Febbraio 2014

Transcription

Febbraio 2014
Periodico mensile dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
Centro Studi Padre Flaminio Rocchi
Giorno del Ricordo 2004 - 2014
ANNO XIX | N.
2
FEBBRAIO 2014 | POSTE ITALIANE SpA | SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE | D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) ART. 1 COMMA 2 DCB - ROMA
Giorno del Ricordo,
10 anni di memoria condivisa
D
ieci anni addietro, nel
2004, veniva promulgata la legge istitutiva del Giorno del Ricordo, che dichiarava
il 10 Febbraio - giorno in cui
nel 1947 venne firmato a Parigi
il trattato di pace che assegnava
alla Jugoslavia di Tito l’Istria,
il Fiumano e Zara - solennità
civile nazionale: l’Art. 1 recita
infatti: «la Repubblica riconosce
il 10 febbraio quale “Giorno del
Ricordo” al fine di conservare e
rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le
vittime delle foibe, dell’esodo
dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa
vicenda del confine orientale».
Un traguardo raggiunto
grazie al tenace, strenuo lavoro
delle comunità degli Esuli che
nei decenni seguiti all’abbandono delle terre natali non hanno mai cessato di operare nella
direzione della conservazione
della memoria storica e della testimonianza di quanto accadde
nei territori
orientali nel
corso
della
seconda guerra mondiale
e successivamente: tragici eventi per
riconoscere i
quali si sono dovuti attendere
almeno sei decenni prima che,
cadute le pregiudiziali ideologiche e le convenienze politiche
che li avevano silenziati, venissero finalmente riconosciuti
dalla istituzioni e dall’opinione
pubblica.
Le associazioni dell’esodo
non hanno mai ritenuto il Giorno del Ricordo un traguardo, ma
un punto di partenza verso una
nuova stagione di perseveranza
e di impegno.
Il
decennale che ricorre
quest’anno
fornirà anche
l’occasione di
un bilancio,
ma la proiezione
del
ricordo è nel futuro, alla cui
dimensione tutta da colmare si
dovrà e si vorrà consegnare la
vera storia dell’antica italianità
adriatica.
p. c. h.
Regione Friuli Venezia Giulia,
un Consiglio straordinario per il decennale
del Giorno del Ricordo
«C
onvocare una seduta straordinaria del
Consiglio regionale per celebrare
in modo adeguato il decimo anniversario dell’istituzione del Giorno del Ricordo, che commemora
le vittime dei massacri delle foibe
e dell’esodo-giuliano dalmata, in
modo che quella del Friuli Venezia
Giulia diventi, di fatto, la seconda
celebrazione nazionale dopo quella che viene organizzata in Quirinale». L’istanza è stata presentata
dai consiglieri regionali del Friuli
Venezia Giulia per Forza Italia
Bruno Marini e Rodolfo Ziberna
(quest’ultimo vicepresidente nazionale Anvgd) nel corso di una
conferenza stampa convocata il 7
gennaio a Trieste, nella Sala Azzurra del Consiglio regionale. Ecco il
testo della mozione di richiesta.
«Il prossimo 10 febbraio si celebrerà la solennità nazionale del
Giorno del Ricordo, istituita con la
legge 30 marzo 2004 n. 92, di cui
ricorre il primo decennale e con
cui si commemorano le vittime
dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, nell’ambito
della complessa storia del confine
orientale. Il Friuli Venezia Giulia
senza dubbio è la regione che ha
ospitato il maggior numero di esuli
(circa 100 mila) dalla terre d’Istria,
Fiume e Dalmazia.
La legge istitutiva del Giorno
del Ricordo è stato un traguardo
importante, ma a esso devono seguirne altri, perché dobbiamo ancora combattere contro lo strisciante giustificazionismo che serpeggia
in alcuni circoscritti ambiti, per il
quale chi ieri negava esodo e foibe
oggi, non potendolo più fare, cerca di minimizzarne il dramma e di
considerarlo come una comprensibile e quasi giustificabile conseguenza del Ventennio fascista.
Il secondo fronte da combattere è ancora quello dell’ignoranza: solo un terzo dell’opinione
pubblica nazionale sa di che cosa
si parla, infatti, quando si fa riferimento a foibe ed esodo. Considerato il ruolo svolto dal Friuli
LA REDAZIONE RISPONDE
Subentro nei contratti d'affitto. Condizioni e norme.
A cura dell’Avv. Vipsania Andreicich 4
Venezia Giulia nell’accogliere gli
esuli giuliano-dalmati, ma anche
nello svolgere un’importante funzione di ponte con le realtà d’oltre
confine, e visto che quest’anno
la legge istitutiva del Giorno del
Ricordo traguarderà il suo primo
decennio, chiediamo la convocazione di una seduta straordinaria
del Consiglio regionale per celebrare in modo adeguato l’evento, al termine della tradizionale
manifestazione ufficiale presso la
Foiba di Basovizza».
d. a.
Esilio, «la memoria contro
la rassegnazione»
Nella ricorrenza del decennale del Giorno del Ricordo riteniamo di riprendere, per la sua
immutata attualità e per darne
maggiore visibilità, la prefazione di Clara Castelli al libro di
Myriam Andreatini Sfilli Flash
di una giovinezza vissuta tra
i cartoni, pubblicato nel 2000
Clara Castelli
segue a pagina 5
Il Collegio “Niccolò Tommaseo”
di Brindisi (1946-1951)
Storia, esperienze e testimonianze
L’Assemblea ordinaria della
“Libera Unione Muli del Tommaseo, tenutasi nel settembre
2013, ha rinnovato le cariche
sociali e il nuovo Direttivo per il
biennio 2013-2015, risultandone nuovo Segretario generale
l’ambasciatore Egone Ratzenberger, originario di Fiume. La
scelta di Brindisi quale sede del
Seminario sul confine orientale
2014 permette di riaprire un
capitolo, fra i molti, meno conosciuto della storia dell’esodo e
dell’approdo nella Penisola dei
profughi dalla Venezia Giulia,
ovvero dell’accoglienza in Puglia dei giovani in età scolare,
per i quali fu necessario apprestare un collegio, il “Niccolò
Tommaseo”, che nell’anteguerra
era stato Accademia Marinara
dell’Opera Nazionale Balilla.
Abbiamo dunque richiesto
all’ambasciatore Ratzenberger
una memoria di quegli anni
in cui fu ospite del “Tommaseo”, unitamente a centinaia
di giovani profughi per i quali quell’esperienza fu per tanti
versi indelebile e fondamentale.
F
orse a nome di tutti quei genitori che
all’indomani dell’esodo si
preoccupavano degli studi
dei loro figli e quindi del loro
futuro lascerei per un attimo
parlare mia madre: «Mi avevano detto che a Roma in via
Guidobaldo del Monte presso
piazza Euclide vi era un ufficio distaccato della Pubblica
Istruzione che si occupava di
collocare in un Collegio sito
a Brindisi i ragazzi profughi
giunti dai nostri territori. Sul
W Brindisi, così appare ai nostri giorni
la facciata dell’ex Collegio navale
mezzo pubblico che mi trasportava chiesi però di piazza
Oiclide, lasciando interdetti
bigliettaio e passeggeri finché
un anziano, probabilmente colto signore interpretò
correttamente la richiesta
fatta con pronuncia di stile
tedesco. E più tardi, un altro signore cortese preposto
all’ufficio surriferito chiese
che il ragazzo (ero io) partisse
immantinente per il Collegio dato che l’anno scolastico
era ben avanzato (eravamo a
febbraio) e fu così che mi riEgone Ratzenberger
segue alle pagine 12 e 13
Our Story deserves a Future
W Una suggestiva immagine del
monumento eretto sulla Foiba di
Basovizza
(foto www.sites.google.com)
In english language to page 14
Nuestra historia se merece el futuro
En lengua española en la página 15
2
Numero 2 | febbraio 2014
FATTI e COMMENTI
Referendum sul bilinguismo,
la tentazione nazionalistica della Croazia
N
on accenna ad attenuarsi il duro confronto tra le autorità di Zagabria e
gli ambienti nazionalisti croati
di Vukovar, città simbolo della
«guerra patriottica» degli anni
Novanta, nella quale le tabelle
bilingui croato-serbe sono state
ripetutamente infrante nei mesi
scorsi nel corso di manifestazioni e disordini, e dalla quale è
partito un referendum volto ad
abrogare il bilinguismo nei territori croati.
Dopo pochi mesi dall’en-
sandar Tolnauer, il deputato
della minoranza serba Milorad
Pupovac, il deputato della comunità nazionale bosgnacca
al Sabor e presidente del gruppo parlamentare delle etnie,
Nedžad Hodžić, e due giornalisti, Pierluigi Sabatti di Trieste
e Dario Saftich de “La Voce del
Popolo”. Dal confronto televisivo è emersa l’inquietudine delle
comunità nazionali minoritarie
rispetto alle risorgenti derive nazionalistiche. Ma bisogna anche
ricordare che i diritti assicurati
Q Vukovar, nazionalisti
croati intenti a
distruggere a
martellate una tabella
bilingue croatocirillico (foto www.
balkaninsight.com)
trata nell’Unione Europea della
Croazia, il Paese dà segnali preoccupanti di rinnovati rigurgiti
di intolleranza, organizzati e
indifferenti ai richiami del governo e dello stesso Presidente
Josipovic ai valori europei di democrazia e di convivenza. Come
se, a fronte di un percorso istituzionale di adesione alla «casa
comune» europea, sopravvivesse
nella società civile croata l’antica immaturità politica e ideologica, l’ostilità ipernazionalistica
contro minoranze e posizioni
che non rappresentino la presunta pura croaticità, intesa
come sacra e intangibile. Non a
caso, è stato osservato dai commentatori, il rigurgito di ostilità
e di violenza è ricomparso appena il governo di Zoran Milanovic ha proceduto all’applicazione del bilinguismo a Vukovar,
previsto dalla legge costituzionale sui diritti delle minoranze.
Di questo clima ha trattato in novembre la trasmissione
«Meridiani», diretta da Ezio
Giuricin, su Tv Capodistria, nel
corso della quale sono intervenuti il presidente dell’Unione
Italiana, deputato della Cni al
Sabor e presidente della Commissione parlamentare per le
minoranze nazionali, Furio Radin, il presidente della Giunta
esecutiva dell’Ui, Maurizio Tremul, il presidente del Consiglio
nazionale delle minoranze della
Repubblica di Croazia, Alek-
alle comunità minoritarie sono
stati argomento essenziale nelle trattative di adesione della
Croazia all’Ue, che ha valutato
la rispondenza agli standard comunitari.
Radin: situazione
in Croazia tesa
e pesante
F
urio Radin ha evidenziato come a questo riguardo la situazione in Croazia
sia tesa e pesante. Certo, ha aggiunto, la Comunità nazionale
italiana non è esposta a rischi
imminenti, i suoi diritti sono
definiti da trattati internazionali
e dagli statuti delle autonomie
locali e regionali, ma nell’opinione pubblica su riscontra un
diffuso clima ostile. E allarma la
raccolta di firme che da Vukovar è partita e si è conclusa per
giungere ad un referendum popolare inteso a limitare le libertà
fondamentali delle comunità
minoritarie, come il bilinguismo: il 16 dicembre il comitato
promotore ha consegnato al Sabor oltre 600 mila firme a fronte
della soglia minima di 450 mila
necessarie. Il quesito riguarda
anche l’uso pubblico delle lingue di tutte le minoranze nazionali presenti in Croazia, e intende elevare al 50% la percentuale
minima della popolazione di
minoranza presente in una città
per avere diritto al bilinguismo.
Il governo di centro-sinistra
di Milanovic ha ripetutamente ribadito di non condividere l’iniziativa e al cointempo
ha avviato una procedura per
emendare la Costituzione, con
l’obiettivo di impedire che i diritti delle minoranze sul territorio croato possano essere sottoposti a referendum nazionali.
A questo riguardo, da segnalare ancora che la municipalità di Parenzo ha negato ai
promotori della consultazione
popolare il permesso di allestire
su suolo pubblico gli stand per
la raccolta di firme a sostegno
dell’indizione del cosiddetto
«referendum sul cirillico». Il sindaco parentino Edi Štifanić ha
rivendicato l’elevato grado della
tutela dei diritti minoritari in
Istria e l’impegno profuso dalle
istituzioni cittadine per educare
alla tolleranza e alla multiculturalità e preservare le norme
statutarie che prevedono per la
Comunità nazionale italiana il
diritto al bilinguismo. Una presa di posizione importante, se si
tiene conto che la consultazione
referendaria si prefigge di modificare la norma sui diritti delle
minoranze, elevando al 50% la
soglia di popolazione minoritaria richiesta per introdurre il
bilinguismo nelle amministrazioni locali.
A Parenzo
la vicepresidente
del Consiglio
comunale:
no al vicesindaco
italiano
M
a proprio a Parenzo si
è verificato un episodio spiacevole, quando, nel corso
di una seduta del Consiglio cittadino, l’esponente dell’opposizione Maurizio Zennaro ha preso la
parola in italiano per stigmatizzare la presa di posizione della vicepresidente del Consiglio stesso,
Snježana Mekota, che su Facebook si era dichiarata contraria al
diritto della Cni di essere rappresentata da un vicesindaco italiano, considerando che a Parenzo i
connazionali superano a malapena il 3 p.c. della popolazione: «un
commento pieno di sarcasmo,
offensivo e ripugnante» lo ha
definito Zennaro mentre la vicepresidente Mekota ha successivamente ribadito la sua contrarietà
al principio alle “quote” previste
per le minoranze nazionali.
red.
Josipovic a Roma.
Le ferite della storia e le
prospettive europee
I
n visita ufficiale in Italia, la prima della massima carica istituzionale di Zagabria, dal 3 al 5 dicembre scorsi, il presidente
croato Ivo Josipović è stato ricevuto dal Capo dello Stato Giorgio
Napolitano e dal premier Enrico Letta. Nell’agenda dei colloqui anche un intervento al Senato con l’Ufficio di presidenza delle Commissioni congiunte III (Affari esteri ed emigrazione) e XIV (Politiche
europee) di Palazzo Madama, e III (Affari esteri) e XIV (Politiche
europeee) della Camera nel corso del quale Josipović è intervenuto
sul tema «La Croazia nell’Ue: nuove prospettive per l’Europa Sudorientale». Della delegazione faceva parte, tra gli altri, il deputato
della Comunità nazionale italiana al Sabor e presidente dell’Unione
Italiana, Furio Radin.
Il colloquio al Quirinale ha riguardato i rapporti bilaterali, la
collaborazione europea e regionale. Nel suo saluto all’ospite il presidente Napolitano ha ricordato come «Italia e Croazia guardano ai
rapporti bilaterali con grande
fiducia, avendo saputo scrivere
pagine nuove di vicinanza e amicizia e così superando un passato
tragico che, nel secolo scorso, ha
purtroppo portato ingiustizie
e sofferenze alle nostre popolazioni. Esse tuttavia sono sempre
rimaste, anche nei momenti di
maggiore tensione, indissolubilmente e profondamente legate da una comunanza di radici W Roma, la conferenza stampa
storiche e culturali che partono
congiunta dei due Presidenti
fin dall’antichità ed arrivano ai
(foto Presidenza della Repubblica)
giorni nostri. Oggi possiamo
rallegrarci del nuovo clima che le nostre giovani generazioni possono
respirare in Adriatico grazie alla ritrovata sintonia tra Croazia, Italia
e Slovenia».
Le minoranze nazionali, un valore
aggiunto
E
d ha proseguito: «la minoranza croata in Italia e quella italiana in Croazia rappresentano un inconfondibile valore aggiunto per lo sviluppo delle relazioni bilaterali tra i nostri due Paesi.
La frattura creatasi all’indomani della Seconda Guerra Mondiale tra
“Esuli”, “Rimasti” e cittadini croati è ormai rimarginata. In questo
spirito rinascono iniziative come il nuovo asilo italiano di Zara, grazie ad un sforzo comune delle Autorità italiane e croate, delle Comunità italiane e delle Associazioni degli Esuli. Si tratta di un esempio lungimirante della collaborazione tra i nostri due Paesi, sempre
memore delle lacerazioni del passato, ma profondamente rivolta al
futuro delle nuove generazioni».
Il Capo dello Stato italiano ha rievocato anche i Concerti del
luglio 2010 a Trieste e, «con grande emozione il magnifico incontro
e spettacolo del 3 settembre 2011 nell’Arena di Pola, che toccò i
cuori non solo dei tanti presenti ma di tutti coloro che sono legati a
quelle terre».
Dal canto suo Josipovic - come riferito dall’agenzia Hina - ha
confermato la volontà del suo Paese di «risolvere con successo le controversie del passato e di rivolgersi agli interessi comuni dell’Unione Europea e del Mediterraneo». «La Croazia e l’Italia sono partner importanti e il nostro governo ha cooperato bene, nei settori
dell’economia, della cultura e della cooperazione sulle questioni delle
minoranze - ha proseguito il presidente croato -. L’Italia è il primo
partner economico della Croazia e questo processo deve continuare
per superare i disaccordi e guarire le ferite del passato e sostenere i
valori della cultura europea e mediterranea».
In un’intervista all’Ansa del 4 dicembre, Josipovic ha affermato
come sia «ben noto che durante la seconda guerra mondiale la Croazia ha patito l’occupazione nazista, come è altrettanto ben noto come
alla fine del conflitto abbiano sofferto anche gli italiani che vivevano
in Istria, molti dei quali furono costretti a lasciare la loro terra sotto le
minacce del regime comunista di allora. Il presidente Napolitano ed
io - ha soggiunto - riconosciamo le sofferenze di entrambi i popoli».
p. c. h.
3
Numero 2 | febbraio 2014
CULTURA e LIBRI
La nuova
La Dalmazia,
presidente della un’entità ideale
e spirituale
Comunità
La Dalmazia in Europa.
Italiana
L’eredità storica e culturale dei
Dalmati italiani, un valore da
di Spalato
L
a Comunità Italiana
di Spalato ha recentemente rinnovato le sue cariche
sociali, ed ha aletto sua presidente Giovanna Asara Svalina,
vicepresidente è stata designata
Antonella Tudor Tomas. Il sodalizio è nato sul finire del 1994
ed associa anche connazionali di
Sebenico, mentre molto recente
è la costituzione della Comunità
Italiana di Lesina, della quale è
presidente Simeone Fio.
Della presenza italiana nella
città di Diocleziano ha trattato
Luciano Monzali nel suo libro
Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, recensito
nel 2010 su “la Voce del Popolo” da Ilaria Rocchi: «per secoli
multietnica e bilingue - abitata
da slavi dalmati, italiani, croati
e ebrei - che prima timidamente,
alla fine dell’impero asburgico, e
poi con violenza dopo la Seconda guerra mondiale - con l'esodo e sotto il regime comunista
- subirà una semplificazione e
un’omogeneizzazione nazionale,
sociale e culturale che ne modificherà drasticamente il volto e
le tradizioni. E uno degli aspetti
indubbiamente più dolorosi di
questa trasformazione/trasfigurazione - e dei tanti cambiamenti
intercorsi nel ’900, […]- sarà per
l’appunto la lenta “consunzione”
di una comunità, quella italiana,
che nel corso della bimillennaria
esistenza di Spalato era stata uno
dei gruppi nazionali che più profondamente hanno segnato la
storia della città».
Per questa ragione la soppressione nel 2013, da parte del
Ministero degli Esteri, del Consolato italiano ha colpito una
presenza minoritaria già grandemente esposta e quasi miracolosamente sopravvissuta a decenni
di regime titoista e di aggressivo
nazionalismo croato.
Il nuovo indirizzo mail della
Comunità spalatina è: [email protected]
non dimenticare, questo il titolo
dell’intervento di Marino Micich
(segretario generale della Società
di Studi Fiumani in Roma) pubblicato nel volume VI - Miscellanea degli Studi in onore di Augusto Sinagra edito nell’Ottobre
2013 da Aracne (Roma), pp. 648,
€ 33,00.
Del contributo di Micich pubblichiamo, per gentile concessione,
un significativo estratto.
Il 1300 fu un periodo avverso ai
Veneziani che persero numerose
battaglie contro il potente Regno d’Ungheria. […] Nel 1409
Venezia riuscì definitivamente a
imporre uno stabile dominio in
Dalmazia, acquistandola per centomila ducati d’oro da Ladislao I
d’Angiò. […] Dal XV secolo agli
inizi del XVIII secolo la storia
della regione dalmata rispecchiò
le vicende della resistenza contro
i Turchi ottomani, ma anche il
fiorente sviluppo della civiltà veneta e rinascimentale italiana che
influenzò fortemente la lingua e i
costumi. […] Tra gli artisti e gli
architetti dalmati italiani vanno
ricordati Giorgio Orsini da Sebenico, Simone Begna, Elio Lampidrio Cerva, Onofrio delle Cave
e i fratelli Laurana. Tra i letterati
[…]
Dalla fine della seconda guerra mondiale in Dalmazia non esiste più
la presenza statale italiana, che
invece era stata sancita dal Trattato di Rapallo del novembre 1920
con l’assegnazione all’Italia della
città di Zara, popolata da una
netta maggioranza di italiani, e
dell’isola di Lagosta. Rimangono, però, le indelebili tracce del
passato antico romano e soprattutto veneziano nella maggior
parte delle città costiere e dei
borghi dell’entroterra. […]
Dopo la caduta dell’Impero
romano d’occidente, la Dalmazia
fu invasa dagli Ostrogoti (452)
e successivamente nel 535 d.C.
la parte costiera fu riconquistata
dai Bizantini, guidati dall’Imperatore Giustiniano. Nel 600 d.C.
i centri dalmati più importanti
subirono distruzioni e saccheggi degli Avari federati con alcune tribù slave. Dal 640 in poi si
insediarono stabilmente in gran
parte della Dalmazia tribù croate
e serbe […], anche se nelle città costiere di Zara, Traù, Spalato, Almissa e Ragusa l’elemento
neolatino resisteva nonostante
le devastazioni degli Avari. Pur
pagando un alto prezzo in vite
umane i Dalmati latini riuscirono a riedificare i propri centri distrutti e quindi a dare continuità
alla cultura e civiltà latina dopo
quel lungo periodo di rivolgimenti epocali.
La storia medievale dalmata
dall’Ottocento all’anno Mille fu
caratterizzata dalla presenza dei
liberi comuni costieri in mano
alle popolazioni italiche (evoluzione dei neolatini), che si batterono sia contro i Croati, che
nell’825 fondarono un proprio
regno con capitale a Zaravecchia
(Biograd), sia contro gli Ungari e
i Veneziani. […] Nell’anno 1000
ci fu la memorabile spedizione
in Istria e in Dalmazia del Doge
Pietro Orseolo II, che con una
potente flotta pretese e ottenne la
dedizione delle città costiere. […]
W Zara, a destra della cartolina il
Teatro Verdi (foto www.tzzadar.hr)
X Spalato, 1944, partigiani
jugoslavi e civili croati ballano il
kolo lungo le Rive
(foto www.ratnakronikasplita.com)
e gli storici ricordiamo il grande
patriota Nicolò Tommaso, Pier
Alessandro Paravia, Carlo Tivaroni, Vitaliano Brunelli, Giuseppe Praga. […]. Validi contributi
alla ricerca scientifica furono dati
nel Seicento e Settecento dai matematici Marino Ghetaldi, Antonio Maria Lorgna e l’insigne
Giuseppe Ruggero Boscovich.
[…]
L’Austria, subentrata ormai
nello scacchiere adriatico a Venezia, dal 1820 al 1848, reclutò
dal Lombardo-Veneto funzionari
e impiegati da inviare agli uffici
governativi della Dalmazia, mentre l’etnia slava rimase ancora
senza una adeguata rappresentanza. Quando però nel 1848
scoppiarono i moti insurrezionali
antiaustriaci in Italia e in Ungheria, Vienna non poté non considerare gli Italiani con diffidenza.
Si ricordi che il famoso letterato,
nativo di Sebenico, Nicolò Tommaseo, con altri Dalmati, corse
in difesa di Venezia ribellatasi agli
Austriaci mentre i fratelli Seismit
Doda di Ragusa si batterono assieme ad altri Dalmati e Istriani
per la difesa ad oltranza della Repubblica romana.
A giovarsi di questa situazione furono i Croati che rimasero
fedeli a Vienna […] L’unità ideale degli Italiani dell’Adriatico
orientale sotto il mito di Venezia
in quegli anni era ancora viva,
ma tale aspirazione ad un certo
punto si rivolse ai Savoia, che intrapresero nel 1859 e nel 1866 le
vittoriose guerre d’indipendenza
contro l’Austria. […] per giunta
un lungo periodo di intimidazioni e violenze dagli Austriaci.
Proprio nel 1866 Vienna emanò per rappresaglia un’ordinanza
che limitava l’uso
pubblico dell’italiano e obbligava
i funzionari ad apprendere il croato;
inoltre, nel 1867 a
Zara fu introdotto lo studio del
croato nel Liceoginnasio cittadino. Nel 1868 ci
furono atti
di terrorismo contro alcuni
autonomisti dalmati e nel 1869
si verificò nel porto di Sebenico
il ferimento di ben 14 marinai
della regia nave
italiana Monzambano ad opera di
un gruppo terroristico croato.
Nel 1870 ci fu
il tentativo di bruciare il teatro Verdi di Zara, tempio
dell’arte e della
cultura italiana.
Dal 1870 al 1882
si realizzò in pieno il progetto austriaco in funzione anti-italiana,
poiché vennero gradualmente
rimossi i rappresentanti italiani
da molti Comuni, dalle scuole e
dalle chiese. […] Gli intellettuali
Vincenzo Duplancich e Arturo
Colautti, dovettero fuggire nella
penisola italiana, per sfuggire alle
persecuzioni e minacce croate.
[…]
Con l’approssimarsi della
prima guerra mondiale, la Dalmazia si trovò drammaticamente
a essere terra di frontiera nel senso più stretto del termine. […]
Va ricordato che i movimenti
jugoslavisti prima dello scoppio
della guerra erano già stati molto
espliciti avendo votato, nel 1905
a Fiume e nel 1906 a Zara, due
Risoluzioni in funzione anti-italiana. […] Un certo numero di
Dalmati si arruolò, disertando,
nell’esercito italiano, tra i volontari si distinsero Nicolò Luxar-
do di Zara e Franco Rismondo
di Spalato. Altri Dalmati fuoriusciti in Italia, come Roberto
Ghiglianovich, Antonio Cippico
e Alessandro Dudan, si prodigarono dando vita a un’attività
diplomatica tesa a controbattere
le tesi e le simpatie che il «Comitato jugoslavo» aveva riscosso nel
frattempo in alcuni importanti
circoli politici ed economici francesi, inglesi e addirittura italiani.
Alla fine di ottobre del 1918
la guerra era praticamente terminata, il 31 ottobre a Zara si verificò la destituzione delle autorità
austriache e l’assunzione del potere da parte della rappresentanza elettiva italiana. […] Da quel
momento ebbe inizio un contenzioso tra l’Italia e il Regno dei
Serbi, Croati e Sloveni (che ancora non si chiamava Jugoslavia)
che coinvolse per alcuni anni le
cancellerie delle grandi potenze e
che è passato alla storia col nome
di «Questione Adriatica». […]
Nel luglio del 1920 a Spalato
furono uccisi da terroristi slavi il
comandante della regia nave Puglia Tommaso Gulli e il motorista Aldo Rossi e furono distrutte
le insegne e le vetrine dei negozi
italiani. Tale grave fatto portò
alle manifestazioni triestine che
culminarono poi nell’incendio
del Narodni dom sloveno presso
l’Hotel Balkan, ma l’antefatto
spalatino viene sempre omesso
da una certa storiografia di parte, che assegna le colpe degli incidenti di frontiera sempre solo
esclusivamente alla parte italiana,
dimenticando le responsabilità
da parte slava. […]
È noto che il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 definì le nuove frontiere jugoslave,
ma tale atto scontentò le aspirazioni di molti italiani, in quanto Fiume venne dichiarata Stato
Libero e l’intera Dalmazia, eccettuate Zara e la piccola isola di Lagosta, come ricordato in apertura
di questo saggio, fu consegnata
agli Jugoslavi. […] Allo scoppio
della Seconda guerra mondiale,
Zara, unica enclave etnicamente
e politicamente italiana in territorio dalmata, si trovò in prima
linea.
Dopo l’attacco italiano della
Jugoslavia monarchica che iniziò il 6 aprile 1941, la Dalmazia
fu annessa nella quasi totalità
all’Italia. Ai Croati dello Stato indipendente, sorto dopo la caduta
della Jugoslavia e capeggiato da
Ante Pavelić furono lasciate, con
una decisione poco lungimirante
da parte italiana, solo alcune ristrette fasce costiere. […] Dopo
la resa italiana proclamata l’8 settembre 1943 e il completo «disorientamento» dei vertici del Regno d’Italia, le conseguenze sulla
popolazione italiana dalmata fu-
continua ►
4
rono gravissime. Zara fu bombardata dagli anglo-americani
ben 53 volte, pur non essendo un
obiettivo militare particolarmente importante. Oltre 2.000 i civili
uccisi da quelle incursioni, volute
da Tito per estirpare l’ultimo segno di italianità dalmata. […]
Il 31 ottobre 1944 Zara fu
occupata dai partigiani jugoslavi e per gli Italiani, identificati
arbitrariamente con il fascismo,
rimase solo la fuga e l’esodo,
ma molti rimasero vittima dalla dura repressione comunista,
tra cui ricordo in particolare gli
industriali produttori del maraschino Pietro e Nicolò Luxardo.
Dalla fine di ottobre del 1944,
dopo quasi duemila anni di storia, iniziò il declino definitivo
della presenza dei Dalmati di
lingua e cultura italiana in Dalmazia. […] Oltre 300, nella sola
Zara, tra fucilati nelle cave di
bauxite e di pietra, annegati in
mare e infoibati (foiba di Chevina vicino Traù). Al posto di
tutelare un popolo, che aveva
pur patito gli orrori della guerra e le ingiustizie della politica,
la risposta del regime di Tito fu
la repressione, il divieto di istruzione nella lingua italiana, l’abolizione delle autonomie locali e
di ogni forma di libertà, l’esproprio delle attività economiche…
in poche parole furono applicati
quasi tutti i postulati della «pulizia etnica».
[…] La Dalmazia non è solo
un territorio europeo bagnato
dal Mare Adriatico e che l’Italia
ha perso dopo la seconda guerra
mondiale; è soprattutto un’entità
ideale e spirituale, ricca di valori
che non possono essere dimenticati in quanto testimonianza diretta della nostra comune civiltà
italiana. […]
[…]Oggi in Dalmazia sopravvivono circa 500 italiani organizzati in comunità nazionali
presenti a Zara, Spalato, Lesina
e a Ragusa. Esiste perfino una
comunità nella Dalmazia montenegrina. Si tratta di un segnale
importante e che l’Italia di oggi
deve saper cogliere nell’ambito
del processo di unificazione europeo […].
Marino Micich
Abbazia
e la «riviera
austriaca».
Quando
l’Europa
scoprì il mare
Adriatico
Una mostra nel Museo di
Vienna illustra lo sviluppo
del turismo d’élite in Istria
e in Dalmazia
«Q
uando i treni cominciarono a correre su un percorso ferroviario
recentemente completato tra
Vienna e il porto di Trieste a
metà del XIX secolo, la regione
adriatica dell’impero austriaco
venne a trovarsi a più breve distanza dalla capitale. La ridotta
durata del viaggio dette avvio
ad una sequela di iniziative turistiche in Istria e in Dalmazia,
incoraggiate dai medici che elogiavano il clima salubre del litorale, cosicché molti esponenti della dinastia degli Asburgo
vollero costruirsi lungo la costa
dimore e ville.
Abbazia per prima divenne
località di villeggiatura, seguita
da Porto Rose, Lovran e Lussino nel più tardo XIX secolo.
Vennero posti
in essere una
strategia d’indirizzo nello sviluppo
urbanistico
e un sostegno finanziario dedicato
allo sviluppo
di alberghi,
passeggiate,
centri
termali, edifici
rappresentativi, mentre gli artisti viennesi
trovarono nei spettacolari paesaggi costieri spunti e motivi
interessanti».
La presentazione al pubblico della Mostra La Riviera
austriaca. Vienna scopre il mare
(Österreichische Riviera. Wien
entdeckt das Meer Sonderausstellung) inaugurata il 14 novembre 2013 e aperta sino al
30 marzo 2014 nelle sale del
Museo di Vienna, richiama
quell’età d’oro del turismo d’élite tra Ottocento e primi decenni del Novecento che “scoprì”
le meravigliose e incomparabili
bellezze della regione istriana
e dalmata e le preziose qualità
terapeutiche del suo mediterraneo clima marino. Il soggiorno
sulle riviere istriane e dalmate
venne rapidamente di moda
attraendo presto ospiti da ogni
parte d’Europa e modificando,
con il senso estetico del tempo,
l’aspetto urbanistico e architettonico di molte cittadine rivierasche.
Abbazia, l’intuizione
del fiumano
Iginio Scarpa
S
i deve tuttavia al patrizio fiumano Iginio
Scarpa l’intuizione delle potenzialità ancora inespresse dalla
riviera istriana, quando nel
1844 fece costruire ad Abbazia, in memoria della consorte
defunta, la Villa Angiolina che
presto divenne un riferimento della migliore società del
tempo, e finanche della fami-
glia imperiale. Un’evoluzione,
quella del turismo sulla costa
adriatica orientale, che si avvalse dagli anni Ottanta di quel
secolo di significativi interventi
nel settore dei trasporti, ferroviari e marittimi, con i rinforzi
dei porti di Trieste e di Fiume
e nuovi, regolari collegamenti
verso le isole e le città costiere
istituiti dalle compagnie di navigazione. Attratti dai benefici
terapeutici dell’acqua e dell’aria
di mare, dal clima mite e dagli
splendidi paesaggi, ospiti di
ogni provenienza scoprirono le
meraviglie delle isole quarnerine e dalmate, dalle quali furono
grandi estimatori anche artisti
di grido, come i pittori Emil
Jakob Schindler, Albin Egger e
Egon Schiele.
Q La home page del sito
del Museo di Vienna,
che nella presentazione
della Mostra riproduce
tutta una bella
serie di locandine
pubblicitarie d’epoca
austro-ungarica,
contraddistinte dalla
denominazione
italiana dei luoghi,
come, in questo caso,
di Lesina
Brancati
e il «devoto
pellegrinaggio»
A
bbazia, tra le mete
preferite, nel giro di
20 anni si trasformò radicalmente da piccolo centro di
pescatori a località turistica
di primissimo ordine, grazie
allo sviluppo di progetti larga
scala nel settore dell’edilizia
alberghiera e della costruzione
di stabilimenti marini. Ancora
negli anni Venti e Trenta del
secolo scorso non cessava di
trasmettere il suo fascino intatto a nuovi estimatori, tra
i quali, per restare nel campo
dell’arte, dallo scrittore siciliano Vitaliano Brancati, che
dall’elegante cittadina rivierasca, dov’era giunto nell’agosto del 1937 «come per un
devoto pellegrinaggio», inviò
alla rivista di Leo Longanesi
“Omnibus” un réportage assai
godibile: «Questi luoghi [...],
già li ho visti diventare sacri
a Catania, nella severa e triste
religione degli scapoli meridionali [...] - scriveva Brancati
-. Luoghi santi, dunque, quelli
di Abbazia. Il mio amico catanese Paolo T. trascorre venti
giorni di tutti i mesi di agosto su questa spiaggia adriatica [...]. Venti giorni: ma i sei
mesi, che seguono l’agosto,
si passano facilmente raccontando quello ch’è avvenuto
nei venti giorni fortunati. [...]
Così passano sei mesi. Gli altri cinque vengono dedicati a
mettere da parte il denaro per
Numero 2 | febbraio 2014
il viaggio, e due a preparare il
guardaroba. Singolari fogge di
vestiti entrano nella casa del
mio amico, ove la madre, togliendoli dal braccio del commesso, spalanca gli occhi in silenzio come all’arrivo di strani
forestieri [...]».
E di «nostalgia eterna per
l’Adriatico» ha scritto, recensendo la mostra viennese, il
“Salzburger Nachrichten”, cui
ha fatto eco il “Kronen Zeitung” «La storia, che è anche
storia culturale, può essere
divertente e stimolante, può
risvegliare il fascino dei luoghi del desiderio»; e ancora il
“Kleine Zeitung”, quotidiano
della Carinzia: «Il Wien Museum ci permette di sentire il
suono del mare. Una mostra
colorata ci racconta della scoperta del mare Adriatico come
“riviera austriaca”». Elegante
e curato il catalogo dell’esposizione, che si avvale di una
serie di contributi storici,
dedicati prevalentemente alla
nascita e all’evoluzione del
costume e del turismo, salvo
tre dedicati al sorgere dei conflitti etnici e nazionali, uno
a emancipazione e conflitti nazionali in Dalmazia (di
Aleksandar Jakir), l’altro alle
tensioni nazionali in Istria (di
Andrea Gottmans) e il terzo agli studi etnologi di quei
territori nel 1900 (di Branka
Vojnović Traživuk).
p. c. h.
LA REDAZIONE RISPONDE
Subentro
nei contratti
d’affitto.
Condizioni e
norme.
A cura dell’Avv.
Vipsania Andreicich
Vivo con mio padre, che è molto malato, in un appartamento di
residenza pubblica a Bologna. Tale
alloggio fu assegnato ai miei genitori nel 1972. Desideravo sapere se
dopo la morte di mio padre potrò
continuare a rimanere nella casa
dove ora abito con lui, il cui contratto di affitto è stato sin dall’inizio
intestato solo a nome di mio padre.
Lettera firmata
L
a disciplina che riguarda
il subentro nei contratti
d’affitto degli immobili di residenza pubblica, assegnati alle persone
aventi diritto, tra cui la categoria
dei profughi giuliano-dalmati, è
attualmente di competenza delle
legislazione regionale. Ciò significa che ogni Regione può emanare
una legge valida sul territorio che
disciplini la regolamentazione degli immobili di residenza pubblica
e quindi anche le regole da applicare nel caso di richiesta di subentro
nei contratti di affitto.
Le condizioni
per subentrare
nella titolarità
L
a competenza regionale,
relativamente a tale materia, era stata stabilita con la Legge
457 del 1978, la quale aveva anche previsto che le leggi regionali
dovevano comunque adeguarsi a
dei criteri generali che sarebbero
stati stabiliti dal Comitato Interministeriale per la Programmazio-
ne Economica (Cipe).
La direttiva Cipe è stata applicata dalla Regione Emilia Romagna, in relazione alla disciplina
del subentro, all’art. 27 della Legge 8 settembre 2001 n. 24 il quale
dispone che: i componenti del
nucleo familiare, purché stabilmente conviventi con la persona
assegnataria dell’immobile, subentrano di diritto nella titolarità
del contratto di locazione in caso
di decesso ovvero di abbandono
dell’alloggio. Hanno il diritto di
subentro in particolare i componenti originari del nucleo familiare nonché coloro che ne siano
venuti a far parte per ampliamento del nucleo familiare stesso, a
seguito di sopravvenienza di figli,
matrimonio o stabile convivenza, o accoglienza nell’abitazione
degli ascendenti o degli affini in
linea ascendente, ovvero per affidamento stabilito con provvedimento giudiziario.
Riguardo alla stabile convivenza la legge prevede delle precise condizioni affinché si possa
avere l’ampliamento della composizione del nucleo familiare ed
esse sono:
1.la convivenza instaurata con
carattere di stabilità e finalizzata alla reciproca assistenza
morale e materiale (convivenza
more uxorio);
2.l’avvio della convivenza deve
essere comunicato al Comune,
il quale verifica la continuità e
la stabilità della convivenza per
un periodo di almeno quattro
anni;
3.la modifica della composizione
del nucleo avente diritto deve
essere autorizzata dal Comune a seguito delle verifica della
convivenza continua e stabile
per almeno quattro anni.
Criteri normativi
È
inoltre previsto che nel
caso di decesso dell’assegnatario prima della decorrenza
5
◄
dalla prima pagina
ESILIO, «LA MEMORIA
CONTRO LA
RASSEGNAZIONE»
da Alcione Editore, il racconto
autobiografico
dell’infanzia
da profuga cresciuta nei gelidi
ambienti dell’ex manifattura
tabacchi di Firenze, il convento Sant’Orsola. Nella prefazione l’autrice, esule fiumana già
docente di Storia dell’Europa
Orientale nell’Università “la
Sapienza” di Roma, indaga e
definisce l’essenza della condizione di esule e le dinamiche
interiori che l’esilio origina
nell’anima di coloro che hanno dovuto attraversare la linea
del termine di quattro anni,
il Comune può concedere al
convivente il subentro, in presenza di particolari condizioni
di bisogno oggettivamente accertate.
Alla luce di quanto stabilito
dalla legge regionale dell’Emilia Romagna possiamo trarre il
principio generale dell’onere di
informare il Comune o l’ente
che gestisce gli immobili occupati, di tutti gli ampliamenti
del nucleo familiare e solo dopo
che siano trascorsi quattro anni
dal giorno in cui tale ampliamento è stato riconosciuto si
potrà, nel caso di decesso o di
abbandono da parte del titolare
del contratto di locazione, subentrare nel contratto al posto
del conduttore originario che
aveva ottenuto l’assegnazione
dell’appartamento.
Ritengo inoltre rilevante
segnalare un’importante disposizione della Legge Regionale
della Sicilia (L.R. 22 marzo
1963 n. 26) la quale all’art. 6
dispone che nel caso in cui il titolare del contratto di locazione
avesse fatto domanda di cessione in proprietà, i discendenti
entro il terzo grado, il coniuge
e gli ascendenti conviventi possono confermare tale domanda
e subentrare nei diritti spettanti
al de cuius, ma ciò deve avvenire entro il termine perentorio
di 30 giorni.
Gli esempi che ho riportato riguardano solo le regioni
indicate, ma tutte le regioni
hanno formulato delle leggi ad
hoc con precisi termini di decadenza di cui bisogna avere esatta conoscenza per non rischiare
di perdere i diritti previsti dalle
leggi stesse. Non potendo qui
riportare tutte le differenti disposizioni regionali che disciplinano la materia degli alloggi
di residenza pubblica, ritengo
utile però invitare i lettori a
prendere conoscenza dei regolamenti stessi.
d’ombra della perdita.
Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto una città sparire lasciando
un poco
un abbraccio di lumi dell’aria torbida
sospesa.
Giuseppe Ungaretti, Silenzio
(da Il porto sepolto)
N
el suo celebre quanto discusso libro Il secolo breve
1914-1991: l’era dei grandi cataclismi lo storico inglese Eric J. Hobsbawn osserva come la perdita della
memoria storica sia uno dei segni
distintivi del secolo trascorso. «La
distruzione del passato, o meglio, la
distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei
contemporanei a quella delle generazioni precedenti è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani
degli ultimi anni del Novecento. La
maggior parte dei giovani alla fine
del secolo è cresciuta in una sorta
di presente permanente nel quale
manca ogni rapporto organico con
il passato storico del tempo in cui
essi vivono».
Nel caso della vicenda storica
dell’esodo forzato della popolazione
giuliana dopo il 1945 l’abrasione
storica è stata un’operazione politica quasi organizzata a tavolino, sin
dal momento del suo compiersi.
Troppi erano gli interessi in gioco.
La perdita del ricordo di quella tragedia che ha coinvolto trecentocinquantamila di nazionalità, lingua e
sentimenti italiani abitanti l’Istria e
la Venezia Giulia diventava garanzia
e recupero dell’innocenza storica di
un intricato coacervo di forze politiche: da parte italiana e jugoslava
oltre a quelle delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale.
Questo indotto silenzio della storia
ha coperto per troppo tempo una
vicenda collettiva impastata con il
dolore di ogni vita coinvolta.
Quelle esistenze estinte per
sempre nelle foibe, o disperse in
ogni angolo dell’orbe terracqueo,
nel vuoto degli antichi e caldi legami di sangue e di amicizie. A quelle
vite disperse è stato sottratto il terreno di trasmissione della memoria,
costituito dall’integrazione naturale
nel luogo natio, nella famiglia d’origine, nella dimensione collettiva e
materna del gruppo, nella consolazione del cimitero. Depauperate di
quei meccanismi, funzionanti come
via di fuga dalla sconfitta, hanno abbracciato la solitudine rifugiandosi
nella condizione di vittime. Hanno
subito il destino dei vinti cui si nega
anche il diritto della connessione interiore di presente e passato.
È per questo che una memoria
come quella di Myriam Andreatini
Sfilli assume il valore di un frammento di quella verità non ancora
analizzata nella sua totalità. È uno
scorcio di esistenze ferite dalla storia, tracciati di vite ammassate da
un fantasioso e bislacco destino in
un campo profughi, quella «manifattura tabacchi in disuso nota a Fi-
renze con il nome di Sant’Orsola»,
uno dei tanti rifugi per i fuggiaschi
giuliani sparsi per l’Italia, antri di
emarginazione in cui posare la propria instabilità e il proprio sradicamento. L’originalità di questo libro
sta nella rarità delle testimonianze
dirette sulla vita nei campi profughi.
Credo che non ne esistano molte
così organicamente concepite.
Si è detto che esistono due tipi
di esilio: quello con le lacrime e
quello senza le lacrime. I nostri non
sono stati gli esilii dorati di scrittori
vezzeggiati come Thomas Mann o
Aleksandr Solzenicyn. Né gli esilii
di intellettuali alla Joseph Roth o
alla Stefan Zweig abbacinati dalla
consapevolezza dei meccanismi di
disfacimento del «mondo di ieri». I
nostri sono stati gli esilii di poveri
Cristi buttati nella discarica della
storia. A noi appartenevano le lacrime. Le lacrime amare del rimpianto e della lacerazione esistenziale,
della consapevolezza di un finito
per sempre, della certezza del nonritorno.
In quel campo profughi fiorentino, simbolo di tutte le «Sant’Orsole» del mondo, si acquartierarono alla rinfusa esistenze sradicate,
destini marginali, genti dalle storie
asciutte, stringate, solitudini smarrite. Gente che dietro precari muri
di cartone celava l’aspirazione all’innesto, la speranza di futuri imprevedibili, gli spasmi della nostalgia.
«Il rischio maggiore per l’esiliato è
di ritrovarsi prigioniero della nostalgia», ha scritto Luis Sepúlveda. La
nostalgia, questo roditore che arma
la memoria contro la rassegnazione,
questo ancoraggio al passato senza
proiezioni, è la compagna perenne
dell’esulità. La finestra con uno scoglio, un lembo di mare e un pino,
dipinta sulla parete di cartone che
ingabbiava una giovinezza confusa
rappresentò per Myriam la via di
fuga da una realtà distante e incomprensibile, il rifugio in cui catturare
i ricordi, il confine ideale tracciato
tra la sicurezza e la precarietà.
Il mare è l’archetipo della nostra nostalgia, la particella elementare che ci lega a quella nostra Itaca
dove per noi non c’è più «approdo».
Se si chiedesse a ogni nostro esule
qual è l’essenza della Terra abbandonata, risponderebbe «il mare».
Quel mare scoglioso dell’Adriatico
orientale, lungo le cui rive si dipanano lambenti i pini, le querce
nane, i lauri. Eppure quella falsa
finestra marosa dipinta da Myriam
diventa il parapetto della vita, il filtro del brusio del mondo, la sfida
alla continuità dell’esistenza. Attraverso quel pertugio immaginario
passano tutte le tappe del nostro
esodo: la difficoltà di dare esistenzialità al proprio sradicamento; una
quotidianità avvilita e plumbea, che
toglie persino il piacere di farsi un
bagno; la reticente vergogna, sentita
come colpa, della diversità; la dissociazione della coscienza fino alla
rottura dell’equilibrio psichico; le
discriminazioni all’esterno, fatte di
imbarazzato disdegno o di aperta
Numero 2 | febbraio 2014
ostilità fino al lancio dell’epiteto di
«fascista» o quello di «zingari provenienti dalla Jugoslavia»; la spasmodica aspirazione alla normalità. [Un
esilio che si dispiega in altri esilii
come in una scatola cinese. L’esilio
di Nency, che ha il colore negro del
suicidio e nell’autodistruzione trova
il suo “ritorno”. L’esilio nell’esilio
del figlio della Rosina, cui la “patria”
non sa o non può offrire attracchi
costringendolo ad ancorare la propria esistenza nell’ignoto dei “nuovi
mondi” d’oltremare.
L’esilio amaro del ritorno nella
terra natia occupata per sempre da
protervi vincitori. Un acquitrino
melmoso di destini affogati nella
storia che non sanno chiedere «perché?». Eppure una risposta affiora
dalla semplicità del pensare di Non-
na Rosa: «il fascismo e la sua scellerata guerra sono state le cause della
nostra rovina, del nostro esilio, dello smembramento della nostra famiglia». Affermazione senza replica.
Un dramma che ha trovato la
sua soluzione nella lenta e dolorosa
immersione del profugo nell’ambiente che non sempre volenterosamente lo ha accolto, nella conciliazione con un presente talvolta
sospeso. «Ma ogni ombra in fondo
è anche figlia della luce e solo chi
ha potuto sperimentare tenebra e
chiarità, guerra e pace, ascesa e decadenza può dire di avere veramente vissuto», ha detto Stefan Zweig.
E noi profughi dalla Venezia Giulia
possiamo dire di «avere veramente
vissuto».
Clara Castelli
L’Austria in pressing
su Zagabria per le restituzioni
dei beni espropriati
«Q
ualcosa si muove a Zagabria sul fronte della restituzione
ai cittadini stranieri dei beni nazionalizzati o confiscati
all’epoca del regime comunista jugoslavo». Così la notizia su “la Voce
del Popolo” del 10 dicembre 2013 relativamente alle pressioni esercitate dall’Austria sulla Croazia affinché proceda nell’approvazione di
una normativa che preveda la restituzione ai cittadini austriaci dei beni
nazionalizzati dal regime di Tito.
La delicata questione è stata
oggetto dei colloqui del presidente
del Sabor, Josip Leko, con la presidente del Parlamento austriaco,
Barbara Prammer. Nel corso della
conferenza stampa che ne è seguita il
presidente del Parlamento croato ha
riferito essere allo studio a Zagabria
le modifiche da apportare alla legislazione perché venga introdotto il
principio del risarcimento per i beni W Abbazia, palazzi del XIX secolo
(foto www.skyscrapercity.com)
nazionalizzati o confiscati nei decenni del regime comunista jugoslavo.
Molto chiara la dichiarazione della presidente Barbara Prammer,
che ha rimarcato che «quando si tratta della restituzione dei beni la
cosa più importante è che sia fatta giustizia e che si proceda in maniera leale e corretta».
«È il principio della non discriminazione nei confronti dei cittadini stranieri che dovrebbe essere l’elemento di fondo delle modifiche
alla legge sul risarcimento per i beni nazionalizzati o confiscati all’epoca del regime comunista jugoslavo, alle quali le autorità croate stanno
lavorando ormai da parecchi anni». commenta sul quotidiano di Fiume Dario Saftich.
La questione interessa anche gli italiani
L
a questione interessa molto da vicino anche i cittadini italiani
nonché quelli di altri Paesi. Il nuovo dispositivo, che dovrebbe
essere approvato dal Sabor, dovrà recepire la sentenza emessa nell’ultimo scorcio degli anni Novanta dalla Corte costituzionale croata, che
chiedeva al Parlamento di emendare la normativa allora vigente al fine
di consentire ai non croati di riavere i beni nazionalizzati, oppure, in
alternativa, di poter accedere ad un risarcimento. Tuttavia, i governi
succedutisi dagli anni Novanta si sono ripetutamente premurati di
chiarire che la restituzione potrà riferirsi esclusivamente a quei casi
non coperti da trattati bilaterali. Con chiari riferimento all’Italia, al
trattato di pace del 1947 e di Osimo del 1975 e di Roma del 1983.
Le domande di restituzione inoltrate da cittadini di diversi Paesi
dal 1991, anno in cui la Croazia ottenne l’indipendenza da Belgrado,
sono complessivamente 4.211, mentre gli italiani che hanno avviato
la pratica entro il 2003 sono 1034, seguiti dagli austriaci (676 ), da
cittadini israeliani (175).
6
Ritrovate
le ultime
lettere di
Nazario Sauro
Q Pirano, Teatro
Giuseppe Tartini,
entusiasti gli
applausi al
termine della
rappresentazione
del musical
civile di Simone
Cristicchi
(dalla pagina uff.
le Facebook di
«Magazzino 18»)
Pubblicate nel volume del
nipote Romano Nazario
Sauro, storia di un
marinaio
C
ome in certi romanzi, alcune lettere
inedite custodite in una
cassaforte murata dietro un
divano-letto e rimaste ignote sino ai nostri giorni sono
state casualmente rinvenute
e raccontano agli stupefatti
contemporanei dettagli e
vicende ignote di un grande
protagonista dell’irredentismo e della Grande Guerra.
Si tratta di due missive che
il figlio Libero e che Nazario Sauro aveva consegnato
all’amico Silvio Stringari
nel maggio 1915 perché le
recapitasse alla moglie e al
figlio, quasi fossero un testamento. In effetti, vennero consegnate alla famiglia
nell’agosto 1916, prima che
i suoi famigliari apprendes-
W Nazario Sauro con alcuni
commilitoni istriani a Venezia nel
1916 (foto www.ilpiccolo.it)
sero dai giornali veneziani
dell’esecuzione già avvenuta due settimane prima.
Ora, le lettere insieme
con un’ampia e diversa documentazione sono confluite nel corposo volume di
Romano Sauro, nipote di
Nazario e ammiraglio della Marina militare, dal titolo Nazario Sauro, storia
di un marinaio edito da La
Musa Talia (Venezia). «Il
libro è il risultato dei dieci
anni trascorsi a scavare in
numerosi archivi, ad ascoltare le testimonianze indirette di chi aveva avuto in
quale modo a che fare con
mio nonno o con altri suoi
commilitoni, a mettere in
ordine e a restaurare un
gran numero di fotografie
di famiglia», ha spiegato
Romano Sauro nel corso
della presentazione svoltasi
lo scorso dicembre presso la
Lega Navale di Trieste con
lo storico Bruno F. CrevatiSelvaggi.
Numero 2 | febbraio 2014
«Magazzino 18» in Istria e a Roma.
Entusiasmo e commozione
C
onsensi entusiastici e
minacce, apprezzamenti unanimi da parte della critica
musicale e atti di vandalismo:
«Magazzino 18», il musical
civile di Simone Cristicchi, è
diventato un’opera di culto e
al contempo il bersaglio degli
estremismi nazionalistici di
quanti non vogliono riconoscere il volto della storia. Dal
trionfo di Trieste alle intimidazioni subite dall’équipe del
musicista a Pola - tappa del
tour che prevedeva anche Pirano, Umago l’11 e Buie il 12
dicembre -, dove il Partito socialista dei lavoratori - un raggruppamento di ridotto peso
politico - si è mosso per denunciare i «pericoli» dello spettacolo. Secondo gli esponenti di
quel partito, Cristicchi avrebbe scritto «un recital nel quale
gli jugoslavi vengono definiti
come violenti usurpatori dei
beni abbandonati dagli optanti
dell’Istria e della Dalmazia», e
per di più realizzato grazie alla
forte sponsorizzazione della
lobby degli esuli, con evidenti intendimenti irredentistici
e revisionistici. Insomma, la
vecchia e logora e ormai ridicola propaganda titoista contro
il diritto alla libertà di conoscere e di raccontare la storia
così come si è vissuta. Il Partito socialista dei lavoratori è
giunto finanche a richiedere la
proibizione dello spettacolo e,
rivolgendosi alla Comunità Italiana, le ha chiesto di spiegare
chi abbia interesse a ospitare e
un evento «che gli schieramenti
fascisti potrebbero usare per i
loro loschi fini».
Bisogna tuttavia anche registrare l’attenzione che Radio
Pola ha dedicato al musicista
romano, del quale ha trasmesso un’ampia intervista replicata
una seconda volta su richiesta
degli ascoltatori.
Il debutto a Pirano
E
ra gremito il Teatro Tartini di Pirano, prima tappa
del tour istriano di «Magazzino
18»: un’emozione splendida ha
toccato e acceso il pubblico di
connazionali accorso ad assistere,
ti». «Il Paese se ne disinteressò,
considerando quegli eventi funesti
come un problema esclusivamente
locale. Così proprio non era, una
parte del suo territorio fu recisa,
una fetta consistente dei suoi abitanti - figli di quella terra - lasciò
la regione e riparò nella penisola,
Q Il musicista tra le suppellettili del
Magazzino 18 del porto vecchio
di Trieste (foto www.iteatri.re.it)
X Roma, Sala Umberto, 17
dicembre, un autentico trionfo
per la “prima” di Cristicchi
la sera del 9 dicembre, ad una rappresentazione inedita dell’esodo e
della separazione di un’intera collettività tra esuli e non. «Quegli accadimenti - ha commentato su “la
Voce del Popolo” dell’11 dicembre
2013 Kristjan Knez -, i drammi
vissuti e la fine di un popolo lungo
i lidi orientali dell’Adriatico - che
da quel momento in poi si ridusse a sparuta minoranza, quasi una
reliquia, ma con un cuore ancora
pulsante - furono colpiti da una
sorta di ostracismo e accantona-
una presenza e una cultura inscindibilmente legate ad essa furono
spazzate».
«Si ricordano le foibe - così
descrive Knez la trama del musical -, la carneficina di Vergarolla,
la figura del chirurgo Geppino
Micheletti che, pur avendo perso i
suoi due figli in quella che doveva
essere una tranquilla giornata agostana al mare, continuò a prestare
la sua opera di soccorso, l’esodo
straziante da Pola, con i chiodi
che mancano per formare le casse
in cui riporre gli averi che prenderanno il mare, il “Toscana”,
la cui sirena “sembra il lamento
di un capodoglio”, la dura realtà dei campi profughi, la piccola
Marinella morta assiderata a un
anno d’età nella gelida Padriciano, la difficoltà dell’inserimento
nell’Italia ancora pesantemente
provata, la nostalgia per la terra
natia abbandonata». «Un “foresto” è venuto da noi a proporci il
racconto della nostra gente. E ci
siamo commossi».
Soddisfatto e toccato dall’accoglienza lo stesso Cristicchi:
«Alla fine della rappresentazione
mi sono fermato a parlare col
pubblico, e ho capito che il mio
lavoro è stato inteso come un
modo diverso di raccontare la
storia. Sono anche rimasto stupito dal fatto che tanti, soprattutto
giovani, mi hanno raccontato che
non sapevano niente della strage
di Vergarolla, o ignoravano l’esistenza di figure come quella di
Giuseppe Micheletti».
A Pola,
con qualche
tensione rientrata
Q
ualche preoccupazione
a Pola, dove alla vigilia
della rappresentazione, il 10 di-
cembre, alcune notizie riferivano di manifesti di contestazione
affissi per la città e di atti vandalici sui mezzi di trasporto della
troupe, in entrambi i casi ridimensionati sia dai diretti interessati, sia dagli esponenti della
Comunità degli Italiani. Qualche locandina “ritoccata” con
espressioni ingiuriose, come ha
successivamente riferito lo stesso Cristicchi, e un pneumatico
parzialmente tagliato, forme
queste di colpevole intolleranza
peraltro del tutto sopravanzate
dal trionfo ottenuto nel salone
degli spettacoli della Comunità
degli Italiani. «Qui a Pola hanno imbrattato alcuni manifesti
scrivendoci “spettacolo per fascisti” senza averlo mai visto:
non è giusto, ma va bene così»,
ha liquidato la questione il musicista, festeggiato dal pubblico
di connazionali e di esuli provenienti da alcune città italiane. «Mi hanno detto che adesso
il mio compito è di fare il loro
ambasciatore in Italia. Mi hanno
detto: racconti la nostra storia al
resto del Paese, faccia conoscere
a tutti quelli che non le conoscono le nostre vicissitudini...
Un impegno non da poco, ma a
questo punto anche un dovere».
7
A Roma.
«Io sono lo spirito
delle loro
masserizie»
U
n successo anche la “prima” romana, il 17 dicembre presso la Sala Umberto
nella centralissima Via della Mercede (repliche sino al 22), accorsa
anche una nutrita rappresentanza
di esuli giuliano-dalmati residenti
nella Capitale. Una vera standing
ovation ha siglato la prémiere nella
gremitissima sala del Teatro capitolino. E non poteva essere altrimenti, vista la profonda carica emotiva
dello spettacolo: «Sono venuto a
cercare mio padre in una specie di cimitero, tra masserizie abbandonate e
mille facce in bianco e nero. Tracce di
gente spazzata via da un uragano del
destino, quel che rimane di un esodo
ora riposa in questo magazzino» è il
testo della canzone con la quale il
musical civile si chiude.
Il Magazzino 18 dell’ex Porto di Trieste, è rievocato anche
con l’ausilio delle immagini elaborate da Valentina Zagovich, un
insieme di sedie e tavoli ed armadi accatastati, fotografie ingiallite
e storie di vite sospese, abbandonate per non essere più rivendicate. E la scena di chiusura è ben
suggestiva: l’attore ripone sul
palco, una ad una, le sedie vuote,
un tempo posate davanti le porte
delle case, divenute ormai simboli del vuoto lasciato da chi non
può più rendere testimonianza.
Per sollecitare a non dimenticare.
Ma la Cnj:
«Cacciatelo dall’Anpi»
G
iunge invece scontato
l’anatema della Cnj,
associazione filo-jugoslava, che
avrebbe raccolto molte adesioni
di partigiani e loro eredi per invitare l’Anpi ad espellere Cristicchi
perché alimenterebbe «a livello
mediatico e diffusivo a mezzo web
una propaganda politica antipartigiana». Peraltro, il quotidiano il
manifesto ha recensito lo spettacolo, dapprima con forte carica critica, successivamente stemperando i toni, infine apprezzando lo
spettacolo. «La tessera - chiarisce
Cristicchi al riguardo - mi è stata
donata dall’Anpi stessa nel 2010
come attestato si riconoscenza per
lo spettacolo con il Coro dei Minatori di Santa Fiora».
«La polemica e gli attacchi
di alcuni sedicenti “antifascisti” e
“difensori della democrazia” - ha
dichiarato al quotidiano romano
“Il Tempo” - non mi colpiscono
più di tanto. Da artista libero,
sono ormai abituato agli attacchi
di chi non vuol vedere i chiaroscuri della storia. Con “Magazzino 18” penso di aver fatto il mio
dovere di artista, raccontando una
pagina dolorosa e poco nota, e
aver reso agli esuli istriani fiumani
e dalmati ciò che spettava loro da
60 anni. La dignità della memoria
d. a.
Numero 2 | febbraio 2014
DAI COMITATI
Comitato di
Bologna
La presentazione de L’Isola
che non c’è
Benvenuti e la sua Istria
duri seguiti all’esilio, il campione
ha considerato come un evento
doloroso (la perdita di tutto, l’esilio), si sia trasformato in un’opportunità. Proprio a Bologna ha
trovato l’opportunità di crescere
era una volta Isola, nella sua disciplina sportiva, inanzi, per essere più contrando persone significative. I
precisi Isola d’Istria, una picco- duri allenamenti lo hanno portala cittadina che si protendeva to ai livelli che tutti conosciamo.
sull’Adriatico: casette ordinate, «Sono stato fortunato» ha detto
il Duomo del XVI secolo, una diverse volte Benvenuti, ripercorbella piazza. Quando ancora era rendo alcune tappe salienti della
Italia, qui è nato il grande pugi- sua carriera.
Bologna ancora si ricorda del
le Nino Benvenuti. Isola adesso
si chiama Izola ed è in Slovenia. campione olimpico e lo ha accolAlla fine della seconda Guerra to con molto affetto. Tra gli ascolMondiale, Benvenuti se n’è an- tatori numerosi i suoi fan che
dato, come la maggior parte degli hanno richiesto autografi e foto
italiani, ma non ha dimenticato. ricordo che forse non conoscePassati i settant’anni, ha pensato vano le origini del pugile. Adesso
di raccontare questa parte della sanno che viene da Isola, Isola che
sua vita, quella prima dei successi non c’è più, ma che Benvenuti
internazionali, in un libro intito- porta sempre nel cuore.
Pagina dopo pagina si snodalato L’Isola che non c’è. Il mio esodo
dall’Istria scritto con Mauro Gri- no i ricordi più intimi e dolorosi
maldi (Libreria Sportiva Eraclea). del campione. Per una volta le
Sabato 23 novembre, nella sue imprese sportive rimangono
Sala Marco Biagi, in via S. Ste- sullo sfondo (le troviamo nella
fano, a Bologna, a cura del Co- seconda parte). In primo piano
mitato provinciale Anvgd, di ci sono l’uomo, la famiglia, la
fronte ad un pubblico numeroso, sua città e le vicende politiche
il libro è stato presentato dagli che hanno attraversato l’Istria
dopo la fine della
seconda guerra
mondiale. C’è
Nino con i fratelli Eliano, Alfio, Dario e la
sorellina Mariella. Ci sono i suoi
genitori: il papà,
commerciante di
pesce a Trieste, e
la mamma casalinga. Una vita fatta di piccole
cose e il calore di una famiglia
unita: «La sera, tutti intorno al
camino, riprendevamo a fantasticare di fronte a un piatto di
patate in tecia, una ricetta della
nostra tradizione». Qui sono le
sue radici: «Isola era
il mare azzurro. La
gente forte. I volti
dei pescatori bruciati dalla salsedine.
L’odore acre del sudore, dopo una giornata di pesca. Gli
sguardi curiosi dei
bambini sul molo. I
miei sogni di bambino iniziano e finiscono qui, in questo
W Bologna, momenti della presentazione del
piccolo borgo di pelibro di Nino Benvenuti
scatori di una terra
autori. Ha introdotto Marino Se- contesa e martoriata».
Dopo l’otto settembre del
gnan, presidente del Comitato,
1943,
tutto cambia. L’Istria, liricordando come Venezia Giulia,
Istria e Dalmazia abbiano dato i berata dai nazisti, è occupata
natali a numerose personalità an- dall’esercito di Tito e, qualche
anno dopo, annessa alla Federache del mondo sportivo.
«Isola è stata la mia palestra, tiva Jugoslava. Iniziano le persesportiva e di vita. È qui che ho cuzioni, gli espropri, gli arresti di
iniziato a tirare pugni. Non a innocenti. Molti abbandonano
fare boxe, ma a tirare pugni» ha la loro terra per trasferirsi nella
raccontato Nino Benvenuti. Ri- vicina Trieste spesso guardati con
cordando le sue origini, e gli anni sospetto dagli italiani stessi. Tut-
C’
to questo viene raccontato nelle
pagine de L’Isola che non c’è. Il resoconto della carriera pugilistica
si ferma alle Olimpiadi del 1960,
con la vittoria di Nino Benvenuti
sul russo Yuri Radonyak. Un successo che ha un sapore particolare e che all’epoca significò molto
di più di un incontro di pugilato
e di un titolo, seppure olimpico:
«Quel giorno sul ring avevo mille
motivi per vincere e l’ho fatto. Tra
le urla del pubblico, la gente che
mi abbracciava, ho visto scorrere, in un attimo, il film della mia
vita. L’arresto di mio fratello. Le
coste dell’Istria che si allontanavano. I miei amici scomparsi. Il
volto di mia madre. Si, avevo un
po’ di conti da regolare…».
Il volume, iniziativa promossa dal Comitato provinciale bolognese è stato presentato sabato
23 novembre nella Sala Marco
Biagi, via S. Stefano 119, a Bologna, alla presenza degli autori.
Nella ricorrenza dei defunti,
inoltre, il Comitato ha curato la
celebrazione di una Messa, celebrata dall’assistente spirituale
della comunità degli esuli in Bologna mons. Lino Goriup, e il 14
dicembre un concerto di Natale
della Corale San Michele in Bosco - Anvgd.
***
Comitato di Genova
La partecipazione
all’incontro di Recco
A
Recco, ridente cittadina
della Riviera genovese di
Levante, si è svolto il 7 dicembre
il rituale appuntamento per la
scambio dei doni tra i fiumani.
E l’abbiamo scoperta una nipote orgogliosa delle proprie radici fiumane: Simona Schiaffino,
arrivata dalla vicina Camogli e
nipote della nostra Insegnante
Natalìa Descovich. E per restare
in campo marittimo, era anche
presente al pranzo Paolo Persich,
nipote del Comandante Giulio
Zagabria, nato a Fianona d’Istria
e diplomato a 25 anni nell’Accademia Nautica di Fiume, allora
Corpo Separato dell’Ungheria.
Tra gli altri presenti al San
Nicolò recchese, il vertice Anvgd
della Liguria tra cui il prof. Claudio Eva, Emerico Radmann e
Fulvio Mohoratz, il dott. Sandro
Pellegrini, emerito storico giuliano e ligure, e Rudy Demark, che
ha guidato i cori dei canti dialettali dei nostri tempi.
Qualcuno amaramente ha
ricordato il San Nicolò 1945
quando a Fiume tutti gli studenti
fecero «oculize» per festeggiare il 6
dicembre allora che la guerra era
finita, e quel gesto di libertà venne
interpretato come sciopero reazionario contro l’interesse del Popolo Lavoratore. Per tale motivo gli
operai del Cantiere intervennero
con spranghe di ferro per cacciare
gli studenti a fare il loro dovere.
Fortunatamente non furono usate
le spranghe di ferro, e dal “Vinas”
e nel Campetto dei Tre Pini sopra
Santa Caterina - dove una moltitudine di ragazze e di ragazzi festeggiavano San Nicolò al suono
della fisarmonica - la festa ebbe
termine pacificamente.
Per altri malcapitati studenti,
che si erano recati a giocare le boccine al Caffè Panciera in Viale Camice Nere o nel Bar sopra la Gelateria Fontanella in Piazza Regina
Elena, le cose andarono peggio.
rudi decleva
***
Comitato di Imperia
La memoria si rinnova
A
Sanremo gli esuli della
Venezia Giulia e della
Dalmazia hanno festeggiato il 15
dicembre 2013 i loro Patroni su
iniziativa del Comitato di Imperia, guidato da Pietro Chersola.
San Tommaso e tutti i Patroni
delle comunità che componevano la provincia istriana, sono
stati commemorati nel corso
della S. Messa celebrata presso la
Chiesa dei Padri Cappuccini di
Sanremo.
«Una celebrazione a ringraziamento della loro intercessione
presso il Signore - ha dichiarato
Luciano Damiani, vicepresidente provinciale dell’Anvgd -, che
ha concesso agli esuli una vita
dignitosa e ricca di nuovi affetti
e amicizie». «Gli esuli sono stati la conseguenza del trattato di
pace firmato nel 1947 a conclusione di una inutile sanguinosa
guerra, per cui l’Italia dovette
cedere alla Jugoslavia i territori
dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia. La popolazione dovette
optare se mantenere la cittadinanza italiana oppure no: coloro che furono favorevoli dovettero abbandonare tutto, terre,
case, aziende, chiese, cimiteri e
monumenti, che da millenni
facevano parte della Nazione
e cultura romana, veneziana e
quindi italiana, e rientrare nei
nuovi confini dello Stato Italiano. Furono coinvolte 350.000
persone, corrispondenti al 90%
della popolazione di cultura
italiana. Esse vennero accolte
in parte in Italia, ma molte si
sparsero in vari Stati del mondo,
che accettarono di ospitarli». «È
impegno dell’Associazione - ha
concluso Damiani - mantenere
vivo il ricordo di eventi che hanno pesato in modo rilevante sul
popolo italiano e che oggi, con
scelte non condivisibili fatte dai
nostri Governi, vengono spesso
dimenticati e sminuiti nei loro
valori e valenze sociali».
continua ►
8
Comitato di Latina
Due immagini per la storia
dell’esodo nel capoluogo
pontino
I
l presidente del Comitato
pontino, Benito Pavazza,
ci invia due fotografie d’epoca,
che ritraggono gli esuli insediati
nel dopoguerra nel capoluogo
laziale. Le immagini, non datate,
appartengono alle figlie dell’ex
presidente dello stesso Comitato,
Livio Salvioli. Anche la fotografia
“fa” la storia, e con questa convinzione volentieri le pubblichiamo.
Forse qualcuno si riconoscerà?
della Regione litoraneo-montana
e di quella Istriana, del Comitato
provinciale di Roma dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia, dei due Consigli cittadini per la minoranza italiana».
Così ha presentato “la Voce
del Popolo” la performance artistico-teatrale proposta dal Comitato capitolino dell’Anvgd lo
scorso novembre, dal titolo «Dantescamente». Il 29 del mese nella
Chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine del capoluogo quarnerino e sabato 30 nella sede della Ci
di Pola, la performance, realizzata
su ideazione e progetto di Marco
Comitato di Torino
Esuli per Cristicchi
U
n nutrito gruppo di
Esuli, di simpatizzanti e di dirigenti del Comitato Anvgd ha assistito allo
spettacolo «Magazzino 18»
di Simone Cristicchi venerdì 15 novembre al Teatro “Il
Mulino” di Piossasco (Torino). La rappresentazione teatrale di Cristicchi racconta
la storia dei confini orientali,
la vicenda della popolazione
autoctona italiana, le persecuzioni delle quali fu vittima, le foibe e l’esodo, l’esilio
nei campi profughi, l’oggi ed
il domani.
Una rappresentazione che
ha soddisfatto ampiamente il
competente pubblico di esuli,
che hanno espresso la speranza
e l’auspicio di poterlo ospitare
anche a Torino al più presto,
per poter raccontare, ancora
una volta, una storia che oggi
da alcuni è ignorata o, ancor
peggio, negata o giustificata.
Le scuse agli Esuli
dell’amministrazione
comunale
P
W Le due immagini d’epoca
della comunità giuliano-dalmata
di Latina
***
Comitato di Roma
Fiume e Pola,
letture dantesche
«F
iume e Pola accomunate dal Sommo Poeta, citate nella sua Divina Commedia come terra che dell’Italia
“chiude, e i suoi termini bagna”.
Tutto grazie all’iniziativa che
vede il sostegno delle rispettive Comunità degli Italiani, del
Consolato Generale d’Italia a
Fiume, delle due Municipalità,
Occhipinti per la regia di Paolo
Pasquini si è animata dei dialoghi
di Maria Grazia Chiappori e Donatella Schürzel, mentre Matteo
Cirillo e Caty Barone hanno letto
brani del grande fiorentino.
La performance artistico-teatrale è stata dunque accompagnata dall’illustrazione di passaggi
rilevanti tratti da diversi canti ed
è stata accompagnata dall’esposizione di rari cimeli filatelici.
L’evento, già presentato a Roma,
ha lo scopo di sottolineare e valorizzare aspetti meno noti della
biografia e dell’opera dantesca,
soprattutto per ciò che la lega
alla storia delle genti dell’Istria,
di Fiume, e della Dalmazia.
ossibilmente ignorati, se
nel caso calpestati o anche peggio. Questo è ancora il
destino dei diritti degli Esuli, cittadini italiani nati su suolo italiano, anche se la pubblica amministrazione da anni, troppi oramai,
ignora quanto sancito dalla legge
dello Stato italiano, la n. 54 del
15 febbraio 1989. Tant’è che
molti Esuli girano da anni con la
fotocopia in tasca per fare valere
i loro diritti.
A Torino stanno arrivando a
tutti in queste settimane le scuse
dell’amministrazione comunale,
rea di aver inviato la Tares a cittadini mai nati in Montenegro,
Serbia, Kosovo ed altro ancora.
Grazie all’intervento del Comitato Anvgd sono arrivate le
scuse e la correzione, sempre tardiva... Ma avremo modo di approfondire ancora la questione
in vista delle celebrazioni del 10
Febbraio.
Ricordiamo cosa prevede
la Legge 54 del 1989: «L’art.1
della Legge 15.02.1989, n. 54,
prevede che tutte le pubbliche
amministrazioni «nel rilasciare
attestazioni, dichiarazioni, documenti in genere a cittadini
italiani nati in Comuni già sotto
la sovranità italiana ed oggi compresi nei territori ceduti ad altri
Stati, ai sensi del trattato di pace
con le potenze alleate ed associate, hanno l’obbligo di riportare
unicamente il nome italiano del
Comune di nascita, senza alcun
riferimento allo Stato cui attualmente appartiene».
L’art.2 della stessa legge prevede, altresì, che le pubbliche
amministrazioni «hanno l’obbligo, anche su richiesta orale dello
stesso cittadino, di adeguare il
documento alle norme della pre-
Numero 2 | febbraio 2014
sente legge». Ricordiamo inoltre
la normativa italiana punisce
l’ignoranza. Anche quella dello
stesso Stato.
***
Comitato di Udine
Chi ricorda il campo
profughi di via Pradamano?
A
nche quest’anno si è
celebrato a Udine, il
15 dicembre, il Natale dell’esule. La cerimonia religiosa è stata
officiata da mons. Ottavio Bonfio nell’Oratorio della Purità,
fino alla fine dei loro giorni. Per
qualcuno che è morto, don Tarcisio ha dovuto celebrarne con
affetto il funerale. In città chi si
ricorda di questo popolo dell’esodo?
La risposta è di quelle che
piace a don Tarcisio, perché una
scuola di Udine si è ricordata
dei primi bombardamenti subiti
da Zara nel novembre 1943. È
dello scorso 15 novembre, infatti, l’anteprima del Laboratorio di Storia dell’Istituto Statale
d’Istruzione Superiore “Bonaldo
Stringher”. L’incontro si svolto
nella stessa Udine nella sala del
Q Udine, il coro
del Centro
smistamento
profughi di Via
Pradamano in
una fotografia
del 1959 (foto
www.friulionline.
com)
accompagnato dall’“Aquileiensis
Chorus”, diretto dal maestro Ferdinando Dogareschi. È seguito
il pranzo sociale organizzato dal
Comitato di Udine, coronato da
un breve intrattenimento teatrale in dialetto istriano e dalmata,
grazie alla compagnia di Gianfranco Saletta, che ha messo in
scena «Xe più giorni che luganighe», uno spettacolo incentrato
sulla gastronomia di Friuli Venezia Giulia, Istria e Dalmazia.
Le testimonianze
T
ra gli esuli si è parlato anche dei campi profughi,
oltre che dell’esodo istriano. Nel
Centro di Smistamento Profughi di via Pradamano, attivo dal
1947 al 1960, passarono oltre
cento mila persone in fuga dalle
violenze titine, dopo la seconda
guerra mondiale. Si pensi che i
preti dell’esodo celebravano la
Messa dentro il Campo Profughi.
Erano figure come don Mario
Stefani, don Luigi Polano, don
Elio Comuzzo, don Abramo Freschi e don Leandro Comelli. Nella Cappella del Campo Profughi
di via Pradamano si tenevano le
funzioni religiose accompagnate dai canti delle donne di Pola,
della gente di Fiume e di Zara.
Organista e direttore del coro era
Angelo Larice (1913-1992). Era
stato costituito persino il coro
per le celebrazioni liturgiche del
Campo e, nell’archivio parrocchiale di San Pio X, si è trovata
una vecchia fotografia, del 1959,
che ritrae i coristi. Negli ultimi
decenni del Novecento altri preti
sono stati molto vicini al mondo
degli esuli riparati a Udine. Si
tratta di don Giulio Vidulich e
don Giovanni Nicolich.
Anche don Tarcisio Bordignon, parroco di San Pio X, ricorda alcuni di questi profughi
con piacere. «Gente brava che si
dava da fare - dice - e non stava
con le mani in mano». Devoti
alla «ciesa» e grandi lavoratori,
Museo Etnografico del Friuli.
«Abbiamo deciso di dedicare
tale appuntamento al 70.mo anniversario dei bombardamenti
su Zara - ha detto Anna Maria
Zilli, Dirigente scolastico dello
Stringher - per mantenere la memoria di tali eventi storici». Il 2
novembre 1943 ha avuto inizio,
infatti, il primo dei 54 bombardamenti angloamericani sulla città dalmata, allora appartenente al
Regno d’Italia. Per le distruzioni
subite è stata definita la «Dresda
dell’Adriatico».
Per tale occasione c’è stato come testimone d’eccezione
l’ing. Silvio Cattalini, esule da
Zara e presidente del Comitato
provinciale Anvgd. Cattalini ha
raccontato, in modo toccante, i
ricordi personali di quelle terribili giornate. «Il primo bombardamento - ha detto - ha provocato
163 morti e 270 feriti, oltre a
decine di case distrutte o danneggiate; molte persone stavano
riparate in un rifugio para-schegge… che impressione, ho visto
intere famiglie morte bruciate».
All’evento nel Museo Etnografico erano presenti anche l’ing.
Sergio Satti, esule da Pola e vice
presidente dell’Anvgd udinese
e il dott. Giorgio Gorlato, esule
da Degnano d’Istria. L’anteprima
è proseguita a cura dei professori
della scuola, con l’illustrazione del
progetto «Il ‘900 in Friuli Venezia
Giulia», che gode del contributo
della Fondazione Crup.
Altre iniziative del Laboratorio di Storia sono state predisposte a cura del referente, il prof.
Giancarlo Martina, come previsto per il giorno 8 febbraio 2014,
in occasione del Giorno del Ricordo, in riferimento all’esodo
istriano dalmato e su altri fatti vicini alla seconda guerra mondiale, come la Resistenza e la nascita
della Costituzione.
Elio Varutti
(articolo apparso anche su www.
friulionline.com 23 dicembre 2013
9
Numero 2 | febbraio 2014
Padova: il dialogo Anvgd - Anpi è possibile
D
ichiarava anni fa Giampaolo Pansa, in occasione della pubblicazione del suo
libro Prigionieri del silenzio: «La
storia non è un oggetto fabbricato una volta per tutte e da mettere sotto una campana di vetro».
Parole di un coraggioso uomo
di sinistra che toglieva il velo a
tabù fino ad allora non rimossi,
in quel caso la tragedia dei comunisti italiani sopravvissuti al
Goli Otok e al rientro in patria
costretti dal Pci al silenzio.
W Pola, febbraio 1947, camion con
le masserizie in fila per l’imbarco
sulla motonave “Toscana”
(foto Archivio Anvgd)
Scrivevo a giugno sulle pagine di questo stesso periodico
di un’esperienza vissuta dal mio
Comitato Anvgd di Padova,
quando la presidente Giacca
ed io, invitate in occasione del
Giorno del Ricordo ad una serata organizzata da una locale sede
dell’Anpi, inizialmente incredule, ascoltammo interventi che ci
toccarono il cuore riconoscendo
la verità del nostro dramma, verità da noi tenacemente rivendicata, ma in seno all’Anpi rivisitata
sempre in chiave giustificazionista. Fino a quella sera.
Per noi, personalmente,
quella sera uomini di buona volontà, dimostrarono capacità di
autocritica; in particolare il presidente regionale Anpi del Veneto,
prof. Maurizio Angelini, attraver-
Che fine farà
la Legge del
Ricordo dell’esodo
e delle foibe?
L’allarme lanciato dalla
Società di Studi Fiumani
D
i «nuove discriminazioni
contro gli esuli fiumani»
si legge nel comunicato stampa
emesso in questi giorni dalla Società di Studi Fiumani alla notizia
del rigetto da parte del Governo
Letta degli emendamenti presentati dal sen. Aldo Di Biagio (Lista
Civica Monti) e dall’on. Fabio
Rampelli (Fratelli d’Italia) a favore dell’Archivio Museo Storico di
Fiume, che come noto ha la sua
sede nel Quartiere Giuliano-Dalmata della Capitale..
so una sintesi storica delle foibe e
dell’esodo, giunse a riconoscere
l’errore di valutazione commesso
per decenni nei nostri confronti
e dichiarò che noi 350.000 eravamo italiani incolpevoli in fuga
dal regime autoritario di Tito.
Fu il primo seme gettato di
un dialogo tra Anvgd e Anpi di
Padova, continuato con altri incontri, segno di una volontà di
confrontarsi, fino a giungere al
convegno svoltosi in una sala del
Comune il 29 novembre 2013 e
intitolato Ci chiamavano fascisti,
ci chiamavano comunisti; siamo
italiani e crediamo nella Costituzione. Eravamo presenti tutti
noi che auspichiamo una nuova
prospettiva dialettica, in primis la
presidente Giacca, per l’Anpi la
presidente provinciale Rizzetto e
quello regionale Angelini, Mario
Grassi ed io del Comitato Anvgd
di Padova, il prof. Basalisco, esule
da Pola e socio Anpi.
Liberazione»; che i morti, sotto
la nuda terra, sono «tutti ugualmente degni di rispetto»; che a
noi che abbiamo abbandonato
la nostra terra «hanno insegnato
a saper non odiare, ma coltivare
memoria» perché ai giovani sia
di monito che «la follia omicida
scaturita dai totalitarismi sfrenati […] è orrore da qualsiasi parte provenga, orrore assoluto, e
la nostra potrà dirsi vera civiltà
e vera democrazia quando questo concetto sarà condiviso, per
comportava anche l’eliminazione
violenta di chi non condividesse
l’obiettivo».
Analogamente, l’eccidio di
migliaia di persone in maggioranza italiane con le foibe del
1943 e della primavera del ’45,
nonché con i campi di concentramento jugoslavi, era stato ricondotto dall’Anpi alla «reazione
inevitabile, magari violenta ed
eccessiva, ad altra violenza subìta
dai fascisti»; pur confermando
che la snazionalizzazione fasci-
roprio questa mutata
atmosfera di «colloquio
e di confronto» è stata messa in
risalto dalla presidente Rizzetto
nel suo intervento introduttivo.
A sua volta la presidente Giacca
ha evidenziato come sia avvenuto
che dal «guardarci in cagnesco» si
sia arrivati a darci la mano: perché
«rielaborare l’amor proprio senza
rinunciare a se stessi è arduo, ma
fa crescere e allarga l’orizzonte»,
mentre «la mancanza di dialogo
porta a chiusura sterile», perciò
occorre puntare su denominatori
comuni. E, citando due interventi del presidente onorario Toth,
ha ribadito che «tutti crediamo
nei valori di libertà e democrazia, valori su cui è fondata la
Costituzione, nata dalla lotta di
«La legge del Giorno del Ricordo - prosegue la nota - purtroppo stabilisce dall’anno scorso
contributi minimi di euro 35.000
all’Archivio Museo storico di Fiume della Società di Studi Fiumani.
Una legge che doveva sin dall’origine destinare euro 100.000. Fra
due anni non si sa che cosa verrà
ancora stabilito...probabilmente
l’azzeramento dei fondi.
[…] Tali emendamenti richiedevano un ripristino totale
dei fondi originari che sin dal
2008 non sono più quelli (o almeno parziale, come è stato chiesto al capo di gabinetto del ministro Bray dalla nostra Società
di Studi Fiumani per giungere
almeno a 60.000 Euro)».
Per fare qualche confronto, il
comunicato cita alcuni contributi
recentemente approvati dall’Esecutivo a favore di enti diversi: 1
milione e 476 mila euro destinati
dal Viminale all’Associazione na-
«L’errata
valutazione
del fenomeno
dell’esodo»
«M
«Coltivare memoria»
P
sta e l’invasione della Jugoslavia del ’41 restano «sanguinose
responsabilità», Angelini ha affermato che esse «non spiegano
perché vennero eliminati dagli
jugoslavi non solo fascisti, ma
anche antifascisti, membri del
Cln e a Fiume i dirigenti del
movimento autonomista […]
perché nell’Istria settentrionale
nell’estate ’45 vennero sciolte
autorevoli sezioni del Pci».
giungere al bene assoluto, la pace
attraverso la giustizia».
Il presidente regionale
dell’Anpi Angelini ha esordito
esprimendo la volontà di compiere un’opera di critica e di
autocritica dei testi che costituiscono la “vulgata” per le due
rispettive associazioni e attraverso un’ampia e insieme sintetica
relazione ha passato in rassegna
alcune tappe fondamentali della
nostra vicenda, partendo dalla
valorizzazione eccessiva del movimento di liberazione jugoslavo
da parte dell’Anpi, arrivato solo
negli ultimi anni a riconoscerne
la finalità rivoluzionaria di presa di un potere «dittatoriale che
zionale vittime civili di guerra; autorizzata anche la spesa di quattro
milioni di euro (di cui un milione
per l’anno 2013 e tre milioni per
l’anno 2014) quale contributo
per la prosecuzione dei lavori di
realizzazione della sede del Museo
nazionale dell’Ebraismo Italiano e
della Shoah e Museo della Shoah
a Ferrara, di cui alla legge 17 aprile 2003, n. 91; ben 2 milioni sono
stati inoltre destinati alle Anpi.
Ed ancora, il contributo in
favore del “Centro Pio Rajna” in
Roma (Centro di studi per la ricerca letteraria, linguistica e filologica)
per 1.500,000,00 euro in tre anni;
227 mila euro a beneficio dell’Associazione nazionale perseguitati
politici italiani antifascisti; 67.950
euro a favore dell’Associazione
nazionale combattenti e reduci; e
57.800 euro per la Federazione italiana Volontari della Libertà.
(fonte Società di Studi Fiumani
10 gennaio 2014)
W Partigiani jugoslavi nel 1945
(foto www.gore-ljudje.net)
X Il labaro del Tigr, presente ai
nostri giorni alle manifestazioni
dei filo-jugoslavi sloveni (foto
www.24ur.com)
olti di noi dell’antifascismo di sinistra», ha continuato Angelini,
«abbiamo ignorato colpevolmente in questi anni» la volontà del
partito comunista che egemonizzava il movimento di liberazione
jugoslavo di costruire una società
gestita in modo autoritario da un
partito unico; «abbiamo accettato colpevolmente l’equazione
anticomunismo = fascismo […]
facendo nostra la categoria del
nemico del popolo applicata anche ed antifascisti. L’analisi sbagliata» ebbe come conseguenza
«l’errata valutazione del fenomeno dell’esodo come la fuga di
fascisti giustamente repressi» o di
italiani vittime della propaganda
della Dc, ma la «coralità» del fenomeno, l’esodo pressoché totale
degli italiani, e anche di migliaia
di sloveni, dimostra che alla base
c’era il «rifiuto fondato di un regime autoritario e illiberale», di
persecuzioni religiose, di controlli polizieschi. Un confronto franco con gli esuli non può
prescindere dal «riconoscimento
di errori di valutazione e del dolore e della lacerazione irreparabile nella generazione che lo ha
continua ►
Strage di
Vergarolla,
Garavini «scoprire
la verità su questa
tragedia»
«D
opo decenni di silenzio qualcosa finalmente si sta muovendo per
fare luce sulla morte violenta
di decine di italiani a Pola
nell’estate del 1946. Apprezzo la disponibilità della viceministro agli Esteri ad istituire con urgenza, come da
me proposto insieme all'onorevole Ettore Rosato, una
commissione di esperti col
compito di chiarire le cause
di una delle più gravi stragi di
connazionali del dopoguer-
ra». Lo ha dichiarato poco
prima delle festività natalizie Laura Garavini, deputata
eletta nella Circoscrizione
Estero Europa, commentando la risposta della viceministro Marta Dassù ad una sua
interrogazione sull’eccidio di
Vergarolla.
«È molto positivo che ci
sia la disponibilità del Ministero a sostenere un progetto
scientifico da finanziarsi sulla
base della Convenzione triennale appena rinnovata fra il
Ministero dei beni e le attività culturali, il Ministero degli
Esteri, e la Federazione delle
Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati» ha aggiunto Garavini: «adesso bisogna passare ai fatti, facendo
tutto il possibile per scoprire
la verità su questa tragedia.
Lo dobbiamo alle vittime e ai
loro parenti».
10
subìto […] nonché della dignità
politica dell’esodo per quella ricerca di libertà in esso presente».
La parola d’ordine «morte al
fascismo, libertà ai popoli» dunque realizzò solo la prima metà,
non la seconda.
Dopo questa onesta autoanalisi, Angelini è passato ad
esaminare l’atteggiamento della pubblicistica degli esuli sulla
vicenda che ci riguarda e qui
ha espresso la critica sul giudizio espresso nel nostro mondo
sugli slavi, visti come «barbari
assetati di sangue» calati dopo
l’8 settembre 1943 a distruggere
il paese perfetto in cui vivevamo in un «rapporto pacifico di
convivenza». Tale lettura a suo
dire suona come un’assoluzione
del fascismo, colpevole invece
di aver accumulato l’odio, imponendo un «presupposto razzista» che negò dignità agli slavi,
impedendone la crescita sociale
e causando il rancore che esplose tragicamente alla fine della
guerra.
Anche il tema del mancato
o peggio ostile accoglimento degli esuli in Italia, per cui «noi di
sinistra dobbiamo chieder scusa
di quella viltà e quella volgarità», andrebbe integrato con il riconoscimento che si verificarono casi di accoglienza e umanità
anche in città governate dalla
sinistra, come Milano, Torino,
Venenzia e Bologna. Il grave errore fu nel dare «copertura ideologica all’ostilità per il profugo
fascista che veniva a portar via
il lavoro».
Il punto d’incontro possibile, nel rispetto delle memorie di
entrambe le associazioni, è per
Angelini nella comune appartenenza ad un’Italia costituzionale
e antifascista, come suggerito
dal titolo del dibattito.
L’unicità
della vicenda
giuliano-dalmata
N
el mio intervento esordendo ho sottolineato
che il nostro dialogo poteva essere agevolato dal fatto che noi
siamo i figli di quei padri che
hanno sofferto quella temperie
storica e quindi forse capaci di
parlarci con maggior pacatezza,
nel rispetto del dolore altrui, ma
anche con il presupposto intellettuale di una reciproca conoscenza. Ho scelto di analizzare
il tema della snazionalizzazione,
anzi delle snazionalizzazioni che
si sono susseguite nella storia
del confine orientale, cercando
di trasmettere la condizione anche psicologica di noi gente di
frontiera, abituata dagli eventi a
conoscere una realtà multietnica, multiculturale, ma anche ad
acquisire il senso della precarietà.
Abbiamo imparato soprattutto con Venezia il valore della
convivenza pacifica, interrotta
nella seconda metà dell’Otto-
cento dalla politica antitaliana e
filoslava dell’Austria, per i motivi a noi ben noti, che innescò lo
scontro etnico e ne ho elencato
gli interventi di snazionalizzazione in tutti i settori. Ho ricordato
la reazione all’armistizio del 1918
da parte di popolazioni slave inglobate nel Regno d’Italia, gli atti
terroristici del Tigr [acronimo
di Trst-Istra-Gorica-Reka, l’organizzazione clandestina rivoluzionaria attiva tra le due guerre,
ndr], il deposito d’armi del Balkan, il primo esodo dalla Dalmazia successivo al Trattato di
Rapallo. Non ho taciuto la fase
della snazionalizzazione operata
dal fascismo di frontiera, citandone gli interventi repressivi, ma
anche ricordando con Marina
Cattaruzza, storica al di sopra di
ogni sospetto per l’Anpi, che si
trattò di un maldestro tentativo
di italianizzazione forzata delle
popolazioni slave, non di una
pulizia etnica, come confermano i dati dei censimenti di quel
periodo, e come invece accadde
per noi.
L’accusa poi rivoltaci di essere tutti fascisti stride con il fatto
che la guerra voluta e perduta
dal fascismo impose il prezzo più
caro della sconfitta proprio a noi,
unici a subire la cessione delle
terre natali e, in ogni caso, non
tutti i fascisti italiani si “annidavano” solo sul confine orientale,
in un ventennio in cui tutta l’Italia era sostanzialmente fascista.
Noi, caso mai, eravamo più attaccati alla madrepatria, proprio
per la nostra marginalità, quindi
più patriottici.
Terza snazionalizzazione,
subìta, non attuata, dagli italiani come già sotto l’Austria, fu
quella di Tito, quella che ci tolse noi stessi, colpendoci a tutti i
livelli, costringendoci all’esodo:
ne ho dato testimonianza anche
con l’apporto di vicende familiari e con ampi riferimenti che
a noi esuli sono ben noti, ma ho
sottolineato l’unicità della nostra vicenda: noi siamo gli unici
italiani ad aver fatto esperienza,
oltre che del fascismo, anche del
totalitarismo comunista, che
noi soli abbiamo provato sulla
nostra pelle. Noi siamo stati di
conseguenza costretti ad un esodo biblico.
Ho rivendicato il diritto che
ormai degli esuli si parli non più
per fomentare il giustificazionismo o il negazionismo, ma con
onestà intellettuale e ho concluso citando il nostro presidente
Ballarin, quando il 25 aprile ha
dichiarato tra l’altro che «la consapevolezza della perdita irrimediabile non ha impedito agli esuli
di sentirsi parte attiva […] di una
comunità nazionale con la quale
hanno condiviso e condividono
gli alti valori di libertà, di democrazia, di progresso civile, valori
dei quali, con la scelta dolorosissima dell’esodo, hanno reso a
favore dell’intero popolo italiano
una testimonianza unica».
Il negazionismo
non si elimina
negando
il confronto
M
ario Grassi ha a sua
volta affrontato il
tema delle foibe, spiegando che il
termine «infoibamento» è riduttivo, perché comprende varie forme di eliminazione fisica, come
deportazioni, campi di concentramento e ricordando che gli
eccidi colpirono non solo l’Istria,
ma anche la Dalmazia. Ha sottolineato che tra le due fasi delle
foibe, settembre 1943- maggio
1945, ci fu comunque uno stillicidio continuo di prelevamenti
notturni e di infoibamenti da
parte dei titini. Pur riconoscendo le responsabilità della politica repressiva del fascismo, ha
individuato i fattori scatenanti
della violenza in una visione più
articolata, cioè nello scontro «nazionale, tra italiani e slavi; socioeconomico, tra città e campagna;
politico-ideologico, tra fascismo
e comunismo». Ha analizzato
vari aspetti della tematica, in particolare l’ardua quantificazione.
È seguita poi una serie di
interventi da parte del pubblico: esuli che hanno recato il loro
apporto personale - non soci
dell’Anpi, sulla cui assenza mi
sono interrogata.
Al prof. Basalisco, esule da
Pola, socio Anpi, spettava la conclusione del dibattito, per tirare
le fila del discorso e interpretare il
significato dell’esperienza, ma egli
ha privilegiato un ulteriore excursus della vicenda giuliano-dalmata
focalizzato sulla snazionalizzazione
fascista, già presa in esame da Angelini e da me, anche attraverso una
lunga citazione del nazionalista sloveno Boris Pahor, tanto che Fausto
Biloslavo, presente al dibattito, scriveva su “ Il Giornale” dell’1 novembre 2013 che sembrava colto dalla
sindrome di Stoccolma.
Quali le conclusioni? Sicuramente positive per l’instaurata
capacità di dialogo, per il riconoscimento da parte di esponenti dell’Anpi della vergogna
delle foibe e dell’esodo, per il
risarcimento morale da noi ricevuto, per la constatazione di
una onesta� volontà di parlare
di noi con noi, non, e speriamo
non più, con personaggi come
una Kersevan, le cui strabiche
tesi sono già state demolite dalla storiografia ufficiale a 360°.
Una breccia importante è stata
aperta; solo parlando potremo
continuare a documentare che le
radici dell’odio risalgono a tempi
precedenti il fascismo, senza negare le responsabilità di questo. Il
negazionismo non si elimina negando il confronto. Sempre nel
libro di Pansa citato all’ inizio, in
copertina si legge: «Ben vengano
le polemiche e gli anatemi. Se la
verità non fa male, che verità è?».
Adriana Ivanov
Consigliere Comitato Anvgd
di Padova
Numero 2 | febbraio 2014
Quando la «Venezia del nord»
incoronò l’Isola del sud
Celebrato a Isola d’Istria l’Oro olimpico del 1928 ad Amsterdam
«…6,31no fa più nissun! Amsterdam, Amsterdam!»
Ricorrevano gli 85 anni dell’Oro olimpico conquistato dal «quattro con» della Società Nautica “Giacinto Pullino” d’Isola d’Istria alle
Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Per l’occasione la Comunità degli
Italiani “Dante Alighieri”di Isola ha organizzato una serata celebrativa
nelle sale di Palazzo Manzioli, per celebrare «un oro di Isola, degli Isolani di ieri e di oggi», come ha dichiarato Maurizio Tremul, presidente
della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana. Presente, tra gli altri, anche Emilio Felluga, anch’egli nativo di Isola ed esule a Trieste, per lunghi
anni presidente del Coni regionale Fvg e ora suo presidente onorario, che ci invia la cronaca che segue e della quale lo ringraziamo.
P
er anni i canottieri della
Società Nautica “Giacinto Pullino” hanno cantato
quest’inno, ricordando che con
6,31 avevano battuto gli svizzeri W L’equipaggio della “Pullino” ad
campioni olimpici uscenti, sul
Amsterdam
canale di Sloten attiguo ad Am(foto www.canottaggio.org)
sterdam, dove si erano svolte le
Olimpiadi del 1928.
X Isola, Palazzo Manzioli, la consegna
del gagliardetto della “Pullino”
L’equipaggio era composto da
Valerio Perentin, Giliante Deste,
Nicolò Vittori, Giovanni Delise
(tutti «isolani») e dal timoniere presidente Renato Petronio (piranese),
fondatore della Società nel 1925.
Sono trascorsi 85 anni da
quell’agosto del 1928 che fu per
Isola d’Istria un evento che entrò
nel Dna degli Isolani. La “Pullino” nel “4” con fu grande protagonista negli anni Trenta: il dopoguerra e la successiva occupazione jugoslava, nel 1951, la costrinsero a
cambiare il suo nome che ricordava il sommergibile di Nazario Sauro,
in “Giovanni Delise”, olimpionico del 1928 deceduto qualche anno prima. La pulizia etnica costrinse la società a chiudere l’attività nel 1955,
quando ormai quasi tutta la popolazione italiana aveva scelto l’esilio.
Sulla scorta dell’entusiasmo della vittoria di Nino Benvenuti (Isolano anch’egli) alle Olimpiadi di Roma del 1960 i vecchi dirigenti decisero di far rinascere la società; dopo dieci anni di peregrinazioni tra
le varie società triestine, che generosamente le avevano dato ospitalità,
trovò a Muggia, cittadina a pochi chilometri da Trieste, la sua nuova
sede nel 1967. Nel 1981 costruì la sua bella canottiera che successivamente acquistò sotto la presidenza di Franco Degrassi. Essa è ormai
muggesana, anche se sono ancora molti i dirigenti di origine isolana.
«Oh bell’Istria che lungo il tuo lido vai scorrendo sul placido
mar...»: con le note dell’inno all’Istria, in un clima di grande commozione, si è aperta ad Isola la celebrazione in ricordo dell’85.mo anno
della conquista olimpica. Promotrice la Comunita degli Italiani “Dante Alighieri” di Isola, nella sala del Palazzo Manzioli.
Oltre alle tante autorità erano presenti i figli dell’olimpionico Nicolo Vittori, Mariucci e Gianfranco ed i loro famigliari ed amici.
La “Pullino”, a mezzo del suo presidente Fabio Vascotto ed Emilio
Felluga, membro dell’Accademia
Olimpica nazionale italiana, hanno regalato alla Comunità una
targa raffigurante la pagina del
quotidiano “Il Piccolo” di Trieste
del 19 agosto 1928 con le foto dei
cinque olimpionici, dopo che due
ragazze «le fie de fontana fora»
avevano cantato «eviva el mar»
W Particolare della mostra documentaria e l’inno della “Pullino”. Uno
splendido sottofondo musicale,
allestita in Palazzo Manzioli
realizzato da Dragan Sinozic, ha
accompagnato la proiezione di tante immagini risalenti a quegli anni,
mentre nell’atrio gli ospiti potevano ammirare una bella mostra storica.
«Tra i tanti eventi che abbiamo organizzato - ha detto la presidente della “Dante”, Amina Dudine - questo sicuramente è stato il
più significativo per tanti motivi, e credo che per le emozioni che ha
suscitato rimarrà impresso per molto tempo nelle nostre memorie».
Emilio Felluga
11
Numero 2 | febbraio 2014
Steffè e la “Libertas” di canottaggio
Dall’argento olimpico del 1948 con i colori della società capodistriana all’esodo in Italia
N
ell’ottobre 2007 si è
svolta a Genova, organizzata dal Comitato Regionale
Liguria del Coni, la cerimonia di consegna delle onorificenze agli atleti liguri che
presero parte alle Olimpiadi
di Berlino, Londra, Helsinki,
Melbourne e Roma. Il conduttore della manifestazione - il
giornalista Alfredo Provenzali
- si soffermò in particolare sul-
Steffè che è ricordato per il
suo lavoro al porto di Fiume».
Ma, tornando alla storia sportiva - che comunque si intreccia con la storia collettiva nel 1947 Giovanni Steffè con
Aldo Tarlao (al timone Alvino
Grio), conquistarono a Pallanza, ancora con i colori della “Libertas” di Capodistria, il
titolo italiano nelle categorie
junior e senior. Il successo fu
Vigile del Fuoco era tanto intrisa di sangue che ha arrossato totalmente l’acqua del
mastellone in cui si lavavano
i panni».
A Venezia la Canottieri “Bucintoro” lo affiliò alla
Federazione Canottaggio permettendogli così di ricostituire un «due con». Ai campionati nazionali del 1949,
Tarlao e Steffè si ritrovarono a
Abdon Pamich socio onorario
dell’Associazione Nazionale
Sociologi
L
o scorso 16 dicembre 2013, presso
l’Università degli Studi di
Roma “la Sapienza” - Facoltà di Scienze Politiche,
Sociologia e Comunicazione, si è svolto il convegno
nazionale dell’Associazione
Nazionale Sociologi.
In quella occasione è
al merito della Repubblica Italiana, alla presenza
del presidente nazionale
dell’Associazione
Pietro
Zocconali, della presidente del Dipartimento Lazio
Anna Maria Coramusi, e
del presidente del Dipartimento Umbria Evimero
Crisostomi, promotore del
W Roma, fine anni Cinquanta, Pamich si allena
(foto www.sportivamentemag.it)
stata conferita la tessera
di socio onorario al dott.
Abdon Pamich, campione olimpico ed europeo,
Commendatore
Ordine
W Da sin., Giovanni Steffè, Emilio Felluga e Aldo Tarlao. A Genova nel 2007 (foto www.raid.informare.it)
la vicenda sportiva ed umana di Giovanni Steffè e Aldo
Tarlao, che con il timoniere
Alberto Radi (scomparso)
conquistarono per l’Italia un
argento a Londra 1948. Ma le
vicende che travolsero l’Istria
in quel tempo costrinse Steffè
all’esodo a Genova, cessando
l’impegno sportivo, mentre
Tarlao si rifugiò a Trieste e,
ancora con il «2 con», conquistò tre titoli europei e il
quarto posto ai giochi di Helsinki.
Da quel lontano anno, funestato dalle note vicissitudini del confine orientale, i due
campioni olimpici non ebbero
più notizie l’uno dell’altro. Il
loro incontro nel 2007 chiuse
una parentesi durata ben 58
anni, grazie all’impegno, tra
gli altri, di Emilio Felluga, già
canottiere dell’istriana “Pullino” e past president del Coni
Friuli Venezia-Giulia.
Il commovente incontro
ci viene ricordato dalla sorella di Giovanni Steffè, signora
Marina, che richiama alla memoria anche il padre, Giovanni Steffè, capo dei Vigili del
Fuoco di Capodistria «che ha
costruito, per ben due volte,
il ponte di collegamento tra
l’isola Capodistria e la terraferma come i “veci” ben ricorderanno», e il nonno, «Piero
confermato l’anno successivo,
a Milano, risultando campioni d’Italia con al timone il veneziano Radi. Il che consentì
all’equipaggio di puntare alle
Olimpiadi di Londra, nel cui
bacino di Henley conquistarono una meravigliosa medaglia d’argento, dietro la forte
Danimarca.
L’addio
a Capodistria e alla
“Libertas”
I
tragici rovesci che si
accanirono
sull’Istria
in quei mesi suggerirono a
Giovanni di non rientrare a
sfidarsi sotto insegne diverse,
e quella circostanza fu l’ultima in cui si videro. Per la cronaca, la “Libertas” di Tarlao
batté la “Bucintoro” di Steffè.
Nell’ampio servizio dedicato il 27 ottobre 2007 dal
“Secolo XIX” di Genova alla
cerimonia promossa dal Comitato Regionale Liguria del
Coni per festeggiare i grandi
olimpici “liguri”, la storia di
Steffè viene ampiamente narrata e il racconto si avvale della sua preziosa testimonianza.
E in un’intervista a Claudio
Loreto, il campione istriano
ha ricordato come nel febbraio 1947 gli jugoslavi irruppero nella sede della Società
Q Londra 1948, bacino di
Henley,la gara di «2 con»
(foto www.theguardian.
com)
Capodistria, dove peraltro il
padre era stato appena oggetto delle “attenzioni” dei partigiani jugoslavi: «una brutale
aggressione titina - la ricorda bene la signora Marina -.
Quando arrivò a casa con la
testa ferita, la sua divisa di
“Libertas” e la saccheggiarono, trasferendo tutte imbarcazioni su un peschereccio
con destinazione ignota. Cessò quel giorno una gloriosa
e generosa attività sportiva e
agonistica iniziata nel 1888.
D. A.
riconoscimento.
Alla cerimonia erano
presenti sociologi e docenti
universitari provenienti da
tutta Italia.
Ulderico Sergo, ricordo del
pugile fiumano Oro olimpico
I
l 4 luglio 1913 nasceva a Fiume quello che sarebbe diventato uno dei migliori pugili italiani: Ulderico Sergo. Conquistò la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 battendo
lo statunitense Jackie Wilson ai punti. Fu campione europeo nei
Pesi gallo a Budapest nel 1934, Berlino 1936 (titolo conseguente
alla vittoria olimpica), Milano 1937 e Dublino 1939, vincitore
per quattro volte del Guanto d’oro a Chicago dal 1935 al 1939.
Ebbe comunque l’occasione di misurarsi con i migliori Pesi gallo
e Pesi piuma dell’epoca quali Gino Bondavalli, Guido Ferracin,
Gino Cattaneo e Alvaro Cerasani.
Conquistò il campionato italiano, sempre nei pesi gallo per
tre volte: Ferrara 1933, Napoli 1934, Parma 1938. Fece parte
della Nazionale italiana per 24 volte dal 1932 (a Praga) al 1939 (a
Trieste). Pugile dalla straordinaria carriera dilettantistica, raccolse
soddisfazioni molto minori tra i professionisti, tra i quali iniziò a
combattere ad un’età non più giovanissima.
Esule da Fiume, si fermò inizialmente a Trieste dove fu anche allenatore di Nino Benvenuti. Poi si stabilì definitivamente negli Stati Uniti, a Cleveland (Ohio). Qui morì tragicamente nel 1967, a
soli 54 anni,
per aver mangiato
funghi
avvelenati che
egli stesso aveva inavvertitamente colto. I
figli Ulderico
jr. e Livia vivono tuttora a
Cleveland.
red.
Q La premiazione
di Ulderico Sergo,
Oro alle Olimpiadi
di Berlino del 1936
12
◄
I dannati di Tito.
Pubblicato un elenco dei
deportati a Goli Otok
«S
edicimila
prigionieri,
quattrocento morti, le stime
minime. Sono numeri,
non inediti, che descrivono un abisso, l’abisso di
Goli Otok. Ma scrivere
16mila, scrivere 400, non
rende l’idea dell’orrore e
della violenza cui assistette
l’Isola Calva, tra il 1949 e
il 1956». «Ma adesso anche per il gulag di Tito,
nel quale finirono a migliaia dopo la rottura del 1948
tra il Partito comunista
jugoslavo e Mosca - solo
perché “cominformisti” o
per vendette personali ed
errori burocratici e giudiziari - i nomi ci sono».
Così Stefano Giantin su
“Il Piccolo” dell’8 gennaio
2014 (Prigionieri nel lager di Tito Esce la lista dei
16mila nomi) dà notizia
della pubblicazione, sulla
rivista
politico-culturale
croata “Novi Plamen”, di
una lista di 16.101 persone
rinchiuse nel lager di Tito
tra il 1946 e il 1956.
Lista, a quanto risulterebbe, compilata negli anni
Sessanta dall’Udba, i servizi di sicurezza di Tito, e
che contiene date di nascita, di arresto e di rilascio,
un codice numerico - per
gli italiani il 33 - che stava
ad indicare la nazionalità
del prigioniero. “Novi Plamen” aveva già pubblicato,
a fine novembre, un elenco comprensivo di nomi e
cognomi di quanti, fra sedicimila «informbirovci» [i
comunisti fedeli a Mosca,
ndr] deportati nell’isola per essere “rieducati” a
Numero 2 | febbraio 2014
dalla prima pagina
IL COLLEGIO “NICCOLÒ TOMMASEO”
DI BRINDISI (1946-1951)
forza di violenze e lavori
forzati, non sopravvissero,
ovvero oltre 440.
Novi Plamen” ha giustificato la pubblicazione
della lista con l’intento di
far tacere le «speculazioni»
sul numero dei detenuti e
dei morti nell’isola, proseguite per decenni con il
W Lager di Goli Otok, ancora visibili
gli slogan incensanti Tito
(foto www.kurir-info.rs)
fine, precisa il giornale di
«screditare l’intera epoca
del socialismo jugoslavo».
Fra i sopravvissuti, ricorda Stefano Giantin, «molti ebbero remore a parlare
dell’esperienza del lager,
dopo esserne usciti, anche
dopo la fine della Jugoslavia e dopo il termine del
loro isolamento in libertà, spiati da polizia e servizi perché non rivelassero l’esistenza dei lager di
Tito». Finanche i dati sui
decessi pongono allo storico contemporaneo dei
legittimi dubbi, giacché,
come asserisce Zorica Marinkovic, ricercatrice serba e organizzatrice di una
mostra documentaria sulla
repressione e i crimini del
regime in Serbia e Jugoslavia commessi tra il 1944 e
il 1953, «la cifra potrebbe
essere leggermente superiore, dato che le persone
morte a Goli Otok venivano sepolte in luoghi sconosciuti o gettate in mare»,
ovviamente per occultare
le prove della repressione
operata dal regime titoista,
una delle sue tante vergogne.
Red.
trovai due giorni dopo, doverosamente accompagnato da
mia madre, a scivolare con il
treno nella ferace Puglia fra
immensi alberi d’olivo dalle
foglie argentate splendenti al
sole - la giornata infatti era
bella - circondati da un dialetto musicale, borbottato,
enunciato, scandito da tanta
gente che dopo Foggia scendeva e saliva con forte vocio,
ciò che faceva
spicco dopo il silenzio della notte.
Eravamo infatti partiti da
Roma a mezzanotte e cinque con
un treno “diretto”
che non ho mai
capito se fosse l’ultimo convoglio della sera o il primo
della mattina (era l’ultimo) e
che si disfaceva a Foggia del
troppo moderno locomotore
elettrico per ostentare nelle
Puglie una onesta locomotiva
a vapore, il cui fumo, se ti affacciavi, era pregno di frammenti di carbone a cui piaceva annidarsi sotto le vesti,
infilarsi nei capelli o, meglio
ancora, negli occhi. Mentre
a Brindisi ci dirigemmo poi
al collegio con una inusitata
carrozzella. Un arrivo come
si deve. Ma da quello che ho
sentito ad esempio dai “muli”
Sedmak e Faraguna abbastanza frequente. Mentre i
primi anni gli arrivi erano
più spartani come vedremo.
Arrivare al collegio di
Brindisi era tornare un po’
a casa, perché superata la
barriera dei dirigenti e degli
istitutori si passava subito
all’idioma ufficiale che era
ovviamente il nostro dialetto
veneto, si ritrovavano atteggiamenti e comportamenti
delle nostre terre, si incontravano anche antichi compagni
di scuola. Ma si facevano subito anche nuove amicizie,
soprattutto nel campo sportivo che era per tutti estremamente importante tanto che
i campioncini (di calcio o di
atletica che fossero) godevano un giusto prestigio che
altri potevano solo sognare e
certamente non ne godevano
quegli sciocconi dei “bravi a
scuola”.
Mi si perdonerà se dico
che le mie valutazioni nel
collegio crebbero nell’estate quando fu accertato che
nuotavo molto bene. Il Collegio non era esclusivamente
nostro e ciò nel senso che venivano accettati anche ragazzi indisciplinati o pigri della
Puglia del sud ma anche di
Roma, nonché ragazzi profughi provenienti dalla Grecia,
dalla Francia o dalle Colonie.
Alcuni di essi avevano trascorso tutta la guerra ospitati
in qualche convitto.
Come nacque
il Collegio
C
ome nacque il Collegio? Roma si era
già posto il problema di
come provvedere
all’istruzione dei
figli dei profughi
che sempre più
numerosi affluivano in Italia coi loro
genitori. Da varie
parti si pensava di
creare un’apposita
istituzione perché le famiglie
non potevano provvedere alle
rette scolastiche e alle relative
spese attinenti all’istruzione.
Esse dovevano lottare per sopravvivere, cosa abbastanza
fattibile date le qualificazioni
dei nostri capifamiglia d’allora, ad esempio se abitavano a
Tortona che è vicina a Torino
e Milano, a Chiavari prossima
a Genova ma non certo a Laterina, a Tirrenia, a Gaeta, a
Chieti, a Catania dove la fantasia del Ministero degli Interni e del relativo ministro,
aveva ben pensato a confinare
i profughi senza darsi alcun
pensiero dell’occupazione dei
padri. Però essi non nutrirono
W Il Collegio come appariva in
un’immagine degli anni Trenta
del Novecento
rancori. Eravamo pur sempre
nella nostra Italia, eravamo
liberi e si parlava qui quella preclara lingua che tanto
commuove il cuore con i suoi
suoni e con le ardenti cadenze
dei suoi poeti.
Si narra anche che l’iniziativa dell’apertura fu presa
in prima battuta dall’ex-direttore del seminario di Fiume,
don Tamburini, coadiuvato
da un altro ex e cioè il professore del liceo scientifico della
città liburnica Troili, incaricato in seguito della direzione
del Collegio. Gli inizi furono
difficili perché il Collegio che
come edificio faceva parte della Gil dimagrita nel frattempo a Gi (Gioventù Italiana)
riceveva fondi assai scarsi per
le necessità dell’Amministrazione anche perché l’Accademia Navale di Livorno che dal
1943 in poi aveva soggiornato
in quelle mura aveva lasciato
in loco 22 inservienti che occorreva pagare; e ciò avveniva
a carico dei 5 milioni messi a
disposizione dallo Stato e che
però dovevano eziandio bastare per il cibo.
A questo proposito va
considerato che i convittori erano pur sempre ragazzi
compresi fra i quindici e i
vent’anni ed oltre ed alcuni
avevano avuto esperienze militari ed un difficile dopoguerra e pertanto il loro appetito
dopo gli anni del conflitto e
quelli susseguenti era robusto
assai. Dicono che i menù si
incentrassero molto sui ceci,
sconosciuti nelle nostre lande
e, ahimè, spesso guardati con
sospetto. Mentre, come sapete, sono eccellenti leguminose
che, sebbene in misura minore, spadroneggiarono altresì
nei tempi miei (1950-1952).
I primi passi
Q
uali furono i primi
passi del Collegio?
Fu costruito appunto come
collegio navale della Gil ed
edificato, bisogna pur dirlo,
in uno stile moderno ed arioso; le palazzine di abitazione
e che contenevano altresì una
ampia sala riunioni e una palestra costituivano piuttosto
dei corpi laterali a guisa di
ali per riversarsi sull’ampio
cortile che a sua volta si lanciava verso la pineta e il mare.
Sul finire della guerra venne,
come si diceva, adibita ad Accademia Navale che non ci lascerà solo i 22 inservienti di
cui sopra ma anche attrezzi e
suppellettili che ci furono di
grande utilità. Ci lasciarono
anche un capocameriere che
dicevano avesse qualche anni
prima servito il re e la regina
rifugiatisi, come noto, nella
città pugliese. Uomo di grande distinzione, dava un certo
tono alla nostra mensa.
Il nome scelto per il Collegio fu appunto quello di
Niccolò Tommaseo di Sebenico che con il Dizionario
della Lingua Italiana ed altre
pubblicazioni, oggi un po’
trascurate, è senz’altro il più
illustre scrittore delle nostre
terre, almeno nell’Ottocento.
Un uomo geniale, diviso tra
alti momenti etici e forti pulsioni carnali. Mentre si può
dire invece che nel Novecento
viene Svevo.
Le testimonianze
C
ome arrivarono i primi allievi? Lascio parlare Lallo Cosatto (anni 88!):
«Ero fra i primi trenta che
andarono a Brindisi accompagnati dal prof. Troili. Par-
13
timmo dal Collegio Aricci di
Brescia dove ci avevano collocato; a Milano - era fine settembre - ci misero in un vagone tutto nostro e sbarcammo
a Brindisi ventisette ore più
tardi. Il motivo di un tale ritardo? Vi erano interruzioni e
difficoltà un po’ dappertutto
ma soprattutto laddove si era
attestata la linea Gotica e cioè
a Ortona. Arrivati a Brindisi alle undici di sera dovemmo ancora scarpinare per tre
km fino al Collego; fu nostra
fortuna il fatto che i bagagli
erano ben leggeri, il che era
dovuto alla povertà dei tempi.
Nei giorni successivi aiutammo Troili a sistemare un po’ il
collegio e le camerate coadiuvati dagli inservienti mentre
le guardarobiere si dichiaravano pronte a cucire e a mettere in ordine i nostri abiti
che però non c‘erano o erano
davvero sdruciti. Tu mi chiedi
se ci furono delle proteste per
il vitto e indubbiamente se ne
registrarono alcune ma i convittori mangiavano in quel
torno di tempo certamente
meglio della maggior parte
degli italiani».
Cosatto che ha avuto
esperienze di combattimento
e di campo di prigionia ritiene che il cibo fosse certamente accettabile anche se in parte
scarso in relazione alla nostra
età e alle nostre abitudini ma
ben presto - aggiungo io - le
nostre famiglie cominciarono
ad inviare ai loro rampolli dei
pacchi, le cui derrate venivano in gran parte spartite, talora anche sottratte con audaci
spedizioni notturne, ma che
comunque nutrivano il lontano figlio. Un altro episodio di
quegli anni è dovuto al fatto
che molti convittori avevano
ancora la loro famiglia oltrecortina e pertanto non sapevano dove recarsi in estate e
pertanto il Troili organizzò
nella Sila un campo estivo che
funzionò molto bene, salvo
il fatto che un fulmine colpì
due ragazzi di cui uno si rimise abbastanza rapidamente
mentre l’altro rimase purtroppo offeso ad una gamba e perse quasi la vista.
Mentre il Collegio cominciava a funzionare con
tranquilla regolarità qualche
problema sorse invece con la
direzione, affidata, come si
diceva, al prof. Troili amatissimo dai convittori, e che fu
invece rivendicata per i maggiori titoli in suo possesso, da
un certo prof. Prandi. Sembra
che il Prandi fosse di carattere puntiglioso e vendicativo e
che non gradisse troppo l’atmosfera aperta ed informale
che si era instaurata al Niccolò Tommaseo. Si finì col
registrare delle vive tensioni
con tentativi di allontanamento da Brindisi di qualche
collegiale, tensioni poi attenuatesi con l’ottenimento del
diploma da parte di parecchi
convittori anziani che se ne
andarono e col trasferimento
del Prandi ad una consimile istituzione sorta a Grado
e trasferitasi poi a Gorizia e
cioè il Collegio Fabio Filzi.
Il suo successore prof.
Prosperi era invece persona
prudente e riservata. Non
parlava molto con gli allievi
e lasciava volentieri questo
compito all’apparentemente
iracondo vicerettore prof. Pagliari che curava la disciplina
e la faceva rispettare, ma senza calcare la mano, anche perché amava e praticava lo sport
e pertanto si sentiva legato ai
ragazzi giuliani che quasi tutti
eccellevano in qualche disciplina.
Gli allievi
nel mondo
N
el Collegio erano
ospitate come scuole
l’Istituto Nautico da cui sono
usciti fior di nostri comandanti che ben presto si disseminavano nel mondo (a quel
tempo come giovani ufficiali,
si capisce), e che mandavano ai loro amici in collegio
splendide cartoline da Panama o ad esempio dal Giappone e che facevano il giro del
Collegio. Si apriva così per
noi l’ampio mondo. Il cortile centrale, sede dei nostri
dopocena, dove si udivano i
canti nostrani oppure, dall’altoparlante, le canzoni popolari italiane del sud nonché
il parlottio di vari crocchi di
amici, sembrava ampliarsi a
dismisura riempiendo la corte
di effluvi esotici. Quest’aura
di paesi lontani dava però un
ulteriore prestigio agli allievi
del Nautico che sovente noi
denominavamo i «Signori
del Nautico» e che erano inquadrati dagli istitutori più
autorevoli come Decleva e
come Callochira che senza
motivo i titini avevano tenuto in carcere per cinque anni.
Nel Collegio c’erano comunque allievi di tutte le scuole,
delle medie, delle magistrali,
dei licei classico e scientifico.
Quest’ultimo fu ospitato nel
collegio fino a giugno 1950
e si trasferì poi al centro di
Brindisi.
Forse nel collegio lo
Scientifico (che era la mia
scuola) per certi aspetti stava meglio come ad esempio
per gli spazi, per l’aria e la
luce. Nell’intervallo si andava
sull’ampio campo sportivo e
si percepiva nel cielo il ronzio
degli apparecchi militari di
addestramento. Volavano ben
alto sulle nostre teste, credo
per scrutare appunto il futuro
che si celava dietro l’orizzon-
te. Avranno visto molte cose
che si conobbero solo dopo.
Nel 1951 il Collegio Tommaseo fu disperso e gli allievi
che abitavano al nord andarono a Gorizia e Trieste mentre
quelli del centro erano dirot-
Numero 2 | febbraio 2014
tati sui Convitti Nazionali del
Centro Italia. Ma il Collegio
non fu chiuso e funzionò ancora per qualche anno anche
se gli eventuali ragazzi profughi venivano dirottati altrove
e le Puglie sembravano avere
L’inaugurazione dell’asilo
italiano “Pinocchio” di Zara
La cronaca di una giornata memorabile
N
el mese di ottobre
2013, il 12, è stato
inaugurato a Zara, finalmente l’asilo italiano, presenti
il viceministro degli Affari
Esteri italiano, Marta Dassù,
una delegazione composta
dall’Ambasciatore d’Italia in
Croazia, Emanuela D’Alessandro, dal Console Generale d’Italia in Fiume, Renato
Cianfarani, dal Ministro plenipotenziario. Francesco Saverio De Lugi, dal presidente
del Comitato di Coordinamento per la Minoranza italiana in Croazia e Slovenia;
dal presidente dell’Unione
Italiana (Ui), Furio Radin,
ed infine dal presidente della Giunta Esecutiva dell’ Ui,
Maurizio Tremul.
All’incontro era presenti, per la Regione del Veneto, l’assessore al Bilancio
e Relazioni Internazionali
Roberto Ciambetti; per le
associazioni degli esuli Renzo Codarin, presidente della
FederEsuli; Antonio Ballarin, presidente nazionale
dell’Anvgd; Manuele Braico
presidente dell’Associazione
delle Comunità Istriane; Elio
Ricciardi, Guido Crechici e
Giorgio Varisco rappresentavano l’Adim (Dalmati Italiani nel Mondo). Per l’Univesità Popolare di Trieste erano
presenti il vicepresidente Fabrizio Somma e il direttore
Generale Alessandro Rossit.
Ad accogliere la delegazione la presidente della Ci
di Zara, Rina Villani. Dopo
il saluto della presidente Villani, la signora Bevanda ha
letto un testo tratto da alcuni
scritti di Caterina Fradelli,
suscitando nei presenti viva
commozione, condivisa anche dal viceministro Dassù
che confermato l’impegno
dell’Italia a favore della minoranza oltre Adriatico, malgrado la chiusura del Consolato d’Italia a Spalato.
All’inaugurazione hanno
partecipato anche una rappresentante del Ministero
della Scienza, Educazione e
Sport della Croazia, il presidente della Contea di Zara, il
sindaco ed il vicesindaco della Città di Zara. L’incontro
W Zara, inaugurazione
dell’asilo italiano: in prima
fila l’ambasciatore italiano
a Zarabria, Emanuela
D’Alessandro, e il viceministro
degli Esteri Marta Dassù,
alle loro spalle si riconosce il
presidente nazionale Anvgd
Ballarin
(foto www.10febbraiodetroit.
wordpress.com)
era aperto ai media.
Ricco il programma della
cerimonia, che ha visto, tra
l’altro, gli interventi del sindaco di Zara, Božidar Kalmeta, la cui presenza non era
stata annunciata, mentre
si è notato l’attuale vicesindaco Zvonimir Vrancic,
già sindaco nella precedente
legislatura comunale, proprio colui che aveva ripetutamente detto e scritto che il
Comune di Zara non avrebbe dato e fatto nulla a favore
dell’asilo italiano. Il sindaco
Bozidar Kalmeta ha detto tra
l’altro che l’apertura dell’asilo è un successo per la città di
Zara [sic] ed ha promesso che
provvederà al pagamento del
personale dell’asilo per l’anno 2014.
A nome delle associazioni degli Esuli è intervenuto
il rappresentante dell’Adim,
Giorgio Varisco, il quale
ha sottolineato come si sia
trattato di evento storico di
grande significato, perché
significa che «questa, consentitemi, ‘nostra’ città, ha
fatto un passo avanti sulla
strada della democrazia e
della libertà». «Per secoli a
Zara persone e famiglie di
origine diversa hanno scelto
se essere italiani o croati. La
scelta della nazionalità è un
diritto inalienabile della persona in tutte le costituzioni
del mondo e nel diritto inter-
meno ragazzi sfaticati. Poi il
Collegio fu chiuso davvero
ed è rimasto lì abbandonato
ciò che a noi dispiace molto.
E nessuno sa decidersi a fare
qualcosa.
Egone Ratzenberger
nazionale. Per questo non ho
paura di parlare di una “nostra Zara”, come altri hanno
diritto di chiamarla “Zadar
naš”» ha aggiunto Varisco.
Il viceministro degli Affari Esteri, Marta
Dassù ha ricordato
la storica presenza
italiana a Zara, i
meriti che l’Italia ha guadagnato
in questi anni nei
confronti
della
Croazia soprattutto a favore della
sua entrata in Europa; e, ricordando che l’italiano
è la quinta lingua al mondo
più studiata, ha concluso che
l’apertura dell’asilo è solo un
primo passo a cui seguiranno
inevitabilmente l’apertura di
una scuola elementare, media ed un liceo italiano.
Alla fine, dopo il rompete
le righe, mi sono permesso di
ricordare in privato alle autorità zaratine che gli italiani di
Zara esuli in Italia attendono
sempre che la municipalità
cittadina li inviti ad una visita ufficiale alla loro città;
affermando in tal modo il
principio che noi siamo dalmati autoctoni e non turisti
di passaggio, successivamente si potrebbe programmare
insieme un incontro simile e
diverso di uno dei nostri raduni. Non mi è stato risposto
di no, traduceva l’interprete
del Comune che conosciamo
da molti anni, qualcuno ha
affermato che il “Libero Comune di Zara in Esilio” …
avevano un tempo impedito
un avvicinamento, ma che
ora … non lo si escludeva …
Importanti anche i successivi colloqui intercorsi
con Maurizio Tremul con
riguardo ai futuri rapporti da intrattenere insieme
in collaborazione con Ui ed
Adim col Comune di Zara,
in particolare con riguardo
ai programmi culturali su cui
discutere ed in prospettiva da
presentare come richieste alle
autorità della città dalmata.
Se in futuro si confermeranno le premesse evidenziate
negli interventi del viceministro Dassù e del sindaco
Kalmeta il 12 ottobre 2013
rappresenterà un punto di
partenza per un futuro migliore per gli italiani e per la
cultura italiana in Dalmazia.
Giorgio Varisco
14
Numero 2 | febbraio 2014
ENGLISH
Day of Remembrance:
10 years of shared
memory
T
en years ago, in 2004, the Italian national law establishing
the Day of Remembrance was enacted: this law declared
February 10th - the day on which, in 1947, the Paris peace treaty
assigning Istria, Zara and Fiume
to Tito’s Yugoslavia was signed to be a national day of civic solemnity. Article 1, in fact, states
that: “The Republic recognizes
February 10th as ‘Day of Remembrance’ in order to preserve
and renew the memory of the
tragedy of the Italians and all
the victims of the Foibe, the Exodus from their lands of Istria,
Fiume and Dalmati after World
War II, and the complex history
W Crema: in this city of Italy’s
of Italy’s eastern border”.
Lombardy region, as in
This was a goal achieved
hundreds of cities around
thanks to the tenacious, tireless
Italy, you can find a plaque
work of the community of Excommemorating the exodus
iles in the decades that followed
and the foibe victims
the abandonment of their native
lands. They have never ceased to work towards the preservation
of historical memory of, and witness to, all that happened in the
eastern territories during the Second World War and its aftermath.
They have always worked towards the recognition of the tragic
events which they remembered in silence for six decades until, in
the lessening of the ideological prejudices and political expediency
that had silenced them, were finally brought to light by state institutions and public opinion.
The associations of the exodus have never felt this Day of Remembrance to be a goal, but rather a starting point for a new season of perseverance and commitment. The tenth anniversary which
falls this year will also provide the opportunity of a look back to
measure how far we have come, but the true projection of memory
is to be found in the future, and its dimensions will be filled by all
who care about the history of the Italian Adriatic.
p. c. h.
(traduzioni di Lorie Simicich Ballarin)
Our Story deserves a Future
Reflections by Antonio Ballarin,
Anvgd National President
O
ur Story deserves its
Future. And “the best
way to predict the future is to
create it” (Forrest C. Shaklee).
To create the future, you must
have a road map, one that is truly original and does not follow
usual geographic boundaries,
topography and the usual beaten
track, but rather one that goes
looking for guidance as firmly
founded on History and Tradition, as new and generating in
its method and movement.
Our history truly is important enough - not just for us
- to merit the Future. And to
say “Future” is to draw on new
possibilities and horizons never
before crossed, and perhaps not
even considered yet.
History is a great laboratory
for experimental research, and
woe to anyone who wants to
turn it into a kind of city of the
living dead. We live in history
because we, as historical beings,
we always desire something
more than what we have today;
we aspire, that is, to further horizons and expectations and, at
the same time, we are already
living through experiences that
lead us, pulsing with life, toward
new adventures.
Our History deserves the
Future, and we are seeking to
deliver it even now, as we tailor
space and language to our growing expectations. For us, to live
every day is to expect the miracle of life, as we were taught by
our Grandparents and our Fathers, our Mothers, and our
witnesses and martyrs, as our
beloved Norma Cossetto, Gold
Medal Honoree for Civil Merit
- these people as well, overflowing with life and courage - for
how they dealt with the harsh
difficulties of history, which always has its brutal aspects, and
is sometimes almost unbearable:
these honored people indeed ask
even more, much more, from us.
They require much more,
instead of mere resistance or
revenge, to claim sacred rights to which we hold perhaps more
than many radicals of the past
decades -; much more than simply the need to remember (which
is, of course, a a basic necessity
in its own right). They require
much more: but what, exactly?
ro-sum game. On the contrary,
we need to create a community
of “equals”, meaning men and
women looking to the future;
a community able to create the
future. Able, that is, to grasp
the true signals of History. I
will mention two in particular:
one is a “macro” reference, and
X Pola, February 1947, belongings
and citizens await their turn to
board the motor ship Toscana
(photo: ANVGD Archives)
tion, and future - is the recent
show created by Simone Cristicchi, titled “Magazzino 18”. It
is a piece of art and linguistic
creativity, second to no other
work of its kind in terms of civic
witness and, at the same time,
a message from an artist who
was born in Rome, and therefore under no suspicion of being
connected with the political-cultural sphere of at least some part
of our world.
Creating the
Future: History
asks more from us
I
t is a simple step but by
no means an easy one, we
admit it, and perhaps we would
like to explain it by using as
our own the words those of the
great Romanian philosopher,
writer and essayist Emil Cioran, creator of striking aphorisms, including the following:
“We’re all comedians: we outlive our problems”. Aphorisms
are used to describe a paradox to which we have all been
chained for decades, but then
we turn it inside-out much as
e do a sock. In fact, Cioran, in
his work, takes for granted that
all men are somade in this way,
and so live and die in the end,
an inescapable destiny.
In fact, however, it is not
so, because we are free, and we
are capable, in fact, of molding our future: we should stop
thinking of ourselves merely
as custodians of our own dead
and our very private memories,
and look beyond, to the wider
picture. History requires more
from us than simple personal
memory, if we are to “deserve”
the Future, that could be our
common base.
Our people have always
been hardworking and creative, with optimism and a love
for life. This optimism must
be the base for our attitude
now as we look to the future,
because we have to avoid going the way of “historical losers”: we do not want to apply
the method of deadly historical
existence: we are not of those
who need “to punish others to
be happy themselves”, in a ze-
W Basovizza (Trieste), the banners
of the Istrian Communities
and Exiles’ Associations at the
annual ceremony paying homage
at the Foiba, on the Day of
Remembrance, February 10th
the other is, so to speak, “micro”, but very “macr” in its germination and development.
Our game is played
on a wider field
T
he “macro” reference is
clear to all: Croatia has
entered the European Union.
And we, today, converse with
Croatia with the open awareness of our Association, ready to
seize the historic opportunities
that this event gives us - at every
level: human rights, social, economics - knowing that our game
is played on the larger and more
significant that is, of course, Europe itself.
That “micro” reference - in
fact, “macro” interms of management, capacity for genera-
Still, this sensitive and culturally-advanced artist, who has
already sent broken ground in
uncommon ways in the field of
music, has found a place within
our history, and he finds himself
there with the humble curiosity of any Italian citizen who is
open to a piece of his country’s
history. This is the method:
shared application.
People feel lonely when
when no one shares in their
hearts’ deepest matters. That’s
why we have lived so much
loneliness, and why it has fed a
climate of isolation.
Let’s be filled with wonder,
therefore, at our history, and
not take any of it for granted,
because the real “return” is the
opening of the gates of the soul
of those who, though not having been born in Istria, feel a
deep sharing in those memories
of pain and strength, capable of
new creativity and new human
candor.
Antonio Ballarin
Anvgd President
15
Numero 2 | febbraio 2014
ESPAÑOL
Nuestra historia se merece
el futuro
Día del Recuerdo,
10 años de memoria
compartida
La reflexión del Presidente nacional Anvgd Antonio Ballarin
N
H
ace diez años, en el 2004, fue promulgada la ley institucional del Día del Recuerdo, que declaraba el 10 de
Febrero - día en el cual en 1947 fue firmado en París el tratado
de paz que asignaba a la Yugoslavia de Tito Istria, el Fiumano y
W Torino, los estandartes de la Anvgd y de las Provincias cedidas siempre
presentes en las ceremonias conmemorativas del Día del Recuerdo
(foto Comité Anvgd de Torino)
Zara - solemnidad civil nacional: el Art. 1 dice en efecto: «la Republica reconoce el 10 de febrero como “Día del Recuerdo” para
conservar y renovar la memoria de la tragedia de los italianos y
de todas las víctimas de las foibe, del éxodo de sus tierras de los
istrianos, fiumanos y dalmatas en la segunda posguerra y del más
complejo suceso del confín oriental».
Una meta alcanzada gracias al tenaz y extenuante trabajo de
las comunidades de los Desterrados que en los años siguientes al
abandono de las tierras natales no han dejado nunca de trabajar
en la dirección de la conservación de la memoria histórica y del
testimonio de lo ocurrido en los territorios orientales en el trascurso de la segunda guerra mundial y sucesivamente: trágicos
eventos que han tenido que esperar al menos 60 años antes de
que, caídos los prejuicios ideológicos y las conveniencias políticas que los habían silenciado, fueran finalmente reconocidos por
las instituciones y por la opinión pública.
Las asociaciones del éxodo no han considerado nunca el Día
del Recuerdo como una meta, sino como un punto de partida
hacia una nueva época de perseverancia y de compromiso. El décimo aniversario que celebramos este año proporcionará también
la ocasión para hacer balance, pero la proyección del recuerdo
está en el futuro, a cuya dimensión que esta por colmar se tendrá
y se querrá trasmitir la verdadera historia de la antigua italianidad adriática.
p. c. h.
uestra historia se merece el Futuro. Y «la mejor manera de predecir el futuro
es crearlo» (Forrest C. Shaklee).
Para crear el futuro, hace falta
tener un roadmap, un mapa que
sea de verdad original y no siga
los normales contornos geográficos, la solita topografía y los
normales itinerarios, sino que
vaya en busca de una orientación sólidamente fundada en la
Historia y en la Tradición, y sea
nueva y generativa en el método
y en el movimiento.
Nuestra Historia es tan importante - no solo para nosotros
-, que se merece el Futuro. Y
decir «Futuro» equivale a abrir
posibilidades nuevas y horizontes no atravesados hasta ahora y
quizás ni siquiera imaginados.
La Historia es un grande
laboratorio de investigación experimental y que tenga cuidado
quien quiera convertirla en una
especie de ciudad de muertos
vivientes. Se vive en la Historia porque nosotros, como seres
históricos, deseamos siempre
algo más de lo que tenemos hoy;
es decir, aspiramos a otros horizontes de esperanza y, al mismo
tiempo, vivimos ya espacios de
experiencia que empujan, palpitantes, hacia nuevas siembras y
nuevas aventuras.
Nuestra Historia se merece
el Futuro y nosotros se lo estamos entregando desde ahora,
creando laboratorios y lenguajes
a medida de nuestras expectativas crecientes. Porque para nosotros vivir es esperar cada día
el milagro de la Vida, como nos
han enseñado nuestros Abuelos
y nuestros Padres, nuestras Madres y nuestros testigos y mártires, como nuestra amada Norma
Cossetto, Medalla de Oro por
el Mérito Civil a la Memoria también estas personalidades,
desbordantes de vida y coraje -,
por cómo han afrontado las duras dificultades de la Historia,
que tiene siempre aspectos brutales y a veces casi insoportables,
nos piden más, mucho más.
Mucho más respeto a la
resistencia o al revanchismo,
a la reivindicación de sacrosantos derechos - que nos importan tanto o más que a otros
que los exaltan desde hace
años, creando solo un ejército de perdedores radicales -;
mucho más respeto al necesario Recuerdo (deberíamos,
Q Pola, febrero1947, ciudadanos y
sus bienes esperando embarcarse
en la motonave “Toscana” (foto
Archivio Anvgd)
más bien, implicarnos cada vez
más y fundar una idea fuerte de
la Memoria: es un trabajo para
compartir); mucho más: y ¿qué?
Crear el futuro,
la Historia nos
pide más
Nuestro partido se
juega en un campo
más grande
E
l “macro” está a la vista:
Croacia está en Europa. Y
nosotros, hoy dialogamos con Croacia con conciencia de Asociación
abierta y preparada para acoger las
ocasiones históricas que este evento
nos trae - en cada nivel: derechos,
socialización, economía -, sabiendo
que nuestro partido se juega en un
U
n paso simple pero
no por esto fácil, lo
admitimos, que queremos explicar haciendo nuestras las
palabras del grande filósofo,
escritor y ensayista rumano,
Emil Cioran, creador de fulgurantes aforismos, entre los
cuales el siguiente: «Somos
todos comediantes: sobrevivimos a nuestros problemas».
Nosotros cogemos el aforismo
para indicar una paradoja a la
que hemos sido encadenados
durante decenios, pero después
le damos la vuelta como un calcetín. En efecto, Cioran, en su
trabajo, da por hecho que todos
los hombres sean así y así vivan
y mueran, al final, un destino
ineludible.
En realidad, no es así, porque nosotros tenemos la libertad y podemos, de hecho, crear
nuestro futuro: basta dejar de
creernos los custodios de las memorias del subsuelo, de nuestros
muertos y de nuestros privadísimos recuerdos, elevados a fetiches de la Historia, mucho más
grande y mucho más pretenciosa. La Historia que nos pide más
y a la que tenemos que dar más,
justo para meritarnos el Futuro,
que nuestros Padres quieren que
sea nuestra casa común.
El optimismo y el amor a
la vida de nuestra gente, desde
siempre laboriosa y creativa,
debe ser la aptitud y el comportamiento orientado, ya desde
ahora, al futuro, porque tenemos que evitar ser perdedores
radicales y “gafes” por connotación natural, porque nosotros
no queremos aplicar el método
mortífero a la existencia histórica; nosotros no somos de aquellos que “para castigar a los otros
por ser más felices que nosotros,
les inoculamos, a falta de algo
mejor, nuestras angustias”. Al
contrario: tenemos que crear
una comunidad de “pares”, es
decir, de hombres y mujeres
orientados al futuro, capaces de
crear el futuro. Capaces de captar las verdaderas señales de la
Historia. Citamos dos en particular, uno “macro”, el otro (por
decir de alguna manera) “micro”, pero muy “macro” en la
germinación y en el desarrollo.
W Basovizza (Trieste), los estandartes de los Municipios istrianos y
de las asociaciones de los Desterrados en la consueta ceremonia
de homenaje a la Foiba en el Día
del Recuerdo, 10 deFebrero
campo más grande y significativo
que es la misma Europa.
El “micro” - en realidad,
“macro” por gestación, generatividad y futuro - y el espectáculo
de Simone Cristicchi, «Magazzino 18». Una obra de arte y
de creatividad lingüística como
ninguna otra obra teatral de testimonio civil y, al mismo tiempo, un mensaje proveniente de
un hombre, su autor, nacido en
Roma, y por tanto no sospechoso
de contigüidad con el retro tierra
político-cultural de al menos una
parte de nuestro mundo.
Además, este sensible y culto artista, que ya ha mandado
mensajes no comunes y fuera de
los esquemas también en campo
puramente musical, está dentro
de nuestra Historia y está con la
humilde curiosidad de quien se
abre a un pedazo de su historia
personal de italiano y de ciudadano. Este es el método: la pregunta compartida.
Se está solo cuando nadie
comparte la pregunta que urge
en tu corazón. Por eso hemos
vivido tanta soledad y hemos alimentado este clima convirtiéndolo en aislamiento.
Asombrémonos, por tanto,
de nuestra Historia y no la demos por hecho, porque el verdadero “retorno” es la apertura de
las puertas del alma de quien, no
habiendo nacido en tierra istriana, se siente inervado en aquellas
memorias de fuerza y dolor, capaces de nueva creatividad y nuevo candor humano.
Antonio Ballarin
Presidente Anvgd
(traduzioni di Marta Cobian)
16
Venezia Giulia e Dalmazia.
Storia di pietre, di acque e di uomini
Un convegno di studi a Ca’ Foscari
L’
Università Ca’ Foscari
di Venezia ospita, il 6
febbraio 2014 alle ore 15.00,
nell’Auditorium Santa Mar-
nali del medesimo Ateneo.
Introde i lavori il prof. Antonio Trampus, vicedirettore
della Scuola di Relazioni Inter-
di Bruno Crevato-Selvaggi, Società Dalmata di Storia Patria.
Il convegno gode dei patrocini di: Università Ca’ Foscari
Numero 2 | febbraio 2014
Periodico mensile dell’Associazione Nazionale Venezia
Giulia e Dalmazia
Centro Studi Padre Flaminio Rocchi
Direttore responsabile
Patrizia C. Hansen
Editore:
ASSOCIAZIONE NAZIONALE VENEZIA GIULIA E DALMAZIA
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Finito di stampare il 28 gennaio 2014
W Cittanova d’Istria, architetture veneziane nel mare Adriatico (fotowww.travelblog.it)
gherita, il convegno di studi Venezia Giulia e Dalmazia. Storia
di pietre, di acque e di uomini.
L’assise si apre con i saluti
del prof. Carlo Carraro, Rettore
dell’Università Cà Foscari e del
prof. Rolf Petri, direttore della
Scuola di Relazioni Internazio-
nazionali. Seguiranno gli interventi dei professori Giovannella Cresci Marrone, docente di
Storia Romana, Lorenzo Calvelli, docente di Epigrafia Latina, e di Diego Vecchiato,
responsabile Relazioni Internazionali della Regione Veneto e
Dipartimento di Studi Umanistici, Dipartimento di Studi
Linguistici e Culturali Comparati, Scuola di Relazioni Internazionali.
(fonte Società Società Dalmata di
Storia Patria
10 gennaio 2014)
Trieste, dal Museo Sartorio alla Villa Sartorio,
i quadri istriani cambiano sede
R
estaurato nel 2006
dopo due anni di restauri e adeguamenti, il Civico Museo Sartorio di Trieste
rivela alcune criticità, ovvero
infiltrazioni di acqua piovana
attraverso le pareti di pietra
con conseguente umidità e
temperature non adeguate alle
opere d’arte conservate: nella
fattispecie, si sono scoperti a
rischio i «quadri istriani», ovvero i 21 capolavori provenienti dalle chiese istriane e custodite negli ambienti sotterranei
che ospitano i 21 quadri della collezione di proprietà del
Ministero dei Beni Culturali
che in regime
di convenzione
sono stati affidati «temporaneamente» al Museo Sartorio.
Ve r i f i c a t a
la pericolosità
dell’esposizione
all’umido,
la direttrice dei Civici Musei
Maria Masau Dan ha deciso
di trasferire i 21 dipinti nelle
sale dell’antica Villa Sartorio, e
di predisporre un allestimento
nuovo «prima delle festività
natalizie» grazie alle quattro
ditte ingaggiate «per affrontare
Q Una sala
del precedente
allestimento
della collezione
istriana nel
Museo Civico
Sartorio
(foto www.
ilpiccolo.it)
in tempi estremamente rapidi
un progetto così complesso
di trasferimento di collezioni
straordinariamente preziose e
fragili, il cui valore può essere
stimato in almeno 5 milioni di
euro», come ha dichiarato la
dirigente.
Lega Nazionale, rinnovate le cariche
L
a Lega Nazionale ha
proceduto al rinnovo delle cariche sociali per
il prossimo triennio. Alla
Presidenza è stato confer-
mato, per acclamazione,
l’avv. Paolo Sardos Albertini, che presiede il Sodalizio
dal 1988.
L’Assemblea dei delegati
ha inoltre eletto il Consiglio
Direttivo Centrale, composto
da 24 consiglieri nonché,
quali membri di diritto,
dai Presidenti delle Sezioni
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di Dalmazia, di Fiume, di
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Sono stati infine eletti
dal Consiglio Direttivo
Centrale, i Vicepresidenti
dott. Guido Sonzio e Gen.
Riccardo Basile e quali
componenti la Giunta di
Presidenza i consiglieri col.
Antonino Augusto, prof.
Adriano De Vecchi, dott.
Livio Marchetti, Giuliano
Pavan, prof. Stefano Pilotto,
prof. Diego Redivo, dott.
Lorenzo Salimbeni, Fulvio
Sluga.