delle informazioni che essa contiene, incrementa all’aumentare dei
‘codoni’ caratterizzati da un numero piú elevato delle due basi azotate guanina e citosina (G. Bernardi e G. Bernardi,
1986; S. Saccone et al., 2002).
9
Secondo L. Gedda e G. Brenci (1973), l’informazione dovuta alla ‘ripetizione di sequenze’ aumenterebbe l’attività
del ‘gene’; questo incremento di attività si verificherebbe nel caso in cui fattori esogeni ed endogeni (‘aggressori di ogni
tipo’) si comportino come ‘disturbatori’ permettendo – cosí – all’individuo un normale sviluppo ontogenetico. Negli
ovini, nell’ambito del cluster genico ‘alfa globinico’, i segmenti di DNA duplicati, triplicati o quadruplicati sono
responsabili di un polimorfismo quantitativo concretizzantesi in: (a) una ‘variazione clinale’ dell’ intensità di
espressione della ‘globina’; tale intensità diminuisce procedendo dall’estremità 5’ a quella 3’ del cluster ‘genico’; (b)
sintesi di catena alfa-globiniche soprannumerarie che si traduce in uno sbilanciamento del rapporto alfa/beta globinico.
La presenza di segmenti di DNA alfa globinici in soprannumero è responsabile di un quadro ematologico caratterizzato
da un più elevato ‘turnover eritrocitario’ il quale sembrerebbe conferire all’animale resistenza a parassitosi endemiche
TBD (tick borne diseases = malattie trasmesse da zecche) (E. Pieragostini et al., 2003). La ridondanza legata alla
ripetizione di sequenze, da un lato favorirebbe la stabilità dell’informazione nel caso in cui le sequenze ripetute non
subiscano mutazioni, e da un altro lato può favorire l’evoluzione di nuovi segmenti di DNA qualora la sequenza ripetuta
sia sede di mutazione. A esempio, la ‘duplicazione di segmenti di DNA’ rappresenterebbe uno dei meccanismi piú
importanti per l’evoluzione delle cosiddette ‘famiglie geniche’, le quali possono essere considerate il risultato dinamico
di un vero e proprio processo di ‘conversione democratica di segmenti di DNA codificanti ‘polipeptide/i’’, con funzione
principe di ‘rete di mutazione’; ‘rete’ che consente la propagazione di mutazioni ‘favorevoli’ (D. Matassino, 1989,
1992).
8
costituendo materiale ereditario, influenzano la stabilità del gene con funzioni troficoprotettive.”…… “ E’ ragionevole postulare che l’adattamento ambientale ha qualche presupposto
nella stabilità del gene? Se la risposta al quesito è affermativa, diviene ipotizzabile il
trasferimento di stabilità da un tipo genetico a un altro (ciò che in forma empirica si fa da
millenni con l’incrocio fra i tipi adattati di bassa produttività e tipi ‘evoluti’ di basso adattamento
all’ambiente)”.
T. M. Bettini evidenzia con enfasi l’importanza che “la ‘dimensione temporale del gene’
stabilisce la lunghezza dell’intervallo della sua attività, ossia della sua informazione, capace di
produrre la sua azione primaria (polipeptide)10. La vita media dell’informazione è una probabilità
statistica: pure avendo una base ereditaria, è influenzata dall’ambiente di sviluppo, interno ed
esterno. L’informazione genetica comprende (a) una quantità misurabile a evento avvenuto (‘H di
Shannon’11) a diversi livelli (singola lettera, messaggio, frase), e (b) la quantità di informazione
come grandezza matematica, indipendente dal contenuto di informazione. L.L. Gatlin (1968)
definisce l’ ‘informazione registrata’ la differenza fra la quantità di informazione contenuta nel
messaggio se tutti i simboli che la contengono fossero equiprobabili. Essa è una misura di
ridondanza, una ‘misura d’ordine’, la ‘quantità di organizzazione’ di Rothestein (1962) (Citato da
T.M. Bettini, 1986). L. L. Gatlin ha suddiviso l’informazione registrata in due quantità, l’una
legata alla composizione del messaggio, l’altra misurata dal contesto nucleotidico. La misura
della quantità di informazione è stata correlata alla complessività dell’organismo nel phylum
evolutivo. Sperimentalmente si può dimostrare che la quota registrata, oltre che una misura di
ridondanza, è una misura di quantità di organizzazione. La ‘ridondanza’ non impedisce il variare
nel tempo dell’accumulo degli errori genetici – causa principale – secondo alcuni autori –
dell’invecchiamento”. ….. “L. Gedda e G. Brenci (1973), in base a ricerche su ceppi di
Drosophila puri e ibridi, hanno dimostrato che la loro vita media è una funzione della specifica
competenza dei singoli geni mutanti, e che nel genotipo omozigote essa diminuisce con
l’aumentare del loro numero. Nella F1 è intermedia. In conclusione, l’informazione genica può
essere vista sotto tre aspetti: (a) ‘quali-quantitativo’, (b) di ‘stabilità’, e (c) di ‘durata’. Tutti
interessano l’adattamento ambientale e la resistenza alle prestazioni, per cui il loro studio
dovrebbe essere ritenuto prioritario”.
La dimensione temporale in termini di ergon (intensità di espressione) e di chronon
(sequenza temporale) dell’informazione genetica è rilevabile, oggi, mediante varie tecniche tra cui
si ricordano: ‘DNA microarray’12(M. Schena et al., 1995), SAGE13 (V.E. Velculescu et al., 1995);
10
T.M. Bettini (1972) considera una genetica: (a) informatica propria degli acidi nucleici, del codice genetico e della
sua trascrizione; (b) cibernetica rispetto al canale interno o genetica dello sviluppo o fisiologia del segmento di DNA;
(c) cibernetica di campo nel senso di dinamica della variazione come risultato delle interazioni ‘entro’ e ‘fra gli
individui’.
11
‘H’ di Shannon: esprime la probabilità di presenza di un simbolo del linguaggio usato in un dato luogo del messaggio
a prescindere dal suo significato. Quanto piú la sua presenza nel messaggio, a priori, è improbabile , tanto più il suo
verificarsi è, a posteriori, informativo. Se, per esempio, si vuole descrivere un sistema a partire dai suoi atomi, la
funzione ‘h di Shannon’ misurerà l’informazione supplementare necessaria a ricostruire il sistema partendo soltanto
dalla conoscenza del tipo di atomi incontrati in un sistema statisticamente omogeneo di sistemi identici a quello
considerato e dalla loro frequenza in questo insieme; questa informazione necessaria è evidentemente maggiore di
quella che occorrerebbe se si descrivesse il sistema a partire dalle sue molecole. Pertanto, a un aumento della
conoscenza dei vincoli organizzativi di un sistema, corrisponde una riduzione di H (Wikipedia).
12
DNA microarray o ‘micromatrice’ di segmenti di DNA: metodo basato sull’ibridazione di segmenti di DNA ‘noti’
[oligonucleotidi o cDNA distribuiti secondo uno schema ordinato (array) su una piccola superficie solida] con segmenti
di cDNA ottenuti dalla retrotrascrizione dell’RNA presente nel tessuto analizzato, marcati con fluorocromi; la
fluorescenza emessa dall’ibrido è indicatrice della presenza di segmenti di DNA funzionalmente espressi (‘accesi’) o
‘attivi’ dal punto di vista trascrizionale; l’entità di questa fluorescenza è direttamente proporzionale alla quantità di
mRNA trascritto (D. Matassino et al., 2007a).
13
SAGE (serial analysis of gene expression = analisi seriale dell’espressione genica): metodo basato sul
sequenziamento‘in serie’ di EST (expressed sequence tag= etichette o segnali di sequenze espresse), ciascuna delle
quali identificativa di un ‘messaggero’ ‘unico’; esso non richiede la conoscenza ‘a priori’ dei segmenti di DNA da
9
RNA-seq14 (Y. Chu et al., 2012). Per ulteriori approfondimenti sulla ‘cronogenetica’ e sulla
‘cronobiologia’ si rimanda a: T.M. Bettini (1986) e D. Matassino et al. (2007a).
I contenuti e i suggerimenti riportati nelle memorie degli Atti del Convegno di Acerno (SA)
sono ancora totalmente validi; in particolare, il Convegno, articolato in 5 sessioni, fornisce un
contributo pregevole alla conoscenza di numerosi aspetti.
A. Ambiente di allevamento del ‘BovGrAI’ includente anche gli aspetti culturali e socioeconomici. D. Matassino evidenzia come “le aree collinari e montane dell’Appennino
meridionale siano caratterizzate da una marcata eterogeneità degli scenari produttivi,
conseguenza di multiformi e complessi microambienti che caratterizzano il bioterritorio
meridionale”; infatti, come sottolineato da D. Matassino (1985), “è possibile riscontrare, a
esempio, che: (i) la zootecnica è praticamente diffusa in tutto il bioterritorio, dal livello del mare
ai limiti dei pascoli montani; (ii) una struttura etnica animale molto complessa (presenza
contemporanea in azienda di piú specie) è fortemente dominante e convive con quella
‘specializzata’; (iii) estensione aziendale e consistenza degli animali allevati per unità produttiva
zootecnica modeste sono presenti insieme a strutture di ampiezza anche notevole; (iv) ad aziende
d’avanguardia si contrappongono realtà arcaiche a matrice fortemente pastorale; (v) a tipi
genetici con una bassa efficienza produttiva, ma particolarmente adattati all’ambiente, fanno
riscontro soggetti con produzioni da ‘record’; (vi) a prodotti caseari di notevole pregio e con
corrispondenti capacità di penetrazione nel mercato si affiancano situazioni di caseifici in
difficoltà per non aver risolto alcuni problemi della produzione: qualità e standardizzazione del
prodotto”. Egli suggerisce che “l’approccio sistemico consente: (i) a livello ‘bioterritoriale’, di
cogliere gli elementi di differenziazione fra i sistemi produttivi e, quindi, di capire i motivi
dell’attuale condizione e i limiti e le possibilità di sviluppo di ciascun sistema; (ii) a livello
‘aziendale’, di studiare gli effetti di ogni variabile in termini di interazione, cioè tenendo presente
tutti gli altri fattori, ma anche di individuare quali fattori della produzione sono piú determinanti
o strategici per un effettivo sviluppo”. In piú, l’Autore evidenzia l’importanza della ricerca ‘in
loco’ e delle prospettive di sviluppo con particolare sottolineatura di seguire percorsi basati su una
‘impostazione sistemica’ ai fini della caratterizzazione dell’individualità aziendale e del suo grado
di efficienza con l’obiettivo finale di individuare interventi teleologici15 finalizzati al
raggiungimento degli scopi prefissati in quella determinata struttura produttiva e, pertanto,
interventi personalizzati. Quanto ora esplicitato deve condurre anche a un miglioramento delle
strutture e dei servizi in modo da rendere sempre meno disagevoli le condizioni di vivibilità degli
imprenditori agricoli, qualunque sia l’attività produttiva perseguita.
B. Caratteristiche pedo-climatiche delle aree meridionali in cui viene allevato il ‘BovGrAI’
(già Podolica) con un’ampia trattazione e con riferimenti dei valori metereologici rilevati da
stazioni ad hoc come quelle presenti nei comuni di Casalbore (AV), Conza della Campania (AV),
Lacedonia (AV) (G. Zehender).
C. Utilizzazione dei pascoli nella tutela e nella valorizzazione del territorio con vasta e
profonda disamina dell’importanza e del ruolo che: (i) specie, erbacee, arbustive e arboree, sia
coltivate che spontanee, svolgono nell’alimentazione degli animali autoctoni, specialmente
‘endemismici’; (ii) l’integrazione ‘pianura-montagna’ per il raggiungimento di dinamici equilibri
produttivi e di tutela del ‘bioterritorio’; (iii) modelli di sviluppo, specialmente zootecnico, di
aziende pubbliche, come l’azienda “Casaldianni” di Circello (BN) (P. Iannelli). L’azienda
analizzare e consente di individuare nuovi segmenti di DNA codificanti ‘polipeptide/i’ nonché di quantificare l’mRNA
originatosi da tali ‘segmenti’ (D. Matassino et al., 2007a).
14
RNA-seq (RNA Sequencing): approccio basato sulle piú avanzate metodiche di sequenziamento degli acidi nucleici in
grado di fornire informazioni sulla sequenza, nonché sulla quantità di RNA trascritto dal genoma in una cellula o in un
tessuto in un determinato istante.
15
Termine riferito a teorie che considerano il mondo organizzato secondo fini determinati o che ritengano di riscontrare
finalità in alcuni ambiti della natura (Vocabolario Treccani online).
10
6.
7.
8.
9.
“Casaldianni”, attualmente, è in parte sede del National Focal Point italiano dal 1990 al
settembre 2009 e del Sub National Focal Point Biodiversità mediterranea italiano da marzo 2010.
D. Ambienti culturali e socio-economici delle aree collinari e montane del Mezzogiorno
d’Italia con estesa illustrazione dei servizi alla persona e agli imprenditori operanti nelle aree
collinari e montane del Mezzogiorno d’Italia (L. Cuoco).
E. Importanza della cooperazione quale strumento per lo sviluppo economico e sociale degli
allevatori del bovino podolico (oggi ‘BovGrAI’) nelle aree collinari e montane del Meridione
d’Italia (G. Migliaccio).
F. Ampia è la trattazione inerente all’alimentazione e ai suoi effetti sull’accrescimento con
l’uso di funzioni logistiche, alla etologia, agli aspetti sanitari, agli aspetti produttivi [latte, carne e
loro derivati (caratteristiche colorimetriche, reologiche, istochimiche delle fibre muscolari)], alla
fisiologia (profilo metabolico, enzimatico, ecc.), alle caratteristiche biometriche con l’uso delle
logistiche (distintamente per Basilicata, Calabria, Campania e Puglia) (Autori vari).
G. Alcuni aspetti del polimorfismo genetico e biochimico, con particolare riferimento al
polimorfismo lattoproteico, al polimorfismo di alcune proteine enzimatiche (glucosio 6-fosfato
deidrogenasi, lattico deidrogenasi, amilasi e anidrasi carbonica), al polimorfismo delle globine
(Autori vari).
H. Problematiche e tutela della risorsa genetica degli animali in produzione zootecnica a
livello planetario e, segnatamente, italiano (I. Bodó; J. Hodges; G. Rognoni).
I. Maîtrase du matérial génétique bovin á viandre en vu edu développment de l’élevage en
zone montagneuse méditérranéenne (Controllo della risorsa genetica bovina con attitudine alla
produzione di carne per lo sviluppo dell’allevamento in zone montane del Mediterraneo).
J. Valorizzazione delle aree collinari e montane dell’Appennino Meridionale attraverso
l’allevamento del bovino Podolico (oggi ‘BovGrAI’).
K. Il Convegno si conclude con l’auspicio di poter rappresentare un primo passo verso una
migliore conoscenza del ‘BovGrAI’ (già Podolica) per una piú razionale utilizzazione delle aree
collinari e montane dell’Appennino Meridionale.
Anno 1988. Viene realizzata la 1. Mostra nazionale del bovino iscritto al Libro genealogico del
bovino podolico (oggi ‘BovGrAI’) presso il Centro sperimentale dimostrativo di Molarotta in
Camigliatello Silano (CS); mostra da considerare quale prima 'uscita pubblica' in 'appositi recinti'
affinché questo bovino potesse mostrare tutta la sua 'bellezza'; in quella occasione si svolge il
Convegno 'Il bovino podolico nell’Italia Meridionale: stato attuale e prospettive'; nell’anno
successivo, sempre in Camigliatello Silano, viene organizzata una ‘Tavola rotonda’ su: 'Il bovino
podolico come strumento di conservazione e salvaguardia del territorio e quale fattore produttivo
in determinate aree'.
Anni 1994-1999. Viene attuato il Programma Operativo Multiregionale (POM) A06
“Ecosostenibilità dell'allevamento dei tipi genetici bovini Marchigiana e Podolica in aree della
Campania , del Molise e della Basilicata”, avente lo scopo di contribuire alla individuazione di
parametri per la tutela e la valorizzazione economica di aree collinari e submontane di parte
dell'Appennino meridionale mediante l'allevamento 'ecosostenibile' dei tipi genetici bovini
Marchigiana e Podolica (oggi ‘BovGrAI’); obiettivo principale del progetto è la individuazione di
standard qualitativi indispensabili per una rivalutazione economica dei prodotti vendibili (carne,
latte e loro derivati) nell’ottica di raggiungere un livello di ottimizzazione proprio di un prodotto
'locale tipizzato'.
Anno 1996. Si svolge l’inaugurazione (finalmente!) del Centro genetico della Podolica in
Laurenzana (PZ).
Triennio 2005÷2008. Viene realizzato il progetto interregionale “MASO – GIS. Sviluppo di
modelli aziendali sostenibili e multifunzionali per la valorizzazione dei pascoli in aree marginali
mediante GIS”, coinvolgente gran parte del territorio nazionale (60 aziende pastorali distribuite in
16 regioni italiane, raggruppate in 4 macroaree e in 16 aree-studio); esso porta alla realizzazione
di un database nazionale utile per la definizione di modelli aziendali sostenibili, sia dal punto di
vista economico sia da quello ambientale, in grado di utilizzare in modo ottimale le risorse
pascolive delle aree collinari e montane italiane; relativamente alla macroarea ‘Appennino
11
meridionale’, il monitoraggio aziendale consente di individuare i principali punti di ‘forza’ o di
‘debolezza’ (SWOT, Strenghts Weaknesses opportunities threats), nonché le potenzialità dell’area
interessata per una ottimizzazione dell’allevamento del ‘BovGrAI’ (già Podolica) e dello sviluppo
dei bioterritori interessati.
10. Anno 2006: viene istituito il Centro sperimentale di Molarotta (CS) a seguito di Convenzione tra:
ANABIC (Associazione Nazionale Allevatori Italiani Bovini da Carne), Associazione Allevatori
di Cosenza e Agenzia Regionale per lo sviluppo e l’innovazione in Agricoltura (ARSIA) della
regione Calabria; in tale Centro, gestito dall’ARSIA, viene attuata l’attività di miglioramento della
linea femminile secondo direttive dell’ANABIC.
11. Triennio 2009 –2011. Viene attuato il progetto “Characterization of both local and improved
Podolian bovine and identification of the threats of extinction in the global changes”, finanziato
dall’European Regional Focal Point (ERFP) mirante a rafforzare la collaborazione tra alcuni Paesi
europei allevanti il ‘Bovino Grigio Autoctono’ (Austria, Italia, Serbia, Ungheria) allo scopo di
meglio definire:
(a) la tassonomia e le relazioni filogenetiche tra popolazioni bovine autoctone ‘Grigie’
europee
(b) la conoscenza in merito alla caratterizzazione genetica delle predette popolazioni
(c) le potenzialità produttive delle predette popolazioni
(d) uno stato dell’arte relativo alle iniziative locali in termini di sussidi economici
(e) potenzialità economiche dell’allevamento del ‘Bovino Grigio Autoctono’ (già Podolica).
12. Anno 2009. Si svolge in Matera il I International Congress “On the tracks of Grey Podolic
cattle” (“Sulle tracce del bovino Grigio Podolico”), ove vengono presentati contributi di elevato
valore scientifico riguardanti l’origine storica e la caratterizzazione del ‘BovGrAI’ (già Podolica)
sotto vari aspetti.
13. Anno 2010. Presso l’allevamento ‘Masseria Colombo’ (Mottola, TA) viene avviata una
sperimentazione, a oggi in corso, su vacche ‘BovGrAI’ (già ‘Podolica’) munte meccanicamente;
in particolare, i rilievi riguardano:
(a) produzione lattea
(b) analisi chimica centesimale
(c) conta delle cellule somatiche
(d) profilo acidico del latte
(e) determinazione del genotipo ai loci lattoproteici, al locus GH (growth hormon=ormone
della crescita) e al locus ‘PRL’ (sede del segmento di DNA coinvolto nella sintesi della
prolattina).
I suddetti cenni storici richiamano l’attenzione su di un animale 'antico' ma, come già facevo rilevare
alcuni anni orsono, guarda caso, 'moderno' in una visione di forte revisione degli attuali assetti dei sistemi
produttivi e segnatamente di quelli caratterizzanti le aree collinari e montane dell’Appennino centromeridionale con effetto positivo su (D. Matassino, 1981, 1992, 2000):
(a) rivitalizzazione delle economie ‘locali’ in chiave di ‘bioeconomia’
(b) modificazione dei modelli attuali di produzione e di consumo allo scopo di ridurre il loro
contributo al deterioramento dell’ambiente e di raggiungere nuovi equilibri fra ambiente e sviluppo
‘multifunzionale sostenibile’
(c) cambiamento di quegli stili di vita che costituiscono ‘fattori di rischio’ per la sicurezza di un
agroecosistema ‘culturale’
(d) inversione delle uscite di risorse
(e) blocco della distruzione delle risorse genetiche animali e vegetali autoctone o locali o
endemismiche, allo scopo di mantenere elevato il 'carico genetico'
(f) assunzione di responsabilità per un cambiamento ‘culturale’ nella valutazione dei valori della vita
da parte della scuola, degli organi di comunicazione, dei politici e di quanti hanno funzione di
motori di cambiamento.
Queste brevi indicazioni devono indurre a un profondo ripensamento del ruolo che i valori e le fonti di
conoscenza delle culture ‘locali’ possono svolgere nella salvaguardia dell'ambiente. Infatti, si può ritenere che
l'abbandono di questi valori sia controproducente e spesso socialmente nefasto per la comunità interessata.
12
In tale contesto si inserisce questa relazione introduttiva, la quale mira a evidenziare il ruolo principe che
il ‘BovGrAI’ (già Podolica) può assumere al fine di realizzare “modelli di gestione sostenibile di un
‘bioterritorio’16 da parte delle comunità locali” in linea con la definizione di ‘bioregione’ o ‘bioterritorio’
proposta dalle Comunità internazionali (World Resources Institute, World Conservation Union, FAO,
UNESCO, United Nations, 1992). L’allevamento del ‘BovGrAI’ (già Podolica) consente di individuare
percorsi ‘virtuosi’ sfocianti in una vera e propria filosofia strategica gestionale di un ‘bioterritorio’ (D.
Matassino, 2011b, 2012a; D. Matassino e M. Occidente, 2011).
Una efficiente e dinamica ‘filosofia strategica gestionale intelligente’ di un ‘bioterritorio’ basata
sull’utilizzazione del suo patrimonio zootecnico armonicamente inserito nel proprio microambiente di
allevamento dovrebbe prendere in considerazione, tra l’altro, i seguenti aspetti principali (D. Matassino,
1976b, 1977): (a) conoscenza del microambiente bioterritoriale; (b) conoscenza del patrimonio genetico
‘ecologico’ locale, oggi definito ‘risorsa zoogenetica autoctona’; (c) attuazione di infrastrutture; (d) presenza
di una efficiente assistenza tecnica. Pertanto, una conoscenza profonda delle peculiarità genetiche,
metaboliche, produttive ed eco-etologiche del ‘BovGrAI’ (già Podolica) risulta fondamentale per lo sviluppo
di tale strategia gestionale.
Nella presente relazione saranno descritte in modo piú ampio alcune peculiarità metaboliche ed ecoetologiche del ‘BovGrAI’ (già Podolica) mentre saranno soltanto brevemente trattati alcuni aspetti genetici e
produttivi, i quali vengono approfonditi in modo peculiare dai vari relatori invitati a partecipare a questa
innovativa Giornata di studio.
2.
Capacità al costruttivismo
Una efficiente strategia gestionale di un ‘bioterritorio’ mirante a un potenziamento e a una ottimizzazione della
qualità delle produzioni zootecniche deve prevedere l’utilità, se non la necessità, di impiegare il ‘patrimonio
animale locale’ ancora esistente, da considerare un vero e proprio ‘patrimonio genetico ecologico’ in quanto
esso è il risultato di modificazioni stabilizzatesi in relazione al bioterritorio di allevamento nel corso di
centinaia, se non di migliaia di anni; modificazioni responsabili di una elevata ‘capacità al costruttivismo’ o
‘costruzione della propria nicchia ecologica’ di un ‘fenotipo’ (D. Matassino, 1975, 1976a e 1977; 1989,
1992; R.C. Lewontin, 1980, 1993, 2004; F.J. Odling-Smee et al., 2003; F. Morganti, 2009; T. Pievani, 2013;
J.N. Thompson, 2013).
Caratteristica peculiare del ‘BovGrAI’ (già Podolica) è la sua eccezionale ed elevata 'capacità al
costruttivismo' specialmente in ambienti particolarmente difficili, senz'altro superiore a quella dei bovini di
'cultura' (o di coltura o cosmopolite); capacità che si esprime sostanzialmente in (D. Matassino, 1986;
1995):
(a) un maggiore controllo omeostatico in condizioni ambientali di grande e talora di estrema
variabilità
(b) una maggiore lunghezza fisiologica della vita media
(c) una piú elevata attitudine all'utilizzazione dei foraggi 'poveri' (ad alta percentuale di fibra)
(d) una notevole sopravvivenza anche a lunghe carenze nutrizionali specifiche.
E' opportuno evidenziare che il ridotto metabolismo di base di questo bovino comporta un aumento del
tempo di ritenzione degli alimenti nel tubo gastroenterico e, pertanto, migliora l'utilizzazione digestiva degli
alimenti anche nelle razioni altamente concentrate (D. Cianci, 1986).
La notevole 'capacità al costruttivismo' del ‘BovGrAI’ viene ampiamente messa in luce da D.
Matassino, il quale, già nel 1981, esalta tale TG quale testimone di un rapporto armonico tra animale e
ambiente, con particolare riferimento a quello collinare e montano dell’Appennino meridionale. Sempre D.
Matassino (1981), in Palena (CH), riferisce sull’elevata longevità (15÷16 anni), nonché sulla propensione di
tale TG all’allevamento brado; in tali condizioni la salute dell’animale è ottimale e la fertilità della vacca si
mantiene elevata.
Un contributo alla conoscenza di alcuni aspetti comportamentali del ‘BovGrAI’ (già Podolica) nel suo
ambiente di allevamento è fornito dai risultati di uno studio, condotto nell’anno 1982 (agosto – settembre) da
D. Matassino in collaborazione con E. Cosentino, P. Freschi, E. Gambacorta e A. Girolami, su un
16
Un bioterritorio, al di là dell’aspetto economico-gestionale, può essere inteso come ‘microbiosfera’ di una
determinata ‘area geografica’.
13
allevamento, in condizioni di sistema ‘semibrado’ su pascoli dell’Appennino Irpino (Montella, AV)
localizzati a una altitudine di 1.200 ÷ 1.500 m sul livello del mare. Lo studio, oltre a monitorare la catena
operativa del lavoro umano (ergonomia) degli addetti all’allevamento fornisce informazioni, raccolte
nell’arco delle 24 ore e per 3 giorni consecutivi, in merito a: (a) trasferimento dal recinto base all’area
pascolativa e viceversa; (b) pascolamento; (c) ruminazione; (d) decubito; (e) pausa; (f) abbeverata; (g)
allattamento della prole; (h) attività di relazione con il proprio redo e con altri membri del gruppo; (i) ritmo
di defecazione e di minzione; (l) temperatura e umidità relativa dell’area di pascolamento; (m) temperatura
dell’intorno dell’animale; (n) distanza percorsa da ciascun animale con l’uso del pedometro; (o) quantità di
feci emesse; (p) orario per l’individuazione di effemeridi; (q) quantità di feci emesse; (r) campionamento
delle specie vegetali pabulari più rappresentative. Nei limiti del campo di osservazione, i risultati principali
di questo studio, riportati in E. Gambacorta (1992), evidenziano quanto segue:
(a) effemeridi: la fase che incide maggiormente è quella di ‘giorno’; quella più breve è il ‘crepuscolo
mattutino’; la fase ‘notte’ è caratterizzata per circa l’88 % dalla presenza della luna
(b) temperatura e umidità relativa : la temperatura media oscilla da un minimo di 7,4 °C (ore 5) a un
massimo di 32,9 °C (ore 14) con una variabilità massima tra i giorni in corrispondenza delle ore 2 ;
l’umidità relativa risulta essere particolarmente elevata (valore prossimo al 100 %) dalle ore 22
alle ore 7 e molto bassa dalle ore 9 alle ore 17
(c) temperatura dell’intorno dell’animale: il valore medio oscilla dai 32 °C delle ore 15 ai 13,7 °C
delle ore 6
(d) chilometri percorsi dall’animale: i valori rilevati in funzione del tipo di pascolo risultano pari a:
(ii) 10,2 nel caso di un pascolo costituito da radura e bosco di alto fusto
(iii) 9 nel caso di un pascolo composto da radura e bosco ceduo
in tale contesto, a supporto dell’elevata ‘capacità al costruttivismo’ del ‘BovGrAI’ (già Podolica), si
sottolinea che, in condizioni di siccità e in ambienti sconfinati, la distanza giornaliera percorsa può
raggiungere anche valori estremi di 26 km (C.W. Arnold e M.L. Dudzinski, 1978);
(e) velocità di avanzamento degli animali: il valore medio per il trasferimento dal recinto base all’area
di pascolamento risulta pari a 39 m/minuto
(f) durata del pascolamento: risulta mediamente maggiore quando il pascolo avviene in bosco ‘ceduo’
e minore quando in bosco di ‘alto fusto’ anche se con una distanza percorsa minore (8,2 m/min vs
9,54 m/min, rispettivamente); l’attività motoria fa registrare un valore più elevato quando il
pascolo avviene in ‘fustaia’ rispetto al pascolamento in bosco ‘ceduo’ (15 h 56’ 30’’ vs 15h 30”,
rispettivamente); tali differenze tra i due tipi di pascolo sono probabilmente da attribuire alla
maggiore disponibilità di alimento se l’area pascolata è un bosco ‘ceduo’.
Da uno studio (A. Braghieri et al., 2011) avente lo scopo di valutare l’etogramma in 3 tipi genetici
(TG) bovini (‘BovGrAI’, Chianina e Romagnola) durante il pascolamento diurno nel periodo estivo–
autunnale (agosto-ottobre) scaturisce quanto segue:
(a) il ‘BovGrAI’ (già Podolica) sceglie una maggiore percentuale di felci (P<0,05), rispetto agli altri 2
TG
(b) la Chianina mostra una preferenza verso le leguminose (P<0,01)
(c) gli animali, indipendentemente dal TG, sono piú attivi durante la mattinata e il pomeriggio in
termini di pascolamento e di deambulazione (P<0,05)
(d) l’attività di ruminazione in piedi e in decubito si concentra durante le ore centrali della giornata
(e) i bassi livelli di interazioni agonistiche tra gli animali lasciano supporre che l’utilizzo del pascolo
permette la stabilità sociale fra gli animali, confermando la validità del sistema di allevamento
estensivo soprattutto con l’impiego di tipi genetici autoctoni.
Riprendendo quanto già riportato in D. Matassino (2011c), si ricorda che l’importanza dell’interazione
‘genotipo-ambiente’ viene già teorizzata da H. Walter nel 1919 (figura 4) con la messa a punto del
cosiddetto ‘triangolo della vita’ e, successivamente, enfatizzata da R. Giuliani (1928-1931) nel trinomio
“eredità-ambiente-ginnastica funzionale”. La ginnastica funzionale assurge a grande importanza.
14
Figura 4 - ‘Triangolo della vita’ di H. Walter nel 1919 rappresentativo dell’effetto dell’interazione “eredità – ambiente ginnastica funzionale” sulla produzione lattea (Fonte: R. Giuliani 1928-1931).
A supporto dell’effetto positivo di una perfetta integrazione tra animale e ambiente sull’efficienza
produttiva si ricorda quanto asserito da P. Dechambre (1910÷1924), riportato da A.E. Filesi (1928): “La
migliore razza non è forzatamente quella nella quale una funzione è accentrata a detrimento delle altre, ma
‘quella che è meglio appropriata alle condizioni particolari dell’azienda, della quale fa parte’. Il
miglioramento non ha altro scopo che la perfezione zootecnica degli individui; questa non può raggiungersi,
che in condizioni di ‘ambiente ben precisato’. Ciò che è perfetto qui, non può esserlo altrove, se le condizioni
dell’allevamento o il genere di vita sono cambiate”. Oggi, alla luce dei risultati di recenti ricerche (C. Werner
et al., 2009) sull’uomo e sul topo, mutatis mutandis, i sistemi di allevamento ‘brado’ e/o ‘semibrado’ e/o
‘confinato’ sarebbero in grado di conferire al singolo soggetto allevato una maggiore protezione dalla
senescenza cellulare, con particolare riferimento al sistema vascolare, quindi una maggiore longevità dovuta probabilmente- a una più elevata efficienza del sistema immunitario imputabile all’attività enzimatica della
telomerasi operante a livello cromosomico. Il tutto si concretizzerebbe in un miglioramento sia della durata
sia della qualità della vita. La relazione tra lunghezza dei telomeri e durata della vita trova conferma in uccelli
particolarmente longevi, come a esempio l’oca facciabianca (Branta leucopsis), nella quale l’integrità dei
telomeri è ben mantenuta con un tasso di accorciamento di 4-5 nucleotidi all’anno (A. Pauliny et al., 2012).
La modulazione delle funzioni dell’organismo da parte dell’ambiente viene oggi spiegata in chiave di
epigenetica17, la quale attribuisce sempre più importanza alla dinamica della ‘cromatina’18, la quale, grazie alla
sua struttura sia stabile sia dinamica (‘quasi stabile’), funziona da interfaccia tra segmenti di DNA codificanti
polipeptide/i (‘geni’) e ambiente (D. Matassino, 2011c).
Ricerche genetiche sono in corso al fine di individuare alleli, genotipi o aplotipi che contribuiscono alla
elevata ‘capacità al costruttivismo’ del bovino Grigio in ambienti cosiddetti ‘difficili’. A esempio, viene
17
Epigenetica: disciplina basata sull’ipotesi dell’epigenesi (risalente a C.F. Wolff, 1759) secondo la quale la cellula
sessuale non conterrebbe assolutamente alcunché che assomigli all'organismo che da essa si svilupperà; la generazione
dipenderebbe dall’azione di un principio sottile o immateriale. C.H. Waddington (1953) ha identificato l’ ‘epigenesi’
nella ‘biologia dello sviluppo’ e il ‘preformismo’ nel ‘programma genetico’; dall’integrazione tra questi due concetti è
nato, nel 1953, il termine ‘epigenetica’ per indicare “Tutti i processi di cambiamento durante il ciclo vitale di un
organismo le cui istruzioni non sono contenute nella sequenza del DNA”. L’’epigenetica’ può essere ulteriormente
definita come “lo studio dei cambiamenti ereditabili nell’espressione del DNA dovuti a modificazioni chimiche del DNA
senza il verificarsi di variazioni nella sequenza dello stesso”; definizione ottenuta integrando quella di A.P. Wolffe
(1759) e M.A. Matzke (1999) con quella di K.Singh et al. (2010).
18
La ‘cromatina’, grazie alla sua architettura gerarchica che segue il modello ‘frattale’, è in grado di assumere
variazioni del grado di compattazione in funzione delle condizioni microambientali; variazioni che consentono una
maggiore o minore interazione tra il DNA e i fattori di trascrizione. Nel caso dell’uomo, grazie al ripiegamento della
cromatina i due metri di DNA vengono compattati fino a essere contenuti nel nucleo cellulare, il cui diametro è pari a
circa 5 micron. La cromatina regola l’attività trascrizionale del DNA attraverso modificazioni chimiche (metilazione,
acetilazione, fosforilazione, ubiquitinazione) degli istoni e/o del DNA (D. Matassino, 2012b).
15
evidenziato che, nell’ambito dell’aplotipo ‘HSP-70’19, l’allele ‘selvatico’ (al locus ‘AP2 box’), associato a piú
elevati livelli di espressione di proteina HSP-70, è piú frequente nel bovino Grigio ungherese e nella
Maremmana, rispetto al bovino di razza Rossa Norvegese (0,86 vs 0,83 vs 0,5; P=0,0000) (A. Maróti –Agóts
et al., 2009). Pertanto, l’esposizione al clima caldo e secco per millenni potrebbe essere stato un fattore in
grado di contribuire alla selezione (probabilmente naturale) per la resistenza al caldo.
E. Pieragostini et al. (2010) individuano alcuni marcatori zebuina nel genoma di popolazioni taurine, con
particolare riferimento al ‘BovGrAI’ (già Podolica):
(a) presenza del retrotrasposone LINE1 a livello della regione promotrice del segmento di DNA
‘GHR’20;
(b) allele Azebù al locus della beta-globina;
(c) variante alfa-globinica ‘Y’.
La presenza di alleli zebuini in popolazioni taurine europee assume un notevole significato ai fini del
conferimento della ‘capacità al costruttivismo’ in condizioni di stress ambientale. A esempio, la variante alfaglobinica ‘Y’ è associata a bassi valori di ematocrito (P<0,001) e a un ridotto contenuto emoglobinico; bassi
valori di ematocrito comportano una minore viscosità del sangue, quindi una maggiore disponibilità di
acqua; condizione quest’ultima, di particolare vantaggio in ambienti aridi. Tale ricerca conferma i risultati di
un precedente studio (G. Rubino et al., 2007) evidenzianti che il ‘BovGrAI’ si differenzia da alcune razze
cosmopolite (Bruna e Frisona) per il profilo ematologico e per quello proteico indicanti manifestazioni di
tolleranza nei confronti di parassiti enzootici trasmessi dalle zecche; in particolare, il ‘BovGrAI’ (già Podolica)
presenta le medie più elevate per quanto riguarda i seguenti parametri: % di proteine alfa (17,22), di proteine
beta (21,50) e di proteine gamma (29,73).
L’importanza di una base molecolare di natura genetica nel contribuire alla ‘capacità al costruttivismo’
viene ampiamente sottolineata da T.M. Bettini (1986), come riportato nel precedente paragrafo 1.
M. Iorio e M. Annunziata (1986) mettono in luce, nel ‘BovGrAI’, la presenza di una variante rara (AmA)
dell’enzima amilasi assente in altre razze bovine italiane ed europee e, probabilmente, associata anch’essa alla
elevata ‘capacità al costruttivismo’ di tale TGLA.
La ‘capacità al costruttivismo’ del ‘BovGrAI’ va messa in relazione alla peculiarità strutturale del
genoma bovino; quest’ultimo, come riportato da D. Matassino e F. Ciani (2009), presenterebbe, rispetto ad
altri mammiferi (a oggi, uomo e cane), una maggiore frequenza di: traslocazione, inversione, duplicazione,
riarrangiamento e riorganizzazione; tale notevole capacità di ‘riorganizzazione’ sarebbe legata a una
maggiore presenza di ‘elementi ripetitivi’ (circa 51 % cosí ripartito: ~ 2% microsatelliti, ~ 46 % trasposoni21,
19
A oggi, l’aplotipo ‘HSP-70’ include 8 loci (ciascuno biallelico) localizzati entro un segmento di DNA di circa 300
paia di basi codificante polipeptide e 1 locus (anch’esso biallelico) localizzato a livello della regione promotrice posta a
monte di quella codificante (detta ‘AP2 box’); la biallelia, a livello del singolo locus, è dovuta: (a) nel caso della
regione codificante a una sostituzione nucleotidica (T con C, C con T, T con G, G con C, C con G, G con C, A con T
in posizione 1851, 1899, 1902, 1917, 1926, 2033, 2087 e 2098, rispettivamente); (b) nel caso della regione promotrice,
a una delezione del nucleotide ‘C’. La vicinanza fisica di questi 9 loci (loci associati) fa sí che essi si comportino come
un’ ‘unità mendeliana’ con una scarsissima probabilità che si verifichi il crossing-over. Le proteine HSP (Heat Shock
Protein) vengono classificate, in base al loro peso molecolare, in varie famiglie. Trattasi di proteine essenziali per la
sopravvivenza della cellula in quanto esse esplicano un ruolo di difesa quando la cellula è esposta a eventi in grado di
perturbarne l’omeostasi; tra i fattori in grado di indurre un aumento delle HSP si ricordano quelli: (a) ambientali
(variazioni della temperatura, presenza di metalli pesanti, ecc.); (b) legati a malattia (infezioni virali, febbre,
infiammazioni, ischemia, lesioni da ossidanti, neoplasie, ecc.). Oltre alle HSP ‘indotte’ dai suddetti fattori di stress,
esistono HSP cosiddette ‘costitutive’, cioè presenti normalmente nella cellula e associate, a esempio, a: divisione,
crescita e differenziamento cellulare. Sono fondamentali specialmente le cosiddette chaperonine ai fini del folding
(ripiegamento) delle proteine (D. Matassino et al., 2007a).
20
GHR: growth hormon receptor (‘gene’ codificante il recettore dell’ormone della crescita).
In biologia gli elementi trasponibili rivestono grande importanza per i loro possibili effetti sull’espressione del
genoma. Essi appartengono, sostanzialmente, a due categorie: (a) retrotrasposoni, che traspongono tramite
retrotrascrizione del loro mRNA; (b) DNA trasposoni, che trasferiscono direttamente una copia di DNA genomico da
un sito all’altro del genoma dell’ospite. I DNA trasposoni, individuati a oggi negli Eucarioti, appartengono a 3 classi: (a)
la prima è caratterizzata dai cosiddetti meccanismi ‘taglia – e - incolla’ (N.L. Craig, 1995); (b) la seconda è
caratterizzata da meccanismi di trasposizione del tipo ‘rolling circle’ (replicazione a ‘circolo rotante’) (V. V. Kapitonov
21
16
~ 3 % duplicazioni segmentali) rispetto a quella di altre specie. I ‘trasposoni’ o ‘geni’ ‘saltatori‘ o ‘geni’
‘ballerini’ (‘jumping’ gene), cambiando posizione nel genoma, possono essere responsabili del sorgere di
nuove e dinamiche reti ‘cibernetiche’ a livello molecolare e di nuovi ‘modelli di sviluppo’ a livello di
‘manifestazione fenotipica’. I TGA, presenti solo in determinate aree geografiche isolate, possono subire
effetti che, intensificando la dinamica dei trasposoni, potrebbero aumentare la propria ‘capacità al
costruttivismo’ (D. Matassino, 1989, 1992). Le ‘duplicazioni segmentali’22 avrebbero contribuito al
potenziamento della risposta immunitaria, la quale - a sua volta - sarebbe legato alla presenza del
‘microbismo ruminale’ (The Bovine Genome Sequencing and Analysis Consortium, 2009). Indagini
citogenetiche effettuate su alcuni tipi genetici bovini italiani (G. Succi et al., 1980; D. Matassino et al.,
1985) evidenziano una frequenza della traslocazione robertsoniana 1;29 in condizione ‘eterozigote’
mediamente pari al 20,5 % nella Romagnola, al 18,7% nella Marchigiana, al 18,1% nel ‘BovGRAI’, al 9,5 %
nella Chianina, al 6,4% nella Modicana, al 3,6% nell’Ottonese.
3. Alcuni aspetti della caratterizzazione genetica
Dall’analisi della sequenza del ‘DNA mitocondriale’ (D. Caramelli, 2006; A. Beja-Pereira et al., 2006)
emerge che tutte le razze bovine Grigie autoctone italiane risultano caratterizzate dall’ ‘aplogruppo T3’,
identico a quello degli Uri indigeni (Bos primigenius primigenius) dell’Italia Centro-Meridionale e del Vicino
Oriente; tale identità interessa circa il 60% degli individui esaminati; frequenza che si riduce al 44,3% nei
soggetti delle altre attuali razze bovine europee. La presenza di tale ‘aplogruppo’ induce a ritenere che il
‘bovino Grigio autoctono italiano’ trae la sua origine dal Bos primigenius primigenius (Uro) del vicino
Oriente. L’analisi del ‘DNA mitocondriale’ effettuata sia su popolazioni bovine che su quelle umane toscane
evidenzia una somiglianza con l’assetto genetico individuato nelle popolazioni umane e bovine del Vicino
Oriente; tale affinità, suggerisce l’ipotesi di una origine non locale della cultura etrusca, la quale si sarebbe
sviluppata dal contatto con le popolazioni del Vicino Oriente immigrate in Toscana ivi trasferendo, oltre al
loro sofisticato retaggio culturale, anche le relative popolazioni bovine (Achilli et al., 2007; Pellecchia et al.,
2007). Studi basati sull’uso di marcatori AFLP (Negrini et al., 2007) avvalorerebbero la chiave di lettura
protostorica secondo cui la prima migrazione accertata in Italia di genti di cultura anatolica insediatesi lungo
le coste pugliesi con il relativo bestiame macrocero sarebbe avvenuta circa nel VI millennio a.C.; dalle coste
pugliesi le popolazioni si sarebbero diffuse verso le regioni limitrofe e nel resto della penisola; circa 15 tipi di
civiltà diverse si sarebbero sviluppate e succedute in Italia dal 5.000 al 2.000 a.C..
Uno studio recente (S. Ghirotto et al., 2013) che prende in esame, oltre al ‘DNA mitocondriale’ di attuali
popolazioni toscane, anche quello appartenente a resti rinvenuti in necropoli etrusche (Casenovole e
Tarquinia), confrontati con resti di individui medioevali e anatolici, stima che le relazioni genetiche tra
popolazioni anatoliche e toscane siano databili ad almeno 5.000 anni fa; pertanto, la cultura etrusca, risalente
a circa il 700 a.C., si sarebbe sviluppata localmente e indipendentemente dalla quella anatolica; infatti, solo
un tasso di mutazione molto elevato incompatibile con le simulazioni statistiche effettuate, potrebbe spiegare
le notevoli differenze genetiche accumulatesi tra etruschi e popolazioni anatoliche. Inoltre, tale ricerca mette
in luce una continuità genetica degli etruschi ancora evidente solo con le attuali popolazioni toscane viventi
nel Casentino e in Volterra. Questi risultati avvalorerebbero la tesi di Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. – 7 a.C.),
il quale, in antitesi rispetto a Erodoto23 (484-425 a.C.), propone un’autoctonicità del popolo etrusco.
L’ ‘aplogruppo’ ‘P’ invece, caratteristico delle popolazioni di Bos primigenius primigenius diffuse
nell’Europa Centro-Settentrionale non si riscontra, a oggi, in alcuna attuale razza o popolazione bovina
domestica della sottospecie Bos primigenius taurus (taurina), caratterizzata principalmente dall’ ‘aplogruppo’
‘T3’; questo è altresí assente nella sottospecie Bos primigenius indicus (zebuini); quest’ultima è caratterizzata
dagli ‘aplogruppi’ ‘Z1’ e ‘Z2’ (o ‘I1’ e ‘I2’). La presenza di altri aplogruppi lascia presupporre qualche
e J. Jurka, 2001); tale meccanismo è tipico della famiglia degli ‘elitroni’ ; (c) la terza comprende i cosiddetti trasposoni
‘polintoni’, considerati i piú complessi per l’attività che esplicano.
22
Duplicazione segmentale: segmento di DNA di lunghezza > 1 kb che in un assemblaggio genomico di riferimento
presenta più del 90 % di omologia rispetto a un’altra sequenza avente una localizzazione differente nel genoma (J.R.
Bailey et al., 2002); la duplicazione è detta: (a) inter-cromosomica se il segmento duplicato si localizza su cromosomi
non omologhi; (b) intracromosomica se il segmento duplicato si localizza all’interno dello stesso cromosoma (diverso o
stesso braccio se esistente) (D. Matassino et al., 2007a).
23
Erodoto sostiene la tesi di una provenienza degli Etruschi dall’Anatolia.
17
evento di domesticazione locale. La ricerca di Mona et al. (2010) e di M. Lari et al. (2011) su resti di Uro
supporterebbe tale ipotesi; infatti, il modello di variazione genetica emerso confermerebbe che l’Uro italiano è
geneticamente simile alle moderne razze bovine ma molto diverso dall'Uro dell’Europa nord\centrale.
L’assenza dell’aplogruppo P nelle attuali popolazioni domestiche mediterranee lascia presupporre una certa
stabilità (assenza di espansione demografica) delle popolazioni orientali caratterizzate dall’ aplogruppo ‘T3’
immigrate nelle aree dell’Europa centrale e settentrionale dopo l’ultima glaciazione (80.000 ÷ 40.000 anni fa);
esse, infatti, avrebbero costituito un gruppo autonomo rispetto alle popolazioni locali di Uro caratterizzate
dall’ aplogruppo ‘P’; queste ultime si sarebbero estinte senza fornire alcun contributo genetico alle attuali
razze taurine bovine (F. Ciani e D. Matassino, 2008). Nell’Europa Centro-Settentrionale, i bovini domestici
brachiceri e acorni si sovrappongono ai macroceri domestici, ivi presenti, con i quali si incrociano dando
origine a ceppi di bovini medioceri (corna di media lunghezza) con ampie e migliori attitudini produttive e
gestionali.
E. Ozkan et al. (2008) utilizzano marcatori microsatellite per stimare il grado di variabilità genetica del
bovino Grigio turco e di altri tipi genetici locali antichi (TGLA) bovini turchi (Nero dell’Anatolia, Rosso dell’
Anatolia orientale, Rosso dell’Anatolia meridionale) confrontati con alcune razze cosmopolite (Jersey, Bruna
Svizzera e Frisona); da tale ricerca emerge quanto segue: (a) un numero medio di alleli piú elevato nei TGLA
rispetto alle razze cosmopolite; (b) una ‘variazione clinale’ del valore della frequenza allelica per alcuni loci
microsatellite procedendo dai TGLA Orientali verso quelli allevati nell’area Occidentale; tale variazione
rifletterebbe la vicinanza geografica della Turchia al centro di domesticazione dei bovini con i concomitanti
flussi migratori; (c) una componente genetica zebuina variabile tra un valore minimo di 8,11% nel bovino
Grigio Turco e un valore massimo pari a 12,58% nel Bovino Rosso dell’ Anatolia orientale; (d) un contributo
genetico da parte della razza Bruna Svizzera piú elevato nel bovino Grigio Turco (24,82 %) rispetto agli altri 3
TGLA.
Al fine di verificare l’esistenza di una possibile corrispondenza tra assetto genetico ed evoluzione storica
recente di alcune razze bovine ‘Grigie’ (Maremmana, Bovino Grigio turco e Bovino Grigio ungherese),
caratterizzate da una contrazione demografica recente similare, L. Pariset et al. (2010) utilizzano un panel di
100 SNP (single nucleotide polimorphism = polimorfismi del singolo nucleotide) per un confronto di tali
popolazioni con due tipi genetici (Marchigiana e Piemontese) accomunati da una selezione antropica
differente da quella a cui sono sottoposte le predette razze Grigie. I risultati di tale ricerca evidenziano che la
similarità tra le razze ‘Grigie’, in particolare tra Maremmana e Grigia ungherese, è principalmente somatica;
infatti, il valore di Fst (indice di differenziazione genetica) risulta massimo tra Maremmana e Grigia
ungherese (0,124) e minimo tra Marchigiana e Piemontese (0,081). E’ interessante sottolineare che entro il
Bovino Grigio Turco è possibile evidenziare differenze genetiche tra due sottopopolazioni provenienti da aree
geografiche diverse (distretti ‘Enez’ e ‘Balikesir’) sottoposte a differente tipo di conservazione: ‘in situ’ ed
‘ex situ’, rispettivamente.
Ulteriori aspetti relativi alla tipizzazione genetica con marcatori molecolari del ‘DNA nucleare’ sono trattati
da Fabio Pilla, il quale in questo Convegno illustra una sintesi dei risultati di una ricerca effettuata su 134
capi di BovGrAI provenienti da 14 allevamenti dislocati nelle regioni Molise, Campania, Puglia, Basilicata e
Calabria, tipizzati a un panel di 30 loci microsatellite; tale ricerca, avviata nell’ambito del progetto POM
(Programma Operativo Multiregionale - A06 “Ecosostenibilità dell’allevamento dei tipi genetici bovini
Marchigiana e Podolica in aree della Campania, del Molise e della Basilicata”), viene ampliata a livello
internazionale; infatti, i dati genetici relativi al BovGrAI sono confrontati con quelli analoghi ottenuti su altre
razze includenti alcuni TGLA italiani ed Europei (Romagnola, Chianina, Piemontese, ‘BovGrAI’, Podolica
Istriana) e cosmopoliti (Swiss Brown, Simmenthal, Holstein Friesian, Limousine, Jersey), nonché africani
(N’Dama) anche al fine di ottenere informazioni in merito alle relazioni filogenetiche del ‘BovGrAI’ (già
Podolica) con altre razze italiane ed europee (A. Bruzzone et al., 2001; M. D’Andrea et al., 2011).
4.
Profilo Metabolico
I fattori che influenzano l’efficienza produttiva del ‘BovGrAI’ (già Podolica) inserito nel suo contesto
‘bioterritoriale’ sono numerosi e fra questi, come ampiamente dimostrato, svolgono un ruolo fondamentale le
risorse alimentari pabulari offerte dagli agro-silvo-ecosistemi delle aree demaniali.
E’ noto che il problema fondamentale dell’area mediterranea è la più o meno forte siccità nel periodo
estivo, per cui la produzione di alimento pabulare è piuttosto scarsa e concentrata prevalentemente in
primavera. L’elevata fluttuazione della disponibilità quanti-qualitativa degli alimenti, legata all’alternarsi
18
delle stagioni, induce questo bovino a perfezionare particolari sistemi di controllo del metabolismo per ridurre
gli effetti negativi determinati dai momenti di particolare carenza di risorse pabulari.
D. Matassino et al. (1986) evidenziano un’ampia variabilità di alcuni parametri ematochimici in funzione
di alcuni fattori fisici del ‘bioterritorio’ di allevamento, della stagione e del tipo di stabulazione. N.
Montemurro e C. Pacelli (1996) confermano la variazione di alcuni metaboliti (proteine totali, albumina,
globulina, colesterolo, urea, glucosio, calcio e fosforo) in relazione alla stagione. In sintesi, nel ‘BovGrAI’ si
specializza la capacità di uniformare il livello di ingestione, e quindi di utilizzazione, ai volumi di biomassa
foraggera disponibili: elevati nel periodo primavera-estate, molto contenuti in autunno- inverno. In tal modo
l’animale, in primavera, oltre a soddisfare le consistenti esigenze legate alla prima fase di lattazione [i parti
sono concentrati per oltre il 60% nel periodo marzo-maggio (E. Gambacorta e E. Cosentino, 1991)], riesce a
costituire scorte organiche sotto forma di lipidi di deposito da utilizzare nei periodi di carenza alimentare.
I risultati emersi da altre indagini finalizzate a valutare l’andamento del profilo metabolico nel corso delle
stagioni (P. Freschi et al., 1994), mettono in luce che nel ‘BovGrAI’ (già Podolica), nonostante l’aspetto
esteriore non mostri segni di carenza nutrizionale, il ‘metabolismo energetico’ (glicemia) è caratterizzato da
elevata oscillazione, con valori minimi in estate (0,89 mmol/l in estate contro 2,5 mmol/l in inverno).
Andamento contrario si rileva per il ‘metabolismo proteico’ che evidenzia una maggiore concentrazione in
estate (87,7 g\l di proteine totali) e una minore in inverno (76,6 g\l). Questi risultati confermano quanto emerso
da un’altra prova eseguita nel 1981 (D. Matassino et al., dati non pubblicati), mirante a valutare, tra l’altro, la
composizione botanica del “pabulum” e il relativo effetto sul bilancio in nutrienti: mediamente i bovini,
durante il periodo estivo, assumono una quantità di proteine superiore alle proprio esigenze, anche se nel
complesso la razione risulta carente in energia.
5. Alcuni aspetti produttivi del ‘BovGrAI’
Un programma di intervento, che miri al recupero e all’ottimizzazione della risorsa animale locale, deve
tenere nel giusto conto tutti quegli interventi riguardanti la commercializzazione dei prodotti ottenuti dagli
animali allevati, valutando sia le esigenze di mercato esistenti che quelle inducibili. E’ ferma convinzione,
infatti, che il futuro del ‘BovGrAI’ (già Podolica) è legato alla commercializzazione di produzioni (latte, carne
e loro derivati) di qualità intesa, specialmente, come contenuto quali-quantitativo di biomolecole
‘nutraceutiche’24.
Numerose sono le ricerche eseguite e in corso di seguito riportate allo scopo di sviluppare e di
approfondire la caratterizzazione delle produzioni ottenute da questo TGLA che, nei secoli passati, aveva
dimostrato la sua principale attitudine produttiva per eccellenza nella potente forza dinamica che poteva
sviluppare nei lavori agricoli. Tali ricerche confermano l’attuale duplice attitudine (latte e carne) di questo
TGLA.
In particolare, gli aspetti ‘nutraceutici’ degli alimenti vengono trattati nella presente Giornata di studio
dal dr. A. Febbraro.
5.1. Latte
24
Il neologismo ‘nutraceutica’, termine sincretico derivato da ‘nutrizione’ e ‘farmaceutica’, viene coniato nel 1989 da
S. De Felice, fondatore della Fondazione per l’Innovazione in Medicina (FIM) nel 1976, in riferimento allo studio di
alimenti con funzione benefica sulla salute umana. Il termine ‘nutraceutica’ è una estensione del concetto di ‘alimento
funzionale’ risalente ai primi anni ’80 quando, in Giappone, viene indicata con il termine FOSHU (Food for Specific
Health Use = alimento per impiego salutistico specifico) una categoria di alimenti aventi un ‘effetto sulla salute
dell’uomo come risultato della loro composizione specifica o in quanto privati degli allergeni’. Successivamente viene
proposta una grande varietà di termini, piú o meno correlati al significato dato dai giapponesi, come pharmafoods,
vitafoods, dietary supplements, fortified foods, functional foods (D. Matassino e M. Occidente, 2003) .
19
Premessa. Oltre alla carne di ottima qualità, il prodotto per eccellenza fornito da questo tipo genetico è il
suo ‘latte’, che per la qualità delle sue componenti risulta eminentemente vocato alla trasformazione casearia
qualificata dalla preparazione di un antico formaggio a pasta filata, denominato ‘Caciocavallo’, tipico per la
media o lunga stagionatura e maturazione (G. Salerno, 1892); questo prodotto caseario è stato da sempre
apprezzato non solo dal mercato locale e nazionale ma anche da quello internazionale, che offre per questo
prodotto compensi molto remunerativi.
A testimonianza della eccellente qualità del latte di ‘BovGrAI’ (già Podolica) ai fini della trasformazione
in ‘caciocavallo’, si sottolinea che già agli inizi degli anni ’50, nell’ambito della Riforma Agraria, il maggiore
Oddo Bernardini, sovrintendente veterinario alla produzione di latte presso la ‘vaccheria’ di Persano (SA),
propone alle autorità competenti di Roma di “produrre su scala industriale, con l’etichettatura e marchio, il
caciocavallo di qualità, con l’intento di aumentare la produzione che era perfettamente inserita nel contesto
della stabulazione dei pascoli” (A. Gallotta, 2005)25.
L’eccellenza del sistema di allevamento raggiunta in quegli anni presso la ‘vaccheria’ di Persano è
evidente dalla figura 5 ove viene riportato un esemplare di toro nato e allevato in tale sede.
Figura 5. Soggetto da esposizione con il n. 74 sulla groppa. Toro nato e allevato presso la vaccheria di
Persano, presentato da Matteo Carrozza. Anno 1937. (Fonte: A. Gallotta, 2005).
Produzione. La vacca pluripara di ‘BovGrAI’ (già Podolica) produce, a oggi, individualmente, durante
una lattazione di circa 6 ÷ 9 mesi, mediamente, kg 2.280 (valore minimo 1.100 kg; valore massimo 3.300 kg)
di latte, incluso quello utilizzato dal vitello (O. Parisi, 1950; D. Matassino, 1995, 1996, 2001b; G.P. Sportelli,
2004a e b; A. Perna et al., 2005). Si sottolinea che già R. Giuliani (1928-1931) evidenzia come nelle razze
cosiddette “primitive” - bovini Podolici e Maremmani – fossero frequenti vacche con produzione lattea
massima giornaliera di oltre 15 ÷ 18 litri, malgrado le sfavorevoli condizioni di vita.
Da una ricerca di G. Marsico et al. (2002) emerge che la produzione lattea trae i migliori vantaggi da un
allevamento ‘semistallino’ rispetto a quello ‘stallino’ (10,22 litri di latte /die vs 6,68 l/die, rispettivamente; P<
0,05); il regime ‘stallino’ sembrerebbe essere quello meno adatto al ‘BovGrAI’ (già Podolica) in quanto incide
negativamente sulla produzione e su alcuni parametri quanti-qualitativi del latte prodotto.
25
La perfetta integrazione dell’allevamento del ‘BovGrAI’ nel contesto ‘bioterritoriale’ di Persano è attestata dalla
seguente descrizione: “ Nei prati, ricchi di erbe saporite, pascolavano oltre ai cavalli della Real Razza, anche i bovini
dalle corna lunghe e robuste. Questi servivano per i lavori dei campi e per la fornitura di latte e carne. La struttura
operativa era organizzata come un allevamento a ciclo integrale, supportando egregiamente l’allevamento del cavallo
che, a quei tempi, catalizzava l’attenzione della dirigenza superiore” (A. Gallotta, 2005).
20
La composizione chimica è caratterizzata da un rapporto grasso/proteina pari circa a 1 (D. Matassino,
2001b).
L’attitudine alla caseificazione del latte, stimata sulla base dei tre parametri ‘classici’ secondo la metodica
ufficiale [durata della fase enzimatica (‘T’), velocità della coagulazione (‘K’), consistenza del coagulo a un
tempo definito dall’inizio della coagulazione (‘a’)], varia significativamente in relazione a (D. Matassino et
al., 1995):
(a) anno, ordine di parto, distanza dal parto e turno di mungitura
(b) % di lipidi, % di protidi e % di lattosio
(c) pH.
Tabella 1. Distribuzione numerica e percentuale della classe di valutazione dell’ attitudine alla caseificazione del latte
(D. Matassino, 2001b).
CLASSE DI
VALUTAZIONE
DISTRIBUZIONE
DISCRETA
N
452
%
46,69
OTTIMALE
316
32,64
RAPIDA
129
14,36
LENTA
48
4,96
NON IDONEA
13
1,35
Tutte
958
100
Dalla tabella 1 si rileva che solo circa l’l % delle quasi 1.000 determinazioni risulta non idoneo, mentre il
94 % è compreso nelle tre classi: ‘discreta’, ‘ottimale’ e ‘rapida’.
La dr.ssa Nadia Castellano illustra, in questa Giornata di studio, alcuni aspetti della ‘galattopoiesi’
esponendo i risultati di una recente e pioneristica ricerca (D. Matassino et al., 2011) avente come scopo la
conoscenza di alcuni parametri quanti-qualitativi (produzione lattea, composizione chimica centesimale e
numero di cellule somatiche) del latte ottenuto dal ‘BovGrAI’ (già Podolica) in mungitura meccanica. I
risultati di tale studio confermano l’ottima attitudine del ‘BovGrAI’ (già Podolica) alla produzione lattea.
Polimorfismo lattoproteico. E’ noto che il polimorfismo lattoproteico può influenzare in modo molto
variabile le caratteristiche ‘chimico-fisiche’, nonché alcune proprietà ‘nutrizionali’, ‘extranutrizionali’ quindi
‘salutistiche’ o ‘nutraceutiche’ del latte. L’importanza della conoscenza di tale polimorfismo e, in generale,
della possibilità, nonché degli sviluppi notevoli derivanti da una selezione assistita dal molecolare finalizzata
al miglioramento del latte e dei suoi derivati viene preconizzata da: T.M. Bettini (1972); D. Matassino
(1983b, 1987b). Inoltre, non meno importante è la necessità di esaminare il ‘genotipo globale’ (Global-gen) ai
loci lattoproteici, piuttosto che il genotipo al singolo locus, già in passato evidenziata da D. Matassino et al.
(1993, 1996) e da A. Zullo et al. (1993, 1994) per quanto concerne le relazioni tra polimorfismo lattoproteico,
caratteristiche quali-quantitative e caratteristiche ‘lattodinamometriche’ del latte.
Il latte del ‘BovGrAI’ (già Podolica) è caratterizzato dalla presenza di alcuni alleli favorenti la
trasformazione casearia (allele B al locus k-CN); questo allele evidenzia una frequenza maggiore rispetto a
quella riscontrata in altri tipi genetici (TM. Bettini e P. Masina 1972; L. Chianese et al., 1988; D. Matassino,
1996b, 2001b). L. Ferrara et al. (1986a) in una indagine sul polimorfismo lattoproteico in bovini di
‘BovGrAI’ (già Podolica) allevati in vari bioterritori dell’Italia Meridionale, oltre a confermare che il latte del
‘BovGrAI’ (già Podolica) risulterebbe particolarmente idoneo alla caseificazione, mettono in luce una certa
eterogeneità tra le popolazioni di ‘BovGrAI’ (già Podolica) delle diverse aree geografiche di allevamento per
quanto attiene alla frequenza allelica e genotipica ai loci lattoproteici; a esempio, al locus alfa s1-caseina:
l’allele B risulta essere quello piú frequente nel ‘BovGrAI’ (già Podolica) allevato nelle province di Avellino,
Foggia, Potenza e Salerno; l’allele C è il piú frequente nella provincia di Cosenza; l’allele D si riscontra solo
nei soggetti allevati nelle province di Foggia e di Potenza. Inoltre, dalla stessa ricerca emerge che,
limitatamente all’assetto genetico ai loci caseinici, il ‘BovGrAI’ allevato in Calabria risulterebbe il piú distante
21
rispetto a quello allevato nelle altre province considerate; la maggiore vicinanza genetica si osserva nei
confronti: ‘Foggia-Salerno’ e ‘Avellino –Salerno’. Si potrebbe ipotizzare che le distanze genetiche osservate
rispecchino i flussi di transumanza seguiti dal ‘BovGrAI’ (già Podolica); pertanto, la maggiore distanza
osservata per il ‘BovGRAI’ (già Podolica) allevato in Calabria rispetto a quello allevato nelle altre province
esaminate, sarebbe riconducibile all’esclusione della regione Calabria dal flusso migratorio e quindi alla
possibilità di scambio, invece molto attivo, esistente tra Campania e Basilicata.
L’esistenza di variabilità entro il tipo genetico sarebbe confermata anche a livello di ‘genotipo globale’ ai
loci lattoproteici ('GlobalGen') (D. Matassino, 2001b). Infatti, su 213 genotipi globali rilevati, ben 84 sono
differenti tra loro (39%); il 'GlobalGen' piú frequente è BCA2A2BBAAABBB (5,16%), a cui seguono:
BBA2A1ABAABBAB e BBA2A1ABAABBBB (3,76%), BBA1A1BBAAABBB, BBA2A1BBAAABBB,
BBA2A1BBAABBBB, BBA1A1BBAAABAB e BCA2A1ABAABBBB (3,29%).
L’associazione tra polimorfismo lattoproteico e alcune caratteristiche quanti-qualitative del latte del
BovGrAI (già Podolica) in mungitura meccanica sono evidenziate in D. Matassino et al. (2012b). I risultati in
questo Convegno vengono esposti da A. Zullo e, sinteticamente, mettono in luce che, limitatamente ai loci
‘alfa-lattoalbumina’, ‘beta-lattoglobulina’, ‘k-caseina’ e ‘beta caseina’, la vacca con ‘genotipo globale’
‘BBABBBBB’ esibisce una maggiore produzione lattea (P< 0,05) mentre quella portatrice del ‘genotipo
globale’ ‘BBAABBBB’ produce un latte con una maggiore percentuale di grasso, di proteina e di caseina (P<
0,05).
Proteomica. Tale aspetto, in questo Convegno, viene approfondito dal dr. Francesco Romagnuolo, il
quale presenta i risultati di uno studio (D. Matassino et al., 2010b) relativo alla caratterizzazione del ‘profilo
proteico’ del ‘caciocavallo’ di ‘BovGrAI’ in funzione del tempo di stagionatura; tali risultati evidenziano, tra
l’altro, importanti aspetti nutraceutici; infatti, dall’analisi del profilo proteico risulta che il latte di ‘BovGrAI’ è
particolarmente ricco del Κ-CN F(106-111). Questo peptide bioattivo (casopiastrina) esplica un’interessante
funzione antitrombotica Pertanto, come già auspicato da D. Matassino (1995), il latte di questo tipo genetico
bovino e i suoi derivati potrebbero trovare impiego come veri e propri “cibi fisiologicamente funzionali” per
l’uomo o ‘nutraceutici’.
La caratterizzazione proteomica del caciocavallo di Podolica indica che il tempo di maturazione del
formaggio influenza la dinamica delle proteine e, quindi, la presenza di amminoacidi liberi e piccoli peptidi
che conferiscono al prodotto: (a) un flavour “particolare”; (b) miglioramento della digeribilità; (c) proprietà
‘nutrizionali’ ed ‘extranutrizionali’ con conseguente effetto ‘nutraceutico’ (pro-immunitario; favorente
l’assorbimento del calcio; ipotensivo; antimicrobico; analgesico, ecc.) (D. Matassino et al., 2007b).
Lipidomica. La caratterizzazione del ‘profilo acidico’ del latte e dei suoi derivati riveste una importanza
fondamentale per la presenza in essi di acidi grassi con particolare funzione ‘nutraceutica’ quali a esempio i
CLA (conjugated linoleic acid = acido linoleico coniugato), dotati di documentate proprietà: (a) antitumorale;
(b) antiaterogenica; (c) batteriostatica; (d) antiadipogenica; (e) antidiabetogena; (f) promotrice dei fattori di
crescita; (g) immunomodulante.
Alcuni aspetti della caratterizzazione del ‘profilo acidico’ del caciocavallo di ‘BovGrAI’ in funzione del
tempo di maturazione sono evidenziati da D. Matassino et al. (2009). I risultati vengono esposti in questo
contesto congressuale dalla dr.ssa Luigina Rillo e, sinteticamente, essi mettono in luce un andamento del
‘profilo acidico’ variabile in funzione del mese di caseificazione e del tempo di stagionatura che lascia
presupporre un ruolo fondamentale, durante la maturazione, di:
(a) fattori microambientali del ‘bioterritorio’ di allevamento
(b) possibili variazioni temporali dell’equilibrio della microflora presente nel prodotto.
Caratteristiche reologiche del caciocavallo. Interessante è l’effetto dei fattori tipo genetico e tempo di
stagionatura sulle caratteristiche reologiche del caciocavallo. I risultati evidenziano che a 3 mesi di
stagionatura il caciocavallo ottenuto dal ‘BovGrAI’ (già Podolica) presenta un valore piú elevato (P<0,01) di
durezza e di masticabilità rispetto a quello ottenuto da altri tipi genetici (Bianca val Padana, Burlina e
Modicana) e un valore piú basso di coesione rispetto a quello ottenuto dalla Bianca val Padana (P<0,01) e
dalla Burlina (P<0,05). Con il procedere della stagionatura da 3 a 6 e a 12 mesi, le caratteristiche reologiche
del caciocavallo ‘Podolico’ sembrerebbero non subire cambiamenti (Matassino et al., 2008).
5.2. Carne
Vari studi sull’utilizzazione del ‘BovGrAI’ per la sua attitudine alla produzione di carne in aree marginali
(D. Matassino et al., 1985, 1986; L. Ferrara et al., 1986 a e b) evidenziano che:
22
(a) l’incremento giornaliero ponderale medio di circa 0,670 kg (valore minimo =0,640 kg; valore
massimo= 0,720 kg) e l’indice di conversione alimentare (valore minimo = 3,6; valore massimo=
14,3) sono più vicini a quelli dei bovini ‘precoci’
(b) a conferma del punto precedente, il ‘BovGrAI’ (già Podolica) presenta uno sviluppo speciale dei
diametri trasversi e di profondità non accompagnato da un accrescimento delle masse muscolari
posteriori caratteristico degli animali ‘tardivi’
(c) il periodo di finissaggio sarebbe consigliato a un’età di circa 13 ÷ 15 mesi (360 ÷ 380 kg di peso
vivo) in modo da raggiungere un peso di macellazione di 460 ÷ 510 kg a un età compresa tra i 17 e
i 19 mesi
(d) l’alimentazione (livello alimentare alto, medio e medio con aggiunta di amminoacidi) influenza i
tagli più significativi sia nel quarto anteriore (locena) che in quello posteriore (vacante di natica e
colarda)
(e) il vitellone sottoposto a un livello alimentare medio arricchito con amminoacidi essenziali presenta
l’area, il perimetro, il diametro (massimo e minimo) della fibra muscolare significativamente
maggiori (P<0,001) rispetto al soggetto sottoposto a un livello alimentare alto e medio
(f) i gruppi tenuti in stalla evidenziano una incidenza del quarto anteriore superiore a quella del quarto
posteriore.
L’alimentazione al ‘pascolo’ rispetto al ‘pascolo + integrazione di alimento’ sarebbe responsabile di (A.
Girolami et al., 1986; A. Zullo et al., 1986; E. Cosentino et al., 2005a; G. Maiorano et al., 2005; R. Marino et
al., 2009):
(a) carne con migliori caratteristiche reologiche [piú tenera (P<0,05), con un valore minore di
resistenza al taglio (P<0,001) e di adesione (P<0,01)] e colorimetriche (carne piú chiara)
(P<0,001)
(b) profilo acidico della carne o di prodotti derivati (omogeneizzato, hamburger, salame)
caratterizzato da un contenuto significativamente più elevato di PUFA (acidi grassi polinsaturi)
(soprattutto omega 3 a lunga catena) (P<0,001)
(c) una bresaola con un buon grado di accettabilità (50 % della giuria a favore)
(d) carne con un maggior contenuto di potassio (P<0,05) e di vitamina E (P<0,01) e un minor
contenuto di sodio (P<0,01)
Il sistema ‘transumante’, rispetto a quello ‘stanziale’, influenza positivamente i seguenti parametri (E.
Cosentino et al., 2005b; E. Gambacorta et al., 2005):
(i) peso vivo (PV) (P<0,05)
(ii) incremento giornaliero poderale medio (IPMG) (P<0,01)
(iii) efficienza biologica (IPG/PV) corrispondente all’incremento ponderale giornaliero su
peso vivo che lo ha prodotto (P<0,01)
(iv) efficienza zootecnica (IMG/PV0,75), la quale esprime l’incremento giornaliero ponderale
su peso metabolico che lo ha prodotto (P<0,01)
(v) percentuale di tagli di I categoria (comunemente detti di ‘I scelta’) (P<0,01).
Ulteriori risultati relativi alle caratteristiche quali-quantitative della carne di ‘BovGrAI’ (già Podolica) in
relazione al sistema di allevamento (brado o semibrado) vengono illustrati, in questa Giornata di studio,
dal prof. E. Gambacorta.
5. Gestione storica del ‘BovGrAI’
5.1. Gestione
Storicamente la “mandria” è composta mediamente da 70 capi (50 vacche adulte, 17 soggetti di ambo i
sessi sotto i tre anni e 3 tori); i vitelloni destinati a diventare buoi da lavoro vengono castrati a 18 mesi,
domati all’età di 28 mesi e utilizzati per lavori agricoli fino a circa 9 anni, età in cui vengono opportunamente
sottoposti a finissaggio e macellati (O. Parisi, 1950).
I risultati relativi ai rilievi ergonomici eseguiti nell’ambito dello studio condotto nell’anno 1982 (agosto –
settembre) da D. Matassino et al. su pascoli dell’Appennino Irpino (Montella, AV), descritto in precedenza,
evidenziano che l’attività fisica giornaliera svolta da un singolo addetto, escludendo il tempo occorrente per i
trattamenti di profilassi, si articola nelle seguenti fasi:
23
(a) apertura dei cancelli del recinto e convogliamento delle vacche in apposita sezione per
l’allattamento o la mungitura (10 minuti)
(b) mungitura e controllo dell’allattamento (7 minuti in media per vacca)
(c) trasporto latte e caseificazione dello stesso (3 ore, complessivamente)
(d) raggruppamento vacche e separazione dei vitelli dalle nutrici (40 minuti)
(e) apertura dei cancelli e spostamento della mandria nell’area a pascolo (2ore e 30 minuti)
(f) controllo saltuario della mandria durante il pascolamento (2 ore).
L’allevamento brado o semibrado del ‘BovGrAI’ richiede il lavoro permanente di 5 addetti, ai quali sono
affidate la custodia e la gestione dell’attività produttiva; quest’ultima includente la trasformazione giornaliera
del latte e il trasporto al mercato dei relativi prodotti caseari.
L’ allevamento del ‘BovGrAI’ (già Podolica) (Matassino e Ciani, 2009) si sviluppa in forme gestionali
diverse, nella maggioranza dei bioterritori dell’Italia meridionale. Le multiformi caratteristiche orografiche e
climatiche del vasto areale di diffusione, la strutturazione fondiaria, l’integrazione colturale e culturale fra i
diversi bioterritori, danno origine a sottosistemi di allevamento orientati dalle modalità di utilizzazione delle
risorse foraggere naturali e/o spontanee dei molteplici agro-silvo-ecosistemi meridionali.
I principali sottosistemi sono (D. Matassino, 1983a, 1985, 1987a; D. Matassino e R. Rubino, 1984):
(a) il “pastorale puro”, che utilizza, in successione altimetrica temporale, aree pascolive fra di loro più o
meno distanti, effettuando la transumanza stagionale, che è definita “normale” quando le aziende di
origine delle mandrie sono insediate in pianura e “ inversa” quando sono ubicate in montagna
(b) il “semipastorale”, caratterizzato dalla monticazione locale su terreni demaniali e/o privati
(c) lo “stanziale brado”, basato prevalentemente o completamente sulle risorse foraggere naturali e/o
spontanee di estese aree di proprietà pubblica, con eventuale integrazione alimentare in situazioni di
scarsità di risorse trofiche vegetali; le strutture aziendali di dotazione si limitano a recinti e ricoveri
per le situazioni di emergenza o di gestione temporanea del bestiame, stagionale e/o giornaliera
(d) lo “stanziale non brado”, caratterizzato prevalentemente dalla utilizzazione delle risorse pabulari
aziendali integrate con alimentazione in stalla.
La consistenza dei capi allevati, nei tre sottosistemi (“pastorale puro”, “stanziale brado” e “stanziale
brado”) varia da 26 a 150; la composizione delle varie classi di età o categorie di suddivisione del bestiame è
ripartita in: 23% ÷ 39% di vitelli (soggetti maschi e femmine inferiori all’anno); 2,3% ÷ 4% di tori adulti
(oltre 3 anni) e torelli; 5% ÷ 12% di manzette (fra 1 e 2 anni); 5% ÷ 10% di manze (da 2 a 3 anni); 48% ÷
54% di vacche adulte (primipare e pluripare); il quoziente di avvicendamento (rimonta) è di circa il 10%; il
rapporto fra riproduttori maschi e femmine è rispettivamente di circa 1 a 30 - 36, incluse le manze; infine su
100 vacche la presenza di vitelli è circa di 43 ÷ 70 soggetti. I parti si verificano per l’83% nei mesi di
febbraio, marzo, aprile e maggio, con un incidenza massima del 33% nel mese di aprile (E. Cosentino, 1989).
Per aggiornamenti in merito ad alcuni aspetti gestionali del ‘BovGrAI’ (già Podolica), si rimanda a D.
Matassino (2009 a, b, c) e a D. Matassino et al. (2011).
Da ricerche effettuate da Matassino (1986, 1996b), rivalutate in euro correnti, per un’azienda di 100 capi
che abbia la seguente composizione categoriale annuale media:
(a) femmine = 64 %, di cui:
(i) 19 % in età anteparto
(ii) 45 % in età postparto
(b) maschi = 7,5 %, cosí distinti:
(i) 2 % torelli
(ii) 2% tori
(iii) 3,5 % vitelloni
scaturirebbe quanto riportato nella tabella 2.
24
Tabella 2. Reddito netto (RN) (Euro correnti) dell’ ‘imprenditore-allevatore’ del bovino Podolico
(Matassino, 1986; 1996b).
CONDUZIONE
DIRETTA
CON SALARIATI
SUPERFICIE A PASCOLO IN
AFFITTO
PROPRIETA'
FIDA
RN (I + ST + T) RN (I + ST + BF + T) RN (I + ST + T)
PROPRIETA'
RN (I + ST + BF + T) *
FIDA
RN (I + ST + T)
53.862
49.987
1. Senza integrazione UE
40.898
7.141
3.245
-5.842
57.637
2. Con integrazione UE
48.548
14.791
10.895
1.808
61.512
AFFITTO
RN (I + ST + T)
* RN: Reddito netto
I: interessi sul reddito
ST: stipendio (compenso per lavoro intellettuale,di direzione, amministrazione e sorveglianza tecnica)
BF: beneficio fondiario
T: tornaconto (compenso per l'opera di organizzazione e di coordinamento dei diversi fattori produttivi).
La conduzione di tale allevamento richiede, mediamente, 1,47 unità lavorative uomo (ULU)
giornaliere per effettuare le seguenti operazioni: custodia (controllo degli animali al pascolo, all’entrata e
all’uscita dei recinti), mungitura, trasformazione casearia, allattamento vitelli, trattamenti profilattici e
terapeutici, ecc.. Tenendo conto dell’incidenza delle festività, delle ferie e delle assenze per malattia, il
compenso relativo a ciascun addetto si aggira intorno ai 900 euro netti al mese.
5.2. Transumanza
Con l’incipiente domesticazione delle varie specie di ungulati in tutto l’areale della loro diffusione
mediterranea, già in epoca Neolitica (VII millennio a.C.) gli allevatori privilegiano lo spostamento dei loro
animali alla continua ricerca di foraggio fresco e lussureggiante legato alla crescita e/o stasi vegetativa
stagionale, piuttosto che coltivare e/o immagazzinare le produzioni foraggere. Tale sistema di pascolo
continuo cosiddetto ‘vagante’, supportato da ampie ed estese superfici incolte, è legato fondamentalmente alla
stagionalità e alla disponibilità di foraggio in relazione ai vari agroecosistemi interessati. In questo sistema
agro-silvo-pastorale sopravvive per millenni l’allevamento del ‘BovGRAI’, che ha sempre instaurato uno stato
di omeostasi26 con la risorsa pabulare naturale, riuscendo a produrre comunque un discreto reddito in rapporto
ai loro ridottissimi costi di mantenimento e di gestione. La transumanza e la monticazione del Bovino Grigio
hanno modalità e tipi di spostamento molto variegate e variabili da regione a regione e da zona a zona; in
tempi storici la transumanza è sempre collegata principalmente all’utilizzazione di terreni demaniali gravati di
uso civico (F. Ciani e D. Matassino, in press).
26
Omeostasi: capacità dei viventi di governare le variabili dell’ambiente interno al variare di quello esterno, al fine di
mantenerle entro valori tali che non causino danni irreversibili al loro ‘status’ identificabile con quello fisiologico
‘normale’ (D. Matassino, 1975).
25
Due esempi di transumanza relativi al ‘BovGrAI’ (già Podolica) allevato in Campania e in Calabria sono
riportati nelle figure 6 e 7, rispettivamente.
CALITRI
1
1b
TRANSUMANZA
CON L’AUTO
PALENA
1a
MONTEVERGINE
1c
MELFI
Figura 6. Flussi di transumanza del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) relativo all’area studio
‘Campania (Alta Irpinia)’ (Fonte: D. Matassino, 2009c; dati relativi al Progetto ‘Maso-GIS’).
Figura 7. Flussi di transumanza del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) relativo alla regione
‘Calabria’ (Fonte: B. Capogreco, 1986).
26
Si ricorda anche la transumanza di soggetti di ‘BovGrAI’ (già Podolica) allevati nel bioterritorio di
Persano (SA), i quali, in concomitanza con la transumanza del cavallo Persano, nel periodo estivo, da
Persano, venivano condotti verso i Monti di Mandranello, percorrendo una distanza di circa 110 km (A.
Gallotta, 2005).
6. Cultura e ‘Tradizioni’ legate al ‘BovGrAI’
Si riportano, sinteticamente, alcune ‘tradizioni’ ispirate al ‘BovGrAI’ (già ‘Podolica’) (G.P. Sportelli,
2005; D. Matassino et al., 2010; F. Ciani e D. Matassino, in press).
L’attitudine al lavoro del ‘BovGrAI’ (già ‘Podolica’) è stata e tuttora è utilizzata in particolari eventi che
evocano antiche tradizioni, usi e costumi della civiltà rurale dell’ Italia meridionale. In Abruzzo si conserva la
tradizione di organizzare corse di carri trainati da Bovini Grigi Autoctoni; la preparazione di queste corse
coinvolge e mobilita le comunità, i cui rappresentanti partecipano alle gare, costituendo un settore
microeconomico produttivo, che stimola gli investimenti economici, l’attività zootecnica e l’impegno costante
dei partecipanti che devono selezionare, curare, preparare e allenare i migliori buoi da corsa, poiché questi
spettacoli attirano numerosi turisti e spettatori, con notevoli vantaggi economici per l’economia locale. Questi
animali vengono utilizzati anche per trainare lunghissimi tronchi scelti per addobbare le piazze dei vari paesi
durante le principali feste tradizionali; infine, solo i predetti buoi possono trainare i carri appositamente
addobbati e predisposti per trasportare, durante le feste patronali, le statue dei Santi protettori (figura 4).
Una festa patronale particolarmente suggestiva, coinvolgente il ‘BovGrAI’ per il trasporto di tronchi
d’alberi è la Sagra del Maggio celebrata ad Accettura (MT) dedicata al patrono San Giuliano. Tale festa,
culminante con il matrimonio simbolico tra un “maggio” (tronco d’albero) e un ‘agrifoglio’, ricorda un antico
rito propiziatorio di fertilità e di auspicio per un buon raccolto e consta di varie fasi che si susseguono dalla
domenica dopo Pasqua a quella del Corpus Domini: (a) scelta del “maggio”, simboleggiante il maschio, nel
bosco di Montepiano (MT); (b) scelta dell’ “agrifoglio”, simboleggiante la femmina, nella foresta di Gallipoli
Cognato (MT), trasportato a spalla, da ragazzi per 15 chilometri; (c) taglio del “maggio”, il quale nella
domenica di Pentecoste viene trasportato in paese con l’ausilio di 50 coppie di buoi.
Altri siti noti per feste tradizionali legate al ‘BovGrAI’ sono: Tricarico (MT) e Pietra Pertosa (PZ).
Le tradizioni patronali legate all’uso del ‘BovGrAI’ consentono di attribuire a tale bovino la cosiddetta
‘quarta virtù’, quella religiosa.
Figura 8. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): coppia di buoi utilizzata per il trasporto di un
tronco.
Una particolare tradizione che distingue l’allevamento brado del ‘BovGrAI’ è rappresentata dalla
utilizzazione di pesanti collari di circa kg 4 di peso, costruiti con cuoio grezzo o con legno appositamente
27
lavorato e stagionato, ai quali è appeso un campanaccio metallico; questi strumenti tradizionali vengono
applicati al collo delle femmine più anziane, “leader” dei vari gruppi in cui si suddivide la mandria durante il
pascolo. Questo strumento arcaico, serve ai mandriani per tenere sotto controllo visivo e acustico tutti gli
animali affidati alla loro custodia, in modo particolare durante la transumanza (figura 8).
Figura 9. Campanaccio da transumanza (Fonte: Informatore Zootecnico, 17, 2005, 66).
Altri strumenti tradizionali utilizzati nell’allevamento del ‘BovGrAI’ sono raffigurati nelle figure 10 e 11.
Figura 10. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica). Ferro per zoccolo di bue
(Fonte: ‘Cultura contadina in Toscana’, Ed. Bonechi, 1970).
.
28
Figura 11. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica). Nasiera di contenimento:corta per toro
e lunga per buoi (Fonte: ‘Cultura contadina in Toscana’, Ed. Bonechi, 1970).
7. Il ‘BovGrAI’ quale elemento di tutela dell'ambiente
Premessa. La problematica ambientale riflette fortemente il dibattito sulla filosofia ambientale,
specialmente di tradizione anglo-sassone. Data l'importanza che stanno assumendo questa branca della
bioetica e la sua forte interdisciplinarietà, sempre piú nutrito è il numero di studiosi delle diverse discipline
interessati all'argomento. Pertanto, non si può pensare che la soluzione della 'complessità ambientale' possa
essere affidata a una scienza: 'ecologia', in quanto la gestione dell'ambiente è talmente 'complessa' che
trascende notevolmente dalle competenze degli scienziati dell'ambiente. La ‘diversità ecologica’ sta
assumendo sempre più importanza per la sopravvivenza sia dell’uomo che degli altri esseri viventi. La mera
tutela di un gruppo tassonomico sta evidenziando tutta la sua labilità: è la vita di un ‘ecosistema’ funzionante e
funzionale che, utilizzando la sua mirabile dote autorganizzativa basata su una ‘irriducibile complessità’27
biologica, permette di tutelare la ‘biodiversità’. Quest’ultima, a sua volta, offre al ‘bioterritorio’ servizi
insostituibili. E. Haeckel (1866) definisce l’ ‘ecologia’: “lo studio dei rapporti complessivi tra organismi o
gruppi di organismi e il loro ambiente naturale, organico, fisico e inorganico, specialmente per quanto
concerne i rapporti ‘affabili’ o ‘avversi’” (D. Matassino, 2001a).
D. Matassino e M. Occidente (2011) evidenziano come la crisi ecologica, indubbiamente, stia
interrogando anche la teologia cristiana. S.S. Benedetto XVI, nel capitolo IV della sua Enciclica ‘Caritas in
veritate’ (2009) al paragrafo 48 collega il tema dello sviluppo dei popoli anche ai ‘doveri che nascono dal
rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale’. Quest’ultimo è da considerare come “dono di Dio a tutti, e il
suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera. …..
La natura è espressione di un disegno di amore e di verità’. Essa ci precede e ci è donata da Dio come
ambiente di vita…. Anche la natura è una ‘vocazione’. ‘La natura è a nostra disposizione come un dono del
27
Irriducibile complessità: viene definita da M.J. Behe (1996) “un singolo sistema costituito da diverse parti che,
interagendo tra loro, contribuiscono a una funzione fondamentale; la rimozione di una qualsiasi delle suddette parti
compromette il funzionamento del sistema stesso”.
29
Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo ne tragga gli orientamenti doverosi
per “coltivarla e custodirla”. Il “coltivare e il custodire il creato”, espressioni risalenti alla genesi (2, 15),
nella loro semanticità, costituiscono il ‘prodromo’ di uno ‘status’ di continua ‘diversificazione’ nel tempo e
nello spazio, cui l’uomo con la sua ‘intelligenza’ e con il suo ‘libero arbitrio’ contribuisce in modo
determinante nei limiti della infinita ‘capacità al costruttivismo’28.
Alla luce di ciò l‘ecologia dell’uomo’29 deve sempre più guidare uno sviluppo sostenibile in quanto –
come è noto – è la ‘cultura’ (in senso lato) che modella la ‘convivenza umana’. Come sottolinea S.S.
Benedetto XVI “quando l’‘ecologia umana’ è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne
trae beneficio”.
Secondo F. D’Agostino (2011), il riconoscimento da parte dell’uomo della propria naturalità (‘diritto
naturale’) permetterebbe di cogliere la complessità dei fenomeni, evitando banalizzazioni. J. Moltmann
(2011) si fa portavoce di una “spiritualità cosmica” tendente a considerare la creazione come una
“comunità di co-creature” appartenenti a uno scenario comune in cui tutte le creature agiscono
contemporaneamente e armonicamente nello spazio e nel tempo; pertanto, in tale scenario, l’uomo non
sarebbe un attore esterno, ma parte integrante di esso e pienamente integrato con il sistema “antropo-biogeo-pedo-climatico”, con le piante, con gli animali e con se stesso; in tale sistema non va trascurato il
metagenoma del suolo30, il quale, contribuendo alla genesi e alla strutturazione del suolo, svolge un ruolo
principe nel regolare la produttività vegetale e, conseguentemente la produttività animale della
‘microbiosfera’ di una determinata ‘area geografica’. Si stima che il genoma microbico per grammo di
suolo sia pari a ~1012 (1.000 miliardi) paia di basi (T.M. Vogel et al., 2009). In tale contesto, l’uomo deve
individuare le strategie piú opportune per un sano evoluzionismo cosmico, quindi antropico, in accordo con
una nuova visione secondo la quale l’evoluzionismo cosmico viaggerebbe in parallelo a quello antropico:
l'uomo è una componente fondamentale del sistema e, pertanto, egli è l'artefice principe del cambiamento e
partecipa attivamente alla realizzazione del progetto allestito dal 'coevolutore trascendente'; pertanto, la
capacità al costruttivismo sia dell'uomo che degli altri esseri viventi è la 'chiave di volta' per un armonico e
sano evoluzionismo cosmico, quindi antropico (D. Matassino, 1997).
La quotidianità della vita relazionale dell’uomo con l’animale è una delle piú interessanti connessioni fra
l’uomo e la natura. L’assenza dell’animale nell’ambito di un bioterritorio non è condivisibile, in quanto esso
può svolgere numerose funzioni per il miglioramento dello stile di vita dell’uomo. È da rilevare, infatti, che gli
attuali equilibri presenti in determinati ambienti sono frutto della secolare interazione dell’‘uomo-agricoltore’
e dell’‘uomo-pastore’ con l’ambiente naturale (D. Matassino, 2009f).
La conservazione del 'presente' culturale, nell'accezione piú ampia, dovrà assurgere a elemento primario
di questa comunità, considerata la notevole entità di valori etici ancora presenti e di risorse incontaminate che
potranno svolgere un ruolo insostituibile per un nuovo assetto dell'agroecosistema.
Il ‘BovGAI’ (già Podolica) può essere considerato un vero e proprio elemento di tutela di un determinato
agroecosistema, con particolare riferimento a quello dell’ ‘Appennino collinare e montano dell’Italia
Meridionale’. Quest’ultimo, attraverso opportuni interventi basati sull’impiego di TGLA potrà diventare il
prototipo di un nuovo modo di gestire le caleidoscopiche risorse oggi presenti e non ancora soggette a
contaminazioni di tipo industriale (D. Matassino, 1976a 1977, 1983a).
In questa giornata di studio, il dr. M. Botta si sofferma sull’importanza del ‘BovGrAI’ (già Podolica)
nell’ambito di una nuova politica agro-alimentare tendente a ottimizzare l’equilibrio tra ‘sanità ambientale’
e ‘produzione di cibo’.
28
Vedasi nota 7.
Ecologia umana: studio dei rapporti che i gruppi umani intrattengono con i diversi ecosistemi naturali e umani in
modo da soddisfare i loro bisogni nella prospettiva di raggiungere la maggiore autonomia possibile tenuto conto delle
risorse disponibili negli ecosistemi (C. Raffestin, Centro di Ecologia Umana di Ginevra, 2000).
29
30
30
Di seguito sarà riportata una breve sintesi ripresa da: D. Matassino (2000); D. Matassino et al., (2010); F.
Ciani e D. Matassino (in press).
Pascolo brado. Gli agro-silvo-ecosistemi ‘naturali’ o ‘spontanei’ mediterranei offrono al primitivo
Bovino Grigio una composita vegetazione formata da numerosissime specie e varietà di piante, che
differiscono ampiamente fra loro in rapporto alle differenze climatiche, geografiche, alle caratteristiche del
suolo e alle diversità colturali attuate nel corso dei secoli. Le condizioni climatiche dell’area centrale del
Mediterraneo hanno profondamente caratterizzato la produzione foraggera nella variabilità stagionale e
interannuale; questi aspetti meteo-climatici, che nelle ‘aree collinari e montane dell’Appennino meridionale’
si manifestano, sostanzialmente, con due stasi vegetazionali e produttive in inverno e in estate, hanno favorito
lo sviluppo di innumerevoli specie di piante erbacee, arbustive e arboree, che sono largamente utilizzate dal
‘BovGrAI’ (già Podolica) durante il pascolo. Molte di queste specie sono ancora sconosciute per quanto
attiene alla loro qualità in termini di ‘nutraceutica’. La scelta alimentare del ‘BovGrAI’ (già Podolica) è
guidata da una successione temporale dei seguenti fattori in ordine di priorità:
(a) grado di reperibilità
(b) presenza di sostanze sgradevoli o repellenti
(c) prensibilità
(d) diversi livelli di indispensabilità a soddisfare i principali fabbisogni fisiologico-metabolici
(e) capacità di soddisfare la palatabilità.
La vegetazione del pascolo naturale cambia profondamente nel corso delle stagioni, in qualità e quantità.
E’ noto che fra tutte le specie ungulate poligastriche, quelle dei Bovini (Uro, Gaur, Banteng, Yak, Bisonte e
Bufalo) per la molteplicità e per la differenziazione dei bioterritori presenti nei loro estesi areali di rispettiva
diffusione sono il risultato di un’elevata ‘capacità al costruttivismo’, che ha permesso a queste specie di
sviluppare la maggiore capacità di metabolizzare la notevole quantità di fibra vegetale grezza o grossolana
presente nelle pareti cellulari delle piante (cellulosa). All’interno della stessa specie bovina (Bos primigenius
taurus) sono emerse differenze comportamentali fra i vari TG, nella utilizzazione della risorsa pabulare, anche
quando la fitocenosi è solo di natura erbacea; infatti, la maggior parte di questi TGA tende a una scelta trofica
indifferenziata utilizzando contemporaneamente e completamente le diversificate risorse pabulari, radendo
cosí tutto il cotico erboso. Diversamente, il ‘BovGrAI’ (già Podolica), come il suo diretto progenitore selvatico
l’Uro che ha abitudini alimentari opportunistiche e preferisce un regime alimentare misto, manifesta una
successione temporale stagionale delle preferenze trofiche legate a deficit di disponibilità foraggera; questa
temporalizzazione è il risultato di un’interazione dinamica fra disponibilità di alimenti ed esigenze nutrizionali
dell’animale, infatti:
(a) in primavera-inizio estate sono ricercate principalmente le specie leguminose erbacee, arbustive e
arboree (per la maggiore concentrazione proteica necessaria per un rapido recupero ponderale e
quindi riproduttivo e produttivo) e anche le graminacee
(b) in piena estate l’utilizzazione del pascolo degli ambienti boscati e cespugliati diventa spesso una
esigenza indispensabile per la sopravvivenza del bestiame, quando i pascoli sono disseccati dalla
siccità e solo la macchia fornisce ancora risorse verdi, erbacee o fogliame di arbusti e di alberi
(c) in autunno sono disponibili principalmente le graminacee, che con il loro equilibrato apporto
nutrizionale di proteine e fibre completano e preparano fisiologicamente il ‘BovGrAI’ (già
Podolica) ad affrontare le carenze energetiche dell’inverno
(d) in inverno sono disponibili principalmente le specie arboreo-arbustive del pascolo della macchia,
della gariga e dei cespuglietti che costituiscono la risorsa primaria di sostentamento per i bovini
Grigi.
Quindi la stagione di pascolamento è un elemento differenziale di importanza non trascurabile, anche nella
scelta degli orizzonti trofici potenzialmente in grado di influenzare le caratteristiche qualitative delle
produzioni.
8. Ruolo del BovGrAI nella filosofia strategica gestionale di un bioterritorio
Premessa. Un ‘bioterritorio’, identificabile con un agroecosistema, è una comunità ove l’uomo è in
stretta relazione con la componente fisica e con gli altri esseri viventi, ma diventa sempre più impellente
individuare percorsi innovativi e coraggiosi al fine di instaurare un novello rapporto tra questi ‘attori’. Sia sul
31
piano politico-istituzionale che su quello dell’innovazione tecnica e biotecnica ‘l’uomo allevatore’ costituisce
un tassello fondamentale insostituibile e unico per raggiungere pleromici equilibri di un agroecosistema con
cui è possibile realizzare civiltà tecnico-scientifiche a misura proprio della natura in cui l’uomo deve costituire
la parte fondante; pertanto, il ‘bioterritorio’ può essere paragonato a un ‘teatro’ nel quale gli ‘attori’ debbono
recitare la propria parte affinché si raggiunga una rappresentazione ottimale dell’ ‘opera’ (D. Matassino e M.
Occidente, 2011).
Una ‘filosofia strategica gestionale intelligente’ di un ‘bioterritorio’ si fonda, prima di tutto, sulla
‘conoscenza’ della ‘qualità’ e della ‘quantità’ di qualsiasi risorsa ‘immateriale’ e ‘materiale’ peculiare e
propria dell’area geografica interessata, quindi tiene conto del ruolo ‘relazionale’; ruolo unico in grado di
conferire ‘dignità’ e ‘valore etico’ alle iniziative da intraprendere e da attuare secondo una strategia in grado di
individuare percorsi ‘virtuosi’ basati su una ‘offerta dinamica’ di proposte e di realizzazioni ‘originali’ (D.
Matassino, 2005). La complessità di un ‘bioterritorio’ nella sua pluralità di risorse è raffigurabile da un
mandala (figura 12), rappresentazione propria della simbologia del ‘tantrismo buddismo induismo’ (∼ 600
a.C.).
ISTITUZIONE POLITICA
BIOETICA
POLITICA E LEGISLAZIONE
GLOBALIZZAZIONE
DEL MERCATO
CULTURA
(siti archeologici, musei, ecc.)
PRODOTTO LOCALE
TIPIZZATO ETICHETTATO
ENTI DI RICERCA
(caratteristiche nutrizionali,
extranutrizionali e gustative
anche per meta nutrizionale)
SERVIZI
(scuola di ogni ordine e
gradosanità, telefono, energia,
strada ferrovia, aeroporto,
consulenza informatizzazione,
ecc.)
OROGRAFIA
‘BIOTERRITORIO
O
BIOREGIONE’
CLIMA
IMPRESE
(artigianato, industria
agricoltura, commercio )
RISORSA‘SUOLO’
ANTROPIZZAZIONE
(urbana, rurale, struttura
demografica umana
RISORSA ‘ACQUA’
RISORSA ‘ENERGIA’
STORIA E TRADIZIONE
RISORSA ’GENETICA’
TERRITORIO RURALE
(animale, fungina, microbica,
vegetale)
(antropizzazione,
conservazione, tutela)
Figura 12. Esemplificazione di un ‘mandala’ rappresentativo del ‘bioterritorio’ o ‘bioregione’ (D. Matassino, 1992,
2005).
Ruolo del ‘BovGrAI’ (già Podolica). Come evidenziato da D. Matassino (2008, 2011b), è ormai acclarato
che la sopravvivenza dell’uomo dipende dalla risorsa naturale; tale dipendenza viene condensata nel concetto
di ‘servizi dell’ecosistema’31, ideato da P.R. Ehrlich e A. Ehrlich (1970) e ripreso dagli stessi Autori nel 1981
in relazione alla problematica della riduzione della biodiversità sul pianeta Terra (P.R. Ehrlich e A. Ehrlich
31
Le relazioni tra ‘servizi dell’ecosistema’ e ‘benessere umano’ sono approfonditi nel contesto del Millennium
Ecosystem Assessment (MEA, 2005).
32
1981), poi largamente divulgato da G.C. Daily (1997). R. Costanza et al. (1997) stimano in ben 50 trilioni (50
× 1018) di dollari i benefici forniti all’uomo dall’insieme dei vari ecosistemi terrestri. Nell’attribuire un valore
economico al ‘capitale naturale’, la stima considera numerose variabili interessanti:
(a) servizi di ‘fornitura’ (alimenti di origine animale e vegetale, precursori della farmaceutica, ecc.);
(b) servizi di ‘regolazione’ (clima e sue variazioni, ecc.);
(c) servizi di ‘supporto’ (impollinazione, diffusione di semi, gestione delle acque, controllo di malattie,
difesa del suolo, ecc.);
(d) servizi ‘psico-culturali’ (sensazione del benessere spirituale degli esseri umani interessati a un
determinato ‘bioterritorio’, scoperte scientifiche, uso del tempo libero, ecc.);
(e) servizi di ‘conservazione’ (tutela e gestione della risorsa genetica endogena mirata specialmente a
mantenere elevato il livello di ‘biodiversità’).
In tale contesto, concordando con D. Matassino (2005) e con J. Boyazoglu e R. Cardellino (2008), la
conservazione della risorsa zoogenetica, in termini economici, si può identificare sempre più nel
mantenimento del ‘valore d’uso’ e di ‘non uso’ per l’umanità. I valori d’uso possono essere: (a) diretti: i
derivati dalla produzione di cibo, di fibre, nonché da altri prodotti e servizi; (b) indiretti: fornenti un supporto
alla tutela del paesaggio [luogo di accumulo stratificato di beni materiali e immateriali capace di generare vere
e proprie opere d’arte (A. Agnati, 2011)] e all’agroecosistema; (c) valore di ‘opzione’: fornente flessibilità per
far fronte a eventi futuri inattesi. I valori di ‘non uso’ sono quelli connessi alla soddisfazione del singolo
individuo o delle società di uomini.
Il ‘BovGrAI’ (già Podolica) si potrebbe definire un vero e proprio ‘animale polisemico’32 per le importanti
funzioni che può svolgere nello sviluppo economico (nell’accezione di bioeconomia) di una Comunità
identificabile con un ‘bioterritorio’:
(a) ottenimento di prodotti locali dotati di ormai acclarate apprezzabili e peculiari caratteristiche
organolettiche, nutrizionali ed extranutrizionali (quindi salutistiche o nutraceutiche), utili per (D.
Matassino et al., 1991):
(i) l’attuazione di una politica agroalimentare basata sulla definizione di ‘mete nutrizionali’33 in
linea con l’attuale concezione di ‘geografia della salute’ (D. Matassino, 2011b);
(ii) soddisfare la crescente richiesta da parte del consumatore di prodotti ottenuti con sistemi di
allevamento ‘tradizionali’
(b) tutela del paesaggio e dell’agroecosistema;
(c) valorizzazione di: storia, cultura e ‘tradizione’;
(d) sviluppo di forme di turismo basate sull’interesse verso la natura e la cultura ‘tradizionale’
(turismo verde e agriturismo);
(e) tutela e sviluppo di una zootecnia estensiva favorente un riequilibrio tra specie allevata e
vegetazione, soprattutto se l’allevamento del BovGrAI viene abbinato a quello di altri TG locali
altrettanto poco esigenti e più efficienti nell’utilizzazione dei foraggi.
Inoltre, il ‘BovGrAI’ (già Podolica), al pari di altre razze ‘Grigie’ italiane si sta rivelando particolarmente
idoneo alla ricostituzione dell’Uro (Bos primigenius primigenius) mediante “backbreeding” (incroci a ritroso
verso l’ancestrale) tra specie o razze simili.
Grazie alla sua elevata ‘capacità al costruttivismo’ e alla sua capacità di fornire prodotti di ‘pregio’, il
‘BovGrAI’ (già Podolica) può essere considerato un componente ‘fondante’ il complesso delle risorse
endogene del ‘bioterritorio’ “Sistema collinare e montano dell’Appennino Meridionale”. Questo TGLA
costituisce un vero e proprio elemento di ‘eccellenza’, quindi di profonda distinzione per intraprendere
iniziative volte a determinare e, quindi, a favorire uno sviluppo ‘locale’ ecosostenibile in grado di contribuire,
32
Polisemico: in linguistica, vocabolo (o espressione, o in genere segno linguistico) che presenta polisemia ; termine,
quest’ultimo, di derivazione greca (composto da πολυ = poli e σηµα = segno), nel senso di ‘portatore di significati
diversi’ ; il termine è anche riferito a ideogrammi e segni di altre scritture non alfabetiche, che può essere letto in piú
modi (Dizionario enciclopedico Treccani, 1970).
33
Trattasi di ‘regimi nutrizionali’ differenziati in relazione alla categoria demografica umana (bambino, adolescente,
adulto, ultrasessantenne, ultraottantenne, ultracentenario), allo status fisiologico (gravidanza, allattamento, attività
agonistica, ecc.) e al sesso, utili per contribuire a una ‘personalizzazione’ della nutrizione in termini di ‘nutrigenetica’ e
di ‘nutriepigenetica’ (D. Matassino et al., 1991; D. Matassino, 1991 e 2006).
33
in modo peculiare, a produrre ‘cibo’ per l’uomo di particolare valore ‘nutrizionale’ ed ‘extranutrizionale’,
quindi ‘salutistico’ o ‘nutraceutico’.
Qualsiasi risorsa endogena, come il ‘BovGrAI’, è una componente fondamentale del ‘benessere’ di un
‘bioterritorio’ in cui è compreso anche l’Uomo, quale artefice del raggiungimento di dinamici traguardi
interessanti “Comunità locali economicamente sostenibili……. le quali “rendono possibile un benessere
materiale assai più equo….” e, pertanto, una “….politica di riglobalizzazione dal basso” (J. Rifkin, 2001). In
questo contesto, d’accordo con C. Nardone (2005), sempre più enfasi bisogna dare al tema dei ‘sistemi
bioterritoriali’ e del loro sviluppo sostenibile su base ‘innovativa’ e non ‘imitativa’.
La continua conoscenza dei meravigliosi meccanismi genetici ed epigenetici (interazione ‘genomaambiente’) che sottendono la ‘complessita’ irriducibile’ della cellula deve costituire la ‘linea-guida’ e il
fondamento della ‘filosofia strategica gestionale di un bioterritorio’ allevante il ‘BovGRAI’ (già Podolica).
Questo percorso sarà l’unico in grado di valorizzare questo TGLA che per secoli, se non per millenni, ha
rappresentato un significativo strumento di sviluppo, specialmente delle “aree collinari e montane
dell’Appennino Meridionale” (D. Matassino, 1977, 1983a). Pertanto, l’allevamento del “BovGAI” (già
Podolica) è destinato a svolgere un ruolo non secondario grazie anche a strategie innovative in grado di far
emergere le potenzialità di tale TGLA o di individuare nuove possibilità di sviluppo (a esempio, mungitura
meccanica) pur nel rispetto della ‘tradizione’.
Lo sviluppo piú 'sostenibile' è quello in cui le innovazioni tecniche e biotecniche siano inglobate e
incorporate nei sistemi produttivi, sociali e culturali esistenti, senza determinare la sostituzione di questi. Lo
stesso ‘prodotto locale tipizzato etichettato’ (PLTE), considerato come frutto di un determinato ‘terroir’34,
“non significa staticità, ma dinamicità” e può costituire l’espressione tangibile di integrazione sociale e
tecnica. Un PLTE, infatti, in una visione dinamica, può contribuire a esaltare il ‘valore salutistico’ del
prodotto stesso in linea con quanto previsto dalla normativa inerente ai ‘claims’ (‘health claims’ –
informazioni salutistiche e ‘nutritional claims’ – informazioni nutrizionali). In tale chiave la ‘filosofia
strategica gestionale intelligente’ di un ‘bioterritorio’ racchiuderebbe quindi in sé un’antinomia tra
‘innovazione’ e ‘tradizione’, meglio condensata nell’espressione “innovazione nella tradizione” (D.
Matassino, 1996a; 2012a; F. Casabianca e D. Matassino, 2006; D. Matassino e M. Occidente, 2011).
Nella logica di sviluppo sostenibile, rappresentabile da un triangolo equilatero (figura 9), la dimensione
economica descrive una delle 3 dimensioni (le altre 2 sono quella sociale e quella ecologica) fondamentali che
devono interagire fra di loro per realizzare soluzioni variabili, temporalmente e spazialmente, in una visione di
ottimizzazione dinamica sistemica (M. Giaoutzi e P. Nijkamp, 1993; M. Prestamburgo, 1998; D. Matassino e
A. Cappuccio, 1998).
34
‘Terroir’ o ‘terrain’: è il complesso delle interazioni tra caratteristiche climatiche, geologiche, topografiche e
pedologiche che, nel loro insieme, concorrono alla realizzazione di un prodotto specifico identificativo della propria
territorialità (D. Matassino e M. Occidente 2011).
34
Figura 13. Rappresentazione grafica del concetto di ‘sviluppo sostenibile’ (M. Giaoutzi e P. Nijkamp, 1993).
Sorge spontanea una domanda: quale potrebbe essere il contributo fattivo determinante e insostituibile di
questo ‘bovino autoctono antico’ alla valorizzazione sostenibile del ‘Sistema collinare e montano
dell’Appennino Meridionale’? Come evidenziato in precedenza, trattasi di un TGLA di grande valenza nel
poter contribuire a uno ‘sviluppo sostenibile multifunzionale’35, concetto che si afferma a partire dal 1992
quando la Comunità Europea riconosce ufficialmente la funzione fondamentale che l’agricoltura può svolgere
per lo sviluppo locale. Parafrasando F. Luchetti (2009), è possibile affermare che “la modernità e l’immenso
valore ‘sociale’ del bovino podolico sono legati a una serie di aspetti di cui le produzioni (carne, latte e loro
derivati) rappresentano una parte importante ma non certo l’unica”.
E’ possibile considerare il BovGrAI (già Podolica) non solo per la sua ormai acclarata funzione produttiva
ma è possibile anche attribuire a tale TGLA un ruolo fondamentale ai fini della tutela dell'agroecosistema
'globale' che può essere identificata con la 'tutela' di 'Gaia'; pertanto, dal mero concetto di ‘oggettività
produttiva’ si passa a quello di 'ruralità'; questo passaggio comporta una eleggibilità di tale sistema produttivo
legato ai seguenti aspetti:
(a) unicità genetica
(b) sistemi produttivi specifici sostenibili per l'ottenimento di un PLTE
(c) sicurezza e qualità degli alimenti prodotti
(d) valori socio-economici immateriali
(e) valenza culturale del territorio rurale (turismo, reperti antichi, risorse antropiche e idriche,
edafiche, ecc.);
questa eleggibilità deve avere come scopo finale un raggiungimento dinamico del benessere dell'uomo
(Human Welfare State e Wellbeing) inserito in quello di Gaia nello spirito del pleròma, quindi dell'alterità.
In questo contesto, le attività zootecniche andrebbero a integrare quelle piú specificamente agronomiche
in un unico sistema, con il risultato finale che l’agricoltura dovrà svolgere una funzione di promozione e di
‘servizio sociale’ (D. Matassino, 1976a).
Si ricorda che A. Genovesi (1713-1769) considera l’ ‘agricoltura’ “non solo una risorsa economica per
una nazione, ma anche un elementare strumento per l’elevazione culturale” e quindi sociale (D. Matassino et
al., 2012; D. Matassino, 2012b). L’agricoltura è per A. Genovesi “….Il modello culturale non solo della vita
sociale rinnovata dalla conoscenza e dall’istruzione diffusa, ma della stessa economia nuova che Egli
35
Per alcuni aspetti sulla ‘ruralità multifunzionale sostenibile’, si rimanda a P. Depauw (2001) e a D. Matassino (2002).
35
promuove”. E’ possibile affermare che proprio l’ analisi dell’Agricoltura praticata nel regno di Napoli diventa
per A. Genovesi l’ispiratrice del suo programma di mutamento socio-economico: riforma del feudo, aumento
degli scambi commerciali, istruzione pubblica (educazione dei ‘giovinetti’), migliore produttività e diffusione
sociale del benessere (G. Acocella, 2013).
Il ‘BovGrAI’ (già Podolica) presenta tutte le doti ottimali per una armonizzazione completa con le
caratteristiche geo-antropo-pedoclimatiche al fine di contribuire allo sviluppo di un ‘bioterritorio’ secondo i
canoni della eco-sostenibilità. A esempio, il ‘BovGrAI’ potrebbe contribuire a un razionale utilizzo della
risorsa ‘acqua’, essendo dotato di una straordinaria capacità di mantenimento del bilancio idrico,
manifestantesi fenotipicamente con:
(a) estesa superficie del derma con presenza di numerose pliche
(b) spessore del tessuto cutaneo e subcutaneo
(c) sviluppo del plesso venoso (venae comites)
(d) minore superficie cutanea esposta al sole in rapporto al peso corporeo
(e) pigmentazione della cute e colore del pelo
(f)
lunghezza, diametro e densità del pelo; densità e attività delle ghiandole sudoripare (D. Cianci,
1986).
Ulteriori strategie fisiologiche per il risparmio idrico si concretizzano in (D. Cianci, 1986; D. Western e
V. Finch, 1986; F. Ciani e D. Matassino, in press):
(a) concentrazione delle urine; produzione di feci molto asciutte
(b) pascolamento durante la notte quando aumenta l’ umidità sui vegetali e la temperatura esterna si
abbassa
(c) riduzione del tasso metabolico;
(d) processi di termolisi attraverso l’evaporazione dalla pelle o dalle vie respiratorie (perspiratio
insensibilis) meno attivi .
Inoltre, non è da trascurare il ruolo che il ‘BovGrAI’ (già Podolica) può svolgere ai fini della prevenzione
degli incendi estivi; esso, infatti, alimentandosi di flora del sottobosco riduce significativamente la potenziale
massa combustibile (D. Rosa, 1992).
Anche un razionale pascolamento, poco conosciuto nei suoi risvolti agronomici e zootecnici, è ‘conditio
sine qua non’ per una efficiente utilizzazione delle aree a esso destinate.
Il ruolo più importante potrebbe essere quello di dare un contributo peculiare alla ‘geografia della salute’
(M. Hanson, 2011) la quale considera ciascun individuo nell’ambiente in cui vive e in cui si sviluppa, a partire
dal grembo materno, specialmente nelle specie ‘vivipare’, come l’uomo36. Come sottolineato altrove (D.
Matassino, 2011), questo apporto alla ‘geografia della salute’ si concretizza grazie ai meravigliosi e ai
sofisticati meccanismi biofisici che sono presenti e che operano all’interno di una ‘cellula’ da considerare
sempre nella sua ‘complessità irriducibile’, concretizzantesi tra l’altro, nella presenza dei vari ‘interactomi’. A
oggi, gli interactomi proteici individuati nell’uomo, grazie alla ‘bioinformatica’, assommerebbero a circa
650.000 (M.P.H. Stumpf et al., 2008)37(figura 14).
36
L’essenza della ‘geografia della salute’ è sintetizzata nelle seguente affermazione (M. Hanson, 2011): “L’atto di
fecondazione dà il via ad una serie di accadimenti che porteranno alla ‘costruzione’ di un soggetto vivente. questa
costruzione, modulata dall’ambiente uterino con il quale la madre ‘allena’ il figlio alla vita, è concepita in modo
tale da costituire l’ ottimizzatore delle forme, delle strutture e degli schemi di funzionamento (imprinting) che fanno
di una cellula uovo e di un feto con il loro codice genetico il ‘miglior figlio possibile’ per le condizioni ambientali
che dovrà affrontare”.
37
Il termine ‘interactoma’ viene coniato nel 1999 a opera di ricercatori francesi (C. Sanchez et al.); i primi dati relativi
a tale aspetto appaiono nel 2000.
36
Figura 14. Interactoma della proteina actina (Fonte:
http://apollo11.isto.unibo.it/Medicina/Biologia/2.%20Storia%20biologia%20moderna.pdf).
Nell’ambito della ‘geografia della salute’ un ‘bioterritorio’, specialmente basato sull’allevamento di
TGA, può essere considerato un vero e proprio ‘mosaico’ di cibo dalle caratteristiche ‘nutrizionali’
‘extranutrizionali’ ‘salutistiche’ o ‘nutraceutiche’ sicuramente consono a soddisfare le esigenze del
‘metaboloma’ di un individuo. Sarebbe possibile affermare che ciascun soggetto, durante lo sviluppo
embrionale, acquisisce in condizioni fisiologiche un ‘metabolismo ottimale e unico’ al quale deve poi
corrispondere una ‘nutrizione personalizzata’ in termini di ‘nutrigenomica’ e di ‘nutriepigenomica’38. Si può
ritenere che qualsiasi organismo vivente è portatore per default (in assenza di interventi esterni) di
imperfezioni che possono degenerare in vere e proprie ‘dissonanze’ (mismatch) o ‘disfunzioni’ in seguito al
cambiamento del contesto ambientale rispetto a quello in cui l’organismo è ‘naturalmente’ predisposto a
vivere (D. Matassino, 2011b).
In tale ambito, come riportato da D. Matassino (2011b), la prevenzione di malattie non può prescindere
dalla conoscenza dei processi epigenetici che avvengono nelle prime fasi di sviluppo: regime alimentare, età,
ordine di gravidanza della madre, stress, attività fisica praticata dalla madre, ecc.. A esempio, i fattori genetici,
quali le ‘mutazioni puntiformi’39, spiegano solo una piccola parte del rischio di obesità e di malattie
metaboliche; in modelli animali e nell’uomo viene evidenziato che il regime alimentare della madre durante la
gravidanza influenza la massa adiposa della prole; le modifiche sono accompagnate da cambiamenti
epigenetici a carico di segmenti di DNA codificanti polipeptide/i (‘geni’) specifici che controllano il
metabolismo. Pertanto, l’analisi epigenetica perinatale può essere utile per identificare la vulnerabilità
individuale all’obesità, nonché a malattie metaboliche in età successive (K.A. Lillycrop et al., 2005, 2007;
T.A. Manolio et al., 2009; N. Craddock et al., 2010; K.M. Godfrey et al., 2011; M. Hanson et al., 2011).
Pertanto, il concetto di ‘geografia della salute’ implica la necessità di implementare ‘regimi nutrizionali’
differenziati (‘mete nutrizionali’) i quali, prendano in considerazione anche il ‘bioterritorio’ di provenienza
oltre che a tener conto della categoria demografica umana , dello status fisiologico e del sesso, al fine di
contribuire a una ‘personalizzazione’ della nutrizione in termini di ‘nutrigenetica’ e di ‘nutriepigenomica’ (D.
Matassino, 1992a, 2007; D. Matassino et al., 1991).
38
Nutriepigenomica: conoscenza degli effetti delle biomolecole ‘nutrizionali’ ‘extranutrizionali’ ‘salutistiche’ o
‘nutraceutiche’ presenti in un alimento sull’espressione della struttura genetica di un individuo.
39
Mutazione puntiforme: modificazione (sostituzione o inserimento o delezione) di una singola base in una sequenza
nucleotidica.
37
Come evidenziato da Matassino et al. (2010), il ‘localismo alimentare’ è in effetti un progetto di difficile
realizzazione, ma quanto mai urgente, visti: (a) le condizioni e gli squilibri ecologici del pianeta Terra, (b) le
incongruenze nonché le problematiche che affliggono i nostri sistemi agroalimentari.
Il regime alimentare cui siamo meglio predisposti, fisiologicamente, per semplici motivi evolutivi, è
quello che ha profonde radici nei prodotti provenienti dal nostro ‘bioterritorio’ o, meglio ancora, dal
‘bioterritorio’ da cui provengono i ‘nostri avi’. E’ auspicabile il conseguimento di un sistema integrato
‘alimento di qualità – salute’ ottenuto da produttori che operano con un forte legame bioterritoriale al fine di
“ritrovare un’alimentazione antica e sana che conservi i principi nutritivi che hanno accompagnato con
successo l’evoluzione dell’uomo’ (Fondazione Via dei Locavori, 2011).
La ‘geografia della salute’ può costituire l’elemento fondante (pietra d’angolo) per giungere a una
innovativa visione della salute in chiave globale, ove per globalizzazione della salute si può intendere la
possibilità di assicurare uno stato di salute ‘ottimale’ agli abitanti della Terra considerando le peculiarità degli
alimenti propri del ‘bioterritorio’ in cui ciascun individuo vive (D. Matassino et al., 2012a).
La valorizzazione di un ‘bioterritorio’ si fonda sulle sue potenzialità specifiche con particolare riguardo
al momento socio-economico che si concretizza nell’attuazione anche di strategie commerciali
nell’innovazione del concetto di qualità; quest’ultima intesa, come già detto, in termini di ‘nutraceutica’.
L’esigenza di esplicitare la qualità ‘nutrizionale’ ‘extranutrizionale’ ‘nutraceutica’ o ‘salutistica’
intrinseca degli alimenti e il livello di sicurezza alimentare degli stessi, attraverso l’identificazione e la
caratterizzazione di biomarcatori molecolari di ‘unicità’ genetica (a livello di singolo individuo) e di
‘specificità’ (a livello di prodotto), richiede l’integrazione, secondo la filosofia strategica del ConSDABI, tra le
varie branche della scienza ‘omica’: genomica, epigenomica, proteomica, metabolomica (lipidomica,
glicomica, ecc.); scienza ‘omica’, la quale, ormai, può essere considerata il ‘pilastro’ delle nuove strategie di
valorizzazione,tendenti a studiare le ‘biomolecole’ non più singolarmente, ma in modo ‘olistico’, quali
componenti di una vera e propria rete di informazione (D. Matassino et al., 2006a; 2007a).
Alcune considerazioni etiche, economiche e giuridiche. Quanto finora evidenziato risponde pienamente al
concetto del ‘principio di responsabilità’ personale e collettiva del filosofo tedesco H. Jonas (1979). L’ecosolidarietà di Jonas può trovare una pienezza di applicazione con i ‘servizi dell’ecosistema’ (D. Matassino,
2008).
Il ‘principio di solidarietà’ è in grado di poter influire positivamente modificando, sin dalla radice,
l’attuale ‘edonismo’ della cultura, oggi imperante, il quale considera l’ ‘uomo tecnologico’ quale vera e propria
‘macchina desiderante’. Come riportato da D. Matassino (2011b), tale ‘desiderio’ incolmabile e sfociante
nell’aumento dei ‘consumi’, secondo il teologo e psicoterapeuta E. Drewermann (1982-1984), sarebbe da
considerare una vera e propria ‘esperienza’ per ridurre l’ ‘angoscia’ dell’individuo. Infatti, quest’Autore
ritiene che l’‘angoscia’ sia l’elemento caratterizzante la vita moderna nell’indurre “l’uomo a ricorrere a vari
stratagemmi che assolvono al compito fondamentale di restituirgli un’immagine di sicurezza e di autostima”.
Si ribadisce (D. Matassino, 2011), con enfasi che le ‘élite politiche’ e ‘istituzionali’, la ‘ricerca scientifica’
e la ‘cultura’ devono essere sempre più coinvolte nell’affrontare con ‘spirito ottimistico’ basato su un percorso
di vita ben lontano dalla impostazione del ‘non-tuismo’, neologismo coniato da P.H. Wicksteed (1844-1927).
Il ‘non - tuismo’ si concretizza e si sviluppa, come si esprime L. Bruni (2006) in rapporti permanenti anonimi
spersonalizzati e quindi ‘strumentali’. Questa realtà dell’attuale svolgimento di vita della moderna società è
ben lontana dalla visione e dai percorsi suggeriti dall’Abate Genovesi (1713-1769), nato a Castiglione (SA),
Cattedratico dell’ Università di Napoli (oggi Università di Napoli “Federico II”) dal 1754. Infatti, Genovesi
(1767), al fine di individuare soluzioni per uno sviluppo economico sempre più a misura d’uomo, sottolinea
con ampie argomentazioni nel suo dottrinale insegnamento, l’ ‘Economia civile’, come le relazioni di
‘reciprocità’ e di ‘gratuità’ contribuiscono a migliorare il benessere del ‘singolo’ e della ‘collettività’, in
quanto facilitano il raggiungimento della ‘felicità’, quindi della ‘personalità’ ‘civile’; inoltre, Egli evidenzia
con forte impeto che, privilegiando il ‘senso civico tra gli uomini’, anche lo Stato non reagisce come un
‘leviatano’. A. Genovesi considera lo studio della ‘agricoltura’ “non solo una risorsa economica per una
nazione, ma anche un elementare strumento per l’elevazione culturale”. A. Genovesi (~1750) propone
l’istituzione:
(a) di una cattedra di ‘Agricoltura’ nell’ambito della riforma universitaria;
(b) di scuole di ‘Agricoltura’;
(c) di cattedre ambulanti di ‘Agricoltura’;
38
(d) di un’Accademia dei Georgofili al fine di richiamare i giovani studiosi “verso le scienze agrarie
tanto neglette” (nel 1754 A. Genovesi è Socio Corrispondente di tale accademia);
(e) dell’insegnamento dell’ ‘Agricoltura’ nell’ambito dell’attività didattica dei ‘seminari
arcivescovili-diocesani’.
L‘economia civile’ chiamata anche ‘economia altruistica’, si contraddistingue dall’ ‘economia classica’
per il ‘principio di reciprocità’; essa include altri due principi che sono propri dell’ economia politica di A.
Smith (1723-1790): quello dello scambio di equivalenti (efficienza) e quello della ‘redistribuzione’ (equità);
pertanto, l’ ‘economia civile’ include l’ ‘economia politica’ e non viceversa (D. Matassino, 2007, 2011b).
NIl concetto di ‘reciprocità’ e quello di ‘gratuità’ caratterizzanti la visione di Genovesi vengono
riaffermati nella cosiddetta ‘Economia del dono’, una forma di economia proposta da M. Mauss (1872 –
1950); essa trae le sue origini dal principio che tutta la società è legata da vincoli di ‘dono’. Trattasi di
un’economia basata sul ‘valore d’uso’; quest’ultimo inteso come ‘capacità di un bene o di un servizio di
soddisfare un dato fabbisogno’. Pertanto, l’‘Economia del dono’ si differenzia dall’ ‘Economia di mercato’,
basata, invece, sul valore di ‘scambio o commerciale’ di un bene. L’Economia del dono richiama l’attenzione
verso la necessità di rivalutare comunità ‘economicamente autosufficienti’ in sostanziale equilibrio con
l’ambiente esterno. La ‘comunità locale’ può essere considerata emblematica di tale visione e la tutela della
biodiversità rappresenta una conseguenza imprescindibile in quanto in grado di generare una nuova ‘cultura
del bene comune’, quale fonte di nuove opportunità per tutti. Tipici esempi della ‘Economia del dono’ sono la
pratica del Potlatch40 e quella del Kula41.
Nella lettera Enciclica ‘Caritas in Veritate’ (capitolo III paragrafi 40 e 41), S.S. Benedetto XVI vede nella
riduzione della valenza ‘sociale’ dell’impresa e nella ‘delocalizzazione dell'attività produttiva’ rischi notevoli
per un progresso della società a lungo termine; la ‘delocalizzazione’, infatti, “può attenuare nell'imprenditore
il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori,
l'ambiente naturale e la più ampia società circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno
spazio specifico e godono quindi di una straordinaria mobilità”. Egli, tuttavia, sottolinea la “diffusione di una
consapevolezza circa la necessità di una più ampia ‘responsabilità sociale’ dell'impresa”, nonché l’esistenza
di “molti manager che con analisi lungimirante si rendono sempre più conto dei profondi legami che la loro
impresa ha con il territorio, o con i territori, in cui opera”. Egli, prosegue affermando che la
delocalizzazione, “quando comporta investimenti e formazione, possa fare del bene alle popolazioni del Paese
che la ospita. Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale”.
Secondo D. Matassino (2011b), questa nuova visione economica strettamente ancorata al bioterritorio in
cui si opera richiama l’attenzione sul concetto di bioeconomia, termine suggerito a N. Georgescu-Roegen dal
cecoslovacco J. Zeman; la ‘bioeconomia’ o ‘economia ecologica’ attinge le sue origini dalla seguente
concezione di A. Marshall (1890): “L’azione della natura è complessa, e nulla si guadagna a lungo andare
pretendendo che sia semplice e cercando di descriverla in una serie di proposizioni elementari”. Infatti,
Marshall suggerisce che l’economia “è un ramo della biologia inteso in senso ampio”. Sempre in D.
Matassino (2011b) vengono approfonditi ulteriori aspetti inerenti alla ‘filosofia economica’ del Genovesi e
della ‘bioeconomia’ di A. Marshall (1890, 1898), di J.A. Schumpeter (1912, 1942), di N. Georgescu-Roegen
(2003), con una serie di considerazioni sulla loro connessione con il ‘bioterritorio’, con l’isomorfismo
dell’evoluzione biologica, con la fisica quantistica e la termodinamica. Ulteriori argomentazioni etiche, le
quali possono essere inserite in un contesto proprio dell’importanza dell’ ‘Economia civile’ o dell’ ‘Economia
altruistica’ sono riportate in D. Nava (2008) ove si evidenzia con profonde riflessioni la necessità di
40
Potlatch: cerimonia che si svolge tra alcune tribù di Nativi Americani (Haida, Tlingit, Tsimshian, Salish, Nuu-chahnulth, Kwakiutl) della costa nord del Pacifico degli Stati Uniti e del Canada; trattasi di un rito durante il quale vengono
attuate pratiche distruttive di beni considerati "di prestigio" e vengono stipulate e rafforzate relazioni gerarchiche tra i
vari gruppi attraverso lo scambio di doni (F. Boas, 1897; L. Merignati, 2010).
41
Kula: cerimonia tradizionale delle isole Trobriand (Papua Nuova Guinea); i partecipanti alla cerimonia compiono
viaggi anche di centinaia di chilometri in canoa (il viaggio è in cerchio e segue il movimento orario) per scambiarsi doni
consistenti in collane di conchiglie rosse (soulava) scambiate in direzione Nord e bracciali di conchiglie bianche
(mwali), scambiati in direzione Sud. Gli oggetti circolano in continuazione, restando nelle mani del possessore solo per
un periodo limitato di tempo e vengono poi barattati nel corso di visite che gli abitanti delle isole si scambiano
periodicamente.
39
“ricondurre la ‘globalizzazione’ alla pratica politica del bene comune, alla finalità della destinazione
universale del bene, al principio della dignità umana”.
In questa sede mi piace ribadire che la bioeconomia scardina alcuni principi dell’ ‘economia classica’
sintetizzabili nel concetto di ‘homo oeconomicus’42, il quale persegue la massimizzazione del proprio benessere
definita dalla cosiddetta ‘funzione di utilità’ (separata dal ‘valore d’uso’, ma legata soprattutto alla
differenziazione sociale a essa associata). La visione bioeconomica riconosce nel ‘bioterritorio’ la dimensione
biofisica di partenza per una sana crescita economica. L’applicazione dei principi bioeconomici porta a un
ripensamento dei cicli produttivi verso la costruzione di beni di qualità che siano ‘durevoli’ e ‘riciclabili’
nell’ottica di un futuro ‘meno insostenibile’, nonché a una nuova concezione: l’ ‘homo oeconomicus’ deve
trasformarsi nell’‘homo bioeconomicus’. Un contributo al conseguimento di tale sostenibilità in linea con i
cardini della bioeconomia può essere fornito attraverso (D. Matassino, 2011b):
(a) la riduzione dell’inquinamento;
(b) la chiusura dei cicli locali dell’alimentazione;
(c) dell’energia e dei rifiuti;
(d) la promozione della qualità e della unicità dei prodotti;
(e) l’ottimizzazione della mobilizzazione delle persone;
(f) la riqualificazione delle strutture agricole e forestali;
(g) il recupero del rapporto ‘campagna-città’;
(h) ecc..
Il ruolo ‘sociale’ svolto dalla biodiversità autoctona antica, nella fattispecie animale, specialmente
inserita in un bioterritorio, rende improcrastinabile che il diritto, espressione della società civile, della storia e
della cultura di ogni tempo, recepisca oggi la presenza di questo importantissimo soggetto “sociale” che è la
biodiversità quale soggetto giuridico. Da ciò l’esigenza di una normativa articolata, attenta e rispettosa del
carattere generale dell’interesse sociale da una parte e del carattere specifico dell’interesse privato dall’altra,
volta a garantire e a regolamentare in regime di compatibilità la tutela giuridica di un bene di interesse
pubblico e pure rientrante nella sfera giuridica dell’autonomia dei privati, in tutti gli aspetti che la fattispecie
presenta e che appaiono essere molteplici e complessi. E infatti, mentre il bene mobile è regolato dal regime
ordinario del diritto privato, il patrimonio genetico di cui la biodiversità è portatrice dovrebbe soggiacere a
regole di diritto pubblico; e, pure nel rispetto della natura “privatistica” del bene, la sua “patrimonialità” deve
tuttavia essere governata da criteri atti a scongiurare il rischio di una discrezionalità capricciosa o arrogante
del suo utilizzo (Mazziotta A. e Matassino D., 2008) .
9. Linee guida per la razionalizzazione dell’allevamento del BovGrAI
Una razionale utilizzazione del ‘bioterritorio’ non può prescindere dalla conoscenza di numerosi
parametri, definibili solo dopo una seria e attenta ricerca interdisciplinare, nella cui programmazione è
necessario avere ben presente la finalità da raggiungere rappresentata dalla produzione animale nel complesso
contesto ‘biofisico-culturale-socio-economico’ del ‘bioterritorio’ interessato; tale definizione è possibile a
condizione che l’animale venga considerato il vero protagonista (D. Matassino, 1976b).
In tale contesto, affinché il BovGrAI possa esplicare appieno le proprie potenzialità, sarebbero auspicabili
i seguenti interventi (D. Matassino, 1976b, 1977, 1981, 1983a, 2009a):
(a) attuazione di piani operativi non uniformi, ma fortemente peculiari, localizzati e consoni al
bioterritorio in cui si opera, i quali tengano conto dell’eterogeneità, caratteristica delle ‘aree
collinari e montane dell’Appennino meridionale’;
(b) incentivazione dell’allevamento del ‘BovGrAI’ soprattutto in quei bioterritori ove tale TGLA ha
una sua naturale collocazione, intervenendo, però, con iniziative atte a razionalizzare il sistema
allevamento, a istituire attività di consulenza agli allevatori al fine di renderli recettivi verso
l’introduzione di nuove tecniche in grado di contribuire a una innovazione dinamica
dell’allevamento del ‘BovGrAI’ prevedere una serie di interventi mirati in funzione della specie
allevata e delle specifiche;
42
L’origine storica di questa impostazione sarebbe da attribuire a L. Walras (1834 - 1910).
40
(c) razionalizzazione del pascolo al fine di assicurare un equilibrio ottimale tra pascolo e carico
animale; questa razionalizzazione non può prescindere da una corretta conoscenza della
produttività agronomica e delle caratteristiche eto-ecologiche di tale TGLA; tra gli aspetti del
pascolamento da prendere in considerazione si annoverano:
(i) periodo
(ii) intensità e turni di utilizzazione
(iii) carico di animali
(iv) disponibilità e distribuzione dell’acqua di abbeverata
(v) ricoveri
(vi) rapporti che vengono a instaurarsi fra i membri del gruppo e che influenzano, fra l’altro:
• l’assunzione del cibo
• l’organizzazione sociale (agonismo, ordine di dominanza, distanza di ‘rispetto’ o di
‘sicurezza’, ‘tolleranza reciproca’, aggressività, relazioni di preferenza, ecc.)
(vii) tecniche colturali;
(viii) fertilità e struttura del suolo;
(ix) caratteristiche pedoclimatiche (piovosità, temperatura, ecc.);
(x) caratteristiche della flora pabulare e sue caratteristiche nutrizionali;
(d) razionalizzazione dell’autosufficienza foraggera aziendale;
(e) valutazione di un’economicità dell’allevamento coerente con la sua sostenibilità ambientale e
sociale;
(f) valutazione delle dotazioni strutturali e infra-strutturali e adeguamento delle stesse al fine di:
(i) rendere accessibili le aziende al consumatore finale
(ii) razionalizzare il lavoro
(iii) ridurre i tempi di percorrenza
(iv) razionalizzare l’alimentazione e le strutture
(v) contribuire a un efficace risanamento sanitario in linea con l’esigenza di ‘biosicurezza’; in
particolare, M. Badan et al. (2011) individuano i seguenti otto punti critici da prendere in
considerazione in un piano di ‘biosicurezza’ nell’allevamento bovino tra i quali:
• movimentazione degli animali
• accessibilità all’allevamento (persone e mezzi)
• gestione della mandria
• pulizia e disinfezione degli ambienti
• gestione e smaltimento deiezioni
• corretta conservazione dei mangimi;
tali interventi ridurrebbero la profonda submarginalità in cui talora operano le ‘imprese’
zootecniche allevanti il ‘BovGRAI’ con carenza o addirittura assenza di adeguate strutture e di
indispensabili infrastrutture (acqua, energia elettrica, viabilità); talvolta, l’allevamento viene
condotto adottando tecniche quali, a esempio, la mungitura manuale a mezzadria (in presenza del
vitello), le quali si ripercuotono negativamente sulle caratteristiche qualitative del prodotto;
(g) identificazione del ruolo svolto dall’azienda nella gestione del ‘bioterritorio’, con particolare
riferimento alla incentivazione dell’imprenditoria zootecnica e dell’associazionismo al fine di
costituire sistemi produttivi bioterritoriali altamente competitivi, anche in aree ove la funzione
principe degli allevatori è quella di presidio del bioterritorio;
(h) valorizzazione del latte con la sua trasformazione in caciocavallo e della carne con promozione
di ‘filiere corte’ attraverso la realizzazione di ‘minicaseifici’ aziendali e ‘minimacelli’, ecc.;
(i) destinazione delle vacche di BovGRAI non utilizzabili per la produzione del ‘quoziente di
avvicendamento’ o agli incroci con bovini a prevalente attitudine alla produzione di carne e/o a
svolgere la funzione di riceventi di embrioni di tipi genetici con prevalente attitudine alla
produzione di carne e/o per altri scopi;
(j) realizzazione di macelli mobili;
(k) maggiore sensibilizzazione degli enti istituzionali, inclusi quelli preposti all’educazione delle
giovani generazioni, affinché queste siano pervase da inquietudine e da dubbi ‘sani’ sullo stato di
41
salute del pianeta e, segnatamente, di quello di bioterritori (microagroecosistemi) interessati alla
presenza del BovGrAI;
(l) impiego di modellistica di previsione a breve e a lungo termine di ‘scenari’ di sostenibilità per
aree omogenee in linea con la definizione di ‘bioterritorio’;
(m) applicazione di strategie innovative ‘intelligenti’ basate sull’impiego di:
(i) satelliti informativi per la gestione del bestiame e delle coltivazioni
(ii) telerilevamento con i droni
(iii) agricoltura di precisione, la quale tiene conto delle effettive esigenze colturali e delle
caratteristiche biochimiche e fisiche del suolo
(iv) foraggicoltura guidata dal computer
(v) prefabbricati mobili per la trasformazione e per gli addetti all’allevamento
(vi) ricoveri zootecnici, annessi agricoli, ecc. realizzati mediante l’impiego della cosiddetta
‘architettura verde’ basata sull’utilizzo, come materiale di costruzione, di fibra vegetale
(canapa, cocco, cotone, legno, paglia, sughero, ecc.); tale materiale, anche denominato
‘matrice rinnovabile’, spesso proviene da fonti in loco; pertanto, esso contribuisce a uno
sviluppo integrale e integrato di un dato ‘bioterritorio’ (Progetto ‘Ru.De’, Paglia Rural
Design)
(n) adozione di misure comportanti anche un’integrazione del reddito quali:
(i) impiego del fotovoltaico; nel settore agro-zootecnico il tema dell’energia e del suo
consumo, nonché approvvigionamento sta assumendo un’importanza sempre maggiore;
(ii) energia eolica
(iii) impiego di ‘biomasse’
(iv) integrazione con ‘laghetti collinari’; questi ultimi, specialmente nelle aree collinari e
montane dell’Appennino Meridionale, ove la scarsezza delle precipitazioni atmosferiche
costituisce un fattore fortemente limitante della produttività del suolo, potrebbero fornire
un contributo alla ottimizzazione dell’uso dell’acqua; il primo esperimento di laghetto
viene realizzato in una fattoria toscana nel 1951 con un invaso di 20.000 metri cubi in
grado di irrigare 10-12 ettari di “autentica collina”; un lago collinare nel contesto di un
‘bioterritorio’ allevante il BovGrAI potrebbe fungere da supporto sia del sistema
paesaggistico, sia di una minore vulnerabilità del sistema bioterritoriale a causa di una
maggiore complessità delle interazioni agroecosistemiche; le potenzialità dei laghi
rispetto a questa funzione potrebbero essere favorite e garantite da una loro continuità con
altre strutture naturali
(o) consulenza tecnica ‘disinteressata’ all’allevatore da affidare a personale qualificato (o da
qualificare).
Secondo D. Matassino (1981), sotto l’aspetto agronomico operativo, la suddivisione delle superfici
meriterebbe una revisione nel senso che essa dovrebbe essere basata sulla classificazione del suolo in termini
di produttività agronomica; tali modelli possono essere considerati il risultato di un’armonica integrazione tra
variabili climatiche, pedoclimatiche e agronomiche di tanti microsistemi bioterritoriali, i quali, in ultima
analisi, possono identificarsi con l’azienda. Questi strumenti previsionali sono di grande utilità per redigere
una vera e propria carta dell’uso di un suolo. Trattasi di un supporto tecnico non ancora sufficientemente
preso in considerazione nell’ambito di qualsiasi intervento programmatorio, ma in via di sviluppo grazie alla
diffusione di reti di rilevamento di elementi climatici e pedologici. La sua utilizzazione permetterebbe di
disporre di elementi necessari ai fini dell’uso di un suolo e, pertanto, di una oggettiva finalizzazione
dell’impiego di un suolo. Ciò riveste importanza fondamentale nell’attuazione di qualsiasi intervento tendente
a razionalizzare specialmente quelle imprese zootecniche utilizzanti le risorse alimentari prodotte in loco. In
tale contesto è auspicabile un ripristino del rapporto tra condizioni ambientali e utilizzo del suolo. Come
osserva S. Malcevschi (2011), con la meccanizzazione dell’agricoltura e l’impiego massivo di fertilizzanti ci si
è illusi, nella seconda metà del secolo scorso, di poter dimenticare le regole di funzionamento della ‘biosfera’
e di poter adattare qualsiasi tipo di suolo alle esigenze dell’uomo. Pertanto, gli interventi di recupero
bioterritoriale dovrebbero mirare a un recupero, nello spirito di ‘Gaia’, dei cicli biogeochimici naturali minati
nei presupposti funzionali fondamentali da un utilizzo indiscriminato delle risorse naturali.
42
La interconnessione tra il sistema collinare e quello montano dell’Appennino deve essere sempre un
elemento fondante dell’attività produttiva e della realizzazione di un sistema ‘integrato’, ove, indubbiamente
l’agriturismo dovrà svolgere un ruolo importante per incrementare il valore aggiunto.
L’allevamento del BovGrAI potrebbe svolgere un ruolo chiave nel favorire il cambio di destinazione dei
terreni demaniali, tenendo conto del seguente concetto di C. Cattaneo (1801-1869): “L’agricoltura è un vero e
proprio atto di civiltà”.
Come proposto da Matassino D. (1981), le aree demaniali potrebbero diventare l’elemento aggregante
dell’attuale zootecnia, specialmente di montagna e, quindi, rappresentare in futuro il centro vitale di ciascuna
area e l’elemento propulsore di azioni di sviluppo. La disponibilità di superfici demaniali potrebbe essere
destinata alla costituzione di ‘nuclei demaniali di sviluppo integrato polifunzionali (NDSIP)’, con opportuna
integrazione di aree private limitrofe, allo scopo di uno sviluppo sostenibile integrale e integrato specialmente
nel ‘bioterritorio montano e collinare’. Tale nucleo dovrebbe poter usufruire di una specifica consulenza
tecnica computerizzata, a garanzia di elementi oggettivi di valutazione dei diversi momenti dell’allevamento
(riproduzione, produzione, alimentazione, sanità, ecc.) al fine di intervenire tempestivamente per elevare il
reddito aziendale. La consulenza dovrebbe contribuire a risolvere anche i problemi connessi alla
trasformazione della materia prima (latte e carne). Sarebbe auspicabile che il confine geografico del NDSIP
non fosse influenzato da quello amministrativo. Tenendo conto dell'attuale realtà, un NDSIP potrebbe
contribuire a:
(a) stanzializzazione e recupero dell'efficienza degli allevamenti, nonché miglioramento dell’utilizzo
dei pascoli;
(b) una forte integrazione delle superfici interessate (private e pubbliche) grazie al co-interessamento
non solo degli allevatori, ma anche degli addetti ad altri settori produttivi ricadenti nell'area del
NDSIP.
Quanto finora evidenziato, unitamente all’applicazione di moderne tecniche, dovrebbe facilmente indurre
a rivedere un forte pregiudizio: la immodificabilità della destinazione di ampie superfici bioterritoriali del
nostro Meridione (D. Matassino, 1984). Infatti, queste aree potrebbero proficuamente essere valorizzate con un
duplice vantaggio: (a) la tutela del ‘bioterritorio’; (b) il rilancio dell’economia, oggi si potrebbe dire in termini
di ‘bioeconomia’.
Tali interventi fonirebbero un contributo al conseguimento di tale sostenibilità in linea con i cardini della
bioeconomia basati su: riduzione dell’inquinamento; chiusura dei cicli locali dell’alimentazione, dell’energia
e dei rifiuti; promozione della qualità e della unicità dei prodotti, ottimizzazione della mobilizzazione delle
persone; riqualificazione delle strutture agricole e forestali; recupero del rapporto ‘campagna-città’, ecc.. A
conferma di questi interventi, S. Bocchi (2011), il ripristino dei processi di reciprocità e di integrazione tra il
mondo rurale e quello cittadino può essere considerato un fattore di garanzia per la ‘sicurezza alimentare’ e
‘ambientale’ (food/environmental security); trattasi di una nuova visione basata sul ruolo multifunzionale
dell’agricoltura, in cui il rapporto con il mondo rurale viene inserito in un sistema più ampio di scale di valori,
alcuni dei quali sono monetizzabili, altri riguardano tutto ciò che l’economia neoclassica concepisce come
esternalità, talora completamente ignorati, quali: le peculiarità irriproducibili dei luoghi, l’ambiente, il capitale
sociale, i saperi, il paesaggio, i beni comuni e le economie derivate. Secondo D. Matassino e A. Cappuccio
(1998) e M. Ferretto (2011), questi valori diventano strumenti da integrare nei piani urbani e bioterritoriali in
una sorta di ‘territorializzazione della multifunzionalità’ al fine di contribuire a un progetto unitario di
agricoltura urbana e periurbana nel quale le attività delle aziende agricole e di tutti gli ‘attori’ che ruotano
intorno vengano identificate, finalizzate e integrate nel contesto urbano. La diffusione di mercati locali gestiti
direttamente dai produttori è emblematica di questa nuova esigenza di integrazione tra il mondo rurale e
quello urbano, nell’ottica di favorire nel consumatore ‘co-produttore’ lo sviluppo della consapevolezza delle
‘qualità territoriali’ dei prodotti, nonché un dialogo con il produttore che coinvolga anche gli aspetti sociali e
ambientali legati al prodotto stesso. Altrettanto sintomatiche di questa esigenza sono:
(a) la diffusione di nuove forme di turismo, quali il ‘turismo verde’ o l’agriturismo, in costante crescita
a partire dagli anni ’90; la recente espansione degli agriturismi anche in aree periurbane testimonia
la rinnovata esigenza di uno scambio tra città e campagna
(b) la diffusione, in contrasto con la globalizzazione dei consumi e con l'impiego di biotecniche
innovative nella preparazione di nuovi alimenti, nella società ‘opulenta’ di tradizioni culinarie
fortemente legate all'identità del bioterritorio, nonché una richiesta di prodotti che, aldilà delle
43
qualità merceologiche siano in grado di rappresentare un sistema più ampio includente:
l’artigianato, il paesaggio, la storia, lo stile di vita.
Si ricorda che, storicamente, la ricerca di un contatto tra ‘ruralità’ e ‘città’ è spesso parte integrante di un
riassetto degli insediamenti o di strategie politiche su larga scala, come evidenziato da alcune opere d’arte del
Medio–Evo e del Rinascimento; opere che esprimono, storicamente, il progetto della ‘forma urbis et agri’. Un
esempio è “l’allegoria del Buono e Cattivo governo e dei loro effetti in Città e campagna” di A. Lorenzetti
(1338, Siena), un affresco emblematico di un disegno geopolitico tendente a individuare un equilibrio tra la
città e il contado, in cui gli artigiani e i commercianti delle città traggono la loro ricchezza da un rapporto con i
produttori del contado. Altrettanto emblematiche sono le ‘ville suburbane’ o ‘ville fattoria’ di ‘palladiana
memoria’ inserite in un piano strategico di ‘riterritorializzazione’ della ricchezza dopo l’indebolimento del
predominio navale subito da Venezia nel 1509; tale ‘riterritorializzazione’ viene tradotta dal Palladio in una
vera e propria ‘poetica’ del territorio (A. Calori, 2011).
In tale contesto, mi piace ribadire quanto affermavo nel 1997 in merito alla contestabilità della tendenza
che vi è stata a realizzare vere e proprie città 'clonate' ('Cyber Urbes') nella quale viene a mancare qualsiasi
legame di tipo 'geo-psichico' e 'culturale' con il bioterritorio, quindi con la storia di ciascuno di noi inserito in
un contesto sociale dinamico, ma fortemente ancorato alle tradizioni peculiari di un dato bioterritorio. Si
auspica, pertanto, un’inversione di tale tendenza in modo da sviluppare un ritorno alla visione umanistica di
‘agorà’ che dovrà sostituire quella di 'Cyber urbes'. Pertanto, come affermavo nel 1990, l’informazione
dovrebbe rendere più convinta la partecipazione del cittadino alla conoscenza della complessa attività
zootecnica nei suoi risvolti di tutela dell’agroecosistema naturale. E’ proprio l’operatore zootecnico,
particolarmente, che fino a oggi ha provveduto alla conservazione dell’agroecosistema, con particolare
riferimento a quello collinare e montano; tali agroecosistemi sono spesso abbandonati per il prevalere di una
politica fortemente urbanizzante.
Credo di incontrare il consenso del lettore nel ritenere inaccettabile il trend d'isolamento della singola
persona in quanto al centro degli interessi cosmici di qualsiasi società di esseri 'pensanti' debba restare l'uomo
quale 'persona'. Pertanto, tutti coloro che svolgono un certo ruolo nella società debbono assumere la
responsabilità di contribuire a individuare percorsi 'meditati' in grado di pilotare lo sviluppo futuro verso il
raggiungimento di traguardi sempre piú a misura dell'uomo 'persona'. In fondo, è il modello 'personalista'
che deve guidare qualsiasi azione dell'uomo. Solo una visione 'personalista', ben lontana da quella
'monodiana' o da quella 'pragmatista-utilitarista' o da quella 'socio-biologica', sarà in grado di guidare le
azioni umane in modo tale che queste abbiano sempre come fine l'uomo (D. Matassino, 1989).
10. Conclusioni
Da quanto detto si possono trarre alcune conclusioni di seguito riportate.
1. La tutela del ‘BovGrAI’ (già Podolica) assume il significato di salvaguardia di irripetibile materiale
biologico, di valore ‘storico-culturale’ inestimabile e originale e di notevole significato socioeconomico per la valorizzazione di bioterritori, specialmente dell’area mediterranea.
2. La necessità di un intervento mirato alla esaltazione delle capacità produttive del ‘BovGrAI’ (già
Podolica) risponde sia a un’esigenza e una sfida ‘culturale’, sia alla convinzione che esistono i
margini per un inserimento di questo tipo genetico in un sistema efficiente e competitivo.
3. Il ‘bovino Grigio autoctono italiano’ (gia’ Podolica), ‘naturalmente’ integrato nel ‘bioterritorio’ in
cui vive, può essere considerato un’espressione massima della ‘biofilia’ quindi di ‘connessionismo’
con il bioterritorio in cui vive.
4. Il ‘BovGrAI’ (gia’ Podolica) deve essere considerato un vero e proprio elemento di tutela di un
determinato ‘agroecosistema’, in particolare, una opportunità per lo sviluppo delle “aree collinari e
montane dell’Appennino Meridionale e di numerose altre zone del bacino del Mediterraneo anche alla
luce della nuova politica dell’Ue, orientata a rivalutare lo sviluppo rurale ecosostenibile di un
‘bioterritorio’ grazie a sistemi di allevamento meno intensivo. Pertanto, diventa sempre più impellente
individuare percorsi innovativi e coraggiosi al fine di instaurare un novello rapporto tra uomo, terra e
altri esseri viventi.
5. E’ indispensabile un accordo profondo e armonico tra istituzioni locali e ricerca per l’attuazione di
progetti strategici e sinergici sfocianti in una diffusa domanda di innovazione del sistema totale e
capaci di far emergere sintonicamente l’idea forza della ‘originalità’.
44
6. Un alimento ‘nutraceutico’, specialmente fornito da un tipo genetico locale antico (TGLA), può
rappresentare la base per prevedere la costituzione di vere e proprie “fattorie nutraceutiche” nelle
quali è possibile evidenziare alcune virtù ‘nutraceutiche’ di un alimento validando il tutto con
‘etichette’ cosiddette ‘intelligenti’ [QR CODE (quick response code = risposta rapida) – RFID (radio
frequency identification system = sistema di identificazione basato su radiofrequenza)]; la
realizzazione di queste “fattorie nutraceutiche” può essere foriera di illimitata rilevanza scientifica,
economica e sociale.
7. Il valore ‘nutraceutico’ di un alimento è sostanzialmente il risultato di complessi, raffinati e sofisticati
fenomeni biologici influenzati dall’ambiente ‘antropo-bio-geo-pedo-climatico’ variabile in relazione
al ‘bioterritorio’.
8. E’ fondamentale evidenziare che l’impegno in atto da parte degli allevatori richiede una non piu’
indilazionabile disinteressata consulenza tecnica affinché i ‘punti di debolezza’ o ‘punti critici’
(irrazionale utilizzazione dei pascoli, strutture varie e infrastrutture) vengano eliminati e/o ridotti per
uno sviluppo dinamico e innovativo dell’allevamento (a esempio, ‘mungitura meccanica’).
9. Il ‘BovGrAI’ (già Podolica) può essere considerato un animale dalle funzioni non sostituibili ed è un
vero protagonista di uno sviluppo sostenibile di un ‘bioterritorio’ o ‘microbiosfera’ di una
determinata ‘area geografica’ come quella del Mezzogiorno d’Italia (D. Matassino, 2000; D.
Matassino et al., 2012a).
10. Imparando dalla natura 'in senso lato' e opportunamente imitandola, è possibile risolvere i tanti
problemi che ci assillano, specialmente quelli della gestione del ‘bioterritorio’ e dell'ambiente in senso
generale.
11. La figura 15 è emblematica delle interconnessioni utili e ‘insostituibili’ per favorire lo sviluppo di un
‘bioterritorio’.
1. Figura 15 - Trinomio rappresentativo delle interconnessioni tra ricerca avanzata, politiche agro-alimentari e
sviluppo di un ‘bioterritorio’ (D. Matassino, 2009).
12. Il ‘BovGRAI’ rappresenta una risorsa ideale al fine di consentire una saldatura tra passato e futuro alla
luce del presente senza incorrere nel pericolo di cancellare la storia o di rimanere prigionieri di essa.
11. Ringraziamento
“Un dovuto e sentito ringraziamento alla dr.ssa Mariaconsiglia Occidente per il Suo prezioso e
insostituibile ausilio nella ricerca bibliografica e nella riorganizzazione dei vari capitoli”.
45
12. Opere citate
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