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Città di Anzio Museo Civico Archeologico Regione Lazio Assessorato Cultura Spettacolo Sport Con la collaborazione della Soprintendenza Archeologica di Roma Capolavori Ritrovati dal Museo Nazionale Romano Villa Adele - Anzio 7 dicembre 2006 ideazione Franco Pusceddu organizzazione e coordinamento Giuseppina Canzoneri progetto espositivo e grafica Studio Mastrella, Anzio si ringraziano: Anna Maria Reggiani Direttore Generale per i Beni Archeologici Ministero BB. e ªAA. CC. Adriano La Regina già Soprintendente della Soprintendenza Archeologica di Roma computer grafica Andrea Colella Soprintendenza Archeologica di Roma: allestimento InLegno s.n.c. di Marigliani e Ruberto movimentazione opere d’arte Minguzzi s.r.l. fotografie Francesco De Rubeis Il costume di Anzio Marina Criserà ArcheoFood Leonardo Salesi ArcheoFlowers Saverio Sciaudone Catalogo a cura di Alessandro M. Jaia Quaderni del Museo Civico Archeologico di Anzio, n. 3 Angelo Bottini Soprintendente Direttore del Museo delle Terme di Diocleziano Direttore del Museo di Palazzo Rita Paris Massimo Direttore - Architetto del Museo Marina Magnani delle Terme di Diocleziano Direttore dell’Ufficio Servizi Rosanna Friggeri Aggiuntivi Gabriella Angela Bufalini Responsabile del Medagliere, Museo di Palazzo Massimo Direttore - Coordinatore del setGiovanna Bandini tore restauro, M.N.R. responsabile Sezione restauro Ida Anna Rapinesi oreficeria e glittica responsabile Archivio scientifico, Marilena Mulas M.N.R. Assistente archeologa Stefania Trevisan responsabile Sezione restauro Saverio Tranquilli opere lapidee e musive, Museo di Palazzo Massimo Ufficio del Consegnatario, Museo Sonia Panatta delle Terme di Diocleziano Ufficio del Consegnatario, Museo Giovanna De Angelis delle Terme di Diocleziano Medagliere, Museo di Palazzo Gianfranco Boscarino Massimo Maria Antonietta Tomei Per la terza volta in pochi anni ci ritroviamo al Museo Civico Archeologico per un grande evento. Dopo l’inaugurazione del Museo e l’esposizione della Fanciulla d’Anzio (2002), dopo la Venere anziate del Louvre (2004), questo nuovo appuntamento ha un sapore un po’ diverso, è la cartina tornasole dell’impegno profuso in questi anni dall’Amministrazione e, nel particolare, dallo staff del museo. Centodiciannove opere provenienti da Anzio e conservate presso il Museo Nazionale Romano tornano nella nostra città in prestito permanente. Al termine della mostra rimarranno ad Anzio, in esposizione permanente nelle sale del Museo. Si tratta di reperti provenienti da diverse zone della città: da S. Teresa, da Viale Severiano, da via Bengasi, dalla villa imperiale, dal mare. Questi materiali rappresentano testimonianze importanti di aspetti diversi della vita quotidiana degli antichi anziati dagli albori della storia al Medioevo e provengono da luoghi che noi abitualmente frequentiamo e attraversiamo, a cui siano legati intimamente spesso fin dai primi anni della nostra vita. É questa, dunque, l’occasione per rivivere in maniera diversa i luoghi della nostra città, per vederli da un punto di vista nuovo, come immagine di una stratificazione millenaria che ha prodotto la nostra civiltà, con le sue conquiste e le sue contraddizioni. Rivalutando e recuperando i luoghi storici della città li rendiamo punti di partenza, presupposti per guardare avanti con ottimismo e rinnovato impegno, tenendo ben presenti le nostre radici. Anche in questo senso vanno letti i tanti impegni che l’Amministrazione Comunale ha preso con i suoi concittadini e che si stanno man mano concretizzando nella restituzione alla fruizione pubblica di edifici e spazi di valore storico e paesaggistico: i cantieri, ormai in stato di grande avanzamento per il restauro e il recupero di Villa Sarsina e per la creazione dell’orto botanico e parco archeologico dell’area del Vallo Volsco; l’impegno, attualissimo, per la salvaguardia delle strutture sommerse del Porto Neroniano. Il “ritorno” di queste opere ad Anzio conferisce concretezza anche all’intenso lavoro svolto in questi anni nell’ambito dell’istituzione museale della città. Altri progetti in via di definizione porteranno a breve nuovi, importanti frutti. Alla base, la sempre più stretta e fattiva collaborazione con istituzioni museali italiane e straniere e, in maniera del tutto particolare, con i diversi uffici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali coinvolti nelle nostre iniziative. Mi sia concesso, al riguardo, di ringraziare la Dott.ssa Anna Maria Reggiani, Direttore Generale per i Beni Archeologici del Ministero, il Prof. Angelo Bottini, Soprintendente archeologo di Roma e la Dott.ssa Maria Antonietta Tomei, direttore del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano. Grazie alla loro disponibilità si chiude un primo capitolo, aperto grazie alla fiducia accordataci dal Prof. Adriano La Regina, già Soprintendente archeologo di Roma, al quale rivolgo, ancora una volta, un sentito ringraziamento. Dicevo che si chiude un primo capitolo nelle fruttuose relazioni con la Soprintendenza archeologica di Roma. Certamente non sarà l’ultimo. Ci stiamo impegnando per proseguire su questa strada, sia per ospitare in mostra ad Anzio altri capolavori rinvenuti nella nostra città, sia per rivalutare attraverso il deposito a tempo indeterminato altri ritrovamenti anziati, attualmente nei magazzini del Museo Nazionale Romano. Candido De Angelis Sindaco di Anzio La città di Anzio, nel panorama del Lazio antico, si contraddistingue per la ricchezza e l’importanza delle sue presenze archeologiche. Storicamente, come centro abitato, la città fece la sua prima apparizione nel V sec. a.C.: inserita dai Volsci nel loro sistema di centri fortificati, subito dopo acquistò un’importanza rilevante, favorita dalla propizia posizione geografica. Dopo lunghe lotte, nel 338 a.C. Anzio fu definitivamente sconfitta da Roma che vi fondò la colonia romana. La grave crisi vissuta nel I sec. a.C., in seguito alle lotte sociali, fu superata per i decisivi interventi successivamente attuati dall’imperatore Nerone, che fece ricostruire il porto e che produsse un forte impulso all’edilizia pubblica e privata della città, innalzandovi la sua celebre e grandiosa villa aperta sul mare. Lo splendore e la ricchezza del periodo neroniano si mantennero quasi inalterate per tutta l’età imperiale, come attestano le diverse fasi costruttive della residenza imperiale. Dei numerosissimi materiali di varie epoche, che una città così ricca di storia e di vicende edilizie ha restituito in seguito agli scavi e alle trasformazioni urbanistiche, molti sono confluiti in passato, a più riprese, nel Museo Nazionale Romano, dove sono a lungo rimasti. Di questi i più rilevanti, come i mosaici, sono stati esposti nelle Aule museali, mentre gli altri sono stati depositati nei magazzini, in attesa di uno studio adeguato e di una più precisa contestualizzazione. Il lavoro di ricognizione sui reperti dei depositi del Museo romano, intrapreso da diversi anni in collaborazione con il Centro Regionale di Documentazione, ha contribuito a individuare e a classificare accuratamente i materiali provenienti da Anzio, offrendo così la possibilità di reinserirli nel loro corretto contesto topografico. Nella linea, da tempo seguita, della valorizzazione dei musei locali - in questo caso di quello di Anzio recentemente riorganizzato – è con vero entusiasmo che sono stati riconsegnati alla città 119 reperti provenienti dal territorio anziate oggetto della mostra. Provenienti in gran parte dall’area delle necropoli, ma anche dall’antico centro urbano, i manufatti, di tipologie e di materiali differenti, abbracciano un ampio arco cronologico. Si va infatti dalle fibule in bronzo di VIII sec. a.C., dalla necropoli protostorica di viale Severiano, alle ceramiche IV – II sec. a.C., dall’area urbana antica, fino al grande mosaico di tessere bianche e nere proveniente dalla villa imperiale, e precisamente dal promontorio dell’Arco Muto, con al centro l’erote che cavalca la pantera. L’individuazione dei reperti, le procedure necessarie alla consegna, infine il loro allestimento nel museo di Anzio, operazioni realizzate in tempi brevi solo grazie all’impegno e alla collaborazione tra la Soprintendenza e il Comune, porteranno a notevoli risultati: non solo il Museo arricchirà notevolmente la sua già importante collezione, ma, ricontestualizzando i materiali recuperati, potrà espletare più efficacemente il suo compito di documentare e valorizzare, attraverso una lettura storica, il territorio della città. Maria Antonietta Tomei Soprintendenza Archeologica di Roma Vi sono periodi nella storia moderna delle nostre città in cui le testimonianze del passato riemergono con particolare abbondanza. In genere, questo avviene in concomitanza di fenomeni di rilancio economico, ripianificazione urbana o addirittura di vere e proprie rifondazioni. Come è noto, Anzio ha conosciuto molti di questi momenti. Tra Seicento e Settecento, la costruzione delle cosiddette “ville cardinalizie” e poi del porto Innocenziano ha segnato la rinascita dell’abitato dopo la lunga parentesi medievale. Dopo l’unità d’Italia, l’apertura della linea ferroviaria ha convogliato verso la città una più larga fascia di frequentatori, imponendo la necessità di un più organizzato piano di sviluppo urbano, impostato solo tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. In seguito, il boom economico ha determinato la grande espansione dell’edilizia privata. In tali frangenti, la possibilità di analizzare, studiare e conservare le vestigia antiche portate in luce è, evidentemente, condizionata da numerosi fattori che non solo variano nel tempo ma dipendono anche dall’assetto sociale, dalle priorità nella gestione della cosa pubblica e dalla sensibilità e capacità dei singoli. I materiali individuati nei magazzini del Museo Nazionale Romano oggi in esposizione ben riflettono le difficoltà imposte da questo stato di cose. Si tratta di 119 pezzi di natura e qualità differente, provenienti da contesti diversi per tipologia e cronologia. Ritrovamenti effettuati nel corso di lavori edilizi, scavi di emergenza e recuperi tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del Novecento, in occasione dell’ultima fase di espansione edilizia della città. Apparentemente scarse le notizie sulle circostanze di ritrovamento e il contesto di provenienza; inesistente l’apparato documentario. Dopo la prima, accurata schedatura, già realizzata presso il Museo Nazionale Romano, si è proceduto quindi non solo allo studio approfondito dei singoli pezzi, ma anche al recupero di tutte le informazioni utili a ricostruire il contesto di provenienza dei materiali, ottenendo in alcuni casi significative acquisizioni su vecchi scavi ed identificandone altri del tutto inediti. I risultati sono, direi, lusinghieri: all’interno dell’area del primo insediamento anziate si è riconosciuto un deposito votivo di età medio repubblicana del tutto inedito. Nell’area della villa imperiale, la “riscoperta” delle planimetrie degli scavi degli anni Trenta del Novecento, redatte da Guglielmo Gatti, ha permesso di ampliare di circa un terzo l’area conosciuta della villa, individuando con precisione la collocazione di diversi pavimenti a mosaico allora trasportati al Museo Nazionale Romano, tra i quali quello con Erote e pantera oggi in esposizione. Nuove acquisizioni si registrano per la necropoli protostorica di viale Severiano e soprattutto per la necropoli romana di via Bengasi, fino ad oggi del tutto inedita, sebbene nota agli studiosi, e priva addirittura di una planimetria. Queste nuove acquisizioni, apparentemente slegate tra loro, assumono un particolare valore se collocate nel quadro generale delle nostre conoscenze sulla topografia di Anzio, andando a riempire alcuni tasselli mancanti nella ricostruzione dell’assetto della città e del suburbio in età romana e preromana. Si tratta di un contributo prezioso per la redazione della carta archeologica di Anzio, ormai in avanzato stato di realizzazione e prossima alla pubblicazione a cura di un gruppo di giovani studiosi da me coordinati. Il catalogo della mostra riflette questa impostazione: i materiali sono distribuiti con numerazione progressiva ed univoca nei diversi capitoli in base ai contesti di provenienza e, all’interno di questi, per classe. L’ultimo capitolo tratta dei materiali privi di provenienza certa o recuperati in mare. In ogni capitolo, un’introduzione di carattere storico-topografico illustra le problematiche connesse alla natura e alle circostanze del ritrovamento; seguono le schede dei singoli pezzi, curate con la consueta competenza dagli autori, che ringrazio per la partecipazione al progetto. Alessandro M. Jaia Sapienza Università di Roma Parte I Viale delle Roselle. Deposito votivo Quanto, invece, alla natura del rinvenimento si deve constatare che il complesso dei materiali di seguito presentati è congruente per associazione, ma assolutamente disomogeneo per tipologia di produzione. Si deve pertanto escludere la possibilità che si tratti di una fornace. L’equivoco è probabilmente nato al momento del recupero, a causa della patina bianca e resistente che riveste alcuni dei vasi, prodotta non dalla calcinazione, ma dal fatto che una parte dei materiali era evidentemente deposta in una fossa scavata nel substrato geologico superficiale, che ad Anzio è costituito da arenaria di colore biancastro, spesso polverizzata e con tendenza a ricompattarsi con l’umidità. La composizione del deposito e la natura dei pezzi, ben conservati, lascia supporre che possa trattarsi di Un consistente nucleo dei materiali fino ad oggi conservati nei magazzini delle Terme di Diocleziano del Museo Nazionale Romano è pertinente ad un unico ritrovamento1. Si tratta di vasi in gran parte integri: un askos a figure rosse, ceramica a vernice nera sovradipinta riferibile a diversi luoghi di produzione, coppe e coppette a vernice nera in genere riconducibili all’Atelier des Petites Estampilles o a fabbriche affini, trentanove brocche miniaturistiche in argilla depurata ed impasto chiaro sabbioso, una brocca ed un’anfora da tavola di impasto chiaro. Disponiamo di due elementi utili per individuare il punto preciso di provenienza. Dentro la cassa che conteneva le brocche era un cartoncino con la scritta “Anzio via Roselle”, mentre dentro i due vasi di impasto chiaro si trovava un foglietto con la scritta “Anzio fornace”. Queste informazioni, piuttosto vaghe, diventano preziose indicazioni se vengono confrontate con quanto riferito da P. Chiarucci, circa la notizia, raccolta localmente, del ritrovamento di una fornace durante i lavori per la costruzione del complesso del Don Orione “posto in piazzale Anteo”, dove furono visti “ancora in posto numerose pile di vasi, di anfore e di ceramica a vernice nera”2. La segnaletica attuale indica con questo toponimo il piazzale presso il polo commerciale a nord-est del centro moderno, al di fuori del circuito urbano antico. Tuttavia la sede dell’Istituto Don Orione, effettivamente realizzata agli inizi degli anni ’60 del Novecento nella zona di S.Teresa, ovvero all’interno dell’area urbana antica, è posta all’incrocio tra via Anteo (civico n. 2) e viale delle Roselle (civico n. 1), dove le due strade creano una piazzola denominata dalla segnaletica stradale, anche in questo caso, piazzale Anteo. Mi sembra dunque che sia possibile individuare proprio nell’area del Don Orione il luogo del ritrovamento di questo gruppo di vasi (Figg. 1, 2.4). 1. 3 MURRAY THREIPLAND - TORELLI, 1970. Scavo del cosiddetto “Capannone”, vedi FENELLI - GUAITOLI 1990, pag. 192, fig. 16. 1 4 Data di ingresso al MNR: 10 agosto 1963. 2 CHIARUCCI 1989, p. 95. 9 1. Localizzazione dell’Istituto Don Orione 2. Ritrovamenti di materiale votivo nell’area urbana antica di Anzio duare con certezza la posizione della proprietà Jacobelli, che risulta essere posta all’angolo tra viale Coriolano e viale delle Mimose (Fig. 2.3), e non, come avevo creduto in precedenza, presso il limite orientale dell’area urbana antica9. É da notare che tale proprietà è prossima all’area di Villa Spigarelli; si può quindi supporre che i due rinvenimenti segnalati in questa zona siano riferibili ad un unico scarico votivo con materiali in dispersione venuti alla luce in momenti differenti, a seguito di lavori edili. uno scarico di materiali ceramici, confrontabile con casi analoghi (Veio – Casale Pian Roseto3 e Lavinium4) o, preferibilmente, di un deposito votivo di età medio repubblicana, del quale sono stati recuperati, al momento del ritrovamento, solo i pezzi integri. 2. Alessandro M. Jaia Abbreviazioni bibliografiche CHIARUCCI P., 1989 - Anzio archeologica, Anzio FENELLI M. - GUAITOLI M., 1990 - Nuovi dati dagli scavi di Lavinium, in Archeologia Laziale X (QuadAEI 19), Roma, pp. 182-193 JAIA A.M., 2004 - I luoghi di culto del territorio di Anzio, in Lazio & Sabina 2, Roma, pp. 255-264. MURRAY – THREIPLAND L., TORELLI M., 1970 – A semisubterranean Etruscan building in the Casale Pian Roseto (Veii) area, in PBSR 38, pp. 62-121 In questo ultimo caso si aggiungerebbe un nuovo luogo di culto di ambito urbano all’elenco di quelli già noti; al riguardo, è opportuno fare alcune precisazioni. Fino ad oggi disponevamo di notizie relative a tre ritrovamenti: il deposito votivo in piazzale del teatro romano5 (Fig. 2.1), depredato al momento della scoperta in occasione della costruzione di una palazzina; il rinvenimento di un piede votivo nell’area di villa Spigarelli6 (Fig. 2.2); la notizia del ritrovamento di materiale votivo in proprietà Jacobelli7. Attraverso la consultazione del Catasto di Anzio8, ho potuto indivi5 vedi JAIA 2004, p. 256, fig. 1.1. La notizia si basa su una fotografia di Giuseppe Lugli, vedi JAIA 2004, p. 256, figg. 1.2, 3. 7 CHIARUCCI 1989, p. 35, JAIA 2004, p. 256, fig. 1.3. 8 Ringrazio il personale dell’Ufficio Tecnico del Comune di Anzio che con grande efficienza ha materialmente effettuato la ricerca sul catasto partendo dalle poche informazioni in mio possesso. 9 JAIA 2004, p. 256, fig. 1.3. 6 10 Materiale ceramico da viale delle Roselle Ceramica a vernice nera sovradipinta allievo del Pittore della Bottiglia del Louvre, si deve un particolare impulso produttivo, destinato a influenzare il mercato per la durata di almeno due generazioni (GREEN 2001, p. 68; MOREL 2002, p. 558; NONNIS 2002-2003, p. 284, con ulteriori riferimenti). Tale impulso si collega anzitutto alla trasposizione dello stile di Gnathia nella produzione dei pocola (per l’attestazione ad Anzio: JAIA 2002), a sua volta strettamente collegata con le officine dell’Atelier des Petites Estampilles (n. 1), che utilizzano tra l’altro bolli tratti da tipi monetali tarantini (MOREL 2002, p. 559). Rimane ancora aperto il problema della localizzazione delle officine, affrontato di recente anche attraverso analisi di tipo archeometrico (per l’Atelier, riferimenti in Ambrosini 2002-2003, p. 266). Accanto a fenomeni di trasmissione diretta di modelli dall’ambiente apulo, l’eco della mediazione culturale specificatamente campana si avverte ad esempio nell’impianto decorativo che la patera dell’Atelier (n. 1) condivide con la ceramica di Teano (MOREL 1980, p. 91); inoltre nell’impronta campana riconosciuta (GREEN 2001, p. 70) nelle oinochoai con protomi alla base dell’ansa e decorazione incisa e sovradipinta alla base del collo, prodotte da un ramo della fabbrica volterrana di Malacena, che costituiscono un possibile modello di riferimento per l’oinochoe n. 2, di cui si propone l’attribuzione a fabbriche di ambito laziale (MOREL 1980, p.93). Per completare il quadro delle attestazioni ad Anzio di ceramiche sovradipinte sembra utile ricordare anzitutto l’eccezionale guttus a forma di elefante, di produzione probabilmente campana (JAIA 2002, pp. 257-260; AMBROSINI c.s.A) e segnalare, tra i materiali rinvenuti nella necropoli in contrada “Riserva di Camposanto” (attualmente non rintracciabili), la presenza di almeno uno skyphos del Gruppo Ferrara T585 Meridionale (MORPURGO 1944-1945, fig. 13, in primo piano), skyphoi del Gruppo delle Imitazioni dei Vasi “St. Valentin” (Morpurgo n. 28 “skyphos decorato di riquadri con righe, serie di punti e lineette a pettine”) ed oinochoai del Phantom Group (Morpurgo nn. 9-10: “a becco d’oca con ansa a nastro, verniciata di nero…in tinta rossiccia opaca: sul corpo rozza figura ammantata stante tra girali e bocciuoli, sul collo foglia d’edera tra girali”). Quest’ultima serie di materiali, afferenti a produ- Dal deposito anziate di viale delle Roselle provengono soltanto sette frammenti di vasi a vernice nera decorati con la tecnica della sovradipintura, pertinenti ad altrettante forme ceramiche. In assenza di dati di scavo puntuali, non è possibile stabilire quanto lo stato di conservazione degli esemplari sia dovuto alle modalità di raccolta del materiale e, soprattutto, se la varietà morfologica sia indicativa di una precisa selezione operata in antico per la composizione del deposito. Ad eccezione della lekythos (n. 3), tutti i vasi hanno perduto la decorazione sovradipinta, conservandone soltanto un alone leggibile in controluce, “rossastro” sul fondo verniciato in nero. Tale fenomeno è collegato direttamente alla tecnica di fabbricazione di ceramiche sovradipinte, come le nostre, di modesto livello qualitativo: nel caso dei motivi incisi e sovradipinti (n. 1-2), la decorazione veniva eseguita in seguito alla cottura, a freddo; in altri casi, la sovradipintura poteva essere teoricamente sottoposta a monocottura insieme al rivestimento e al corpo ceramico, ma era difficile che in fornace si verificassero le condizioni necessarie ad una riuscita ottimale del prodotto (CUOMO DI CAPRIO 1985, p. 120; AMBROSINI 2002-2003, p. 270). Dal punto di vista cronologico, i frammenti sono inquadrabili tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C. e rientrano nel quadro delle produzioni di ceramica sovradipinta del periodo. Gli esemplari presenti nel nostro deposito (n. 3, 4, 5, 6) che utilizzano, attraverso un processo di semplificazione, forme vascolari e/o linguaggio decorativo mutuati dal repertorio apulo, si inseriscono in particolare nella dinamica di diffusione e progressiva elaborazione dello “stile di Gnathia” (GREEN 2001; MOREL 2002). Formulato in ambito tarantino e collegato a produzioni ceramiche destinate ad un mercato di medio raggio, tale stile è stato propagato, a partire dalla fine del IV sec.a.C., mediante l’apertura di “succursali” nell’Apulia settentrionale; dopo il 272 a.C., anche attraverso lo spostamento di artigiani specializzati, che hanno dato esito all’impianto di officine decentrate ed al successivo inizio di fenomeni di imitazione, con l’adattamento del linguaggio decorativo a forme vascolari locali. Al trasferimento in ambito laziale ed etrusco-meridionale del Volcani Painter, 11 3. Viale delle Roselle, oinochoe con applique a testina maschile all’attacco dell’ansa (n. 2) p. 38, tav. III), forma tipica dell’Atelier des Petites Estampilles, databile al 285 ± 20 a.C.. Per il dettaglio del cordoncino all’innesto dell’orlo a tesa con la vasca, peraltro conservato per un brevissimo segmento, ricorda un esemplare da Tusculum considerato dal Morel come prodotto dell’Atelier in ambito locale o regionale (tipo Morel 1331c: MOREL 1981, pl. 14, p. 107; per un confronto con la ceramica calena, vedi PEDRONI 1990, tav. 2, n. 838). Conserva circa metà del piede ed un terzo della vasca, con minima porzione dell’orlo a tesa; qualche scheggiatura della superficie all’interno. La decorazione sovradipinta è completamente caduta. Argilla rosa carico, dura, con piccolissimi vacuoli ed inclusi di calcite; frattura netta. La vernice nera è lucida, spessa e ben aderente all’interno della vasca; sul lato esterno è opaca, disomogenea, a tratti verdastra, con focature intorno al piede. Diam. piede cm. 7,8; alt. cm. 5,7. N. inv. 156268. zioni di ambito etrusco-laziale diffuse ad ampio raggio attraverso il commercio marittimo, permette di ricavare per Anzio un panorama simile a quello delineato, ad esempio, per la vicina Ardea (DI MENTO 2005, con riferimenti sulle diverse produzioni), per Segni (AMBROSINI 2002-2203) e per Privernum (AMBROSINI c.s). 1. Patera (Tav. I.1) Orlo a tesa distinta, con andamento appena obliquo verso l’alto, raccordato alla vasca mediante un cordoncino arrotondato; vasca profonda, espansa, a profilo teso; piede a listello, a profilo esterno arrotondato, con breve piano di posa. La decorazione, eseguita con diverse tecniche, è organizzata su tre registri concentrici. Al centro della vasca, sono presenti cinque stampiglie distribuite a scacchiera (per la disposizione: MOREL 1969, fig. 3f): una stampiglia con rosetta a otto petali in rilievo (cfr. MOREL 1969, fig. 5.7) è contornata da quattro stampiglie ovali, unidirezionali, a palmetta, di un tipo utilizzato anche a Lavinium (Enea nel Lazio, scheda D105, p. 204: nella figura, secondo stampiglio da sinistra, in prima fila). La palmetta della stampiglia, nascente da una coppia di volute, è contraddistinta da un cuore piuttosto pronunciato e da una coppia di foglie che convergono in alto verso la foglia dritta centrale (MOREL 1965, p. 64); attestato nell’arco della prima metà del III sec., questo tipo di palmetta è più frequentemente racchiusa entro una cornice ovale o circolare che si raccorda alle volute di base; l’ambito di diffusione comprende almeno Aleria, Carsoli, Alba Fucens (MOREL 1965, pl. 25, 366, p. 153), Pyrgi (Pyrgi 1970, fig. 379.52), Lucus Feroniae (STANCO 2005, p. 212, tav. 1: prima stampiglia a sinistra, in seconda fila). Segue una fascia alta cm. 3 decorata a rotellatura, con otto serie concentriche di trattini, semplici e reiterati, ad andamento radiale. In prossimità dell’innesto della tesa, si sviluppa infine una decorazione di tipo fitomorfo: ad incisione, è tracciato un tralcio reso con una linea ondulata, ai lati del qualche si innesta una fitta serie di rametti resi con un breve segmento ad arco di cerchio; a ciascun rametto corrispondono serie di tre bacche e foglioline lanceolate (mirto?), in sovradipintura. L’impianto generale della decorazione, l’eleganza e la semplicità del tralcio inciso e sovradipinto, sono elementi di contatto con la ceramica di Teano (cfr. MOREL 1965, pl. 6, nn. 83-84, pp. 57-59; per l’impianto allungato delle foglie e l’alternanza con fiorellini a tre petali, cfr. anche DE FILIPPIS, SVANERA 1996, tomba 79, n. 16, p. 138, fig. 21; per l’uso delle foglie di mirto: CVA Capua IV Er, tav. 50, n. 22). Per la forma, l’esemplare è vicino al tipo Morel 1323b1 (MOREL 1981, p. 106, pl. 14; BERNARDINI 1986, cat. 59, 3. 2. Oinochoe (fig. 3, Tav. I.2) Corpo ovoidale; alto piede strombato, profilato all’esterno con un doppio cordone; una simile modanatura marca l’attacco del corpo al piede. In corrispondenza dell’attacco inferiore dell’ansa, è applicata una testina maschile a stampo. Sulla spalla, si sviluppa una decorazione di tipo fitomorfo: una triplice linea ondulata, spezzata in più segmenti, resa ad incisione, rende un tralcio centrale affiancato da rami laterali. Alle diverse estremità dei segmenti dei rami laterali, sono dipinte foglie allungate con piccoli lobi; tra le foglie, si alternano rosette composte da otto “petali”, intorno a bottone centrale. Avvicinabile, per l’impianto generale (testina alla base dell’ansa, piede modanato), alla serie Morel 5611, che comprende brocche a corpo ovoidale, liscio o baccellato, con appliques (MOREL 1981, pl. 175176, pp. 372-373), prodotte in ambito etrusco tra la fine del IV e la prima metà del III sec.; per la forma del corpo invece, è forse avvicinabile al tipo Morel 5621 a1 (MOREL 1981, pl. 178, p. 374), prodotta da officine localizzabili tra Lazio e Campania nella seconda metà del IV sec. 12 4. Viale delle Roselle, lekythos con grappoli e pampini cuoriformi sovradipinti (n. 3) Per la testina maschile, con sguardo sollevato e profonde orbite oculari, dall’ovale pieno, si propone il confronto con una applique a maschera gorgonica di influenza scopadea su guttus a vernice nera (sul tipo e la sua diffusione come semplice “protome”: GILOTTA 1985, tav. 5, fig. 20, pp. 28-29). Il tipo di decorazione incisa e sovradipinta, di tipo esuberante, trova confronto con prodotti dell’Atelier (ad esempio, una ciotola da Aleria di forma Lamboglia 27, Roma medio-repubblicana, tav. XII, 37, scheda 38, p. 68). Conserva il corpo fino all’innesto del collo e l’attacco inferiore dell’ansa. La decorazione sovradipinta è quasi completamente svanita. Argilla rosa scuro, dura, a frattura netta. Vernice nera lucida, spessa, aderente. N. inv. 156262. 4. 3. Lekythos (Fig. 4, Tav. II.3) Corpo lenticolare schiacciato su piede ad anello; collo fortemente rastremato, distinto mediante una lievissima solcatura; ansa ad occhiello, applicata sulla spalla. La decorazione sovradipinta si sviluppa sulla spalla, e consiste in un nastro orizzontale dal quale pendono alternativamente tre pampini cuoriformi e due grappoli. Per la forma, che dipende dal repertorio ceramico greco (SPARKES-TALCOTT 1970, p. 160), è avvicinabile al tipo Morel 5451f (MOREL 1981, p. 171, p. 365, da Capua, con base maggiormente espansa), databile al 315±30 a.C.; una simile forma è attestata nella versione verniciata in nero anche in Apulia (ad es., CVA Bologna IV D, tav. 1, figg. 11-13; BERNARDINI 1962, tav. 64, n. 8, da Rudiae) ed è utilizzata con diversi linguaggi decorativi (per la ceramica campana a figure rosse, ad es.: CVA BrMus. IV Ea, tav. 12, fig. 9). In generale, le lekythoi sono piuttosto frequenti soprattutto in ambiente apulo e compaiono con ampia varietà di tipi e tecniche decorative, in contesti non soltanto funerari (LIPPOLIS 1994, p. 254, tav. 189, con tipi avvicinabili al nostro esemplare). La decorazione, in una versione piuttosto semplificata, si collega allo schema utilizzato nella ceramica dello Gnathia Medio per le forme chiuse: ghirlande di edera o collane dipinte cingono il collo dei contenitori, a imitazione della moda greca di utilizzare invece ornamenti reali (GREEN 2001, p. 258). Conserva per intero il corpo e parte del collo, con l’attacco dell’ansa; il fondo e la parte inferiore del corpo sono ricoperti da una spessa concrezione calcarea, che ne indica una condizione di giacitura in assetto verticale, a contatto del piano di base del deposito. Argilla rosa scuro, dura, a frattura netta, con piccolissimi vacuoli; vernice nera lucida, spessa e ben aderente. Decorazione sovradipinta ben conservata. Diam. piede cm. 4,8; diam. max. cm. 6,7; alt. cons. cm. 4,7. N. inv. 156260. 4. Epichysis (Tav. II.4) Spalla convessa, distinta in basso mediante una ghiera aggettante; corpo a rocchetto, con profilo lievemente rastremato; larga base a disco esternamente profilato, con piano di appoggio concavo. Ansa a nastro, impostata verticalmente sulla spalla. La decorazione, leggibile in controluce, comprende almeno una serie di “lingue” sulla spalla ed un motivo a “perle ed astragali” molto schematico, espresso con alternanza di grossi punti e coppie di trattini verticali, sul corpo, a metà altezza. Di tratta di una forma tipica della ceramica apula (specie Morel 5770: MOREL 1981, pl. 190, p. 387) trasmessa, per tramite campano, anche ad ambito etrusco (DEL CHIARO 1960, con riferimenti; esempi a figure rosse di fabbrica ceretana e falisca in CVA Louvre 22, IV Bd, pl. 53). É utilizzata nella produzione a figure rosse di ambito apulo e lucano (TRENDALL 1966, fig. 2). Il nostro esemplare presenta (o conserva) una decorazione piuttosto semplificata rispetto alla fitta tessitura di motivi, fitomorfi e geometrici, che in genere interessa l’intera superficie di questo tipo di contenitori (esempi in BERNARDINI 1962, pp. 23-24, nn. 2-5). La serie di “lingue”sulla spalla rappresenta probabilmente una imitazione della variante a spalla baccellata (sul rapporto con il vasellame metallico: GREEN 1986, p. 124) ; per quanto riguarda l’impiego isolato del motivo a “perle e astragali” sul corpo delle brocche, si vedano i confronti in CVA BrMus 1, IV Dc, pl. 6,17 e CVA Moskow II1b 529, pl. 41,3. Conserva per intero il corpo e la spalla, con un piccolo tratto dell’ansa. Argilla rosa scuro, dura, a frattura netta, con piccoli vacuoli e inclusi di calcite; vernice nera opaca, sottile e coprente. La decorazione sovradipinta è quasi completamente scomparsa. Diam. piede cm. 8; diam. max. cm. 9,2; alt. cons. cm. 8,7. N. inv. 156263. 13 5. Viale delle Roselle, coperchio di lekane (n. 6) 5. Oinochoe (Tav. I.5) Decorazione fitormorfa che si sviluppa, in schema contrapposto e speculare, ai lati di un oggetto centrale, di cui rimane una sagoma oblunga: tralci ramificati, con estremità avvolte in semplici riccioli; infiorescenze, grappoli, fiori con bottone centrale e petali triangolari. del pomello alla calotta. Sulla calotta, si conservano parte di due teste femminili di profilo verso sinistra, con incarnato bianco e capigliatura raccolta, con chignon sulla nuca, resa in colore ocra; una delle due teste conserva il profilo del volto e la resa, in vernice bruna, dell’orbita oculare. Alle due teste si alternano motivi fitomorfi consistenti in girali desinenti in fiorellini trilobati, resi in maniera calligrafica con sottili ed eleganti pennellate bianche, per lo più conservate sul margine di frattura. La pisside con coperchio (serie Morel 4713: MOREL 1981, pl. 143, p. 327) è una forma largamente diffusa in Italia meridionale ed in Sicilia a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C., ed è utilizzata soprattutto nella produzione a figure rosse di ambito campano, lucano, pestano e siceliota (TRENDALL 1966, tabella a fig. 2). In Apulia, la forma è prodotta in un arco cronologico circoscritto alla fine del IV sec. a.C. ma in grande quantità, soprattutto nella tecnica a figure rosse (LIPPOLIS 1994, p. 198), meno frequentemente nella versione sovradipinta. Il motivo della testa femminile, invenzione della pittura greca di IV sec., probabilmente elaborato in ambito sicionio, trova ampia diffusione nella produzione ceramica italiota, affermandosi anche in ambito campano, costituendo inizialmente un tema impegnativo per i decoratori di vasi; dalla fine del IV sec. a.C. viene largamente utilizzato nelle officine dell’Apulia settentrionale e nella ceramica di Gnathia, per prodotti di modesto livello qualitativo (SENA CHIESA 1999, in particolare pp. 422-23). In particolare il motivo della testa femminile tra girali, che presenta connessioni con il mondo funerario e l’ambito eleusino ancora da definire compiutamente, è introdotto intorno al 330 a.C. nel Medio Gnathia dal Pittore della Rosa (DE FRANCESCO 2004, p. 2004, cat. 218, con riferimenti). L’acconciatura delle due teste, apparentemente “a melone” e non racchiusa in un sakkos, se non dovuta ad una redazione corrente del tema, richiama teste inserite nel gruppo di Dunedin (GREEN 1968, pp. 41-42, tav. VIII a-b). Conserva il pomello di presa con piccola parte della calotta. Argilla beige rosata, dura e granulosa, con piccoli inclusi di pietrisco, mica e calcite; vernice nera brillante, ben aderente; decorazione sovradipinta ben conservata. Interno risparmiato. Diam. pomello cm. 5,2; alt. max. cons. cm. 4. N. inv. 156269. 5. Il tipo di decorazione del nostro esemplare, anche se quasi illegibile, corrisponde allo schema normalmente utilizzato in rapporto alla forma dell’oinochoe nella ceramica di Gnathia: tralci di vite orizzontali o pendenti associati a semplici immagini di oggetti o di volatili (LIPPOLIS 1994, p. 244). Un possibile confronto è offerto da una oinochoe del Museo di Bonn, con phiale tra girali e tralci (GREEN 1976, pl. 7,6, pag. 20). Fiori con otto petali triangolari compaiono, ad esempio, su una pelike del Toronto Royal Ontario Museum (GREEN 1986, fig. 18). La resa calligrafica dei tralci, con ricciolo terminale e l’apparente mancanza di spirali, suggeriscono un inquadramento entro la fine del IV sec. a.C. e l’aderenza a schemi elaborati dal Pittore della Rosa (GREEN 1986, p. 123). Si conserva parte del collo e della spalla. Argilla beige rosata, granulosa, dura, con minuscoli inclusi di calcite, pietrisco e mica. Vernice nera brillante, ben aderente, estesa anche alla parte interna del collo. Superficie irregolare, con striature e zone non perfettamente lisciate, con impronte digitali; alcune scrostature della vernice. Decorazione sovradipinta completamente svanita; l’alone residuo è leggibile con difficoltà in controluce. N. inv. 156266. 7. Coppa (skyphoide?) (Tav. II.7) Il frammento, che presenta un profilo a “curva e controcurva”, ha sul margine destro di frattura, appena sotto l’orlo, un leggero ispessimento dovuto ipoteticamente alla presenza di un attacco d’ansa. Se tale lettura è corretta, è interpretabile come una “coppa skyphoide” ed inseribile nella serie 6. Coperchio di lekane (Fig. 5, Tav. I.6) Pomello di presa sagomato, su breve stelo, distinto dalla calotta mediante un piccolo gradino. Sul piano superiore del pomello, distinto e appena ribassato, stella a quattro raggi alternati a punti, entro campo circolare delimitato da pennellata circolare. Due spesse pennellate marcano l’attacco 14 Tav.I. Viale delle Roselle, ceramica a vernice nera sovradipinta e ceramica a figure rosse (nn. 1,2,5,6,8), rapp. 1-3 I. zione tipo C). Conserva parte della vasca con breve tratto dell’orlo. La decorazione sovradipinta è quasi completamente svanita. Incrostazioni superficiali sulla superficie esterna. Argilla rosa scuro, dura, a frattura netta; vernice nera lucida, ben aderente. Incrostazioni superficiali. Diam. ric. cm.7; alt. cons. cm.7; largh. cons. cm. 8,4. N. inv. 156261. Morel 4685 (MOREL 1981, pl. 133, p. 314), tipica delle officine apule. Se invece l’ispessimento della parete è casuale, il frammento si riferisce allora ad una “bol 96”, forma prodotta nel Lazio ed in Etruria meridionale al principio del III sec. a.C. (Morel 2621: MOREL 1981, pl. 60, p. 193-194). La decorazione sovradipinta comprende, dall’alto, una registro delimitato da due coppie di pennellate orizzontali, con tralcio di foglie di ulivo alternate a bacche, tracciato verso sinistra; segue una fila orizzontale di punti. Presso l’attacco del fondo, è una linea a risparmio. Il tipo di decorazione è piuttosto comune nei prodotti etruschi di imitazione dello stile di Gnathia (ad es. PIANU 1982, tav. XCVII, 228d: decora- Barbara Belelli Marchesini 15 Tav.II. Viale delle Roselle, Ceramica a vernice nera sovradipinta (nn. 3,4,7), rapp.1-2 6. Viale delle Roselle, askos a figure rosse II. bassa, di impianto discoidale, con articolate soluzioni per la parte superiore del contenitore. Le proporzioni e la presenza del beccuccio versatoio permettono di accostare il nostro esemplare ad alcuni askoi inseriti nella forma 162 della ceramica a vernice nera volterrana (per la forma: PASQUINUCCI 1972, fig. 17, n. 106, pp. 496-498 con varianti basate sulla forma del piede e sulla presenza/assenza del beccuccio), classificati dal Morel nella serie 8311, cronologicamente inquadrabili intorno al 300±30 a.C. Tuttavia la base piana del nostro esemplare, che si raccorda gradualmente alla vasca, sembra trovare un punto di contatto con la concezione greca della forma. Ceramica a figure rosse 8. Askos (Fig. 6, Tav. I.8) Ad anello, su base piana e profilata all’esterno. Conserva sul corpo uno degli attacchi dell’ansa a ponte e, in corrispondenza, l’innesto di un beccuccio versatoio, che presenta un andamento leggermente obliquo. La decorazione a risparmio, che si avvale della guida di una linea tracciata con il compasso, consiste in due tralci di rami di ulivo che convergono verso il beccuccio, ciascuno desinente con una gemma. La fascia decorata è distinta in basso da una sottile ed irregolare linea a risparmio, che corre sulla massima espansione del contenitore; una seconda linea marca l’attacco della vasca al piede. Al di sotto ed in corrispondenza del beccuccio è presente una zona a risparmio, decorata con due registri orizzontali campiti ciascuno con una fitta serie di trattini verticali, a vernice nera. Il termine askos indica convenzionalmente una serie di contenitori, di varia morfologia, utilizzati per contenere oli profumati da toilette nel caso degli esemplari di più raffinata fattura e, nel caso di produzioni comuni, anche olio utilizzato per la mensa. La forma è attestata nel repertorio della ceramica greca (RICHTER - MILNE 1935, pp. 17-18, figg. 112) con una ricca serie di tipi e varianti (SPARKES - TALCOTT 1970, p. 157, fig.11, con ulteriori riferimenti; BEAZLEY 1921, p. 326, nota 3), che comprende nel V sec. anche esemplari a vasca profonda, anulari, prodotti a vernice nera o nella redazione a figure rosse (ad esempio, CVA Japan, fasc. 1, taf. 4:8, con figure di animali); la linea evolutiva è segnata dall’introduzione, nel 480 a.C. (BEAZLEY cit.) di tipi a vasca 6. Per quanto riguarda l’Italia meridionale, non mi è chiara l’esatta frequenza del tipo di askos anulare rispetto al tipo discoidale (sulla rarità del tipo nella ceramica pestana: Trendall 1987, tav. 67b, pp. 117-118), né le eventuali caratteristiche morfologiche. 16 AMBROSINI L., c.s. - La ceramica ellenistica, in CANCELLIERI M. (a cura di), Privernum II. Museo e area archeologica (Bibliotheca Archaeologica) AMBROSINI L., c.s.A - Su un nuovo guttus configurato ad elefante da Anzio, in Mediterranea, II, c.s. BEAZLEY J.D.,1921 - An askos by Macron, in AJA XXV, pp. 325-336 BERNARDINI M., 1961 - Museo Provinciale S. Castromediano, Lecce. Vasi dello stile di Gnathia. Vasi a vernice nera, Bari BERNARDINI P., 1986 - Museo Nazionale Romano V,1. Le ceramiche. La ceramica a vernice nera dal Tevere, 1986 BRUNI S., 1992 - Le ceramiche con decorazione sovradipinta, in ROMUALDI A. (a cura di), Populonia in età ellenistica. I materiali dalle necropoli. 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Taranto e la necropoli: aspetti e problemi della documentazione archeologica tra VII e I sec.a.C., Taranto, pp. 239-281 A proposito della forma in generale, si segnala il rinvenimento ad Anzio, in ambito di necropoli, di un esemplare “lenticolare con ansa a doppio bastoncello”, decorato con tralcio d’edera graffito e sovradipinto (MORPURGO 19441945, n. 35, p. 116: forse riferibile alla serie Morel 8414 a 1, da Capua e dintorni?). Per quanto riguarda il repertorio decorativo, gli askoi anulari a figure rosse diffusi in area etrusca sono per lo più corredati da motivi ripetitivi, consistenti in palmette a risparmio e con onde correnti (SERRA RIDGWAY 1996, p. 225); una decorazione sovradipinta con tralcio di foglie compare sull’esemplare da Volterra (serie Morel 8313 a 1), giudicato dalla Pasquinucci di produzione “italiota” per le caratteristiche del corpo ceramico, da Morel invece “locale o regionale”. La decorazione con tralcio di ulivo unidirezionale è invece ben attestata nella produzione greca (su esemplari a corpo discoidale, ad esempio: CVA Pushkin State Museum of Fine Arts, Moskow VI, pl. 65, 1-2; Olynthus V, pl. 140, nn. 401-404; MASSEI 1978, nn. 48, 52, 58, 148, tavv. XIX,1; XXI,1; XXII,3; LVII,1); a Spina le associazioni suggeriscono un inquadramento cronologico agli anni intorno alla metà del IV sec. a.C. (MASSEI 1978, p. XXXVII). Lo stesso tipo di decorazione è invece frequente nella produzione di ceramica a figure rosse italiota, in particolare campana, ricorrendo con estrema ripetitività all’interno delle coppe e sul collo dei crateri (sulla spalla di un askos: P. Mingazzini, in CVA Italia XI, Museo Campani , I, tav. 50, 20 e 23). Per il nostro esemplare, che necessita un approfondimento di studio, si propone dunque di ravvisare una forte impronta greca, mediata per la decorazione dall’ambito campano, in una produzione collocabile forse in ambito etrusco-laziale. Mutilo; privo di circa un terzo del corpo, dell’ansa e dell’imboccatura. Argilla rosa-arancio, morbida, con vacuoli e piccoli inclusi di mica; fratture frastagliate. Vernice nerastra opaca, ben aderente; fondo risparmiato. Diam. cm. 11. Alt. vasca cm. 3,6, alt. max. cons. cm. 4,7. N. inv. 156315. Barbara Belelli Marchesini Abbreviazioni Bibliografiche AMBROSINI L., 2002-2003 - Un nuovo pocolom e le ceramiche ellenistiche dal deposito votivo dell’acropoli in CIFARELLI F.M., AMBROSINI L., NONNIS D., Nuovi dati su Segni medio-repubblicana: a proposito di un nuovo pocolom dall’acropoli, in RendPontAcc LXXV, pp. 259-280 17 MASSEI L., 1978 - Gli askoi a figure rosse nei corredi funerari delle necropoli di Spina (Testi e documenti per lo studio dell’antichità, 59), Milano MONTAGNA PASQUINUCCI M., 1972 - La ceramica a vernice nera del Museo Guarnacci di Volterra, in MEFRA 84, pp. 269-484 MOREL J.P., 1969 - Études des céramiques campanienne. 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Black and Plain Pottery of the 6 th 5 th and 4 th Centuries b.C., Princeton STANCO E.A., 2005 - La ceramica a vernice nera della stipe di Lucus Feroniae: analisi preliminare, in COMELLA A.M., MELE S. (a cura di), Depositi votivi e culti dell’Italia antica dall’età arcaica a quella tardo-repubblicana. Atti del Convegno di Studi (Perugia 2000), Bari 2005, pp. 209-218 TRENDALL A.D.,1966 - South Italian Vase Painting, Oxford TRENDALL A.D., 1987 - The red-figured Vases of Paestum, Hertford Ceramica a vernice nera (Tav. III, 9 - 19) Tra le ceramiche a vernice nera non sovradipinta rinvenute nel deposito votivo di viale delle Roselle, sei coppe integre e tre fondi si distinguono per la presenza di stampigliature impresse, che ne consentono un’immediata attribuzione alla produzione dell’Atelier des Petites Estampilles1 (nn. 9-15). Le sedi di produzione della fabbrica sono da ricercare in ambito laziale e più propriamente romano2, seppure l’ampia diffusione dei prodotti nei centri tirrenici ed in alcuni approdi del Mediterraneo, ma soprattutto la forte concentrazione in alcuni siti, quali Pyrgi e Populonia, lascia spazio all’ipotesi dell’esistenza di filiali in aree decentrate rispetto all’ambito urbano ed ai centri immediatamente limitrofi. Le caratteristiche tecniche dei pezzi anziati collimano con quelle costantemente riscontrabili nei prodotti di tale fabbrica: il colore dell’argilla varia dal camoscio all’arancio; la vernice è compatta e coprente, talvolta tendente al marrone o al grigio e non sempre lucente. Spesso si presenta contrassegnata da riflessi iridescenti o da macchie grigiastre per difetti di cottura. Inoltre, si estende con sgocciolature all’interno del piede e sul piano di posa, sempre risparmiati, ed appare chiazzata per i “segni di presa” all’esterno del piede e nel settore inferiore della parete esterna della vasca. La sezione dei vasi presenta il tipico profilo sfaccettato conferitole dalle linee di tornitura, dovute alle correzioni operate durante la lavorazione del pezzo. Del repertorio di stampigliature, caratterizzante tale produzione, gli esemplari anziati riportano quasi esclusivamente bolli raffiguranti soggetti tratti dal mondo vegetale, per lo più di disegno raffinato ed elegante. Esula dal repertorio fitomorfo il solo bollo con stella e luna del pezzo n. 11. Le stampigliature ricorrono sempre reiterate quattro volte in ordine sparso (a volte parzialemente sovrapposte) sul fondo della vasca. A parte il caso della fascia in ocra sul fondo del pezzo n. 9, gli esemplari di seguito indagati sono privi della decorazione aggiunta - sovradipinta, a rotella o incisa - che caratterizza sovente i prodotti dell’Atelier. 1 MOREL 1969, pp. 59-60. All’autore si deve l’identificazione della produzione. 2 Sulla questione dell’individuazione delle sedi, tuttora aperta, cfr. VALENTINI 1993, p. 248. 18 stampiglio cfr. BERNARDINI 1986, p. 75, cat. 219, tav. 55, 16. Argilla color camoscio. Vernice nera opaca, con aloni grigimarroni e cospicue abrasioni. Alt. cm. 6,4; largh. cm. 15,6; diam. piede cm. 5,8. N. inv. 156254. I reperti analizzati, costituiscono un insieme organico in quanto anche quelli privi di decorazione a stampigli risultano, per caratteristiche tecniche e morfologiche, riconducibili alla produzione della stessa fabbrica. L’attribuzione all’Atelier des Petites Estampilles fornisce un preciso inquadramento cronologico, in quanto la cronologia della produzione è fissata tra il 305 e il 265 a.C., con periodo di maggiore fioritura attorno al 285 a.C.3. L’esclusiva presenza di forme aperte attestate, presumibilmente solo in parte imputabile al caso, è caratteristica dei depositi votivi, dove patere e coppe sono funzionali alle offerte rituali alla divinità4; se da un lato, dunque, la situazione conferma l’interpretazione del contesto di viale delle Roselle, dall’altro suggerisce, assieme al dato della riscontrata pertinenza allo stesso ambito di produzione, l’attribuzione al medesimo contesto dei frammenti appartenenti allo stesso lotto ma di cui si è perduta la provenienza. Tali frammenti vengono presentati nel catalogo nella sezione dedicata agli oggetti rinvenuti ad Anzio, privi di indicazione puntuale della provenienza5. 11. Coppa Emisferica con orlo arrotondato, appena rientrante e piede ad anello, con ombelico di tornitura. Scheggiata sull’orlo. La parete esterna della vasca presenta un profilo sfaccettato per i segni di tornitura. Sul fondo della vasca sono impressi quattro stampigli con rosetta ad otto petali acuminati e falce di luna. Cfr. MOREL 1981, tav. 72, 2783 h; BERNARDINI 1986, pp. 53-56. Per lo stampiglio cfr. il tipo identico, ma di dimensioni inferiori, MOREL 1965, p. 66, cat. 107, tav. 9, datato attorno alla metà del III secolo. Argilla color nocciola. Vernice nera compatta e coprente, decisamente opaca, segnata da diverse abrasioni. Alt. cm. 5,6; largh. cm. 13,8; diam. piede cm. 5. N. inv. 156255. 12. Coppa Emisferica con orlo arrotondato, appena rientrante e piede ad anello, con ombelico di tornitura. Sul fondo della vasca sono impressi quattro stampigli con rosetta ad otto petali impressi separati da filamenti. Cfr. MOREL 1981, tav. 72, 2783 h; BERNARDINI 1986, pp. 53-56. Per lo stampiglio cfr. MOREL 1965, tavv. 35; 67; 517; BATS 1976, p. 70 n. 34. Argilla color arancione-rosato. Vernice nera compatta e coprente, lucida, con macchie iridescenti. Alt. cm. 6,2; largh. cm. 14,9; diam. piede cm. 5,3. N. inv. 156256. 9. Coppa Larga e poco profonda, con orlo arrotondato poco rientrante; piede abbastanza stretto, a sezione triangolare, con ombelico di tornitura. Sul fondo della vasca una fascia sovradipinta in ocra circoscrive uno spazio centrale poligonale irregolare. In corrispondenza della fascia e all’interno di essa sono impressi quattro bolli a palmetta in rilievo. Cfr. MOREL 1981, tav. 72, 2775C 1; BERNARDINI 1986, p. 51, cat. 104. Per lo stampiglio cfr. JEHASSE 1973, tav. 119, n. 251; n. 453. Argilla color camoscio. Vernice nera compatta e coprente, abbastanza lucente ma con aloni grigi e minute abrasioni. Alt. cm. 5,7; largh. cm. 4,9; diam. piede cm. 5,7. N. inv. 156250. 13. Coppa Emisferica con orlo arrotondato, appena rientrante e piede ad anello, con ombelico di tornitura. Sul fondo della vasca sono impressi quattro stampigli con rosetta ad otto petali in rilievo separati da un filamento desinente in un puntino. Cfr. MOREL 1981, tav. 72, 2783 h; BERNARDINI 1986, pp. 53-56. Per lo stampiglio cfr. BERNARDINI 1986, tav. 56, 26; BATS 1976, p. 70 n. 37. Argilla color camoscio. Vernice nera compatta e coprente, lucida. Alt. cm. 5,8; largh. cm. 14,5; diam. piede cm. 5,3. N. inv. 156257. 10. Coppa Emisferica con orlo arrotondato, appena rientrante e piede ad anello, con ombelico di tornitura. Grossa lacuna sulla parete esterna. Sul fondo della vasca, all’interno di un ampio cerchio inciso, sono impressi quattro stampigli a rosetta a otto petali con nervature a rilievo. Cfr. MOREL 1981, tav. 72, 2783 h; BERNARDINI 1986, pp. 53-56. Per lo 14. Coppa Emisferica con orlo arrotondato, appena rientrante e piede ad anello, con ombelico di tornitura. Sulla parete esterna si riconoscono due segni paralleli di tornitura. Sul fondo sono impressi quattro stampigli a palmetta a rilievo. All’interno del piede è graffita una lettera, presumibilmente una A. Cfr. Morel 1981, tav. 72, 2783 h; BERNARDINI 1986, pp. 53-56. Per lo stampiglio cfr. MOREL 1965, p. 76, tav. 30, cat. 453 (datato attorno al 300 a.C.); BERNARDINI 1986, tav. 59, 3 BERNARDINI 1986, p. 27 ss. 2001, p. 283. 5 Vedi infra pp. 70-71. 4 ANGELELLI 19 Tav. III. Viale delle Roselle, ceramica a vernice nera (nn.3,4,7), rapp. 1-3, stampigli rapp. 1:1 III. 20 19. Lekane Mancante di un settore della parete, di una delle due anse e del coperchio. Il profilo del piede è caratterizzato da una bombatura angolare al di sopra della metà della faccia esterna. All’interno presenta l’ombelico di tornitura. La vasca è carenata e a pareti verticali. Sopra la carenatura erano fissate le due anse orizzontali a ferro di cavallo. L’orlo presenta un cordolo sporgente per l’appoggio del coperchio. La forma deriva evidentemente dal tipo 42 B di Lamboglia. Si tratta di una forma ceramica che nasce nel IV secolo a.C. e che, nel corso del III, subisce la trasformazione dell’originario profilo concavo in decisamente carenato ed un progressivo restringimento del piede. I confronti rimandano alla prima metà del III secolo. Cfr. MOREL 1965, p. 61, n. 89, tav. 7; JEHASSE 1973, p. 305 n. 972, tav. 128; MOREL 1981, p. 293, 4152a, tav. 119 (esemplare associato alla produzione dell’Atelier des Petites Estampilles). Argilla color camoscio. Vernice tendente al marrone, compatta e coprente, opaca. Alt. cm. 6,6; largh. cm. 11,2; diam. piede cm. 3,7. N. inv. 156267. 124; assimilabile, ma caratterizzato da una foglia centrale in più, è il tipo JEHASSE 1973, p. 212, n. 457 (post 300 a.C.). Argilla color camoscio. Vernice nera compatta e coprente, abbastanza lucente ma con aloni grigi e abrasioni. Alt. cm. 6,5; largh. cm. 14,2; diam. piede cm. 5,9. N. inv. 156252. 15. Fondo di coppa Frammentario. Il piede è risparmiato anche all’esterno, ma cosparso di sgocciolature. Sul fondo della vasca sono impressi quattro bolli con rosetta a quattro petali in rilievo. Per lo stampiglio cfr. BERNARDINI 1986, tav. 55, 2. Argilla color camoscio. Vernice tendente al marrone, opaca. Alt. cm. 3,8; largh. cm. 10,3; diam. piede cm. 5,8. N. inv. 156265. 16. Coppa miniaturistica Emisferica con orlo bombato nettamente rientrante e piede ad anello, con l’ombelico di tornitura assai preminente. Grossa scheggiatura sull’orlo. Segni di presa sia all’interno che all’esterno del piede. Cfr. JEHASSE 1973, p. 223, n. 521, tav. 119; MOREL 1981, tav. 73, serie 2787; BERNARDINI 1986, p. 118 ss., cat. 384. Argilla color camoscio. Vernice tendente al marrone, quasi interamente coperta da incrostazioni bianche. Alt. cm. 3,9; largh. cm. 8,1; diam. piede cm. 4,3. N. inv. 156258. Giovanna Rossini Abbreviazioni bibliografiche 17. Coppa miniaturistica Emisferica con orlo bombato nettamente rientrante e piede ad anello, con ombelico di tornitura assai preminente. Cfr. JEHASSE 1973, p. 223, n. 521, tav. 119; MOREL 1981, tav. 73, serie 2787; BERNARDINI 1986, p. 118 ss., cat. 384. Argilla color arancione rosato. Vernice tendente al marrone, compatta e coprente, non molto lucida e parzialmente coperta da incrostazioni bianche. Alt. cm. 3,7; largh. cm. 7,7; diam. piede cm. 3,7. N. inv. 156259. ANGELELLI C., 2001 - Ceramica a vernice nera, in PENSABENE P., FALZONE S. (a cura di), Scavi del Palatino I, Roma, pp. 283-284 BATS M., 1976 - La céramique à vernis noir d’Olbia en Ligurie, RANarb. 9, pp. 63-80 Bernardini P., 1986 - Museo Nazionale Romano. Le Ceramiche V, 1. La ceramica a vernice nera del Tevere, Roma JEHASSE J. et L., 1973 - La Nécropole préromaine d’Aléria (1960-1968), Paris LAMBOGLIA N., 1952 - Per una classificazione preliminare della ceramica campana, Atti del I Congresso Internazionale di Studi Liguri 1950, Bordighera MOREL J.P., 1963 - Notes sur la céramique étrusco-campanienne. Vases à vernis noir de Sardaigne et d’Arezzo, MEFRA 75, pp. 7-58 MOREL J.P., 1965 - Céramique à vernis noir du Forum romain et du Palatin, Paris MOREL J.P., 1969 - Etudes de céramique campanienne, I: l’atelier des petites estampilles, MEFRA I, 81, pp. 59-117 MOREL J.P., 1981 - Céramique Campanienne, Rome VALENTINI V., 1993 - La ceramica a vernice nera, Gravisca 9, Bari 18. Forma 96 La vasca ha parete rettilinea obliqua e orlo arrotondato ed appena ispessito. Il piede è obliquo e con angolo smussato, e presenta all’interno l’ombelico di tornitura. L’esemplare è attribuibile alla forma 96 Morel, databile ai primi decenni del III secolo a.C. e riconducibile alla produzione di un’officina o di una serie di officine operanti in Etruria e nel Lazio, probabilmente almeno in parte identificabili con l’atelier des Petites Estampilles. Cfr. MOREL 1965, p. 215 s.; MOREL 1981, p. 193 s., tav. 60, forma 2621; BERNARDINI 1986, p. 166 ss., cat. 601 (e relativa bibliografia). Argilla color camoscio. Vernice nera, compatta e coprente, non troppo lucida e con tracce iridescenti. Tazza frammentaria, conservante integro il profilo. Alt. cm. 5; largh. cm. 8; lungh. cm. 8,2; diam. piede cm. 4,6. N. inv. 156264. 21 Argilla depurata e impasto chiaro sabbioso volte non distinguibili (calcare e pozzolane, meno presenti augite e mica) ed un ingobbio spesso “tono su tono”. Anche in questo caso si parla per lo più di forme chiuse, spesso ceramica da mensa usata forse in correlazione con forme aperte di ceramica a vernice nera4. La definizione di “brocche miniaturistiche” è di fatto quella più usata, poiché, in effetti, riproducono, in dimensioni assai ridotte, delle forme vascolari più grandi, prima fra tutte la “brocca”, caratterizzata da un orlo estroflesso, corpo a profilo continuo con spalla sfuggente su cui si innesta l’ansa sormontante (con o senza piede). Partendo da questa definizione si distinguono due forme: la prima caratterizzata da un corpo a profilo continuo con spalla sfuggente e collo cilindrico (30 brocchette), la seconda da un corpo globulare/ovoidale con spalla distinta da risega a profilo convesso e collo troncoconico (9 brocchette). Nella Forma 1 si distinguono 4 tipi diversi in base al tipo di ansa, circolare o verticale, sormontante l’orlo o impostata tra quest’ultimo e la spalla; ogni tipo contempla delle varietà in base alla forma del corpo, piriforme, ovoidale, globulare, ed ulteriori sottogruppi che raccolgono alcuni fattori comuni. Alla Forma 2 appartengono 9 brocchette caratterizzate da spalla distinta da risega e piede a profilo sagomato, ulteriormente suddivise in due tipi in base alla forma dell’ansa (circolare o ad orecchio); il Tipo 2 include inoltre due varietà: con piede ad anello sagomato e con piede incavato a profilo sagomato, quest’ultima variante con un’ulteriore distinzione in base alla forma ovoidale o globulare del corpo. Dall’analisi tipologica emergono fattori comuni quanto alle dimensioni: l’altezza media è di cm. 8-9 (con l’ansa) ed il diametro del fondo è in media di cm. 3,5. Questo elemento, insieme al tipo di impasto, alla funzione ed all’ambito d’uso, sembra indicare una manifattura standardizzata, seriale ed evidentemente locale, dove, tuttavia, non si verifica lo scadimento delle forme da modelli casuali, ma c’è una fedele riproduzione di tipi definiti e riconoscibili di forme più grandi (brocche, olpai, oinochoai ecc..). Oltre che da Anzio5, numerosi sono i confronti Del nucleo di materiali provenienti da viale delle Roselle fanno parte 41 vasi di argilla depurata e d’impasto chiaro sabbioso: 39 brocche miniaturistiche, una brocca ed un’anfora. L’integrità e il buono stato di conservazione permette, nel caso delle brocche miniaturistiche, di elaborare una tipologia basata sull’analisi morfologica, senza tener conto della diversità dell’impasto, mancando un’effettiva correlazione tra quest’ultimo ed il singolo tipo riconosciuto. Tuttavia, per maggiore chiarezza, si passerà ora a definire le caratteristiche delle due diverse classi ceramiche. Si sono identificate in tutto 15 brocchette d’impasto chiaro sabbioso. Per questa definizione si segue la classificazione dei materiali del deposito votivo di Casalinaccio (ARDEA 2005), sulla scia di una tradizione di studi iniziata da E. Gjerstad1 che, negli anni ‘50 del Novecento, definì le peculiarità di questa classe ceramica caratterizzata da un’argilla di colore chiaro (beige, giallino o biancastro) contenente un notevole quantitativo di sgrassante con inclusi di dimensioni e densità variabili (augite e mica i più visibili, per il loro colore scuro e spesso lucente, cui si aggiungono pozzolane e calcare). Gli esemplari qui presentati vengono datati tra il IV e la fine del III sec. a.C., fase caratterizzata da forme standardizzate e piuttosto trascurate nell’esecuzione (si notano spesso colature d’argilla o un ingobbio solo parziale) e da una progressiva riduzione di sgrassante, tanto che, in alcuni casi, si arriva a confondere l’impasto chiaro sabbioso con l’argilla depurata acroma, soprattutto tra forme simili2. Le brocche di argilla depurata acroma sono in tutto 24. La produzione, attestata tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C.3, presenta argilla ben cotta, quasi talcosa, di colore arancio-rosato o biancastro, molto depurata o poco sabbiata, con piccoli inclusi, a 1 GJERSTAD E., 1953 - Early Rome. I. Stratigraphical researches in the Forum Romanum and along the Sacra Via, Lund. 2 La prima fase, risalente agli inizi del VI sec., consta esclusivamente di forme aperte; tra la metà del VI e gli inizi del V sec. compaiono, invece, forme chiuse, con corpo ovoidale/globulare ed ansa sormontante. 3 MURRAY THREIPLAND - TORELLI, 1970, p. 74 sgg. 4 Vedi CECCARELLI - DI MENTO, in ARDEA 2005, p. 245 e AMBROSINI 2001, pp. 79-88. 22 si ipotizza che possa trattarsi di vasi da mensa collegati al rito della libagione con la «funzione di praefericulum»12, affiancati a tipi di dimensioni maggiori. Spesso, infatti, nei santuari, si donano oggetti appartenenti alla quotidianità, dunque di cui il fedele “si priva”: in questo contesto sembrerebbe evidente che tutto ciò che è di dimensioni ridotte abbia esclusivamente un uso simbolico, mentre forme maggiori fossero realmente usate probabilmente in un rituale13. Significativi sono, infine, gli esemplari rinvenuti a Lavinium, aventi quasi tutti la stessa morfologia anche se di classi ceramiche diverse: dall’Heroon di Enea (d’impasto chiaro: piriforme, con l’ansa impostata verticalmente dal corpo a sotto l’orlo, apode; in ceramica a vernice nera: con piede ad anello14), dal Santuario Orientale, di argilla depurata acroma15 e dal Santuario delle Tredici Are16. con prodotti in diverse classi ceramiche: bucchero, ceramica a vernice nera, argilla depurata acroma, impasto chiaro sabbioso ed impasto grezzo, provenienti da contesti votivi o funerari di Satricum6, Ardea, Lavinium, Roma7, Veio8, Cerveteri9 o Pyrgi10 ed in generale dal Latium Vetus e dall’Etruria, dove si ravvisano elementi di vicinanza nel carattere standardizzato della produzione e nei modelli, con una certa variabilità nella morfologia e nelle classi ceramiche dovuta alle produzioni locali. Sulla funzione delle brocche miniaturistiche esistono diverse ipotesi, in primo luogo legate al contenuto. Nel caso di Ardea, dove tra i materiali del deposito votivo di Casalinaccio non mancano esemplari di brocche miniaturistiche di ceramica a vernice nera, di argilla depurata acroma e d’impasto chiaro sabbioso11, 5 JAIA 2003, p. 220, fig. 11, provengono dall’area della villa imperiale due brocchette miniaturistiche, una integra in ceramica a vernice nera, con risega sul punto di massima espansione della spalla; l’altra di argilla depurata acroma, frammentaria, mancante di parte del corpo e del piede, ma sicuramente classificabile come piriforme a profilo continuo, apode, con l’ansa a bastoncello sormontante; presenta inoltre l’incisione di un “lambda calcidese” sulla spalla. Anche se di diversa classe ceramica, la forte somiglianza tra queste forme e quelle di viale delle Roselle fa propendere sicuramente per una produzione locale. 6 BOUMA 1996, tav. CXXXIX, Ju 2, 399-400; GNADE 1992, fig. XIX, 177 c.9, dalla necropoli sud-ovest; GNADE 2006, pag. 260, fig. 8, Inv. P318-2004, brocchetta in argilla depurata proveniente da una tomba del Poggio dei Cavallari II. 7 CAPRINO 1954, pp. 257-259, fig. 65: si tratta di 3 olpai (d’impasto chiaro, ceramica a vernice nera e argilla depurata acroma) non miniaturistiche provenienti da un pozzo, su Colle S. Agata, forse di età etrusca; CARAFA 1995. 8 Sempre da contesti datati tra IV e III sec. a.C. come nel Santuario di Campetti (VAGNETTI 1971, p. 125, tav. LXVIII, n. 136; COMELLA - STEFANI 1990, pp. 158-159, M172, M183, tavv. 55-56), nel Santuario di Portonaccio (TORELLI 2000, p. 630, scheda n. 297,2) ed a Casale Pian Roseto (MURRAY THREIPLAND - TORELLI 1970, p. 74 sgg. ), sia in ceramica a vernice nera che di argilla depurata acroma. 9 Si vedano: oinochoai miniaturizzate di bucchero e argilla depurata acroma (VILLA D’AMELIO 1963, p. 29, fig. 29 nn. 4 e 7; p. 31, n. 11, tav. 25; CAVAGNARO VANONI 1966, tavv. 4,4; 5,2; 7,3-4). 10 Dai due pozzi del Tempio A provengono diverse brocchette d’impasto chiaro sabbioso con corpo ovoidale (PYRGI 1992, p. 91). 11 In ARDEA, 2005 rispettivamente: MERLO M., per le brocche, pp. 33-38, nn. 62-126; CECCARELLI L. -DI MENTO M., pp. 244245, nn. 456-464; TEN KORTENAAR S., pp. 263-267, nn. 11-107. Forme, datate tra il IV e gli inizi del II sec. a.C. con modelli simili a quelli di via Roselle. Brocche miniaturistiche Forma 1 Corpo a profilo continuo con spalla sfuggente o non distinta, collo cilindrico. TIPO 1 Ansa circolare appena sormontante l’orlo, impostata dal corpo o dalla spalla, collo stretto, fondo leggermente incavato, apode. VARIETÀ 1a (Tav. IV, nn. 20-24) Corpo globulare rastremato verso il basso, con il punto di massima espansione posto piuttosto verso il fondo, orlo molto estroflesso. 20. Labbro appiattito; ansa a bastoncello leggermente schiacciato su un lato. Argilla molto depurata di colore rosato. Inclusi difficilmente distinguibili. Alt. (con ansa) cm. 8,2; d. fondo cm. 2,2; d. orlo cm. 3,9. N. inv. 156280. 12 Cito da TEN KORTENAAR in ARDEA 2005, p. 265. DI MARIO in ARDEA, 2005. Per un’ampia analisi di forme e confronti con bibl. completa v. ARDEA 2005. 14 TORTORICI 1981, pp. 185-186, D 57, D 58 , D 59; v. pure SOMMELLA 1971-72, p. 52, fig. 6. 15 GIANFROTTA 1981, p. 204, D 102, tipo simile alla D 57. 16 GUAITOLI 1975, p. 438, fig. 506, I.139. 13 23 26. Labbro sottile, appiattito, leggermente distinto; ansa a bastoncello leggermente schiacciato, appena fuori asse rispetto all’orlo. Argilla molto depurata di colore nocciola-rosato. Rari inclusi di augite e mica non facilmente distinguibili. Si conservano tracce dell’ingobbio sabbiato giallo-beige sul collo e sotto l’ansa. Un segno di frattura sull’orlo. Alt. (con ansa) cm. 7,5; d. fondo cm. 2,8; d. orlo 3,6. N. inv. 156285. 21. Labbro leggermente appiattito e distinto; ansa a bastoncello leggermente schiacciato. Argilla molto depurata di colore giallo-beige. Inclusi difficilmente distinguibili. Tracce di ingobbio sabbiato di colore beige su orlo, collo, corpo, ansa ed all’interno. Sulla massima espansione del corpo presenta due segni di tornio molto marcati. Alt. (con ansa) cm. 8,4; d. fondo cm. 2,4; d. orlo cm. 3,8. N. inv. 156286. 22. Labbro arrotondato lievemente distinto; fondo piano; ansa a bastoncello. Argilla molto sabbiata di colore arancio-rosato. Numerosi inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo sul corpo e maggiormente all’interno. Alt. (con ansa) cm. 9,1; d. fondo cm. 3,2; d. orlo cm. 3,9. N. inv. 156288. 27. Labbro appiattito e ben distinto; ansa a bastoncello. Argilla molto depurata di colore arancio-rosato. Inclusi difficilmente distinguibili. Tracce di ingobbio di colore giallo chiaro sul collo, sotto l’ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 8,4; d. fondo cm. 2,4; d. orlo cm. 3,9. N. inv. 156290. 28. Labbro arrotondato, ingrossato e leggermente distinto; ansa a nastro. Argilla poco depurata di colore bianco-beige. Pochi inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare e mica. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra su collo, corpo, sotto l’ansa ed all’interno. Un segno di frattura sull’orlo. Alt. (con ansa) cm. 8,2; d. fondo cm. 2,3; d. orlo cm. 4. N. inv. 156300. 23. Labbro irregolare, arrotondato lievemente distinto; fondo piano; ansa a bastoncello leggermente schiacciato. Argilla poco sabbiata di colore giallo-beige. Pochi inclusi di medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra su collo, corpo, ansa e all’interno. L’orlo è leggermente fuori asse e l’oggetto risulta più basso verso l’ansa. Alt. (con ansa) cm. 8; d. fondo cm. 2,5; d. orlo cm. 3,8. N. inv. 156289. 24. Orlo appena estroflesso con labbro arrotondato; collo piuttosto largo; ansa a bastoncello leggermente schiacciato. Argilla molto sabbiata di colore beige. Numerosi inclusi di medie e grandi dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Poche tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra sotto l’ansa. Alt. (con ansa) cm. 8,9; d. fondo cm. 3,2; d. orlo 4,5. N. inv. 156297. 29. Labbro arrotondato, leggermente ingrossato e distinto; ansa a bastoncello leggermente schiacciato, fuori asse rispetto all’orlo. Argilla poco depurata di colore biancastro. Numerosi inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra sotto l’ansa ed all’interno. Ingobbio biancastro e tracce di un secondo ingobbio giallo-ocra. Alt. (con ansa) cm. 8,3; d. fondo cm. 2,9; d. orlo cm. 4. N. inv. 156301. VARIETÀ 1b (Tav. IV, nn. 25-29) Corpo globulare rastremato verso il basso, con il punto di massima espansione posto verso la spalla, orlo estroflesso. TIPO 2 (Tav. IV, n. 30) Ansa circolare impostata dalla spalla fino al collo; corpo piriforme molto accentuato; orlo estroflesso. 25. Labbro arrotondato e distinto; ansa a bastoncello. Argilla molto sabbiata di colore giallo-beige. Numerosi inclusi di piccole dimensioni di augite e mica. Conserva interamente un ingobbio sabbiato di colore beige. Alt. (con ansa) cm. 8,5; d. fondo cm. 3,2; d. orlo 4,1. N. inv. 156283. 30. Labbro a profilo sagomato; fondo piano, apode; ansa a bastoncello leggermente schiacciato e concavo verso l’interno. Argilla molto depurata di colore arancio-rosato. Rari inclusi non facilmente distinguibili di augite e mica. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-beige sul collo e sotto l’ansa. Alt. cm. 8,1; d. fondo cm. 3; d. orlo cm. 4,2. N. inv. 156313. 24 Tav.IV. Viale delle Roselle, brocche miniaturistiche (nn. 2030), rapp.1-3 IV. TIPO 3 Ansa verticale appena sormontante l’orlo, impostata dal punto di massima espansione del corpo. rispetto al fondo, con risega appena accennata; ansa a bastoncello espanso. Argilla molto sabbiata di colore giallo-beige. Numerosi inclusi di medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra sotto l’ansa e all’interno. Sul fondo una frattura, avvenuta probabilmente in fase di cottura; piede collassato su un lato. Traccia di tornitura a 1/3 del corpo. Alt. (con ansa) cm. 8,6; d. fondo cm. 4,1; d. orlo cm. 4. N. inv. 156303. VARIETÀ 3a (Tav. V, nn. 31-36) Corpo piriforme piuttosto schiacciato verso il basso, orlo estroflesso, fondo leggermente incavato. 3aI. Piede a profilo sagomato. 31. Labbro arrotondato e ingrossato che segue l’andamento dell’ansa; collo leggermente fuori asse rispetto al fondo; piede irregolare (collassato su se stesso sul lato opposto all’ansa); ansa a bastoncello leggermente schiacciato. Integra. Argilla depurata poco sabbiata di colore biancastro. Pochi inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare e mica. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra sul collo, sotto l’ansa. Alt. (con ansa) cm. 7,7; d. fondo cm. 3,6; d. orlo cm. 4,2. N. inv. 156294. 3aII. Apodi. 34. Labbro arrotondato e ingrossato, distinto; collo stretto; ansa a bastoncello leggermente schiacciato. Argilla molto sabbiata di colore rosato. Inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Poche tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra sotto l’ansa e all’interno. Profondo segno del tornio nella parte bassa del corpo. segno di frattura sull’orlo e sul fondo, quest’ultima avvenuta in fase di cottura. Alt. (con ansa) cm. 8,2; d. fondo cm. 3,8; d. orlo cm. 4,2. N. inv. 156298. 32. Labbro arrotondato, ingrossato e distinto che segue l’andamento dell’ansa; ansa a bastoncello. Argilla poco depurata di colore beige-rosato. Inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra su orlo, piede, ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 8,8; d. fondo cm. 4; d. orlo cm. 4,7. N. inv. 156302. 35. Labbro arrotondato e leggermente distinto; collo leggermente fuori asse rispetto al fondo; ansa a nastro. Argilla poco depurata di colore arancio. Inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore nocciola su collo, corpo, fondo, sotto l’ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 8,4; d. fondo cm. 2,7; d. orlo cm. 4,6. N. inv. 156304. 33. Labbro arrotondato, ingrossato e distinto; collo fuori asse 25 3aIII. Corpo piriforme, molto schiacciato verso il basso, alto collo cilindrico, apode. inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare e mica. Si conserva parte dell’ingobbio sabbiato di colore giallo-beige sull’ansa e parte del corpo. Alt. (con ansa) cm. 8,8; d. fondo cm. 3,2; d. orlo cm. 4,5. N. inv. 156281. 36. Labbro arrotondato e ingrossato; collo fuori asse rispetto al fondo; ansa a piccolo bastoncello. Argilla poco sabbiata di colore giallo-beige. Inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra sull’orlo e sotto l’ansa. Orlo lievemente sbeccato in un punto. Alt. (con ansa) cm. 8,1; d. fondo cm. 3,9; d. orlo cm. 4,5. N. inv. 156299. 41. Orlo leggermente distinto. Argilla molto depurata di colore arancio-rosato. Inclusi non facilmente distinguibili. Si conservano tracce dell’ingobbio sabbiato giallo-beige sul corpo. Alt. (con ansa) cm. 8; d. fondo cm. 2,8; d. orlo cm. 4,1. N. inv. 156282. 42. Labbro leggermente distinto; collo stretto. Argilla depurata di colore arancio-rosato. Pochissimi inclusi di piccole dimensioni di augite e mica. Tracce di ingobbio sabbiato di colore beige su collo, corpo, sotto l’ansa ed all’interno. Concrezioni calcaree sul corpo e sull’ansa; colature di argilla sul fondo. Segno di tornio sul fondo. Orlo appena sbeccato. Alt. (con ansa) cm. 8,1; d. fondo cm. 2,8; d. orlo cm. 4,3. N. inv. 156287. VARIETÀ 3b (Tav. V, nn. 37-45) Corpo ovoidale rastremato verso il basso, orlo estroflesso, ansa a bastoncello leggermente schiacciato. 3bI. Piede appena distinto. 37. Orlo poco estroflesso con labbro arrotondato, piede piuttosto irregolare; ansa rastremata verso il basso. Argilla molto sabbiata di colore arancio. Numerosi inclusi di medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore beige sul corpo e maggiormente all’interno. Alt. (con ansa) cm. 8,8; d. fondo cm. 3,9; d. orlo cm. 4,6. N. inv. 156284. 43 Labbro ingrossato e leggermente distinto; ansa rastremata verso il basso. Argilla depurata di colore arancio-rosato. Pochi inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare e mica. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra su orlo, collo, corpo, ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 9,8; d. fondo cm. 3,3; d. orlo cm. 4,9. N. inv. 156291. 38. Orlo molto estroflesso con labbro arrotondato, ingrossato e leggermente distinto; fondo piano. Argilla molto sabbiata di colore arancio-rosato. Numerosi inclusi di medie dimensioni di augite, calcare e mica. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra sul collo, sotto l’ansa ed all’interno. Segni di tornio e colature di argilla sul fondo. Alt. (con ansa) cm. 8,5; d. fondo cm. 3,7; d. orlo cm. 4,5. N. inv. 156292. 44. Collo leggermente fuori asse rispetto al fondo. Argilla molto depurata di colore arancio-rosato. Inclusi non facilmente distinguibili. Tracce di ingobbio sabbiato giallo-ocra sotto l’ansa. Alt. (con ansa) cm. 8,8; d. fondo cm. 3,1; d. orlo cm. 4,2. N. inv. 156293. 3bII. Apodi, labbro arrotondato; fondo leggermente incavato. 45. Collo fuori asse rispetto al fondo. Argilla molto depurata di colore nocciola-rosato. Inclusi non facilmente distinguibili. Tracce di ingobbio sabbiato giallo-ocra sull’orlo, sotto l’ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 9,5; d. fondo cm. 3,3; d. orlo cm. 4,9. N. inv. 156296. 39. Argilla poco depurata di colore beige-rosato. Numerosi inclusi di piccole e medie dimensioni di augite e mica. Si conserva buona parte dell’ingobbio giallo-beige sull’ansa e parte del corpo. Alt. (con ansa) cm. 9; d. fondo cm. 3; d. orlo cm. 4,5. N. inv. 156279. VARIETÀ 3c (Tav. V, nn. 46-47) Corpo globulare con spalla accentuata. 40. Collo leggermente fuori asse rispetto al fondo. Argilla poco depurata di colore beige-rosato. Numerosi 3cI. Ansa a bastoncello espanso, orlo poco estroflesso, piede appena distinto. 26 Tav. V. Viale delle Roselle, brocche miniaturistiche (nn. 3149), rapp.1-3 V. 47. Labbro arrotondato; fondo piano. Argilla molto sabbiata di colore beige-rosato. Numerosi inclusi di medie e grandi dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Poche tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra sull’ansa ed all’interno. Integra, ricostruita da frr. 2, orlo sbeccato in un punto vicino l’ansa. Alt. (con ansa) cm. 8,8; d. fondo cm. 3,6; d. orlo cm. 4,8. N. inv. 156305. 46. Orlo appena estroflesso con labbro arrotondato; collo piuttosto largo; fondo leggermente incavato; piede a profilo leggermente sagomato. Argilla molto sabbiata di colore arancio. Numerosi inclusi di medie e grandi dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Poche tracce di ingobbio sabbiato di colore gialloocra sotto l’ansa. Alt. (con ansa) cm. 10; d. fondo cm. 3,9; d. orlo cm. 4,3. N. inv. 156295. 3cII. Ansa a bastoncello, orlo estroflesso, apode. 27 Tav.VI. Viale delle Roselle, brocche miniaturistiche (nn.5058), rapp.1-3 VI. Tipo 4 (Tav. V, nn.48-49) Ansa verticale impostata dal punto di massima espansione del corpo, piriforme, fino al collo; ansa a bastoncello. punti. Alt. (con ansa) cm. 8,1; d. fondo cm. 2,8; d. orlo cm. 4,2. N. inv. 156275. VARIETÀ 4a Corpo schiacciato verso il basso, piede ad anello sagomato ed ombelicato. Forma 2 Corpo globulare rastremato verso il basso, con spalla distinta da risega a profilo convesso, collo troncoconico, piede a profilo sagomato, ansa sormontante. 48. Orlo fortemente estroflesso con labbro arrotondato; collo fuori asse rispetto al fondo; piede collassato su se stesso sotto l’ansa. Argilla depurata di colore arancio-rosato. Pochi inclusi difficilmente identificabili poiché il pezzo è ricoperto interamente di concrezioni calcaree, dovute probabilmente al contatto con l’arenaria locale (macco), ed è corroso in alcuni punti (v. ansa). Orlo sbeccato e con un segno di frattura in due punti. Alt. (con ansa) cm. 7,2; d. fondo cm. 3,5; d. orlo cm. 4,2. N. inv. 156276. TIPO 1 (Tav. VI, nn. 50-52) Ansa circolare sormontante l’orlo, impostata sul punto di massima espansione del corpo, fondo leggermente incavato. 50. Orlo fortemente estroflesso con labbro piatto e appena distinto; ansa a bastoncello. Argilla depurata di colore rosato. Inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio giallo-beige. Alt. (con ansa) cm. 10,2; d. fondo cm. 4; d. orlo cm. 4,8. N. inv. 156277. VARIETÀ 4b (Tav. VI, n. 49) Corpo rastremato verso il basso, fondo piano, apode. 51. Orlo appena estroflesso con labbro arrotondato, che segue l’andamento dell’ansa, a bastoncello. Argilla poco sabbiata di colore arancio-rosato. Pochi inclusi di medie dimensioni di augite e mica. Alt. (con ansa) cm. 9,6; d. fondo cm. 3,5; d. orlo cm. 4,2. N. inv. 156308. 49. Orlo estroflesso con labbro arrotondato. Argilla molto depurata di colore arancio-rosato. Pochissimi inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Il pezzo è ricoperto interamente di concrezioni calcaree dovute probabilmente al contatto con l’arenaria locale (macco). Orlo sbeccato e con un segno di frattura in due 52. Orlo fortemente estroflesso con labbro appiattito che segue 28 frattura. Alt. (con ansa) cm. 10,9; d. fondo cm. 3,7; d. orlo cm. 5,1. N. inv. 156278. l’andamento dell’ansa; collo alto e stretto, fuori asse rispetto al piede; ansa a bastoncello schiacciato. Argilla sabbiata di colore arancio-rosato. Numerosi inclusi di piccole dimensioni di augite, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio beige in più punti. Su un lato una scheggiatura con incluso ferroso (d. cm. 0,5). Alt. (con ansa) cm. 8,5; d. fondo cm. 3,6; d. orlo cm. 4,1-3,8. N. inv. 156311. 2bII. Corpo globulare, ansa a bastoncello. 57. Orlo molto estroflesso con labbro appiattito; collo cilindrico molto largo; corpo leggermente rastremato verso il fondo, piano. Argilla depurata poco sabbiata di colore beige. Pochi inclusi di medie dimensioni di augite, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra su collo, corpo, sotto l’ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 9,6; d. fondo cm. 3,5; d. orlo cm. 5,7. N. inv. 156309. TIPO 2 Ansa ad orecchio sormontante l’orlo, molto estroflesso. VARIETÀ 2a (Tav. VI, nn. 53-55) Piede ad anello sagomato, ansa a bastoncello. 53. Orlo distinto da risega, labbro arrotondato, ingrossato. Argilla depurata poco sabbiata di colore biancastro. Pochi inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio di colore giallo-ocra su collo, corpo, piede, fondo, sotto l’ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 10,3; d. fondo cm. 3,8; d. orlo cm. 4,5. N. inv. 156306. 58. Orlo poco estroflesso con labbro arrotondato e leggermente distinto; collo fuori asse rispetto al fondo, leggermente incavato. Argilla molto sabbiata di colore beige. Inclusi di medie e grandi dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Si conserva buona parte dell’ingobbio giallo-ocra sul collo, sotto l’ansa ed all’interno Alt. (con ansa) cm. 8,5; d. fondo cm. 3,8; d. orlo cm. 3,7. N. inv. 156307. 54. Labbro appiattito e distinto. Argilla molto depurata di colore biancastro. Rari inclusi di piccole dimensioni di augite e mica. Tracce di ingobbio giallo-ocra su collo, corpo, piede, ansa. Alt. (con ansa) cm. 8,1; d. fondo cm. 3,2; d. orlo cm. 4,1. N. inv. 156310. Altre forme 59. Brocca (Tav. VII) Orlo poco estroflesso, labbro distinto, appiattito superiormente e arrotondato; collo cilindrico, spalla distinta; corpo ovoidale molto rastremato verso il basso; fondo piano, apode; ansa a bastoncello sormontante l’orlo, impostata verticalmente dalla spalla all’orlo. Modello comune nel Latium Vetus e nell’Etruria meridionale, simile al tipo D di Gravisca datato al VI-V sec. a.C., ma con orlo molto meno estroflesso (GORI B. –PIERINI T., Gravisca. Scavi nel santuario greco. La ceramica comune. I. Ceramica comune di impasto, Bari 2001, n. 553, tav. 52) e ad altri esemplari da Ardea (ARDEA 2005, p. 37-38, nn. 110-111, 115-124, tavv. II-III). Argilla sabbiata di colore beige-rosato. Numerosi inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Poche tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra su orlo, ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 19,6; d. fondo cm. 7,2; d. orlo cm. 10,9. N. inv. 156273. 55. Orlo distinto da una sorta di modanatura; labbro appiattito e distinto; collo fuori asse rispetto al fondo; piede collassato su un lato. Argilla poco depurata di colore beige. Numerosi inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio giallo-ocra sotto l’ansa. Alt. (con ansa) cm. 9,2; d. fondo cm. 3,3; d. orlo cm. 4,3. N. inv. 156312. VARIETÀ 2b (Tav. VI, nn. 56-58) Piede a profilo sagomato. 2bI. Corpo ovoidale rastremato verso il basso. 56. Orlo poco estroflesso con labbro arrotondato e leggermente distinto; collo fuori asse rispetto al fondo, piano; piede collassato su un lato; ansa nastriforme schiacciata su un lato. Argilla molto sabbiata di colore beige-rosato. Inclusi di piccole e medie dimensioni di augite e mica. Si conserva buona parte dell’ingobbio giallo-beige. Orlo con segno di 60. Anfora (Tav. VII) Orlo estroflesso, labbro con margine inferiore distinto e squadrato, con doppia solcatura; collo cilindrico, fuori asse rispetto al fondo e distinto da una doppia risega a profilo convesso; corpo ovoidale fortemente rastremato verso il 29 Tav.VII. Viale delle Roselle, ceramica di impasto chiaro (nn.59-60), rapp.1-3 VII. V. Catalogo delle cessioni di oggetti archeologici ed artistici effettuate dallo stato nei casi previsti dalle leggi vigenti. Concessioni alla fondazione Lerici, Cerveteri, Roma COMELLA A. - STEFANI G., 1990- Materiali votivi del Santuario di Campetti a Veio, Scavi 1947 e 1969, Regio VII, 2, Roma GIANFROTTA P.A., 1981 - in Enea nel Lazio, Roma, p. 204. GNADE M., 1992 - The South-west Necropolis of Satricum. Excavations 1981-86, Amsterdam GNADE M., 2006 - La ventottesima campagna di ricerca a Satricum dell’Università di Amsterdam nel 2004, in Lazio e Sabina 3, Roma, pp. 255-260 GUAITOLI M., 1975 - in Lavinium II, Roma, pp. 421-440 JAIA A.M., 2003 - I luoghi di culto del territorio di Anzio, in Lazio e Sabina 2, Roma, pp. 255-264 MURRAY THREIPLAND L. - TORELLI M., 1970 - A semi-subterranean Etruscan building in the Casale Pian Roseto (Veii) area, in PBSR 38 PYRGI 1992 - AA.VV., Pyrgi. Scavi del Santuario etrusco (1969-1971), in NSc, XLII-XLIII, II Suppl., 1988-1989 SOMMELLA P., 1971-72 - Heroon di Enea a Lavinium. Recenti scavi a Pratica di Mare, in RendPontAc XLIV, pp. 47-53 TORELLI M., 2000 - Gli Etruschi (cat. della mostra), Venezia. TORTORICI E., 1981 - in Enea nel Lazio, Roma, p. 185-186. VAGNETTI L., 1971 - Il deposito votivo di Campetti a Veio. Materiale dagli scavi 1937-1938, Firenze VILLA D’AMELIO P., 1963 - San Giuliano. Scavi e scoperte nella necropoli dal 1957 al 1959, in NSc, pp. 1-76 basso; fondo leggermente incavato, piede appena accennato; sulle spalle due anse a bastoncello, di cui una schiacciata su un lato, fuori asse rispetto all’orlo, asimmetriche, impostate verticalmente dalla spalla all’attacco del collo con l’orlo. Cfr. ARDEA 2005, p. 40, nn. 146-147, tav. III. Argilla molto sabbiata di colore giallo-beige. Numerosi inclusi di piccole dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Tracce di ingobbio sabbiato di colore giallo-ocra su orlo, corpo, piede, ansa ed all’interno. Alt. (con ansa) cm. 22,9; d. fondo cm. 7,1; d. orlo cm. 11,3. N. inv. 156274. Manuela Manfrè Abbreviazioni bibliografiche AMBROSINI L., 2001 - Veio I.F.7. Il riempimento della grande cisterna, in “Veio, Cerveteri, Vulci. Città d’Etruria a confronto” (catalogo della mostra), Roma, pp. 79-88 ARDEA 2005 – DI MARIO F. (a cura di), Ardea. Il deposito votivo di Casarinaccio, Roma BOUMA J.W., 1996 - Religio Votiva: The Archaeology of Latial Votive Religion, Groningen CAPRINO G., 1954 - Opere idrauliche. Roma (Via Trionfale). I ritrovamenti di Innocenzo dall’Osso sul Colle di S. Agata di Monte Mario, in NSc, pp. 257-259 CARAFA P., 1995 - Officine ceramiche di età regia. Produzione di ceramica in impasto dalla fine dell’VIII alla fine del VI secolo a.C, Roma CAVAGNARO VANONI L., 1966 - Materiali di antichità varia. 30 Parte II Villa Imperiale. Mosaico Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali si andò definendo l’assetto urbanistico della moderna città di Anzio. Da un lato, l’intensa attività di lottizzazione condotta in quegli anni dalla Società Anonima Nuova Anzio ben rappresenta lo sregolato sviluppo dell’edilizia privata; dall’altro, diversi enti, pubblici e religiosi, intervengono nel campo dell’edilizia civile delineando una pianificazione urbana di concezione moderna, con infrastrutture adeguate, edifici di pubblica utilità e nuovi edifici di culto. In entrambi i casi ne ebbe a soffrire il patrimonio archeologico anziate. Nel campo dell’edilizia privata, a sporadiche notizie di ritrovamenti non corrispondono adeguate opere di scavo e documentazione1: emblematico il caso di villa Spigarelli, costruita riprendendo le murature di un vasto complesso di età repubblicana ed imperiale del quale si riattivarono anche le pavimentazioni originali a mosaico2. Nel campo dell’edilizia civile le cose non andarono diversamente. Appare sinceramente del tutto “singolare” il fatto che non esista notizia di un solo ritrovamento archeologico effettuato nel corso della costruzione della basilica di Santa Teresa, della sede del Comune di Anzio, della nuova stazione ferroviaria e dell’Ospedale Militare. In tale temperie, operosa ma certo indifferente alle antichità della città, si pone l’iniziativa del Podestà di Anzio, tesa a realizzare una serie di importanti infrastrutture destinate ad aumentare la ricettività turistica: costruzione di due grandi stabilimenti balneari su palafitta sulla riviera di Levante e su quella di Ponente3; apertura di viale della Fanciulla d’Anzio, porta panoramica di ingresso alla città dalla via litoranea; realizzazione di un centro sportivo con campo da calcio ed impianto di tiro a volo all’Arco Muto, nell’area della villa imperiale (Fig. 1). Il cantiere per l’apertura del viale della Fanciulla d’Anzio e per la realizzazione del campo sportivo del Littorio (1929-1933) si trasformò nel gigantesco sterro di tutta l’area della villa imperiale, effettuato senza sorveglianza, rapporti di scavo e documentazione4. L’intervento del Ministero si limitò alla valutazione di quello che oggi chiamiamo l’“impatto ambientale” dell’iniziativa, autorizzando nel 1932 la prosecuzione dei lavori “… limitatamente però alla definitiva sistemazione dell’area destinata allo scopo”5. Solo nel 1975, V. Santamaria Scrinari per la parte architettonica e topografica e M.L. Morricone Matini per i mosaici e le pavimentazioni, illustrarono il complesso della villa imperiale, avendo a disposizione solo pochissimi documenti dell’epoca ed alcune fotografie6. L’oblio che colpì gli scavi nell’area della villa fu tale che già nel 1975 si era persa memoria, non solo dell’esatta ubicazione di quei pochi manufatti recuperati e trasportati 1 3 Il progetto per la costruzione del Tirrena e dell’omologo stabilimento sulla riviera di ponente fu presentato al Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti del M.P.I. nel 1932, accompagnato dal parere sfavorevole della Soprintendenza. Il progetto, in un primo momento respinto, fu poi approvato nell’ottobre del 1933 a patto di ridurne le dimensioni. Vedi ACS, MPI aa.bb.aa.. 1930-1933, Div.I, Busta 6. 2 Bellezze Naturali 1932, Anzio Tutela Panoramica. Nuovo stabilimento balneare sulla riviera di Ponente. 4 I primi rilievi dell’area noti sono del 1940; solo negli anni ’70 del Novecento fu realizzato un accurato rilievo di tutta l’area della villa imperiale. A questo periodo risale anche una vasta campagna di restauri. 5 Vedi ACS, MPI aa.bb.aa. 1930-1933, Div.I, Busta 6. 2 Bellezze Naturali 1931, Anzio – Campo sportivo Tutela Panoramica. 6 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975. Ad esempio nulla sappiamo sul ritrovamento nel 1925 di un “... tronco di statua di marmo greco, alto cm. 88, rinvenuto in loc. Colle Coriolano in occasione di lavori di sterro in terreno di proprietà del sig. Spigarelli”: ACS, MPI aa.bb.aa. 1925-1928, II Div., B. 381. Roma Prov. A-C. Anzio. Scoperte di Antichità – proprietà Spigarelli. 2 L’avv. O. Spigarelli era il presidente della citata Società Anonima Nuova Anzio. Così scriveva il 4 dicembre del 1922 al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti richiedendo addirittura un finanziamento pubblico per la sua villa e l’intervento di un restauratore del Museo Nazionale Romano per sistemare i mosaici antichi che si stavano mettendo in luce: “... si tratta di rimettere in ordine il pavimento di un salone [sic!] e di trasportare e restaurare altri tratti di pavimenti a disegno e fattura più minuti ...”. vedi ACS, MPI aa.bb.aa. 1908-1924, I Div., Busta 997. Anzio. Scavi e scoperte di antichità. 1923 Villa Spigarelli. 31 1. Anzio, Arco Muto. Progetto per il campo sportivo del Littorio, 1931. 2. G. Gatti, rilievo delle strutture presso il faro. La freccia indica la posizione del gruppo con Amazzone e Barbaro al momento della scoperta 1. al Museo Nazionale Romano (gruppo marmoreo con Amazzone e Barbaro ora a Palazzo Massimo7 e mosaici ora alle Terme di Diocleziano8), ma anche dell’esistenza stessa delle strutture scavate nell’area dell’Arco Muto, pari ad un terzo dell’estensione complessiva della villa imperiale. ventiseienne, nei quali sono rappresentati i resti messi in luce fino a quel momento. É dunque possibile ora, in base a questi documenti, redatti con estrema precisione e competenza, non solo ricollocare nella posizione originaria gran parte dei ritrovamenti attualmente al Museo Nazionale Romano, ma anche riconoscere il contesto architettonico in cui erano inseriti, restituendo all’area dell’Arco Muto, purtroppo solo virtualmente, l’antico aspetto. Lo studio di questi documenti, che costituiscono la premessa per più approfondite analisi e indagini sul campo, già avviate nel luglio di quest’anno, è solo all’inizio, ma possiamo intanto delineare un primo, importante quadro dell’assetto dell’area e dare conto di alcune acquisizioni. Per quanto riguarda il settore attualmente visibile nell’area del faro di Capo d’Anzio, il Gatti annotò il punto esatto del ritrovamento del gruppo marmoreo con amazzone e barbaro, rinvenuto presso l’attuale cancello secondario del parco archeologico, a ridosso della fondazione della grande nicchia semicircolare posta vicino al muro di cinta del faro (Fig. 2). Al riguardo, non è da escludere che proprio la nicchia fosse il luogo in cui era collocata originariamente la statua11. 2. Recentemente ho potuto rintracciare presso l’Archivio Centrale dello Stato un fascicolo del tutto inedito, di fondamentale importanza per lo studio della villa imperiale di Anzio, che getta luce, anche se in modo parziale, sui ritrovamenti effettuati nel corso degli sterri dei primi anni Trenta9. Si tratta di rilievi e di annotazioni realizzati tra il luglio e il novembre del 1931 da un giovanissimo Guglielmo Gatti10, allora 10 Guglielmo Gatti (29.9.1905 – 2.9.1981) è stato uno dei massimi conoscitori della Topografia di Roma antica del Novecento, al cui studio attese anche nel quotidiano impegno lavorativo presso la Sovrintendenza ai Musei, Monumenti e Scavi della X Ripartizione del Comune di Roma, di cui divenne Sovrintendente. 11 A favore di questa ipotesi lo schema stesso del gruppo, concepito per una visione laterale unica; a sfavore, le dimensioni ridotte della statua rispetto all’ampiezza della nicchia (corda m.5,51). 7 DE LACHENAL 1979 pp.162-164. 8 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, nn. 51-55, 59-60. 9 ACS, Carte Gatti, busta 15, fascicolo 22, Scavi fuori Roma. 32 3. G. Gatti, schizzo di pavimentazione a mosaico presso il faro 4. Anzio. L’Arco Muto nella seconda metà degli anni Trenta. La macchia chiara nel rettangolo del campo sportivo indica l’area interessata dagli scavi 5. Settore scavato negli anni Trenta rimesso in luce nel 2006 Inoltre, il Gatti poté vedere i resti della pavimentazione a mosaico della fase imperiale in uno degli ambienti appena scavati. Il lacerto di pavimento, poi presumibilmente asportato nel proseguo degli scavi che misero in luce le sottostanti strutture di età tardorepubblicana, si limitava a parte della fascia laterale, a treccia, con uno spicchio del campo centrale, formato da un tappeto di tessere bianche con inserzione di singole tessere nere disposte a quarantacinque gradi (Fig. 3). É importante notare che il pavimento presenta, nelle balze laterali, un motivo decorativo simile a quello dei mosaici dell’Arco Muto, datati tra la tarda età antonina e quella severiana. Il dato sembra confermare l’appartenenza delle strutture di questo settore alla seconda grande fase edilizia della villa12. 4. successo in un punto in cui dovevano essere resti di strutture particolarmente riconoscibili (Fig. 5). Pur nei limiti concessi dalla lettura esclusivamente planimetrica, l’impianto principale rilevato dal Gatti si estendeva per circa cento metri di lunghezza e trenta di larghezza, allineandosi parallelamente alla costa occidentale del promontorio. Si tratta di un grande corpo di fabbrica, probabilmente aperto su un’area scoperta, forse porticata, a cui dovrebbe corrispondere, verso l’entroterra, un altro edificio di uguali proporzioni. La costruzione sembra scandita in tre settori (Fig. 6.A-C). 3. Più articolate e decisive sono le informazioni che deduciamo dai rilievi effettuati nell’area dell’Arco Muto. Il Gatti conservò non solo una copia in pulito del rilievo in scala 1:200, ma anche tutte le minute del diario di campagna, utili per controllare le misure e ricche di preziose annotazioni. Per un corretto uso dei rilievi, per prima cosa è stata digitalizzata la planimetria, riposizionata sull’attuale aerofotogrammetrico di Anzio in formato numerico grazie alle indicazioni dello stesso Gatti e a riprese aeree degli anni Trenta dove compaiono i limiti del campo sportivo ed anche quelli dell’area scavata, ben riconoscibili per il tono biancastro del terreno di colmatura (Fig. 4). La precisione del posizionamento è stata ulteriormente apprezzata grazie a un limitato saggio di scavo effettuato con 5. Quello sud-est è caratterizzato dalla presenza di almeno cinque grandi aule, alcune delle quali probabilmente provviste di suspensurae. Nel maggio del 193113 fu rinvenuto, nell’aula più vasta, il grande 13 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, p. 66 e nota 1 “Lettera del Soprintendente G. Moretti al Podestà di Anzio del 29 maggio 1931”. 12 Per una definizione aggiornata delle fasi edilizie del complesso della villa imperiale di Anzio vedi JAIA 2002 e JAIA c.s. 33 6. Anzio. Planimetria generale della villa con aggiunta la parte messa in luce presso l’Arco Muto negli anni Trenta 7. Anzio. Mosaico con Ercole e Acheloo, dettaglio (da Scrinari Morricone Matini) 8. Anzio. Arco Muto, settore con pavimenti a mosaico 6. riconosceva la decorazione con “motivi floreali e volute leggere agli angoli proseguite poi da una figura in diagonale. Al centro motivo floreale” (Fig. 8.3). Quest’ultima descrizione richiama il mosaico n.53 del catalogo della Morricone Matini14, forse qui rinvenuto e trasportato solo successivamente al Museo delle Terme. Se così fosse, andrebbe valutata l’ipotesi che anche i mosaici 51 e 52 della Morricone Matini, tra cui quello con Erote che cavalca la pantera ora in mostra ad Anzio, provengano dalla medesima zona, ma alcuni appunti ancora da decifrare mi inducono ad una certa prudenza. Il settore mediano dell’edificio sembra incentrato attorno ad una vasta area, in parte probabilmente scoperta, forse porticata. Da qui aveva inizio il terzo settore, quello nord-occidentale, costituito da un lungo corridoio, suddiviso in un momento successivo in tre segmenti tramite tramezzature, che separava due allineamenti di ambienti. Quelli sul lato nord sono formati da due serie di quattro vani di dimensioni non 7. mosaico con Ercole ed Acheloo, subito strappato e trasportato al Museo delle Terme, tanto che l’avvenuto trasferimento era cosa nota al Gatti già al momento del suo primo sopralluogo, il successivo 25 luglio (Figg. 7, 8.2). Per mettere in luce il mosaico nell’intera estensione fu allargato lo scavo oltre il limite previsto, fatto che risulta dal rilievo del Gatti ed è percepibile anche nella ripresa aerea; quest’ultimo elemento costituisce un dato utilissimo per il corretto riposizionamento dello scavo. Anche le aule laterali presentavano piani pavimentali a mosaico; in quella a nordovest il Gatti vide un “mosaico crollato (veduto solo in tracce a circa m. 0,30 sul piano del campo)” (Fig. 8.1); in quella sud-est, un “pavimento a mosaico, figurato, alquanto deteriorato, con suspensurae sotto”, di cui si 8. 14 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, pp. 6364, tavv. XIII.53-XIV.53. 34 9. G. Gatti, schizzo misurato dell’ambiente con mosaico ad arabeschi 10-11. Mosaico con arabeschi al momento della scoperta e dopo la sua collocazione alle Terme (da Scrinari - Morricone Matini) 12. G. Gatti, rilievo dello stesso mosaico 11. anch’essa occupata da strutture in parte rilevate dal Gatti. In particolare ci interessano qui due nuclei di ambienti. Il primo, presso la punta del promontorio, è ormai in gran parte crollato in mare. Qui fu individuata una grande aula con una vasca in una nicchia che aveva come pavimento il mosaico n. 54 del catalogo della Morricone Matini16, accuratamente rilevato dal Gatti (Figg. 6.E, 9-12). 9. 10. grandi, intervallati da un’aula rettangolare. Le stanze ad est di tale aula avevano pavimenti a mosaico di tessere bianche di piccole dimensioni. Quelli sul lato sud, rettangolari, più ampi e in alcuni casi con pavimento a mosaico di piccole tessere bianche, furono anche in questo caso tramezzati in una fase successiva. Il grande edificio si raccordava sul lato corto, verso sud-est, con l’impianto termale della villa, posto alla radice del promontorio secondo il medesimo orientamento e sviluppato su quattro livelli (Fig. 6.D). Il Gatti ebbe occasione di rilevare parte delle strutture di collegamento, tra cui una latrina, individuata nuovamente nel luglio 2006 insieme ai resti di una vasca circolare riscaldata, forse allora non visibile15. L’area compresa tra l’edificio principale, il limite di costa occidentale e la punta dell’Arco Muto era 15 12. Immediatamente ad est di questo ambiente, alle spalle della nicchia, era conservato il lacerto di un altro pavimento, designato dal Gatti come “mosaico H”, da 16 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, pp. 6466, tavv. XVI.54 - XVII.54. Vedi JAIA c.s. 35 13. G. Gatti, schizzo del modulo del mosaico “H” con misure 14. Mosaico a motivo complesso al momento della scoperta (da Scrinari -Morricone Matini) 15. G. Gatti, schizzo del modulo dello stesso mosaico con misure identificare probabilmente con uno schizzo posto sullo stesso foglio della planimetria (Fig. 13). Si tratta di un pavimento a sfondo bianco con motivo di tipo geometrico complesso, formato da eliche a tre foglie la cui combinazione descrive una serie di circonferenze (diametro cm. 58) intersecate mediante la condivisione di una foglia. Al centro di ogni cerchio, sta un motivo a croce a tessere nere diseguali inscritto in un quadrato di cm. 13 di lato. La balza laterale principale è formata da una sequenza continua con motivo ad unghia. Questo pavimento è da considerarsi perduto. 14. Il secondo nucleo di strutture rilevate dal Gatti tra il grande edificio e il mare permette di desumere un’ulteriore acquisizione (Fig. 6.F). Lo studioso rilevò un’aula circolare sulla quale si aprivano quattro nicchie semicircolari; a sud del vano era una seconda aula, riscaldata, poiché nel corpo della muratura è rappresentato un rettangolino bianco, probabilmente da identificare con una coppia di tubuli (Fig. 16). Questo dettaglio, unitamente alla planimetria dell’aula rotonda, permette finalmente di identificare e posizionare con precisione la struttura di identico impianto, rilevata in miglior stato di visibilità da Rodolfo Lanciani e raffigurata in uno degli “acquarelli” pubblicati dalla Scrinari, ma non più conservati nell’archivio disegni della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio17 (Fig. 17). Si completa, così, l’identificazione 13. Nel successivo ambiente verso est, era un altro pavimento con motivo geometrico assai più complesso del precedente, anche in questo caso rimasto in situ e da considerare perduto. Fino ad oggi esso era noto solo per una fotografia, che erroneamente ne riportava la localizzazione all’interno dell’ospedale militare di Anzio; con questa provenienza fu schedato dalla Morricone Matini al n. 59 del catalogo, insieme ad un lacerto di pavimentazione di età tardo repubblicana posto nelle vicinanze (catalogo n. 60) (Fig. 14). Il Gatti lo denomina “Mosaico I” e ne riporta lo schizzo del motivo (Fig. 15). Da un ulteriore appunto del Gatti, sembra che a sud dell’ambiente con la vasca nella nicchia fosse situata un’altra serie di ambienti, tra cui un largo corridoio, con pavimenti a mosaico, alcuni forse distaccati. Potrebbe essere questo il luogo di provenienza dei mosaici figurati del Museo delle Terme, in alternativa all’area del mosaico con Ercole e Acheloo. Purtroppo le annotazioni, a matita, sono ormai evanide e richiedono un ulteriore studio. 15. 17 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, tav. D, n. 4. 36 16. Arco Muto, ambiente termale con nicchie. Dis. G. Gatti 17. Idem, R. Lanciani 18. Ambienti di servizio delle grandi terme. Dis. R.Lanciani 19. Idem, rilievo Di Jorio - SBAL 16. 17. e il riposizionamento di tutti gli acquarelli del Lanciani (derivati dagli schizzi conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana18). I nn. 1-219 rappresentano la facciata porticata del complesso verso mare nella sezione centrale della villa (prospetto e planimetria); il n. 320 (Fig. 18), non rappresenta l’area ad est del faro di Capo d’Anzio come ha proposto P. Brandizzi Vittucci21, bensì gli ambienti di servizio delle terme a livello spiaggia, immediatamente ad ovest del grande calidarium. Ciò è facilmente desumibile dal confronto con la planimetria conservata presso l’archivio disegni della SBAL22 (Fig. 19) che permette di apprezzare ancora una volta l’estrema precisione e tutta l’utilità dei rilievi del Lanciani. Essi restituiscono la planimetria di ambienti ormai demoliti dall’azione del mare (vani con volta a crociera che soste19. 18. nevano strutture del livello superiore connesse con il calidarium). Il n. 4 è quello testé identificato e riposizionato nell’area dell’Arco Muto in base ai rilievi Gatti. Le strutture poste sulla punta dello stesso promontorio, in parte oggi crollate, sono rappresentate invece nel n. 823. I nn. 5-7 sono stati identificati da P. A. Gianfrotta con le peschiere di Nettuno e non riguardano quindi la villa imperiale24. 18 22 Cod. Vat.Lat. 13045, ff. 270-279; vedi JAIA 2002. 19 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, 20 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, 21 BRANDIZZI VITTUCCI 2000, pp.53-58, fig.26. SBAL. Archivio Disegni. Rilievo E. Di Jorio 1976, tav. 11. 23 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, tav. E. 24 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, tav. tav. C. tav. D. GIANFROTTA 1997. 37 E; 20. Mosaico figurato con Erote e pantera. Dis. ricostruttivo 20. Appare dunque evidente la rilevanza dei rilievi del Gatti ora “riscoperti”. Una più ponderata analisi di questa documentazione potrà offrire ulteriori spunti per meglio comprendere l’articolazione della villa imperiale nell’area dell’Arco Muto ed approfondire lo studio dei mosaici ora ricollocabili nella loro posizione originaria e con maggiore sicurezza databili ad un periodo compreso tra la tarda età antonina e la prima età severiana. Tra questi anche il mosaico ora “ritornato” ad Anzio, dove rimarrà in esposizione permanente. doppia cima in bianco su fondo nero. Il fulcro della figurazione è in posizione leggermente decentrata verso il lato di base; si tratta di un erote a cavallo di una pantera, inserito in un campo tendente al quadrato dai cui vertici si dipartono numerosi racemi. Altri racemi si sviluppano dalla base di kantharoi posti alla metà di tre dei lati del campo centrale. Lo sviluppo dell’arabesco così originato disegna due livelli compositivi: uno è formato da tre grandi lobi entro i quali si posizionano delle fiere (un leone e, forse, due tigri) che occupano la sezione mediana di tre lati della figurazione; il secondo comprende la figura centrale e le due aquile poste ai vertici del rettangolo, definendo uno spazio vagamente a freccia. Questa sovrapposizione di piani si ritrova, con sviluppo diverso, in altri due mosaici, sempre provenienti dall’Arco Muto, a conferma della vicinanza stilistica già sottolineata dalla Morricone Matini con l’attribuzione dell’esecuzione ad un’unica mano (catalogo Morricone nn. 51 e 53). 61. Mosaico figurato Il mosaico, a tessere bianche e nere, presenta la figurazione inserita in una cornice formata da tre riquadri lineari in nero; tra i due più interni è una fascia con treccia a 38 21. Mosaico figurato con Erote e pantera. Stato di conservazione al momento dell’esposizione nell’Aula XI delle Terme. In grigio le parti cadute prima dell’ultimo restauro 21. L’analisi delle riprese fotografiche pubblicate dalla Morricone Matini25 e la nuova mappatura, realizzata in scala 1:1, permettono di ravvisare una sola sbavatura in un’esecuzione di elevato livello qualitativo. Tra il vertice sinistro del riquadro centrale e l’aquila corrispondente, manca una lunga foglia lanceolata, presente agli altri tre vertici; in conseguenza, dal nodo da cui dovebbe nascere tale foglia si dipartono viticci solo in parte congruenti con il resto della figurazione. Lo stato attuale di conservazione del mosaico è il risultato di interventi di restauro effettuati in tempi diversi e con tecniche e metodologie esegetiche differenti. La mappatura ha consentito di leggerne i vari passaggi e di ricostruire l’aspetto originario, profittando, anche, dell’esausti- va lettura di M. L. Morricone Matini. Dopo il distacco, effettuato tramite la suddivisione in sei pannelli, il mosaico è stato esposto nell’aula XI del Museo delle Terme. Nelle fotografie d’epoca si apprezzano le due grandi lacune in corrispondenza del felino di destra e dell’aquila al vertice sinistro. Mancante anche la testa della pantera centrale. In seguito, fu realizzato un primo restauro, effettuato delimitando le zone ricostruite con tessere di pietra rossa. Curiosamente, le parti lacunose relative al corpo dei felini e dell’aquila furono integrate con una sorta di opus sectile in scaglie di serpentino. Questa soluzione, del tutto estranea al carattere dell’originale, è futto, forse, di una sorta di esercizio di “scuola”, realizzato nell’ambito del laboratorio di restauro delle Terme. A questa fase appartengono le riprese fotografiche dei dettagli utilizzate dalla Morricone Matini. Ad un momento successivo è riferibile l’ampliamento di alcune lacune preesistenti. Infine, un moderno e radicale 25 SANTAMARIA SCRINARI – MORRICONE MATINI 1975, n. 52, pp. 62-63, tavv. 14-15 39 22. Il mosaico (n. 61) nell’Aula XI delle Terme (da Scrinari Morricone Matini) 23. Particolare del restauro in serpentino del felino di sinistra 24. Campo centrale con Erote a cavallo di una pantera abbreviazioni bibliografiche BRANDIZZI VITTUCCI P., 2000 - Antium. Anzio e Nettuno in età romana, Roma DE LACHENAL L., 1979, in GIULIANO A. (a cura di), Museo Nazionale Romano. Le Sculture, I.1, Roma, scheda 111 GIANFROTTA P.A., 1997 - Le peschiere scomparse di Nettuno (Roma), in Atti del Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea, Anzio 1996, Bari JAIA A.M., 2002 - La Fanciulla d’Anzio tra archeologia e mito, in JAIA A.M. (a cura di), La Fanciulla di Anzio, Cat. mostra, Anzio, pp. 17-33 JAIA A.M., c.s. - Anzio. La villa imperiale, in Tusculana 2, SANTAMARIA SCRINARI V. - MORRICONE MATINI M.L., 1975 - Mosaici Antichi in Italia. Regione prima. Antium, Roma 22. intervento di restauro ha restituito al mosaico l’antico aspetto. Gli interventi precedenti, considerati storicizzati, sono stati mantenuti; nuovo è il supporto e lo schema di montaggio dei setti. Allo stato attuale, il pannello (n. inv. 515812) misura m. 4,58 x 3,52, compresa una parte della cornice a tessere bianche posta tra quelle lineari a tessere nere più esterne. Non integrati sono tre lati della cornice lineare nera più esterna, in origine solo parzialmente conservati e poi del tutto perduti. Aggiungendo tali elementi, il quadro decorato originale, comprensivo dell’intera cornice, doveva misurare m. 4,55 x 3,72, a cui si devono sommare le balze marginali a tessere bianche per circa 60-90 cm. così da ricostruire un’area pavimentale di m. 5,75 / 6,35 per 4,90 / 5,50. Alessandro M. Jaia 24. 23. 40 Parte III Viale Severiano. Necropoli protostorica staffa. La morfologia delle fibule e la tipologia delle decorazioni incise rispecchia tipi già noti nel Lazio e già rinvenuti ad Anzio, proprio nell’area della scuola elementare di viale Severiano, confermando la fine dell’VIII - inizi del VII sec. a.C. come termine più basso di datazione delle sepolture della necropoli, almeno per quel poco che ci è noto4. Ad Anzio sono stati individuati due distinti nuclei di sepolture riferibili ad età protostorica: quello posto tra la via Ardeatina e l’area dell’ex palazzina Italcable (attualmente zona militare) e quello di viale Severiano. In entrambi i casi, circostanze diverse hanno reso arduo ricostruire l’esatta composizione dei corredi e più in generale la topografia delle due necropoli. Nel 1925 l’Antonielli scavò numerose sepolture lungo la via Ardeatina, sia riferibili alle fasi laziali I-IV (XI-VII sec. a.C.) che ad età storica (IV-I sec. a.C.), dimostrando la piena appartenenza al popolo latino dei primi abitatori dell’area anziate. La prematura scomparsa dell’Antonielli e il successivo smarrimento dei suoi taccuini causò la mancata pubblicazione dei dati scavo e non permise di mantenere i materiali distinti per corredo1 (Fig. 1.1). Nel 1962, durante la costruzione della scuola di viale Severiano (Fig.1.2) furono rinvenuti numerosi materiali riferibili a sepolture databili tra la Fase IIA e la Fase IV A1 ( X/IX - fine VIII sec. aC.), tuttavia le tombe, individuate senza darne conto alle autorità competenti, furono distrutte e i materiali depredati. Un gruppo di oggetti è confluito nella “collezione privata” di un ignoto cittadino di Anzio ed è stato poi pubblicato da A. De Meis nel 19842. Un secondo gruppo è stato conservato per anni presso l’Azienda di Soggiorno e Turismo di Anzio e studiato da P. Chiarucci3. Attualmente è in esposizione presso il Museo Civico Archeologico di Anzio (Sala I, vetrina 1). Un terzo gruppo, recuperato da V. Santamaria Scrinari viene presentato in questa sede per la prima volta. Si tratta di quattro fibule in bronzo (nn. 62-65), due del tipo a sanguisuga e due a navicella con lunga 1. A questi tre gruppi si deve aggiungere una nuova acquisizione, anche questa inedita, che fornisce nuovi elementi utili per la definizione cronologica delle prime deposizioni di viale Severiano e in generale per l’analisi dei rapporti topografici tra questo settore di necropoli e le sepolture dell’Italcable. Nel 1958, durante lavori edilizi nell’area di un laboratorio per la lavorazione di marmi, tra via Andreina e via Derna (attuale civico n.23 di via Derna)5 (Fig.1.3), il Sig. 1 ANTONIELLI 1927a, p. 40; ANTONIELLI 1927b, p. 176; ANTONIELLI 1929, p. 27. Un tentativo di prima revisione in BAROCELLI 1940 p.197. In seguito fu possibile ricostruire almeno il corredo di un pozzetto, vedi GIEROW 1960-1961, pp. 243246, figg.1-2, poi precisato in BERGONZI 1976. In generale sui ritrovamenti di Anzio GIEROW 1964. 2 DE MEIS 1984. Il materiale non è mai stato consegnato. 3 CHIARUCCI 1986, CHIARUCCI 1989. 4 DE MEIS 1984, fibule nn. b7-7 e b10-11. 5 Ringrazio Patrizio Colantuono per avermi indicato il luogo esatto in cui sorgeva il laboratorio del marmista. 41 1. Anzio. Localizzazione delle aree di sepoltura di età protostorica: 1. ex Italcable, 2. complesso scolastico di viale Severiano, 3. sepoltura di via Andreina - via Derna 2. Olla - cinerario da via Derna Tav. I. Olla - cinerario da via Derna, rapp.1-3 Eugeno Donzelli recuperò un’olla - cinerario di impasto grezzo. Recentemente il Sig. Carlo Donzelli, con grande senso civico, ha consegnato al museo archeologico di Anzio il reperto rinvenuto dal padre, che viene qui esposto per la prima volta. Si tratta di un’olla - cinerario di grandi dimensioni (alt. cm. 18,2, d. orlo cm. 11,4, d. fondo cm. 10,5) ad orlo rientrante di impasto grezzo non tornito, corpo globulare con evidenti deformazioni, rastremato verso il fondo. Sulla spalla, presa a linguetta fratta in antico. Le pareti esterne sono interamente lisciate con una stecca non larga. Sulla pancia un colpo di picconcino inferto al momento del ritrovamento ha provocato una piccola lacuna. I. 2. ture di viale Severiano (fase IIA), più basso rispetto al nucleo più antico a pozzetto dell’Italcable (I fase laziale). Il ritrovamento della tomba di via Derna permette anche di allargare l’area interessata dalla presenza di sepolture protostoriche nella zona di viale Severiano, probabilmente unita a quella dell’Italcable in un unica area di necropoli. 62. Fibula a sanguisuga e staffa lunga Arco pieno a sezione circolare appena schiacciata; alle estremità linea incisa ad angolo divergente, al centro due fasce rilevate separate da una doppia costolatura centrale. Staffa lunga, molla a due giri a sezione circolare. Tipo diffuso nel Lazio (cfr. ad es. le tombe XXIX e XXX di Marino - Riserva del Truglio, CATALDI DINI 1976, pp. 88 e 97, tavv. IX-X; per la tipologia BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, p. 368, tav. 37, tipo 38kk) e già noto ad Anzio (DE MEIS 1984, p. 242, fig.7, B6). Fase IV A. Bronzo. Integra con lievi lacune nella staffa. Lungh. cm. 5,5. N. inv. 515794. L’olla, attribuibile alla fase IIA, trova confronti nel Lazio (con orlo rientrante6 ad es. a Roma, tomba ad incinerazione sotto la casa di Livia sul Palatino e a Grottaferrata - villa Cavalletti, con orlo distinto ad Anzio7 e a Pratica di Mare8) in tipi dai quali si differenzia per la presenza della presa fratta o per la mancanza di decorazione. L’assenza di informazioni sulle modalità di deposizione e sull’eventuale presenza di altri vasi di corredo non permette, come per la quasi totalità dei ritrovamenti anziati, di analizzare associazioni tra materiali e rituali di sepoltura in confronto con le altre necropoli protostoriche del Lazio; rimane confermato, per il momento, il termine più alto di datazione delle sepol- 63. Fibula a sanguisuga e staffa lunga Arco pieno a sezione circolare leggermente schiacciata, al centro due fasce rilevate delimitate da una costolatura singola ai lati e doppia nella parte mediana. Tracce di fasci di linee trasversali incise superficialmente. Molla a due giri a sezione circolare. Fase IV A. Bronzo. Mancante dell’ardiglione e di gran parte della staffa. Lungh. max. conservata cm. 3. N. inv. 515795. 6 GIEROW 1966, Jar VI, p. 130, fig. 26, 1-2. BERGONZI 1976, cat. 104, tav. LXXXII, tomba XIV. 8 SOMMELLA 1976, cat. 93, tav. LXXIV A, tomba XXIV. 64. Fibula a navicella e staffa lunga All’estremità dell’arco, tre larghe costolature che delimitano 7 42 3. Fibula a navicella e staffa lunga, n. 64 Tav. II. Viale Severiano. Fibule a sanguisuga e a navicella (nn. 62-65), rapp. 1-2 II. colare. Morfologicamente simile alla precedente, la fibula riporta uno schema decorativo, a spina di pesce, diffuso nei coevi corredi laziali e presente ad Anzio in fibule sia della necropoli di via Ardeatina - ex Italcable (BERGONZI 1976, p. 321, tav. LXXXIV, n. 12) che in quella di viale Severiano (DE MEIS 1984, p. 242, fig. 7, B8-B11). Fase IV A1. Bronzo. Mancante di parte della staffa. Corpo con lacune ai bordi. Lungh. cm. 12,1. N. inv. 515792. il campo centrale, attraversato da tre fasci di linee trasversali incise superficialmente, ognuno formato da otto linee. A questi si sovrappone longitudinalmente un fascio di tre solcature profonde; ai lati, serie di tre solcature ad angolo, pure profondamente incise, orientate verso la staffa. Molla a due giri a sezione quadrata; ardiglione a sezione circolare. La fibula, di un tipo già noto ad Anzio nella stessa necropoli (DE MEIS 1984, p. 242, fig. 7, B7), trova confronto in diversi contesti laziali, in particolare esemplari analoghi da Osteria dell’Osa (tomba 116, cfr. DE SANTIS 1992, p. 836, n. 11, tipo 38jj) e La Rustica (tomba 33, cfr. AA.VV. 1976, p. 162, tav. 27, n. 26). Fase IV A1. Bronzo. Mancante di parte della staffa, Ardiglione pertinente staccato ma conservato. Corpo con lacune ai bordi e foro irregolare. Lungh. max. conservata cm. 10,8; Ardiglione cm. 12. N. inv. 515793. Alessandro M. Jaia Abbreviazioni bibliografiche ANTONIELLI U., 1927a - Due gravi problemi paletnologici, in Studi Etruschi, p. 40 ANTONIELLI U., 1927b - BPI, XLVII, p.176 ANTONIELLI U., 1929 - Le origini di Roma alla luce delle scoperte archeologiche, in Atti del I Congresso Naz. di Studi Romani, Roma 1928, I, Roma, p. 27 AA.VV., 1976 – AMICI C., CANCELLIERI M., FENELLI M., GUAITOLI M., LEONE E., MUZZIOLI M.P., TORTORICI E., La Rustica, schede, in Civiltà del Lazio Primitivo (Cat. mostra), Roma, pp. 155-165 BAROCELLI P., 1940 - Gli ultimi scavi di antichità protostoriche laziali. Notizie preliminari, in Atti del V Congresso Naz. di studi Romani, Roma 1938, II, Roma, p.197 BERGONZI G., 1976 – Anzio, in Civiltà del Lazio Primitivo (Cat. mostra), Roma, pp. 318-322 BIETTI SESTIERI A.M., DE SANTIS A., 1992 - La classificazione dei manufatti metallici e di altri materiali, in A.M. BIETTI SESTIERI (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, Roma 65. Fibula a navicella e staffa lunga All’estremità dell’arco, tre larghe costolature che delimitano il campo centrale, attraversato da tre fasci di linee trasversali incise superficialmente, ognuno formato da otto nove-linee. A questi si sovrappongono tre serie di linee profondamente incise, disposte a spina di pesce, orientate verso la molla ed impostate su un’unica solcatura longitudinale. Molla a due giri a sezione quadrata; ardiglione a sezione cir3. 43 CATALDI DINI M., 1976 - Riserva del Truglio (Marino), in Civiltà del Lazio Primitivo (Cat. mostra), Roma, pp.85-98. CHIARUCCI P., 1986 - Contributo sulla topografia dell’antica Antium, in Documenta Albana, 7, pp. 17-22 CHIARUCCI P., 1989 - Anzio Archeologica, Anzio DE MEIS A.M., 1984 - Nuovo materiale della necropoli protostorica di Anzio, in BullCom 84.2, pp. 237-244 DE SANTIS A., 1992 - 3c. Il III e IV periodo, in A.M. BIETTI SESTIERI (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, Roma GIEROW P.G., 1960-1961 - La necropoli laziale di Anzio, in BPI, -LXX, pp. 243-246, figg. 1-2 GIEROW P.G., 1964 - The Iron age culture of Latium, II, Lund GIEROW P.G., 1966 - The Iron age culture of Latium, I, Lund SOMMELLA P., 1976 - in Civiltà del Lazio Primitivo (Cat. mostra), Roma, pp. 293-294 44 Parte IV Via Bengasi. Necropoli romana Lungo il tratto terminale della via Nettunense, in corrispondenza e con andamento parallelo al piede del rilevato del cavalcavia mediante il quale la strada supera il tracciato ferroviario, è visibile un tratto di strada basolata già identificato con il percorso dell’antica via Severiana1 (Fig.1). Il basolato, largo m. 4 e ben conservato, è attualmente appena visibile, affiorante sul terreno invaso da piante infestanti. Verso sud-est, la strada è tagliata dal cavo del vecchio raccordo ferroviario diretto al porto, per poi riprendere per un’estensione di pochi metri in un’area di forte interro. La prosecuzione del percorso verso Anzio è di seguito interrotta dalle costruzioni moderne. 2. sono anche visibili diversi monumenti funerari che costeggiavano i due lati della strada (Fig. 2). L’identificazione di questa strada con il tracciato della via Severiana rimane incerta, ma è indubbio che si tratti di un segmento del percorso costiero che collegava Anzio con il litorale nord-ovest. La tipologia delle sepolture, molte delle quali ad incinerazione entro olla, conferma l’anteriorità del percorso rispetto ad una eventuale sistemazione complessiva realizzata nel III sec. d.C.3. Tra il 1960 e il 1975 l’area è stata oggetto, a più riprese, di interventi di scavo archeologico e di un tentativo di sistemazione a parco monumentale, oramai del tutto perduto. In particolare negli anni 19601962 l’attività di scavo si concentrò nel settore presso il cavalcavia, dove furono messi in luce e restaurati alcuni sepolcri in muratura e vennero individuate numerose sepolture ad inumazione ed incinerazione in anfora e in olla (Fig. 3). Nelle poche riprese fotografiche d’epoca disponibili è visibile una sola sepoltura integra, a casetta, con facciata intonacata (Fig. 4). Si nota anche la presenza di due recinti, forse origina- 1. Si tratta di un breve segmento di un tracciato stradale, facilmente individuabile in alcune riprese aeree del 19732, che corre per centinaia di metri con andamento N-NO/S-SE lungo il lato occidentale della via ferroviaria per poi scomparire sotto le costruzioni moderne in direzione di Anzio Colonia (Fig. 2). Attualmente, del basolato visibile negli anni ‘70, rimane in luce un tratto di circa 80 metri all’interno dell’area a sud-ovest della ferrovia, occupata da costruzioni abusive e di fatto inaccessibile. Nella ripresa aerea 3 In BRANDIZZI VITTUCCI 2000, p. 73, nota 350, viene attribuita a questa strada l’iscrizione T. Aelius. [Had]rianus vista e trascritta dal Lanciani in columna (miliaria?) prope cryptas ‘Arco Muto’ (riportata in DE ROSSI 1981, p. 102, fig. 22). 1 LUGLI 1940; SANTAMARIA SCRINARI 1975, p. 16, nota 2. CHIARUCCI 1989, p. 52. 2 Ripresa aerea zenitale S.A.R.A. Nistri, 1973. 45 1. Il cavalcavia della Nettunense nel 1963. A sin. la strada basolata con l’area di necropoli 2. Ripresa aera dell’area di via Bengasi: le frecce piccole indicano la strada basolata, le frecce grandi i resti di sepolture 3. Sepolture ad incinerazione in anfora e in olla 4. Sepolcro a casetta 5. Schizzo misurato dell’area di scavo presso il cavalcavia 3. 4. 5. riamente dotati di elevato, uno dei quali certamente con accesso posteriore (Fig.2). Una visione complessiva dell’area scavata è fornita da uno schizzo misurato realizzato poco dopo lo scavo: vi sono rappresentate, schematicamente le sepolture costruite (ma non quelle in anfora e in olla) prospicienti il tratto di strada basolata4. I materiali della necropoli, databili tra I e III sec. d.C., sono in gran parte conservati nei magazzini del Museo Civico Archeologico di Anzio, dopo essere stati a lungo nei depositi della Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, presso il Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli. Si ha notizia anche del ritrovamento dell’iscrizione sepolcrale di Vibiana Cn. l. Euphrosyne e del suo colliberto Cn. Vibianus Cn. l. Menesteus5. 4 Le figure 1,3-4 e 5, inedite, sono tratte da SPORTELLO A.M., Topografia di Anzio e del suo territorio, A.A.1963-1964 (Tesi di laurea, rel. F. Castagnoli). La tesi è conservata presso la biblioteca della sez. Topografia Antica dell’Univ. di Roma “La Sapienza”, Ringrazio M. Fenelli per averne autorizzato la riproduzione. 4 L’iscrizione è in parte nota anche da articoli in giornali d’epoca, vedi BRANDIZZI VITTUCCI 2000, p. 81, nota 391. 46 Le peculiarità tecniche della manifattura non differiscono da quelle della sigillata italica, se non per aspetti comuni in generale alla produzione della Gallia del Sud2, concernenti l’argilla impiegata, di colore rosso, e l’aspetto della vernice, particolarmente spessa e lucente. Nello specifico, tuttavia, l’elemento caratterizzante tale varietà è dato dalla colorazione del rivestimento, ottenuta con la parziale rimozione tramite una piuma o un pennello dello strato superficiale di vernice gialla, che lascia emergere il sottostante strato di rivestimento rosso. L’effetto prodotto da tale intervento risponde presumibilmente al tentativo di imitazione del marmo o dell’agata o dei vetri variegati, quali i vasa murrina o millefiori. L’orizzonte cronologico di tale manifattura provinciale, delineato dai marchi di fabbrica noti3, rimanda al periodo compreso tra l’età claudia e la flavia4. I frammenti anziati sembrano circoscrivibili in un ambito cronologico preflavio, sia per il tipo di decorazione che li caratterizza, sia per la forme ceramiche cui sono riconducibili. Alcuni pezzi notevoli o bisognosi di tempestivi interventi di restauro, trasportati al momento dello scavo presso il Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, sono oggetto dell’attuale esposizione. Si segnalano, tra questi, uno specchietto, due iscrizioni (tabellae defixionum) su lamina di piombo ed una piccola raccolta di monete cui è sembrato utile premettere un breve saggio curato da G. Angeli Bufalini dedicato all’uso delle monete nelle sepolture. Purtroppo non risulta l’esistenza di documentazione e di rapporti di scavo che indichino l’esatta collocazione dei ritrovamenti nel contesto della necropoli, per i quali rimane solo la generica attribuzione di provenienza dall’area del cavalcavia. Alessandro M. Jaia Abbreviazioni bibliografiche LUGLI G., 1940 - Saggio sulla topografia dell’antica Antium, in Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, VII, pp. 153-188 SANTA MARIA SCRINARI V. - MORRICONE MATINI M.L., 1975 - Mosaici Antichi in Italia. Regione prima. Antium, Roma CHIARUCCI P., 1989 - Anzio Archeologica, Anzio BRANDIZZI VITTUCCI P., 2000 - Antium. Anzio e Nettuno in epoca romana, Roma 66. Frammento di coppa Minuto frammento di parete con decorazione a matrice in cui si riconoscono una sequenza di foglie acuminate e una fila di perline. Per la decorazione cfr. OSWALD – PRYCE 1966, p. 70, tav. V, 10; tav. XXXVII, 38. Attestata sulla forma Dragendorff 29 in epoca claudio-neroniana. Argilla color rosso. Vernice gialla lucente di ottima qualità, con venature rosse. Ricomposto da due frammenti. Alt. cm. 1,3; largh. cm .1,8; spess. cm. 0,4. N. inv. 515787. 67. Frammento di coppa Orlo di coppa rimarcato all’interno da una lieve scanalatura; all’esterno da due rigonfiamenti compresi tra due solchi, caratterizzati da una decorazione a rotella. Sotto l’orlo corre una linea di perline. Riconducibile alla forma Dragendorff 29. L’altezza pressoché analoga dei due rigonfiamenti permette di datare il reperto ad epoca tiberiano-claudia. Cfr. OSWALD – PRYCE 1966, p. 68; tav. XXVIII, 11; tav. III, 1; 4; 8.Argilla color rosso. Vernice gialla lucente di ottima qualità, con venature rosse. Alt. cm. 3,4; largh. cm. 6,2; spess. max. cm. 0,5. N. inv. 515788. Sigillata marmorizzata Il piatto frammentario e i due minuti frammenti sono assegnabili ad ogni evidenza, per la vernice color giallo limone cosparsa di venature rosse che li riveste, al peculiare ambito di produzione della sigillata marmorizzata. Nonostante le prime rare attestazioni siano riconducibili all’aretina d’epoca augustea, la produzione di tale variante della sigillata sembra prendere piede esclusivamente nelle figlinae della Gallia Meridionale, in particolare a La Graufesenque1. 1 2 OSWALD – PRYCE 1966, p. 13. OSWALD – PRYCE 1966, p. 219 s. 4 Per una rapida carrellata sugli stili decorativi di questa produzione cfr. anche COMFORT 1956, pp. 47-59. p. 55, pl. C. 3 OSWALD – PRYCE 1966, p. 218 ss. 47 6. Necropoli di via Bengasi, specchietto in piombo (n. 69) Tav. I. Piatto di sigillata marmorizzata (n. 68) I. 6. 68. Piatto Si conserva meno della metà di un piatto su piede a sezione triangolare. Sul fondo della vasca sono incisi cerchi concentrici, al centro resta un bollo iscritto lacunoso, in cui è chiaramente leggibile una O. Forma Dragendorff 18, tipo di epoca claudia. Cfr. OSWALD – PRYCE 1966, p. 181 ss., tav. XLV, 1; LUTZ 1977, p. 33, tav. 3 BP. 65159 A, BP 65.82 Z. Per il bollo cfr. OSWALD – PRYCE 1966, p. 219 (OFI ARDAC / OF MAPOMI / OF PRIMI). Significativo è il fatto che la forma Dragendorff 18 viene prodotta occasionalmente in marmorizzata solo nelle officine che riportano tali bolli; cfr. OSWALD – PRYCE 1966, p. 183. Argilla color rosso. Vernice gialla lucente di ottima qualità, con venature rosse. Alt. cm. 3,4; largh. cm. 15,5; diam. piede cm. 8,1. N. inv. 515789. Lo specchietto si distingue per la ricercatezza della decorazione del bordo e la forma della staffa: il tipo è definito da Bellelli e Messineo “con placca posteriore di chiusura e presa a staffa applicata ad essa”, e rientra nel gruppo degli specchietti di area occidentale, “pannonica” (T UDOR 1959). In generale non è chiaro l’uso di questi piccoli oggetti che potrebbero far parte di corredi funerari (come ad Intercisa in Romania), così come avere destinazione votiva (stipe del tempio di Giove Anxur a Terracina), o pratica nelle terme e nei castra (terme di Treviri e castrum di Lauriacum; sui diversi luoghi di rinvenimento, vd. BELLELLI-MESSINEO 1989, p. 56). Un esemplare molto simile a quello oggetto di studio è conservato nella collezione Gorga (Museo Nazionale Romano, inv.375920, cfr. BELLELLI-MESSINEO 1989, 60 n.10; BARBERA 1999, p. 156). La produzione di specchietti plumbei è collocabile in un ampio orizzonte cronologico che si estende dal I secolo d.C. all’età bizantina. Misure: diam max. cm. 8; lung. staffa cm. 4 cm.. N. inv. 515808. Giovanna Rossini Abbreviazioni bibliografiche COMFORT H., 1956 - Supplementary terra sigillata at the American Academy in Rome MAAR, pp. 47-59 LUTZ M., La sigillée de Boucheporn (Moselle), Gallia, Suppl. 32, 1977. OSWALD F., PRYCE T. D., 1966 - An introduction to the study of Terra Sigillata, London Michela Nocita 69. Specchietto Specchietto tondo a superficie piatta; frontalmente è decorato da una cornice ornata da due fasce, quella più interna è formata da perline, quella più esterna da un motivo di segmenti arcuati disposti verticalmente e paralleli tra di loro. Sul bordo esterno sono disposti a intervalli regolari dei bottoncini a formare una raggiera. Sul lato posteriore è saldata una staffa orizzontale decorata con piccoli intagli. Sono assenti alcuni bottoncini sull’orlo; patina scura e verdastra. Abbreviazioni bibliografiche BARBERA M., 1999 - Gli specchietti, in BARBERA M. (a cura di), La collezione Gorga (Museo Nazionale Romano), Milano, pp. 154-157 BELLELLI G.M., MESSINEO G. 1989 - in Xenia 18, pp. 53-76 TUDOR D., 1959 - Le dépôt de miroirs byzantins de verre doublé de plomb trouvé a Sucidava, Dacia XI-XII, p. 243 e ss. 48 conservazione, la cui esiguità non permette una analisi sulla circolazione dell’epoca, ma piuttosto una considerazione sul ruolo che la moneta esercitò in ambito funerario. In area italica l’uso di deporre monete nelle sepolture accanto al defunto affonda le proprie radici in ambito etrusco, dove già nell’VIII secolo a.C., prima dell’introduzione della moneta quale ufficiale strumento di misura, è attestata la presenza in tombe di aes rude, bronzo fuso in pezzi informi, o di oggetti metallici aventi la funzione di mezzi di scambio1. Se le fonti letterarie sono concordi nell’indicare con l’espressione “obolo di Caronte” il pagamento del pedaggio dovuto dal defunto al nocchiero infernale per il passaggio alla vita ultraterrena2, è interessante tuttavia chiarire quali valenze e quali diversi significati questa usanza abbia assunto nel corso del tempo nei diversi ambiti sociali in cui è stata adottata. Per anni i resoconti di scavo hanno considerato il rinvenimento di monete nelle sepolture elemento di scarsa importanza ai fini dell’indagine archeologica del sito in oggetto, fornendo testimonianze quanto mai sommarie e generiche. Da qualche anno si è invece verificata una inversione di rotta negli studi archeologici, che hanno considerato la moneta in tomba non soltanto documento talvolta utile alla datazione dello scavo, ma testimonianza di un rito ed espressione di una cultura che lo determina. Recenti letture delle attestazioni di monete in tomba hanno proposto le nuove accezioni di “moneta del defunto”3 o addirittura di “numismatica della morte”4, più adatte ad offrire diverse chiavi di lettura basate su indagini antropologiche, sociali, economiche o spirituali. Occorre pertanto capire se la presenza della moneta nella tomba è lo specchio di uno stesso fenomeno che si perpetua nel tempo, pur con diversi strumenti, o se si tratta di una consuetudine che assume diverse valenze con il passare dei secoli. Le testimonianze archeologiche e letterarie, interpretate alla luce dei più recenti studi condotti sull’ar- Reperti monetali dalla necropoli di via Bengasi 1. Uso e significato della moneta in tomba Le 13 monete in bronzo, una delle quali dimezzata, provenienti dagli scavi effettuati nella necropoli di Anzio nel 1962, sono tutte di età romana imperiale e abbracciano un arco cronologico che dalla fine del I secolo a.C. giunge sino alla seconda metà del II sec. d.C. Nel dettaglio sono presenti: - una moneta (asse) dimezzata di I sec. a.C. - una moneta (quadrante) coniata sotto il regno di Augusto, dal IVvir monetalis L. Valerius Catullus (4 a.C.) - tre monete (assi) coniate sotto il regno di Tiberio (1437 d.C.) - due monete (quadrante e asse) coniate sotto il regno di Gaio (37-41 d.C.) - una moneta (asse) coniata sotto il regno di Nerone (54-68 d.C.) - una moneta (asse) coniata sotto il regno di Tito (7981 d.C.) - una moneta (asse) coniata sotto il regno di Adriano (117-138 d.C.) - una moneta (asse) coniata sotto il regno di Antonino Pio (138-161 d.C.) - due monete (asse) coniate sotto il regno di Marco Aurelio (161-180 d.C.) La mancanza di dati precisi sul rinvenimento di ciascun pezzo non consente di individuare con esattezza la finalità della presenza di tali monete all’interno della necropoli, ma soltanto di formulare delle ipotesi. Forse alcune di esse si trovavano all’interno della sepoltura, deposte nella mano del defunto con l’intento di costituire il cd.“obolo di Caronte”, il pedaggio dovuto al traghettatore infernale per il passaggio nell’aldilà; forse altre erano state collocate sugli occhi del defunto con funzione apotropaica, allo scopo di allontanare il male e gli influssi maligni, oppure deposte sul petto del sepolto con il ruolo di talismano; altre ancora forse si trovavano al di fuori delle sepolture, probabile simbolo di un gesto beneaugurante elargito dai vivi ai defunti per il loro cammino nella vita ultraterrena. Si tratta comunque di pezzi di piccolo taglio, comunemente circolanti, per lo più in cattivo stato di 1 CANTILENA 1995, p. 168. Rane, 139-140; LUCIANO Caronte, 11; ID. Dialogo dei morti, II, 1; APULEIO, Metamorfosi, VI, 18. 3 GRINDER HANSEN 1991, pp. 207-218. 4 GORINI 1999, p. 71. 2 ARISTOFANE, 49 gomento5, consentono di individuare nel rituale funerario della moneta in tomba, aspetti diversi sul piano ideologico, antropologico e sociale. della morte: gli oggetti costituenti il corredo, ricchi o modesti che siano, molteplici o singoli, rappresentano tuttavia un prezioso documento storico e permettono di individuare le profonde differenze sociali ed economiche che si celano nel rito del seppellimento e nelle società che lo determinano. Anche la moneta quindi può evidenziare una delle caratteristiche della social persona del morto, che la società ritiene degne di essere ricordate8. Un nobile esempio è rappresentato dal cd. “Medaglione di Teodorico”, il prezioso multiplo da tre solidi in oro rinvenuto alla fine dell’Ottocento in una sepoltura a Senigallia: il pezzo, unico nel suo genere, munito di fibula, probabile elemento decorativo dell’abbigliamento del defunto, rende testimonianza dell’elevato rango sociale del sepolto, un illustre personaggio della corte di Teodorico, insignito del prezioso dono dal favore regale9. Moneta come mezzo di scambio. La più antica testimonianza letteraria dell’”obolo a Caronte” risale al 405 a.C. ed è contenuta in un passo delle Rane di Aristofane (vv.139-140): Dioniso per scendere agli Inferi e sottrarvi Euripide dovrà pagare il pedaggio a Caronte, il vecchio barcaiolo. La moneta conferma pertanto la propria valenza economica, è lo strumento indispensabile per effettuare il passaggio; allo stesso modo, la deposizione della moneta nella tomba garantirà al defunto il passaggio alla vita ultraterrena. Nel mondo romano l’“obolo a Caronte” si traduce prevalentemente nella deposizione di una moneta in bronzo di piccolo taglio (per lo più assi): considerata l’esiguità della somma, tale pagamento è stato interpretato come il simbolo di un accomunamento di tutti i defunti, una sorta di “giustizia egualitaria” che consente a ciascuno, indipendentemente dalla propria condizione o ruolo sociale, di aspirare alla vita ultraterrena6. Moneta come amuleto e talismano. In alcune culture ricorre la credenza dell’impossibilità, da parte degli spiriti maligni, di penetrare attraverso oggetti di forma rotonda e dei poteri magici rivestiti dai metalli: la moneta, grazie alla sua forma, e per di più di metallo, ben doveva assolvere al duplice compito di amuleto, in grado di proteggere e di allontanare il male, e di talismano, dagli straordinari influssi positivi10. Del resto tali funzioni sono state attribuite alla moneta dalla società dei vivi sin da tempi antichissimi e si perpetuano ancora oggi in alcune pratiche superstiziose. Basti ricordare la fonte votiva di Vicarello, nei pressi di Bracciano, la cui frequentazione è attestata a fasi alterne dal IX secolo a.C. sino alla metà del 1800, che ha restituito una gran quantità di monete e oggetti metallici gettati nelle acque salutari dai pellegrini che si recavano presso la sorgente, nella speranza di ricevere benefici dalla divinità11; o anche l’usanza, ai giorni nostri, di lanciare monetine nella Fontana di Trevi come gesto propiziatorio. E’ verosimile dunque supporre che alcune monete presenti nelle sepolture, sia per le caratteristiche sopra menzionate, sia per il Moneta come elemento distintivo dello status del defunto. In alcuni casi, invece, la moneta nella tomba può rappresentare il segno di un determinato ruolo sociale rivestito dal defunto nell’ambito della società a cui apparteneva, o può essere interpretata come un’ostentazione simbolica dei beni posseduti in vita (pars pro toto): “un tenuissimo simbolico avanzo di tutta la proprietà del morto che, secondo l’antichissimo diritto delle anime, si seppelliva con lui”7. E’ evidente che la moneta nella tomba, così come tutti gli elementi costituenti il corredo, ove presente, è frutto di una “selezione cosciente” operata da chi curava la sepoltura, spesso forse osservando particolari volontà espresse in vita dal defunto, tra gli oggetti che gli appartenevano o erano in uso all’interno del proprio gruppo sociale o familiare. Il rito pertanto di deporre nella tomba il corredo, l’insieme delle offerte votive deposte presso il defunto, è in stretto rapporto con la mentalità della società e con la concezione che essa ha 8 D’ANGELA 1983, p. 83; LA ROCCA 1988, p. 238. 1978, pp. 140-141. Il pezzo, confluito nella collezione F. Gnecchi, è attualmente conservato ed esposto al Museo Nazionale Romano. 10 PERA 1993, pp. 347-361. 11 COLINI 1968, pp. 35-56. 9 ALFÖLDI 5 Si vedano, da ultimo, i due più recenti convegni tenutisi sull’argomento : Caronte 1995; Trouvailles monétaires 1999. 6 CANTILENA 1995, pp. 170-171 e 176. 7 PERASSI 1996, p. 172, nota 122. 50 con molta prudenza, sia perché può rappresentare il residuo di una circolazione precedente e quindi non corrispondere alla circolazione monetale coeva al momento della sepoltura, sia perché, come già detto, la moneta può essere frutto di una scelta selettiva intenzionale e pertanto ugualmente non rispondente all’attualità del momento. La moneta presenta sempre una propria datazione, fornita da elementi sicuri (Stato, autorità emittente, zecca): ma questa determinazione cronologica non deve prescindere dalla durata del corso legale dell’emissione, non sempre peraltro individuabile, dalla possibilità di tesaurizzazione di numerario, determinata da cause diverse, e da una probabile scelta selettiva delle monete, operata prima della sepoltura. Tutti questi elementi giustificherebbero la presenza di monete con alta datazione in sepolture tarde. Il documento moneta come elemento datante la tomba, pur rappresentando un sicuro terminus post quem, deve dunque essere considerato con estrema cautela. La cronologia di altri materiali facenti parte del corredo e un’attenta indagine stratigrafica si rivelano pertanto elementi preziosi per la datazione della sepoltura, così come la concordanza cronologica tra il dato numismatico e quello archeologico consente di attribuire alla moneta in tomba il valore di testimonianza della circolazione monetale di un’area geografica in una determinata epoca. tipo rappresentato o per la leggenda inscritta, potessero assumere una funzione prettamente apotropaica e talismanica: questa supposizione è inoltre confortata dalla presenza, in numerose deposizioni soprattutto di ambito romano, del reperto numismatico associato al chiodo, oggetto strettamente collegato a pratiche superstiziose12. Monete–gioiello. L’uso di incastonare monete in gioielli risale ad età greca arcaica13 e si è protratto nel tempo sino ai nostri giorni con gli intervalli, più o meno regolari, tipici di una moda. Diverse possono essere le motivazioni che hanno indotto a quest’uso, dettate dalla tipologia della moneta e quindi dal significato attribuito all’immagine, dall’utilizzo della moneta con funzione apotropaica o di amuleto, o dalla semplice motivazione di disporre di un oggetto pronto, già inciso, da incastonare. I rinvenimenti nelle tombe di monete–gioiello in molti casi riconducono a queste supposizioni. Sono state trovate monete in oro munite di elaborati appiccagnoli o incastonate in preziose montature, accanto a modeste monetine in bronzo semplicemente forate, ricche o povere espressioni di una medesima moda. Ma, se nella società dei vivi il gioiello monetale di elevato valore intrinseco, può assumere, in determinate condizioni economico-sociali, la funzione di “benerifugio”, una volta deposto nella tomba esso è soltanto indizio di un determinato status sociale del defunto. La semplice moneta forata, sia essa in oro, argento o bronzo, può invece assumere, perché in metallo e di forma rotonda, una funzione benefica, di protezione del defunto, oppure avere carattere celebrativo relativamente alla immagine in essa impressa. In ogni caso, tuttavia, si tratta di oggetti che venivano deposti nelle sepolture in quanto appartenuti in vita al defunto e pertanto espressioni di una moda che attribuiva alla moneta la duplice funzione di ornamento e di talismano14. Posizione della moneta nella tomba. Quanto alla collocazione della moneta all’interno della tomba, diverse sono le posizioni in cui la si è trovata rispetto alla salma: in bocca, sugli occhi, in una mano, presso il bacino, sul petto, presso le ginocchia o all’altezza dei piedi. Non sempre però la posizione del rinvenimento rispecchia quella originaria, poiché spesso concorrono fattori esterni a modificarne la collocazione, quali smottamenti del terreno o infiltrazioni di acqua o di terra. Tentare pertanto di attribuire un significato certo alla collocazione della moneta sul corpo del defunto o di individuarne una precisa intenzione, è sempre impresa rischiosa che lascia spazio solo ad ipotesi. Ad esempio, se la moneta posta nella mano del defunto sembra svolgere prevalentemente la sua funzione di mezzo di scambio, la tariffa dovuta per il pas- Il problema della moneta come elemento di valutazione cronologica della tomba. Il documento moneta come elemento datante la tomba deve essere utilizzato 12 CECI 2001, p. 90. PETRILLO 1993, p. 364. 14 PERA 1993, p. 359. 13 SERAFIN 51 7. Reperti monetali da via Bengasi (nn.70-71) saggio alla vita ultraterrena15, e a quella deposta sul petto viene piuttosto attribuita la funzione di amuleto, la moneta posta nella bocca del defunto è stata interpretata come viaticum, una sorta di provvista alimentare simbolica per il suo viaggio nell’Oltretomba, che, in ambito cristiano, prenderà “il significato di nutrimento spirituale dell’anima durante il suo viaggio verso la vita eterna”16, mentre le monete poste al di sopra degli occhi dell’inumato farebbero pensare ad una sopravvivenza degli occhi, attraverso un oggetto che ne ricorda la forma17. La presenza della moneta nella tomba nasce dunque come usanza pagana: l’”obolo a Caronte”, il pedaggio pagato dal defunto per il suo passaggio alla vita ultraterrena, in uso presso i Romani, sopravvive nei secoli seppure con significati diversi, legati a diverse circostanze, temporali e sociali. Se la moneta, spesso modesta e fuori corso, trovata presso la mano del defunto o isolatamente all’interno della tomba può essere espressione di un gesto intenzionale eseguito dalla società dei vivi al fine di garantire al defunto una continuità nella vita ultraterrena, le preziose monete in oro con appiccagnolo, elementi decorativi di eleganti collane, o quelle incastonate in vistosi anelli, così come i pezzi più modesti semplicemente forati a scopo ornamentale, oltre a suggerire un immediato richiamo alla posizione più o meno abbiente dell’inumato, sono comunque espressione di un diffuso costume sociale e indizio di un andamento economico legato ad una determinata epoca. Talvolta la moneta in tomba, anche se fuori corso e dotata di particolari raffigurazioni o leggende, o semplicemente in virtù di quelle caratteristiche superstiziose ad essa attribuite, legate alla sua forma rotonda e alla materia che la costituisce, il metallo, può essere interpretata con valore talismanico o apotropaico: un oggetto in grado di allontanare dal defunto gli spiriti maligni e proteggerlo nella vita ultraterrena. In quest’ottica anche l’asse dimezzato di età repubblicana (n. 70) giustifica la sua presenza attraverso il ruolo beneaugurate svolto dalla raffigurazione, sul dritto, del Giano bifronte, il dio di ogni inizio, colui che assicurerà protezione al defunto nell’intraprendere un nuovo cammino18. 2. Catalogo 7. 70. ETÀ REPUBBLICANA Asse dimezzato, bronzo ZECCA: ROMA (I sec. a.C.) D/ Illeggibile (testa bifronte) R/ Tracce di prua di nave BIBL.: cfr. RRC 354 ss. g 5,91 N. inv. 517739 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 71. AUGUSTO (L. Valerius Catullus) Quadrante, bronzo ZECCA: ROMA (4 a.C.) D/ L VALERIVS CATVLLVS Nel campo, SC R/ IIIVIR AAAF[F] Nel campo, altare BIBL.: RIC I2, p. 78 n. 468 g 3,66 mm 15 20° N. inv. 517731 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 15 DE FONTENAY 1873, pp. 16 PERASSI 1996, p. 151. 17 CALLU 92-93. 18 CECI 1987, p. 180. 52 2001, p. 91. 8. Reperti monetali da via Bengasi (nn. 72-76) 72. TIBERIO (14-37 d.C.) Asse, bronzo ZECCA: ROMA (22-23 d.C.) D/ TI CAESAR DIVI AVG F AVGVST IMP VIII Testa nuda di Tiberio a s. R/ PONTIF MAXIM TRIBVN POTEST XXIIII Nel campo, SC BIBL.: RIC I2, p. 97 n. 44 8. g 10,97 mm 27 160° N. inv. 517732 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 73. TIBERIO (14-37 d.C.) per Augusto divinizzato Asse, bronzo ZECCA: ROMA (34-37 d.C. ca.) D/ DIV[VS AV]GVSTVS PA[TER] Testa radiata di Augusto a s. R/ Aquila ad ali aperte, su globo; ai lati, S-C BIBL.: RIC I2, p. 99 n. 82 g 9,24 mm 28 190° N. inv. 517733 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 74. TIBERIO (14-37 d.C.) per Augusto divinizzato Asse, bronzo ZECCA: ROMA(34-37 d.C. ca.) D/ [DIVVS AV]GVSTVS [PATER] Testa radiata di Augusto a s. R/ Fulmine alato; ai lati, S-C BIBL.: RIC I2, p. 99 n. 83 g 11,00 mm 26 210° N. inv. 517734 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 75. GAIO (Caligola) (37-41 d.C.) Quadrante, bronzo ZECCA: ROMA(40-41 d.C.) D/ C CAESAR DIVI AVG PRON AVG Pileo; ai lati, SC R/ PON M TR P IIII P P COS TERT Nel campo, RCC BIBL.: RIC I2, p. 111 n. 52 g 3,10 mm 17 200° N. inv. 517735 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 76. GAIO (Caligola) (37-41 d.C.) per Agrippa Asse, bronzo ZECCA: ROMA(39-41 d.C.) D/ M [AGRIPPA L F] COS III Testa di Agrippa con corona rostrale, a s. R/ Nettuno stante a s., con tridente e delfino; ai lati, S-C; nel campo, a s., contromarca TIN (TIberius AVgustus) BIBL.: RIC I2, p. 112 n. 58 g 9,19 mm 27 160° N. inv. 517736 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 53 9. Reperti monetali da via Bengasi (nn. 77-80) 77. NERONE (54-68 d.C.) Asse, bronzo ZECCA: ROMA (66 d.C. ca.) D/ IMP NERO CA[ESAR AVG GER]M Busto laureato di Nerone a d. R/ PACE P R VBI[Q PARTA IA]NVM CLVSIT Vista frontale del tempio di Giano, con la porta chiusa a d.; ai lati, S-C BIBL.: RIC I2, p. 171 n. 347 9. g 9,58 mm 27 200° N. inv. 517740 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi, “zona sovrastante la strada” 78. TITO (79-81 d.C.) Asse, bronzo ZECCA: ROMA (80-81 d.C.) D/ [IMP T CAES] VESP AVG P M TR P COS [VIII] Testa laureata di Tito a s. R/ [PAX] AVGVST La Pax stante a s., con ramo e caduceo; ai lati, S-C BIBL.: RIC II, p. 131 n. 129b g 8,90 mm 27 200° N. inv. 517741 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi, “zona sovrastante la strada” 79. ADRIANO (117-138 d.C.) Asse, bronzo ZECCA: ROMA (117-138 d.C.) D/ HADRIANVS [AVG COS III P P] Busto di Adriano a testa nuda, drappeggiato, a d. R/ [NILVS] Il Nilo reclinato a d. su urna (?) con cornucopia; a d., ippopotamo, sotto, nell’acqua, coccodrillo; in esergo, SC BIBL.: HCC II, p. 165 n. 632 g 8,14 mm 27 160° N. inv. 517737 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 80. ANTONINO PIO (138-161 d.C) per Faustina I divinizzata Asse, bronzo ZECCA: ROMA (post 141 d.C.) D/ DIVA AVGVSTA FAVSTINA Busto drappeggiato a d. R/ [AETERNITAS] (?) La Providentia stante a s. con globo (?) e scettro (?); ai lati, [S-C] BIBL.: cfr. RIC III, p. 166 n. 1163a g 8,19 mm 26 0° N. inv. 517742 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi, “zona sovrastante la strada” 54 10. Reperti monetali da via Bengasi (nn. 81-82) 81. ETÀ ANTONINA (II sec. d.C.) Asse, bronzo ZECCA: ROMA (II sec. d.C.) D/ Leggenda illeggibile. Testa dell’Imperatore a d. R/ Leggenda illeggibile. Figura femminile stante, a s., con cornucopia; ai lati, [S]-C BIBL.: g 8,68 mm 29 180° N. inv. 517738 Prov.: Anzio, necropoli di via Bengasi 10. 82. ETÀ ANTONINA (II sec. d.C.) Asse, bronzo ZECCA: ROMA (II sec. d.C.) D/ Leggenda illeggibile. Busto dell’Imperatore a d. R/ Leggenda illeggibile. Figura femminile seduta a s., con cornucopia nella s.; ai lati, S-[C] BIBL.: g 11,43 mm 24 N. inv. 517743 ribattuto (?) Prov.: Anzio, necropoli, “zona sovrastante la strada” 3. Monete senza provenienza ne consentissero l’immediata identificazione. Un rapido sguardo ai due pezzi, rivestiti da una bella patina azzurro-verdastra che sembra denotare un interramento in ambiente umido, in discreto stato di conservazione e pertanto facilmente leggibili, converge l’attenzione sui tipi dei rovesci, la cui raffigurazione riconduce immediatamente ad una particolare categoria tipologica, cosiddetta “delle Personificazioni”19. Si tratta della concretizzazione di concetti astratti, caratteristica del pragmatismo romano, che si esplica attraverso la raffigurazione umana accompagnata da uno o più simboli distintivi. Le personificazioni vengono adottate nelle diverse emissioni legate ai vari imperatori sulla base della loro pertinenza rispetto alla contingenza del momento storico in cui le monete sono emesse. Così, se con Severo Alessandro è l’Annona, il generoso provvedimento imperiale di distribuzione del grano al popolo, che assume le sembianze umane, contraddistinta dai classici attributi (cornucopia, modio e spighe di grano) e identificata dall’iscrizione che campeggia nel campo monetale (n.83), le tumultuose vicende storiche che hanno fatto seguito alla sua morte, caratterizzando un lungo periodo di anarchia e dispotismo militare, sono documentate da un desiderio di pace e serenità che auspica nella Provvidenza degli dei il suo ripristino (n.84). Sempre dal sottosuolo di Anzio provengono due sesterzi di età romana imperiale, coniati nella prima metà del III secolo d.C., rispettivamente sotto il regno di Severo Alessandro (222-231 d.C.) e di Balbino (238 d.C.). Come per le monete sopra citate, ancor più in questo caso la totale assenza di dati di scavo consente la sola formulazione di considerazioni di carattere generale, relativamente alla funzione prettamente propagandistica della moneta romana imperiale, agile strumento di diffusione delle idee, capace di penetrare capillarmente in ogni strato sociale e di comunicare, attraverso il potere delle immagini, il messaggio imperiale. La straordinaria ricchezza tipologica che si avvicenda sui rovesci delle emissioni di età romana imperiale è destinata infatti ad esaltare, direttamente o indirettamente, il potere imperiale: vittorie e virtù dell’Imperatore, avvenimenti legati alla sua attività, cerimonie religiose, civili o militari, esaltazione della dinastia imperiale, protezione divina, prendono corpo sui piccoli tondelli monetali in una straordinaria carrellata di immagini artistiche che denunciano l’unicità della moneta romana imperiale. Solitamente la raffigurazione viene accompagnata dalla leggenda, l’iscrizione esplicativa del tipo; ma, poiché la maggior parte dei sudditi era analfabeta, occorreva associare alla figura uno o più attributi che 19 55 PANVINI ROSATI 1996, pp. 133-140. 11. Reperti monetali da Anzio, senza provenienza (nn. 83-84) 83. SEVERO ALESSANDRO (222-235 d.C.) Sesterzio, bronzo ZECCA: ROMA(222-231 d.C.) D/ [IMP] CAES M AVR SEV ALEXANDER AVG Busto laureato e drappeggiato a d. R/ ANNONA AVGVS[TI] L’Annona stante a s., con cornucopia e spighe di grano su modio; ai lati, S-C BIBL.: RIC IV/2, p. 114 n. 548 g 24,50 mm 30 0° inv. 517744 Prov.: Anzio 11. 84. BALBINO (238 d.C.) Sesterzio, bronzo ZECCA: ROMA (238 d.C.) D/ IMP CAES D CAEL BALBINVS AVG Busto laureato, drappeggiato e corazzato a d. R/ PROVIDENTIA DEORVM La Providentia stante a s., con bastone su globo e cornucopia; ai lati, S-C BIBL.: RIC IV/2, p. 171 n. 19 g 19,51 mm 31 0° inv. 517745 Prov.: Anzio Gabriella Angeli Bufalini Abbreviazioni bibliografiche ALFÖLDI M.R., 1978 - Il medaglione d’oro di Teodorico, in Rivista Italiana di Numismatica LXXX, pp. 133 - 142 CANTILENA R., 1995 - Un obolo per Caronte?, in Caronte 1995, pp. 165 - 177 CALLU J.P., 1987 - Monnaies dans les orbites, in H. HUVELIN - M. CHRISTOL - G. GAUTIER (a cura di), Mélanges de Numismatique offerts à Pierre Bastien, Wetteren, pp. 175 - 180 Caronte 1995 - AA. VV. Caronte, un obolo per l’aldilà (Salerno 1995), in La Parola del Passato, L CECI F., 2001 - L’interpretazione di monete e chiodi in contesti funerari: esempi dal suburbio romano, in Culto dei morti e costumi funerari romani, Atti del Colloquio Internazionale (Roma 1988), Roma, pp. 87 - 97 COLINI A.M., 1968 - La stipe delle acque salutari di Vicarello. Notizie sul complesso della scoperta, in Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia XL, 1967-68, pp. 35 - 56 D’ANGELA C., 1983 - L’obolo a Caronte. Usi funerari medievali tra paganesimo e Cristianesimo, in Quaderni Medievali 15, pp. 82 - 91 DE FONTENAY H., 1873 - Sur l’usage de mettre des pièces de monnaie dans la main des morts, in Bulletin de la Société Nationale des Antiquaires de France, pp. 92 - 93 GORINI G., 1999 - La documentazione del Veneto per una “numismatica della morte”, in Trouvailles monétaires, pp.71 -81 GRINDER HANSEN K., 1991 - Charon’s fee in Ancient Greece ? Some remarks on a Well-Known Death Rite, in Acta Hyperborea III, pp. 207 - 218 HCC II: A. S. ROBERTSON, Roman Imperial Coins in the Hunter Coin Cabinet, University of Glasgow, II, Traian to Commodus, Oxford 1971 LA ROCCA C., 1988 - Morte e società. Studi recenti sulle necropoli altomedievali, in Quaderni medievali 26, pp. 236 - 244 PANVINI ROSATI F., 1996 - Ricerche sulla tipologia monetale romana. Le Personificazioni, in Rivista Italiana di Numismatica XCVII, pp. 133 - 140 PERA R., 1993 - La moneta antica come talismano, in Moneta o non moneta. Atti del Convegno Internazionale di Studi Numismatici in occasione del Centenario della Società numismatica italiana (1892-1992), in Rivista Italiana di Numismatica XCV, pp. 347 - 361 PERASSI C., 1996 - La deposizione di monete nelle tombe, in Aree funerarie: organizzazione e rituali in età romana e alto56 medievale. Seminario organizzato dall’Istituto di Archeologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (a.a. 1993/94 e 1994/95), Milano, pp. 141 - 175 RIC I2 - C.H.V. SUTHERLAND, Roman Imperial Coinage, I, Augustus to Vitellius, London 1984 (revised edition) RIC II - H. MATTINGLY – E.A.SYDENHAM, Roman Imperial Coinage, II, Vespasian to Hadrian, London 1926 RIC III - H. MATTINGLY – E.A.SYDENHAM, Roman Imperial Coinage, III, Antoninus Pius to Commodus, London 1930 RIC IV/2 - H. MATTINGLY, E.A. SYDENHAM, C.H.V. SUTHERLAND, Roman Imperial Coinage, IV/2, Macrinus to Pupienus, London 1938 SERAFIN PETRILLO P., 1993 - La moneta come ornamento: gioielli monetali antichi e moderni, in Moneta o non moneta. Atti del Convegno Internazionale di Studi Numismatici in occasione del Centenario della Società numismatica italiana (1892-1992), in Rivista Italiana di Numismatica XCV, pp. 363-383 Trouvailles monétaires 1999 - AA.VV., Trouvailles monétaires de tombes. Actes du deuxième colloque international du Groupe suisse pour l’étude des trouvailles monétaires (Neuchâtel 1995), Lausanne 57 Tav. II. Necropoli di via Bengasi. Tabella defixionis, piombo (n. 85); a sin. Lato A, a dx. Lato B 12. Tabella defixionis (n. 85), dettaglio II. In B il testo appare redatto in due modalità scrittorie differenti: il cognomen è scritto con una tratto leggerissimo e di fatto pare appena tracciato. Forse l’estensore ha commesso un errore alla fine del gentilizio ed ha ricominciato il lavoro sull’altra faccia, senza trascurare di terminare l’onomastico sulla faccia “errata”. Tabellae defixionum contenenti solo nomi sono frequenti in tutti gli ambienti linguistici coinvolti. Con un solo nome si ha ad es. AUD. 211 (Lucania?); un caso opistografo con un nome per faccia è quello di AUD. 130 (Perugia), dove i personaggi defissi sono due. Un aspetto notevole è l’andamento sinistrorso dell’iscrizione. Si tratta di un fatto legato all’aspetto magico, che si ritrova spesso nelle defixiones, anche con modalità molto complesse. Tra i casi più noti e complessi è AUD. 104 (Bath), il cui testo procede con andamento destrorso, ma con parole scritte sinistrorsum, ad eccezione della parola chiave del testo e del primo dei nomi della lista dei defissi. Tabellae defixionum Le tabellae defixionum sono lamine di piombo (raramente di altro materiale) su cui venivano redatte maledizioni contro qualcuno. La pratica era diffusissima in tutto il Mediterraneo, e perdurò fino all’inoltrata età cristiana, intorno al V sec. d.C. Il testo era redatto da maghi e fattucchieri e veniva spesso corredato di oscure formule e simboli magici. Il rituale prevedeva che le tavolette iscritte venissero trafitte con un chiodo (defixiones appunto) e nascoste, o sepolte, generalmente nelle tombe. Le defixiones sono documenti molto preziosi tanto sul piano linguistico che paleografico, perché forniscono la testimonianza diretta sia della lingua che della scrittura d’uso comune. Sul piano linguistico, si tratta perciò di documenti della lingua parlata, testimoni precoci del passaggio alla fase del latino volgare. 85. Lastra di piombo circolare, iscritta su entrambi i lati. Presenta quattro fori che sembrano rivelare che la tavoletta fosse stata verosimilmente affissa e stabiliscono l’ordine delle facce. La grafia è di tipo non recente e il documento può essere datato al I sec. d.C. Lato A. Lato B. 12. SUF}S{UR . F . C . SUIDOLC . C SUFUR OIDOLC . C C. Clodius C. f. Ru{s}fus | C. Clodio Rufus Si tratta di una defixio “semplice”, recante solo il nome del destinatario, riportato su entrambi i lati. 58 Tav. III. Necropoli di via Bengasi. Tabella defixionis, piombo (n. 86) III. 86. Tavoletta plumbea quadrata iscritta su un solo lato, con un testo di sette righe, leso nella parte centrale dal foro del chiodo. Si tratta di una defixio molto particolare, senza specifici confronti che ho analizzato anche avvalendomi di proficui e liberali scambi di vedute con i Proff. H. Solin e G. Giannecchini, che ringrazio. Ogni responsabilità di quanto scritto resta naturalmente solo mia. Il testo è il seguente: mostra una differenziazione tra le ll.1-2 e le successive, con variazioni grafiche relative alle dimensioni delle lettere, più grandi nella prima “sezione”, e una fisionomia molto meno “corsiveggiante”, con particolare evidenza nel caso della <s> e soprattutto della <a>. La prima è spigolosa nelle ll.1-2, manierata nel resto; la <a> nelle prime due linee fluttua tra il modello a traversa diritta e quello a traversa leggermente obliqua, scendente a destra, mentre nel resto dell’iscrizione ha traversa decisamente obliqua, che scende a sinistra e non tocca affatto il tratto verticale. Variazioni grafiche di tal genere si trovano molto di frequente nelle defixiones, perlopiù correlate alla presenza di formule magiche. Non è escluso, tuttavia, che tale differenziazione sia rispondente ad una distinzione in parti di testo, differenti anche per finalità. Le fattezze dei segni grafici rimandano al tipo datato in BARTOLETTI 1990 tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del I sec. d.C.; vista la cronologia della necropoli, il documento andrà datato all’inizio del I sec. d.C. Sul piano linguistico, il testo presenta aspetti di notevole interesse entro le dinamiche tipiche del latino volgare. Il livello di lingua si mostra basso, caratterizzato da molte scritture improprie e forme diastraticamente marcate. Non risultano presenti indicazioni relative alla “causa” della defissione. VASVS HORTESI TATINES F COMENDATVS VT . HEIVS MEMRBA ET BALETVDINA EX ANIM . DE - - - A T Cioè: vasus Horte(n)si | Tatines f. | com(m)endatus ut | . heius membra | et baletudina(m?) | ex anim(o/a) . dep(e)rda|t(?) . . .. L’oggetto non presenta tracce di piegatura, comuni invece tra le defixiones, perchè sovente collocate arrotolate nelle tombe. Ha un foro al centro, con la traccia della testa del chiodo ben visibile. Sul piano paleografico il testo 59 13. Necropoli di via Bengasi. Tabella defixionis, piombo (n.86) Invece, la defixio specifica le partes corporis et animi defixae, le membra e la valetudo, riassumendo in esse, per così dire, i due poli della “corporeità” e della “salute”. Tanto membra che valetudo di per sé si trovano molte volte nelle defixiones; in coppia ricorrono nella defixio di Carmona1. Nella tabella anziate, memrba è Nom./Acc. pl. e compare con un’anticipazione nella sequenza dei grafi. Il malapropismo potrebbe comunque avere come sfondo linguistico la tendenza alla “caduta” volgare del segmento /b/ che si riscontra nel complesso delle varianti grafiche memra, menra (e menbra), di cui si sono appena viste alcune occorrenze2. In sé, tale cancellazione può forse spiegarsi in relazione allo statuto particolare di /b/ in un contesto quale quello tra /m/ e /r/, che è uno dei contesti tipicamente esposti alle dinamiche di inserzione di segmento per “naturalezza” fonologica, che si fondano sulla realtà articolatoria e sono funzionali alla prevenzione di fenomeni assimilatori. Il latino conosce ampiamente fatti di questo genere, fino agli sviluppi romanzi3. Anche ‘valetudo’ ricorre più volte nelle defixiones4. 13. Della forma nella defixio anziate va rimarcato, in primo luogo, che compare con b-. Perciò costituisce un nuovo ed inedito caso per la fenomenologia dell’alternanza grafica <b> e <v>, che è notoriamente una delle caratteristica più tipiche del latino volgare ed è determinata da un fenomeno fonologico che ebbe grandi conseguenze nella storia delle lingue romanze, cioè la perdita di opposizione fonologica in una serie di contesti tra i suoni /b/ e [w] del latino classico (il scondo allofono di /u/). Nella prima fase del latino volgare, [w] si spiralizza in [ß], e lo stesso accade a /b/, certamente in posizione intervocalica e ad inizio di parola per samdhi fonosintattico (in posizione intervocalica a cavallo tra due parole); cosicché i due suoni si fondono in tali posizioni, e ciò porta ad una confusione delle grafie e ad una loro diffusa distribuzione random5. Sempre sul piano formale ciò che effettivamente sorprende è la fisionomia con -a di baletudina. A livello grafico, il grafo è, in realtà, un po’ sospetto, perchè presenta fattezze difformi,più corsiveggianti, rispetto a quelle delle altre <a> della sezione tra le ll. 1 AE 1993, 1008, per i rilevanti aspetti d’interesse linguistico della defixio di Carmona cfr. AGOSTINIANI 1998. Le “membra” sono citate frequentemente. Si ritrovano ad es. in AUD. 134 b 1 (AE 1901, 0184 Nomentum); AUD. 190,5 Minturnae (accanto a umbra); AE 1981, 0621. (B), Monto; AUD. 247,12-13; AUD. 250 a 24 e AUD. 270,15-20 (Hadrumetum, II sec. d.C.). 2 Per le oscillazioni nella resa grafica della nasale cfr. GARCIA RUIZ 1997, 83. 3 Tale è l’origine di /p/ tra /m/ e dentale/alveolare sorda nelle forme del paradigma di emo e composti: empsi emptus (non +ensi +entus), sumpsi sumptus etc. con significativa corrispondenza in sabellico: u. emps ‘emptus’ ST Um 10 Assisi); anche in forme quali quella stessa di membrum l’occlusiva bilabiale sonora si è sviluppata nel contatto tra *-(m)s- e /r/: membro- < *mems-ro- (cfr. ant.ind. mamsà- ‘carne’ < *mems-a-) come ad es. september < *septomo-mens-ri- (per tutto cfr. MEISER 1998, 119, p. 172). Identici fenomeni di inserzione di segmento ritornano ampiamente nel latino volgare, ad es. in hiemps, dampnum, sompnus, columpna (VÄÄNÄNEN 1982, pp. 120-121), così come, in più casi, nelle lingue romanze: valga per tutti l’esempio del francese, ad es. chambre < lat. camera(m) così come cendre < lat. cinerem. Perciò, sebbene nel latino volgare manchino, in realtà, esempi specificamente analoghi di -mr- in luogo di -mbr- o viceversa, nella cancellazione variamente operata di <b> in ‘membra’ andrà visto il riflesso nella grafia di una reattività ipercorrettiva a tale tendenza all’inserzione di segmento in tali contesti sensibili; lo stesso fatto, cioè, per cui si hanno grafie quali ad es. consumsit (CIL III 1899). 4 AUD. 195,3 (Capua); AUD. 135 a 9 (Nomentum). 5 Cfr. ad es. bibam = vivam, bipera = vipera, etc., e al contrario, tiui = tibi (GARCÍA RUIZ 1967, p. 75), valneas plur. di balneum (Aud. 140, 14), devere = debere (CIL IX 10) ecc. (VÄÄNÄNEN 1982, p. 103), vene = bene (CIL XIV 1169 Ostia); in contesti fonosintattici simili cfr. ad es., et boluntatem, sed berum, secundum bocis ma Balerio viro di nuovo in CIL IX 10 (Neretum, 341 d.C.). 60 14. Necropoli di via Bengasi. Tabella defixionis (n. 86). Dettaglio delle linee 4-5 3-6; tuttavia, non può trattarsi di altre lettere, né di graffiature accidentali. Considerato che il testo presenta vari altri tratti marcati che connotano in senso generalmente basso tanto il livello di lingua che la competenza linguistica manifestata dal redattore, in solo in contesti particolari. L’ostacolo è di livello generale, e resta anche a fronte del caso di valetudines defico della già citata defixio nomentana (Aud. 135 a 9), che effettivamente attesta l’uso di valetudo al plurale in riferimento ad un unico individuo defisso7. 14. La possibilità di una dedica sacra a Valetudo, del tutto ragionevole vista la diffusione del culto della dea in area marsica (LETTA 1996), consentirebbe un Dat.sg. in -ae, cioè un tema in -a. Opzione che resterebbe ammissibile pure nella prospettiva di un epitaffio - forse più probabile -, nel qual caso si avrebbe uno degli astratti femminili in -tudo, -inis flesso in uno dei casi della I decl.; molto meno probabile, in questa prospettiva, vista la monumentalità dell’oggetto, un Abl.sg. della III decl., con <ae> volgarismo ipercorrettivo per -e, come in testudinae di AE 1953, 132. L’ipotesi alternativa di un neutro plurale, testualmente solidale con memrba; ipotesi che avrebbe dalla sua la tendenza al cambio di genere in latino volgare, come si vedrà più sotto e come testimoniano casi quali libera = liberi (AUD. 141). Valetudo al plurale compare nella già citata defixio nomentana AUD. 135 a 9: valetudines defico. 7 Lo scenario sarebbe quello del “collettivo” in -a, valore del plurale del neutro che resiste alla crisi del neutro ed anzi viene esteso a formare complessi paradigmi eterogenei, donde si riformano anche nuovi temi femminili in -a (sulla base della coalescenza formale e della vicinanza semantica tra collettivo e astratto singolare); valore con il quale il neutro sopravvive in vari casi fino alle lingue romanze, femminilizzato (it. braccio - braccia, frutto - frutta; cfr. VÄÄNÄNEN 1982, p.182-188). Nel latino-volgare sarebbe il caso dei collettivi libera = ‘liberi’ (AUD. 141, 2), capilla = ‘capilli’ (AUD 190, 6), e con dinamica inversa i casi ad es. di i(n)testinas, bracias, valneas Acc.pl. di balneus/-um (risp. AUD. 190,6; 135 a 2; 140,14). Su questo sfondo sarebbe da inquadrare il caso anziate, che però si mostrerebbe eccentrico, in quanto iperestensione di una dinamica di norma riguardante temi maschili/neutri della II(/IV) decl. ad un tema in sé femminile e della III decl. Il che rivela la difficoltà della soluzione come neutro plurale per baletudina, ma anche l’interesse della possibile attestazione. L’ipotesi avrebbe anche dalla sua la solidarietà sintagmatica di baletudina con memrba, che ipoteticamente avrebbe attratto il termine successivo. Nel caso, un ruolo potrebbe averlo giocato anche l’aspetto della formularità. Un raffronto in tal senso verrebbe dalle preghiere umbre delle Tabulae Iguvinae, che, all’interno di analoghi contesti di lista, presentano in sequenza le forme … pequo castruo …, con il secondo termine rifatto in tutte le occorrenze (tra le Tabb. VIa e VIb) come tema in -u- sul primo contiguo (lat. castrum). definitiva non è affatto improbabile che qui si abbia una interessante variante analogica. Se così è, come pare, essa va vista appunto come variante di stretto livello individuale piuttosto che come effettivo fatto di langue6. L’altra possibilità è quella di un Nom./Acc. plurale neutro, ed è senz’altro meno praticabile anche semplicemente per la caratterizzazione semantica di un lessema quale ‘salute’, che ha un grado inerente di [numerabilità] bassissimo ed è perciò pluralizzabile 6 La tendenza al conguaglio sulle classi in -a- ed in -o- rispettivamen- te dei temi femminili e maschili delle altre classi flessive era già insorta in età arcaica in particolare per i temi in -e- (materies / materia) e nel latino volgare interessa anche temi in -u- (cfr. nurus non nura App.Pr. 169, it. nuora) e temi “imparisillabi” femminili in consonante (ad es. strix strigis -> striga, it. strega; glans glandis -> glanda, it. ghianda, rum. ghinda; etc.). Tuttavia gli astratti femminili in -o, -inis (prospetto in LEUMANN 1963, pp. 240-242) fanno parte del gruppo degli “imparisillabi” che non mostrano di risentire di attrazioni esterne e rimangono saldamente entro la III declinazione, e come tali giungono direttamente alla fase romanza: cfr. tra le defixiones cupidine(m) (AUD 234,11; 38; 240,5; 22); cupede = cuped(in)e(m) (AUD. 140,15), ualetudin(em) (AUD. 195,3). I processi analogici che li interessano sono di livello intraparadigmatico, relativi all’allineamento con i “parisillabi” nel Nom. sg. in -is (cfr. carnis già arcaico, pecten non pectinis così come glis non gliris etc.: App.Pr. 21; 115), che coinvolge anche i temi con alternanza accentuale (cfr. i Nom.sg. heredes, parentis, audacis), tranne che in pochi casi (ad es. it. ladro < latro). Tra i rari ed insicuri casi di varianti di “imparasillabi” conguagliate alla I e alla II declinazione vi è quello di sanguno Abl.sg. per sanguine proprio nella lingua delle defixiones (III-IV sec.; cfr. GARCÍA RUIZ 1967, p. 222), maschile rifatto secondo i temi in -o-; inoltre proprio quello di una voce uscente in ]tudine in CIL IX 3790 (Marruvium), restituita specificamente come [vale]tudinae da Mommsen. 61 15. Necropoli di via Bengasi. Tabella defixionis (n. 86). Dettaglio delle linee 6-7 Alla l. 4 si ha heius: il primo grafo è con tutta certezza <h>, con traversa inclinata; la cogenza di heius = ‘eius’, Gen. del pronome anaforico is, legato al sintagma nominale memrba et baletudina ed in funzione di richiamo del personaggio menzionato alle righe precedenti, storna i dubbi relativi al terzo grafo, che è un’asta verticale che si confonde con il solco provocato dalla testa del chiodo. L’aspirata iniziale ipercorretta non fa difficoltà; anzi l’uso a sproposito dell’<h> iniziale e all’opposto la sua omissione sono fatti tipici dell’epigrafia latina volgare, dove le grafie improprie nei due sensi sono frequentissime8. “Le membra e la salute di lui”, dunque, costituiscono il paziente, non è chiaro se sintatticamente soggetto o oggetto, della proposizione subordinata retta e introdotta da com(m)endatus ut; il verbo della subor. dinata deve necessariamente celarsi nella parola finale, di non chiara lettura. Com(m)endatus (est) è il verbo . della proposizione principale, ed in sé è uno dei verbi tipicamente usati nelle defixiones. Quanto a modalità generale, dunque, si tratta di una formulazione tipica della richiesta del defigente, realizzata con uno dei soliti verbi trivalenti della serie di mando ‘affido’ e composti, con completiva finale introdotta da ut9. La particolarità della richiesta nella nostra tabella è che è formulata al passivo, fatto inusuale. Sul problema se sia passivo personale o impersonale si tornerà oltre; in ognuno dei due casi comunque si tratta evidentemente di un presente, cioè di un caso molto interessante e precoce di passivo analitico di tipo romanzo, con il participio ed il verbo ‘essere’, qui sottinteso; struttura già nota al latino “parlato” di Plauto, che ha il suo definitivo sviluppo proprio nel latino volgare, al pari della parallela struttura del perfetto analitico con ‘avere + participio’10. La forma sulla l. 6 è DE- - -A|, con <a> sicura in fine riga, che può unirsi al possibile <t> . isolato nella riga successiva e costituire la terminazione di una 3a persona verbale, singolare (teoricamente anche plurale: °a(n)|t). Il redattore ha effettivamente ristretto l’estensione delle lettere nella seconda parte della l. 6, evidentemente per mancanza di spazio a ridosso del grosso solco verticale che riduce la superficie disponibile; 15. 8 Tali casi costituiscono il riflesso della perdita dell’aspirata dal sistema fonologico, processo che era iniziato già in epoca assai antica per la posizione interna intervocalica (cfr. diribeo < *dis-habeo), e che per la posizione iniziale si conclude tra latino classico e appunto volgare. Da ciò l’innesco ai due contrapposti tipi di scorrettezze in rapporto alla norma scrittoria classica, di omissione di <h-> (per cui cfr. il precetto hostiae non ostiae in App.Pr. 206), e di estensione ipercorretta di <h->, nel cui quadro fenomenologico la forma heius nel nostro testo non fa che inserirsi del tutto congruentemente ed anzi fa da contraltare alle varie occorrenze di uius per (h)uius, Gen.sg. di hic (AUD. 251 I 1, 4; 134 a 4?). Per una casistica cfr. ad es. onorem (CIL IX 10), have = ave (CIL II 3686, V 4629, etc.), habere versus (h)abeo (CIL IV 14672); tra le defixiones cfr. ad es. hanimam, etc. (AUD. 250 a 17) di contro ad ic, abiat, etc. (AUD. 233,28; 228 a 6, b 6). Per la posizione interna cfr. ad es. bracias ed eveit ancora tra le defixiones (AUD. 135 a 2, b 2; AE 1982, 669). Sul piano del sistema dei deittici, va posto l’accento sul fatto che qui sia usato ancora il pronome anaforico is, che come è noto viene sostituito da hic, molto per tempo nel latino volgare, come risulta dalle iscrizioni pompeiane. 9 Tali Da notare che lo stesso verbo ricorre anche in osco nella defixio capuana “di Vibia” (ST Cp 37 = AUD. 193), dove appunto si ha il corrispondente osco esatto di lat. mando, cioè o. manafum, con anaptissi e diverso trattamento del *-dh- interno dell’originario composto di p.i.e. *dheh1 - ‘porre’. Nella defixio osca il verbo è alla prima persona singolare del Pres.Ind. con subordinata al congiuntivo (aflukad 3 sg.). Altri costrutti frequenti in latino sono con i verbi tra l’altro nella stessa linea ex anim( . ) sembra abbreviato. Una forma in °a|t va certamente d’accordo con un congiuntivo, ed anche con un eventuale indicativo, che si trova talora in subordinate con ut nel latino volgare. I grafi incerti in DE- - -A| sono di fatto tre aste verticali, con tracce molto leggere di ulteriori tratti grafici. Quello che si vede è l’alone di un occhiello in alto per il primo dei tre grafi, vari segni tra il secondo e il terzo, e soprattutto un una linea curva che invade la <a>, che fa pensare alla sovrapposizione di una <a> su una precedente <d> per mancanza di spazio. Perciò si potrebbe restituire una forma come dep(e)rda|t, . . . . od del tipo adiuro, defigo, ligo e composti, tutti con e senza completiva; inoltre con oro, peto, precor, rogo e relativi composti, sempre con la completiva e tutti con corrispondenti puntuali nelle defixiones greche, all’insegna di una larga omoligia formulare nel mondo grecoitalico. Specificamente commendo si trova con e senza completiva: cfr. ad es. AUD. 139,12-14; AUD. 228 a 2, b 2;190,1;5. 10 Tra i casi di passivo analitico testimoniati dalle defixiones cfr. ad es. AE 1930, 112 (Londinium) e JEANNERET 146. 62 16. Necropoli di via Bengasi. Tabella defixionis (n.86). Dettaglio delle linee 6-7 Hortesia è citata tra gli esempi del parlato attribuiti a Cicerone (Vel.Long. G.L. 7, 79, 1). La “debolezza” si accentua nella fase volgare, dove continua pure la tensione restituiva, correttiva ed ipercorrettiva (mensa non mesa, formosus non formunsus; risp. App.Pr. 152 e 75), fino al definitivo dileguo della nasale in tale contesto nella fase romanza (it. mese < lat. mensem), dove è conservata solo in doppioni colti restituiti. Quanto all’aspetto onomastico, il personaggio è designato con il matronimico, Tatines f(ilii), ed è perciò certamente di condizione servile o semiservile. Lo stesso nome della madre è non italico; presenta il tipico morfema di genitivo in -es della I decl., che è ricavato dal greco ed è un’altra peculiarità del latino volgare (in cui insorgono anche ulteriori declinazioni specializzate per onomastici, per la I decl. in -e, -enis ed in -e, -etis, create in latino per via analogica nel contesto dell’interferenza con il greco). Il Gen.sg. in -es si trova quasi esclusivamente in onomastici, e si alterna con la forma più “trasparente” in -aes in una distribuzione non-random (come ha visto ora da ADAMS 2003, pp. 473-492, sulla base del repertorio onomastico di SOLIN 1982), ma ripartita tra nomi di origine greca e nomi italici, secondo il modulo emblematicamente esemplificato da casi quali Marciaes Tyches (CIL VI 26695). Perciò anche questo punto di vista conferma l’origine straniera e le umili condizioni della famiglia del defisso; e per converso la tavoletta anziate fornisce un nuovo dato per indagini sull’interferenza linguistica il latino. Per inciso, il nome potrebbe essere collegato al nomignolo greco di “tatí ” che gli schiavi affibbiavano alla padrona12. Per quanto “anomalo”, il termine cui l’onomastico è sintatticamente legato non può essere che vasus, Nom.sg., variante volgare di genere maschile di vasum, -i, forma tematizzata di vas, vasis (con plurale esclusivamente in -a, -orum già dall’età arcaica). Va notato subito che si tratta di un lessema che designa un oggetto - il ‘vaso’ - tra i più centrali nell’esperienza della vita quotidiana nel mondo antico, concettual- al limite anche come dep(e)rea|t . . . . (o dep(e)ria|t). . .. . Il secondo verbo è intransitivo, ‘andare in rovina’; il primo è un transitivo fattitivo, ‘mandare in rovina, distruggere’, che però ha anche il valore di semplice transitivo, ‘perdere’. Tra le defixiones, perdo è usato con senso fattitico in AUD. 93: lista nomi + omnes perdes; agente è il dio, invocato solo implicitamente. Per quanto concerne EX ANIM, . la <m> . finale sembra mancare dell’ultimo tratto, di cui potrebbe esserci al massimo solo un accenno. L’ipotesi alternativa di ex annu . . ha poco senso e non risulta preferibile; ci si aspetterebbe semmai una determinazione temporale quale intra annu(m), oppure ‘da questo momento’11. Anche un token abbreviato dell’aggettivo exanimis ‘esanime’ sarebbe incongruente riferito alle “partes corporis et animi” oggetto della maledizione e dunque “vive”. Perciò è meglio intendere ex anim(a) o ex . anim(o) sintatticamente legato a baletudina, che risul. ta anche congruente con il significato ablativale presente nella forma verbale seguente iniziante con de-, qualunque sia il verbo. 16. Veniamo allora a vasus Horte(n)si | Tatines f., sintagma in cui si ha la menzione del personaggio destinatario del maleficio, al Gen. in relazione a vasus. Di Horte(n)si va notata la mancata resa grafica della nasale post-vocalica avanti /s/. La “debolezza” della nasale post-vocalica anteconsonantica ha una lunga storia in latino e va ricondotta a fenomeni di nasalizzazione vocalica, e dunque alla tendenza alla riduzione delle nasali post-vocaliche a coefficiente nasale dell’articolazione nasalizzata della vocale. Specificamente avanti spirante, /n/ dilegua del tutto nel latino parlato (con allungamento della vocale precedente) fin da epoca arcaica (cfr. l’abbreviazione cos., e cosoled CIL I2 19, III sec. a.C.?), con restituzione del suono nello standard; e proprio la pronuncia 11 Vedi 12 Cfr. Herodas Mim. 5, 69. Una (H)erennia Tatina è attestata a Pozzuoli (CIL X 2747); il gentilizio Tatinus è attestato a Ostia (CIL 14, 5236) e in Mauretania (CIL VIII 20321); Tatinius è diffuso (in particolare in Macedonia), ed una Tatinia è nota a Roma (CIL VI 29251 p. 3919). A Benevento è attestato un Tatineio Liberali (Dat.sg.) figlio di Catineis Lieberalis (Nom.sg.; CIL IX 1751). ad es. CIL XI 1823 (Arretium) e Aud. 286,2-5. 63 mente con un grado di salienza tra i più alti, vicinissimo ad un prototipo semantico. Di tale condizione costituisce il diretto riscontro la vastità e divergenza di significati e valori che il termine assume, usato a designare qualsiasi tipo non solo di contenitore ma di utensile in genere, con un’esposizione altissima anche ad associazioni metaforiche d’altro ambito, e ad effettivi sviluppi semantici. Un parallelo non casuale di ciò è offerto dallo stesso italiano, che proprio con il nome di un ‘vaso di terracotta’ ha ridenominato la testa. La forma al maschile non può stupire nel latino volgare della lingua delle defixiones, soprattutto per un termine così saliente, e perciò a così alta frequenza d’uso. Il cambio di genere è un altro dei fenomeni caratteristici del latino volgare, e si verifica soprattutto tra maschile e neutro, sulla linea della crisi di quest’ultimo. Anzi, vasus è proprio una delle forme attestate tra gli esempi del “parlato” testimoniato da Petronio (Sat. 57, 5, 1), che usa vasus fictilis metaforicamente nel senso di ‘persona da poco, stupido’. Molte delle altre testimonianze petroniane trovano riscontri epigrafici puntuali13. Peraltro, l’etimo non è chiaro, ma è certo che la forma tematica uasus / uasum è derivata per tematizzazione da quella radicale uas, uasis, esattamente come nel caso di nas*, naris (p.i.e. *Hnas ‘narice’) -> nasus / nasum, -i ‘naso’ (trasp. *Hnas-o- ‘che ha narici’). Il fatto interessante è che la forma è rimasta immune dal rotacismo, proprio come nel caso di nasus / nasum; e ciò è avvenuto perché entrambe svilupparono una variante di tipo propriamente espressivo *nasso- e *uasso-, prodotte appunto per geminazione espressiva (“Littera-Regel”), fenomeno marcatamente “popolare” per cui raddoppiarono la consonante e abbreviarono la vocale (cfr. i doppioni Naso, -onis / Nasso, -onis; conferma dall’umbro, dove ugualmente è mancato il rotacismo: uasor = [‘wassor]. La conseguente degeminazione in vaso- e naso-, poi, non può che essere avve- nuta per la “causa-Regel”, che, intorno al 100 a.C., alleggerisce le sillabe con vocale lunga o dittongo seguite da doppia /s/ scempiando la doppia (causa < caussa CIL I2 709); il che significa che le forme avevano riacquistato la vocale lunga (quindi hanno vocale lunga le testimonianze plautine: uassa Mer. 781; nassum Men. 195; Mer. 310). Ciò è avvenuto evidentemente per incrocio con le forme non geminate (in età precedente all’azione del rotacismo): di nuovo, dunque, un fenomeno di livello “popolare” (per tutto ciò cfr. NERI 2003, 146, nt. 422). La storia stessa di vasum/vasus, pertanto, la dice lunga sul livello della sua esposizione a più tipici fenomeni del parlato. Talché non può assolutamente far difficoltà la presenza della variante in -us; anzi la tabella anziate fornisce ora il riscontro epigrafico della variante petroniana. Passiamo allora all’aspetto del valore del termine nella defixio anziate. Oltre che ogni tipo di vaso, infatti, il termine designa tutti i tipi di contenitori ed anche di altre suppellettili ed utensili. Con sviluppo metaforico centrato sulla nozione di contenitore si ha in particolare il valore di ‘bagaglio’, specialmente militare14, anche metaforicamente15 e quello di alveare16. Tra i vari significati, il termine è usato anche in riferimento a parti del corpo, cioè con valori in sé appropriati per il contesto di una defixio. In primo luogo con il senso di ‘corpo’, in quanto contenitore dell’anima17. Inoltre, un valore di ‘pudenda’18. Ipotizzabile sarebbe anche un valore di ‘testa’ quale archetipo semantico dello sviluppo metaforico avvenuto in italiano. Tuttavia il valore del termine nella defixio anziate pare proprio quello di ‘urna funeraria’. Per il termine, tale valore è indicato da testimonianze epigrafiche d’età imperiale, perlopiù epitaffi19. 14 Cic. Verr. 2, 4, 40: ille ex Sicilia iam castra commoverat et vasa collegerat. 15 Sen. Ep. 19, 2: incipiamus vasa in senectute collidere. 16 Colum. r.r. 9, 6, 1: … uasa texuntur. 17 Cic. Tusc.1, 52, 8: nam corpus quidem quasi vas est aut aliquod animi receptaculum. 18 Plaut. poen. 863: refero uasa salua; cfr. l’hapax baso, -onis Pompon. Atell. 61: oro te, baso, per lactes tuas, chiosato da Pisc. GLK II 213: lactes partes sunt intestinorum: GAIDE 1987, 81. 19 Vas, vasis: CIL IX 1729 p 695 (Benevento); CIL XII 856 (p.1249) = CLE 191, Mutina. Vasum, -i: CIL III 2214 (Salona); CIL III 7577 (Constanta); CIL XII 961 = CLE 1727, Arles; AE 1928, 105 (Lamasba Belezma, altare). 13 Ad es. per la II decl. cfr. fatus (Petr. Sat. 42, 5, 4; 71, 1, 3; 77, 2, 4), balneus (Sat. 1, 41, 11), vinus (Sat. 41, 12, 2), caelus (Sat. ), candelabrus (Sat. ), di contro a thesaurum (Sat. 46, 8, 6); dorsus di contro a nasum in Plauto (Mil. 397; Amph. 444); dalle defixiones collus (AUD. 135 a 5), me[nt]us (135 a 6) omnem filacterium, remedium, proelium etc. (risp. 250 a 20; a 21; b 6), e di contro capilla (190, 6) e il già citato libera = liberi (141 bis). Per la III decl. cfr. lactem (Petr. Sat. 71, 1, 2), papaverem (Plaut. Poen. 326; Trin. 410), salem (Plaut.; Plin.); etc. 64 all’urna nel testo anziate non può che essere dovuto al fatto che la lamella era spazialmente connessa all’urna, cioè affissa ad essa o collocata al suo interno, come nel caso delle numerose lamelle eubee di AUD. 80, rinvenute all’interno di un vaso fittile. E non può che essere dovuto anche al fatto che l’urna era coinvolta nel rito defissorio stesso, quale parte integrante di esso. Lo scenario è perciò quello di un rito magico in cui un’urna ha a che fare con la maledizione di morte rivolta al personaggio. Torniamo allora alla struttura sintattica e al significato complessivo del testo, la cui euresi è resa più complicata dalla difficoltà di lettura della forma a fine testo. Si può per inciso rimarcare come l’ipotetica interpretazione alternativa con un valore di ‘corpo’ per vasus, con un verbo transitivo (deperdat) e con senso complessivo di ‘il corpo di Ortensio … perda le di lui membra e la salute dall’anima’, è screditata dalla stessa struttura sintattica per l’inappropriata presenza del pronome eius. Poiché, peraltro, non è possibile scollegare sintatticamente il Gen. Horte(n)si da vasus, non si presentano che le tre seguenti possibilità quanto alla struttura sintatico-testuale. 1) Il testo è costituito di due enunciati distinti, in conformità con la differenziazione grafica. a. vasus Horte(n)si Tatines f.: frase d tipo presentativo, da intendere come ‘questa è l’urna di Ortensio’ o ‘quest’urna è di Ortensio’; b. com(m)endatus (est) ut heius memrba et baletudina . ex anim(o/a) dep(e)ria|t: . . .. . enunciato complesso con principale con verbo al passivo impersonale e completiva con memrba et baletudina soggetto del verbo intransitivo, cioè depereat(?) con accordo di singolare oppure deperea(n)t(?). Il significato complessivo del testo è: ‘urna di Ortensio figlio di Tatina. Si richiede che le di lui membra e la salute dall’animo/a venga(no) meno’. 2) Il testo è costituito di un unico enunciato: com(m)endatus (est) è passivo personale riferito a vasus, . soggetto della principale. In questo caso si possono avere due differenti possibilità: 2.a. memrba et baletudina(m?) sono soggetto del verbo intransitivo depereat/deperea(n)t, ed il testo ha il senso di ‘si richiede all’urna di Ortensio figlio di Tatina [lett. al passivo] che le di lui membra e la salute dall’animo/a venga(no) meno’. In questo modo l’agente della Peraltro, è il valore continuato direttamente nel latino medievale, dove il termine ha come significati centrali quelli di bagaglio e appunto sarcofago. In più, nella citata iscrizione CIL IX 1729 da Benevento, vas disomum è proprio denominazione tecnica: indica l’urna per due corpi con l’aggettivo derivato dal greco. Con lo stesso significato di urna, infine, si trovano usati anche i diminutivi vasculum e vascellum20. Ma ciò che sembra assicurare del valore di ‘urna’, e chiarire pure il senso del riferimento all’urna nella tabella anziate, è la presenza dello stesso riferimento all’urna nel testo di due note defixiones agonistiche cartaginesi in greco21. All’insegna di una generale corrispondenza puntuale del formulario tra testi di defixiones latini e greci, in esse si trova infatti il termine “skeúos, -eos” ‘vaso’, che è il corrispondente esatto di lat. uas(um/us) per usi e significati: indica naturalmente ogni genere di strumenti e suppellettili, e in particolare anche ‘bagagli’, ‘armi’, ‘pudenda’, e infine ‘sarcofago’. Più precisamente, quel che viene riportato più volte nel testo delle due tabelle plumbee è l’espressione ‘in questo vaso’; ed il riferimento pragmatico dato dall’uso del pronome deittico ‘questo’ non lascia dubbi: significa che le tavolette, che provengono da necropoli, si trovavano sicuramente in relazione di contiguità spaziale con il ‘vaso’. Ma il testo di una delle due defixiones è ancora più esplicito: in esso il defigente chiede due volte di “colpire” i cavalli di cui lui ha posto ‘in questo vaso’ ‘i nomi’, listati nel testo, e ‘le immagini’, che non sono invece presenti nella lamella; e specifica anche che le immagini sono disegnate ‘su cocci bagnati’ oppure ‘su conchiglie marine’, e poste ‘in questo vaso’. Perciò è evidente che le lamelle e i cocci (o le conchiglie) si trovano insieme all’interno di un ‘vasus’ dentro una tomba, cioè all’interno di un’urna22. Il contesto è chiaramente diverso, ma il confronto permette di stabilire almeno il senso della presenza di vasus nella defixio anziate ed apre una coerente e plausibile strada alla comprensione del testo. Il riferimento 20 CIL VI 3428 (p. 3845); CIL VI 15308; CIL VI 34754; AE 1994, 1919. 21 AUD. 237; II/III sec. e Aud. 234; II/III sec.; per il testo e l’interpretazione seguo TREMEL 2004, rispettivamente n. 56 e n. 53. 22 Cfr. AUDOLLENT 1904, XCIV. 65 subordinata verrebbe lasciato inespresso ed il vasus si troverebbe a coincidere con l’entità magica cui la richiesta è rivolta (mediatrice presso gli dei inferi). Si tratta della soluzione più difficoltosa, che però, riproporrebbe un modello noto dalle preghiere testimoniate nei papiri greci, similmente indirizzate a oggetti del rito23. 2.b. memrba et baletudina(m?) sono oggetto del verbo della subordinata, che è il transitivo fattitivo deperdat; il soggetto-agente della subordinata è implicito perché coincidente con il soggetto-paziente della principale, cioè vasus. Il testo significa: ‘l’urna di Ortensio figlio di Tatina è raccomandata [agli dei inferi] che annienti le di lui membra e la salute dall’animo/a’. È la soluzione sintatticamente più lineare, che lascia aperto l’aspetto della destinazione della richiesta, che dunque va naturalmente intesa come indirizzata a numi inferi. In tutti i casi si ha un identico scenario a livello di rito defissorio; ed in tutti i casi resta il problema centrale, costituito dal fatto che l’urna è dichiarata essere di Ortensio, cioè dello stesso destinatario della defissione, chiaramente ancora in vita. La soluzione da percorrere va senza dubbio nella direzione di pratiche magiche e valori simbolici: si mette simbolicamente in campo l’urna simulata del nemico per invocarne ed “attrarne” la reale morte. Ed anzi la dichiarazione della pertinenza dell’urna al defisso risulta un elemento determinante per la definizione più puntuale del carattere del rito defissorio. L’urna di Ortensio rappresenta e proietta su costui la futura urna che il defigente si auspica accolga presto, o distrugga, ‘eius membra et valetudunem’. Da notare come sotto questa luce acquisti totale congruenza anche un testo che poteva apparire un po’ “astruso” quale quello secondo 2.b., dove ‘si raccomanda che l’urna di Ortensio figlio di Tatina faccia venir meno le di lui membra e la valetudine dall’animo’. A livello dell’effettivo rito, e dell’oggetto contestualmente connesso con la tabella, vi sono tre possibilità. La prima è che si tratti di un rito con un’urna vuota, una sorta di funerale simbolico dell’urna “futura” del defisso, contenente al suo interno od affissa ad essa la tabella con la formula della defissione e l’indicazione della proprietà stessa dell’urna simulata. Ma si tratta di una soluzione difficile, giacché la presenza del ADAMS J.N., 2003 - Bilingualism and the latin language, Cambridge AGOSTINIANI L., 1998 - La defixio di Carmona (Siviglia) e lo sviluppo dei nessi consonantici latini con /j/, in NAVARRO SALAZAR M.T. (a cura di), Italica Matritensia, Atti del IV Convegno SILFI, Madrid 1996, Firenze, pp. 25-35 BARTOLETTI G., 1990 - La scrittura romana nelle tabellae defixionum (sec. I a.C.-IV d.C.). Note paleografiche, in Scrittura e Civiltà, 14, pp. 7-47 AUDOLLENT A., 1904 - Defixionum Tabellae, Paris 23 Vedi 24 AE morto è un aspetto fondamentale per la buona riuscita della maledizione, perché esso è l’elemento “biplanare” che costituisce il tramite con gli inferi. L’altra possibilità è che il tutto riguardi l’effettiva urna di un morto, cioè che venga simbolicamente riadditata come di Ortensio l’urna dentro cui viene immessa la tabella con la maledizione. Un’ulteriore possibilità, che a questo punto potrebbe essere la più probabile, riunisce vari aspetti delle prime due nella prospettiva di un’urna simbolica in senso tecnico, cioè proprio di un simulacro fittile magico di un’urna funeraria, un modellino di urna con affissa la lamina con il chiodo, che poteva essere depositata in una tomba vera e propria e svolgere il suo ruolo senza impedimenti nel contatto con gli inferi. Per concludere con l’analisi di questo documento molto particolare e molto interessante da tutti i punti di vista, si può notare come, in ognuno dei tre scenari testé prospettati sul livello fattuale, il rito si mostri consistere in una sorta di deposizione simbolica dell’urna di Ortensio, funzionale al propiziare la morte di costui. Va rimarcato, allora, come tale simbologia sia confermata dall’esistenza sul terreno linguistico di un’espressione quale vasum deponere che è metaforica proprio per ‘morire’; è testimoniata proprio da una defixio da Carnuntum, e costituisce, peraltro, un’ulteriore evidenza dell’uso del valore di ‘urna’ per uas(um/us)24. Alberto Calderini Abbreviazioni bibliografiche WESSELY II, CXXXI, 309-311. 66 1929, 228. BESNIER M., 1920 - Récents travaux sur les defixionum tabellae latines. 1904-1914, in Revue de Philologie, 44, pp. 5-20 GAIDE F., 1987 - Les substantifs masculins latins en …(i)o …(i)onis, Louvain-Paris GARCÍA RUIZ E., 1967 - Estudio lingüístico de las defixiones latinas no incluidas en el corpus de Audollent, in Emerita, 35, 1967, pp. 55-89; 219-248 LETTA C., 1996 -I culti di vesuna e Valetudo tra Umbria e Marsica, in BONAMENTE G. - COARELLI F. (a cura di), Assisi e gli Umbri nell’antichità, Atti Perugia 1991, Perugia, pp. 318-339 LEUMANN M., 1963 - Lateinische Laut- und Formenlehre, München MEISER G., 1998 - Historische Laut-und Formenlehre der Lateinischen Sprache, Darmstadt NERI S., 2003 - I temi i -u- del gotico, Innsbruck SOLIN H., 1982 - Die griechischen Personennamen in Rom. Ein Namenbuch, I-III, Berlin – New York SOLIN H., 1989 - Zu den nomentanische Fluchtafeln, in Arctos 23, pp. 195-200 ST - RIX H., Sabelliche Texte, Heidelberg 2002 TREMEL J., 2004 - Magica agonistica. Fluhtafeln im antike Sport, Hildesheim VÄÄNÄNEN V., 1982 - Introduzione al latino volgare, Bologna Vetri Nel corso dello scavo della necropoli di via Bengasi furono rinvenuti numerosi reperti in vetro, in gran parte relativi a lacrimatoi e a forme vascolari di maggiori dimensioni. Anche in questo caso, il materiale non fu mantenuto distinto per sepoltura o per strato e fornisce, dunque, informazioni di valore genericamente tipologico. I vetri in questione sono stati a lungo in deposito presso il magazzino della Soprintendenza Archeologica del Lazio del santuario di Ercole a Tivoli dove si è provveduto ad una prima pulizia e alla sistematica inventariazione. In seguito, sono stati consegnati in deposito al Museo Civico Archeologico di Anzio dove sono in corso di studio in vista di una prossima edizione dei materiali della necropoli. Presso i magazzini del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano rimanevano alcuni reperti raccolti al momento dello scavo. Si tratta di due gruppi di frammenti relativi a lastre di vetro per finestra di colore giallino con patina iridescente. In un caso (n. 88 a), è conservato il margine della lastra con angolo stondato e spessore maggiore rispetto al resto dei frammenti. n. 87 Sette frammenti di lastra di vetro per finestra di colore gialllino. Mis. max.: a. cm. 5,5 x 7; b. 6,1 x 8; c. 4,5 x 6; d. 5,7 x 7; e. 4,1 x 5,5; f. 5,8 x 3; g. 3 x 3,3. N. inv. 515797 a-g. n. 88 Tre frammenti di lastra di vetro per finestra; uno presenta i margini e un angolo stondato (n. 88 a). Mis. Max.: a. cm. 6,2 x 9,7; b. 6,7 x 10,3; c. 4,9 x 6. N. inv. 515798 a-c. Francesca Pompilio 67 68 Parte V Anzio. Senza provenienza Materiale ceramico, gruppo A (Tav. I) Tra i materiali rinvenuti ad Anzio, conservati al Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano, un nucleo piuttosto eterogeneo è privo di indicazioni utili a precisarne il contesto di provenienza. Tra il materiale ceramico si individuano due piccoli gruppi: il primo, formato da due frammenti di impasto chiaro e da un grande frammento di olla di impasto grezzo (gruppo A, nn. 89-91), era contenuto nella stessa cassetta della ceramica a vernice nera proveniente da viale delle Roselle. Per prudenza, viene inserito in questa sezione in quanto i frammenti sono risultati privi di numero di inventario (apposto solo in occasione del trasporto ad Anzio), anche se si tratta di materiale coerente con quello del deposito votivo. Il secondo gruppo presenta analogie ancora più stringenti con quello di viale Roselle (sette frammenti di ceramica a vernice nera, un frammento di olla di impasto grezzo e uno di coperchio, gruppo B, nn. 92-101), ma era conservato in una cassa con materiali della necropoli di via Bengasi ed altri materiali privi di provenienza. Per quanto riguarda i vasi di bronzo nn. 104-106 è fornita la generica provenienza “Anzio – Nettuno”, ma si tratta di materiale pervenuto alla Soprintendenza solo dopo diversi passaggi “di proprietà”, come è testimoniato da restauri mal fatti, l’assenza di patine e la giustapposizione di elementi estranei come la maniglia della situla n.106. Anche l’indicazione “Anzio, spiaggia” per il signaculum in bronzo n. 103 appare convenzionale. L’antefissa n. 102 riporta scritto a penna, sul retro “Anzio mare” ed effettivamente le incrostazioni che la ricoprono sembrano avvalorare l’esattezza dell’indicazione. Il pezzo evidentemente è franato dalla falesia anziate. Nessuna indicazione invece per gli intonaci dipinti nn. 109-118. Spesso si ritrovano frammenti simili ai piedi della falesia, soprattutto nell’area della villa imperiale. Infine, due monete di Alessandro Severo e Balbino (nn. 83-84), pur senza indicazioni di provenienza, sono state accodate al contributo dedicato ai ritrovamenti monetali di via Bengasi (pp. 55-56). 89. Frammento di coppa Si conserva parte del piede ad anello con profilo sagomato ed ombelicato esternamente. Impasto chiaro sabbioso. Sono visibili tracce di colore nero-bruno nel punto di congiunzione tra corpo e piede che fanno ipotizzare si possa trattare di un frammento di coppa a vernice nera. Argilla poco depurata di colore beige. Numerosi inclusi di piccole dimensioni di augite e mica. Alt. max. cm. 3,7; d. fondo cm. 5,5. N. Inv. 515778. 90. Parte di brocca miniaturistica Frammento di piede. Corpo ovoidale rastremato verso il basso, fondo leggermente incavato, ombelicato internamente, piede a profilo sagomato. Impasto chiaro sabbioso. Datato tra la fine del IV e il III sec. a.C. (Cfr.. “Argilla depurata e impasto chiaro sabbioso” nel capitolo di Via Roselle, supra pp. 22-23, e TEN KORTENAAR 2005, pp. 263-267, nn. 11-107, con bibliografia). Argilla di colore giallo-beige. Numerosi inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, calcare, mica e pozzolana. Sul corpo, un grumo d’argilla con concrezioni calcaree. Alt. max. cm. 3,8; d. fondo cm. 3,3. N. inv. 515777. 91. Frammento di olla cilindro-ovoide Frammento di parete con orlo poco estroflesso, labbro ingrossato, arrotondato esternamente, profilo inferiore distinto. Impasto grezzo rosso-bruno, tornito. Forma molto frequente nel Lazio ed in Etruria tra età tardo arcaica e medio repubblicana (MURRAY THREIPLAND - TORELLI 1970, p. 112, figg. 27, tav. G.18). Argilla molto depurata di colore nocciola all’interno e nerobruno all’esterno. Pochi inclusi non distinguibili. Mis. max. cm. 11,5 x 13,9. N. inv. 515776. Abbreviazioni bibliografiche MURRAY THREIPLAND L. - TORELLI M. 1970 - A semi-subterranean Etruscan building in the Casale Pian Roseto (Veii) area, in PBSR, 38 TEN KORTENAAR S., 2005 - in F. Di Mario (a cura di), Ardea. Il deposito votivo di Casarinaccio, Roma Alessandro M. Jaia Manuela Manfrè 69 Tav. I. Materiali ceramici senza provenienza: ceramica a vernice nera (n. 94-95, 97), impasto chiaro (n. 90), impasto grezzo (n. 91), coperchio (n. 101) I. Materiale ceramico, gruppo B (Tav. I) All’interno del piede sono alcune lettere graffite, tra le quali si riconosce una E. Argilla color camoscio. Vernice nera non troppo lucida con tracce iridescenti. Alt. cm. 2,5; largh. cm. 10,3; lungh. cm. 7; diam. piede cm. 7. N. inv. 515782. Ceramica a vernice nera 92. Coppa Fondo di coppa. Argilla color arancione-rosato. Vernice nera compatta e coprente, non molto lucente. Alt. cm. 3,4; largh. cm. 4; lungh. 6,5. N. inv. 515780. 95. Coppa Fondo di coppa. Bollo singolo sul fondo della vasca, a palmetta unidirezionale a rilievo. La forma è assimilabile a quella BERNARDINI 1986, p. 160, tav. 43, n. 571, non identificabile, come nel caso del frammento anziate, ma attribuibile alle produzioni etrusco-laziali di III secolo, in parte connesse con l’Atelier des Petites Estampilles. Per lo stampiglio cfr. MOREL 1965, p. 153; p. 239 s., tav. 25, n. 366. L’autore, che data il bollo attorno alla metà del III secolo, vi legge un esempio di “sopravvivenza dello stile attico”. Il rimando all’arte classica, seppure considerato inopportuno da BATS (1976, p. 78), è esplicativo della squisita fattura e dell’eccezionalità del tipo. Argilla color camoscio. Vernice nera di tonalità tendente al marrone, non coprente. Alt. cm. 2; largh. cm. 4; lungh. cm. 6,1. N. inv. 515783. 93. Parete Frammento di parete rotto tutt’intorno. Argilla color camoscio. Vernice nera coprente, compatta e lucente, dall’aspetto metallico e con tracce iridescenti, segnata da alcune scheggiature superficiali. Alt. cm. 5; largh. cm. 6. N. inv. 515781. 94. Coppa Fondo di coppa su piede ad anello, che conserva integro. Sulla parete esterna, marcata da segni di tornitura, resta un elemento decorativo a cerchi concentrici profondamente incisi. Tale decoro, molto semplice, potrebbe trarre spunto dalla decorazione a cerchi concentrici nettamente delineati che circoscrivono l’ombelico piatto sul fondo della vasca della ceramica etrusco-campana di IV- III secolo a.C., sostituito nel II-I da cerchi tracciati a mano libera, superficiali e irregolari. Cfr. MOREL 1963, p. 53 s., n. 25; MOREL 1965, p. 31 n. 5. Sul fondo della vasca è impresso un bollo illeggibile. 96. Coppa Frammento di parete e orlo di una coppa emisferica ad orlo rientrante. Si riconoscono segni di tornitura all’esterno e all’interno, che le conferiscono un profilo sfaccettato. Argilla color camoscio. Vernice nera compatta con riflessi iridescenti. Alt. cm. 2,7; largh. cm. 5,4. N. inv. 515784. 70 1. Anzio, dal mare. Antefissa con palmetta 97. Coppa Frammento di coppa miniaturistica, conservante l’orlo, che doveva misurare 6,8 cm di diametro. Si riconoscono segni di tornitura larghi e netti all’esterno e all’interno della parete, che le conferiscono il tipico profilo sfaccettato. La parete esterna della vasca, in basso, ha un andamento leggermente estroflesso. Riconducibile alla serie MOREL 2787. Cfr. anche BERNARDINI 1986, p. 119, n. 385, tav. 31, che associa il tipo, per le caratteristiche tecnico-morfologiche, alla produzione delle officine romane o laziali, in particolare all’Atelier des Petites Estampilles e suggerisce una cronologia di prima metà III secolo. Argilla color camoscio. Vernice nera compatta e lucente, con riflessi iridescenti, con minute abrasa. Alt. cm. 3; largh. cm. 5. N. inv. 515785. 1. 98. Coppa Frammento di vasca conservante l’orlo di coppa emisferica ad orlo rientrante. Si riconoscono regolari segni di tornitura all’interno e all’esterno. Cfr. BERNARDINI 1986, pp. 51-61. Argilla color arancione rosato. Vernice nera compatta non molto lucente, con riflessi iridescenti, fortemente abrasa. Alt. cm. 4,2; largh. cm. 4,7. N. inv. 515786. 102. Antefissa con palmetta (Fig. 1) BATS M., 1976 - La céramique à vernis noir d’Olbia en Ligurie, RANarb. 9, pp. 63-80 BERNARDINI P., 1986 - Museo Nazionale Romano. Le Ceramiche V, 1. La ceramica a vernice nera del Tevere, Roma MOREL J.P., 1963 - Notes sur la céramique étrusco-campanienne. Vases à vernis noir de Sardaigne et d’Arezzo, MEFRA 75, pp. 7-58. MOREL J.P., 1965 - Céramique à vernis noir du Forum romain et du Palatin, Paris La palmetta presenta sette lobi inferiormente ravvicinati: verticale quello al centro e spiraliformi, con andamento verso l’esterno, i laterali. Il lobo centrale è a sezione angolare con i margini e la nervatura centrale sporgente. I lobi laterali sono a sezione convessa e obliqua ugualmente con i margini rilevati. La palmetta nascono da un cespo di acanto con grande foglia centrale con nervature rilevate, inquadrato da due lobi spiraliformi rivolti all’esterno; da quello superiore si sviluppa un calice da cui nasce una palmetta a cinque lobi e un viticcio spiraliforme che definisce il bordo mediano dell’antefissa. Lo zoccolo di base, aggettante, è formato da un listello superiore arrotondato e da due fasce lisce. Da un punto di vista tipologico, l’antefissa è vicina ad esemplari del Museo Nazionale Romano dai quali si differenzia per il cespo di base, in questo caso di acanto, cfr. PENSABENE P., SANZI DI MINO M.R., Museo Nazionale Romano. Le Terrecotte, 3.1-2, Roma 1983, tipo 82 con bocciolo di base e spirali (nn. 248-249). Sul retro dell’antefissa, all’attacco del coppo, è riportata a penna la scritta “Anzio mare”. Effettivamente, le consistenti incrostazioni presenti inducono a ritenere che si tratti di un esemplare rimasto a lungo in immersione, forse precipitato dalla falesia anziate, sul margine della quale si attestano diversi impianti residenziali. Datazione: I sec. d.C. Laterizio, mancante di gran parte del coppo. Alt. cm. 23, largh. cm. 17. N. inv. 135976. Altre classi ceramiche (Tav. I) 99. Frammento di brocca Frammento di parete. Impasto chiaro sabbioso. Argilla poco depurata di colore beige. Inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, calcare e mica. Di ottima fattura, superfici lisciate. Mis. max. cm. 6,8 x 7,5. N. inv. 515779. 100. Frammento di olla cilindro ovoide Frammento di parete. Impasto grezzo rosso-bruno, tornito. Numerosi inclusi di grandi dimensioni di augite, calcare e mica. Mis. max. cm. 5,8 x 6,1. N. inv. 515790. 101. Frammento di coperchio Frammento di orlo. Impasto grezzo nero bruno. Argilla di colore nero-bruno. Mis. max. cm. 7,5 x 4,7. N. inv. 515791. Francesca Pompilio Giovanna Rossini 71 2. Anzio, senza provenienza. Signaculum in bronzo nace è invece solo sporadicamente attestato, stante la pressoché completa assenza di corrispondenze tra il testo dei timbri e quello dei bolli su tegole, mattoni ed anfore3. 103. Signaculum I signacula bronzei sono una categoria di oggetti sino ad oggi scarsamente studiata1, anche a causa della notevole dispersione subita da numerosi esemplari, in passato oggetto di un fiorente commercio antiquario, con conseguente perdita dei dati di rinvenimento e formazione di consistenti collezioni, variamente dislocate. Si tratta di oggetti il cui uso è documentato a partire dal II-I sec. a.C. e per tutto l’arco dell’età imperiale, in genere costituiti da un’impugnatura conformata ad anello cui risulta applicata una lamina con iscrizione nella maggioranza dei casi retrograda, destinata ad apporre un timbro destrorso. Il testo indica frequentemente la formula onomastica delle persone (singole o gruppi) titolari della timbratura. Più raro il caso in cui il manubrio risulti provvisto di un castone secondario, di dimensioni minori, talora recante un’iscrizione che può ripetere, variamente abbreviato, il testo della lamina. Si ritiene che tali oggetti fossero destinati alla timbratura di generi alimentari (cibi, bevande e/o loro contenitori), sia al fine di preservarli da furti, che con lo scopo di marcare prodotti destinati alla commercializzazione2. Non si può evidentemente escludere il loro impiego, anche con inchiostro, su altre sostanze o materiali deperibili (ad es. imballaggi o sigilli per la chiusura delle merci). L’uso di signacula bronzei per marcare prodotti da for- 2. Da Anzio proviene un signaculum in bronzo, il cui esatto luogo di rinvenimento resta purtroppo ignoto4. La scheda inventario del M.N.R. reca infatti la generica indicazione “Anzio – spiaggia”. Nel valutare l’informazione andrà considerato il fatto che spesso, in zona, i ritrovamenti occasionali vengono riferiti all’area della spiaggia (o al mare), al fine di tacerne la reale provenienza. Qualora il rinvenimento sull’arenile risultasse verificato, si potrebbe pensare ad un collegamento con attività praticate nel porto, o in uno degli insediamenti identificati lungo la costa, come noto attivi a partire dalla tarda età repubblicana. Il pezzo, che non sembra presentare incrostazioni derivanti da una permanenza in ambiente marino, risulta acquisito in data 30 dicembre 1967; fu lasciato in deposito ad Anzio per poi rientrare, in data imprecisata, al museo. 1 Ma vedi ora DI STEFANO, ISOLA 2004; DI STEFANO MANZELLA c.s., da cui ho ricavato lo standard di schedatura e diverse, preziose, informazioni. Ringrazio il prof. Di Stefano anche per gli utili suggerimenti forniti nell’elaborazione della scheda e per avermi consentito di visionare il suo contributo, nelle bozze di stampa. 2 Tale uso sembra documentato anche da rari passi delle fonti antiche. Vasta disamina del problema, con silloge delle fonti, in DI STEFANO MANZELLA c.s. L’impiego su prodotti da forno è documentato dal rinvenimento, ad Ercolano, di un pane recante l’impronta CIL, X 8058, 18, riferibile ad un timbro oggi all’Antiquarium Comunale di Roma (LORETI 1994, p. 647 e p. 652, n. 4). Sull’uso di marcare la pasta cruda del pane, sia per distinguerlo all’interno di un forno comune, che in vista della commercializzazione, cfr. MANACORDA 1993, p. 45. Per il ricco repertorio di signacula pompeiani ed ercolanesi, confluito nel CIL, cfr. DELLA CORTE 1965, p. 465 ss. 3 Sul tema, cfr. ancora DI STEFANO MANZELLA c.s., con raccolta delle attestazioni. Per una particolare categoria di bolli impressi su mattoni laterizi con timbri in bronzo a lettere prominenti, cfr. TAGLIETTI 1994. Timbro con manubrio ad anello, in bronzo. Lamina rettangolare scorniciata, arrotondata agli spigoli. Sull’anello, castone ovale piano. Timbro: h. cm 3,2; peso gr. 68. Lamina: cm. 4,95 x 2,4 x 0,5; specchio epigrafico cm. 4,65 x 2,3; lettere h. cm 1,25 – 0,82; interlinea cm. 1,3; aggetto dei caratteri cm. 0,155. Manubrio: h. cm 2,3, largh. cm. 3,5; diam. interno cm. 1,7 – 2,2. Castone: cm. 2,9 x 1,3; specchio epigrafico cm. 2,8 x 1,1; lettere h. cm. 0,9 – 1; aggetto dei caratteri cm. 0,2. 4 Notizia del signaculum in CHIARUCCI 1989, p. 95 ed in TORO 2001, p. 28, n. 100. 72 Tav. II. Anzio, senza provenienza. Signaculum in bronzo La lamina presenta una modesta lacuna sul margine sinistro ed ampie tracce di ossidazione. N. inv. 180768. Sulla lamina, iscrizione sinistrorsa con lettere prominenti, ancora ben profilate, organizzata su due righe. Da notare, a r. 1 l’uso di un segno divisorio quadrangolare; a r. 2, il nesso tra O ed E, N ed I, C ed I. Il timbro produceva un’impronta destrorsa a lettere cave, da trascrivere: II. Q(uinti) Hirri Phoenici(s) Sul castone secondario, iscrizione sinistrorsa con lettere prominenti, ben profilate, che produceva un’impronta destrorsa a lettere cave: territorio di Perugia11. Il cognomen Phoenix, anch’esso poco diffuso, sembra suggerire una possibile condizione o estrazione libertina del personaggio12. Datazione: I-II sec. d.C. Q(uinti) H(irri) P(hoenicis) Il testo della lamina contiene la formula onomastica, in caso genitivo, di un personaggio maschile, titolare della timbratura. Il titulus del castone ripete quello della lamina, ridotto alle iniziali; il fatto che esso abbia andamento retrogrado lascerebbe supporre che fosse destinato ad apporre un’impronta aggiuntiva. Il gentilizio Hirrius, di origine italica, è relativamente poco diffuso e mai (per quanto a me noto) con praenomen Q. In età repubblicana, gli Hirri sono bene attestati a Minturnae dove esponenti della famiglia appartengono al ceto dirigente cittadino5, mentre personaggi di condizione servile6 o libertina7 compaiono nelle iscrizioni dei magistri. Nella fase imperiale, il gentilizio ricorre in epigrafi urbane8. Da ricordare, data la relativa rarità del nome, il M. Hirrius Fronto Neratius Pansa, cos. negli anni intorno al 73 d.C., forse originario di Saepinum9. Per la stessa ragione, andrà notato il fatto che un C. Hirrius Vicasianus è conosciuto attraverso un signaculum conservato al British Museum10, mentre un C. Hirrius Protigenes è noto da un timbro proveniente dal Francesca Pompilio Abbreviazioni bibliografiche CHIARUCCI P., 1989 – Anzio archeologica, Anzio DELLA CORTE M., 1965 – Case ed abitanti di Pompei, Napoli DI STEFANO I., ISOLA T., 2004 – Signacula ex aere. Rapporto preliminare su una ricerca in atto, in Daidalos 6, 2004, pp. 259 – 265 DI STEFANO MANZELLA I., c.s. – Signacula ex aere. Gli antichi timbri romani di bronzo e le loro impronte, in CORBIER M. (a cura di), L’épigraphie dans la maison romaine, Paris HALFMANN H., 1991 – Nachbehandlung. M. Hirrius Fronto Neratius Pansa, in AA. VV., Studien zum antiken Kleinasien. Friedrich Karl Dörner zum 80. Geburtstag gewidmet, Bonn, pp. 41 – 43 LORETI E., 1994 – Signacula bronzei dell’Antiquarium Comunale di Roma, in AA. VV., Epigrafia della produzione e 9 Cfr. PIR II1, n. 129, p. 144. Sul personaggio, cfr. da ultimo HALFMANN 1991, con bibl. Il gentilizio è documentato anche all’interno della regio IV: CIL, IX 2722 (Aesernia). Diverse attestazioni nella regio II: CIL, IX 1002; CIL, IX 1077 (Compsa). CIL, IX 1648 = ILS, 6499; CIL, IX 1694 (Benevento). CIL, IX 6246, cfr. p. 695 (Larinum). 10 CIL, XV 8254. Una eventuale provenienza del personaggio dall’area minturnese può forse essere suggerita in considerazione del cognomen, dubitativamente riferibile al gentilizio Vicasius assai raro, ma attestato a Suessa Aurunca (CIL, X 4778). 11 CIL, XI 6712, 219. 12 Per il cognomen Phoenix cfr. SOLIN 2003, pp. 1389 – 1390. Nel testo, è evidentemente possibile anche la lettura Phoenici (= Phoenicii) da Phoenicius. 5 CIL, I2 2702, cfr. pp. 845, 935 = ILLRP, 742 6 CIL, I2 2692, cfr. pp. 845, 935 = ILLRP, 739; CIL, I2 2695, cfr. pp. 845, 935 = ILLRP, 728; CIL, I2 2698, cfr. pp. 845, 935 = ILLRP, 734; CIL, I2 2701, cfr. pp. 845, 935 = ILLRP, 741; CIL, I2 2706, cfr. pp. 845, 935 = ILLRP, 745. 7 CIL, I2 2679, cfr. p. 934 = ILLRP 736. Da Minturnae provengono anche CIL, X 6037 (sepolcrale di Hirria Crysis ed Hirrius Syntrophus) e CIL, X 6038, cfr. pp. 983, 1014 (sepolcrale di Hyria L[y]coris). 8 Tra queste, solo AE 2001, 269 è datata ancora nel I sec. a.C. Andranno inoltre ricordate CIL, VI 19497 e CIL, VI 19501, provenienti dall’area della necropoli di Villa Pamphili. Sull’argomento, cfr. anche VELESTINO 1985. 73 3. Anzio, senza provenienza. Brocca in bronzo (n. 104) 4. Idem, particolare dell’ansa della distribuzione. Actes de la VIIe Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain (Rome 1992), Rome, pp. 645 – 653 MANACORDA D., 1993 – Appunti sul fenomeno della bollatura delle merci in età romana, in AA. VV., The Inscribed Economy. Production and Distribution in the Roman Empire in the Light of instrumentum domesticum. Proceedings of a Conference held at the American Academy in Rome (Rome 1992), Ann Arbor, pp. 37 – 52 SOLIN H., 2003 – Die Griechischen Personennamen in Rom. Ein Namenbuch, Berlin – New York TAGLIETTI F., 1994 – Un inedito bollo laterizio ostiense ed il commercio dell’olio betico, in AA. VV., Epigrafia della produzione e della distribuzione. Actes de la VIIe Rencontre francoitalienne sur l’épigraphie du monde romain (Rome 1992), Rome, pp. 157 – 193 VELESTINO D., 1985 – in AVETTA L. (a cura di), Roma – Via imperiale. Scavi e scoperte (1937 – 1950) nella costruzione di via delle terme di Caracolla e di via Cristoforo Colombo (Tituli, 3), Roma, pp. 193 – 194, n. 205 TORO A., 2001 – Ritrovamenti e contesti. I reperti archeologici della provincia di Roma nelle raccolte del Museo Nazionale Romano, I, Roma 3. che (HILGERS 1969, tav.5.). La decorazione fitomorfa dell’ansa rimanda a un esemplare da Pompei (MNN inv. n. 18976) la cui collocazione cronologica è posta orientativamente tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C. (cfr. TASSINARI 1993, I, 45; 217; 233; D’ANDRIA 1977). Piccole lacune sono presenti sulla tesa, una vistosa lacuna riguarda il piede. Sul corpo sono presenti tracce verdastre di ossidazione; assente la patinatura. Alt. cm. 25,3; largh. cm. 17,3. N. inv. 135971. Vasellame di bronzo 104. Brocca (Figg. 3-4) Corpo ovoidale, con alto collo e labbro spesso; sulla tesa estroflessa sono presenti due incisioni concentriche, sul collo e sul ventre è una decorazione a linee orizzontali doppie incise a gruppi di due e di tre; la base è discontinua, su alto piede anulare; il fondo del recipiente è piano. L’ansa, non sopraelevata, presenta un fusto sottile con i bracci brevi superiori fissati sul bordo posteriore dell’orlo; alla sommità dell’ansa, sopra il livello della bocca, si trova un poggiapollice verticale; l’attacco inferiore della presa è saldato sulla parte inferiore del ventre dell’oinochoe. La decorazione della presa è accurata: sul punto di massima curvatura dell’ansa sono incisi elementi vegetali stilizzati; i bracci brevi sono incisi e decorati con elementi vegetali che si snodano in due piccole volute, l’attacco inferiore è costituito da un’applique a foglia con sporgenze laterali e appendice in basso. L’esemplare, di piccole dimensioni, rimanda per la tipologia al contesto simposiale; è possibile stabilire un’interessante testimonianza sulle forme potorie in uso nell’ambito conviviale è data dall’affresco della casa di Vestorio Prisco a Pompei, nel quale sono rappresentati diversi mestoli a manico corto e lungo, coppe, kantharoi, due rythà e broc- 4. 105. Brocca (Fig. 5) A profilo continuo, ventre ovoidale a convessità accentuata con diametro massimo nella metà inferiore. Il collo presenta la strozzatura accentuata; l’imboccatura è trilobata con labbro ingrossato e svasato con regolarità; l’orlo è inclinato. Il recipiente poggia su una base discontinua ad anello. 74 5. Anzio, senza provenienza. Brocca a bocca trilobata (n. 105) 6. Anzio, senza provenienza. Situla (n. 106) 7. Idem, particolare dell’attacco dell’ansa 106. Situla a fondo piatto (Figg. 6-7) Situla in lamina bronzea martellata, corpo tendente al troncoconico a solcature orizzontali parallele doppie e triple, privo di collo, con raccordo continuo tra ventre e labbro; la base è continua al corpo, il fondo è piatto. L’ansa diametrale presenta estremità ricurve che girano negli anelli posti alla sommità degli attacchi, fissati sul labbro; gli attacchi in funzione sono di evidente restauro, essendo sovrapposti alle originarie appliques a maschera. La tipologia del corpo tendente al troncoconico rimanda a dei balsamari traci da Augusta Traiana, oggi Stara Zagora, conservati nel museo locale (MNN inv. 511, 1329-1332); si tratta di recipienti a corpo troncoconico, privi di collo, con ansa diametrale le cui estremità girano in anelli pertinenti ad 7. attacchi fitomorfi (foglie d’edera); i reperti sembrerebbero provenire da contesti funerari di II-III secolo d.C. (RAEV 1977, t. 31, n. 3; t. 33, n. 5). Nell’esemplare oggetto di studio, sono notevoli gli evidenti segni del restauro atti alla riutilizzazione del recipiente: gli attacchi bilobati in funzione sostituiscono gli originali a forma di maschera teatrale, ritraenti un volto giovanile sbarbato con bocca spalancata. Si tratta di una tipologia di rappresentazione non inconsueta sugli attacchi delle anse del vasellame: un confronto stringente si può stabilire con una brocca da Pompei datata all’inizio del I secolo d.C. (MNN inv. n. 13221; cfr. TASSINARI 1993, I, 111; 219). Lacune sul labbro e sulle spalle del contenitore; sulla superficie, alcune ammaccature e numerose macchie scure e verdastre da ossidazione; assente la patinatura. Alt. cm. 13,7; largh. cm.13. N. inv. 135972 5. L’esemplare, di dimensioni ridotte, rimanda alla tipologia delle brocche a imboccatura trilobata, piuttosto diffusa a Pompei (trentotto documenti). Tali recipienti erano utilizzati per le abluzioni che avvenivano prima del pranzo in relazione all’accoglienza degli ospiti: a tale scopo, alle brocche si affiancavano bacili, conchiglie o vasi panieri. Sebbene l’associazione tra i bacili e le brocche in contesto rituale sia assicurata soprattutto in ambito greco (GINOUVÈS 1962), non è da escludere la continuità dell’uso anche nel convivio romano. Secondo la Tassinari la produzione di questa tipologia di manufatto può essere collocata nell’arco cronologico che va dall’età ellenistica (brocche trilobate con ventre ovoidale a profilo continuo e discontinuo) al I secolo d.C. (brocche trilobate con ventre ovoidale compresso e molto compresso (cfr. TASSINARI 1993, I, 40-42 , 214, 232). Ansa assente. Sono presenti ammaccature sul corpo del vaso tali da comprometterne la posizione in asse rispetto alla base. Sulla superficie sono presenti numerose tracce scure e verdastre da ossidazione; assente la patinatura. Alt. cm. 16; largh. cm. 10,4. N. inv.135973. Michela Nocita Abbreviazioni bibliografiche Pompei, 1997 - AA.VV., Pompei. Abitare sotto il Vesuvio, Ferrara 29 settembre 1996 - 19 gennaio 1997, catalogo della mostra, Ferrara D’ANDRIA F., 1977 - Vasi di bronzo romani del museo nazionale D.Ridola. Matera, in Bulletin des Musées Royaux d’Art et d’Histoire, 46, 1974 GINOUVÈS P., 1962 - Balaneutikè. Recherches sur le bain dans l’antiquité grecque, B.E.F.A.R., Roma HILGERS W., 1969-Lateinischen Gefässnamen. Bezeichnungen, 6. 75 8. Anzio, senza provenienza. Intonaco dipinto (n. 109) Tav. III. Anzio, senza provenienza. Elementi in bronzo (nn. 107-108) Funktion und Form römisher Gefässe nach den antiken Schriftquellen. Beihefte der Bonner Jahrbücher 31, Düsseldorf RAEV B., 1977 - Die bronzegefässe der römische Kaiserzeit in Trakien und Moesien, in Bericht der Römisch-germanischen Kommission 58, pp. 605-643 TASSINARI S., 1993 Il vasellame bronzeo di Pompei, I-II, Roma Intonaci Sebbene lo stato di conservazione dei frammenti di intonaco, ridotti per lo più a minutissimi frustoli di un omogeneo sfondo rosso, ne renda problematico l’inquadramento stilistico e cronologico, i lacerti di decorazione restituiti dai frammenti nn. 112 e 109 consentono una rapida valutazione dei pezzi. Il grifo alato tra motivi fitomorfi del frammento n. 112, in prima istanza, appartiene al ricchissimo repertorio di motivi fantastici e irreali che popolano le fasce di separazione tra pannelli dei sistemi pittorici romani nel momento di transizione dal periodo giulio claudio all’età flavia1, dei quali la Domus Aurea ci offre alcuni dei più significativi esempi2. Nell’ambito di tali orna- Altri oggetti in bronzo Nel gruppo dei materiali senza provenienza sono compresi due elementi in bronzo, fusi, di incerta interpretazione (nn.107-108). Si tratta, forse, di oggetti riconducibili all’armamento marittimo moderno. Tale ipotesi sembra suffragata dal riscontro metrologico. Infatti tutte le misure fondamentali dei due oggetti e soprattutto il diametro interno del n.108 sono vicine alle frazioni del pollice. Si spiegherebbe così anche l’indicazione di provenienza, “Anzio - Mare”, in genere non attendibile. 107. Elemento quadrangolare, presenta sulla faccia superiore un incavo circolare destinato ad ospitare una base od altro elemento nello stesso metallo. Bronzo fuso. Mis. max. cm. 5,3 x 5,35, spessore max. cm. 0,7, diam. incavo: sup. cm. 4, interno cm. 3,4. N. inv. 135975. III. 8. ti ricorrono insistentemente figure umane o animalistiche sorgenti da steli floreali e desinenti in viticci e girali, alle quali nello specifico ciò che resta della creatura fantastica affrontata ad un tralcio vegetale del frammento anziate risulta conforme3. La figuretta non appare delineata con accuratezza formale, ma definita per contrasti cromatici e di luci ed ombre, a rapide pennellate che lasciano indefiniti i contorni. Lo stile fa dunque fede dell’affermarsi della tecnica a macchia, che dalla fase di passaggio tra III e IV Stile s’impone investendo ogni settore dei sistemi pittorici. Allo stesso decoro sono con ogni evidenza pertinenti i frammenti n. 113-114, come gli altri conservanti i resti del colore rosso dello sfondo. Anche il frammento n. 111, con motivo floreale in rosso e bruno su 108. Elemento circolare, rastremato verso l’alto, su base quadrata; cavo all’interno. La conformazione della base, con angoli smussati, e quella del corpo, cilindrico all’interno e rastremato all’esterno in senso contrario alla base, indicano l’uso dell’oggetto, destinato ad essere infisso in un pavimento o in una paratia, forse lignea, per ospitare un’asta metallica del diametro di un pollice. Bronzo fuso. lato di base cm. 5,1; alt. max. cm. 3,8; diam. interno cm. 3,1. N. inv. 135974. 1 BARBET 1985b, p. 166 ss.; Pittura romana 2 IACOPI 1999, p. 19 ss. 3 Cfr. IACOPI 1999, p. 155, fig. 149. Francesca Pompilio 76 2002, p. 192 ss. 9. Anzio, senza provenienza. Intonaco dipinto (n. 110) 10. Anzio, senza provenienza. Intonaco dipinto (n. 112) 109. Frammento di intonaco dipinto con esile cornicetta in giallo e verde (doppie spirali contrapposte addossate ad una cornice che circoscrive una gemma a fiorellino). Datazione: 50-100. Alt. cm. 8,8; largh. cm. 6,5; spess. cm. 3. N. inv. 515799. 110. Frammento di intonaco dipinto con elementi curvilinei rossi e gialli su sfondo chiaro. Alt. cm. 13,6; largh. cm. 15; spess. cm. 6,5. N. inv. 515798. 9. 111. Frammento di intonaco dipinto con elementi in rosso e bruno su sfondo ocra. Si tratta presumibilmente di un motivo floreale. Datazione: 50-100. Alt. cm. 5,8; largh. cm. 9; spess. cm. 3,7. N. inv. 515800. sfondo ocra, risulta associabile per caratteri stilistico formali e per la tipologia del decoro ai sistemi pittorici in questione, e, va da sé, ai precedenti frammenti4. Nondimeno, per le cifre stilistiche utilizzate, le tracce di pittura del frammento n.110 non sono da considerarsi incongruenti con l’inquadramento stilistico e cronologico proposto per i precedenti pezzi. Il frammento n. 109 presenta un decoro su sfondo rosso sangue realizzato apparentemente con differente accuratezza formale e gusto miniaturistico. Al centro dell’ornato si staglia una gemma conformata a fiorellino, del tipo che ricorre, ad esempio, sulle columnae caelatae del II Stile5, ove la resa, però, è ancor più minuziosa e calligrafica. La gemma è inserita in una struttura di girali filiformi simmetriche quali ricorrono nei candelabri o in generale nelle fasce di separazione dei sistemi a pannelli. In particolare il motivo del candelabro, che si afferma nelle pitture della prima età augustea designando uno stile che da esso prende il nome6; nella forma fantastica e destrutturata, filiforme e caratterizzata da esili girali floreali che connota il modello del frammento anziate è analogamente riconducibile alle pitture di IV Stile7. 10. 112. Frammento di intonaco dipinto con protome di grifo su elemento fitomorfo in ocra, lumeggiature bianche e ombre brune su sfondo rosso. Datazione 50-100. Alt. cm. 6; largh. cm. 8; spess. cm. 2. N. inv. 515802. 113. Frammento di intonaco dipinto con tracce di pittura in ocra e bruno su sfondo rosso. Alt. cm. 2,2; largh. cm. 3,5; spess. cm. 2. N. inv. 515804. 4 Assonanze nella scelta dei colori, nelle cifre stilistiche, nei motivi ornamentali si riscontrano, ad esempio, con il sistema decorativo del vano 16 a della Maison aux Salles Souterraines di Bolsena (BARBET 1985a, p. 89 ss.; tav. XVIII-XIX), datato alla seconda metà del I sec. 5 Cfr. MAZZOLENI 2004, p. 146-147 (Villa di Poppea a Oplontis). 6 BARBET 1985, p. 103 s.; LING 1991, p. 53. 7 Cfr. ad es. la differenza che sussiste tra i candelabri “funzionali” del tablino della Casa di M. Lucrezio Frontone, in sistemi di III Stile, e quelli fantastici delle pareti dipinte della Casa dei Vetti (BARBET 1985, p. 186 s., fig. 127; IACOPI 1999, p. 22 s.; figg. 18; 20; Pittura romana 2002, p. 228 ss.). Simili candelabri ricorrono nella decorazione su fondo chiaro del corridoio 19 della Domus Aurea (IACOPI 1999, p. 27 fig. 24). Cfr. inoltre la resa di alcuni fiori tra esili girali del decoro della Volta Nera, in IACOPI 1999, p. 146 ss. 114. Frammento di intonaco dipinto, con tracce di disegno preparatorio graffito e pittura in ocra e marrone su sfondo rosso. Alt. cm. 2,9; largh. cm. 4,9; spess. cm. 1,5. N. inv. 515805. 115-118. Frammenti di intonaco dipinto di rosso : N. inv. 515801, alt. cm. 5; largh. cm. 8; spess. cm. 4,5, inv. 515803, alt. cm. 5; largh. cm. 5,5; spess. cm. 2,9, . inv. 515806, alt. cm. 8; largh. cm. 8. inv. 515807, alt. cm. 9; largh. cm. 16; spess. cm. 0,4. Giovanna Rossini 77 11. Anzio, senza provenienza. Fiasca (n. 119) Abbreviazioni bibliografiche bardo-romani del VI secolo, poi ripresi in modelli locali (MAZZUCCATO 1977). Il nostro esemplare, privo di decorazioni e invetriatura, è morfologicamente vicino ad uno con vetrina pesante di colore verde, lucida e sottile, proveniente dallo scavo dell’esedra della Crypta Balbi (cfr. MOLINARI 1990, tav. LII, pp. 384-385, n. 414). Integra. Argilla molto depurata di colore giallino-beige. Rari inclusi di piccole e medie dimensioni di augite, mica e pozzolana. Mis. max. cm. 21,4 x 19,5 x 11,5; d. fondo cm. 15,2; d. orlo cm. 3,4. N. Inv. 515775. BARBET A., 1985a - La Maison aux Salles Souterraines, Bolsena V, Paris - Rome BARBET A, 1985b - La peinture murale romaine. Les styles décoratifs pompéiens, Paris IACOPI I., 1999 - Domus Aurea, Milano LING R.J., 1991 - Roman Painting, Cambridge MAZZOLENI D., 2004 - Domus, Pittura e architettura d’illusione nella casa romana, Verona Pittura romana 2002 – BALDASSARRE I., PONTRANDOLFO A., ROUVERET A., SALVATORI M., Pittura romana. Dall’ellenismo al tardo-antico, Milano Manuela Manfrè Abbreviazioni bibliografiche MAZZUCCATO O., 1965 - Note sulla ceramica graffita, in Padusa, I, n. 2, pp.3-5 MAZZUCCATO O., 1977 - La ceramica laziale nell’alto Medioevo, Roma MOLINARI A., 1990 - in SAGUÌ L. - PAROLI L. (a cura di), Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi, 5. L’esedra della Crypta Balbi nel Medioevo (XI-XV secolo), Firenze, pp.384-385. 11. 119. Fiasca Ceramica comune. Orlo poco estroflesso con labbro arrotondato; corpo di forma circolare, ombelicato sulla fronte e con segni concentrici di tornitura; fondo leggermente incavato; sulle spalle, due anse a bastoncello tortile, impostate verticalmente, asimmetriche e fuori asse rispetto all’orlo. Riproduce tipi diffusi dall’età alto medievale fino a tutto il Rinascimento ed oltre, come derivazione di produzioni tardo-romane e galliche (MAZZUCCATO 1965, pp.3-5). Produzioni con lavorazione al tornio, segni del tornio e anse a tortiglione sono presenti nel Lazio come tipi longo78 Indice Prefazione 3 Candido De Angelis Maria Antonietta Tomei Introduzione 7 Alessandro M. Jaia Viale delle Roselle. Deposito votivo Introduzione storico topografica (A. M. Jaia) schede (B. Belelli Marchesini, M. Manfré, G. Rossini) 9 11 Villa Imperiale. Mosaico 31 A. M. Jaia Le illustrazioni contenute nei singoli contributi sono opera o rielaborazione degli autori, tranne ove diversamente indicato. Viale Severiano. Necropoli protostorica 41 A. M. Jaia Parte II Le figg. 2-3, 9, 12-13, 15-16 sono pubblicate su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Archivo Centrale dello Stato, Roma. La fig. 19 è pubblicata su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio. Le figg. 23-24 sono di F. De Rubeis. Via Bengasi. Necropoli romana Introduzione storico topografica (A. M. Jaia) schede (G. Angeli Bufalini, A. Calderini, M. Nocita, F. Pompilio, G. Rossini) Parte IV Le immagini alle figg. 7-11 (monete nn. inv. 517731 517745) sono pubblicate su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Archeologica di Roma. 45 47 Anzio. Senza provenienza Introduzione storico topografica (A. M. Jaia) schede (M. Manfré, M. Nocita, F. Pompilio, G. Rossini) 79 69 69 Finito di stampare nel mese di Febbraio 2007 dalla Tipografia Marina di Anzio