97 - Centro Studi Cinematografici

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97 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO
n. 97
Anno XV (nuova serie)
n. 97 gennaio-febbraio 2009
Amore che vieni, amore che vai .............................................................
37
Australia .................................................................................................
16
Bambino con il pigiama a righe (Il) ........................................................
13
Banda Baader Meinhof (La) ..................................................................
34
Canarina assassina (La) ........................................................................
36
Come Dio comanda ...............................................................................
44
Coniglietta di casa (La) ..........................................................................
39
Dubbio (Il) ...............................................................................................
35
Duchessa (La) ........................................................................................
23
Ex ...........................................................................................................
29
Gioco da ragazze (Un) ...........................................................................
15
Impy e il mistero dell’isola magica .........................................................
28
Io non ci casco .......................................................................................
41
Italians ....................................................................................................
4
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Cast e credit a cura di: Simone Emiliani
Segreteria: Cesare Frioni
Lezioni di felicità .....................................................................................
12
Lower City ..............................................................................................
25
Lui, lei e Babydog ...................................................................................
24
Redazione:
Marco Lombardi
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Matrimonio all’inglese (Un) ....................................................................
20
Max Payne .............................................................................................
43
Milk .........................................................................................................
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Millionaire (The) .....................................................................................
2
Natale a Rio ...........................................................................................
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Nemico del mio nemico (Il) ....................................................................
42
Operazione Valchiria ..............................................................................
10
Peso dell’aria (Il) ....................................................................................
31
Pugile e la ballerina (Il) ..........................................................................
46
Quel che resta di mio marito ..................................................................
22
Rachel sta per sposarsi .........................................................................
9
Revolutionary Road ................................................................................
7
Saw V .....................................................................................................
30
Sette anime ............................................................................................
18
Star Wars – La guerra dei Cloni .............................................................
11
Strangers (The) ......................................................................................
19
Tony Manero ..........................................................................................
45
Ultimatum alla Terra ...............................................................................
6
Valzer con Bashir ...................................................................................
40
Women (The) .........................................................................................
3
Bimestrale di cultura cinematografica
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
Sito Internet: www.cscinema.org
E-mail: [email protected]
Aut. Tribunale di Roma n. 271/93
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intestato a Centro Studi Cinematografici
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Hanno collaborato a questo numero:
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Chiara Cecchini
Silvio Grasselli
Elena Mandolini
Diego Mondella
Fabrizio Moresco
Danila Petacco
Francesca Piano
Ivan Polidoro
Valerio Sammarco
Giuliano Tomassacci
Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Film
Tutti i film della stagione
THE MILLIONAIRE
(Slumdog Millionaire)
Gran Bretagna, 2008
Interpreti: Dev Patel (Jamal K. Malik), Anil Kapoor (Prem Kumar), Freida Pinto (Latika), Madhur Mittal (Salim) Saurabh
Shukla (sergente Srinivas), Rajendranath Zutshi (regista), Jeneva Talwar (tecnico del mixaggio video), Irrfan Khan (ispettore
di polizia), Azharuddin Mohammedv Ismail (Salim da piccolo),
Ayush Mahesh Khedekar (Jamal da piccolo), Tanvi Ganesh
Lonkar (Latika adolescente),Ashutosh Lobo Gajiwala (Salim
adolescente), Tanay Hemant Chheda (Jamal adolescente),
Sunil Kumar Agrawal (sig. Chi), Jira Banjara, Sheikh Wali (guardie giurate dell’aeroporto), Mahesh Manjrekar (Javed), Sanchita Choudhary (madre di Jamal), Himanshu Tyagi (sig. Nanda), Sharib Hashmi (Prakash), Virendra Chatterjee (uomo dei
bassofondi), Feroz Abbas Khan (Amitabh Bachchan), Virender
Kumar (uomo nel fuoco), Devesh Rawal (ragazzo blu), Rubiana Ali (Latika da piccola), Ankur Vikal (Maman), Tiger (Punnoose), Chirag Parmar (Arvind giovane), Nazneen Shaikh (bambina), Farzana Ansari (amica di Latika), Anupam Shyam (anziano paesano), Salim Chaus (collezionista di biglietti), Singh
Shera Family (famiglia in treno), Harvinder Kaur (famiglia in
treno), Chirag Parmar (Arvind giovane), Mia Drake (Adele),
William Relton (Peter)
Durata: 120’
Metri: 3200
Regia: Danny Boyle
Produzione: Christian Colson per Celador Films/Film4/Pathé
Pictures International
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 5-12-2008; Milano 5-12-2008)
Soggetto: dal romanzo di Vikas Swarup
Sceneggiatura: Simon Beaufoy
Direttore della fotografia: Anthony Dod Mantle
Montaggio: Chris Dickens
Musiche: A.R. Rahman
Scenografia: Mark Digby
Costumi: Suttirat Anne Larlarb
Produttori esecutivo: Tessa Ross, Paul Smith
Produttore associato: Ivana Mackinnon
Co-produttore: Paul Ritchie
Direttore di produzione: Jennifer Wynne
Casting: Gail Stevens, Loveleen Tandan
Aiuti regista: Raj Acharya, Avani Batra, Sonia Nemawarkar,
Yugandhar S. Narvekar
Art director: Abhishek Redkar
Arredatore: Michelle Day
Trucco e acconciature: Virginia Holmes, Natasha Nischol
Supervisore effetti visivi: Adam Gascoyne
J
amal, un ragazzo che lavora in un
call center di Mumbai, sta per rispondere a una delle ultime domande del quiz “Chi vuol essere Milionario”,
ma viene fatto arrestare dal conduttore
perché convinto che lui stia imbrogliando.
Il ragazzo viene portato al commissariato e qui, dopo atroci torture, confessa che
ogni domanda che gli è stata posta era legata ad un avvenimento tragico della sua vita.
I poliziotti non convinti, registrazione
televisiva alla mano, gli chiedono di rac-
contare ogni singolo episodio che ha portato alla risposta vincente.
Jamal inizia la sua storia e i poliziotti
vengono a scoprire che il ragazzo è cresciuto in un orfanotrofio dove mutilavano
i bambini per farli mendicare, che poi, insieme al fratello Salim, è scappato e ha iniziato a vivere per le strade compiendo piccoli furti fino a quando quest’ultimo è entrato in una organizzazione criminale,
mentre lui ha deciso di proseguire verso la
strada dell’onestà con un unico pallino ri-
trovare Latika, la ragazzina di cui è stato
sempre innamorato e che ora è in balia
della criminalità. Ai poliziotti dice, inoltre, che lui ha partecipato al quiz non per i
soldi in sé, ma per ritrovare la ragazza,
affezionata telespettatrice del programma
e, con la vincita, riscattarla dalla protezione di un potente boss.
La polizia incredula lo libera e gli permette di partecipare al gioco.
Tutta l’India segue la puntata inclusa
Lalika che, grazie all’aiuto di Salim che le
regala anche il suo cellulare, riesce a scappare e ad arrivare alla stazione Victoria,
luogo in cui Jamal un giorno le aveva detto che l’avrebbe aspettata.
Nonostante le insidie del presentatore,
il ragazzo arriva all’ultima domanda e, non
conoscendo la risposta, usufruisce dell’opzione chiamata, ma invece di rispondergli, come pensava, sua fratello, dall’altro
capo del telefono c’è Lalika che gli dice di
essere libera. A Jamal non interessa più
vincere e dà una risposta qualunque. È
quella esatta e vince 20 milioni di rupie.
In preda alla felicità corre alla stazione dove trova la sua amata ad attenderlo.
I
l regista inglese Danny Boyle deve
avere qualche particolare legame
con l’Asia. Probabilmente non trova sufficientemente ispirazione nella vecchia Inghilterra per ambientare le sue storie e così, dopo averci fatto innamorare
2
Film
delle spiagge tailandesi in The Beach, ripunta sull’esotico con l’India di The Millionaire diventando uno dei casi cinematografici della stagione.
Il titolo ricorderà qualcosa agli amanti dei
quiz: è infatti il nome originale del format
esportato in tutto il mondo che da noi è conosciuto come “Chi vuol essere milionario”
e che vede un concorrente rispondere a una
serie di domande di crescente valore economico che arrivano fino a un milione di euro.
Il film di Boyle inizia proprio così, con
un ragazzo, Jamal, alle prese con le ultime domande che lo separano dalla vincita di 20 milioni di rupie.
Ma Jamal non è un giocatore qualsiasi, a lui non interessa il denaro, lui ha partecipato solo per ritrovare e salvare la donna che ama dai suoi aguzzini. Jamal non
ha studiato, non è colto ha vissuto tutta la
vita nei sobborghi di Mumbai insieme al
fratellino truffando e rubando. Come fa a
sapere, allora, tutte le risposte? Semplice, ogni domanda è legata ad un momento drammatico della sua vita.
Questa spiegazione al limite dell’incredibile, però, non convince il perfido con-
Tutti i film della stagione
duttore, irritato dal fatto che un “poveraccio” possa diventare ricco, e per questo lo
fa arrestare e torturare fino a quando non
si arrende all’evidenza: Era scritto.
C’è molta India in questa conclusione,
in questa frase che per un occidentale ha
un sapore scialbo ed inutile, mentre nel
Paese delle tigri e delle città rosa è un principio di vita. Danny Boyle ha colto bene
questo concetto che non è mera rassegnazione, ma un modo “gioioso” di accettare
le intemperie, così come gli arcobaleni,
dell’esistenza. È una frase che raccoglie
quell’atarassia che gli occidentali ricercano da sempre e che, per un modus vivendi errato, trovano a fatica.
Il regista a differenza del lavoro precedente, non si sofferma troppo sulle incongruenze del mondo che cerca pace nei luoghi esotici, ma regala frazioni, immagini,
in cui europei e americani vengono, in
maniera molto sottile, messi alla berlina.
La cosa, però, finisce lì. Il resto della pellicola è dedicata alle avventure di Jamal che
ci vengono svelate domanda dopo domanda e che vanno dall’infanzia nei bassifondi, passando per l’orfanotrofio-lager (atro-
ce la scena del bambino mutilato), fino al
primo approccio col crimine, quello vero,
che il ragazzo rifiuta con ferocia. Sì, perché Jamal, nonostante nella sua vita si sia
sporcato molto, e non solo metaforicamente, crede ancora in un lieto fine. E’ un ingenuo, un sognatore che conquista per le sue
caratteristiche di eroe d’altri tempi che per
la sua bella è pronto ad andare avanti sia
con una colt puntata alle tempie che con
lo sguardo indagatore della polizia addosso. Difficile non tifare, come i milioni di spettatori, per lui e non unirsi simbolicamente
al balletto boollywoodiano che sancisce il
lieto fine nella, stazione Victoria.
Si mormora che The Millionaire sarà
la sorpresa dei prossimi Oscar, statuetta
a parte, è un film che merita veramente di
essere visto perché unisce il divertissement di un film da botteghino alla “cura dei
momenti”, riscontrabile solo nelle pellicole d’essai.
E poi, regala un briciolo di speranza.
In questi tempi “strani” ne abbiamo tutti
bisogno.
Francesca Piano
THE WOMEN
(The Women)
Stati Uniti, 2008
Trucco: Julie Hewett, Melanie Hughes, Kelley Mitchell, Araxi Lindsey
Acconciature: Cydney Cornell, Araxi Lindsey
Supervisori effetti visivi: Mark Dornfeld
Coordinatori effetti visivi: Paulina Kuszta
Supervisore costumi: Virginia Johnson
Supervisore musiche: Chris Douridas
Interpreti: Meg Ryan (Mary Haines), Annette Bening (Sylvia Fowler), Eva Mendes (Crystal Allen), Debra Messing (Edie Cohen),
Jada Pinkett Smith (Alex Fisher), Bette Midler (Leah Miller), Candice Bergen (Catherine Frazier), Carrie Fisher (Bailey Smith),
Cloris Leachman (Maggie), Debi Mazar (Tanya), India Ennenga
(Molly Haines), Natasha Alam (Natasha), Ana Gasteyer (Pat),
Joanna Gleason (Barbara Delacorte), Tilly Scott Pedersen (Uta),
Lynn Whitfield (Glenda Hill), Jill Flint (Annie), Emily Seymour,
Allison Seymour (April Cohen), Lauren Lefebvre, Lindsay Lefebvre
(May Cohen), Isabella Panteledes, Olivia Panteledes (June
Cohen), Madaliene Black (January Cohen), Meredith Black (January Cohen), Jana Robbins (commessa negozio lingerie), Maya
Ri Sanchez (Dora), Ruby Hondros (Jimmy Choo Wearer), NiCole Robinson (signora), Danielle Perry (assistente del salone di
bellezza), Lindsay Flathers (Taylor), Christy Scott Cashman
(Jean), Celeste Oliva (Gilda), Denece Ryland (Cory)
Durata: 114’
Metri: 3100
Regia: Diane English
Produzione: Victoria Pearman, Mick Jagger, Bill Johnson e Diane
English per Picturehouse Enterteinment/Inferno Distributions/Jagged Films/New Line Cinema/Shukovsky English Enterteinment
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008)
Soggetto: dall’omonima commedia teatrale di Clare Boothe
Luce alla base della sceneggiatura di Anita Loos e Jane Murfin del film diretto da George Cukor nel 1939
Sceneggiatura: Diane English
Direttore della fotografia: Anastas N. Michos
Montaggio: Tia Nolan
Musiche: Mark Isham
Scenografia: Jane Musky
Costumi: John A. Dunn
Produttori esecutivi: Jim Seibel, Bobby Sheng, James W.
Skotchdopole
Direttore di produzione: Daniel Hank
Casting: Amanda Mackey Johnson, Cathy Sandrich
Aiuti regista: Chris Surgent, Takahide Kawakami, Kenyon
Noble
Operatore: Susan Starr
Operatore steadicam: Brant S. Fagan
Art director: Mario Ventenilla
Arredatori: Debbie Cutler, Mimi Wastein
S
ylvia, direttrice del giornale Cachet, scopre, per bocca di una
manicurista pettegola, che il ma-
rito della sua migliore amica Mary tradisce la moglie con una commessa del reparto profumi.
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Indecisa sul da farsi, interpella le altre due amiche del gruppo Edie e Alex e
insieme concordano di non dire nulla a
Film
Mary per evitare di farla soffrire. Quest’ultima, però, finisce sotto le grinfie della
manicurista impicciona e ben presto viene
a conoscenza dei tradimenti del marito.
In un primo momento, e sotto consiglio materno, fa finta di nulla e cerca di
ravvivare l’interesse del marito, poi però,
ci ripensa e chiede il divorzio.
Sylvia, intanto, si trova in cattive acque e chiede a una famosa giornalista di
collaborare con lei per risollevare le sorti
del suo giornale. Questa accetta in cambio di qualche informazione sulla storia del
divorzio dell’amica. Sylvia messa alle strette accetta.
La vicenda viene pubblicata con dovizia di particolari su un noto tabloid, rendendo la vita di Mary, se possibile, ancora
più triste.
Sylvia sentendosi in colpa confessa, ma
l’amica non accetta le sue scuse.
Mary, dopo aver incassato l’ennesimo
tradimento, decide di ripartire da se stessa: segue diversi corsi e con l’aiuto della
madre apre un atelier.
Passa del tempo, Sylvia e Mary fanno
pace e, grazie a una crescente autostima,
Mary ha successo in tutto: nella moda come
nella vita e diventa una donna nuova. Se ne
accorge anche l’ex marito, ormai stanco
dell’amante, che cerca di riconquistarla.
Mary, ancora innamorata, prova a dargli una seconda opportunità, a patto che
lui si attenga alle sue nuove regole.
L
’eterno femminino non muta mai.
La Storia, fra le righe, ci ha raccontato “la donna” in continuo cambiamento e questo ha creato l’illusione, o
che si voglia, l’inganno, di un’immagine
femminile costantemente più moderna,
emancipata e perché no, più intelligente.
Niente di più sbagliato, perché a cambiare non è l’essenza, ma l’approccio che
la società ha, di volta in volta, con questo
universo così incomprensibile che è la
donna.
Basta sfogliare, infatti, qualche pagina
di letteratura, a caso, senza guardare l’autore o l’epoca e si ritroveranno delle caratteristiche universali che l’accompagnano
da sempre quasi fossero parte di un unico
patrimonio genetico.
Un esempio è The Women di Diane English trasposizione, o meglio, ultima trasposizione cinematografica dell’omonima
commedia teatrale di Clare Boothe Luce
del 1936.
Le date in questo caso sono importanti
perché avallano la teoria iniziale. Le donne di Boothe Luce, infatti, sono le stesse
di George Miller (altro remake del 1956)
che a loro volta sono le stesse che propo-
Tutti i film della stagione
ne oggi Diane English, a dispetto di tutte
le chiacchiere sulla mascolinità del gentil
sesso postmoderno.
C’è da dire, però, che la trama aiuta la
causa; si parla infatti di tradimento e di rivalità femminile, due situazioni classiche
che di per sé non hanno collocamento temporale o sociale e si prestano facilmente
allo svisceramento di tutte le possibili variazioni sul tema “donna”, dal dolore all’isteria, passando per quella straordinaria forza di reazione che permette loro di rialzarsi all’ennesimo terremoto.
Così come succede alla protagonista
Mary che, dopo aver scoperto l’infedeltà
del marito con Crystal, una donnetta da
due soldi, riprende in mano le redini di una
vita che l’aveva relegata per troppo tempo
a semplice comparsa.
Interessante notare, a tal proposito, la
caratterizzazione dei due personaggi principali: Mary, la moglie, la mamma, la dolcezza e Crystal, l’amante, l’inganno, la
cattiveria. Se ci si riflette un po’ sono due
versioni assolutistiche di un unico essere, l’angelo e la sgualdrina che in ogni
donna si contendono il predominio totale
delle azioni.
Nel film della English la felice scelta di
questi due ruoli è caduta su Meg Ryan per
Mary e Eva Mendes per quello dell’antagonista.
Si diceva scelta felice perché grazie a
una fisicità stereotipata, rassicurante, la
Ryan, e trasgressiva, la Mendes, al pubblico, prevalentemente femminile, viene offerta la facile possibilità di parteggiare per
l’una e coprire di rimbrotti l’altra, che poi è
un gioco.
Tornando al film va rimarcato, ahimè,
un grave errore: in fase di scrittura si è scelto di creare un’atmosfera, dei dialoghi, che
ricordano irrimediabilmente l’ormai nota
serie Sex & the City. Una caduta di stile
che dalla English non ci aspettavamo, perché, sebbene la pellicola scorra leggera,
a volte si ha quella brutta sensazione di
“riciclato” che fa perdere un po’ il gusto
della visione.
A riparare parzialmente al danno ci
pensano i personaggi secondari, delle
femmes agées, che, come nelle migliori
società matriarcali, dispensano consigli e
ricordano alle nuove leve che l’investimento su se stesse è la miglior arma per combattere il dolore.
Effettivamente, al di là di tradimenti, di
uomini o di pettegolezzi, il vero fulcro del
film è proprio questo: la riscoperta dell’identità.
Purtroppo i toni della commedia e le
sue maglie troppo strette non permettono
di dare troppo corpo al concetto, con il risultato di vedere in pellicola un classico
manuale di autosostegno. Una scelta che
potrebbe anche piacere, visto il successo
ottenuto da queste pubblicazioni, ma che
a livello tecnico è la conferma di un’incapacità a uscire dagli schemi sicuri della
mediocrità nazionalpopolare.
Probabilmente la English non voluto
osare, o forse ha dimenticato, in questa
giungla che è lo showbusiness, un assioma fondamentale dell’universo femminile:
quando serve bisogna cacciar fuori le unghie. Laccate naturalmente.
Francecesca Piano
ITALIANS
Italia, 2008
Regia: Giovanni Veronesi
Produzione: Aurelio e Luigi De Laurentiis
Distribuzione: Filmauro
Prima: (Roma 23-1-2009; Milano 23-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Giovanni Veronesi, Ugo Chiti, Andrea Agnello
Direttore della fotografia: Tani Canevari
Montaggio: Claudio Di Mauro
Musiche: Paolo Buonvino
Scenografia: Laura Pozzaglio
Costumi: Gemma Mascagni
Effetti: Alessandro Salomone
Interpreti: Carlo Verdone (Giulio Cesare Carminati), Sergio Castellitto (Fortunato),
Riccardo Scamarcio (Marcello Polidori), Ksenia Rappoport (Vera), Dario Bandiera
(Vito Calzone), Remo Gironi (Roviglione)
Durata: 116’
Metri: 2830
4
Film
Tutti i film della stagione
N
el primo episodio, Fortunato,
dopo aver passato gran parte
della vita a trasportare Ferrari
rubate negli Emirati Arabi per conto di
un’azienda romana, decide che è ora di
mettersi in “pensione” e lasciare il suo posto a qualcuno più giovane. Il prescelto è
Marcello, e per iniziarlo al mestiere, lo porta
con sé nel suo ultimo viaggio a Dubai.
Durante il tragitto, Fortunato, cerca in
ogni modo di trasmettere l’amore per le
Ferrari a Marcello, ma quest’ultimo è concentrato a comprendere gli usi e costumi
arabi, così lontani da quelli occidentali.
Durante una sosta, si fermano a casa
di un amico di vecchia data di Fortunato
che ha una figlia con il volto deturpato da
un’ustione e che necessita di una costosissima operazione. Il giovane Marcello ne
rimane colpito e cerca di instaurare un dialogo con la ragazza. Il suo mentore, però,
lo riporta subito all’ordine preoccupato da
una eventuale reazione negativa del padre
della donna.
I giorni trascorrono tranquilli fra bagordi vari, ma durante una festa succede
l’imprevedibile: Marcello si scontra con un
pilota inglese per questioni patriottiche
causando l’arresto suo e di Fortunato.
L’unico modo di uscire di galera è gareggiare, al posto del pilota malconcio, in
una competizione automobilistica. Fortunato si prende questa responsabilità e vince addirittura l’ambito premio in denaro
di 30mila dollari.
Liberi e con un sacco di soldi, i due si
avviano verso casa, ma, dopo molte titubanze, decidono di destinare i soldi della
vincita per l’operazione al viso della figlia
del loro amico.
Durante il viaggio di ritorno, in nave,
Marcello confessa a Fortunato di essere
un poliziotto e di averlo seguito solo per
arrestarlo. Detto questo, va a prendere un
caffè lasciando la possibilità a Fortunato
di scappare.
Nel secondo episodio, Giulio, un dentista rinomato, è costretto ad andare a un congresso a San Pietroburgo. L’uomo, in verità,
vorrebbe evitare di andarci perché ancora
depresso per il divorzio dalla moglie. Un suo
amico, allora, per cercare di rallegrargli la
vita gli dà il numero di Vito, un organizzatore di viaggi a sfondo sessuale in Russia. Giulio lo chiama e, già dall’aeroporto, si ritrova
ad avere a che fare con le strampalate idee
di questo imprenditore del sesso.
Giulio è fortemente imbarazzato e il
disagio aumenta quando, durante una cena
di gala, sempre grazie a Vito, scambia la
sua interprete per una prostituta.
La donna lo rimprovera aspramente
sciorinando tutti i luoghi comuni dell’italiano nei paesi dell’Est Europa, poi particolarmente piccata si vendica durante le
traduzioni, volontariamente sbagliate.
Intanto Vito organizza una grande festa a casa di un noto esponente della malavita locale e convince Giulio a seguirlo.
Qui, il dentista, rimane vittima dei giochi
erotici di una sadomasochista, mentre Vito
seduce la figlia del padrone di casa.
Quest’ultimo, scopertolo inizia a dare
la caccia, insieme ai suoi scagnozzi, ai due
italiani. Vito viene subito ucciso, mentre
Giulio, grazie all’intervento della sua interprete, si rifugia in un orfanotrofio.
Stare insieme ai bambini, fa rinascere
l’uomo che decide di non tornare più in
Italia.
A
noi italiani piace tanto riempirci
la bocca con affermazioni del tipo
“Siamo simpatici” o “Abbiamo il
cuore d’oro”. Di questo ne siamo certi e portiamo avanti questa bandiera di giullari
d’amore con orgoglio e fierezza. Nulla di riprovevole. Lo sbaglio nasce dalla convinzione che gli altri, intesi come quelli che vivono
in altri Paesi, debbano necessariamente
pensare lo stesso e apprezzare il nostro colore perché “gli italiani piacciono a tutti”.
In proposito avrei dei dubbi...
Basta guardare il modo, la falsa cortesia con cui si rivolgono a noi (e questo a
tutte le latitudini) per intuire cosa passa loro
per testa. E non sono cose belle.
Ma noi, forti delle nostre credenze, continuiamo, continuiamo a farci ridere dietro senza capire che non ridono per noi, ma di noi.
Veronesi ha colto la palla al balzo e di
questa tendenza ne ha tratto un film Ita5
lians che sulla carta aveva tutti i numeri
per essere “il circo” da accompagnare al
(poco) “pane” quotidiano.
Sulla carta appunto.
La pellicola, divisa in due racconti ben
distinti, infatti, mostra senza pietà (per lo
spettatore) il ritratto di due tipologie di italiani all’estero.
Il primo vede un truffaldino Sergio Castellitto scorazzare per gli emirati arabi con
uno Scamarcio apprendista cialtrone al
seguito, e il secondo un Carlo Verdone alla
prese con il sesso a pagamento a San Pietroburgo.
Ora, al di là delle scelte del regista, ci
si aspettava qualcosa di più; l’italiano all’estero è praticamente la “bengodi cinematografica” di un autore di commedia che
non può e non deve ripiegare nei banali
cliché da cinepanettone come, ad esempio, l’uomo affetto da priapismo indomito
in trasferta, perché al cinema, quello di
evasione, non si richiede certo un sostrato di intelletualismo comprensibile solo a
una schiera di prescelti, ma neanche uno
strombazzare di volgarità becero e insensato. L’ideale è una via di mezzo che si
chiama cinema brillante e che il nostro
Paese, tranne rari esempi, non è più capace di produrre.
Non basta strizzare l’occhio a Sordi,
c’è bisogno di energia fresca che si traduca in pellicole che valgano la pena di essere viste.
Questa faciloneria cinematografica,
inoltre, non fa bene neanche agli attori,
perché non si può certo dire che Castellitto non sappia recitare, anzi, dimostra sempre un talento camaleontico che non si può
che apprezzare anche in questa pellicola;
o Verdone, ormai un simbolo, una masche-
Film
ra nazionalpopolare quasi intoccabile. Ma
qui vengono penalizzati, poiché manca
quel “quid” che fa la differenza e che non è
certo imputabile a loro.
Italians, insomma, non convince e, ad
Tutti i film della stagione
aggravare la situazione, ci si mettono pure
i due finali smielati che danno il contentino morale a quelli che credono che la cafoneria- nel migliore dei casi- si possa compensare con “un cuore grande”.
Una nota di merito, invece, va data a
chi ha montato il trailer: in assoluto la cosa
migliore del film!
Francesca Piano
ULTIMATUM ALLA TERRA
(The Day The Earth Stood Still)
Stati Uniti/Canada/Australia, 2008
Supervisori effetti visivi: Williams Mesa (Flash Film Works),
Kevin Rafferty, R. Christopher White (Weta Digital), Benjamin
Seide (Elektofilm), Jeffrey A. Okun
Coordinatori effetti visivi: Daniel Chavez (Hydraulx), Andrea Goodson (Flash Film Works), Scott Puckett, Romulo
Adriano Jr.
Interpreti: Keanu Reeves (Klaatu), Jennifer Connely (Dr. Helen Benson), Kathy Bates (Segretario Difesa Regina Jackson),
Jaden Smith (Jacob Benson), John Cleese (Prof. Barnhardt),
Jon Hamm (Michael Granier), Kyle Chandler (John Driscoll),
Robert Knepper (colonnello), James Hong (Mr. Wu), John
Rothman (Dr. Myron), Sunita Prasad (Rouhani), Juan Riedinger (William Kwan), Sam Gilroy (Tom), Tanya Champoux (Isabel), Rukiya Bernard (studentessa), David Lewis (poliziotto in
borghese), Lloyd Adams (agente che guida), Mousa Kraish
(Yusef), J.C. Mackenzie (Grossman), Kurt Max Runte (ingegnere civile), Daniel Bacon (Winslow), Richard Keats, Bill
Mondy, Judith Maxie (scienziato in elicottero), Reese Alexander (sergente), Serge Houde, Lorena Gale (scienziati), Stefanie Samuels (guardia), Richard Tillman (sergente dell’esercito), George Shaperson (poliziotto), Roger R. Cross (Generale
Quinn), Heather Doerksen (assistente di Regina), Alisen Down
Durata: 104’
Metri: 2810
Regia: Scott Derrickson
Produzione: Paul Harris Boardman, Gregory Goodman, Erwin
Stoff per 3 Arts Entertainment/Earth Canada Productions/
Twentieth Century-Fox Film Corporation
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Prima: (Roma 12-12-2008; Milano 12-12-2008)
Soggetto: dalla sceneggiatura di Edward H. North del film del
1951 diretto da Robert Wise
Sceneggiatura: David Scarpa
Direttore della fotografia: David Tattersall
Montaggio: Wayne Wahrman
Musiche: Tyler Bates
Scenografia: David Brisbin
Costumi: Tish Monaghan
Direttori di produzione: Juliette Davis, Scott Thaler
Casting: Heike Brandstatter, Mindy Marin, Coreen Mayrs
Aiuti regista: Pete Whyte, Matthew D. Smith, Robert Rogers,
Chad Belair
Operatore: Stephen S. Campanelli
Art director: Don Macaulay
Arredatore: Elizabeth Wilcox
Trucco: Jill Bailey, Allan A. Apone, Francisco X. Pérez
Acconciature: Susan Boyd
Effetti speciali trucco: Kyla-Rose Tremblay, Chad Washman
L
a giovane scienziata Helen Benson viene chiamata dalla polizia
federale per una missione segretissima: monitorare, insieme ad altri colleghi, un meteorite che sta per schiantarsi
su New York.
Con grande stupore di tutti, al momento
dell’impatto, l’oggetto volante atterra dolcemente su Central Park e si dimostra essere un’astronave da cui fuoriesce un alieno.
Tutta la polizia è schierata con le armi
puntate. Da una pistola fuoriesce un proiettile che colpisce l’alieno prontamente
ricoverato in una struttura militare.
Durante il processo di guarigione lo
strano essere prende forma umana, dice di
chiamarsi Klaatu e di avere un messaggio
importante per l’incolumità degli abitanti
della Terra.
La sottosegretaria del Presidente, però,
sottovaluta le parole dell’alieno e lo fa
portare nei laboratori per studiarne la
struttura molecolare.
Qui Klaatu incontra Helen che subito
si dimostra disponibile ad ascoltarlo.
L’alieno le rivela che la Terra sarà presto
distrutta a meno che gli uomini non cambino condotta e che sarà proprio lui a dare
inizio alla catastrofe se non verrà ascoltato dai capi delle nazioni.
Helen sentito questo parla immediatamente con la sottosegretaria, ma lei minimizza ulteriormente il problema, scatenando le ire di Klaatu che evade ed inizia a
compiere, aiutato dall’automa Gort, una
mattanza,
La città di New York è semidistrutta. Il
panico è ovunque.
Klaatu, a però ha bisogno di un farmaco e contatta Helen. La donna insieme
al figlio corre in suo aiuto e cerca di capire il perché di tanta cattiveria.
L’alieno le spiega che la Terra, per
colpa dell’uomo, sta morendo e che per
salvarla bisogna che quest’ultimo muoia
perché non c’è niente di buono in lui.
Helen, mentre tutto intorno viene assalito da insetti demolitori, cerca di fargli capire
che anche l’uomo ha degli aspetti positivi e
che bisogna concedergli una possibilità.
Klaatu è irremovibile, porterà a termine il suo piano.
6
A un certo punto, però, ascolta un discorso fra Helen e suo figlio e ne rimane
colpito. Convinto che forse c’è ancora speranza per gli umani ritira lo sciame devastatore e lascia la Terra.
G
li amanti della fantascienza, o più
in generale del buon cinema, sicuramente ricorderanno quel piccolo gioiellino firmato Robert Wise che è
Ultimatum alla Terra.
Erano gli anni ’50 e il pericolo più grande, lo dimostrano le tante pellicole in proposito, era un attacco nucleare da parte di
uno dei due blocchi costituitisi dopo la
Seconda Guerra Mondiale. In questo film,
con un garbato buonismo, un alieno invitava la Terra a cambiare regime se non
voleva vedere distrutta la razza umana.
Una pellicola a sfondo pacifista, come
molti ricordano, che una certa critica, purtroppo, tende a snobbare considerandola
di serie B e piena di imperfezioni narrative. Pareri discordanti a parte, vale la pena
di vederla.
Stesso consiglio non si può dare, in-
Film
vece, per l’omonimo remake di Scott Derrickson.
Al di là del (bel) messaggio ecologista
che ha sostituito la Guerra Fredda e dell’ottima recitazione di Jennifer Connelly,
Kathy Bathes e Keanu Reeves il film è veramente desolante. Addirittura soporiferoed è un film pieno di effetti speciali- in molti
momenti!
Mettere a paragone il vecchio con il
nuovo è un’operazione ridicola e non conviene neanche perderci del tempo, però,
è interessante analizzare alcuni aspetti di
Ultimatum alla Terra 2008, perché, se non
funzionali al film, sicuramente ottimi indicatori di uno “stato d’animo” generale.
Tutti i film della stagione
Ciò che colpisce maggiormente lo spettatore attento è il bambino, interpretato dal
piccolo Smith junior, un concentrato di tutto
ciò che c’è di brutto nell’animo umano.
Dalla sua bocca, infatti, inopinatamente
escono parole tipo “uccidere, ammazzare
il nemico”, ed escono quasi prive del loro
significato come se “l’altro”, lo “sconosciuto” fosse, a prescindere, da eliminare.
Come in un grande videogioco dove tutto
è finto, dove basta premere pausa riposarsi
e ricominciare.
Il bambino parla con l’alieno, ma non
chiede spiegazioni, accusa convinto di
sapere già tutto, convinto di essere nel giusto. Come la sottosegretaria di Stato tron-
fia nel suo piccolo potere, in quella presunzione prometeica che da sempre ha
relegato la razza umana a ingranaggio
guasto dell’ecosistema.
Neanche l’alieno, però, in questa carrellata di personaggi meschini riesce a
galleggiare. Cattivo e spietato, quasi robotico, ricorda pericolosamente quegli umani che tanto disprezza, specialmente quando cerca di “diffondere”, costi quel che costi, le sue idee. È violento, uccide indiscriminatamente, salvo poi commuoversi, ritirarsi e lasciare dietro di sé solo distruzione. O vita, dipende dai punti di vista.
Francesca Piano
REVOLUTIONARY ROAD
(Revolutionary Road)
Stati Uniti/Gran Bretagna, 2008
Regia: Sam Mendes
Produzione: Bobby Cohen, Karen Gehres, John Hart, Sam
Mendes, Scott Rudin per DreamWorks SKG/BBC Films/Evamere Entertainment/Neal Street Productions/Goldcrest Pictures/Scott Rudin Productions
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Richard Yates
Sceneggiatura: Justin Haythe
Direttore della fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Tariq Anwar
Musiche: Thomas Newman
Scenografia: Kristi Zea
Costumi: Albert Wolsky, Sandi Figueroa
Produttori esecutivi: Henry Fernaine, Marion Rosenberg,
David M. Thompson
Co-produttore: Gina Amoroso
Direttore di produzione: Ann Ruark
Casting: Ellen Lewis, Debra Zane
Aiuti regista: Joseph P. Reidy, John Silvestri, Christian Vendetti, Amy Lauritsen
Operatore steadicam: Maceo Bishop
Art directors: Teresa Carriker-Thayer, John Kasarda, Nicholas lundy
Arredatore: Debra Schutt
Trucco: Michelle Paris, Linda Melazzo, Carla Antonino, Sian
Grigg, Scott Hersh
A
pril e Frank Wheeler sono una
giovane coppia che abita nel
quartiere residenziale di Revolutionary Road. Si amano molto e si sentono
diversi dall’ambiente borghese e perbenista
che li circonda. Ben presto però ogni loro
sogno di felicità imperitura viene fagocitato
da una quotidianità stressante e opprimente.
April è costretta ad abbandonare ogni
velleità artistica in favore di una vita da
casalinga e Frank è imprigionato in un
lavoro insoddisfacente e noioso.
La vita di coppia ne risente, le litigate
Acconciature: Alan D’Angerio, Thom GonzalesAnita Roganovic
Coordinatore effetti speciali: John Stifanich
Supervisore effetti visivi: Randall Balsmeyer
Supervisore musiche: Randall Poster
Supervisore costumi: Gail A. Fitzgibbons
Coreografie: Cynthia Onrubia
Interpreti: Leonardo Di Caprio (Frank Wheeler), Kate Winslet
(April Wheeler), Michael Shannon (John Givings), Ryan Simpkins (Jennifer Wheeler), Ty Simpkins (Michael Wheeler), Kathy
Bates (Signora Helen Givings), Richard Easton (Signor Howard
Givings), Sam Rosen, Maria Rusolo, Gena Oppenheim, Kathryn Dunn, Allison Twyford, Jonathan Roumie, Samantha
Soule, Heidi Armbruster, Neal Bledsoe, Marin Ireland, Christopher fitzgerald (ospiti della festa), David Harbour (Shep
Campbell), John Ottavino, Adam Mucci, Jo Twiss, Frank Girardeau (attori), Catherine Curtin (donna del pubblico), Kathryn Hahn (Milly Campbell), Zoe Kazan (Maureen Grube),
Dan Da Silva (Knox, addetto all’ascensore), Dylan Baker (Jack
Ordway), Keith Reddin (Ted Bandy), Max Casella (Ed Small),
Max Baker (Vince Lathrop), Jay O. Sanders (Bart Pollack),
Chandler Vinton (receptionist Knox), Duffy Jackson (Steve
Kovac), Kristen Connolly (Signora Brace), John Behlmann
(Signor Brace)
Durata: 119’
Metri: 3100
si fanno ogni giorno più accese tanto che
Frank, per evadere, inizia una relazione
clandestina con la sua segretaria e April a
perdere il gusto per la vita.
Tutto questo fino a quando lei ha
un’idea: mollare tutto e partire per la Francia, dove, insieme alla famiglia, ricominciare tutto da capo.
Frank è entusiasta all’idea. Tutto sembra ritornato come un tempo fino a quando un giorno gli viene proposto un avanzamento di carriera in ufficio con uno stipendio molto alto. L’uomo va in crisi, non
7
sa cosa fare. La risposta, però, arriva involontariamente dalla moglie che gli comunica di essere incinta.
Considerata la nuova situazione, Frank
dice alla moglie che non partiranno e che
rimarranno a Revolutionary Road. April è
furibonda e inizia a manifestare degli strani
disturbi. Ogni sua speranza di cambiare
vita è infranta e butta questa sua frustrazione sul marito. Le litigate si susseguono
fino a che un giorno tutto apparentemente
torna tranquillo. April ha trovato la soluzione dei suoi problemi.
Film
Dopo aver salutato affettuosamente i
bambini e Frank si dirige lentamente in
bagno e si procura un aborto. Qualcosa
va storto. Inizia a perdere molto sangue e,
nonostante il ricovero in ospedale, muore
fra la disperazione del marito.
L
i avevamo lasciati alla latitudine
41°Nord, mentre la morte distruggeva ogni promessa e l’oceano
gelava ogni speranza, con la certezza, però,
che qualcosa sarebbe sopravvissuto, che
una parte avrebbe meritato l’eterno.
Li ritroviamo oggi, più adulti, in Revolutionary Road contornati da una bella
casetta bianca e due bambini, quasi a soddisfare la voglia ossessiva di chi, per undici anni, si è immaginato un futuro matrimoniale per gli sfortunati Jack e Rose.
Ma, attenzione, la coppia che vive nella “strada rivoluzionaria” non è la stessa
che si abbracciava sulla prua di Titanic,
Frank e April sono diversi, normali e maledettamente veri.
Come tante altre coppie si conoscono a
una festa, lui fa una battuta lei sorride, poi
qualche uscita, il fidanzamento, il matrimonio e l’ingenua speranza di essere “speciali”, di non poter essere mai risucchiati dal
perbenismo della provincia, dai meccanismi
di una società borghese che imprigiona.
Frank e April si sentono liberi, non vedono ostacoli alla loro corsa verso la felicità, una felicità da ottenere a ogni costo.
Non pensano al denaro, ma alla realizzazione della propria identità e ci credono
fino a quando tutto cambia, lentamente
inesorabilmente.
Questa volta, però, non ci sono iceberg, classi sociali o fato a distruggere la
loro unione, ma qualcosa di molto, molto
più pericoloso: la realtà.
Tutti i film della stagione
L’ultimo lavoro di Sam Mendes Revolutionary Road , tratto dal romanzo omonimo di Richard Yates, racconta proprio questo: l’autopsia, meticolosa, lacerante dell’amore di un uomo e una donna incarnati
dalla coppia Leonardo Di Caprio e Kate
Winslet, ancora una volta insieme dopo il
kolossal di James Cameron, Titanic.
Parlare di questo film è estremamente
difficile. Lo è lo stesso “parlare” dopo averlo
visto. È una di quelle pellicole che riesce a
toccare non solo i sentimenti, ma anche i
nervi dello spettatore, quelli protetti, quelli
nascosti, quelli che fanno più male.
Questo perché Mendes è riuscito a
mettere a nudo, in maniera esasperatamente realistica, la crisi della coppia senza banalizzarla, evitando di creare una situazione straordinaria sopra le righe per
giustificarla.
Il dramma è lì, presente, vicino, è l’insoddisfazione nello scoprire che tutto ciò
che si sognava era un bluff.
Frank lo comprende prima e, in qualche modo, si adatta a una vita banale, diventando lui stesso un mediocre. April, invece, non vuole, non può accettare che la
sua trascorra così. È nervosa, isterica, scostante fino all’incomprensibile, fino a quando non decide che è ora di cambiare. E
allora la Francia, un Paese sconosciuto,
diventa per lei, la meta da raggiungere, il
luogo sacro dove ricominciare.
April prende da sola questa decisione, nel silenzio di una casa vuota diventata prigione, Frank, però, la appoggia.
Difficile comprendere la sua scelta. Il
regista fa intuire che anche l’uomo avesse
voglia di cambiare, ma una voglia superficiale che, infatti, sembra spegnersi appena si profila un avanzamento di carriera.
Frank pare quasi voler solo assecondare
la moglie per un momento, concederle
qualche giorno di illusione. Perché è lei che
organizza tutto, il marito è solo spettatore
dell’euforia della donna e beneficiario di
tutto ciò che ne scaturisce, tra cui la rinnovata passione.
April, ormai soddisfatta nei suoi intenti, infatti, riscopre l’amore per il marito. Tutta la frustrazione, esauditi i suoi desideri,
scompare per lasciare spazio a un erotismo assopito.
Poi, però, accade qualcosa, una gravidanza inattesa accolta da Frank come
una conferma, mentre da sua moglie come
un ostacolo. Gli equilibri sono definitamente distrutti. Il baratro ha iniziato ad inghiottirli. Ma, mentre l’uomo cerca disperatamente di aggrapparsi alla realtà, di ricostruire, di capire (forse troppo tardi), April
si lascia trasportare da una pazzia che la
avvolge, la domina fino a riconsegnarcela
in un ultimo atto drammatico e crudele.
Chi ha ragione? Chi ha sbagliato? Impossibile dirlo. In un primo momento, forse,
tutta l’empatia va ad April, impeccabile nel
suo ruolo di madre e moglie, mentre a Frank,
con i suoi modi da playboy da due soldi e la
sua scialba amante, resta solo il biasimo. Poi,
però, quando la delusione della donna diventa odio distruttore che il marito, pur sforzandosi, non riesce a contenere, risulta difficile prendere una posizione netta. Frank è
un debole, un mediocre, si era detto, ma nel
prosieguo del film acquista spessore, perché riesce ad andare oltre gli egoismi personali in favore del benessere della moglie,
ormai, però, irrecuperabile.
Sam Mendes dipinge tutto questo in
maniera accurata, nella morbosa ricerca
del dettaglio in un’America anni ’50, ricostruita come in un carosello sbiadito. Non
racconta, lascia parlare, parlare i suoi personaggi fino a quando i sussurri diventano urla e le urla lacrime.
Kate Winslet e Leonardo Di Caprio, nei
panni dei coniugi April e Frank Wheeler,
regalano agli spettatori una performance
memorabile. Nei loro volti è scolpito tutto il
dolore della vicenda, le loro viscere e la
loro carne sono completamente a servizio
degli alter ego cinematografici tanto che a
volte si ha l’impressione che, quasi, ne siano posseduti.
Revolutionary Road è, in conclusione,
una pellicola ineccepibile sotto ogni profilo che riuscirebbe a mantenere tiepido solo
il giudizio di chi non ha mai avuto, nemmeno da giovane, la speranza di non farsi
“modellare”, il sogno di un amore vero, o
l’illusione di cambiare il mondo. Di chi, insomma, ha avuto paura di vivere.
Francesca Piano
8
Film
Tutti i film della stagione
RACHEL STA PER SPOSARSI
(Rachel Getting Married)
Stati Uniti, 2008
Regia: Jonathan Demme
Produzione: Neda Armian, Marc E. Platt per Clinica Estetico/
Marc Platt Productions
Distribuzione: Sony Pictures Releasing
Prima: (Roma 21-11-2008; Milano 21-11-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Jenny Lumet
Direttore della fotografia: Declan Quinn
Montaggio: Tim Squyres
Musiche: Donald Harrison Jr., Zafer Tawil
Scenografia: Ford Wheeler
Costumi: Susan Lyall
Produttori esecutivi: Carol Cuddy, Ilona Herzberg
Produttori associati: Elizabeth Hayes, Innbo Shim, Jared
Yeater
Direttore di produzione: Carol Cuddy
Casting: Tiffany Little Canfield, Bernard Telsey
Aiuti regista: H.H. Cooper, Nate Grubb, Jennifer Truelove
Operatore: Gerard SAva
Art director: Kim Jennings
Arredatore: Chryss Hionis
Trucco: Louise McCarthy, Evelyne Noraz, James Sarzotti
K
ym esce da un centro di riabilitazione per malati psichici per recarsi al matrimonio della sorella
Rachel.
Arrivata a casa, viene accolta benevolmente da parenti e amici tutti presi dai preparativi per le imminenti nozze.
Kym, però, è insofferente, vorrebbe quell’attenzione che tutti dedicano alla sorella.
Per riportare i riflettori su di lei, allora,
inizia a straparlare e a raccontare a chiunque i suoi drammi. In particolare uno che ha
segnato la vita di tutta la famiglia, la morte
accidentale del fratellino per mano sua.
La famiglia, e in particolare Rachel, è
turbata dal ricordo del dramma vissuto e
ciò scatena una serie di accuse e insulti,
che portano Kym a scappare di casa la sera
prima del matrimonio.
La ragazza si rifugia dalla madre, ma
anche lì non riesce a tenere a freno la sua
esuberanza e in un impeto di rabbia, la
picchia; poi prende la macchina e va a
schiantarsi in un dirupo.
Fortunatamente viene trovata, con solo
qualche livido, dalla polizia che la riporta
a casa in tempo per le nozze.
Rachel viste le condizioni della sorella
si commuove ed inizia a lavarla e truccarla per la cerimonia.
Il matrimonio è un successo, tutti sembrano stare bene inclusa Kym che non ha
eccessi psicotici.
Il giorno dopo tutti si salutano e serenamente Kym torna in riabilitazione.
Acconciature: Frank Barbosa, Alan D’Angerio
Effetti speciali trucco: Sunday Englis
Supervisori effetti visivi: Eric J. Robertson
Interpreti: Anne Hathaway (Kym), Rosemarie DeWitt (Rachel), Mather Zickel (Kieran), Bill Irwin (Paul), Anna Deavere
Smith (Carol), Anisa George (Emma), Tunde Adebimpe (Sidney), Debra Winger (Abby), Jerome Le Page (Andrew), Beau
Sia (Norman Sklear), Dorian Missick (Dorian Lovejoi), Kyrah
Julian (sorella di Sidney), Carol Jean Lewis (madre di Sidney), Herreast Harrison (nonna di Sidney), Gonzales Joseph (cugino di Sidney), Paul Lazar (Al), Donald Harrison Jr.,
Fab 5 Freddy (se stessi), Robert W. Castle (giudice Castle),
Tareq Abboushi, Johnny Farraj, Gaida Hinnawj, Dimitrios
Mikelis, Amir El Saffar (musicisti), Christy Pusz (amica di
famiglia), Molly Hickok (Molly), Maria Dizzia (giovane cliente
alla moda), Josephine Demme (vicina di casa), Marin Ireland (Angela Paylin), Elizabeth Hayes (Susanna), Roger
Corman (ospite matrimonio) Jimmy Joe Roche, Big Jim
Wheeler
Durata: 114’
Metri: 2985
P
assato in sordina al Festival di Venezia e snobbato al botteghino,
Rachel sta per sposarsi merita,
invece, più di qualche apprezzamento perché rappresenta un riuscito esempio di cinema che va “oltre”. Oltre il semplice intrattenimento, oltre l’emozione fagocitata
e digerita, oltre gli stereotipi, ma ferocemente attaccato alla realtà.
Jonathan Demme, il regista, non ha
voluto fare un film. Ha preferito fingersi un
anonimo invitato che, con una videocamera a mano, ha raccontato l’evolversi di una
vicenda familiare durante i preparativi per
le nozze. Con una cinepresa piccola, infatti, ci si può insinuare negli angoli, nascondersi dentro un armadio e non essere visti mentre si ascoltano confessioni o
si rubano momenti di intimità domestica.
Demme ha preferito che la sua mano
tremasse, che le riprese ogni tanto fossero ballerine per regalare al suo pubblico
questi frammenti di emozioni.
Dunque, la scelta che doveva penalizzare il film, ne diventa il suo punto di forza,
di energia pulsante. In fondo, come si poteva raccontare il dramma di Kym se non in
punta dei piedi? Sì, Kym, perché la Rachel
del titolo, è “solo” la sorella che si sposa, è
solo il pretesto per uscire due giorni da un
centro di recupero e richiedere attenzione.
A Kym, una straordinaria Anne Hathaway, non importa, infatti, che tutti, amici e parenti, siano a casa sua per festeggiare la sorella. A lei non importa di rovi-
9
nare tutto, vuole violentemente essere “vista”, compresa, perdonata. Non lascia
scampo neanche allo spettatore a cui chiede costantemente clemenza. Vuole spiegare, far comprendere la malattia mentale, renderla familiare, anche a chi come
Rachel, la studia su fredde pagine di un
compedio di psichiatria. Ma non solo, chiede affetto, si rifiuta di concederlo colpevolizzando il prossimo in un sottile ricatto
psicologico che vede come unica vittima il
padre, un uomo fragile e immensamente
innamorato delle figlia.
Sua madre e sua sorella, invece, frustrano ogni suo tentativo di isteria e, paradossalmente, rispetto al padre, le concedono quella dignità acquisita dopo mesi di
riabilitazione, così lontana, però, dal perdono sperato per aver causato la morte
del fratellino.
Questo il tema centrale del racconto, il
detonatore di sentimenti che la garbata sceneggiatura di Jenny Lumet, illustra in un crescendo di tensione che porta alla domanda: si può amare tanto una persona e allo
stesso tempo odiarla profondamente?
Demme non ci offre una risposta, ma
un ventaglio di proposte tra cui scegliere
quella più affine, mentre l’orchestrina ignara suona e i restanti invitati ballano e cantano su ritmi esotici, quasi a ricordare che
la felicità va condivisa, mentre il dolore è
un fardello da portare da soli.
Francesca Piano
Film
Tutti i film della stagione
OPERAZIONE VALCHIRIA
(Valkyrie)
Stati Uniti/Germania, 2008
dt, Don Rutherford, Elizabeth Villamarin, Richard Wetzel, Randy Westgate
Acconciature: Ailbhe Lemass, Lucia Mace, Sarah Monzani,
Yasmin Iqbal
Supervisore effetti speciali: Allen Hall
Coordinatori effetti speciali: Kevin Hannigan, Andy Weder
Coordinatori effetti visivi: Kevin Noel (SPI), Debora Neumann
Supervisori costumi: Dulcie Scott, Richard Olaf Zintel, Pamela Wise
Interpreti: Tom Cruise (Colonnello Claus von Stauffenberg), Kenneth Branagh (Maggiore Generale Henning von Tresckow), Bill
Nighy (Generale Friedrich Olbricht), Tom Wilkinson (Generale
Friedrich Fromm), Carice van Houten (Nina von Stauffenberg),
Thomas Kretschmann (Maggiore Otto Ernst Remer), Terence
Stamp (Ludwig Beck), Eddie Izzard (Generale Erich Fellgiebel),
Kevin McNally (Dottor Carl Goerdeler), Christian Berkel (Colonnello Mertz von Quirnheim), Andy Gatjen (Ufficiale SS), Jamie
Parker (Luogotenente Werner von Haeften), David Bamber (Adolf
Hitler), Tom Hollander (Colonnello Heinz Brandt), David Schofield (Erwin von Witzleben), Kenneth Cranham (Wilhelm Keitel),
Halina Reijn (Margarethe von Oven), Werner Daehn (Maggiore
Ernst John von Freyend), Harvey Freidman (Dottor Joseph Goebbels), Matthias Schweighofer (luogotenente Herber), Waldemar Kopbus (capo della polizia Wolf-Heinrich von Helldorf), Florian Panzner (2° luogotenente Hagen), Ian McNeice (Generale),
Danny Webb (Capitano Haans), Chris Larkin (Sergente Helm),
Matthew Burton (Luogotenente-generale Adolf Heusinger), Philipp von Schulthess (assistente di Tresckow), Wotan Wilke Mohring
(Sergente Kolbe), Christian Oliver (Sergente-Maggiore Adam),
Bernard Hill, Julian Morris (Generali), Helmut Stauss (dr. Roland
Freisler), Tim Williams (dottore), Karl Alexander Seidel (Franz
von Stauffenberg)
Durata: 121’
Metri: 3460
Regia: Bryan Singer
Produzione: Gilbert Adler, Christopher McQuarrie, Bryan Singer per United Artists/Achte Babelsberg Film/Bad Hat Harry
Productions/Sessions Payroll Management
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Christopher McQuarrie, Nathan
Alexander
Direttore della fotografia: Newton Thomas Sigel
Montaggio: John Ottman
Musiche: John Ottman
Scenografia: Lilly Kilvert, Patrick Lumb
Costumi: Joanna Johnston
Produttori esecutivi: Tom Cruise, Ken Kamins, Chris Lee,
Puala Wagner
Co-produttori: Nathan Alexander, Lee Cleary, Henning Molfenter, Jeffrey Wetzel, Charlie Woebcken
Direttori di produzione: Chris Brock, Oliver Luer, Chrisann
Verges
Casting: Roger Mussenden
Aiuti regista: Lee Cleary, Jeffrey Wetzel, Jesse Allen, David Arnold, Basia Baumann, Nicolai Bode, Ola Czarniecka,
Sabina Franke, Christoph Joecker, Marissa Kaplan, T. Sonny Klawitter, Sabrina Kunert, Anja Lill, Caitlin Pickall, Jim
Probyn, Sharon Ryba-Kahn, Oneil Sharma, Manuel Siebert,
Matthew D. Smith, Peter Soldo, Richard von Groeling, Patrick Winkler
Operatore/Operatore steadicam: P. Scott Sakamoto
Supervisori art direction: Keith Pain, Ralf Schreck, John Warnke
Art directors: Jan Jericho, John B. Josselyn, Cornelia Ott, Su
Whitaker
Arredatore: Bernhard Henrich
Trucco: Ailbhe Lemass, Sarah Monzani, Bill Corso, Leslie Devlin, Ed French, Camille Henderson, Yasmin Iqbal, Mike
Mekash, Myke Michaels, Mareike Maya Mietke, Ned Neidhar-
I
l Colonnello Claus Von Stauffenberg, soldato leale dell’esercito
tedesco è sempre riuscito a stento a controllare la sua netta opposizione
alla follia hitleriana e alle persecuzioni
razziali. Il grave ferimento subito (perde
la mano destra, l’occhio sinistro e due dita
della mano sinistra) durante un bombardamento del fronte nordafricano lo costringe a rientrare a Berlino come comandante
della riserva. Può così contattare i generali Von Tresckow, Olbricht e Beck, di cui
conosceva le convinzioni antihitleriane, per
realizzare finalmente l’obiettivo sognato da
numerosi alti ufficiali della Wermacht e da
esponenti dell’aristocrazia: eliminare Hitler e tutta l’oligarchia nazista, il colpo di
stato, la Germania di nuovo libera e lontana dagli orrori. La preparazione dell’attentato va così avanti tra certezze, dubbi e
imprevisti (Von Tresckow trasferito inaspettatamente sul fronte orientale); non solo, i
congiurati decidono di servirsi del pro-
gramma di emergenza che proprio Hitler
aveva predisposto per l’eventualità che
fosse morto: l’Operazione Valkiria.
La prima parte sembra riuscire: il 20
Luglio 1944 durante la riunione del Consiglio di Guerra nella Tana del Lupo, lo
stesso Von Stauffenberg piazza una borsa
con dell’esplosivo a tempo sotto il tavolo
delle riunioni; dopo qualche minuto la
bomba fa il suo dovere, l’esplosione è grande, la costruzione è distrutta, non possono
esserci dubbi sull’esito dell’attentato. Von
Stauffenberg torna a Berlino e dà il via alla
seconda parte del piano: Olbricht si sostituisce all’equivoco generale Fromm per
dare gli ordini cifrati dell’Operazione
Valkiria. Il reggimento motorizzato di stanza nella capitale entra in azione; gli alti
comandi delle SS sono arrestati, le stazioni militari cadono una dopo l’altra in mano
ai ribelli. Quando tutto sembra volgere al
meglio succede qualcosa di incredibile: al
comandante delle truppe Valkiria in pro10
cinto di arrestarlo, Joseph Goebbels passa un telefono; all’altro capo del filo c’è
Hitler in persona, è vivo, sta bene ed è ancora al comando, impartisce gli ordini affinché tutti i congiurati siano arrestati e
consegnati vivi.
La notizia che il Führer è scampato
ancora una volta a chi lo voleva morto, fa
in un secondo il giro della città; sono tagliate le linee telefoniche del quartier generale della congiura che così si affloscia
di colpo. Il generale Fromm, la cui ambiguità aveva forse fatto illudere, prende in
mano la situazione e preferisce far piazza
pulita, mandando subito i congiurati davanti al plotone d’esecuzione (anche lui,
però, sarà fucilato qualche mese dopo).
Von Stauffenberg muore augurando lunga
vita alla santa Germania.
L
a storia vera dell’ultimo attentato
a Hitler (anche se i particolari
sono, ancora oggi, sconosciuti e
Film
non si sa come le cose siano andate sul
serio) ha interessato a tal punto Tom Cruise e il suo gruppo realizzativo da farne un
film e da sopportare stoicamente gli infortuni, i sinistri, i guai accaduti durante la
lavorazione e le problematiche distributive del dopo: in seguito ai primi saggi di
proiezione in America la pellicola è stata
stroncata (Cruise considerato finito) e successivamente tagliata, rimontata e confezionata di nuovo per l’uscita in Europa. Il
film che si presenta ora per lo spettatore
italiano ci sembra diviso nettamente in due
parti molto diverse l’una dall’altra. La prima, la preparazione del complotto, è piuttosto noiosa e statica, basata del tutto sugli incontri e i dialoghi tra i personaggi. La
seconda, articolata in uno splendido montaggio e accompagnata da una musica di
gran livello (non è un caso che per entrambi
sia accreditato lo stesso autore, John Ottman), diventa avvincente, serrata come un
thriller, nonostante rappresenti un fatto di
cui tutti conosciamo la conclusione. Nella
cura dell’ambientazione scenografica e dei
costumi, i pezzi, le sequenze, i momenti di
cinema ben fatto sono più d’uno: l’alternanza di notizie e la frammentarietà delle prove che illudono dapprima i congiurati e man
mano lasciano il campo allo sgomento è
davvero magistrale; bene rispondono gli
Tutti i film della stagione
attori a cominciare da Cruise, la cui comprensione, un passo dopo l’altro, del disastro a cui sta andando incontro, il fallimento di un’idea, il suo Paese ancora nella vergogna, la sua famiglia amatissima che non
rivedrà più, è umanamente e professionalmente toccante. Interessante risulta il quadro, forse inaspettato in un film sbrigativamente accolto e discusso che descrive con
la stessa forza e senza giudizio le reazioni
di entrambe le parti: sia coloro che appoggiano il complotto e alla fine sono spazzati via dal fallimento, sia coloro che sono
dalla parte del Führer e alla fine risultano
vincitori, esprimono le stesse sensazioni,
comuni, normali, misere e sublimi, come
misera e sublime è la vita di ogni essere
umano.
Fabrizio Moresco
STAR WARS - LA GUERRA DEI CLONI
(Star Wars: The Clone Wars)
Stati Uniti, 2008
Storyboard: Steward Lee, Justin Ridge
Voci: Matt Lanter (Anakin Skywalker), Ashley Eckstein (Ahsoka Tano), James Arnold Taylor (Obi-Wan Kenobi), Dee
Bradley Baker (soldato clone/Capitano Rex/Cody), Tom
Kane (Yoda/Narratore/Ammiraglio Yularen), Nika Futterman
(Asajj Ventress), Ian Abercrombie (Cancelliere Palpatine/
Darth Sidious), Corey Burton (Generale Loathsom/Ziro the
Hutt/Kronos-327), Chaterine Taber (Padme Amidala), Matthew Wood (droide da combattimento), Kevin Michael Richardson (Jabba), David Acord (Rotta), Samuel L. Jackson
(Mace Windu), Anthony Daniels (C-3PO), Christopher Lee
(Conte Dooku)
Durata: 98’
Metri: 2600
Regia: Dave Filoni
Produzione: George Lucas, Catherine Winder per CGCG/Lucasfilm Animation/Lucasfilm
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Prima: (Roma 19-9-2008; Milano 19-9-2008)
Soggetto: George Lucas
Sceneggiatura: Henry Gilroy, Steven Melching, Scott Murphy
Montaggio: Jason Tucker
Musiche: Kevin Kiner
Produttore esecutivo: George Lucas
Produttore associato: Sarah Wall
Aiuto regista: Dave Bullock, George Samilski
Trucco: Aurora Bergere
Coordinatore effetti visivi: Tom Hendrickson
L
a guerra dei Cloni infiamma la
Repubblica Galattica. Un gruppo dei Separatisti della Confederazione dei Sistemi Indipendenti arriva sul
pianeta Tatooine e rapisce Rotta the Hutt,
il figlio del contrabbandiere Jabba the
Hutt. Quest’ultimo si rivolge alla Repubblica affinché lo aiutino a ritrovare il figlio. Frattanto, i Separatisti ingaggiano
battaglia contro l’esercito della Repubblica sul pianeta Christophsis, scontro che
viene vinto grazie all’intervento di ObiWan Kenobi e Anakin Skywalker. Mentre il
nemico si prepara a riattaccare giunge inaspettatamente la giovane Padawan Ahsoka Tano, mandata dal maestro Yoda con
discepola di Anakin, che si unisce a lui e
Obi-Wan riconquistando Christophsis.
11
Yoda spiega ai due Jedi che il rapimento
di Rotta fa parte del piano del Conte Dooku per convincere Jabba a passare dalla
loro parte in modo da poter sfruttare così
le sue rotte commerciali. Mentre Obi- Wan
si reca a Tatooine per rassicurare Jabba,
Anakin e Ahsoka vanno invece sul pianeta
Teth dove pare sia tenuto nascosto Rotta.
Arrivati sul pianeta, i due riescono a libe-
Film
rare il figlio di Jabba, ma vengono presi in
trappola dal Conte Dooku che vuole incolpare gli Jedi del rapimento così da allontanare Jabba e convincerlo ad allearsi
con i Separatisti. Aiutati da R2-D2, Anakin
e Ahsoka riescono a fuggire da Teh e a fare
ritorno su Tattoine per riportare Rotta dal
padre ma sono inseguiti ancora di droidi
di Dooku. Intanto su Coruscant, la senatrice Padmé Amidala cerca di convincere
Ziro the Hutt, zio di Jabba, a collaborare
con la Repubblica, ma questi rifiuta perché ritiene ci sia proprio la Repubblica
dietro il rapimento del nipote. Padmé scopre che invece è proprio Ziro il responsabile del rapimento, avendo complottato con
Dooku per togliere di mezzo Jabba e prendere lui il controllo del clan familiare e dei
suoi affari. La senatrice viene fatta prigioniera, ma riesce a scappare grazie all’aiuto
di C-3PO e a fare arrestare Ziro. Intanto
su Tatooine, Ahsoka riesce a riportare Rotta da Jabba, mentre Anakin si batte contro
Dooku. I piani dei Separatisti sono sventati ancora una volta, ma la guerra continua.
I
veri fan di Guerre Stellari faranno
meglio ad astenersi da Star Wars –
La guerra dei cloni: non sono loro i
diretti interessati, non sono loro il pubblico
Tutti i film della stagione
di riferimento. Il tema immortale di John
Williams riarrangiato da Kevin Kiner accompagna l’inizio del film, dal quale però
scompare l’altrettanto mitica a immortale
scritta a scorrimento “In una galassia lontana lontana”, sostituita da una voice over
di commento e introduzione. Lo scopo quasi dichiarato dell’ultima fatica di George
Lucas, produttore esecutivo, è di preparare il terreno e conquistare quella fascia di
pubblico che ancora non si è appassionata alla saga, cioè il pubblico infantile, sintonizzato sui canali di cartoni 24 ore su 24
e destinatario del nuovo merchandising
che già gremisce i negozi di giocattoli. Il
film infatti non è altro che una pura e semplice operazione di marketing per lanciare
la nuova serie animata ispirata ai personaggi e alle vicende della secondo trilogia, quella per intenderci che introduce l’infanzia, l’adolescenza e il passaggio al Lato
Oscuro della Forza del jedi Anakin
Skywalker, il futuro Dart Fener (o Darth
Vader). Cronologicamente il film in questione si pone a metà strada tra Star Wars
Episodio II – L’attacco dei Cloni e Star Wars
Episodio III – La vendetta dei Sith. Ma, al
di là di questo (Lucas è stato un pioniere
del merchandising e dei gadget, comunque tanto di cappello), Star Wars – The
Clone War non convince assolutamente
come film in sé e per sé. La trama è più
che mai un pretesto, con dialoghi banali e
colpi di scena insignificanti e l’introduzione di addirittura due nuovi personaggi femminili, la giovane apprendista jedi Ahsoka
Tano e Asajj Ventress, spietata agente del
Conte Dooku, non basta a portare novità
a cose già viste e riviste. Ma a parte la
sceneggiatura, quello che lascia perplessi è l’animazione, considerando soprattutto l’intervento della Light & Magic di George Lucas. Gli autori si sono ispirati all’animazione giapponese e alla serie televisiva anni ’60 Thunderbirds per dare nuova
vita animata ai personaggi in carne ed
ossa, evitando però programmaticamente
una resa eccessivamente realistica. Il risultato non convince del tutto, proprio a
causa di questa scelta che rende i personaggi umani statici, legnosi e troppo poco
inespressivi per poter dare peso a battute
tutto sommato mediocri. Le sequenze di
battaglia sono ben realizzate anche se non
paiono sfruttare del tutto il potenziale offerto dagli effetti speciali e dalla computer
grafica. Il tentativo di rinverdire il mito di
Guerre Stellari e rilanciarlo presso le nuove generazioni può dirsi, in definitiva, poco
riuscito.
Chiara Cecchini
LEZIONI DI FELICITÀ
(Odette Toulemonde)
Belgio/Francia, 2007
Produttori esecutivi: Genevieve Lemal, Alexandre Lippens,
Olivier Rausin
Suono: Philippe Vandendriessche
Effetti: Thomas Larocca, Lucie Bories
Interpreti: Catherine Frot (Odette Toulemonde), Albert Dupontel (Balthazar Balsan), Jacques Weber (Olaf Pims), Fabrice
Murgia (Rudy), Nina Drecq (Sue Ellen), Alain Doutey (l’editore), Camille Japy (Nadine), Julien Frison (François), Laurence
D’Amelio (Isabelle), Aissatou Diop (Florence), Philippe Gouders (M. Dargent), Nicolas Buysse (Polo), Bruno Metzger (Jésus), Erik Burke (Filip), Jacqueline Bir, Cindy Besson
Durata: 100’
Metri: 2600
Regia: Eric-Emmanuel Schmitt
Produzione: Gaspard De Chavagnac e Romain Le Grand e
Anne-Dominique Toussaint per Bel Ombre Films/Antigone
Cinema/Pathè Renn Production/TF1 Films
Distribuzione: Videa-CDE
Prima: (Roma 7-3-2008; Milano 7-3-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Eric-Emmanuel Schmitt
Direttore della fotografia: Carlo Varini
Montaggio: Philippe Bourgueil
Musiche: Nicola Piovani
Scenografia: François Chauvaud
Costumi: Corinne Jorry
O
dette Toulemonde lavora in un
centro commerciale in un piccolo paese della provincia belga. La
sua vita è apparentemente monotona, ma
lei riesce a cogliere la felicità nelle piccole cose e a sorreggere la famiglia nonostante una dolorosa vedovanza.
Ad aiutarla in questa impresa ci pensano i romanzi di Balthazar Balsan che le infondono il giusto ottimismo per affrontare
la vita. Odette ha, infatti, per quest’uomo
una forma di venerazione e il suo sogno più
grande è incontrarlo per ringraziarlo.
L’occasione arriva con il tour promozionale del nuovo libro che porta lo scrittore a Bruxelles. Odette si prende una pausa dal lavoro e corre a mettersi in fila in
libreria, ma, arrivato il suo turno, non riesce a dirgli neanche il suo nome. Tornata
a casa, allora, decide di scrivergli una lettera, in cui racconta quanto lui sia importante nella sua vita.
12
La missiva viene ignorata da Balthazar che, dopo aver scoperto che la moglie
lo tradisce con un critico, viene preso da
una terribile depressione e tenta il suicidio.
Fortunatamente si salva, ma nella stanza d’ospedale realizza che nessuno gli vuole veramente bene. Ritornato a casa ritrova per caso la lettera d Odette e, commosso per le sue parole, decide di andare a
vivere per un po’ da lei.
Film
La donna all’inizio è sorpresa, ma poi
accetta la strana proposta. Passano i giorni, la convivenza ridona ottimismo a Balthazar, tanto che propone a Odette di andare a letto con lui. Lei garbatamente rifiuta.
Vista la situazione l’uomo si vede costretto ad andare via e ritornare alla sua
normalità, ma non ci riesce e, insieme al
figlio, raggiunge Odette al mare dove sta
passando alcuni giorni di vacanza.
Lei lo accoglie con estrema affettuosità e insieme passano delle piacevoli giornate. Un giorno la donna fa una sorpresa
a Balthazar: gli fa trovare nel suo salotto
la moglie e il suo editore che lo convincono
a tornare a casa e alle sue vecchie occupazioni. Pochi minuti prima della partenza,
però, Odette ha un malore e viene ricoverata in terapia intensiva. Al suo risveglio, trova al capezzale Balthazar che le dichiara il
suo amore e le propone di passare il resto
della vita insieme. Odette avendo capito
che non è un capriccio accetta.
L
ezioni di felicità è un film delizioso, un po’ come una grossa e
colorata meringa che non sazia
la fame, ma regala per qualche minuto
un’esplosione glicemica che mette di buon
umore.
La pellicola non illustra miracolose ricette per rendere la vita favolosa, ma, più
semplicemente, racconta il mondo di Odette Toulemonde, una donna qualunque, ma
straordinariamente invidiabile perché nella sua quotidianità riesce e cogliere quegli
sprazzi di luce che le permettono di rialzarsi dopo ogni sgambetto di un destino
Tutti i film della stagione
che con lei non è stato particolarmente
galante, costringendola giovanissima a
una dolorosa vedovanza con in più due figli problematici da crescere.
Ciononostante tutto intorno a lei è leggero, come le piume che ogni notte cuce
sui vestiti delle ballerine per arrotondare il
magro stipendio da commessa; talmente
leggero che spesso riesce a volare grazie
anche ai romanzi del suo scrittore preferito Balthazar Balsan.
L’uomo, al contrario di Odette, è invece depresso, frustrato da critiche impietose e incapace di gestire, come accade per
molti artisti, serenamente il successo. Quale migliore cura allora se non conoscere
la donna che ha fatto della sua persona
l’oggetto di una adolescenziale idolatria?
Sull’incontro di questi due poli opposti,
il drammaturgo e scrittore Eric-Emmanuel
Schmitt ( già autore di Monsieur Ibrahim e i
fiori del Corano) costruisce una favoletta
sdolcinata, buonista, ma non mediocre che
esalta le “fantasticherie” elevandole a mezzo per combattere il dolore e, allo stesso
tempo, consegna al suo pubblico un personaggio femminile straordinario, surreale
e in egual maniera comune.
Odettte è, infatti, quella che nella realtà
si potrebbe definire una donna insulsa, è il
pubblico che nessun artista (come fa notare un critico nel film) vorrebbe avere perché ignorante, sempliciotta, una che fa diventare tale tutto ciò che sceglie, ma è anche quel tipo di donna custode di una saggezza popolare a cui si ricorre quando tutto il resto fallisce, a cui basta uno sguardo
per capire ed una parola per consolare.
Di Odette ce ne sono tante in giro e la
grettezza umana permette, grazie a una
stupida appendice prima del cognome, di
trattarle con sufficienza e di sorridere compiaciuti davanti al loro piccolo mondo merlettato dove ci sono troppi ninnoli è vero,
ma nessun antidepressivo.
Schmitt riabilita questo tipo di donna e
coglie l’occasione per fare, con dolcezza,
un’accusa pesante al mondo degli intellettuali e al loro gestire la cultura come
patrimonio di una casta ristretta a discapito di tutto ciò che viene definito “nazionalpopolare”.
Il regista fa chiaramente capire di non
escludere aprioristicamente il valore di
un prodotto elitario, ma chiede più tolleranza verso tutte quelle espressioni artistiche che, pur se non perfette, suscitano in chi le fruisce qualche minuto di
sana evasione, un po’ come fa questo
film, a cui si riescono a perdonare tanti
difetti in virtù della positività che riesce
a emanare.
Non si può non rimanere contagiati, infatti, dall’allegria di Odette che, sulle note
di Joséphine Baker, trasforma dei semplici lavori domestici in siparietti da rivista, o
dalla sua umanità quando consiglia a una
donna, palesemente maltrattata dal compagno, alcuni rimedi per non “sbattere contro la porta”.
Se poi si aggiunge l’ottima interpretazione di Catherine Frot e la colonna sonora di Nicola Piovani arricciare il naso è
veramente difficile.
Francesca Piano
IL BAMBINO CON IL PIGIAMA A RIGHE
(The Boy in the Striped Pyjamas)
Stati Uniti, 2008
Regia: Mark Herman
Produzione: David Heyman per BBC Films/Heyday Films/Miramax Films
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008)
Soggetto: dal romanzo omonimo di John Boyne
Sceneggiatura: Mark Herman
Direttore della fotografia: Benoît Delhomme
Montaggio: Michael Ellis
Musiche: James Horner
Scenografia: Martin Childs
Costumi: Natalie Ward
Produttore esecutivo: Mark Herman
Co-produttori: Rosie Alison, Péter Miskolczi, Gábor Váradi
Direttori di produzione: Gyorgy Kuntner, Mary Richards,
István Király
Casting: Leo Davis, Pippa Hall
Aiuti regista: Martin Harrison, Zsuzsa Gurban, Heidi Gower
Operatore: György Réder
Supervisore art direction: Rod McLean,
Art directors: Mónika Esztán, Razvan Radu, Szilvia Ritter
Arredatore: Gábor Nagy
Trucco: Hildegard Haide, Marese Langan
Supervisore effetti visivi: Michael Bruce Ellis
Coordinatori effetti visivi: Szvák Antal, Noémi Somoskövy
(Cube Effects)
Suono: John Casali
Interpreti: Asa Butterfield (Bruno), Zac Mattoon O’Brien
(Leon), Domonkos Németh (Martin), Henry Kingsmill (Karl),
Vera Farmiga (la madre), Cara Horgan (Maria), Zsuzsa Holl
(cuoca di Berlino), Amber Beattie (Gretel), László Áron (Lars),
David Thewlis (il padre), Richard Johnson (nonno), Sheila
Hancock (nonna), Iván Verebély (Meinberg), Béla Feszbaum
(Schultz), Attila Egyed (Heinz), Rupert Friend (tenente Kotler), David Hayman (Pavel), Jim Norton (Herr Liszt), Jack
Scanlon (Shmuel), László Nádasi (Isaak), László Quitt, Mihály
Szabados, Zsolt Sáfár Kovács (kapò), Gabór Harsai (anziano ebreo)
Durata: 94’
Metri: 2310
13
Film
B
runo, vive a Berlino con la sua
famiglia. Il padre, ufficiale nazista, riceve una promozione che lo
porterà a comandare un piccolo campo di
concentramento. Dopo una sfarzosa festa,
fra l’orgoglio della moglie e il disappunto
della madre, l’intera famiglia parte. Bruno si annoia lontano dai suoi amici; l’unica cosa che sembra attirarlo è quella fattoria vicino a loro, dove lavorano strani
contadini vestiti tutti con dei pigiami a righe. Mentre la sorella di Bruno si innamora del giovane tenente Kotler, gli equilibri
della casa iniziano a rompersi; l’ebreo
Pavel che lavora nella loro cucina, cura
Bruno caduto dall’altalena e, così facendo, la madre inizia ad avvicinarsi umanamente agli ebrei. Iniziano le lezioni private che non attecchiscono su Bruno, che
sempre più annoiato, trova la via di fuga
dal giardino di casa, attraverso il capanno. Così, si avvicina per la prima volta al
campo dove conosce il coetaneo Samuel,
ebreo costretto ai lavori forzati col padre.
Bruno ancora non riesce a capire la verità; crede ancora che sia un contadino, libero di fare quello che vuole, mentre lui è
prigioniero nella sua casa.
I due bambini iniziano così a vedersi,
quando per entrambi è possibile, sempre divisi dal recinto elettrificato, attraverso cui
Bruno passa del cibo per l’amico. Parlano
dei genitori, dello strano abbigliamento dei
contadini, dei numeri su quei pigiami e dello
strano odore che esce dalle ciminiere adiacenti. In casa peggiora la situazione quando
la madre scopre che gli ebrei vengono uccisi
e poi bruciati, cosa che le provoca disgusto
nei confronti del marito; il rapporto fra i due
si inclina inevitabilmente. Il nonno arriva in
visita e, durante la cena, si scopre che il pa-
Tutti i film della stagione
dre del tenente è fuggito in Svizzera; preso
dalla rabbia e da un futile pretesto, il soldato trascina Pavel in cucina per picchiarlo.
Bruno inizia ad avere dubbi sulla bontà del
padre e si confida con Samuel, che nei giorni a seguire viene chiamato in casa a pulire
piccoli oggetti. Bruno offre come sempre da
mangiare all’amico, ma vengono scoperti da
Kotler; intimorito, Bruno dice che Samuel
ha rubato quel pasticcino. Samuel sparisce
per giorni e Bruno è morso dai sensi di colpa; ma appena si rivedono vicino al recinto,
tornano amici stringendosi la mano. Kotler,
per via del padre, viene trasferito al fronte e
la sorella di Bruno perde l’entusiasmo nei
confronti del nazismo. La nonna paterna rimane uccisa sotto bombardamento; durante
il funerale c’è un ulteriore screzio fra i genitori di Bruno.
Vedendo la moglie star sempre peggio,
l’ufficiale decide di far andare via la sua
famiglia, con grande dispiacere del figlio.
Nel mentre, il padre di Samuel scompare e
Bruno si offre di aiutare l’amico a ritrovarlo. Il giorno dopo, quello della partenza, Bruno scava sotto al recinto per entrare nel campo e Samuel gli procura divisa e
cappello per mimetizzarsi. Intanto in casa,
nessuno riesce a trovare Bruno; tutti entrano in allarme quando si rendono conto
che è fuggito dal capanno sul retro. Bruno
e Samuel vengono trascinati con altri ebrei
nelle docce a gas. I bambini intuendo il
pericolo si prendono per mano.
I genitori di Bruno non arriveranno in
tempo per salvarlo.
L
’olocausto è stato al centro di diverse pellicole, donandogli sfumature differenti, a seconda del
modo di narrarlo, o di quale punto focaliz-
zare. C’è chi ha preferito parlare di tedeschi che hanno salvato ebrei, chi della scelta
difficile di madri in difficoltà, di fughe in treno o di bugie a fin di bene per nascondere
ai figli la crudele realtà. Nel film di Mark
Herman, la scelta cade su di un bambino e
la sua famiglia. Bruno, con l’ingenuità dei
suoi otto anni, apprende cosa sia un campo di concentramento a piccoli passi, accompagnandoci in quello che è un climax
di forte impatto emotivo: la morte dei due
amici, mentre si prendono per mano.
La regia rigorosa, priva di virtuosismi,
è accompagnata da una bella fotografia e
da un buon cast, su cui primeggia Vera
Farmiga (la madre).
La bellezza, nonché la delicatezza, del
film risiedono nel non mostrarci nulla, ma
di farci intuire tramite suoni e sguardi dei
protagonisti, la condizione in cui versano
gli ebrei; giocoforza la consapevolezza storica di chi guarda e ben conosce cosa abbia affrontato questo popolo. La scena finale, infatti, verte proprio su questo; nel
momento in cui gli viene ordinato di spogliarsi e di accalcarsi nelle docce, già capiamo cosa sta per accadere, proprio in
virtù di quella coscienza storica. La crudeltà del nazismo si evidenzia tramite piccole pillole, nozioni, che sia il padre, il nonno o l’istitutore cercano di insegnare a Bruno stesso, che non comprende come possa un solo uomo o un intero popolo distruggerne un altro, senza capire che proprio
loro sono la causa di uno sterminio. Il personaggio della madre è l’alter ego del pubblico stesso, che guarda, capisce ma non
può far altro che continuare a guardare.
L’interno del lager, ci viene mostrato
solo alla fine, con l’ingresso di Bruno che
diventa il portale di passaggio fra l’esterno e l’interno, divisi non solo da una barriera ideologica, ma anche fisica: quella del
filo spinato elettrificato. Tale barriera viene
già scalfita col passaggio del cibo per Samuel e, con più forza, quando i due bambini fanno pace stringendosi la mano.
L’amicizia fra Bruno e Samuel, è sincera e sentita; entrambi hanno il solo desiderio di conoscere un proprio coetaneo
con cui poter giocare. L’unico momento di
tensione fra i due si ha, non perché Bruno
creda ai dettami nazisti, ma perché spinto
dalla paura che Kotler possa fargli del
male, nel momento in cui li vede parlare.
In questo crescendo di fratellanza, si
rende ancor più giustificabile il fatto che
Bruno passi il recinto e aiuti l’amico a ritrovare il padre. Il film si chiude sul portone serrato delle docce a gas, da cui proviene solo silenzio.
Inevitabilmente ci si commuove.
Elena Mandolini
14
Film
Tutti i film della stagione
UN GIOCO DA RAGAZZE
Italia, 2008
Suono: Marco Lazzaro, Roberto Sestito, Fabrizio Quadroli, Marco
Coppolecchia
Interpreti: Chiara Chiti (Elena Chiantini), Nadir Caselli (Alice
Paoletti), Desirée Noferini (Michela Ricasoli), Filippo Nigro (Mario
Landi), Valentina Carnelutti (Serena Landi), Stefano Santospago (Lorenzo Chiantini), Giorgio Corcos (Carlo), Valeria Milillo
(Matilde Chiantini), Franco Olivero (Giulio Cerulli), Elisabetta
Piccolomini (Patrizia Cerulli), Tommaso Ramenghi (Fabrizio),
Chiara Martegiani (Giovanna), Chiara Paoli (Livia Cerulli), Diana Albo (Simona), Eleonora Ceci (Ludovica), Daniela Fontani
(Daniela), Cecilia Carponi (Martina), Pietro Matteucci (Gianluca), Lorenzo Fiuzzi (Luca), Federico Felicissimo (Federico Landi)
Durata: 95’
Metri: 2500
Regia: Matteo Rovere
Produzione: Maurizio Totti per Rai cinema e Colorado film
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 7-11-2008; Milano 7-11-2008) V.M.: 18
Soggetto: dal romanzo omonimo di Andrea Cotti
Sceneggiatura: Teresa Ciabatti, Andrea Cotti, Sandrone Dazieri, Matteo Rovere
Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari
Montaggio: Claudio Di Mauro
Musiche: Andrea Farri, L’Aura
Scenografia: Eugenia F. Di Napoli
Costumi: Monica Celeste
Effetti: Rodolfo Migliari
Casting: Francesca Borromeo
E
lena, Michela e Alice sono delle
sedicenni che frequentano un prestigioso liceo di provincia. Figlie
di facoltosi imprenditori, passano le giornate a fare shopping, deridere il prossimo
e concedersi sessualmente a qualsiasi
uomo le capiti a tiro, il tutto sotto effetto di
alcool e droghe.
Un giorno, nel loro liceo, arriva un giovane docente di Italiano, il professor Mario Landi. L’uomo, idealista e innamorato
della professione, cerca in tutti modi di
redimere le “cattive ragazze”, convinto che
ci sia ancora qualcosa di buono in loro.
La giovane moglie, però, non è dello stesso parere e in tutti i modi cerca di fargli
capire che deve allontanarsi un po’ dalle
vicende scolastiche e prestare più interesse a lei e al loro bambino.
Elena, la leader del gruppetto, invece,
non apprezza le attenzioni paterne del professore e decide di fargliela pagare distruggendo la sua immagine. Il suo piano è sedurlo, ma il docente non cede alle sue avances. La ragazza, allora, per costringerlo
ad andare a casa sua finge un tentativo di
suicidio.
Mario, spaventato per la possibile tragedia, corre da Elena che lo attende non
in lacrime, ma in lingerie e con uno sguardo carico di desiderio. Davanti a questa
immagine, Mario cede e inizia a fare sesso con lei, inconsapevole di una telecamera che riprende il tutto. L’amplesso,
però, viene interrotto dal padre della ragazza che, furibondo, inizia a prendere a
pugni l’insegnante. Durante la scazzottata
il padre di Elena cade battendo la testa
mortalmente. Mario Landi viene arrestato e condannato, mentre Elena e le sue
amiche continuano la loro vita frivola
come se nulla fosse successo.
U
na volta c’era Il tempo delle mele
con la graziosa Vic-Sophie Marceau che affrontava quell’immensa e favolosa tragedia che è l’adolescenza con gli occhi sgranati e sognanti di chi
ha tutto da scoprire. Delizioso.
Oggi, invece, per avere uno spaccato
dei giovani il cinema ci propone Un gioco
da ragazze del novellino Matteo Rovere su
cui, addirittura, si ipotizzava un divieto censorio per i minori di diciotto anni. E questo
la dice lunga.
Bando al rossore sulle guance e alle
gomitate tra amiche, le fanciulline di Rovere non hanno nulla da chiedere alla vita,
nulla da sperare, hanno tutto e prendono
il resto per sfizio. L’altro non esiste o è un
mero fantoccio da punzecchiare finché la
noia non sopraggiunge e dunque va sostituito, distrutto, in favore di un altro piacere, più nuovo, più trasgressivo, in un circolo vizioso di emozioni finte e di drammi veri.
È questo l’implacabile ritratto degli adolescenti che emerge dal film. Banale.
Banale non per il contenuto che toglierebbe il sonno a qualsiasi genitore e che, a
sentire le giovanissime, è molto più vicino
alla realtà di quanto si creda, ma perché si
è voluto cercare l’eccesso, come fanno le
protagoniste, per dare sensazioni.
È troppo facile creare “rumore” mostrando tre ragazzette fare sesso ovunque e ingurgitare una quantità di droghe che stenderebbe un cavallo. È un’operazione che
lascia il tempo che trova e che, se non supportata da una solida struttura tecnica, rischia di rimanere bollata come “scadente”.
15
Vista l’inesperienza del regista, non
useremo questo termine, ma va comunque detto che la pellicola fa acqua ovunque, a partire dalla sceneggiatura, debole, sfilacciata e, a tratti, incomprensibile che
vorrebbe “spiegare” il disagio, ma, incapace, ne diventa sottomessa, lasciando lo
spettatore all’oscuro di tutto ciò che accade nelle mente di queste ragazze e libero
di ripiegare sul paradigma soldi, genitori
assenti, figli problematici.
I personaggi, inoltre, sono caricaturali
e, per certi aspetti, pericolosi come le tre
cattive ragazze che si muovono su pessimi fenomeni di costume che non vengono
mai contrastati. Certo ci prova un po’ l’esile figura del professore idealista, ma anche lui non regge nel ruolo, perché appare più affascinato – il prosieguo del film lo
dimostra – da queste lolite che interessato a salvarle.
Non si sa, in questa inefficacia dei ruoli,
quanto abbia giocato la sceneggiatura e
quanto le doti sceniche delle fin troppo
acerbe protagoniste, fatto sta che anche
Filippo Nigro, dignitoso in altre pellicole, in
questa appare quasi spiritato.
Un gioco da ragazze, bisogna ammetterlo, però, colpisce. E non per la trasgressione, ma perché mostra un vuoto esistenziale che paralizza, spaventa e costringe a riflettere. Il finale, non risolutivo,
ne è un esempio, svuota lo spettatore di
ogni speranza e lo lascia in balia di una
inspiegabile e prolungata tristezza. Se lo
scopo di Rovere era questo, almeno negli ultimi cinque minuti, ci è riuscito alla
perfezione.
Francesca Piano
Film
Tutti i film della stagione
AUSTRALIA
(Australia)
Stati Uniti/Australia, 2008
Daniel P. Rosen (Evil Eye Pictures), James Rogers (Postmodern Sydney), Chris Schwarze (Complete Post), Edson Williams Lola Visual Effects), David Booth, Chris Godfrey, James
E. Price, Kat Szuminska
Coordinatori effetti visivi: Daniel Chavez (Hydraulx), Michael Currell (Framestore), Michelle Rose, Stuart Willis (Animal Logic), Lucinda Glenn, Kate Hagar, Danny Huerta, Gemma James, Naomi Mitchell, Ian Cope, Jenny Basen
Interpreti: Nicole Kidman (Lady Sarah Ashley) Hugh Jackman (mandriano), Bryan Brown (King Carney), David
Wenham (Neil Fletcher), Jack Thompson (Kipling Flynn),
David Gulpilil (King George), Brandon Walters (Nullah), David Ngoombujarra (Magarri), Ben Mendelsohn (capitano
Dutton), Essie Davis (Katherine Carney), Barry Otto (amministratore Allsop), Kerry Walker (Myrtle Allsop), Sandy
Goore (Gloria Carney), Ursula Yovich (Daisy), Wah Yuen
(Sing Song), Angus Pilakui (Goolaj), Jacek Koman (Ivan),
Tony Barry (sergente Callahan), Ray Barrett (Ramsden),
Jamal Bednarz-Metallah, Jarwyn Irvin-Collins (ragazzi in
missione), Damian Bradford (agente), Nathin Butler, Shea
Adams, Nathin Butler, John Walton, Nigel Harbach (ragazzi Carney), Tara Carpenter, Haidee Gaudry, Joy Hilditch
(donne di servizio), Rebecca Chatfield (nipote di Magarri),
Lillian Crombie (‘gambe storte’), Max Cullen (vecchio bevitore), Arthur Dignam (Padre Benedict), Michelle Dyzla (parrucchiera), Terence Gregory (ragazzo in missione), Peter
Gwynne (Maggiordomo di Lady Sarah), Sean Hall (soldato), Matthew Hills (steward dell’idrovolante), Jimmy Hong
(domestico), Bill Hunter (comandante), Eddie Baroo, Jamie Gulpilil,
Durata: 165’
Metri: 4285
Regia: Baz Luhrmann
Produzione: G. Marc Brown, Catherine Knapman, Baz Luhrmann per Bazmark Films/Twentieth Century-Fox Film Corporation
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Prima: (Roma 16-1-2009; Milano 16-1-2009)
Soggetto: Baz Luhrmann
Sceneggiatura: Stuart Beattie, Baz Luhrmann, Ronald Harwood, Richard Flanagan
Direttore della fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Dody Dorn, Michael McCusker
Musiche: David Hirschfelder
Scenografia: Catherine Martin
Costumi: Catherine Martin
Produttore associato: Paul ‘Dubsy’ Watters
Co-produttore: Catherine Martin
Direttore di produzione: Simon Lucas
Casting: Nikki Barrett, Ronna Kress
Aiuti regista: Jennifer Leacey, Simon Warnock, Danielle Blake,
Michael Horvath, Darwin Brooks, Kelly Johanson, Eddie Thorne
Operatore: Peter McCaffrey
Trucco: Nick Dorning
Acconciature: Kerry Warn
Supervisore art direction: Ian Gracie
Art directors: Karen Murphy
Arredatore: Beverley Dunn
Supervisore effetti speciali: Brian Cox
Coordinatore effetti speciali: Thomas Van Koeverden
Supervisori effetti visivi: Andy Brown (Animal Logic), Julian Dimsey, Glenn Melenhorst, Peter Webb (Iloura), Robert
Duncan (Framestore), Erik Liles (Hydraulx), Matt McDonald,
N
el 1939, la giovane Lady Sarah
Ashley decide di raggiungere il
marito in Australia, dove lui sta
controllando gli affari della sua immensa proprietà Faraway Downs, con allevamento bovino. Giunta al porto di
Darwin, vede che l’uomo inviatole come
aiuto, Drover, è un mandriano e il viaggio con lui su un furgone sporco e carico dei bagagli della donna è un continuo battibecco, durante il quale l’uomo
tende a precisare che non è alle dipendenze di lord Ashley, ma ha con lui un
contratto per portare 1500 bestie alla
vendita e così finire il suo compito. Nel
furgone viaggiano anche un aborigeno,
amico di Drover, e il corpulento e simpatico Flinn, contabile della proprietà.
Appena arrivata nella casa padronale,
Sarah deve fare il funerale del marito,
ucciso da una freccia di “King George”,
il misterioso sciamano aborigeno che si
muove in quelle terre, come dice Fletcher,
il capomandriano. Ma il piccolo metic-
cio Nullah, figlio proprio di Fletcher e
di una donna al servizio nella fattoria,
dice a Sarah che secondo suo nonno,
Galapa (King Gorge), Fletcher è una maledizione per quelle terre. Anche se l’uomo dice che i ragazzini mezzosangue
sono solo bugiardi e vanno tutti portati
a una missione che li educherà (e cioè,
cancellerà le loro tradizioni), Sarah lo
licenzia e così perde tutti i bovari. Flinn
mostra a Sarah che Fletcher gli faceva
tenere due registri, quello ufficiale e
quello segreto, in cui registrava gli spostamenti fatti per Carney e le dice che
non ci si può rivolgere all’autorità “perché Carney è l’autorità”; a lei conviene
vendere le bestie all’esercito inglese e
così potrà salvare la proprietà.
Ma, per portarle al porto di imbarco,
ci vogliono uomini: Drover ora è disperato, mentre Sarah, ottima cavallerizza,
accetta la sfida della sorte e, per convincerlo a farla partecipare, accetta di offrirgli la sua stupenda purosangue ingle-
16
se per un accoppiamento con un ottimo
cavallo indigeno: così, saranno lei, Drover, l’aborigeno, Flinn, Nullah (che cavalca molto bene), un’altra donna e il
cuoco cinese a portare la mandria. Dovrebbe esserci la madre di Nullah, ma
annega nella cisterna in cui si è nascosta
con il bimbo all’arrivo della polizia che
cerca il meticcio. Per calmare il bimbo,
prima di partire, Sarah gli racconta una
storia: gli accenna la storia del mago di
Oz, con la sua “canzone dei sogni” e il
bimbo si calma e ricorda che il nonno gli
dice che anche lui è mago.
Fletcher e i suoi provocano un incendio sull’altopiano per far sbandare la
mandria verso un burrone ma Nullah, ricordandosi di essere mago, fronteggia in
silenzio la mandria stendendo le braccia e ottiene il risultato. Però Flinn è rimasto travolto e, un attimo prima di morire, assicura Drover che chi ha ucciso
Ashley non è stato lo sciamano, ma
Fletcher. In una pausa dopo aver sepol-
Film
to Flinn, Sarah e Drover si confessano
la loro attrazione; l’uomo dice che ha
combattuto per l’Inghilterra e, al ritorno, ha trovato la moglie morta di TBC
“perché gli ospedali non curano i Negri”. Poiché Fletcher ha inquinato il corso d’acqua più vicino, per trovarne un
altro i nostri devono superare la “ terra
che non c’è”, un deserto attraverso il
quale li guida King George. A Darwin,
Carney è pronto a far salire le sue bestie
sulla nave dell’esercito, ma il capitano
tergiversa, sa che Sarah sta arrivando.
Ha appena firmato l’acquisto, quando lei
arriva ed egli prontamente dice: “Questo contratto non è vincolante fino a
quando le bestie non sono caricate”.
Drover spinge le sue direttamente sul
molo e quindi sulla nave e così ha la
meglio. Dapprima incerto, accetta poi di
essere amministratore della proprietà di
Sarah, vivendo con lei, che vuol tenere
Nullah anche se Drover le dice che prima o poi dovrà lasciarlo andare, perché
se no non avrà una storia e gli Aborigeni dicono che ogni bimbo “deve fare il
suo viaggio “. Litigano su questo proprio ora che Drover deve allontanarsi sei
mesi dietro alle mandrie; in questi mesi,
i Giapponesi entrano in guerra e minacciano quella parte dell’Australia. In una
sequenza molto drammatica, vediamo
Darwin bombardata e anche la centrale
radio dove lavorano Sara e Catherine,
la figlia di Carney che ha sposato
Fletcher e la missione dove sono raccolti tutti i meticci, compreso Nullah che Sarah non è riuscita a tenere con sé. Drover teme di averli persi entrambi, ma invece si ritrovano. Fletcher viene ucciso
da King Gorge e, a guerra finita, lo sciamano porta il bimbo con sé: “Hai fatto
un lungo viaggio. Ora vieni a casa, nella tua terra, la nostra terra”.
G
li sceneggiatori avevano certo in
mente la tradizione western; e poi
la tradizione bellica; e poi la
tradizione romantica, come filo conduttore per tutta la storia. Bisogna ammettere
che hanno saputo calibrare le prime due
con una buona misura, nelle due parti del
film. E hanno trovato un regista appassionato di David Lean che ha collocato primi
piani, inquadrature di insieme, campi lunghissimi e riprese aeree tutti al posto giusto, per ottenere una storia di più di due
ore che ti soddisfa come succedeva una
volta.
Tutti i film della stagione
Ritroviamo piacevolmente caratteri tipici, dai protagonisti agli antagonisti, ai
personaggi secondari e minori e tipiche
sono, in fondo, anche non poche delle loro
battute. Tra Sarah e Drover si sviluppa una
storia d’amore canonica, che si vivacizza
gradatamente grazie al cambio di mentalità sociale della donna, nel cui animo ciò
che impara dalle battaglie di vita quotidiana fa emergere un forte senso di umanità,
di amore in senso lato e una capacità decisionale.
Tutte le sequenze iniziali, fino all’allontanamento di Fletcher presentano non
solo l’Australia geografica, le cui immagini stupende continueranno per tutto il film,
ma anche quella umana, con pochi personaggi, che della realtà aborigena dicono ben poco, in quanto la cultura e la tradizione sono concentrate in King George, i problemi di sfruttamento (che si avvale di diverse maschere ideologiche,
come quella di educare i ragazzi meticci
sì, ma per “eliminare il negro che è in loro”)
sono appena suggeriti. Certo, un grande
film avventuroso e romantico non poteva
fare una critica socio-politica, ma una presenza maggiore della realtà indigena forse non sarebbe dispiaciuta, soprattutto
perché nelle prime immagini dell’Australia vediamo solo Nullah, con il suo fuoricampo che parla della condizione dei
meticci e dice che la prima volta che ha
visto Sarah gli è parsa la donna più strana del mondo; poco dopo, le dirà che il
nonno (King George) è sicuro che lei può
salvare questa terra. Diversi fuoricampo
di Nullah ci ricordano che, in effetti, il nar-
17
ratore è lui, o almeno riflette su quanto
succede, ma a questo particolare non è
stato dato un ruolo maggiore, che forse
avrebbe reso più originale il tutto. A fine
film, una didascalia ci informa del ravvedimento del governo australiano che, tempo fa, ha riconosciuto il danno provocato
alle “generazioni perdute” dei piccoli meticci, ma ci sembra solo un modo per salvare un problema ispiratore, svolto ben
poco.
Gli Aborigeni hanno un rapporto speciale con la natura, ma questo tema resta nascosto sotto la trama più tradizionale; ci sono davvero delle occasioni sprecate: Drover dice a Sarah che dovrà lasciare Nullah libero di restare nella sua
realtà, perché gli Aborigeni sostengono
che ogni bambino deve fare il suo viaggio, per avere la sua storia. Raccontare è
comunicare e donare un poco di sogno,
un poco di realtà; quindi occorre una storia. Gli Aborigeni combattono perché sia
dato rispetto alla loro terra e quindi a loro
come persone, con le loro storie, cioè la
loro vita; e Drover il più adatto a capirli,
sostiene il diritto alla libertà da ogni sfruttamento, ogni tentativo di possesso di un
popolo su un altro, perché: “Alla fine l’unica cosa che uno possiede è la sua storia”. Sviluppare questa via avrebbe evitato di farci sentire il film come qualcosa
che ricorda anche un po’ La mia Africa,
accostamento che l’arrivo di Sarah con
una coda di eleganti valigie crea inevitabilmente.
Danila Petacco
Film
Tutti i film della stagione
SETTE ANIME
(Seven Pounds)
Stati Uniti, 2008
Supervisore trucco: Gregory Nicotero
Supervisore effetti visivi: Danny Braet
Supervisore musiche: Pilar McCurry
Coordinatore effetti visivi animazione: Christina Castellan (Cafe
FX)
Suono: John Sweeney
Supervisore musiche: Pilar McCurry
Interpreti: Will Smith (Ben Thomas), Rosario Dawson (Emily Posa), Woody Harrelson (Ezra Turner), Michael Ealy (fratello di Ben), Barry Pepper (Dan), Elpidia Carrillo (Connie
Tepos), Robinne Lee (Sarah Jenson), Joe Nunez (Larry),
Bill Smitrovich (George Ristuccia), Tim Kelleger (Stewart
Goodman), Gina Hecht (dott.ssa Brian), Andy Milder (dottore di George), Judyann Elder (Holly Apelgren), Sarah Jane
Morrison (Susan), Madison Pettis (figlia di Connie), Ivan
Angulo (figlio di Connie), Octavia Spencer (Kate), Jack Yang
(ingegnere), Quintin Kelley (Nicholas), Louisa Kendrick (moglie di Dan), Fiona Hale (Inez), Amanda Carlin (vicina di casa),
Connor Cruise (Ben giovane), David Haines (padre del giovane Ben), Casey Morris (Operatrice del 911), Audrey Wasilewski, Sonya Eddy, Cynthia Rube (infermiere), Charlene
Amoia (donna alla tavola calda), Tood Cahoon (uomo alla
tavola calda)
Durata: 123’
Metri: 3130
Regia: Gabriele Muccino
Produzione: Todd Black, Jason Blumenthal, James Lassitar,
Will Smith, Steve Tisch per Columbia Pictures/Relativity Media/Overbrook Entertainment
Distribuzione: Sony Pictures Resealing Italia
Prima: (Roma 9-1-2009; Milano 9-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Grant Nieporte
Direttore della fotografia: Philippe Le Sourd
Montaggio: Hughes Winborne
Musiche: Angelo Milli
Scenografia: J. Michael Riva
Costumi: Sharen Davis
Produttori esecutivi: David J. Bloomfield, David Crockett,
Domenico Procacci
Co-produttore: Molly Allen
Casting: Denise Chamian
Aiuti regista: Jeffrey Wetzel, Courtenay Miles, Paul Schneider, Mike Crotty
OperatorI: David J. White II, Kirk R. Gardner
Operatore steadicam: Kirk R. Gardner
Art director: David F. Klassen
Arredatore: Leslie A. Pope
Trucco: Martha Callender, Shutchai Tym Buacharem, Myke Michaels, Brian Penikas
Acconciature: Pierce Austin
B
en Thomas, ingegnere astronautico, ha provocato, per pura disattenzione dovuta a superficialità, un incidente stradale in cui sono morte la moglie e altre sei persone. Non può
dimenticare la sua responsabilità e organizza un modo molto sui generis per pagare il suo debito; questo modo è la storia
del film. Usando la tessera del fratello, che
lavora negli uffici finanziari statali, entra
in quegli uffici e, nei loro computer, riesce
a ricavare le informazioni su persone disagiate. Si interessa anzi tutto a Emily
Posa, una giovane malata di cuore che va
anche a vedere in ospedale, senza presentarlesi; poi individua un’anziana che viene trattata con superficialità dal direttore
della casa di cura dove è ricoverata. Ritorna a trovare Emily e ha un dialogo breve con lei poco prima che ella venga dimessa, per dirle che, essendo lei sotto osservazione, ora la segue lui. Alterna le visite alle due donne, ma si studia di vedere
sempre più spesso la giovane, anche andando fuori di casa sua, camminando con
lei mentre lei porta fuori il suo cane; le
lascia un suo biglietto. Proseguendo l’indagine nel computer del fisco, individua
una donna con due ragazzini che sta per
perdere la casa e quindi la incontra. In un
centro commerciale, un pianista molto bravo intrattiene il pubblico; è cieco. Ben apre
un dialogo con lui, avendo capito che è
Ezra, il centralinista cieco di un’azienda
alimentare con cui, tempo prima, ha litigato pesantemente al telefono per un arrivo di merce scadente, come se fosse colpa
di lui; ora mangiano insieme amichevolmente. Ricoverata di nuovo, Emily telefona a Ben; gli chiede se pensa mai alla morte e lui risponde: “Ogni tanto”; gli dice
che le piace parlare con lui e gli chiede di
raccontarle una storia; lui parla di un bambino che faceva aerei di carta... al mattino
la va a trovare: è addormentata e lui pensa: “Ti ho mentito, penso tutti i giorni alla
morte”. Vediamo poi la donna con i bambini guidare verso la casa sul mare che è
di Ben, il quale le lascia una lettera “Questo luogo è una cura per l’anima. Spero
che lo sarà anche per voi... non dire come
l’hai avuta e non chiederti perché ho scelto te”. Ma con Emily si sviluppa davvero
una storia d’amore, come vediamo nello
incontrarsi più volte, camminare insieme
in città e fuori, fino allo stare insieme. Tuttavia, questo amore non lo fa recedere dalla
decisione del suicidio, anzi: quando è sicuro che può far trapiantare il suo cuore a
Emily, riempie la vasca di ghiaccio e vi si
immerge, portando con sé, presa dall’acquario che ha in casa, una medusa velenosa, da cui si fa pungere; questa specie
animale era già nell’acquario della sua
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casa di bambino e già allora lo affascinava. Così, poco dopo, in una festa per bambini all’aperto, Emily va a incontrare Ezra,
che la vede e capisce: “Tu devi essere Emily”. Il fratello racconta che Ben gli aveva
dato un polmone e fa sapere che il suo fegato è andato alla donna anziana.
B
en è un uomo di successo, meritato con la propria cultura e la
propria grande capacità scientifica, ma non va esente da superbia e rischia la superficialità: l’incidente accade
perché la moglie lo distrae facendo considerazioni sul brillante che le ha regalato,
lui sta giocherellando con una modernità
tecnologica. Il desiderio di ripagare sette
vite con altre sette non poteva che essere
totale. Già questa idea di partenza è capace di suscitare una riflessione, di accordo o di rifiuto. Ma vediamo cosa nasce da
essa: il racconto di come Ben individui le
persone da aiutare, di come le segua; di
come si sviluppi l’amore con una di esse.
Per controllare che i futuri beneficati siano
davvero meritevoli, Ben svolge quindi diversi fili con cui si lega a loro e ogni filo
assume una sfumatura sentimentale diversa per lui. Ma la trama fa intuire questa
progressione attraverso una struttura particolare: i rapporti di Ben con le altre persone si inframmezzano gli uni con gli altri,
Film
Ben rimane l’unico elemento di continuità;
lui e la sua decisione.
Dei vari personaggi non sappiamo se
non quanto è necessario per motivare la
scelta fatta da Ben; in questo modo, possiamo costituirci un profilo di lui stesso; il
narratore non vuole parlarci se non di lui e
della sua tremenda decisione. Ad ogni
comparsa di uno degli altri personaggi, noi
sappiamo una piccola informazione su di
lui, ma semplicemente perché si possa
capire meglio il protagonista Ben, che cosa
sta costruendo con ognuno. Il soggetto
narrante della vicenda di Ben non è solo
un onnisciente, è uno che indaga su di lui
e lo fa con ogni mezzo.
Il soggetto narrante non può evitare di
darci informazioni su chi era Ben, come è
arrivato a questo; ma come ogni informazione nel corso della storia ci viene data
non chiaramente; le inevitabili, sono distillate con il contagocce durante la vicenda:
alcune immagini di Ben che si aggira solo
nella grande casa sul mare; alcune ricomparse veloci degli articoli che parlano dell’incidente; alcune ricomparse di momenti
Tutti i film della stagione
dell’incidente, di cui solo l’ultima, che si
colloca poco prima della fine del film, ce lo
mostra completo. Poco dopo l’inizio del film
Ben è in questa casa, una domenica, in
mezzo a confusione di fogli e foto: il fratello gli telefona sul cellulare: “Dove sei?”.
“Nella casa al mare... il telefono fisso si è
rotto, non mi serve più”. “Sei di nuovo depresso?” e gli ricorda che non gli ha restituito una cosa sua: il tesserino personale
per entrare negli uffici fiscali, richiesta che
non dovrà più ripetere a partire da un certo momento. Ancora all’inizio del film, il suo
veloce ricordo felice di una sua lezione
universitaria. Ma, sempre all’inizio del racconto, vediamo che Ben è anche capace
di cattiveria, verso chi riesce a sopportare
la vita pur avendo una grave mancanza (il
cieco Ezra; sarà forse il caso di riflettere
sul fatto che si tratta di cecità e non di altro; e sul fatto che il cieco può suonare il
piano?). Questo svolgersi dei fatti, questo
uso particolare di inquadrature e movimenti di macchina è chiuso dalla sequenza che
mostra il suicidio e gli effetti ottenuti e aperto da poche immagini in cui Ben prepara il
ghiaccio e telefona al pronto soccorso annunciando che sta per avvenire un suicidio: “il mio”. Ma le prime parole del film sono
un suo fuoricampo: “In sette giorni Dio ha
creato il mondo, in sette secondi io o distrutto il mio”. Tutto il film potrebbe essere
dunque l’ultimo ricordo di Ben: è una scelta strutturale che è stata realizzata raramente e, senza dubbio, è rischiosa (anche quando sia tecnicamente ben fatta) .
Quelle parole predispongono lo spettatore a una tensione drammatica, nella quale
può essere difficile tenerlo interessato.
Chiedergli di completare la costruzione con
il proprio lavoro di intuizione significa chiedergli una fatica che già da sola allontana
una partecipazione emotiva. È necessario avere un contenuto di pensiero forte,
che solo le parole potrebbero esprimere:
in carenza di questo, la storia solare tra
Ben ed Emily non riesce a togliere la fastidiosa sensazione che il suicidio sia un
gesto non d’amore ma di ragionata confusione.
Danila Petacco
THE STRANGERS
(The Strangers)
Stati Uniti, 2008
Aiuti regista: Linda Brachman, Rudy A. Persico, Tim Fitzgerald
Operatore: Brian Sullivan
Art director: Linwood Taylor
Arredatore: Missy Berent
Trucco: Wendy Bell, Vincent Schicchi
Acconciature: Jennifer Santiago, Coni Andress
Coordinatore effetti speciali: William Purcell
Supervisore effetti visivi: Mark Freund
Coordinatore effetti visivi: Phillip Hoffman
Supervisore musiche: Season Kent
Interpreti: Liv Tyler (Kristen McKay), Scott Speedman (James
Hoyt), Glenn Howerton (Mike), Gemma Ward (faccia di bambola), Kip Weeks (uomo in maschera), Laura Margolis (ragazza pin-up), Alex Fisher, Peter Clayton-Luce (ragazzi mormoni), Jordan Orr (Jordan)
Durata: 85’
Metri: 2830
Regia: Bryan Bertino
Produzione: Doug Davison, Nathan Kahane, Roy Lee per Rogue Pictures/Intrepid Pictures/Vertigo Entertainment/Mandate Pictures
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 2-1-2009; Milano 2-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Bryan Bertino
Direttore della fotografia: Peter Sova
Montaggio: Kevin Greutert
Musiche: tomandandy
Scenografia: John D. Kretschmer
Costumi: Susan Kaufmann
Produttori esecutivi: Joseph Drake, Marc D. Evans, Kelli
Konop, Trevor Macy, Sonny Mallhi
Co-produttore e direttore di produzione: Thomas J.
Busch
Casting: Lindsey Hayes Kroeger, Tracy Kilpatrick, David Rapaport
1
1 Febbraio 2005. Due bambini
mormoni chiamano la polizia: in
una villa isolata hanno ritrovato
dei cadaveri e l’intera abitazione sottosopra.
James e Kristen, sono una giovane coppia che decide di lasciare in anticipo il
matrimonio di un loro amico, per andare
nella casa dei genitori di lui in campagna.
Fra i due c’è tensione: Kristen ha rifiutato
la sua proposta di matrimonio, perché ancora non si sente pronta. James chiama
l’amico Mike, per chiedergli di andarlo a
prendere il giorno dopo: niente è andato
come voleva. Dopo attimi di freddezza, i
due provano a far pace, ma improvvisamente sentono bussare con violenza alla
porta. Una ragazza inquietante dai lunghi
capelli chiede di una certa Tamara; di lei
non vedono il volto, poiché la lampadina
19
del patio è stata allentata. La liquidano in
poco tempo. James, per allentare la tensione rinata, decide di uscire con la macchina per andarle a comprare le sigarette.
Rimasta sola, Kristen indossa l’anello: forse ci sta ripensando. Presa dai suoi pensieri, non si accorge che un estraneo con
una strana maschera è entrato dentro casa
e la sta spiando. Improvvisamente la situazione precipita. Qualcuno inizia a tormen-
Film
tarla con rumori improvvisi e staccando
la linea telefonica. Non trova il cellulare:
non si accorge che è stato gettato nel fuoco del camino. Finalmente James torna e
la trova presa dal panico, con un coltello
in mano. Kristen prova a raccontargli l’accaduto, ma lui non sembra crederle, finchè non vede una donna con la maschera
di bambola che li osserva da lontano. James cerca il suo cellulare in macchina, ma
lo ritrova dentro casa privo di batteria. Ormai entrambi spaventati, tentano la fuga con
la macchina, che non riesce. Si barricano
dentro casa con fucile del padre di James.
Gli altri continuano a tormentarli e James
è sempre più sotto pressione. Nel mentre,
arriva Mike; venuto in anticipo in aiuto dell’amico. Aggredito in macchina, entra nella villa. Capisce che qualcosa non va e inizia a camminare con circospezione. Credendolo uno di loro, James gli spara uccidendolo. Infine, James si ricorda della radio
amatoriale nel fienile; nel cercare di raggiungerlo, viene catturato. Dopo un po’,
Kristen, si dirige verso il fienile, ma si ferisce alla gamba e viene inseguita da una
donna che distrugge anche la radio. Kristen, ritornando con fatica alla villa, scopre che il gruppo è composto da tre persone: un ragazzo e due donne. Dopo poco, si
ritrova tenuta sotto tiro da una di loro, mentre James viene trascinato dall’uomo dentro casa. Vengono legati e vestiti nuovamente
come al matrimonio. Kristen chiede il perché di tutto. La loro risposta è semplice:
Tutti i film della stagione
perché erano in casa. I tre si levano le maschere. James e Kristen prima di venire uccisi con una pugnalata si dicono ti amo.
James vede l’anello al dito di Kristen.
Ritorniamo ai due bambini che, dopo
aver incontrato i tre maniaci, si ritrovano
dentro la villa per chiamare la polizia. Uno
dei due si avvicina a Kristen che, urlando,
si riprende.
B
ryan Bertino ha scelto, come base
della sua opera prima, di raccontare un fatto di sangue realmente
accaduto nel 2005.
Niente torture alla Saw o alla Hostel;
qui la suspence è data dall’inconsapevolezza di quello che sta per accadere. La tensione che si avverte ricorda Hitchcock: il gioco delle porte chiuse e del chissà che cosa
possano nascondere dietro. Elemento acuito dalle maschere dei tre maniaci (una è
simile a quella di The Orphanage), i cui volti verranno mostrati solo ai due malcapitati
e mai al pubblico che li scorge solo in lontananza. La suspence viene rimpolpata anche dalla scelta, ben meditata, di non far
prevalere la solita musica da thriller, lasciando amplio spazio ai rumori provocati dagli
“strangers” per spaventare la giovane coppia; interessante, poi, il contrasto di alcune
musiche allegre diegetiche (dal giradischi
in scena), in contrasto con la suspanse e la
paura derivante dalla certezza che stà per
accadere qualcosa di tragico, che rende
quelle scene ancora più inquietanti.
La struttura del film è composta da un
lungo flashback, racchiuso dalla scoperta
da parte dei bambini, della strage appena
conclusasi; al suo interno, poi, si sviluppano altri piccoli flashback che raccontano il
perché della tensione fra i due innamorati.
Il film si apre con una breve didascalia introduttiva, dove veniamo avvertiti che quello che stiamo per vedere altro non è che
una storia vera, di cui il male e l’orrore vanno ben oltre l’immaginabile. Facile capire
la citazione per gli amanti del genere (Non
aprite quella porta di Tobe Hooper). Il finale ci lascia con un bel colpo di scena assolutamente inaspettato, che potrebbe
essere lo spunto per un papabile seguito.
Finale un po’ controcorrente, se si pensa
al precedente Them (2006), a cui il film di
Bertino è stato molte volte paragonato o
considerato un possibile remake, dove la
giovane coppia viene uccisa, ma la tensione non regge. In entrambi vi sono ragazzi che si divertono a torturare per noia,
o per gioco, o perché semplicemente c’è
qualcuno in casa; si pensi anche ai capolavori Funny Games (1997) ed Arancia
Meccanica (1971), che ancora non hanno
trovato una storia che li abbia surclassati.
The Strangers resta, comunque, un
film di tensione, sulla tensione, ben girato
e che regala la giusta dose di adrenalina,
senza scene splatter: sicuramente più
adatto ai palati fini. Brava Liv Tyler.
Elena Mandolini
UN MATRIMONIO ALL’INGLESE
(Easy Virtue)
Gran Bretagna, 2008
Regia: Stephan Elliott
Produzione: Joseph Abrams, James D. Stern, Barnaby Thompson per Ealing Studios/Fragile Films/Endgame Enterteinment/
BBC Films
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 9-1-2009; Milano 9-1-2009)
Soggetto: dall’opera teatrale Virtù facile di Noel Coward
Sceneggiatura: Stephan Elliott, Sheridan Jobbins
Direttore della fotografia: Martin Kenzie
Montaggio: Sue Blainey
Musiche: Marius De Vries
Scenografia: John Beard
Costumi: Charlotte Walter
Produttori esecutivi: Paul Brett, Louise Goodsill, Douglas
Hansen, Ralph Kamp, Cindy Kirven, George McGhee, Peter
Nichols, Tim Smith, James Spring
Co-produttore: Alexandra Ferguson
Direttori di produzione: Charlie Simpson, Tim Wellspring
Aiuti regista: Christopher Newman, Richard Goodwin, James
Chasey, Carly Taverner
Operatore: Sean Savage
Art director: Mark Scruton
Arredatore: Niamh Coulter
Trucco: Tamsin Dorling, Paul Gooch, Paula Price, Barbara Taylor,
Jeremy Woodhead
Acconciature: Tamsin Dorling, Paul Gooch, Paul Mooney, Paula
Price, Barbara Taylor, Jeremy Woodhead
Suono: Simon Gershon, Matthew Skelding
Supervisori effetti speciali: Simon Carr, Simon Frame
Supervisore costumi: Hannah Walter
Supervisori musiche: Michelle De Vries, Tris Penna
Coreografie: Litza Bixler
Interpreti: Jessica Biel (Larita Whittaker), Ben Barnes (John
Whittaker), Kristin Scott Thomas (Signora Whittaker), Colin
Firth (Signor Whittaker), Kimberley Parkinson (Marion Whittaker), Kris Marshall (Furber), Christian Brassington (Phillip
Hurst), Charlotte Riley (Sarah Hurst), Jim McManus (Jackson), Pip Torrens (Lord Hurst), Georgie Glen (Signora Landrigin), Laurence Richardson (Marcus)
Durata: 95’
Metri: 2520
20
Film
Tutti i film della stagione
A
nni ’20. Il giovane aristocratico
inglese John Witthaker durante
un viaggio in Francia si innamora perdutamente di Larita, un’esuberante
americana, campionessa di gare automobilistiche, colta e spiritosa. La donna, più
grande del ragazzo e con un matrimonio
alle spalle, con la sua ironia e intelligenza
riesce a farsi sposare in men che non si
dica. Arriva il momento di fare le presentazioni ufficiali e John convince la sposina ad andare a conoscere la sua famiglia
nella splendida tenuta di campagna. Il
matrimonio lampo dell’unico figlio maschio, per giunta con un’americana divorziata e di dubbia integrità morale, scatena
già le prime reazioni dei Witthaker. La famiglia, un tempo agiata, non naviga più in
buone acque e vive nascondendosi dietro
un finto perbenismo, fatto di esteriorità e
ipocrisia. A tirare le redini, la madre Veronica, una donna glaciale, prepotente,
snob e classista. Sotto di lei, succubi, per
necessità, il marito, tornato dalla Grande
Guerra profondamente trasformato, ma
incapace di trovare il coraggio per ribellarsi e le due figlie, zitelle viziate e altezzose. Quando la coppia arriva nella villa
l’accoglienza nei confronti di Larita non è
delle migliori. Nonostante l’americana faccia buon viso a cattivo gioco, è presto evidente che la suocera non può vederla e
anche le sorelle di John appaiono molto
diffidenti. L’unico a non rimanere insensibile al fascino di Larita è proprio il capofamiglia.
Nei gelidi corridoi della villa, tra impressionanti trofei di caccia e severi quadri di antenati, la solarità della giovane
straniera non può che stridere e creare difficoltà. La donna cerca di fare il suo meglio per adattarsi e per sfuggire ai tranelli
della suocera per tenersi stretto il figlio.
Mrs. Whittaker cerca infatti di manipolare
ogni situazione con lo scopo di mettere i
due coniugi uno contro l’altro, mentre Larita passa alla controffensiva con calma
disarmante. In un susseguirsi di battute
brillanti e situazioni comiche, tra inutili
party benefici e cacce alla volpe, si arriva
alla resa dei conti. Le due sorelle affamate
di scoop portano alla luce il passato di
Larita, rimasta vedova dopo aver aiutato
il marito malato a morire. John e Larita
percepiscono il loro amore svanire. John,
attirato dalla sua grande amica d’infanzia da sempre innamorata di lui, Larita
affascinata da Mr. Whittaker, un uomo allergico ormai all’ipocrisia della famiglia,
ma non insensibile all’intelligenza e all’ironia. All’indomani dell’ultimo ballo
organizzato nella tenuta, Larita prende finalmente la sua decisione e saluta tutti,
pronta per andare via una volta per tutte.
Ma non da sola. Ad accompagnarla sarà
Mr. Whittaker.
D
ifferenze di classe, differenze di
generazioni e culture. L’America
contro la vecchia Inghilterra, in
una commedia perfetta, elegante e ben
scritta. Stephan Elliott sulla base di un testo teatrale di Noel Coward, già trasposto al cinema da un giovanissimo Hitchcock, dirige Easy Virtue, Un matrimonio all’inglese, presentato al Festival di
Roma, tratteggiando con la giusta dose
di ironia uno scorcio di old England
anni ’20, originale e brillante. La storia
poggia sul conflitto di civiltà canonico, tra
vecchio e nuovo mondo, ma le tinte con
cui l’autore inscena tale confronto sono
deliziosamente singolari e sembrano ricordare l’aforisma di Oscar Wilde per cui
gli inglesi “oggigiorno hanno veramente
tutto in comune con gli americani, tranne, forse, la lingua”.
Il regista australiano torna alla regia
dopo una lunga assenza con una commedia sorprendente, curata nei dettagli e divertente. La sua rilettura del materiale di
partenza consente una visione al di là di
ogni prevedibile clichè, pur sempre in toni
leggeri, su diverse tematiche: i retaggi familiari, le scelte individuali, le interferenze dei genitori, la sofferenza per la guerra, la vacuità della vita aristocratica. Ma il
film è soprattutto un affresco in chiave
brillante della fine di un’epoca, del nuovo
che irrompe nel vecchio, come un Picasso che sostituisce un ritratto di un avo sul
camino della tenuta di campagna di nobili inglesi. Non ci può essere mediazione,
solo scontro, niente finale conciliante; chi
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sceglie il vecchio resta indietro ed è inevitabilmente destinato a perdere. In un
arrovellato gioco di ruoli, tra frecce avvelenate, equivoci e contrattempi esilaranti,
il “gruppo di famiglia in un interno” comincia a scatenare una lotta all’ultima battuta. Così che l’iniziale disagio prima fomenta una sorta di guerra di nervi tra suocera
e nuora e poi smonta l’intera impalcatura
delle ipocrisie e dei tabù, delle repressioni sessuali e dei pregiudizi di classe, connaturati alla società vittoriana. Il commento musicale, all’insegna del jazz, intonato
al carattere del singolo episodio o della
singola inquadratura, aggiunge un tocco
di raffinatezza alla pellicola. La distanza
geografica tra nuovo e vecchio mondo
diventa distanza temporale, culturale e
spirituale. Non a caso, l’unico a cogliere
e apprezzare il cambiamento è il personaggio del padre reduce della Grande
Guerra, definitivamente separato dalla
propria fatua realtà, fatta di ricevimenti e
caccia alla volpe, a causa del trauma subito in battaglia e, pertanto, pronto ad
accogliere ciò che di nuovo la vita gli porta. La chiave adatta per accedere a tale
ventata di modernità è la bella americana Larita, che con il suo anticonformismo
come una “sex bomb” irrompe nel falso
perbenismo della famiglia, creando uno
scompiglio senza confronti. Atmosfere tra
Gosford Park e Ti presento i miei, oltre a
un senso d’ironia e raffinatezza totalmente “british”, sono gli ingredienti principali di
una commedia che comunque non lascia
mai da parte il buon gusto e l’intelligenza,
per regalare novanta minuti di semplice e
contenuto divertimento. Il tutto grazie soprattutto a un cast di primordine. Kristin
Scott Thomas è impeccabile nel ruolo del-
Film
l’arcigna e nevrotica lady aristocratica,
Colin Firth, con il suo faccione sornione, è
capace di strappare la risata con una semplice smorfia, Ben Barnes, credibile come
Tutti i film della stagione
maritino plasmabile, ed eternamente indeciso e infine, Jessica Biel sorprende, oltre
che per la sua bellezza, anche per una
discreta interpretazione (in particolar modo
resta impresso il tango ballato con Colin
Firth nell’ultima parte del film).
Veronica Barteri
QUEL CHE RESTA DI MIO MARITO
(Bonneville)
Stati Uniti, 2006
Regia: Christopher N. Rowley
Produzione: John Kilker, Robert May per SenArt Films. In associazione con Drop of Water Productions
Distribuzione: Teodora Film
Prima: (Roma 17-10-2008; Milano 17-10-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Daniel D. Davis
Direttore della fotografia: Jeffrey L. Kimball
Montaggio: Anita Brandt-Burgoyne, Lisa Fruchtman
Musiche: Jeff Cardoni
Scenografia: Christopher R. DeMuri
Costumi: Sue Gandy
Produttori esecutivi: R. Michael Bergeron, Bob Brown
Produttore associato: Lauren Timmons
Casting: Avy Kaufman, Judi McKee
Aiuti regista: Eric A. Pot, Robert “Skid” Skidmore, Taylor Phillips
A
rvilla Hoden, dopo 20 anni di matrimonio perde il suo amatissimo
marito. La figlia di lui, Francine, vuole le ceneri del padre per dargli
degna sepoltura nel cimitero di famiglia,
vicino alla madre, ma Arvilla non è d’accordo, perché ha promesso al marito di
spargere le sue ceneri nei luoghi a loro
cari. Francine, nonostante la richiesta del
defunto, non vuole sentire ragioni: o le
ceneri verranno portate da lei in California, o lei sfratterà Arvilla dalla casa paterna. La povera vedova non ha scelta,
chiama le sue due più care amiche, Margene e Carol, e si mette in marcia verso il
sud degli Stati Uniti.
Durante il cammino le tre donne si confrontano sui grandi temi della vita, scherzano e, qualche volta, piangono, ma si sostengono sempre a vicenda.
Arvilla, in particolare, è molto combattuta: vorrebbe mantenere la promessa fatta, ma ha paura, allo stesso tempo, di dover abbandonare quella che considera la
sua casa.
Escogita così un’idea, butta un po’
delle ceneri del marito in ogni luogo che
visita durante il tragitto nella speranza che
la figliastra non si accorga di nulla.
Purtroppo, in California, Francine si
rende conto di essere stata gabbata e caccia via Armilla dal funerale.
Operatori: Jody Miller, David ‘D.R.’ Rhineer
Arredatore: Les Boothe
Acconciature: Karyn Huston
Supervisore costumi: Anne Gorman
Supervisori musiche: Season Kent, Matt Kierscht
Interpreti: Jessica Lange (Arvilla), Kathy Bates (Margene),
Joan Allen (Carol), Tom Skerritt (Emmett), Christine Baranski
(Francine), Victor Rasuk (Bo Douglas), Tom Amandes (Bill),
Tom Wopat (Arlo), Robert Conder (tassista), Jayson Creek
(maitre), Arabella Field (poliziotto in motocicletta), Kari Hawker
(sposina), Kristen Marie Jensen (studentessa), Ivey Lloyd
(Evelyn), Bruce Newbold (vescovo Paul Evans), Steve O’Neill
(dottore), Laura Park (Riva Fox), Jodi Russell (Alison), Amber
Woody (Crystal), Christina Thurmond (cameriera)
Durata: 93’
Metri: 2230
Margene e Carol, dopo aver rassicurato l’amica sul futuro – potrà andare a
vivere da una di loro –, insieme a lei partono verso il confine alla ricerca di nuove
emozioni.
U
n paesaggio mozzafiato, tre grandi interpreti e dei dialoghi irresistibili. A volte basta “poco” per
fare un film, a volte basta mescolare nel
senso giusto, come dicevano i vecchi alchimisti, per ottenere cose incredibili.
Si farebbe, però, un gran torto a usare
il sostantivo “fortuna” per la pellicola Quel
che resta di mio marito dell’esordiente
Christopher N. Rowley, perché dietro c’è
studio, ricercatezza e professionalità nonostante un canovaccio poco originale che
lascia uno spazio limitato ai virtuosismi
narrativi.
Un road movie sulle strade americane, dunque, che, però, si trasforma, quasi
da subito, in un viaggio nell’anima, con una
compagna d’eccezione: la paura nelle sue
molteplici vesti. Vesti che le tre donne,
come in un rito tribale, cercano di stracciare a suon di risate, progetti futuri e un’affettività tutta femminile.
Ma non solo; la pellicola racconta anche dell’amore, quello garbato che non ha
bisogno di essere urlato, quello che è fatto di promesse che valgono più di ogni ri-
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catto, ma, soprattutto, di quell’amore che
spaventa e lascia senza fiato nell’attesa di
un incerto domani.
Il regista volutamente sceglie un’andatura pacata, delle strade poco battute per
far viaggiare la vecchia Bonneville guidata dalle tre donne, come a permettere loro
di fermarsi, rallentare, guardare, ma soprattutto “guardarsi”. E, di rimando, allo spettatore offre l’opportunità di godersi dei paesaggi isolati, ameni e forse proprio per
questo così comunicativi.
Proprio come i volti delle tre protagoniste incarnate da Jessica Lange, Kathy
Bates e Joan Allen. Detto questo, ogni
commento sulla loro performance risulterebbe superfluo; vale la pena, però, sottolineare che in questa pellicola hanno saputo mettere da parte l’egoismo, quasi
naturale negli attori, per far luce l’una all’altra con un effetto complicità che fa sospettare sul serio che tra di loro ci sia stata una vita di racconti e segreti condivisi.
Quel che resta di mio marito, in conclusione, è un film brillante che confonde
piacevolmente il riso alle lacrime e che
avvolge con sentimenti un po’ retrò che,
come la vecchia Cadillac Bonneville, mantengono ancora un certo fascino per chi
sa come apprezzarli.
Francesca Piano
Film
Tutti i film della stagione
LA DUCHESSA
(The Duchess)
Gran Bretagna/Italia/Francia 2008
Regia: Saul Dibb
Produzione: Michael Kuhn, Gabrielle Tana per Paramount Vantage/Pathé/BBC Films/Pathé Renn Productions/Bim Distibuzione/Qwerty Films/Magnolia Mae Films
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 2-1-2009; Milano 2-1-2009)
Soggetto: tratto dalla biografia Georgiana di Amanda Foreman
Sceneggiatura: Jeffrey Hatcher, Anders Thomas Jensen, Saul
Dibb
Direttore della fotografia: Gyula Pados
Montaggio: Masahiro Hirakubo
Musiche: Rachel Portman
Scenografia: Michael Carlin
Costumi: Michael O’Connor
Produttori esecutivi: Carolyn Marks Blackwood, Amanda
Foreman, François Ivernel, Christine Langan, Cameron McCracken, David M. Thompson
Produttore associato: Andrew Semans
Co-produttori: Alexandra Arlango, Colleen Woodcock
Direttore di produzione: Nick Laws
Casting: Lucy Bevan
Aiuti regista: Josh Robertson, Paul Cathie,Toby Hosking, Tom
Breester, Sandrine Loisy, Nick Shuttleworth
Art director: Karen Wakefield
Arredatore: Rebecca Alleway
Trucco: Daniel Phillips
Acconciature: Barbara Taylor, Jo Adams, Jan Archibald, Gill
I
nghilterra XVIII secolo. Lady Georgiana Spencer è una spensierata ragazza della buona nobiltà
inglese. Le sue giornate trascorrono tranquille tra giochi, balli e scherzi con le
amiche, fino a quando sua madre le comunica che andrà in sposa a William Cavendish, duca del Devonshire.
Georgiana aspetta con ansia il giorno
delle nozze illudendosi di avere davanti a
sé un futuro radioso.
Le sue aspettative, però, vengono ben
presto disattese: pochi giorni dopo lo sfarzoso matrimonio; infatti, William si dimostra egoista e poco incline alla vita di coppia.
La donna ne soffre, ma si augura che
un erede possa migliorare la situazione.
Passa del tempo e, nonostante diverse
maternità, il figlio maschio sembra non
arrivare. William ha inasprito il carattere
e Georgiana sconsolata si butta nella mondanità e nella vita politica. A una festa,
incontra Lady Elizabeth Foster e, rimasta
colpita dal carisma della donna, la invita
a vivere a palazzo come sua dama di compagnia. Più passano i giorni, più l’amicizia fra le due donne diviene forte e sincera
e questo nuovo affetto regala a Georgiana
quella linfa vitale che da tempo le manca-
Bunker, Anita Burger, Maureen Hetherington, Stephanie Hovette, Marc Pilcher, Loulia Sheppard, Manny Stirpe, Christine
Whitney, Rosemary Warder
Supervisore effetti speciali: Mark Holt
Supervisori effetti visivi: Adam Gascoyne (CIS London),
Charlie Noble (Double Negative)
Coreografie: Francesca Jaynes
Interpreti: Keira Knightley (Georgiana, la duchessa del Devonshire), Ralph Fiennes (duca di Devonshire), Charlotte
Rampling (Lady Spencer), Dominic Cooper (Charles Grey),
Hayley Atwell (Bess Foster), Simon McBurney (Charles Fox),
Aidan McArdle (Richard Brinsley Sheridan), John Shrapnel
(generale Grey), Alistair Petrie (Heaton), Patrick Godfrey (Dr.
Neville), Michael Medwin (narratore), Justin Edwards (Macaroni), Richard McCabe (Sir James Hare), Calvin Dean (domestico della casa Devonshire), Hannah Stokely (cameriera
della casa Devonshire), Andrew Armour (Burleigh), Emily
Jewell (Nanny), Bruce Mackinnon (Sir Peter Teazle), Georgia King (Lady Teazle), Luke Norris (valletto), Eva Hrela (Charlotte a 3 anni), Poppy Wigglesworth (Charlotte a 10 anni),
Emily Cohen (Harriet), Mercy Fiennes Tiffin (Piccola G),
Sebastian Applewhite (Augustus), Angus McEwan (Lord
Robert), Kate Burdette (Lady Harriet), Laura Stevely (Lady
Elizabeth), Ben Garlick (Lord Ambrose), Max Bennet (Lord
Walter)
Durata: 110’
Metri: 2920
va. L’idillio dura poco. Elizabeth, infatti,
cede al corteggiamento di William e tra la
disperazione e il disgusto di Georgiana ne
diviene l’amante ufficiale.
La povera donna, tradita doppiamente, trova conforto fra le braccia di un vecchio amico, il conte Charles Grey con cui
inizia una relazione sentimentale.
William, venuto a conoscenza del nuovo amore della moglie, le propone un patto: un figlio maschio in cambio di una cospicua somma di denaro e la libertà di vivere successivamente la sua storia con
Charles.
Geargiana accetta e dopo innumerevoli
umiliazioni dal marito, tra cui uno stupro,
mette al mondo il tanto desiderato maschio.
Finalmente sciolta da ogni vincolo la
donna riprende, insieme a Charles, le fila
della sua vita. William, però, se in un primo
momento si è dimostrato indifferente alla
cosa, dopo qualche tempo, inizia a essere
insofferente a questo pubblico tradimento e
minaccia la moglie di non farle vedere più i
figli se non chiude la relazione.
Georgiana prima rifiuta ogni compromesso, poi però cede alla richiesta e ritorna “ufficialmente” con il marito. Charles
addolorato la implora, inutilmente, di ripensarci.
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Passa qualche mese e la duchessa scopre di aspettare un figlio dall’amante. Comunica la situazione a William che la spedisce in campagna per concludere la gravidanza senza destare sospetti.
Nasce una bambina che viene affidata, con grande dolore di Georgiana, alle
cure della famiglia Grey.
La donna fa ritorno a palazzo consapevole che la sua vita sarà solo frustrazione e accettazione di un marito disumano.
Un giorno, a una festa rincontra Charles che le dice che la loro bambina sta bene
e che lui sta per sposarsi.
Alcune note alla fine del film raccontano che Georgiana ha vissuto il resto della vita curando i suoi figli e dividendo il
marito con l’amica Elizabeth.
L
e commedie in costume che un
tempo infarcivano notevolmente
la programmazione nelle sale,
sembrano ormai relegate a episodi isolati
nel panorama cinematografico mondiale.
Troppo costose, ambiziose e intente a
raccontare storie, regalare emozioni di cui
il pubblico, neanche quello cosiddetto
“rosa”, sente più il bisogno. Parrucche, crinoline e bustini sembrano andare troppo
stretti alle donnine emancipate del nuovo
Film
millennio che alla cipria preferiscono il
botulino e alle dame di compagnia un buon
agente.
Eppure, siamo così sicuri che queste
storie d’altri tempi siano così lontane dal
nostro comune sentire dal non comunicarci
più nulla?
Per rispondere a questa domanda vale
la pena di guardare l’ultimo lavoro del regista Saul Dibb, La Duchessa e, in particolare, una scena. Un lungo tavolo dove
lei, lady Georgiana Spencer, propone al
Tutti i film della stagione
marito, seduto al capo opposto, e all’amante di lui, posizionata al centro, un patto:
poter vivere anche lei con il suo amante.
L’inevitabile risposta del marito umiliato è “sgualdrina”.
Trascendendo dal contesto e dalla particolare situazione coniugale è interessante notare quanto facilmente certi epiteti
resistano all’usura del tempo e vengano
utilizzati per rinchiudere in un recinto di
recriminazioni ogni “velleità” femminile.
Questo dovrebbe far riflettere.
Lady Georgiana, infatti, con la sua proposta non voleva certo chiedere al marito la
legittimazione dei sui pruriginosi istinti, ma il
riconoscimento di una dignità più volte stuprata, di un’umanità che sembra mancare
nelle fredde stanze della sua magione. Un
“freddo” che il regista riesce a far percepire
attraverso delle particolari inquadrature dal
basso che esaltano la grandezza degli ambienti e, allo stesso tempo, sottolineano la
meschinità di chi vi ruota attorno.
Lady Georgiana, un’apprezzabile Keira Knightley, sembra ribellarsi a questa
bassezza, ma poi ne diventa complice accettando ogni richiesta del marito con serena rassegnazione.
Le feste, il gioco d’azzardo e lo champagne, lungi dall’essere parte del film, ne
diventano, invece, la cornice scrostata,
perfetta però a racchiudere la vita di una
donna la cui fortuna è cagione delle sue
stesse disgrazie.
Nonostante la chiave di lettura forse un
po’ troppo moderna, La Duchessa, cinematograficamente, conserva un impianto
stilistico decisamente classico (niente a
che vedere, per intenderci, con la Maria
Antonietta di Sophia Coppola), ma impreziosito da guizzo intimista che potrebbe
coinvolgere un pubblico, di solito scettico
davanti a un cartellone con troppi merletti.
Francesca Piano
LUI, LEI E BABYDOG
(Heavy Petting)
Stati Uniti, 2007
Aiuti regista: Josh Newport, Vadim Epstein
Arredatore: Lisa Scoppa
Trucco: Carla Antonino, Suzanne DeSimone
Interpreti: Malin Akerman (Daphne), Brendan Hines (Charlie), Kevin Sussman (Ras), Steve Rosen (venditore), Sam
Coppola (tipo strambo), Juan Carlos Hernandez (Juan), Anthony Fazio (proprietario della pizzeria), Geoffrey Cantor (Stefan Roche), Michael Ray Escamilla (Ricky), Shawand McKenzie (la signora sfacciata), Lauren Potter (ragazza graziosa),
Annie V. Ramsey (ragazza strana), Krysten Ritter, Eric Zuckerman, Karen Shallo,Mason Pettit, Mike Doyle, Jennifer Ikeda, Martha Millan
Durata: 98’
Metri: 2600
Regia: Marcel Sarmiento
Produzione: Peter Glatzer, Vince P. Maggio, Marcel Sarmiento
per SarcoFilms/LaSalleHolland
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 14-8-2008; Milano 14-8-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Marcel Sarmiento
Direttore della fotografia: Tim Ives
Montaggio: David Codron, Phyllis Housen
Musiche: Julian Nott
Scenografia: Mark White
Costumi: Lynn Falconer
Co-produttori: Gill Holland, Lillian LaSalle
Direttore di produzione: Michael Sledd
Casting: Sheila Jaffe
C
harlie, proprietario di un negozio di torrefazione di caffè, è un
ragazzo timido e imbranato che
sogna il grande amore. Una sera, a una
festa, il giovane resta affascinato da una
bellissima bionda di nome Daphne. Il giorno dopo, Charlie confida all’amico Ras di
essere completamente stregato da quella
ragazza che conosce appena. Daphne va a
trovare Charlie al negozio e il giovane le
prepara una miscela di caffè speciale che
battezza col suo nome. Charlie, che non
ha una particolare passione per i cani, scopre che la ragazza sta passando un brutto
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periodo dopo la morte del suo amato cagnolino, Fiocco d’avena. Pochi giorni
dopo, Daphne è di nuovo felice, ha con sé
un nuovo cane, il suo nome è Babydog.
Oltre al vivace cucciolo, Charlie deve vedersela anche con la concorrenza di James, un giovane medico che ha molta con-
Film
fidenza coi cani e che sa come colpire al
cuore la ragazza. Ras consiglia a Charlie
di non mollare, deve riuscire a conquistare il cuore di Daphne per sconfiggere la
concorrenza di Babydog nel cuore della
ragazza. Una sera, Charlie riesce a salire
a casa di Daphne e, proprio mentre la ragazza sta per cedere al suo corteggiamento, ci si mette di mezzo Babydog che deve
uscire a fare i suoi bisogni. Tornato a casa,
Charlie trova Daphne ubriaca e i due finiscono per addormentarsi. Il giorno dopo,
Ras cerca di non scoraggiare l’amico. Di
nuovo per strada, di sera tardi, per far fare
i bisogni a Babydog, Charlie non riesce a
rientrare in casa perché Daphne si è addormentata. Disperato e chiuso fuori,
Charlie va a casa da Ras con Babydog. Il
mattino dopo, Daphne si scusa con Charlie per l’accaduto e chiede di badare al suo
cane ancora per qualche ora. Accade però
che, grazie alla presenza di Babydog, la
caffetteria di Charlie si riempie di nuovi
clienti con i loro amici a quattro zampe.
Anche Ras si accorge che in compagnia di
Babydog riesce ad abbordare molte ragazze. Quella sera, Charlie riesce finalmente
ad allontanare Babydog dalla camera da
letto di Daphne, ma la ragazza sospetta che
il suo cagnolino interessi a Charlie più di
lei. Charlie ammette che per lui è più facile dire di essersi innamorato di un cane
piuttosto che di lei. Anche Ras crede che
ormai Charlie abbia un’ossessione per il
Tutti i film della stagione
cagnolino. Una sera, Charlie rivede Daphne e le dice che l’errore più grande che
commettiamo è quando cerchiamo di misurare i nostri sentimenti; era convinto di
essere un romantico ma non sa nulla dell’amore vero e ora ha perso sia lei che
Babydog. A casa, Ras promette a Charlie
che lo aiuterà, ma in quel momento Daphne telefona dicendo che Babydog è fuggito. Charlie e Daphne ritrovano Babydog e
fanno la pace. Charlie prepara nuove miscele di caffè per clienti felici. Sei settimane dopo, Ras si è trovato un nuovo lavoro
come dog-sitter mentre Daphne torna a
casa con un gattino.
“I
l triangolo no, non l’avevo considerato ....” cantava Renato Zero
tanti anni fa, ed eccoci a un altro
triangolo amoroso, un ménage à trois davvero ‘sui generis’: lui, lei e un delizioso iperaffettuoso cagnolino. “L’amore è amore, indipendentemente dal fatto che sia una
persona o un cane” dice la bionda protagonista al suo impacciato corteggiatore. E
l’amore finisce per trionfare, al di là delle
disavventure buffe, ma prevedibili, del nostro protagonista, che deve vedersela con
un inedito rivale a quattro zampe.
Certo, di simpatici protagonisti a quattro zampe il cinema è pieno, per non tornare troppo indietro al mitico Lassie ne citiamo solo due più recenti: Turner e il “casinaro” con un Tom Hanks giovanotto e
Poliziotto a 4 zampe con il bravo James
Belushi.
Molto più modestamente, Lui, lei e
Babydog si presenta come un film leggero e innocuo come una brezza estiva. Dietro la macchina da presa c’è il giovane
Marcel Sarmiento, alla sua seconda esile
regia cinematografica.
Una lei biondina (Malin Akerman già
ammirata nei panni della sorella rubacuori della protagonista Katherine Heigl
nella commedia 27 volte in bianco di
Anne Fletcher e nell’irriverente Lo spaccacuori di Bobby e Peter Farrelly accanto a Ben Stiller), un lui imbranatuccio
(Brendan Hines, faccia da bravo ragazzo e qualche partecipazione a serie televisive come Senza traccia e The Middleman) e un viziato cagnolino. Tutto scontato. Se non fosse per quella “faccia un
po’ così” di Kevin Sussman (già visto
nella serie televisiva “cult” Ugly Betty) nei
panni di Ras, l’amico del cuore del protagonista, saggio consigliere dall’inaspettato futuro da dog-sitter e, manco a
dirlo, una frana con le donne. Una segnalazione, tenetelo d’occhio nell’ultimo
film dei fratelli Coen Burn After Reading,
celebrata commedia con il duo di star
Clooney – Pitt: il nostro Kevin ha una piccola parte, eh già quella faccia non è
sfuggita neppure ai Coen!
Elena Bartoni
LOWER CITY
(Cidade baixa)
Brasile, 2005
Regia: Sérgio Machado
Produzione: Walter Salles per VideoFilmes
Distribuzione: Iguana Film
Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008) V.M.: 14
Soggetto e sceneggiatura: Sérgio Machado, Karim Ainouz
Direttore della fotografia: Toca Seabra
Montaggio: Isabela Monteiro de Castro
Musiche: Carlinhos Brown, Beta Villares
Scenografia: Marcos Pedroso
Costumi: Andrè Simonetti, Cristina Camargo
Produttore esecutivo: Mauricio Andrade Ramos
Produttori associati: Robert Bevan, Donald Ranvaud
B
rasile. Deco e Naldinho si guadagnano da vivere trasportando
merci sulla loro vecchia barca a
motore. Sono amici da una vita, dividono
tutto, ogni cosa. Anche la bella e ossigenata Karinna, prostituta conosciuta per
caso in un bar. A lei, in cambio di un pas-
Direttori di produzione: Claudia REis, Marcelo Torres
Aiuti regista: Marcia Faria, Maria Farkas, Daniela Carvalho
Trucco: Rosa Versoça
Interpreti: Wagner Moura (Naldinho), Lazaro Ramos (Deco),
Alice Braga (Karinna), José Dumont (Sergipano), Harildo Deda
(Careca), Maria Menezes (Luzinete), João Miguel (Edvan),
Debora Santiago (Sirlene), Leno Sacramento (Rufino), Ricardo Spencer (Marcelo), Divina Valéria (Zilu), Tinho Bahia (pugile), Fernanda dei Freitas (Nilma), Anuréa Elia (D Lenita),
Agnaldo Lopes, Ricardo Luedy (clienti Karinna)
Durata: 100’
Metri: 2469
saggio per Salvador, chiedono una doppia
prestazione sessuale. Karinna accetta. Verso sera, si parte.
L’indomani fanno sosta a Cachoeira.
Devono scaricare sacchi di cibo per cani.
Decidono di fermarsi, il tempo di bere una
cosa. Ma nel locale, dove c’è un combatti25
mento tra galli, si scatena una rissa e Naldinho, nel tentativo di sedare gli animi, ha
la peggio. Ferito da un coltello, rimane a
terra sanguinante. Deco allora, come una
furia, si accanisce sull’aggressore. In piena notte, i tre sono di nuovo in barca, diretti a Salvador.
Film
Qui, un dottore rimargina la ferita di
Naldinho. La vita può ricominciare. Ma
ora, tra i due vecchi amici, si è insinuata
Karinna. Il suo corpo, bello e disponibile,
passa tra le braccia di uno a quelle dell’altro. Si va avanti così, per giorni.
Intanto, i loro tentativi di uscire da
quella spirale di povertà puntualmente falliscono. Le loro squallide vite sono lì a dimostrarlo. Karinna fa la spogliarellista in
un locale e ha rapporti con chiunque la
paghi. Presto rimarrà incinta. Deco rimette
i guantoni e torna a boxare, ma è costretto
ad accettare incontri fasulli. Infine, il più
debole, Naldinho, non trova di meglio che
legarsi a un malavitoso del quartiere.
Unico appiglio è l’amore ossessivo che
ambedue provano per la donna. Per lei,
Deco e Naldinho si troveranno ad azzuffarsi come quei due galli a Cachoeira. A
curar loro le ferite ci penserà Karinna.
Tutti i film della stagione
L
’esordio di Sergio Machado conferma la sua propensione a indagare l’animo umano, soprattutto se questo è messo in condizioni estreme, così come già fece nel bel documentario At the Edge of the Earth. Vale la pena,
inoltre, ricordare che è stato assistente di
Walter Salles (qui in veste di produttore insieme a Mauricio Andrade Ramos) in Central do Brasil, che pur trattava tematiche di
violenza e disperazione in una terra difficile qual è il Brasile.
L’azione qui si svolge in larga parte
nella città di Salvador e più precisamente
nella Chidade Baixa, zona in pieno sviluppo economico. Ma alla modernità del posto, che a malapena intravediamo, si contrappone la vita di questi tre disperati, alla
ricerca affannosa di una felicità improbabile. Le loro esistenze, dipinte di scuro,
appaiono fin da subito segnate da un tra-
gico destino. Come se indossassero un
abito da cui è difficile spogliarsi. Anche il
loro fare all’amore con l’affascinante Karinna (Alice Braga), rimanda un senso di squallore, di fine. Proprio perché è un amore cercato, desiderato, quasi violento. Destinato,
perciò, inevitabilmente a spegnersi.
Un film senza speranza, trattato però con
delicatezza e senza eccessivi tormenti.
A rendere ben leggibile questo dramma, la bellissima fotografia di Toca Searba, oltre, naturalmente, la bravura degli
attori che, non solo formano un trio perfetto, ma ci restituiscono una verità fuori dalla norma. Così la regia, attenta e scrupolosa a catturare ogni singola espressione.
Unica nota un po’ stonata, ci è parsa
la scrittura. A tratti ingenua e un tantino
esplicativa. Ma ciò non toglie freschezza
e vitalità a questa pellicola.
Ivan Polidoro
MILK
(Milk)
Stati Uniti, 2008
Acconciature: Debra Dietrich, Michael White, Sterfon Demings, Tess Green, Robert Mruck, Jennifer Tremont
Coordinatore effetti speciali: Tom Sindicich
Supervisore effetti visivi: Chel White
Coordinatore effetti visivi: Collin Fowler (Illusion Arts)
Supervisore costumi: Victoria DeKay
Interpreti: Sean Penn (Harvey Milk), Emile Hirsch (Cleve Jones), Josh Brolin (Dan White), Diego Luna (Jack Lira), James
Franco (Scott Smith), Alison Pill (Anne Kronenberg), Victor
Garber (Sindaco George Moscone), Denis O’Hare (Senatore
John Briggs), Joseph Cross (Dick Pabich), Stephen Spinella
(Rick Stokes), Lucas Grabeel (Danny Nicoletta), Brandon
Boyce (Jim Rivaldo), Howard Rosenman (David Goodstein),
Kelvin Yu (Michael Wong), Jeff Koons (Art Agnos), Ted Jan
Roberts (Dennis Peron), Boyd Holbrook (Denton Smith), Frank
M. Robinson, Allan Baird, Tom Ammiano (se stessi), Carol
Ruth Silver (Thelma), Hope Tuck (Mary Anne White), Steven
Wiig (McConnely), Ashlee Temple (Dianne Feinstein), Wendy
Tremont King (Carol Ruth Silver), Kelvin Han Yee (Gordon Lau),
Robert Chimento (Phil Burton), Ginabel Machado (Lily), Daniel Landroche (giovane adolescente), Trace Webb (ragazzo
dei volantini), Mark Martinez (Sylvester), Catherine Cook, Joe
Meyers (cantanti opera Tosca)
Durata: 128’
Metri: 3400
Regia: Gus Van Sant
Produzione: Bruce Cohen, Dan Jinks, Michael London per Focus Features/Axon Films/Groundswell Productions/ Jinks/
Cohen Company/Sessions Payroll Management
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 23-1-2009; Milano 23-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Dustin Lance Black
Direttore della fotografia: Harris Savides
Montaggio: Elliot Graham
Musiche: Danny Elfman
Scenografia: Bill Groom
Costumi: Danny Glicker
Produttori esecutivi: Dustin Lance Black, Barbara A. Hall,
William Horberg, Bruna Papandrea
Direttore di produzione: Barbara A. Hall
Casting: Francine Maisler
Aiuti regista: David J. Webb, John R. Saunders, Grace Liu,
Ian Calip, Michael Jordan, Neil Lewis
Operatori: Robert Dalva, Stephen Lighthill, Michael Chin, Will
Arnot
Art director: Charley Beal
Arredatore: Barbara Munch
Trucco: Steven E. Anderson, Gretchen Davis, Gregory Nicotero, Karen Bradley, Stephan Dupuis, Toby Mayer, Jenny-King
Turko
1
8 novembre 1978. 9 giorni prima
della sua morte, Harvey Milk sta
registrando su nastro le tappe
della sua vita e della sua carriera
1970, New York. Milk, alla soglia dei
40 anni, conosce Scott Thomas che per
molti anni sarà il suo compagno
1972. Harvey e Scott si trasferiscono a
San Francisco, dove mettono in piedi
un’attività commerciale (chiamata “Castro
Camera”) nel quartiere popolare di Castro, diventato punto di riferimento per la
comunità gay. Il negozio di fotografia diventa ben presto il ritrovo di un gruppo di
persone e amici che sostiene il nascente
attivismo di Harvey. Questi inizia a essere
un militante, improvvisa comizi nei quali
chiede pari diritti e opportunità per tutti.
26
Diventa, così, ben presto il paladino della
comunità di Castro e appassiona omosessuali ed eterosessuali, giovani e anziani.
A questo punto, decide di entrare in politica, candidandosi per la carica di consigliere comunale. In questa sua attività, trova sostegno in Scott e nel gruppo dei suoi
fidati amici e, tra questi, c’è Cleve Jones.
Nonostante abbia portato entusiasmo, non
Film
viene eletto. Tuttavia non si perde d’animo e con determinazione ritorna alla carica per entrare nel governo cittadino. Nel
corso del suo quarto tentativo, Scott lascia
Harvey, non potendo più tollerare questo
susseguirsi di speranze e delusioni. Durante l’ultima campagna elettorale però, Milk
viene eletto consigliere per il 5° Distretto,
diventando il primo gay dichiarato ad assumere una carica istituzionale. Nel frattempo, inizia una relazione con Jack Lira,
un ragazzo latino. In municipio, conosce
il conservatore Dan White. Malgrado le
differenze, tra i due si buttano le basi per
un rapporto lavorativo. White lo invita al
battesimo di suo figlio. Il loro rapporto
però si fa teso dopo che Milk, in consiglio,
non appoggia il progetto di White. Questi
si sente tradito e comincia ad andargli contro su tutte le iniziative.
Nel frattempo, Jack, non riuscendo a
sopportare la scarsa presenza del suo
amante, si toglie la vita impiccandosi.
Milk è incredulo e stravolto dal dolore
dopo che ritrova il corpo senza vita in
casa. Da un punto di vista politico, si sta
battendo contro la “Proposition 6”, legge sponsorizzata dal senatore John Briggs che prevedeva il licenziamento degli
insegnanti dichiaratamente gay. Questa
campagna era stata intrapresa dall’ultra
conservatrice cantante e attivista Anita
Bryant Il 7 novembre del 1978, dopo una
lunga ed estenuante battaglia, la legge
non passa e Milk e il suo gruppo possono
finalmente festeggiare.
Intanto White, che non ricopre più la
carica di consigliere, si dimostra sempre
più instabile e insofferente ai successi di
Milk. Cerca di riottenere il suo posto in
municipio trovando però l’opposizione del
sindaco Moscone. La mattina del 27 novembre, l’uomo entra nel municipio di San
Francisco. Ottiene un colloquio col sindaco e poi gli spara. Successivamente si dirige verso l’ufficio di Milk e lo fredda brutalmente. A San Francisco, Harvey e il sindaco Moscone vengono commemorati con
una grande fiaccolata che attraversa le
strade della città.
A
prima vista, Milk potrebbe apparire il biopic più classico dell’opera di Gus Van Sant. La vita del
protagonista, il primo politico dichiaratamente gay a essere eletto in una carica
pubblica, viene infatti ripercorsa dal 1970
al 1978, attraverso consistenti ellissi temporali: il primo incontro con Scott Thomas,
il trasferimento a San Francisco nel quartiere di Castro, l’attività e l’impegno politico. Un disegno, quello di Van Sant, in perfetto equilibrio tra dimensione pubblica e
Tutti i film della stagione
privata, che ricrea l’atmosfera di un paese, dove c’era il sogno di un cambiamento
progressista da una parte e le radici conservatrici che lo ostacolavano dall’altra (le
figure della cantante-attivista Anita Bryant
e del senatore John Briggs). Milk è anche
ma non soltanto una riuscita ricostruzione
d’epoca. Sembra invece un film che è stato realizzato negli anni Settanta. Recentemente, nel cinema statunitense, aveva dato
questa stessa impressione American Gangster di Ridley Scott. In effetti queste due
pellicole condividono un volontario sfasamento nella prospettiva degli ambienti e
una perdita di consistenza cromatica che
riportano, non solo a livello visivo ma soprattutto sensoriale, all’interno di quel decennio. Il direttore della fotografia dei due
film è infatti Harris Savides (che collabora
spesso con Van Sant e ha lavorato anche
con David Fincher in Zodiac e con James
Gray in The Yards), forse oggi uno dei migliori tecnici per immergere in una dimensione temporale passata. Inoltre, la pellicola appare in sintonia con il miglior cinema americano politico di quegli anni. C’è
un momento in cui il protagonista avverte
di essere pedinato. Non accade niente, ma
lui accelera il passo e lascia avvertire una
paura che cerca di nascondere. Anche in
Tutti gli uomini del Presidente (1976) di
Alan J. Pakula era presente un momento
simile dove Robert Redford, nei panni di
Bob Woodward, percorreva la strada di notte e si avvertiva la presenza di qualcuno
che lo stava inseguendo di nascosto.
L’opera di Van Sant quindi può essere
inquadrata come potente esempio di cinema civile, con attori al meglio. Il trasformismo e l’aderenza fisica ed emotiva di Sean
Penn in Milk ricorda quella con cui ha interpretato l’avvocato di Carlito’s Way
27
(1993) di De Palma. Ma sorprendono anche le prove mimetiche e sofferte di un
grande Josh Brolin (Non è un paese per
vecchi e W.), Emile Hirsch (Into the Wild)
e James Franco (i tre Spiderman).
Al tempo stesso però il film del cineasta statunitense può essere anche visto
come un lunghissimo flashback che dura
per quasi tutto il film. Quei nastri dove il
18/11/78, 9 giorni prima della sua morte,
registra la sua voce, sono una sorta non
solo di autobiografia che poi prende forma attraverso i filmati della propria memoria, ma, soprattutto, di un testamento, come
se il protagonista avvertisse quasi la sua
fine. Chiaramente Van Sant non si spinge
nella totale destrutturazione del biopic
come in Last Days, ispirato agli ultimi giorni di vita del leader dei Nirvana Kurt Cobain, nel quale cercava soprattutto di catturare e materializzare l’allucinazione soggettiva e squarci di visioni oniriche, entrando quasi all’interno di un mondo soprannaturale. Però Milk è denso di slanci improvvisi, di percezioni ed emozioni epidermiche, come quella in cui ritorna a casa e
vede il suo compagno impiccato, o tutta la
folgorante parte finale in cui il suo volto,
dopo che Dan White gli ha sparato, guarda come ultima immagine il teatro dove
stanno rappresentando La Tosca, opera
che era andato a vedere qualche giorno
prima. Ecco, in quella scena, nel senso di
improvvisa solitudine che si avverte in quel
momento, il volto di Sean Penn appare ‘diviso in due’ tra malata estasi e straziata
disperazione, proprio come quello di Tom
Hanks in Philadelphia (1993) di Jonathan
Demme mentre ascolta la voce della Callas che canta nell’opera lirica Andrea Chenier.
Milk riprende i movimenti, i percorsi
Film
proprie dell’opera di Van Sant. L’inserimento di filmati documentari (l’inizio del film con
il repertorio che testimonia la persecuzione della polizia nei confronti degli omosessuali con irruzioni nei bar e arresti tra gli
anni ’50 e ’60) crea sempre quella sospensione tra la realtà e la ricostruzione che
attraversa spesso la sua filmografia. Inoltre, le immagini del viaggio in auto di Harvey e Scott verso San Francisco, con loro
che si inquadrano e guardano nell’obietti-
Tutti i film della stagione
vo, hanno la consistenza e l’immediatezza di un filmino familiare e, da questo punto di vista, il regista lascia intenzionalmente
scontrare formati diversi proprio come in
Paranoid Park. Infine l’inquadratura di spalle di Dan White mentre si sta avviando a
uccidere prima il sindaco Moscone e poi
Harvey Milk ha la stessa traiettoria di quella
di Elephant.
Milk è quindi un film di incredibile ricchezza, che a un’attenta analisi va oltre
quello che mostra direttamente sullo schermo. La fiaccolata finale è un momento di
cinema intensissimo ed emozionante, segno di come il regista sappia straordinariamente annegare dentro le proprie storie. E da quel momento si ha come la sensazione che il personaggio riprenda improvvisamente vita proprio dalla fine.
Come un improvviso miracolo.
Simone Emiliani
IMPY E IL MISTERO DELL’ISOLA MAGICA
(Urmel aus dem Eis)
Germania, 2006
Co-produttore: Andreas Fallscheer
Direttore di produzione: Fabian Mueller
Effetti speciali: Gildas Gerdes, Tino Waschke
Effetti visivi: Timo Schnitt
Voci: Wigald Boning/Gianluca Iacono (Professor Tibberton), Anke
Engelke/Cinzia Massironi (Piggy), Stefan Krause/Serena Clerici (pinguino Ping), Oliver Pocher/Riccardo Rovatti (Sonderburg), Domenic Redl/Patrizia Mottola (Impy), Frank Schaff/
Davide Garbolino (Monty), Klaus Sonnenschein/Pietro Ubaldi
(Pumpolonio), Bernhard Volger/Natale Ciravolo (Dimitri), Wolfgang Volz/Claudio Moneta (Paki)
Durata: 87’
Metri: 2400
Regia: Reinhard Klooss, Holger Tappe
Produzione: Reinhard Klooss, Holger Tappe per Ambient Entertainment GmbH/Bavaria Pictures/Falcom Media
Distribuzione: Mediafilm
Prima: (Roma 27-6-2008; Milano 27-6-2008)
Soggetto: dal libro per bambini Urmel venuto dai ghiacci di Max
Kruse
Sceneggiatura: Oliver Huzly, Reinhard Klooss, Sven Severin
Montaggio: Fabian Mueller
Musiche: James Dooley
Scenografia: Henning Ahlers, Jens Benecke
Produttori esecutivi: oliver Huzly, Sebastian Riemen
Line producer: Michael Waldleitner
I
l professor Albert Siebenstein
vive sull’isola di Hula-Hula dove
tiene una scuola di linguaggio
per animali: insieme al figlio adottivo Tim,
Siebenstein insegna a parlare al pinguino
Ping, al varano Monty e al pellicano Paki.
Un giorno, trovano sulla spiaggia un uovo
dal quale, una volta schiuso, esce fuori un
cucciolo di dinosauro. Subito accudito con
amore dalla maialina Piggy, che si occupa delle pulizie e delle vettovaglie, il piccolo Impy cresce grande e forte, vivace e
pasticcione come tutti i cuccioli. Dall’altra parte del mondo, l’ex re Pumpolonio,
dopo aver perso la corona, si annoia e
passa il tempo andando a caccia di animali esotici e in via di estinzione; saputo
dell’esistenza di Impy e dell’isola di HulaHula, Pumpolonio decide di partire alla
volta dell’isola con il fedele maggiordomo
Dimitri e un fucile da caccia. All’arrivo
del re, Siebenstein e i suoi amici nascondono Impy in una grotta sotto il vulcano
che troneggia sull’isola. Il re riesce a scoprire il nascondiglio, ma una frana, provocata dall’improvviso risveglio del vulcano, blocca l’ingresso alla grotta, lasciandolo solo con Impy. Ora che sono faccia a
faccia però, Pumpolonio non ha coraggio
di uccidere un cucciolo carino come Impy
e confessa di non essere un cacciatore per
cattiveria ma solo perché si annoia da
quando non è più re. Intanto, con l’aiuto
del leone marino Solomone, Siebenstein,
Ping e Monty riescono a liberare Impy e il
re, ormai diventati grandi amici.
T
ratto dal bestseller in patria pubblicato per la prima volta negli
anni ’60 dallo scrittore ormai ot
tantacinquenne Max Kruse, arriva nelle sale
italiane due anni dopo la sua realizzazione
Impy e il mistero dell’Isola Magica, un film
d’animazione in 3D rivolto espressamente
a un pubblico infantile. Incentrato sulle avventure di un gruppo di animali parlanti su
di un’isola sperduta nell’oceano, il film ha il
suo punto di forza non tanto nell’animazione in sé (di buona fattura ma non eccelsa)
e nemmeno nella sceneggiatura (eccessivamente sacrificata come spesso accade
in questo genere di film), quanto, piuttosto,
nella caratterizzazione dei personaggi dei
piccoli animaletti che si rifanno esplicitamente a modelli di comportamento propri
del monto infantile, come del resto era alla
base della stessa serie di racconto di Kruse. La storia è praticamente ridotta all’osso, con una serie di episodi quasi slegati
l’uno dagli altri e che non segue minimamente lo sviluppo del personaggio principale di Impy. Il personaggio risulta però sim28
patico come solo i bambini sanno essere,
nonostante spesso parli a sproposito, non
obbedisca mai a quello che gli viene detto
dagli adulti e riesca sempre a cacciarsi nei
guai ed è veramente dolcissimo quando,
con disarmante innocenza, chiede al re
Pumpolonio la ragione del suo odio nei propri confronti. Dal punto di vista dell’animazione, funzionano decisamente meglio i personaggi animali, come il simpatico varano
Monty (con la voce alla Duffy Duck di Davide Garbolino) e il pinguino Ping (buona la
resa della pelliccia che lo avvolge), ad eccezione della maialina Piggy (uno sforzo in
più si sarebbe potuto fare per rendere più
simpatico e accattivante l’unica figura materna del film); risultano meno efficaci e
schematici i personaggi umani come il re
Pumpolonio e lo scienziato Siebenstein
(che richiama espressamente alla mente
Albert Einstein), mentre è pessimo il direttore dello zoo di Pumpolonia Zonderburgh,
come pessimo sono pure le gag che lo vedono protagonista. La colonna sonora è di
ordinaria amministrazione e ci risparmia
canzoncine bislacche e fuori luogo (è già
abbastanza la favola sulla “fata dei maialini”, chissà cosa sarebbe uscito fuori per le
canzoni). Il film è pieno di buoni sentimenti,
senza però grondare sentimentalismo, con
un bel messaggio di tolleranza e compren-
Film
sione per il diverso e di amore per la natura. Poco citazionismo ma piace il versante
gospel del leone marino Solomone che
canta Nobody Knows The Trouble I’ve Seen
Tutti i film della stagione
con la voce di Louis Armstrong. La zanzara, che si vede all’inizio del film e che finisce prima ibernata e poi scongelata al sole
dell’isola di Hula-Hula, richiama poi alla
mente lo scoiattolo preistorico Scrat di L’era
glaciale 1 e 2, seppure con minor simpatia.
Chiara Cecchini
EX
Italia, 2008
Produttore esecutivo: Salvatore Morello
Casting: Denver M. Beattie
Aiuto regista: Alessandro Pascuzzo
Suono: Marco Fiumara
Interpreti: Claudio Bisio (Sergio), Elena Sofia Ricci (Michela),
Silvio Orlando (Luca), Carla Signoris (Loredana), Vincenzo Salemme (Filippo) Nancy Brilli (Caterina), Cristiana Capotondi
(Giulia), Malik Zidi (Marc), Cécile Cassel (Monique), Fabio De
Luigi (Paolo), Alessandro Gassman (Davide), Claudia Gerini
(Elisa), Flavio Insinna (don Lorenzo), Gianmarco Tognazzi (Corrado), Giorgia Würth (Roberta), Martina Pinto (Valentina)
Durata: 120’
Metri: 3300
Regia: Fausto Brizzi
Produzione: Fulvio e Federica Lucisano per Italian International Film. In coproduzione con Paradis Film/Mes Film. In collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 6-2-2009; Milano 6-2-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Fausto Brizzi, Marco Martani,
Massimiliano Bruno
Direttore della fotografia: Marcello Montarsi
Montaggio: Luciana Pandolfelli
Musiche: Bruno Zambrini
Scenografia: Maria Stilde Ambruzzi
Costumi: Monica Simeone
S
ei coppie protagoniste si alternano sulla scena in un periodo compreso tra Natale e San Valentino.
Caterina e Filippo stanno divorziando per
non avere l’affidamento dei figli, due ragazzini “degeneri” che invece di accontentarsi della playstation chiedono di andare al teatro e al planetario. A giudicare
la loro causa, Luca, che, una volta messa
da parte la toga, ha problemi con la moglie Loredana. Alla soglia dei cinquant’anni, l’uomo è in preda al complesso di Pater Pan e stufo della vita matrimoniale, si
trasferisce a vivere nella casa dove sta il
figlio universitario con altre ragazze. Luca
ha un’altra figlia, Giulia che vive e lavora
a Parigi con il fidanzato Marc. Alla ragazza viene proposta un’ottima trasferta in
Nuova Zelanda e, dopo le iniziali titubanze, accetta la proposta, forte del suo amore con Marc. Sergio è un professore universitario di psicologia, divorziato da otto
anni, con due figlie adolescenti di cui si è
sempre occupato poco, troppo preso dalla
passione per le donne. All’improvviso, a
causa di un incidente stradale in cui la sua
ex moglie Michela perde la vita, è costretto da un giorno all’altro, suo malgrado, a
occuparsi delle due ragazze. Elisa sta per
sposarsi con Corrado e scopre che il prete
che dovrà benedire la sua unione è nientemeno che il suo storico ex, Lorenzo, etichettato con un dieci e lode nella sua classifica degli uomini avuti. Poi c’è Paolo,
un medico bonaccione innamorato di Monique, una dj vispa e alternativa, che è continuamente minacciato da Davide, poliziot-
to ed ex fidanzato della ragazza, geloso in
maniera morbosa. Caterina e Filippo seguendo le direttive imposte loro dal giudice per riconquistare la fiducia dei figli, si
scoprono più innamorati di prima. Loredana rimane ferita durante una rapina e
Luca, di fronte all’eventualità di perdere
la moglie, si prodiga per riconquistarla.
Marc, consumato dalla gelosia e da un
rapporto a distanza ormai ingestibile, decide di fare una sorpresa a Giulia raggiungendola in Nuova Zelanda. Peccato che al
suo arrivo non trova la ragazza, ma anzi,
credendola fuggita con un collega surfista, se ne torna sconsolato sui suoi passi.
Giulia è arrivata, a sua volta, a Parigi e
per un casuale fraintendimento è convinta
che Marc la stia tradendo. I due si incontrano in aeroporto durante lo scalo a Hong
Kong e basta poco per riaccendere la passione. Don Lorenzo, ancora segretamente
innamorato di Elisa, fa le poste a Corrado
durante il suo addio al celibato, cogliendolo in flagrante con una spogliarellista.
Elisa, già da tempo confusa circa i propri
sentimenti, davanti all’altare, prima di pronunciare il fatidico sì, decide di seguire il
suo cuore, mentre Lorenzo senza pensarci
a lungo scioglie i voti. Paolo, ormai impotente di fronte ai continui avvertimenti di
Davide, arriva a farsi lasciare dalla fidanzata. Tuttavia, il destino vuole che sia lui a
salvare la vita proprio al suo aguzzino, ferito da un proiettile durante una rapina. I
due diventano amici e si alleano, architettando un piano per far fuori il nuovo spasimante di Monique. Dulcis in fundo Ser29
gio abbandona i panni da don Giovanni e
finalmente si riscopre padre.
I
n una commedia corale ben orchestrata, sul modello di Love
Actually e Manuale d’amore, Fausto Brizzi gioca con il tema degli amori finiti e degli amori ritrovati. Dopo il successo dei due Notte prima degli esami, pellicole giovanilistiche che hanno sbancato il
botteghino, con Ex il regista romano si
confronta con una storia più “adulta”, ragionando sul come si faccia presto a divenire ex, ma in fondo sul come non lo si
divenga mai. Il film inizia dove solitamente
le commedie romantiche finiscono: coppie
che si baciano e si giurano amore eterno.
Tuttavia l’ordine iniziale è solo apparente;
in fretta ci si trova a dover cercare di riordinare un puzzle (come quello fatto da
Marc e Giulia con la celebre foto Le Baiser de l’Hôtel de Ville) da mille pezzi. Ex è
una commedia corale costruita sul sempreverde motivo dell’amore altalenante, di
quello che finisce e rinasce, è soggetto a
strappi e viene ricucito. Le sei coppie protagoniste rappresentano i prototipi delle
problematiche amorose più comuni: dal divorzio, alla gestione dei figli, al problema
della distanza, al tradimento. Alla fine, con
prevedibile ottimismo, l’amore vince su tutto, più forte delle incomprensioni, degli
equivoci e delle incompatibilità caratteriali. Con una non mascherata leggerezza
diventa tutto possibile, senza ricorrere per
forza alla volgarità, accondiscendendo un
pubblico senza troppe pretese.
Film
In una gustosa confezione di intrattenimento, all’insegna di una regia lineare e
senza particolari vezzi artistici, Brizzi lascia spazio alla scrittura e a un girotondo
di attori che spazia dal grande schermo
alla televisione, rendendo i 120 minuti di
Tutti i film della stagione
pellicola piacevoli e divertenti. Accanto all’utilizzazione di alcuni attori e delle loro
potenzialità di persuasione di una certa
fetta di pubblico, tipo Bisio, Salemme, Gerini, Capotondi, Brilli c’è anche il reclutamento e la prestazione di alcuni personag-
gi assolutamente non scontati. Il televisivo
Insinna, che si difende con molto onore, o
De Luigi che sta diventando sempre più
camaleontico e persino il cabarettista Dario Cassini. A fianco a loro, la professionalità di un Gassman, di un Tognazzi e di un
brillante Silvio Orlando. Tanto che per un
attimo ci si illude di trovarsi a che fare con
una commedia degli anni ’60. E via allora
alla ricerca del successo con le strategie
del marketing più puro. La colonna sonora
alla moda, una grande distribuzione, il libro scritto da Brizzi (“Il manuale degli Ex”)
e edito da Mondadori, uscito in contemporanea con il film, foto e filmati nei titoli di
coda di cento baci di sconosciuti inviati dal
sito web del film nel corso dei mesi precedenti all’uscita. Si è ricorsi persino al duo
dei Jalisse, richiesti esplicitamente dal regista e inseriti in maniera ironica e spassosa in un simpatico cameo musicale all’interno del costrutto filmico. Grande ritorno, anche se in comparsata, di Montesano, Angelo Infanti e l’ex morettiano Fabio
Traversa.
Veronica Barteri
SAW V
(Saw V)
Stati Uniti/Canada, 2008
Supervisore effetti speciali: Jeff Skochko
Supervisore effetti visivi: Jon Campfens
Coordinatore effetti visivi: Beau Parsons (Switch VFX)
Interpreti: Tobin Bell (Jigsaw/John), Costas Mandylor (Mark
Hoffman), Scott Patterson (agente Strahm), Betsy Russell (Jill),
Julie Benz (Brit), Meagan Good (Luba), Mark Rolston (Dan
Erickson), Carlo Rota (Charles), Greg Bryk (Mallick), Laura
Gordon (Ashley), Joris Jarsky (Seth), Mike Butters (Paul), Al
Sapienza (capo di polizia), Mike Realba (detective Fisk), Lyriq
Bent (Rigg), Sheila Shah (agente speciale Cowan), Samantha Lemole (Pamela Jenkins), Jeff Pustil (Bernie), Athena
Karkanis (agente Perez), Justin Louis (Art), Donnie Wahlberg
(Eric Mathews), Danny Glover (David Tapp), Dana Sorman
(receptionist dell’ufficio legale), Shawnee Smith (Amanda),
Bahar Soomekh (Lynn), Niamh Wilson (Corbett), Angus Macfadyen (Jeff), Lisa Berry (EMT), Bill Vibert (agente), Tony Nappo (Gus)
Durata: 92’
Metri: 2350
Regia: David Hackl
Produzione: Mark Burg, Oren Koules per Twisted Pictures
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 5-12-2008; Milano 5-12-2008) V.M.: 14
Soggetto e sceneggiatura: Patrick Melton, Marcus Dunstan
Direttore della fotografia: David A. Armstrong
Montaggio: Kevin Greutert
Musiche: Charlie Clouser
Scenografia: Anthony A. Ianni
Costumi: Alex Kavanagh
Produttori esecutivi: Peter Block, Jason Constantine, Daniel J. Heffner, Stacey Testro, James Wan, Leigh Whannell
Produttore associato: Troy Begnaud
Casting: Stephanie Gorin
Aiuti regista: Sam Lennox, Steve Webb, Sarah Buell, Greg
Edmunds
Arredatore: Liesl Deslauriers
Trucco: Colin Penman
S
eth Baxter è un assassino che era
stato condannato all’ergastolo
per omicidio. Poi la sua pena, a
causa di cavillo legale, è stata ridotta a 5
anni. Ora si trova incatenato a un tavolo
con sopra un pendolo gigantesco, sul quale è montata un’enorme lama. La sua fine
è ormai imminente.
L’agente Peter Strahm, dopo aver ucciso Jeff Reinhart, viene chiuso dal detective Hoffman nella camera dove Jigsaw è
morto. Qui c’è un passaggio segreto e un
registratore gli dice di non procedere. Lui
però ignora l’avvertimento e, al suo risveglio, si ritrova in una trappola costruita
per giustiziarlo; sulla sua testa c’è infatti
30
una teca di vetro con due tubi che immettono acqua. Lui si pratica una rudimentale tracheotomia e riesce a sopravvivere fino
all’arrivo dei soccorsi. Hoffman si stupisce nel vedere Strahm sopravvissuto all’Enigmista. Comunque Jigsaw viene dichiarato morto e Hoffman riceve una promozione per aver risolto il caso.
Film
Intanto Jill, l’ex-moglie dell’Enigmista, riceve tramite un notaio un videomessaggio dall’ex-marito che le dice di aprire la cassa che le ha lasciato in eredità.
Jill lo fa e ne visiona il contenuto senza
rivelarlo.
Nel frattempo, Strahm, ricoverato in
ospedale, comincia ad avere sospetti su
Hoffman e inizia a pensare a tutte le vittime dell’Enigmista e ai loro legami con il
detective. Alla fine, scopre anche che Seth
Baxter era l’ex-fidanzato e l’assassino della sorella di Hoffman e giunge anche alla
conclusione che la trappola del pendolo
era stata, in realtà, costruita da lui per
punire l’omicida, facendo poi ricadere la
colpa dell’assassinio su Jugsaw. Per fare
ciò, aveva studiato nei dettagli l’operato
dell’Enigmista.
In una trappola, intanto, cinque persone sconosciute tra loro, si risvegliano
con addosso dei collari collegati fra loro
che, alla fine del tempo, scandito da un timer, decapiteranno coloro che li hanno
ancora addosso. La loro unica salvezza è
costituita da una chiave per sganciare il
collare. Un messaggio dell’Enigmista li
avverte di non essere egoisti come nella
loro vita quotidiana. Una di loro non ce la
fa e resta decapitata. Gli altri quattro si
cominciano a interrogare sui motivi per cui
si trovano in quel posto e uno di questi,
mostrando di saperne troppo, insospettisce gli altri. Alla fine, per salvarsi, i superstiti devono affrontare delle altre durissime prove. Di loro, alla fine non si salva nessuno.
Strahm continua la sua ricerca e segue Hoffman nel suo nascondiglio. Si tro-
Tutti i film della stagione
va in una stanza dove c’è una bara trasparente. All’arrivo, i due lottano finché
Strahm non spinge Hoffman nella bara e
lo chiude all’interno. Questa, però, si abbassa lentamente in un buco del pavimento mentre le pareti cominciano ad avvicinarsi tra loro e Strahm viene schiacciato.
I suoi superiori sono intanto alla sua ricerca...
A
volte la serialità nell’horror può diventare soltanto una meccanica
riproduzione del film originale. È
così accaduto, per esempio, per Nightmare (eccezion fatta per il numero 4 diretto
da Renny Harlin, uno dei più interessanti),
Venerdì 13 Halloween. Dalla realizzazione di Saw – L’enigmista del 2004 sono stati
già realizzati quattro sequel e, da un punto
visivo, uno squarcio di idea, già di per sé
non potentissima (stanze buie, corpi incatenati, sofisticate trappole) è stata ripetuta all’infinito. Nel corso degli anni si
sono alternati i registi (stavolta è David
Hackl, che è stato lo scenografo della serie a partire dal numero 2) e le storie hanno variato attorno alla figura di Jigsaw (interpretato da Tobin Bell), costruendoci attorno una struttura narrativa sempre più
complicata e complessa, dove a perdere
la bussola sembrano essere per primi gli
stessi sceneggiatori. Assistere a un horror che non fa paura è già un grossissimo
limite. Se per di più la storia cigola come i
rumori delle catene e delle lame nel film, il
ritmo è pressoché assente e gli effetti sono
davvero di quart’ordine, i risultati rischiano di diventare ancora più imbarazzanti. E
non basta stavolta inserire quasi dei fram-
menti da ‘giallo’ (la caccia dell’agente
Strahm al detective Hoffman) e creare
molteplici labirinti narrativi per rendere più
imprevedibile la situazione. Certo, sotto
certi aspetti ci si dovrebbe chiedere perché una saga come quella di Saw ha già
avuto tutto questo successo. Da una parte, c’è il successo commerciale che questi
film hanno al box-office; il numero 2 e 3 al
botteghino hanno superato infatti gli 80
milioni di dollari. Dall’altro, c’è un pubblico
di fan affezionati che la saga si è conquistata comunque, al di là del valore dei singoli film. Ecco, forse il punto è proprio questo. Saw V sembra rivolgersi prevalentemente a loro. Quindi, più che di ennesimo sequel di un film, si ha l’impressione
che abbia soprattutto la consistenza di un
episodio televisivo. Chi non ne conosce
bene le regole pur avendo visto le altre
pellicole della saga, rischia di essere totalmente tagliato fuori. E provare a cercare in certi momenti (il pendolo gigantesco sul corpo dell’assassino all’inizio del
film, la claustrofobia sempre più opprimente degli spazi) dei rimandi, magari al
cinema di Tobe Hooper, appare un’operazione fine a se stessa, quindi inutile. Al
di là dei riferimenti che si possono fare,
Saw vive ormai di vita propria e si autoalimenta soltanto da se stesso, cioè dai frammenti dei precedenti episodi. E, in questo
modo, non solo può sopravvivere, ma autogenerarsi anche in futuro. Non a caso,
pare proprio che il numero 6 sia già in arrivo. Il finale aperto non dovrebbe lasciare
dubbi.
Simone Emiliani
IL PESO DELL’ARIA
Italia, 2008
Aiuto regista: Marta Gervasutti
Fonico: Lello Rotolo
Interpreti: Brunella De Nardo (Laura), Giampiero Lisarelli (Carlo), Stefano Calvagna (Stefano), Corinne Clery (Anna, madre
di Laura), Claudio Angelini (Sandro, padre di Laura), Cinzia
Mascoli (Rita), Francesca Antonelli (Spagnoli), Crisula Stafida (Nikita), Vincenzo Crocitti (Gianfranco), Letizia Letza (Serena), Sergio Petrella (Riccardo), Stefano Antonucci (Mario),
Roberto Caprari (Roberto), Stefano Pantano (Grieco)
Durata: 102’
Metri: 2914
Regia: Stefano Calvagna
Produzione: Stefano Calvagna, Teresa Maliszewska, Carlo Bernabei per Poker Film/Global Movie
Distribuzione: Poker Film
Prima: (Roma 3-7-2008; Milano 3-7-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Stefano Calvagna
Direttore della fotografia: Luca Santini
Montaggio: Franco Carrozzino
Musiche: Riccardo Della Ragione
Scenografia: Giorgia Liberatore
Costumi: Daniela Albano
C
arlo e Laura sono due giovani
sposi. Laura lavora in un ufficio
come impiegata, con un contratto di collaborazione che non le riconosce
neppure le ferie; Carlo è un venditore di
auto di lusso. Ma a Carlo il suo lavoro non
piace, sono mesi che non vende più una
macchina: così una mattina il suo princi31
pale prima lo rimprovera per gli scarsi risultati e poi gli chiede di presentare le dimissioni. È un duro colpo. A Laura il ragazzo decide di non dir nulla, con la spe-
Film
ranza di trovar presto una soluzione. All’armeria che Carlo frequenta per passione, però, non hanno bisogno d’un
commesso e l’unica possibilità concreta
d’un magro stipendio sembra essere l’impiego come “animatore” d’una chat erotica.
La domenica i due sono invitati dalla
sorella di Laura al maneggio dove lei si
esibisce. Qui Carlo incontra per caso Stefano Missiroli, un vecchio compagno di
scuola che gli racconta d’aver fatto fortuna giocando in borsa: il maneggio è da
poco diventato suo.
Qualche giorno più tardi, due ex colleghi di Carlo lo vanno a trovare per proporgli d’entrare con una quota nell’acquisto
d’un agriturismo in costruzione. Carlo, di
nascosto da Laura, si rivolge all’amico Stefano: il quale, senza batter ciglio, non solo
accetta la richiesta d’aiuto ma decide di
concedere a Carlo un prestito per il doppio
della cifra necessaria all’affare: ventimila
euro. Per Carlo è il sollievo e la gioia di
non esser più dipendente dai suoceri. Con
il denaro ottenuto, firma il contratto, poi con
i soldi che gli restano fa acquisti, procurando a sé e alla moglie l’esaudimento d’ogni
più concreto desiderio.
Ma presto l’effimero equilibrio si rompe. Al casale in costruzione mettono i sigilli, così i tre soci scoprono la truffa nella
qual son caduti. Quando poi Carlo incontra Stefano per parlargli delle nuove difficoltà, si svela anche l’ultimo e più tragico
inganno: Missiroli non è che uno spietato
usuraio e il debito di Carlo, nel giro di
appena qualche settimana, ammonta già a
novantamila euro. I modi di Stefano sono
completamente cambiati, e ora al posto
della gentilezza e della disponibilità, ci son
solo il disprezzo e le minacce.
Con le prime intimidazioni, anche Lau-
Tutti i film della stagione
ra scopre la verità. Dopo a notizia dell’assassinio d’un imprenditore incontrato a
casa di Stefano, Carlo organizza la fuga:
deciso a resistere alle pretese del malvivente, compra una pistola, cambia auto e,
salutati genitori e amici, finge di partire
con la moglie per un viaggio, rifugiandosi
invece in un albergo di periferia. Ma Laura, dopo la rabbia per il comportamento
del marito, sconvolta e stanca della vita
da fuggiaschi, chiama Missiroli, nella speranza di raggiungere un accordo: lo strozzino la convince con l’inganno che in cambio d’una prestazione sessuale verrà loro
azzerato il debito. La ragazza accetta, scoprendo troppo tardi l’inutilità del suo sacrificio. È la resa dei conti. I due giovani
tornano malconci e disperati dai genitori,
che subito decidono di rivolgersi alla polizia. Presto viene organizzato un nuovo
incontro con Missiroli. Carlo, con un microfono addosso e sorvegliato da una squadra d’agenti, fronteggia il suo carneficie;
ma, all’improvviso, sfodera la pistola e
uccide a sangue freddo il braccio destro di
Missiroli. Dopo una concitata colluttazione – durante la quale Carlo rimane ferito
– lo strozzino viene finalmente arrestato.
Un anno più tardi, i due sposi passeggiano felici con il figlio nato durante il
periodo di arresti domiciliari che Carlo ha
dovuto scontare; dietro di loro appare per
un attimo appena lo sguardo minaccioso
di Stefano Missiroli tornato in libertà.
S
esto lungometraggio dell’attore e
regista indipendente Stefano
Calvagna, il film tiene a dichiara
re d’essere “basato su una storia vera”.
Come già in passato, Calvagna prova a
fare cinema sul presente, non necessariamente riuscendo nell’impresa.
Qui il progetto sembra quello di dar spa-
zio, almeno sul grande schermo, al fenomeno dell’usura, molto diffuso nel nostro
paese eppure colpevolmente ignorato dai
mezzi d’informazione, pubblici e privati.
Per questo suo tentativo di “cinema
sociale”, il regista/attore/sceneggiatore
porta un passo avanti la ricerca d’una narrazione essenziale e lineare. La sceneggiatura però alterna momenti inaspettatamente efficaci a passaggi inutili, forzati, a
volte semplicemente imbarazzanti.
L’asciuttezza dei toni e una certa retorica dell’inquadrare - che vorrebbe essere
degna eco del cinema di genere statunitense e che invece riesce a mala pena a
non diventare parodia involontaria – e del
recitare riescono a imprimere alla pellicola una qualche tensione dinamica; ma
Calvagna non riesce a istillare nel corpo
del film la brutalità tanto vastamente nominata e rappresentata, che invece resta
velo sottile privo di consistenza.
Alla carenza di risorse estetiche, corrisponde, nel film, l’assenza d’un orizzonte ideale degno.
La scarsa padronanza dei mezzi linguistici propri del cinema, unita all’imprecisione del lavoro sugli attori impedisce a Calvagna, in più d’un’occasione, di colpire nel
segno. L’esempio più evidente è forse il personaggio di Missiroli – interpretato dallo
stesso Calvagna – che finisce per risultare
più sopportabile di quello, incoerente e grottesco, di Carlo, protagonista “buono”: era
forse un tale risultato previsto nei poco comprensibili propositi del regista?
Il film resta un mediocre apologo dalle
grandi aspirazioni ma dai piccoli risultati,
che, seppure discreto sul piano dell’efficienza narrativa, non rende un buon servizio alla causa che sembra voler favorire.
Silvio Grasselli
NATALE A RIO
Italia, 2008
Costumi: Alfonsina Lettieri
Produttore esecutivo: Maurizio Amati
Effetti: Proxima Srl
Interpreti:Christian De Sica (Paolo Berni), Massimo Ghini (Mario Patani), Michelle Hunziker (Linda Vita), Fabio De Luigi (Fabio Speranza), Paolo Conticini (Gianni Corsi), Ludovico Fremont (Piero Berni), Emanuele Propizio (Marco Patani), Paolo
Ruffini (impiegato agenzia di viaggi)
Durata: 113’
Metri: 2950
Regia: Neri Parenti
Produzione: Aurelio e Luigi De Laurentiis
Distribuzione: Filmauro
Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Neri Parenti, Alessandro Bencivenni, Marco Martani, Domenico Saverni
Direttore della fotografia: Gino Sgreva
Montaggio: Luca Montanari
Scenografia: Maria Stilde Ambruzzi
F
abio è innamorato da tempo della sua amica Linda ma non ha
mai avuto il coraggio di rivelar-
si. Inoltre lei non si è mai accorta della
sua presenza, fino a quando non le si è
bucata una gomma dell’auto e lui ha ten32
tato maldestramente di soccorrerla. A causa di un equivoco accaduto in una chat,
Fabio pensa che finalmente Linda lo ab-
Film
bia notato e addirittura invitato a trascorrere le vacanze in Brasile con lei. Giunto
sull’aereo però si accorge del malinteso;
la ragazza infatti sta partendo col suo fidanzato segreto Gianni. Il motivo del viaggio di Linda è anche quello di presentare
il suo compagno al padre, che vive in Brasile da molti anni. Fabio, a questo punto,
non potendosi più tirare indietro, è costretto a partire come terzo incomodo.
Una volta giunti a destinazione, però,
Gianni viene sedotto da una giovane brasiliana e viene scoperto da Linda che decide di lasciarlo. La ragazza, però, non
vuole rivelare al padre di essere stata ancora presa in giro da un uomo. Chiede così
a Fabio, che la segue sempre dappertutto,
di fingere di essere il suo nuovo marito.
Per lui non poteva esserci proposta migliore e fa di tutto per prolungare con ogni trucco la durata di questa messinscena. Gianni, però, torna pentito e rischia di mandare in frantumi il sogno d’amore di Fabio.
Paolo e Mario, due uomini divorziati
di mezza età, hanno organizzato una lussuosa vacanza a Rio de Janeiro in occasione delle feste di Natale. Ignorano che
anche i loro rispettivi figli, Piero e Marco,
hanno prenotato un viaggio low-cost per
la stessa destinazione, anche se hanno detto
ai loro genitori di essere diretti altrove. A
causa dell’omonimia tra padri e figli, le
due vacanze vengono però scambiate. Così,
mentre Piero e Marco si godono il soggiorno in una villa di lusso e utilizzano un auto
superaccessoriata, Paolo e Mario iniziano a vagabondare in una macchina sgangherata tra ostelli di quart’ordine e le strade più malfamate di Rio, dove vengono
anche rapinati. I due realizzano così che
c’è stato un errore e cercano di rientrare
in possesso della ‘loro vacanza’. A complicare ulteriormente le cose, ci si mettono anche le mamme di Piero e Marco, che
all’insaputa dei loro figli e mariti, sono
amiche e si trovano nella metropoli brasiliana per un’operazione di chirurgia plastica. Inoltre, i due uomini, che erano stati
aiutati da una donna brasiliana conosciuta all’aereoporto dopo che erano stati rapinati, devono subire la sua furia voodoo
dopo che questi le hanno ucciso casualmente l’amato gatto.
I
l ‘cinepanettone’ festeggia con
Natale a Rio il suo 25° anniversario. Era infatti il 1983 quando, dal
l’accoppiata De Laurentis-Vanzina, venne
realizzato Vacanze di Natale, ambientato
a Cortina, diventato nel corso degli anni
un vero e proprio cult; forse, dopo Febbre
da cavallo di Steno, questo è stato il film di
cui vengono citati a memoria situazioni e
Tutti i film della stagione
interi dialoghi. Nel corso degli anni, la formula, pur nelle sue modifiche, ha mantenuto intatta la sua struttura: ambientazione in un luogo di vacanza da filmare con
approccio quasi turistico, da guardare cioè
attraverso gli occhi dei suoi protagonisti;
cast corale composto da attori comici cinematografici e da altri scoperti nei varietà televisivi che, a volte, sono arricchiti da
una presenza femminile di richiamo (come,
per esempio, Elisabetta Canalis o Aida
Yespica), o di una star d’oltreoceano (Danny De Vito e Ron Moss in Christmas In
Love); situazioni costruite su una comicità
che si alimenta attraverso una concatenazione continua di equivoci e malintesi.
Dopo Bodyguards – Guardie del corpo del
2000, la parola “Natale” ricorre in maniera
sistematica nel titolo sin da Merry Christmas e caratterizza un cinema fatto di frenetici spostamenti, di improvvise mutazioni del set, prendendo forse spunto da questo punto di vista, da quello che è uno dei
film più belli e audaci dei Vanzina, A spasso nel tempo. I viaggi, nel corso di questi
ultimi anni hanno preso diverse direzioni:
Amsterdam, il Nilo, l’India, New York, Miami e ora Rio de Janeiro, con la parentesi
‘senza terra’ del precedente Natale in crociera, uno degli episodi più riusciti di questa saga.
C’è da dire che, in questo schema ormai collaudatissimo, l’episodio con De Sica
e Ghini (con rispettivi figli e mogli) funziona meglio di quello tra De Luigi e la Hunziker, coppia affiatatissima sin dagli sketch
in tv. Forse perché comunque il gioco delle apparenze messe in atto (ogni personaggio non è in realtà quello che vuole
essere allo sguardo dell’altro) appare più
ricco e vivace nel primo caso. Non è che
la storia dell’amore impossibile tra Fabio e
33
Linda non sia riuscita, però appare più prevedibile, tranne nel momento topico del
funerale, in cui ci si dirige sulla strada della farsa più scatenata. Lo scambio di ruoli
nell’episodio con Paolo e Mario, con i loro
figli che si trovano a Rio a fare la vacanza
che avevano programmato i loro genitori,
mette in atto una serie concatenata di
eventi che, nel corso del film, diventano
sempre più irrefrenabili e devastanti. Il
merito, comunque, di questi meccanismi
che, nella loro ripetitività comunque funzionano, va assegnato al navigato mestiere di Neri Parenti che forse un giorno si
potrà considerare come oggi vengono valutati cineasti come Mattoli o Mastrocinque
e anche alla sua squadra di sceneggiatori
(Marco Martani, Alessandro Bencivenni,
Domenico Saverni) che, al di là della storia che viene costruita attorno ai personaggi (da un punto di vista narrativo, appare
particolarmente riuscito il contrasto tra il
colto insegnante di Ghini e l’ignorante di
De Sica), creano delle gag visive, in cui il
set diventa un elemento da mandare in
frantumi. Basta vedere la scena del gatto
che muore alla donna brasiliana e come
questa scena possieda una folle imprevedibilità: il gatto va per aria, ritorna giù mentre i due s’ingegnano a farlo resuscitare.
E, per un momento, comunque, Parenti
lascia l’idea che ciò possa avvenire per
davvero.
Al di là di questo, però, Natale a Rio
appare anche un cinema ‘illusionistico e
ipnotico’, che prende le traiettorie più strane attraverso oggetti (l’aeroplanino-giocattolo con cui Fabio, all’inizio, spia Linda) o
la classica sparizione provvisoria dei corpi (De Sica e Ghini che si aiutano a vicenda a nascondersi dalle rispettive moglie
con uno che copre l’altro con un lenzuolo
Film
in uno dei momenti più trascinanti del film),
o il finale, dove le loro figure si trasformano in marionette dopo essere state vittime
di una vendetta voodoo. Qui la comicità di
Tutti i film della stagione
Natale a Rio è sofisticata, attraente e va
oltre la consolidata bravura dei suoi protagonisti. Il ‘cinepanettone’, al di là dei suoi
esiti discontinui, si è comunque perfezio-
nato. E questo film segna un altro passo
avanti.
Simone Emiliani
LA BANDA BAADER MEINHOF
(Der Baader Meinhof Komplex)
Germania, 2008
Acconciature: Luca Vannella
Supervisori effetti speciali: Uli Nefzer, Adolf Wojtinek
Supervisore effetti visivi: Stefan Tischner
Supervisore costumi: Brigitte Rodriguez
Interpreti: Martina Gedeck (Ulrike Meinhof), Moritz Bleibtreu (Andreas Baader), Johanna Wokalek (Gudrun Ensslin), Bruno Ganz (Horst Herold), Jan Josef Liefers (Peter
Homann), Alexandra Maria Lara (Petra Schelm), Heino
Ferch (Dietrich Koch, assistente di Horst Herold), Nadja Uhl
(Brigitte Mohnhaupt), Hannah Herzsprung (Susanne Albrecht), Niels Bruno Schmidt (Jan-Carl Raspe), Stipe Erceg
(Holger Meins), Daniel Lommatzsch (Christian Klar), Vinzenz Kiefer (Peter-Jürgen Boock), Volker Bruch (Stefan),
Bernd Stegemann (Hanns Martin Schleyer), Simon Licht
(Horst Mahler), Sebastian Blomberg (Rudi Duschke), Tom
Schilling (Josef Bachmann), Katharina Wackernagel (Astrid
Proll), Hans-Werner Meyer (Klaus-Peter Röhl), Jasmin Tabatabai (Hanne), Anna Thalbach (Ingrid Schubert), Eckhard
Dilssner (Horst Bubeck), Katharina Wackernagel (Astrid),
Thomas Thieme (dr. Prinzing), Susanne Bormann (Peggy),
Gerald Alexander Held (Siegfried Buback), Michael Gwisdek
(Gudruns Vater), Hubert Mulzer (Jürgen Ponto), Annika Kuhl
(Irmgard)
Durata: 149’
Metri: 3850
Regia: Uli Edel
Produzione: Bernd Eichinger per Constantine Film Produktion/
Nouvelles Editions De Films/G.T.Film Production/Dune Films
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 31-10-2008; Milano 31-10-2008)
Soggetto: dal libro-inchiesta Der Baader-Meinhof Komplex del
giornalista Stefan Aust
Sceneggiatura: Bernd Eichinger con la collaborazione di Uli
Edel
Direttore della fotografia: Rainer Klausmann
Montaggio: Alexander Berner
Musiche: Florian Tessloff, Peter Hinderthür
Scenografia: Bernd Lepel
Costumi: Birgit Missal
Co-produttore: Manuel Cuotemoc Malle
Direttori di produzione: Ahmed Abounouom, Mark Nolting,
Silvia Tollmann, Miki Emmrich, Piernicola Pinnola, Cornelia Popp
Casting: An Dorthe Braker
Aiuti regista: Frank Kusche, Lisa Hauss, Mouhssine El Badaoui, Chicco De Stefanis
Operatore: Markus Eckert
Art director: Hucky Hornberger
Arredatore: Johannes Wild
Trucco: Waldemar Pokrmski, Abounouom Marim Lee, Sabine
Rohrman
N
egli anni Settanta, la Germania
Federale viene letteralmente
messa a ferro e fuoco da un gruppo terroristico denominato “Banda Baader Meinhof”, espressione della sinistra
radicale. Tutto ha inizio in occasione della visita ufficiale dello Scià di Persia Reza
Pahlavi, quando alcuni studenti che protestano contro la politica americana e la
guerra in Vietnam vengono duramente attaccati dalle forze dell’ordine.
La giornalista Ulrike Meinhof, che
scrive in difesa dei giovani dimostranti
scesi in piazza, denuncia nei suoi articoli lo stato di polizia in cui vive il popolo tedesco. L’uccisione dell’anarchico Rudi Duschke da parte di un fanatico
di destra non fa che esasperare il clima
di tensione e contribuisce ad alzare ancor di più le barricate dei dissidenti che,
nel frattempo, si mobilitano in ogni angolo del Paese.
In seguito all’incendio appiccato in un
grande magazzino di Francoforte, viene
fermata Gudrun Esslin, una delle autrici
del piano. La Meinhof, una volta conosciutala in carcere per un’intervista, si con-
vince che sia giusto sposare la causa rivoluzionaria e decide di aiutare la donna a
far evadere il suo compagno Andreas Baader.
Nel 1970 si costituisce così il gruppo
armato RAF, che, dopo un periodo di addestramento militare in Medio Oriente,
torna in patria per battersi per la liberazione dei prigionieri politici. I componenti
della banda cominciano a mettere a segno
i primi colpi contro “il sistema”: rapine
in banca, attentati dinamitardi, atti di guerriglia, uccisioni di agenti, giudici e pubblici ministeri.
Di fronte alla terribile escalation di
violenze che infiamma la Germania occidentale, i rappresentanti del governo e i
vertici della polizia decidono di usare il
pugno duro: in breve tempo vengono arrestati e processati tutti i responsabili delle
stragi. Pur di non sottostare ai “maiali”
(gli odiati uomini in uniforme), i membri
della RAF preferiscono scegliere la strada
dello sciopero della fame e spegnersi lentamente.
Nel 1976, ad appena 41 anni, la
Meinhof muore impiccata alle sbarre del34
la propria cella di isolamento nel penitenziario di Stoccarda. Oltre a lei, anche gli
altri detenuti vengono ritrovati privi di vita.
Con l’intenzione di vendicarsi dei propri
compagni (giustiziati - secondo loro – dallo Stato) il commando di nuova generazione torna a fare vittime. Senza sapere, in
realtà, che uomini e donne della banda si
sono suicidati.
D
opo preoccupanti anni di anonimato, scossi qua e là da isolati
segnali di ripresa (vedi il fortunato caso di Good Bye Lenin! nel 2003), il
cinema tedesco si riaffaccia prepotentemente sulla scena cinematografica internazionale, grazie a storie forti, ben raccontate e nobilitate dalla presenza di nuovi e
interessanti attori.
Prima con Le vite degli altri (2006) e
adesso con La banda Baader Meinhof, la
Germania torna coraggiosamente a fare i
conti col suo passato più recente, riaprendo pagine di storia buie e sgradevoli, che
molti avrebbero preferito buttarsi alle spalle. Un’equanime lezione di democrazia e
civiltà, dalla quale anche noi italiani, da
Film
anni impegnati vanamente a raggiungere
una “memoria condivisa”, dovremmo prendere esempio.
Ma se l’acclamato e più volte premiato
film dell’esordiente von Donnersmarck
(una sorta di “sequel”, in quanto narrava
l’infelice e cupa stagione degli anni Ottanta, dominata dalla Stasi) alternava con brillantezza cronaca e romanzesco, cedendo
il passo, spesso e volentieri, al melodramma, quello di Uli Edel sceglie con rigore e
senza mezze misure la strada semi-documentaristica della verità.
Dal 1967, quando i primi germi della
rivoluzione covavano nei violentissimi
scontri tra polizia e manifestanti di estrema sinistra (immortalati in una lunga sequenza di massa girata magistralmente),
scorrono sullo schermo, per circa un decennio, le immagini di morte e sangue più
spaventevoli dai tempi del nazismo e della Seconda guerra mondiale.
Il montaggio ha un ritmo piuttosto serrato e sostenuto e la fittissima trama di
avvenimenti è ben scandita, salvo perdersi, a volte, in eccessivi e caotici frastagliamenti. Soprattutto nell’ultima parte, poi,
Tutti i film della stagione
sembra quasi di assistere a un interminabile cinegiornale, tra flash dei titoli di quotidiani, martellanti notizie radiofoniche e
televisive e ricco materiale di repertorio.
Al di là comunque di questi “difetti”
marginali, o se volete, rischi calcolati (specie per chi come il regista tedesco ambisce a un affresco quanto più ampio e trasparente degli “anni di piombo”), La banda Baader Meinhof colpisce per la sensibilità, oltre che per la mancanza di retorica, con cui riesce a mostrare le psicologie
dei deplorevoli protagonisti. Incarnati, questi ultimi, da giovani interpreti, tutti all’altezza del loro gravoso compito. Tra i quali,
ci piace segnalare con particolare attenzione Johanna Wokalek, nella parte dell’indomita e affascinante Gudrun Ensslin.
Parallelamente alle sistematiche azioni dimostrative, frutto di una lucida quanto
ferrea teoria politica-economica-sociale
(antimperialista e anticapitalista), emerge
nel film anche il lato umano dei personaggi: tra le menti dell’organizzazione criminale si insinuano dubbi e interrogativi strazianti circa le possibili strategie da adottare e, perfino, lo spettro del fallimento.
Insomma il fenomeno “terrorismo” non
viene visto solamente come moderna forma di “guerra globale” (questa definizione
del capo della polizia Horst Herold, rapportata ai nostri giorni, suona come un’agghiacciante premonizione). Ma anche
come sogno mancato di una comunità di
individui deboli, soli e sconfitti dalla Storia, perché costretti a lottare come martiri,
fino allo stremo delle forze, in nome di ideali molto più grandi di loro.
È a dir poco raggelante provare a immedesimarsi in quelle anime tormentate
e maledette, in particolare in quelle innumerevoli donne disposte continuamente a travestirsi, a cambiare identità,
con un’audacia pari soltanto all’incoscienza. Proprio come fece la giornalista e intellettuale Ulrike Meinhof: colei
che diede il nome alla famigerata banda, colei che, magnificamente impersonata nella finzione dalla sempre più convincente Martina Gedeck, è stata al contempo militante e testimone di una vita
senza paura.
Diego Mondella
IL DUBBIO
(Doubt)
Stati Uniti, 2008
Supervisori effetti visivi: John Bair (Guerilla FX), Randall
Balsmeyer
Supervisori costumi: David Davenport, Kevin Draves
Interpreti: Meryl Streep (Suor Aloysius Beauvier), Philip Seymour Hoffman (Padre Brendan Flynn), Amy Adams (Suor James), Vila Davis (signora Miller), Alice Drummond (Suor Veronica), Audrie J. Neeman (Suor Raymond), Susan Blommaert (signora Carson), Carrie Preston (Christine Hurley), John
Costelloe (Warren Hurley), Lloyd Clay Brown (Jimmy Hurley),
Joseph Foster (Donald Miller), Bridget Megan Clark (Noreen
Horan), Mike Roukis (William London), Haklar Dezso (suonatore di cetra), Frank Shanley (Kevin), Robert Ridgell (organista), Sarah Giovanniello, Katie Shelnitz, Aaron O’Neill, Thomas J. Meehan, Samantha Chadbourne, Christina Angelina
Celone, Melissa Viezel, Emily Swimmer, Katelyn Snell, Shayne Fischman, Coby D. Moran (voci del coro), Alannah Iacovano (ragazza nella chiesa), Frank Dolce (Ralph), Paulie Litt
(Tommy Conroy), Matthew Marvin (Raymond), Molly Chiffer
(Sarah), Lydia Jordan (Alice), Suzanne Hevner (signora Kean),
Helen Stenborg (Suor Teresa), Tom Toner (Monsignor Benedict), Michael Puzzo (Padre Sherman), Margery Beddow (signora Shields), Jack O’Connell (signor McQuinn), Marylouise
Burke (signora Deakins)
Durata: 104’
Metri: 2800
Regia: John Patrick Shanley
Produzione: Mark Roybal, Scott Rudin per Goodspeed Productions/Scott Rudin Productions
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009)
Soggetto: dall’omonima pièce teatrale di John Patrick Shanley
Sceneggiatura: John Patrick Shanley
Direttore della fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Dane Collier, Ricardo Gonzalez, Dylan Tichenor
Musiche: Howard Shore
Scenografia: David Gropman
Costumi: Ann Roth
Produttore esecutivo: Celia D. Costas
Produttore associato: Nora Skinner
Direttore di produzione: Celia D. Costas
Casting: Ellen Chenoweth
Aiuti regista: John Rusk, David Fischer, Amy Lauritsen, John
Silvestri, Christian Vendetti
Operatore: Roger Deakins
Art director: Peter Rogness
Arredatore: Ellen Christiansen
Trucco: Todd Kleitsch, Louise McCarthy, J. Roy Helland
Acconciature: Alan D’Angerio, Jerry Popolis, Valerie Gladstone-Hapel, J. Roy Helland
Coordinatore effetti speciali: John Stifanich
B
ronx, 1964. Nell’istituto religioso St. Nicholas vigono il rigore e
la disciplina, impartite dall’austera e rigida Sister Aloysius, preside del-
la scuola che crede nel potere della paura
per continuare a tenere sotto controllo
alunni e professori. Ma il vento del cambiamento, politico e non solo, sta arrivan35
do anche da quelle parti: intanto viene
accettato il primo studente di colore, Donald Miller, che però ha enormi difficoltà
di integrazione. Poi, grazie a padre Flynn,
Film
docente carismatico e progressista, i rigidi costumi della scuola sembrano poco a
poco trovare una possibile smussatura.
Affascinata da questa figura innovatrice,
ma al tempo stesso devota e riverente nei
confronti di Sister Aloysius, la giovane
Sorella James - novizia ingenua e piena di
speranza - serve involontariamente a quest’ultima la possibilità di dare vita a una
crociata senza precedenti nei confronti di
padre Flynn, secondo la giovane suora
troppo premuroso e pieno di attenzioni nei
confronti di Donald Miller. Basterà questa frase per insinuare in Sister Aloysius
ben più che un sospetto, tanto da convocare lo stesso padre Flynn e interrogarlo senza mezzi termini sulle presunte molestie ai
danni del ragazzino di colore. Accuse che
lo stesso prete rispedirà con violenza al
mittente, ma senza ottenere alcun esito. La
suora, senza alcuna prova ma sostenuta
dalla sua sicurezza morale, prosegue sen-
Tutti i film della stagione
za nella sua battaglia, mettendo al corrente della situazione anche la mamma del
dodicenne. La donna, però, spiega a Sister Aloysius la dolorosa situazione familiare del figlio, picchiato più volte dal padre e malvoluto da tutto il resto della scuola, pertanto vede quasi di buon occhio il
fatto che padre Flynn gli dedichi affetto e
lo tratti al pari di un “essere umano”.
Sconcertata, ma non per questo sconfitta,
Sister Aloysius, alla fine, ottiene comunque quello che andava cercando, senza
però essere riuscita a dimostrare la veridicità del suo attacco: il prete lascerà la
scuola per andare a insegnare in un altro
istituto. E la suora, seduta nel giardino
dell’istituto con accanto sorella James,
inizia a sentir vacillare ogni sua certezza.
“I
l dubbio è un legame tanto forte
quanto lo è la certezza”. Il sermone di Philip Seymour Hoffman
all’inizio del film è eloquente tanto quanto il titolo della pièce teatrale (premio Pulitzer) che lo
stesso John Patrick Shanley (Oscar nel 1987
per lo script di Stregata dalla luna, ora nuovamente candidato per questo adattamento) –,
alla seconda regia cinematografica diciotto
anni dopo la commedia Joe contro il vulcano
– porta adesso sullo schermo. Teatro che si
fa cinema (attenzione alla rappresentazione
delle differenti abitudini da parte di suore e
prelati...), cinema di parola, di atmosfera
(come sempre di alto livello l’apporto fotografico di Roger Deakins, capace di alternare il
freddo degli esterni e il caldo degli interni con
ispirazione quasi fiamminga) e di grande interpretazioni, che prende a pretesto un presunto scandalo nell’America in profonda trasformazione della metà degli anni ’60 (l’uccisione di Kennedy un anno prima), per diventare specchio quanto mai attuale dell’ormai
(tramontata?) era Bush: la paura del nuovo, il
timore del cambiamento, l’accanimento contro “il diverso da noi” – sembra voler suggerire il lavoro di Shanley – potrebbero accecare
e portarci lontano dalla realtà delle cose. Realtà che comunque non sarà mai svelata completamente, avvolta e imperniata come “da
copione” sul dubbio che tutto muove, macigno spesso irremovibile con il quale dovranno fare i conti tutti i personaggi principali della
vicenda, tutti giustamente candidati all’Oscar
(straordinaria la “non” protagonista Amy
Adams, così come di enorme intensità la pur
breve performance di Viola Davis, mamma
del bambino di colore). Chi spera di trovarsi di
fronte un film-inchiesta o un giallo dalla risoluzione mozzafiato si rivolga altrove: qui regnano l’incerto e la violenza del sospetto. Unica nota un po’ fuori posto, il finale tardivo e
ridondante con le lacrime della Streep.
Valerio Sammarco
LA CANARINA ASSASSINA
Italia, 2008
Organizzatore: Luigi Filippo Manzollino
Fonico: Brando Mosca
Interpreti: Ignazio Oliva (Franco), Bruno Armando (Ravelli),
Chiara Conti (Clelia), Michele De Virgilio (Ruggero), Remo
Remotti (regista “Dio del Cinema”), Emilio Bonucci (Mezzocorona), Caterina Vertova (Anna), Paolo De Vita (Raffaele), Lorenzo Monaco (Andrea), Vanni Bramati (Angelo Soda), Chiara Francini (Pamela)
Durata: 94’
Metri: 2740
Regia: Daniele Cascella
Produzione: Francesco Paolo Montini per Movie Factory
Distribuzione: Movie Factory
Prima: (Roma 26-9-2008; Milano 29-9-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Alessandro Ninchi
Direttore della fotografia: Luca Coassin
Montaggio: Lilli Lombardi
Musiche: Bungaro, Aidam Zammit
Scenografia: Cristina Del Zotto
Costumi: Elisabetta Giacchi
F
ranco Angelini è un giovane regista che crede fermamente nella bellezza e nell’importanza del
suo lavoro. Finalmente, il produttore Ravelli, è riuscito a trovare la villa ideale in
cui poter girare il film scritto da Franco stes36
so. Così, regista e produttore accompagnati dall’attrice Clelia, dall’attore Ruggero,
si dirigono alla villa. Ad attenderli, ci sono
Film
la ricca Anna ed il suo fedele quanto strano
maggiordomo Raffaele. Si intuisce che entrambi stanno tramando qualcosa e, in primis, che Anna ormai non ha più soldi. Il
gruppo si ingrandisce con l’arrivo dell’aiuto
regista Andrea e dell’aiuto scenografo Paolo. Fra i due nasce subito un’alchimia.
A pranzo, Ravelli racconta la storia del
film, cambiata da lui stesso al punto tale,
da non esser più ormai la storia scritta da
Franco, che si demoralizza all’istante. Ravelli non ha soldi; le banche non gli fanno
più credito e, in più, rifiuta i soldi dello sponsor Prezioso, impresario di pompe funebri.
Il film è quindi a rischio, ma non lo rivela a
nessuno, continuando a ripetere che prima
o poi se ne andrà ai Caraibi e non lo vedranno mai più. Nel mentre, Franco contatta Mezzocorona, suo vecchio produttore,
per farlo venire in villa come organizzatore
del film. Nonostante si senta tradito dal giovane, accetta. Clelia e Ruggero continuano
la loro relazione clandestina, nonostante lei
all’inizio sembri titubante. Anche Paolo e
Andrea si lasciano andare alla passione, ma,
il giorno dopo, il primo fa finta che niente
sia successo. Durante i provini, Ravelli sceglie i protagonisti del film: attori incapaci
ma raccomandati da importanti politici.
Franco continua a demoralizzarli. Mezzocorona, sempre in contrasto con Ravelli,
cerca di farlo andar via: quello non è più il
suo film. Franco, desiste. Clelia viene raggiunta dal marito Angelo; i due sembrano
realmente felici ora che sono assieme. Raffaele, ormai entrato in confidenza con Franco, rivela che Mirko, suo migliore amico e
stuntman di professione, è morto a seguito
di un incidente sul lavoro. Il responsabile
dell’accaduto non è altri che Ravelli. Angelo se ne deve andare per tornare a operare in ospedale. Raffaele sta per uccidere Ravelli sotto la doccia, ma viene fermato dal
grido di Clelia: Ruggero, usando un mix di
stimolanti sessuali, ha avuto un infarto. In
ospedale, a curarlo è proprio Angelo che
decide di lasciare la moglie. Andrea, inizia
il piano escogitato con Ravelli: sedurre la
ricca Anna, usare i suoi soldi per girare un
film tratto dal racconto della stessa, “La
canarina assassinata”, per poi mandar via
Franco e diventare lui stesso il regista. Anna
rivela ad Andrea che lei non ha una lira e
di essere la vedova di Mirko. Andrea se ne
và con la coda fra le gambe. Franco, aiutato da Mezzocorona spaventa Ravelli con
trucchi da baraccone, nel giardino della
villa. Ravelli, viene infine inseguito dal cane
Rocky che lo fa cadere nella buca, scavata
da Raffaele precedentemente. Ravelli muore. Il giorno dopo alla polizia, viene detto
che il produttore è sparito; forse è andato
ai Caraibi come aveva sempre detto. Franco rinuncia al suo film. Anna e Raffaele se
ne vanno felici dalla villa che avevano affittato: hanno ottenuto la loro vendetta.
Tutti i film della stagione
O
pera prima di Daniele Cascella,
La canarina assassinata, ci racconta un mondo del cinema dai
tratti decisamente non troppo lusinghieri.
L’unico a salvarsi è il regista Franco Angelini. Idealista, che crede ancora in un cinema
che dovrebbe essere passione e raccontare un bisogno, al di là dei soldi e dei guadagni. Vi crede al punto tale da infervorarsi e
farsi sanguinare il naso, ogni qualvolta venga modificata una parte del film. Il resto è
tutt’altro che edificante. Si parte dal produttore che va avanti nel suo lavoro a suon di
marchette; scegliendo attrici e attori perché
raccomandati da importanti politici. Ciò che
conta, alla fine, è avere un consistente ritorno pecuniario. Di contro, il produttore di Franco, Mezzocorona, che non si lascia piegare
e non si è mai venduto; infatti, è senza una
lira, con uno sfratto imminente. La carrellata
dei fenomeni continua con attori che si danno al viagra e aiuto registi che tradiscono
senza difficoltà amici e ingannano donne pur
di far carriera. Non potevano poi mancare
un paio di stoccatine ben assestate al cinema italiano. La prima è più esplicita; ossia
quando il Maestro, in sogno, rivela a Franco
che il Paradiso per i registi italiani è solo una
desolante e vecchia sala cinematografica, a
differenza della sfolgorante Hollywood per
quelli americani. La seconda è più velata,
ma ben più aspra; quando Mezzacorona
sprona Franco ad abbandonare il progetto,
gli chiede dove sono finiti i suoi sogni e gli
dice che non si può ridurre anche lui, a girare il solito film adolescenziale.
Un punto che viene rimarcato, fra l’altro già affrontato dal grande Ingmar Berg-
man, è il gioco delle maschere indossate
nella vita, che, inevitabilmente, si intrecciano con quelle portate da chi fa spettacolo. L’esempio è Raffaele, attore che per
vendicare l’amico recita la parte del maggiordomo, per poi chiedere al regista Franco se sarebbe stato un bravo attore.
La storia si basa essenzialmente sulla
vendetta personale di Raffaele e Anna che
vogliono vendicare la morte di Mirko, migliore amico del primo e marito della seconda.
Purtroppo, forse anche a causa di alcune
incertezze nella sceneggiatura, tutte le trame del giallo si intuiscono immediatamente;
cosi anche i percorsi emotivi dei personaggi
e i legami che fra loro si intrecciano.
Nel film si possono trovare citazioni cinematografiche, dedicate a veri cinefili, come
lo spogliarello di Sofia Loren in Ieri, oggi,
domani (1963), che Clelia riprende quando
assume la stessa posizione della Loren, nel
togliersi la calza autoreggente; oppure la famosissima scena della doccia di Psycho
(1960), che ritroviamo nel tentato omicidio
di Raffaele ai danni di Ravelli; infine la scena d’amore fra Paolo ed Andrea ricalca quella de I segreti di Brokeback Mountain (2005).
Il soggetto è stato scritto dallo scomparso Alessandro Ninchi ed il titolo si rifà
ad un racconto degli anni venti, che fra l’altro viene citato esplicitamente nel corso
della storia. La canarina assassinata, risulta comunque un film piacevole, che
scorre con facilità e prova ad andare oltre
quei film adolescenziali, che hanno imperversato ultimamente sul grande schermo.
Elena Mandolini
AMORE CHE VIENI, AMORE CHE VAI
Italia, 2007
Regia: Daniele Costantini
Produzione: Gabriella Buontempo, Massimo Martino per Goodtime Enterprise. In
collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione: Istituto Luce
Prima: (Roma 14-11-2008; Milano 14-11-2008)
Soggetto: dal libro Un destino ridicolo di Fabrizio De Andrè e Alessandro Gennari
Sceneggiatura: Franco Ferrini, Antonio Leotti, Daniele Costantini
Direttore della fotografia: Alessio Gelsini Torresi
Montaggio: Carla Simoncelli
Musiche: Nicola Piovani
Scenografia: Luigi Marchione, Vincenzo Forletta
Costumi: Elisabetta Montaldo, Elisabetta Antico
Aiuto regista: Angelo Vicari
Interpreti: Fausto Paravidino (Carlo), Filippo Nigro (Salvatore), Massimo Popolizio
(Bernard), Donatella Finocchiaro (Veretta), Tosca D’Aquino (Luciana), Claudia Zanella (Maritza), Agostina Belli (Lina, madre di Carlo), Giorgia Ferrero (Antonia), Davide
Paganini (Vichingo)
Durata: 101’
Metri: 2880
37
Film
G
enova 1963. Dopo l’incontro con
la prostituta Luciana, il giovane
Carlo decide di accettare la proposta della ragazza di diventare il suo
“pappone” al posto del precedente “magnaccia”. Luciana presenta a Carlo le
sue colleghe, Antonia e Veretta. Dopo le
prime perplessità, la mamma Lina decide di appoggiare il figlio nel suo nuovo
lavoro accompagnandolo a controllare
le serate delle ragazze. Nello stesso locale frequentato da Carlo, passa le sue
serate Bernard, un contrabbandiere francese passato dalla resistenza alla malavita marsigliese, un uomo di mondo che
vive organizzando soltanto “colpi grossi”. Una sera, Bernard è stregato da
Maritza, una giovane fiorentina affascinante e sfuggente, legata a un giovane
noto negli ambienti malavitosi come “il
vichingo”. Una sera, Veretta attira l’attenzione di un giovane pastore sardo,
Salvatore, giunto da poco a Genova per
rifarsi una vita dopo cinque anni di galera. In breve tempo Salvatore diviene un
habitué di Veretta. Volendo avere la ragazza tutta per sé, il sardo decide di parlare con Carlo promettendogli una grossa somma in cambio della giovane. Una
sera, Bernard avvicina Carlo, dicendogli di essere rimasto colpito per come la
sera prima aveva picchiato “il vichingo”. Il malavitoso porta Carlo in una
cascina di campagna dove è stato convocato anche Salvatore. Bernard propone ai due uomini un colpo che li renderà
ricchi. Seguendo le istruzioni di Bernard,
Carlo e Salvatore sequestrano un furgone con un carico di preziose pelli. L’appuntamento con gli acquirenti della merce è per la sera dopo. Giunti sul posto,
Bernard e Carlo trovano Salvatore ucciso e la merce sparita. I due scappano
mentre qualcuno cerca di colpirli. Intanto Veretta va da Carlo per chiedergli invano aiuto: la ragazza è incinta e Salvatore è sparito. Intanto Carlo, che aveva
allacciato una relazione con Maritza,
scopre che la ragazza se ne è andata. Disperato, il giovane va dal “vichingo” e
gli chiede dov’è Maritza. Quella stessa
notte, Veretta è raggiunta da Salvatore,
riapparso improvvisamente, che la porta via su una barca. Maritza intanto chiede aiuto a Bernard per liberarsi del suo
nuovo amante, un ricco conte. La ragazza si imbarca per Barcellona. Anche
Carlo è al porto in procinto di partire,
mentre Bernard se ne va in Francia.
Qualche tempo dopo, in Sardegna, Ve-
Tutti i film della stagione
retta partorisce un bambino morto. Su
un treno Veretta e Salvatore ascoltano un
sacerdote intento a parlare con un uomo
di felicità e destino. Dopo aver discusso
con Veretta, Salvatore va dal prete e gli
dice di avere una valigia con 800 milioni, ma si tratta di soldi maledetti che non
vuole. Il giovane interpreta quell’incontro come un segno del destino e si confessa. Dopo cinque anni di galera al posto del fratello gemello, Salvatore aveva
accettato di fare un colpo a Genova.
Dopo essersi fatto raggiungere da suo
fratello, lo aveva ucciso. Credeva di agire nel giusto, voleva togliere la sua donna dalla strada e castigare suo fratello
per tradimento, voleva solo una vita rispettabile, sarebbe stato il suo ultimo
peccato. Ora vuole solo il perdono di
Dio, lui e sua moglie vivranno poveri ma
vuole essere assolto. Il prete si dice convinto che Dio lo abbia già perdonato, si
fa consegnare la valigia e gli consiglia
di continuare il viaggio. Il prete scende
dal treno, si toglie il finto abito talare e
telefona alla moglie incredulo del colpo
di fortuna che gli è capitato.
“Q
uei giorni perduti a rincorrere
il vento/a chiederci un bacio e
volerne altri cento/un giorno
qualunque li ricorderai/amore che fuggi da
me tornerai/un giorno qualunque ti ricorderai/amore che fuggi da me tornerai”.
Un uomo e una donna, vittime di “Un
destino ridicolo”. Proprio questo è il titolo del romanzo da cui è tratto il film scritto a quattro mani dal cantautore Fabrizio De André e dallo psicanalista-scrittore Alessandro Gennari. “Una favola, di
quelle che raccontano i nonni”, così il
cantautore genovese ha definito il suo
romanzo. Una storia di amore, malavita
e destini incrociati ambientata nei vicoli
della vecchia Genova nel 1963. Una santissima(!) trinità che incrocia una santa
alleanza. Un giovane protettore di prostitute, un navigato contrabbandiere francese ex anarchico, un pastore sardo reduce dalla galera. Carlo, Bernard, Salvatore, i nomi. Una trinità di donne, perdute o quasi. La mamma iperprotettiva
di un giovane che decide di fare il protettore di prostitute invece di sfruttare i suoi
studi, una fatale seduttrice che colleziona amanti e ripetute fughe in cerca (forse) solo di se stessa, una prostituta che
cerca l’amore come fuga verso un futuro
migliore, ma che incappa nel più atroce
scherzo del destino. Lina, Maritza e Ve-
38
retta, i nomi. Una favola, di quelle che
raccontano i nonni, appunto. Una favola
di (mala)vita e amore.
E un fato beffardo che vince su tutto e
su tutti, anche sul timore di Dio.
Quello che lascia perplessi è il senso
dell’opera. Si è parlato di un film omaggio
al cantautore ligure, intriso di riferimenti
all’universo delle sue canzoni. Se si guarda bene gli ingredienti ci sarebbero anche
(ambienti, situazioni, personaggi), ma il riferimento a quel mondo è piatto e privo di
poesia.
Il cast poi, vincente sulla carta, inciampa in ruoli forse non molto indovinati: e se
a convincere di più sono le donne, coloro
che nelle canzoni di De André sussurrano
emozioni vere (Donatella Finocchiaro prostituta triste in testa a tutte), gli uomini scivolano sulle bucce di banana di una sceneggiatura debole prima che sugli scherzi
di un destino avverso. Filippo Nigro nei
panni del pastore “sardegnolo” inciampa
in una recitazione forzata e poco credibile
(la cadenza sarda non è il suo forte), Fausto Paravidino “pappone” per caso eccede in mimica facciale e risate forzate, finendo per peccare di inesperienza, Massimo Popolizio nel ruolo del contrabbandiere francese si aggrappa più degli altri
al suo solido mestiere, ma resta imprigionato in un personaggio a tratti troppo caricaturale.
Insomma, se le atmosfere di De André incantano, quelle di questo film non
accendono l’interruttore delle emozioni.
Quella delle sue canzoni era poesia, mentre questo è cinema che non arriva a toccare le corde del cuore. E non bastano i
carruggi genovesi, il porto del capoluogo
ligure, i locali fumosi, le belle prostitute
ancheggianti sui tacchi a spillo e fasciate
in abitini anni Sessanta, no, non bastano
davvero. Il regista Daniele Costantini (che
ha firmato nel 2004 Fatti della Banda della
Magliana) ha dichiarato di aver adattato un
romanzo ma anche di essersi abbandonato alle suggestioni poetiche di alcune
canzoni memorabili di De André e di avere tentato di rimanere nel contempo vicino
e lontano ai personaggi, senza giudicarli,
giocando con loro ma anche piangendoli.
Ma forse, ci viene da aggiungere, per
ritrovare davvero la poesia di brani come
“Bocca di rosa”, “Via del Campo”, “La città
vecchia”, “Amore che vieni amore che vai”
bisogna solo chiudere gli occhi e ascoltare di nuovo quelle ballate.
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
LA CONIGLIETTA DI CASA
(The House Bunny)
Stati Uniti, 2008
Trucco: Patty York, Kimberly Felix, Marianna Elias, Debra Coleman
Acconciature: David Blair, Jason Green, Candy L. Walken, Lana
Heying
Coordinatore effetti speciali: John C. Hartigan
Supervisori effetti visivi: George Cawood
Coordinatore effetti visivi: Fawn Fletcher
Supervisori musiche: Brooks Arthur, Michael Dilbeck
Supervisore costumi: Virginia Burton
Coreografie: Toni Basil
Interpreti: Anna Faris (Shelley Darlingson), Colin Hanks (Oliver), Emma Stone (Natalie), Kat Dennings (Mona), Christopher
McDonald (Dean Dimmons), Beverly D’Angelo (Signora Hagstrom), Katharine McPhee (Harmony), Rumer Willis (Joanne), Kiely Williams (Lilly), Dana Goodman (Carrie Mae), Kimberly Makkouk (Tanya), Monet Mazur (Cassandra), Tyson Ritter (Colby), Sarah Wright (Ashley), Rachel Specter (Courtney), Owen Benjamin (Marvin), Hugh M. Hefner, Holly Madison, Bridget Marquardt, Kendra Wilkinson, Sean Salisbury,
Matt Leinart, Shaquille O’Neal (se stessi), Tyler Spindel (Steve), Sara Jean Underwood (Sara), Lauren Hill (Lauren), Hiromi Oshima (Hiromi), Dan Patrick (poliziotto), Nick Swardson
(fotografo di Playboy), Jay Hayden (Kip), Mat Barr (Tyler), Tanner Alexander Redman (Trent), Michelle Fields (Michelle)
Durata: 97’
Metri: 2350
Regia: Fred Wolf
Produzione: Allen Covert, Jack Giarraputo, Heather Parry,
Adam Sandler per Colunmbia Pictures/Relativity Media/Happy Madison Productions/Alta Loma Entertainment
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 5-12-2008; Milano 5-12-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Karen McCullah Lutz, Kirsten
Smith
Direttore della fotografia: Shelly Johnson
Montaggio: Debra Chiate
Musiche: Waddy Wachtel
Scenografia: Missy Stewart
Costumi: Mona May
Produttori esecutivi: Anna Faris, Karen McCullah Lutz, Kirsten smith
Co-produttori: Jason Burns, Debra James, Richard Rosenzweig
Direttore di produzione: Debra James
Casting: Lisa London, Catherine Stroud
Aiuti regista: Eric Tignini, Sunday Stevens, Kristina M. Peterson
Operatore: Don Devine
Operatore steadicam: Gregory W. Smith
Art director: John Chichester
Arredatore: Tracey A. Doyle
L
a bionda Shelley è una ragazza
di ventisette anni orfana dei genitori e cresciuta alla Playboy
Mansion di Hugh Hefner. Shelley è convinta di vivere in un vero paradiso e a completare la sua felicità manca solo l’elezione a “coniglietta del mese”, traguardo che
spera di raggiungere di lì a pochi giorni.
All’indomani del suo compleanno, però, la
ragazza riceve una lettera in cui Hefner,
assente per qualche giorno, la invita a lasciare la casa immediatamente per evidenti
limiti di età. Di punto in bianco, Shelley si
trova in mezzo alla strada trovandosi a fare
i conti con un mondo reale a lei completamente sconosciuto. In giro senza meta con
la sua vecchia auto, la ragazza viene colpita da una bella casa abitata da fascinose ragazze, il Club ?????? riservato alle
studentesse universitarie che somiglia
molto alla “sua” Playboy Mansion. Shelley si propone come direttrice, ma viene
allontanata in malo modo. Proprio lì di
fronte sorge il Club Zeta, malandata casa
per studentesse che conta solo sette iscritte, una più problematica dell’altra a cominciare da Nathalie, occhialuta, saccente e imbranata con i ragazzi. Nathalie spiega a Shelley che stanno per perdere lo statuto di Club, non avendo il numero sufficiente di trenta richieste di iscrizioni. Col-
pita dalla capacità di Shelley di attrarre
su di sé lo sguardo dei ragazzi, Nathalie le
offre la carica di direttrice. Shelley inizia
così la sua opera con un solo obiettivo:
trasformare le ragazze da anonime, dimesse e complessate studentesse bersaglio delle colleghe del Club ??????, in un gruppo
di bombe sexy. Intanto, tornato alla “Playboy Mansion”, Hefner riceve una falsa lettera, in cui Shelley dice di essere andata a
lavorare con gli orfani in Africa. Nel frattempo, le ragazze del Club Zeta spopolano grazie a un calendario che le ritrae in
pose sexy. Subito dopo, Shelley organizza
una festa azteca che si rivela un successone: il Club Zeta è affollatissimo, mentre il
Club rivale è deserto. Una sera, Shelley
accetta l’invito di Oliver, un giovane che
si occupa di una casa di riposo per anziani, conosciuto durante i primi giorni al
Club Zeta. La serata si rivela un disastro:
la ragazza colleziona una gaffe dopo l’altra mettendo in luce la sua ignoranza e superficialità e Oliver finisce per andarsene
deluso. Le ragazze del Club decidono di
aiutare Shelley. Dopo alcune sedute intensive di studi, Shelley esce di nuovo con
Oliver recitando la parte della studentessa colta e impegnata, ma, alla fine della
serata, viene smascherata rimediando una
figuraccia. Mentre torna a casa, Shelley
39
riceve la telefonata di Hefner che, accortosi dell’imbroglio, le propone di tornare
alla “Playboy Mansion” offrendole il titolo di Miss Novembre. Shelley rifiuta perché sente il peso della responsabilità del
Club Zeta. Tornata a casa però, la giovane viene investita dalle accuse delle ragazze che le rinfacciano di averle trasformate
in stupide bamboline senza testa. Mortificata, Shelley accetta l’invito di Hefner e
torna alla Playboy Mansion. Intanto le
ragazze del Club Zeta spediscono molti
inviti per una festa allo scopo di trovare le
nuove iscritte, ma gli inviti vengono boicottati dalle ragazze del Club ??????. Alla
festa del Club Zeta non si presenta nessuno. Nathalie e le compagne vanno a riprendere Shelley che ormai non si sente più a
suo agio a posare per Playboy. Le ragazze
del Club Zeta si presentano alla festa delle rivali, dove Shelley fa un commovente
appello per trovare le nuove iscritte. Alzano la mano trenta ragazze e il Club Zeta è
salvo. Dopo aver ritrovato Oliver, Shelley
scrive una lettera a Hefner confessando che
ora si sente davvero la protagonista di una
favola.
L
a Cenerentola del terzo millennio
fa la coniglietta per Playboy. I tempi sono cambiati anche se il tono
Film
del film è davvero quello della favola, la
storia della ragazza che, caduta in disgrazia, saprà rinascere e ritrovare una nuova
identità. Non mancano gli ingredienti della
celebre fiaba e cioè nell’ordine, le sorellastre (le odiose rivali conigliette alla Playboy Mansion che con una lettera falsa la
allontanano dalla “casa”), i topolini buoni
e complici (le giovani “sfigate” del Club
universitario dove la nostra eroina si accasa prendendo sotto la sua ala protettiva
le scialbe studentesse trasformandole in
bambole mozzafiato) e, naturalmente, il
principe azzurro (che oggi è un bravo ragazzo che fa volontariato presso una casa
di riposo per anziani).
Il colore dominante è senza dubbio il
rosa: dal rosa delle tenute striminzite che
esaltano il corpo della bionda coniglietta,
al rosa dei lucidalabbra della sexy protagonista e delle sue emule. Il messaggio è
semplice e chiaro: ragazze per essere accettate dovete uniformarvi alla massa (soprattutto al mondo dell’immagine e ai suoi
comandamenti), ma cercate comunque di
Tutti i film della stagione
rimanere voi stesse e di nutrire i vostri cervelli. Un colpo al cerchio e uno alla botte,
insomma. Ma la commediola ha un altro
merito, quello di toccare un tema di grande
attualità negli States. Eh già, perché al di là
dell’oceano sembra stia spopolando una
nuova figura femminile: si tratta della “nerdette sexy”, ossia una secchiona sexy (“nerdette”, una riduzione volgare del maschile
“nerd”). Ed eccoci al film; lo stuolo di ragazze cui la bionda coniglietta fa da istruttrice
rappresentano proprio questo e cioè una
realtà che raggruppa quanto c’è di meglio
nel giovane panorama femminile USA.
Sembra infatti che in tutti i più prestigiosi
campus americani le “nerdette” stiano compiendo una vera nuova ‘rivoluzione femminista’. Il movimento è esploso con il successo di trasmissioni quotidiane alla radio
e alla TV come “Geek brief” (“geek” significa esperta di informatica) che nacque nel
2001 quando una giovane maga dei computer, Ellen Spertus, oggi direttrice della ricerca alla Google, venne eletta la “geek più
sexy” della Valle del silicio in California.
A ufficializzare una volta per tutte il fenomeno ci aveva pensato tempo fa il celebre
magazine “Newsweek” in un articolo intitolato “La vendetta delle nerdette”, in cui si affermava che “essere un genio dell’informatica è chic”, demolendo così il classico stereotipo che o sei una bambola sexy, o sei un’intellettuale bruttina e insopportabile.
E rieccoci al filmetto in questione. Mattatrice a tutto tondo (curve comprese) e
istruttrice del gruppetto di giovani “nerd”
nel percorso di trasformazione in “nerdette sexy” è la biondissima Anna Faris, già
protagonista dei quattro film della serie
Scary Movie, che regala un’interpretazione spumeggiante come una coppa di
champagne. Tra i ruoli di contorno segnaliamo la mai dimenticata Beverly D’Angelo (bionda eroina del musical Hair targato
Milos Forman 1979), qui nei panni di una
severa direttrice di un esclusivo club per
studentesse e il vero Hugh Hefner (patron
di Playboy) nella parte di se stesso.
Elena Bartoni
VALZER CON BASHIR
(Vals Im Bashir)
Israele/Francia/Germania, 2008
Musiche: Max Richter
Art director: David Polonsky
Direttori di produzione: David Berdah, Verona Meier
Supervisore effetti visivi: Nitzan Roiy
Responsabile animazione: Yoni Goodman
Animazione: Gali Edelbaum, Tal Gadon, Barak Drori, Sefi Gayego, Neta Holzer, Lilach Sarid, Zohar Shahar, Orit Shimon,
Asenath Wald, Micah Kredo, Adva Markovich
Voci: Ron Ben-Yishai, Ronny Dayag, Ari Folman, Dror Harazi,
Ori Sivan, Zahava Solomon (se stessi), Yehezkel Lazarov (Carmi Cna’an), Mickey Leon (Boaz Rein-Buskila)
Durata: 90’
Metri: 2590
Regia: Ari Folman
Produzione: Ari Folman, Serge Lalou, Gerhard Meixner, Yael
Nahlieli, Roman Paul per Bridgit Folman Film Gang/Les Films
d’Ici/Razor Film Produktion GmbH. In coproduzione con Arte
France/ITVS. In collaborazione con Hot Telecommunication/
Israel Fund Film/Medienboard Berlin-Brandenburg/New Israeli Foundation for Cinema and Television/Noga Communication – Channel 8
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 9-1-2009; Milano 9-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Ari Folman
Montaggio: Feller Nili
I
nverno 2006. Ari Folman, dopo
aver ascoltato un terribile incubo di un suo amico (un branco
26 di cani feroci e dallo sguardo famelico
corrono per una città distruggendo qualsiasi cosa trovino sulla loro strada, fino a
fermarsi, ringhianti, sotto la finestra dell’uomo impaurito), inizia a rammentare la
sua tragica esperienza durante la guerra
del Libano, di oltre venti anni prima.
I suoi ricordi, però, sono labili, frammentari, confusi e si mescolano continuamente
con il sogno e l’immaginazione. Nella speranza di mettere finalmente ordine nella sua
testa, decide di chiedere aiuto ad alcuni suoi
compagni sul fronte all’epoca del conflitto.
Carmi Cna’an, Ronnie Dayag, Shmuel
Frenkel lo riportano ai tempi in cui, giova-
ne e incosciente soldato dell’esercito israeliano, partecipava ai bombardamenti di Sindone e all’assedio di Beirut a bordo di potenti cingolati. Folman si rivolge anche a
una psicologa, la quale gli diagnostica una
sindrome da “memoria dissociativa”.
Malgrado i numerosi racconti degli ex
militari, egli non riesce a capacitarsi di
essere stato un impotente testimone del
massacro di Sabra e Shatila, l’eccidio perpetrato dai falangisti libanesi nel settembre del 1982 contro centinaia di rifugiati
arabi palestinesi. La strage fu compiuta
come vendetta per l’assassinio dell’appena eletto Presidente del Libano Bashir
Gemayel, ucciso in un attentato organizzato dai servizi segreti siriani.
L’incursione delle milizie cristiane nei
40
campi profughi di Sabra e Shatila (distrattamente controllati dalle forze armate israeliane), provocò l’annientamento della
popolazione civile stanziata: giovani, anziani, donne e bambini. Le cronache dei
reporter che entrarono nei due insediamenti (uno di questi, Ron Ben-Yeshai, viene
intervistato dal protagonista) parlano di
corpi straziati e accatastati uno sopra l’altro sotto un cumulo di macerie.
L
a memoria ha tante voci. La memoria ha tanti suoni. La memoria ha tanti colori. Valzer con
Bashir è un toccante ed intenso viaggio
nella memoria come non se ne vedevano
da tempo. Il sogno raccontato per caso dall’amico Boaz e un flashback folgorante ri-
Film
mettono in moto le oscure e, a volte, incomprensibili dinamiche della memoria.
Ma non solo.
Rischiarano la coscienza e fanno
emergere in superficie atroci verità, troppo a lungo rimosse. Quando si “scrivono”
le pagine della propria storia a colpi di fucile come è accaduto al protagonista Ari
Folman, ebbene la Storia (quella con la
maiuscola), prima o poi, ti presenta il conto. La “pena” da scontare per avere inflitto
ferite indelebili all’umanità (i fatti sanguinosi di Sabra e Shatila furono condannati
anche dalle Nazioni Unite), per essersi
reso complice di un vero e proprio genocidio, è il ricordo mai compiuto, frustrato, tormentato.
E se la facoltà mnemonica vacilla, perché dietro si annida un logorante (e forse
atavico) complesso di colpa, il passato torna a farsi vivo sottoforma di visione. La singolare magia che è in grado di emanare il
film risiede proprio nel fecondo e suadente amalgama di irrealtà e documentarismo.
Questo secondo aspetto si palesa con crudezza nel finale: quando scorrono le immagini di repertorio delle donne sopravvissute mentre, in preda alla disperazione, attraversano lo scenario di morte e
devastazione dei campi profughi.
Fin dall’angosciante sequenza d’apertura (quella relativa all’incubo dei cani), la
pellicola scritta e diretta dall’ex soldato israeliano è intervallata da slanci onirici di straordinaria forza evocativa. Uno su tutti, quello narrato dal commilitone Carmi Cna’an:
egli fantastica di essere “rapito” da una
donna nuda molto più grande di lui fisicamente, di prorompente bellezza, e di essere trasportato in mare sul suo ventre,
mentre da lontano assiste al bombardamento della nave dove era in servizio con
gli altri colleghi militari.
Un’immagine di felliniana memoria che
rimane impressa non solo nella mente ma
anche nel cuore, almeno quanto quella
creata da Almodóvar in Parla con lei (e
scusate se il paragone vi sembra troppo
azzardato). Ricordate quel curioso omino
che camminava su un corpo femminile fino
ad inoltrarsi nella sua vagina? E non è un
caso che, fra tante scene suggestive, si
sia presa come esempio proprio questa in
cui è protagonista il mare.
Qui, come in un altro episodio in cui
un soldato si tuffa per nascondersi dal nemico e si lascia trascinare dalla corrente
sino a riva, l’acqua (calma) funge da elemento simbolico che accoglie, protegge e
proietta in una dimensione “altra”, allontanando i suoi ospiti dal pericolo, dalla morte. Dalla realtà.
Se abbiamo dimenticato di menzionare la parola “animazione”, è perché Valzer
con Bashir è un film che trascende qualsivoglia categoria o genere cinematografi-
Tutti i film della stagione
co. Come pure qualsiasi accorgimento formale. Il tratto del disegno, curato da David
Polonsky, è scarno e funzionale; non c’è
bisogno, infatti, di figure troppo ricercate o
sofisticate per rappresentare una tragedia
(ignorata) di simili proporzioni.
La portata universale del messaggio è
tale da arrivare diritta alle coscienze. Di chi
(forse per opportunità politica o per codardia) non vuole ricordare gli scempi prodotti
dall’eterna e ancora irrisolta contesa israelo-palestinese.
Al di là della discreta impaginazione
fumettistica, o meglio, da videogioco (scelta estetica molto accattivante e forse pensata per attirare il pubblico dei più giovani), l’opera del regista televisivo e documentarista Folman è soprattutto un piccolo capolavoro di cinema civile.
L’insensatezza e l’inutilità della guerra, i momenti di ebbrezza (spesso accompagnati da canti bellici o da brani di musica dance) e i deliri di onnipotenza che essa
determina nei soggetti coinvolti in prima
linea, specie quelli più acerbi, sono riassunti emblematicamente un una sequenza di scioccante bellezza.
Durante uno scontro a fuoco, mentre il
cielo della martoriata Beirut è illuminato
dai razzi al fosforo, un giovanissimo soldato imbraccia un mitra sfidando i cecchini nascosti sul tetto di un palazzo. Dietro
di lui campeggia l’icona del leader Bashir
Gemayel. Spara colpi in aria, senza sosta,
facendo piroette come un ballerino. A ritmo di valzer, appunto.
Diego Mondella
IO NON CI CASCO
Italia, 2008
Regia: Pasquale Falcone
Produzione: Giallolimone/IDF (Italian Dream Factory)
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 5-12-2008; Milano 5-12-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Falcone
Direttore della fotografia: Antonello Emidi
Montaggio: Gianluca Vatore
Musiche: Giovanna Cucinotta, Marco Randazzo
Scenografia: Italo Toscano
Costumi: Michela Angelotti
Interpreti: Maurizio Casagrande (dott. Maurizio Baldi), Maria Grazia Cucinotta (caposala), Ornella Muti (prof.ssa Lamberti), Rosaria De Cicco (Lorenza), Antonio Stornaiuolo (Antonio), Claudio Coccoluto (se stesso), Pasquale Falcone (Franco), Antonio Casagrande (nonno Fabrizio), Pina Cutolo (professoressa di greco), Paola Russo (Cinzia), Paolo Albano (Marco), Vincenzo Falcone (Fabrizio), Elena Baldi (Angela), Federica Ferro (Maddalena), Fabio Massa (Davide), Fabiano Pagliara (Ciro),
Maurizio Ambroselli (Fernando), Antonino Tamigi (Giuseppe), Marco Foscari (Antonino), Simona Fasano (Margherita), Irene Maiorino (Simona), Alessandro Haber
Durata: 100’
Metri: 2350
41
Film
M
arco è nel pieno della giovinezza. Il liceo, gli amici, i sentimenti. E le feste. La prossima in agenda si annuncia come la più clamorosa dell’anno, perché pare che a raggiungerli in discoteca ci sarà il noto dj Claudio Coccoluto. Marco stesso si sta occupando dell’organizzazione dell’evento. Fino a
quando, all’uscita da scuola, un pirata della strada urta violentemente il suo scooter
e lo sbalza a terra, mandandolo in coma.
La tragedia è sconvolgente. In ospedale,
mentre attendono delucidazioni sullo stato
del figlio, i genitori – separati –cercano di
contenere le ingerenze dei rispettivi nuovi
compagni. Gli amici fanno quadrato intorno al giovane, confortandosi a vicenda e cercando di organizzare i preparativi per la festa; un modo per portarlo con loro nel quotidiano, giorno dopo giorno. Intanto Marco è
in prognosi riservata. Il primario non ha certezze, ma non esclude che un ambiente familiare e amicale intorno a lui possa giovargli.
Così accetta, nel rispetto delle regole dell’ospedale, che i compagni di classe possano visitarlo di continuo, uno alla volta. Complice anche una comprensiva capo sala, gli
amici iniziano a passare i pomeriggi da Marco, dandosi il cambio, senza mai lasciarlo
solo. La terapia, poco evidente sui progressi
del ragazzo, ha certo degli effetti su di loro.
L’amico in fin di vita diventa un confessore
taciturno e disponibile, capace di stimolare
anche alla rivelazione dei segreti più profondi: le violenze domestiche, i rammarichi, le
richieste di perdono e persino la gravidanza
celata della sua innamorata. Non tutti però
sono armati di ottimismo e di speranza: qualcuno non è convinto che lo stato comatoso
dell’amico sia giusto e la sofferenza tra la
vita e la morte l’unica alternativa alla prolungata latitanza di un agognato risveglio.
Si defila la possibilità dell’eutanasia, scelta
estrema ma forse inevitabile.
Nel frattempo, i preparativi per la festa
procedono e alla fine, grazie allo sforzo dell’intera classe, dei professori, dei supporti
economici di sponsor e parenti l’evento ha
luogo. In nome di Marco c’è anche Coccoluto, che, alla fine, informato della causa di
tanta ostinazione per la sua partecipazione,
chiede di vedere il ragazzo in coma. Il suo
confronto con Marco ha su di lui lo stesso
effetto liberatorio che avuto sui compagni: il
dj si confessa e si interroga. Promette di non
dimenticare e di rifarsi vivo. Poco dopo sarà
proprio il trillare del suo cellulare, lasciato
nella stanza d’ospedale, a impedire il suicidio dell’innamorata, incapace di sopportare
il peso della gravidanza.
Di lì a poco, proprio mentre i genitori
di Marco si avvicinano a una riconciliazione, viene smascherato il pirata della strada
responsabile della loro sofferenza: è il compagno della madre, ascoltato involontariamente da un amico del figlio durante la
Tutti i film della stagione
confessione privata alla vittima. Ed è sempre la forza dell’amicizia a sventare un ultimo, disperato tentativo di porre fine alla
sofferenze di Marco nel ventilato atto estremo della “buona morte”. Anche se, nel
sonno del coma, Marco vivrà.
I
n quella tartaruga che, spostata dalla
casa del giovane protagonista in fin
di vita nella sua stanza di ospedale,
riesce nell’epilogo del film a uscire dal suo
costringente contenitore si riversa il senso poetico di questo piccolo film e il compimento della sua grande metafora. Che
rappresenti il trapasso dalla vita sospesa
alla morte o, all’opposto, la guarigione e il
risveglio del ragazzo dal coma, importa e
non importa. È l’ambiguità, il non detto ma
suggerito – a seconda della soggettività
ideologica ed emotiva con cui si è fruito il
testo – che nobilita i migliori finali aperti.
Tant’è che in fondo un simile finale non ha
poteri particolarmente retroattivi sul senso generale del film, almeno ai fini della
sua tematica centrale: la speranza porta a
migliorarsi. Questo cammino intraprendono tanto i genitori del ragazzo quanto i suo
fedeli compagni. Alla fine, che Marco si risvegli o no, loro avranno garantito lo sforzo per un mondo migliore intorno a lui. E
la fragilità di quell’animale così piccolo e
lento è la stessa della generazione che
viene raccontata. Spesso accusata di irresponsabilità di fronte all’ovvietà delle situazioni, delle scelte, di una miopia effimera di fronte a un buon senso tanto evidente, con la facilità con cui ci si stupisce
della lentezza di una tartaruga e della sua
difficoltà nello scavalcare qualche centime-
tro di recinto. Il meccanismo di comprensione sta nel contesto. Scavalcare la staccionata che separa adolescenza e maturità per i ragazzi del lungometraggio è un
ostacolo di pari portata. La lentezza del
rettile è l’incertezza su ciò che si prospetterà fuori dalla sicurezza del contenitore.
Varcare il limite è una scelta di vita. La tartaruga chiude il film seguendo, con il ritardo che le è congenito, il percorso poco
prima imboccato dai ragazzi. Crescere.
Il merito maggiore della regia di Pasquale Falcone è proprio quello di aderire al loro
contesto, guidando lo spettatore nella vita
della “comitiva”, con la macchina da presa
sempre alla loro altezza e immersa nel loro
quotidiano. Carpendo, in più di un’occasione, squarci di genuinità e naturalezza che
riscattano uno spirito di messa in scena
spesso eccessivamente filo-televisivo, così
come qualche debolezza nelle interpretazioni e la forzatura retorica di alcune soluzioni narrative. A controbilanciare le cadute del film c’è anche un momento di grande
sensibilità: l’artista idolatrato dai giovani che
di fronte al male di un suo ammiratore si
concede al fuori dalla fama, mettendosi in
discussione in un monologo che lo avvicina inaspettatamente ai problemi della generazione protagonista. Assieme alla disanima dei problemi genitoriali, anche se
magari timidamente e con leggerezza, la
pellicola fornisce così uno sguardo trasversale e plurigenerazionale. Un altro punto di
vista che fa di quella tartaruga il simbolo
polisemico della difficoltà quotidiana, al di
là della sfera anagrafica di riferimento.
Giuliano Tomassacci
IL NEMICO DEL MIO NEMICO – CIA, NAZISTI
E GUERRA FREDDA
(My Enemy’s Enemy)
Francia/Gran Bretagna, 2007
Regia: Kevin Macdonald
Produzione: Rita Dagher, Kevin Macdonald per Wild Bunch/Yalla Film/Channel 4
Distribuzione: Mikado
Prima: (Roma 25-7-2008; Milano 25-7-2008)
Soggetto: Kevin Macdonald
Direttore della fotografia: Jean-Luc Perréard
Montaggio: Nicolas Chaudeurge
Musiche: Alex Heffes
Direttore di produzione: Sylvie Balland
Suono: Stéphane Bucher, Yves Coméliau, Yves Lévêque
Interpreti: Klaus Barbie (se stesso – immagini di repertorio), Kevin Macdonald (narratore/intervistatore), André Dussolier (narratore, versione francese) Raymound
Aubrac, Robert Badinter, Ladislas De Hoyos, René Hardy, Adolf Hitler, Beate Klarsfeld, Serge Klarsfeld, Bruno Masure, Jacques Vergès (se stessi)
Durata: 87’
Metri: 2460
42
Film
K
laus Barbie, nato il 25 ottobre
1913 a Bad Godesberg, nel 1933
entra nella gioventù hitleriana.
Due anni dopo è una SS ai comandi di Helmut Knochen, futuro capo della SIPO-SD
in Francia. Dal 1942 al 1944 assume l’incarico di responsabile della quarta sezione
della Gestapo di Lione, guadagnandosi ben
presto il triste soprannome del “Macellaio
di Lione”. Qui, nel 1943, arresta e tortura
Jean Moulin, il fondatore del CNR (Consiglio Nazionale della Resistenza).
Nell’estate del 1944 è costretto a riparare in Germania, dove entrerà a far parte
del CIC (Controspionaggio Americano). Ma
la Francia lo reclama, ne chiede l’estradizione. Il CIC decide dunque di trasferirlo
in America del Sud. Destinazione Bolivia.
Dopo essere transitato in Argentina,
nel 1951 Klaus Barbie e famiglia giungono a La Paz. E, mentre viene condannato
in contumacia per crimini di guerra, lui
instaura una fitta rete di rapporti con ex
generali tedeschi alle dipendenze del potere boliviano. Assume il nome di Klaus
Altmann, riesce a metter su un traffico d’ar-
Tutti i film della stagione
mi per favorire i militari dell’estrema destra. Nel 1980 è uno dei fautori del colpo
di stato del generale Luis Garcia Meza.
Nel 1983, dopo che la sinistra è tornata al governo, Barbie viene espulso dalla
Bolivia e condotto a Cayenne. Le autorità
francesi lo arrestano. Nel 1987 comincia
il processo. I giudici lo dichiarano colpevole di ben 17 crimini contro l’umanità.
Muore in prigione il 25 settembre 1991.
Verrà sepolto in Bolivia.
D
opo L’ultimo re di Scozia, Kevin
Macdonald ritrae un altro personaggio spietato e crudele fino al
l’inverosimile. Immagini di repertorio e numerose interviste si susseguono in forma documentaristica, senza trascurare però un tessuto narrativo e una suspence che inchiodano lo spettatore alla poltrona. Alcune interviste, in particolar modo quella in cui compare
il signor Halaunbrenner, sono a dir poco scioccanti. Si fa fatica addirittura a guardarle.
Neal Ascherson, storico e biografo,
dice di Barbie: «Non c’è un avvenimento
particolare del suo passato che lo abbia
reso antisemita, è qualcosa che gli è stato
trasmesso dagli altri. C’era una comunità
ebraica a Trea, che non era una città molto grande. Lui conosceva tanti ebrei e sapeva chi era il rabbino Altmann quando lo
incrociava in strada. Molto più tardi, quando il rabbino era ormai morto da tempo
nelle camere a gas di Auschwitz, Klaus
Barbie si appropria del suo cognome per
crearsi delle false generalità». E continua:
«Sono convinto che Barbie fosse una spia
già ai tempi della scuola, impiegato come
agente per controllare i suoi compagni».
Basterebbe questo per dare un’idea
del personaggio. Un assassino lucido e
motivato. La storia impressionante di un
uomo che, nella sua vita, non ha fatto altro che questo.
In ultimo, le parole della figlia di Barbie, Ute Messner, che sembrano pura follia, frutto di una mente fantasiosa. Purtroppo, così non è.
C’è poco da dire. Bisogna assolutamente vederlo.
Ivan Polidoro
MAX PAYNE
Canada/Stati Uniti, 2008
Regia: John Moore
Produzione: Scott Faye, John Moore, Julie Yorn per Abandon
Enterteinment/Collision Enterteinment/Depth Enterteinment/
Dune Enterteinment/Firm Films/Foxtor Productions
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Prima: (Roma 28-11-2008; Milano 28-11-2008)
Soggetto: dall’omonimo video game ideato da Sam Lake
Sceneggiatura: Beau Thorne
Direttore della fotografia: Jonathan Sela
Montaggio: Dan Zimmerman
Musiche: Marco Beltrami, Buck Sanders
Scenografia: Daniel T. Dorrance
Costumi: George L. Little
Produttori esecutivi: Tom Karnowski, Karen Lauder
Produttore associato: Peter Veverka
Direttori di produzione: Whitney Brown, Tom Karnowski
Casting: Mindy Marin
Aiuti regista: Jeff J.J. Authors, Penny Charter, Tyler Delben,
Karen Young, Kathryn Hughes
Operatori: Roger Finlay, Gregory W. Smith
Art director: Andrew M. Stearn
Arredatore: Carolyn’Cal’ Loucks
Trucco: Donald Mowat
Supervisori effetti speciali: Warren Appleby, John MacGillivray
N
ew York. Il detective Max Payne
è deciso a vendicare la morte della moglie e della figlia neonata,
uccise da criminali sotto l’effetto della droga Valkyr. L’assassino non è mai stato tro-
Coordinatore effetti speciali: Rob Sanderson
Supervisori effetti visivi: Jeff Campbell (Spin), Kevin Kutchaver (HimAnl Productions Inc.), Everett Burrell
Coordinatori effetti visivi: Matt Daly (Mr. X Inc.), Leann
Harvey
Supervisore effetti digitali: David Carriker (Modern Videofilm)
Supervisore costumi: Kathleen Meade
Interpreti: Mark Wahlberg (Max Payne), Mila Kunis (Mona
Sax), Beau Bridges (BB Hensley), Ludacris (tenente Jim Bravura), Chris O’Donnell (Jason Colvin), Donal Logue (Det. Alex
Balder), Amaury Nolasco (Jack Lupino), Kate Burton (Nicole
Horne), Olga Kurylenko (Natasha Sax), Rothaford Gray (Joe
Salle), Joe Gordon (Owen Green), Jamie Hector (Lincoln DeNeuf), Andrew Friedman (Trevor Duncan), Marianthi Evans
(Michelle Payne), Nelly Furtado (Christa Balder), Jay Hunter
(uomo del monte di pietà), Maxwell McCabe-Lokos (Doug),
Kerr Hewitt (Kid), Stephen R. Hart (proprietario negozio di tatuaggi), Philip Williams (sergente Adams), Warren Belle (detective), Ted Atherton (detective Shipman), Katie Odegaard
(Jakie), Rico Simonini (sergente detective Amerini), Pj Lazic
(Junkie), Brandon Carrera (giovane poliziotto), Conrad Pla
(capitano Bowen), Larry Wheatley (barista), Janice Nguyen
(detective), Martin Hindy, Herbert Johnson, Joshua Barilko
Durata: 100’
Metri: 2630
vato. Ora, passato un po’ di tempo, Max
lavora all’ufficio casi irrisolti, dove deve
ordinare i documenti e metterli in archivio. Contemporaneamente però, il poliziotto sta facendo delle indagini private sul43
l’assassinio della moglie e della figlia. Nel
frattempo, mentre sta indagando su un
nuovo caso d’omicidio, il suo amico e collega Alex sta trovando alcuni elementi che
potrebbero aiutarlo a rintracciare colui che
Film
ha fatto fuori la sua famiglia. Gli dà appuntamento a casa sua, ma, quando Max arriva,
lui è già morto. A questo punto, Max è rimasto completamente solo ed è diventato il bersaglio sia della polizia (che lo ritiene responsabile della morte dell’amico in quanto è
ignara del fatto che il detective stava svolgendo delle indagini in incognito), sia dai
malviventi. Al funerale poi, la moglie dell’amico gli chiede esplicitamente di andarsene. È comunque sempre più deciso a stanare i colpevoli. Si trova a combattere con la
famiglia mafiosa che controlla il mercato
della Valkyr. Scopre che il commercio di questa droga non fa parte soltanto di un traffico
malavitoso, ma è elemento fondamentale di
un progetto militare; veniva infatti utilizzata
per aumentare la resistenza al dolore e la
potenza fisica dei soldati statunitensi. Il piano è stato poi bloccato, perché ritenuto nocivo per la salute dei militari e per mancanza
di fondi, ma Nicole Horne, capo della Aesir
Corporation, ha proseguito comunque la ricerca. Michelle, la moglie di Max, che lavorava presso l’ufficio del Procuratore Distrettuale, aveva scoperto accidentalmente i documenti di questo progetto e la Horne, per
evitare che la verità venisse a galla, ha ordinato il suo assassinio e quello della figlia.
Max a questo punto, pieno di rabbia,
non segue più l’etica professionale. Ad affiancarlo c’è Mona Sax, anche lei in cerca
di vendetta dopo l’omicidio della sorella
Natasha. Nel corso delle sue ricerche, Max
scopre anche che il collega più anziano
B.B., che aveva sempre pensato che fosse
dalla parte sua, è in realtà un traditore e,
alla fine, riesce a farlo fuori.
La sua battaglia però non è finita. Anzi,
sembra appena cominciata.
C
on Max Payne non è il videogame che si orienta verso il cinema ma viceversa. L’influenza
Tutti i film della stagione
dell’omonimo videogioco creato da Sam
Lake appare infatti decisiva a livello iconografico e il film di Moore sembra riprodurne
meccanicamente le atmosfere, i colori e le
azioni. Questo rapporto di dipendenza è simile a quei film tratti da opere letterarie, in
cui si cerca di essere più fedeli e aderenti
possibile al testo d’origine. Con Max Payne
si va oltre. Si ha infatti l’impressione, ma può
essere anche un’illusione ottica, che gli stessi
movimenti del protagonista siano rallentati
e anche i volti degli attori è come se avessero subito una trasformazione. Negli ultimi
anni, i film tratti da videogame (Lara Croft –
Tomb Raider, The Hitman, Resident Evil, The
Punisher) non sono stati certo memorabili
e, se non fosse per il soggetto che li ha ispirati, potrebbero essere considerati come
delle variazioni all’interno del blockbuster
d’azione statunitense. L’unico elemento che
potrebbe differenziarli da quest’ultimi potrebbe essere soltanto un’accentuazione cromatica che contribuisce a rendere queste atmosfere maggiormente artificiali. Con Max
Payne, però, si è andati oltre. All’interno di
una vicenda in cui la figura interpretata da
Mark Wahlberg (anche qui bravissimo, capace comunque di alimentare la disperazione e il senso di totale isolamento suo personaggio anche in un film sbagliato come questo) appare come la variazione riaggiornata
di quello interpretato da Charles Bronson
nella saga di Il giustiziere della notte, Moore
cerca di costruire un’apparato iconografico
che alimenta una dimensione con tracce noir:
illuminazione bluastra, una città oscura piena di strade buie e sordide che sembra ancora più ‘solidificarsi’ con le immagini della
neve sul porto, la figura di un detective ormai irrimediabilmente prigioniero del proprio
vissuto. I momenti del suo felice passato
vengono invece caratterizzati con un’illuminazione forte e accesa, evidenti soprattutto
sulle immagini della sua famiglia e della sua
abitazione subito poco prima della tragedia.
Inoltre, proprio come nella dimensione prospettica del videogioco, viene talvolta privilegiata l’angolazione soggettiva del detective. Moore forse pensa così di creare una
maggiore adesione con il personaggio e con
le atmosfere del videogame da cui il film è
tratto. Si tratta, però, solo di un’illusione. Max
Payne è un film freddo e senz’anima, che
forse aspira a creare quel rapporto di dipendenza tra il protagonista e lo spazio che attraversa come nella saga su Jason Bourne
(in cui gli ultimi due episodi diretti da Paul
Greengrass hanno un ritmo e un tasso di
adrenalina a cui Max Payne non ci si avvicina minimamente). Le scene d’azione sono
spesso risolte meccanicamente, sbrigativamente e vengono, a volte, sottolineate da
esibiti ralenti. Ciò è evidente nel momento in
cui il detective uccide il collega più anziano
B.B. che l’ha tradito, o nella scena dell’assassinio di Natasha. Le forze del male, quindi, non prendono mai pienamente forma.
Sono solo delle deboli e fugaci apparizioni,
che sembrano acquistare momentaneamente una maggiore consistenza nelle scene di
omicidio. Forse questi frammenti di ombre
rappresentano l’unico squarcio seducente di
un’opera apparentemente sovraccarica ma
vuota, che ricicla più che ispirarsi alle atmosfere di Matrix. Che lo sguardo di John Moore non avesse una grande fantasia si era già
visto nei suoi due piatti remake, Il volo della
fenice ed Omen – Il presagio. L’utilizzo del
digitale non arricchisce questo suo ‘personale gioco’ né lo rende, malgrado le intenzioni, più inventivo, ma solo più rumoroso. E
stavolta, rispetto al videogame, si attende
che il percorso del protagonista sia finito per
poter così spegnere tutto. Anche se, dopo i
titoli di coda, il film sembra riprendere e continuare. Come in un successivo episodio.
Simone Emiliani
COME DIO COMANDA
Italia, 2008
Suono: Mauro lazzaro, Paolo Amici, Luca Novelli, David Quadroli, Fabrizio Quadroli, Roberto Sestini
Effetti: Gaia Bussolati, Paolo Ricci, Effetti Digitali Italiani (Edi),
Luca & Paolo Ricci Effetti speciali Cinematografici
Interpreti: Alvaro Caleca (Cristiano Zena), Filippo Timi (Rino
Zena, padre di Cristiano), Elio Germano (Quattro formaggi),
Fabio De Luigi (Beppe Trecca, assistente sociale), Angelica
Leo (Fabiana), Linda Bobbo (professoressa), Alessia Bellotto
(infermiera), Alessandro Bressanello (Marchetta), Giuseppe
Cristiano (infermiere), Franco De Maestri (parroco), Andrea
De Neri (Alex), Ludovica di Rocco (Esmeralda), Giovanni Franzoni (padre di Fabiana), Vasco Mirandola (Dottor Brolli), Rita
Pirro (Corinna), Stefano Rota (medico)
Durata: 103’
Metri: 2810
Regia: Gabriele Salvatores
Produzione: Maurizio Totti per Colorado Film/Rai Cinema. Con
Friuli Venezia Giulia Film Commission
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 12-12-2008; Milano 12-12-2008)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti
Sceneggiatura: Niccolò Ammaniti, Antonio Manzini, Gabriele
Salvatores
Direttore della fotografia: Italo Petriccione
Montaggio: Massimo Fiocchi
Musiche: Mokadelic
Scenografia: Rita Rabassini
Costumi: Patrizia Chericoni, Florence Emir
Casting: Francesco Vedovati
Aiuto regista: Alessandro Pascuzzo
44
Film
R
ino Zena e suo figlio Cristiano
abitano da soli in un paesino
sperduto del Friuli. L’uomo, un
disoccupato con il culto di Hitler e del nazismo, vuole educare il ragazzo a vivere
secondo i propri principi. Lo incita alla
violenza e gli insegna a difendersi dai compagni di scuola. Cristiano rispetta gli ordini del padre, senza accorgersi che questi
suoi comportamenti finiscono per isolarlo
dal contesto scolastico.
Chi vive in un mondo tutto suo è invece
Quattroformaggi, un giovane disadattato
(anch’egli licenziato dopo anni passati in
una fabbrica produttrice di materiale elettrico), che trascorre le sue giornate chiuso
in casa parlando con i personaggi del presepe e guardando filmini hard dove è protagonista la sua attrice preferita, Ramona.
Un giorno, crede di vedere in una ragazza bionda la porno star di cui è segretamente innamorato. Decide di seguirla col suo
motorino tra le stradine di campagna. Finge
un finto incidente per farsi soccorrere e,
quando le salta addosso per baciarla, lei lo
respinge duramente facendosi scudo con il
proprio casco. La colluttazione continua in
mezzo al bosco: qui Quattroformaggi tenta
di violentarla e, di fronte all’ennesimo rifiuto, la colpisce con una sassata alla testa.
Resosi conto dell’accaduto, chiama in aiuto l’amico fraterno Rino, il quale, dopo averlo rimproverato e percosso, viene colto da un
ictus. Confuso e spaventato il giovane scappa
via con la pistola dell’uomo (che riesce comunque ad avvertire il figlio del suo malore).
Cristiano si precipita sul posto e, quando scopre che accanto al genitore svenuto giace a
terra la ragazza morta, riconosce in lei la sua
compagna di scuola Fabiana.
Convinto che sia stato il padre ad ammazzarla, provvede a far sparire il corpo
per cancellare qualsiasi prova a suo carico. Dopo averla trascinata sul camioncino e averla nascosta per alcuni giorni, la
getta nel fiume. La salma ricoperta da un
telo di cellophane viene immediatamente
ritrovata dalla polizia. Nel frattempo, Rino
finisce in coma in ospedale e lui viene affidato ad un assistente sociale.
Quattroformaggi, avendo paura che,
una volta risvegliatosi, Zena possa rivelare la verità, pensa inizialmente di eliminarlo. Ma, quando se lo trova davanti, non
ha il coraggio di sparargli. I sensi di colpa lo spingono al suicidio. Cristiano (che
ha appena partecipato ai funerali di Fabiana), purtroppo, non fa in tempo a evitare la tragedia. Quando arriva a casa del
giovane e rinviene l’I-Pod della sua amica, capisce che è lui il vero responsabile
dell’omicidio. Proprio nel momento in cui
va a fare visita al padre per domandargli
perdono, questi si risveglia dal coma.
N
ero nel senso più letterale possibile. Anzi nerissimo. Delirante più
di una tragedia shakespeariana.
Tutti i film della stagione
Greve e luttuoso fino all’inverosimile. In una
parola sola: l’esatto contrario di Io non ho
paura (2003). Se l’intento di Gabriele Salvatores era quello di spiazzare gli spettatori, c’è riuscito perfettamente. Ma, purtroppo – viene da chiederci –, a quale prezzo?
L’adattamento del libro di Ammanniti per il
grande schermo è il risultato di un “arrotondamento per eccesso”.
La storia scritta dall’autore del bestseller Premio Strega nel 2007, già di per
sé sufficientemente cupa e desolante, si
trasforma in una favola dark maledetta ed
esageratamente torbida. In Come Dio comanda ogni singolo elemento risulta essere sopra le righe: dall’ambientazione friulana notturna, piovosa e fangosa, alla recitazione degli interpreti (in particolare Filippo Timi ed Elio Germano).
È anche vero che qualcuno potrebbe
interpretare metaforicamente questo registro stilistico, eccentrico ed esasperato,
come il lamento, o meglio, il grido di dolore di un umanità reietta e disfunzionale,
che è “costretta” a usare la forza per affermare la sua esistenza e ad urlare la propria rabbia (Rino Zena), o il proprio bisogno di amore represso (Quattroformaggi)
contro una natura sorda e alienante.
Lo spiantato impersonato da Germano suscita pietà e tenerezza quando si fa
stringere da un paio di braccia di gomma
finte attaccate al televisore, o quando si
meraviglia come un bambino alla vista di
uno scoiattolo.
Lo spazio sociale dell’estrema provincia del nostro Nord-est (il film è stato girato
nei dintorni di Pordenone), compresso tra
gli hangar degli stabilimenti industriali, le
discariche abusive e i “mostruosi” centri
commerciali (ottimamente fotografato da Italo Petriccione), sembra una terra di confine
dimenticata dal Signore, in cui gli uomini
vivono come bestie selvatiche in cattività.
Come è tristemente noto, oramai che
la dura realtà del precariato, della disoccupazione e della concorrenza nel lavoro
con gli extracomunitari, spesso e volentieri, alimenta il razzismo, l’aggressività e la
paura dell’Altro.
Ma al di là dei facili e ingannatori sociologismi, il film perde la sua coraggiosa
scommessa col pubblico sul piano della
credibilità. La vicenda della ragazza uccisa “accidentalmente” nel bosco sotto una
pioggia incessante (che richiama quella
della fiaba di Cappuccetto Rosso e del
Lupo) è il pretesto per far scaturire un intreccio orrorifico quanto bislacco.
Dove si susseguono maldestri tentativi di
vendetta, affannose ricerche, strazianti scoperte e occultamenti di cadavere da serialkiller di professione... . E dove, alla fine, a scontare “il peccato originale” è – guarda caso –
l’anello più debole e indifeso della catena, incapace di sopportare il peso del misfatto.
L’insistito ricorrere da parte di Salvatores a simbolismi e allegorie (confortato anche da alcune scelte musicali di facile presa,
come She’s the one di Robin Williams che
riecheggia dall’I-Pod della vittima) finisce
comunque per offuscare l’unica nota positiva di tutto il racconto, ovvero la storia d’amore e di eterna fedeltà, anche nel presunto
Male, tra un padre e suo figlio, che nel film
ha il volto dell’interessante Alvaro Caleca.
Diego Mondella
TONY MANERO
(Tony Manero)
Cile/Brasile, 2008
Regia: Pablo Larraín
Produzione: Juan de Dios Larraín per Fabula. In coproduzione con Prodigital
Distribuzione: Ripley’s Film
Prima: (Roma 16-1-2009; Milano 16-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Pablo Larraín, Alfredo Castro, Mateo Iribarren. Con la
consulenza di Eliseo Altunaga
Direttore della fotografia: Sergio Armstrong
Montaggio: Andrea Chignoli
Musiche: Frecuencia Mod, José Alfredo Fuentes, Juan Cristóbal Meza
Scenografia: Polin Garbisù
Organizzazione: Ruth Orellana
Produttori esecutivi: Ariane Hartard, Juan I. Correa
Produttore associato: Tomas Dittborn
Aiuto regista: Oscar Godoy
Consulente artistico: Rodrigo Bazaes
Operatori: Pablo Larraín, Sergio Armstrong
Trucco: Margarita Marchi
Acconciature: Paola Morales
Suono: Miguel Hormazabal
Interpreti: Alfredo Castro (Raúl Peralta), Amparo Noguera (Cony), Héctor Morales
(Goyo), Paola Lattus (Pauli), Elsa Poblete (Wilma)
Durata: 98’
Metri: 2290
45
Film
S
antiago del Cile, 1978. Raúl Peralia è un uomo di cinquantadue
anni che passa le sue giornate ossessionato dall’idea di impersonare
Tony Manero, il ballerino protagonista
di La febbre del sabato sera, film che sta
spopolando nelle sale cinematografiche
di un Cile governato ormai da anni dal
generale Augusto Pinochet. Quella di
Raúl per Tony Manero è una vera ossessione: l’uomo passa molto tempo a studiare i passi di ballo, le movenze e le
espressioni del personaggio interpretato dall’attore John Travolta. Insieme a
tre ballerini, sul piccolo palco di uno
scalcinato bar di periferia, tutti i giorni
Raúl si esercita sui passi da disco-music del suo idolo. Il suo sogno sembra
essere a portata di mano quando un programma televisivo bandisce un concorso per trovare dei sosia di Tony Manero. Nel febbrile tentativo di raggiungere il suo sogno, l’uomo non si ferma davanti a nulla. Un giorno, dopo aver soccorso per strada un’anziana signora da
un’aggressione, si introduce in casa sua
per rubarle il televisore. Con il ricavato della vendita dell’elettrodomestico,
Raúl acquista in un magazzino dei mattoni di vetrocemento per ricreare nel piccolo palco del bar il pavimento della discoteca dove nel film si esibisce Tony
Manero. Pochi giorni dopo, uccide il
proiezionista di un cinema per rubare
una copia della pellicola che ormai per
lui è divenuta un’ossessione. Una notte,
si introduce nel magazzino per uccidere
il titolare e rubare le mattonelle mancanti per la sua opera di ricostruzione
del pavimento da discoteca. Una sera,
finalmente, Raúl si esibisce sul palco del
bar insieme alla compagna Cony, a sua
figlia Pauli e al suo ragazzo Goyo. Quella stessa sera, Raúl si apparta con la
giovane Pauli provocando il risentimento di Cony. Il mattino dopo, nel locale
irrompe la polizia che interroga Goyo
perché sospettato di attività di opposizione clandestina al regime. Nel frattempo, Raúl si nasconde e scappa da
un’uscita secondaria per recarsi agli
Tutti i film della stagione
studi televisivi dove si svolge il concorso per i sosia di Tony Manero. Raúl si
esibisce e si classifica secondo.
U
n uomo allo stato primordiale,
rappresentante di una sottospecie umana: semianalfabeta, sottosviluppato, opportunista, privo di coscienza politica e morale. Un ladro e un
assassino. Raúl, aspirante sosia del mitico Tony Manero di La febbre del sabato
sera, è un uomo affamato che segue solo
i suoi appetiti: l’appetito della fama, quello dei soldi, quello del sesso. Un uomo
“senza qualità”, in preda solo ai suoi bisogni più bassi che vive nella più completa “miseria spirituale e materiale” sono parole del regista - che aspira a diventare come “l’eroe americano”. E così
cerca di sovrapporre la sua appartenenza culturale a un’altra, assumendone in
pieno i parametri (sintomatico il vizio di
ripetere ossessivamente le battute in inglese del suo film mito, riempiendosi la
bocca, divorando letteralmente quelle
parole fino a farne un vero nutrimento per
l’anima).
Tony Manero è la storia di un’ossessione sullo sfondo di un paese che sta
attraversando quel processo culturale che
ha definito il modo di vivere attuale di tanti
paesi sudamericani. Si respira nel film
quell’”aria pericolosa di sottosviluppo” che
ha visto tanti paesi latinoamericani minacciati nel corso degli anni ’70. Ed ecco la
speranza riposta nel vecchio modello di
sogno americano che la storia di Manero
rappresenta: un perdente che, grazie al
talento nel ballo, riesce a risalire la scala
sociale.
Raúl è un uomo ossessionato, ha
fame per i dettagli, colleziona feticci (il
feticcio, un oggetto parziale come si definisce in psicoanalisi, una sineddoche, una
“parte per il tutto”). I mattoni di vetrocemento da mettere sul pavimento, la palla
con gli specchietti da appendere al soffitto, la pellicola del film, il vestito bianco
del suo eroe, sono parti per il tutto, parti
di un mondo, parti dell’universo di Tony
Manero. Oggetti cui essere affettivamen-
46
te legato. Affettivamente e morbosamente. Raul è un feticista privo di senso morale: balla e uccide, uccide per ballare,
balla per (soprav)vivere.
Ma qui più che mai, il personaggio è
tutt’uno con la realtà che lo circonda, egli
è il resto di quella “sottoclasse” sociale
che ha subito il colpo di stato del 1973
da una posizione politica che non sosteneva la dittatura ma neanche era contraria a essa e non le opponeva resistenza. Quella massa silenziosa che cercava solo di sopravvivere. Le strade della
Santiago perfettamente sono colte nella
sua atmosfera anni Settanta: un’atmosfera strana, indefinita, pervasa da un misto di paura e oblio. Quelle strade semideserte, il silenzio, poi il passaggio delle
camionette dei militari. Una Santiago diversa da quella di oggi. E Raúl, un uomo
che vive proiettato in avanti rispetto al
suo paese: il suo assurdo desiderio – ha
osservato il regista – è quello del Cile
odierno.
Dietro la macchina da presa (intento a
‘pedinare’ il suo protagonista con la macchina a mano), Pablo Larrain (classe 1976
alla sua opera seconda dopo Fuga del
2006) non ha paura di essere duro o addirittura “molesto” con lo spettatore, aiutato
nell’arduo compito dal suo protagonista
mattatore assoluto, Alfredo Castro, inguainato nel suo costume bianco alla Travolta
(ma più che il divo di La febbre del sabato
sera, il volto scavato dell’attore ricorda molto da vicino il profilo dolente del grande Al
Pacino).
Il sogno del successo e le sue ossessioni, dolorose e attualissime (il giovane
ballerino Goyo che fa da sfondo all’esibizione del nostro aspirante Manero, prima
di andare in scena dirà “Oggi la vita ci dà
una possibilità, la possibilità di emergere”).
Trent’anni dopo, anche se non si vive sotto una dittatura, le illusioni perdute hanno
sempre un sapore amarissimo, soprattutto quando diventano ossessioni. Accendere la TV e sintonizzarsi su un canale qualsiasi per credere.
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
IL PUGILE E LA BALLERINA
Italia, 2006
Regia: Francesco Suriano
Produzione: Pier Francesco Aiello, Veronica Bilbao La Vieja
per P.F.A. Films/Caro Film. Con il sostegno del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali
Distribuzione: P.F.A. Films S.R.L.
Prima: (Roma 7-11-2008; Milano 7-11-2008)
Soggetto: Francesco Suriano, Marco Saura
Sceneggiatura: Francesco Suriano, Marco Saura, Sergio Vecchio
Direttore della fotografia: Alessio Gelsini Torresi
Montaggio: Natalie Cristiani
Musiche: Giuseppe Napoli
Scenografia: Bruno Colella
Costumi: Caterina Nardi, Claudia Vaccario
Effetti: Ercole Cosmi, Tiberio Angeloni, M.A.G. Special Effects
Aiuto regista: Clarita Giovanni, Guendalina Zampagni
R
oma. Un carabiniere alla radio
segnala un uomo che balla nudo
sul cofano d’un’auto. È Enzo,
mercante d’arte omosessuale, sposato e
separato, padre d’un figlio. L’agente che
lo arresta si fa chiamare Osho. Durante la
notte, in guardina, Enzo gli racconta le sue
pene d’amore.
Anni dopo i due si rincontrano. Non è
un giorno qualunque. È il giorno in cui i
loro rispettivi compagni prenderanno strade diverse, separando i propri destini. Così
procede il film, alternando il diario d’un
giorno solo, l’ultimo, ai frammenti disordinati dei tre anni precedenti.
La mattina presto il gioielliere sotto casa
di Enzo viene derubato del bracciale che
l’uomo ha fatto confezionare per il suo amico coinquilino, Fabio. Osho è sul luogo, ma
non capisce, e lascia fuggire il ladro. Cacciato dall’arma dei Carabinieri, Osho vive
di truffe e piccoli delitti, appoggiandosi al
compare di sempre, il succube Carletto:
orfano di padre carabiniere, il ragazzo vive
nella menzogna, professandosi membro dell’arma e rubando di nascosto la pensione
dell’anziana madre, insieme alla quale ancora vive. A chiedere un cambio di vita a
Carletto c’è la vicina di casa, hostess argentina giovane e bella, compagna di chiacchiere della vecchia dirimpettaia, apertamente invaghita del ragazzo.
Enzo ha incontrato Fabio tre anni prima, davanti alla palestra dove si allenava
come pugile. Dopo qualche avance e un
invito a casa, Enzo ha ottenuto di vivere
con il rude giovanotto. Così si è venuta
Suono: Alessandro Rolla, Maximialiono Angelieri
Interpreti: Marcello Mazzarella (Osho), Enzo Mazzarella
(Enzo), Fabio Mattei (Fabio), Peppino Mazzotta (Carletto),
Francesca Benedetti (Lucia), Arturo Cirillo (Tavoletta), Crescenza Guarnieri (Concetta), Moira Grassi (Francesca), Raffaella Lebboroni (Alessandra), Sara Bertela (Chiara), Carmelo Galati (Antonio), Piermaria Cecchini (Marcellone), Michel
Altieri (pugile), Rosa Pianeta (Isa), Euglen Sota (Jemin), Carla Cassola (madre di Carletto), Achille Brugnini (gioielliere),
Saverio La Ruina (Gerardo), Bernarda Reichmuth (Gitte), Ivan
Sabetti (Sandrino), Emiliano Possenti (Roberto), Massimo
Proietti (Massimone), Michelangelo Trizza (pugile), Ketty Di
Porto (Mariangela), Mario Mazzarella (Mariolino)
Durata: 88’
Metri: 2430
costruendo una relazione turbolenta e inconsueta, dalla quale Enzo ha tratto conforto e disperazione e che a Fabio, mantenuto dal suo ammiratore, è costata la fine
della carriera pugilistica. Le liti tra Osho
e Carletto e quelle tra Enzo e Fabio arrivano fino al tramonto. Fabio è stanco di
vivere accanto a Enzo, al quale pure vuole
bene, ma che occupa con invadenza anche
gli ultimi spazi della sua vita privata, stendendo il suo controllo su ogni spostamento dell’altro, fino al punto da stringere
amicizia perfino con la di lui fidanzata.
Mentre Enzo aspetta con ansia il ritorno
a casa di Fabio, Osho e Carletto sono all’inseguimento del ladruncolo che la mattina s’è
portato via il bracciale d’oro sotto il naso
dell’ex carabiniere. Catturato, il giovane
straniero, non può far altro che svelare l’inattesa verità: il furto è stato commissionato da
Fabio; è lui ora ad avere il gioiello. Si è fatta
notte. Enzo e Fabio si ritrovano sotto casa,
in piazza. Dopo la solita lite, sfociata in colluttazione, Enzo e Fabio si lasciano. Carletto abbandona per l’ultima volta l’auto del
compare; si decide a smettere la vita di miseri espedienti offertagli da Osho, progettando un nuovo avvenire tra le braccia della sua
vicina di casa. Osho, rimasto solo nella piazza deserta, esce dall’auto, raccoglie il bracciale d’oro caduto a Fabio durante la lotta e
se lo mette in tasca.
I
l film è l’esordio nel lungometraggio di Francesco Suriano, autore e
regista per il teatro, sceneggiatore
(Sud Side Stori, 2000, e Oreste a Tor Bel-
47
la Monaca, 1994) e documentarista (Partenze, 1996) per il cinema.
Il titolo, come pure l’intera concezione del
film esplicita una convinta, raffinata cinefilia.
Ma come troppo spesso accade nel cinema
nostrano, il progetto di Suriano-Saura-Vecchio
(nel caso dell’ultimo nome si tratta di sola collaborazione alla sceneggiatura), articolato e
suggestivo sulla carta, diventa, una volta versato sullo schermo, pallido oggetto indefinito.
Molte le scelte discutibili, a cominciare dall’ambizione di tenere insieme le fila d’uno
schema narrativo tanto complesso alla prima
prova nella direzione d’un lungometraggio.
Uno scarto della fotografia dovrebbe fornire
riferimento certo e discreto allo sguardo dello
spettatore, altrimenti del tutto disarmato dentro un racconto rapsodico e disperso; il film
però – tutto girato in alta definizione – manca
della sufficiente precisione tecnico-estetica,
cosicché, durante la visione, ci si ritrova persi
dentro i meandri della narrazione squadernata che con l’inanellarsi delle scene sembra
costruire un rompicapo senza soluzione.
L’imprecisione è forse il peggior peccato
della pellicola. Così, l’interpretazione degli
attori (molti dei quali non professionisti) sporca ma vivida, forte e sbilenca, l’originalità
d’uno sguardo capace di trasfigurare il centro di Roma, strappandolo alla consunzione
cine-televisiva, un gusto per l’inquadratura
magari non impeccabile ma capace di dare
forma alle cose: tutto questo si trova diluito e
inquinato da una colpevole mancanza di
accuratezza, di rigore, di affilatura.
Silvio Grasselli
Film
Tutti i film della stagione
VALUTAZIONI PASTORALI
Amore che vieni, amore che vai – inconsistente / banalità
Australia – consigliabile / poetico
Bambino con il pigiama a righe (Il) –
raccomandabile-problematico / dibattiti
Banda Baader Meinhof (La) – discutibile-problematico / dibattiti
Canarina assassina (La) – inconsistente / banalità
Come Dio comanda – discutibile / ambiguità
Coniglietta di casa (La) – inconsistente
/ banalità
Dubbio (Il) – complesso-problematico /
dibattiti
Duchessa (La) – accettabile / realistico
Ex – sconsigliato-non utilizzabile / superficiale
Impy e il mistero dell’isola magica –
n.c.
Io non ci casco – inconsistente / velleitario
Italians – futile / superficialità
Lezioni di felicità – accettabile / poetico
Lower City – n.c.
Lui, lei e Babydog – n.c.
Max Payne – discutibile / violenze
Milk – complesso / scabrosità
Millionaire (The) – raccomandabile-problematico / dibattiti
Natale a Rio – inconsistente / grossolanità
Nemico del mio nemico (Il) – n.c.
Operazione Valchiria – consigliabileproblematico / dibattiti
Peso dell’aria (Il) – n.c.
Pugile e la ballerina (Il) – n.c.
Quel che resta di mio marito – accettabile / problematico
Rachel sta per sposarsi – discutibile /
problematico
Revolutionary Road – complesso-problematico / dibattiti
Saw V – inaccettabile / farneticante
Sette anime – complesso / velleitario
Star Wars – La guerra dei Cloni – accettabile / semplicistico
Strangers (The) – futile / velleitario
Tony Manero – complesso / scabrosità
Ultimatum alla Terra – accettabile / semplice
Un gioco da ragazze – inaccettabile /
ambiguo
Un matrimonio all’inglese – consigliabile / brillante
Valzer con Bashir – consigliabile-problematico / dibattiti
Women (The) – accettabile / brillante
IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di
educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo
spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola
materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni
numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie
e corrispondenze dell’estero.
Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale.
SCRI
VERE
di Cinema
direttore Carlo Tagliabue
SCRIVERE DI CINEMA
Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che
film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di
lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica.
ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in
questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di
argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno.
La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al
Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected]
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