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Ara pacis Indirizzo Lungotevere in Augusta Roma L’”Ara Pacis Augustae”, un altare sacrificale che risale all’anno 9 A.C., era originariamente inserito all’interno della costruzione progettata da Vittorio Ballio Morpurgo nel 1938. L’unica parte rimasta della struttura di Morpurgo è una lunga parete di travertino che Mussolini aveva fatto incidere con le “Res Gestae” (le gesta del divino Augusto). Il progetto per il nuovo complesso museale dell'Ara Pacis è stato redatto da Richard Meier & Partners Architects, studio statunitense a cui si devono alcuni dei più notevoli musei della seconda metà del Novecento. La cantierizzazione del progetto è stata assegnata all'italiana Maire Engineering ed è curata, per l'Amministrazione comunale, dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali e dall'Ufficio Città Storica. L'edificio, rimasto sostanzialmente inalterato, è stato concepito per essere permeabile e trasparente nei confronti dell'ambiente urbano, senza compromettere la salvaguardia del monumento. Un organismo ad andamento lineare che si sviluppa secondo l'asse principale nordsud e si articola in aree scoperte, ambienti completamente chiusi e in zone chiuse, ma visivamente aperte alla penetrazione della luce. Il nuovo complesso museale, che ricompone la quinta edilizia ad ovest del Tridente, è suddiviso in tre settori principali. Al primo settore, una Galleria chiusa alla luce naturale, si accede tramite una scalinata che supera il dislivello tra via di Ripetta e il Lungotevere e raccorda la nuova costruzione alle chiese neoclassiche antistanti. La scalinata presenta due elementi di richiamo al passato: una fontana, memoria del Porto di Ripetta che insisteva proprio su quest'area, e una colonna che misura dall'Ara la stessa distanza che, in età augustea, la separava dall'obelisco della grande meridiana. La Galleria, che ospiterà i servizi di accoglienza, assolverà la duplice funzione di introdurre la visita al monumento e di "schermare" l'Ara da meridione. Superata la sua penombra, si entra nel Padiglione centrale, dove di giorno l'Ara è immersa nella luce diffusa dei lucernari e da ampi cristalli filtranti. Questa soluzione ha comportato il montaggio di oltre 1500 mq di vetro temperato, in lastre grandi fino a tre metri per cinque, tali da annullare l'effettogabbia del Padiglione e garantire il massimo di visibilità. Il terzo settore, a nord, ospita una Sala per convegni disposta su due piani e fornita di un locale per ristorazione. Sopra la sala, un';ampia terrazza aperta al pubblico affaccia sul Mausoleo di Augusto. Sfruttando il dislivello esistente tra il Lungotevere e via di Ripetta, è stato inoltre ricavato un vasto piano semi interrato, fiancheggiato dal Muro delle Res Gestae, unico elemento conservato del vecchio padiglione. In questi spazi verranno realizzati una biblioteca, gli uffici di direzione e due grandi sale illuminate artificialmente, dove saranno esposti i frammenti non ricollocati nella costruzione del 1938 e altri importanti rilievi della cosiddetta Ara Pietatis. A questi spazi, utilizzabili anche per mostre temporanee, si accederà sia internamente, sia tramite due ingressi indipendenti a sud e nord di via Ripetta. I materiali e le tecnologie Per la realizzazione del nuovo Museo sono state impiegate materie prime e realizzati impianti di assoluta qualità. La scelta dei materiali è finalizzata all'integrazione con l'ambiente circostante: il travertino, come elemento di continuità coloristica, l'intonaco e il vetro, in grado di offrire una compenetrazione tra interno ed esterno, un contemporaneo effetto di volume e trasparenza, di pieno e vuoto. Il travertino proviene dalle stesse cave da cui fu estratto per la realizzazione di piazza Augusto Imperatore negli anni Trenta ed è lo stesso più recentemente utilizzato da R. Meier per il Getty Center di Los Angeles e altre importanti opere architettoniche. La sua lavorazione "a spacco" e le caratteristiche stesse della pietra ne fanno un materiale unico, prodotto con una tecnica messa a punto per lo stesso Meier. L'illuminazione, sia interna che esterna, notturna e diurna impiega riflettori dotati di accessori antiabbagliamento, filtri per la resa del colore e lenti che circoscrivono e modulano la distribuzione del fascio luminoso in relazione alle caratteristiche delle opere esposte. L'intonaco bianco StoVerotec, già materiale d'uso tradizionale, qui viene impiegato su pannelli di vetro riciclato di dimensioni finora mai usate in Italia. Si caratterizza per l'estrema levigatezza, ottenuta attraverso sette strati di applicazione su rete vitrea e per la sua reazione "autopulente" agli agenti atmosferici. Il vetro temperato che racchiude l'Ara è composto da due strati, ciascuno di 12 mm, separati da una intercapedine di gas argon e dotati di uno strato di ioni di metallo nobile per il filtraggio dei raggi luminosi. La sua tecnologia, studiata per ottenere un rapporto ottimale tra resa estetica, trasparenza, fonoassorbenza, isolamento termico e filtraggio della luce, si spinge al limite delle attuali possibilità tecniche. Il microclima interno è affidato ad un complesso impianto di climatizzazione che risponde a due essenziali requisiti: essere il più discreto possibile rispetto all'architettura circostante e reagire in tempi brevi a cause perturbanti le condizioni termiche e di umidità. Una serie di ugelli crea una cortina d'aria che lambisce le grandi vetrate, impedendo fenomeni di condensazione e stabilizzandone la temperatura. A questo è stato associata l’alta tecnologia del sistema a pannelli radianti Seppelfricke SD: una fitta rete di tubi in polietilene reticolato elettronicamente sotto il pavimento e percorsa, secondo la necessità, da acqua temperata calda o fredda, al fine di creare condizioni climatiche ideali: assenza di polveri sospese dovute a moti convettivi dell’aria, sensibile diminuzione di acari, rispetto dell’ambiente grazie al forte risparmio energetico, climatizzando di fatto solamente i volumi nei quali sono presenti i visitatori. Il grande salone dell'Ara è servito, inoltre, da un sofisticato impianto che consente la circolazione di aria con elevato grado di filtraggio anche in condizioni di affollamento due volte superiori al massimo previsto.della Domus Aurea non sorprende se si considera che le fonti antiche più volte sottolineano le manie collezionistiche di Nerone, che aveva compiuto razzie in tutta la Grecia per adornare i saloni della sua reggia, vero e proprio museo di capolavori classici ed ellenistici, tra i quali probabilmente le statue bronzee dei Galati vinti, più tardi trasferite, insieme al resto, nel Tempio della Pace di Vespasiano per essere restituite al pubblico godimento. Scheda Tecnica Indirizzo: Lungotevere in Augusta, Roma Progetto architettonico: Richard Meier & Partners Architects Cronologia intervento: 20002006 Inaugurazione: 21 aprile 2006 Cantierizzazione e realizzazione intervento: Maire Engineering Pontificia Università Lateranense Indirizzo Piazza San Giovanni in Laterano 4 00120 Roma Commissionando il progetto per la nuova Biblioteca della Pontificia Università Lateranense il Rettore Mons. Rino Fisichella aveva chiaramente espresso i suoi intenti: rendere il luogo della lettura e della consultazione dei testi il fulcro centrale dell'Università. L'università conserva una notevole collezione di circa 600,000 libri, alcuni dei quali risalenti al XVI secolo, per la maggior parte testi di filosofia, teologia, diritto canonico, i principali corsi accademici. Molti sono archiviati nei magazzini sotterranei, ristrutturati di recente e equipaggiati con impianti di spegnimento degli incendi e con sistemi di controllo di umidità e temperatura. 25,000 testi antichi sono custoditi in un ambiente protetto, al fine di preservarne lo stato di conservazione. In origine la Sala Lettura della Biblioteca era sita al primo piano nello spazio che ora accoglie il foyer dell'Aula Magna e gli uffici. La nuova Sala Lettura e l'archivio dei libri a libera consultazione sono adesso collocati nel nuovo edificio, più vicino al cuore dell'Università e accessibili dal corridoio principale del primo piano. Le Sale Lettura, prima disseminate in diversi punti dell'Università, sono ora concentrate in un unico volume, in cui sono archiviati 70,000 volumi e 750 pubblicazioni, siti in una torre libraria di sei piani, compartimentata e protetta dal fuoco. La centralità delle attività della biblioteca, archivio e sale lettura, come richiesto dal Rettore, sono architettonicamente esplicitate nel nuovo edificio e nella sua collocazione. Esternamente, il nuovo volume è posto in adiacenza ad un blocco di aulee preesistenti. Sebbene discreto nel cauto allineamento all'edificio esistente e nell'uso degli stessi mattoni in facciata, la nuova Biblioteca afferma energicamente la sua modernità nei volumi sospesi, nei contrasti tra luce e ombra, nei tagli netti tra pieni e vuoti Due, gli effetti immediati: a destra, l'ala dell'Aula Magna dichiara/manifesta con maggior evidenza la sua differenza e importanza rispetto alle ali delle Sale Lettura. Il rivestimento di facciata in travertino, la maggiore altezza , l'intero volume, distinguendosi, acquista di importanza. A sinistra della Biblioteca, l'ingresso dell'Università, ristrutturato circa dieci anni fa, risulta più esplicito, più significante. La loggia in pietra preesistente è stata demolita per far spazio alla nuova Biblioteca e, pur conservando l'ingresso al piano principale dell'Università, tramite l'attraversamento del nuovo corpo, questo risulta secondario, assoggettato gerarchicamente a quello principale. L'Università si apre verso Biblioteca grazie ad una serie di varchi che uniscono le finestre, un tempo affacciate verso l'esterno, e le aperture della torre libraria schermate con vetrate rei. Una scala in basalto conduce dal primo piano dell'Università al primo livello della Biblioteca dove, nell'ampio foyer, trovano spazio la zona di consultazione dei cataloghi informatici, il locale armadietti, la sala lettura destinata ai professori, il banco di distribuzione dei libri. Ai sei livelli di Torre Libraria si accostano 3 livelli di rampa in cui sono poste le pedane con i tavoli lettura; ogni rampa colma due livelli di Torre. L'altezza di piano della Torre Libraria è ridotta al minimo, così da evitare l'installazione di ripiani troppo alti e il conseguente uso di scale per l'accesso ai libri. I sei livelli sono collegati da una scala posta tra il muro di contenimento della Torre Libraria e la facciata della stessa, rivestita da librerie portariviste. Lo spessore della soletta, sottile quasi fosse un ripiano, trasforma la Torre in una grande libreria. La pendenza delle rampe collega la torre libraria con i tagli irregolari in facciata, creando la realtà (non solo l'effetto) di un volume galleggiante nella luce. Vista dall'esterno, di giorno, il netto arretramento delle finestre consente la vista del soffitto sfaccettato e delle 4 colonne di sostegno a mala pena visibili. Di notte i tre blocchi principali galleggiano su lame di luce. Le rampe non sono sospese nel vuoto, ma definite dalla luce che arriva verticalmente dall'alto, dal lucernario centrale, e orizzontalmente, dai tagli sulle due facciate esterne. Sulle rampe, le piattaforme in mogano accolgono i tavoli lettura, anch'essi in listelli di mogano massello. Incassate nei tavoli, le luci ambientali. Le variazioni della luce durante il giorno sono qui più evidenti che altrove: la luce del mattino entra diretta dalle finestre in facciata e più fredda, zenitale dal lucernaio, scaldandosi sempre più, verso mezzogiorno e tornando fredda al pomeriggio, quando però le si affianca la luce calda del tramonto riflessa sugli edifici circostanti. All'apparente movimento di rampe, torre libraria e tavoli si accostano i dinamici cambiamenti di luce. La parte inferiore delle rampe è costituita da lastre metalliche che, sfaccettate secondo la complessa geometria dell'inclinazione irregolare, divengono necessariamente rettilinee sui bordi. Il disegno originario dell'edificio è la risposta strutturale, del paziente e brillante ing. Andrea Imbrenda, ad una serie di vincoli architettonici: utilizzare meno colonne possibili, spessori ridotti di solette e fondazioni che lasciassero il più possibile intatti i resti di una villa Romana, il tutto entro i vincoli di normativa sismica recentemente implementati e di normativa antincendio. Aula Magna L'Aula Magna è stata restaurata in conformità alle moderne norme di sicurezza, ai moderni standard di confort e di equipaggiamento tecnologico, in materia di proiezioni, suono, acustica. E' stata ridisegnata la gradonata per realizzare vie di fuga a norma e sono stati realizzati un nuovo controsoffitto, pannelli laterali che incorporano i meccanismi oscuranti e nuove sedute. Le sedute ripide inclinate bel rappresentano il senso dinamico, filo conduttore dell'intero progetto. Il controsoffitto inclinato e il muro di fondo del proscenio sono un'unica superficie elastica a doppia curvatura che pare generata dalla spinta della cornice del proscenio sulla parete elastica. Da entrambi i lati del palco, le porte di ingresso sono integrate nel piano curvo che scende dal soffitto per divenire muro di proiezione. I tagli nel soffitto conferiscono plasticità alla superficie e nascondono luci d'ambiente e altoparlanti. Sui muri laterali, uno strato di pannelli fonoassorbenti, una struttura metallica regge listelli in legno fissati secondo angoli variabili, producendo l'effetto cinetico di un'onda. In corrispondenza delle finestre i listelli ruotano sull'asse verticale per regolare il flusso di luce. Sono stati mantenuti e restaurati i pannelli dietro il palco e il mosaico arcuato mentre il leggio e il tavolo degli oratori sono stati ridisegnati usando il miglior legno di noce nazionale. Particolare cura è stata destinata al design delle sedute, sviluppato a partire dall'idea di produrre uno stampo che generasse una forma la più organica possibile. Il modulo è stato inusualmente diviso a metà dello schienale e rivestito in pelle sagomata, plasmata al limite per ottenere la forma desiderata. Scheda Tecnica Committente: Pontificia Università Lateranense Rettore S.E. Mons. Rino Fisichella Progetto: Ampliamento della biblioteca Pio IX e ristrutturazione dell'aula magna Benedetto XVI inizio progetto: 2003 inizio cantiere:settembre 2004 fine lavori: ottobre 2006 Superfici: Aula Magna: 660 mq Biblioteca: 2000 mq Progetto e direzione artistica: Riccardo Roselli King Roselli Architetti capo progetto: Andrea Ricci collaboratori: Giandomenico Florio, Ulich Grosse, Christina Hoffmann, Arianna Nobile, Enrica Testi, Katia Scarioni, Toyohiko Yamaguchi Strutture: Proges Engineering Andrea e Pierfrancesco Imbrenda Impianti meccanici: Ovidio Nardi Impianti elettrici: Donato Budano Illuminotecnica: iGuzzini, Baldieri Lighting Design Direzione lavori: Ufficio servizi tecnici Governatorato del Vaticano: Ing.Enrico Sebastiani, assistente: Arch. Roberto Pulitani impresa generale d'appalto: C.P.C. Technodir Fornitori: Biblioteca: falegnameria e mobili: Devoto Arredamenti pavimentazione alla veneziana: Ricordi s.r.l. opere in vetro: lilli serramenti illuminazione: iGuzzini, Baldieri Aula magna: sedute (su disegno King Roselli) Poltona Frau falegnameria palco e foyer Novarreda Boiserie Contin (Estel) illuminazione: iGuzzini, Baldieri infissi: T Dives in Misericordia Indirizzo Piazza San Giovanni in Laterano 4 00120 Roma Grande spazio ha avuto a disposizione Richard Meier per la sua Dives in Misericordia, oggi una delle chiese più note di Roma e l'unica, tra quelle del XX secolo, a ricevere numerose visite di turisti e curiosi (Fig. 10). Bianca e luminosa come nello stile consolidato di Meier, la chiesa ha nella struttura delle vele strutturali il suo elemento formale più appariscente. Tre vele bianche, incurvate, alte fino a 26 metri, tra cui sono disposte le vetrature, una pianta compatta, una luce interna che in parte contraddice la tradizione cattolica, ma che riporta alla concezione palladiana del tempio cristiano. In posizione leggermente rialzata, inserita tra grandi palazzi di periferia, la chiesa di Meier si pone come un vertice architettonico che riqualifica un'intera zona. Anche qui, come al Quartaccio, zone verdi non curate circondano le case della periferia, interrotte solo da ruderi antichi e moderni, e sfruttate a ridosso delle strade per piccoli centri sportivi. Dives in Misericordia è stata costruita con tecnologie avanzatissime sia nella struttura delle vele in cemento armato, aggettanti e montate concio per concio (blocchi prefabbricati di varie tonnellate l'uno) secondo studi statici complessi, sia per l'uso del calcestruzzo bianchissimo, autopulente per una reazione del materiale alla luce solare secondo un brevetto della società Italcementi. La pianta è centrale, quasi normale se confrontata con le precedenti, e non propone all'origine elementi decorativi. Gli uffici della parrocchia sono inglobati nel corpo principale e ne rappresentano il lato squadrato, non curvo e opaco, quindi forse l'aspetto corporeo, pesante, nei confronti dello spirito, leggero e luminoso Scheda Tecnica Anno di progettazione: 1998 Ultimazione dei lavori: 2003 Progetto: Richard Meier capo progetto: Andrea Ricci collaboratori: Giandomenico Florio, Ulich Grosse, Christina Hoffmann, Arianna Nobile, Enrica Testi, Katia Scarioni, Toyohiko Yamaguchi Strutture: Proges Engineering Andrea e Pierfrancesco Imbrenda Impianti meccanici: Ovidio Nardi Impianti elettrici: Donato Budano Illuminotecnica: iGuzzini, Baldieri Lighting Design Direzione lavori: Ufficio servizi tecnici Governatorato del Vaticano: Ing.Enrico Sebastiani, assistente: Arch. Roberto Pulitani impresa generale d'appalto: C.P.C. Technodir Fornitori: Biblioteca: falegnameria e mobili: Devoto Arredamenti pavimentazione alla veneziana: Ricordi s.r.l. opere in vetro: lilli serramenti illuminazione: iGuzzini, Baldieri Aula magna: sedute (su disegno King Roselli) Poltona Frau falegnameria palco e foyer Novarreda Boiserie Contin (Estel) illuminazione: iGuzzini, Baldieri infissi: Tecnal Domus aurea Indirizzo Via della Domus Aurea – Colle Oppio Roma . La storia della Domus Aurea La Domus Aurea sorse sulle ceneri del terribile incendio del 64 d.C., che distrusse gran parte della città di Roma (dieci delle quattordici regioni augustee) e che Nerone vide intonando la caduta di Troia dalla Torre di Mecenate sull'Esquilino. La fastosa residenza del principe, affidata alle cure degli architetti Severo e Celere, venne ad occupare quasi tutto il centro di Roma, cancellando case e edifici pubblici, in un'area di circa ottanta ettari, compresa tra il Palatino, l'Esquilino, l'Oppio e il Celio, includendo in essa un lago vasto "quasi come un mare" (lo stagnum Neronis) e "edifici grandi come città", sì da meritare l'appellativo di Aurea. L'impressione suscitata presso i contemporanei fu tale da oscurare il ricordo della casa precedente (ricordata dai biografi di corte come la Domus Transitoria, ad indicare la sua funzione di collegamento tra il Palatino, sede ufficiale del principe, e i possedimenti imperiali dell'Esquilino) e da ispirare i famosi versi satirici "Roma è oramai una sola casa: migrate a Veio, o Quiriti, se questa casa non occuperà anche Veio". Se il mondo romano aveva già acquisito, negli anni delle guerre di conquista, la moda ellenistica dei grandi peristili colonnati, dei regali saloni di rappresentanza e dei lussureggianti giardini esotici, introdotta a partire dalla fine del II secolo a.C. nelle ricche case di città come nelle lussuose ville di campagna, pure del tutto innovativa risultò la concezione d'insieme della Domus Aurea, nelle proporzioni e nel lusso degli ornamenti, per questo accostabile solo alle regge dinastiche orientali e ai palazzi di corte di Alessandria d'Egitto. Da questi modelli, e dalle ideologie che li avevano ispirati, Nerone derivò la visione assolutistica del potere imperiale, che lo spinse a raffigurare se stesso nelle sembianze del dio Sole nella famosa statua del Colosso bronzeo, alta più di trentacinque metri, posta ad ornamento del vestibolo della nuova casa, sul luogo dove più tardi sorgerà ad opera di Adriano il Tempio di Venere e Roma. La riscoperta alla fine del quattrocento La riscoperta della Domus Aurea avvenne casualmente alla fine del Quattrocento per opera di curiosi e di appassionati di antichità che, calandosi dall'alto nelle grotte ancora interrate, iniziarono a copiare i motivi decorativi delle volte, promuovendo nel secolo successivo la fama e la fortuna dell'arte delle "grottesche". Artisti famosissimi, come Raffaello, Pinturicchio, Ghirlandaio, Giovanni da Udine e altri, le cui firme graffite o tracciate a nerofumo sulle pareti della domus testimoniano ancora oggi il ricordo della visita, trassero ispirazione dalle pitture e dagli stucchi neroniani per decorare le logge e le stufette di cardinali e aristocratici romani, nei Palazzi Vaticani, a Castel Sant'Angelo, a Villa Madama: agli inizi del Rinascimento, la riscoperta della Domus Aurea segnò la scoperta della pittura antica, con un clamore paragonabile a quello suscitato duecentocinquanta anni più tardi dai rinvenimenti degli affreschi di Ercolano e Pompei. Nel 1506, nello scavare in una vigna del colle Oppio, venne disseppellito il gruppo del Laocoonte, una delle opere scultoree più famose dell'antichità, che divide con il Toro Farnese il privilegio di essere citato nella Storia naturale di Plinio il Vecchio, secondo il quale la scultura, raffigurante l'estremo sacrificio del sacerdote troiano e dei suoi figli, condannati dal fato ad una fine terribile per essersi opposti all'ingresso nella natia Troia del cavallo dell'inganno acheo, era posta ad ornamento della domus di Tito. La presenza del celebre gruppo nell'area della Domus Aurea non sorprende se si considera che le fonti antiche più volte sottolineano le manie collezionistiche di Nerone, che aveva compiuto razzie in tutta la Grecia per adornare i saloni della sua reggia, vero e proprio museo di capolavori classici ed ellenistici, tra i quali probabilmente le statue bronzee dei Galati vinti, più tardi trasferite, insieme al resto, nel Tempio della Pace di Vespasiano per essere restituite al pubblico godimento. L'architettura della Domus Aurea Della Domus Aurea oggi resta soprattutto il nucleo edilizio del colle Oppio, formato da circa 150 ambienti, articolati attorno alla sala a pianta ottagonale, vero e proprio fulcro di tutto il complesso, esteso sulla fronte per una lunghezza di circa 400 metri. Gli ambienti, costruiti in opera laterizia, sono per la maggior parte coperti da volte a botte di altezza variabile tra i 10 e gli 11 metri. La planimetria di quanto si conserva ( vedi cartina allegata) permette di distinguere due settori: uno occidentale, caratterizzato da un cortilegiardino a pianta rettangolare, circondato da un portico di ordine ionico, lungo i lati del quale si distribuiscono le sale che alcuni ritengono formare il settore privato della residenza neroniana. A questo settore appartengono alcuni degli ambienti più famosi: la Sala della volta delle civette, cosÏ detta dai motivi decorativi della volta, riprodotta nei disegni e nelle incisioni del Settecento; il Ninfeo di Ulisse e Polifemo, che trae il suo nome dal soggetto a mosaico riprodotto al centro della volta, conosciuto da altri ninfei di ville imperiali, a Baia, a Castel Gandolfo e a Tivoli. Assai più articolato il settore orientale della domus, centrato sulla sala a pianta ottagonale e sui due grandi cortili poligonali aperti ai lati di questa. Nella quale alcuni, senza gran fondamento, hanno voluto riconoscere il salone a pianta circolare, che ruotava continuamente come la terra, ricordato da Svetonio. In questo settore del Palazzo sono conservate la Sala della volta dorata, con la sua sfarzosa decorazione a stucchi policromi; la Sala di Achille a Sciro, dal soggetto del quadro centrale della volta, che riprende il noto episodio omerico dell'eroe acheo nascosto da Teti sull'isola di Sciro, tra le figlie del re Licomede, per sfuggire ai pericoli della guerra di Troia; la Sala di Ettore e Andromaca, anche questa ispirata dall'epos omerico, con la scena dell'addio di Ettore alla moglie e al figlio Astianatte. La mancanza di porte, di latrine, di ambienti di servizio e dei sistemi di riscaldamento farebbero escludere il carattere residenziale del padiglione del colle Oppio, riservato probabilmente solo allo svago e all'ozio dell'imperatore e dei suoi ospiti, in una cornice ricca di bellezze naturali e di opere d'arte. La decorazione della Domus Aurea La fama degli stucchi e delle pitture della Domus Aurea resta legata al nome di Fabullo, l'artista ricordato da Plinio il Vecchio per il suo stile severo, che faceva cioè uso di colori quali il cinabro, l'azzurro, il rosso scuro, l'indaco, il verde, e per la mania di dipingere in toga anche sulle impalcature di cantiere. Le decorazioni dipinte, gli stucchi e alcuni frammenti di mosaico sono quel che resta del lusso e della ricchezza originaria. Gli affreschi, che ricoprono intere pareti dei corridoi e degli ambienti di passaggio, lasciando il posto nelle sale principali ai rivestimenti in pregiati marmi di importazione, sono tutti ascrivibili al cosiddetto quarto stile pompeiano, il sistema decorativo che caratterizza l'ultima fase di vita della città vesuviana e che, ispirandosi alle scenografie teatrali, scandisce le pareti con esili e finte architetture, sovrapposte su più registri, popolate da figure e animali fantastici. I restauri compiuti hanno documentato un uso abbondante della foglia d'oro e confermano ciò che le fonti testimoniano: l'uso delle gemme e delle pietre preziose, come Seneca descrive nella frase una "casa risplendente per lo scintillio dell'oro". I soggetti figurati conservati rivelano una netta predilezione per i personaggi e gli episodi della saga troiana, forse un omaggio del principe alla città che aveva dato le origini a Roma e alla famiglia giulioclaudia. Restauro Dall'inizio degli anni Ottanta, la Domus Aurea, fino a quel momento solo parzialmente aperta alla visita degli studiosi e degli specialisti, venne definitivamente chiusa per ragioni di sicurezza e di conservazione. Urgeva infatti eseguire immediati e accurati controlli sulla sicurezza statica delle strutture murarie, sullo stato di degrado delle pitture e degli stucchi, sui pericoli derivanti dalle acque piovane: venne quindi avviato un articolato programma di ricerca, a cura della Soprintendenza Archeologica di Roma e dell'Istituto Centrale per il Restauro, finalizzato soprattutto all'individuazione dei criteri guida da porre alla base e degli interventi conservativi e delle realizzazioni di impianti per la sicurezza e l'illuminazione delle sale. Gli specialisti, architetti, archeologi, storici dell'arte, restauratori, si trovarono a dover affrontare numerosi e complessi problemi, tra i quali: " Il problema delle pitture, che apparivano ricoperte di una patina bianca compatta di sali, causata principalmente dalle infiltrazioni d'acqua esterna; a questa si aggiungevano strati di terra, sedimentazioni calcaree e danni causati da vari microrganismi; " Il problema delle strutture murarie, visibilmente danneggiate dalle infiltrazioni di acque piovane, dalle radici degli alberi e dal terreno del giardino soprastante. A ciò si aggiungeva l'eccezionale dimensione del complesso antico, formato da 150 stanze per la maggior parte coperte da volte a botte alte tra i 10 e gli 11 metri, che apparve straordinaria agli occhi dei contemporanei di Nerone e che appare straordinaria ancora oggi a noi. Le sperimentazioni dirette eseguite dall'Istituto Centrale per il Restauro e dalla Soprintendenza Archeologica di Roma fra il 1983 e il 1986, relative al confinamento degli ambienti, al nuovo tipo di illuminazione artificiale e al controllo della dinamica dei fenomeni di degrado, hanno consentito l'acquisizione di dati certi, che sono stati posti alla base degli interventi di restauro successivi. Laboratori per l’Università di Tor Vergata . Indirizzo Via Fermo Corni 6 00156 Roma All'uscita 19 del GRA, il Grande Raccordo Anulare di Roma, nel settore sudest tra la Casilina e l'uscita per l'autostrada verso Napoli, lo studio IaN+ ha costruito una delle sue prime architetture. Questo lavoro ha iniziato la sua prima fase nel 1998, è uno tra i primi incarichi del gruppo, ed è stato terminato solo nel 2004. In un'area semi rurale della città, all'interno di un campus indipendente dell'Università di Tor Vergata, al di la di una rete di recinzione tra l'erba umida della campagna romana, un nuovo elemento sorge dal suolo. Cosi IaN+, in un contesto legato ad elementi della tradizione, riesce a sviluppare un'interessante sperimentazione, un edificio su tre livelli, un completamento funzionale nel campus di idrobiologia. L'architettura entra in un processo di scambio con il contesto che lo circonda, un elemento semplice, un parallelepipedo è sottoposto ad una deformazione ed ai suoi possibili effetti. Le superfici esterne diventano ruvide, come irritate da solventi tossici presenti all'interno, e di colore rosso cercando di mimetizzarsi con l'insieme dei casali che sorge nelle immediate vicinanze. Il tetto a doppia falda si trasforma in un ibrido tra falda unica e tetto piano, con un movimento della linea di colmo. Una grande parete di vetro strutturale, come rigettata, fuoriesce creando uno sbalzo. Si configura cosi un elemento compatto, chiuso in se stesso, che si apre come un visore, verso lo spazio centrale del borgo. . Le due pareti laterali si differenziano rispetto alla loro esposizione, mentre una prende luce da aperture geometriche, l'altra è segnata da una costellazione di piccoli oblò, pronta ad l'architettura è pronta a perdere la sua dall'ambiente e il suo paesaggio. Lo spazio interno è molto asettico, un unico colore ricopre tutte le superfici. Lo spazio anemico, quasi devitalizzato, diventa un ideale scenario per esperimenti chimici. Attraversando una grande superficie di vetro si entra nei laboratori, la scala sale in un vuoto che ci porta ai due piani superiori, al termine della quale il tetto alzandosi crea uno spazio che con la parete di vetro, si proietta interamente verso l'esterno. emettere luce nell'oscurità della notte. Non un elemento auto referenziale, ma una "interferenza con il reale", tra sperimentazione e condizione locale. purezza lasciandosi assorbire Un processo di negoziazione dove Un privilegiato punto di osservazione del borgo ed il suo bosco. Accanto a questa movimentata sezione spaziale, scorrono molto regolarmente spazi funzionali e di servizio. Questo modo di concepire lo spazio, attraverso una successione di sezioni affiancate, è un'attitudine rintracciabile in altri progetti di IaN+ come "la casa di Goethe", che Maria Luisa Palumbo descrive come la "metamorfosi di una sezione di spazio, progressivamente ripetuta, traslata e modificata". L'edificio si sviluppa nella fusione tra il vuoto verticale di distribuzione, il vuoto ricavato dall'inversione della pendenza del tetto e il pieno formato dagli ambienti necessari per i laboratori. Nella parte posteriore dell'edificio, l'architettura mostra i suoi organi, dietro una grande rete di ferro, come una sbucciatura nella pelle esterna, vapori e liquidi scorrono in tubi metallici. Le necessità funzionali dell'edificio spingono l'architettura a diventare un sistema capace di gestire e regolarizzare, temperatura, umidità, ventilazione. Questo è un lavoro che riesce a confrontarsi costantemente con l'ambiente che lo ha assorbito, un innesto positivo nel territorio. In questo progetto IaN+ è riuscito, nonostante le dimensioni relativamente piccole, a costruire un'architettura in grado di relazionarsi, generare connessioni, un landmark in una zona semi urbana al ridosso del Raccordo. Nella città ad anello, che sta diventando proprio il GRA, nelle zone di maggiore trasformazione della città, sembra cosi possibile riuscire a sviluppare progetti che sanno entrare in una negoziazione con la realtà, in un intreccio tra paesaggio e flussi vitali. I A N +. Laboratori per l'Università di Tor Vergata Progetto vincitore della Medaglia d'Oro all'Architettura Italiana, seconda edizione, per l'opera prima. progetto: IaN+ architettura: Carmelo Baglivo, Luca Galofaro ingegneria: Stefania Manna cronologia: 19982004 MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma Indirizzo Via Reggio Emilia 54 00198 Roma Il progetto del NUOVO MACRO, realizzato su disegno dell’architetto Odile Decq, sorge a ridosso dell’originaria struttura recuperata nel 1999 e, nell’intenzione della progettista, si pone l’obiettivo di trovare un equilibrio dinamico attraverso la creazione di differenti punti di vista e di approccio al museo. Le aree interne ed esterne non sono concepite in modo statico, ma diventano dinamiche ed offrono ai visitatori l’attrattiva di una scoperta continua. L'inserimento del nuovo edificio progettato dall’architetto Decq, in un contesto molto definito a livello architettonico, vuole integrare la nuova struttura con l’intero isolato urbano. Gli elementi che caratterizzano questo processo sono: l’ ingresso del Nuovo MACRO posto all'angolo tra via Nizza e via Cagliari con la creazione di un doppio ingresso rispetto alla precedente sede museale (in via Reggio Emilia) e l’occupazione di un intero isolato del quartiere ; la creazione di un tettogiardino percorribile a più livelli che consente al visitatore di potersi appropriare di una parte di città sconosciuta, in particolare il tetto percorribile costituisce inoltre uno degli elementi architettonici più importanti nella ridefinizione della identità del Nuovo MACRO e della parte di città che lo ospita. Dal livello più alto dell'edificio ristrutturato di via Reggio Emilia è possibile vedere la nuova porzione di Museo come un giardino panoramico astratto, dove gli storici palazzi di via Nizza e via Cagliari e le inclinate e lucenti masse acquatiche, delineate dalla grande fontana posta sul tetto, ne costituiscono le quinte scenografiche. Di questa nuova struttura oltre all’ingresso, ai percorsi, alle rampe di acciaio e vetro, alle suite espositive, ( di cui una dedicata alle grandi installazioni ) al giardino panoramico è previsto un ristorante situato al livello attico che si apre ,con una terrazza sul tettogiardino e sulla grande fontana. Numerosi percorsi consentono di salire sul tetto. Il progetto delle facciate su via Nizza e via Cagliari rappresenta un'articolazione e integrazione di vecchio e nuovo. Le aperture e le finestre che si affacciano sulle limitrofe strade che circondano il Museo sono create per evidenziare la permeabilità tra le attività del Museo e la città. Chi è Odile Decq Odile Decq (1955) ha studiato architettura a Parigi dove si è laureata nel 1978. Nel 1988 Odile Decq con Benoît Cornette, vince il concorso per la sede del Centro amministrativo e sociale della Banque Populaire de l'Ouest Armorique a Rennes, progetto che le vale numerosi riconoscimenti internazionali e premi. Realizza, poi, sempre con Cornette, architetture fortemente dinamiche di derivazione "high tech", tra le quali il porto di Osaka in Giappone, il Centro di ricerca Saint Gobain a Parigi e il MACRO di Roma, quest'ultimo con la collaborazione anche di Burkhard Morass. Scheda Tecnica Committente: Comune di Roma Progetto: Museo d’Arte Contemporanea Roma inizio progetto: 1998 inizio cantiere: 2003 fine lavori: 2009 Progettisti: Odile Decq con Benoit Cornette e Burkhard Morass Superfici: Spazi espositivi, spazi eventi, spazi artvideo, foyer, ristorante, art cafè, bookshop, sala didattica, sala lettura: mq 10.000 Terrazza giardino adibita a mostre all’aperto e spazio di sosta: mq 2500 Parcheggio: mq 6400 MAXXI Museo Nazionale e Centro per la documentazione e valorizzazione delle Arti contemporanee Indirizzo Via Guido Reni 2F 00196 Roma Nel 1998 il Ministero per i Beni e le attività culturali ha bandito un concorso internazionale per la realizzazione del nuovo Centro per le arti contemporanee a Roma, nell’area della Caserma Montello, al Flaminio. Il progetto vincitore di Zaha Hadid consiste nella sovrapposizione di un sistema di flussi, che conformano gli spazi del museo, al vecchio tessuto urbano. Il sito è solcato da spazi espositivi che si sovrappongono e si attraversano vicendevolmente, generando una complessità geometrica per la quale gioca un ruolo rilevante la struttura del solaio di copertura, ideato come luogo di intercettazione della luce naturale. Con il restauro della caserma, nel 1999 hanno avuto inizio i lavori per la realizzazione del Centro, istituito con la legge 237/99, che all’art.1 ne definisce le finalità: “raccogliere, conservare, valorizzare ed esporre le testimonianze materiali della cultura visiva internazionale, favorire la ricerca, nonché svolgere manifestazioni e attività connesse”, oltre a stanziare i fondi (125 miliardi di vecchie lire) per la realizzazione. La promozione dell’architettura e delle arti contemporanee, obiettivo primario del Centro, è già iniziata negli spazi dell’excaserma, ove sono state allestite mostre ed incontri di cultura, curati dalla DARC (Direzione generale per l’Architettura e l’Arte Contemporanee), che è attiva anche nell’acquisizioni di fondi archivistici, considerati il punto di congiunzione tra conservazione e promozione, tra cultura specialistica e divulgazione.La collezione permanente di archivi di architetti del Novecento consiste, ad oggi, nei fondi di Carlo Scarpa (31400 pezzi), Aldo Rossi (1000 disegni, 9 scatole di foto e carteggi, 50 cassette audio e video, 13 quaderni di appunti, 11 plastici), Vittorio De Feo (2917 disegni, 31 quaderni e blocchi di appunti, 25 faldoni, 248 scatole di foto e diapositive, 25 plastici), Sergio Musmeci (1500 disegni, 50 fascicoli di documenti allegati ai progetti, 20 fascicoli di materiale di studio, 2 plastici) ed Enrico Del Debbio (44000 disegni) e sarà incrementata con le donazioni di altri progettisti ed anche con materiali rappresentativi delle stagioni della cultura architettonica, come per esempio i materiali dei concorsi di progettazione e di idee o quelli prodotti dalle iniziative del museo stesso. La consistenza degli spazi espositivi è equamente suddivisa tra la sezione arte e la sezione architettura; gli ambienti per la custodia dei fondi archivistici sono attualmente situati negli spazi ai piani superiori del Museo Andersen che dista poche centinaia di metri dal Maxxi. Scheda Tecnica Committente: Ministero per i Beni e le Attività Culturali Progetto: Museo Nazionale e Centro per la documentazione e valorizzazione delle Arti contemporanee inizio progetto: 1998 inizio cantiere: 2003 fine lavori: 2009 Progettista: Zaha Hadid Mercati Traianei Indirizzo Via IV novembre Roma Mercati di Traiano costituiscono un esteso complesso di edifici di epoca romana nella città di Roma, sulle pendici del colle Quirinale datato intorno ai primi anni del II secolo D.C.. Dal 2007 ospita il "Museo dei Fori Imperiali".Il complesso, che in origine si estendeva anche oltre i limiti dell'attuale area archeologica, in zone oggi occupate da palazzi moderni, era destinato principalmente a sede delle attività amministrative collegate ai Fori Imperiali, e solo in misura limitata a attività commerciali, che forse si svolgevano negli ambienti aperti ai lati delle vie interne.Il complesso sorse contemporaneamente al Foro di Traiano, agli inizi del II secolo, per occupare e sostenere il taglio delle pendici del colle Quirinale, ed è separato dal Foro per mezzo di una strada basolata. Riprende la forma semicircolare dell'esedra del foro traianeo e si articola su ben sei livelli.Le date dei bolli laterizi sembrano indicare che la costruzione risalga in massima parte al regno di Traiano e forse è da attribuire al suo architetto, Apollodoro di Damasco, sebbene sia possibile che il progetto fosse già stato concepito sotto Domiziano, alla cui epoca potrebbe essere attribuito almeno l'inizio dei lavori di sbancamento. Descrizione delle parti del complesso Gli edifici sono separati tra loro da un percorso antico che in età tarda prese il nome di via Biberatica, che corre a mezza costa sul pendio del colle. La parte inferiore, a partire dal livello del foro, comprende gli edifici del "Grande emiciclo", articolato su tre piani e con due "Aule di testata" alle estremità, e del "Piccolo emiciclo", con ambienti di nuovo su tre piani. Due scale alle estremità del Grande emiciclo consentono di raggiungere i piani superiori e la via Biberatica. A monte della strada, si eleva il "Corpo centrale", con tabernae al livello della via e altri tre piani di ambienti interni, alcuni particolarmente curati ed elaborati. In direzione nord la via Biberatica piega, fiancheggiata a monte dal complesso della "Grande aula": l'ampio spazio centrale, su cui si affacciano una serie di ambienti su due livelli, costituisce l'attuale ingresso del monumento da via IV Novembre. Da qui si accede con passaggi moderni sia alla via Biberatica che agli ambienti del Corpo centrale. Verso sud la via Biberatica si ricollega all'attuale via della Salita del Grillo, che ripercorre un tracciato antico. Ai lati di questo tratto meridionale della via si trova da un lato un isolato con ambienti scarsamente conservati e in parte rimaneggiati in epoche successive; sul lato opposto il piano superiore di un ulteriore isolato la divide da un altro percorso antico, proveniente direttamente dal piano del foro e che si ricollega anch'esso mediante scale con la via della Salita del Grillo. Dal tratto centrale della via Biberatica una scalinata permette di accedere alla "via della Torre" e al "Giardino delle Milizie", alle spalle del Corpo centrale, con altre strutture di età romana su cui venne edificata la Torre delle Milizie, del XIII secolo. Particolarità costruttive "Mercati di Traiano" costituiscono un articolato complesso architettonico che, utilizzando la duttile tecnica costruttiva del laterizio (cementizio rivestito da un paramento in mattoni), sfrutta tutti gli spazi disponibili, ricavati dal taglio delle pendici della collina, inserendo ambienti di varia forma ai differenti livelli del monumento. Tale articolazione permette di passare, con ampio respiro, dalla disposizione curvilinea dell'esedra alle spalle dei portici del Foro di Traiano, a quella rettilinea del tessuto urbano circostante. Numerosi sono i collegamenti interni tra i vari livelli (scale, cordonate, ecc.), dando una sistemazione particolarmente organica e coordinata a un complesso sorto in condizioni di suolo così complesse. La tecnica laterizia è notevolmente curata anche in senso decorativo: in particolare sulla facciata del "Grande emiciclo" un ordine di lesene inquadra le finestre del secondo piano, sormontate da frontoncini alternativamente triangolari, oppure arcuati e affiancati da due mezzi timpani triangolari ("timpano spezzato"). Questo partito decorativo, rimasto sempre in vista e disegnato da numerosi artisti rinascimentali, è realizzato con mattoni appositamente sagomati (che si ritrovano anche nelle cornici marcapiano in altre parti del complesso particolarmente curate). Se ne trovano tracce antecedenti nell'architettura ellenistica (palazzo delle Colonne di Tolemaide in Cirenaica) e in alcune pitture di secondo stile. Gli ambienti aperti sui percorsi esterni o interni avevano una struttura "modulare": coperti con volte a botte, erano dotati di un'ampia porta con soglia, architrave e stipiti in travertino, sormontata da una piccola finestra quadrata che poteva dar luce ad un soppalco di legno interno. Si tratta della forma tipica degli ambienti commerciali (tabernae), normalmente presenti al piano terra delle insulae romane: sono questi ambienti che al momento dello scoprimento hanno suggerito per il complesso una funzione commerciale ed hanno indotto ad attribuirgli il nome moderno di "Mercati" di Traiano. In tutto il complesso gli ambienti erano prevalentemente coperti da volte in muratura, dalle forme più semplici delle volte a botte, alle semicupole che coprono gli ambienti di maggiori dimensioni, al complesso sistema di copertura della "Grande aula", con sei volte a crociera appoggiate su pilastri allargati con mensole in travertino e fiancheggiata al piano superiore da ambienti che ne contenevano le spinte laterali, collegati alla struttura della volta da archi che permettevano il passaggio nel corridoio antistante. Le pavimentazioni utilizzano ampiamente, soprattutto nelle parti scoperte, l'opus spicatum (mattoni di taglio disposti a spina di pesce), a cui spesso veniva sovrapposto un secondo strato pavimentale in mosaico monocromo nero di piccole tessere di selce: la sovrapposizione di due strati contribuiva ad assicurare l'impermeabilizzazione degli ambienti sottostanti. Da monumento a museo Il progetto museale ha dovuto conciliare le esigenze di un museo moderno, dotato di servizi tecnologici, didattici, di ricezione, di consultazione, ecc., con quelle di un monumento già di per sè storicamente e archeologicamente caratterizzato. Si è reso necessario, in primo luogo, un intervento complessivo di manutenzione straordinaria e restauro e inoltre l'intero complesso doveva essere adeguato agli attuali standards impiantistici e di sicurezza, con l'inserimento inevitabile di elementi moderni che non interferissero tuttavia con la possibilità di percepire le architetture antiche. Le opere di restauro, recupero e rifunzionalizzazione del complesso dei Mercati di Traiano in vista della sua destinazione a Museo dei Fori Imperiali sono state articolate e complesse: restauro e consolidamento delle cortine laterizie esterne della Grande Aula, del Corpo Centrale, e in parte del Piccolo Emiciclo consolidamento dei piedritti della copertura della Grande Aula; risanamento delle coperture lignee realizzate durante i lavori del 19261934; rifacimento delle pavimentazioni realizzate negli anni 19261934, in tutti gli ambienti interni con cocciopesto alla romana; all'interno dei nuovi pavimenti sono state inserite le canalizzazioni per gli impianti di alimentazione elettrica e dei sistemi antiintrusione e antiincendio, compresa la predisposizione per una rete informatica. Poich perseguito lo scopo di unificare in un itinerario continuo anche le parti del monumento finora trascurate e considerate marginali: riqualificazione del settore del Piccolo Emiciclo direttamente in contatto con il palazzo TiberiCeva, ora accessibile dal tratto settentrionale della via è l'intero complesso traianeo, nel suo insieme di aree scoperte e coperte, è inteso come un unico circuito museale, gli interventi realizzati per i percorsi esterni hanno Biberatica verso via Quattro Novembre, con rispettose integrazioni murarie indispensabili per garantire la tutela della struttura sistemazione del diverticolo stradale antistante l'originaria facciata settentrionale della Grande Aula, e del suo collegamento con la via Biberatica, mediando il salto di quota attualmente esistente; ripristino di un piano di calpestio praticabile nel tratto meridionale della via Biberatica verso la via della Salita del Grillo, e collegamento di questo con la passerella di Campo Carleo, balconata storica sul Foro di Traiano tra la via della Salita del Grillo e la via dei Fori Imperiali, in corso di risistemazione (2002); riqualificazione della parte alta del complesso, a monte del Corpo Centrale e della Grande Aula, tra la terrazza del cosiddetto "Belvedere" al di sopra dell'arcone sulla via Biberatica, il tratto stradale denominato via della Torre e il suggestivo giardino ai piedi della Torre delle Milizie, che vengono reinseriti nel circuito di visita. Una tematica importante è stata rappresentata dalle problematiche dell'abbattimento delle barriere architettoniche e dell'accessibilità in genere, in ambienti realizzati in altra epoca e per altri scopi. I Mercati di Traiano si articolano infatti su ben sei livelli, collegati da scale spesso ripide. Il problema è stato affrontato nella parte superiore del complesso suddividendo il collegamento verticale in due tratti e sfruttando situazioni già parzialmente compromesse: si è così ottenuto il notevole risultato di connettere ben quattro livelli e tutto il percorso all'aperto entro il complesso archeologico dei Mercati, la cui integrale percorribilità è assicurata anche per mezzo di passerelle in legno e in ferro. Si è affrontato inoltre lo spinoso problema della chiusura della Grande Aula per garantirne la protezione dall'inquinamento acustico e atmosferico, determinato in primo luogo dal traffico che transita su via Quattro Novembre. ll grande arcone che costituisce l'attuale accesso all'Aula non corrisponde alla situazione romana, di cui possiamo solo ipotizzare l'aspetto. Di conseguenza è stato necessario immaginare una soluzione di chiusura che aderisse ai resti della struttura romana senza modificarla, mediante sei grandi lastre di polimetilmatacrilato dell'ultima generazione, assemblate evitando l'impiego di tradizionali telai in metallo (che avrebbero suggerito un qualche disegno). Il materiale scelto assicura i necessari requisiti di trasparenza, lunga durata, elevata resistenza ad agenti atmosferici e ad eventuali atti vandalici. Palazzetto Bianco Indirizzo Via di S. Fabiano Roma creativo in architettura e delineato un itinerario ricco di suggestioni tra architettura e linguaggio. Gli oltre settanta progetti, realizzati da architetti italiani su idee e disegni di Massimo Fagioli nel corso della ricerca, sono pubblicati sul catalogo ‘Il coraggio delle immagini’ e sono stati esposti in una mostra inaugurata da Oriol Bohigas a Barcellona nel 1994 e allestita successivamente in varie capitali da Tunisi a Praga, da Roma a Osaka e Tokio. Il ‘palazzetto bianco’ è frutto di uno strano connubio tra uno psichiatra e un architetto: Massimo Fagioli, noto psichiatra ed artista, autore dell’immagine e Paola Rossi, architetto, qui volutamente nel ruolo di interprete. Il progetto fa parte di una ricerca collettiva culturalmente unica che ha indagato sulle radici del processo Il ‘palazzetto bianco’ , progettato nel 1990, vede la luce soltanto nel 2005, a causa di interminabili e complesse problematiche urbanistiche e giuridiche. Il progetto prevede due prospetti sostanzialmente differenti: l’uno, sul fronte strada, segnato esclusivamente dall’apertura delle finestre e dall’entrata, corrisponde alla zona notte; l’altro, che affaccia sul pendio trattato a verde, costituito da una superficie completamente finestrata, solcata da terrazze continue lungo tutto il suo sviluppo longitudinale e progressivamente aggettanti dal basso verso l’alto, corrisponde alla zona giorno. L’edificio si colloca in un ultimo tassello edificabile a completamento di un pezzo di città definito dal vecchio piano regolatore di Roma ‘zona edificabile a villini e palazzine’. In questo senso il progetto doveva necessariamente corrispondere all’impianto della tipologia a palazzina, che si impose a Roma nei primi decenni del 1900 e disegnò, per sommatoria, tutti i quartieri della Roma moderna. L’ideazione e il progetto I riconoscimenti, da parte di tutti, del valore e del pregio dell’edificio, evidentemente tendono a sottolineare l’artisticità dell’immagine di Fagioli e riconoscere la validità dell’elaborazioneinterpretazione dell’architetto. In questo senso si potrebbe affermare che l’opera è riuscita in quanto è riuscita l’operazione e la ricerca di separare il momento dell’ideazione da quello della progettazione, per poi ricomporli in un’immagine intera e definita nella quale potrebbe essere impossibile individuare i contributi dell’uno e dell’altra. Scheda Tecnica Committenza: privata Gruppo di progettazione: Paola Rossi Architetto Massimo Fagioli Psichiatra e artista Cronologia progetto : 1990/1991 Realizzazione: 2004/2005 Superficie del lotto: mq 895,14 Area di sedime: mq 166,00 Superficie coperta: mq 825,99 Parcheggio interrato: mq 538,23 Area a verde: mq 675,14 Volume: mc 2682,59 Auditorium Parco della Musica . Indirizzo Viale Pietro De Coubertin 00196 Roma L'Auditorium Parco della Musica di Roma è stato progettato dal celebre architetto italiano Renzo Piano. La "sala Sinopoli" è stata inaugurata il 21 aprile 2002, la sala più grande il 21 dicembre dello stesso anno.Si sviluppa su un'area di 55.000 m² tra Villa Glori, la collina dei Parioli e il Villaggio Olimpico.La sua struttura comprende tre grandi “scarabei” di diverse dimensioni, dalla copertura in lastre di piombo, posti a raggiera attorno alla cavea a formare un grande anfiteatro all'aperto, la cavea, che può accogliere circa 3000 spettatori. Oltre alle tre sale da concerto la struttura comprende anche il Teatro Studio, tre diversi studi di registrazione ed il foyer (che in realtà è l'atrio comune alle sale). Sono stati aperti un bar, un barcaffetteria e (con accesso anche alla strada) un barristorante e una grande libreria. Il complesso ospita anche gli uffici della Fondazione Musica per Roma, che gestisce la struttura, e dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, della quale è sede principale.Dal novembre 2005 l' Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha trasferito il suo intero fondo bibliotecario e archivistico al Parco della Musica, con l'apertura della Bibliomediateca, una struttura pubblica di carattere prevalentemente musicale. Dal febbraio 2008 l'Accademia ha aperto, sempre al Parco della Musica, anche la nuova sede del suo museo degli strumenti musicali, che conserva ed espone la collezione di sua proprietà.Il progetto ha inglobato anche i resti di una villa romana patrizia costruita intorno al 500 a.C. ritrovata durante i lavori ed ora visibile dai visitatori tra la Sala Santa Cecilia e la Sala Sinopoli. Esso è la sede stabile della stagione sinfonica e cameristica dell' Accademia Nazionale di Santa Cecilia e della fitta programmazione della Fondazione Musica per Roma che comprende eventi multidisciplinari, concerti di musica Rock, Pop, Jazz, contemporanea, lirica, elettronica e etnica, rassegne di teatro, danza, circo, letteratura e poesia, mostre, incontri con gli autori, Festival di Matematica, Filosofia e Scienze e le stagioni delle due orchestre residenti dedicate al Jazz e alla musica popolare. L'aspetto estetico delle tre sale, a volte chiamate scherzosamente scarabei o armadilli, è senz'altro il catalizzatore dell'attenzione del visitatore. Sono esternamente formate da una base in mattone e dalla sala vera e propria, rivestita esternamente con listelli in piombo. Le tre sale sono state così battezzate: Sala Santa Cecilia, in onore alla patrona della musica, con 2756 posti a sedere; Sala Sinopoli, in onore al direttore d'orchestra Giuseppe Sinopoli, con 1133 posti; Sala Petrassi, in onore al compositore Goffredo Petrassi, con 673 posti. Teatro Studio, con 350 posti. A queste si aggiunge la cavea di 3000 posti, intitolata a Luciano Berio . Sala Santa Cecilia Posta nel punto di maggior impatto visivo dal parcheggio della struttura, la Sala Santa Cecilia è certamente la più impressionante delle tre, ma anche quella acusticamente più difficile da gestire. L'occhio è immediatamente rapito dalla vastità del palco e dall'innovativa soluzione per la copertura del soffitto, formato da 26 gusci in legno di ciliegio americano, ciascuno con una superficie media di 180 m2. L'intera sala assume funzione di vera e propria cassa armonica. Attorno al palco, compresa la parte posteriore, si sviluppa una galleria con ulteriori posti a sedere, forse non favoriti acusticamente e chiamati amichevolmente vigneti. Questa sala, espressamente progettata per la musica classica ma utilizzata anche per ospitare altri tipi di eventi, ha caratteristiche di riverberazione uniche in Italia, con un tempo di ritorno di 2,2 secondi, dalle dimensioni assolutamente fuori dal comune della struttura, e dall'effetto dei già citati gusci lignei che fungono da specchio acustico. L'effetto prodotto consiste nella netta sensazione che l'intensità sonora diminuisca solo fino alla decima fila, oltre la quale sembra mantenersi costante. Le motivazioni alla base di una simile scelta progettuale sono insite nella destinazione d'uso della sala che nelle intenzioni sarebbe dovuta essere impiegata unicamente per la musica classica, nella quale la sola pressione sonora a disposizione per raggiungere ad un volume soddisfacente gli oltre 2.700 posti è quella fornita dallo strumento, da qui la necessità di centellinare ogni singolo metro di superficie per "far suonare" opportunamente la sala. Sala Sinopoli La sala mediana dell'Auditorium è stata intitolata al maestro Giuseppe Sinopoli. Ha come prerogativa l'adattabilità dello spazio interno in funzione del numero di esecutori e del comportamento acustico richiesto dall'evento. L'interno si presenta in modo esteticamente più sobrio della sorella maggiore, con pareti e controsoffitto perpendicolari. La galleria si estende su tre dei quattro lati della sala. Sala Petrassi La più piccola delle sale da concerto dell' Auditorium di Roma è stata intitolata al maestro Goffredo Petrassi dopo la sua morte nel 2003. All'epoca dell'inaugurazione era ancora nominata genericamente Sala Settecento dal numero di posti a sedere. Appare verosimile che l'intenzione di dedicargli una delle sale dell'Auditorium fosse già da tempo nell'animo degli amministratori capitolini. Il maestro Petrassi, nonostante l'età avanzata, volle assistere all'inaugurazione, ed ebbe l'onore della prima assoluta nella Sala Sinopoli dell'Ouverture da Concerto per Orchestra da lui composta nel 1931. Il repertorio a cui si dedica la Sala Petrassi è principalmente costituito da musica lirica, musica jazz, spettacoli di teatro, di danza, e proiezione di film. Per assecondare le necessità teatrali è stata realizzata l'apposita fossa d'orchestra, oltre alle pareti laterali del palco semoventi, che permettono di ridurre le dimensioni del palco e ricavare spazio ai lati per l'ingresso in scena degli attori. Gli esterni Il nuovo Auditorium di Roma è uno dei vanti dell'amministrazione cittadina. A più di sessant'anni dalla demolizione della sala dell'Augusteo, la Capitale ha ritrovato una sala ideata espressamente per la musica classica. Con quest'opera si è inoltre riusciti a portare a Roma l'architetto di fama mondiale Renzo Piano, vincitore del concorso a inviti del 1993. Il professionista genovese ha lavorato in sinergia con Jürgen Reinhold dello studio MüllerBBM di Monaco di Baviera, che si è preoccupato di dotare le tre sale di un'acustica ottimale. Dal punto di vista urbanistico, fin dall'apertura dei cantieri apparve evidente che il complesso fosse fuori scala. Ad aggravare la situazione è intervenuta la necessità di modificare radicalmente il progetto, anche a causa di alcuni ritrovamenti archeologici. È stato necessario traslare diversamente due dei tre "scarabei", in modo da sfiorare il viadotto di Corso Francia che taglia in due il Villaggio Olimpico e chiudere al traffico Viale De Coubertin. Per quanto riguarda le tecniche di costruzione, il cantiere ebbe vicende molto travagliate, sulle cui responsabilità è ancora in corso una vertenza giudiziaria (in corso d'opera il contratto con la ditta aggiudicataria fu risolto e fu indetta una nuova gara d'appalto). Ne è conseguita una forte lievitazione dei costi, sulla quale si sono concentrate critiche e accuse da parte della Corte dei conti. È anche vero che l'area del Villaggio Olimpico, scelta dal consiglio comunale di Roma nel 1992 dopo un annoso dibattito, non era considerata da tutti ideale; non solo per le dimensioni e la conformazione del terreno, ma anche per la distanza dalla metropolitana (la stazione più vicina si trova in piazzale Flaminio) e dalle direttrici del trasporto pubblico. Altro problema irrisolto sono i parcheggi; i pochi parcheggi, all'interno dell'auditorium, sono troppo cari e non li usa nessuno. Pertanto le auto in sosta per i concerti invadono senza limiti il villaggio olimpico che da quartiere residenziale è diventato un quartiere parcheggio. Gli interni Una volta inaugurato nella sua integrità, l'Auditorium ha incontrato consensi entusiastici, ma anche forti critiche, soprattutto da parte degli architetti. In particolare, è stata criticata la scelta dei materiali per i rivestimenti (mattonelle di terracotta color ocra e lastre di travertino). Le critiche alla sala grande si sono concentrate sull'inadeguatezza del riscaldamento e sulla difficile accessibilità. Non essendo stato possibile intervenire nel sottosuolo, la sala insiste su un piano molto elevato rispetto al piano di campagna, e per raggiungere le gallerie sono a disposizione solo due ascensori. Altre critiche sono state rivolte all'insufficienza dei servizi igienici nonché ad un'aerazione a dir poco penosa nei momenti di massima affluenza. A cinque anni dall'inaugurazione, alcuni sostengono che una sala da oltre 2.700 posti sia sovradimensionata rispetto alle esigenze effettive del pubblico abituale dei concerti di musica classica: a parte poche occasioni (ad esempio, il Festival Abbado dell'ottobre 2005), sono numerose le poltrone che restano vuote. I costi elevatissimi richiesti per la manutenzione della gigantesca struttura hanno poi portato la società a cui è affidata la gestione dell'Auditorium ad autofinanziarsi, cedendo i locali per manifestazioni come congressi, convegni, sfilate di moda e piste di pattinaggio. Dall'ottobre 2006, la "Città della Musica" ospita anche la Festa del cinema, che ha visto l'installazione di numerosissimi stand interni ed esterni e un'affluenza di pubblico notevole. Queste manifestazioni hanno tuttavia luogo in sale e ambienti che mal si prestano a questo genere di funzioni, con il rischio di favorire il veloce degrado delle strutture. La resa acustica Gli appassionati di musica hanno rivolto le loro critiche soprattutto all'acustica; in particolare quella della sala grande, fortemente penalizzata dalle eccessive dimensioni. Gli eventuali duecento esecutori che possono trovare posto nella Sala Santa Cecilia, infatti, sono a malapena in grado di sonorizzare adeguatamente l'ambiente, e comunque scontano un inevitabile scotto in termini di medie e basse frequenze e, cosa ancor più grave, di intelligibilità del segnale musicale. I limiti di una struttura così dilatata sono apparsi evidenti anche alle orecchie di non addetti ai lavori, quando la società che ha la gestione dell'Auditorium ha incominciato ad adibire la sala a funzioni ben diverse da quelle per cui era stata progettata, come concerti pop e rock, e addirittura come sala cinematografica, proiettando la nota "maratona" de Il signore degli anelli con tanto di diffusori surround: un ambiente così riverberante non è certo il luogo ottimale per tali eventi. La musica amplificata e ancor più l'audio multicanale necessitano di una grande direzionalità e dettaglio, ai limiti della camera anecoica, caratteristiche lontane da quelle offerte dalla sala. Questo perché con strumenti elettrici il tecnico del suono ha la necessità di controllare per ogni singolo strumento riverbero ed eco, effetti spesso neppure isolabili (si pensi al microfono). Viceversa, gli strumenti classici, in quanto risalenti ad epoche antecedenti l'amplificazione attiva, risultano particolarmente adeguati a sale da concerto riverberanti. Alcuni hanno avanzato la proposta di assegnare un tecnico del suono in pianta stabile per ciascuna delle tre sale, evitando di lasciare l'ospite di turno a dover affrontare un ambiente acusticamente così particolare come la Sala Santa Cecilia. A uditorium P arco della Musica Progetto vincitore di concorso ad inviti nel 1993 P rogetto architettonico: RPBW I ngegneria: ARUP Londra A custica: Jürgen Reinhold studio MüllerBBM Monaco di Baviera I naugurazione: 21 aprile 2002 Facoltà di Scienze Politiche Nuovo Complesso Universitario Romatre Indirizzo Viale Leonardo da Vinci ang. Via Silvio d’Amico Roma trasparente da un nastro verticale vetrato che garantisce al suo interno una intensa luminosità naturale; al centro il volume a base ottagonale delle aule grandi, incastonato nell'intero volume edificato, è vetrato e coronato da una serie di pilastri dal diametro di 140 cm e collegati in testa da un anello di travi. In testa è posta l'aula magna a gradoni, con 400 posti a sedere, illuminata naturalmente al centro attraverso un lucernaio piramidale a base ottagonale; a destra, dopo la scala di sicurezza a pianta triangolare formata da un tubo centrale portante e mensoloni su cui poggiano le rampe, una serie di 12 setti in c.a. di colore bianco disposti a dente di sega per consentire il passaggio della luce naturale da est e impedire l'affaccio in direzione sud verso il confinante edificio per uffici. Ad ovest, infine, un altro fronte simile a quello est ma più contenuto in larghezza, ospita al piano terra un'ampia vetrata di ingresso arretrata rispetto al filo facciata. La pavimentazione della piazzetta antistante, penetra sotto l'edificio creando continuità, attraverso l'uso del materiale, tra esterno ed interno. Al di là della vetrata, una ampia hall di ingresso accoglie il pubblico. Caratteristiche tecniche dell'opera Il volume del corpo di fabbrica è di mc 81.299. L'edificio racchiude mq 12.031 su 8 livelli, di cui 6 fuori terra, è destinato ad aule, laboratori, biblioteca, emeroteca, salette informatiche, dipartimenti universitari, uffici. Integra nel proprio volume anche due autorimesse, dotate di impianto di rilevazione fumi e spegnimento a pioggia Sprinkler, per complessivi mq 11.357 con accessi da Via Gabriello Chiabrera mediante rampe indipendenti. La prima autorimessa di mq 6.723 è suddivisa in due livelli completamente interrati, l'altra di mq 4.634 è suddivisa in 4 livelli fuori terra di cui 2 comunicanti direttamente con i piani delle aule. La forma a stivaletto dell'area ha influenzato la forma planimetrica dell'edificio: in posizione baricentrica trovano posto al quarto piano l'aula magna ottagona a gradoni da 400 posti, illuminata naturalmente dall'alto da un grande lucernaio piramidale a base ottagonale. La copertura piana della stessa è una terrazza panoramica di mq 400 dove può essere allestito lo spazio per la ristorazione, concepito anche all'interno per i periodi freddi. Gli spazi connettivi occupano ad ogni livello, sempre la stessa posizione di spina e fungono anche da via di fuga. Percorrendo questa dorsale si incontrano gli accessi alle aule del piano, alle scale di sicurezza e ai gruppi di servizio, composti da bagni, scale e ascensori del tipo a fune. Uno degli ascensori, abbinato ad una scala di sicurezza,è esterno con vano corsa e cabina completamente trasparenti. La struttura portante in c.a. poggia su plinti che traferiscono il carico al terreno attraverso palificata (vedi foto) profonda mt 33,00 con pali del diametro di mt 1,00. I solai intermedi sono formati con modulilastra prefabbricati Spiroll da mt 1.20 di larghezza in precompresso, autoportanti, con sovrastante getto di completamento ed armatura integrativa necessaria in funzione dei carichi previsti in ciascuna zona. Le tramezzature interne sono realizzate con doppia parete in blocchi da cm 12 di laterogesso scagliola TB WALL 12L, insonorizzata mediante interposto pannello isolante. La resistenza al fuoco REI 180 garantisce alle vie di fuga, perimetrate da questi tramezzi, la protezione necessaria per l'esodo ordinato verso l'esterno dell'edificio. I prospetti sono prevalentemente facciate in vetro a montanti e traversi di alluminio di colore grigio. I moduli vetrocamera montati sulla struttura portante in alluminio hanno un grado di trasparenza molto elevato per sfruttare al massimo la luce naturale. Per il controllo del soleggiamento estivo ad est e ad ovest ci sono delle strutture frangisole composte da gruppi di grandi pale microforate in lamiera di alluminio orientabili, movimentate da attuatori elettromeccanici comandati da interruttori crepuscolari. Per il prospetto sud, messo in ombra per i due terzi dall'edificio residenziale antistante, è stato sufficiente montare dei vetri bassoemissivi stopsol supersilver. Il sistema degli impianti Sulla copertura piana del fabbricato sono posizionati i macchinari necessari al funzionamento degli impianti di riscaldamento e condizionamento. L'edificio è dotato di una propria cabina di trasformazione elettrica a bassa e media tensione che utilizza tre trasformatori in resina in parallelo da 630 kVA di cui uno di riserva. In un apposito locale interrato, ma opportunamente aerato e isolato dal resto è installato un gruppo di continuità assoluta da 160 kVA con il relativo armadio batterie per l'alimentazione di tutte le utenze che necessitano della continuità di esercizio (centraline di sicurezza, laboratori, etc.). Un gruppo UPS viene alimentato da gruppo elettrogeno a gasolio raffreddato ad acqua per fornire un servizio intermittente da 300 kVA. Dal quadro generale di bassa tensione installato nel locale cabina partono le linee di alimentazione dei quadri di piano. La distribuzione al piano transita in passerelle portacavi nascoste nel controsoffitto dove sono sistemati i corpi illuminanti a plafoniera con schermi di tipo "Dark light" e curva di luminanza compresa tra la curva 1 e la curva 2 delle norme internazionali, a cui corrisponde un indice di abbagliamento estremamente limitato. Líimpianto di trasmissione dati garantisce il supporto delle tecnologie ad alta velocità fino a 1.000 Mbps del Gigabit Ethernet. Si sono impiegati materiali durevoli, come il travertino di rivestimento delle torri degli ascensori, l'alluminio delle pale frangisole, la pietra lavica dell'Etna delle pavimentazioni esterne, per sua natura molto resistente all'usura. Si possono installare sulle pale frangisole moduli flessibili di celle fotovoltaiche semitrasparenti per la produzione di una parte dell'energia necessaria al controllo climatico dell'edificio. Scheda Tecnica Committente: Università degli Studi di Roma TRE Incarico A.T.I.: ATI tra Donati s.p.a., Dema costruzioni srl, e Tirrena lavori srl. Responsabile Progettazione: Arch. Franco Pettrone Inaugurazione: 2005 Caratteri dimensionali significativi: SuL fuori terra: 12.031 mq Superficie interrata: 8.145 mq Volumetria generale: 81299 mc Superficie interrati: 11.357 mq Laboratorio Italia Nuovo Complesso Universitario Romatre Indirizzo Viale Leonardo da Vinci ang. Via Silvio d’Amico Roma Raffinato ed elegante, il Nuovo Complesso Universitario Roma Tre progettato dallo studio SPSK+ si inserisce nel saturo tessuto urbano romano, qualificando un area che, degradata dalla presenza di un edificio scolastico dismesso e fatiscente, riconquista la potenziale vocazione di perno, di cerniera del lotto, fondendo il carattere essenzialmente didattico e introspettivo proprio della tipologia scolastica con l'aggiunta di spazi e servizi pubblici messi a disposizione della cittadinanza. Motivi di ordine economico 1350 euro/mq il costo proposto a base d'asta – hanno veicolato l'intero iter progettuale determinando tanto le soluzioni morfotipologiche quanto l'immagine dell'edificio. Nel rigoroso rispetto delle esigenze funzionali del programma, il complesso è scandito dalla tripartizione degli edifici che lo compongono, organicamente collegati tra di loro, ognuno dei quali si configura in maniera autonoma sia volumentricamente che funzionalmente: l'attività didattica si svolge all'interno del blocco delle aule e della biblioteca, fulcro del progetto, edificio planimetricamente preponderante; l'attività di ricerca è concentrata in un edificio a stecca, che occupa la parte terminale del lotto e che contiene le aulelaboratorio e gli studi; mentre un terzo volume dalla pianta irregolare, posizionato in punta alla lunga stecca ad arginare e ricompattare la violenta spinta che questa promana e culminante nella plastica scala esterna, simbolo urbano dominante, ospita i servizi generali, la caffetteria e lo spazio espositivo, all'interno dei quali si svolge la delicata interazione tra residenti e studenti della Facoltà di Economia. Se l'edificio destinato agli spazi della ricerca si confronta direttamente con il contesto residenziale circostante, assumendo carattere di autonoma definizione spaziale in un vivace e dialettico confronto con l'ambiente urbano in cui si inserisce, la limitata altezza del nucleo centrale destinato alla didattica correva il rischio di essere letteralmente schiacciato dallo skyline del quartiere. Nasce quindi la necessità di caratterizzarne morfologicamente la copertura optando per una superficie curva che solidamente infissa sul suolo nella parte tergale, avvolge docilmente l'intero volume sino a librarsi nell'agile aggetto del prospetto anteriore che chiude su se stesso l'edificio. L'impatto percettivo prevalentemente dall'alto che si ha della copertura da parte dei residenti dell'area giustifica e avvalora una scelta compositiva forte, determinante l'immagine dell'edificio, e che sancisce quel felice connubio che lega nel progetto scelte squisitamente esteticoarchitettoniche (seppur geometricamente non del tutto originale, vedi il confronto con la copertura dei Nuovi uffici di TiFS Ingegneria progettati dallo Studio Architetto Mar) con le esigenze di alta rappresentatività dell'intervento, sempre nell'ottica di una buona e funzionale architettura a basso costo. Scheda Tecnica Committente: Università degli Studi di Roma TRE Incarico A.T.I.: Italprogetti Srl e Arch. Carola Clemente (Spsk+) Responsabile Progettazione Architettonica: Arch. Carola Clemente (Spsk+) Responsabile Progettazione Strutturale: Italprogetti Ing. G. Caloisi Responsabile Progettazione Impianti e sicurezza: Italprogetti Ing. Stammati Coordinamento generale e Direzione Lavori: Italprogetti S.r.l. Ing. G. Caloisi Impresa aggiudicataria: Astaldi S.p.A. Strutture metalliche: M.B.M. Costruzioni in acciaio S.p.A. Coperture in acciaio: Sistema Tetto s.r.l. Facciate e infissi: SCHÜCO International Italia ditta installatrice Laro s.r.l. Cronologia progetto: 19982001 Realizzazione: 20022006 Importo lavori: Euro 20.304.563,45 Caratteri dimensionali significativi: SuL fuori terra: 14.596 mq Superficie interrata: 8.145 mq Volumetria generale: 68.000 mc Superficie parcheggi interrati: 7.600 mq Superficie a verde: 3.700 mq Santa Maria della Presentazione Indirizzo Via Andersen Roma La periferia è luogo dove si manifesta non solo il grigiore dell’uniformità ripetitiva da edilizia popolare massificata. Ma a volte, e con crescente intensità in anni recenti, è luogo di sperimentazione. Vi si trovano a volte episodi di rara intensità, come questo edificio progettato dallo Studio Nemesi dell’architetto Michele Molè. L’edificio è stato concepito nella seconda metà degli anni Novanta, per rispondere alle esigenze di una parrocchia di periferia, dal territorio molto vasto. Si necessitava un’altra chiesa per le celebrazioni domenicali, ma anche un centro di aggregazione, che fosse piazza aperta per la socializzazione e pure centro sportivo. Nel tentativo di rispondere con una soluzione mista, che in un solo spazio rispondesse a diverse finalità, all’aula grande si pensò di affidare il compito di ospitare sia le celebrazioni eucaristiche, sia gli eventi sportivi. Oggi, nella realtà dei fatti, l’aula “polifunzionale” realizzata viene utilizzata solo per la celebrazione eucaristica. Ma l’idea di partenza ne ha informato definitivamente e irrimediabilmente il cammino progettuale. L’architettura che ne è risultata, infatti, riflette quell’impulso originario, di inconsueto impegno alla polivalenza. La grande copertura che si dilata orizzontalmente in alto, a proteggere uno spazio più vasto del volume chiuso sottostante, comunica proprio l’idea della piazza aperta ma protetta. L’altezza e la trasparenza del volume al cui interno si intravede la scala, pone in evidenza il sommarsi dei diversi livelli: resta in tal modo epitome ed espressione della poliedricità dell’ambiente. La trasparenza del fabbricato denuncia subito la complessità da cui esso deriva. I volumi si staccano e si incontrano, si compenetrano e si sommano, disegnano superfici e percorsi. E’ in questa complessità che si presenta il carattere dell’edificio, come espressione di un travaglio. In esso si individuano luoghi diversi, ma soprattutto si evidenzia il senso del mutare, del trapassare da un punto all’altro. Di quella che era la facciata nelle chiese storiche, resta memoria nella grata sospesa a mezz’aria nella parte che dà verso la “piazza” bassa, sul lato opposto della strada dalla quale si raggiunge il luogo. Perché la chiesa sorge su un declivio, che dalla quota alta, verso la strada, scende verso una zona a prato, ampia vallata dove il sobborgo romano guarda verso la campagna. L’aula grande si apre al livello basso. Accanto a questa un altro volume sferoidale racchiude la cappella feriale. E’ questa il cuore dell’edificio. E’ di impressionante modernità l’arredo liturgico, frutto di un gesto che richiama l’idea di movimento e di meccanicità, di rapidità e di energia. Il susseguirsi di superfici che con ritmo incalzante erompono in varie direzioni non risulterebbero estranee in un centro sportivo. Qui si raccolgono attorno all’altare, coronandolo di uno scenario di stringente quanto astratta drammaticità. Il significato del luogo si raccoglie nella croce: un semplice profilo metallico il quale, contro le pareti chiare e i tagli di luce che misteriosamente si fanno strada nelle masse, si riveste di una presenza di particolare valore. E diventa punto focale, luogo di attenzione, ancoraggio di significato; evidenza di un messaggio che permane pur nel tumultuoso mutare della storia. Il presbiterio nel suo complesso risulta non estraneo a una rivisitazione in chiave “hitech” di un certo brutalismo. Si tratta di un’interpretazione che esprime compiutamente il compito che all’origine era stato prefisso per questa architettura. Una parete mobile può calare e separare il presbiterio dal resto dell’aula: occultandolo, quando in questa si svolgessero eventi ginnici. Ma, ancora, questa seconda destinazione tuttora non ha trovato luogo. E l’aula resta solamente chiesa. Nella sfera invece la cappella feriale appare come un prezioso gioiello in qualche modo recluso, sparato. Tutta la cappella sembra assumere caratteristiche di luogo appartato, atto alla conservazione della sacralità. Qualità, questa, che la rende simile a un grande tabernacolo. La forma sferoidale e la sua collocazione nel contesto dell’edificio, danno alla cappella una particolare importanza. Come se tutto il resto confluisse qui dentro, e di questa non fosse che il prodromo. La verità liturgica dell’edificio era infatti sin dall’inizio pensata per concretarsi in questo luogo. Scheda Tecnica Indirizzo: via Andersen, Quartaccio, Roma Progetto architettonico: Nemesi Studio, Roma Cronologia progetto: 19972001 Arch. Michele Molè, Arch. M. Claudia Clemente; dal 2002 Arch. Michele Molè Realizzazione: 2002 Project team: F. Isidori, D. Durante, A. Savino, F. Cherchi; F. Mammuccari, M. Sardella, A. Greti, R. Atena Progetto strutture: Studio 35 (Ing. Camillo Sommese con Ing. Gabriele Molè) Progetto impianti: Arch. Riccardo Fibbi Impresa edile: Ruggieri Mario, Roma Infissi: Metra, Rodengo Saiano (BS) Santo Volto di Gesù Indirizzo Via della Magliana ang. Via Caprese Roma Massiva, articolata, la Chiesa del Sacro Volto di Gesù presta alle percorrenze automobilistiche il fianco ed il dorso, raccogliendo i fedeli sul sagrato rialzato adiacente il camminamento pubblico. Su questo quasi si protendono a richiamo le campane e da qui, attraverso una breve e rigorosa diagonale, ci si pone in dirittura della Croce monumentale. Il percorso accelera la percezione d’acquisizione del monumento ravvicinando rapidamente i setti perimetrali del luogo sacro e dei volumi di completamento a fronte, con geometria fortemente convergente in pianta e netta separazione volumetrica di chiesa e costruito antistante, filtro alle preesistenze residenziali oltre lotto. Motivata in modo chiaro dai progettisti come attenzione significativamente volta al senso di percorrenza verso la Croce, alla sagoma convergente è ampiamente riconosciuta, in visuale opposta, la valenza simbolica d’abbraccio alla città, trovando precedenti romani assoluti nel Sant’Ivo borrominiano. All’attiva domanda della comunità di quartiere desiderosa del luogo per il culto risponde la scelta programmatica della progettazione estesa, in certo qual modo partecipata, condotta in équipe fra gli architetti Massiva, articolata, la Chiesa del Sacro Volto di Gesù presta alle percorrenze automobilistiche il fianco ed il dorso, raccogliendo i fedeli sul sagrato rialzato adiacente il camminamento pubblico. Su questo quasi si protendono a richiamo le campane e da qui, attraverso una breve e rigorosa diagonale, ci si pone in dirittura della Croce monumentale. Il percorso accelera la percezione d’acquisizione del monumento ravvicinando rapidamente i setti perimetrali del luogo sacro e dei volumi di completamento a fronte, con geometria fortemente convergente in pianta e netta separazione volumetrica di chiesa e costruito antistante, filtro alle preesistenze residenziali oltre lotto. Motivata in modo chiaro dai progettisti come attenzione significativamente volta al senso di percorrenza verso la Croce, alla sagoma convergente è ampiamente riconosciuta, in visuale opposta, la valenza simbolica d’abbraccio alla città, trovando precedenti romani assoluti nel Sant’Ivo borrominiano. All’attiva domanda della comunità di quartiere desiderosa del luogo per il culto risponde la scelta programmatica della progettazione estesa, in certo qual modo partecipata, condotta in equipe fra gli architetti Sartogo e Grenon e la selezionata cerchia di pittori e scultori convocati a concertare il programma di realizzazione dell’architettura e contestualmente della traduzione artistica della comunicazione liturgica. Esposta alla critica, l’opera guadagna giudizi positivi, pur registrando alcune osservazioni sulla tettonica ritenuta da taluni non pienamente convincente, sulle tonalità decise degli annessi, sugli esiti formali additati come postmodern, sulla tipologia ricondotta alle soluzioni “a capanna” in quanto prassi diffusa scartante l’opzione della gerarchia degli spazi fra aula principale ed ambiti più raccolti. Ma come ben fissato in parole da Calvino, la capacità di alimentare il dibattito dagli umori più vari è attitudine dei gesti artistici significativi. Presenza e assenza della cupola Oltre ai talenti d’impianto e di programma, l’opera giunge particolarmente al fruitore per lo spiccare notevole del corpo semisferico centrale, da alcuni ritenuto partecipare alla citazione dell’elemento ‘cupola’ mediante fogge più proprie dell’uso mediorientale piuttosto di quello latino. Il volume si mostra infatti netto, puristicamente vestito di lastre litiche dall’impatto esteriore omogeneo ed è solo lievemente scalfito dalle leggere spigolature del rivestimento in conci di geometria definita precisamente in travertino romano. Nel complesso esso risulta quale elemento ordinatore dell’intorno, pianeta attorno a cui gravita il costruito circostante. Quanto invece al suo rapporto con i pieni e vuoti in cui si articola interiormente il progetto, venendo dunque alla significatività della porzione mancante della sfera ed agli esiti architettonici con cui quest’assenza prende in verità corpo, è stato più volte già scritto da altri. L’analisi di Massimo Locci sul numero 58/05 del Bimestrale dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia ci pare più di tutte entrare in profondità: “I concetti di assenza e virtualità, che Sartogo padroneggia dagli anni Sessanta, grazie anche al rapporto stretto con il mondo dell’arte, sono qui intesi come segni forti e strutturanti, capaci di decostruire la massa edilizia, sezionarla e scomporla in più elementi, come se una faglia orizzontale avesse attraversato il manufatto (“l’architettura è un genere che vuole essere attraversato”) facendo emergere il corpo architettonico che era inglobato nella sagoma, come un calco michelangiolesco dello spazio in negativo. Non a caso “Vitalità del negativo”, una mostra che ha segnato una generazione, è stata allestita nel 1970 al Palazzo delle Esposizioni proprio da Piero Sartogo e Achille Bonito Oliva. Quest’ultimo a tal proposito evidenzia: “Sartogo ha sempre lavorato tra l’interno e l’esterno, tra il pieno e il vuoto, creando una sorta di spazio dell’eco, uno spazio di rimbalzo dello sguardo (…) ha lavorato sul dormiveglia che credo sia l’ossatura, la nozione fondante dell’arte; quel luogo del confine in cui si può delirare ma in cui si può anche riflettere”. Travertino romano Il ricorso esteso al travertino romano ci pare assuma significati molteplici: dall’affidamento alle risorse ed alle parallele suggestioni del genius loci, all’assonanza ed al richiamo fisico alle realizzazioni romane alte dell’antico testimoniato nelle più parti della città, come pure del moderno con riferimento speciale all’Eur. Il tono elevato conferito dalla scelta materica coincide con l’esito della valorizzazione della spazialità sacrale; l’applicazione in interno e parimenti in esterno costituisce legante sottile tra vita pubblica e spirituale. La specificità del tipo romano classico, entro la famiglia comune ai travertini delle rocce sedimentarie calcaree, risiede nella provenienza dalle zone ai margini del vulcano laziale, in particolare da Tivoli. Il lapis tiburtinus, il conseguente nome comune latino, introduce in modo pacato e solenne all’ampio spazio sacro, in cui ambiti definiti sono prescelti per alloggiare tonalità forti spiccanti nella luminosità d’insieme. La cortina vitrea, vicendevolmente occhio verso il cielo e verso l’aula, cela entro rivestimenti leggeri l’arditezza dell’ingegnerizzazione dei suoi sostegni: la cupola si regge infatti senza ausilio di pilastri, a sbalzo rispetto alla struttura circolare in acciaio a mozzo eccentrico del diametro di 20 metri circa a tenuta del rosone in cristallo. Al centro è mancante il viso del Christus Pathius in fusione di ghisa per opera di Jannis Kounellis, mentre la concezione figurativa del rosone si deve a Carla Accardi. L’imponente croce svettante al fulcro visivo di chi accede è di Eliseo Mattiacci, di Giuseppe Uncini il filtro in tondini metallici posto a cancellata. Mimmo Paladino si misura all’interno con le stazioni della Via Crucis sviluppando il tema dei quattro elementi; gli apporti scultorei di Chiara Dynys, le filigrane del volto di Gesù di Pietro Ruffo e le pitture murali di Marco Tirelli completano il programma artistico permanente. Scheda Tecnica Indirizzo: Via della Magliana ang. Via Caprese, Roma Progetto architettonico: Pietro Sartogo e Nathalie Grenon Progetto ingegneristico: Ingegneria strutturale: ing. Arturo Micheletti Impianti: ing. Dell’Aquila Cronologia: Inizio lavori: 2003 Fine lavori: 2006