Gian Berto Vanni: Itinerari Pittorici - Unisi.it

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Gian Berto Vanni: Itinerari Pittorici - Unisi.it
Università degli Studi di Siena
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Lettere
Gian Berto Vanni
Itinerari pittorici
Tesi di laurea di
Valentina Puccioni
Relatore
prof. Enrico Crispolti
Correlatore
prof. Luca Quattrocchi
Anno accademico 2001-2002
a mio padre
Sommario
7
Introduzione
13
Capitolo 1
Gli anni di formazione
47
Capitolo 2
Parigi - Le prime ricerche
65
Capitolo 3
Roma - La mobilità stilistico-formale, lo spazio ambiguo
111
Capitolo 4
New York - Eclettismo come sistema
163
Conclusione
167
Bibliografia
175
Indice dei nomi di persona
181
Catalogo ragionato dei dipinti
429
Catalogo completo dei dipinti
555
Catalogo della grafica
Introduzione
Vidi per la prima volta le opere di Gian Berto Vanni alcuni anni
fa, quando stavo iniziando i miei studi in storia dell’arte. La mia
attrazione di allora per il mondo che aveva creato nei suoi quadri
era più istintiva che ragionata, mancandomi ancora le basi che
mi permettessero una lettura critica e storica. Più tardi col
progredire degli studi e attraverso un contatto diretto e frequente
con il lavoro di Vanni è maturata la coscienza di quanto la natura
di quelle forme che mi attraevano tanto fosse complessa e
multiforme. Da questo è nato il bisogno di ricercarne le radici,
analizzarne gli sviluppi, sondarne le influenze, contestualizzarlo
storicamente e socialmente.
Nel corso di questo studio ho avuto in Vanni un interlocutore
sempre presente e disponibile a trattare i temi che andavo
affrontando in tutti i suoi aspetti intellettuali e pratici. Ecco
che il confronto diretto con l’artista, che uno studio di arte
contemporanea rende, per ovvie motivazioni temporali, quasi
sempre possibile, ha acquistato in questo caso uno spessore del
tutto straordinario. L’ accessibilità particolare ad una quantità
di informazioni mi ha reso possibile di ricostruire esperienze e
ricerche passate e presenti di Vanni molto più in profondità.
Periodi che per la mia generazione appartengono ad una
dimensione storiografica (Vanni è nato nel 1927, cioè più di
quarant’anni prima di me) hanno acquistato una immediatezza
ed una attualità normalmente pertinenti ad un esercizio critico.
7
Si è inoltre venuta a creare una situazione estremamente
dinamica nella quale ho avuto l’opportunità di riesaminare con
lui il materiale raccolto nel momento stesso in cui stava
prendendo corpo. Vanni a sua volta è stato portato a rivisitare,
con l’esperienza accumulata nel tempo, le sue ricerche passate.
Vicende e situazioni lontane hanno così acquistato un valore
rinnovato, carico di altri significati che lui stesso aveva
trascurato. Mi sono perciò trovata nella posizione di poter
accedere ad esperienze più strettamente personali che se possono
sembrare a prima vista marginali, si rivelano invece essere alla
base di determinate scelte creative.
Ne è scaturita una personalità complessa che ha seguito un
percorso anomalo, tanto nella sua formazione che nello sviluppo
della sua ricerca. Ma soprattutto uno spirito guidato da una
curiosità sempre viva al servizio di una inventività
immaginativa che non trascura di esplorare per poi trasporli in
pittura i campi più disparati, che vanno dalla musica, al teatro,
alla letteratura. E proprio in questo sta il fascino della ricerca
di Vanni: una capacità di rinnovarsi attraverso una continua
rimessa in questione delle proprie certezze ed una
rielaborazione sistematica di nuove esperienze senza mai
cristallizzarsi in alcuna di queste. Difatti il suo percorso artistico
si caratterizza per una posizione di solitario che lo ha portato
ad articolare una sua visione propria ed indipendente dai
movimenti artistici che si andavano delineando.
La storiografia dell’arte contemporanea è presentata nella maggior
parte dei casi come un susseguirsi lineare di movimenti
articolati in tendenze e correnti. Questo approccio non prende
neanche in considerazione delle ricerche personali e
indipendenti che non trovano posto in questi schemi, tralasciando
una parte consistente della espressione artistica rappresentata
da risposte alternative ai problemi sollevati dalla società
contemporanea. È anche per questo che ho trovato particolarmente
interessante di seguire la ricerca di un artista la cui opera si sia
sviluppata al di fuori dei tracciati posti da quei movimenti
che hanno caratterizzato la scena artistica degli ultimi
8
cinquant’anni. Però, pur avendo come referente costante la sua
propria evoluzione creativa, il suo rapporto con altre proposte
estetiche e concettuali è stato di costante attenzione. Se talvolta
agisce ignorando certe manifestazioni per lui artificiose non
agisce nell’ignoranza di queste. La sua espressione risente
continuamente delle pulsioni esterne talvolta per repulsione,
altre per attrazione. La sua reazione, dettata dalla matrice
classica della sua formazione non è mai immediata ed istintiva,
ma è determinata da una mediazione intellettuale che mette
il nuovo apporto in relazione con il bagaglio culturale
preesistente. In questa maniera Vanni metabolizza le esperienze
più disparate per integrarle magari sotto forma di
contraddizione eclettica nella sua complessa cosmogonia.
L’osservazione di correnti e movimenti dall’esterno non ha però
significato l’assenza di un incontro dialettico con altri artisti.
Non è casuale che questi siano anche loro più interessati alla
loro individualità che ad una identità di gruppo.
La mia esperienza diretta è stata arricchita dalla frequentazione
di molti amici artisti di Vanni raccogliendo le loro
considerazioni e commenti. In queste occasioni ho potuto
osservare quanto, fra gli artisti che hanno scelto un percorso di
ricerca autonomo, esista un rispetto particolare più per la
diversità che per la somiglianza delle soluzioni adottate. Mi è
apparso quindi più chiaramente l’interesse di raccogliere le
esperienze di artisti che hanno seguito soluzioni alternative a
quella della strada maestra dell’arte contemporanea, e
documentare come il loro lavoro creativo sia più vitale di come
appaia oggi. Per tutti questi motivi l’evoluzione della mia ricerca
non si è svolta principalmente sui libri. Questi mi sono
soprattutto serviti per un confronto costante, per verificare in
quale maniera il materiale che andavo raccogliendo interagisse
con la realtà di quel momento.
Questa indagine utilizza una forte componente biografica per
illustrare vari aspetti che esulano dal contesto strettamente
pittorico ma che hanno avuto una funzione determinante nella
formazione del mondo figurativo di Vanni. Prima di tutto una
9
passione per la sperimentazione intesa in senso di indagine
scientifica, ereditata da suo padre parassitologo, che gli ha dato
il gusto per l’analisi approfondita oltre l’apparenza superficiale
e, da questo, l’interesse per la varietà e la diversità. Poi un
marcato interesse per la filosofia, che ha sviluppato in lui uno
spiccato senso del classico; e per classico si intende sia una
predilezione per il linguaggio formale rispetto al soggetto inteso
in senso letterario, sia una espressione dominata dall’intelletto
piuttosto che dall’istinto. Inoltre, la scelta di lunghi soggiorni
in diversi paesi che ha costituito una fonte continua di stimoli
visivi e culturali. Questi stessi hanno contribuito ad un
avvicendarsi, fino a fine degli anni sessanta, di linguaggi pittorici
distinti, talvolta apparentemente molto diversi tra loro. In realtà
si tratta del percorso di avvicinamento ad una formulazione
che è la chiave di volta della poetica di Vanni: una ambiguità di
interpretazione che si esprime attraverso contraddizioni
spaziali, temporali, formali, iconologiche. Queste rappresentano
per lui il riflesso della vita reale, dove convivono “...realtà tra
loro diversissime e appartenenti a logiche diverse eppure tutte
altrettanto valide.” I suoi quadri esprimono tale molteplicità,
nei suoi elementi macroscopici e microscopici, scandagliati,
sezionati e riassemblati in strutture metamorfiche. Il punto di
decantazione è la memoria, dove passato e presente coesistono
e si confondono, rendendo qualsiasi formulazione possibile. Dalle
lagune olandesi agli intonaci Cicladici fino alle cellule esaminate
al microscopio, gli aspetti della realtà che hanno interessato ed
interessano Vanni sono innumerevoli.
Vedremo come in maniera progressiva la commistione sempre
più serrata, all’interno dello stesso quadro, di spazialità
determinate da linguaggi diversi, si evolve, a partire dalla metà
degli anni settanta, in un eclettismo sistematico. Questo, per
Vanni, non rappresenta il risultato di una incertezza delle proprie
motivazioni, bensì l’espressione di una dialettica poetica che si
rafforza nel confronto degli opposti.
La mia ricerca riserva un’attenzione particolare alla tecnica
pittorica. Questa rappresenta per Vanni un requisito essenziale
10
alla formulazione artistica. Condivide con Albers e Cagli l’idea
che una profonda conoscenza delle tecniche sia fondamentale
nel mestiere del pittore e che ne stimoli la creatività, tema base
dei suoi corsi di pittura alla Cooper Union di New York. Per
questo motivo vengono anche citati gli interessi di Vanni per
sperimentazioni extrapittoriche come fotografia e computer o
la sua collaborazione a progetti architettonici
L’elaborato programma formale e la padronanza tecnica non
assumono per Vanni il ruolo di protagonisti nelle sue opere.
Devono piuttosto essere i mezzi per bilanciare le due componenti
che stanno alla base della creatività: intelletto ed istinto.
Vi sono artisti per cui la creazione dell’opera d’arte è un bisogno
fisiologico, dettato dalla necessità di esteriorizzare un impulso
interiore che si può definire come istintivo. Per loro lavorare è
una necessità anche fisica, e questa loro espressione avviene
come se fosse indipendente dal ragionamento. Altri artisti,
viceversa, arrivano alla creazione dell’opera d’arte come
dimostrazione tangibile di un concetto preesistente cui l’opera
d’arte da’ forma. Nel processo creativo di Vanni i due aspetti
coesistono. Per lui l’aspetto istintivo polarizza sulla tela
esperienze assimilate che intelletto e tecnica devono mediare,
trasformare, fino a produrre una o molteplici sintesi. In questo
processo si avvale di tutte le conoscenze accumulate nel suo
percorso creativo, esprimendo la complessità che caratterizza
e che avvolge il mondo in cui viviamo.
11
AVVERTENZE
Nel riferirsi ad un’opera nel testo, si è ritenuto opportuno riportare, nella
colonna a fianco, il suo numero nel catalogo completo di Vanni, a cui si
rimanda. Questo inizia a pagina 429 per le pitture (indicate dalla lettera
“P” che precede le quattro cifre di catalogazione) e a pagina 555 per la
grafica (lettera “G”). Qualora si trattasse di un’opera che è anche stata
trattata nel catalogo ragionato, che inizia a pagina 181, al numero si è fatto
seguire la dicitura “cat. rag.” Per facilitare la corrispondenza titolo-numero
di catalogo si è cercato, dove possibile, di allinearli, altrimenti sono stati
contrassegnati da un asterisco.
12
Capitolo 1
(1) Lui stesso era nato in un
ambiente scientifico perchè suo
padre, Giuseppe Vanni, era un
fisico che contribuì alla ricerca sulla
radio inventando, fra l’altro,
l’antenna goniometrica.
(2) Suo padre, Alberto Pericoli,
aveva dei cantieri a Parigi e in
Svizzera. Augusto Pericoli, suo
fratello, visse la più gran parte della
sua vita a Parigi. Qui diresse la
compagnia dei Wagon lits, e affidò a
Cassandre le campagne dei manifesti
pubblicitari.
Gli anni di formazione
Gian Berto Vanni nasce a Roma nel 1927. Cresce in un ambiente
scientifico ed intellettuale centrato intorno alla figura
carismatica del padre, Vittorio Vanni, noto professore di
parassitologia all’università di Roma e medico curante dell’alta
società.1 La madre, Marcella Pericoli Vanni, proviene da una
antica famiglia romana di stampo tradizionale, conservatrice
ma antifascista, che aveva molti contatti con l’estero,
principalmente con Parigi. 2 L’influenza del padre è
determinante nella formazione di Vanni. Questi era un uomo
dotato di un brillante spirito intellettuale che frequentava le
persone più significative del mondo culturale romano tra le due
guerre, coltivando, oltre alla medicina, un grande interesse per
l’arte, la musica e la letteratura.
Vanni è poco più che un bambino ma la sua immaginazione
viene continuamente stimolata da apporti diversi. Suo padre è
fermamente convinto che anche se come bambino non può
afferrare il significato complesso di certe esperienze, queste gli
rimarranno dentro la mente per ritornare più tardi, aiutandolo
a sviluppare precocemente quella cultura umanistica che per
lui rappresenta la base irrinunciabile di qualsiasi impresa
intellettuale. Così nelle prime esperienze di Vanni si affiancano,
oltre ai concerti, alle opere d’arte viste nei musei, nelle chiese e
nelle collezioni private di clienti di suo padre, una grande
quantità di ricordi più disparati. Menzionarne alcuni tra i più
13
significativi ci sarà di aiuto più tardi per capire come l’interesse
di Vanni non si fisserà mai entro parametri definiti, ma spazierà
sotto l’impulso della sua curiosità inquisitiva. Dalla visita alla
caverna del Circeo piena di ossa di cervi e orsi dove un amico
di famiglia paleontologo, il barone Blanc, aveva appena scoperto
l’unico cranio di uomo del Neanderthal trovato in Italia,3 alle due
grandi sfere di rame che producono fulmini serpentini di luce
bluastra al laboratorio di suo nonno all’Istituto di
radiotelegrafia.4 Essere calato per primo in una tomba etrusca
appena scoperta, per vedere quel mondo rimasto intatto per
secoli rivelarsi davanti ai suoi occhi.5 Gli arrivi di una sua prozia
materna dalla Cina colma di regali che gli riportava da quel
paese.6 E ancora orientalismo nella casa dei Dubinsky arredata
come un tempio indonesiano. 7 O incontrare Gandhi e poco
tempo dopo Churchill nel salotto della contessa Mara
Carnevale. Ma forse più di tutto ricorda i fine settimana con il
professor Cerletti, 8 con il quale suo padre discute di problemi di
psichiatria, dando a Vanni la coscienza del mondo parallelo del
subconscio.
Le frequenti visite all’Istituto di parassitologia diretto da suo
padre contribuiscono inequivocabilmente allo sviluppo della
sua immaginazione visiva. Lì esplora la vita nascosta all’interno
di quella visibile a occhio nudo. Rimane per ore intere a
guardare al microscopio cellule, protozoi, batteri o qualsiasi
altra cosa per studiarne la struttura. Suo padre, andando a dare
le sue lezioni, gli lascia vetrini con organismi diversi,
colorandoli talvolta con reagenti che ne sottolineano i contorni.
Lo affascina quel mondo di forme in crescita o regressione
che sembrano essere in continua metamorfosi situati in uno
spazio al di fuori dello spazio, senza un alto e un basso, in
continua fluttazione. Rivede queste forme fantastiche nelle
grandi e dettagliatissime tavole che suo padre disegna per i
suoi corsi e le sue pubblicazioni. Viene così naturale per lui il
collegamento tra scoperta e disegno come maniera di studiare
e capire. Infatti la passione per la botanica e la zoologia si
esprime attraverso disegni di sezioni di fiori e degli animali
14
(3) Carlo Alberto Blanc rinvenne
il cranio neanderthaliano nella
grotta Guattari, a San Felice Circeo,
nel 1938.
(4) Si tratta del generatore Van der
Graaf di energia elettrostatica. Suo
nonno paterno fondò e diresse fino
alla sua scomparsa, nel 1932,
l’Istituto di radiotelegrafia.
(5) Negli scavi di Ladispoli diretti
dal Professor Calza-Bini.
(6) La sorella di sua nonna
materna, Alberta Aloisi, viveva in
Cina perchè suo figlio Max era
direttore del Credito Italiano,
prima a Tien Tsin, poi a Shanghai.
(7) Il professor Sasha Dubinsky era
un rinomato ostetrico e ginecologo.
Si era stabilito a Roma dopo una vita
movimentata: in origine polacco,
naturalizzato olandese, aveva
vissuto quindici anni nelle allora
Indie Olandesi, a Java, Sumatra e
Borneo. Così descrive Vanni la sua
casa a piazza Sallustio: “Un villino
che aveva arredato e trasformato in
un tempio buddista indonesiano.
C’era soprattutto una cappella che
mi impressionava molto, piccola,
scura, in cui luccicavano cuscini
dorati, e in fondo un tabernacolo
illuminato di rosso dentro il quale
sedeva un budda d’avorio coperto di
collane.”
(8) Ugo Cerletti, noto psichiatra,
fu l’inventore dell’elettroshock, di
cui denunciò, in seguito, l’uso
sconsiderato che se ne fece.
(9) Valentina Puccioni, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, ottobre
2000.
Vanni aggiunge che “Attraverso
questi filtri socioculturali mi resi
conto solo alla fine della guerra
dell’esistenza di una Scuola
romana, di Scipione, Mafai,
Capogrossi, Colla e Cagli.”
L’unico gruppo di vedute più
larghe era quello che ruotava
attorno ai compositori dove “...si
vedevano opere di respiro meno
provinciale, come De Chirico e
Carrà metafisici, Campigli,
Casorati, Carena, Morandi, Sironi.”
Questo gli fa notare per inciso la
sorprendente refrattarietà verso
l’arte contemporanea in una società
che aveva accettato le innovazioni
musicali di Alfredo Casella.
dei suoi terrari. Vi osserva l’attività di formiche, grilli,
cavallette, mantidi, aspettando la trasformazione dei bruchi in
ninfa, crisalide e insetto perfetto. Queste esperienze che si
affastellano nella sua mente di bambino e poi di adolescente,
si ricomporranno più tardi in immagini che, decontestualizzate,
troveranno una loro collocazione nel mondo figurativo delle
opere della maturità.
L’interesse per l’arte e per la pittura in particolare proviene dalla
passione che nutre per questa suo padre, che viene spesso
consultato nelle attribuzioni di dipinti medioevali e rinascimentali
di cui ha una profonda conoscenza. Seguendo la tradizione
del dilettantismo colto di matrice classica, disegna lui stesso e
porta con sé suo figlio, ancora adolescente, a copiare disegni
dei grandi maestri del rinascimento direttamente dagli originali
al Gabinetto delle stampe della Galleria Corsini. La conoscenza
dell’arte rinascimentale che aveva suo padre era affiancata da
una completa incomprensione per l’arte contemporanea,
sentimento peraltro quasi unanimamente condiviso dall’alta
società romana di quell’epoca. I ricordi di Vanni a questo
proposito ci sono di grande aiuto in quanto rappresentano una
testimonianza diretta della percezione diffusa in quella parte
della società che avrebbe dovuto fornire il sostegno economico e
intellettuale per una ricerca artistica di avanguardia. “Per il
moderno ci si riferiva alla galleria La Barcaccia di Piazza di
Spagna, fra Croatto e Prencipe, Donghi e Tosi per il rinnovo
delle nature morte e dei paesaggi. Ogni tanto qualche post
macchiaiuolo. Quelli più di punta si arrischiavano sul terreno
minato di Rosai e Carrà paesaggista. In genere la tendenza al
pittoresco dominava, Michetti e Mancini rappresentavano il
massimo immaginabile come talento pittorico. Bargellini un
mostro sacro rispettato più degli altri, ma nessuno ne avrebbe
voluto un quadro in casa. Sciltian e Croatto bravissimi ma un
po’ freddi, privi di sentimento. Mayer, ritrattista dell’alta
borghesia era il campione della pittoricità per il piglio inglese
dei suoi quadri.”9
Le prime esperienze pittoriche di Vanni maturano in questo
15
ambiente, facilitate dalla stretta amicizia di suo padre con molti
degli artisti più apprezzati. Benché questi rappresentino un ritardo
storico rispetto alle ricerche europee di quel momento, si situano
in un contesto sottoscritto dagli insegnamenti accademici,
fornendo a Vanni un prezioso tirocinio, che si manifesterà più tardi
in un’abilità tecnica e figurativa che gli permetterà di
intraprendere qualsiasi ricerca con una significativa padronanza
e coscienza delle proprie capacità espressive.
Il primo maestro sarà Bruno Croatto, grande amico di famiglia.
Artista triestino trasferitosi a Roma negli anni venti, era
conosciuto nell’alta borghesia e aristocrazia romana come
ritrattista e pittore di nature morte, oltre che per le sue raffinate
incisioni. Sarà lui a introdurre Vanni ai primi rudimenti di
pittura portandolo con sé, ad appena dieci anni, a dipingere
dal vero nella campagna romana e facendolo assistere alle
sedute di ritratto nel suo studio di via del Babuino. La tecnica
e lo stile di Croatto si erano formati all’Accademia di Monaco
dove aveva studiato. I suoi quadri avevano una struttura
analitica e precisa, con una pennellata quasi invisibile che
negava la superficie del quadro. La pittura di Vanni si
svilupperà in una direzione completamente diversa ma gli echi
di questa primissima influenza si faranno sentire nei suoi
quadri, soprattutto in un irrinunciabile equilibrio compositivo,
sottolineato da un segno sempre molto controllato. Tra gli altri
artisti amici di suo padre c’è Umberto Prencipe, acquafortista e
paesaggista, che dirige la Calcografia Nazionale, dove Vanni
apprende le tecniche di incisione. Giulio Bargellini, affreschista
e mosaicista di grande talento, famosissimo a quell’epoca, che
gli fa insegnare dal suo aiuto, Piergentili, la tecnica del mosaico.
La stravaganza artistica è rappresentata da Sigismondo Meyer
che gira per Roma in calesse, noto per i suoi ritratti che si
rifanno, sia formalmente che tecnicamente, ai modi della pittura
inglese del settecento. Dalla loro esperienza Vanni acquisisce
il piacere per il mestiere della pittura tradizionale basato
sull’importanza di una completa conoscenza del disegno e della
tecnica come il solo strumento per dare forma ai propri concetti.
16
(10) Qui nasce l’amicizia con Luigi
Boille, altro abilissimo allievo dei
corsi, che si svilupperà durante gli
anni di Parigi e che continua
tutt’oggi.
(11) Armando Verdiglione, “Il
futurismo di Alberto Bragaglia”, in
Alberto Bragaglia. Il futurismo
europeo a cura di Fabiola Giancotti,
Spirali/Vel, Milano 1997, p. 15. Si
rimanda a questo stesso libro per
delle notizie più approfondite su
Alberto Bragaglia.
In base a questi interessi, raggiunta l’adolescenza, Vanni,
nell’autunno del ‘43, si iscrive ai corsi di disegno e pittura tenuti a
Villa Strohl-Fern dal professor Hinna su un impianto
rigorosamente accademico.10 La sua formazione tecnica non sarà
però quella dominante della Accademia delle Belle Arti del
tempo, improntata a una pittura di origine postimpressionista,
a piani coprenti che cerca di riprodurre il tono locale senza l’uso
di velature, ma deriverà dallo studio attento del primo e
secondo Rinascimento cui lo aveva guidato suo padre. Questo
lo porterà a sperimentare tecniche meno usuali, quali la tempera
all’uovo e la pittura ad olio di tradizione veneziana, basata
sull’uso della velatura e di ombre trasparenti.
Con la fine della guerra nuove esperienze culturali porteranno
Vanni a mettere in dubbio la maniera tradizionale fino ad allora
seguita. È di questo periodo l’amicizia con Alberto Bragaglia,
il cui pensiero gli fornirà un apporto determinante alla sua
formazione. Fratello dei più noti Anton Giulio e Carlo
Ludovico, di cui “...è stato largamente ispiratore...”,11 Alberto
Bragaglia era professore di filosofia al liceo Giulio Cesare, dove
Vanni aveva studiato. Negli anni della scuola, Bragaglia era
stato preso da simpatia per questo suo studente appassionato
di filosofia che voleva diventare pittore. Finito il liceo Vanni si
vede con lui quasi tutti i giorni, spesso per andare insieme a
dipingere sulle rive del Tevere. Incontri che diventano anche
occasioni per discutere di pittura e di filosofia dell’arte.
Si tratta di conversazioni dove Bragaglia, liberato dal suo ruolo
di insegnare filosofia a un ex studente, cui peraltro aveva dato
il massimo dei voti alla maturità, si lascia andare a
considerazioni e confidenze sulle sue opinioni, su come non
bisognasse mai guardare all’apparenza delle cose ma sempre
al loro significato nascosto, su come un testo contasse molto di
più per quello che era scritto tra le righe che per il suo contenuto
manifesto. Gli testimonia una sfiducia nel mondo che si estende
anche alle proprie capacità, controbilanciata da una grande
fiducia nel pensiero e nell’arte. Queste conversazioni pressoché
17
quotidiane danno a Vanni una abitudine a pensare
filosoficamente sulle cose di tutti i giorni. A staccarsi dal
contingente per cercare in qualsiasi situazione sia la visione
totale che il dettaglio che sfugge all’attenzione troppo
focalizzata sull’attualità ma emerge soltanto quando il tempo è
passato. La lezione di Bragaglia è di non credere subito per
capire meglio più tardi. Allo stesso tempo parla di arte da pari
a pari, per sua naturale modestia, con questo suo discepolo che
sta muovendo i primi passi in quel mestiere. Così Vanni conosce
episodi del futurismo come momenti di vita vissuta nella
quotidianità di una avanguardia: Bragaglia gli racconta come
certe idee fossero nate, liberandole così dall’inaccessibilità in cui
la storia le confinava. Gli raccomanda anche una diffidenza vigile
per le etichette, le mode, i partiti presi aprioristicamente in arte
che fanno perdere di vista la propria genuina creatività,
comunicandogli la sua resistenza ad “...essere mai assimilato e
accostato in gruppo con gli altri.”12 Gli infonde il concetto che
quello che importa è la costanza nell’approfondimento della
ricerca, da mantenere sotto il vaglio continuo della propria
analisi critica, e non condizionata da giudizi esterni qualora
questi vengano dati in base all’omologazione o meno delle sue
scelte alle idee correnti.
Da un punto di vista strettamente formale Bragaglia espone
Vanni alla ricerca astratta nell’arte, discutendo a lungo sulle
due vene che considera più importanti: quella che ha le sue
radici nella natura e l’altra basata sulla geometria pura.
Malgrado il profondo legame di Bragaglia con l’astrattismo,
Vanni può sperimentare di prima mano il valore che egli
riponeva nella “disciplina delle formule acquisite nel tirocinio
orientatore...”13 quando lo accompagna ai corsi di disegno del
nudo, per esercitare la mano. Un atteggiamento di rispetto per
la manualità che, unita ad una continua sperimentazione
formale e ad un’analisi intellettuale delle proprie scelte creative,
continua ancora oggi ad essere la strada seguita da Vanni nello
sviluppo della sua ricerca.
Questi incontri suggeriscono a Vanni anche l’esplorazione di
18
(12) Armando Verdiglione, “Il
futurismo di Alberto Bragaglia”, in
Alberto Bragaglia. Il futurismo
europeo a cura di Fabiola Giancotti,
Spirali/Vel, Milano 1997, p. 15.
(13) Armando Verdiglione, “Il
futurismo di Alberto Bragaglia”, in
Alberto Bragaglia. Il futurismo
europeo a cura di Fabiola Giancotti,
Spirali/Vel, Milano 1997, p. 16.
(14) Vanni parteciperà a dei lavori
teatrali in altre due occasioni,
durante i soggiorni a Parigi. La
prima volta nel ‘50, quando farà i
disegni dal vivo per le prove della
messa in scena della Répétition di
Anouilh e di Malborough s’en-vat-en
guerre di Achard, entrambi della
Compagnia di Jean-Louis Barrault
et Madeleine Renaud, al Théâtre
Marigny. La seconda nel ‘59
quando disegnerà la scenografia
per Le Mariage de Figaro di
Beaumarchais.
(15) Alfredo Casella era uno dei
pochi collezionisti di arte
contemporanea a Roma in quel
momento. Per delle notizie più
approfondite su Casella e il
collezionismo romano si rimanda a
“Gli artisti, le gallerie, le occasioni”
di M. Fagiolo dell’Arco e
“Avanguardia musicale e Scuola
Romana” di Alessio Vlad, in Sotto
le stelle del ‘44, cat. mostra, Palazzo
delle Esposizioni, Roma, 16 dic.
1994 - 28 feb. 1995, Zefiro, Follonica
(GR) 1994, pp. 63-141 e 203-217.
(16) Dopo i corsi seguiti a Villa
Strohl-Fern Vanni vince il concorso
per l’Accademia di San Luca nel ‘45
e nel ‘46. Negli stessi anni studia
incisione
alla
Calcografia
Nazionale sotto la direzione di
Carlo Alberto Petrucci. Si era
inoltre iscritto, nel ‘45 alla Facoltà
di Architettura.
altri mezzi per sviluppare la sua ricerca artistica. L’interesse
che Bragaglia gli ispira per le arti plastiche nel teatro si
concretizza nelle scenografie che Vanni disegna, nel ‘48, per due
spettacoli teatrali: Asmodée di François Mauriac, per la regia di
Distefano, al Teatro delle Arti e Il nostro bel castello scritto e diretto
da Vittorio Sermonti al teatro Valle. 14 Un altro interesse, la
fotografia, non prende forma allora ma crescerà con lo sviluppo
artistico di Vanni contribuendo anche alla sua ricerca pittorica.
Userà molto spesso la possibilità offerta dal mezzo fotografico di
fissare quelle forme che nascondono nel loro movimento altre
forme che vengono rivelate dallo scatto dell’otturatore.
La conoscenza diretta di idee legate alla ricerca del futurismo è
affiancata dal contatto con le opere che vede a casa delle figlie
di Marinetti di cui è molto amico, come, ad esempio, gli Stati
d’animo di Boccioni. Un quadro che lo colpisce pur senza
influenzarlo direttamente, ma che comporterà molto più tardi,
come del resto in tutte le influenze che lo hanno segnato, un
interesse per il movimento nel suo svolgimento temporale
fissato dalla contemporaneità dettata dalla rappresentazione
spaziale.
Un altro apporto sostanziale gli viene dall’assidua frequentazione,
fin dal ‘43, della casa del compositore Alfredo Casella dove si
riuniscono musicisti, pittori e letterati. Qui respira un’atmosfera
culturalmente vivace, aperta alle influenze europee, alternativa al
provincialismo della cultura dominante. Alle discussioni sulla
letteratura e sull’arte si affiancano seminari sulla musica
contemporanea, tenuti da Roman Vlad, musicologo allievo del
compositore. L’approfondimento di questa formulazione
espressiva e la comprensione della sua struttura è affiancata
dall’esposizione alle opere di artisti moderni, di cui Casella è
collezionista.15 Vanni è particolarmente attratto dai quadri di
Casorati, in particolare per la semplificazione dei piani, in cui trova
un grande aiuto per oltrepassare gli schemi accademici dei corsi
di disegno che segue all’Accademia di San Luca,16 a cui è legato
proprio per la particolare abilità che dimostra in quel tipo di
disegno che gli renderà più difficile l’abbandono di quella maniera.
19
La presa di coscienza della logica delle strutture astratte in
filosofia e musica, attraverso personalità che stimano l’arte
contemporanea, stimola Vanni a cercare nuove vie in campo
figurativo e lo aiuta a superare i limiti della rappresentazione
tradizionale cui era stato educato. Il superamento avverrà con
un lungo e travagliato processo intellettuale e non nella
immediatezza di un rifiuto polemico di quei principi. La ricerca
di un linguaggio alternativo e personale passerà per la
sperimentazione di tutte le maniere e gli stili diversi che lo
interesseranno. La sua esigenza di decidere i metodi e i tempi
della sua ricerca farà sì che questa rimarrà sempre individuale
e solitaria piuttosto che collettiva. 17
Inizia con l’avvicinarsi al lavoro dei pittori della Scuola Romana,
soprattutto Mafai e Scipione, eseguendo una serie di piccoli quadri
che testimoniano lo sforzo della ricerca e l’incertezza della via
da seguire; si tratta soprattutto di vedute di Roma (Quirinale,
Case, Gazometro). Nei ritratti (Il figlio di Bragaglia) si può vedere
una semplificazione dei piani ispirata dalle opere di Casorati.
Gran parte di questi sono iniziati in uno stile classico per essere
20
Paesaggio - Quirinale, emulsione su
tavola, cm. 35x59, 1948, collezione
dell’artista.
(17) Diversamente dalla strada
scelta dai suoi amici e compagni di
scuola Dorazio, Manisco, Perilli e
Guerrini che fin dai tempi del Liceo
Giulio Cesare avevano cominciato
ad organizzare mostre insieme.
P4809 (cat.rag.)
P4813, P4812, P4828
Il figlio di Bragaglia, olio su tela, cm.
50x30, 1948, collezione dell’artista.
21
Capri IV, olio su cartone, cm. 25x19,
1948, collezione dell’artista.
successivamente alterati alla ricerca di una resa sintetica che vada
oltre la semplice somiglianza con il soggetto.
Queste prime opere vengono esposte in una personale alla
Galleria Margherita18 di Roma nel giugno del ‘48. La mostra è
presentata da Valerio Mariani che commenta così i quadri in
un articolo: “I suoi studi di Capri,19 piuttosto che spingerlo verso
il piacevole, o il documentario, l’hanno fatto concentrare nella
ricerca di una tavolozza di pochi impasti: e nella resa pittorica
a larghe stesure egli è già personale e promettente. Non è forse
22
(18) La Margherita fu fondata da
Irene Brin e Gasparo del Corso nel
1944 con il sostegno di Federico
Valli che se ne occuperà
personalmente a partire dal 1946
quando i primi due fondano la
Galleria dell’Obelisco.
(19) Capri II (P4816), Capri III
(P4817), Capri IV (P4818), Capri V
(P4819, cat. rag.).
(20) Valerio Mariani, La fiera
letteraria, 13 giugno 1948. Questo
stesso settimanale pubblicava
frequentemente dei disegni di Vanni.
(21) Di questa esposizione lo
colpisce anche la modernità
dell’allestimento, disegnato da Carlo
Scarpa.
(22) Esperienza che sarà comunque
significativa per la frequentazione
dei corsi di Pier Luigi Nervi.
Parallelamente
stava anche
seguendo i corsi di Lionello Venturi
all’Università di Roma.
(23) A questo faranno seguito altri
due periodi: il primo dopo
l’Olanda, dall’estate del ‘50 alla
primavera del ‘52 e il secondo dopo
gli studi in America dall’autunno
del ‘53 alla fine del ‘59.
(24) Villon eserciterà una marcata
influenza su Vanni, specie dopo i
suoi studi con Albers che ne
stimava le doti di colorista.
sintomatico che, in quell’orgia coloristica dell’Isola incantata
egli sia andato a cacciarsi nelle anfrattuosità delle rocce
scegliendosi quattro arbusti quasi africani e quei grandi sassi
che sembrano mostri marini, per trarne un insegnamento di
severità pittorica?”20
Malgrado questa esperienza gratificante, il bisogno di Vanni di
ampliare il suo orizzonte si fa sempre più marcato, la voglia di
vedere dal vero i quadri dei grandi maestri contemporanei
diventa impellente dopo aver visto la mostra di Klee alla biennale
del ‘48.21 Nell’incontro con Cagli, da poco tornato a Roma, in
occasione della mostra del Maestro all’Obelisco nell’ottobre
dello stesso anno, trova conferma dell’importanza di vedere
quello che succede fuori dell’Italia di prima persona. Alla fine
del ‘48 decide di abbandonare gli studi alla facoltà di
architettura dove era iscritto,22 partire da Roma e andare a Parigi
per ripercorrere visualmente ed empiricamente, nell’ambiente
dove era maturata, la storia dell’arte degli ultimi cinquant’anni.
Il suo primo soggiorno francese23 è caratterizzato dallo studio
dell’arte contemporanea, affiancato dalla sperimentazione sulla
tela dei temi che lo interessano maggiormente.
La vita stessa a Parigi è già di per sè tutta una scoperta, con i suoi
musei ricchi di arte moderna, le tante gallerie d’avanguardia, o
semplicemente le strade e i caffè animati da un ambiente
cosmopolita di artisti ed intellettuali con cui si allacciano amicizie
e si discute in un clima aperto a qualsiasi novità. L’eccezionale
fermento culturale che distingue questa città negli anni del primo
dopoguerra gli sarà prezioso nell’apporto di quella libertà di
pensiero ed autonomia creativa che gli saranno proprie.
Il mondo artistico è caratterizzato dalla forte presenza dei maestri
storici, Picasso, Braque, Léger, Matisse, Chagall, che continuano
ad essere un punto di riferimento per le nuove ricerche. Il
movimento dei surrealisti è presente con una intensa attività
pubblicistica ed espositiva. È ancora vivo il grande interesse
che ha suscitato, durante l’occupazione, il mondo figurativo di
Pierre Bonnard e Jacques Villon24 e sono molto attivi i pittori
23
più giovani che si sono ispirati a loro come Bazaine, Lapique,
Gischia, Manessier. Gli artisti delle nuove e nuovissime
generazioni provenienti da tutto il mondo, come i loro
predecessori, vengono accolti da un clima artistico che non li
emargina come stranieri ma li assorbe nella ricerca comune
come era avvenuto negli anni venti con l’Ecole de Paris. È
indubbio che “...la fecondità straordinaria di questo periodo pare
essere fondata, innanzitutto, sulla comunità artistica
internazionale che vive a Parigi.”25 E che gli artisti di tutti i paesi
che arrivano qui “...sono attirati dall’insieme di mille e una
avventure artistiche possibili che li aspettano.”26
Così è anche per Vanni, che vive ogni giorno con trasporto,
annotando su un diario tutte le sue esperienze: “Svoltare a un
crocevia in una direzione più che in un’altra ha tutto l’eccitante
dell’avventura - che cose meravigliose si scoprono.” Visita la
mostra di Gischia e Singier alla Galerie Billiet-Caputo e quella
di Miró alla Galerie Maeght annotando: “Belli i Gischia, semplici
forme; ricercati di materia i Singier; Mirò - quadri e ceramiche ambedue di materia particolare: macchie di colore e soluzioni
grafiche, composizione frontale, bidimensionale.” Frequenta
le riunioni da Nina Kandinsky il giovedì per il tè. Conosce
Sartre e Camus al caffé Flore che gli chiedono della situazione
in Italia, ritrova Carlo Levi che gli era stato presentato da Cagli
a Roma. Fa amicizia con il gruppo degli artisti italiani: Magnelli,
Bertini, Savelli, Minguzzi, Franchina e Righetti con cui spartisce
lo studio. Del suo incontro con Severini scrive: “...si commosse
quando alla festa della Campolonghi gli raccontai di Fulvia e
della madre.27 È bello, qui, che gli arrivati siano fratelli più
grandi degli artisti giovani. Non c’è parola ostile ma spirito
d’aiuto per la missione comune. Missione di creare il bello ed
indicarlo a epoca che ha perso la facoltà di vederlo.” 28
Dai suoi appunti si percepisce l’entusiasmo, la voglia di conoscere,
imparare e sperimentare. Il risultato di questo soggiorno non
risiede tanto nei molti quaderni che riempie di disegni quanto
nella emancipazione da modi esclusivamente italiani. Il contatto
con l’ambiente internazionale parigino, dove la convivenza di
24
(25) “Paris-chemins de l’art et de
la vie -1937-1957” di Germain
Viatte, in Paris-Paris 1937-1957,
Centre Georges PompidouGallimard, Paris 1992, p. 48.
(26) “L’ecole de Paris: éléments
d’une enquête” di Laure de BuzonVallet, in Paris-Paris 1937-1957,
Centre
Georges
PompidouGallimard, Paris 1992, p. 379 (riporta
Herta Wescher, in Cimaise, gen.-feb.
1956, p. 16).
(27) Fulvia Casella, figlia del
Maestro e sua madre Yvonne Casella,
nota pianista.
(28) Diario personale di Gian Berto
Vanni (1948).
(29) Diario personale di Gian Berto
Vanni (1948).
(30) “Les jeunes peintres de tradition
française” di Sarah Wilson, in ParisParis 1937-1957, Centre Georges
Pompidou-Gallimard, Paris 1992, p.
172 (riporta Léon Gischia, in Les
problèmes de la peinture, Paris, éd.
Confluences, 1945, pp.137-147).
(31) I principali erano: Bazaine,
Estève, Gischia, Lapicque, Pignon e
i più giovani Le Moal, Manessier,
Robin, Singier.
(32) Le due gallerie rappresentavano
la stessa tendenza e si riuniranno in
una sola nel ‘51.
(33) Oltre alle mostre della Galerie
de France e Billiet-Caputo, Vanni
ne ricorda alcune altre viste in quel
periodo: Hans Hofmann, e più
tardi i Premiers Maîtres de l’art
abstrait da Maeght; Hartung,
Schneider, Soulages da Lidya
Conti; Kandinsky, e poi Georges
Mathieu, e ancora Max Ernst, alla
Galerie René Drouin.
differenze artistiche e culturali contribuisce ad un arricchimento
continuo, sarà per lui una scoperta liberatoria. Questa esperienza,
nella graduale presa di possesso delle proprie capacità, gli
confermerà la necessità di seguire una ricerca non necessariamente
basata su una tradizione nazionale specifica. D’ora in avanti
Vanni non si sentirà più legato a una situazione culturale in
particolare. Nel suo diario annota: “...la divisione delle frontiere
è il maggiore ostacolo alla libertà mentale di qualsiasi artista.” 29
A Parigi si convince dell’inutilità del concetto di nazionalità e
della grande importanza di un confronto e di uno scambio del
proprio bagaglio culturale con altri. Trova conferma che il suo
rifiuto dell’accademia non è incompatibile con il suo interesse per
la tradizione in quanto sostiene Gischia, un artista di cui ammira
i quadri, per il quale “...non bisogna confondere tradizione e
accademismo. L’accademismo è una tradizione cristallizzata,
cioè una cosa morta, mentre la vera tradizione è una cosa viva
e dunque in perpetuo divenire.” Tradizione che “...non consiste
nella sottomissione a delle forme che hanno avuto un giorno la
loro ragione di essere ma nella volontà di ritrovare e di perpetuare
lo spirito che le ha ispirate.”30
Il gruppo di artisti di cui faceva parte Gischia, i Jeunes peintres
de tradition française,31 interessano Vanni in maniera particolare.
Questi avevano poco tempo prima conosciuto un successo
notevole. Erano allora ben più importanti di quanto ci possa
sembrare oggi e parevano offrire alternative altrettanto vivaci e
possibili di sviluppo di quelle che si sono poi affermate. Vanni
frequenta assiduamente la Galerie Billiet-Caputo e la Galerie
de France32 che espone i principali artisti del movimento i quali,
malgrado la sua dissoluzione nel ‘47, portano avanti la ricerca
individualmente. In una esplosione di possibilità figurative che
si apre davanti a lui,33 in una Parigi dove convivono le mostre dei
surrealisti, astratti geometrici rigorosi, i primi espressionisti
astratti, Vanni si riconosce nell’intenzione dei Jeunes peintres di
mantenere il contatto con la tradizione e la natura pur
indirizzandosi decisamente verso la non-rappresentatività. È
interessato a questa strada che lui vorrà però ripercorrere
25
autonomamente, senza appropriarsi di soluzioni sviluppate da
altri ed arrivarci con suoi tempi e modi. Per questo lo interessa
poco il Salon des Réalitès Nouvelles34 dove è stato compiuto un
salto categorico dogmatico che per Vanni manca d’interesse tanto
quanto il dogmatismo figurativo in chiave antiastratta. E alla
stessa maniera, malgrado ne segua gli sviluppi, non sposa la
corrente informale che sta sviluppandosi a Parigi e non cerca
contatti col CoBrA quando va ad Amsterdam. Si tratta di scoperte
che, se devono avvenire, avverranno quando lui sarà pronto a
farle sue. Fin dall’inizio non è interessato ad inseguire
l’attualità, infatti, nel suo diario, scrive “...Uscito dalla corrente.
La corrente aiuta, ma non è per me. Loro navigano già lontano.
Ma chi sa se la corrente li porterà dove avrebbero preferito
andare?” 35 Questo atteggiamento spiega perchè certe sue
esperienze arriveranno in differita rispetto alla ricerca
sviluppata intorno a lui, ma anche perchè, lavorando a stretto
contatto con grandi maestri come Albers o Picasso, non si sposti
significativamente dalla strada che sta seguendo. Per lui
l’influenza avviene attraverso un metodo creativo, una tecnica
di ricerca, un’etica dell’arte da emulare, non in delle regole cui
sottoscrivere.
Le affinità di pensiero con Gischia, Bazaine, Manessier, Lapique,
sono molto più importanti che le occasionali similitudini stilistiche
che si possono riscontrare nelle opere che Vanni dipinge in quel
periodo. È interessante riportare alcuni concetti che questi
artisti propugnavano allora e che troveranno riscontro anche
nei periodi successivi dell’opera di Vanni. Il critico Bernard
Dorival, in un libro di pochi anni dopo, cita Bazaine che,
mobilitato, passa la drole de guerre36 a studiare e disegnare la
natura e ritiene che spetti “...al pittore di captare e di tradurvi i
ritmi segreti e fondamentali: a lui d’imparare la geometria
interiore delle forme dalla quale confessa essere stimolato più che
dalla loro apparenza.” 37 E ancora Bazaine: “L’oggetto deve
scomparire come oggetto per giustificarsi come forma.” 38 “La
vera sensibilità comincia quando il pittore scopre che il
movimento dell’albero e la scorza dell’acqua sono parenti.”39 E
26
(34) Il Salon des Réalitès Nouvelles
era nato nel 1946 come associazione
che si proponeva “l’organizzazione
in Francia ed all’estero di mostre di
opere
d’arte
comunemente
chiamate: arte concreta, arte non
figurativa od arte astratta, ovvero di
un arte completamente slegata dalla
visione diretta e dall’interpretazione
della natura.” (“Vous avez dit
géometrique? Le Salon des Réalités
nouvelles 1946-1957” di Dominique
Viéville, in Paris-Paris 1937-1957,
Centre
Georges
PompidouGallimard, Paris 1992, p. 407, riporta
il primo articolo dello statuto
deposto nel 1946).
(35) Diario personale di Gian Berto
Vanni (1950-1952).
(36) Il periodo della seconda guerra
mondiale che va dalla dichiarazione
di guerra della Francia alla
Germania nel settembre del ‘39
all’invasione tedesca nel maggio del
‘40, in cui le due armate si sono
fronteggiate sul confine senza
entrare in conflitto.
Questa
situazione anomala ha valso a questa
fase della guerra in Francia il termine
di drole de guerre.
(37) Bernard Dorival, Les peintres du
XXe siecle, Vol. II, Editions Pierre
Tisné, Paris 1957, p. 84.
(38) Marcel Brion, Art abstrait,
Editions Albin Michel, Paris 1956, p.
253 (riporta Jean Bazaine in Notes sur
la peinture d’aujourd’hui, Parigi 1948).
(39) Marcel Brion, Art abstrait,
Editions Albin Michel, Paris 1956, p.
254 (riporta Jean Bazaine in Notes sur
la peinture d’aujourd’hui, Parigi 1948).
Testa, olio su tavola, cm. 49x45,
1949, collezione dell’artista (P4916
cat. rag.).
(40) Bernard Dorival, Les peintres du
XXe siecle, Vol. II, Editions Pierre
Tisné, Paris 1957, p. 95.
(41) Gaston Diehl, La peinture
francaise dans les années noires 19351945, Z’editions, Paris 1999, p. 97
(riporta una lettera di Manessier del
17 giugno 1946).
che “...tutta l’arte è astrazione...” e che anche nell’arte astratta
“...le forme del quadro, per poco figurative che siano, bisogna
che per forza, passando attraverso di noi, uscendo da noi,
vengano da qualche parte.”40 E Manessier: “Si tratta di mettere
a nudo, attraverso mezzi autenticamente plastici, le equivalenze
spirituali del mondo esterno e di un mondo più interno, e
rendere queste corrispondenze intelligibili per trasposizioni e
trasmutazioni.”41 L’impostazione della ricerca in questi termini
libera Vanni dalla problematica scelta di campo astratto-figurativo.
Pur essendo fermamente orientato verso la non-rappresentatività
non si pone come fine ultimo l’eliminazione di qualsiasi schema
di derivazione figurativa. Infatti anche nel periodo dove le sue
opere si separeranno maggiormente da una evocazione della
natura, nella seconda metà degli anni cinquanta, non
27
Chitarra, tempera all’uovo su tela,
cm. 60x45, 1949, collezione dell’artista
(P4922 cat. rag.).
l’abbandoneranno mai come riferimento strutturale.
Come molti artisti a quell’epoca Vanni è soggetto alla difficoltà
provocata dalla soggezione per il mondo creativo di Picasso
che “...pareva avere detto tutto quello che c’era da dire.” 42
I Jeunes peintres lo interessano per la capacità che avevano
dimostrato di integrare cubismo e postimpressionismo. Quello
che “...sembrava una impossibile opposizione, Bonnard,
Picasso, per esempio, si è ritrovato complementare.”43 La scoperta
di Bonnard attraverso cui il colore si fa movimento per
28
(42) Valentina Puccioni, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, ottobre
2000.
(43) Bernard Dorival, Les peintres du
XXe siecle, Vol. II, Editions Pierre
Tisné, Paris 1957, p. 81.
Composizione, olio su tela, cm. 70x50,
1949, disperso (P4925).
(44) Bernard Dorival, Les peintres du
XXe siecle, Vol. II, Editions Pierre
Tisné, Paris 1957, p. 87.
“...quell’audacia con la quale, senza aver l’aria di toccarla,
drenava, per così dire, in ciascuna delle sue tele, il flusso stesso
della vita”44 si rivelerà importante per Vanni e ritornerà più
tardi. Picasso, Braques, Cézanne, Bonnard, Matisse, erano stati
assimilati con il rispetto per l’intelligenza dei maestri con i quali
vogliono conciliare le loro scoperte per farne la base di partenza
verso una sensibilità ulteriore.
29
La scelta dei Jeunes peintres di imparare da tutti senza effettuare
rotture clamorose con il passato si addice bene alla scelta
evolutiva di Vanni che sta sviluppandosi nella stessa maniera.
La sua sperimentazione pittorica si estenderà nelle direzioni
più disparate, a provare in accelerato su di sé quello che era
successo storicamente nelle ricerche dei maestri citati ma anche
di altri come Rouault, Modigliani, senza cercare di orientarsi
prematuramente, considerando questo tirocinio come il suo vero
lavoro scolastico.45 Con questo spirito studia le opere su cartone
di Toulouse-Lautrec46 esposte allora al Museé du Jeu de Paumes.
Qui, dal vero, apprezza come l’artista si fosse servito del colore
del cartone su cui dipingeva le sue tempere o i suoi pastelli per
indicare il valore medio fra i chiari e gli scuri, fornendo il tessuto
connettivo a creare la forma. Paragona l’uso di questa tecnica,
che il Maestro riduceva all’essenziale con due toni espressi da
una pennellata chiara e una scura, con quelle delle tempere
all’uovo gotiche, studiate in Italia, ove il verde forniva il colore
base del corpo, che poi terra di siena e bianchetto modificavano.
Esegue una serie di studi dove il valore relativo del fondo
determina il grado di luminosità, o il tono-colore, dell’insieme.47
La sperimentazione a tutto campo produce esperienze per il
momento didattiche e transitorie ma che poi riaffioreranno alla
superficie nell’eclettismo del suo lavoro della maturità.
Durante i quattro anni successivi, che costituiscono il periodo
fondamentale della sua formazione, Vanni continuerà ad
alternare lo studio teorico con la sperimentazione pratica. Infatti
quanto aveva acquisito nel dibattito con altri artisti e nella
frequentazione delle mostre parigine, verrà elaborato durante
lunghi periodi trascorsi a disegnare e dipingere dal vero.
Questo avviene soprattutto in Olanda dove vive dal novembre
del ‘49 al luglio del ‘50 con una borsa di studio offerta dal
governo olandese 48 e dove ritornerà spesso più tardi per
rimettere alla prova le ricerche che andava facendo nel suo
studio a Parigi. In Olanda acquisisce molti dei temi e modi che
saranno i cardini della sua pittura dal punto di vista concettuale
e da quello tecnico e iconologico.
30
(45) D’altronde la sua idea della
scuola era, allora come ora, che “il
suo vero scopo è di insegnare non
quale pagina girare ma come girarla,
non quale libro leggere, ma come
leggerlo.” (Valentina Puccioni,
Intervista a Gian Berto Vanni, New
York, ottobre 2000.)
(46) Uno dei motivi che lo aveva
portato a studiarle con attenzione era
l’influenza che Toulouse-Lautrec
aveva avuto su alcune opere del
giovane Picasso.
(47) Questo modo, utilizzato
ancora oggi da Vanni, riappare
periodicamente nel suo lavoro,
alternandosi al modo fiammingo di
un progressivo scurimento partendo
dal bianco.
(48) La stessa borsa di studio era
stata assegnata l’anno prima a Lucio
Manisco.
Maria Stella, tempera all’uovo su
tavola, cm. 50x50, 1949, collezione
dell’artista (P4926 cat. rag.).
31
Durante il suo soggiorno ad Amsterdam si lega di grande
amicizia con Corinna Van Schendel, figlia del famoso scrittore
olandese Arthur Van Schendel, e sorella del direttore del
Rijksmuseum. Questi l’anno prima era stato impegnato nel
restauro della Ronda di notte di Rembrandt e lo invita a vedere
come il risultato era stato ottenuto. Lì Vanni ha la possibilità di
perfezionare le sue conoscenze pittoriche imparando dai
restauratori del museo le tecniche dei maestri olandesi, specie nel
campo delle vernici e delle velature.
L’occasione per un altro incontro importante gli viene fornita
da una lettera di presentazione di Benedetta Marinetti 49 per
Vordemberge-Gildewart, di cui comincia a frequentare
assiduamente lo studio portandogli quadri e disegni su cui sta
lavorando. Il Maestro insiste sull’importanza di usare solamente
una semplice, unica linea, scontornante a descrivere il soggetto.
È una indicazione che porta Vanni ad una consequenza
inaspettata: esegue una serie di opere in cui utilizza quattro linee
di colore diverso per disegnare la stessa forma in una serie di
disegni di cavalli. Malgrado l’apparente contraddizione con
l’insegnamento di Vordemberge-Gildewart si tratta di uno
sviluppo di quel concetto, perchè queste linee non esprimono
l’incertezza del disegno, ma variazioni in cui ognuna
rappresenta un aspetto della realtà ritratta.50
La collezione dello Stedelijk Museum, diretto da Peter Sandberg,
amico degli Schendel, gli permette di confrontare le sue ricerche
pittoriche con quelle di maestri che avevano già affrontato quei
temi. Studia in particolare la direzione delle pennellate nei
paesaggi di Van Gogh nella loro relazione con l’orientamento
del vento sulle erbe alte e l’intensità di colore dei quadri di
Odilon Redon. Attraverso lo studio dell’arte della Melanesia,
custodita al Tropische Museum, riscopre l’opera di Klee, artista
per cui proverà sempre una grande affinità. È particolarmente
interessato di come nelle sue composizioni l’attenzione si alterni
dall’insieme al dettaglio. All’esperienza diretta delle opere fa
seguire la sperimentazione nel lavoro che sta facendo. Nei suoi
studi dal vero eseguiti nella campagna olandese, specie a
32
(49) Quando partì per Amsterdam
Benedetta Marinetti gli diede varie
lettere di presentazione per i loro
amici nel mondo dell’arte.
(50) Nel corso della sua opera Vanni
svilupperà il tema di rappresentare
la stessa forma in molteplici
variazioni.
Vinkeveense Plassen, olio su tela,
cm. 35x100, 1950, disperso.
P5024 (cat. rag.), P5025 (cat. rag.)
(51) Soprattutto Lanfranco Virgili,
che parteciperà più tardi al
progetto per l’Ospedale di Venezia.
(52) César e Virgili avevano anche
organizzato l’occupazione delle
case di tolleranza da parte degli
studenti dei Beaux Arts subito dopo
l’emanazione della legge che ne
sanciva la chiusura, per impedire
la speculazione edilizia. Lì Vanni
spartì la camera con César per un
mese.
(53) Diario personale di Gian Berto
Vanni (1950-1952).
Vinkeveense Plassen, Vanni raggiunge quelli che considera i
primi veri risultati di una formulazione personale. In
Vinkeveense Plassen e Vinkeveen notte, infatti, riesce a fondere le
sue esperienze precedenti con le influenze degli studi effettuati
in Olanda, raggiungendo una sua propria sintesi. Risulta
evidente come uno degli aspetti fondamentali dell’approccio
di Vanni allo studio dell’opera di altri artisti, passi attraverso
l’esperienza personale del processo che li ha portati a farlo. Per
gli stessi motivi il trascorrere lunghi periodi di lavoro in questo
o quel paese non nasce dal bisogno di sposare movimenti lì attivi,
ma di rivivere personalmente gli stimoli che gli hanno preparato
la strada.
Dopo l’esperienza olandese Vanni fa ritorno a Parigi, che durante
quell’anno non era molto cambiata, e stringe amicizia con un
gruppo di giovani architetti legati a Le Corbusier.51 A loro si
unisce Luigi Boille, che ha raggiunto Vanni a Parigi dopo essersi
laureato in architettura a Roma. Instancabile animatore del
gruppo era César, più anziano e conosciuto allora più per gli
scherzi che organizzava mettendo a soqquadro il quartiere dove
tutti loro abitavano, Saint-Germain-des-Prés, che come lo
scultore che si sarebbe rivelato più tardi.52 Vanni partecipa a
questa atmosfera ludica, la vie de bohème, e dipinge freneticamente.
Sono anni entusiasmanti ma difficili economicamente. Infatti
nel suo diario53 si trovano frequentemente passaggi del tipo:
“26 dicembre ‘50 - Non ho mangiato e pure stasera salterò. Non
33
Studio per “Eclisse” I, inchiostri su
cartone, mm. 270x370, 1951, collezione
dell’artista.
Studio per “Eclisse” II, matita su carta,
mm. 150x250, 1951, collezione
dell’artista.
ho più tele e non so come procurarmene.” Dopo un altro giorno
di completo digiuno, risolve il problema della tela: “28 dicembre
‘50 - Distrutto il quadro dell’uomo olandese e preparato per
ridipingerci su.” Ma due giorni dopo: “Avendo comprato il
petrolio per il fornello, sono rimasto con duecento franchi. 54
Temo che fra poco dovrò comprare il bianco, oppure radiarlo
dalla mia tavolozza. Ma allora dovrò lavorare a velatura, e non
ho l’olio di lino. Il fornello funziona! Da oggi cucina in casa.”
Che poi era una stanza d’albergo con una carta da parati
34
(54) Si tratta di Ancient Francs che
dopo il cambio della moneta
diverranno due Nouveaux Francs.
Eclisse III, olio su tela, cm. 89x116,
1951, disperso.
P5105 (cat. rag.), D5104
D5105
marrone che lo infastidisce perchè interferisce con il colore dei
quadri. Questi eventi, a parte il problema di procurarsi tele e
colori, non influiscono sulla sua pittura. In tutta la sua opera
non troviamo mai niente di autobiografico, che riveli difficoltà
pratiche o momenti difficili. Le sue esperienze gli servono alla
crescita personale e a sviluppare una filosofia della vita che poi
si manifesterà nei quadri, ma non incidono mai direttamente
negli stati d’animo espressi dalle opere.
I quadri di questo periodo cominciano a testimoniare una ricerca
più personale con dei tentativi di rappresentare lo spazio attraverso
una griglia prismatica che lo strutturi. Se ne possono vedere le
tracce in Eclisse III, nei suoi studi preparatori (Studio per “Eclisse”
I, Studio per “Eclisse” II) e in numerosi disegni di quel momento.
L’influenza picassiana è ancora presente come si nota nelle
35
figure sedute. Vanni ne sente il pericolo e vuole superarlo.
Contemporaneamente si fa strada un altro tema, del quadro a
riquadri, dove ogni elemento ha una sua propria struttura.
Nasce dall’osservazione di Vanni della vita nell’albergo di fronte
di cui vede le finestre che illustrano la vita nelle varie stanze:
“Tutto l’albergo è un palcoscenico verticale a riquadri, e la visione
totale di cui i personaggi sono inconsapevoli, si organizza in
un quadro maggiore le cui parti esercitano funzioni discordanti
ma armoniche di una vita comune.”55 Aveva già utilizzato più
volte il soggetto della finestra per portare nel quadro elementi
esterni, ma qui il tema è un altro. Si tratta della contemporaneità
di molti quadri diversi che per quanto discordanti possono
essere accomunati da una logica esterna ad essi. Curiosamente
non lo svilupperà allora, ma diventerà, a partire dalla metà
degli anni sessanta, uno dei temi fondamentali della sua
figurazione.
La vita continua così per un anno, tra nottate passate a dipingere,
incontri con gli amici, nuove scoperte e progetti di quadri.
I problemi finanziari si alleviano periodicamente, quando Vanni
vende dei disegni o fa delle illustrazioni per delle riviste. Di
tanto in tanto il suo amico Giulio Gianini,56 che gira documentari
sull’arte, lo chiama in Italia per collaborare come assistente alla
fotografia e consulente sul colore. Si tratta di produzioni che
approfondiscono temi molto specifici.57 La ripresa sulle miniature
gotiche francesi gli rimarrà particolarmente impressa. Gianini
aveva modificato la macchina da ripresa per poter ingrandire le
miniature eseguendo delle microcarrellate che ne esplorassero i
più minuti dettagli. Questo riporta Vanni al mondo, già osservato
al microscopio, dell’infinitamente piccolo che qui ritorna in un
contesto artistico, e che avrà una così grande importanza negli
sviluppi della sua pittura. Un’altra scoperta legata alla
realizzazione di quel documentario sarà significativa. Infatti
attraverso le miniature del gotico francese si rende conto delle
possibilità espressive di forme considerate riduttivamente
decorative. Ne studia la tessitura del fondo, in rapporto di
complementarietà con il personaggio, che viene elaborata in
36
(55) Diario personale di Gian Berto
Vanni (1950-1952).
(56) Giulio Gianini, amico di Vanni
fin dalla prima infanzia, ha
cominciato
la carriera
cinematografica come operatore,
specializzandosi presto nel
documentario d’arte. È conosciuto
per i disegni animati creati con
Emanuele Luzzati che gli hanno
valso due volte la nomination per
l’Oscar e importanti riconoscimenti
internazionali fra cui il gran premio
della giuria al Festival di
animazione di Annecy.
(57) Quelli sulla Bibbia di Borso
d’Este di Valerio Zurlini e sulla
Storia del teatro di Michele Gandin
sono i più importanti.
Lacustre II, olio su tela, cm. 72x72,
1951, collezione dell’artista.
forme geometriche, la cui espressività è assicurata dalla fattura
non meccanica. A partire da questo momento il suo interesse
si estende a tutte le forme di arte preclassica dove le geometrie
ornamentali sono eseguite a mano libera, come nelle ceramiche
cretesi, e si ricollega all’interesse per le pitture su scorze d’albero
della Melanesia.
(58)
I polder sono terreni,
alluvionali e lacustri, situati sotto il
livello del mare e sottratti ad esso con
dighe e argini, poi bonificati e
coltivati. Questo fa sì che siano
inframmezzati da canali e laghetti
artificiali, creando un paesaggio dove
l’elemento acquatico è sempre
presente.
Nel maggio del ‘51 Vanni ritorna a Vinkeveense Plassen, dove
affitta una capanna su un piccolo lago tra i polder 58 della
campagna olandese, per passarvi un mese a lavorare dal vero.
Attraverso la serie di paesaggi che dipinge qui raggiunge delle
sintesi che forniscono i primi schemi compositivi alle sue
astrazioni. Fra questi, in particolare, l’uso dell’infinitamente
piccolo e il susseguirsi dei riflessi come ripetizione traslata
dell’immagine precedente.
In lui era ancora vivo il ricordo di una descrizione che, di quella
37
campagna, aveva fatto il professor Cerletti, il migliore amico
di suo padre. “Per vedere il cielo”, aveva detto, “bisogna andare
in Olanda, dove il paesaggio è fatto per un decimo di terra e
nove decimi di acqua e di aria. E dove i colori mutano
continuamente nei riflessi dell’acqua tra i polder.” E ancora
aveva parlato della precisione della linea d’orizzonte, e di come
i colori, dove il sole è velato, si vedessero meglio. Questo
paesaggio, proprio perchè composto per metà di cielo e per metà
di lago, lo costringe a concentrare l’attenzione su quella linea
d’orizzonte, che coincide con il villaggio, al centro del quale svetta
la guglia del campanile59 che arresta la scansione orizzontale
dell’occhio. Partendo da questa osservazione elabora dei quadri
nei quali, contrariamente alla tradizione, il centro di interesse
non è il primo piano o una forma che assume uno spazio
preponderante nella composizione, ma tutto quello che è al limite
38
Erba sul canale, olio su tela, cm.
50x70, 1951, collezione dell’artista.
(59) Il tema del campanile ritorna
poi, astratto, nelle città galleggianti
dei quadri del ‘57-’59.
P5119 (cat. rag.)
(60) All’interno di questa forma se
ne svilupperanno altre tanto più
cariche di informazione quanto più
sono minute, come nel villaggio
all’orizzonte, riportando gli studi
sulle composizioni di Klee, le
miniature gotiche e il microscopio.
P5118
del visibile (Lacustre II). Inoltre, il riflesso perfetto del villaggio
nell’acqua crea una forma speculare che permette di astrarre
l’oggetto-villaggio da qualsiasi riferimento realistico, spostando
l’interesse a questa nuova entità simmetrica, che funge da
confine tra cielo e terra. Vanni individua in questa una forma
indipendente,60 che mantiene il suo vigore espressivo anche se
viene cambiata di orientazione eliminando così molti dei
riferimenti al paesaggio che la determina.
Compare qui il tema del confine, a cui Vanni ha continuato ad
attribuire la massima importanza espressiva, sviluppandolo
fino ai quadri più recenti. Confine che viene inteso come limite,
punto di incontro, dove gli spazi circostanti servono a
sottolinearne l’importanza (Orizzonti multipli).
Negli studi dal vero eseguiti a Vinkeveense Plassen Vanni analizza
un altro fenomeno che gli suggerisce soluzioni per la scansione
prismatica che sta sviluppando nella concezione spaziale dei
quadri. Le isole che costellavano il lago erano fatte di torba che
veniva tagliata via a grandi fette da macchine specializzate
nell’estrazione del combustibile. A poco a poco la terra si
segmentava, lasciando spazio all’acqua in una serie di canali.
Studio per “Trasformazioni prismatiche”
II, inchiostro su carta, mm. 330x460,
1952, collezione dell’artista.
39
Il paesaggio si andava così trasformando: si veniva a creare una
stratificazione tra l’acqua del lago, le strisce di terra e il loro riflesso
nell’acqua. Tutti questi elementi si alternavano in bande parallele
con ritmi scanditi ma continui (Erba sul canale, Riflessi II).
Le scoperte compositive raggiunte attraverso le osservazioni nella
campagna olandese si erano esclusivamente applicate ad una
elaborazione di elementi del paesaggio, trasposti in uno spazio
mentale diverso. A Parigi studia le stesse trasposizioni in rapporto
alla figura umana, il che comporterà alcuni passi indietro rispetto
ai risultati ottenuti in Olanda, dove un gruppo di opere aveva
trovato una coerenza rigorosa. Vanni applica a corpi e visi una
progressione di trasformazioni prismatiche attraverso griglie di
linee verticali parallele che sotto l’influenza di una forza esterna
si vanno via via deformando condizionando l’immagine di
partenza (Studio per “Trasformazioni prismatiche” I, Studio per
“Trasformazioni prismatiche” II, Trasformazioni prismatiche II).61
È questo gruppo di opere che interessa principalmente Josef
Albers e che fa sì che questi lo inviti a frequentare i suoi corsi
all’Università di Yale nel ‘52, 62 assegnandogli la borsa
Smithmundt, che si aggiunge alla borsa Fullbright che aveva
vinto per andare a studiare in America. Qui Vanni trova il vero
Maestro, i cui insegnamenti segnano in modo definitivo
l’orientamento che il suo lavoro prenderà da allora in poi.
Vanni non ha scelto subito l’astrazione come la soluzione visiva
di certe esigenze intellettuali, ma ci è arrivato alla fine di un lungo
periodo di analisi, dove ogni tappa è stata vissuta intensamente.
Gli insegnamenti di Albers arrivano al momento giusto, quando
Vanni è pronto a slegare le sue composizioni da vincoli
rappresentativi. Il Maestro, che ritiene che un’opera d’arte deve
essere concepita come formulazione piuttosto che espressione di un
sentimento, capisce e condivide l’esigenza che ha Vanni di fare scaturire
la sua ricerca da un processo intellettuale volto a determinarne la
logica. Albers non era infatti solamente il grande teorico della
pittura e del colore che si ritrova nei suoi scritti, ma aveva anche
una eccezionale capacità di scandagliare a fondo le potenzialità
di un quadro e suggerire la strada adatta per esprimerle
40
P5116 (cat. rag.), P5121
G5205, G5206
P5206 (cat. rag.)
(61) Restano di quel periodo soltanto
dei disegni, perché l’insieme degli
olii, una ventina, venne rubato
mentre erano depositati a Roma.
(62) Josef Albers, dopo l’esperienza
del Black Mountain College, era
stato invitato a dirigere il
dipartimento di arte della Università
di Yale, a New Haven, nel
Connecticut. Deciso a controllarne
fermamente
l’orientamento,
sceglieva personalmente i dieci
studenti ammessi al corso ogni anno.
(63) Corsi che Vanni insegnerà a sua
volta alla Cooper Union di New York
trent’anni dopo. Malgrado alcune
variazioni personali, ritiene che
ancora oggi il sistema ideato da
Albers per dare allo studente il senso
del colore rimanga il migliore.
(64) Tutti gli studenti partecipavano
alla costruzione di cupole
geodesiche di cartone, sulle quali
venivano posti oggetti pesantissimi
per comprovarne la forza. Fra questi
una cadillac di uno studente che
durante un violento acquazzone
rovinò a terra perche la colla che
teneva insieme la struttura si era
sciolta.
pienamente. Con le sue analisi lo aiuta sia ad affinare questa logica
che a distillare il mondo che essa crea. I suoi corsi sull’interazione
del colore63 e di disegno, sviluppati durante il suo insegnamento
al Bauhaus, forniranno a Vanni ulteriori mezzi espressivi.
Una delle idee espresse da Albers gli rimarrà particolarmente
impressa. Criticando il quadro di uno studente che trovava fosse
incoerente aveva detto: ”Un quadro è come una danza, se
cominci con un passo di valzer devi continuare così attraverso
tutto il quadro.” Questa frase aveva dato molto da pensare a
Vanni, stimolandolo però in senso opposto. È infatti allora che
inizia ad interessarsi ad un cambiamento di ritmo nel quadro,
pur capendo il bisogno di coerenza espresso dal Maestro.
Ma Vanni si rende conto che una contraddizione ed una
interruzione, se inserite in un sistema cosciente della
contraddizione e della interruzione, producono esse stesse quella
continuità coerente cui Albers faceva allusione.
Quel periodo è anche ricco di momenti indimenticabili, come
le serate passate col Maestro che invitava Vanni a cena, per la
simpatia che provava per questo giovane pittore, europeo come
lui, in mezzo ad un mondo americano. Gli parlava di ricordi
ancora recenti, come di quando, a cena con Kandinsky e Klee,
discutevano dell’impossibilità di immaginare una astrazione
di spazio-colore eliminando dall’occhio della mente qualsiasi
altro colore o tono di riferimento. O dell’ammirazione che aveva
per le opere di Hans Hofmann, del quale rilevava, malgrado fosse
all’opposto della sua visione pittorica, la profonda
comprensione del colore e il ruolo fondamentale che aveva svolto
nello sviluppo dell’arte americana.
Albers invita alle sue lezioni, a controbilanciare le sue idee, pittori
di tendenze opposte come Motherwell o Rothko. Stimola gli
studenti a seguire corsi nelle altre facoltà essendo convinto della
importanza dell’integrazione delle varie discipline. Si tratta anche
di un periodo particolarmente fortunato perchè Louis Kahn dirige
il dipartimento di architettura dove Vanni segue con grande
interesse i corsi tenuti da Frederick Kiesler e Richard Buckminster
Fuller. Scopre, con la messa in opera delle strutture geodesiche64
41
di quest’ultimo, che per ottenere degli elementi portanti non
c’è bisogno della massa, ma che la forza può risiedere in
triangolazioni dove ogni vettore è relativamente sottile.65
La scuola di architettura era frequentata dal suo amico Walfredo
Toscanini, nipote del Maestro, e Vanni viene invitato ogni fine
settimana nella casa di famiglia a Riverdale.66 Qui incontra
alcune delle più importanti figure della musica di quei tempi
come Dallapiccola, Horowitz, Horszowski, Cantelli, assistendo
alle conversazioni fra tutti questi musicisti che entravano in
dettagli che Vanni, evidentemente, non poteva seguire, ma
qualche elemento parallelo ai suoi interessi lo riteneva.
Il fascino maggiore era rappresentato dalla situazione in cui
42
Tramonto, olio su tela, cm. 71x91,
1953, disperso.
(65) Negli anni successivi utilizzò
questo concetto come soggetto
iconologico per esprimere la forza
del sottile contro la forza della
massa.
(66) La conoscenza dei Toscanini
risale al gruppo di amici musicisti di
Roma e in particolare a Ippolito
Pizzetti, figlio del compositore
Ildebrando.
veniva coinvolto, quando i punti della discussione si
risolvevano al pianoforte, di cui spesso i musicisti si servivano
per spiegare meglio la loro idea esecutiva. Toscanini lo fece
anche assistere alla sue prove d’orchestra, spiegandogli le
motivazioni di certe sue scelte e l’importanza di evidenziare
uno strumento o un altro nell’interpretazione della partitura.
È una lezione che gli rimarrà sempre impressa e ritornerà
pittoricamente quando darà ad una forma originale molteplici
interpretazioni nello stesso quadro.
Le opere dipinte durante gli studi con Albers non sono molte,
ma ognuna testimonia o una messa a punto di ricerche
Inverno, olio su tela, cm. 81x124, 1953,
collezione dell’artista.
precedenti, o una nuova scoperta. Ciascuno di questi quadri
sarà poi a sua volta il capostipite di una serie di opere che
verranno sviluppate negli anni successivi.
43
44
Finestra, olio su cartone, cm. 72x57,
1953, collezione dell’artista.
P5211 (cat. rag.)
( 67) Questo quadro sarà all’origine
della serie dei confini che Vanni
realizzerà al suo ritorno in Europa.
P5301* (cat. rag.), P5308** (cat. rag.)
(68) La forma era stata suggerita
dalle quinte successive degli edifici
contro il cielo di New York .
Muraglia cinese, olio su masonite,
cm. 60x39, 1953, collezione dell’artista.
Nel primo quadro dipinto a Yale, Tramonto,67 sono ripresi i temi
dei paesaggi olandesi in chiave più astratta ma vi si trovano
ancora degli elementi rappresentativi. Nel secondo, Inverno*,
malgrado sia anche questo un paesaggio, si ritrovano invece le
sfaccettature prismatiche operate sulla figura umana nel
secondo periodo di Parigi e il legame con il soggetto originario
è molto remoto. In Muraglia cinese** viene utilizzata una
struttura a linee successive, a greca, in cui l’una è l’immagine in
negativo dell’altra,68 che riprende l’idea di una geometria non
meccanica. È la prima volta che un’opera di Vanni nasce
45
indipendentemente dalla rappresentazione diretta e non dalla
distorsione di elementi rappresentativi. Finestra fa uso di
strutture simili introducendo anche l’idea della interruzione del
ritmo. In tutti questi quadri si sente progressivamente il
risultato degli studi sulla scansione dello spazio e della nuova
sensibilità cromatica che Vanni sta sviluppando.
Questa prima esperienza americana è anche marcata dalla
traversata di tutto il paese in macchina per raggiungere e sposare
sua moglie Frani Gay nello stato di Washington. Malgrado la
felicità legata a quell’evento, questo viaggio lascerà per sempre
in Vanni una impressione allucinante della vita nella provincia
americana.
Alla conclusione di un anno intensissimo di esperienze
fondamentali Vanni ha acquisito completamente gli strumenti
per continuare la sua ricerca che si è oramai definita nei suoi
elementi di base. Decide così, malgrado l’offerta molto tentante
di Albers di diventare suo assistente per i corsi estivi che
insegnava a Skohegan, di ritornare nella sua Parigi, per
cominciare la sua ricerca pittorica.
46
P5304
Capitolo 2
Parigi - Le prime ricerche
Conclusa l’esperienza di Yale, dove era stato un anno, nell’autunno
del ‘53 Vanni torna a Parigi. Questa scelta è significativa perchè
dimostra quanto quella città fosse per lui la base naturale per
riuscire a sviluppare quel lavoro che sapeva avere di fronte. A
Parigi, più che a Roma o ad Amsterdam, Vanni aveva trovato
l’ambiente ideale in cui lavorare. L’incontro con Albers aveva
lasciato un segno fondamentale per il suo sviluppo successivo.
L’elaborazione dei temi precedenti attraverso il suo contributo
critico aveva aperto la strada a nuove ricerche. Lo studio dei
rapporti di colore fa sí che da allora in poi sia che usi toni
cromaticamente intensi o desaturati la loro interazione sarà un
elemento essenziale della sua formulazione pittorica. Vanni
torna a Parigi per ragionare, mettere a confronto quello che
aveva dipinto prima di aver incontrato Albers e quello che aveva
prodotto mentre studiava con lui.
(1) Giulio Gianini era l’operatore e
a Vanni era stata affidata la
consulenza per il colore.
Il rientro in Europa era iniziato con la collaborazione al film su
Picasso, 1 girato a Vallauris, dove a quell’epoca il Maestro
lavorava soprattutto sulle ceramiche prodotte nell’Atelier
Madoura. La regia di Luciano Emmer intendeva collegare le
riprese delle opere dei diversi periodi con lunghi pezzi girati
nello studio mentre Picasso era intento al lavoro. Vanni ebbe
l’occasione di poter passare lunghe ore a osservare l’approccio
del Maestro alla creazione di un’opera.
47
Di tutta quell’esperienza quello che colpì di più Vanni fu il
processo di metamorfosi che Picasso orchestrava nel corso della
creazione. Partendo da un disegno lineare, graficamente puro,
graffiando il fondo dipinto di nero lo trasformava in
chiaroscuro; le forme originali suggerivano altre interpretazioni
di soggetto o di piani e venivano sviluppate e trasformate: una
curva suggeriva un punto di scontro, o un occhio, o una nuova
mano. Questa, a sua volta, diveniva la base per generare altri
elementi che da tonali ridiventavano grafici, fintanto che
“..quello che sulla superficie del piatto era cominciato col ritratto
linearmente classicheggiante di una bella donna finiva in una
specie di insetto piramidale.”2
Questa è la lezione principale ritenuta da Vanni nel suo contatto
con Picasso, che si svilupperà nella sua stessa pittura, in seguito,
proprio nella ricerca dell’ambiguità: "...ogni realtà ne nasconde
un’altra, anch’essa ugualmente plausibile, e questa un’altra, e
quest’altra un’altra ancora e mostrarle tutte come coesistenti,
(2) Valentina Puccioni, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, ottobre
2000.
Spazi II, olio su tela, cm. 100x100,
1954, Genova, collezione privata.
48
(3) Valentina Puccioni, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, ottobre
2000.
P5405, P5406
(4) Erba sul canale (P5116, cat. rag.),
Lacustre I (P5115), Riflessi II (P5121),
Riflessi III (P5122), Riflessi IV (P5123).
P5408
P5409 (cat. rag.), P5410, P5411
P5403
nell’una inserendo dubbi sulla veridicità dell’altra e pertanto
tutte vere perché esistenti."3
Nelle prime opere eseguite dopo il ritorno a Parigi è preponderante
l’influenza della ricerca sviluppata con Albers. Sono quadri
che evocano geometrie di piani galleggianti, appartenuti a cubi
e poliedri, che fluttuano nello spazio producendo nelle loro
intersezioni trasparenze ma non articolazioni volumetriche. Si
intuisce uno spazio euclideo che si espande di fronte al quale
gli elementi in primo piano accennano di già ad una ambiguità
della situazione dei piani nello spazio (Spazi I, Spazi II).
Nelle opere che seguono le figure geometriche non galleggiano
più liberamente ma condividono sempre tutti i lati del loro
perimetro con quelle confinanti. Sono quadri che derivano
direttamente, sviluppandola, dalla concezione dello spazio
prismatico di Inverno recuperando alcuni elementi dei quadri
olandesi4 depurati dagli aspetti simbolico-figurativi di influenza
kleiana e melanesiana e integrando la nuova percezione del
colore acquisita a Yale. Conservano, dell’Olanda, una griglia
di orizzontali e verticali in cui si inseriscono elementi
rettangolari o triangolari retti dallo stesso modulo che si
modificano sotto la tensione delle griglie in forme prismatiche.
Si hanno così delle scacchiere distorte che sembrano essere nate
da pulsazioni successive di un piano originario che si è contratto
per correnti sue proprie, creando zone di struttura più serrata
controbilanciate da altre la cui distensione è direttamente
proporzionale alla forza esercitata dallo spazio condizionante,
fissandosi in strutture prismatico-cristalline (Giardino Barocco,
Giuochi d’acqua, Nascita di una roccia, Danza dei cristalli). I colori
sono basicamente quattro che subiscono cambiamenti tonali
verso il chiaro e verso lo scuro man mano che si allontanano
dall’epicentro. La forza interna che condiziona queste
deformazioni è rivelata in Descrizione di una corrente, quadro
che rimane unico nel suo genere, dove alla struttura prismatica
è sovrimpressa una tessitura di puntini che evidenziano la
direzione delle pulsazioni sotterranee.
L’introduzione di una componente puramente grafica avviene
49
Descrizione di una corrente, olio su
tela, cm. 45x65, 1954, Mondragone,
collezione privata.
con Spiraglio sulla città, quadro che rimane a sé stante, dove
ritorna il tema della greca di Muraglia cinese per modulare la
superficie rendendo i pieni e i vuoti intercambiabili. Il nuovo
elemento di un tratto crudo ottenuto graffiando delle linee
bianche sulle campiture nere viene usato in una nuova serie,
che è conseguenza di quella precedente, per evidenziare le linee
P5416
Giuochi d’acqua, olio su tela, cm.
70x90, 1954, collezione dell’artista.
50
Scalinata nella prateria, olio su tela,
cm. 70x90, 1954, Legnano, collezione
privata.
(5) Come nelle strutture geodesiche
di Buckminster Fuller e nei quadri
di Klee.
P5413 (cat. rag.)
di demarcazione fra i piani. In questa maniera i pieni dei prismi
perdono corporeità a vantaggio dei loro contorni che diventano
pure linee di tensione.5
I graffiti, che creano delle costruzioni geometriche simili a quelle
delle campiture di colore, prima coesistono con esse come in
Scalinata nella prateria, poi le soppiantano completamente.
Il piano modulato non interessa più il quadro nella sua interezza
ma fluttua sul fondo nero, che a sua volta è separato dalla
Paesaggio graffito, olio su tela, cm.
18x31, 1954, collezione dell’artista.
51
cornice con una smarginatura grigia (Paesaggio graffito, Cattedrale
sommersa, Fuga verso due punti). I colori rimangono indicati nella
zona centrale delle singole sfaccettature prismatiche a
contrappunto delle strutture grafiche. Questa ricerca prepara
quella immediatamente successiva in cui i colori tornano a
campire completamente i piani proposti dai segni graffiti e
questi ultimi si trasformano in esili strutture geometriche.
Nel marzo del ‘55 Vanni espone in una personale, alla galleria
Schneider6 di Roma, le opere dipinte a Yale e quelle fatte dopo il
suo ritorno a Parigi, fra cui alcune che anticipano il suo sviluppo
successivo, come Nebulosa* e Confini.** Queste ultime riprendono
la disposizione degli spazi dei quadri prismatico-cristallini, ma le
zone transitorie della scacchiera sono eliminate lasciando solo due
elementi: vaste campiture di colore che rappresentano le zone di
distensione separate da argini formati da un brulichio di minute
geometrie, il confine.7 La mostra da Schneider, malgrado rifletta
una certa discontinuità stilistica dovuta alla rapida evoluzione
della sua ricerca, viene accolta molto favorevolmente e crea i
presupposti per lo sviluppo di un rapporto continuativo con la
galleria, che si realizzerà cinque anni più tardi.
Malgrado il buon esito della mostra, la vita a Parigi rimane
molto difficile da un punto di vista economico ma non per
questo meno felice e spensierata. Vanni vive con sua moglie in
una chambre de bonne minuscola (tre metri per quattro) a
Boulevard Henri IV, sull’Ile Saint Louis, da cui si vede tutta
Parigi. L’immaginazione sostituisce lo spazio che manca
trasformando il letto in cavalletto da lavoro e questo in piano
da cucina e tavolo da pranzo, per poi ricominciare daccapo alla
fine della giornata. Ogni quadro finito viene attaccato al soffitto
mansardato per non rubare lo spazio già esiguo al suolo. Ma
malgrado le ristrettezze economiche, alleviate di tanto in tanto
dalla vendita di un’opera o dalle illustrazioni di libri per
bambini, l’entusiasmo domina la vita quotidiana. Vanni avrà
un successo importante con queste illustrazioni vincendo per
due anni di fila il premio del Club des Editeurs: nel 1957 con i
Contes de cristal e nel 1958 con la Craie magique.8 Si tratta di
52
P5417, P5414
P5418
(6) Vanni era stato presentato a
Robert Schneider da Corrado Cagli
nel 1954.
Virgilio Guzzi, in un suo articolo
sulla mostra, accosterà il lavoro di
Vanni a quello di Cagli. “Egli è un
astratto, e mostra d’avere bene
inteso l’insegnamento di Klee e di
Kandinsky. Primordialismo e
geometrismo giuocano nel suo
gusto; ch’è assai raffinato, e tende
alla rappresentazione di una realtà
di corpuscoli e frammenti. (...)
L’artista è sottile, forbito. Eppure
qualcosa di trepido è nel suo segno:
e perciò di animato, musicale. (...)
Il pittore è di quegli astratti che
tengono in sommo conto la tecnica.
Lo accosteremo perciò a Corrado
Cagli.” (Virgilio Guzzi, “G.B.
Vanni alla Schneider”, Il Tempo, 5
aprile 1955).
P5507*, P5508** (cat. rag.)
(7) Se la struttura compositiva
deriva in origine dalle segmentazioni
dei polder, mediate da Inverno, il
limite riprende il tema delle linee
d’orizzonte olandesi, dove cielo e
lago sono separati dalla linea,
esigua ma geometricamente
frastagliata, di un villaggio.
(8) In seguito a questi successi le
edizioni Hachette gli offriranno un
contratto per produrre cinque libri
l’anno, che lui non accetterà essendo
cosciente che questa scelta non gli
avrebbe lasciato più tempo per la
pittura.
Confini, olio su tela, cm. 60x95,
1955, Londra, collezione privata.
(9) Il progetto originale riguardava
un film astratto il cui contenuto era
centrato sul ritmo e sul colore
piuttosto che sulla forma.
disegni di indirizzo surrealista in un contesto coloristico
derivante dall’esperienza degli studi con Albers. Proprio a
partire da un progetto che aveva esposto al Maestro a Yale nel
‘52,9 due anni dopo Vanni crea Love, un libro che presenta, per
quell’epoca, una notevole innovazione compositiva ed estetica.
La storia, di per sé abbastanza semplice e riducibile a poche
righe di testo, viene articolata su pagine a tinta unita di colore
sempre diverso su cui sviluppa la narrazione con disegno
grafico a china. Il racconto è ritmato dal rapporto che intercorre
fra i colori che si succedono di pagina in pagina, talvolta in
contrasto, altre in delicate tinteggiature, segnando in empatia
o contrappunto lo sviluppo emotivo della narrazione. La
transizione da una pagina all’altra non avviene nell’atto di girare
la pagina ma attraverso dei buchi-finestra aperti nei fogli che
con la loro ampiezza e collocazione regolano la quantità di
soggetto-colore che viene introdotta in quella composizione dal
foglio successivo. Nell’itinerario di finestra in finestra quello
che prima era un personaggio secondario annidato in una
smarginatura diventa il soggetto principale che occupa tutto il
53
campo. Vanni crea così un racconto spazio-temporale che è più
direttamente associabile ad una animazione filmica che ad un
libro stampato. La novità rappresentata allora da questo tipo
di impostazione fa sí che quando Vanni lo propone a quegli
stessi editori che avevano vinto già due premi con le sue
illustrazioni, nonostante l’apprezzamento personale, non lo
pubblicheranno trovandolo troppo audace per proporlo al
pubblico. Verrà pubblicato undici anni dopo, conseguendo
premi della critica e l’esaurimento della tiratura in pochi mesi. 10
Love rappresenta un esempio dell’interesse di Vanni alla
sperimentazione in qualsiasi campo creativo e del ruolo centrale
assunto dal colore nelle sue soluzioni. Si situano in questo
ambito i progetti sviluppati in collaborazione con lo studio di
architettura del suo amico Lanfranco Virgili. 11 Vanni che è
fermamente convinto della validità dalla ricerca congiunta di
pittori e architetti è molto interessato alle problematiche che
deve affrontare. Sviluppa per una serie di palazzi di abitazioni
a Villejuif, una città satellite nella periferia parigina, degli
schemi di colore che associa ai diversi prospetti della facciata.
Su ogni volume aggettante, come ad esempio i molteplici
balconi, i tre lati hanno un colore diverso che li stacca dal muro
della facciata di un colore simile al lato frontale dell’elemento
in questione. Muovendosi di fronte ai palazzi e variando la
posizione relativa i rapporti di colore cambiano movimentando
gli spazi. L’idea di condizionare la percezione volumetrica
attraverso il colore viene sviluppata negli studi per la città
satellite de La Dame Blanche (mai realizzata) dove le facciate
principali avrebbero dovuto essere dipinte in varie tonalità di
blu per interagire cromaticamente con il cielo e staccarvisi per
chiaro, scuro, saturazione, a seconda delle ore del giorno e delle
condizioni atmosferiche. Un altro progetto, per l’ospedale
psichiatrico di Sainte Anne a Parigi, viene studiato anche
insieme al primario per contribuire con l’atmosfera di colore
delle stanze alla terapia dei pazienti.
E’ anche un momento ricco di stimoli per l’attenzione a quanto
si svolge allora sulla scena artistica parigina e di arricchimento
54
Sopra la pagina 29 di Love in cui
appaiono parti della pagina 33,
riprodotta a destra.
(10) Nel ‘65 da due editori d’arte,
Laurent Tisnè di Parigi e George
Braziller di New York. Braziller lo
ripubblicherà nel ‘98.
(11) Lo studio Prieur-Virgili-Sonolet.
(12) In quegli anni legge due libri
strettamente legati alle sue ricerche
future: la Recherche du temps perdu di
Proust e l’ Orlando furioso di Ariosto.
(13) Non si percepiva ancora la
perdita della posizione di capitale
dell’arte, che stava avvenendo a
vantaggio di New York.
intellettuale nella sua ricerca personale al di fuori dei temi
strettamente pittorici.12 Malgrado Parigi non fosse più carica
di quel fermento culturale che l’aveva caratterizzata
nell’immediato dopoguerra, rimaneva pur sempre un centro
importante di vita artistica.13 Durante il periodo passato da Vanni
a Yale gli equilibri tra le varie tendenze erano mutati. Il lessico
informale si era decisamente affermato con la mostra nel
dicembre del ‘52 allo Studio Facchetti intitolata Un Art autre dal
libro omonimo di Michel Tapié, che esponeva una selezione
internazionale dei principali artisti di questa tendenza. I
surrealisti avevano perso la forza propulsiva di gruppo e il loro
apporto era soprattutto legato alla ricerca individuale dei
maggiori artisti che avevano fatto parte del movimento. Gli
esponenti principali del gruppo oramai dissolto dei Jeunes
peintres de tradition française, che aveva occupato un posto
importante nella vita artistica parigina degli anni quaranta,
erano stati glorificati da mercato e istituzioni, che li opponeva,
con una punta di sciovinismo, alle nuove tendenze, volendo
riconoscere in loro la vera tradizione francese, legittima
continuatrice dell’Ecole de Paris. Questa istituzionalizzazione
li aveva fatti identificare con delle posizioni che probabilmente
non corrispondevano alla loro propria, ma che di fatto li avrebbe
poi penalizzati nelle considerazioni successive sul loro apporto
creativo all’evoluzione della ricerca pittorica. Rimane invece
molto vitale il gruppo degli astratti geometrici che ruotano
principalmente attorno alla Galerie Denise René.
Oltre a queste divisioni categoriche esistono situazioni più
fluide di artisti che perseguono indirizzi interessanti che
testimoniano influenze incrociate, come Zao Wou-ki, Tal-Coat e
Vieira da Silva che si distinguono per un approccio non
figurativo senza per questo essere pienamente astratto. Vanni
segue il loro lavoro con interesse analizzandone le soluzioni
spaziali con cui sente delle marcate affinità. È anche molto attento
al gruppo degli astratti geometrici che sviluppano soluzioni
cinetiche o di op-art come Vasarely, Soto, Agam, Tinguely,
trovandovi delle conseguenze estreme della sua ricerca
55
56
presente. Osserva anche da vicino la poetica informale, di cui
apprezza la sensibilità, ma non ne viene influenzato
immediatamente, essendo impegnato in spazi diversi che lo
assorbono completamente. Sarà sempre refrattario ad un
cambiamento subitaneo e repentino della sua maniera pittorica,
ma assimilerà gli elementi che lo interessano attraverso un
lungo processo metabolizzante che li rende compatibili con la
sua logica. Infatti, nei quadri di alcuni anni dopo, l’eterogeneità
di stili presenti in quel periodo contribuirà a sviluppare le basi
di quell’eclettismo che lo caratterizzerà.
G5504, G5505, G5506, G5601, G5602
P5605 (cat. rag.)
A mezz’aria, olio su tela, cm. 64x51,
1957, Legnano, collezione privata.
In una serie di disegni (Studi per forme galleggianti) che possiamo
considerare molto vicini alle opere di Vieira da Silva, Vanni
esamina la linea sviluppata nel tema del confine, come struttura
a sé, che si articola nello spazio in una serie di elementi
quadrangolari e prospettici. L’iniziale motivo riflesso del
villaggio olandese diviene una città galleggiante nello spazio
dove, da un corpo centrale più fitto, partono vettori con
agganciati piccoli quadrilateri.
Il trasferimento alla tela dello sviluppo grafico dei disegni
comporta alcuni importanti cambiamenti visivi al concetto di
spazio proposto dal quadro stesso. I vettori che si sprigionano
dagli elementi centrali come raggi di energia, agganciano in un
certo qual modo il fondo e lo attraggono pizzicandone qua e là
la materia come se fosse una membrana messa sotto tensione
da cavi che la sollevano o abbassano, modificandone colore e
tessitura in alcuni punti, come nell’angolo in alto a sinistra di
A mezz’aria, rivelandone un altro, che denuncia quindi quanto
accade davanti ad esso come illusione, sebbene sia anche reale
in quanto esiste dipinto sulla tela.
Questa figurazione si rivela presto per Vanni troppo legata ad
una tridimensionalità naturalistica, e la abbandona nella ricerca
di una dialettica puramente formale tra l’elemento grafico ed il
campo circostante. Dipinge opere in cui un campo dello stesso
colore copre l’interezza del quadro con, all’interno, esili figure
geometriche in equilibrio simili a mobiles sospesi nello spazio.
57
Frammenti II, olio su tela, cm. 35x35,
1957, New York, collezione privata
(P5702, cat. rag.).
L’idea di sospensione è accentuata dall’uso di colori timbrici in
rapporto di vibrazione con la cromaticità del campo circostante.
Quest’ultimo è sensibilizzato da due campiture sovrapposte di
colori simili, dove la seconda viene raschiata via con la spatola
rivelando il colore sottostante, aumentando così la tensione
vibrante del campo cromatico. Malgrado si sia perso qualsiasi
riferimento diretto al paesaggio, si tratta comunque di opere che
usano una struttura euclidea dello spazio, dove il campo cromatico
serve di fondo davanti al quale si stagliano delle forme.14
Vanni rimane però interessato ad una ricerca che porti i due
elementi ad un confronto dialettico per ottenere una
ambivalenza dei relativi valori spaziali. Per questo riprende il
tema originario dei confini che aveva continuato ad esplorare
nei disegni, accantonandolo però per oltre un anno nelle opere
su tela. Ritorna così ad una ricerca più personale che,
riallacciandosi direttamente a quelle precedenti, sviluppa subito
58
(14) Nei quadri di tre anni dopo le
piccole forme, questa volta
organiche, che si sviluppano fra
due campi attigui sembrano
generate dal contatto fra questi, e
ne diventano attributi, negando al
campo circostante la profondità
infinita.
P5705, P5706
P5708
P5713, P5715
P5716
P5801 (cat. rag.)
una serie di quadri molto interessanti. I primi conservano
ancora, accanto a campiture uniformi di colore, segmentazioni
prismatico-cristalline (Prateria e Discendendo verso il fiume) che
presto scompariraranno del tutto, rimanendo però alla base
delle nuove strutturazioni spaziali (Giuochi di spazio).
Questa ricerca si svilupperà per tutto il ‘57 conseguendo i
risultati che Vanni era andato cercando: un rapporto
interlocutorio fra le piccole geometrie del confine e le vaste
campiture circostanti. Queste ultime avevano perso un attributo
subalterno di fondo per divenire piani astratti da qualsiasi
riferimento tridimensionale (Frammenti in grigio, Spazio a
frammenti, Coste). Una figurazione che trova la sua opera più
significativa in Strappo che riassume tutte le esperienze di questi
due anni e apre la strada a quelle successive.
Giuochi di spazio, olio su tela, cm. 70x65,
1957, Castellanza, collezione privata.
59
Vanni dipinge Strappo durante il soggiorno di un anno a New
York nel ‘58. Malgrado la sua pittura debba ancora attraversare
una moltitudine di ricerche prima di approdare al suo stile
definitivo, in quest’opera si possono ritrovare in nuce i temi
essenziali che caratterizzeranno la sua formulazione:
l’ambiguità dei piani, la lettura molteplice degli spazi che
nell’accettazione dell’uno mettono in dubbio la lettura dell’altro,
e l’inserimento, nel margine basso del quadro, di un elemento che
suggerisce l’esistenza di un’opera diversa sottostante. Nelle forme
turchesi della parte inferiore si riconosce la propensione a far
passare il massimo della tensione in dei punti sottili al limite della
rottura. L’origine iconologica è rintracciabile nell’interesse per le
strutture tensili15 studiate con Nervi e Buckminster Fuller e
osservate in natura nelle zampe delle cavallette.
Il secondo viaggio in America è motivato dall’offerta di un
contratto da parte del proprietario di una galleria che deve
aprire nell’autunno del ‘58 a New York, per esporre soprattutto
pittura e scultura italiana. Il periodo si rivela presto più difficile
del previsto, perchè il progetto va a monte in una complicazione
giudiziaria che sfocia nel sequestro di tutte le opere depositate
presso la galleria e la loro perdita da parte di vari artisti, fra cui
Vanni.16 Fortunatamente il rovescio è in parte controbilanciato
dall’incontro con Otto Seligman,17 gallerista di origine tedesca,
proprietario di una galleria a Seattle e agente esclusivo di Mark
Tobey. Interessato ai quadri di Vanni inizierà una intensa
collaborazione che risulterà in una serie di personali e collettive
nella sua galleria.18
L’esperienza newyorkese espone Vanni a quanto prodotto
dall’Action Painting, nelle opere di Pollock, Rothko, De
Kooning, Kline. Come era avvenuto a Parigi, queste non lo
influenzano immediatamente nel lavoro che sta producendo,
ma contribuiscono all’evoluzione della sua pittura negli anni
seguenti. Anche qui, però, segue con maggiore attenzione il
lavoro di alcuni artisti la cui ricerca lo riguarda più da vicino,
fra cui Clyfford Still per le sue partiture di spazi complementari,
Gorky e Gottlieb per il contrasto fra linea grafica e massa.
60
(15) In particolare i ponti sospesi di
New York.
(16) Sarà questa una delle cause
che determinerà il ritorno in
Europa.
(17) Seligman era stato presentato
a Vanni da Meta Cordy, sua
collezionista, che faceva parte del
gruppo di intellettuali emigrati
dalla Germania negli anni ’30.
(18) Questa collaborazione continuerà
con reciproca soddisfazione fino alla
scomparsa di Seligman nel ‘67.
Strappo, olio su tela, cm. 124x91,
1958, disperso.
61
Nelle opere dipinte durante il soggiorno a New York si ha una
serie di studi diversi e paralleli sul rapporto fra i tre elementi
che le compongono: i raggi-vettori, le piccole forme geometriche
e la superficie del quadro identificabile con il fondo. Si tratta
di una ventina di quadri che esplorano le possibilità di queste
forme e delle immagini che risultano dalle loro mutazioni.
Le variazioni più importanti riguardano i raggi che erano nati
dalle linee d’orizzonte con il villaggio e si erano trasformati in
linee di tensione generanti a loro volta microscopici satelliti, come
avviene in certe strutture cristalline o nei protozoi radiolari.19
Con l’apparizione di forme come quelle turchesi nella parte
inferiore di Strappo in cui le piccole geometrie, stavolta
triangolari, si assottigliano fino a formare una linea, nasce un
nuovo tipo di raggi, non più in controllo delle piccole entità
geometriche ma generati da queste. La nuova forma originaria
triangolare li proietta sul quadro per triangolazioni, eliminando
la struttura a griglia che aveva regolato lo spazio negli ultimi anni.
L’impianto compositivo che ne risulta starà alla base dei quadri
sviluppati dopo il ritorno a Parigi, che saranno anche gli ultimi
del periodo geometrico.
62
(19) Protozoi marini con scheletri
silicei formati da un nucleo da cui si
diramano lunghi e sottili pseudopodi
di solito in forma di raggi rigidi che
catturano altri microorganismi che vi
aderiscono. Haeckel, il grande
biologo tedesco studioso dei
radiolari li definiva, per la loro
perfezione, i gioielli in miniatura
dell’abisso.
Frammenti orientali, olio su tela,
cm. 90x100, 1959, Castellanza,
collezione privata.
Danza delle efemeridi, olio su tela,
cm. 30x61, 1958, Seattle, collezione
privata (P5820).
Al ritorno dall’America, alla fine del ‘58, Vanni, la cui famiglia
era aumentata di numero con la nascita del figlio Ruggero,
affitta per quasi un anno un ex albergo a Vélizy, alla periferia
di Parigi. Questo era situato ai bordi di uno stagno, l’Etang
des Ecrevisses nel Bois de Chaville, che ospitava però ranocchie
piuttosto che gamberi. A primavera il bosco era pieno di
mughetti che i parigini venivano a cercare soprattutto per i
bouquets del primo maggio. Qui Vanni ha, per la prima volta,
un grande studio per dipingere e in un periodo molto intenso
di lavoro produce una serie di quadri che verranno esposti nella
personale alla galleria Schneider che terrà l’anno dopo.
La maggior parte di queste opere è contraddistinta dalla
presenza di piccole forme triangolari giallo-turchesi fluttuanti
in un campo rosso, colore a cui, contrastandone il significato
gestaltico, viene attribuito un senso aereo, spaziale.
È interessante notare come le piccole forme galleggianti, e le
linee che ne irradiano, siano dipinte in riserva, cioè dopo il
63
fondo, sui frammenti di tela lasciata bianca, in riserva appunto.
Ciò contribuisce alla integrazione delle forme, ad evitare un senso
di messo sopra, e a creare sfumature di passaggio fra l’uno e l’altro
elemento. Il rosso, a sua volta, è composto di tre successive stesure
e si riferisce, più o meno coscientemente, per la sua intensità, al
drappo rosso dei Sindaci dei drappieri di Rembrandt. La prima
stesura, sottile, di carminio lascia trasparire la trama della tela,
volutamente marcata. Su questo viene dipinto, con una stesura
frammentaria, un rosso medio che intorno alle forme stellari viene
accentato con la strofinatura di impasti di scarlatto. La
stratificazione dei colori contribuisce a creare l’impressione che le
forme stellari sviluppino dei campi magnetici che aggregano le
particelle più luminose dello spazio circostante. Le forme stellari
stesse sono come cristalli che irradiano linee di forza dai loro nuclei
controllando lo spazio nelle loro scansioni. Avvicinandosi ed
entrando ad osservarne le strutture, troviamo un altro elemento
fondamentale dell’opera di Vanni: una piccola forma, preziosa e
complessa, che con l’intensità dei suoi dettagli regge il confronto
con il vasto campo circostante (Frammenti orientali).
A ricordare la conquista di Strappo, dell’ambiguità di spazio,
quasi tutte le composizioni sono concluse, in basso, da una
striscia in cui ritornano, alla verticale, tutte le fibre e gli elementi
che compongono la struttura fluttuante, come fili che,
completata in alto la ragnatela del disegno, si ricompongono
in ordine al di fuori della scena.
Sono quadri che, raggiungendo l’apice dello sviluppo delle
tematiche intraprese con Albers, concludono per Vanni le loro
possibilità evolutive. È giunto il momento di esplorare nuove
figurazioni che, pur essendo a tutta prima apparentemente
molto diverse da queste, porteranno dentro di loro strutture
spaziali che non rinnegheranno le conquiste di questo periodo.
64
P5902 (cat. rag.)
Capitolo 3
(1) Per delle notizie più approfondite
si rimanda a “L’immediato
dopoguerra e l’uscita dall’autarchia”
di Claudio Spadoni, in AA. VV.,
L’arte in Italia nel secondo dopoguerra,
Il Mulino, Bologna, 1979.
(2)
L’informale si presenta
ufficialmente in Italia con la presenza,
nel padiglione americano alla
Biennale di Venezia del giugno 1950,
della pittura di Gorky, di de Kooning
e di Pollock.
(3)
“L’ambiente romano” di
Manuela Crescentini, in AA. VV., La
pittura in Italia - Il Novecento/2, Electa,
Milano, 1993, p. 511.
Roma - La mobilità stilistico-formale, lo spazio ambiguo
Nel maggio del 1960 la galleria Schneider espone le opere di Vanni,
per la seconda volta, in una personale. L’accoglienza favorevole
del pubblico e la vendita della maggior parte dei quadri della
mostra determinano Robert Schneider a offrirgli un contratto.
È sulla spinta di questa iniziativa che Vanni decide di tornare a
vivere a Roma. Con l’esperienza che ha accumulato negli anni
vissuti in Francia e in America, Roma non è un posto dove torna
ma un posto dove va. Nel frattempo, il panorama artistico che
ha lasciato dieci anni prima si è evoluto. La polemica, iniziata
subito dopo la fine della guerra, tra arte astratta e arte figurativa,1
è andata smorzandosi durante la seconda metà degli anni
cinquanta. La ricerca Informale, sviluppatasi in questi anni sulle
tracce delle nuove ricerche americane ed europee2 ha portato
una ventata rivoluzionaria che supera il dibattito astrazionerealismo.
L’orientamento della scena artistica romana si contraddistingue
per una apertura internazionale. Roma diviene “...negli anni
Cinquanta e Sessanta, la città italiana maggiormente in rapporto
di lavoro con il Nordamerica grazie sia alla significativa
funzione mediatrice assolta dagli studi cinematografici di
Cinecittà, sia alla consistente presenza degli artisti americani a
Roma...”. 3 Ai nomi più conosciuti, Johns, Rauschenberg,
Marcarelli, Twombly, se ne possono aggiungere decine di altri
che vanno e vengono tra gli Stati Uniti e Roma.
65
Inoltre artisti italiani che lavorano a Roma come Afro, Burri,
Capogrossi, Mirko, vengono invitati in importanti mostre
collettive al Guggenheim Museum e al Museum of Modern Art
di New York.4
A Roma si svolge una intensa attività espositiva, grazie anche
alle numerose gallerie private aperte in quegli anni. “Tra le
gallerie d’arte più attive e diversamente schierate figurano
L’Obelisco di Brin e Dal Corso, La Medusa di Bruni, l’Odyssia
di Quadrani e Skouras, la Schneider, l’Appia Antica, (...) e,
successivamente, soprattutto La Tartaruga, di Ninì Pirandello
e De Martiis, e La Salita, di Liverani.”5
La galleria Schneider si distingue per avere un contatto privilegiato
con i collezionisti statunitensi, derivante in parte dal fatto che
Robert Schneider è americano. Questo, ed il suo passato di
professore alla New York University, gli forniscono una posizione
di vantaggio per trattare con collezionisti e curators americani
di passaggio a Roma, diventando un punto di riferimento per
chi si interessa agli sviluppi dell'arte contemporanea in Italia.
Questo è particolarmente importante per Vanni per mantenere
i contatti sviluppati negli Stati Uniti. 6
Fin dalla sua apertura nel ‘53, con il sostegno e la consulenza
artistica di Cagli e Mirko, la politica espositiva della galleria
consiste nell’alternare mostre di artisti già affermati (Afro, Cagli,
Capogrossi, Corpora, Matta, Sanfilippo, ecc.) con altre di artisti
più giovani (Buggiani, Cristiano, Vanni, ecc.) e una consistente
presenza di stranieri, principalmente americani (D’Almeida,
Hadzi, Zajac). Ciò che accomuna gli artisti esposti non è uno
stile portante, una scelta di tendenza, ma una attenzione particolare
alla qualità dell'opera in quanto manufatto artistico. Una
predisposizione a concepire l'arte come mestiere anche dal
punto di vista artigianale, dove le qualità intrinseche dell'opera
ne avvalorano le scelte formali.7
La ricerca pittorica di Vanni trovava dunque, in questo ambito,
una corrispondenza di intenti, di modi creativi. Non da un
punto di vista strettamente stilistico-formale, ma intellettuale.
Durante questo periodo stringe legami personali con alcuni
66
(4) Burri e Capogrossi figurano alla
mostra Younger European Painters,
che si tiene dal 2 dicembre ‘53 al 21
febbraio ‘54 al Guggenheim
Museum; parteciperanno anche, con
Afro, Minguzzi e Mirko, alla mostra
The New Decade: 22 European Painters
and Sculptors, dal 10 maggio al 7
agosto del ‘55 al Museum of Modern
Art, e successivamente al Minneapolis
Institute of Art, al Los Angeles
County Museum e al San Francisco
Museum of Art.
(5)
“L’ambiente romano” di
Manuela Crescentini, in AA. VV., La
pittura in Italia - Il Novecento/2, Electa,
Milano, 1993, p. 514.
(6) Schneider contribuirà a far
conoscere Vanni negli Stati Uniti con
mostre collettive degli artisti della
galleria che organizza in diversi
musei americani.
(7) Buggiani ricorda che sentiva di
avere con gli altri artisti “una affinità
di pensiero, di atteggiamento. Se
si vuole trovare una qualche
affinità di stile va ricercata nella
provenienza naturalistica del loro
astrattismo.”
Intervista a Paolo Buggiani
(novembre 2001)
(8) “Corsivo n. 12” di Corrado Cagli,
in Quadrante, n. 2, Milano, giugno
1933, p. 30 (citato da E. Crispolti, in
I percorsi di Cagli, cat. mostra, Castel
dell’Ovo, Napoli, 23 set. - 31 ott.
1982, p. 35)
degli artisti che, in maniera più o meno continuativa, gravitano
intorno alla galleria, in particolare con Paolo Buggiani. Con lui
sviluppa un’amicizia duratura, cementata dalla stima reciproca
per il rispettivo lavoro, che li porta ad essere in quel periodo
quasi inseparabili.
Con Corrado Cagli Vanni è legato da una lunga amicizia che è
affiancata dall’ammirazione per la sua opera. Lo interessa la
sua inesauribile capacità immaginativa, la vivacità intellettuale,
la costante inclinazione alla sperimentazione, la ricerca astratta
che contemporaneamente non rinnega quella figurativa. In un
suo scritto Cagli asserisce che “...come l’arte poetica ha i suoi
generi (lirica, èpica, idillica) così la pittorica ha i suoi che non
sono paesaggio, figura e natura morta, ma l'astratto e il formale.
Superato il dissidio fra i due generi (si può fare èpica e lirica
senza mutare anima) si riscatta l'astrattismo dalla polemica per
trasportarlo nell'arte.”8 Concetti su cui Vanni non poteva che
essere d’accordo. È proprio dal punto di vista intellettuale che
risiede l’influenza di Cagli sulla pittura di Vanni. Rappresenta
un sostegno importante per delle convinzioni che altrimenti
avrebbe dovuto affrontare solitariamente. Prima fra tutte l’idea
che non intende impostare il suo discorso su base monologica,
ma che qualsiasi scelta stilistica sia legittima se si situa
all’interno di una propria coerenza poetica. Ci saranno, alla
metà degli anni sessanta, momenti in cui certe iconologie si
avvicineranno a quelle del Maestro, ma questo rappresenterà
un aspetto secondario rispetto all’apporto sostanziale di poter
avere in lui un interlocutore attento alle problematiche che sta
affrontando. Questo si rivelerà tanto più importante quanto
più lo sviluppo delle tendenze contemporanee si allontanerà
dal tipo di ricerca che Vanni sta seguendo. Da parte sua Cagli
apprezza molto la pittura di Vanni e visita il suo studio
frequentemente. Come vedremo più avanti, appoggerà il suo
lavoro in più di una occasione.
La disponibilità di Cagli verso gli artisti più giovani crea intorno
a lui un cenacolo dove ritrovarsi e discutere di arte. Il suo
particolare eclettismo situandolo al di fuori di schemi precostituiti
67
Vestigia di una impronta, olio su tela,
cm. 70x90, 1960, collezione dell’artista.
lo pone come riferimento ideale per tutti quegli artisti situati al
di fuori di gruppi e movimenti. In questa cerchia ristretta si
incontravano oltre a Vanni e Buggiani, anche Canevari, Cervelli,
i due Moriconi, Nuvolo, Samonà, Sordini.
La mostra di Vanni da Schneider nel maggio del ‘60 avviene
durante un periodo di transizione dai quadri a struttura
geometrica sviluppati durante tutti gli anni cinquanta, a opere
a struttura organica.9 Rispetto a quei quadri Vanni voleva
ottenere una integrazione di tutti gli elementi costituenti che
evitasse di leggere lo sfondo come un fondale teatrale di fronte
al quale si muovono i personaggi.
Nelle prime opere le forme geometrizzanti in primo piano
restano essenzialmente le stesse, ma le zone di colore su cui
campeggiano perdono la loro uniformità, assumono una
matericità più spiccata nel tentativo di eliminare l’idea di fondo
inerte facendolo partecipare attivamente a quanto avviene in
primo piano, essendone modulato, attratto o respinto (Tempesta
d’estate). Questa variazione non è sufficiente per destabilizzare
il ruolo polarizzante degli agglomerati stellari, la loro
68
(9) Questa sperimentazione, che
era cominciata nel ‘59 lo porterà,
verso la fine del ‘66, attraverso una
serie di trasformazioni successive,
ad acquisire tutti gli elementi propri
alla sua figurazione.
P5920
Discesa all’Averno, olio su tela,
cm. 80x100, 1960, Los Angeles,
collezione privata.
P6008 (cat. rag.), P6015, P6016
P6017 (cat. rag.)
caratterizzazione rimane troppo definita. La ricerca si concentra
sempre di più su uno sfaldamento delle forme e la loro
integrazione col mondo circostante. I micropaesaggi geometrici
dei quadri di Vélizy si sfrangiano, perdono in definizione, quasi
la materia del fondo avesse un effetto corrosivo. Da elementi
indipendenti diventano tessuto cicatrizzato di una ferita nello
spazio, appartenente e prodotta da questo, trasformando le
geometrie precedenti in agglomerati organico-materici
(Vestigia di una impronta, Ricordo del nord, Sedimentazione). Allo
stesso modo anche i colori timbrici del fondo perdono mano a
mano di intensità, fino a divenire toni di terre quasi
monocromatici. Le forme incluse, condividendo lo stesso
criterio di esecuzione, paiono nascere dallo spazio circostante,
essere una conseguenza del suo espandersi, quasi ne fossero
delle fratture (Discesa all’Averno). Acquistano una visibilità
positiva-negativa, potendo essere interpretate come primo
piano o fessura, a seconda di come l’osservatore associa il
significato dell’insieme. Ne scaturisce una ambiguità di piani,
una possibilità di lettura a più livelli.
69
Per la trasformazione definitiva sarà determinante l’esperienza
visiva accumulata durante i primi viaggi nelle isole greche.10
La sua attenzione si concentra sul bianco abbagliante
dell’intonaco delle case cicladiche, scandito dal ritmo
dell'impronta della cazzuola. “I muri immacolati delle Cicladi”
dice Vanni “assorbono e riflettono una luminosità accecante più
forte del cielo, si smaterializzano in spazio infinito - e al tempo
stesso trattengono la luce, la superficie asserisce la propria
materialità luminosa, sono lì, plastiche, tangibili in ogni asperità,
ogni riga. E le crepe oscure, dove un seme di cappero provoca
una effusione fuoriuscente di foglie, sottolineano la presenza
della superficie, fra astrazione e realtà.”11
Così la superficie materica fa la sua prima apparizione nella pittura
di Vanni. Nasce una lunga serie di quadri, dai titoli mitologici
a sottolineare la grecità dell’ispirazione, caratterizzati da uno
spazio materico bianco a tratti interrotto da fessure nelle cui
oscurità appaiono forme organiche di terre naturali con accenti
di nero. La componente materica viene fortemente arricchita
di polvere di pietra pomice o di marmo per inaridirne vieppiù la
stesura. Una stesura ritmica, ma non meccanica. In una prima
fase verrà applicata con il pennello. Più tardi invece Vanni la
stenderà sulla tela con una spatola, simile a quelle adoperate per
stendere gli intonaci bianchi cui fa riferimento, creando degli
spessori che emulano il muro (Verso la terra dei Feaci).
Ma il campo bianco, che nasce da una trasposizione quasi letterale
di quelle mura, assume presto anche le qualità di un elemento
liquido. È l'altra novità importante di questi quadri, che consiste
nel passaggio da un mondo aereo ad uno liquido. È lo stesso
Vanni a notare che “allo stesso tempo questo pullulare di segni
scuri mi ricordava i riflessi sulla superficie del mare quando è
calmo, le cui forme originali appaiono e scompaiono come
Proteo in variazioni infinite.”12 Se i quadri degli anni cinquanta
obbedivano ad uno spazio gravitazionale fisico assimilabile ad
un ambiente aereo, rarefatto, in questi l’interazione delle forme
appartiene ad una logica riconducibile alle leggi fisiche che
regolano le proprietà dei liquidi.
70
Mare Ionio al mattino.
Intonaco cicladico.
(10) A partire dal ‘59 Vanni ha scelto
di vivere, da maggio a settembre, in
Grecia. Nel ‘75 si è costruito una
casa-studio nell’isola di Citera.
(11) Elisabeth Reed, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, 1983.
P6023 (cat. rag.)
(12) Elisabeth Reed, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, 1983.
Verso la terra dei feaci, olio su tela,
cm. 100x80, 1960, Mondragone,
collezione privata.
71
Non è un caso che l’elemento liquido entri nella figurazione di
Vanni, infatti il mare è una parte determinante del suo mondo.13
In quel periodo fa dettagliati studi fotografici sul movimento
delle onde. Si serve della fotografia per fissare il divenire di queste
forme nella loro costante mutazione. Analizza il cambiamento
formale nel ritmo dei flussi a seconda degli ostacoli che incontrano:
se la forza dell'onda esaurisce se stessa su una spiaggia di sabbia
o nella violenza della risacca su una costa rocciosa. Questo si
ritrova sui quadri nel ritmo delle pennellate che formano il campo
bianco e come questo viene condizionato dall'avvicinarsi alla
cornice o in prossimità delle forme interne. I campi magnetici che
si intuivano nelle polverizzazioni della materia-colore in
prossimità delle città galleggianti dei quadri parigini, qui
diventano espressioni di correnti sotterranee nel loro manifestarsi
sulla superficie del mare. Le forme interne prendono allora delle
configurazioni e direzioni continuamente diverse: centrifughe,
centripete, verticali, orizzontali.
Tutto questo contribuisce a creare delle immagini evocative che
forniscono la possibilità di associazioni multiple. Così, in quadri
come Verso la terra dei Feaci o Ritmi del mare Egeo, lo spazio bianco
assume contemporaneamente il valore di astrazione luminosa, di
presenza materica di intonaco e di onde intrappolate in un golfo.
Ugualmente le forme interne possono essere interpretate in più
modi: fratture-ferite aperte nei campi bianchi, riflessi sull'acqua o
anche elementi che emergono dall'acqua stessa. In ambedue i casi ci
possiamo immaginare facilmente un'evoluzione temporale di
quelle forme: o il bianco-acqua risommerge tutto oppure, ritraendosi,
scompare lui stesso. Il riflesso-ferita può benissimo moltiplicarsi,
invadendo tutto, o frammentarsi in più parti e scomparire.
Queste letture multiple ci forniscono dei concetti fondamentali
per leggere l’opera di Vanni: la possibilità che una parte del quadro,
in un mutuato equilibrio, prenda il totale sopravvento sull'altra;
le forme scure sono al tempo stesso soggetto condizionante e
oggetto condizionato rispetto al campo circostante. Guardando
il dettaglio è difficile stabilire quale dei due sia la forma
antistante, infatti in quadri come L’antro della Sibilla* dove la
72
(13) Vanni, infatti, durante i suoi
soggiorni in Grecia, non solo passa
molto tempo sul mare ma anche sotto
il mare, poichè è stato tra i primi in
Italia a praticare la pesca subacquea
in apnea.
P6023 (cat. rag.), P6024, P6022*
L’antro della Sibilla, olio su tela,
cm. 100x65, 1960, collezione dell’artista.
Red dot, olio su tela, cm. 114x146,
1961, Los Angeles, collezione privata.
(14) Riprendendo in un altro
contesto i temi legati al concetto di
figure-ground sviluppati nelle opere
dipinte durante gli studi con Josef
Albers (Muraglia Cinese).
P6109* (cat. rag.)
(15) Il termine Informale venne
usato per la prima volta dal critico
francese Michel Tapié, nel 1952, in
Un Art Autre. Da allora con esso
si è fatto riferimento a tutte quelle
ricerche che hanno riproposto in
pittura e scultura un primato
dell’atto espressivo facendolo
coincidere con l’agire, con l’essere.
Da qui l’esplorazione delle
possibilità espressive della materia,
intesa come oggetto d’arte, in
opposizione alla linea ed alla
figura.
frattura occupa la metà della superficie del quadro,
l’ambivalenza è forte. Anche se nella visione d’insieme vengono
percepite come il soggetto, è sempre presente la possibilità di una
loro lettura al negativo per cui il campo circostante bianco
assuma questo ruolo relegando le zone scure al ruolo di sfondo.14
All’esaurirsi di questo periodo Vanni fa un passo ulteriore verso
la soppressione del dualismo contraddittorio: il bianco assoluto
viene velato, ravvicinando la sua superficie, per tono e situazione
spaziale, alle forme più scure. Anche queste subiscono un
processo di ravvicinamento, e l’azione che domina i movimenti
di superficie coinvolge ambedue le forme, finchè la distinzione
fra i due piani scompare del tutto (Red Dot*).
È a questo momento che Vanni comincia ad adottare a fondo la
velatura, e a capire appieno la diversità fra colore trasparente e
colore opaco, adottando ora l’uno ora l’altro, anzi usando questo
modo di costruire l’immagine fino ad oggi.
L’abbandono del dualismo a favore di una materia pulsante lo
porterà a intraprendere degli esperimenti pittorici ispirati dalla
poetica dell’Informale.15 Può apparire paradossale che Vanni
non si sia accostato a questo tipo di ricerca in Francia e in
73
America, per poi interessarsene, più tardi, in Italia. Questo trova
la sua spiegazione nei presupposti fondamentalmente classici
del suo lavoro, in una visione della pittura secondo una concezione
radicata in equilibrio e misura. È dunque naturale che i richiami
di Vanni a questa poetica avvengano proprio al suo rientro in
Italia, dove potranno essere mediati da quelle accezioni
rispecchianti un “...atteggiamento frequente nell'arte Italiana,
profondamente legata al suo passato, a certi irrinunciabili valori
formali, e poco propensa, quindi, ad operazioni di rottura, ai
colpi di mano dell’avanguardia.”16
Attraverso questa esperienza acquisisce certe metodologie e
alcune costanti estetiche, quali il gusto del segno, l'ambiguità
morfologica, l'importanza della materia pittorica come ragione
d'arte. Si interessa soprattutto a certe morfologie. Utilizza la
macchina fotografica come un blocco di schizzi, scattando delle
74
Al centro della tempesta, olio su tela,
cm. 114x163, 1961, collezione dell’artista.
(16) “L’Informale” di Claudio
Spadoni, in AA. VV., L’arte in Italia
nel secondo dopoguerra, Il Mulino,
Bologna, 1979, p. 45.
(17) Vanni aveva già iniziato questo
archivio fin dagli anni di Parigi. Qui,
nel ‘57, aveva tenuto una conferenza,
centrata sulle sue fotografie,
intitolata Carnet de voyage d’un peintre
abstrait con la presentazione dello
scrittore André Bay. Ancora oggi,
in ogni suo viaggio, registra tutte le
immagini di materie che attirano la
sua attenzione.
(18) Molto più tardi troverà la
conferma di quanto era andato
cercando nella geometria dei frattali
di Mandelbrot.
P6132 (cat. rag.)
P6122 (cat. rag.)
P6116 (cat. rag.)
(19) Denis Schneider, figlio di Robert
Schneider aveva studiato storia
dell’arte a Roma e aveva sempre
dimostrato un grande interesse per
l’opera di Vanni.
(20) “In una accezione ristretta,
segno... ...è un tracciato grafico che
può o non può essere in relazione con
ciò che indica; ...Il gesto è invece la
concretizzazione plastica di un
movimento fisico immediato e
spesso incontrollato.” (Italo
Tomassoni, Arte dopo il 1945 - Italia,
Cappelli Editore, Bologna, 1971.)
serie di immagini che studiano la struttura e la caratterizzazione
materica delle forme naturali come la sezione di un tronco o la
conformazione di una roccia. Prende corpo un archivio delle
materie, da cui Vanni attinge per poi tradurle, a livelli incrociati,
nelle sue astrazioni pittoriche.17 Il suo interesse non è volto
alla loro rappresentazione naturalistica, ma a comprenderne la
struttura intrinseca, intuendo l’esistenza di una geometria che
sta alla base di tutte queste forme.18 Ne ricerca la logica per
ottenere delle strutture morfologiche sempre più organiche,
arrivando a creare una superficie sulla quale ogni elemento, di
forma e di materia, abbia la stessa importanza gerarchica, di
cui sia possibile dare una molteciplità di interpretazioni
strutturali e figurative.
Nella mostra da Schneider dell'ottobre del ‘61 e in quella alla
galleria Seligman di Seattle del ‘62 vengono presentate delle
opere dove si assiste alla perdita di un'immagine definita a favore
di una predominanza della materia, sottolineata da un
gestualismo più accentuato. In alcune rimangono predominanti
i riferimenti formali alle strutture geomorfiche (La terra e il fuoco:
Prometeo) e fitomorfiche (l’allusione al nodo di un tronco di ulivo
di Al centro della tempesta) osservate in Grecia, in altre questi
elementi sono fusi nel nuovo dinamismo gestuale presente in
Genesis. L'impressione è quella di una forza centrifuga (o
centripeta) per la quale le forme dei quadri bianchi si fondono
in un nodo inestricabile con la materia circostante che viene
spesso evidenziata dall'uso di velature che ne sottolineano la
corposità. Così scrive Denis Schneider19 nella presentazione del
catalogo del ‘61: “Nelle sue composizioni più drammatiche,
come Genesis, appaiono dei vortici e le forme solide sembrano
fondersi nell’impeto della corrente.”
Ma anche nei quadri dove l’esplosione della forma è più accentuata
e l'identità tra immagine e materia più evidente il segno non è
motivato da una immediatezza gestuale. 20 Per Vanni non sarà
mai la materia che detta la forma, ma sarà la materia che
suggerisce una forma che lui vorrà capire, intellettualizzare e
ultimamente distinguere. A questo proposito, sono chiarissimi
75
Genesis, olio su tela, cm. 146x116,
1961, Roma, collezione privata.
i suoi appunti dell’epoca: “L’inizio del quadro consiste in una
azione di aggressione; la tela è messa lì, l’istinto è lasciato libero,
si segue un’idea vaga, tumultuosa, e si agisce istintivamente.
Dopo si cerca di capire questo fatto, e capendo si sviluppa quello
che l'istinto e l'emozione hanno dettato. Capirla, estrarla; la
tela prima è aggredita, poi carezzata, aiutata, fatta partorire di
tutte quelle idee da cui è stata fecondata all'inizio.”
Si tratta di opere in cui è quasi sempre presente un richiamo
costante, anche se impercettibile, al dato naturale. Un rapporto
materia-natura, che potrebbe far pensare alle ricerche sviluppate
76
(21) Questa definizione di Arcangeli
risale ad un saggio scritto sul n. 59
di Paragone nel novembre del 1954.
(22) Giorgio di Genova, Storia
dell’arte italiana del ‘900 - Generazione
anni dieci, Edizioni Bora, Bologna,
1990, p. 221.
(23) Italo Tomassoni, Arte dopo il
1945 - Italia, Cappelli Editore, Bologna,
1971, p. 93.
(24) “L’Informale” di Claudio
Spadoni, in AA. VV., L’arte in Italia
nel secondo dopoguerra, Il Mulino,
Bologna, 1979, p. 35.
(25) Questo esperimento ebbe
luogo in Francia ed in Italia
coinvolgendo cinquanta pittori, nel
loro studio, sotto la supervisione di
una equipe di medici e biochimici.
L’artista non veniva informato di
quale droga gli sarebbe stata
somministrata, né di quale effetto
avrebbe potuto avere. Naturalmente
nelle droghe erano incluse dei
placebo ma a Vanni toccò della
psilocibina, che intensifica la
visione cromatica, all’85% del
massimo della dose. Oltre al breve
episodio allucinatorio, l’altro
effetto fu il raddoppiamento della
pressione arteriosa per una durata
di dieci minuti.
Vanni venne a sapere più tardi che
la maggior parte degli artisti a cui era
stata somministrata la stessa
sostanza, aveva avuto una
impossibilità a fare toccare due
superfici di colore, con una tendenza
a dipingere a chiazze isolate. In
comune con la sua esperienza c’era
stata la sensazione allucinatoria
dello scorrimento della materia
verso l’angolo inferiore destro, che
aveva portato alcuni di loro a
dipingere delle forme discendenti in
quella direzione.
all'inizio degli anni cinquanta, da quei pittori individuati da
Francesco Arcangeli come ultimi naturalisti, 21 come in certi
dipinti di Mandelli eseguiti dopo il '54, dove "comincia a dare
spessore materico alle sue pennellate squilibrate, ma frenate dal
rapporto con la natura”.22 Ma, a differenza di Mandelli e degli
ultimi naturalisti, per Vanni dipingere non è mai “un modo per
partecipare direttamente al divenire delle cose, ...un trasferimento
in arte di un processo esistenziale, ...”.23 Il suo è, al contrario,
sempre un processo estremamente razionale, controllato,
analitico. Se dunque, “adottando un criterio estensivo al
massimo, ma carico di ambiguità ed approssimazione, si sono
considerate informali tutte le esperienze artistiche che hanno
rifiutato un'idea di forma precostituita, programmata,
teoricamente precisata...”,24 si può dire che Vanni non sia mai stato
appieno un pittore “dell'Informale.” Sono forse questi i quadri
meno personali di Vanni, anche se questa esperienza ha avuto
un'influenza stimolante e, come per tanti artisti della sua
generazione, è stata fondamentale e lo accompagna tuttora.
Dopo la breve escursione sperimentale nel lirismo di una materia
pura, sviluppata in un campo continuo i cui limiti spaziali non
coincidono necessariamente con quelli della cornice del quadro,
Vanni reimposta la propria ricerca. Ancora una volta mette in
discussione il proprio repertorio figurativo, per individuare le
componenti che saranno la chiave di lettura per tutti gli sviluppi
successivi elaborati fino ad oggi.
È di questo periodo un interessante esperimento in cui Vanni
dipinge sotto l’effetto di una droga. Era un’esperienza che non
lo aveva mai attratto, si ricordava di quello che Picasso gli aveva
detto: “Io le ho provate tutte ma preferisco di molto le forme
della mia immaginazione, perchè quelle procurate dalla droga
sono banali e simili tra loro.” Quando però un gruppo di ricerca
scientifica diretto dal professor Emilio Servadio, della Società
Psicoanalitica Italiana, gli chiede di partecipare ad un esperimento
per studiare l’effetto di droghe diverse sulla pittura, accetta con
grande interesse.25 Nelle le sei ore di influenza dello stupefacente
Vanni ha soltanto un breve fenomeno allucinatorio in cui gli
77
Pietra dedicata al mare, olio su tela,
cm. 80x100, 1963, collezione dell’artista.
sembra che la materia del quadro fluisca verso l’angolo destro
inferiore, ma per il resto continua a dipingere un quadro che
non presenta alcun elemento che lo possa differenziare dagli
altri su cui sta lavorando in quel periodo. 26
Tra la fine del ‘62 e gli inizi del ‘63 si intrecciano, alternativamente,
due ricerche. Nella prima la materia subisce evoluzioni diverse
sottolineate da una rarefazione o ispessimento della tessitura
evidenziate dal cromatismo delle velature; recupera una sua
strutturazione ben definita dando vita a delle composizioni
spaziali scandite da un ritmo sicuro, che suddividono il quadro
in scomparti (Pietra dedicata al mare, Casa del Minotauro). Nella
seconda riemerge, più impellente, l'esigenza di un controllo
formale sulla materia (del resto mai completamente trascurato)
che sia più esplicito. La pennellata come segno materico viene
intellettualizzata con dei grafismi che ne sottolineano le
caratteristiche (Primavera per Radha*). Anche in questo caso le
velature intervengono a dare enfasi emotiva alla materia stessa.27
A fare da contrappunto a forme che sviluppano sempre di più
un loro carattere individuale, intervengono presto delle macchie
di colore a impasto. Si tratta di impronte, di frammenti cromatici
78
(26) Dopo alcuni anni, ricordando
questa esperienza, darà ad un
quadro il titolo di LSD 25 (P6504, cat.
rag.), alludendo alla fissità stupefatta
della figura antropomorfica.
P6305 (cat. rag.), P6307
P6333*
(27) È interessante confrontare
queste opere con i monotipi che
Vanni ha fatto in quegli anni
(Movimento I-XI [G6205-15], Azione
I-XI [G6216-34], Studio I-XII
[G6301-12]) dove questa ricerca è
sviluppata senza l'intervento
cromatico della velatura
P6328 (cat. rag.)
P6330 (cat. rag.)
dai colori timbrici, che fanno da contrappunto alle pennellate che
li circondano puntualizzando le correnti di energia della superficie
(Quando Teti sull'acque). Pochi rispetto all'economia compositiva
del quadro, eppure estremamente significativi, fino ad esercitare
un potere di centro (A las cinco de la tarde).
È la prima manifestazione di un elemento alieno all'interno del
quadro, di qualcosa che appartiene ad un altro mondo, un'altra
realtà, la cui logica formale è contraddittoria rispetto a quella
del resto del quadro. Con questi quadri Vanni introduce, a un
livello embrionale, un aspetto fondamentale della sua ricerca
figurativa, che costituirà la chiave di lettura per quelle che
Quando Teti sull’acque, olio su tela,
cm. 100x80, 1963, Roma, collezione
privata.
79
L’abitudine dell’equilibrio, olio su tela,
cm. 80x50, 1963, collezione dell’artista.
seguiranno: la coesistenza, all'interno dello stesso spazio pittorico,
di mondi diversi rispondenti a logiche opposte.
A queste opere, esposte nella personale del ‘63 alla Schneider,
fa seguito una serie di quadri che sviluppa un'altra componente
80
P6338 (cat. rag.), P6403
P6406
radicata nel mondo figurativo di Vanni: forme dai riferimenti
antropomorfici come fossero maschere totemiche, ridotte a
valori essenziali di natura ancestrale e preistorica. Qui il valore
di elemento estraneo viene assunto dalla possibilità di rilettura
di una parte della materia del quadro come un ritratto della
maschera. Si ha così un campionario di fisionomie sviluppato
su quadri che visti nel loro insieme forniscono un panorama
completo di variazioni sul tema (L’abitudine dell’equilibrio, Altare
propiziatorio, Idolo numero due). La rappresentazione molteplice,
a volte contradittoria, dello stesso soggetto diverrà un altro tema
ricorrente nell'opera di Vanni.
Egli giunge così ad una acquisizione di elementi formali e di
criteri compositivi che, congiuntamente al passaggio ad un mondo
non più unitario ma centrato su un polimorfismo dialettico e
formale, pongono le basi per i quadri apparentemente molto
diversi del periodo successivo.
(28) cfr. Claudia Salaris, La Roma delle
avanguardie, Editori Riuniti, Roma
1999, pp. 205-209.
(29) Boza Kosak creava vestiti come
opere d'arte e quando ne vendeva
uno faceva delle feste in maschera in
cui si ritrovavano tutti gli artisti.
(30) Berenice, Settevolante, Paese
Sera, 8 novembre 1961.
Gli anni sessanta hanno rappresentato un periodo essenziale di
crescita e di ricerca per Vanni. Il suo interesse nella sperimentazione
si combina con l’attenzione al panorama artistico del momento
che è particolarmente dinamico e stimolante.
Roma in quegli anni era anche e soprattutto quello spazio
culturale così ben descritto da Ennio Flaiano. Sono gli anni, dopo
l'emergenza postbellica, del miracolo economico e della Dolce Vita.
Pittori e letterati si ritrovano da Rosati28 a piazza del Popolo, da
Cesaretto a via della Croce, a via Flaminia alla trattoria Menghi.
Si organizzano feste mascherate, memorabili quelle da Boza
Kosak, grande amica di Vanni, che trasforma il suo atelier ora
in una caverna ora in circo per dare delle feste a tema a cui
partecipano tutti gli amici artisti.29 Lo spirito di quella atmosfera
ci viene dato in un articolo dell’epoca: "A studio di Boza Kosak
(via Margutta di gomito): cena a base di caccia con 8 fagiani, 15
beccaccini, 20 tordi, e 30 amici fra pittori, scultori e liberi
professionisti (le bottiglie non si contano). Il pittore Vanni ha
cucinato i fagiani - tirati a cottura al marsala - mentre Alberto
Sartoris e Paolino Buggiani hanno fatto i giochi di forza" 30
81
Insomma, la voglia di sperimentare in arte di quegli anni e di
ritrovarsi con gli amici artisti per discutere e confrontare le
proprie idee va di pari passo con una grande voglia di divertirsi
e fare cultura senza prendersi troppo sul serio.
Per Vanni il raffronto con altri artisti è importante e pensa che
questo comporti un arricchimento dell’immaginazione.
Condivide con Cagli l'idea che "la pittura non è un fatto privato e
difficilmente un pittore può maturare da solo...”31 eppure questo
rapporto dialettico non è mai sfociato nella partecipazione a
gruppi o movimenti. Il centro della sua attività è il suo studio
a via del Lavatore, vicino alla Fontana di Trevi. Lì, in completa
autonomia, elabora nei quadri le sue esperienze. La vita
professionale che Vanni conduce durante questi anni romani è
coerente con una presa di posizione nei confronti del mondo
dell'arte, che aveva mantenuto fin dagli inizi: di non rifiutare, ma
neanche ricercare, un inserimento ufficiale nel mondo dell'arte.32
Se invitato, parteciperà a mostre ed eventi ufficiali senza però
ricercare in maniera sistematica una approvazione esterna del
proprio lavoro. Il suo metro di paragone, allora come ora,
risiede in un controllo personale e costante della serietà della
sua ricerca, cui corrisponde l' "amore della pittura come
mestiere."33
In questi anni e in quelli che seguono Vanni continuerà ad
alternare i periodi di attività romana con lunghi soggiorni in
Grecia a Corfù.
Qui, nel ‘61, aveva incontrato Didi Blitz, 34 che dirigeva un
villaggio di vacanze del Club Mediterranée allora molto diverso
da quell’immagine che ne abbiamo oggi di industria del
turismo. Per lei era molto importante che eventi culturali
integrassero le attività ricreative che il villaggio offriva. Con
Vanni era presto nata una profonda amicizia cementata
dall’ammirazione che Didi Blitz aveva per la sua pittura. Fu
lei a offrirgli per due anni, come studio dove continuare a
lavorare durante l’estate, una villa a Paleokastriza, costruita
negli anni venti, con una terrazza che si affacciava sui quei tre
golfi, che Omero descrisse nell’Odissea come il porto dei Feaci.
82
(31) Corrado Cagli, Sartoris e Vanni,
cat. mostra, galleria l’88, Roma, 1229 maggio 1965.
(32) A questo proposito è indicativo
che, tornato a Roma dopo gli anni
passati all'estero, non cerchi
l'appoggio di amici di famiglia che
avrebbero potuto aiutarlo in un suo
riconoscimento ufficiale.
(33) Corrado Cagli, Sartoris e Vanni,
cat. mostra, galleria l’88, Roma, 1229 maggio 1965.
(34) Judith Blitz (detta Didi), sorella
del fondatore del Club Mediterranée,
contribuì in maniera determinante a
inventare lo stile che ne farà il successo.
(35) Da Roma verranno Paolo
Buggiani, Alberto Sartoris e Nino
Franchina.
(36) Come Louis Pauwels, fondatore
della rivista Planete e cultore
dell’esoterismo; Jean-Jacques Servan
Schreiber, fondatore e direttore del
settimanale Express; il professor
Grassi, filosofo della scuola di
Adorno; Ledig Rowholt, proprietario
della omonima casa editrice tedesca;
Julian Beck, fondatore del Living
Theater; il sociologo francese Edgard
Morin.
Sotto e a sinistra disegni di Vanni per
i pareo del Club Mediterrannée.
(37) Prima di allora i pareo del Club
Mediterrannée provenivano dalle
stesse stamperie industriali di Lione
e Manchester che rifornivano le isole
della Polinesia. Vanni creò per
l’occasione una serie di botteghe
artigianali, dove il fatto a mano era di
rigore, nel paese dove il villaggio di
vacanze si trovava (Grecia, Spagna,
Tunisia, Turchia, Israele). Questa
attività lo occuperà per un mese
l’anno fino al ‘73 quando decadrà il
suo contratto di esclusiva.
Vanni vi passerà sei mesi l'anno facendo della pesca subacquea,
dipingendo e organizzando delle grandi cene che, nonostante
il tono giocoso e festivo di fondo, spesso si trasformano in dei
veri e propri eventi culturali. Vi si trovano fianco a fianco artisti
e scrittori suoi ospiti 35 con amici di Blitz, personaggi
caratterizzati da una specie di protoecologismo e gusto
dell’avventura, dell’esotico e dell’esoterico, 36 con ballerini
tahitiani, guru indiani, musicisti o navigatori appena tornati
dei mari del sud. Ma la villa rappresenta per Vanni soprattutto
il suo studio estivo, dove il suo confronto fra nord e
Mediterraneo può svilupparsi in un ambiente diverso e portarlo
a nuove formulazioni espressive. Uno stimolo particolare nasce
dall’incontro, che presto sfocia in una grande amicizia, con lo
scrittore inglese Lawrence Durrell. Vanni era rimasto
affascinato dalla struttura narrativa del Quartetto di Alessandria
dove la stessa storia viene raccontata da quattro punti di vista
diversi, in funzione del narratore, cambiando anche ogni volta
lo stile del racconto. Una logica paragonabile a quella che Vanni
va sviluppando nella sua pittura.
La stima che Didi Blitz ha per il lavoro di Vanni le suggerisce
di affidargli l’esclusiva dei disegni delle stoffe dei pareo usati
al Club Mediterranée. Il suo mecenatismo le fa organizzare
questo lavoro in modo che diventi quasi un appannaggio che
permetta a Vanni di continuare la sua ricerca pittorica,
indipendentemente da problemi finanziari.37 Nei primi disegni
dei pareo sviluppa uno stile che, pur avendo un carattere
decorativo, fornisce elementi interessanti per ritrovare le origini
iconologiche delle forme che dipinge nei quadri dello stesso
periodo. Forme che si riallacciano all’interesse che Vanni ha
già dimostrato anni prima quando aveva studiato le pitture su
scorza d’albero della Melanesia e che si possono direttamente
ricollegare ai quadri ispirati da simbologie totemiche che si
ritrovano nei ritratti delle maschere. La tecnica stessa di creare
le matrici dei disegni intagliando il linoleum fissato su un
supporto di legno è rivelatrice di un interesse di Vanni per
tecniche primitive che per la loro natura lo costringono a trovare
83
Gli sposi promessi, olio su tela,
cm. 80x80, 1965, collezione dell’artista.
forme semplici, primordiali, che portano nuovi elementi alla
individualità dello stile che si va formando. 38 Gli intagli di
carattere grafico di Matrice I* verranno tradotti, in quadri come
Scrittura ignota** o Tirinto***, in pennellate pastose ricche di
sfumature tonali. La ricerca pittorica svolta nel ‘64 si sviluppa
tenendo conto di queste esperienze, e contribuirà alla sintesi
formale raggiunta poco più tardi.
I quadri del '65, esposti alla Galleria 88 nel maggio di quell'anno
in una mostra organizzata da Corrado Cagli, rappresentano il
primo esempio di un universo immaginativo dove suggerimenti
di realtà diverse, contraddizioni linguistiche e discontinuità
grammaticali contribuiscono alla formulazione di ambiguità
spaziali (Semisecolare, Ladybug, L’estate degli specchi).39 Campi
materici coesistono con altri dove l’accento è affidato al valore
cromatico (Due momenti della rosa azzurra). Forme geometriche
affiancano elementi organici: settori che alludono ad una visione
84
(38) Vanni trasformerà in seguito
alcune di queste matrici in progetti
per monumenti (G6201, G6202,
G6203, G6204).
G6201*, P6342**, P6401***
(39) Con questo spirito esegue tre
piccole opere, Cronistampa # 1: la
Congiuntura (P6524), Cronistampa # 2:
il Realismo Reale (P6525), Cronistampa
# 3: Cinema et Publicitè (P6526, cat. rag.)
con collage di immagini di rotocalchi
come dei divertimenti in cui inserisce
elementi del pop-art. È la sola volta
che Vanni fa riferimento a quel tipo di
grammatica.
P6503, P6508 (cat. rag.), P6510 (cat.
rag.)
P6520 (cat. rag.)
L’estate degli specchi, olio su tela,
cm. 100x80, 1965, collezione dell’artista.
P6513
P6516 (cat. rag.)
zenitale, delimitati da margini che evocano silhouettes di coste
viste nella bruma all’orizzonte (Gli sposi promessi). Delimitazioni
di spazi illusori (quadro nel quadro, tela che ne rivela un'altra)
che si negano l'un l'altro in un avvicendarsi di certezze disilluse
(Pour madame de...). Vanni lo descrive quando dice: “...deve essere
stato all’inizio del ‘64. Stavo nel mio studio quando la mia visione
periferica mi fece notare un quadro che non ricordavo. Mi voltai
per rendermi conto che si trattava di un gruppo di tre quadri di
dimensioni diverse appoggiati insieme. Ognuno nascondeva una
parte dell’altro; ma la piccola porzione che era visibile chiedeva
di essere inclusa nel quadro, quasi a confrontare la sua credibilità
85
rispetto all’altro e sbilanciare l’equilibrio esistente introducendo
il proprio ritmo e la propria definizione di spazio. È da allora
che ho cominciato ad interessarmi in maniera cosciente alle
discontinuità, alle contraddizioni di stile, alle citazioni dal mio
personale museo della memoria, agli accenni alle sedimentazioni
di culture diverse che si nascondono e coesistono nel nostro
subconscio. A volte l’elemento intruso è piccolo; in altri casi i
due elementi condividono una porzione uguale di spazio oppure
si moltiplicano diventando allusioni a mondi diversi che si
intrecciano occupando ogni porzione di spazio a disposizione,
per lasciare intatto solo un centimetro di quiete nel mezzo di
un conflitto inestricabile. Ho anche provato a dipingere una
metà della tela per poi ricoprirla fino a che avessi dimenticato
quello che vi avevo fatto. Solo allora ho dipinto l’altra metà
per ottenere un dialogo tra le due parti che esistesse senza un
mio intervento cosciente."40
Alcuni di questi quadri vengono mandati a Colonia per
l'esposizione Tevere-Reno,41 dove Vanni vince il primo premio.
La città acquista un’opera per il suo museo di arte contemporanea.
Nel 1966 viene invitato per un anno in Marocco da Didi Blitz, che
gli mette a disposizione uno studio per dipingere nel villaggio
che lei dirige ad Agadir.42 Si tratta di un'occasione ideale per
ripercorrere le esperienze culturali di artisti, come Delacroix e
Klee, sui quali il mondo arabo affacciato sul Mediterraneo aveva
esercitato una marcata influenza. Certo la sponda sud del
Mediterraneo non era più allora una terra lontana, inesplorata,
ma la carica di mistero che ancora la caratterizzava negli anni
sessanta, era molto più intensa di quanto lo siano oggi Bali o
Katmandu. A contatto con questa cultura Vanni arricchisce il
suo universo figurativo, il suo museo della memoria, 43
assimilandone elementi che riappariranno, frammentati e
rielaborati nei quadri.
In Marocco va alla scoperta di una civiltà che vive in simbiosi
con la realtà circostante. Nei suoi frequenti viaggi all’interno del
paese ricerca il contatto diretto con la vita locale per assimilare
86
(40) Elisabeth Reed, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, 1983.
Sullo stesso tema Dino Buzzati
scriverà in occasione della mostra
alla Galleria Rizzoli di Milano nel
1968: ‘Come su una stessa parete
quadri di diversi artisti possono,
magari attraverso violenti contrasti e
contraddizioni, fondersi in una
fortunata armonia, così Vanni in ogni
tela accosta due, tre, quattro sezioni
le quali, considerate a sè, potrebbero
sembrare di differenti autori.” ( Dino
Buzzati, in Il Corriere della Sera,
Milano, 1 maggio 1968)
(41) I quadri presentati furonoTilt
(P6512), Terzina per Frani (P6514),
Questo è il punto (P6521), Hotel du
Lyon d’Or (P6515). È interessante
anche notare che fu Cagli a segnalare
il lavoro di Vanni alla commissione
incaricata di selezionare gli artisti
italiani da includere nella mostra.
(42) Il pretesto per l’invito era quello
di organizzare la stampa dei pareo.
(43) Vanni dà questa definizione ai
ricordi visivi che ritornano nei suoi
quadri.
(44) Il suo interesse per l’architettura
organica contrapposta alla razionale
risaliva alla lettura di Zevi quando
frequentava la facoltà di architettura.
P6606 (cat. rag.), P6604 (cat. rag.)
la cultura del posto. Nel deserto vive nelle tende dei beduini,
per capire come la loro struttura, partendo da elementi che sono
sempre gli stessi, sia in costante mutazione a seconda delle
conformazioni del terreno, adattandosi alle più svariate esigenze.
L’architettura spontanea lo interessa in quanto alternativa alla
rigidità delle simmetrie prodotte dalla logica del nostro mondo
occidentale.44 Nelle medine studia l’aggregazione delle botteghe
lungo dei percorsi che sommandosi gli uni agli altri determinano
la crescita organica dei suk. Queste esperienze verranno espresse
in una nuova grammatica, ad arricchire il mondo di contraddizioni
che sta affermandosi nella sua opera. Inoltre, sono da prendere
in considerazione alcune immagini il cui impatto visivo avrà
un’eco a livello formale e con suggerimenti iconologici nei
quadri posteriori. Fra queste, ad esempio, le infinite differenze
di colori e tessiture dei paesaggi del deserto; la coesistenza di
preziosità e ruvidezza nell’arte popolare berbera come nei
gioielli finemente cesellati intorno a pietre amorfe, o nei vestiti
di cotone ruvido con inserti broccati e ricamati con sete di colori
vivissimi. Altri stimoli determinanti sono rappresentati dalla
continua presenza di chiazze di colore timbrico nel paesaggio
urbano: le lane appena tinte stese ad asciugare, le pile gialle e rosse
di spezie sulla piazza del mercato o quelle blu e verdi dei minerali
estratti dalle miniere di rame, che si ritagliano sulle diverse
sfumature dei toni terrosi che li circondano.
Tornato a Roma nell’autunno del ‘66 elabora una serie di quadri
dove una lavorazione frenetica, quasi ossessiva, lo fa arrivare a
una felicissima sintesi dell’esperienza recente con le opere che
l’hanno preceduta, come testimoniano Marocco sera, Alla soglia
del deserto. Realtà diverse, di esperienze lontane e vicine, visive
e culturali, si confrontano in un contrappunto instabile dove
ognuna può rappresentare l'elemento dominante. Vanni descrive
questo modo come il "...discorso sulla impossibilità del discorso, i
temi che cominciano a svilupparsi e sono interrotti da altri che
cercano spazio per il loro proprio sviluppo. Anche quando uno
degli elementi si organizza in una sua specifica razionalità il
87
discontinuo sussiste, anche se ridotto a poco, almeno come
superficie occupata."45
Queste opere saranno esposte nelle personali alla galleria Rizzoli46
di Roma nell’aprile del ‘68 e in quella di Milano un mese più
tardi, con la presentazione di Giorgio di Genova. Paragonandole
a quelle esposte alla Galleria 88 tre anni prima si nota
immediatamente un infittimento degli elementi compositivi ed
una marcata saturazione del colore.47 Le contraddizioni che
prima erano soltanto enunciate ora vengono sottolineate
ripetutamente. Nel raffronto tra due quadri, Gli sposi promessi*
del ‘65 e Percussione** del ‘67 è evidente come quello che prima
veniva proposto in sordina ora viene sottolineato. Mentre ne
Gli Sposi promessi il salto fra la superficie disegnata e il resto è
appena accentuato da un leggero cambiamento della materia
di fondo, in Percussione il settore che contiene la forma disegnata
ha compiuto un salto di qualità strutturandosi in una materia
diversa che raccoglie una nebulosa di colori timbrici. Nel primo
le silhouettes di coste all’orizzonte sono semplicemente delle
separazioni fra campi simili, nel secondo diventano il pretesto
(45) Elisabeth Reed, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, 1983.
(46) Malgrado la Rizzoli avesse
iniziato da poco la sua attività
espositiva, il suo calendario di
mostre era denso. Poco dopo la
mostra di Vanni vi sarà sia a Roma
che a Milano la personale di Mirko.
(47) Alla reintroduzione dei colori
timbrici, assenti dagli anni
cinquanta, ha contribuito l’intenso
cromatismo osservato in Marocco.
P6513*, P6716**
Percussione, olio su tela, cm. 80x100,
1967, ubicazione ignota.
88
Marocco, sera, olio su tela, cm.
100x160, 1966, Roma, collezione
privata.
per creare una serie di strati colorati che interagiscono in una
vibrazione timbrica. Se nel primo il disco nero rappresenta un
elemento che sta ad arbitro di un equilibrio instabile, nel
secondo questo assume una qualità dinamica che provoca il
movimento di tutto il quadro, con una percussione, appunto.
Ne Gli sposi promessi tutta la superficie è sensibilizzata da una
tessitura materica, mentre in Percussione questa diventa una
delle tante componenti del quadro.
L’opera che però riassume meglio la struttura complessa e
contraddittoria che Vanni sviluppa in questo periodo è Marocco,
sera. Il quadro può essere riassunto in due quadranti rossi con
situazioni spaziali diverse; una fascia centrale di materia
apparente, due quadranti di piccole forme minuziose di
tessitura contrastante ed infine a destra una banda laterale che
ricapitola la scala cromatica dell’intera opera. In un’analisi
dettagliata emergono le origini iconologiche delle varie
componenti. Molte ripropongono, ridotte all’essenziale e in una
89
nuova chiave, delle formulazioni di suoi quadri degli anni
cinquanta, che stanno rientrando nel suo mondo. Il campo
timbrico di rosso vermiglione riporta alla fibrillazione dei rossi
di allora, che qui si manifesta attraverso la presenza di una
materia sottostante che sensibilizza la superficie della campitura
modulandone l’uniformità. Le linee che attraversano questo
campo diversificandone il significato richiamano il tema del
confine ridotto ad un grafismo essenziale. Il disco di ocra
fredda48 in accordo di vibrazione evoca una versione al negativo,
per l’inversione di colori fra il rosso del disco solare e il giallo
della sabbia, di un tramonto sul deserto. La lettura in chiave
paesaggistica è però contraddetta dalla presenza, nel settore
inferiore rosso, di un grafismo verticale nero e da tutti gli altri
elementi del quadro. Infatti lo squarcio materico nella fascia
centrale riporta immediatamente ad una lettura in scala reale. A
fianco di questo una zona ingrandita piena di minuziosi dettagli
fatti di grafismi colorati49 propone un ulteriore cambiamento di
scala. In contrasto con queste forme di matrice geometrica una
vasta zona sottostante è occupata da una fitta tessitura di forme
di origine biologico-organica. Nella parte perimetrale di questo
quadrilatero le forme sono più grandi, con una struttura che si
rifà ad organismi cellulari. All’interno continua la stessa
morfologia con una stesura più serrata su una superficie che è
modellata in bassorilievo. Verso il centro il ritmo si infittisce e il
tratto si fa più frenetico fino ad alludere ad un tessuto in
decomposizione, il che è ulteriormente sottolineato dalla
tridimensionalità della esecuzione attraverso l’alterazione fisica
della superficie del quadro. Vanni si serve dei due quadranti fitti
di forme minuziose per esprimere lo stesso ritmo spaziale con
modelli esecutivi completamente diversi.
Ognuna di queste componenti manda un messaggio specifico
che mette in dubbio gli spazi dell’altro, fornendo una lettura
plausibile di un elemento per poi negarla. L’immagine che
emerge dalla Babele di linguaggi e significati delle opere di
questo periodo è una visione del mondo espressa dalla
contemporaneità di tutti i modi possibili evidenziati in tutte le
90
(48) Richiamando il disco solare di
Tramonto (P5211, cat. rag.), privato,
in questo nuovo contesto, degli
elementi simbolici di influenza
kleiana del quadro originale.
(49) Riconducibili nella lorofattura
ai geometrismi non meccanici
che lo hanno sempre interessato e
che ha ritrovato in Marocco nei
tessuti ricamati e gioielli popolari
berberi che ha collezionato.
Compositivamente
richiama
Villaggio primitivo (P5306), quadro
strutturato da rettangoli neri
sovrapposti che Vanni aveva
dipinto a Yale, dove la distinzione
fra i vari elementi era marcata dalla
direzione diversa della pennellata.
Alle tre di notte, olio su tela, cm.
80x100, 1968, Milano, collezione privata.
(50) Il palinsesto è un manoscritto,
dove la scrittura è stata sovrapposta
ad un’altra che era stata raschiata, o
cancellata, per poter riutilizzare il
foglio di pergamena. Vanni usa questo
concetto riferendolo soprattutto al
significato esteso alla pittura come,
ad esempio nel termine “palimpsest
wall” usato da Richard Krautheimer
per descrivere la sovrapposizione di
affreschi a Santa Maria Antiqua a
Roma. (Richard Krautheimer, Rome.
Profile of a City, 312-1308, Princeton
University Press, Princeton, New
Jersey, 1980, pp. 98-99.)
loro contraddizioni. Qui si trova la motivazione per cui Vanni
riprende più volte quadri che aveva considerato già finiti,
aggiungendo nuove tessiture e temi, sviluppando il concetto,
che lo continuerà ad interessare anche più tardi, del palinsesto,50
che darà anche il nome a due quadri.
Questo periodo sarà il momento in cui il lavoro di Vanni si
avvicinerà di più a certe strutture formali sviluppate da Cagli.
Vi sono infatti profonde affinità tra gli sviluppi degli elementi
segnici che coprono intere porzioni di questi quadri con la
vibrante vitalità delle forme e dei colori delle Siciliane del
Maestro. La ricerca di Vanni si incrocia qui ad uno dei motivi
ricorrenti dell’opera di Cagli nel gusto per il labirinto, sia
91
tematicamente che formalmente. Il riempire sistematicamente
di segni ogni spazio vuoto segue come guida una sorta di
percorso-scrittura che ritorna sui propri passi creando un
sistematico disorientamento direzionale. Altre volte i segni si
organizzano in anelli concentrici dentro i quali le tonalità si
schiariscono o si oscurano a creare rilievi simili a quelli delle
carte topografiche. Anche se queste rappresentazioni di Vanni
sono indubbiamente legate ai ricordi di microbiologia della sua
infanzia, quel ciclo di opere di Cagli gli ha fornito dei paralleli
interpretativi che saranno importanti in questo sviluppo e
rimarranno nella sua pittura. 51 Queste influenze formali
diventano però meno evidenti quando, nell’alternarsi di flusso
e riflusso tra forme condensate e superfici vuote, così tipico del
processo costruttivo di Vanni, gli spazi estesi prendono il
sopravvento e le forme formicolanti di attività sono costrette ai
margini. Sembra quindi che gli apporti formali di Cagli siano
equiparabili a quelle altre allusioni visive di artisti, come Klee
o Klimt, cui Vanni si riferisce volentieri, mentre invece la
convalida intellettuale che il Maestro diede al suo eclettismo
sia molto più fondamentale.
Si potrebbe ritrovare in queste composizioni anche allusioni al
mondo psichedelico. Sebbene questo genere di espressività
porterebbe ad associarla alla pop art americana, Vanni non
intende avvicinarsi a quei presupposti creativi. Lascia però
permeare nella sua opera degli elementi visivi della cultura pop,
che ha osservato l’anno prima durante una permanenza a Londra,
nelle forme vibranti e coloratissime presenti soprattutto nella
grafica (sono di quegli anni le copertine allucinate dei dischi
dei gruppi di musica rock).
In quadri come Jamaa el Fna e Alle tre di notte il brulichio di forme
cellulari ha completamente invaso lo spazio pittorico invertendo
il rapporto con la parte materica che sussiste qua e là sulla tela,
assumendo il ruolo di inserto.52 Nelle successive opere va ancora
oltre: ne Il piano è ondulato la forza espansiva di queste forme
provoca lo scollamento di una parte del quadro che si stacca dalla
tela, in Quattro per quattro gli scomparti che prima coesistevano
92
(51) Infatti Giorgio Di Genova a
proposito di certi quadri degli anni
ottanta scriverà: "Il suo fantasticare
metamorfico è fatto di momenti
cosmici, di riferimenti organici, dal
fitomorfo all'istologico, di bagliori
improvvisi, di ombre fluide e
misteriose, di sensualità del colore,
di forte istinto grafico e di brandelli
del Cagli delle Siciliane” (Giorgio di
Genova, Storia dell’arte italiana del
‘900 - Generazione anni venti, Edizioni
Bora, Bologna, 1991, p. 590.)
(52) “La pittura di Vanni è stata
un’anabasi per giungere al mare
figurale delle opere più recenti ed
ultime, in cui lirismo segnico,
fantasia, eccitazione decorativa
(momenti sempre collegati alla realtà
dal cordone ombelicale d’una libera
visione, e quindi interpretazione,
della natura) sono confluiti ad una
osmosi che mai annulla i momenti
diversi che fanno parte del discorso
pittorico di Vanni. (...) Nelle ultime
opere giustamente l’horror vacui s’è
fatto insistente, giustamente perchè
un discorso come quello di Vanni ha
nell’ horror vacui la dimensione più
congeniale. Ma quel che conta è
come Vanni riesce a controllare con
lucidità questo magma segnicocromatico che a volte ricopre quasi
interamente le superfici da lui
dipinte.” (Giorgio di Genova, cat.
mostra, galleria Rizzoli, Roma e
Milano, marzo-aprile 1968.)
P6809 (cat. rag.), P6810 (cat. rag.)
P6811 (cat. rag.)
P6808
Quattro per quattro, acrilico su tavola,
cm. 100x100, 1968, collezione
dell’artista.
93
94
sulla stessa superficie si sfalsano su un piano elicoidale rivelando
altre superfici dipinte nei triangoli che li congiungono. Con
queste opere il suo lavoro, sviluppando la superficie del quadro
nella terza dimensione, abbandona temporaneamente la
rappresentazione bidimensionale.
Continuando in questa direzione Vanni tralascerà per alcuni anni
la pittura per trovare in altre forme artistiche i mezzi per spingere
oltre le sue teorie.
Nel contempo a Roma stanno maturando svariate ipotesi di
ricerca che si erano manifestate fin dall’inizio degli anni sessanta.
In un clima di sperimentazione molto vivace a cui corrisponde
(53) “L’ambiente romano” di
Manuela Crescentini, in AA. VV., La
pittura in Italia - Il Novecento/2, Electa,
Milano, 1993, p. 522.
(54) È da notare che Vanni non viene
mai tentato dal concettuale.
P6903* (cat. rag.)
Frattura, tecnica mista su fibra di
vetro, cm. 107x79x30, 1969, collezione
dell’artista.
un “...desiderio di cambiamento del vecchio sistema dell’arte ...“.53
Si affermano il nuovo-realismo oggettuale di matrice new-dada,
la pop-art romana, le sperimentazioni gestaltiche, fino alle ipotesi
più eterodosse come le attività espositive promosse dall’Attico
di Fabio Sargentini o l’arte povera teorizzata da Celant.
Indubbiamente anche Vanni si pone il problema della validità
dei mezzi artistici tradizionali. Questo lo porta a rivalutare quanto
aveva fatto fino ad allora e i modi che aveva seguito per
raggiungere i risultati a cui era arrivato. La sua reazione tende ad
un arricchimento ulteriore del contenuto formale piuttosto che
alla dissacrazione e alla negazione della validità di questo.54
Intraprende degli esperimenti che tentano di operare una sintesi
fra categorie diverse di espressione nel tempo e nello spazio.
Si concentra sulla creazione di bassorilievi in vetroresina che
rappresentano quasi una proiezione tridimensionale delle
ultime opere pittoriche. Questi sono modellati su dei calchi
formati da assemblaggi apparentemente casuali degli oggetti
più disparati, barattoli, secchi, piatti, che formano degli
agglomerati convulsi, come nodi gordiani di rifiuti del mondo
moderno. La scorza traslucida che ne registra la forma (e che
ne è l’unica testimonianza: dopo essere stati utilizzati per il calco
gli oggetti sono eliminati) diventa il supporto per ulteriori
interventi. Nei primi bassorilievi la superficie viene
semplicemente dipinta, creando in certi casi delle aperture che
ne rivelano l’interno (Frattura*). In seguito verranno animati
95
dalla proiezione di interventi pittorici filmati appositamente
(20 minuti di variazioni in poliestere,* Progetto di variazione nel
tempo**). Questi rappresentano la trasformazione continua di
forme e composizioni, che traducono in chiave temporale il
conflitto spaziale degli elementi contraddittori e discontinui
sperimentato negli ultimi quadri. Così il quadro diventa un
oggetto in perenne trasformazione nel tempo, intensificato
dall’interazione del film con una superficie estremamente
irregolare che interferisce con la percezione unitaria
dell’immagine; inoltre lo spettatore, muovendosi rispetto alla
scultura, potenzia la possibilità di una lettura multipla. 55
Secondo questa stessa dinamica creativa, Vanni aveva
progettato di proiettare sequenze di immagini pittoriche su
superfici ancora più mutevoli, quali delle membrane di gomma
in continua pulsazione. I movimenti provocati da una pompa,
variando la pressione dell’aria nel volume che racchiude la
96
20 minuti di variazioni in poliestere,
poliestere su fibra di vetro,
cm. 122x193, 1970, collezione
dell’artista.
P7003* (cat. rag.), P7004**
(55) Non è un caso che questo genere
di coinvolgimento dello spettatore
che viene chiamato, col suo
intervento visivo, a contribuire al
completamento dell’opera d’arte,
abbia delle affinità con la op-art,
alle cui creazioni Vanni si è spesso
interessato.
membrana che è essa stessa elaborata in bassorilievo,
l’avrebbero deformata irregolarmente in funzione del suo
spessore locale, distorcendo a sua volta l’immagine che vi
veniva proiettata.
Il tema dell’espressione del messaggio attraverso
l’accostamento temporale di immagini contraddittorie viene
anche sviluppato solo nella sua componente cinematografica.
Infatti Vanni gira due lungometraggi in super 8, Due risvegli in
tre tempi del ‘69 e Uno due tre via del ‘70. Si tratta di pellicole
caratterizzate da un montaggio frenetico, sincopato, di
immagini ad associazione libera fra di loro, scelte nella più gran
(56) Guglielmo Mileto era appena
tornato in Italia dopo una lunga
permanenza in America, dove aveva
insegnato al Pratt Institute e
sviluppato una serie di progetti
sperimentali. Fra questi un progetto
di città lineare reticolare (1967) come
proposta di risanamento delle zone
urbane alla periferia di New York.
Di ritorno a Roma si era unito a
Herbert Rader, Riccardo Bonicatti,
Barrie Dewhurst, creando una studio
per
sviluppare
progetti
internazionali chiamato Interplan.
(cfr. “Dall’America a Roma.
Esperienze di un architetto italiano:
Guglielmo Mileto” di Guglielmo
Mileto, in Domus, n. 473, aprile 1969).
(57) Nel palazzo andranno anche
alcuni quadri di Vanni del ‘68.
Gruppo di quattro teli per il palazzo
di Kish Island in Iran.
parte con apparente casualità nella vita quotidiana e nella
natura, interrotte da riprese di soggetti più pittorici come corpi
dipinti e campi di colore vibrante. Un insieme di immagini
accompagnato da una musica che a volte ne sottolinea il ritmo
ed altre ne fa il contrappunto.
Anche la componente tridimensionale viene sviluppata al di
fuori dei bassorilievi, specialmente in collaborazione con
l’architetto Guglielmo Mileto. 56 Assieme progettano delle
sculture temporali, ovvero delle sculture che, sotto l’azione di
fattori diversi, si trasformino continuamente nel tempo. L’idea
che sviluppano più dettagliatamente è quella di una fontana
costruita con molte varietà di pietre calcaree e altri materiali
diversamente corrosibili, che si consumi sotto l’azione
dell’acqua, prendendo di volta in volta una nuova forma, allo
stesso tempo derivazione e negazione della forma iniziale. Le
forme rivelate dall’erosione dovrebbero essere molto diverse
da quelle precedenti, in parte progettate attraverso la
composizione degli strati interni e in parte causate da variabili
naturali imprevedibili. Dei vari progetti sviluppati verrà
realizzato quello per il Palazzo d’inverno dello Shah di Persia,
a Kish Island in Iran, che Mileto stava progettando.57 Si tratta
di cinquantasei monotipi su tela di tre metri per un metro
ciascuno che verranno appesi nel palazzo, davanti alle vetrate,
creando la transizione tra l’interno e l’esterno. Vanni disegna
forme che fanno riferimento a geometrie essenziali, sottolineate
97
Da cercare fuori dei limiti, acrilico su
tela, cm. 100x80, 1973, collezione
dell’artista.
da colori vibranti.58 Lo scopo è di creare, con il vento proveniente
dal deserto e i forti bagliori di luce riflessi dalla sabbia, delle
vele luminose, come un bassorilievo in continuo movimento.59
Al termine di questo periodo di sperimentazioni extrapittoriche
Vanni matura la decisione di rimettersi a dipingere. Infatti,
senza negare la validità di altre ipotesi creative, si rende conto
di trovare più interessante la creazione di mondi immaginari
con modi esclusivamente pittorici. Come Vanni dirà più tardi:
“malgrado la libertà, pressoché illimitata, che mi dava di poter
spaziare da un mezzo all’altro e mescolarli tutti insieme, mi
sono reso conto che per me rimaneva più affascinante e
misterioso quello che potevo inventare nell’ambito di una
tela.”60 Si chiude nel suo studio 61 per concentrarsi sul recupero
degli elementi costitutivi del suo linguaggio e riprende la ricerca
in chiave pittorica. Nei quadri che dipinge opera una riduzione
del suo mondo figurativo a elementi essenziali. Come reazione
alle esperienze appena concluse si serve di tecniche più
semplici, come l’uso di colori acrilici che generalmente detesta,
98
(58) In alcune di queste ha creato
delle illusioni ottiche utilizzando gli
studi sugli interrupted patterns
sperimentati a Yale con Albers.
(59) Questa stessa combinazione di
colore e luce su dei supporti rigonfi
come delle vele nel vento, è ben
esemplificata da due modellini, di
cui restano le fotografie, per due
progetti di scultura sempre ideati in
collaborazione con Mileto (P6904,
P6905).
(60) Elisabeth Reed, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, 1983.
(61) Solitamente il suo studio è
sempre aperto ed è il centro della vita
quotidiana.
salvo in applicazioni speciali. Il piano di fondo è modulato da
una lunga sfumatura fra due o al massimo tre colori, stesi con
una pennellata omogenea che evita variazioni materiche. Un
lato del quadro è sempre segnato da una fascia monocroma
caratterizzata da un’onda centrale che introduce un elemento
di ambiguità nello spazio del campo sfumato. Davanti a questo
fluttuano forme amebiche, ripetitive ma individualizzate, in
processo di dividersi e moltiplicarsi. Formano dei gruppi serrati
in sciami migratori legati da una tensione comune. Si
concentrano, per poi diradarsi per l’influenza di campi magnetici
sottolineati da linee geometriche delimitanti piani ottici che ne
P7312 (cat. rag.)
modificano la densità, la formazione o il colore. Sono quadri
in cui domina una pacatezza distributiva, in una atmosfera di
spazio sospeso nel tempo (Da cercare fuori dei limiti). Il
discontinuo e la contraddizione sono lasciati in sordina. Il
confronto con quelli carichi e vibranti delle mostre alla Rizzoli
è sostanziale.
Queste opere che vengono presentate alla mostra di Schneider
del ‘73 si rivelano presto riduttive per Vanni, chiuse come sono
in schemi prestabiliti. Rappresentano il solo momento
nell’insieme del suo lavoro in cui la teoria precorre l’opera e la
condiziona. Mancano di quella componente sperimentale che
è presente nelle opere degli altri periodi, dove le scoperte di
ogni quadro si evolvono nel prossimo, producendo un continuo
arricchimento dei suoi temi. Ma questa riduzione ai minimi
termini degli elementi del suo mondo è, per Vanni, un momento
di decantazione, dopo le esperienze extrapittoriche appena
fatte, che lo porta ad una coscienza chiara della strada da
seguire. Dopo poco tempo comincia a recuperare frammenti
di quelle opere che aveva fatto e distrutto per creare le immagini
e i passaggi per i filmati delle forme semoventi degli anni
precedenti, ricostruendo altri quadri dove gli elementi di
discontinuità sono giustapposti. Riprende così la trama del
discorso pittorico interrotto e ritorna sul cammino dei quadri
multipli, sviluppandone le possibilità di lettura multilinguistica
ed eclettica.
99
In questo periodo Cagli lo invita a partecipare ad un progetto
che gli sta particolarmente a cuore: formare un sodalizio di artisti,
da lui scelti, accomunati non da una specifica tendenza stilistica
ma da un rispetto dell’arte in quanto mestiere, da una vivacità
inventiva libera dalle costrizioni di tendenza imposte dal
mercato dell’arte.62 La galleria del Nuovo Carpine, di Giorgio
Braghiroli, si impegna a portare avanti il progetto di una serie
di mostre monografiche di ogni artista del sodalizio. 63
Per Vanni sia l’invito che l’apprezzamento dimostrato da Cagli
per le sue opere recenti è di grande stimolo. 64 Per lui è anche
significativo che gli artisti scelti condividano la stessa idea sulla
validità di sviluppare una ricerca su una impostazione classica
in un periodo in cui l’espressione artistica dominante sembra
negarne la ragione.
Vanni crea una serie di quadri di fattura raffinata e meditata
composizione che si possono ritenere già opere della maturità.
Sono quadri molto elaborati, definiti da una architettura
complessa, frutto di una intuizione che, dietro le apparenti
involuzioni temporali e spaziali, rivela uno sviluppo senza
esitazioni. Le idee, gli esperimenti, le scoperte formali e
materiche che si sono succedute dall’inizio degli anni sessanta,
condividono qui lo stesso spazio, in equilibrio paritetico.
Cromatismi accesi o delicati, stesure levigate o altamente
materiche, forme vaghe o nettissime, cellulari o cristalline,
partecipano, conservando le loro contraddizioni, alla
formazione di un’opera unica. Gli interessi musicali, filosofici,
letterari che ha sempre continuato a sviluppare lo aiutano,
attraverso paralleli strutturali, a costruire architetture
immaginarie a più livelli di lettura.
A partire da questo momento il lavoro di Vanni si distinguerà
per una poliedricità sempre più marcata. Sviluppa temi in
parallelo lavorando su molti quadri contemporaneamente.
Ognuno insiste su un aspetto specifico ed allo stesso tempo ha
qualcosa dell’altro in una mutua contaminazione di elementi
vecchi e nuovi. La matrice comune è però nascosta da un
metamorfismo che ne modifica l’aspetto inserendoli in un
100
(62) Questa impostazione era molto
importante per Cagli come si può
capire da quanto aveva scritto nel
catalogo della mostra di Vanni e
Sartoris alla Galleria 88 del ‘65: “...un
Sodalizio sarà sempre un atto di
fede, raro e necessario in tempi di
mercatomalafedeconsumobidets.”
(63) Di questo gruppo facevano
parte, fra gli altri, Canevari,
Montanarini, Provino, Tommasi
Ferroni.
(64) Come ha scritto Giorgio Di
Genova “...Cagli apprezzava molto
il lavoro di Vanni. Ed è chiaro che
ciò che lo interessava era la mobilità
stilistico-formale di Vanni, nonchè la
sua ricchezza immaginativa.”
(Giorgio di Genova, Storia dell’arte
italiana del ‘900 - Generazione anni
venti, Edizioni Bora, Bologna, 1991,
p. 590.)
Il museo della memoria, olio su tela,
cm. 193x130, 1977, collezione dell’artista.
101
contesto diverso. È la ragione per cui d’ora in avanti non
potremo più suddividere il lavoro di Vanni in fasi distinte,
secondo una progressione temporale precisa. Ci sarà certo ancora
la possibilità di raggruppare delle opere all’insegna di un tema
più specifico, ma sempre in contemporanea con molte altre che
invece seguono un altro percorso. Pertanto l’esame di questo
itinerario deve articolarsi attraverso l’analisi di svariate opere
collegate tra di loro e spesso contemporanee, malgrado risultino
apparentemente contraddittorie, per capire l’evoluzione del suo
mondo formale in tutta la sua complessità.
Il Museo della memoria, malgrado non sia la prima dal punto di
vista strettamente cronologico, rappresenta il punto di partenza
e di arrivo ideale. Oltre all’elaborazione pittorica di questo
concetto come recupero di varie fasi del suo percorso, Vanni
compie anche, con la scelta di questo titolo, un pronunciamento
programmatico della sistematica di riferimenti che utilizzerà
d’ora in poi. La memoria diventa come un suo “...museo personale
(che scorda, e ricorda, e sfa, e associa - a suo piacere)”65 dove
stimoli, forme, spazi, esperienze recenti e passate si incontrano,
come in una specie di archivio da cui attingere ogni volta che
comincia una nuova opera. Una volta recuperate, immagini
acquisite in tempi e luoghi diversi esistono sulla tela in un
medesimo spazio temporale. Attraverso la memoria dunque
diventa possibile nel quadro la coesistenza di elementi
molteplici e contrari, appartenenti a tempi e spazi diversi.
Questa concezione della memoria ha la sua origine in quella, a
lungo studiata, di Proust, la cui opera ha rappresentato per
Vanni uno dei tre punti di raffronto in ambito letterario della
strutturazione concettuale delle sue opere.66 Infatti siamo di
fronte ad una trasposizione pittorica del concetto di Proust che
solo nella memoria si possano percepire contemporaneamente le
continue trasformazioni a cui il tempo sottopone fatti, persone e
sentimenti. Il flusso e riflusso di frammenti di memoria, allo stesso
tempo gli stessi ma anche diversi perchè ogni volta rivisitati da
un’angolazione diversa, determina nei quadri una crescita dove
ognuno rappresenta uno sviluppo di quello precedente.
102
P7703 (cat. rag.)
(65) Gian Berto Vanni, cat. mostra,
Centre Culturel Français, Roma 16
mag. - 25 giu. 1979.
(66) Gli altri due autori sono Ariosto
e Pirandello.
Il grande muro dei ricordi, olio su tela,
cm. 130x195, 1974, collezione
dell’artista.
P7404* (cat. rag.)
(67) L’antropomorfismo presente in
certe opere di questo periodo non
intende diventare esplicitamente
rappresentativo. L’unica eccezione
si trova in Dal Cile alla Cina (P7501
cat. rag.) con l’inserto di un gatto.
È importante sottolineare come tali
inserti hanno valore non tanto per
degli eventuali significati simbolici,
quanto per la loro efficacia,
attraverso un impatto visivo
dissonante, a interrompere il
discorso per accentuarne la
contraddizione. In un interessante
capovolgimento della gerarchia dei
significati, diventano una delle
possibili interpretazioni della realtà.
Il grande muro dei ricordi* affronta lo stesso concetto. La tela è
riempita da grovigli antropomorfici67 dipinti come fossero una
sinopia in scansioni spaziali che ricordano i grandi cicli di
affreschi medioevali. Questa allusione ad una fase costitutiva
dell’opera viene sottolineata dalla presenza in alto a sinistra,
sulla tela lasciata grezza, dell’abbozzo di una delle forme dei
settori inferiori in versione chiaroscurata. Sulla destra, invece,
questa stessa forma viene dipinta in tutt’altro modo, con dei
grafismi policromi che riprendono gli aspetti ludici dei suoi
quadri del ‘68. Dunque, come nel caso del Museo della memoria,
qui abbiamo Il grande muro dei suoi ricordi della pittura. La tela
parte dal suo elemento costituente per farsi preparazione,
sinopia, rappresentazione tridimensionale fino a raggiungere
una figurazione sua propria. La ripetizione della stessa forma
in variazioni stilistiche progressive costringe a delle successioni
temporali nella stessa entità spaziale, portandole ad una
103
contemporaneità che diventa storia e commento al tempo stesso.
Con Discorso a quattro voci* Vanni elabora il concetto della
forma dipinta come asserzione di un processo intellettuale,
secondo il quale non esiste una verità assoluta. La stessa forma
può manifestarsi in molti modi diversi, a seconda del
ragionamento che la determina combinato con l’immaginazione
di chi la osserva. In questo dualismo di ciò che è e quello che
appare risiede una grande ricchezza di possibilità
immaginative. In Discorso a quattro voci, la stessa forma viene
proposta in stili diversi ogni volta confermandola e
contraddicendola al tempo stesso. È significativo che in questo
periodo ascolti molto frequentemente le Variazioni su un tema
di Diabelli di Beethoven e le Variazioni Goldberg di Bach.68 Il
soggetto del quadro risiede nella conflittualità delle variazioni
formali, ponendo le basi per lo sviluppo della tematica
dell’eclettismo nelle sue prossime opere.
104
Discorso a quattro voci, olio su tela,
cm. 130x195, 1974, Krefeld, collezione
privata.
P7602* (cat. rag.)
(68) Nella comprensione delle
recondite geometrie di questi pezzi
gli sono state di prezioso aiuto le
conversazioni con il suo amico Paolo
Paolini, musicista e musicologo. Di
Paolini, allievo di Segovia e grande
interprete di chitarra barocca, sono
note svariate trascrizioni musicali.
Palizzata # I , tecnica mista su
tavola, cm. 145x205, 1978, collezione
dell’artista.
P7801* (cat. rag.)
(69) Enrico Crispolti, Corrado Cagli,
Edizioni d’arte Fratelli Pozzo,
Torino, 1964, p. 73.
In Palizzata numero I* Vanni recupera la polimatericità delle sue
ricerche extrapittoriche per ricondurla a un contesto dove
acquista un valore prevalentemente pittorico. Riprendendo il
tema de Il grande muro dei ricordi crea un palinsesto dove la storia
e il tempo hanno lasciato il loro segno. Lo straccio, il poliestere,
l’intonaco graffiato, le tavole di legno, sono scelti in funzione
delle loro qualità pittoriche di colore, superficie e materia.
È un’utilizzazione della materia che ha alla base delle
motivazioni di ordine linguistico e che ricorda, in questo, l’uso
che ne faceva Cagli, il quale "non vuole ridurre il proprio
intervento espressivo al livello della materia (emblema
esistenziale primario appunto nella poetica informale), bensì
tenta una dilatazione in immagine di tale materia, e dunque vi
introduce diaframmi e spessori non soltanto di natura
strettamente fisica, direi tattile".69
105
Questo presupposto creativo, per cui il dato materico è
concepito in funzione di un progetto figurativo più ampio, lo
porterà spesso a contraddire, con degli artifizi, la tattilità, quasi
la realtà dell’elemento materico utilizzato. Ne sono un esempio
tipico Storie in bianco e rosso e Finestre, strappi, segni. Il primo
lavoro è costituito da due pannelli. In quello superiore strati
successivi di disegni strappati70 sono incollati gli uni sugli altri
fino ad ottenere una scorza densa con qualità più affini alla
cartapesta che al collage. La massa convulsa di questo groviglio
è stata poi scontornata a silhouette in bianco per mettere in
evidenza questa o quella forma che ne emerge. Nel pannello
sottostante, più grande, un telo incollato imbevuto di pittura
rossa reinterpreta con le forme create dalle pieghe della tela la
composizione superiore. A sottolineare il ritmo delle pieghe le
creste sono state inchiostrate a rullo. Negli spazi liberi inserti
di forme riproducono in chiave cromatica più alta le grafie del
pannello superiore, prefigurando il tema dello strappo.
In Finestre, strappi, segni, la stoffa imbevuta di colore agisce come
una pellicola che si sia raggrinzita e nel suo ritrarsi sveli il piano
sottostante. Una sorta di sipario scomposto che rivela, nelle
parti scoperte, forme e materie pronte a venire alla ribalta,
stabilendo un rapporto dialettico tra una realtà fisica e una
pittorica. Ugualmente le ampie velature che sommergono fondo
e stoffe applicate creano spazi illusori dove quello che sta sopra
fisicamente sembra trovarsi sotto e viceversa, e mettono in
dubbio il valore della presenza reale dello straccio 71 in una
perfetta logica pirandelliana.
La tecnica della velatura che favorisce gli addensamenti di
colore nelle zone piatte del quadro lasciando fuori le creste
degli stracci riprende il trattamento materico dei quadri del ‘63
-’64 dove consistenti pennellate venivano poi enfatizzate da
velature che ne evidenziavano il carattere. In molti casi, come
ad esempio in Pietra-Acqua, gli stracci vengono disposti come
pennellate perdendo la loro identità materica per acquistare un
valore prettamente pittorico. Sviluppando il parallelo con
quelle opere risulta evidente che la funzione di rottura del
106
P7707 (cat. rag.), P7701 (cat. rag.)
(70) Si tratta di pezzi di disegni che
erano stati usati nella fattura dei
filmati da proiettare nei plastici.
(71) Vanni chiama così queste stoffe
incollate, anche per sottolineare
l’idea di qualcosa di bagnato e
spiegazzato.
P7917 (cat. rag.)
Finestre, strappi, segni, tecnica
mista, cm. 155x155, 1977, Roma,
collezione privata.
(72) Si può infatti far risalire la sua
origine ai quadri dei primi anni
sessanta. Si capisce anche da
questo l’interesse che Vanni ha
sempre avuto per il lavoro di Burri
e di Fontana.
P7909 (cat. rag.)
P7812 (cat. rag.)
(73) Gian Berto Vanni, cat. mostra,
Centre Culturel Français, Roma 16
mag. - 25 giu. 1979.
ritmo attraverso un elemento estraneo assunta allora da vigorose
impronte cromatiche qui è ottenuta con elementi grafici che
sembrano affacciarsi tra le pieghe della stoffa.
La serie degli stracci ripropone con decisione il tema di una
lacerazione brutale rivelatrice di una realtà sottostante, 72
centrale in tutta l’opera della maturità di Vanni. Sia che avvenga
in maniera più evidente attraverso una entità fisica come
appunto la tela, come in Lacerazione e intarsio, sia che venga
simulata attraverso una illusione puramente pittorica, come in
Trachila, per Vanni diventa l’occasione per fare coesistere delle
realtà diverse, dinamicamente contrapposte ma legate da una
logica interna che ne giustifichi la vicinanza. A questo proposito
così scrive: ”Lacerazione brutale che scopre (o riscopre? o
inizia?) altre forme, che la trasformano in intarsio appunto; o
in brulicare di cellule il cui moto, compresso, si ripiega su se
stesso e si immobilizza.”73 I riferimenti morfologici di queste
107
108
P7606
Storie in bianco e rosso, tecnica mista
su tavola, cm. 250x205, 1977,
collezione dell’artista.
composizioni sono molteplici, a volte più evidenti altre meno:
la frattura in una roccia da cui nascono dei licheni, una ferita
profonda sulla pelle che rivela gli organi interni, e spesso in
maniera evidente anche il sesso femminile (Finestra). Ognuno
ha una sua coerenza intrinseca pur ammettendo mondi diversi
(cosa vi è di più contrastante della tessitura liscia della pelle
con la vibrazione degli organi interni?). In nessun caso però si
tratta di una figurazione realistica, anzi la loro morfologia
rimane sempre ambigua per lasciare spazio all’interpretazione.
Similarmente da un punto di vista spaziale le lacerazioni non
intendono essere un trompe l’oeil e stabilire una successione di
piani, ma intendono lasciare sempre aperta la loro reversibilità.
Questa serie di opere che si articola su un periodo di quattro
anni, dal ‘75 al ‘79, ha permesso una riappropriazione di tutti
gli elementi formali e delle tematiche precedenti in una
progressione sperimentale nel corso della quale ha acquisito
altre componenti che aiuteranno Vanni negli sviluppi futuri.
Un triste evento, la scomparsa improvvisa e prematura di Cagli,
subito dopo la sua mostra al Carpine che aveva aperto la serie
di personali degli artisti del sodalizio, crea una situazione di
profondo smarrimento.
Malgrado questa grave perdita, Braghiroli è determinato a
portare avanti il programma di mostre stabilito. Fra queste la
mostra di Vanni si apre nel maggio del ‘77. Si tratta di
un’esauriente antologica di settantanove opere dal ‘50 al ‘77,
con una trentina di quadri recenti, che ottiene un’accoglienza
molto favorevole. Tuttavia l’idea originale di Cagli della crescita
del sodalizio, mancando la sua personalità carismatica, non si
realizza. Nonostante l’impegno di Braghiroli le personali dei
vari artisti rimangono degli episodi a sé stanti. È a questo punto
che in Vanni comincia a maturare il progetto di ripartire
dall’Italia. Così, dopo aver esposto le opere più recenti in una
mostra offertagli dal Centre Culturel Français di Roma nel
maggio del ‘79, come artista italiano formatosi in Francia, decide
di accettare un’offerta di insegnamento a New York e di partire
per l’America nell’autunno dello stesso anno.
109
110
Capitolo 4
New York - Eclettismo come sistema
Quando Vanni va in America nel ‘79 ha cinquantadue anni. La
permanenza a Roma che aveva interrotto le sue peregrinazioni
degli anni cinquanta era durata venti anni. Col passare del
tempo gli era venuto però a mancare lo stimolo derivato dal
rimettere in questione il suo mondo creativo attraverso il
confronto diretto con realtà diverse. Negli anni cinquanta aveva
trasferito il suo studio in vari paesi per elaborare la ricerca
pittorica in contesti sempre diversi. A Roma aveva adottato un
altro approccio per mantenere viva la sua ricerca: i lunghi
soggiorni in Grecia e i viaggi da cui riportare elementi di culture
eterogenee da analizzare e confrontare con l’attualità romana,
che era a sua volta portatrice di fermenti intellettuali che gli
erano affini. Ma Vanni non aveva scelto di vivere a Roma per il
conforto di operare in un contesto dove la sua identità culturale
corrispondesse a quella che lo circondava. Anzi, la sua creatività
viene stimolata proprio dal confronto dialettico con identità
culturali diverse. Le situazioni di non appartenenza all’ambiente
provocano in lui l’emergenza della sua matrice originale
(paradossalmente si può dire che operando lontano dall’Italia
la sua arte ci si avvicinerà di più). Per queste ragioni Vanni
vede nella sua routine romana il rischio di intorpidirsi e di
esaurire la ricerca che aveva ripreso negli ultimi anni. Mentre
altri avrebbero temuto lo sradicamento da una realtà conosciuta,
l’abbandono della certezza per l’ignoto e il dover rimettere tutto
111
in questione, per lui rappresenta invece una scelta di libertà.
La vitalità del suo atteggiamento trova a New York un ambiente
ricettivo e disponibile, così che uno spostamento esplorativo
per alimentare intelletto ed immaginazione, senza piani a lunga
durata, diventa permanente. Vanni lo compie ad una età che è
spesso caratterizzata dal bisogno di stabilizzare la propria
situazione, per lui invece ricominciare da capo in un ambiente
nuovo e stimolante dà una carica particolare che moltiplica le
sue energie e la sua espressività pittorica.
A New York questa creatività si può sviluppare liberamente per
due ragioni fondamentali: la tabula rasa storica e il meltingpot culturale come punti di partenza per qualsiasi ricerca.
Tabula rasa in quanto a qualsiasi scelta operata in quel contesto
non viene richiesto di giustificarsi rispetto a precedenti
esperienze. Melting-pot in quanto qualsiasi apporto di realtà e
di culture diverse può essere cooptato senza che questo venga
analizzato in base a codici di una cultura nazionale egemone.
Vanni infatti dipingendo a New York trova la situazione ideale
per importare e assemblare qualsiasi elemento diverso, storico
o culturale, senza che questo venga letto in funzione del suo
rapporto ad una sola cultura predominante. Non c’è cioè una
chiave unilaterale di accesso alle sue opere ma tante possibili
letture dove ognuna ha lo stesso valore e la stessa legittimità.
Questa situazione gli fornisce i presupposti per sviluppare le
contraddizioni in termini formali ed iconologici che elabora nei
suoi quadri, e che si manifesteranno in un eclettismo che trova
qui nuove basi concettuali.
Se l’evoluzione della sua opera, stimolata dalle molteplici
sollecitazioni intellettuali, prende una forte accelerazione, da
un punto di vista pratico Vanni deve ricrearsi un mercato, una
sua clientela che lo sostenga e gli permetta di continuare a lavorare.
La politica economica delle gallerie newyorkesi, cristallizzatasi
in schemi che ne caratterizzano le scelte espositive, gli preclude
qualsiasi possibilità concreta. Le gallerie che si erano affermate
negli anni cinquanta e sessanta1 sono impegnate principalmente
con artisti americani di quel periodo, di cui difendono una
112
(1) Situate principalmente nella
Upper East Side, intorno alla 57 a
strada.
(2) Che si trovano a Soho, il
quartiere dove, negli anni sessanta,
sono andati a vivere gli artisti.
(3) Soprattutto nell’East Village,
affermatosi come nuovo quartiere
degli artisti negli anni ottanta,
quando i prezzi degli studi a Soho
si erano fatti proibitivi.
supremazia culturale ed un alto valore di mercato. A fianco di
queste, vi sono gallerie2 più recenti che selezionano e gestiscono
le correnti del momento fornendo, con il loro interessamentoinvestimento la garanzia del loro successo e la conseguente
lievitazione rapida dei prezzi delle opere. Una terza fascia è
composta di gallerie recentissime con spazi espositivi molto
piccoli situati ai margini dei quartieri affermati nel mercato
dell’arte,3 e dunque con costi di gestione molto ridotti. Queste
ultime propongono artisti per lo più giovanissimi che
perseguono principalmente una ricerca non pittorica che
intende riscoprire ed aggiornare la poetica duchampiana ed i
metodi seriali di Andy Warhol.
Sono gli anni in cui si concretizza il successo degli artisti della
Transavanguardia. Vanni, che ha sempre ricercato l’espressione
attraverso il contenuto formale e non nel valore rappresentativo
del soggetto, non può che avere per questo tipo di ricerca un
atteggiamento decisamente polemico, che viene accentuato dal
fastidio per la palese organizzazione promozionale di questo
movimento.
Artisti indipendenti che sviluppano un lavoro di impostazione
classica, autonomo dalle ricerche più affermate e che viene
condotto al di fuori di un gruppo programmato strategicamente,
interessano un numero molto ristretto di mercanti, che hanno
generalmente a disposizione una loro fortuna personale con cui
si concedono il lusso di fare delle scelte controcorrente.
In queste gallerie espongono i suoi amici e compagni di corso
dei tempi di Yale che hanno però da sempre affiancato alla loro
attività pittorica una carriera accademica che li mette al riparo
da difficoltà materiali. Infatti le gallerie che li espongono, pur
richiedendo un’esclusiva quantomeno locale, facendo delle
scelte indipendenti rispetto al mercato non riescono a
raggiungere un volume tale da garantire la sopravvivenza di
un artista.
La situazione del mercato newyorkese all’inizio degli anni
ottanta gli fa provare una marcata antipatia per un sistema che,
rifacendosi ai modelli speculativi della finanza, ha portato alla
113
trasformazione dell’arte in prodotto, ponendola agli antipodi
di tutto quello che per lui ha sempre significato. Si rende conto
che anche nel caso sviluppasse dei rapporti continuativi con le
gallerie indipendenti con cui i suoi amici lo hanno messo in
contatto si troverebbe nella difficoltà di un rapporto esclusivo
che non gli garantirebbe la continuità materiale necessaria per
continuare a lavorare. Si convince così della necessità di crearsi
un rapporto con il pubblico che sia alternativo ai canali tradizionali.
Organizza in questo senso degli Open Studios nel loft4 di oltre
duecento metri quadri dove dipinge. Qui, nel cuore di Soho
che negli anni ottanta è ancora il quartiere degli artisti e delle
gallerie, espone i suoi lavori direttamente senza valersi della
mediazione di un mercante. Queste mostre vengono allestite
assieme ad un suo amico pittore, Bernard Aptekar, che ha lo studio
accanto al suo e che fin dagli anni sessanta era stato uno dei pionieri
di questo tipo di esposizione alternativa organizzando le mostre
dei 10 Downtown.5 È una iniziativa che gli permette di riallacciare
il rapporto con i suoi collezionisti americani e di entrare in contatto
con un pubblico sempre più ampio che vede negli Open Studios
la possibilità di conoscere l’attività di artisti che sviluppano la loro
ricerca indipendentemente dal circuito espositivo commerciale.
Vanni ha così continuato ad esporre due volte l’anno, stabilendo
un rapporto continuativo con un centinaio di collezionisti che
gli hanno consentito, attraverso un interesse sempre rinnovato,
di continuare la sua attività artistica. Con alcuni ha stabilito un
rapporto di committenza, coinvolgendoli nella fase creativa con
l’intento di allontanarsi ancora di più dai meccanismi
commerciali per riportare il processo costitutivo dell’opera
d’arte alla tradizione delle botteghe rinascimentali. 6
Stabilire un canale di comunicazione con il pubblico, riprendere
i rapporti con amici artisti e il contatto con gli studenti d’arte
insegnando alla Cooper Union, 7 sono fattori importanti per
continuare lo sviluppo della sua ricerca nel confronto con la
realtà circostante. Il suo nuovo studio, il più grande che abbia
avuto, ridiventa il laboratorio dove elaborare sul campo le
nuove scoperte e confrontarle con il suo mondo.
114
(4) I lofts sono dei vasti locali senza
divisioni interne, che occupano
interi piani in edifici originariamente
costruiti per la piccola industria
manifatturiera fiorente a New York
a cavallo del secolo. A partire dagli
anni sessanta sono stati trasformati
da artisti in studi e spazi abitabili,
specie nel quartiere di Soho, e più
in generale in tutta la parte bassa
di Manhattan.
(5) “L’aprile del 1968 ha visto la
prima mostra dei nuovi 10 Downtown, una cooperativa organizzata
da Leon Golub e Bernard Aptekar,
due ferventi attivisti della protesta
contro la guerra che, rivolgendosi
ora ai problemi degli artisti, hanno
voluto creare una libera associazione
di artisti indipendenti nella quale
possano mostrare direttamente il
lavoro al pubblico.” (Therese
Schwartz, The Politicalization of the
Avant-Garde, in Art in America,
novembre-dicembre 1971, p. 104.)
Gli altri artisti originari del gruppo
erano: Steve Montgomery, Charles
Ginnever, Julius Tobias, Robert
Weisand, Richard Baringer, Hans
van de Boven Kamp, Roger
Jorgesen e William Creston.
L’attività espositiva durò in maniera
continuativa per dieci anni.
(6) Idea di cui aveva parlato a
lungo anni prima con Cagli come
situazione ideale per dipingere.
(7) La Cooper Union for the
Advancement of Science and Art è
stata fondata nel 1859 da Peter
Cooper, magnate del metallo e
inventore della gomma da
masticare. Essendosi lui stesso
fatto dal nulla, ha voluto dedicare
la sua fortuna a creare una
università completamente gratuita
per l’insegnamento della scienza e
dell’arte che ancora oggi rimane un
esempio unico negli Stati Uniti.
(8) "...una specie de schiena, in d'una
specie de giacca de zappatore: con
quattro gamme e quattro piedi,
però: di cui due a rovescio. E quella
schiena così rubesta appariva in
preda a un'esagitazione infrenabile
di natura alternativa, ritmata al
metronomo. Il canocchialante foca
s'era creduto in dovere di riferire
all'amministrazione - "Verwaltung,
Verwaltung!... Wo ist denn die
Verwaltung? Drüben links? Ach
so!..." - che aveva cercata a lungo,
in sudore, e finalmente scoperta: e
dove non c'era anima viva,
perch'ereno a casa loro a magnà: e a
fasse una dormita doppo pranzo..."
(Carlo Emilio Gadda, Quer
pasticciaccio brutto de via Merulana,
Garzanti, Milano, 1970, p. 119.)
Il suo lavoro a New York inizia con una serie di opere che, pur
mantenendo una continuità con i temi della metà degli anni
settanta, mostrano presto la presenza di nuovi elementi e di un
mutato atteggiamento. È il periodo dove l’influenza della
multiculturalità newyorkese risulta più evidente. Intraprende
una ricerca che mira ad esasperare i contrasti, a sottolineare le
discontinuità, evidenziando le molteplicità culturali con un
eclettismo formale che viene esplorato fino alle situazioni più
estreme e che continuerà a svilupparsi su questa falsariga fino
alla fine degli anni ottanta. Un approccio che gli farà spesso
alternare quadri appartenenti a tematiche diverse che poi si
incontrano in quadri successivi per poi risvilupparsi
indipendentemente in una nuova serie di opere. L’elemento
costante rimarrà un affastellamento di linguaggi e iconologie
disparate che si rifanno a sue ricerche precedenti, all’esperienza
empirica del mondo esterno, e a quella intellettuale della storia
dell’arte.
A questo proposito prende ad esempio Gadda, autore in cui trova
grandi affinità culturali, che in Quer pasticciaccio brutto de via
Merulana tralascia lo svolgimento della trama per descrivere la
quotidianità della piccola borghesia romana fra le due guerre.
In questo intento disdegna la narrazione fino al punto di
interrompere il racconto a metà, ma intanto il lettore ha già
capito che il vero soggetto è un altro: la struttura stessa del
romanzo che si serve, nello stesso periodo, del dialetto, di una
forbita lingua letteraria di sapore ottocentesco, di una lingua
straniera, il tutto inserito in un linguaggio di tipo burocraticoamministrativo di stampo ministeriale,8 che esprime stratificazioni
sociali, residui culturali, periodi storici diversi. A Vanni
interessa come Gadda, attraverso l’espressività dell’eclettismo
linguistico, fornisca un dettagliato affresco della realtà socioculturale di quella società.
L’irruenza della ricerca che Vanni va sviluppando porta anche
alla luce paralleli che rimangono generalmente occultati nei suoi
quadri. Il linguaggio dei media che sembra, a parte poche
eccezioni, essere del tutto estraneo ai suoi interessi può essere
115
evocato nelle molteplici inquadrature presentate sulla stessa
opera, come uno zapping televisivo che trovi una
rappresentazione spaziale del suo itinerario temporale. Così
come situazioni che non hanno nulla a che fare una con l’altra,
forzate in una giustapposizione, prendono un significato
diverso da quello originario ma indicativo del messaggio
globale, in queste opere frammenti di diversi mondi iconologici
producono un sincretismo visivo che riflette la realtà circostante.
Comunque la sua matrice classica non gli permetterebbe mai
una giustapposizione acritica di messaggi che non fosse mediata
da suggerimenti interpretativi e chiavi di lettura che forniscano
delle tracce per andare alla ricerca di un legame logico che vada
oltre la successione casuale.
Nel raffinamento di questa strutturazione compositiva gli è di
prezioso ausilio l’Ariosto in cui Vanni ha sempre trovato
importanti stimoli per la sua ricerca. Ha una ammirazione
straordinaria per la costruzione dell’Orlando furioso in un tempo
che tessendo le fila dei tanti episodi crea uno spazio parallelo
come nei labirinti dei suoi castelli incantati, dove i cavalieri
vagano seguendo i loro itinerari senza riconoscersi o incontrarsi,
ognuno seguendo la sua realtà.9 Lo affascina come i ritmi varino
sviluppando un tema per un’ottava per essere interrotto da un
altro che invece prosegue per pagine e pagine per essere
interrotto dal primo, o dal settimo, o dal decimo finché tutto
converge sull’assedio di Parigi per poi ripartire in vie separate.
Come in musica, nella parte centrale di una fuga, quando lo
sfalsamento dei temi viene a reincontrarsi in un punto per poi
ripartire con tempi diversi, in contrappunto o in cadenza con le
storie che vengono raccontate. Nella stessa maniera Vanni
predispone degli itinerari visivi che guidano “...lo spettatore a
muoversi all’interno del quadro stesso, dove il pittore ha elaborato
i dettagli del viaggio, le velocità di spostamento, gli ostacoli, i
ritmi, le penetrazioni illusorie in profondità trasparenti come
cristalli o dense come nuvole; tutto orchestrato
meticolosamente, ma lasciando all’osservatore la libertà
d’interpretare secondo le associazioni d’idee dettategli dalla sua
116
(9)
"E se ben quivi Orlando ebbe
vicino,
né però Ferraú pose in lui mano;
Avenne che conoscersi tra loro
Non si potèr mentre là dentro foro.
Era così incantato quello albergo
Ch'insieme
riconoscer
non
poteansi;”
(Ludovico Ariosto, Orlando Furioso,
a cura di Nicola Zingarelli, Hoepli,
Milano, 1954, Canto XII, stanze 31,
32, p. 106).
(10) Vanni ha illustrato il suo
concetto di lettura temporale delle
sue opere in un filmato che ha
realizzato nel 1983, nel quale
esegue lunghe carrellate all’interno
di singoli quadri, mostrandoli per
intero solo alla fine.
(11) Gian Berto Vanni, Quadri
d’America, cat. mostra, Galleria
Schneider, Roma 16 mar. - 10 apr.
1989.
(12) In America Vanni utilizzerà
principalmente titoli in inglese, che
gli permettono di scrivere con la
maiuscola tutti i sostantivi. Le
varie parole messe così in evidenza
diventano altrettanti soggetti a cui il
titolo conferisce uguale importanza,
sottolineando
le
molteplici
interpretazioni a cui Vanni fa
allusione nella composizione.
P8005 (cat. rag.)
(13) Altri quadri significativi di
questa ricerca sono i contemporanei
Stories of a golden Afternoon (P8117) e
A Voyage - a Thought - Fragments of
an afternoon (P8104, cat. rag.).
esperienza, cultura, e familiarità col linguaggio. E il pittore fa
da guida nei sentieri visivi che ha predisposto: scorciatoie,
deviazioni, labirinti, scivoli, radure dove riposarsi.10 Così il
quadro manipola il tempo oltrechè lo spazio.” 11 Con la
dimensione temporale la percezione è condizionata da un altro
fattore di tipo musicale, cioè di come un elemento viene
influenzato da quello precedente e come a sua volta influenza
quello successivo. In musica un forte che segue un piano è
percepito diversamente che se seguisse un fortissimo, un andante
assume un significato diverso se si trova fra un grave e un largo
che se si trovasse fra due allegri. Cioè uno stimolo percettivo e
la sua durata relativa condizionano la percezione di quello
seguente. Vanni ricrea una situazione simile pittoricamente sia
contrapponendo campi materici di ritmo costante a zone
modulate da intricati grafismi che con illusioni ottiche
determinate dai contrasti simultanei di colore. Se la retina
indugia su un campo rosso per abbastanza tempo si sensibilizza
a questo, e spostandosi su un campo grigio lo percepirà come
un verde, mentre se il primo colore fosse stato un verde, il colore
percepito tenderà al rosso. Però, a differenza della musica, dove
esiste una successione temporale sancita dalla partitura, per cui
un dato pezzo sarà sempre un grave-andante-largo e non sarà
mai eseguito come un largo-andante-grave, in pittura nulla ci
impedisce di seguire un itinerario inverso di esplorazione: se
abbiamo un campo grigio con ai suoi due lati, rispettivamente,
un verde e un rosso, avremo una esperienza diversa se leggiamo
il quadro da destra verso sinistra o da sinistra a destra. Così
avvicinando il quadro da punti di accesso diversi l’esperienza
cambia rinnovandone continuamente la percezione. Il quadro
più rappresentativo di tutti questi concetti e forse anche il più
importante dei primi anni newyorkesi è From Night into Day,12
un’opera di notevoli dimensioni dove si incrociano itinerari di
lettura attraverso quella ambiguità pittorica, materica e figurativa,
spaziale e concettuale, che dalla metà degli anni settanta
rappresenta l’elemento portante della sua espressività e che
trova in questo contesto la sua formulazione più compiuta. 13
117
From Night into Day riprende un metodo di lavoro che da qui in
avanti sarà una costante del processo creativo di Vanni: il rapporto
fra una forma spontanea e un intervento razionalizzatore. La
tela è invasa da una energica colata di colore molto liquido che
scorre attraverso il quadro invadendolo con una libertà di
movimento che evoca una natura sfrenata, primordiale come
un’eruzione lavica o un’onda oceanica. La tecnica utilizzata
rivela con chiarezza la logica costruttiva che presiede a questa
e a molte creazioni successive, seguendo una dinamica che era
già affiorata nei quadri di carattere più materico degli anni
sessanta. La colata iniziale rappresenta l’elemento irrazionale,
caotico, forma informe che dilaga mentre Vanni la lascia
sviluppare in modo naturale, intervenendo solo marginalmente,
inclinando il telaio o aggiungendo colate secondarie, sempre
con l’intento di creare come la natura.14 A questo fa seguito una
lunga fase in cui questo tumulto iniziale è sottomesso da una
razionalizzazione dettata da una analisi attenta e meditata, per
rintracciare in esso quei suggerimenti che possono “dare forma
a quelle idee di cui appare l’embrione.” 15 Fra materia ed
118
From Night into Day, olio su tela,
cm. 147x259, 1980, collezione
dell’artista.
(14) Riprendendo con questo l’idea
di Klee di immedesimarsi nell’atto
creativo con la forza generatrice
della
natura
per
poterla
rappresentare più compiutamente.
(Cfr. Richard Verdi, Klee and nature,
Rizzoli, New York, 1985).
(15) Gian Berto Vanni, Quadri
d’America, cat. mostra, Galleria
Schneider, Roma 16 mar. - 10 apr. 1989.
(16) Enrico Crispolti, I percorsi di
Cagli, cat. mostra, Castel dell’Ovo,
Napoli, 1982, p. 40.
intelletto si crea un dialogo serrato. In alcuni casi la materia
suggerisce, accenna a delle possibilità che vanno in cerca, come
i Personaggi in cerca d’autore di Pirandello, di una sintesi e di un
fare cosciente che le guidi, interrogandosi continuamente sulle
alternative di sviluppo e che scelga attivamente questa o quella
direzione. Il dialogo materia-intelletto caratterizzerà, d’ora in
poi, in maniera costante i quadri nel loro farsi, potenziando le
possibilità di letture multiple, e il carattere metamorfico e
ambiguo cercato da Vanni. Ancora una volta è un sistema
creativo che ricorda da vicino il metodo di Cagli, il quale
sembrava “...non credere né alla pura sfera ideale, né alla pura
sfera materiale: insiste invece sulla realtà del tramite dialettico...”.16
Ed ecco allora comparire margini, scontornature, limitazioni,
deviazioni che intessono dei percorsi che guidano l’osservatore
attraverso l’opera estendendo temporalmente l’esperienza visiva.
All’interno delle scansioni principali si creano dei quadri nel
quadro, in cui ognuno, apparentemente indipendente dall’altro,
ha una propria figurazione che entra in conflitto con quella
vicina. Mentre in certi si articolano forme che suggeriscono uno
spazio tridimensionale, in altri stesure di colori timbrici negano
qualsiasi profondità. Alcuni ricordano certi paesaggi mitologici
di Moreau dove il soggetto è appena accennato graficamente
attraverso il dilagare libero dei colori acquarellati, altri la grafia
e le campiture del Kandinsky geometrico, e altri ancora la
profondità delle ombre di Rembrandt. Ma se ognuno di questi
elementi figurativi ha una sua identità e coerenza, questa è
costantemente rimessa in questione dal dilagare dell’una nell’altra
in una mutua contaminazione di forme che contraddice la
differenza sottolineata finora. E difatti Vanni aveva inteso
questa composizione come lo scorrere di un fiume che durante
il suo percorso attraversa luoghi diversi, paesaggi con una
identità diversa ma allo stesso tempo legati dall’inevitabile
influenza che, nel tempo, l’uno esercita sull’altro trasformandosi
così in nuove sintesi altrettanto coerenti. I luoghi attraversati
sono quelli del mondo tangibile, ma anche quelli della memoria,
quelli che Vanni chiama i paesaggi della mente composti di
119
“...elementi diversi che riaffiorano alla superficie da esperienze
lontane...”17 e che il tempo condiziona e trasforma attraverso la
sedimentazione di nuove esperienze. Le differenze formali che
coesistono nei quadri di Vanni alludono sempre a realtà diverse,
possibili, interiori o esteriori o piuttosto una combinazione delle
due poiché la realtà esterna è sempre il risultato, conscio o
inconscio, di quella interna. Ognuna è altrettanto vera, credibile
e per questo intrinsecamente contraddittoria, suscettibile a
letture diverse, come in Pirandello, appunto, dove non si sa se
sia più reale l’uomo o la maschera, la persona vista da dentro o
quella vista da fuori.
Nei quadri immediatamente successivi Vanni esplora gli elementi
compositivi e formali sviluppati in From Night into Day
evidenziando ora gli uni, ora gli altri. Ne vengono fuori tre
direzioni di ricerca che manterranno una importanza paritaria nei
tre anni successivi, contaminandosi e fondendosi spesso fra di loro.
La prima pone l’accento sulle scansioni spaziali e stilistiche,
nel dialogo-confronto fra i vari quadri nel quadro e l’attenzione
si concentra nei punti di passaggio o confine fra una realtà e
l’altra. In questo riprende un soggetto già presente nei ritratti
delle maschere del ‘63-’64 e che si riproporrà spesso negli anni a
venire: la specularità con variazione. Esegue una serie di opere
verticali di piccola dimensione dove lo spazio è suddiviso in
due riquadri. In quello superiore vi è incollata una stoffa
pesantemente spiegazzata che trova nel quadrante inferiore la sua
immagine speculare sviluppata graficamente, e reinterpreta in un
altro linguaggio i ritmi e i percorsi di quanto sta nella parte in
alto. Una leggera velatura colorata stesa su tutto il quadro crea
un sottile legame di transizione fra l’una e l’altra interpretazione.
Ma non appena l’occhio pensa di avere trovato una logica
unificatrice dell’insieme, ecco che dalle pieghe più interne del
tessuto emergono forme diverse da tutte le altre, ad alta
intensità cromatica che suggeriscono un’altra lettura, un’altra
realtà, un altro quadro pronto a manifestarsi.
Si tratta di forme che potremmo definire biogeomorfiche per la
loro parentela con il mondo cellulare e le conchiglie, ma anche
120
Sunstone and its Image, olio su tela,
cm. 94x38, 1981, New York,
collezione privata (P8113 cat.rag.).
(17) Gian Berto Vanni, Quadri
d’America, cat. mostra, Galleria
Schneider, Roma 16 mar. - 10 apr. 1989.
(18) Infatti i disegni del famoso
biologo tedesco che Vanni aveva
ammirato da ragazzo nell’edizione
originale del 1904, erano stati
ripubblicati pochi anni prima da
Dover. (Ernst Haeckel, Art forms in
nature, Dover Publications inc.,
New York, 1974).
(19) Oscar Forel, noto psichiatra e
naturalista svizzero ha pubblicato
uno studio sulle corteccie degli
alberi, da lui fotografate in tutto il
mondo. Nella prefazione le descrive
così: “Tra il campo visuale del
microscopio e quello dell’occhio
nudo esiste un mondo ancora a
misura d’uomo. Sufficientmente
ingrandito, rivela le sue strutture, di
una ricchezza insospettata, talvolta
insolita, ma non abbastanza strana
perché potessimo dubitare della sua
appartenenza alla natura.” (Oscar
Forel, Secrets des ecorces - Synchromies,
Edita-Denoel, Losanna 1972.)
Sun dial, olio su tela, cm. 152x196,
1982, New York, collezione privata.
le agate e le pietre dure sono direttamente imparentate con
quelle delle opere esposte alla mostra alla Rizzoli nel ‘68. Si
tratta di una rivisitazione critica in cui Vanni rielabora ricordi
di microbiologia e parassitologia della sua adolescenza, riscopre
Haeckel18 e gli studi sulle cortecce degli alberi di Oscar Forel.19
Queste forme non intendono suggerire letture surrealiste, ma
piuttosto interferenze spaziali, temporali, culturali.
Il biogeomorfismo è importante nella seconda tendenza di quegli
anni dove è protagonista di un confronto dualistico con la materia
primaria. Vi sono in questa vena poche opere ma tutte
significative anche per gli sviluppi futuri. Se in questi lavori
potrebbe sembrare che Vanni dia libero sfogo alla pura
espressione materica, sarà poi chiaro di quanto qualsiasi
121
manifestazione di esuberanza materica serva semmai a rendere
ancor più manifesto l’intervento analitico che le contrappone.
In Sun dial la colata lavica si fa scoppio che irradia trasparenze
cangianti. Ma sebbene un’esplosione sia normalmente sinonimo
di immediatezza e perdita di controllo, qui è scientemente
invocata in tutta la sua potenza per sottolineare la forza del
corollario di forme biogeomorfiche inserite o estrapolate dalla
deflagrazione determinando il suo contenimento. Per causa
loro l’impeto iniziale si trasforma in materia stagnante. Il forte
espressionismo del centro esplosivo rende ancora più evidente
la freddezza raziocinante delle incrostazioni cristalline in
contrappunto con esso; tanto quanto l’uno è frutto di un istante,
tanto più l’altro è il risultato di un lavoro analitico e paziente.
Pare un gioco di forza tra istinto e raziocinio nel quale l’uno
vuole controllare il diritto di esistere dell’altro. Lo stesso processo
si ripete in quadri come Moments of a Transformation o Beginning,
di alcuni anni dopo. Con Hommage to Andrea, quadro concepito
prendendo spunto dal doppio punto focale del grande affresco
di Andrea Pozzo sulla volta della chiesa di Sant’Ignazio a Roma,
vengono introdotte importanti novità. 20 La doppia
deflagrazione, di cui non vediamo le ripercussioni esterne ma
solo il travaglio interiore, provoca la distribuzione rettangolare
delle forme permettendo di superare l’impostazione a raggiera
di Sun dial e le vincola alla forma perimetrale piuttosto che al
fulcro centrale. Questo spostamento richiama strutturalmente
le architetture dell’Apoteosi di Sant’Ignazio anche nell’interruzione
della continuità delle forme perimetrali, preannunciando l’idea
di cornice frantumata che Vanni svilupperà più tardi. Fin dagli
inizi è stato tentato dal comporre le sue opere evitando l’uso
della forza di gravità. Molte delle forme dei suoi quadri
sembrano levitare nello spazio. Spesso la tela viene lavorata a
piatto sui quattro lati, e alla fine un piccolo dettaglio ne determina
l’orientamento. Probabilmente questa preferenza ha origini
lontane nelle continuate osservazioni al microscopio
dell’adolescenza, dove non c’è un alto ed un basso. Alcuni dei
suoi quadri sono firmati su due lati e a seconda che si pongano
122
P8207 (cat.rag.)
P8508, P8509
P8601 (cat. rag.)
(20) Il riferimento all’affresco di
Andrea Pozzo è soltanto compositivo
e non intende avere significati
simbolici. È un esempio della
teoria di Vanni per cui si possa
ottenere uno stesso tipo di impatto
visivo con dei modi totalmente
differenti.
Hommage to Andrea, olio su tela,
cm. 191x127, 1986, Roma, collezione
privata.
(21) Il titolo del quadro sottolinea
i riferimenti incrociati a Citera
(Kythira in greco e inglese), l’isola
greca in cui Vanni ha la sua casastudio dove lo ha dipinto, e Oruro,
città delle Ande boliviane, dove era
andato poco prima a fotografare il
carnevale locale (a sua volta prodotto
di contaminazione spagnola di un
rito Inca).
P8120 (cat. rag.), P8201
nell’una o l’altra posizione si determina un modo differente di
lettura, con significati diversi. Con Hommage to Andrea Vanni
va oltre collocandolo sul soffitto, cosicchè l’orientamento è
determinato, come in Sant’Ignazio, dalla posizione
dell’osservatore, cambiando così la percezione gravitazionale
degli elementi rappresentati e anticipando le opere cosmiche
degli anni novanta e la serie dei quadri da soffitto.
La terza direzione di ricerca, più vicina di tutte alla sintassi di
From Night into Day, si sviluppa in una serie di opere che ne
esplorano tutte le possibilità evolutive, spingendo la
sperimentazione in territori che aveva finora escluso dal suo
vocabolario eclettico. Nelle opere più simili al quadro originario
come A Stream of Thoughts o From Kythira to Oruro21 si trova una
attenuazione, nell’opera finita, dell’evidenza degli aspetti
dinamici della materia iniziale. Non significa che questi quadri
siano statici ma che la materia ci viene proposta nel suo processo
123
From Kythira to Oruro, olio su tela,
cm. 81x99, 1982, Roma, collezione
privata.
evolutivo, eliminando riferimenti alla sua origine e, anche, alla
sua destinazione. Intento in cui si ritrova quanto è stato osservato
per Kandinsky22 di dipingere le forme nel loro divenire piuttosto
(22) Cfr. Richard Verdi, Klee and
nature, Rizzoli, New York, 1985, p. 216.
Stone Cocoons and Windy Shores, olio
su tela, cm. 81x99, 1982, collezione
dell’artista.
124
End of Day, olio su tela, cm. 81x99,
1983, New York, collezione privata.
(23) Infatti, pur vivendo a New
York, passa ogni anno quattro mesi
sul Mediterraneo in barca o nella
sua casa in Grecia.
(24) Che richiama il tema del
confine degli anni cinquanta.
P8202 (cat. rag.)
P8308, P8203
(25) Questo soggetto aveva interessato
Vanni fin da ragazzo e lo aveva
approfondito attraverso gli studi di
Roger Caillois.
P8204,* P8206** (cat. rag.)
(26) Gli olandesi hanno cominciato
ad usare questo termine verso il 1650
(da questo deriva l’inglese still life).
Non è un caso che le nature morte
preferite da Vanni siano quelle del
seicento olandese di Pieter Claesz e
Willem Claesz Heda.
che nel loro essere. Trova larghi spunti per questa ricerca nella
osservazione della natura, principalmente in relazione con il
mare,23 come spesso accade nel lavoro di Vanni. Un esempio si
può vedere nel trattamento dei margini24 dipinti nelle opere di
questo periodo che evocano l’effetto del mare sulla costa rocciosa:
margini frastagliati della roccia e delle alghe giustapposti a
quelli fluidi del mare e della risacca. In svariate opere, però, gli
elementi naturalistici vanno oltre il suggerimento formale per
entrare più evidentemente nella figurazione. Talvolta alludendo
al paesaggio come in Life growing through Water and Earth o
End of Day; altre, come in Stone Cocoons and Windy Shores, al
mimetismo animale 25 in cui Vanni ricerca gli elementi
metamorfici che permettono al soggetto di eludere la
riconoscibilità; altre ancora alla natura morta o meglio alla sua
definizione olandese di stilleren,26 natura immobile, parola che
sottintende la possibilità di una evoluzione oltre il momento
rappresentato come in Fossils grow under the Moon and the Sea*.
In tutti questi quadri il naturalismo non intende travalicare nel
figurativo.
Fa parte di quest’ultimo gruppo un’opera, Remembering Venice,**
125
dove Vanni ricerca il paradosso, negando la regola appena
enunciata, con l’inserimento nel quadro di un elemento
figurativo. Questa nuova contraddizione intende introdurre
una ulteriore variabile formale che moltiplichi le possibilità
interpretative del suo linguaggio, sottolineandone il carattere
eclettico. Si tratta di un nudo femminile, soggetto che Vanni
non aveva dipinto da più di trent’anni, inserito qui in una
struttura compositiva, simile a quella degli altri quadri
contemporanei, che ne rende l’individuazione più difficile.
In una prima visione d’insieme l’occhio non riconosce
immediatamente la presenza di un corpo, e lo interpreta come
una collina (questo avviene osservando l’opera dal vero mentre
nelle riproduzioni, con la riduzione di scala, non risulta
evidente). Vanni ha anche ricercato questo doppio significato
per alludere all’idea classica della terra come entità femminile.
La forma del corpo nel suo insieme, in un tipico modo
compositivo di Vanni, si ribalta in una immagine speculare rossa
nella parte superiore che richiama l’associazione tra rosso e cielo
dei suoi quadri del ‘58. Il vuoto creato dalla specchiatura è
occupato da forme cellulari, strutturate come agate, i cui anelli
concentrici esprimono diverse possibilità di transizione
cromatica fra i colori del settore inferiore e quello superiore.
La loro tessitura serratissima richiama la tematica dell’Art
Nouveau della decorazione come contenuto27 dimostrata in tutte
le sue potenzialità espressive nell’opera di Klimt, artista con
cui Vanni ha sentito sempre grandi affinità. L’obiettivo della
struttura compositiva è di dimostrare quanto il soggetto
rappresentato sia secondario rispetto alla maniera
rappresentante, in aperta polemica con la tendenza di quei
tempi. Per sottolineare la sua distanza da un altro
atteggiamento diffuso allora, di saccheggiare passati repertori
per farne soggetti iconologici di largo consumo, inserisce
omaggi ad artisti del passato attraverso citazioni sibilline, simili
nelle intenzioni a quelle dei maestri rinascimentali verso l’arte
antica, suggerendo con questo artificio l’idea che in un quadro
debba sempre rimanere qualcosa da scoprire. Il titolo scelto
126
(27) Alessandra Comini, Gustav
Klimt, Seuil, Paris 1975, p. 18.
Remembering Venice, olio su tela,
cm. 86x109, 1982, Colorado, collezione
privata.
(28) Erwin Panofsky, Studies in
Iconology, Harper & Row, New
York, 1972, p. 160.
riferendosi al concetto di Ruskin del valore culturale aggiunto
del reperto in funzione della stratificazione del tempo che
testimonia, ci da un’indicazione della motivazione delle
citazioni formali usate da Vanni in questo quadro. La posa scelta
è quella rinascimentale classica della Venere distesa e allude
con la torsione accentuata del bacino alla interpretazione di
Tiziano che “...esalta la dea come divinità della bellezza animale
e dell’amore sensuale.”28 Si tratta di una delle poche eccezioni
in cui Vanni lascia trasparire nella sua opera pittorica un
riferimento così evidente alla sua passione per il corpo
femminile, che non ha mai smesso di studiare fotograficamente
in tutti questi anni. Anche il trattamento dell’incarnato deriva
dalla maniera del cinquecento veneziano, con l’alternanza di
pittura a corpo nei chiari e a velatura negli scuri per ottenere
127
l’effetto dell’emersione della materia dalla profondità delle
ombre. Queste sono a loro volta commentate da una fitta grafia
che ricorda le ultime tele di Moreau, dove sottili disegni
cesellano le trasparenze della materia sottostante, ricavandone
preziose infiorescenze. Questa grafia si addensa poi nella zona
pubica con un altro riferimento a Klimt, che in una delle sue
ultime opere,29 incompiuta, ci ha lasciato una donna con il pube
“...di cui aveva riprodotto i dettagli con minuzia e sul quale
aveva cominciato a dipingere una gonna fatta di motivi
ornamentali.”30
Quest’opera così ricca di riferimenti incrociati messi
programmaticamente a dimostrare come nel suo mondo
eclettico qualsiasi forma e qualsiasi stile possano essere
utilizzati ad arricchirlo rimarrà l’eccezione piuttosto che la regola.
L’impostazione di base rimane comunque inserita in tutto un
gruppo di quadri in cui fa convivere sulla stessa tela la più
grande quantità di maniere diverse anche come provocazione
intellettuale, continuando a slegare la coerenza formale da una
coerenza stilistica.
Alcune opere dei primi anni newyorkesi vengono esposte nella
serie di sei mostre personali che Vanni tiene in Giappone nella
primavera dell‘83.31 L’elemento centrale della rassegna è una
edizione di incisioni che esegue per quella occasione. Vi si
trovano componenti simili a quelle che hanno caratterizzato la
figurazione pittorica di quegli anni, con caratterizzazioni
materiche, segni grafici e cromaticità. La tecnica che sviluppa
riproduce il processo creativo dei quadri. Stampa una sua
immagine fotografica di materia su una pellicola ad alto
contrasto per poi grattare via tutti gli elementi che non lo
interessano e disegnarne altri trasformando l’immagine originale.
Trasferisce questa matrice sulla lastra attraverso un processo
di fotoincisione. Si serve delle zone scure che aveva lasciato
per ottenere ampi spazi che vengono scavati dall’acido creando
dei bordi fisici che tratterranno l’inchiostro nella stampa. Nel
secondo stadio interviene in questi spazi vuoti ad acquaforte con
128
(29) La sposa 1917-18.
(30) Alessandra Comini, Gustav
Klimt, Seuil, Paris 1975, p. 5.
(31) Le gallerie Hosun e Juda a
Tokyo, Nishida a Nara, M a
Obama, Seijo a Sendai, Chikugo a
Kurume.
Images of Earth IV, 1983, acquaforte
e tecniche varie, mm. 200x250 (G8308).
(32) Pietro Porcinai - Attilio
Mordini, Giardini d’occidente e
d’oriente, Fratelli Fabbri Editori,
Milano, 1966, p. 134.
Elaborazione di una foto di cristalli
di ghiaccio utilizzata in Images of
Earth IV.
segni grafici che entrano in conflitto con la materia circostante.
La lastra finita viene inchiostrata con vari colori che si
soffondono gli uni negli altri ottenendo nella stampa gli stessi
effetti di velatura delle opere su tela.
Vanni trascorre pi ù di un mese in Giappone attraversando una
esperienza che si rivelerà altrettanto significativa di quella
costituita dal suo primo viaggio a Parigi nel ‘48. Rimane
affascinato dalle affinità che prova per questa cultura che ha
linguaggi formali tanto diversi dai suoi. Lo colpisce in maniera
particolare il rapporto della civiltà giapponese con la natura
espresso dal disegno dei giardini che obbedisce ad “... una
artificiosità che non deve togliere nulla e nulla aggiungere alla
ricchezza ed alla espressività della natura, ma deve
riproporcela, questa natura stessa, dopo averne interpretati e
messi in evidenza gli aspetti più significativi come se il macrocosmo
dovesse ritrovarsi e riconoscersi nel microcosmo.”32 In quest’arte
ogni forma di pietra ha un nome e una sua simbologia che gli
conferiscono un significato superiore sconosciuto, in questi
termini, nella civiltà occidentale. L’interesse particolare che
Vanni ha nella trasposizione di proprietà plastiche e visive in
129
contesti linguistici che a tali proprietà sarebbero naturalmente
estranei è fortemente stimolato dall’esperienza diretta dei Kare
san-sui,33 dove la ghiaia viene pettinata in modo da ottenere un
effetto di acqua che scorre come in un torrente. La pietra subisce
una trasformazione visiva che ne traspone il naturale messaggio
di solidità in quello di liquidità fissata nell’eternità.
L’espressività di questi giardini di piante o di pietre viene
ulteriormente evidenziata dal rapporto con una architettura di
un geometrismo essenziale, in un sincretismo costruito sulla
differenza di due grammatiche che si completano a vicenda.
Le aperture degli spazi interni sul giardino sono regolate dai
shoji,34 rigorosamente bianchi e neri, che vi portano immagini
di delicati giochi di colore e chiaroscuri. Nulla è affidato al
fortuito, ogni apertura e ogni sentiero sono stati disegnati per
guidare l’osservatore attraverso determinate esperienze, per
creare quella “potente impressione sensoriale che il giardino
evoca, ma che è però elusiva, come quella dell’unica pietra di
Ryoan-ji che da nessun punto della veranda panoramica è dato
di vedere.”35 Vanni trova profonde affinità in un’arte che studia
la natura nei suoi più intimi particolari per ricreare come questa
e andare oltre. Lo affascina una intellettualizzazione che
permetta queste trasposizioni e lo sviluppo di significati
paralleli, più che il contenuto letterale di questi: gli interessa
come una pietra possa assumere il significato di isola, più che
di quale isola si tratti. Qui ritrova tematiche che aveva
raggiunto attraverso sentieri completamente diversi 36 ma che
nell’incontro con questa civiltà vengono arricchite dai valori di
cui è portatrice fornendogli nuovi suggerimenti per il suo lavoro
successivo. Si manifesterà come influenza intellettuale
portandolo verso una progressiva rarefazione dello spazio e alla
espressione della forza attraverso suggerimenti piuttosto che nella
sua esposizione manifesta. Tornerà da questo viaggio anche
con stimoli formali ed elementi iconologici che arricchiscono il
suo bagaglio figurativo, ispirati dall’esperienza empirica di
spazi e trattazioni che conosceva già dai libri ma che nel contatto
diretto si rivelano nella pienezza dei loro contenuti.
130
(33) I Kare san-sui sono giardini
dove sabbia e ghiaia sostituiscono
simbolicamente il piano d’acqua.
(34) Pannelli scorrevoli di separazione
tra vari ambienti formati da strutture
di legno ricoperte di carta traslucida
bianca.
(35)
William Alex, Japanese
Architecture, George Braziller, Inc.,
New York, 1963, p. 44.
(36) Le stesse tematiche di analisi
della natura che lo avevano
interessato fin dal periodo olandese,
e che aveva ripreso dall’inizio degli
anni sessanta quando, fotografando
particolari del mare, degli alberi,
delle rocce, cercava le forme
fondamentali che stanno alla base
di ogni sviluppo naturale.
Veins of the Earth, olio su tela,
cm. 198x264, 1982, New York,
collezione privata.
P8215 (cat. rag.)
Di ritorno a New York sviluppa una vena di ricerca che era
iniziata con un grande quadro dipinto prima del viaggio in
Giappone,Veins of the Earth, e che lo occuperà prevalentemente
fino alla fine degli anni ottanta. Sono opere in cui la struttura
geomorfica perde la sua origine cristallina in favore di una
sedimentaria in un contesto dove l’acqua si fa pietra o la pietra
diventa liquida. La colata evidente, provocatrice, sparisce a
favore di una nuova tecnica dove Vanni riprende una delle
costanti del suo lavoro: di tenere nascosto, o semmai vagamente
intuibile, il processo costitutivo dell’opera. Il quadro viene
iniziato con la creazione di molteplici rivoli di colore che
scorrono sulla tela segmentandolo in bande e triangoli irregolari
creando una scansione che ricorda lontanamente le partizioni
prismatiche di Inverno o Scalinata nella prateria, senza però il
131
Japan I, olio su tela, cm. 86x117,
1984, New York, collezione privata.
meccanicismo di quelli che viene ora sostituito da una sorta di
geometrismo organico. Le zone della tela rimaste in riserva tra
i segni disegnati dai rivoli vengono riempite con campiture di
colore unitario che si ispessiscono sui margini assumendo la
morfologia di blocchi di arenaria consumati dalle intemperie.
In questa fase Vanni ricopre tutti quei rivoli che non lo
interessano nell’economia del quadro, sancendo la struttura
compositiva. Poi un’ampia velatura viene stesa su tutta l’opera
sottolineando le potenzialità espressive della materia
sottostante, arricchendo l’intensità cromatica dei rivoli o
creando schiarimenti in corrispondenza degli ispessimenti, in
un processo per cui la materia si fa segno e il segno si fa materia.
Si viene così a determinare un contesto formale coerente che viene
però confutato dalla presenza di alcuni elementi, di dimensioni
piuttosto ridotte rispetto all’economia dell’opera, che sono
portatori di altre logiche. Nel caso di Veins of the Earth si tratta
di una lunga forma scura che suggerisce uno squarcio, una ferita
che mette in dubbio la massa geomorfica trasformandola in
pellicola che, lacerandosi, rivelerebbe una realtà sottostante. Ad
ampliare le possibilità interpretative si aggiunge una
scorniciatura diafana che passando davanti a certi piani e dietro
132
Formazioni calcaree a Pamukkale,
Turchia.
Japan II, olio su tela, cm. 86x109,
1984, collezione dell’artista.
(37) Langdon Warner, The enduring
art of Japan, Grove Press, Inc., New
York, 1978, p. 100.
P8404 (cat. rag.), P8405 (cat. rag.)
(38) In Japan I risulta evidente il
legame iconologico di queste colate
con un fenomeno naturale
osservato a Pamukkale, in Turchia,
di vasche i cui lati sono
completamente ricoperti dalla
sedimentazione del calcare
presente nell’acqua della sorgente
che le alimenta.
P8406* (cat. rag.)
ad altri, implica una collocazione aerea di queste forme che nega
ulteriormente la sostanza geomorfica dell’opera riproponendo il
tema delle ambiguità spaziali. Con questo sviluppo si apre,
come diretta conseguenza del viaggio in Giappone, un periodo
dove gli eclettismi stilistici si fanno meno provocatori, ma non
meno significativi, in perfetta assonanza con la cultura giapponese
che privilegia “quello che viene suggerito rispetto a quello che
viene enunciato.”37
Il pieno sviluppo di questa figurazione si ha nell’anno
successivo quando Vanni produce due opere che indicano le
due direzioni principali in cui evolverà questa nuova logica
pittorica: Japan I e Japan II. Nel primo apre la strada al tema
della colata verticale, 38 protagonista, che preannuncia una
fluidità diffusa che si esprimerà quello stesso anno nell’opera
più significativa di questa evoluzione, Metamorphosis.*
Nel secondo riprende, nel nuovo contesto, il tema dei riflessi
sul mare sviluppato nelle opere dei primi anni sessanta. Le
leggi fisiche che determinano queste strutture compositive sono
ispirate alle proprietà dei fluidi riproponendo sotto un altro
aspetto l’interesse di Vanni per il mondo acqueo.
133
In Metamorphosis una materia rarefatta cola fondendosi con il
campo sottostante in presenza di piccole forme biologiche che
esulano dall’atmosfera etereo-acquatica del resto dell’opera. La
loro fattura più netta potrebbe suggerire cellule primarie
parassitarie del flusso, ma anche, al contrario, si potrebbe
trattare degli ultimi reperti di un mondo preesistente scampati
al decadimento comportato dalla colata invasiva. La coesistenza
di queste due componenti legate da un rapporto evolutivo
ambiguo crea un ambiente metamorfico dove agate diventano
amebe che si fondono in un velo acquatico destinato a screpolarsi
come un terreno disseccato o, in un processo generatore
opposto, cellule nate, come nodi nel legno, da incidenti della
colata, e destinate a fagocitare, moltiplicandosi, la materia
circostante. La cascata-colata stessa viene confutata dalla presenza
di una cornice densa di grafismi che alludono a screpolature
pietrose negando la sua origine acquatica. Questo elemento
intende rappresentare l’idea di cornice (già espressa in opere
precedenti, ma che a partire da ora sarà costantemente presente)
che separa lo spazio interno al quadro dallo spazio esterno.
Vanni dopo averne stabilito il limite con una linea di confine la
fa oltrepassare da alcuni elementi pertinenti allo spazio interno
del quadro negando la sua stessa funzione e ribaltandone il
significato trasformandola in un mezzo per esprimere
l’ambiguità dei limiti fisici del quadro. Un intervento che
riassume le precedenti contraddizioni attraverso un espediente
logico-visivo che, sfalsando piani che avevano stabilito una
logica reciproca nella situazione interna, rimettono in questione
gli assetti compositivi dell’opera creando una situazione di
incertezza per una coerenza spaziale che viene ad un tratto a
mancare. Attraverso questo si apre il quesito pirandelliano della
fine dell’opera immaginata e dell’inizio della realtà tangibile,
con tutti i risvolti interpretativi che questo comporta. Si
percepisce l’intenzione di Vanni di spostare il problema da un
campo formale a un campo filosofico.
Dall’analisi di Metamorphosis si capisce che si tratta di un’opera
in cui le varie componenti sono intimamente legate l’una
134
Metamorphosis, olio su tela, cm.
122x122, 1984, collezione dell’artista.
all’altra e che rappresenta un ulteriore allontanamento da un
eclettismo manifesto a favore di sfasamenti stilistici e
compositivi che provocano incongruenze nei sillogismi
interpretativi. In questa maniera Vanni crea l’impossibilità del
completamento di un qualsiasi percorso logico con la
conseguente emergenza del vero soggetto intrinseco: il dubbio.
Dubbio inteso come forza esistenziale rigeneratrice di qualsiasi
135
processo intellettuale. Questo soggetto, che fino ad ora era
rimasto latente, si impone da protagonista in questo quadro
dove fin dal titolo di Metamorphosis è espressa l’indicazione di
non accettare la realtà come si presenta.39
Va osservato come i titoli che Vanni dà alle sue opere non siano
quasi mai legati a degli aspetti interni al quadro ma
rappresentino un’osservazione dall’esterno, fatta generalmente
a posteriori, che fornisca un suggerimento di lettura. Sono
espressioni allegoriche con legami apparentemente lontani per
mettere l’osservatore sulla strada di associazioni di idee che
provochino l’interesse per diverse interpretazioni dell’opera.
Vanno letti in questo senso i riferimenti alla mitologia greca
che aveva già utilizzato in forma di contrappunto all’accentuata
matericità dei primi anni sessanta, ma che qui ritornano come
suggerimento di parentela metamorfica che diventa per Vanni
una forma di riattualizzazione del mito. Mito inteso come
espressione allegorico-filosofica delle nostre radici culturali.
Per Vanni riattualizzare il mito non significa condurre
un’operazione folclorica di stampo nostalgico, ma caricare gli
impianti formali dei suoi quadri di un potenziale evocativo
ricchissimo di legami radicati in un immaginario comune dove
si fonde in concetti filosofici. Infatti la sua lettura preferita della
mitologia sta nelle Metamorfosi di Ovidio, dove il limite fra
realtà, mito e concetto non sembra esistere. Queste evocazioni
sono per Vanni un riferimento sempre attuale per delle
considerazioni sulla nostra esistenza in rapporto alle forze
che ci agitano internamente o che ci condizionano nel
mondo tangibile.
L’immagine della colata dall’alto in basso della materia
pittorica, centrale nella figurazione di Metamorphosis, è presente
nel lavoro di alcuni pittori suoi contemporanei come ad esempio
Larry Poons o Gerard Richter. Nelle opere di questi artisti
l’espressione della materia è il soggetto, rappresentando se
stessa come evento pertinente in scala reale alla tela che lo
contiene, il che viene sottolineato dal trattamento plastico della
massa di colore e della superficie pittorica. Nei lavori di Vanni
136
(39) In questo si ritrova l’influenza
dello scetticismo positivo acquisito
nelle lezioni di filosofia di Bragaglia.
Variations on the Past Tense, olio su
tela, cm. 198x348, 1985, Morristown,
ITT Corporate Collection.
P8505 (cat. rag.)
P8808
di questo periodo, invece, l’aspetto fisico, tangibile, della
materia rimane secondario. L’accento è posto sulle trasmutazioni
evocate da una iconologia che, alludendo a vari aspetti
costitutivi delle forme naturali, suggerisce la trasformazione di
una materia in un’altra. Ad ulteriore distinzione con i lavori degli
artisti sopra citati, si deve osservare che per Vanni è sempre
importante presentare qualsiasi materia sia come massa (non
soltanto solida, ma anche liquida o aerea) che come pellicola.
In quest’ultima situazione interpretativa può essere lacerata o
comportarsi come un velo trasparente. I quadri dove le colate
di colore si stemperano in trasparenze quasi acquarellate
farebbero pensare alle ricerche di Olitski o al periodo dei veli di
Morris Louis. Ma mentre nel lavoro di questi artisti
l’espressione risiede nella trasparenza stessa, per Vanni diventa
un mezzo per stabilire un velo diafano nello spazio che lasci
intuire qualcosa che sta oltre quel piano. Sono interessanti a
questo proposito due quadri di quegli anni, Variations on the
past tense e Sky in the shape of a wall, dove colate di bianco reso
semitrasparente dalla trementina ricoprono opere lavorate in
137
precedenza. Attraverso questa velatura opaca si intuisce il
quadro sottostante che ci è rivelato nella sua forza cromatica
da alcune forme scampate alla colata cancellatrice. Ecco che il
bianco si comporta sia come massa nebbiosa densa che trasporta
sul piano proiettivo della tela particelle di luce colorata presenti
nella sua massa, che come velo che rivela e nasconde nella sua
trasparenza o si squarcia rivelandoci un’altra realtà.
Si va formando un’attenzione particolare alla penetrazione della
visione nello spazio pittorico. Vanni si serve di diversi livelli
di opacità per fermare la leggibilità a diverse profondità creando una
successione di piani, per poi magari negarla compositivamente.40
Piani che si sviluppano in uno spazio abbastanza ristretto, che
non suggerisce l’infinito. Non si tratta di uno spazio
prospettico, piuttosto di uno spazio tridimensionale compresso
sul piano di proiezione della tela come se si trattasse di un
prospetto. Vi sono così forme che appartengono al piano della
tela e altri elementi che rappresentano corpi più lontani, pronti a
presentarsi in primo piano quando una variante della lettura lo
suggerisce. Questo gioco di rapporti fra piani con le loro relative
distanze si può osservare in tre opere, Silent Greek Landscape,
Gate to the Orient e Cassure Orange, dove spazi apparentemente
complanari si aprono, come in un sipario, per rivelare una
nuova realtà pronta a presentarsi alla ribalta.
Tutte le tematiche affrontate daVeins of the Earth in poi si
ritrovano nel quadro più ambizioso di quel periodo, Embrace,
che si sviluppa per più di sette metri di lunghezza per due di
altezza. In quest’opera i due fasci di rivoli orizzontali dei
pannelli laterali confluiscono nel pannello centrale in una
grande colata verticale. L’insieme evoca il passaggio davanti
ad una costa all’alba dove il cielo velato crea un’atmosfera di
madreperla e arbusti esili ne scandiscono lo spazio,41 stringendo
l’osservatore in un abbraccio che lo proietta verso l’apertura
centrale, porta di energia vitale e sensuale, fino all’ultimo
spasmo rosso che ne costituisce il cuore. In una lettura diversa,
le tessiture orizzontali hanno una diretta associazione con la
struttura delle ali di cavallette che sembrano provenire da un
138
P8607 (cat. rag.), P8608, P8713
(40) Vedere per questo la serie di
Search of the Golden Fleece I (P8705),
II (P8706), III (P8707) e IV (P8708).
P8506 (cat. rag.)
(41) Nella costruzione dell’opera
Vanni aveva in mente le traversate
mattutine in auto della pineta di
Ravenna lungo il mare, e La pioggia
nel pineto di D’Annunzio. Era più o
meno lo stesso periodo di quando,
ancora adolescente, faceva i disegni
anatomici di insetti e di terrari.
Embrace, olio su tela, cm. 198x739,
1985, collezione dell’artista (a
sinistra il dettaglio della parte
centrale).
(42) È interessante paragonare la
trasposizione formale dell’interesse
di Vanni per le articolazioni degli
insetti in quest’opera con quelle
della fine degli anni cinquanta.
(43) Vedere a questo proposito
anche Woman of Time (P8612),
Ouranos-Gea (P8810 cat. rag.),
Phoenix (P9036) e Ventiseiesimo canto
(P8927).
P8613 (cat. rag.)
(44) Parallelamente a queste
tematiche il quadro ripropone un
discorso simile a Remembering Venice.
Infatti oltre all’uso provocatorio del
ritratto contiene un preciso riferimento
alla Allegoria del trionfo di Venere del
Bronzino di cui è facilmente
riconoscibile Venere nella sagoma
ribaltata delle figura rappresentata.
(45) Enrico Crispolti, I percorsi di
Cagli, cat. mostra, Castel dell’Ovo,
Napoli, 1982, p. 40.
(46) Sfortunatamente i quadri più
significativi non furono esposti,
essendo bloccati a Fiumicino per
ragioni burocratiche.
mondo preistorico, calcificato nella sua imponenza. Le
trasparenze delle parti più chiare mantengono viva la tensione
fra una proprietà di massa e di velo, e la delicatezza delle
articolazioni suggerisce la permanenza di una possibilità di
volare.42 La colata centrale, molto vicina a Metamorphosis, in
questo contesto può essere associata alla testa dell’insetto.
Contiene lungo il suo asse centrale una colonia di piccole forme
che suggeriscono una labirintica anatomia interna, rivelata
attraverso degli squarci del corpo che la contiene. 43 Questa
immagine di un corpo al contempo calcificato e pulsante crea
un monumento ambiguo che suggerisce una visione terrificante
della realtà malgrado la sua bellezza estetica. L’idea del corpo
fossile viene ulteriormente espressa in un quadro ancora più
esplicito di un anno dopo, Divertissement sur le thème de Daphne,
con la presenza di una figura umana.44 È una delle opere dove
il dialogo tra materia ed intelletto si fa più serrato. Difatti, non
a caso, si creerà, come in Cagli, quello stesso strano rapporto
tra materia ed immagine per cui “...per artificio, la materia ha
consistenza d’immagine, e, correlativamente, l’immagine ha
consistenza di materia.”45
Questa lunga e complessa ricerca sviluppata negli anni ottanta
assorbendo la multiculturalità newyorkese e l’esperienza
giapponese, mediate dalla rivisitazione, attraverso l’insegnamento,
di tutta la storia dell’arte verrà esposta, oltre che nei successivi
open studios, nell’ultima mostra che Vanni terrà alla galleria
Schneider di Roma nella primavera dell’8946 e alla Galerie 88 in
Lussemburgo nell’autunno dello stesso anno. In questa
139
occasione sarà pubblicato Quadri d’America che riproduce le
principali opere di questo decennio e in cui Vanni espone le
idee che impostano il suo lavoro.
L’apporto stimolante della ricerca legata allo sviluppo di materiali
didattici, che ha portato Vanni a riprendere lo studio di
esperienze artistiche sia dal punto di vista teorico che tecnico,
è stato menzionato più volte nell’esame della pittura di questi
anni. L’insegnamento rappresenta una parte importante della
sua vita in America ed è interessante esaminarlo per capire
l’influenza che ha avuto sulla sua ricerca pittorica, trovando
nel primo un complemento intellettuale ed empirico di grande
valore alla seconda.
Dopo alcune esperienze in altri college newyorkesi, 47 nell’84
vengono offerti a Vanni due corsi permanenti alla Cooper Union,
il più prestigioso college di arte di New York, e a partire da questo
momento affiancherà in maniera continuativa l’attività di docente
a quella di pittore. Si tratta di una università dove accedono, dopo
una severa selezione, studenti provenienti da tutti gli Stati Uniti.
Qui Vanni ritrova un ambiente che gli è intellettualmente
familiare perchè dei compagni degli studi con Albers vi insegnano
seguendo la tradizione di integrare esperienza empirica e
conoscenza teorica ereditata dal Bauhaus.
Uno dei due corsi insegnati da Vanni, Color perception,48 fa parte
del programma che tutti gli studenti devono seguire per avere
accesso ai corsi di pittura. Equivale, con alcune variazioni, a
quello creato da Albers al Bauhaus ed elaborato negli anni del
Black Mountain College, ed in seguito a Yale. Il corso dà allo
studente, attraverso esperimenti empirici, il senso della relatività
del colore, che interagendo con i campi cromatici circostanti
cambia di valore, intensità, croma, modificando la percezione
di spazio, fingendo trasparenze illusorie, ed acquistando
intensità inusuali quanto più spinto al di fuori della sua area di
riposo. Si esplorano, senza suggerire regole, accordi che
preparano ad un uso del colore sentito interamente in funzione
della sua posizione ed area relativa a quelli contigui, in una
140
(47) Vanni aveva anche insegnato
alla City University of New York,
al York College e all’Hunter College.
(48) Anche gli altri due professori
che lo insegnavano, Irwin Rubin e
Robert Slutsky, erano stati studenti
di Albers a Yale.
(49) I corsi di colore impostati da
Albers a Yale hanno avuto una tale
influenza nelle scuole d’arte
americane che due ditte, la ColorAid e la Color-View, che più tardi
si sono riunite, hanno sviluppato
un prodotto apposito. Si tratta di
un campionario di oltre duecento
colori stampati in serigrafia in scale
appositamente scelte per mettere in
grado lo studente di imparare l’uso
del colore secondo il metodo di
Albers.
(50)
Reuben Kadish aveva
partecipato attivamente a momenti
importanti dell’arte americana a
partire dagli anni trenta. Dopo
aver lavorato come assistente di
Siqueiros, esegue una serie di
affreschi in collaborazione con
Philip Guston e, a volte, il fratello
maggiore di Jackson Pollock,
Sandy. Dopo la guerra si stabilisce
a New York frequentando
assiduamente Jackson Pollock, a
cui lo lega una profonda amicizia.
Nel suo lavoro di scultore sviluppa
una figurazione che pur tenendo
conto delle esperienze astratte è
legata alla tradizione di Rodin ed
alla espressività dell’arte africana.
A Cooper Union insegna disegno,
scultura e il corso di Art Survey che
gli era stato affidato per la
ricchezza delle sue esperienze
artistiche.
ricerca separata dal suo significato gestaltico e simbolico. Il
contributo di Vanni a questa didattica è di far seguire ad una
prima fase in cui lo studente esegue i progetti con collages di
carte colorate,49 una seconda in cui rielabora il progetto iniziale
a partire da colori mischiati sulla tavolozza. Questo agevola il
passaggio dalla parte teorica alla parte pratica, avendo notato
la difficoltà degli studenti ad integrare quanto acquisito nella
formulazione di un quadro personale. Seguendo il loro lavoro
da vicino e osservandone le reazioni alla scoperta del colore Vanni
viene stimolato a sperimentare nuovi accordi nei suoi quadri.
L’altro corso che gli compete, Art survey, viene da una tradizione
delle scuole d’arte in America di affiancare ai corsi di storia
dell’arte tradizionali svolti nella facoltà di humanities un corso
impartito dal punto di vista soggettivo di un artista. Questa
cattedra venne affidata a Vanni da Reuben Kadish50 che l’aveva
tenuta per quasi venti anni. Vanni imposta il corso tematicamente
e prepara una serie di dispense che ci aiutano a capire dove
risieda per lui l’interesse nell’arte del passato. Svariate lezioni
sono dedicate ad esaminare opere create da culture diverse
paragonandole per mettere in risalto le differenze o affinità
stilistiche nell’affrontare i grandi temi esistenziali. Vengono
raffrontate figurazioni Azteche e Romaniche in rappresentazioni
che si impongono all’immaginazione attraverso la paura.
Oppure, esaminando l’immagine di Venere attraverso i tempi,
come altre culture abbiano cercato nell’armonia la
rappresentazione del divino. Altre lezioni si concentrano su
come civiltà diverse, attraverso circostanze storiche,
economiche, sociali, esprimano una loro particolare visione
dell’arte. Vanni confuta la tendenza dominante fra gli studenti
americani di identificare l’efficacia del linguaggio dell’arte con
la violenza dell’espressione, con una grande ammirazione per
un quadro forte e di denuncia, tanto più grande quanto più
prenda lo spettatore allo stomaco. “Li invito quindi a pensare
come, per denunciare la violenza stupida della guerra, sia più
impressionante un agonizzante ferito e inchiodato a un muro
che Guernica, o un Goya, appesi sul muro opposto; e quindi il
141
valore dell’opera sia da cercarsi altrove. Risposte non ne do,
né saprei darne; preferisco però aprire dei dubbi a scuotere le
loro certezze, che fornire regolette senza peso di fronte a quanto
resta un affascinante mistero.”51 Altre lezioni ancora trattano della
maniera in cui i materiali condizionano la rappresentazione,
con lezioni dedicate ad esaminare l’uso della pennellata attraverso
i tempi. Molto tempo viene dedicato all’architettura che è per
Vanni una referenza essenziale per la comprensione dello
spazio. I temi di queste lezioni-conferenza sono anche il
pretesto per mostrare una grande quantità di immagini che
stimolino la percezione visiva dello studente, e ne provochino
l’immaginazione creativa, attraverso la comprensione del
linguaggio delle forme delle opere d’arte del passato.
L’esigenza di avere le immagini giuste per dimostrare le sue
idee visivamente gli farà sviluppare un particolareggiato
archivio fotografico di scultura, pittura ed architettura costruito
scattando immagini durante i lunghi viaggi che compie
appositamente. Questi si orientano in base a filoni specifici su
temi classici come l’arte egiziana, greca, bizantina, romanica,
gotica, orientale, comportando una rivisitazione sintetica della sua
cultura. Le conferenze sviluppate attorno alle immagini create a
supporto delle sue idee cominciano a loro volta ad influenzare le
sue scelte iconologiche, portandolo a ripensare a momenti passati
dell’arte in rapporto con la sua pittura.
Alla fine degli anni ottanta un cambiamento di orientamento
didattico nella scuola d’arte ha ridimensionato l’insegnamento
della storia dell’arte considerata secondaria, se non addirittura
negativa, nello sviluppo di un artista. Vanni che dissente
profondamente con questa idea ha dovuto però trasformare il
suo corso di Art Survey in una classe-laboratorio di tecnica pittorica.
Questo gli ha dato occasione di riprendere la sperimentazione
delle tecniche classiche su tavola e muro, approfondendo
metodi di pittura come la tempera all’uovo e l’affresco. Nella
pittura ad olio pone particolare riguardo ai fondi a mezza tinta,
colori opachi, translucidi o trasparenti, velature e spessori di
materia. In questo corso contestualizza storicamente quello che
142
(51) Valentina Puccioni, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York, ottobre
2000.
gli studenti stanno sperimentando, di come e perché un effetto
tecnico sia essenziale ad uno stile specifico ad un periodo,
facendoli riflettere sul rapporto fra tecnica e immaginazione,
di come l’una può stimolare l’altra e viceversa. Per lui lavorare
assieme agli studenti è molto importante per stabilire un contatto
con le nuove generazioni studiando la loro reazione agli argomenti
che solleva per capire come sta cambiando la percezione dei temi
che sono per lui più significativi. Aiutarli ad attraversare le diverse
combinazioni fra idea e realizzazione lo aiuta spesso nel suo
proprio lavoro di elaborazione di modi diversi. Con questo corso,
infatti, riprende lui stesso a servirsi della tempera all’uovo in
piccole opere su tavola dove affronta la sperimentazione di
qualsiasi soluzione stilistica con maggiore libertà, non
sentendosi vincolato dalla presa di posizione che un’opera più
grande comporterebbe, producendo, nel corso di dieci anni, oltre
duecentocinquanta pezzi.
Vanni aveva sempre avuto prima di allora una grande difficoltà
a dipingere opere di piccole dimensioni perchè non le aveva
trovate adatte ad integrare il rapporto fra infinitamente piccolo
e infinitamente grande, tipico dei contrasti che lo interessano
maggiormente. Nelle sue tele il dialogo particolarissimo fra
materia e forme cellulari viene quasi sempre costruito
sull’estensione della prima messa a confronto con l’intensità
delle forme minute. Nel trasporre questo in opere molto più
piccole gli si erano proposte due soluzioni ugualmente
insoddisfacenti: o mostrare una parte del quadro grande, o
riprodurre la stessa formula compositiva in più piccolo. La
prima soluzione avrebbe comportato tutti i problemi che
insorgono quando si mostra un dettaglio di un’opera che,
trattandosi appunto di una sola componente, cambia di
significato nell’assenza delle altre. Nel secondo caso, operando
una riduzione di scala la materia perderebbe di efficacia, non
essendo più la diretta espressione di un processo costitutivo.
Le forme cellulari di per sè già piccole si ridurrebbero a meri
segni perdendo la vitalità derivante dall’associazione alla
materia biologica. Ma oltre a questi problemi compositivi ve ne
143
è un altro fondamentale. Vanni è interessato alla esplorazione
temporale dell’opera fornendo degli itinerari interni che
distribuiscano nel tempo l’esperienza visiva. Un’opera piccola
simile in tutto e per tutto tecnicamente a quella grande diventa
percepibile soprattutto nella sua unitarietà. Appesa al muro non
è più quell’apertura panoramica su un mondo esterno che ci
propone itinerari da esplorare, ma è una piccola finestra con
una vista su un solo soggetto vincolata ad un solo punto di
vista. Vanni capisce che per esprimere i significati a cui è
interessato deve far sì che il quadro stesso diventi qualcosa di
diverso, che entri in un altro rapporto con l’osservatore. Nella
maniera con cui raggiunge la soluzione di questo problema
troviamo una dimostrazione quasi letteraria dell’idea del
Bauhaus, sulla quale aveva marcatamente insistito Josef Albers,
dello sviluppo del linguaggio artistico attraverso una continua
sperimentazione tecnica. Durante le lezioni in cui inizia gli
studenti alla tempera all’uovo, Vanni prepara insieme a loro le
tavolette sulle quali dipinge chinato sul piano di lavoro come
ad uno scrittoio. Sostituisce le grandi stesure con campiture di
pennellate minutissime, caratteristiche di questa tecnica, in una
sorta di scrittura della superficie dipinta. Si ritrova dunque
nella stessa posizione del pittore di miniature, malgrado le
forme non siano particolarmente minute, per quel rapporto
intimista con l’opera dipinta che fa perdere coscienza del mondo
esterno che la circonda. Per questo ritiene che le sue tempere
siano da leggere in astrazione dallo spazio circostante in cui
non deve sussistere un rapporto di scala fra il proprio corpo di
lettore e la dimensione dell’opera. Nel recupero della tecnica
tradizionale riesce ad eliminare, nell’opera finita, qualsiasi
traccia della scala reale della materia. Sulle sue piccole tavole
esegue una preparazione, secondo la ricetta di Cennino Cennini,
in successive stesure di gesso intercalate da carteggiature che
produce una superficie levigata e vellutata che trascende la sua
dimensione tangibile.
I soggetti affrontati riflettono la parcellizzazione delle tematiche
delle opere su tela: le contraddizioni insite nei molteplici significati
144
Byzantine Memory, tempera all’uovo
e oro su tavola, cm. 25x20, 1989, New
York, collezione privata.
145
delle composizioni più grandi vengono esplorate nelle tempere
per episodi di coppie contrastanti. Diventano anche un terreno
dove portare la sperimentazione oltre i temi sviluppati nella
figurazione maggiore, come fossero delle note in margine a
questa ritornandovi, talvolta, modificate. Le opere a tempera
riflettono anche un recupero meno mediato di elementi stilistici
e culturali che Vanni incontra o porta in sé come residui di
esperienze passate. I diversi temi vengono affrontati in una
sequenza dove la soluzione espressa dalla prima tempera
provoca nuove problematiche esplorate nella seconda, nella
terza e così via, formando gruppi di opere sviluppati in parallelo
gli uni agli altri.
Le prime sono nate da osservazioni fatte sui fondi oro del
trecento senese, dove l’oro consumato qua e là rivela il bolo
rosso sottostante.52 Questa serie (Herculanum, Ravenna - the
Barbarians - the Gold, Secondo Palinsesto) evoca l’idea del reperto,
dove convive il decadimento con la preziosità. Il rosso di base
diventato un vermiglione acceso, grattato e rovinato, entra in
competizione con l’oro per la sua intensità cromatica. Accordo
che crea una interessante interazione di colore sfruttando le
caratteristiche di riflettenza del metallo a seconda dell’incidenza
della luce. Questo effetto è largamente usato nelle icone bizantine
dove la parte ricoperta di oro è la prima forma che si vede nella
penombra di una chiesa, per poi scartare in secondo piano rispetto
alle figure dipinte quando l’angolo d’incidenza della luce cambia.
Nelle tempere Vanni rende manifesto il fascino che l’impostazione
anticlassica della pittura bizantina aveva sempre esercitato su di
lui. Quest’arte gli ha suggerito preziose indicazioni per la sua
ricerca di formulazioni situate al di fuori di una situazione
spazio-temporale che si manifestano all’occhio dell’osservatore
come attimo sospeso nel tempo, che ne percepisce il significato
riportandolo alla sua propria realtà spaziale, temporale e
psicologica. Nelle tempere questo si ritrova in particolare
laddove fondi di tinte consumate da abrasioni sospendono nello
spazio forme trattate come panneggi che esprimono una
commistione di leggiadria e ieraticità. In Byzantine Memory
146
P8901, P8902
P8907
(52) Il bolo è una terra rossa che
veniva, e viene ancora, usata come
base per l’applicazione della foglia
d’oro.
P8904 (cat. rag.)
The Oracle I, tempera all’uovo su
tavola, cm. 25x20, 1990, collezione
dell’artista.
P9007 (cat. rag.)
elementi sospesi sono incastonati nello spazio-colore circostante
che non allude, come nelle tele, ad altri elementi aerei od acquatici
ma solo alla sua propria atmosfera. In The Oracle I il soggetto,
rappresentato da cinque pennellate libere collegate da due elementi
di piccole forme policrome, viene posto al centro della composizione
solennizzando queste impronte del pennello in uno spazio fisso,
atemporale che fa perdere loro qualsiasi aspetto ludico.
L’uso dell’oro nelle opere a tempera continua con la serie micenea
suggerita a Vanni dal ricordo dei bagliori dell’oro della maschera
di Agamennone esposta al museo archeologico di Atene. Dunque
un oro che esula dal suo significato contemporaneo di gioiello
147
Mycenean Suite II, tempera all’uovo
e oro su tavola, cm. 20x25, 1990,
Roma, collezione privata (P9019).
e decorazione per caricarsi di associazioni con una funzione
primordiale di corazza o di scudo. Ed ad uno scudo potrebbe
infatti far pensare la scorniciatura quadrata dell’oro di queste
tempere, o forse ancora di più ad uno stemma di una corazza,
arcaico nella sua semplicità ornata solo da graffiti di geometrismi
elementari. Allo stesso tempo gli accordi di colore sviluppati
incastonando la foglia d’oro in una pennellata che la circoscrive
in una lunga serie di variazioni cromatiche rappresenta anche un
omaggio scherzoso ad Albers, come se il suo quadrato avesse
subito gli abusi del tempo. Ma oltre questo, anche un
riconoscimento di quanto sia ancora interessante continuare
ad esplorare lo spazio come interazione cromatica.
Fra i temi principali sviluppati nelle tempere abbiamo una serie
di piccoli e raffinati paesaggi, come in Affabulazione o in Les Adieux,
con in primo piano degli agglomerati di forme rettangolari che
si avvicinano molto alle figurazioni con cui Klee ha rappresentato
gli abitati tunisini. Nelle tempere in genere l’opera di Vanni si
avvicina particolarmente al processo creativo di Klee, che ha
sempre posto fra i suoi principali referenti nell’arte contemporanea.
Si ritrova il rapporto intimista con l’opera, le tante opere lavorate
148
P8932, P8933
Struggle of Land and Sea, tempera
all’uovo su tavola, cm. 18x25, 1994,
New York, collezione privata.
P9102, P9420
P9429
P9405
P9720, P9731
P9146, P9147
P9148
P9815, P9816, P9814, P9817
P9819, P9820, P9823
contemporaneamente, spesso derivate l’una dell’altra, che
suggeriscono ognuna un particolare sguardo su un aspetto
recondito del mondo interiore dell’artista. Ma Klee ed Albers
non sono i soli artisti amati da tempo a cui Vanni fa riferimenti
espliciti e voluti nelle tempere. Troviamo anche Cranach in
Hommage to the Met o Bosch in From the Paste Tense. Burri nel
cretto d’oro di Village of the Golden Desert. O anche più
genericamente delle incursioni negli arabeschi del barocco come
Struggle of Land and Sea o dei geometrismi non meccanici della
miniatura gotica come in Byzantine Frontispice o Byzantine
variation #12 . Oppure semplicemente cita se stesso come
traspare dalla lunga serie di opere come Etruscan Places o Blois
dove riprende il suo tema dei personaggi affiancati o Birth of a
Stone dove si possono vedere le screpolature che Vanni ama
utilizzare per caratterizzare le materie geomorfiche.
In breve tempo sperimentazioni che si erano sviluppate in gruppi
separati si contaminano a vicenda. Nella serie delle Byzantine
Variations Vanni inserisce varie influenze arbitrarie creando le
Byzantine Variations on an Indian Theme, Byzantine Variations on
a Gothic Theme, Byzantine Variations on a Japanese Theme.
149
Unstable Stability, tempera all’uovo
e oro su tavola, cm. 81x99, 1995,
New York, collezione privata.
Le esegue seguendo il concetto del divertimento o della variazione
intesi in senso musicale.
In alcune circostanze le sequenze formano dei polittici in cui i
singoli pannelli sono stati assemblati su una tavola più grande
alterando di poco l’allineamento dell’uno rispetto all’altro
creando la Unstable Stability che dà il nome alla prima di queste
opere. Interviene il tema della discontinuità intesa in senso fisico,
come interruzione di una struttura di cui l’osservatore intuisce
l’ordine costitutivo che tende a ricostituire.53 L’idea è nata da
osservazioni fatte in una città licia in Turchia, Termessos, su di
una facciata ellenistica squassata dal terremoto, dove l’occhio
legge la continuità del disegno nonostante il dislocamento delle
pietre che la rappresentano.
L’attenzione di Vanni per una tecnica così antica come la
tempera all’uovo è anche una indicazione di come lui si diverta
polemicamente a percorrere il cammino inverso alla
multimedialità dei prodotti artistici. È un aspetto del suo agire
che però non costituisce un rifiuto reazionario e conservatore
della modernità, andando di pari passo con una
sperimentazione grafica e coloristica che opera sul computer.
150
P9535 (cat. rag.)
(53) Come ha osservato Arnheim:
“La condizione di equilibrio è
l’unica nella quale il sistema rimane
in quiete, e l’equilibrio tende
all’ordine perchè rappresenta la
configurazione più semplice possibile
delle componenti del sistema.
Tuttavia una opportuna modalità
dell’ordine costituisce pure il
presupposto del funzionamento
efficiente, e per questa ragione vi
aspirano tanto la natura organica
che l’uomo.” (Rudolf Arnheim,
Entropia ed Arte, Einaudi, Milano,
1978. p. 11.)
Come si è già sottolineato, una caratteristica importante
dell’atteggiamento di Vanni nella vita oltre che nella pittura
sta in una sua marcata curiosità e passione per tutto quello che
può rappresentare una scoperta, essere qualcosa di nuovo.
Questa è la disposizione intellettuale con cui, nel momento in
cui altri artisti lo guardavano con diffidenza, all’inizio degli
anni ottanta acquista un computer, vedendo già nelle capacità
rudimentali di allora un affascinante mezzo per esplorare la
realtà. Da quel momento in poi ha continuato a usarlo
sperimentando le possibilità creative delle elaborazioni digitali,
soprattutto nelle figurazioni che ottiene sullo schermo, nella
(54) Valentina Puccioni, Intervista a
Gian Berto Vanni, New York,
ottobre 2000.
Ginnasio ellenistico, Termessos,
Turchia.
ricchezza della riverberazione luminosa dei fosfori. La sua
ricerca lo conduce spesso a esplorare la progressiva perdita di
riconoscibilità di immagini fotografiche nelle successive
trasformazioni, rimanendo più interessato a registrare il
processo evolutivo piuttosto che la stampa del risultato
definitivo, che non riporta la parte affascinante delle
trasmutazioni sullo schermo. Talvolta, in un contesto
strettamente sperimentale, ha provato a digitalizzare delle sue
opere per portarle ben oltre gli estremi a cui la sua razionalità
creativa le avrebbe condotte, per vedere se avrebbero potuto
trarre un qualsiasi beneficio nell’essere sottoposte a quelle che
per lui erano in quel momento delle aberrazioni. Oggi per lui
il computer continua ad essere un mezzo per sperimentare, per
esplorare la realtà e riuscire a scoprirne aspetti che gli erano
sfuggiti, in una ricerca tesa ad “estrarre il significato dalle
immagini e non solo informazione.”54
Contemporaneamente alle tempere Vanni ha continuato a
dipingere opere più grandi sulle quali vediamo altri frutti della
sua attività didattica. L’insegnamento lo ha portato a mettere
per iscritto delle sue riflessioni sull’arte nelle sue dispense e
poi, come si è visto in Quadri d’America, sul suo proprio lavoro.
I quadri dei primi anni novanta testimoniano l’intenzione di
rendere manifeste le sue scelte artistiche anche in quanto prese
di posizione ideologiche. Non è che fino ad allora Vanni avesse
mancato nell’approccio alla sua pittura di motivazioni
151
intellettuali, ma si tratta della prima volta in cui non le cela ma
le espone apertamente, come è palese in due opere dipinte a
breve distanza l’una dall’altra, Power of the Center e Spirits of
War. Le esplorazioni ulteriori rimarranno segnate da questi due
quadri che ci obbligheranno a ricordare come qualsiasi sua
opera sia, oltre le soluzioni formali, fermamente ancorata in un
impianto concettuale e filosofico.
Power of the Center esprime questo atteggiamento fin dal titolo
che sottolinea, oltre ad una effettiva indicazione contenutisticocompositiva, un omaggio ad Arnheim di cui Vanni ha sempre
apprezzato la visione analitica dell’arte. Si tratta di una delle
rarissime eccezioni in cui Vanni conferisce al titolo una funzione
programmatica ed esplicativa, abbandonando la vena evocativa
che adotta solitamente. Power of the Center è impostato
strutturalmente sulle scoperte spaziali maturate nella
lavorazione di Hommage to Andrea. Il tema dell’esplosione è
superato sia come propellente creativo che come referente
iconologico. Viene sostituito da un disordine microscopico fatto
di materia che non crea forme, ma esprime uno spazio rarefatto,
che secondo il principio dell’entropia potrebbe essere uno stato
che succede all’ordine distruttore delle forze radiali
dell’esplosione.55 Questo spazio che occupa la parte centrale
del dipinto è attorniato da forme ancorate alla cornice che si
articolano simmetricamente in base ai due assi cartesiani.
L’ordine espresso dalla geometria di queste simmetrie entra in
conflitto con il disordine dello spazio centrale creando una
tensione e, attraverso questa, l’aspettativa che lì dovrà succedere
qualcosa. Le forme laterali hanno perso una loro definibilità
biogeomorfica per strutturarsi in arabeschi barocchi, con una
struttura elicoidale ripresa dalle conchiglie, che dà loro una
presa particolare nella progressione in uno spazio denso di
energia. Vanni pone quest’opera sul soffitto, come aveva fatto
per Hommage to Andrea, per slegare i rapporti interni da vincoli
gravitazionali e creare un rapporto paritario di tutti i lati nel
contrastare l’impeto centrale.
I rapporti cosmici di Power of the Center espressi in una atmosfera
152
P9038 (cat. rag), P9103 (cat. rag)
(55) Cfr. Rudolf Arnheim, Entropia
ed Arte, Einaudi, Milano, 1978.
Power of the Center, olio su tela,
cm. 191x290, 1990, collezione
dell’artista.
(56) Gli ulivi sono, ancora una
volta, quelli del paesaggio delle
isole greche dove molto spesso
soffia un forte vento che ne agita
violentemente le fronde.
(57) Vanni era rimasto colpito da
questa immagine durante il viaggio
in Bolivia nella primavera dell’82.
ordinata ed armonica, in Spirits of War danno invece vita ad
una lacerazione violenta. In quest’opera le forme perimetrali
hanno perso le loro volute tondeggianti, aperte ma immobili,
per acquisire un aspetto spigoloso con radici contorte tese per
aggredire lo spazio che circondano, raggrumandosi verso il
centro ed espandendosi verso la periferia. Lo spazio centrale è
pervaso di una luminescenza di un verde chiarissimo, quasi
metallizzato, inteso come una dematerializzazione delle fronde
degli ulivi quando, agitate dal vento, mostrano il lato inferiore
delle foglie.56 La leggerezza centrale viene contrapposta alla
tragicità delle forme perimetrali, reminescenti di radici di ulivo
in metamorfismo con i pipistrelli disseccati, visti da Vanni al
mercato di La Paz in Bolivia, appesi a festoni ai carretti delle
fattucchiere che li usano per preparare pozioni a cui
attribuiscono poteri soprannaturali.57 Il loro aspetto fa pensare
anche a roditori tesi, in una voracità distruttrice, ad appropriarsi
153
della forma aerea centrale e ridurla a brandelli.58 La differenza
fondamentale di queste forme perimetrali con quelle delle opere
precedenti è che non rappresentano aperture su uno spazio
sottostante nè resti frantumati di una struttura in superficie,
ma vanno invece interpretati come una serie di personaggi
individuali. L’idea originaria di questi personaggi deriva dai
Coribanti che avevano occultato le grida di Zeus bambino
battendo con le spade sui loro scudi di bronzo in una danza di
guerra, per proteggerlo da Cronos.59 La disposizione richiama
i balli popolari greci dove tutti si tengono per mano ballando
in cerchio, riunendosi periodicamente verso il centro tendendo
le braccia in avanti, per poi riallargarsi. Malgrado questa
composizione renda l’opera adatta ad essere posta sul soffitto,
Vanni ha scelto di appenderla alla parete, per alludere,
attraverso l’impianto simmetrico, ad una prospettiva centrale
che risucchi l’osservatore verso l’interno del quadro
impigliandolo nelle protuberanze delle forme perimetrali
pronte a dilaniarlo. La sensazione di profondo disagio che
l’intera opera emana esprime la totale opposizione di Vanni alla
violenza. Così, in completa coerenza con il suo linguaggio
visivo, tratta un tema molto preciso esprimendolo con mezzi
formali, occultando i riferimenti che abbiamo appena
ricostruito, che potrebbero altrimenti dare al quadro un che di
anedottico e di illustrativo. Per Vanni il percorso intellettuale dal
quale nascono le sue soluzioni figurative deve integrarsi
nell’opera terminata. A prescindere dallo studio del suo processo
creativo egli non ha intenzione che gli elementi che lo hanno
aiutato nella sua formulazione vengano espressi in una maniera
non mediata nell’opera finita. Se ci sono riferimenti, devono essere
allusioni che possano provocare per associazione d’idee reazioni
personali dell’osservatore integrate da elementi provenienti
dalla sua propria esperienza e da un suo particolare stato
d’animo.
Il rapporto conflittuale fra centro rarefatto e struttura periferica
estremamente attiva ed elaborata viene esplorato in una serie
di grandi tele dipinte negli anni successivi. Nella trattazione
154
(58) L’associazione dei ratti con la
guerra gli viene da La peste di
Albert Camus, un libro che ha
sempre ammirato e che lo scrittore
aveva appena terminato quando
Vanni lo ha conosciuto a Parigi nel
1948.
(59) “Rea attendeva l’ora del parto.
Quando venne il momento previsto
e incominciarono le doglie, essa,
nella sua sofferenza,si puntellò con
ambo
le
mani
al
suolo.
Immediatamente dal monte, sul
quale si era appoggiata in tal
modo,sorsero tanti spiriti o dei,
quante erano le dita delle mani della
dea. Questi esseri circondarono la
dea, assistendola nel parto. Essi si
chiamarono Dattili Idei, dita dell’Ida,
con riferimento al monte Ida e alle
dita di Rea, ma venivano anche detti
Cureti o Coribanti. Si è già detto che
Coribanti era il nome del seguito
della dea nell’Asia Minore. Il nome
Cureti significava giovani, di solito
tre di numero, che avevano eseguito
intorno al neonato di Rea una danza
di guerra armati di spade e di scudi.
Con le loro armi di bronzo essi
avevano fatto un gran rumore per
coprire gli strilli del bambino,
affinchè Crono non li sentisse.”
(Károly Kerényi, Gli Dei della Grecia,
Il Saggiatore, Milano, 1994.)
Spirits of War, olio su tela, cm. 127x157,
1991, collezione dell’artista.
P9104 (cat. rag.)
P9228 (cat. rag.)
delle forme perimetrali Vanni utilizza varie tipologie che
esplorano come variazioni stilistiche di queste condizionino il
completamento ideale dello spazio centrale. Rebirth espone una
possibile evoluzione di questo spazio in una convulsione
barocca che anticipa la resurrezione in questa chiave delle forme
disseccate di Spirits of War in un quadro dell’anno dopo,
Apocalypse. L’esuberanza vitale delle forme perimetrali in
Apocalypse si esprime anche nel centro, nella vitalità di un corpo
organico che nasce dalla materia e la articola in forme muscolari.
L’elemento conflittuale si manifesta in una serie di bande colorate
che occupano il lato superiore dell’opera in un spettro
cromatico che sembra essere l’espressione di una forza rivelatrice.
155
156
Nella classica ambiguità evolutiva di un conflitto proposto da
Vanni, il campo di bande colorate può aver eroso un lato del
perimetro per invadere dall’alto il quadro di luce, oppure essere
sul punto di soccombere al caotico mondo biologico e magmatico
che lo sta inghiottendo dal basso. Si tratta di due potenze
assolute invischiate in una lotta totale fra bene e male, rivelazione
e involuzione. Vanni affronta il tema ponendosi all’esterno di esso,
senza esprimere giudizi assoluti. Non sta dipingendo il trionfo
della ragione sull’irrazionale, sta descrivendone il conflitto e
la coesistenza. Da questo si può evincere una morale insita
nelle architetture figurative di Vanni: non fornire soluzioni, ma
P9436 (cat. rag.)
P9437
P9505* (cat. rag.)
Apocalypse, olio su tela, cm. 173x142,
1992, collezione dell’artista.
aprire quesiti.
Apocalypse è un’opera al contempo conclusiva e di transizione
che prepara il riaffermarsi di composizioni solidamente
ancorate ad una base gravitazionale. Ció si esprime in due opere
estremamente simili dipinte due anni dopo: Spirits of the Air - Yellow
e Spirits of the Air - Blue. L’impianto compositivo su cui si
sviluppano è strettamente collegato al paesaggio, con una base
terrena sovrastata da uno spazio aereo. La parte inferiore si
rifà alla strutturazione geomorfica di Veins of the Earth di elementi
stratificati con aperture che rivelano intarsi biomorfici. La
depressione centrale allude ad una vallata, colmata dal profilo
di uno specchio d’acqua che stabilisce la linea d’orizzonte. Lo
spazio aereo superiore è dipinto con la tessitura rarefatta e carica
di energia potenziale che abbiamo incontrato a partire da Power
of the Center. Questo viene modellato da una triade di forme di
uno zoomorfismo soprannaturale che si appropria dell’energia
latente e la coagula in muscolature che tendono e distorcono lo
spazio in una convulsione primordiale. In questi quadri Vanni
esprime, attraverso una pittura retta da un formalismo raffinato
che coniuga vari aspetti della sua opera, una rappresentazione
inquietante della situazione contemporanea.
La stessa struttura compositiva ci viene proposta nella sua
espressione più essenziale in una grande opera dell’anno dopo,
Earth made of Air.* Il campo materico che invade tutta la tela
non esprime una forma identificabile ma si caratterizza per una
157
luminescenza calda centrale. Su questo si staglia il profilo di
una vallata espressa da una sottile linea grafica, interrotta da
tre forme verticali biogeomorfiche che si trasformano in linee
fluide formando una colata che, come in Metamorphosis, attraversa
la cornice. Malgrado sia un’opera di notevoli dimensioni, non
si tratta di un quadro-racconto in cui il percorso di lettura si
sviluppa come in From Night into Day. Prendendo a prestito
termini cinematografici, la lettura delle opere di quel periodo
si svolge per panoramiche e carrellate parallele all’opera; qui
invece ci troviamo in una percezione che alterna viste d’insieme
di campi lunghi con zoommate su particolari. Nel montaggio
di immagini che si forma nella mente dell’osservatore i due
elementi acquistano uguale importanza eliminando la loro
relativa differenza dimensionale. Questo utilizza, invertendola,
la regola della pittura prerinascimentale di ingrandire il soggetto
principale a scapito degli altri. L’attenzione è attratta proprio
dalla minuzia delle forme che reggono il contrappunto dialettico
con la massa materica. Questa scala di valori ci è confermata
da un lettura in chiave figurativa dell’opera, interpretando la
parte inferiore come un bacino femminile e le tre forme centrali
come il suo sesso creatore di vita.60 La citazione del concetto della
dea-madre-terra non rappresenta uno slittamento verso una
rappresentazione figurativa ma l’appropriazione di un ulteriore
significato interpretativo dell’opera. Per le stesse ragioni si
serve della aberrazione dello spazio prospettico sfalsando la
scorniciatura inferiore da quella superiore per suggerire due
inquadrature, mettendo in forse l’unità del campo materico.
Questa ambiguità viene ulteriormente complicata dalla linea
d’orizzonte creata da una fascia di piccole forme nella parte
superiore del quadro che si staglia in negativo sulla materia
galleggiandovi sopra come l’olio sull’acqua. Pare alludere ad
un’opera possibile sottostante la prima, se questa venisse
sollevata come un velo o come lo strappo di un affresco, a
rivelare, negando la sua propria spazialità, quella della nuova
superficie. Questo quadro nel suo complesso rappresenta
l’espressione più stringata di tutte le ambiguità spaziali,
158
(60) Questa interpretazione risulta
ancora più evidente in Primal
Strenght (P9628 cat. rag.) dipinto
l’anno seguente.
Earth made of Air, olio su tela,
cm. 196x244, 1995, New York,
collezione dell’artista.
interpretative, stilistiche, che hanno caratterizzato la pittura di
Vanni della maturità e che qui rimangono in distillato facendovi
aleggiare una pervasiva sensazione di instabilità.
Vanni continuerà per alcuni anni ad esplorare gli spazi cosmici
in figurazioni imparentate con le opere appena discusse. Più
recentemente ha ripreso la ricerca sperimentale del linguaggio
pittorico, integrando nelle opere di grande formato la poetica
elaborata nelle tempere. A questo proposito si sono rivelate
molto importanti delle considerazioni sull’estetica delle rovine
nate dal suo interesse per i siti archeologici. Sviluppando
l’approccio romantico espresso da Ruskin in Le pietre di Venezia,
è stato portato a chiedersi se il suo apprezzamento delle rovine
159
Akhenaton, Bacchus and the
Bacchantes, olio su tela, cm.
173x183, 1997, Roma, collezione
privata.
nascesse dalla sussistenza della formulazione originaria dell’opera
o dall’effetto del tempo su questa o, piuttosto, della sintesi dei
due. Se cioè nella colonna superstite dell’Artemission di Efeso
ricercasse un’ideale ricostruzione del tempio di Artemide o lo
colpisse l’intensità del vuoto e la cornice della palude da dove
emergono frammenti marmorei fra le piante acquatiche. O se davanti
ad un affresco del sedicesimo secolo che si è sgretolato, scoprendo
parzialmente quello soggiacente, del tredicesimo, sigodesse
realmente della combinazione dei due e delle muffe che li coprono.
Questo lo ha portato a considerare l’effetto, compositivo,
emozionale, che potrebbe avere inserire questi elementi in un
contesto totalmente diverso, portandolo a riprodurre
coscientemente quello che il tempo o il caso creano.
Ma in queste contaminazioni fra opera dell’uomo e quella del
tempo c’è dell’altro, la cui funzione è stata esaminata da Vanni
stesso in ciò che ha scritto recentemente, dopo un viaggio ai grandi
altari e alle gigantesche statue61 del Nemrut dag in Turchia:
160
(61) Si tratta del mausoleo ellenistico
di Antioco I di Commagene,
costruito alla metà del I sec. a.C..
“fortunatamente non c’era nessuno, nè guide nè turisti. Solo il
vento. Sono stato preso da un gran senso di tristezza. Mi
trovavo in un grandioso campo barocco di morte. Qui un re, di
neanche grande importanza, credeva di trovare l’immortalità
del ricordo nella grandiosità dell’opera. Le teste enormi cadute
al suolo ti guardano con occhi disperati sempre più spenti.
L’essenza della pietra prende il sopravvento, sempre più
importante sull’opera dell’uomo. Ne riconosco - ancora - la mano;
ma per quanto tempo? Tra quanto l’erosione, i licheni, le fratture
renderanno quel volto più intenso - finchè la forma roccia
dominerà tutto? Ed ho pensato ad un altro processo della natura,
P9743 (cat. rag)
P9919 (cat. rag.), P0004
P0033 (cat. rag.), P0003
P0028
P0102 (cat. rag.)
inverso a questo; quando una macchia, una nuvola, un gorgo
della corrente o la frattura di una pietra ti suggeriscono un volto,
un corpo che per istanti è più intenso, più realizzato, più costruito
nel suo farsi, che queste sculture nel loro disfarsi dovuto alle
stesse forze; e sicuramente c’è un punto d’incontro...”
In queste considerazioni si trovano le spiegazioni a certe
immagini antropomorfiche di Vanni. È senz’altro questo il
motivo dietro il volto di Akhenaton, in Akhenaton, Bacchus and
the Bacchantes e degli spazi bianchi che ricreano l’illusione, nella
parte inferiore, di gambe di persone e cavalli delle battaglie di
Paolo Uccello. Così avviene in vari altri quadri recenti di
ispirazione mitologica, dove i corpi sembrano essere creati da
forze in movimento dove per un istante, come le nuvole, come
l’acqua, creano, quasi per caso, l’illusione di una forma nuova.
Nelle opere più recenti Vanni continua a sviluppare questa
dialettica fra preziosità e decadenza, che diventa preziosità
anch’essa, come in Layers of Memories, Love Song of the Multiple
Reds o Labyrinth in a Microcosm. In alcune, come They don’t know
what is Happening Behind the stage,Voyage through Lacquers and
Jades o Across Mountains and Valleys, esplora nuove strutture
compositive. Si intuisce l’esplorazione di nuovi elementi da
sviluppare in un ciclo ulteriore dove moltiplicare i significati
incrociati dei suoi labirinti espressivi.
161
162
Conclusione
Complessivamente l’opera pittorica di Vanni è contraddistinta
da una visione molto personale, distante dalle correnti e dai
movimenti che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo
appena concluso. Ciononostante, la sua ricerca non si situa al
di fuori di quella dei suoi contemporanei e non rifugge dal
commentare la realtà storica e artistica che lo circonda.
La problematica che affronta è profondamente contemporanea,
ed è interessante osservare qui, sinteticamente, come si sia evoluta
parallelamente alle fasi storiche che ha attraversato.
Si può affermare che, dopo una fase iniziale che si interessa
principalmente all’arte europea e alla ricerca intrapresa dalle
avanguardie storiche, Vanni abbia integrato realtà sempre più
diverse e lontane. Queste si sono evolute nel corso degli anni
in una cosmogonia parallela, dove strutture metamorfiche
assumono significati multipli legati da rapporti contraddittori.
Con queste strutture complesse giunge alla espressione della
sua esperienza di un mondo contemporaneo che trova
nella globalizzazione dei linguaggi e contenuti la sua
caratterizzazione più significativa.
Le elaborazioni di Vanni non intendono però essere una critica
di tale condizione, ma una presa di coscienza che la indichi
come dato di fatto, esprimendone anche, però, le contraddizioni
irrisolte, di come la complessità della rete comunicativa non
corrisponda necessariamente ad una comprensione
163
generalizzata, oppure come la simultaneità di linguaggi si
risolva nella moltiplicazione delle contraddizioni e degli
equivoci, e come la proliferazione di informazioni occulti la
sostanza dei contenuti.
Vanni ha scelto di esprimere questa fenomenologia con mezzi
propriamente pittorici cercandone la formulazione con soluzioni
formali continuamente rinnovate. Parallelamente all’evolversi
della realtà in pochi decenni da una struttura eurocentrica e
cartesiana ad una struttura globale, i quadri di Vanni sono andati
arricchendosi in composizioni sempre più complesse.
Come si è potuto vedere Vanni ha raggiunto la formulazione della
sua sintassi pittorica, in una dialettica fondata sul sincretismo,
fin dal ‘65. Il lavoro precedente consiste principalmente nella
acquisizione progressiva di tutti i linguaggi di cui è composta.
Nel periodo immediatamente successivo esplora le conseguenze
di questa ricerca in soluzioni che travalicano il quadro nello
spazio e nel tempo. Si è trattato di una tappa obbligata che gli
ha fornito un elemento fondamentale alla sua formulazione: la
discontinuità temporale. Se l’ambiguità spaziale-stilistica è
immediatamente evidente e già presente nelle sue opere del ‘65,
quella temporale entra nella sua figurazione dieci anni più tardi.
La presentazione sulla stessa tela di vari momenti del processo
pittorico senza soluzione di continuità rappresenta infatti la rottura
dell’unità di tempo che si aggiunge alla già abbandonata unità
di spazio. Con questo esprime la sua sintesi dei due movimenti
che avevano costituito la maggiore influenza nei suoi anni
giovanili: il futurismo ed il cubismo. Il suo linguaggio si
arricchisce così di tutti gli elementi necessari per lo sviluppo
della sua poetica.
Questa si articola in contraddizioni spaziali create da elementi
conflittuali che si sovrappongono a vari livelli, affermando la
propria esistenza attraverso la negazione dei presupposti logici
che reggono le altre letture alternative. Per realizzare queste complesse
architetture Vanni si riferisce anche a grammatiche traslate dalla
letteratura, come l’interpretazione pirandelliana della realtà, o
della musica, nei delicati equilibri dettati dal contrappunto.
164
Le immagini che prendono forma dalla metà degli anni settanta
sono significative di una sintesi di esperienze disparate. Si
approda così ad un eclettismo sistematico, per esprimere la
sempre più manifesta sovrapposizione di riferimenti linguistici
eterogenei con l’utilizzo di componenti formali diversissime.
La scelta di una strutturazione sincretistica del linguaggio trova
la sua legittimità non solo nell’interpretazione della realtà
quotidiana, ma anche nella importanza che Vanni ripone in un
raffronto dialettico dell’artista contemporaneo con qualsiasi
momento della ricerca artistica passata slegato da gerarchie
cronologiche. Un raffronto, quello di Vanni, che pur liberato
dal concetto di evoluzione rispetto alla storia dell’arte,
sottolinea un bisogno di mantenere vivi, nel presente, i legami
con le situazioni figurative che lo hanno preceduto. Non vuole
però che questo apporto venga confuso con una citazione
anedottica con la quale si trova in aperta polemica. Intende
semmai ribadire, attraverso l’inserimento di questi elementi,
l’attuale compresenza di sollecitazioni estetiche slegate dalle loro
collocazioni spazio-temporali. Come cioè possa risultare
altrettanto stimolante un museo di quanto possa esserlo una
manifestazione artistica contemporanea. Ed, in ulteriore
allargamento del concetto, di come oggi si sia sottoposti ad
esperienze visive altrettanto diversificate di quelle linguistiche,
in una successione continua che giustappone le immagini più
disparate, dove il dettaglio microscopico di vita cellulare
coesiste con l’immagine satellitare della desertificazione. Vanni
si serve di questi riferimenti nella sua architettura complessa
aggregandoli con quelli della dimensione psichica dei suoi
ricordi. In questo suo museo della memoria spazi e tempi si
confondono in una miriade di percezioni multiformi e in
costante trasformazione. Risulta evidente che si tratta non di
una semplice operazione di assemblaggio, ma di riportare sulla
tela la compenetrazione infinita, che si attua nella memoria, tra
le esperienze accumulate negli anni e la dimensione totalizzante
del contemporaneo. Ed ecco allora combinarsi, sia all’interno
dello stesso quadro che attraverso cicli pittorici, il frammento
165
bizantino ed il grafismo primitivo con la struttura di una costa
o l’organismo cellulare osservato al microscopio. In un continuo
moltiplicarsi i riferimenti esterni si combinano a loro volta con
altri interni: elementi di quadri precedenti, parte fondamentale
del patrimonio visivo da cui attinge, riemergono all’interno di
nuove strutture modificandone il significato. Ne risulta un
mondo complesso in cui gli episodi formali e le strutture
compositive presentano molteplici possibilità interpretative
evidenziando il dubbio esistenziale sul vero significato delle cose,
e l’uguale importanza di verità diverse, malgrado l’apparenza
contraddittoria.
Se ambiguità, metamorfismo e molteplicità sono i termini che
meglio caratterizzano l’opera di Vanni, non è un caso che egli
abbia scelto New York come punto di osservazione da cui operare.
Qui infatti convergono tutte le contraddizioni del mondo
contemporaneo creando un costante metamorfismo urbano
nella simultaneità di realtà opposte, anche sottolineate dalle
ottanta lingue diverse che vi vengono parlate. A contrappunto
di questa realtà fluida e mutevole, Vanni interpone lunghi
periodi nel suo studio in Grecia in cui confronta queste
sollecitazioni con gli elementi essenziali della natura e del mare
nella luce della cultura mediterranea.
Su questi presupposti sviluppa la sua ricerca che, evolvendosi
all’insegna di un eclettismo formale, manifestazione tangibile
di un sincretismo concettuale, insegue costantemente
l’espressione dello stesso tema: il piccolo elemento frammentato
di una realtà corrispondente a sistemi di segni diversi, in
conflitto con elementi naturali regolati dal fascino
dell’irrazionale caotico, dandoci la conferma dell’intenzione di
Vanni di risolvere in soluzioni formali problematiche filosofiche
ed esistenziali che l’artista è chiamato ad affrontare.
166
Bibliografia
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Roma, giugno 1948.
Mariani V., Scoperta nella tavolozza. Presentazione di Gian Berto
Vanni, in “La fiera letteraria”, Roma, 13 giugno 1948.
Mariani V., in “Forme e colori”, RAI, Roma, 5 luglio 1948.
Premio Nazionale di pittura, cat. mostra, Cremona, maggio - luglio 1949.
Giamberto Vanni, in “Il Giornale della Sera”, Roma, 11 novembre 1951.
Baroni C., Premio Diomira-1951. 102a Mostra del Naviglio, cat.
mostra, Galleria del Naviglio, Milano, 31 marzo - 6 aprile 1951.
Art, in “Rome Daily American”, Roma, 23 marzo 1955.
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173
174
Indice dei nomi di persona
ACHARD, Marcel: 19n.
BAZAINE, Jean: 24, 25n, 26.
ADORNO, Theodor: 82n.
BEAUMARCHAIS, Pierre-Augustin
AFRO (Afro BASALDELLA): 66, 66n.
Caron de: 19n.
AGAM, Yaacov (Jacob GIPSTEIN): 55.
BECK, Julian: 82n.
AKHENATON: 161.
BEETHOVEN, Ludwig van: 104.
ALBERS, Josef: 11, 23n, 26, 40, 40n, 41,
BERENICE: 81n.
43, 46, 47, 49, 53, 64, 73n, 79n, 140,
BERTINI, Gianni: 24.
141n, 144, 148, 149.
BLANC, Carlo Alberto: 14, 14n.
ALEX, William: 130n.
BLITZ, Judith (detta Didi): 82, 82n, 83, 86.
ALOISI GIUSTINI, Alberta: 14, 14n.
BOCCIONI, Umberto: 19.
ALOISI, Max: 14n.
BOILLE, Luigi: 17n, 33.
ANOUILH, Jean: 19n.
BONICATTI, Riccardo: 97n.
ANTIOCO I (Re di Commagene): 160n.
BONNARD, Pierre: 23, 28.
APTEKAR, Bernard: 114, 114n.
BOSCH, Hieronymus: 149.
ARCANGELI, Francesco: 77, 77n.
BOVEN KAMP, Hans van de: 114n.
ARIOSTO, Ludovico: 55n, 102n, 116,
BRAGAGLIA, Alberto: 17, 17n, 18, 19,
116n.
136n.
ARNHEIM, Rudolf: 150n, 152, 152n.
BRAGAGLIA, Anton Guilio: 17.
BRAGAGLIA, Carlo Ludovico: 17.
BACH, Johann Sebastian: 104.
BRAGHIROLI, Giorgio: 100, 109.
BARGELLINI, Giulio: 15, 16.
BRAQUE, Georges: 23, 29.
BARINGER, Richard: 114n.
BRAZILLER, George: 54n.
BARRAULT, Jean-Louis: 19n.
BRIN, Irene: 22n, 66.
BAY, André: 75n.
BRION, Marcel: 26n.
175
BRONZINO, Agnolo di Cosimo detto: 139n.
CLAESZ, Pieter: 125n.
BRUNI, Claudio: 66.
COLLA, Ettore: 15n.
BUGGIANI, Paolo: 66, 66n, 67, 68, 81, 82n.
COMINI, Alessandra: 126n, 128n.
BURRI, Alberto: 66, 66n, 107n, 149.
COOPER, Peter: 114n.
BUZON-VALLET, Laure de: 24n.
CORDY, Meta: 60n.
BUZZATI, Dino: 86n.
CORPORA, Antonio: 66.
CRANACH, Lucas, IL VECCHIO: 149.
CAGLI, Corrado: 11, 15n, 23, 24, 52n,
CRESCENTINI, Manuela: 65n, 66n, 95n.
66, 67, 67n, 82, 82n, 84, 86n, 91, 92,
CRESTON, William: 114n.
92n, 100, 100n, 105, 105n, 109, 114n,
CRISPOLTI, Enrico: 67n, 105n, 119n,
119, 119n, 139, 139n.
139n.
CAILLOIS, Roger: 125n.
CRISTIANO, Renato: 66.
CALZA-BINI: 14n.
CROATTO, Bruno: 15, 16.
CAMPIGLI, Massimo: 15n.
CAMPOLONGHI: 24.
DALLAPICCOLA, Luigi: 42.
CAMUS, Albert: 24, 154n.
D’ALMEIDA, George: 66.
CANEVARI, Angelo: 68, 100n.
D’ANNUNZIO, Gabriele: 138n.
CANTELLI, Guido: 42.
DE CHIRICO, Giorgio: 15n.
CAPOGROSSI, Giuseppe: 15n, 66, 66n.
DELACROIX, Eugène: 86.
CARENA, Felice: 15n.
DEL CORSO, Gasparo: 20n, 66.
CARNEVALE, Mara: 14.
DE KOONING, Willem: 60, 65n.
CARRÀ, Carlo: 15, 15n.
DE MARTIIS, Plinio: 66.
CASELLA, Alfredo: 15n, 19, 19n.
DIEHL, Gaston: 27n.
CASELLA, Fulvia: 24, 24n.
DEWHURST, Barrie: 97n.
CASELLA, Yvonne: 24, 24n.
DI GENOVA, Giorgio: 77n, 88, 92n,
CASORATI, Felice: 15n, 19, 20.
100n.
CASSANDRE (Adolphe MOURON): 13n.
DISTEFANO: 19.
CELANT, Germano: 95.
DONGHI, Antonio: 15.
CENNINI, Cennino: 144.
DORAZIO, Piero: 20n.
CERLETTI, Ugo: 14, 14n, 38.
DORIVAL, Bernard: 26, 26n, 27n.
CERVELLI, Enrico: 68.
DUBINSKY, Sasha: 14, 14n.
CÉSAR (César BALDACCINI): 33, 33n.
DURRELL, Lawrence: 83.
CÉZANNE, Paul: 29.
CHAGALL, Marc: 23.
EMMER, Luciano: 47.
CHURCHILL, Winston: 14.
ERNST, Max: 25n.
CLAESZ HEDA, Willem: 125n.
ESTÈVE, Maurice: 25n.
176
FAGIOLO DELL’ARCO, Maurizio: 19n.
KADISH, Reuben: 141, 141n.
FLAIANO, Ennio: 81.
KAHN, Louis: 41.
FONTANA, Lucio: 107n.
KANDINSKY, Nina: 24.
FOREL, Oscar: 121, 1218n.
KANDINSKY, Vassily: 25n, 41, 52n,
FRANCHINA, Nino: 24, 82n.
119, 124.
FULLER, Richard Buckminster: 41,
KERÉNYI, Károly: 154n.
51n, 60.
KIESLER, Frederick: 41.
KLEE, Paul: 22, 32, 38n, 41, 51n, 52n,
GADDA, Carlo Emilio: 115, 115n.
86, 92, 118n, 124n, 148, 149.
GANDHI, Mohandas Karamchand
KLIMT, Gustav: 92. 126, 126n, 128,
(detto Mahatma): 14.
128n.
GANDIN, Michele: 36n.
KLINE, Franz: 60.
GIANCOTTI, Fabiola: 17n, 18n.
KOSAK, Boza: 81, 81n.
GIANINI, Giulio: 36, 36n, 47n.
KRAUTHEIMER, Richard: 91n.
GINNEVER, Charles: 114n.
GISCHIA, Léon: 24, 25, 25n, 26.
LAPICQUE, Charles: 24, 25n, 26.
GOLUB, Leon: 114n.
LE CORBUSIER (Charles-Edouard
GORKY, Arshile: 60, 65n.
JEANNERET): 33.
GOTTLIEB, Adolf: 60.
LÉGER, Fernand: 23.
GOYA Y LUCENTES, Francisco: 141.
LE MOAL, Jean: 25n.
GRASSI, Ernesto: 82n.
LEVI, Carlo: 24.
GUERRINI, Mino: 20n.
LIVERANI, Tommaso: 66.
GUSTON, Philip: 140n.
LOUIS, Morris: 137.
GUZZI, Virgilio: 52n.
LUZZATI, Emanuele: 36n.
HADZI, Dimitri: 66.
MAFAI, Mario: 15n, 20.
HAECKEL, Ernst: 62n, 120n, 121.
MAGNELLI, Alberto: 24.
HARTUNG, Hans: 25n.
MANCINI, Antonio: 15.
HINNA: 17.
MANDELBROT, Benoit: 75n.
HOFMANN, Hans: 25n, 41.
MANDELLI, Pompilio: 77.
HOROWITZ, Vladimir: 42.
MANESSIER, Alfred: 24, 25n, 26, 27, 27n.
HORSZOWSKI, Mieczwslaw : 42.
MANISCO, Lucio: 20n, 30n.
MARCARELLI, Conrad: 65.
JOHNS, Jasper: 65.
MARIANI, Valerio: 22, 23n.
JORGESEN, Roger: 114n.
MARINETTI, Ala: 19.
MARINETTI, Benedetta: 30, 30n.
177
MARINETTI, Luce: 19.
PAUWELS, Louis: 82n.
MARINETTI, Vittoria: 19.
PERICOLI VANNI, Marcella: 13.
MATHIEU, Georges: 25n.
PERICOLI, Alberto: 13n.
MATISSE, Henri: 23, 29.
PERICOLI, Augusto: 13n.
MATTA ECHAURREN, Roberto
PERILLI, Achille: 20n.
Sebastian: 66.
PETRUCCI, Carlo Alberto: 19n.
MAURIAC, François: 19.
PICASSO, Pablo: 23, 26, 28, 29, 30n,
MAYER, Sigismondo: 15, 16.
47, 48, 77.
MICHETTI, Francesco Paolo: 15.
PIERGENTILI: 16.
MILETO, Guglielmo: 97, 97n.
PIGNON, Édouard: 25n.
MINGUZZI, Luciano: 24, 66n.
PIRANDELLO, Luigi: 101n, 119.
MIRKO (Mirko BASALDELLA): 66, 66n.
PIRANDELLO, Ninì: 66.
MIRÓ, Juan: 24.
PIZZETTI, Ildebrando: 42n.
MODIGLIANI, Amedeo: 30.
PIZZETTI, Ippolito: 42n.
MONTANARINI, Luigi: 100n.
POLLOCK, Jackson: 60, 65n, 141n.
MONTGOMERY, Steve: 114n.
POLLOCK, Sandy: 141n.
MORANDI, Giorgio: 15n.
POONS, Larry: 136.
MORDINI, Attilio: 129n.
PORCINAI, Pietro: 129n.
MOREAU, Gustave: 119, 128.
POZZO, Andrea: 122, 122n.
MORICONI, Angelo: 68.
PRENCIPE, Umberto: 15, 16.
MORICONI: 68.
PROUST, Marcel: 55n, 102.
MORIN, Edgar: 82n.
PROVINO, Salvatore: 100n.
MOTHERWELL, Robert: 41.
QUADRANI: 66.
NERVI, Pier Luigi: 23n, 60.
NUVOLO: 68.
RADER, Herbert: 97n.
RAUSCHENBERG, Robert: 65.
OLITSKI, Jules: 137.
REDON, Odilon: 32.
OMERO: 82.
REED, Elisabeth: 70n, 86n, 88n, 98n.
OVIDIO NASONE, Publio: 136.
REMBRANDT, Harmenszoon van
Rijn: 32, 64, 119.
PAHLAVI, Reza Mohammed: 97.
RENAUD, Madeleine: 19n.
PANOFSKY, Erwin: 127n.
RICHTER, Gerard: 136.
PAOLINI, Paolo: 104n.
RIGHETTI, Renato: 24.
PAOLO UCCELLO, Paolo di Dono
ROBIN, Gabriel: 25n.
detto: 161.
RODIN, Auguste: 141n.
178
ROSAI, Ottone: 15.
SOULAGES, Pierre: 25n.
ROTHKO, Mark: 41, 60.
SPADONI, Claudio: 65n, 74n, 77n.
ROUAULT, Georges: 30.
STILL, Clyfford: 60.
ROWHOLT, Ledig: 82n.
RUBIN, Erwin: 140n.
TAL-COAT, Pierre: 55.
RUSKIN, John: 127, 159.
TAPIÉ, Michel: 55, 73n.
TINGUELY, Jean: 55.
SALARIS, Claudia: 81n.
TISNÈ, Laurent: 54n.
SAMONÀ, Pupino (Mario): 68.
TIZIANO VECELLIO: 127.
SANDBERG, Peter: 32.
TOBEY, Mark: 60.
SANFILIPPO, Antonio: 66.
TOBIAS, Julius: 114n.
SARGENTINI, Fabio: 95.
TOMASSONI, Italo: 75n, 77n.
SARTORIS, Alberto: 81, 82n, 100n.
TOMMASI FERRONI, Riccardo: 100n.
SARTRE, Jean-Paul: 24.
TOSCANINI, Arturo: 42, 43.
SAVELLI, Angelo: 24.
TOSCANINI, Walfredo: 42.
SCARPA, Carlo: 23n.
TOSI, Arturo: 15.
SCHNEIDER, Denis: 75, 75n.
TOULOUSE-LAUTREC, Henri de: 30, 30n.
SCHNEIDER, Gérard: 25n.
TWOMBLY, Cy: 65.
SCHNEIDER, Robert: 52n, 65, 66, 66n,
75n.
VALLI, Federico: 22n.
SCHWARTZ, Therese: 114n.
VAN GOGH, Vincent: 32.
SCILTIAN, Gregorio: 15.
VANNI ATKINSON, Frani Gay: 46, 52.
SCIPIONE (Gino BONICHI): 15n, 20.
VANNI, Giuseppe: 13n, 14, 14n.
SEGOVIA Y TORRES, Andrés: 104n.
VANNI, Ruggero: 7, 63.
SELIGMAN, Otto: 60, 60n.
VANNI, Vittorio: 10, 13, 14, 15 16, 17.
SERMONTI, Vittorio: 19.
VAN SCHENDEL, Arthur: 32.
SERVADIO, Emilio: 77.
VAN SCHENDEL, Corinna: 32.
SERVAN-SCHREIBER Jean-Jacques: 82n.
VASARELY, Victor: 55.
SEVERINI, Gino: 24.
VENTURI, Lionello: 23n.
SINGIER, Gustave: 24, 25n.
VERDI, Richard: 118n, 124n.
SIQUEIROS, David Alfaro: 141n.
VERDIGLIONE, Armando: 17n, 18n.
SIRONI, Mario: 15n.
VIATTE, Germain: 24n.
SKOURAS: 66.
VIEIRA DA SILVA, Maria Elena: 55, 57.
SLUTSKY, Robert: 140n.
VIÉVILLE, Dominique: 26n.
SORDINI, Ettore: 68.
VILLON, Jacques: 23, 23n.
SOTO, Jesus Raphaël: 55.
VIRGILI, Lanfranco: 33n, 54.
179
VLAD, Alessio: 19n.
VLAD, Roman: 19.
VORDEMBERGE-GILDEWART,
Friedrich: 32.
WARHOL, Andy: 113.
WARNER, Langdon: 133n.
WEISLAND, Robert: 114n.
WESCHER, Herta: 24n.
WILSON, Sarah: 25n.
ZAJAK, Jack: 66.
ZAO WOU-KI: 55.
ZEVI, Bruno: 87n.
ZURLINI, Valerio: 36n.
180