“TANTA VIS ADMONITIONIS INEST IN LOCIS.” CZERNOWITZ

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“TANTA VIS ADMONITIONIS INEST IN LOCIS.” CZERNOWITZ
“TANTA VIS ADMONITIONIS INEST IN LOCIS.”
CZERNOWITZ COME SPAZIO LETTERARIO
DELLA MEMORIA1
CHIARA CONTERNO*
ABSTRACT. This essay draws on contemporary debates on the importance of Jewish literature
in twentieth-century German culture. Particularly, it analyses the lyric poetry of a specific city,
Czernowitz, an historical town in Central Europe characterized by a complex cultural stratification. In Czernowitz, the presence and interaction of different ethnicities, languages and religions
led to the development of a particular kind of literature in German by Jewish authors. Although
this fertile cultural production ended abruptly due to the Shoah and subsequent diaspora, the
culture of Czernowitz left an indelible trace on lyric poetry in German. The exiled authors wrote
many poems on their native town. Based on the theories of Aleida Assmann (Erinnerungsräume.
Formen und Handlungen des kulturellen Gedächtnisses), this essay analyses some poems by Rose
Ausländer, Klara Blum, Alfred Gong, Else Keren, Ilana Shmueli, considering the close relationship between memory, trauma and testimony.
KEY WORDS: Czernowitz, Exile, Memory, German-Jewish Poetry, Shoah
Già Cicerone aveva intuito la fondamentale importanza dei luoghi per la
costruzione di spazi culturali della memoria: “tanta vis admonitionis inest in
locis” si legge in De finibus bonorum et malorum (V, 2). Partendo da questo
presupposto, in Erinnerungsräume. Formen und Wandlungen des kulturellen
Gedächtnisses, Aleida Assmann riflette sul ruolo e sul significato dei luoghi per
la memoria (Assmann, 1999: 298-339). Nel suo studio Assmann individua alcune tipologie di luoghi a seconda della loro storia e di come questa è stata
rielaborata dalla memoria umana. Una prima categoria è quella dei Generationenorte, luoghi che acquisiscono senso per legami familiari e affettivi.
Sono caratterizzati da uno stretto rapporto tra gli uomini e lo spazio geografico. Lo spazio determina le forme esperienziali e vitali dellʼuomo e questi
impregna il luogo con le proprie tradizioni e la propria storia (Assmann,
1999: 301-303).
1
Questo lavoro è stato realizzato grazie alla borsa di studio dell’Institut für Kultur und Geschichte Südosteuropas (IKGS, Monaco di Baviera) e alle ricerche svolte nella biblioteca
dell’istituto, così come nella Staatsbibliothek e nella Universitätsbibliothek di Monaco di Baviera.
*
CHIARA CONTERNO (PhD) teaches German literature at the University of Verona,
Italy, and her research shows a special interest in the work of Nelly Sachs, Mario Melchionda, Herta Müller, etc. Email: [email protected].
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Vi sono poi i Gedenkorte, contraddistinti da discontinuità, cioè da un’eclatante difformità tra passato e presente. Sono definiti Gedenkorte i luoghi la cui
storia è stata interrotta bruscamente2 e in cui è avvenuto qualcosa di estremamente anomalo o si è sofferto in maniera incomparabile. Nella memoria
storica del luogo svolgono un ruolo prominente persecuzioni, stragi, umiliazioni e sconfitte. La storia interrotta si materializza nelle rovine e nei relitti
che si elevano dall’ambiente come resti estranei con cui il presente non intrattiene più alcun rapporto (Assmann, 1999: 308-309). Pierre Nora ha chiamato questo passaggio da un luogo in cui si stabilizzano forme di vita a un luogo
che ne porta solo le tracce con l’espressione francese lieu de mémoire (Nora,
1997; Nora, 1990; sui “luoghi della memoria” si anche veda Calzoni, 2007:
531-545). Un Gedenkort è ciò che resta di qualcosa che non c’è e non vale più.
Affinché questi Gedenkorte continuino ad esistere, è necessario raccontare
una storia che supplisca la realtà scomparsa. In questo senso gli Erinnerungsorte sono i frammenti dispersi di un contesto di vita che è andato perduto.
Con l’eclissi e/o la distruzione di un luogo non termina, infatti, la sua storia.
Il luogo conserva dei relitti materiali che diventano elementi di racconti e
quindi punti di riferimento di una nuova memoria collettiva. Il luogo e i suoi
relitti necessitano ora di spiegazioni; il loro significato deve essere assicurato
da una tradizione linguistica. La continuità distrutta non può venire ristabilita, ma il ricordo permette di ricollegarvisi (Assmann, 1999: 309). Ciò che il
tempo prova a cancellare viene in parte ripristinato dallo spazio fisico con i
suoi relitti. Ne deriva una “topologia della storia”. I luoghi diventano “indimenticabili” nella misura in cui vengono “tradotti” in “memoria” (Assmann,
1999: 328).
Un luogo, però, trattiene le memorie solo se ci sono degli uomini che si
preoccupano di ricordare. Questa preoccupazione di assicurare il ricordo è
importante soprattutto nelle situazioni di forzato oblio come è successo durante il periodo nazionalsocialista e la Seconda Guerra Mondiale.3 In riferimento ai luoghi ‘traumaticiʼ e ‘traumatizzatiʼ delle persecuzioni antisemite
Assmann introduce la definizione di traumatische Orte. Non solo portano con
sé ferite insanabili, ma neanche la loro storia non può essere narrata a causa
dell’inaudita traumaticità delle vicende che li hanno travolti (Assmann, 1999:
2
Assmann parla anche di paesaggi sacri e mitici—“Heilige Orte” e “mythische Landschaften”—e di luoghi esemplari della memoria—“Exemplarische Gedächtnisorte—Jerusalem und Theben” (Assmann, 1999: 303-308).
3
La “preoccupazione di ricordare” si è diffusa in maniera preponderante dagli anni
Ottanta nei territori dell’Europa centro-orientale, dove le persecuzioni sono state particolarmente crudeli. Le generazioni successive a quella dei perseguitati si impegnano per
mantenere vivo il ricordo e quindi creano monumenti che commemorino il passato.
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328). I traumatische Orte sono i luoghi in cui si sono verificati eventi che si sottraggono a qualsiasi attribuzione di senso.4
Czernowitz, la città che fino al 1918 appartiene all’impero austro-ungarico, dal 1918 al 1940 è territorio romeno, dal 1940 al 1941 è controllata
dell’Unione Sovietica, dal 1941 al 1944 torna sotto la Romania alleata della
Germania, nel 1944 viene riconquistata dall’Armata Rossa e diventa poi città
ucraina, è un Erinnerungsort (“luogo della memoria”) a pieno titolo (sulla storia di Czernowitz si veda Heppner, 2000). È un Generationenort, ma è anche e
soprattutto un Gedenkort. Sebbene si possa raccontare la sua storia—e quindi
non possa essere denominata un traumatischer Ort secondo la definizione di
Aleida Assmann—Czernowitz porta su di sé i traumi delle persecuzioni. Il passaggio da Generationenorte a Gedenkorte ed Erinnerungsorte o, riprendendo il
gioco linguistico di Pierre Nora, da milieu de mémoire a lieu de mémoire si verifica
in seguito alle fratture e rotture di cornici di significato culturale e contesti
sociali (Assmann, 1999: 338). Generationorte, Gedenkorte, Erinnerungorte e traumatische Orte si sovrappongono in uno stratificato paesaggio della memoria
(sul rapporto tra trauma e memoria si veda Busch, 2007).
Nella rielaborazione mnestica la storia di Czernowitz non è ricordata secondo rapporti e distanze temporali esatti, in quanto la memoria non è retta
da regole temporali ferree. Il legame arbitrario tra temporalmente vicino e
temporalmente lontano rende i luoghi della memoria “luoghi auratici” (Assmann, 1999: 337-339), in cui si cerca un rapporto diretto con il passato.
Questa zona osmotica, in cui ci si aspetta che i Gedenkorte ristabiliscano un
contatto con gli “spiriti del passato”, spiega la magia attribuita ai luoghi della
memoria. E in questo senso i luoghi della memoria assumono anche connotazioni mitiche.5
Sul concetto di “aura” ha riflettuto anche Walter Benjamin in “Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit”. Con “aura” Benjamin intende: “Ein sonderbares Gespinst aus Raum und Zeit: einmalige Erscheinung einer Ferne, so nah sie sein mag” (Benjamin, 1991: 440). Secondo
Benjamin l’aura consiste nel collocare in un lontano passato ciò che è tempo-
4
5
Secondo la classificazione di Assmann Czernowitz non è un “luogo traumatico” strictu
sensu perché di Czernowitz può essere raccontata la storia. Auschwitz, invece, è un “traumatischer Ort”.
Cfr. Mythos Czernowitz. Eine Stadt im Spiegel ihrer Nationalitäten (Afsari und Pollack, 2005).
Dopo la presentazione delle varie nazionalità residenti a Czernowitz, il volume chiude
con “Czernowitz—Mythos und Wirklichkeit”, un contributo polifonico di Sergij Osatschuk, Martin Pollack, Jurko Prochasko, Karl Schlögel ed Eduard Weissmann, moderato
da Georg Aescht (193-219). Tra i molti interessanti lavori su Czernowitz si ricordano:
Bornemann, Tiefenthaler und Wagner, 1988; Schlögel, 1991; Wichner und Wiesner,
1993; Cordon und Kusdat, 2002; Kublitz-Kramer, 2003; Corbea-Hoisie, 2003; Werner,
2005; Popovici, 2010; De Villa, 2012.
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ralmente vicino. La sacralità dell’aura sta, quindi, in una sensazione di distanza. Pertanto, un luogo auratico è un luogo in cui diventa percepibile l’inavvicinabile lontananza del passato. I Gedenkorte e gli Erinnerungsorte sono infatti “uno straordinario intreccio di spazio e tempo” che fonde presenza con assenza, presente e passato.
Oltre al famoso passo della “Bremer Rede” in cui Paul Celan definisce la
sua terra d’origine “eine Gegend, in der Menschen und Bücher lebten” (Celan, 1983: 185),6 rendono questa regione Gedenkort, Gedächtnisort ed Erinnerungsort le liriche di altri poeti nati a Czernowitz. In seguito vengono considerate alcune poesie che ‘ricordanoʼ Czernowitz e in cui viene esplicitamente
menzionato il toponimo. Le liriche, in cui non compare il toponimo, vengono
considerate per integrare quanto affermato dalle altre. Le autrici e gli autori
di questi testi sono poeti ebrei originari di Czernowitz e poi emigrati.
Ilana Shmueli
Con una certa dose di umorismo, nella seguente poesia di Ilana Shmueli7
(1924-2011), l’io lirico ricorda la città natale, poi abbandonata. Come tutte le
liriche esaminate in questo lavoro, si tratta di una poesia con una forte base
autobiografica:
Czernowitz mein schwarzer Witz:
Ohne Boden war die Heimat
meine Heimat die mich schulte
Wurzeln in den Wind zu schlagen
Pseudo-Sprache
Pseudo- Dasein
Maskeraden
Purimspiele
umgetrieben auf dem Kreuzweg
Wien—Paris und Przemsyl
Pseudo-nyme
Phraseo-nyme
6
“... un territorio in cui vivevano uomini e libri.”
7
Dopo la conquista di Czernowitz da parte delle truppe sovietiche Ilana Shmueli sfugge
alla deportazione, si rifugia nel ghetto di Czernowitz e in seguito emigra in Israele. Conosce Paul Celan sin dalla giovinezza, lo incontra nuovamente a Parigi nel 1965 e a Gerusalemme nel 1969. I due poeti tengono anche un carteggio, poi pubblicato (Celan und
Shmueli, 2004). Si veda inoltre Shmueli, 2010.
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7
Größenwahn und
Ungenügen
Kunst
und Sturz
und Höhenflüge
Czernowitz mein schwarzer Witz
(Shmueli, 2012: 65)
Il testo vive dei contrasti che lo costituiscono: la patria è senza suolo e pertanto insegna all’io lirico a “non curarsi delle radici”; “megalomania e/ insufficienza”, “cadute e voli ad alta quota” la caratterizzano. I versi trasmettono
una sensazione di sradicamento e insicurezza. Descrivono una pseudo-realtà
in cui dominano lingue e identità fasulle. L’esistenza assume tratti carnevaleschi (“Maskeranden”; “Purimspiele”) che non sono però latori di allegria,
bensì di quell’“umorismo nero” che, menzionato nel titolo e nell’ultimo verso,
incornicia la poesia. I travestimenti menzionati sono indice delle negoziazioni
identitarie dell’io lirico in esilio (“Wien—Paris und Przemsyl”). Esilio, in cui
l’io lirico deve assumere altre identità, patteggiare e assimilarsi per essere
accettato. L’irriducibile frattura identitaria che vive è portata alla luce dalla
struttura grafica del testo, in cui dominano versi costituiti da un’unica parola,
talvolta spezzata (“Pseudo-Sprache/Pseudo-Dasein”; “Pseudo-nyme/Phraseonyme”). La fioritura culturale di Czernowitz, per decenni culla di un sorprendente sviluppo artistico e letterario, persiste in quell’“arte” (“Kunst”) che
apre l’ultima strofa ed è, però, subito ridimensionata dalla “caduta” (“Sturz”).
Gli alti voli, o forse voli pindarici, (“Höhenflüge”) assumono le parvenze di
voli di Icaro.
Nel volume momorialistico, Ein Kind aus guter Familie. Czernowitz 19241944, la stessa poesia segue un breve testo in cui Ilana Shmueli prima ricorda
il fiorente passato della città e poi sottolinea il fatto che ogni esule conserva e
ricrea nella propria memoria la sua personale Czernowitz: “Ich würde sagen:
jeder Czernowitzer hat sein privates, persönliches Czernowitz” (Shmueli,
2006: 95).8 In effetti ognuno dei poeti considerati in questo lavoro ci consegna un’immagine originale della propria città. Sono frammenti di una realtà scomparsa, diventata ‘miticaʼ, e ricomposta, in parte arbitrariamente,
dalle rielaborazioni mnestiche di ciascuno.
8
L’omonima poesia compresa in Ein Kind aus guter Familie. Czernowitz 1924-1944 (95-96)
presenta una suddivisione in versi leggermente diversa rispetto a quella citata in questo
lavoro.
8
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Klara Blum
Un’altra voce femminile che ricorda Czernowitz è quella di Klara Blum
(1904-1971).9 Blum rimane a Czernowitz solo fino al 1913 quando fugge a
Vienna con la madre che, per condurre una vita indipendente e poter soddisfare la sua brama di conoscere, si separa dal marito. Il primo periodo nella capitale austriaca è rievocato nella poesia autobiografica Mutter:
Mutter
1913
[…]
Wir sind hier unter deinem Mädchennamen,
Ich weiß schon, Mutter, ich versteh dich glatt,
Ich sage niemandem, woher wir kamen:
«Aus Czernowitz? Ja gibtʼs denn diese Stadt?»
So schön sind hier in der Pension die Zimmer,
So kahl, so frei, so einfach und so klein,
Du wirst studieren dort beim Lampenschimmer,
Wirst die gescheiteste Studentin sein.
Ich heule plötzlich los—du weinst verstohlen:
Nein—Kindertraum ist unser stolzes Glück,
Die Polizei wird mich zum Vater holen
Und du … du kehrst von selber dann zurück.
[…]
(Blum, 2001: 293)
Dai versi emerge lo stretto rapporto che lega le due donne. A sottolineare la
distanza—quella concreta e quella percepita—dalla città d’origine contribuisce il fatto che l’io lirico cerca di rimuovere la città dalla sua mente:
“Non dico a nessuno da dove veniamo:/da Czernowitz? Ma esiste questa
città?” Più che di lontananza si potrebbe parlare di una presa di distanza. In
Mutter Czernowitz è la città in cui non si vuole tornare per timore di essere
ancora sottomesse al controllo del padre e marito. Solo l’intervento delle
9
Klara Blum nasce e trascorre l’infanzia a Czernowitz. Nel 1913 emigra a Vienna con la
madre. Nel 1929, convinta sionista, emigra in Israele, ma dopo poco ritorna delusa in
Austria. Si avvicina al comunismo, nel 1934 vince una borsa per un viaggio di studio in
Russia che si trasforma in un soggiorno duraturo. Nel 1935 riceve la cittadinanza russa.
Nel 1937 si innamora del regista e giornalista cinese Zhu Xiangcheng. Quando questi
scompare, non crede che possa essere stato deportato, bensì suppone che sia andato in
Cina per una missione segreta. Klara Blum riesce a raggiungere la Cina soltanto nel
1947 e vi rimane fino al termine della sua vita. Adotta il nome cinese di Zhu Bailan.
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forze dell’ordine, attivate dall’uomo, potrebbe costringere le due donne a tornarvi. Czernowitz è in questa poesia un Generationenort sui generis, in quanto
l’io lirico desidera restarne lontano. Qui sta però anche la chiave di volta. La
separazione forzata dal luogo d’origine e la cesura che ne deriva nella vita
della protagonista—così come dell’autrice—trasformano il Generationenort in
un Gedenkort ed Erinnerungsort.
In altre poesie, infatti, Czernowitz diventa il Gedenkort a cui ci si sente indissolubilmente legati. Il focus si sposta sugli anni trascorsi nella città o, più in
generale, sulla storia e sulle vicende degli ebrei nella città. Nelle quartine a
rima alternata di Czernowitzer Ghetto, ad esempio, Klara Blum descrive la miseria del quartiere ebraico. Nonostante le mura del ghetto siano cadute più
di un secolo prima, gli ebrei costituiscono ancora un gruppo separato all’interno della popolazione e sono spesso vittime di ingiustizie e soprusi. Tuttavia, si distinguono per il “Witz”, lo humor e la forza di reagire. L’ironia “tira a
scherzi con la sfortuna” e il “popolo, mezzo soffocato e gemente nei vicoli dei
paria,/schernendosene continua a vivere”:
Czernowitzer Ghetto
Die alten Gäßchen ziehn sich eng zusammen.
Der Boden hinkt und holpert im Zickzack.
Aus schweren Leuchtern zucken kleine Flammen.
Der Witz treibt mit dem Unglück Schabernack.
Die Augen funkeln, doch die Wangen blassen,
Der Kaftan reißt, die Schläfenlocke bebt,
Wenn, halb erstickt in seinen Pariagassen,
Ein Volk noch stöhnend, höhnend weiterlebt.
Die Mauer fiel vor mehr als hundert Jahren,
Und dennoch blieben sie im dumpfen Nest.
Das Elend hielt sie an den Schläfenhaaren
In ihrem engen alten Ghetto fest.
(Blum, 2001: 294-295)
Gli ebrei di Czernowitz sono dotati di un’enorme resistenza morale, di una
forza d’animo in grado non solo di sopportare le avversità, ma anche di combatterle con l’ironia. Dal punto di vista stilistico, al destino avverso di cui i
versi raccontano si oppone una forma regolare che, se da un lato pare stridere con il contenuto, dall’altro, invece, fa da contrappeso alla triste sorte dei
protagonisti. Sul tentativo di contrapporre al caos della realtà un cosmo poetico ordinato ha riflettuto anche Ruth Klüger nelle pagine di Weiter leben,
testo autobiografico in cui la scrittrice racconta della sua giovinezza durante
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il nazionalsocialismo e delle condizioni di vita e di sopravvivenza in un periodo in cui era difficilissimo continuare a vivere:
Es sind Kindergedichte, die in ihrer Regelmäßigkeit ein Gegengewicht zum Chaos
stiften wollten, ein poetischer und therapeutischer Versuch, diesem sinnlosen und
destruktiven Zirkus, in dem wir untergingen, ein sprachlich Ganzes, Gereimtes
entgegenzuhalten; also eigentlich das älteste ästhetische Anliegen. Darum mußten
sie auch mehrere Strophen haben, zum Zeichen der Beherrschung, der Fähigkeit
zu gliedern und zu objektivieren. Ich war leider belesen, hatte den Kopf voll von
sechs Jahren Klassik, Romantik und Goldschnittlyrik. Und nun dieser Stoff (Klüger, 1992: 125-126).
Ruth Klüger suggerisce che la forma poetica, ossia ciò che è esteticamente
Bello, assume una funzione “terapeutica” e salvifica. Lo stesso vale per molte
liriche di Klara Blum, che alla forma regolare accostano l’insistenza sulla capacità degli ebrei di Czernowitz di ridere delle proprie disgrazie. Oltre a
Czernowitzer Ghetto, si pensi anche a Jung-Czernowitz: “Da, wo die Gäßchen sich
zusammenzogen,/Der Witz das eigne Unglück höhnte wild” (Rychlo, 2004:
53).10 Lo humor e la capacità di schernire la propria sfortuna svolgono una
funzione redentrice, costituiscono una strategia di difesa contro le avversità,
permettendo agli ebrei di continuare a vivere e lottare.11 Nella stessa direzione va Erst recht!:
Erst recht!
In den Ghettos von Fokschani,
Kischenew und Czernowitz,
In den alten, krummen Gassen,
In des Elends grauem Sitz,
Lebt ein Wort, das auch den stärksten,
Mächtigsten Bedrücker schwächt,
des Geschmähten, des Gehetzten
Altes Judenwort: „Erst recht.“
(Blum, 2001: 306)
“Erst recht!” è un’espressione idiomatica—traducibile con “tanto più forte”,
“tanto più decisi”, “non arrendersi”—a cui si ricorre quando si è stati colpiti
10
11
La poesia Jung-Czernowitz è uscita in Blum, 1941: 38-39. Simile è un passo di Moskau, poesia, però, non rimata: “Ich liebe manche andre Stadt: ich liebe/Die kluge Czernowitzer
Judengasse,/Darin der Witz das eigne Unglück höhnt” (Blum, 1944: 55).
Questa caratteristica richiama alla mente la poesia di Ilana Shmueli, Czernowitz mein
schwarzer Witz.
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da avversità, e, ciononostante, non ci si arrende, bensì si è “tanto più decisi”
ad andare avanti.12
Nonostante la miseria, le vessazioni e le ripetute persecuzioni, in molte liriche l’io lirico si riconosce “figlia della Judengasse”. Talvolta la comunità ebraica nel suo complesso sostituisce la famiglia da cui l’io lirico discende. Ecco
un’altra particolare declinazione di Generationenort che si basa sulla comunanza religiosa, a scapito del legame di sangue. Questo senso di appartenenza
al popolo ebraico si rafforza in concomitanza con le persecuzioni, quando
Klara Blum è ormai da anni in esilio. In Czernowitzer Ghetto, ad esempio, l’io
lirico confessa di imparare dalle esperienze negative vissute nel quartiere
ebraico. Questa ‘dura scuolaʼ le ha dato la forza e gli strumenti per liberarsi
da ogni forma di vincolo e giogo, anche dalla stretta realtà del quartiere ebraico. Pertanto Czernowitz è vista come luogo generazionale della memoria, da
cui però poi ci si svincola:
Ich bin dein Kind, du alte Judengasse,
Und lern aus allem, was mein Volk erfährt.
Stark, wenn ich denke, stärker, wenn ich hasse,
Aus jeder Schwäche schmiede ich ein Schwert.
Lehr du mich, lehr, von hier mich loszubringen,
Mühsal zu tragen, Hunger, Krankheit, Leid
Und alle Fragen, alle zu bezwingen
Allein mit meiner wilden Redlichkeit.
An deine Mauer drückt ich meine Stirne.
Von heute an gehorch ich mir allein.
Folg meiner Galle. Folge meinem Hirne.
So geh ich recht. Es kann nicht anders sein.
(Blum, 2001: 297)
Fatta eccezione per Mutter, in cui la città natale è associata al controllo paterno, nella lirica di Klara Blum Czernowitz è un Generationenort positivo che
lascia un imprinting indelebile nella formazione della poetessa. La combattività
e la resistenza all’oppressione, di cui Blum diventa paladina, sembrano derivare da lì.
Sulla sua terra d’origine Blum torna in altre poesie, ad esempio Grimmiger
Lebensbericht. In questi versi, che confermano la forza e la combattività insita
nell’animo dell’io lirico, la “Judengasse” è paragonata al grembo degli avi,
12
“Erst recht” potrebbe anche derivare da una discussione delle Tosafot (aggiunte, glosse)
e indicare una regola interpretativa, che funziona come un sillogismo, secondo cui in
una sezione della Torà alcune cose possono essere ‘tuttaviaʼ permesse o “tanto più” proibite.
12
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immagine dalle connotazioni materne. La “Judengasse” diventa una sorta di
‛matria’ dell’io lirico. Le si accosta la patria, identificabile con il variopinto insieme di genti residente in Bucovina (vv. 8-9):
Grimmiger Lebensbericht
Geboren auf Europas Hintertreppen,
Geneigt zu Pathos und Verstiegenheit,
Bereit, des Denkens schwere Last zu schleppen,
Und unter dieser Last noch sprungbereit,
Wuchs ich heran als Kind des Pulverfasses,
Vom Zündstoff voll der Liebe und des Hasses.
Die Judengasse ist mein Ahnenschloß,
Mein Vaterland ein bunter Völkertroß,
Der rastlos wilde Eigensinn mein Erbe.
[…]
Paris 1947
(Blum, 2012: 52-54)
Una conferma del forte senso di appartenenza al popolo ebraico viene da
Herkunft, poesia in cui Klara Blum ripercorre le tappe della sua vita ponendo
una particolare attenzione alla terra natale che ha forgiato il suo modo di essere e di scrivere, aspetto sottolineato nella seconda strofa che introduce alcuni elementi tipici della Bucovina: la presenza della “Buche” (“faggio”) e il
multilinguismo:
Herkunft
Du siehst mich an mit Augen fragend groß.
Wähnst du, daß ich geschlagen, fluchbelastet
Die Welt durchirre, herd- und heimatlos,
Gehetzter Fuß, der nirgends ruht und rastet?
Du irrst. Mein Los ist seltsam, doch nicht hart.
Fünf Länder haben mir ihr Sein entfaltet.
In ihrem Schicksal wurzelnd, ihrer Art,
Hab ich mich selbst gefunden und gestaltet.
Geboren bin ich, wo die Buche rauscht,
Die Donau aufklingt trüb im Unglücksahnen,
Der Slawenlaut sich trotzig mischt und tauscht
Mit Schönheitsdurst und Lustklang des Romanen,
Wo heut der Femestrolch sein Szepter schwingt …
Die kahlgeraubten Felder hungrig stöhnen …
So fühl ichʼs, daß es Vers um Vers durchdringt,
Was ihr durchlebt, geknechtete Rumänen.
CAESURA 2.1 (2015)
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Und meine Lehrzeit formte eine Stadt,
In grauer Anmut alternd, sanft, gelassen,
Mit ihrem jungen Proletariat,
Witzsprühend kühnen, trotzdurchglühten Massen.
Gebeugt von tausend Fragen grüble ich,
Im Ohr noch Mozarts feine Freiheitstöne …
Mein Wien, mein Wien, sag, wann befreist du dich,
Altholde Mutter hoffnungsvollster Söhne?
Zersplittert Volk mit festgefügtem Geist,
Noch blitzend unterm Hieb der Mörderknute,
Mein Herz, wohin es auch der Zeitstrom reißt,
Bleibt Fleisch und Blut von deinem Fleisch und Blute.
Hält—leicht verwundbar—Todesstürme aus,
Hartnäckig in der Liebe und im Hasse.
Ich bin nicht heimatlos. Ich bin zuhaus
In Ost und West in jeder Judengasse.
[…]
(Blum, 2012: 50-51)
Nonostante il continuo errare, l’io lirico rivela di non aver avuto un “duro”
destino e di sentirsi a casa in tutte le “Judengasse[n]” del mondo. Il continuo
girovagare converge sempre in quel punto di riferimento sicuro e costante
che è l’appartenenza ebraica. Come la comunità ebraica conferisce senso e
ordine alla vita vagabonda dell’io lirico, così la poetessa Klara Blum cerca di
domare il destino errante di cui racconta attraverso una forma poetica estremamente regolare, costituita da strofe di otto versi a rima alternata, con prevalenza di giambi.
Jung-Czernowitz è invece costituita da quartine a rima alternata:
Jung-Czernowitz
Da, wo die Gäßchen sich zusammenzogen,
Der Witz das eigne Unglück höhnte wild,
Wo sich der Armen Rücken keuchend bogen,
Die Not sie an den Schläfenlocken hielt.—
Wo ich einst stand in tobenden Gedanken,
Die Stirne angepreßt dem Mauerstein,
Wirr, achtzehnjährig, doch schon ohne Wanken,
Entschlossen, mir zu folgen ganz allein—
Da steht nun, achtzehnjährig, eine zweite.
(Ich sah sie nie und seh sie dennoch gut.)
Ihr Auge überglänzt die freie Weite,
Der Weite Glanz auf ihrer Stirne ruht.
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CHIARA CONTERNO
Schlank die Gestalt und stürmisch die Gebärde,
Die Brauen grüblerisch, gebräunt die Hand
Aus ihrer Stimme tönt die Heimaterde,
Befreites, völkerbuntes Buchenland.
Du hörst darin der Doina Wohllaut klingen,
Treuherzig summt dazu ein Schwabenlied,
Es rauschen der Ukraine Sturmesschwingen,
Indes der Judenscharfsinn Funken sprüht.
Da, wo die Armen einst in Ghettogassen
Dem Brot nachspürten, listig, ängstlich-dreist,
Da greift sie heut zur Arbeit, stolz, gelassen
Und ruhig, stolz entfaltet sich ihr Geist.
Wo im Kasino bunte Lichter lohten:
»Ihr seid zur Schmach bestimmt, drum haltet still«,
Wo mich der Heiratsmarkt einst feilgeboten,
Da wählt sie heut zum Gatten, wen sie will.
Die Buchen wiegen ihre Vogelnester,
Der frische Pruth die freie Stadt umfließt—
Gegrüßt sei, schöne unbekannte Schwester,
Du junges Czernowitz, sei mir gegrüßt.
(Rychlo, 2004: 53)13
In questa poesia l’io lirico guarda a Czernowitz dall’esterno e la riscopre diversa, ringiovanita. Il testo non rievoca soltanto la storia della città, ma offre
anche un confronto tra la Czernowitz di un tempo e quella—che si suppone—
attuale. In realtà, considerato il fatto che la poesia esce durante la seconda
Guerra Mondiale (1941), si tratta di un “sogno”, di una “visione idilliaca” in
cui Czernowitz prospera in un clima pacifico e libero: Czernowitz assurge a
Gedenkort. Alla città viene accostata una fanciulla diciottenne—un possibile alter ego della poetessa—la cui vita appare più libera di quella dell’io lirico quando vi risiedeva: “Dalla sua voce risuona il suolo della patria,/terra di faggi 14
li-bera e variopinta di popoli”. Armonia caratterizza la vita della giovane che
ode voci e canti in romeno, tedesco, ucraino, e percepisce l’acume ebraico,
simboli della pacifica convivenza delle diverse culture. Con maestria l’autrice
avvicina la giovane ragazza e la “giovane Czernowitz” al punto che le due figure sembrano coincidere. Questa sovrapposizione culmina nella strofa fina-
13
La poesia esce in Blum, 1941: 38-39.
14
La Bucovina in tedesco è chiamata Buchenland, terra di faggi.
CAESURA 2.1 (2015)
“Tanta vis admonitionis inest in locis.” Czernowitz come spazio letterario della memoria 15
le, in cui la città ringiovanita, viene personificata e apostrofata calorosamente
nel saluto dell’ultimo verso.
Else Keren
Czernowitz abita anche i ricordi di Else Keren (1924-1995),15 amica della poetessa Selma Meerbaum-Eisinger. In »… damit ging ich über den Pont des Arts«.
Gedichte Keren ci consegna un’istantanea in cui Czernowitz appare “lontana
come l’eternità”:
Czernowitz
Leblos weiss
wie eine alte Mutter
die Stadt
dort ewigkeitsfern
Erkaltete Tränen
hängen
über ergrauten Leuchtern
am verlassenen Tisch
Tote Flamme
fremder Abend
vergangenheitslila
von dort bis heute
(Keren, 1983: 18)
In questa lirica dominano i termini che ribadiscono la vecchiaia, il passato,
l’estraneità e l’assenza di vita; i sostantivi connotati positivamente e che trasmetterebbero speranza vitale vengono resi negativi dagli aggettivi che li accompagnano: “Leblos”, “weiss”, “alte Mutter”, “ewigkeitsfern”, “erkaltete
Tränen”, “ergrauten Leuchtern”, “verlassenen Tisch”, “Tote Flamme”,
“fremder Abend”, “vergangenheitslila”.
Le categorie spazio-temporali si fondono, collocando il testo in una profondità spaziale e temporale incolmabile e conferendogli un carattere “auratico”. In effetti Else Keren redige questa poesia in Israele molti anni dopo
aver abbandonato Czernowitz. L’immagine è quella di una città che si è
arrestata in un momento preciso: la fuga. La città perde l’originaria funzione
protettiva, rassicurante e materna. Ora è “senza vita”, “pallida”, con “lacrime
fredde” appese “a lampade incanutite/sul tavolo abbandonato”. Subitanea l’a15
Else Keren nasce e trascorre l’infanzia e la giovinezza a Czernowitz. Nel 1945 emigra con
la famiglia a Bucarest e poi a Parigi. Nel 1949 si reca per un viaggio in Israele e non fa
più ritorno in Francia.
16
CHIARA CONTERNO
ssociazione con la fuga dall’Egitto dopo la cena frugale a base di pane azzimo
ed erbe amare. Al di fuori del contesto biblico, viene alla mente Pompei pietrificata dalla lava. Czernowitz porta le tracce del trauma che l’ha travolta. L’ultimo verso (“da là ad oggi”) ripropone l’intreccio delle categorie spazio-temporali e soltanto la rivisitazione attuata dalla memoria permette di rompere l’incantesimo della pietrificazione e di recuperare il passato.
La stessa combinazione è presente nel breve testo in prosa che apre l’antologia di Else Keren, “CZERNOWITZ—ewigkeitsfern” (Keren, 1983: 3).
Questo brano ci offre un’altra immagine della città natale che non è più
immortalata nel momento della partenza repentina. Qui la memoria rievoca
gli anni spensierati della giovinezza, quando Else Keren si ritrovava presso la
“Habsburgshöhe”, con gli amici, in particolare con Selma Meerbaum-Eisinger, a cui dedica anche una poesia, e Paul Celan. Di quest’ultimo Keren racconta che mentre passeggiava per la “Habsburgshöhe” leggeva poesie ad
alta voce e parlava di Kafka e Rilke. Il brano chiude con l’incombere della
guerra, l’interruzione dei pomeriggi ameni tra amici e la crescente consapevolezza che la loro giovinezza sarebbe presto bruscamente terminata. Proprio
nelle lunghe serate trascorse nei nascondigli, durante la Second Guerra Mondiale, Selma Meerbaum-Eisinger scrisse le poesie che ad Else Keren fu poi
dato di conservare.16
Alfred Gong
Alfred Gong (1920-1981)17 ci consegna una “topografia” poetica della Bucovina e in particolare di Czernowitz:
Topographie
Auf dem Ringplatz zertrat seit 1918
der steinerne Auerochs den k.und k. Doppeladler.
Den Fiakerpferden ringsum war dies pferdapfelegal.
Vom Rathhaus hing nun Rumäniens Trikolore
16
17
Selma Meerbaum-Eisinger raccolse le sue poesie in un album che dedicò all’amico Leiser
Fichmann. Sulla via della deportazione Selma Meerbaum-Eisinger riuscì a dare l’album
ad un amico che lo passò a Else Keren la quale doveva consegnarlo a Leiser Fichmann.
Questi lo portò con sé nel lager e lo riconsegnò ad Else Keren, quando, tornato dal Lager, decise di fuggire in Israele via mare. La nave su cui viaggiava fu silurata e Leiser
non sopravvisse. Grazie ad Else Keren le poesie di Selma Meerbaum-Eisinger giunsero
in Israele. Lì furono pubblicate in forma privata dal suo insegnante Hersch Segal. In seguito ci furono altre edizioni. Ecco le più recenti: Meerbaum-Eisinger, 2013a; Meerbaum-Eisinger, 2013b; Meerbaum, 2014.
Alfred Gong nasce e cresce a Czernowitz dove conosce Paul Celan e Immanuel Weißglas.
Nel 1941 viene costretto a trasferirsi nel ghetto di Czernowitz e poi deportato in Transnistria. Riesce a fuggire a Bucarest, da dove fugge in seguito alla salita al potere del comunismo. Attraverso Budapest raggiunge Vienna dove resta fino al 1956 quando emigra
negli Stati Uniti.
CAESURA 2.1 (2015)
“Tanta vis admonitionis inest in locis.” Czernowitz come spazio letterario della memoria 17
und die Steuerbeamten nahmen Bakschisch
und sprachen rumänisch. Alles andere sprach:
jiddisch, ruthenisch, polnisch und ein Deutsch
wie z.B.: »Ich gehe fahren mich baden zum Pruth.«
Auch hatte Czernowitz, wie Sie vielleicht nicht wissen,
eine Universität, an der zu jedem Semesterbeginn
die jüdischen Studenten von den rumänischen heroisch
verprügelt wurden.
Sonst war dies Czernowitz eine gemütliche Stadt:
die Juden saßen im Friedmann bei Fisch und Piroggen,
die Ruthenen gurgelten in Schenken und Schanzen,
die Rumänen tranken vornehmlich im Lucullus
(wo, wie man annehmen darf, auch der junge Gregor von
Rezzori an einem Viertel Cotnar mäßig nippte).
Den Volksgarten nicht zu vergessen, wo sich sonn- und
feiertäglich Soldaten und Dienstmädchen bei vaterländischen
Märschen näherkamen. Wochentags schwänzten hier
Gymnasiasten. (Gelegentlich konnte man dem Schüler
Paul Celan mit Trakl unterm Arm bei den Tulpen begegnen.)
So ging das halbwegs geruhsam bei 1940.
Da kamen die Sowjets friedlich zu Tank
und befreiten die nördliche Bukowina.
Die Rumänen zogen ohne Schamade
ordentlich ab in kleinere Grenzen.
Die Volksdeutschen zog es reichheimwärts.
Die Juden, bodenständiger, blieben.
(Die eine Hälfte verreckte in Novosibirsk,
später die andere in Antonescus Kazets.)
Die Steppe zog ein und affichierte ihre Kultura.
Die Gräber blieben unangetastet
bis auf weiterem Ukas.
(Gong, 1980: 13-14)
Il succedersi delle diverse dinastie viene descritto con una certa dose di ironia
(Shchyhlevska, 2009: 140). L’immagine del bovide di pietra che sul Ringplatz
calpesta l’aquila bicipite della monarchia imperial-regia allude alla presa del
potere da parte dei romeni. Ciononostante gli altri gruppi linguistici ed etnici
convivono in un clima relativamente pacifico, come emerge dall’uso contemporaneo di diverse lingue: “gli esattori delle imposte […]/parlavano romeno.
Tutto il resto parlava:/jiddish, ruteno, polacco e un tedesco/del tipo : «Io vado
fare bagno in Pruth.»”
Ad un’attenta lettura si percepisce che questa topografia è sì “multiculturale”, ma non “interculturale”, perché le diverse etnie frequentano luoghi di-
18
CHIARA CONTERNO
versi e sono suddivise in settori stagni che non convergono. Uno dei pochi
luoghi in cui si incrociano è l’università che degenera però a teatro di ripetuti
episodi antisemiti, presentati da Gong con la consueta ironia. Tra i cittadini
di Czernowitz Gong ricorda altri due scrittori: Gregor von Rezzori, ritratto
mentre sorseggia “Cotnar”, e Paul Celan, sorpreso a passeggiare nel Volksgarten con Trakl sottobraccio. In effetti, Trakl fa parte delle letture canoniche nella Bucovina dove aveva molti estimatori sia tra i comuni lettori che tra
i poeti.
Se fino al 1940, tutto sommato la vita a Czernowitz scorre in maniera relativamente tranquilla, le cose mutano con l’arrivo “pacifico” delle truppe sovietiche che “liberano” la Bucovina del Nord. È l’inizio della fine, soprattutto
per la popolazione ebrea: “(Una metà crepò a Novosibirsk,/l’altra più tardi
nei campi di Antonescu”). Il fatto che Gong inserisca questi versi tra parentesi, come fossero un inciso, trasmette la precarietà e l’insignificanza dei perseguitati. E viene subito alla mente la figura del Muselmann di cui parla Primo
Levi, poi ripresa da Giorgio Agamben (Agamben, 1998).
Il ritratto di Czernowitz che Gong ci consegna non è edulcorato. Gong riesce a delineare un quadro relativamente lucido e disincantato della realtà
grazie alla distanza temporale e allo sguardo ironico che conferma quanto
Keren, Blum e Shmueli affermano nelle loro poesie a proposito degli ebrei
di Czernowitz. L’ironia disarma e smaschera. Permette di reagire e di continuare a vivere.
Rose Ausländer
L’autrice che si è confrontata in maniera più consistente con la sua città natale
è Rose Ausländer (1901-1988).18 L’antologia Grüne Mutter Bukowina (Verde
madre Bucovina), curata da Helmut Braun e uscita nel 2004 per i tipi di Rimbaud (Aachen), raccoglie tutte le poesie dell’autrice che tematizzano la sua
terra d’origine, Czernowitz o più in generale la Bucovina. Il titolo della raccolta, che riprende un verso di Bukowina III, allude allo strettissimo legame
esistente tra la poetessa e la sua patria, tanto che spesso nelle liriche la figura
18
Rose Ausländer nasce a Czernowitz. Nel 1916 fugge con la famiglia attraverso Budapest
verso Vienna, dove frequenta il ginnasio. Ritorna a Czernowitz nel 1920. Assieme al compagno di studi—e primo marito—Ignaz Ausländer lascia la Bucovina nel 1921 e si trasferisce in America. Torna a Czernowitz per assistere la madre nel 1927, occasione in cui
conosce Elios Echt con cui fa ritorno a New York nel 1928. La coppia torna a Czernowitz
nel 1931. Rimanendo fuori dall’America per più di tre anni, perde la cittadinanza americana. Si separa da Hecht e si trasferisce a Bucarest. Nel 1939 si reca nuovamente in
America, ma torna dopo poco a Czernowitz per assistere la madre malata. Riesce a sopravvivere alle persecuzioni antisemite nel ghetto di Czernowitz. Alla fine della guerra, dopo
un periodo a Bucarest, si trasferisce a New York dove rimane fino al 1964, quando torna
in Europa, prima a Vienna e poi a Düsseldorf. Nel 1972 si ritira nel Nelly-Sachs-Haus
della città, dove rimane fino alla morte.
CAESURA 2.1 (2015)
“Tanta vis admonitionis inest in locis.” Czernowitz come spazio letterario della memoria 19
della madre e la Bucovina si sottendono a vicenda. 19 In seguito vengono considerate alcune liriche significative.
Bukowina I
Tannenberge. Grüne Geister:
In Dorna-Vatra würzen sie
das Harzblut. Alte Sommermeister
treten an ihre Dynastie
Felder im Norden. Buchenschichten
um Czenowitz. Viel Vogelschaum
um die Verzauberten, die den Gesichten
vertrauen, ihrem Trieb und Traum.
Die Zeit im Januarschnee versunken.
Der Atem raucht. Die Raben krähn.
Aus Pelzen sprühen Augenfunken.
Der Schlitten fliegt ins Sternverwehn.
Der Rosenkranz in Weihrauchwogen
rinnt durch die Finger. Sagentum
und Gläubige. In Synagogen
Singen fünftausend Jahre Ruhm.
(Ausländer, 2004: 12)
Bucovina I, suddivisa in quattro strofe a rima alternata, ci consegna quattro
diapositive di Czernowitz e dei suoi dintorni. Le prime tre strofe si concentrano sul paesaggio, colto in diverse stagioni. Si tratta di un paesaggio metaforico: gli abeti verdi del primo verso vengono personificati e apostrofati come
“Grüne Geister” (“Spiriti verdi”) e “Sommermeister” (“Maestri d’estate”).
Attorno a Czernowitz si levano i faggi (“Buchen”) da cui deriva anche il nome
tedesco della regione (“Buchenland”). Gli uccelli prendono la parola e il loro
vociare pare quasi imitare il plurilinguismo della zona (“viel Vogelschaum”)
(Hainz, 2008: 163). La terza strofa proietta il lettore in una situazione invernale in cui l’elemento naturale e umano si intrecciano. “Il fiato fumante è
accostato al canto dei corvi. Dalle pellicce sfavillano occhi scintillanti. La slitta
vola verso stelle disseminate.” Il passaggio definitivo dalla sfera naturale a
quella umana avviene nella quarta strofa che ritrae cristiani ed ebrei mentre
adempiono le funzioni dei loro culti: il rosario tra l’incenso e i millenari canti
ebraici. L’armonia che caratterizzava la natura delle prime strofe anticipa l’armoniosa convivenza di fedi diverse della quarta.
19
A questo proposito si veda Miglio, 2012: 45-58. Si veda anche Braun, 2004: 131-159.
20
CHIARA CONTERNO
Nel complesso Rose Ausländer ci consegna un’immagine pacifica e serena
della sua terra d’origine. È un’immagine in parte edulcorata. Se fino alla Prima Guerra Mondiale la convivenza dei diversi gruppi culturali è relativamente pacifica, non vi sono però molti scambi e rapporti tra loro. Con la presa
del potere da parte dei romeni, la situazione muta, il tedesco, ad esempio,
cessa di essere la lingua ufficiale. Il processo di edulcorazione riscontrabile
nelle poesie è dovuto alla rielaborazione mnestica di Rose Ausländer che a
Czernowitz, in realtà, ha trascorso solo l’infanzia e una parte della giovinezza.
Nelle sue opere la poetessa ricorda questo periodo come il più felice (Braun,
2004: 137). Czernowitz resta la patria lontana e abbandonata di un’esistenza
in transito.
Un’altra fotografia “mnestica” della Czernowitz di una giovane Rose Ausländer è contenuta in Erfahrung III:
Erfahrung III
Morariugasse
hier wohnen wir
Wagenräder begleiten
die Wiegenlieder meiner Mutter
Gassenkinder brüllen und
zerren sich an den Haaren
Eine Prozession zieht vorüber
Regen fällt auf die Fahnen
dann wölbt sich ein Regenbogen
über ein Lächeln
Öffne die Fenster
zur Wirbelwelt
der Morariugasse
(Ausländer, 2004: 13)20
La “Morariugasse” che incornicia questa poesia è la strada in cui abitava la famiglia di Rose Ausländer. Il verso iniziale e quello finale sembrano le ante di
una finestra che si aprono sulla realtà esterna, sulla vita brulicante della “Morariugasse”, sineddoche di tutta Czernowitz. L’io lirico racconta dei bambini
che giocano e litigano, di carri che passano e accompagnano i canti e le ninnenanne della mamma. Riferisce poi di una processione religiosa e dell’apparire
20
Questo è l’unico di Ausländer citato nel presente lavoro in cui Czernowitz non viene
nominata esplicitamente. È stato considerato perché nomina la via in cui viveva l’autrice.
CAESURA 2.1 (2015)
“Tanta vis admonitionis inest in locis.” Czernowitz come spazio letterario della memoria 21
di un arcobaleno che, seguendo alla pioggia, potrebbe alludere ad una
ritrovata armonia tra etnie e fedi diverse. In chiusura l’io lirico si rivolge al
lettore e lo invita ad affacciarsi sul brulichio della sua via. Questi due ricordi
idilliaci (Bukowina I e Erfahrung III) ci riconducono ai Gedenkorte, ai luoghi
auratici della memoria che tentano di ricreare una realtà che nella forma di
un tempo non esiste più. Le parole con cui Ausländer chiude il saggio
“Erinnerung an eine Stadt”, “Eine versunkene Stadt. Eine versunkene
Welt”21 (Ausländer, 2004: 117), rivelano che la poetessa ne era consapevole.
La seguente poesia è dedicata allo scrittore jiddish Elisier Steinbarg (Si
veda Eidherr, 2002: 151-156), ammirato e amato a Czernowitz:
In memoriam Elisier Steinbarg
Czernowitz
Heimat der Hügel
Hoch der Balkon
über Rosch
Wer wußte um ihn
Zwerg mit dem Riesenhaupt
Steinbarg Elieser
Erlöser von Stein und Berg
Czernowitz
Heimat der Träumer
Hoch das Haus
über Rosch
Da lebte der Mann
halb Riese halb Zwerg
in Mansarde
verwandelte Arche
Da wurde die
Erde untergebracht
keinem Ding
war Atem versagt
Maulwurf und Maus
Rose und Ring—
kein Körper blieb tot
solang Elieser lebte
(Ausländer, 2004: 85-86)
21
“Una città scomparsa, un mondo scomparso.”
22
CHIARA CONTERNO
Stainbarg è uno dei più importanti rappresentanti della letteratura in lingua
jiddish dell’inizio del Ventesimo secolo. Rose Ausländer lo stima molto, si
prodiga per la diffusione delle sue opere e traduce dallo jiddish in tedesco la
sua favola in versi, Der Amerikaner (Kruse, 1996: 111-112). Inoltre, gli dedica
un’altra poesia, Dichterbildnis, in cui celebra la sua missione artistica, e lo menziona nei testi in prosa “Alles kann motiv sein” e “Erinnerung an eine
Stadt”.22
In In memoriam Elisier Steinbarg viene riconosciuto a Steinbarg il merito di
saper dare voce a qualsiasi tema e di sapersi adattare ad ogni situazione letteraria e di vita. Czernowitz viene definita “patria delle colline” e “patria dei sogni”. Se il primo epiteto si riferisce alla conformazione geografico-naturalistica della città, situata in una zona collinare, il secondo richiama altri passi in
cui Rose Ausländer sottolinea la “Schwärmerei” degli abitanti di Czernowitz
che si entusiasmano per l’arte e si infervoriscono per la fede. In “Erinnerungen an eine Stadt”, ad esempio, Ausländer annota: “Czernowitz war eine
Stadt von Schwärmern und Anhängern. Es ging ihnen, mit Schopenhauers
Worten, «um das Interesse des Denkens, nicht um das Denken des Interesses»” (Ausländer, 2004: 116). Tra le letture preferite degli abitanti di Czernowitz spiccano le opere di Karl Kraus, Friedrich Hölderlin, Rainer Maria Rilke, Stefan George, Georg Trakl, Else Lasker-Schüler. Fino alla Seconda Guerra Mondiale la parte più colta della popolazione è talmente immersa negli
interessi e nelle attività culturali che conduce uno “stile di vita inconsueto”
caratterizzato da “estraneità rispetto alle vicende del mondo e disattenzione
nei confronti della realtà che si stava rabbuiando”. Tale atteggiamento è espressione di un’esistenza condotta nel mondo delle idee e degli ideali, considerata “più sostanziale” di quella reale. Tra amici ci si ritrova per discutere
con passione di questioni filosofiche, letterarie, artistiche e cantare canti tradizionali.23
L’evasione dalla realtà concreta in quella sognata dell’arte, che nell’anteguerra avviene per diletto e passione, durante la Seconda Guerra Mondiale
diventa una fuga dalle persecuzioni e dalla triste quotidianità. La cultura e
l’arte diventano un rifugio che permette di continuare a vivere. L’alternativa
è abbandonarsi alla disperazione:
Czernowitz 1941. Nazis besetzten die Stadt, blieben bis zum Frühjahr 1944. Getto,
Elend, Horror, Todestransporte. In jenen Jahren trafen wir Freunde uns zuweilen heimlich, oft unter Lebensgefahr, um Gedichte zu lesen. Der unerträglichen
Realität gegenüber gab es zwei Verhaltensweisen: entweder man gab sich der Ver22
23
Interessante è il fatto che in “Erinnerungen an eine Stadt” Rose Ausländer ricorda che
Celan non si era cimentato con la traduzione di Steinbarg per la difficoltà dei suoi testi
(Ausländer, 2004: 115).
Gli artisti di Czernowitz erano sostenuti e appoggiati dai concittadini che manifestavano
apertamente il loro interesse e fruivano delle loro opere (Ausländer, 2004: 114-115).
CAESURA 2.1 (2015)
“Tanta vis admonitionis inest in locis.” Czernowitz come spazio letterario della memoria 23
zweiflung preis, oder man übersiedelte in eine andere Wirklichkeit, die geistige.
Wir zum Tode verurteilten Juden waren unsagbar trostbedürftig. Und während
wir den Tod erwarteten, wohnten manche von uns in Traumworten—unser traumatisches Heim in der Heimatlosigkeit. Schreiben war Leben. Überleben (Ausländer, 2004: 8).
Tra gli “amici” con cui si ritrova, Ausländer ricorda Paul Celan che le viene
presentato da un amico nel 1944 (Ausländer, 2004: 8). Questi incontri tra
“amici poeti” (su questa generazione di poeti si veda Motzan, 2003: 193-229),
su cui è stato detto e scritto molto, si svolgono presso Rose Ausländer o presso
la famiglia Ginninger e diventano la sede di letture poetiche e di accese discussioni su poesie e traduzioni dei partecipanti. Rispetto agli altri, Rose Ausländer appartiene alla generazione precedente ed è già una poetessa matura e
affermata. Per tale motivo viene considerata un punto di riferimento dai più
giovani scrittori. La critica riferisce che in questi incontri Paul Celan e Immanuel Weißglas conducessero delle vere e proprie competizioni di traduzione
sulla base di sonetti di Shakespeare o di poesie di William Butler Yeats, Oscar
Wilde e Wystan Hugh Auden (Helfrich, 1998: 197-198; cfr. Guţu, 1992: 4354; Braun, 2004: 67-78; Guţu, 2010: 88; Conterno, 2014: 193-194). Probabilmente questi scambi di idee e opinioni hanno contribuito allo sviluppo di
immagini comuni riscontrabili successivamente nella lirica di diversi poeti della Bucovina.
Lo scarto tra gli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale e quelli del
conflitto e delle persecuzioni, che sta alla base della trasformazione del significato dell’evasione nel mondo incantato dell’arte, è rappresentato chiaramente nel seguente testo:
Czernowitz vor dem Zweiten Weltkrieg
Friedliche Hügelstadt
von Buchenwäldern umschlossen
Weiden entlang dem Pruth
Flöße und Schwimmer
Maifliederfülle
um die Laternen
tanzen Maikäfer
ihren Tod
Vier Sprachen
verständigen sich
verwöhnen die Luft
24
CHIARA CONTERNO
Bis Bomben fielen
atmete glücklich
die Stadt
(Ausländer, 2004: 54)
Il titolo colloca la poesia in un determinato spazio temporale: prima della Seconda Guerra Mondiale. Quello che riguarda questo arco di tempo viene presentato nelle prime cinque strofe che—come l’ultima—non seguono nessuno
schema tradizione. Il testo, privo di interpunzione e senza alcuna regolarità
formale, pare riaffiorare dai ricordi dell’io lirico che racconta senza mai diventare protagonista. I confini irregolari dei gruppi di versi sembrano i contorni incerti di un sogno o di una visione di una realtà scomparsa. Come in
Bukowina I il componimento apre con una descrizione del paesaggio. Czernowitz è qui rappresentata come la città collinare pacifica circondata da boschi
di faggi, attraversata dal Pruth a cui lati si distendono prati. La presenza umana, segnalata dai nuotatori e dalle zattere, appare perfettamente integrata
nella natura ed è parte di questo idillio in cui prosperano i lillà. Soltanto i maggiolini che, danzando vicino alle lanterne, vanno inconsapevolmente incontro alla morte destano sospetto e gettano un’ombra cupa che viene subito ridimensionata dalla terzina con l’assonanza di “v” e “ver” in cui viene celebrato
il plurilinguismo di Czernowitz: “Quattro lingue/si intendono/viziano l’aria.”
Su questo concetto Ausländer torna frequentemente nei testi in prosa:
“Hier begegnete und durchdrangen sich vier Sprachen und Kulturen: die
österreichisch-deutsche, die jiddische, die ruthenische (ukrainische) und rumänische” (Ausländer, 2004: 47). Sebbene nel 1918 Czernowitz sia passata
sotto il controllo romeno, fino alla Seconda Guerra Mondiale il tedesco resta
la lingua dell’intellighenzia e della cultura. La vicinanza ad altri idiomi conferisce al tedesco della Bucovina una particolare colorazione e cadenza, differenziandolo da quello parlato a Vienna, il punto di riferimento culturale per
eccellenza. Secondo Ausländer è proprio la compresenza di più lingue e culture su uno stesso territorio a favorire lo sviluppo di e l’interesse per la letteratura e in particolare la poesia. Per indicare questa presenza eterea, eppure
influente, Ausländer ricorre all’espressione “in der Luft liegen” (“sono
nell’aria”), ribadendo così anche la velocità di diffusione e di trasmissione.
Anche la sua stessa vocazione artistica sarebbe riconducibile all’humus multietnico e plurilingue in cui si è formata:
Warum schreibe ich? Vielleicht weil ich in Czernowitz zur Welt kam, weil die Welt
in Czernowitz zu mir kam. Jene besondere Landschaft. Die besonderen Menschen. Märchen und Mythen lagen in der Luft, man atmete sie ein. Das viersprachige Czernowitz war eine musische Stadt, die viele Künstler, Dichter, Kunst,
Literatur- und Philosophieliebhaber beherbergte (Ausländer, 2004: 6).
CAESURA 2.1 (2015)
“Tanta vis admonitionis inest in locis.” Czernowitz come spazio letterario della memoria 25
Ma questo idillio si spezza, come afferma l’ultima strofa, al “cadere delle bombe”, segno dell’irrompere della storia con la “S” maiuscola—si pensi alla terza
“Frankfurter Vorlesung” di Ingeborg Bachmann—nella vita dei singoli e
della comunità. La guerra sconvolge il sereno corso degli eventi e ridesta i
trasognati abitanti di un mondo incantato. Se da un lato è indiscutibile, il fatto
che il conflitto e le persecuzioni abbiamo travolto la pacifica città collinare e
spezzato l’incantesimo, dall’altro bisogna però relativizzare quanto Ausländer
riferisce sull’anteguerra. Per quanto serena fosse la convivenza tra le diverse
etnie e culture, non si può parlare di intensi rapporti tra le varie parti. Piuttosto, si può parlare di reciproca (e opportunistica) accettazione (Reichmann, 2001: 77-96).24 L’immagine che Ausländer ci consegna è frutto di una
appassionata rielaborazione mnestica. Czernowitz viene elevata a Gedenkort
per eccellenza, la sua storia viene ricostruita sulla base di ricordi lontani trasfigurati dalla memoria.
Un’altra forma di rielaborazione mnestica viene proposta dalla seguente
poesia, con cui termina il nostro percorso nella memoria poetica di questi
eterogenei scrittori accomunati da un simile destino, segnato dalla
persecuzione e dall’esilio:
Czernowitz I
«Geschichte in der Nußschale»
Gestufte Stadt
im grünen Reifrock
Der Amsel unverfälschtes
Vokabular
Der Spiegelkarpfen
in Pfeffer versulzt
schwieg in fünf Sprachen
Die Zigeunerin
las unser Schicksal
In den Karten
Schwarz-gelb
Die Kinder der Monarchie
träumten deutsche Kultur
24
Peter Motzan ritiene che la nostalgica retrospettiva di Rose Ausländer produca una sorta
di “straniamento”. Cfr. Motzan, 2001: 42. Si veda inoltre: Motzan, 2003: 198; Conterno,
2013: 292-293.
26
CHIARA CONTERNO
Legenden um den Baal-Schem
Aus Sadagura: die Wunder
Nach dem roten Schachspiel
wechseln die Farben
Der Walache erwacht—
Schläft wieder ein
Ein Siebenmeilenstiefel
steht vor seinem Bett—flieht
Im Ghetto:
Gott hat abgedankt
Erneutes Fahnenspiel:
Der Hammer schlägt die
Flucht entzwei
Die Sichel mäht die
Zeit zu Heu
(Ausländer, 2004: 78-79)
Attraverso il riferimento al mondo animale Rose Ausländer illustra con ironia
la convivenza dei diversi gruppi linguistici (Martin, 2008: 163). Spicca in particolar modo il riferimento alle carpe in gelatina che tacciono in cinque lingue, verso che richiama i sopracitati passi in cui la poetessa decanta il multilinguismo della terra natia. Lo sguardo ironico, però, suggerisce questa volta
un certo disincanto nei confronti della reale situazione della Bucovina e nello
specifico di Czernowitz. La rielaborazione mnestica pare qui edulcorare meno la realtà rispetto alle altre poesie esaminate. Ricorrendo a stereotipi e
immagini simboliche la poetessa accenna alla popolazione zingara che legge
le carte, ai rappresentanti della monarchia austro-ungarica dalla bandiera
giallo-nera e al Baal-Schem-Tov, il fondatore dello Chassidismo la cui sede si
trova a Sadagora.
L’Enjambement tra il sedicesimo e diciassettesimo verso indica una prima
cesura storica, definita “gioco di scacchi rosso” e probabilmente identificabile
con l’arrivo dell’Armata Rossa a Czernowitz nel 1940 e il conseguente ritiro
romeno. Nell’ultima strofa Ausländer fa riferimento ad un successivo sconvolgimento: Czernowitz ritorna sotto il controllo romeno. La drammaticità
degli eventi e la celerità del loro corso viene sottolineata dagli Enjambements
dell’ultima strofa che attraverso l’immagine del tempo ridotto a fieno elimina
qualsiasi speranza di fuga e di salvezza. Le vittime più colpite da questo alternarsi bellico sono gli ebrei a cui è impedito ogni tentativo di fuga. Il tragico
destino è rappresentato graficamente nel testo che incastra a tenaglia tra lo
“Schachspiel” e l’“erneutes Fahnenspiel” i versi sul ghetto. La guerra travolge
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gli eventi e irrompe nel ghetto, dove sembra non esserci più alcun Dio: “Dio
ha abdicato”. Questo verso ricorda Psalm e Es war Erde in ihnen di Paul Celan
in cui Dio viene relegato a spettatore passivo e appellato come (o forse meglio,
sostituito) da “nessuno”. Sulla stessa linea si muove Hans Jonas che in “Das
Gottesbegriff nach Auschwitz. Eine jüdische Stimme”, per spiegare l’esistenza
del male estremo nel mondo e l’indifferenza di Dio nei confronti del suo dilagare, arriva a sottrarre a Dio l’attributo dell’onnipotenza:
Aber Gott schwieg. Und da sage ich nun: nicht weil er nicht wollte, sondern weil
er nicht konnte, griff er nicht ein. Aus Gründen, die entscheidend von der zeitgenössischen Erfahrung eingegeben sind, proponiere ich die Idee eines Gottes,
der für eine Zeit—die Zeit des fortgehenden Weltprozesses—sich jeder Macht der
Einmischung in den physischen Verlauf der Weltdinge begeben hat […] (Jonas,
1984: 82).25
Quel che resta in questo paesaggio desolato è solo la memoria che, edulcorata
o meno, permette di andare avanti. Erst recht!
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