Simmo `e Naples, paisà - Suor Orsola Benincasa

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Simmo `e Naples, paisà - Suor Orsola Benincasa
20 marzo
2010
anno
X
n. II
chiostro
Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli
www.unisob.na.it/inchiostro
Simmo ’e Naples, paisà
Foto di Lorenzo Marinelli
Così la città si presenta agli occhi degli altri
Millefaccediunametropoli
dall’anarchiaall’eccellenza
Spedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli
di Giustino Fabrizio *
Dalle ceneri di pizza pino e mandolino, l’immagine di
Napoli è risorta plasmandosi su un altro stereotipo: camorra e
spazzatura. Molto più negativo, ma purtroppo anche molto più
vicino alla realtà. Già prima della grande crisi dell’immondizia,
“L’espresso” aveva dedicato alla città una profetica copertina
choc: “Napoli addio. Criminalità. Disoccupazione. Disagio giovanile. Viaggio nella città che non crede più nel futuro”. Poi,
sullo sfondo delle guerre tra i clan, è intervenuta la drammatica
vicenda dei rifiuti ad assestare il colpo di grazia.
Qual è oggi l’immagine di Napoli al di là del Garigliano e al di là delle Alpi? È da questa domanda che ha preso le
mosse questo numero di “Inchiostro”. Una persona non si può
giudicare dall’idea che ha di se stessa, a maggior ragione una
città. Siamo andati quindi a scrutare i media stranieri, a interrogare gli istituti di cultura internazionali, a chiedere opinioni
autorevoli. Abbiamo messo insieme cifre e fatti della politica,
dell’economia, della cultura, dello spettacolo e dello sport. Abbiamo interrogato stranieri che vivono qui e napoletani che operano
all’estero. Abbiamo cercato di capire che cosa significhi la parola
“Napoli” anche per chi non ci è mai stato, come la gran parte
degli abitanti delle altre città del mondo che si chiamano Napoli.
Il risultato fa pensare a un patchwork. La città famosa per
la sua fantasia offre tante facce, da quelle dei criminali internazionali al capitano della Nazionale di calcio che alza la coppa del
mondo davanti a oltre un miliardo di telespettatori, dai politici
che creano tumulti in Parlamento o finiscono sott’inchiesta a un
presidente della Repubblica specchiato e rispettato. Sporca e caotica come nessun´altra in Italia, ma con punte di eccellenza che
tutti le invidiano, Napoli è un pendolo che oscilla costantemente
tra gli opposti.
* Capo della redazione napoletana di Repubblica
LACURIOSITÀ
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L’ARTISTA
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il Fratello di Abele
Quasi vent’anni fa, come a chiudere un periodo davvero
buio dell’immagine pubblica di Napoli e segnare l’inizio, per la
città, di una nuova era cui non sarebbe mancato l’immaginoso e
augurale nome di Rinascimento Napoletano, un ottimo storico
di queste parti dava alle stampe un poderoso volume su Napoli
e il Sud nell’immaginario Barocco e Illuminista europeo. A leggere,
in gran copia, i giudizi dei viaggiatori stranieri e italiani capitati
da queste parti, si comprende come il viaggio a Napoli costituisse per i più “una tormentosa escursione ai margini della notte”,
una sorta di pericoloso accesso ad un “oscuro spazio di orrore”,
e quasi all’abisso degli inferi “in un luogo di ignoranza popolato
di diavoli e masnadieri, ladroni e gran banditi”. Ci voleva tutta la
buona volontà di E.A. Mario e soprattutto la distanza tra cielo e
terra perché, agli albori del secolo XX Napoli, potesse essere considerata, da due professori di mandolino, uno dei “Duje Paravise”. Certo in seguito abbiamo avuto il Rinascimento Napoletano
(Ah, Vico! Coi tuoi ricorsi storici!!), ma poi quello successivo
come si chiama, Rimorimento?!?
Per capire l’immagine attuale della città, riportiamo due
ricette:
Pane di Dante al sentire d’olio delle colline toscane
Prendete un bel pezzo di buon pane toscano che normalmente non sa di sale (essendo quello “altrui” che sa di pessimo
sale e richiede per conquistarlo tante scale) cotto alla legna resinica di quelle colline benedette da Dio. Tagliatelo con un coltello
possibilmente forgiato da quelle parti, dove ancora gli artigiani
ripetono i sapienti gesti d’arte dei metalli con cui Benvenuto Cellini forgiò la tabacchiera di Luigi XIV e il Ghiberti la formella del
“bel San Giovanni”. Quando il pane nell’aprirsi sotto il filo della
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PRIMO PIANO
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Nonsolocamorraemunnezza
«Napolièunpo’unaGrandeMela»
di Ludovica Criscitiello e Antonio Frascadore
Negli ultimi anni l’immagine di Napoli sui giornali stranieri non è cambiata. Quotidiani inglesi,
spagnoli e francesi, hanno ripercorso la storia di una città, sommersa dall’immondizia e sotto il controllo
della criminalità organizzata.
I giornali inglesi mettono in luce un quadro drammatico.
Il Times descrive una metropoli in cui la camorra domina da decenni la situazione dell’immondizia in Campania. Da anni i clan hanno preso il controllo totale del ciclo dei rifiuti. Peter Popham, giornalista britannico e autore dell’articolo, si sofferma sulla situazione di Pianura, sobborgo di Napoli in cui i
cumuli di spazzatura raggiungono l’altezza di otto-dieci metri e su Nola, Acerra e Marigliano, conosciuti
all’estero come il triangolo della morte a causa dell’aumento dei tumori allo stomaco e alla prostata. La
questione rifiuti è messa molto in risalto anche dall’Indipendent. In un articolo del 24 marzo 2008 il quotidiano britannico punta l’attenzione sulle conseguenze dell’inquinamento nell’ambito della produzione
di mozzarella. Il prodotto caseario risulta avere elevati livelli di diossina che hanno diminuito l’esportazione di mozzarella campana in tutta Europa.
Rifiuti e malavita sono le due piaghe profonde di Napoli e di tutta la Campania anche per i principali quotidiani spagnoli. Lo afferma con convinzione Angela Rodicio, inviata della tv spagnola: «In Spagna
si ha l’idea di una Napoli caotica e disordinata, dove la camorra in molti casi la fa da padrone. Il libro di
Saviano, infatti ha avuto una grande eco qui».
El Pais, inoltre, punta l’attenzione sulla denuncia allo stato e sui fallimenti del governo, dietro al
quale si cela la camorra, principale beneficiaria degli introiti derivanti dalle discariche illegali. Sul giornale
spagnolo si ipotizza, infatti, che la mafia risolva tutto ciò che non è risolto da Roma e diventi ogni giorno
globale e minacciosa. Lo dimostrerebbero episodi raccontati e seguiti nello specifico: la notizia dell’omicidio di Mariano Bacioterracino nel rione Sanità ha fatto il giro del mondo attraverso le immagini di un video
e compare più volte sulle pagine di El Mundo, altro importante quotidiano spagnolo.
«Nel video- scrivono sul giornale – si vede un uomo con un berretto che esplode diversi colpi contro
Bacioterracino, mentre questo aspetta davanti a un bar del rione Sanità, nel centro di Napoli». Il quotidiano spagnolo continua a seguire la vicenda. Facendo riferimento a quanto scrive il Corriere della Sera, El
Mundo pubblica un secondo articolo sulla cattura di Costanza Apice, autore dell’omicidio di rione Sanità.
Da una visione negativa del capoluogo partenopeo si passa a una più moderata. Renzo Cianfanelli,
inviato del Corriere della Sera a New York dal 2001, sostiene che almeno negli Stati Uniti l’immagine del
capoluogo partenopeo non è così catastrofica. «Con mia grande sorpresa - dice il giornalista - in questi
ultimi tre anni ho visto pochissimi titoli sul problema rifiuti a Napoli. Qualcuno è apparso sul New York
Times quando è scoppiata la polemica del 2007».
Il cronista italiano tende, dunque, a smentire i colleghi stranieri e afferma che il sistema Italia è
criticato proprio per la mancanza di attenzione alla storia, ai musei, alle opere d’arte. «Gli americani si meravigliano di come utilizziamo il turismo e del poco rispetto che gli italiani rivolgono ai quadri, alle piazze,
alle colonne. Per loro abbiamo tanto, ma sfruttiamo poco. In particolare a New York non si meravigliano
molto per le sparatorie o gli omicidi – conclude Cianfanelli – la Grande Mela è un po’ come Napoli».
Dallemaceriedeldopoguerra
all’emergenzarifiuti
sessant’annidimiseriaenobiltà
di Cristiano M.G. Faranna
Napoli dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale
Achille Lauro, sindaco dal 1952 al 1957
Giovanni Leone, capo dello Stato dal 1971 al 1978
«In sessant’anni di Repubblica quel che si salva di Napoli nella percezione internazionale sono soltanto l’immagine di piazza del Plebiscito liberata dalle auto e la testimonianza di Roberto Saviano». Luigi
Necco, per 25 anni giornalista della Rai e voce critica dell’universo partenopeo, ripercorre il cambiamento
della rappresentazione della città al di fuori dei suoi confini commentando otto fotografie; dalle macerie
del secondo dopoguerra allo squallore dei rifiuti, passando per politici, terremoti e icone sportive.
«L’immagine di Napoli dilaniata durante la Seconda Guerra Mondiale ebbe un grande impatto sul
mondo intero perché la città subì più di 100 bombardamenti ed ancora oggi non tutte le vittime hanno un
nome. Insieme con l’umanità venne distrutta la cultura, ma da quelle macerie la cittadinanza seppe rialzarsi e formare la Resistenza che nel settembre del 1943 cacciò i tedeschi con le famose Quattro Giornate».
Arriva il tempo della ricostruzione. L’Italia sceglie la Repubblica. Napoli è in controtendenza, al
referendum la monarchia pare ottenga più voti e in pochi anni Achille Lauro, armatore e patron del Napoli
Calcio, diviene sindaco. «Sono stati 15 anni perduti, il fenomeno del laurismo sfruttò le illusioni della gente. Sotto la sua gestione la ricostruzione si trasformò nel sacco della città. Spese molto per il Napoli senza
vincere nulla, ma offrì alle persone un cocktail inebriante di ritorno al passato e speranze di vittoria».
Siamo negli anni Settanta, i terribili anni di piombo. Un napoletano, Giovanni Leone, sale al Quirinale. Giurista democristiano, la foto di lui che fa le corna in segno scaramantico per risposta ad un’imprecazione fa il giro del mondo. «Fu un atteggiamento ingenuo. Leone non era all’altezza di quei giorni
difficili. Erano momenti in cui l’Italia avrebbe dovuto cominciare a misurarsi da pari a pari con gli Stati
Uniti ma rimanemmo semplici alleati fedeli».
Il 23 novembre 1980 un terremoto colpisce l’Irpinia. Il mondo si mobilita in soccorso della Campania e il malaffare la fa da padrone nella ricostruzione. «Verità e bugie, i paesi colpiti furono venti ma più
di 600 ottennero i fondi. Napoli fallì. Alla rovina dei quartieri poveri rispose con le Vele di Scampia, dove
è svanita la coesione sociale e la droga la fa da padrona».
Napoli diventa protagonista nel calcio. Arriva Maradona, il genio del pallone. «L’ennesimo esperimento negativo. Un giocatore irripetibile ma con un vizio terribile. Capimmo che la ribellione che lui
suscitava non veniva dal rifiuto della società, ma era la conseguenza dell’uso di cocaina. Le vittorie sul
campo non ci tolsero la vergogna dalla faccia, come è stato detto».
Anni Novanta. Tangentopoli spazza via la prima Repubblica, a Napoli governa Antonio Bassolino.
Il presidente del Consiglio Ciampi sceglie la città come sede del G7. Inizia la cosiddetta “rinascita”. Emblema ne è piazza del Plebiscito che da parcheggio a cielo aperto ritorna spazio per la cittadinanza. «Senza
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L’immaginepenalizzailturismo
Stranieriincalo,un2009dadimenticare
di Annalisa Perla
Nel 2009 i ricavi di tour operator, albergatori e agenzie di viaggio in Campania hanno registrato
perdite notevoli soprattutto per quanto riguarda il mercato estero. A Napoli e provincia sono in positivo
solo i dati relativi agli arrivi e alle presenze di turisti italiani mentre calano di oltre il 10 per cento le presenze di stranieri. Questi i dati in linea con la crisi generale che il settore turistico italiano ha registrato
nel 2009, un calo dei ricavi di oltre 10 punti percentuali, secondo le indagini dell’Isnart, l’Osservatorio del
turismo di Unioncamere. Ma il 2010 potrebbe essere l’anno della ripresa. Buone le premesse a giudicare
dal successo dello stand Campania alla recente Borsa Internazionale del Turismo di Milano. L’area espositiva ha registrato una grande affluenza da parte dei tour operator italiani e anche esteri.
«Dopo un 2009 da dimenticare, un segnale positivo», afferma Dario Scalabrini, dirigente coordinatore dell’Ente Provinciale del Turismo di Napoli, tra gli organizzatori dello stand campano alla Bit.
Secondo Scalabrini il dato negativo dello scorso anno è legato soprattutto alla crisi globale che ha
colpito tutti i settori produttivi. «Nel lungo periodo, tuttavia, mete come Napoli e dintorni paradossalmente
potranno trarre beneficio dalla crisi perché soddisfano un target medio basso per disponibilità economica
ma con interessi culturali, che rappresenta ormai la fetta di domanda più cospicua».
L’elemento vincente alla fiera milanese, secondo il dirigente coordinatore dell’Ept «è stato l’aver
obbligato gli operatori a fare sistema, a presentare cioè pacchetti concreti, con un’offerta combinata di
hotel, guide ed escursioni».
Tuttavia i dati relativi al turismo campano restano di gran lunga inferiori a quelli di altre regioni
italiane, in primis Toscana, Veneto e Lazio. Scalabrini ritiene che il problema sia la mancanza di strutture adeguate come un buon sistema di accoglienza turistica, città pulite, strutture all’avanguardia: «I
fondi sono pochi e gli enti locali non riescono a coprire tutte le spese legate alla gestione, manutenzione
e pubblicità dei siti turistici. In più c’è un problema di marketing. Si è capito che promuovere il prodotto
Campania nel suo complesso non dà i frutti sperati. E’ preferibile puntare sulle singole destinazioni. Ad
esempio Sorrento, Capri, Ischia e soprattutto Pompei, hanno un grande appeal».
Con questa tesi concorda Gino Acampora, amministratore unico della Acampora Tour, uno dei
principali tour operator che tratta di incoming in Italia e in particolar modo in Campania. «Il problema –
spiega - è legato alla cattiva gestione amministrativa. L’assenza di servizi adeguati, la mancanza di
strutture di informazione turistica soddisfacenti
insieme alla pessima pubblicità esportata nel
mondo dalle immagini dell’emergenza rifiuti,
hanno disincentivato l’ingresso di stranieri nella nostra regione». Il prodotto Campania attualmente è richiesto al 65 per cento da tour operator
italiani. Fanno parte del restante 35 per cento di
stranieri soprattutto inglesi, tedeschi, statunitensi
e negli ultimi tempi russi.
Anche il manager sorrentino, però, scorge segnali di ripresa, specie dal mercato estero. I
primi mesi del 2010 hanno già fatto registrare ad
albergatori e strutture extralberghiere i primi dati
positivi.
Piazza del Plebiscito, diventata zona pedonale nel 1994
riserve quest’immagine diede al mondo l’impressione che la città si liberava di un certo peso del passato.
Ancora oggi rimane un segnale. Quando le piazze dei Quartieri Spagnoli e dei vicoli si libereranno dalla
camorra allora piazza del Plebiscito sarà compiuta».
Nel 2006 Giorgio Napolitano diventa il primo presidente della Repubblica proveniente dall’ex Pci.
È il terzo napoletano a ricoprire la carica. Necco fa una precisazione sul capo dello Stato: «Il presidente,
sia pur partendo da Napoli, non è un’icona propriamente partenopea. Rappresenta la Napoli intellettuale,
capace di leggere Croce e Gramsci, ma al contempo una Napoli che ha distrutto l’Italsider».
Nell’ultimo decennio tra i protagonisti della scena politica campana ci sono i coniugi Mastella con
le loro vicissitudini giudiziarie. «Il classico esempio tutto napoletano di come quello che conta di più è la
famiglia e il suo benessere. È l’immagine che molti politici napoletani danno all’esterno».
Una donna anziana cammina tra cumuli di immondizia, metafora di un viaggio che dalle macerie
della guerra giunge ad un’ennesima catastrofe. «La munnezza ha cancellato quel poco di buono che si percepiva all’estero. E’ come se un passato oscuro e indicibile uscisse da sotto al tappeto per ricoprire la nostra
vita di immondizia. Per fortuna si è compreso che la colpa non è della gente, ma di un sistema politico ed
imprenditoriale basato sulla corruzione».
1980: terremoto in Irpinia
Diego Armando Maradona
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
2007-2008: emergenza rifiuti in Campania
ECONOMIA E POLITICA pagina 4
inchiostro n. 2 – 2010
Questipolitici,quantocicostano
Espessononsivivedisolostipendio
di Angelo De Nicola, Egidio Lofrano e Francesca Saccenti
del malcostume, che non possono essere quantificati».
Guadagni e sperperi dei politici sono problemi a lungo
La politica made in Italy fa scandalo. E quando le imma- dibattuti e difficili da quantificare. Non sempre si vive solo di
gini fanno il giro del mondo non c’è più scampo. II 24 gennaio politica, soprattutto nei gradini più bassi della scala delle retriscorso, la fotografia dell’onorevole Tommaso Barbato, durante buzioni.
Partiamo dalle Municipalità. Il Comune di Napoli è
la seduta del Senato, invade la carta stampata. Il politico inveisce contro il collega Nuccio Cusumano, colpevole di aver dato intervenuto nel 2005 sul decentramento amministrativo rifiducia al governo Prodi. Un faccia a faccia che finisce con uno ducendo il numero delle Circoscrizioni da 21 a 10 e ognuna è
sputo in faccia del senatore al collega. Cusumano è costretto a composta da un presidente, un vicepresidente, 3 assessori e 30
consiglieri di Municipalità. Un presidente riceve uno stipendio
lasciare l’aula a causa di un mancamento.
L’immagine diventa lo slogan pubblicitario della com- annuale di 22.560 euro netti mentre il compenso del viceprepagnia di Michael O’Leary “Calma! calma! c’è posto per tutti” sidente e degli assessori ammonta rispettivamente al 75 e al 65
per cento di questa somma. I consiglieri ricevono un gettone di
affiancata dalla riproduzione di quel momento fatidico.
Per Massimo Villone, che insegna diritto costituzionale presenza (con un limite di 15 al mese) di 54,10 euro, che corriall’univesità Federico II «la trascrizione della politica italiana sponde ad uno stipendio annuo massimo di 9.738 euro.
Il Consiglio comunale è a sua volta composto dal sindae la sua diffusione attraverso i media fuori confine hanno raggiunto un livello imbarazzante, fatto di battute e gesti curiosi co e dal suo vice, da 16 assessori e da 60 consiglieri (la compoda osteria. Siamo arrivati a un livello basso, adesso si può solo sizione di ogni città con più di 1.000.000 di abitanti). Il primo
risalire: l’emergenza rifiuti, le ultime vicende del capo della pro- cittadino Rosa Russo Iervolino ha un compenso di 84.223,80
tezione civile Guido Bertolaso. Paghiamo un prezzo salatissi- euro lordi l’anno e gli assessori guadagnano in totale 618.293
mo, siamo al limite, possiamo finire sott’acqua». Se l’immagine euro (che oscillano tra i 63.167 euro del vicesindaco Sabatino
dell’Italia di Villone è apocalittica, quella della Campania non è Santangelo e i 24.559 euro di 3 assessori). Il gettone di presenza per un consigliere comunale è di 97,61 euro ma il limite di
certo delle migliori.
Da tre mesi e mezzo il presidente del Consiglio regio- guadagno mensile non può superare un quarto dell’indennità
nale Sandra Lonardo, dopo lo scandalo dell’Arpac, è costretta di carica del sindaco, che significa 21.055,95 euro annui.
Le indennità annuali della Provincia sono di poco supea risiedere a Roma dall’obbligo di domicilio per concussione
e agevolazione delle assunzioni. L’immagine del suo “esilio” è riori: 98.840 euro per il presidente, 64.896 euro per il presifresca nella memoria collettiva, ma questo non le ha impedito dente del Consiglio provinciale mentre i 12 capigruppo considi candidarsi alle prossime regionali. Altro tasto dolente della liari e i 45 consiglieri provinciali sono retribuiti con gettoni di
situazione politica, tema portato alla luce dagli autori de “La Ca- presenza del valore di 123,27 euro. Il tetto massimo dei gettoni
sta”, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Secondo lo studio, la mensili è 17, che porta ad un compenso complessivo massimo
Spagna per fronteggiare la crisi avrebbe ridotto i fondi a dispo- di 25.147,08 euro.
Infine la Regione. I compensi, al netto, sono forniti dai
sizione dei partiti, con un taglio di 17 milioni di euro, mentre
in Italia la spesa è doppia. Un deputato italiano costa 1 milione Parlamenti regionali e corrispondono all’80 per cento dello stipendio dei parlamentari. I presidenti di Consiglio e di Giunta
630 mila mentre in Spagna in totale 281mila euro.
«Sebbene siano paragoni da prendere con le molle», tra indennità e rimborsi ricevono 148.656 euro all’anno, ognucome scrive il Corriere della Sera in un articolo del 15 novembre no dei 12 componenti della Giunta 135.136,56 euro e, passando
2008 di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, i dati che emer- per le varie cariche di presidente di commissione e capogruppo
gono sono difficili da digerire. Lo stesso discorso vale per le consiliare, si arriva ai 60 consiglieri regionali, che guadagnano
campagne elettorali il cui bilancio è duro da affrontare. «Prima 129.804 euro di compenso annuo. A questi compensi bisogna
era il partito a governare le spese della campagna - spiega Vil- sommare i premi di buonuscita in caso di mancata elezione.
lone -. Adesso invece la raccolta fondi viene affidata in parte al Nel 2005 la Regione ha pagato indennità per 4 milioni di euro
singolo candidato, mentre per quanto riguarda gli stipendi dei ai 35 consiglieri regionali uscenti.
Queste le cifre ufficiali, che non tengono conto dei posconsiglieri comunali e regionali non ci sono grandi differenze
di città in città. Non bisogna però dimenticare gli sprechi, figli sibili abusi e delle storture del sistema degli indennizzi e rimborsi. Due scandali hanno riguardato
comuni campani nelle scorse settimane: San Giorgio a Cremano e CastelInchiostro
lammare di Stabia. Nel primo caso ha
Anno X numero 2 - 20 marzo 2010
Alessandro Di Liegro, Anna Lucia Espodestato clamore la richiesta di un rimchiuso in redazione lunedì 15 marzo
sito, Cristiano M.G. Faranna, Antonio
borso per 152.320 euro da parte di un
www.unisob.na.it/inchiostro
Frascadore, Francesca Marra, Pasquale
consigliere comunale, sommando l’inNapolitano, Romolo Napolitano, Livio
dennità di funzione con l’indennizzo
Periodico a cura della Scuola di giornaPane, Enrico Parolisi Annalisa Perla,
nei confronti del proprio datore di lalismo
Francesca Romaldo, Francesca Saccenti,
voro, un’azienda napoletana. A Casteldiretta da Paolo Mieli nell’Università
Giulia Savignano.
lammare 27 dei 30 consiglieri comunadegli Studi Suor Orsola Benincasa
li sono invece indagati dalla Procura di
Spedizioni
Torre Annunziata per falso e truffa ai
Direttore editoriale
Vincenzo Crispino, Ciro Crispino, Alesdanni dello Stato. Avrebbero falsificato,
Francesco M. De Sanctis
sandra Cacace
complici 3 dipendenti del Comune che
tel. 081-2522232
lavoravano come segretari, gli atti per
Condirettore
risultare presenti nelle commissioni
Lucio d’Alessandro
consiliari, ottenendo il compenso masEditore
simo in gettoni di presenza. «Fanno riDirettore responsabile
Università degli Studi
flettere gli stipendi enormemente gonPierluigi Camilli
Suor Orsola Benincasa
fiati dei manager e dei rappresentanti
80135 Napoli via Suor Orsola 10
del Consiglio regionale», dice Guido
Coordinamento scientifico-didattico
Partita Iva 03375800632
D’Agostino. «Ho fatto politica fino a
Arturo Lando
dieci anni fa al Comune di Napoli e
Redazione
mi ricordo che lo stipendio medio non
Coordinamento redazionale
80135 Napoli via Suor Orsola 10
superava i 2.000 euro mensili. Anzi in
Alfredo d’Agnese, Carla Mannelli, Alestel. 081.2522229/226/234
alcuni casi molto di meno», prosegue
sandra Origo, Guido Pocobelli Ragosta
fax 081.2522212
Caporedattore
Jessica Mariana Masucci
Registrazione
Tribunale di Napoli n. 5210 del 2/5/2001
Capi servizio
Paola Cacace, Ludovica Criscitiello,
Egidio Lofrano, Violetta Luongo, Ernesto
Mugione, Sergio Napolitano, Emanuela
Vernetti
Stampa
Imago sas
di Elisabetta Prozzillo
Napoli 80123
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Coordinamento fotografico
Lorenzo Marinelli
In redazione
Marco Borrillo, Alberto Canonico,
Anna Elena Caputano, Marco Cavero,
Raffaele de Chiara, Emanuele De Lucia,
Angelo De Nicola, Gennaro Di Biase,
Progetto grafico
Sergio Prozzillo
Impaginazione
Biagio Di Stefano
il docente di Discipline Storiche presso l’Università Federico
II di Napoli. Uno dei problemi più rilevanti è il dislivello degli
stipendi dei politici in Campania. «Analizzando i dati sui costi
della politica in Campania si evince che il rapporto spesa-guadagno è negativo. Chi vive solo di politica non può auto sovvenzionarsi per proseguire, costantemente nel tempo, nel suo viaggio
attraverso Comune, Provincia e Regione. Per quanto riguarda
invece gli esponenti che costituiscono il Consiglio comunale e
provinciale sono appena sufficienti per il proprio sostentamento».
Anche la lievitazione dei costi delle elezioni assume il
valore di una spina nel fianco per chi è impegnato in attività
politiche. «Quello che fa aumentare vertiginosamente i costi
della politica, secondo il mio parere, è l’illegalità. Bisognerebbe
distinguere tra buona e mala politica. Può verificarsi la paradossale situazione in cui un esponente politico, per sovvenzionare
la propria campagna elettorale, ricorra a introiti non proprio
legali. La cosiddetta mazzetta è figlia di quel bisogno che ha
l’esponente politico di ricercare il proprio guadagno al di fuori
della stessa attività politica».
Secondo D’Agostino svolgere una doppia attività per i
politici potrebbe essere una soluzione al problema del negativo
rapporto spesa-guadagno. «I consiglieri, i sindaci e i presidenti
provinciali non dovrebbero svolgere solo l’attività politica, ma
abbinare tale attività a un secondo lavoro. Questo può contribuire a ridurre il fattore del guadagno illecito. Sicuramente il
momento più facile, in termini di guadagno, per il politico è il
passaggio dalla Provincia alla Regione. Lo stipendio cresce gradualmente e di conseguenza l’esponente politico non dovrebbe
più temere i costi della campagna elettorale».
Fondamentali per D’Agostino sono le motivazioni dei
politici italiani. Se il guadagno è il solo ed unico scopo, l’attività
stessa non potrà essere né longeva né lecita. «Sono convinto che
la prima vera motivazione di un politico italiano sia quella di dover portare a termine un proprio progetto per migliorare la vita
degli elettori. Se si pensa solo ed esclusivamente al guadagno
allora la carriera politica avrà sicuramente breve vita. Il politico
quando raggiungerà i vertici, come ad esempio il Parlamento
Europeo, potrà abbinare le soddisfazioni del proprio lavoro a un
congruo guadagno. Questo però non deve mai distogliere l’attenzione dall’obiettivo di tutelare gli interessi degli elettori». In
base al rapporto spesa-guadagno, che risulta essere negativo, il
problema è la scelta d’intraprendere la strada della professione
politica nella Regione Campania. «Non conviene fare politica se
si pensa solo al guadagno – conclude D’Agostino – è preferibile
che i politici svolgano una doppia attività capace di garantire la
sovvenzione delle campagne elettorali».
Ecco i compensi dei dirigenti
Traicostidellapoliticabisognaannoverareglistipendideidirigenti,pubblicati
obbligatoriamenteperlalegge69/2009art.21c.1cheimponelatrasparenzaatuttigli
entiistituzionali.
•ComuneDiNapoli:Idirigentisono256eguadagnano19.746.557eurolordi
all’anno,compreseindennitàepremipromozione.
•Provincia:Sono57,compresii9acontrattodeterminato,ehannoricevutoin
totale6.858.957euronel2008,ultimidatidisponibili.
•RegioneCampania:Ilcompensoannuodei316dirigentiregionalièdi
26.278.705euro.
pagina
5
Losprecodellerisorsefaaumentareildebitopubblico
Laproduzionearretraelosvilupporestaunachimera
di Alessandro Di Liegro
Nel 1993 termina ufficialmente l’intervento straordinario per il Sud, iniziato negli anni Cinquanta, che ha avuto il suo
apice nella creazione della Cassa del Mezzogiorno. È di pochi
giorni fa la notizia della creazione della “tremontiana” Banca del
Sud che, seppur in maniera diversa, tenta di perseguire lo stesso
scopo di motore dell’economia nel Mezzogiorno.
Il quadro che gli studi statistici fanno dell’economia della Campania é per molti versi allarmante. Sono sette anni che
il Meridione cresce meno del Centro-Nord; il peggiore trend dal
dopoguerra in avanti. I dati Svimez riportano una crescita negativa del prodotto interno lordo campano per l’anno 2008 pari a
2,8 punti percentuali, a fronte della media nazionale del meno 1
per cento.
L’andamento negativo del pil ha interessato la totalità
dei settori produttivi regionali: il dato peggiore è quello relativo
alle costruzioni, con una perdita del 6,9 per cento, condizionato
dal forte calo delle transazioni immobiliari e dagli investimenti
in opere pubbliche.
Anche il comparto dell’agricoltura, classicamente uno
degli asset di riferimento della regione, riporta un meno 1,9
per cento di media annua nel periodo 2001-2008, con una riduzione delle esportazioni del meno 12,62 per cento nel mondo
rispetto all’anno precedente. Comunque migliore dei numeri
relativi all’intero Mezzogiorno, il cui export perde 30 punti percentuali rispetto all’anno passato.
La Campania è la regione del Sud con il più basso Pil
pro capite: 16.746,2 euro contro i 17.970,8 euro dell’area ed è
pari ad appena il 63,7 per cento del livello medio nazionale. Nel
corso degli anni 2000, e soprattutto nel 2005, la regione ha mostrato una tendenza all’aumento del divario con il Mezzogiorno
e con il resto del Paese. Un altro indicatore storico rende l’idea
della situazione stagnante: nel 1951 il Mezzogiorno produceva il
23,9 per cento del Pil nazionale. A distanza di 60 anni la percentuale è cambiata di poco: 23,8 per cento.
Dal 2002 le regioni meridionali hanno registrato una
crescita sempre inferiore a quella del resto del Paese (0,6 contro
1 per cento). Secondo la Svimez, la quota di spesa pubblica in
conto capitale effettuata nel Sud è passata dal 40,4 per cento nel
2001 al 35,3 nel 2007: un progressivo declino che nel biennio
2008-09 si stima sia sceso al 34,8 per cento, cifre lontane dal 45
per cento programmato nei documenti di politica economica. Si
tratta di valori inferiori al “peso naturale” del Mezzogiorno che
si valuta intorno al 38 per cento, dato dalla media tra quota di
popolazione (35 per cento) e quota del territorio (40,8). La spesa
corrente è aumentata del 4,5 per cento al netto degli interessi sul
debito, con un’incidenza sul Prodotto lordo che ha raggiunto il
livello record del 40,4 per cento.
«L’assenza di risultati soddisfacenti in termini di crescita e di convergenza è in gran parte dovuta anche a una ridotta efficacia della politica regionale di sviluppo, che trova spiegazione
in una dimensione della spesa pubblica assai inferiore a quanto
programmato” afferma Nino Novacco, presidente dello Svimez
che continua: “L’analisi dei dati relativi alla spesa serve a smentire l’idea, purtroppo assai diffusa anche nella pubblicistica, di
un Sud inondato da un fiume di risorse pubbliche».
Le entrate delle pubbliche amministrazioni sono cresciute di appena l’1 per cento, per effetto di una flessione del Pil
rispetto al 2007 dell’1 per cento e delle misure di riduzione del
carico fiscale, dall’abolizione dell’Ici sulla prima casa – nonostante il vantaggio per le famiglie campane sia stato mediamente di 195 euro annui – alla parziale detassazione degli straordinari e dei premi di produttività, decise dal Governo.
L’intervento pubblico straordinario, cioè ad hoc per il
Sud, è in media pari allo 0,8 per cento. Tra i fattori responsabili
del mancato sviluppo c’è l’andamento della produttività, troppo
ridotto, anche perché legato a elementi di contesto fortemente
deficitari nel Sud, come il capitale umano, le infrastrutture e il
capitale sociale. Fra i provvedimenti più recenti quello relativo
all’emergenza rifiuti a Napoli. Il governo ha destinato alla risoluzione del problema circa 450 milioni di euro, a fronte dei 150
inizialmente previsti dal Dpef (documento di previsione economico-finanziaria) del 2008.
Oltre alle entrate statali, l’economia regionale viene irrorata dai fondi europei che giungono tramite i Por (piani operativi regionali). Dall’ultimo piano strategico europeo scaturisce
che fino al 2013 le casse campane riceveranno oltre 6 miliardi di
euro.
Dal 1999 al 2007 le entrate tributarie in Campania sono
cresciute del 25 per cento, a fronte di un aumento del 16,9 per
cento al Nord. Nonostante la forte crescita delle entrate tributarie, l’ente Campania ha chiuso il 2007 – ultimo anno rendicontato dalla commissione bilancio regionale – con un passivo netto
di quasi cinque miliardi e mezzo di euro.
I conti non tornano: il debito pubblico della regione
Campania dall’inizio del nuovo millennio a oggi è aumentato
di quasi il 500 per cento. Praticamente 900 euro di debito per
abitante.
Due banche per il Sud
di Anna Lucia Esposito
Dal 1995 il Banco di Napoli ha il gruppo dirigente a
Torino. Svenduta, di fatto, all’istituto San Paolo Imi e in
seguito accorpata al gruppo Intesa, la banca simbolo del
Mezzogiorno riesce solo nel 2007 a riappropriarsi del
nome ma non delle proprie competenze. Non è un caso se
alla presentazione del ritorno alla vecchia denominazione,
Rosa Russo Iervolino si appella all’amministratore delegato del gruppo Intesa per non impoverire ulteriormente il
quadro dirigenziale del Banco. Cedute infatti tutte le filiali
dell’Italia settentrionale e centrale al gruppo torinese e persa sostanziale autonomia decisionale, del precedente istituto di credito rimane poco. Attualmente solo il marchio della
più antica istituzione bancaria del
Mezzogiorno ricorda la natura
familiare e locale di un istituto di
credito ormai defunto.
L’8 aprile del 2009, approda
alla presidenza del Banco di Napoli Enzo Giustino. Meridionale e
meridionalista, ha un lungo curriculum di attività imprenditoriali,
associative e culturali. «Oggi il
Banco di Napoli è totalmente diEnzo Giustino
verso - afferma - I rapporti con Intesa – San Paolo si sono equilibrati e possiamo parlare di
reale autonomia territoriale, finanziaria e amministrativa».
L’influenza della dirigenza torinese sulle scelte dell’unica
banca del Mezzogiorno rimane comunque forte. «Facciamo parte di uno dei più grandi gruppi d’Europa - continua
- Nessuna banca locale attualmente può dare le stesse garanzie del Banco di Napoli. E ciò è possibile esclusivamente
grazie a Intesa – San Paolo».
In realtà la discussione sull’inesistenza di istituti finanziari meridionali continua da anni. I toni si sono accesi soprattutto quest’estate con l’intervento del ministro
dell’Economia Giulio Tremonti e con il suo progetto di
una banca del sud. La Banca del Mezzogiorno è stata infatti approvata a inizio dicembre con la legge finanziaria.
I dubbi espressi sono stati tanti. La stessa votazione della
legge alla Camera ha visto contrari i ministri meridionali
Fitto e Prestigiacomo. In controtendenza Enzo Giustino:
«L’iniziativa di Tremonti è lodevole. Qualsiasi aiuto per il
meridione è sempre ben accetto». E sui futuri rapporti tra
Banco di Napoli e Banca del Mezzogiorno dice: «Opereremo sullo stesso territorio e sarà normale collaborare ma
avremo competenze diverse».
L’intervista-PietroSenesi
«Bisognadaregaranzieachiinveste»
di Sergio Napolitano
Secondo il rapporto Uil sul lavoro sommerso, il fenomeno è una piaga che dilania,
da sempre, la Regione Campania. I suoi effetti
sono reali e devastanti. Nel 2009 il tasso di irregolarità lavorativa nazionale si è attestato al
15,6 per cento sul totale degli occupati coinvolgendo oltre 3,7 milioni di lavoratori.
L’economia sommersa ha prodotto nel
2009 un fatturato di oltre 154 milioni di euro,
sottratti a ogni tipo di tassazione, con un’incidenza sul Prodotto Interno Lordo del 10,3 per
cento.
Misurare l’effettiva portata del lavoro
sommerso è difficile; per questi motivi si può
ricorrere solo a delle stime.
Pietro Senesi, docente di economia politica presso l’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli, delinea un quadro generale della
situazione nel Mezzogiorno e in particolare
nella città di Napoli.
Il 2010 fa seguito a un lungo periodo
di crisi economica globale. Secondo lei, la crisi quanto ha realmente influito su Napoli e la
Campania?
«In attesa dei dati Istat, possiamo esser
certi che un calo del 5 per cento del Pil in termini reali e nazionali ha influito molto».
Da persona esterna alla Campania,
come valuta nel complesso il sistema economico campano?
«La Campania abbonda in risorse, principalmente naturali e culturali, dalla fertilità
della terra, alle acque, ai tesori artistici e culturali, fino all’energia geometrica e solare. La
numerosità della popolazione rende la Campania “pesante” in termini di consenso politico e
questo attrae un grande flusso di finanziamenti pubblici. Con i problemi di debito pubblico
che vagano per l’Europa, un giorno i flussi di
denaro potrebbero ridursi parecchio».
Quali sono le maggiori criticità? A suo
parere, quali sono le possibili vie d’uscita?
«La maggior criticità è il basso capitale
pro capite dove per capitale intendo tutto ciò
che aumento la produttività di una persona,
dal capitale umano alle infrastrutture. Una via
d’uscita è detassare il risparmio e attrarre investimenti da altre aree geografiche garantendo i diritti di proprietà. Un investitore estero
correrebbe l’azzardo di acquistare quote di proprietà di un albergo quando una legittima, ma
imprevedibile, inchiesta giudiziaria potrebbe
decretarne il sequestro che per un investitore è
equivalente a una espropriazione? Chi investe
in Campania, che non è in grado di garantire
nemmeno la disponibilità di un approdo per
l’America’s Cup? La prima cosa è garantire i
diritti di proprietà privata».
Le istituzioni da dove dovrebbero partire?
«Da se stesse. Dotarsi di incentivi compatibili che si propongono di raggiungere. La
purezza d’intenti e le dichiarazioni di alti valori
sono inutili quanto generiche».
In particolare, il lavoro nero/sommerso quanto deprime ulteriormente l’economia
napoletana?
«È difficile affermare che il lavoro nero
e sommerso deprime un’economia. Non è
il migliore dei mondi possibili. Tutti preferiremmo un’economia che cresce di più senza
lavoro nero e, probabilmente, si può vincere
un’elezione promettendo qualcosa del genere. Un’economia di
ministeriali con tutela sindacale e
sostenuta dal debito pubblico certamente consumerebbe di più, ma
il sommerso non deprime ulteriormente l’economia napoletana
a meno di aspirare ad un modello
di economia composta da bottegai
e costruttori».
In percentuale qual è il rapporto tra lavoro sommerso e lavoro
nero? Possono essere definiti due
sistemi paralleli?
«Non credo sia possibile
stimare una percentuale affidabile.
Le definizioni teoriche, giuridiche
ed economiche, pongono diversi problemi amplificati nella scelta delle corrispondenti definizioni operative. Comunque, sono istituzioni
socialmente diffuse e stabili poiché datore di
lavoro e lavoratore trovano un accordo in cui
si spartiscono il gettito fiscale che spetterebbe
allo Stato. Questo equilibrio si diffonde fra situazioni di estremo sfruttamento e casi in cui
il lavoratore non è del tutto “vittima”, né il datore di lavoro spietato “sfruttatore”. Con il gettito fiscale sottratto allo Stato, entrambi potrebbero finanziare l’acquisto di un’assicurazione
privata».
MONDO
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6
inchiostro n. 2 – 2010
Napoletanisinasce,stranierisidiventa
L’ambasciatoreacuimancailmare
L’uomochevolevagliocchiamandorla
di Francesca Marra
di Francesca Romaldo
“Napoletani si nasce ed io lo nacqui”. La celeberrima frase del principe De Curtis, riveduta e corretta, si adatta bene al messaggio che ha voluto lanciare un napoletano all’estero.
L’ambasciatore Terracciano si chiama Pasquale, praticamente un marchio di napoletanità. Presiede la sede diplomatica a Madrid, nonostante l’importanza del ruolo
non manca di celebrare con fierezza la sua città natale. «Sono orgoglioso
di essere napoletano, ma non mi identifico nei classici cliché partenopei. Non bevo caffè. Mai».
Ambasciatore Terracciano qual è l’immagine che gli stranieri
hanno della città di Napoli?
«Sicuramente positiva per storia e tradizioni culturali. Le condizioni di vivibilità e la scarsa sicurezza di una città difficile ne danno, invece, un’immagine negativa. Spesso mi trovo a dover smentire le visioni
apocalittiche presentate dai media all’estero. La cronaca quotidiana dà
risalto a episodi allarmanti. Uno su tutti, la questione della spazzatura.
Titoli a tutta pagina, per mesi e mesi, sono stati propinati all’opinione
pubblica spagnola condizionandone l’immaginario collettivo. PotremPasquale Terracciano mo dire che Napoli vista attraverso un ideale astratto è ammirevole, il
resto non convince».
E invece come sono i napoletani all’estero?
«I napoletani tendono a inserirsi molto bene in ogni contesto. Hanno una particolare
attitudine all’adattamento. Sono legati alle proprie radici culturali partenopee, ma il loro grado
d’integrazione è soddisfacente, soprattutto qui in Spagna, dove vi è una stretta comunanza di
tradizioni, di usi, di costumi, comuni a entrambe le culture».
La cultura napoletana e quella spagnola sono molto simili. Quali sono le differenze?
«Le culture sono sicuramente vicine, ma non uguali. Gli spagnoli hanno più radicato il
concetto di Stato e si identificano in un comune spirito civico che, ahimè, manca ai napoletani.
L’orgoglio di appartenere a una comunità di cittadini, un atteggiamento più costruttivo e impegnato nel fare per migliorare, sentirsi cittadini nella propria città: sono alcune differenze tra i
due popoli, ma che li allontanano anni luce».
E in Lei, quanto è ancora forte lo stile di vita “alla napoletana”?
«Cerco di sentirmi napoletano anche lontano da casa. Mangio la pizza in Spagna, anche
se è difficile trovare posti in cui poterla assaporare con gusto. Purtroppo qui non è rispettata
l’antica arte della lievitazione del panello, si congela tutto. Ho un amore particolare per la canzone, quando l’ascolto mi si muove più di una corda dentro. Fortunatamente, oltre i confini,
la musica non ha assunto l’inflessione neo-melodica che tanto impazza a Napoli. Mi diverte
ascoltare canzoni come “‘O Sole mio”, “‘O Surdato ‘Nammurato”, in contesti in cui mai mi sarei immaginato di sentirle. Ho assistito anche ad una performance di Santa Lucia in svedese».
Come placa la nostalgia di Napoli?
«Torno spesso a casa. Non mi piace mischiarmi al caos della città, preferisco restare
nella mia casa di Posillipo. Sono affezionato a quei luoghi e ai suoi paesaggi, il vivere quotidiano mi attrae di meno. Amo Napoli più come luogo dell’anima che come luogo fisico».
Ci sono posti in Spagna che le ricordano Napoli?
«Ci sono scorci della Spagna mediterranea, da Barcellona a Cartagena, che stupiscono
per quanto possano sembrare simili alle vedute della città partenopea. Napoli è unica. La ritrovo, però, spesso in piccoli dettagli delle città spagnole: un porticciolo, una veduta, una stradina
del centro storico di Barcellona. È più vero il contrario. Napoli ha tanta Spagna dentro: Palazzo
Reale, Castel Sant’Elmo, le chiese. Nell’architettura partenopea ritrovo i segni indelebili di una
cultura spagnola che si è completamente fusa con quella napoletana».
Da ragazzo posava per stilisti di fama internazionale. Oggi è un imprenditore di successo a Napoli. Al centro, da spartiacque, una laurea in Business Administration a Parigi e un
master in Financial Economics in Gran Bretagna.
Massimiliano Neri ha 33 anni e gestisce, con la sorella Monica, due ristoranti giapponesi nel centro di Napoli.
La sua carriera nel mondo della moda inizia a 17 anni, quando a Capri il fotografo Bruce
Weber lo nota e lo ingaggia per una campagna pubblicitaria di Versace. Dopo il diploma il successo arriva quasi immediato. Sfila e posa per le più grandi case di moda internazionali, Ferrè,
Iceberg, Krizia, Versus, D&G. Lavora a Miami, New York, Sydney, Auckland, Tokyo e infine
si stabilisce a Parigi. A 21 anni si rende conto che il mondo brillante delle copertine e delle
passerelle non durerà per sempre. Si iscrive all’università in Francia e poi segue un master in
Inghilterra. Per la tesi si trasferisce a Tokyo e resta lì un anno e mezzo. Concluso il master,
apre a Napoli un piccolo take-away giapponese che piace subito ai napoletani. Kukai oggi è la
più famosa catena di Sushi Bar partenopea.
Lei ha iniziato giovanissimo a lavorare. Da bambino sognava un futuro nella moda?
«No. Non avevo mai neanche immaginato di poter lavorare come modello».
Per seguire sfilate e set fotografici ha viaggiato in tutto il mondo…
«Ho iniziato a lavorare a Milano e durante le settimane della moda mi spostavo a Parigi
e New York. Sono stato in Australia, in Nuova Zelanda, a Miami, a Tokyo».
Poi ha deciso di ricominciare a studiare.
«A 21 anni mi sono iscritto all’università. Ho scelto un corso di Economia a Parigi, poi un
master in Inghilterra. Per la tesi sono stto a Tokyo 1 anno e mezzo. Da allora ci torno appena posso.».
Quali sono le differenze culturali tra Napoli e il Giappone?
«Napoli e Tokyo sono agli antipodi. Torno in Giappone così spesso proprio perché riesco a
trovare quello che qui non c’è. La sicurezza prima di tutto. Il rispetto per la persona. Il senso estetico».
Noi non abbiamo gusto per il bello?
«Nella cultura occidentale il senso estetico appartiene a
una classe acculturata. Per i giapponesi è invece un valore intrinseco anche nelle caste sociali più basse».
Cosa ci accomuna invece?
«Sicuramente il senso dell’ospitalità».
Qual è l’immagine che gli stranieri hanno di Napoli?
«È considerata una città estremamente sporca e pericolosa».
Cosa ha mantenuto delle sue abitudini napoletane?
«Sono sicuramente napoletano nella gestione dei rapporti
interpersonali».
Cosa invece ha volentieri dimenticato?
Massimiliano Neri
«La disorganizzazione burocratica. A Napoli la persona
deve adattarsi alla città. In Giappone invece è l’esatto opposto».
Alla fine ha comunque deciso di tornare a Napoli.
«In realtà è successo per caso. Quasi per gioco, io e mia sorella investimmo in un piccolo locale a Napoli che faceva sushi da asporto. Il successo fu inaspettato. Oggi gestiamo due
ristoranti e 20 dipendenti».
C’è un luogo napoletano al quale è particolarmente affezionato?
«Faccio lunghe passeggiate sul lungomare, adoro il belvedere di Castel Sant’Elmo, il parco Virgiliano. Amo profondamente Napoli. Per questo mi fa male e mi imbarazza il degrado cittadino
e la mancanza di senso civico del popolo napoletano».
Di“Napoli”èpienoilmondo
Dauncontinenteall’altro,sonopiùditrentalelocalitàchesichiamanocosì
di Romolo Napolitano
Al mondo ci sono troppi napoletani:
quelli tunisini, quelli texani e quelli del Tennesee. Tra quartieri, municipalità e città, esistono
più di trenta località sul pianeta che hanno il
nome del capoluogo campano. Tradotto o translitterato diventa Naples in America, Nàpoles
in Messico e Colombia, Neópolis in Brasile,
Neapolis in Grecia, Nabeul in Tunisia e Nablus
in Palestina. Molti di questi luoghi non hanno
una relazione con Napoli, se non nell’etimologia comune di “città nuova”, ma non mancano
sorprese e riferimenti alla cittadina partenopea
che restituiscono le immagini che la nostra
metropoli dà di sé all’estero.
La città di Naples in Florida, per esempio, ha un clima mite e un mare pescoso. I
fondatori decisero di darle questo nome perché erano convinti (bontà loro) che la baia di
Naples fosse più bella del Golfo di Napoli.
Meno ambiziosi i cittadini di Naples nello stato di New York o quelli del Maine, che con il
nome della città rendono un esplicito omaggio
a Partenope. I “napoletani” di Long Beach in
California invece non si fermano al nome del
quartiere, ma hanno anche via Toledo, case
con tetti rossi e canali con gondole in stile veKagoshima in Giappone
neziano, perché per loro Napoli rappresenta
tutto il Belpaese.
Unico il caso di un paesino nello stato dell’Idaho (USA): qui nel diciannovesimo
secolo alcuni operai napoletani costruirono la
prima ferrovia della zona. Un evento che gli
autoctoni vollero onorare dando il nome di Naples alla loro cittadina, credendo così di aver
celebrato una città oltreoceano abitata da gran
lavoratori. Ambiguo poi è il significato che a
Napoli viene dato da uno dei più grandi narcotrafficanti della storia, Pablo Escobar. Il colombiano, infatti, acquistò alla fine degli anni Settanta una proprietà rurale di 30 km quadrati,
e la chiamò Azienda Nàpoles. Resta da capire
se il nome fosse dovuto alla particolare fertilità del suolo o fosse un omaggio a una delle
più grandi basi di spaccio d’Europa. Il simbolo
dell’azienda Napoli, d’altronde, era la riproduzione dell’aereo con cui Escobar mandò il suo
primo carico di cocaina negli Stati Uniti.
Esistono infine città che non si chiamano Napoli, ma sono soprannominate così. È il
caso di Kagoshima in Giappone: posizionata
su una baia, con un clima mite e il vulcano Sakurajima alle spalle, la città nipponica è chiamata “la Napoli del Sol Levante” per analogia
con il capoluogo campano. Le due metropoli
sono anche gemellate da mezzo secolo e i giapponesi hanno intitolato a Napoli una strada
alberata con tre corsie per senso di marcia. I
Neaples in Florida
partenopei hanno ricambiato il favore come
potevano, dando il nome di via Kagoshima a
una stradina angusta del Vomero con un’unica
corsia a doppio senso di marcia.
Mare, sole, golfo. Sono sicuramente
questi i leitmotiv che fanno intitolare città,
quartieri e strade a Napoli. Ma se girando per il
mondo, tutte le Napoli si assomigliano in bellezza, è anche vero che ogni Napoli è infelice
a modo suo. E almeno in questo i partenopei
sono più napoletani degli altri.
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Ilpopoloemigrante
Cifreenumeridiunfenomeno
di Livio Pane
Sono 4 milioni gli italiani residenti all’estero. Il dato, che riguarda il
2009, è stato diffuso dalla fondazione Migrantes. L’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, rileva che dei 4 milioni che sono emigranti e hanno la
residenza all’estero, un milone e ottocentomila sono donne, mentre 650 mila
sono i minorenni. Sempre secondo questi dati, il 54,8 percento degli italiani
all’estero è originario del Meridione, precisamente 1 milione e 400 mila provengono dal sud e quasi 800 mila dalle isole. Nella classifica delle regioni con
il maggiore numero di emigranti la Campania è seconda solo alla Sicilia.
Salerno e Napoli risultano rispettivamente quarta e quinta fra le città
con il numero maggiore di iscritti all’Aire, precedute da Roma, Agrigento e
Cosenza. Ma la Campania un primato in materia di immigrati ce l’ha, quello di
Castelnuovo Di Conza, piccolo paesino in provincia di Salerno, che con i suoi
677 abitanti e 1930 residenti all’estero ha una percentuale di circa 3 emigranti
per ogni 4 castelnovesi.
Quelli che oggi espatriano sono meno numerosi rispetto al passato, e
con una preparazione culturale molto più elevata, per questo si parla spesso di
fuga dei cervelli.
Nel 2007 gli universitari italiani iscritti negli istituti di studi superiori
d’altri Paesi erano oltre 41 mila. Molti hanno avuto la possibilità di studiare
all’estero anche grazie ai programmi dell’Erasmus, che tra il 2006 e 2007 contavano circa 18 mila studenti. La prima motivazione per la quale si decide di
partire è sempre la ricerca di lavoro.
Buona parte dei cittadini italiani residenti all’estero è riuscita a trovare
una condizione di vita e di lavoro soddisfacente, ammettendo che le difficoltà
iniziali derivano quasi sempre dalla nuova lingua da imparare e dalla ricerca di
un posto fisso.
Ciò che è importante fare in Italia, è riuscire a legare insieme i termini
emigrazione e immigrazione. Nel nostro Paese, dopo i recenti avvenimenti di
Rosarno e Castelvolturno, e l’esasperazione per i continui fatti di cronaca nera
che interessano extracomunitari, si è portati a qualificare negativamente questi
flussi, che altrove vengono considerati la chiave del progresso.
Il Rapporto Istat del 2006 ha rilevato che gli stranieri residenti nel nostro Paese partecipano al mercato del lavoro più degli italiani. Il loro tasso d’attività è pari al 73,7 percento, superiore quindi di ben 12 punti percentuali rispetto
a quello della media della popolazione italiana. Gli immigrati, inoltre, svolgono
prevalentemente professioni a bassa specializzazione che spesso non attirano
gli italiani. Infatti quasi 3 stranieri su 4 sono operai o svolgono un lavoro non
qualificato. Gli uomini in genere si collocano nei settori dell’edilizia, dei trasporti e dell’agricoltura, a eccezione dei cinesi che trovano largamente impiego
nell’ambito della produzione tessile e dell’abbigliamento, mentre le donne prevalentemente sono impiegate come domestiche.
Per gentile concessione dell’archivio Parisio - Troncone
Pulcinella?No,misterPunch
Cosìviaggialaculturapartenopea
di Paola Cacace
Pulcinella, pizza e mandolino. Sono
le parole più cercate su Google associate a
Napoli, con picchi rispettivamente in Svizzera, Stati Uniti e Cile.
Quelli che sembrano i luoghi comuni
più antiquati della cultura partenopea, esportati all’estero, diventano valore aggiunto. Nel
resto del mondo, infatti, gli istituti di cultura
italiana, e non solo, pullulano d’eventi legati
a Napoli, ai suoi artisti, alle sue tradizioni, ai
suoi frizzi e lazzi. E a riempire di pubblico
questi incontri non sono solo i campani emigrati ma gli stranieri stessi che apprezzano
sempre più il nostro patrimonio culturale.
Si creano così nuove tradizioni, eventi che
diventano appuntamenti fissi con cadenza
annuale, mensile se non settimanale.
Dopo un inverno ricco di autori partenopei, e retrospettive su Totò e i De Filippo, la primavera è altrettanto promettente
con molti impegni già stabiliti e altri in preparazione.
Un tour immaginario inizia dal Museo del Mandolino di Tokyo con le sue “serate del venerdì” a base di pietanze della cucina campana, in sottofondo note di canzoni
classiche partenopee suonate dal vivo.
Spostiamoci poi a Bruxelles. All’insegna della musica sono anche i weekend di
marzo all’istituto italiano. A intrattenerci le
tammuriate napoletane del gruppo Damadakà, nominato ambasciatore artistico della
città di Napoli dalla Regione Campania dopo
un recente tour francese. Rimaniamo in Bel-
gio per vedere la mostra “Aria Acqua Terra
Fuoco” della napoletana Adriana Pignatelli
Mangoni. L’esposizione, che proseguirà agli
inizi di marzo a Instanbul, e poi a Malta e
Atene, ripercorre l’itinerario fatto dai viaggiatori del Grand Tour alle falde del Vesuvio
grazie a una rivisitazione della tecnica della
gouache.
Continuando il giro degli istituti di
cultura italiana, in Europa da marzo possiamo vedere anche i film di Paolo Sorrentino:
l’undici a Varsavia con “Le conseguenze
dell’amore”, il 17 a Zagabria con “L’amico di
famiglia” e con quest’ultimo film il 25 ritornare in Polonia.
Di Sorrentino è anche “L’uomo in
più”, proiettato il 18 all’istituto di Cultura di
Marsiglia, un omaggio a Toni Servillo che
potremmo incontrare il 31 marzo allo stesso istituto dove presenterà la “Trilogia della
villeggiatura”, sui palcoscenici francesi ad
aprile. Facendo la spola tra l’Inghilterra e la
Tunisia la musica resta protagonista, quella
della Tarantella e della zampogna a Londra
e quella dei solisti del teatro San Carlo che
il 17 marzo saranno a Tunisi con il concerto
“Verdi a Napoli”.
E se il 20 marzo termina a Nairobi
un corso di cucina italiana, ricco di piatti
della tradizione partenopea, dal ragù della
domenica al sartù di riso, si può andare in
Australia per imparare la “Pizza Therapy”,
ossia come fare la vera pizza napoletana
e dimenticarsi i propri malanni. Invece, a
Copenaghen il 26 avrà luogo un dibattito
di alcuni studiosi di cultura e lingua italia-
na danesi, da seguire se vogliamo smentire
i miti che ci vorrebbero mangiatori di sola
pizza. Se, invece, si preferiscono i dibattiti
impegnati, andiamo il 25 marzo a Melbourne, per una lettura di “Gomorra” di Roberto
Saviano.
Seguiamo poi Erri De Luca negli
Usa. L’autore napoletano presenterà il suo
ultimo libro “Il peso della farfalla”, il primo
aprile a San Francisco e il 7 a Los Angeles e
a San Diego. Erri De Luca, che non vive più
a Napoli da tempo, si prepara per il viaggio
e commenta: «Esporto la mia origine. Vengo
da Napoli. Napoli non mi è stata madre ma
causa e io sono uno dei suoi effetti. Porto in
giro la mia indifferenza meridionale alle cerimonie, la mia pazienza meridionale verso
il peggio».
E “da Napoli” sono anche le fotografie di Mimmo Jodice, che possiamo ammirare dal 15 aprile fino al 21 maggio all’istituto
italiano a Parigi, nella mostra “Napoli Intima” che fa parte del ciclo “Volti di Napoli”.
E se la cultura napoletana è emigrante come il suo popolo, lo è anche la sua maschera più famosa grazie al burattinaio Bruno Leone in tournée tra Stoccolma, Città del
Messico e Miami con “Storie di Pulcinella”.
Non è la prima volta. Anzi, leggenda vuole
lo stesso Pulcinella emigrante in Inghilterra per vivere nuove avventure con il nome
di Punch e la moglie Judy. Così da cliché,
stereotipo del napoletano tipo, Pulcinella è
trasformato in mito dagli inglesi che gli dedicano sia un museo a Brighton, sia uno dei
pub più famosi di Londra.
Pizza, sole @ web
Sono molti gli incontri nel mondo che sono legati
a Napoli e alla sua cultura.
Per saperne di più è possibile consultare i seguenti
siti web.
L’elenco di tutti gli istituti di cultura italiana nel
mondo è sul sito del ministero degli esteri:
http://www.esteri.it
Gli istituti di cultura italiana all’estero che al momento hanno in programma eventi partenopei
sono quelli di:
VARSAVIA: http://www.iicvarsavia.esteri.it
ZAGABRIA: http://www.iiczagabria.esteri.it
MARSIGLIA: http://www.iicmarsiglia.esteri.it
LONDRA: http://www.iiclondra.esteri.it
TUNISI: http://www.iictunisi.esteri.it
Per conoscere le sedi delle associazioni di Campani all’estero è possibile consultare il sito web della
Regione:
http://www.campaninelmondo.org
Per informazioni sulla “Pizza Therapy”:
http://pizzatherapy.com
Il sito del Museo del Mandolino di Tokyo è:
http://www5d.biglobe.ne.jp/mandolin/index.
html
CULTURA
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inchiostro n. 2 – 2010
Tralacatastrofeeilriscatto
Bocca:«Unamegalopoliinguaribile»
di Raffaele de Chiara
Pessimista per necessità più che per
scelta, il giudizio su Napoli e i napoletani di
Giorgio Bocca, il grande vecchio del giornalismo italiano, non cambia.
Classe 1920 è stato tra i maggiori fautori della lotta partigiana; nel corso della sua
carriera ormai ultrasessantennale ha scritto
per le migliori testate nazionali da “il Giorno”
a “la Repubblica” passando per “l’Europeo” e
“l’Espresso”. L’ultimo suo lavoro da poco uscito in libreria è “Annus horribilis” un saggio
pungente sui mali dell’Italia e della società attuale nel suo complesso.
Raggiunto al telefono nella sua casa
milanese, sebbene cortese e disponibile al
confronto, non manca di lanciare il suo j’accuse contro il proverbiale malcostume della città
e dei suoi abitanti: «Una megalopoli inguaribile. Non c’è alcuna possibilità di curare una
città così».
Nel 2006 nel suo saggio “Napoli siamo noi” scrisse suscitando non poche polemiche: “La Napoli delle
persone perbene c’è
ancora e pensa alla
camorra con sdegno
e vergogna. Ma sono
volenti o nolenti,
compagni di strada
della Napoli senza
leggi”.
A quattro anni di distanza da “Napoli siamo noi” qual è il suo
Giorgio Bocca
giudizio sulla città?
«L’Italia intera oramai è tutta come Napoli; il
denaro come unico valore sta segnando la fine
della morale non solo dalle vostre parti ma in
tutto il mondo».
Continua a parlare di una città amorale
e priva di valori. C’è un ruolo che gli uomini
di cultura potrebbero svolgere per risanarla e
restituirle dignità?
«Quelli che lei chiama gli uomini di
cultura fanno di tutto per rendere la città peggiore. Di intellettuali che si impegnano civilmente ne conosco davvero pochi».
Quali prospettive ci sono per i giovani
della Napoli di oggi?
«Pochissime, non a caso vanno via tutti».
Trova giusto che si emigri altrove?
«Se io fossi giovane scapperei, si va dove c’è
Furfaro:«No,unagrandecapitale»
lavoro e dove ci sono
di Violetta Luongo
prospettive di vita migliori».
«Napoli è la città dalNon sarebbe più ople mille anime che
portuno, specie da parla rendono unica».
te delle giovani geneRachele Furfaro, ex
razioni, rimanere qui
assessore alla Cultura
e impegnarsi perché
del Comune di Napoqualcosa migliori?
li, presiede la Fonda«Opportuno sì, ma è
zione Campania dei
un sacrificio. Per queFestival.
ste cose qui però è
Giorgio Bocca e Doinutile fare i moralisti;
menico De Masi hani giovani hanno diritto
no un’immagine di
di trovare le strade miNapoli catastrofica. È
gliori per la loro vita,
d’accordo?
anch’io quando ero
«Mi farebbe piacere
giovane sono andato
conoscere l’immagi“Il suonatore di liuto” di Caravaggio
via dal mio paese di orine catastrofica di Bocgine in cerca di un’esistenza migliore».
ca e De Masi. Entrambi non abitano e quindi
Se dovesse lanciare un messaggio ai ragazzi
non vivono quotidianamente Napoli che sicupartenopei che hanno appena terminato il proramente ha molte contraddizioni, ma anche
prio corso di studi e che si accingono a entrare
punte di eccellenza e una “normalità” che le
nel mondo del lavoro che cosa direbbe?
permette, nonostante le difficoltà, di essere
«Venite via, come si fa a stare lì».
una grande capitale. Certo non mi rispecchio
Non le sembra con il suo atteggiamento di fare
nella città che Bocca ha raccontato in “Napoli
solo critica senza proporre assolutamente nulsiamo noi e in “Inferno”. Sono convinta che
la di costruttivo?
dalle contraddizioni emergano i grandi cam«Cosa vuole che proponga, non è mica sembiamenti e gli adattamenti che una città è porplice. Io sono pessimista nel senso che voglio
tata a fare nel suo evolversi. Penso inoltre che
vedere le cose soltanto come stanno».
esistano una città oggettiva, una città percepita
Come vede la Napoli del futuro?
e una città immaginata. Queste tre città spesso
«Non lo so. Di recente sono stato in
non combaciano. Nella Napoli catastrofica di
costiera amalfitana per ritirare un premio di
Bocca in realtà si ritrovano tante città di oggi:
giornalismo. Lungo i tornanti che mi riportala sua, per me, è un’analisi dei rischi e dei provano in albergo ho avuto modo di osservare
blemi che si trovano ad affrontare oggi le granla città dall’alto. La visione di questo mare di
di metropoli. E su questi elementi catastrofici
case, di questa megalopoli inguaribile mi ha
anche Napoli sta proponendo le sue piccole
raggelato il cuore. Non c’è alcuna possibilità
grandi soluzioni che potranno valere anche
di curare una città così».
per le altre metropoli che vivono i suoi stessi
Lei continua a vedere una Napoli senza
problemi. Dice Adonis poeta franco-libanese,
prospettive in cui a predominare sono soltanto
ospite della prima edizione del Napoli Teatro
l’amoralità e l’ingovernabilità, dove i giovani
Festival: Napoli non ha problemi diversi da alnon hanno altre opportunità se non quelle di
tre città, ma li esprime con intensità inusitata».
andare via.
Cosa la spinge a tanto ottimismo?
Quali sono le responsabilità della poli«In questi ultimi dieci anni abbiamo
tica in tutto questo sfacelo?
assistito all’emergere di due città opposte:
«Lei mi fa domande troppo virtuose.
la Napoli del rinascimento napoletano nella
Non basta la buona volontà. Il dato di fatto è
quale si è identificata e alla cui costruzione ha
che le megalopoli moderne fanno schifo».
partecipato la parte sana della città, e la Napoli avvilita dalle vicende dei giochi di potere e
ONLINE
dai soprusi. Ci sono state fasi in cui Napoli e i
Domenico De Masi:
napoletani sembrava avessero recuperato una
“Questa città sprofonderà”
propria identità e forza e che la città dei “lazzahttp://www.unisob.na.it/inchiostro
NovitaGuidaeditori
roni” aveva lasciato il posto alla nuova immagine di città Europea unanimamente riconosciuta. Negli anni 90 si è pensato che il traguardo
raggiunto fosse definitivo. La storia recente ci
racconta, invece, che la cosa più difficile è il
mantenimento di questa condizione».
Cosa si contrappone alla città dei rifiuti, del malaffare, della litigiosità politica?
«Alla città del malaffare si contrappone la società civile, che vive nella legalità».
Napoli è la città dei luoghi comuni,
come nascono?
«Sono il frutto di una stratificazione di
cambiamenti economici, sociali che in questa
città hanno avuto anche esiti molto drammatici, penso per esempio alla crisi post-industriale e al terremoto».
Il Napoli Teatro Festival è una vetrina
per la città. Come ci vedono gli stranieri?
«Ci considerano partner affidabili. Il
Napoli Teatro Festival è una realtà giovane. Si
è subito proposta alla realtà internazionale con
professionalità alte, standard di qualità ed elementi innovativi».
Come può Napoli riconquistare una
forte immagine internazionale?
«Proseguendo nel dialogo con Istituzioni e professionisti internazionali».
Che cosa fa la Regione per valorizzare
la città?
«La Regione Campania ha creato in
questi anni condizioni di stabilità affinchè si
potesse lavorare con una prospettiva di lungo
periodo.
Questo
ha permesso di
far nascere professionalità oggi indispensabili nelle
cooperazioni con
altre Regioni e Nazioni».
Come mai si registrano
ancora
“fughe di cervelli”?
Rachele Furfaro
Come si può evitare l’esodo?
«La mobilità anche professionale non
va vista sempre come una fuga. Oggi è importante coniugare l’identità locale con quella
internazionale. I nostri giovani devono saper
investire in entrambe le direzioni. Chi possiede questa capacità ha una marcia in più in tutti
i settori, ma soprattutto in quello della cultura.
Come dice Italo Calvino: le cose vicine si vedono meglio da lontano».
segue da pagina 1
lama simile a quella che uccise l’immortale Ferruccio avrà mostrato il suo
bel colorito bianco come il Carrara prediletto da Michelangelo, avvolgete
quelle morbide fette in un lino grezzofilato dalle gran drapperie toscane.
Poi lasciatele per qualche minuto alla leggera brezza di quelle colline che
conferirà loro un sentire d’olivo, di mandorlo e di sottobosco impregnandosi anche, come impercettibilmente, dell’eco delle corti d’amore che ancora
sembrano accadervi fra Boccaccio e Fiammetta o fra Pietro Aretino e le
donne di piacere che, nella sua penna, hanno guadagnato l’immortalità.
Portate poi quelle fette al calore di una cantina di una vecchia stalla di un
palazzo rinascimentale dove la terra toscana ha assunto tutto il vissuto e
il colore dei rossi mattoni cotti nelle antiche fornaci e ponete quelle fette su
un vassoio di cristallo che abbia tutto il nitore delle stoviglie di Cisti fornaio, protagonista di una novella di Boccaccio. Bagnate quel pane con l’olio
sempre benedetto di quelle colline facendolo cadere goccia goccia da un
orciuolo in cui prima avrete fatto brillare per qualche secondo il riverbero
dei fuochi che scoppiettano nel grande camino del Palazzo. Condite con
appena un pizzico di sale del Mar Tirreno raccolto all’estuario di Pisa ed
essiccato secondo l’antica ricetta di Galileo. Forse non sarete tutti Lorenzo,
ma vi sentirete tutti Magnifici!
Pane e Uoglio alla Napoletana
Scippate un palatone a un rivenditore per strada e cercate di toglierci di sopra almeno un po’ degli scarichi d’auto. Fate qualche scongiuro
contro le bestemmie che i camorristi che lo hanno preparato vi hanno certamente impresso. Tagliatelo a fette cercando di usare un pugnale che non
sia servito, almeno di recente, per nessun accoltellamento, quindi schiaffateci sopra un poco d’olio, evitando almeno quello “extra-vertigine” usato degli aerei, normalmente venduto con l’etichetta di extra-vergine nelle
salumerie di Napoli. Schiaffateci pure un poco di sale del Golfo inquinato.
Non fa nulla, tanto il ricovero in ospedale, soggiornando da queste parti, è
quasi inevitabile. Abbiate la furbizia di essere ricchi e di non farvi ricoverare in un lazzaretto locale, ma in una clinica da qualche altra parte.
Estratto dal Trattato di gastronomia antropologica, Ignoto del XXI Secolo.
pagina
9
Unpo’d’Europaincittà
British,Cervantes,GoetheeGrenoble:losguardodeglialtri
di Giulia Savignano
L’Europa a Napoli. Non è l’appuntamento per una
sessione di lavori dell’Unione Europea, ma la fotografia di
un interesse sempre più vivace che la cultura della città suscita nei confronti di alcuni Paesi del vecchio continente.
In un’area di pochi chilometri quadrati che va dal
Vomero a Chiaia, si concentrano i 4 istituti simbolo dei
Paesi europei più importanti.
Per José Vicente Quirante Rives, direttore dell’Istituto Cervantes da 5 anni, Napoli è la sua città d’adozione. «E’ un punto di riferimento importante per la storia
dell’Europa; una culla della civiltà con un ricco patrimonio culturale, condiviso per ben 3 secoli con la Spagna»,
spiega il direttore, sottolineando di non voler parlare di
‘dominazione’ ma piuttosto di appartenenza della città
all’allora Corona spagnola.
L’amore per una città problematica che contrappone il caos e i disservizi alla proverbiale creatività dei
suoi abitanti, tanto che “a Napoli tutto è possibile”, ha
spinto Rives a fondare in Spagna la casa editrice ‘Partenope’, che ha pubblicato i maggiori romanzieri napoletani
contemporanei, come La Capria, Rea e Montesano.
«Il Forum delle Culture del 2013 è un treno da
non perdere. La ripresa della città deve passare per una
rinascita culturale».
Anche il responsabile dei corsi al British Council
Jeff Fawler denuncia il senso di abbandono della città da
parte dello Stato. «Quanto è bella Napoli, anche se potrebbe esserlo ancora di più».
L’immagine che arriva in Inghilterra è quella di
un gioiello paesaggistico e culturale; una città vivace e accogliente dove «si fa subito amicizia e da un momento
all’altro ti trovi a prendere il caffè con quello che hai appena conosciuto».
Ma a colpire l’immaginario collettivo è anche la
fotografia impietosa di una città pericolosa e trascurata,
dove i turisti non si sentono sicuri. «L’emergenza rifiuti
e lo scarso intervento delle forze dell’ordine negli episodi
quotidiani di inciviltà contribuiscono ad alimentare questa percezione», conclude Fawler.
«Potrei dire tante cose che non vanno a Napoli,
ma se sto qui da 16 anni non è per puro masochismo»,
afferma sorridendo Marion Bouveris, insegnante di francese all’Istituto Grenoble. «La città è divisa in due, ma
grazie al mio carattere sono riuscita a integrarmi bene sia
nei quartieri popolari che in quelli benestanti. I napoletani sono persone meravigliose, premurose ed è bello sapere di potersi appoggiare a loro».
L’immagine che arriva Oltralpe è sicuramente
quella stereotipata della città difficile, ma è solo vivendoci
che si riesce a comprendere e amare Napoli.
«Certo, l’inciviltà regna sovrana e per sopravvivere
in questa giungla sono stata costretta a procurarmi delle
buone dosi di furbizia e menefreghismo. All’inizio ero
puntuale e precisa, poi vedendo la scorrettezza degli altri
ho iniziato a eliminare lo stress, e il mio fegato ringrazia».
Anche in Germania Napoli viene percepita con
tutte le sue contraddizioni. Maria Carmen Morese, direttrice dell’Istituto Goethe, si definisce un ibrido tra la
cultura italiana e quella tedesca. Napoletana d’origine, ha
studiato per molti anni in Germania, e con il suo libro
“Istruzioni per l’uso di Napoli”, premiato alla Borsa Internazionale del Turismo a Berlino nel 2009 come miglior
guida turistica letteraria, è riuscita a far dimenticare l’immagine negativa di Napoli, la città di montagne di spazzatura maleodorante.
«La mia città è straordinaria, una bellezza paesaggistica senza eguali con un popolo che non si lascia mai
demoralizzare. Purtroppo, soprattutto nelle riunioni internazionali a cui mi capita di partecipare, il nome Napoli
evoca ancora ‘immondizia’ e ‘camorra’. Mi auguro davvero che la città possa superare questi problemi strutturali,
che non sono degni del suo valore e della sua tradizione».
Università, studiare e dirsi addio
di Pasquale Napolitano
Dati sconfortanti sull’Università di Napoli. Il 28,3 per cento dei neo dottori non trova lavoro a un anno dalla laurea mentre la media nazionale
è praticamente la metà, il 14,9 per cento. “Bisogna – sostiene Malik
Abrah, professore di lingua araba all’Orientale – cambiare strategia e
preparare i ragazzi a un mercato globale”. Tre carriere universitarie in
modo diverso guardano all’Università di Napoli. Francesca, studentessa
pugliese iscritta a Napoli; Marco, napoletano laureatosi nella sua città;
ed Emanuele, napoletano che ha deciso di studiare fuori.
Come ha scelto la città in cui studiare?
FRANCESCA. «Ho preferito l’Orientale a un altro ateneo perché prevede lo studio della lingua giapponese, per me importante».
MARCO. «Ho scelto la strada più semplice: proseguire con l’ambito di
studi già affrontato, quello informatico, restando vicino casa».
EMANUELE. «Volevo cambiare aria rendendomi più indipendente.
Così ho scelto Siena e il suo corso di laurea in Scienze della Comunicazione».
Come descrive la sua esperienza universitaria?
F. «Soddisfatta della scelta, anche se le strutture universitarie sono
spesso mal organizzate. Sicuramente è molto più utile rivolgersi ad altri
studenti».
M. «Avendo conosciuto ottimi compagni di studio, la strada è stata tutta
in discesa».
E. «Siena è una città tenuta benissimo e il suo polo universitario è davvero efficiente. Per me è stata preziosa l’esperienza Erasmus in Spagna,
a Granada».
Che opinione ha di Napoli e delle sue Università?
F. «Riesco più o meno ad avere quello che mi serve. Uno dei principali
problemi resta quello della sicurezza».
M. «Napoli ha Università e professori ottimi ma soffre la mancanza di
fondi».
E. «Ho un’opinione negativa del funzionamento delle Università di Napoli. Il caos della città sicuramente non aiuta».
Ha intenzione di vivere a Napoli in futuro per proseguire gli studi o
lavorare?
F. «Sceglierò un’altra città per proseguire gli studi. Spero che Napoli si
riveli un buon inizio».
M. «Ora sono a Londra per un master. Credo di ritornare in Italia, non
so se a Napoli».
E. «Perché dovrei tornare dove c’è un livello di disoccupazione altissimo
e i precari sono tanti?».
Schizzo d’inchiostro - A. L. Esposito
Neilibricompaionoleferitesospette
di Gennaro Di Biase
Rintracciati da un demone intervistatore, Dickens,
Goethe o Sartre concorderebbero: se volete un regolare
esempio di sregolatezza, segnatevi Napoli.
Città viscerale e struccata, provocatoria e provocante; gente enigmatica, che ozia e brucia nella sua storia frenetica e a tratti non infelice: «Lazzaroni in abiti di
stracci dormono sdraiati nei vani delle porte, nelle fosse di
scolo, sotto gli archi; i signori, i ben vestiti, scarrozzano su
e giù per via Chiaia». Vitalità e marciume: così è la folla di
Parthenope vista da Dickens in “Impressioni di Napoli”
del 1844. Sul traffico urbano si è andati avanti ma non ci
si è evoluti, «poiché parrebbe che tutti gli abitanti di Napoli abbiano lasciate le loro case per correre a gran velocità
su e giù per le strade con le loro carrozze. E non è a dire
che rechino un carico leggero». Dickens sentenzierebbe
che i napoletani si intrappolano nella loro stessa furbizia,
nell’indifferenza tutta partenopea tra imbroglio e simpatica lezione d’astuzia: «Eccola che si risveglia coi suoi
Pulcinella, borsaioli, buffi, mendicanti, stracci, splendore e sporcizia e generale degradazione», «e accattonaggi
e furti per ogni dove e ad ogni ora». Al fascino «sudicio
della sudicia Napoli» risponde quello polveroso della vita
immortalata dal Vesuvio, minacciosa sentinella, «crudele
arbitro della sorte dell’intera amenissima regione»; e il
pallore eterno di Ercolano, dove «nulla è più terribile delle
molte prove della capacità della cenere, chiari indizi del
suo potere irresistibile e dell’impossibilità di sfuggirvi».
Secondo Jensen, che in “Gradiva” (novella del 1903, caso
freudiano) è impazzito d’amore per la modella scolpita
sulla pubblicità di un bassorilievo, Pompei è dello stesso
erotismo indeperibile e perturbante, assieme sepolcrale e
viva: «Ogni strada correva fra le antiche costruzioni murarie come un gigantesco nastro bianco inteso a candeggiare. Tutto era divenuto immobile e silenzioso, giacché
in quest’ora degli spiriti la vita deve tacere e nascondersi, perché i morti risorgano e comincino a parlare il loro
muto linguaggio».
Sartre, negli “Spaesamenti” del 1952, dice di una Napoli intestinale, genuina e tossica: «Un bagno fetido e dolce» di strade che si aprono «come l’incavo di un’ascella».
Da buon turista gastronomico-esistenzialista, desiderando vomitare tra i vicoli, illustrerebbe di Parthenope una
verità inamovibile: «A Napoli ho scoperto l’immonda parentela tra l’amore e il Cibo. Napoli non si rivela immediatamente: è una città che si vergogna di se stessa; tenta
di far credere agli stranieri che è bianca, che è una città
di casinò e di ville; e molti ci erano cascati, non sapevano
vedere le ferite sospette che i viali borghesi avevano ai loro
fianchi». «Mi sentivo immerso in un’enorme esistenza
carnivora: un’esistenza sudicia e rosa che si rapprendeva
su di me. ‘È fatta: sono a Napoli’». Insomma: secondo Sartre, Napoli puzza, e dove c’è puzza c’è vita.
Goethe, con meno violenza e un po’ d’entusiasmo
preromantico, troverebbe salutari «le confusioni delle
idee», la superstizione rituale, i movimenti di stomaco
messi in vetrina: «Tutti scorrazzano in paradiso da mane
a sera senza preoccuparsi troppo, e quando comincia a ribollire la vicina bocca d’inferno chiedono aiuto al sangue
di san Gennaro; e con che cerca di difendersi tutto il resto
del mondo dalla morte e dal diavolo, se non col sangue?».
Napoli, credulona perchè incredula, rovescia le pupille e
contagia la pelle di chi la vede: «È un paradiso dove si vive
in una sorta d’ebbrezza obliosa. Mi par d’essere un altro.
Ieri pensavo: ‘O eri matto prima, oppure lo sei adesso’».
Né superlavoro né inefficienza: già nel 1787 il turista nordico è rapito da un’attiva forma di leggerezza: «Ho osservato attentamente questo popolo, e ho potuto constatare
che vi è molta gente mal vestita, ma nemmeno uno che
sia disoccupato».
Il demone avrebbe tra le zampe un foglietto di dichiarazioni armonizzate: Parthenope, nel suo golfo, della
civiltà obitorio e culla, ospita Apollo come uno straniero e
Dioniso come uno di casa. Ma lei è di quelle dee che non
badano alle differenze, che indossano la vergogna abbinata alla gloria.
La foto di Masturzo, vincitrice del World Press Photo 2009
Masturzo:«Fotografate
manoniluoghicomuni»
di Enrico Parolisi
Da Napoli a Teheran. È l’urlo disperato di tre donne iraniane nei
giorni della rielezione di Mahmud Ahmadinejad lo scatto che vince il
premio World Press Photo 2009. Dietro l’obiettivo un 30enne di Piano
di Sorrento, Pietro Masturzo. Una foto rubata, come le altre scattate in
Medio Oriente. Il reporter non aveva il permesso di fotografare, ma per
raccontare la protesta contro il regime islamico non si è perso d’animo
ed è salito sui tetti della capitale.
Da fotografo di frontiera, il mondo invece che foto ha di Napoli?
«Tutti la riconoscono come una città particolare, piena d’energia. Positiva e negativa».
Uno scatto di Napoli all’estero, oggi, è più vicino a un panorama
da Posillipo o a una foto dei rifiuti?
«In questo momento mi sento di dire più vicino alla foto dei
rifiuti. C’è sicuramente una responsabilità dei media in questo. Quando
c’è da raccontare qualcosa di negativo sono tutti più bravi. Il mandolino
è passato in secondo piano rispetto alla monnezza, per intenderci».
Qual è la differenza tra fotografare Napoli e fotografare l’estero?
«Fotografare casa propria già di per sé è difficile, perché può mancare
l’occhio critico di chi ha sempre quella realtà sotto gli occhi. Se poi casa
si chiama Napoli, il rischio di cadere nei luoghi comuni è altissimo».
I fotografi stranieri che oggi immortalano Napoli cadono in questi luoghi comuni?
«Alcuni sì. È difficile fotografare Napoli, iconograficamente è stata rappresentata in tutto il mondo. C’è qualcuno che la racconta con più originalità e obiettività, ma è facile finire a parlare dei panni appesi dei
Quartieri spagnoli. Non è detto che sia sbagliato, Napoli è anche quello.
Ma raccontarla nel profondo, nell’essenza, è molto più complicato».
C’è qualche fotografo straniero che consiglierebbe per avere
un’immagine di Napoli?
«Sono stato qualche mese fa a una mostra di Johnnie Shand Kydd proprio a Napoli, al museo Madre. Una serie di foto in bianco e nero belle
e mai banali. Ecco, consiglierei lui».
SPETTACOLI
pagina
10
inchiostro n. 2 – 2010
Inteatrosiparlanododicilingue
NapoliFestival,palcoscenicosulmondo
di Emanuela Vernetti
palco è diventato “altro” dall’iconografia tradizionale.
Il count-down è già iniziato per la kermesse teatrale che
Palcoscenico teatrale per sua naturale vocazione, Napoli vede la città protagonista di un grande palcoscenico dal respiro
si trasformerà per un mese nella metafora di se stessa. E non multietnico e crocevia di culture teatrali diverse. Specchio del
solo. Nella città partenopea sarà il mondo ad andare in scena mondo di oggi, luogo deputato al confronto, il teatro non poteva
con la terza edizione del “Napoli Teatro Festival Italia” dal 4 al non rilevare l’inevitabile evoluzione dei concetti di nazionalità
28 giugno. Non si tratta di uno dei tanti festival-rassegna, a volte e internazionalità, vestendosi così di un carattere fortemente
un po’ autoreferenziali ed elitari, ma di un pantagruelico conte- multiculturale.
Il Festival ha promosso compagnie teatrali internazionitore di programmi di lavoro comune. Più un cantiere aperto
nali, composte da attori e registi
di progetti che cartellone.
italiani che hanno lavorato con
Tutti gli spettacoli sono
artisti provenienti da diversi Pacoproduzioni con le principali
esi, formate appositamente per
istituzioni europee e nazionali,
una rete di relazioni che progres- • In 25 giorni 50 spettacoli per un totale di 266 rappresen- i progetti del Festival. La prima
Compagnia Teatrale Europea
sivamente ha creato un “siste- tazioni
è nata a Napoli nel 2008 con
ma”, perché il Festival è diventato • 26 prime assolute, 5 prime europee, 11 prime nazionali
una moderna impresa culturale • 20 testi originali di cui 8 commissionati dal Festival ad “L’Europèenne” di David Lescot
e quest’anno gli attori europei
che dialoga con l’Europa.
autori italiani e stranieri
che la comporranno saranno
Sui palcoscenici della cit- • 3000 artisti coinvolti
italiani, inglesi e immigrati di setà 3000 artisti parlano 12 lingue • 12 lingue parlate di 24 Paesi del mondo
provenienti da 24 Paesi del mon- • 300 giornali hanno scritto articoli sul Festival di cui 180 conda generazione appartenenti
a comunità che risiedono da
do, mentre solo nella scorsa edi- sono testate straniere
zione sono state 20 le creazioni • 8 spettacoli prodotti dal Festival che hanno iniziato una anni in Europa mentre la regia
coprodotte con i teatri e festival tournèe internazionale a Parigi, Bordeaux, Limoges, Lisbo- sarà affidata all’inglese Alexandi Germania, Spagna, Gran Bre- na, Madrid, Singapore, New York, Londra, Glasgow, Edim- der Zeldin che presenterà la sua
versione di “Romeo e Giulietta”.
tagna, Francia, Portogallo, Ar- burgo
Gli sconfinamenti dei progentina, Singapore e Stati Uniti. • 72000 spettatori
getti teatrali non hanno solo
L’obiettivo è realizzare • Il 48% del pubblico è composto da nuovi spettatori
una solida istituzione culturale, in • 105000 le visite sul sito del Napoli Teatro Festival di cui una dimensione esterofila ma
anche regionale, si allunga oltre
grado di interagire con il resto del 50000 solo nel mese di giugno
Paese e con le istituzioni straniere. •
48 alberghi, ostelli, bed and breakfast coinvolti lo Stretto la mano tesa del Napoli Teatro Festival: il direttore
Il “come” è semplice: co- per ospitare artisti, delegazioni, giornalisti
struendo progetti teatrali, dove •
30 diversi luoghi di rappresentazione tra teatri, artistico della rassegna napoletana Renato Quaglia ha chiesto
la civiltà culturale italiana parte- chiese, monumenti e spazi aperti
al regista colombiano Enrique
cipi ad altre culture e saperi. Il
Vargas, un progetto su Palermo
percorso, però, è anche inverso,
mentre “Napoletango” di Gianil dialogo di reciprocità non è a
senso unico perché a essere rappresentata non è solo la Napo- carlo Sepe sarà coprodotto dal Teatro Biondo dove arriverà la
li raccontata dagli stessi napoletani ma da altri punti di vista. prossima stagione.
Spettacoli in entrata ma anche in uscita, molte delle
Sguardi stranieri per interpretare i mille volti di una città complessa e multiforme. Durante la seconda edizione, l’americana pièce teatrali campane saranno presentate in altre città italiane
Karole Armitage, coreografa dell’American Ballet e di icone pop e in molte delle capitali europee. Un Festival itinerante, sì, ma
come Michael Jackson e Madonna ha creato “Made in Naples” che sta conquistando sul campo la permanenza stabile a Napoli:
uno spettacolo sulla canonica figura di Pulcinella che sul suo capitale internazionale di teatro.
I NUMERI DELL’EDIZIONE 2009
Eccodoves’insegnal’arte
di Emanuele De Lucia
SCUOLA DI RECITAZIONE “TEATRO BRACCO”, via Tarsia, 40 - 0815645323
COSTI – 100 euro
DIRETTRICE ARTISTICA: Caterina De Santis
REQUISITI DI AMMISSIONE: età minima 15 anni
SCUOLA DI REGIA, MONTAGGIO, FOTOGRAFIA E
SCENEGGIATURA ‘PIGRECOEMME’, piazza Portanova
11 - 0815635188:
COSTI – da 300 a 2700 euro
MAESTRI – regista Antonio Mauriello, scenografo Renato
Lori, fotografo Ugo Lo Pinto
SCUOLA DI BALLO “SAN CARLO”, via San Carlo 98\F 0817972471
COSTI: 100\160 euro
DIRETTRICE: Anna Razzi
REQUISITI DI AMMISSIONE - superamento di una prova
fisico -attitudinale
SCUOLA DI DANZA FOLKLORICA AFRO-CUBANA ‘LA
SALSA SOY YO’, via Kagoshima 4/6 – 0813416616:
COSTI – 40/60 euro
MAESTRI – Annia Elena Ballagas Negrete, Massimiliano e
Alessandro Miliano, laureati all’Università di danze folkloriche afro-cubane ‘I.S.A.’ (Istituto Superiore de Arte dell’Habana, Cuba)
SCUOLA ‘MUSIC & ART’, via F. Palazzi 46/a – 0815566879:
COSTI – 15 euro di iscrizione e 90 euro per i corsi
MAESTRI – Fabiana Martone e Simone De Felice
REQUISITI DI AMMISSIONE - provino
“Siamocomeunbelpesceinunacquario”
DaSanFranciscoparlaCorradoRustici,artistanapoletanoecosmopolita
di Alberto Canonico
rappresentava un contesto molto limitante e inaccettabile per un giovane assetato di confronti
musicali e umani con quelli che erano e sono tuttora considerati gli eroi della musica».
Lei ha collaborato con grandi musicisti del calibro di Herbie Hancock, Elton John, Aretha
La musica è la protagonista della sua vita e la passione per le note ha portato Corrado
Rustici a vivere esperienze straordinarie. Nato a Napoli nel ‘57, è tra coloro che hanno rinnovato Franklin, George Benson, ma ha anche lavorato nel ’91 con Enzo Avitabile. I musicisti napoletani
il suono delle produzioni italiane, contribuendo ai successi di Zucchero, Elisa, Bocelli e Negra- hanno un seguito all’estero o gli stranieri conoscono solo le tradizionali “O sole mio” o “Torna a
maro, solo per citarne alcuni. Lo abbiamo contattato a San Francisco, dove ormai vive da anni, Surriento”?
«La domanda, con mio rammarico, contiene anche la risposta».
per parlare di Napoli e del legame con la città natale, per capire qual è l’immagine che arriva
Dopo la crisi che ha investito Napoli e in generale la Campania, pensiamo al problema rifiuti,
all’estero, attraverso gli occhi di un napoletano che, seppur a distanza, conosce bene la realtà partenopea. Considerazioni di un uomo che ha lasciato presto la sua città per rincorrere i suoi sogni da osservatore privilegiato qual è l’immagine che arriva oggi all’estero della città?
«Esiste da tempo un’immagine molto romantica e insie affermarsi sulla scena internazionale.
diosamente anacronistica dell’Italia, nella quale trova la sua colQuando inizia la passione per la musica? Come ha cominlocazione anche la Campania e quindi Napoli, nell’immaginario
ciato a suonare?
delle società e delle culture all’estero. Se da una parte questa idea
«Sono nato in una famiglia con una forte predisposizione
dell’Italia è “tranquillamente” carina e non minacciosa, è anche
per la musica e l’arte. All’età di 5 anni ho imparato a suonare il
vero che è un po’ come un bel pesce in un acquario. Al di là di
mandolino da mia nonna, poi ho cominciato a studiare la chitartutti i pregi e le bellezze infinite che questo Paese è stato capace
ra».
di creare negli ultimi 2000 anni, trovo molto inquietante la condiIniziare dal mandolino, seguendo la tradizione, fino ad
zione di stasi e di ibernazione socio-culturale in cui l’Italia si trova
arrivare al rock progressivo. Come è avvenuta questa trasformae che contribuisce a un’immagine sia del Nord che del Sud del
zione?
Paese quasi mai positiva. Basta chiedere a qualunque agenzia di
«In modo naturale, attraverso le esperienze che ho fatto
viaggi all’estero informazioni su dove andare, cosa fare, per avere
seguendo mio fratello Danilo e poi rincorrendo il forte desiderio di
un’idea di quella che è la percezione degli stranieri».
trascendere quello che era, all’epoca, la mia esperienza musicale».
Le è capitato ultimamente di venire a Napoli?
Rustici a 17 anni fa parte del gruppo rock Cervello e pubbli«Mi capita sempre più raramente, ma in quelle poche volca l’album “Melos” prodotto da suo fratello maggiore su etichetta
te, cerco sempre di proteggere le immagini più belle e care dei
Ricordi. Nel 1974 forma i Nova che si trasferiscono a Londra e
miei anni vissuti a Napoli dal “fall-out” socio ambientale che ha
ottengono un contratto dalla casa discografica Arista. Pubblicano
trasformato questà citta negli ultimi 30 anni».
4 album: “Blink”, “Bimana”, “Wings of love” e “Sun city”. Questo
Dopo tanti anni all’estero sente ancora vivo il legame con
permette a Rustici di conoscere molti artisti e produttori britannila città?
ci. I lavori dei Nova ottengono un buon successo anche in Ame«In tutta onestà, dopo tanti anni passati all’estero, in tante
rica, tanto che Rustici decide di andare a vivere negli Stati Uniti.
diverse città, non sento più legami con un posto in particolare,
Dopo la pubblicazione del loro quarto album, l’artista partenopeo
perché sono consapevole che Napoli come San Francisco, New
lascia la band e da New York si trasferisce prima a Los Angeles e
Corrado Rustici
York o Londra, sono solo concetti e sensazioni che porto dentro di me. Non esiste
poi a San Francisco, dove entra in contatto con i maggiori artisti della scena internaaltro al di fuori del nostro “Essere” che non conosce limiti geo-politici-culturali, ma
zionale.
Prima a Londra, poi a New York e a Los Angeles, infine a San Francisco. Era difficile pervade la percezione di quello che siamo e siamo sempre stati».
Ma è nell’ultima frase che Rustici racchiude la sua filosofia di vita: «Nelle mie vene scorre
continuare a vivere e suonare a Napoli?
«Forse non all’inizio, ma verso la metà degli anni ‘70, non solo Napoli, ma tutta l’Italia sangue di una persona che è nata a Napoli, cresciuta nel mondo, nutrita dall’universo».
pagina
11
Filmografiadiunpopolo
C’eranounavoltaEduardoeTotò,oraesportiamo“Gomorra”
di Anna Elena Caputano
«And the Oscar goes to…Robertooo!». Le parole di Sophia
Loren sono nella storia del cinema. Nel marzo del 1999 l’attrice
napoletana ha aperto la busta con il nome del vincitore come miglior attore designato dalla giuria dell’Academy. In un impeto di
gioia ha urlato il nome di Roberto Benigni, vincitore del premio
per il film “La Vita è bella”. Sophia Loren rappresenta la vera icona del cinema italiano nel mondo, più di Eduardo de Filippo e
di Totò. Nessuna nostra attrice ha mai raggiunto una così solida
e duratura popolarità internazionale. La Loren, dopo gli esordi
come comparsa, negli anni ’50 ha interpretato prevalentemente
la parte della popolana. È ancora famoso il suo sodalizio artistico
film girati si riflette sui cambiamenti dei sentimenti e delle
condizioni di vita del dopoguerra italiano. Uno dei padri del
Neorealismo è stato Vittorio De Sica, un regista che ha saputo
rappresentare il dramma di Napoli anche senza esservi nato.
“Sciuscià” è il caso-simbolo: De Sica tratta la tematica legata ai
bambini e alla difficile vita e usa per titolo un termine dialettale
napoletano ora in disuso che indicava i lustrascarpe del dopoguerra (dall’inglese shoe-shine).
Anche la commedia ha i suoi nomi simbolo: Totò e
Eduardo De Filippo. I due, amici anche nella vita, hanno lavorato insieme nel 1950 nel film “Napoli milionaria!”. Totò è considerato una maschera nel solco della tradizione della Commedia
dell’Arte. Molte sue memorabili battute e gag-tormentoni sono
Massimo Troisi in “Ricomincio da tre”
Una scena tratta dal film “Gomorra”
con Vittorio De Sica, con cui ha girato otto film. Aveva solo 26
anni quando ha interpretato uno dei ruoli più impegnativi della
sua carriera: Cesira ne “la Ciociara”, che vive il dramma dello
stupro, nel doppio ruolo di donna e di madre.
Napoli è sempre in bilico tra dramma e commedia nel
cinema. L’immagine del dramma viene accentuata dal Neorealismo, il movimento cinematografico sviluppatosi durante il
secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra. Nei
Toni Servillo in “Le conseguenze dell’amore”
entrate nel linguaggio comune e a distanza di decenni i suoi
film riscuotono ancora grande successo. Eduardo De Filippo
nel cinema è stato sia attore sia regista. Amico e collaboratore
di Vittorio De Sica, per lui curò anche la sceneggiatura di “Matrimonio all’italiana”, remake di “Filumena Marturano”, film
diretto da Eduardo nel 1951.
Altra figura importante è Francesco Rosi. Dopo essere stato l’aiuto regista di Luchino Visconti, negli anni ’60 ha
inaugurato il filone del film-inchiesta grazie al film “Le mani
sulla città”. Il suo capolavoro è una denuncia della corruzione
e della speculazione edilizia di quel periodo. La didascalia del
film dice: “I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica
è la realtà che li produce”. La pellicola ha vinto il Leone d’Oro al
Festival di Venezia.
Nel filone della commedia si inserisce Massimo Troisi. Difficile dimenticare la frase nel film “Ricomincio da tre”:
«Cà sembra che nu napulitano non pò viaggià, pò sulamente
emigrà…». Nella pellicola Troisi interpreta Gaetano, un giovane
timido che lascia la sua vita da “provincialotto” e si trasferisce a
Firenze per ricominciare “da tre” (perché ha fatto tre cose buone nella vita e pertanto non vuole ripartire da zero). Ma si scontra con la realtà dei fatti: anche se si trova in Italia viene sempre
considerato un “emigrato”. In realtà Troisi un “emigrato” non
lo è stato: è scomparso prematuramente nel 1994, a quarantuno anni, per un attacco cardiaco. L’attore nel 1996 è stato candidato all’Oscar come miglior attore protagonista e per la migliore
sceneggiatura non originale per il film “Il postino” di Michael
Radford. La regia è anche attribuita a Troisi, morto proprio alla
fine delle riprese. Il film, su cinque candidature, ha vinto solo la
statuetta per la miglior colonna sonora drammatica, composta
da Luis Bacalov.
L’immagine recente di Napoli è rappresentata da un
film candidato dall’Italia per entrare nella cinquina della categoria “film straniero” nella corsa agli Oscar 2008 ma bocciato
dall’Academy. È “Gomorra” di Matteo Garrone, tratto dal bestseller omonimo di Roberto Saviano. Una pellicola che ha un
legame con l’attualità: rappresenta un viaggio nel mondo affaristico e criminale della camorra e dei luoghi dove è nata e vive.
Attraverso quattro vicende si raccontano la questione dei rifiuti
e della delinquenza. Quella che Garrone dipinge nel suo film è
una terra buia, una terra che racconta la verità.
Ma la Napoli del cinema non è solo camorra e rifiuti.
Ci sono altre figure che hanno esportato l’immagine della città
fuori dalla città. Come il regista Paolo Sorrentino, che ha debuttato nel 2001 con il film “L’uomo in più”. I successivi film
(“Le conseguenze dell’amore” e “L’amico di famiglia”) sono
stati presentati al festival di Cannes e hanno riscosso un buon
successo. Il suo ultimo film, “Il Divo” (incentrato sulla figura
di Giulio Andreotti), ha ricevuto la nomination agli Oscar 2010
nella categoria “miglior trucco”. E non bisogna dimenticare il
produttore più importante degli ultimi anni: Aurelio De Laurentiis. È titolare della Filmauro, la società fondata nel 1975 col
padre che è leader nella produzione e distribuzione cinematografica italiana ed internazionale.
Sofia,un’iconainternazionale
di quella bellezza non perfetta ma unica e prorompente, offre alla ragazza un contratto di sette anni.
Da quel momento in poi il nome di Sophia
Sofia Villani Scicolone, classe 1934, nata a
Roma e adottata dalla città di Pozzuoli in tenera età: – ormai “Loren” a tutti gli effetti – viene accostain due parole, Sophia Loren. Il suo nome lo si trova to a quelli di De Sica, Sordi, Monicelli, Risi, Cha– assieme a quelli della Magnani, della Tebaldi, di plin, Lumet. La consacrazione a icona del cinema
Toscanini e di Bocelli – incorniciato in una delle arriva col primo premio Oscar, nel ’63, per la sua
stelle dorate sulla Hollywood Walk of Fame. Riper- interpretazione nel film “La Ciociara”, di Vittorio
correre l’ascesa verso l’olimpo dello star system, De Sica. La seconda statuetta è targata 1991, questa
equivale a compiere un viaggio attraverso imma- volta alla carriera.
Un esempio su tutti è la raffinata sequenza
gini che raccontano a mosaico la storia del nostro
Paese negli anni d’oro del cinema. Anni che rie- di “Ieri, oggi, domani”, di Vittorio De Sica, in cui una
Sophia ammiccante ed ironica, lascia
mergono – irripetibili – dalle vecchie
cadere gli abiti sotto gli occhi diverpellicole che riproducono, in bianco
titi di Marcello Mastroianni. La sua
e nero, i tratti intensi del viso della
sensualità non ha mai sconfinato nei
Loren. La storia di questa donna è,
territori paludosi della banale volgariin qualche misura, quella dell’Italia
tà venduta come arte. No, la Loren ha
intera. L’Italia intera l’ha incoronata
saputo valorizzare la bellezza mediterRegina della bellezza e dell’eleganza.
ranea, assurgendo a simbolo di una
E il resto del mondo non ha potuto
femminilità piena, in cui si coniugano
fare altro che assentire.
generosità popolare e signorile eleganL’attrice italiana più premiata
za. Un’icona, insomma, che lascia tradi tutti i tempi – titolo che le è stato
Sophia Loren
sparire dalle forme statuarie, l’anima
attribuito dal Guinness dei Primadi una donna che ha amato e sofferto ma
ti, nel 2009 – muove i primi passi nel
mondo del cinema, nel 1950, come comparsa nel non ha mai rinunciato a essere se stessa.
È l’ultima star italiana, e della star conserva
kolossal “Quo Vadis”. È poco più che una ragazzina quando, ritornata a Roma in cerca di successo, il portamento e gli aristocratici lineamenti del volto
viene nominata “Miss Eleganza” nella competizio- in cui ancora si illuminano di profondi chiaroscuri
gli occhi di una donna che ha visto e vissuto molte
ne di “Miss Italia”.
Negli anni immediatamente successivi, la vite e che di molte vite ha raccontato pene e gioie.
Loren compare in numerose pellicole con lo pseu- Per questo continuiamo ad amarla e a riconoscerdonimo di Sophia Lazzaro, senza tuttavia conqui- ci in lei: il suo volto è il volto delle donne italiane,
stare realmente il pubblico. La svolta arriva qualche popolane dalla sensualità animalesca; signore raffianno più tardi, nel ’53, quando incontra l’uomo che nate che lasciano appena intravedere dietro un filo
– tra la sorpresa generale e le ironie degli addetti di perle il morbido arrotondamento dei seni; mogli
ai lavori – sarebbe diventato suo marito: il produt- e madri capaci di ricominciare a lottare anche dopo
tore Carlo Ponti, il quale, colpito dalle potenzialità brucianti sconfitte.
di Lorenzo Marinelli
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDÎ
SUOR ORSOLA
BENINCASA
FACOLTÀ
DI
GIURISPRUDENZA
CICLO DI
LEZIONI
MAGISTRALI
20092010
ANNO VI
IL DIRITTO
TRA UNIVERSALISMO
E PARTICOLARISMO
16
mar
PAOLO GROSSI
Il diritto tra universalismo e particolarismo
23
mar
STEFANO RODOTÀ
Lo spazio planetario e la tecnologia.
Una nuova dimensione dei diritti
30
mar
C. MASSIMO BIANCA
Il diritto tra universalismo e particolarismo:
categorie privatistiche e istanze di giustizia
sociale
13
apr
RODOLFO SACCO
Il diritto tra uniformazione e particolarismi
20
apr
CLAUDIO CONSOLO
Lo studio, la pratica e le radici del diritto
processuale civile nell’osmosi internazionale
27
apr
GIUSEPPE DE VERGOTTINI
Il dialogo transnazionale tra le Corti
L’unica facoltà
di Giurisprudenza
del Mezzogiorno
a numero
programmato
150 studenti
per saperne di più
www.unisob.na.it
idi
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con zioso
bi
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a
o
4
FRANCESCO PALAZZO
mag Il diritto penale tra universalismo
e particolarismo
11
GIUSEPPE MORBIDELLI
mag Diritto amministrativo tra universalismo
e particolarismo
18
UGO VILLANI
mag Valori comuni e rilevanza delle identità
nazionali e locali nel processo
d’integrazione europea
t
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SPORT
pagina
12
inchiostro n. 2 – 2010
Vent’annidopoMaradona
QuandoiconfinideltifovarcanoilSanPaolo
di Ernesto Mugione
Nel processo di ritorno al calcio che conta, il
Napoli vuole diventare grande anche in Europa. L’eco
della rimonta partenopea, fatta di quattordici risultati
utili consecutivi prima della sconfitta di Udine, è arrivato fino a Zurigo. La Fifa, infatti, ha celebrato qualche
mese fa la rinascita del club azzurro con un articolo sul
proprio sito ufficiale dal titolo: “Mazzarri guida la scalata del Napoli”. Ampio spazio è stato dato, ovviamente, al
ruolo del presidente De Laurentiis, “figura chiave nella rinascita dei partenopei”, secondo la Fifa. Dopo aver
riportato la squadra azzurra tra le big della serie A, il
patron sta lavorando all’internazionalizzazione del club.
Un progetto ambizioso e non privo di insidie. Il divario
da Inter e Milan, del resto, non è ancora colmato, figurarsi quello con le regine d’Europa.
La parola d’ordine a Castelvolturno è: “Programmazione”. Una crescita graduale ma costante che già
porta i suoi frutti. Ma che richiamo ha il Calcio Napoli
all’estero? Antonio Corbo, una delle firme di punta dello
sport di “Repubblica”, sostiene che «la forza del Napoli
è data dal suo nome che suscita nostalgia e suggestione
per gli immigrati che si identificano nel capoluogo campano. Napoli, in fondo, corrisponde al concetto di patria
ma con il fascino delle sue bellezze, della sua storia, della sua musica». Il Napoli all’estero, però, è ricordato soprattutto per gli anni maradoniani. «L’acquisto di Diego
fu una sorta di orgoglio municipalistico. In Spagna ci fu
una campagna mediatica discriminatoria nei confronti
degli azzurri perché venne fuori la notizia di un decreto
ingiuntivo del Comune ai danni del Calcio Napoli reo di
non aver pagato il fitto del campo. Il Barcellona chiese
perciò come per l’acquisto di Maradona dei los avalos
(garanzie, ndr) al banco di Bilbao. Nel nostro Paese,
escluso il Milan degli olandesi, solo la Juventus poteva
prendere un campione di quel calibro».
Il Napoli in Europa, comunque, significa soldi
anche per la Fifa. Basti pensare ai 60.000 spettatori fatti registrare un anno e mezzo fa per le partite di Intertoto. Ma per Corbo «il Napoli a livello europeo vale poco
o niente perché ha vinto solo una Coppa Uefa nell’89.
Le squadre forti sul campo internazionale sono quelle
che hanno tradizione e il Napoli non ne ha». Per questo
dovrebbe acquistare quanto meno prestigio. «Questa società sfrutta poco il marketing. Secondo Five, un’agenzia leader del settore, il Napoli è la quarta società in Italia, come bacino d’utenza, ad avere appeal all’estero. De
Laurentiis ha speso bene ma poco. Adesso vanno fatti
investimenti per dare alla società una struttura internazionale».
Il gap con il resto del mondo, dunque, è ancora ampio. Nel 2010 il rapporto annuale della Deloitte &
Touche sul mondo del calcio colloca il club al 6° posto in
Italia per fatturato e al 28° posto a livello europeo. «Nel
calcio moderno l’immagine che si dà è fondamentale.
Per ottemperare a questa filosofia del grandioso sono
proprio le spese apparentemente superflue a dare prestigio. Lo sviluppo dell’immagine societaria è il primo
passo verso l’internazionalizzazione. Ma questo non
rientra nella filosofia pragmatica e affarista di questo
Napoli». De Lauretiis ha comunque giocato un ruolo
importante nella rinascita del Napoli. «Adesso però bisogna capire se vuol fare il salto di qualità. Il futuro di
De Laurentiis lo leggo, però, nel suo passato. Lui fa bene
i cinepanettoni e tocca i suoi picchi con Verdone e Veronesi. Non è, dunque, un produttore di film di qualità o
di impegno internazionale. Ha trovato il suo equilibrio
nel cinema incassando molto di più di quanto spende.
E credo che questa filosofia d’impresa la utilizzerà pure
nel calcio. Vedremo dunque un Napoli nelle posizioni
medio/alte di classifica ma non in grado di competere
con le big. Per farlo occorrono investimenti produttivi».
I tifosi azzurri hanno comunque lasciato un
buon ricordo in Europa. «Si sono sempre comportati
bene, a dispetto di episodi di intolleranza in Italia. Ci
trattano con rispetto e i disordini di quest’estate a Londra non hanno scalfito l’immagine sana della tifoseria
azzurra». Ma i napoletani all’estero lamentano la scarsa attenzione del club partenopeo. «In questo il Napoli
dovrebbe imparare dalla Juventus che ha una struttura
apposita che cura i rapporti con i club sparsi per il mondo. Ma questo rientra nel discorso sull’immagine e di
quelle spese forse inutili che però danno prestigio».
Inapoletanid’oro
Peruginiallameta
di Marco Cavero
di Marco Borrillo
simbolo della napoletanità applicata allo sport.
Rosolino era appena nato quando, alle
Lo sportivo napoletano più rappresen- Olimpiadi di Mosca del 1980, un altro atleta
tativo di sempre? “Maradona”, potrebbe essere napoletano ha trovato la sua consacrazione.
la risposta. Ma, naturalmente, Maradona non Battendo in finale il sovietico Konakbayev, il
è napoletano. Chi sono i partenopei che sono ventenne Patrizio Oliva ha conquistato l’oro
nel pugilato, categoria superleggeri. Dopo il
entrati nella storia dei loro sport?
L’elenco è lunghissimo. Restiamo in trionfo olimpico il passaggio al professionismo e, in rapida successioambito calcistico, e troviane, titolo italiano, europeo
mo subito Fabio Cannavae mondiale, successi che
ro. Parliamo del capitano
hanno collocato Oliva tra
dell’Italia durante i campioi migliori pugili italiani di
nati mondiali del 2006, il
sempre.
giocatore che conta il magDai guantoni alle mani
gior numero di presenze in
nude. Sempre a Sidney un
assoluto nella storia della
ragazzo di Scampia si prenazionale, vincitore di un
senta con un palmarès di
Pallone d’Oro e del premio
tutto rispetto nonostante i
Fifa World Player.
suoi 24 anni e con un soSe nel calcio il tragno: regalare all’Italia il seguardo massimo è rapprecondo oro della sua storia
sentato dalla vittoria di un Fabio Cannavaro ai mondiali del 2006
nel judo. Pino Maddaloni
campionato del mondo, per
riesce nell’impresa e, non
qualunque altro sport non
c’è niente che possa eguagliare la gioia della contento, decide che qualcuno dovrà seguire
medaglia d’oro alle Olimpiadi. Napoli è città le sue orme. Apre così una palestra che oggi
di mare per antonomasia, inevitabile quindi permette a 1.200 ragazzi della periferia nord
partire dagli sport acquatici. Chi non ricorda di muovere i primi passi in uno sport poco difl’epopea dei fratelli Abbagnale? Leggendari fuso a Napoli.
Poi la scherma, disciplina storicamencanottieri, Carmine e Giuseppe, in compagnia
del timoniere Peppino di Capua, sono saliti te prodiga di medaglie per l’Italia. Nel 1996
sul gradino più alto del podio sia a Los Ange- ad Atlanta Sandro Cuomo, a 34 anni, vince il
les ’84 che a Seoul ’88. La bacheca di famiglia torneo di spada a squadre, titolo che mancava
può sfoggiare anche i tre ori di Agostino, il più da Roma ’60. E non saranno Olimpiadi, ma
giovane, vincitore a Seoul, ad Atlanta e a Sid- vale la pena citare un episodio: ai mondiali del
’98 la finale del torneo di sciabola vede conney.
Proprio nelle vasche di Sidney nasce la trapposti Raffaele Caserta e Luigi Tarantino.
stella di Massimiliano Rosolino. Padre napole- Entrambi napoletani, amici da sempre. Prima
tano e madre australiana, lascia tutti a bocca del punto decisivo si parlano e decidono di diaperta conquistando l’oro nei 200 metri misti videre a metà il premio finale. Per la cronaca,
con tanto di record olimpico. La simpatia e i vincerà Tarantino. La vera vincitrice però è stamodi stravaganti faranno di lui un personaggio ta Napoli, città di grandi sportivi.
certo senso obbligata. Non potevo rinunciare a
un’occasione tanto grande.
Chi vive lontano dai propri confini non Ma vivere fuori mi ha dato la possibilità di
dimentica la sua terra. Lo sa bene il pilone della guardare con occhio critico a ciò che avevo lanazionale azzurra di rugby Salvatore Perugini. sciato alle mie spalle. Mi sono reso conto anTotò, così è conosciuto nel suo ambiente, dal cora meglio dei nostri pregi e difetti. Insomma
2006 vive e gioca in Francia. Oggi è un gio- mi si è presentato un importante termine di
catore di rugby a 15 del club Aviron Bayon- paragone che mi ha permesso di mettere a
nais, della città di Bayonne. Prima di solcare fuoco il mio giudizio sulle nostre zone. E io ne
i campi francesi Perugini ha militato nelle file sono innamorato».
Come ci vedono all’estero, nel suo caso
dell’Aquila e del Calvisano, dove ha vinto una
Coppa Italia nella stagione 2003/2004 e uno in Francia?
«Ci sono stati momenti che hanno messcudetto l’anno successivo. Poi la chiamata del
prestigioso club di Tolosa e l’inizio della sua so in seria discussione la nostra immagine. Baavventura oltralpe. Un’esperienza costellata da sti pensare all’emergenza rifiuti: quelle immagrandi soddisfazioni, campione di Francia nel- gini hanno giustamente fatto il giro del mondo.
la stagione 2007/2008, accompagnata da un Hanno scosso le coscienze degli altri, di quelli
grande desiderio: tornare nella sua amata città. che non vivono lì, ma guardano e basta. Quello
Che rapporto ha con la sua terra d’ori- è stato un grosso colpo. Spesso ci vedono come
un popolo che vive male, indisciplinato. E sono
gine?
«Per molti anni ho vissuto a Santa gli stessi che sanno quante bellezze accolga la
Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. nostra terra ma quando passano, ad esempio
per Napoli, hanno paura,
La mia famiglia ora vive a
non scendono».
Pontelandolfo. Sono molto
Italia e Francia. Due nazioattaccato a questi luoghi e
ni molto simili ma spesso
conto di tornarci al termine
in rivalità. Cosa ne pensa?
della carriera.
«La zona di Tolosa e BaPenso che la cultura camyonne è eccezionale, ricca
pana mi abbia insegnato
di bellezze. Non posso che
tanto. Ovunque siamo coessere felice di vivere in
nosciuti per le bellezze naluoghi così suggestivi ma il
turali che ci circondano e
mio cuore è in Campania,
per la calorosità del nostro
dove voglio tornare appena
popolo. Abbiamo dei lati
possibile. La rivalità spesparticolari che ci rendono
so sottolineata tra Italia e
unici rispetto agli altri».
Francia credo sia un luoNel 2006 arriva il suo trago comune. Siamo popoli
sferimento al Tolosa. Persimili, magari entrambi
ché è andato via?
Salvatore Perugini
troppo orgogliosi. Loro sono
«Nella mia carriera si è presentata un’occasione d’oro. Mi ha voluto il convinti di essere migliori, noi lo stesso. Ma al
Tolosa che è il club di rugby più forte d’Eu- di là di una semplice connotazione caratteriale
ropa. La decisione di trasferirmi è stata in un non credo a questo antagonismo».