Contenzioso Tributario - Shop
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Se scegli di acquistare questo volume con CONTENZIOSO TRIBUTARIO Il Volume esamina, da un punto di vista operativo, le problematiche che il professionista deve affrontare nella gestione del processo, dando rilievo, tra l’altro, alle condotte che potrebbero comportare l’inammissibilità del reclamo, del ricorso e dell’appello. La trattazione è corredata da vari schemi dei procedimenti che possono innestarsi all’interno del contenzioso, nonché da esempi su fattispecie riguardanti problematiche specifiche. L’opera è divisa in otto parti: Parte I: organi e oggetto della giurisdizione tributaria, con analisi, tra l’altro, delle parti del processo, dando rilievo alla recente riorganizzazione delle Agenzie fiscali (istituzione delle Direzioni provinciali e incorporazione dell’Agenzia del Territorio nell’Agenzia delle Entrate); Parte II: processo di primo grado, ove sono presenti analisi relative alla stesura del ricorso, alla costituzione in giudizio, alla tutela cautelare, alla conciliazione giudiziale e, soprattutto, alla gestione del reclamo e della mediazione; Parte III: impugnazioni, con trattazione delle varie problematiche relative alla gestione del processo di appello (termini, appello incidentale, “devoluzione”); Parte IV: esecuzione della sentenza, con soluzione di tutte le questioni suscettibili di verificarsi nell’ambito della riscossione frazionata, focalizzando l’attenzione, tra l’altro, sui c.d. “accertamenti esecutivi”; Parte V: vicende del processo tributario, con particolare riferimento all’estinzione e all’interruzione del giudizio; Parte VI: contributo unificato atti giudiziari; Parte VII: definizione delle liti pendenti, ove è presente una trattazione relativa alla difesa del contribuente in caso di diniego di condono, i cui processi sono tuttora in corso; Parte VIII: appendice, con varie check lists relative alle diverse fasi del processo. Guide e Soluzioni Guide e Soluzioni CONTENZIOSO TRIBUTARIO a cura di Alfio CISSELLO Pasquale SAGGESE AGGIORNATO CON: Reclamo e mediazione fiscale Contributo unificato Sospensione legale della riscossione Estinzione delle società Processo tributario telematico 94,00 I.V.A. INCLUSA 17/04/13 09:36 Guide e Soluzioni CONTENZIOSO TRIBUTARIO a cura di Alfio CISSELLO Pasquale SAGGESE AGGIORNATO CON: Reclamo e mediazione fiscale Contributo unificato Sospensione legale della riscossione Estinzione delle società Processo tributario telematico QUESTO EBOOK È UN'ANTEPRIMA GRATUITA Per ordinare la versione integrale utilizzare il link SHOPWKI.it o rivolgersi all’agente di zona PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © 2013 Wolters Kluwer Italia S.r.l Strada I, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) ISBN: 9788821742590 Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. I diritti di commercializzazione, traduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento e di riproduzione totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. La presente pubblicazione è protetta da sistemi di DRM. La manomissione dei DRM è vietata per legge e penalmente sanzionata. L’elaborazione dei testi è curata con scrupolosa attenzione, l’editore declina tuttavia ogni responsabilità per eventuali errori o inesattezze. Autori EUTEKNE ha per oggetto la ricerca e lo studio, la raccolta, la formazione e la diffusione di materiale giuridico-tecnico nel settore delle discipline giuridico-economiche e la prestazione di servizi specialistici in ambito fiscale, economico e giuridico. AUTORI: Alfio CISSELLO Anita MAURO Paola RIVETTI Pasquale SAGGESE 5 Prefazione Il volume “Contenzioso tributario” costituisce un indispensabile ausilio per il professionista che, a fronte della notifica di un atto impositivo, si trova a dover gestire le complesse fasi del contenzioso tributario, dal primo grado all’appello, sino al giudizio di rinvio e all’azione di ottemperanza. L’opera è redatta con taglio nettamente operativo, in modo da favorire il professionista nelle varie strategie processuali potenzialmente adottabili, evidenziandone, per ognuna, i relativi rischi. Particolare attenzione viene rivolta agli istituti di recente introduzione, come la mediazione tributaria, sul quale sono messe in risalto le prime posizioni dei giudici tributari. Del pari, è presente un’esaustiva trattazione circa il corretto computo del contributo unificato, ora applicabile nel processo tributario, nonché un’illustrazione delle novità del c.d. “processo tributario telematico”, operativo su tutto il territorio nazionale. Sono evidenziate, con tanto di esempi riferiti a casi realmente successi nella pratica, tutte le situazioni che potrebbero condurre all’inammissibilità del reclamo e del ricorso, nonché dell’appello avverso la sentenza, in quest’ultimo caso focalizzando l’attenzione sul rispetto dei termini “breve” e “lungo” per l’impugnazione. Gli Autori hanno poi ritenuto di analizzare compiutamente gli orientamenti della giurisprudenza civile che hanno riflesso nella gestione del contenzioso tributario, basti pensare alla recentissima sentenza Cass. Sezioni Unite 12.3.2013 n. 6071, concernente gli effetti della cancellazione della società dal Registro imprese dopo la notifica del ricorso, e al tema del litisconsorzio nelle società di persone, che causa, consequenzialmente, problemi nella mediazione. Inoltre, non mancano capitoli specifici sulle questioni che non di rado devono essere risolte dai difensori, come l’omessa notifica dell’accertamento/cartella di pagamento, la riscossione in pendenza di ricorso e i presupposti per ottenere la c.d. “sospensiva” dalla Commissione tributaria. ES esempi approfondimenti rimandi ad altre parti del testo, nonché a voci di indice analitico di altri testi della Collana, nell’ultima edizione pubblicata. Per eventuali commenti e segnalazioni: [email protected] La presente edizione è stata chiusa in redazione il 25.3.2013 7 Titolo capitolo 8 Contenzioso tributario INDICE PARTE I - ORGANI E OGGETTO DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA Capitolo 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. 1 Premessa 2 Processo tributario 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Principi costituzionali Processo di primo grado Impugnazioni Fase esecutiva Processo tributario telematico 3 Applicabilità delle norme del c.p.c. 4 3.1 Criteri di applicabilità delle norme del c.p.c. 3.2 Applicabilità di norme relative ad altri modelli processuali Considerazioni generali Capitolo 2 - Giurisdizione tributaria 1 Premessa 2 Giurisdizione tributaria e costituzione 2.1 Legittimità costituzionale della giurisdizione tributaria 2.2 Ampliamento della giurisdizione tributaria e compatibilità con la costituzione 3 Oggetto della giurisdizione tributaria 3.1 Giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria 3.2 Giurisdizione tributaria e giurisdizione amministrativa Capitolo 3 - Difetto di giurisdizione 1 Premessa 2 Momento determinante la giurisdizione 3 Difetto di giurisdizione 3.1 Eccezione di giurisdizione 3.2 Pronuncia del giudice sulla giurisdizione 3.3 Riassunzione del processo dinanzi al giudice fornito di giurisdizione (c.d. “translatio iudicii”) 4 Regolamento preventivo di giurisdizione 4.1 Procedimento 4.2 Regolamento di giurisdizione e sospensione del processo 4.3 Riassunzione del processo Capitolo 4 - Competenza 1 Premessa 2 Competenza del giudice tributario 2.1 Atti delle Agenzie fiscali 2.2 Atti dell’Agente della Riscossione 3 Profili processuali 3.1 Eccezione di incompetenza 37 37 37 38 40 42 43 43 44 44 46 46 47 47 49 49 49 55 57 69 75 75 77 78 78 79 80 85 85 86 87 89 89 89 90 91 92 93 9 Indice 3.2 Sentenza relativa alla competenza 3.3 Riassunzione del processo (c.d. “translatio iudicii”) 3.4 Inammissibilità del regolamento di competenza 4 Ricorso in riassunzione (bozza) Capitolo 5 - Litispendenza e continenza 1 Premessa 2 Litispendenza 2.1 2.2 2.3 2.4 Pendenza delle liti Coincidenza della controversia e delle parti Diversità di giudici Criterio della prevenzione 3 Continenza Capitolo 6 - C.d. “cognizione incidentale” 1 Premessa 2 C.d. “cognizione incidentale” 2.1 Ambito di applicazione della giurisdizione incidentale 2.2 Cognizione incidentale e giurisdizione amministrativa 2.3 Cognizione incidentale e “circolazione del giudicato” 3 Questioni di stato e di capacità delle persone Capitolo 7 - Giudice tributario 1 Premessa 2 Commissioni tributarie 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Province di Trento e Bolzano Commissioni tributarie centrali Composizione delle Commissioni Nomina dei presidenti Nomina dei vicepresidenti 3 Formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti 4 Sezioni staccate 5 Requisiti per la nomina del giudice 5.1 Requisiti generali dei giudici tributari 5.2 Nomina dei giudici delle Commissioni provinciali 5.3 Nomina dei giudici delle Commissioni regionali 6 Incompatibilità 6.1 6.2 6.3 6.4 Incompatibilità e sospensione dall’incarico Attività di consulenza tributaria Iscrizione ad albi o elenchi professionali Legami di parentela 7 Verifica dell’ incompatibilità 8 Procedimento di nomina 8.1 Comunicazione di disponibilità 8.2 Formazione degli elenchi per la nomina 10 94 95 99 99 103 103 103 103 104 105 105 107 109 109 109 110 110 110 111 113 113 113 113 113 114 115 115 116 117 118 118 119 120 121 123 123 124 125 125 127 127 127 Contenzioso tributario 8.3 8.4 8.5 8.6 8.7 Mancanza dei requisiti per la carica Onorarietà e durata dell’incarico Assegnazione dell’incarico per trasferimento Conclusione del procedimento di nomina Giuramento 9 Decadenza dall’incarico 9.1 Decreto ministeriale di decadenza 9.2 Mancata partecipazione alle sedute 9.3 Segnalazione delle cause di incompatibilità 10 Trattamento economico 10.1 Compenso fisso 10.2 Compenso aggiuntivo 11 Sanzioni disciplinari 11.1 Tipologia di sanzioni 11.2 Procedimento 12 Responsabilità 12.1 Presupposti per la responsabilità dei magistrati 12.2 Procedimento 13 Responsabilità amministrativa 14 Consiglio di presidenza della giustizia tributaria 14.1 Composizione 14.2 Attribuzioni del Consiglio di presidenza Capitolo 8 - Astensione e ricusazione del giudice 1 Premessa 2 Astensione 2.1 Astensione obbligatoria 2.2 Astensione facoltativa 3 Procedimento di astensione 3.1 3.2 3.3 3.4 Astensione obbligatoria Astensione facoltativa Richiesta di astensione Sostituzione del giudice 4 Ricusazione 4.1 4.2 4.3 4.4 Organo competente a pronunciarsi sulla ricusazione Procedimento di ricusazione Effetti dell’istanza di ricusazione Conclusione del procedimento 5 Mancata presentazione dell’istanza di ricusazione 6 Istanza di ricusazione (bozza) Capitolo 9 - Personale di segreteria 1 Premessa 2 Personale dell’ufficio di segreteria 2.1 Attività dell’ufficio 128 128 129 129 130 130 130 131 133 133 135 135 135 135 136 137 137 137 139 140 140 141 145 145 145 145 149 150 150 150 150 151 151 151 152 152 152 154 154 157 157 157 157 11 Indice 2.2 Personale addetto all’ufficio 3 Personale ausiliario della segreteria 4 Profili di responsabilità 4.1 Estensione della responsabilità 4.2 Responsabilità per la nullità di un atto Capitolo 10 - Parte ricorrente 1 Premessa 2 Capacità processuale o di stare in giudizio 3 Rappresentanza in giudizio 3.1 Esclusione/limitazione della capacità d’agire 3.2 Rappresentanza volontaria 4 Legittimazione ad agire 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7 Parti ricorrenti come destinatarie degli atti impositivi Parti diverse dal contribuente “accertato” Legittimazione dell’erede del contribuente defunto Rappresentanti legali di società di capitali Società estinta Società avente sede legale fuori dal territorio dello Stato Imprenditore fallito Capitolo 11 - Parte resistente e nuova organizzazione dell’Agenzia delle Entrate 1 Premessa 2 Agenzie fiscali 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Istituzione delle agenzie fiscali Direzione regionale delle entrate (contribuenti di “grandi dimensioni”) Nuovi centri operativi Incorporazione dell’Agenzia del Territorio nell’Agenzia delle Entrate Rappresentanza processuale 3 Centri operativi di Venezia e di Pescara 3.1 Centro operativo di Venezia 3.2 Centro operativo di Pescara 4 Agenti della Riscossione 4.1 Legittimazione processuale 4.2 Rappresentanza in giudizio 5 Enti locali 5.1 Rappresentanza processuale 5.2 Affidamento a terzi dell’attività di accertamento e riscossione 6 Uffici giudiziari (atti sul contributo unificato) 7 Altri soggetti Capitolo 12 - Difensore 1 Premessa 2 Soggetti abilitati all’assistenza tecnica 12 163 163 164 164 164 165 165 165 166 166 168 169 169 170 170 171 172 174 174 177 177 177 178 180 181 183 183 184 184 185 187 188 188 189 189 192 192 193 195 195 196 Contenzioso tributario 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Ambito applicativo dell’abilitazione Avvocati Consulenti del lavoro Soggetti iscritti negli elenchi tenuti presso le DRE Incompetenza per materia del difensore 3 Esclusione dall’obbligo dell’assistenza tecnica 3.1 Esclusioni oggettive 3.2 Esclusioni soggettive Capitolo 13 - Gratuito patrocinio 1 Premessa 2 Ambito soggettivo 3 Requisiti reddituali 3.1 Determinazione del reddito limite 3.2 Familiari conviventi - Computo del reddito 3.3 Controllo dell’Amministrazione finanziaria 4 Istanza per il gratuito patrocinio 4.1 4.2 4.3 4.4 Requisiti dell’istanza Sottoscrizione dell’istanza Revoca dell’istanza Impugnazione della parte soccombente (esclusione) 5 Commissione del gratuito patrocinio 5.1 Composizione della commissione 5.2 Funzioni della commissione 5.3 Commissione competente 6 Nomina del difensore 6.1 Assistenza di un avvocato 6.2 Assistenza di un difensore diverso da un avvocato 6.3 Opposizione al decreto di liquidazione del compenso 7 Trattamento delle spese del processo 7.1 Spese prenotate a debito 7.2 Spese anticipate dall’erario 8 Rivalsa dello stato per le spese anticipate 9 Modello di istanza Capitolo 14 - Procura 1 Premessa 2 Poteri del difensore attribuiti con la procura 2.1 Compimento di atti di disposizione del diritto - Esclusione 2.2 Nomina di sostituti processuali 3 Tipologie di procura 3.1 Procura generale 3.2 Procura speciale 3.3 Forma dell’incarico 4 Conferimento dell’incarico 197 198 198 198 200 200 200 203 207 207 207 207 208 208 208 209 209 210 211 211 211 211 212 212 213 213 214 215 215 215 215 215 216 219 219 219 220 221 221 222 222 222 223 13 Indice 4.1 Atto pubblico o scrittura privata autenticata 4.2 Procura in calce o a margine di un atto 4.3 Momento di conferimento dell’incarico 5 Sottoscrizione della procura 5.1 5.2 5.3 5.4 Procura non autenticata dal difensore Procura non sottoscritta dal conferente Sottoscrizione illeggibile Assenza dell’autenticazione sulla copia dell’atto 6 Procura conferita a più difensori 7 Procura conferita all’estero 7.1 Rilevanza della lex loci 7.2 Legalizzazione 7.3 Convenzione sull’abolizione della legalizzazione di atti pubblici - Effetti dell’adesione 7.4 Autenticazione da parte delle autorità consolari 7.5 Procura in calce o a margine rilasciata da soggetto residente all’estero 8 Estensione della procura conferita in primo grado 8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6 Procura nel giudizio di appello Giudizio di rinvio Procura nel processo per revocazione Procura per il procedimento esecutivo Procura per il procedimento cautelare Procura per il processo riassunto a seguito della dichiarazione di incompetenza 9 Rinuncia o revoca della procura 10 Modello di procura generale conferita per atto pubblico Capitolo 15 - Processo con pluralità di parti 1 Premessa 2 Litisconsorzio necessario 2.1 Litisconsorzio necessario e altri istituti processuali 2.2 Società di persone e altre fattispecie 2.3 Inosservanza del vincolo litisconsortile 3 Litisconsorzio facoltativo 3.1 3.2 3.3 3.4 “Liti di riscossione” “Liti catastali” Terzo interveniente Terzo chiamato in causa 4 Profili processuali del litisconsorzio 4.1 Terzo interveniente 4.2 Terzo chiamato in causa 4.3 Processo di appello 5 Atto di chiamata in causa del terzo (bozza) 6 Atto di intervento del terzo (bozza) 14 223 223 224 226 226 227 227 228 228 229 229 229 230 230 231 231 231 232 232 232 233 233 233 234 237 237 237 238 241 247 252 252 252 253 256 256 257 258 258 259 260 Contenzioso tributario Capitolo 16 - Termini processuali 1 Premessa 2 Termini legali 2.1 Termini ordinatori 2.2 Termini perentori 2.3 Termini “liberi” 2.4 Termini “comuni” 2.5 Termini giudiziali 3 Termini “a decorrenza successiva” e “a ritroso” 4 Computo dei termini 4.1 Proroga del termine coincidente con una festività 4.2 Ambito applicativo della proroga coincidente con una festività 5 Sospensione feriale dei termini processuali 5.1 Applicabilità al processo tributario 5.2 Computo del termine nel periodo di sospensione 6 Decreti di irregolare funzionamento degli uffici finanziari e proroga dei termini 6.1 Effetti del decreto sui termini 6.2 Potere di disapplicazione da parte del giudice tributario 7 Proroga dei termini per irregolare funzionamento degli uffici giudiziari Capitolo 17 - Notificazioni e comunicazioni 1 Premessa 2 Comunicazioni 2.1 Attuazione delle comunicazioni per via telematica 2.2 Omessa indicazione nel ricorso della casella PEC 2.3 Modalità “tradizionali” 3 Notificazioni 3.1 3.2 3.3 3.4 Notifiche eseguite a mezzo di ufficiale giudiziario Persone giuridiche Soggetti irreperibili Relata di notifica 4 Notificazioni a mezzo posta 4.1 Procedura indicata dalla L. 890/82 4.2 Avviso di ricevimento 5 Luogo delle comunicazioni e delle notificazioni 5.1 Consegna a mani proprie 5.2 Elezione di domicilio 5.3 Notifica presso la segreteria 6 Contribuenti non residenti Capitolo 18 - Onere della prova 1 Premessa 2 Onere della prova e processo tributario 2.1 Acquisizione probatoria 2.2 Principio di non contestazione 263 263 263 263 264 264 265 265 265 266 267 269 270 270 270 272 273 273 274 277 277 277 278 279 280 281 281 283 283 284 285 285 287 287 288 289 290 291 293 293 294 294 295 15 Indice 2.3 Fatto notorio 3 Onere della prova e parti del processo 3.1 Onere della prova ed ente impositore 3.2 Onere della prova e contribuente 4 Inversione dell’onere della prova 4.1 Presunzioni legali relative 4.2 Presunzioni legali assolute 5 Onere della prova e motivazione dell’accertamento Capitolo 19 - Poteri delle Commissioni tributarie 1 Premessa 2 Ambito di applicazione dei poteri del giudice 2.1 2.2 2.3 2.4 3 “Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato” (c.d. “ultrapetizione”) Onere della prova, poteri del giudice e sindacabilità del loro mancato esercizio Poteri istruttori del giudice e preclusioni processuali Sentenza del giudice e quantificazione dell’imposta Poteri istruttori delle commissioni tributarie 3.1 Poteri di accesso, richiesta dati e informazioni 3.2 Consulenze e relazioni tecniche 3.3 Abrogazione del c.d. “ordine di esibizione” 4 Istanza per la nomina di un consulente tecnico Capitolo 20 - Potere di disapplicazione 1 Premessa 2 Disapplicazione dei regolamenti e degli atti amministrativi generali 2.1 Aspetti processuali della disapplicazione 2.2 Ambito di applicazione del potere di disapplicazione 3 Disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza normativa 3.1 Attribuzione del potere di disapplicazione delle sanzioni 3.2 Obiettiva incertezza normativa 3.3 Eccezione di disapplicazione 4 Disapplicazione delle leggi per contrasto con il diritto comunitario Capitolo 21 - Prove 1 Premessa 2 Prova documentale 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Atto pubblico Scrittura privata Documenti non esibiti in sede di verifica Documentazione rinvenibile presso altri soggetti Produzione della documentazione non esibita nel corso del processo 3 Divieto di prova testimoniale e di giuramento 3.1 Dichiarazioni rese da terzi 3.2 Dichiarazioni di terzi rese a favore del contribuente 4 Dichiarazioni rese dal contribuente in sede di verifica 16 296 297 297 298 301 302 302 302 305 305 305 306 307 309 310 313 313 315 318 321 323 323 323 324 326 329 329 330 332 333 335 335 336 336 338 340 344 344 345 345 347 348 Contenzioso tributario 4.1 Dichiarazioni del contribuente: orientamento della Corte di Cassazione 4.2 Contenuto delle dichiarazioni 5 Prova presuntiva 5.1 Prova per presunzioni e divieto di prova testimoniale 5.2 Prova per presunzioni e ragionamento giudiziale 5.3 Struttura della presunzione semplice 6 Inutilizzabilità delle prove 7 Valenza delle risultanze penali Capitolo 22 - Comportamento processuale delle parti 1 Premessa 2 Comportamento processuale delle parti 2.1 Doveri di lealtà e probità delle parti 2.2 Espressioni sconvenienti ed offensive PARTE II - PROCESSO DI PRIMO GRADO Capitolo 23 - Reclamo e mediazione 1 Premessa 2 Mancata presentazione del reclamo 3 Ambito applicativo 3.1 Soglia dei 20.000,00 euro 3.2 Atti emessi dall’Agenzia delle Entrate 4 Procedimento 4.1 4.2 4.3 4.4 Atto di reclamo Mediazione Costituzione in giudizio Prosecuzione del processo 5 Riscossione in pendenza di giudizio 5.1 Accertamenti “esecutivi” 5.2 Cartelle di pagamento 5.3 Accertamenti su imposte d’atto e avvisi di recupero dei crediti d’imposta 6 Tutela cautelare 7 Riflessi del reclamo in appello 8 Spese processuali 9 Reclamo e altri istituti deflativi del contenzioso 9.1 9.2 9.3 9.4 Accertamento con adesione Definizione agevolata delle sanzioni Acquiescenza Definizione degli avvisi bonari 10 Fattispecie particolari 10.1 Litisconsorzio necessario (società di persone) 10.2 Obbligati solidali 10.3 Liti sulle cartelle di pagamento 11 Reclamo (bozza) 348 348 349 349 350 350 351 352 355 355 355 356 357 361 361 363 364 365 371 374 375 383 395 396 397 398 398 399 399 401 402 402 403 403 404 404 405 405 408 408 413 17 Indice Capitolo 24 - Ricorso: contenuto e notifica 1 Premessa 2 Reclamo e ricorso 3 Contenuto del ricorso 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 Indicazione del giudice adito Indicazioni relative al contribuente Indicazioni relative al difensore tecnico Indicazioni relative alla parte resistente Indicazioni relative all’atto impugnato Oggetto della domanda e motivi di ricorso Altre indicazioni Strutturazione del ricorso 4 Indicazioni da inserire nel ricorso (tabella riepilogativa) 5 Sottoscrizione del ricorso 5.1 Effetti della mancata sottoscrizione del ricorso 5.2 Sottoscrizione della copia del ricorso depositato in sede di costituzione in giudizio 5.3 Sottoscrizione del ricorso ad opera del contribuente 6 Proposizione del ricorso 6.1 Modalità di proposizione del ricorso 6.2 Proposizione entro i termini di un secondo ricorso 7 Individuazione del legittimato passivo 7.1 Notifica del ricorso contro la cartella di pagamento 7.2 Ricorso notificato a ufficio incompetente 7.3 Centro operativo di Pescara 8 Ricorso “cumulativo” e ricorso “collettivo” 8.1 Ricorso “cumulativo” 8.2 Ricorso “collettivo” 8.3 Ricorso “collettivo-cumulativo” 9 Ricorso (bozza) Capitolo 25 - Ricorso: termini per la proposizione 1 Premessa 2 Vizi di notifica dell’atto impugnato 2.1 Mancata conoscenza del provvedimento a causa del vizio di notifica 2.2 Irrituale notifica dell’accertamento e successiva notifica della cartella di pagamento 2.3 Nullità della notifica e decadenza dal potere di accertamento 2.4 Notifica di cartella di pagamento avvenuta con le forme degli “irreperibili” 3 Sospensione dei termini 3.1 3.2 3.3 3.4 Sospensione feriale dei termini Sospensione dei termini per effetto dell’istanza di accertamento con adesione Istanza di autotutela Decreti di irregolare funzionamento degli uffici 4 Notifica di un secondo atto contenente una riduzione della pretesa 18 417 417 417 418 419 420 422 423 424 425 427 428 430 431 432 432 432 434 435 440 441 442 442 443 443 443 444 444 445 449 449 451 452 453 454 454 456 457 457 460 460 460 Contenzioso tributario Capitolo 26 - Rimessione in termini 1 Premessa 2 Applicazione della rimessione nel processo tributario 2.1 2.2 2.3 2.4 Rimessione in termini e proposizione del ricorso Rimessione in termini e costituzione in giudizio Rimessione in termini e impugnazione della sentenza Rimessione in termini e atti impositivi Capitolo 27 - Atti impugnabili 1 Premessa 2 Autonomia degli atti impugnabili 3 Atti impugnabili 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 Avvisi di accertamento e di liquidazione Atti di riscossione Iscrizione di ipoteca e fermo amministrativo Rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi Atti catastali Diniego o revoca di agevolazioni Rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari Altri atti Capitolo 28 - Omessa notifica dell’atto “presupposto” 1 Premessa 2 Autonomia degli atti impugnabili e omessa notifica dell’atto “presupposto” 2.1 Omessa notifica dell’atto “presupposto” 2.2 Interpretazione della domanda proposta dal contribuente 3 Autonomia degli atti impugnabili e vizio di notifica dell’atto “presupposto” 4 Omessa notifica dell’atto “presupposto” e diretta notifica di atti esattivi ai coobbligati solidali 5 Omessa notifica dell’atto “presupposto” e fase esecutiva 5.1 Notifica di più intimazioni di pagamento 5.2 Notifica del pignoramento senza previa notificazione della cartella di pagamento/avviso di accertamento Capitolo 29 - Liti di rimborso 1 Premessa 2 Istanza di rimborso 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Termini di presentazione Proposizione dell’istanza Legittimazione all’istanza Istanza di rimborso e atti impositivi Istanza di rimborso e dichiarazione rettificativa a favore del contribuente 3 Processo di rimborso 3.1 Impugnazione del contribuente 3.2 Peculiarità delle liti di rimborso 463 463 463 464 467 467 468 469 469 471 472 474 475 478 479 480 480 481 483 493 493 493 494 497 499 501 505 505 506 509 509 510 511 515 520 522 523 523 523 527 19 Indice Capitolo 30 - Liti avverso la cartella di pagamento 1 Premessa 2 Individuazione del giudice fornito di giurisdizione 3 Competenza della Commissione tributaria 3.1 Possibile notifica di due ricorsi 3.2 Notifica di un ricorso citando entrambi i soggetti 3.3 Atti degli enti locali 4 5 6 7 8 Agente della Riscossione come parte resistente Proposizione del ricorso e costituzione in giudizio Reclamo (DL 98/2011) Tutela cautelare Individuazione del legittimato passivo 8.1 8.2 8.3 8.4 Ricorso notificato all’ufficio in luogo di Equitalia Ricorso notificato ad Equitalia in luogo dell’ufficio Posizione dell’Agenzia delle Entrate Notifica del ricorso contro i provvedimenti di iscrizione di ipoteca e di fermo amministrativo 9 Processo di appello 9.1 Notifica dell’appello a tutte le parti di primo grado 9.2 Omessa notifica dell’appello a una parte di primo grado 10 Effetti della sentenza nei confronti di Equitalia 11 Giudizio di ottemperanza Capitolo 31 - Costituzione in giudizio del ricorrente 1 Premessa 2 Profili operativi della costituzione in giudizio 2.1 Modalità per la costituzione in giudizio 2.2 Termini di costituzione in giudizio 2.3 Documentazione da depositare 3 Attestazione di conformità 3.1 Mancanza dell’attestazione di conformità 3.2 Reclamo 4 Ordine di esibizione degli originali dei documenti depositati Capitolo 32 - Costituzione in giudizio del resistente 1 Premessa 2 Profili operativi della costituzione in giudizio 2.1 Modalità di costituzione in giudizio 2.2 Documenti da depositare 2.3 Termine per la costituzione in giudizio 3 Atto di controdeduzioni 4 Costituzione tardiva 4.1 Effetti della tardività della costituzione 4.2 Ripercussioni in sede di appello 5 Mancata costituzione in giudizio 20 533 533 534 535 535 536 537 538 538 539 539 541 541 542 543 544 544 544 545 546 546 549 549 549 550 552 555 567 567 568 569 571 571 571 571 573 573 574 574 575 577 578 Contenzioso tributario Capitolo 33 - Integrazione dei motivi e memorie illustrative 1 Premessa 2 Divieto di integrazione dei motivi 3 Integrazione dei motivi resa necessaria dal deposito dei documenti delle controparti 3.1 3.2 3.3 3.4 4 Profili procedimentali Novità dei documenti Termini per l’integrazione dei motivi Inammissibilità dei motivi Memorie illustrative 4.1 Differenza tra integrazione e illustrazione dei motivi 4.2 Deposito delle memorie 5 Atto di integrazione dei motivi del ricorso (bozza) 6 Memoria illustrativa (bozza) Capitolo 34 - Produzione di documenti 1 Premessa 1.1 Nozione di documento 1.2 Contenuto della prova documentale 2 Modalità di produzione dei documenti 2.1 Deposito effettuato mediante servizio postale 2.2 Ritiro dei documenti ad opera della controparte 3 Termini per la produzione dei documenti 3.1 Natura giuridica dei termini 3.2 Rinvio dell’udienza e produzione di documenti Capitolo 35 - Iscrizione del ricorso nel registro generale, formazione del fascicolo e assegnazione del ricorso 1 Premessa 2 Iscrizione a ruolo della causa 3 Fascicolo d’ufficio 3.1 Contenuto 3.2 Poteri delle parti sul fascicolo 3.3 Smarrimento del fascicolo 4 Assegnazione del ricorso 4.1 Legittimità costituzionale dei criteri di attribuzione dei ricorsi 4.2 Direttive del consiglio di presidenza della giustizia tributaria Capitolo 36 - Inammissibilità del ricorso 1 Premessa 2 Esame preliminare del ricorso 3 Inammissibilità del ricorso 3.1 Cause di inammissibilità 3.2 Decreto di inammissibilità 3.3 Effetti dell’inammissibilità 581 581 582 583 584 584 585 587 587 588 588 590 591 593 593 593 595 595 596 597 597 597 600 601 601 602 602 602 603 603 605 605 605 607 607 608 609 610 611 611 21 Indice 4 Sospensione, interruzione ed estinzione del processo 611 Capitolo 37 - Reclamo contro i decreti presidenziali 613 613 613 613 615 615 615 618 619 1 Premessa 2 Procedimento di reclamo 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Proposizione del reclamo Deposito del reclamo Presentazione di memorie difensive Decisione sul reclamo Mancata proposizione del reclamo - Effetti 3 Atto di reclamo (bozza) Capitolo 38 - Riunione dei ricorsi 1 Premessa 2 Applicazioni pratiche della riunione dei ricorsi 2.1 Litisconsorzio necessario 2.2 Solidarietà tributaria 3 Profili processuali della riunione dei ricorsi 3.1 Provvedimento che dispone la riunione 3.2 Condizioni di applicabilità della riunione 3.3 Effetti della riunione 4 Separazione dei processi 5 Istanza di riunione dei ricorsi (bozza) Capitolo 39 - Avviso di trattazione dell’udienza 1 Premessa 2 Fissazione della data di trattazione e nomina del relatore 2.1 Fissazione della data 2.2 Nomina del relatore 2.3 C.d. “udienze riservate” 3 Avviso di trattazione dell’udienza 3.1 Comunicazione della trattazione: modalità 3.2 Condizioni di validità dell’avviso 3.3 Omissione della comunicazione 4 Rinvio dell’udienza 5 Istanza di rinvio della trattazione (bozza) Capitolo 40 - Discussione della causa 1 Premessa 2 Trattazione in Camera di consiglio 2.1 Deposito delle “brevi repliche scritte” 2.2 Discussione della causa ad opera del Collegio 3 Discussione in pubblica udienza 3.1 Istanza di trattazione in pubblica udienza 3.2 Trattazione in pubblica udienza 22 621 621 621 622 624 624 624 625 625 627 627 629 629 629 630 631 631 631 633 633 635 637 639 641 641 642 642 642 644 644 648 Contenzioso tributario 3.3 Differimento della discussione 4 Istanza di trattazione in pubblica udienza (bozza) 5 Brevi repliche (bozza) 6 Istanza per l’attivazione dei poteri istruttori (bozza) Capitolo 41 - Contraddittorio sulle questioni rilevabili d’ufficio 1 Premessa 2 Eccezioni rilevabili d’ufficio 3 Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio Capitolo 42 - C.d. “Pregiudiziale di costituzionalità” 1 Premessa 2 Questione di legittimità costituzionale 2.1 Soggetti legittimati a sollevare la questione 2.2 Condizioni della questione 2.3 Provvedimenti del giudice 3 Procedimento di fronte alla Corte Costituzionale 4 Decisioni della Corte Costituzionale 4.1 Sentenze di accoglimento 4.2 Decisioni di rigetto Capitolo 43 - C.d. “Pregiudiziale comunitaria” 1 Premessa 2 Tipi di questioni 2.1 Questione di interpretazione o di validità 2.2 Natura della questione comunitaria 3 Rimessione della questione 3.1 Soggetti legittimati a sollevare la questione 3.2 Contenuto dell’ordinanza 4 Pronuncia della Corte di Giustizia 5 Doppia pregiudizialità Capitolo 44 - Fase deliberativa 1 Premessa 2 Immutabilità del giudice 2.1 Ambito di applicazione del principio di immutabilità del giudice 2.2 Errori ed omissioni inerenti la composizione del Collegio 3 Rinvio della deliberazione 4 Deliberazione della sentenza 5 Divieto di sentenze parziali Capitolo 45 - Sentenza 1 Premessa 2 Sentenza 651 653 654 656 657 657 657 658 661 661 661 661 662 663 664 665 666 672 675 675 675 675 676 676 677 677 678 679 681 681 681 682 683 684 684 686 687 687 687 23 Indice 2.1 Redazione della sentenza 2.2 Contenuto della sentenza 3 Pubblicazione e comunicazione 3.1 Pubblicazione della sentenza 3.2 Comunicazione del dispositivo 4 Richiesta di copie delle sentenze 4.1 Pubblicità delle sentenze 4.2 Rilascio di copia di sentenze a terzi Capitolo 46 - Procedimento di correzione delle sentenze 1 2 3 4 Premessa Ambito di applicazione del procedimento di correzione delle sentenze Profili operativi del procedimento di correzione delle sentenze Istanza di correzione (bozza) Capitolo 47 - Condanna alle spese 1 Premessa 2 Oggetto della condanna alle spese 2.1 2.2 2.3 2.4 Abrogazione delle tariffe professionali Nota spese Spese liquidate a favore della parte resistente Parte privata sfornita di difensore tecnico 3 Profili processuali della condanna alle spese 3.1 Provvedimento di liquidazione delle spese 3.2 Liquidazione delle spese e rimedi processuali 4 Principio della soccombenza 5 Compensazione delle spese 5.1 Presupposti per la compensazione delle spese 5.2 Sindacato giudiziale sul provvedimento di compensazione delle spese 6 Reclamo e mediazione 7 Responsabilità processuale aggravata 7.1 Profili processuali 7.2 Profili sostanziali 8 Condanna ad una somma equitativamente determinata (L. 69/2009) 9 Distrazione delle spese 10 Nota spese (bozza) Capitolo 48 - Tutela cautelare 1 Premessa 2 Presupposti cautelari 2.1 Apparente fondatezza della pretesa (fumus boni iuris) 2.2 Danno grave e irreparabile (periculum in mora) 3 Atti oggetto di tutela cautelare 3.1 Avvisi di accertamento e atti similari 3.2 Cartelle di pagamento e avvisi di mora 24 688 688 703 704 705 706 706 707 709 709 709 711 712 715 715 716 716 718 719 720 720 721 722 723 724 724 725 726 726 727 728 729 731 731 733 733 734 734 735 737 737 741 Contenzioso tributario 3.3 Atti di diniego o revoca di agevolazioni o di rigetto di domande di definizione agevolata 3.4 Diniego di rimborso 3.5 Fermo di beni mobili registrati e iscrizione di ipoteca 4 Tutela cautelare e “liti di riscossione” 5 “Processo cautelare” 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 Giudice competente Istanza di sospensione Udienza cautelare Provvedimento presidenziale (c.d. “procedimento d’urgenza”) Ordinanza cautelare Rapporti tra fase cautelare e fase di merito 6 Tutela cautelare e sanzioni amministrative 7 Sospensione di atti volti al recupero di aiuti di stato 7.1 Aspetti sostanziali 7.2 Aspetti processuali 8 Istanza di sospensione dell’atto impugnato (bozza) 9 Istanza di sospensione nell’“eccezionale urgenza” (bozza) Capitolo 49 - Misure cautelari pro fisco 1 Premessa 2 Profili sostanziali 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 Provvedimenti legittimanti la richiesta cautelare Esigenze cautelari Ambito oggettivo della tutela cautelare Entità del credito da garantire Ambito soggettivo della tutela cautelare Tipologia delle misure cautelari Garanzia prestata dal contribuente Misure cautelari e indagini finanziarie 3 Profili processuali 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 3.9 3.10 3.11 3.12 Legittimazione ad agire Contenuto dell’istanza Notifica dell’istanza Competenza del giudice Costituzione in giudizio dell’istante/ente impositore Costituzione in giudizio del resistente/contribuente Trattazione della causa Sentenza Procedimento d’urgenza Prestazione di garanzia durante il processo Perdita di efficacia delle misure cautelari Circostanze sopravvenute: tutela del contribuente 4 Misure cautelari e istituti deflativi del contenzioso 5 Memoria difensiva (bozza) 741 741 742 743 743 745 746 748 750 751 757 757 758 758 760 763 764 767 767 768 768 770 774 775 776 777 778 778 779 780 780 780 781 781 782 782 784 784 786 786 789 790 790 25 Indice Capitolo 50 - Conciliazione giudiziale 1 Premessa 2 Soggetti legittimati a proporre la conciliazione giudiziale 3 Oggetto della conciliazione 3.1 Liti di rimborso 3.2 Conciliazione delle sanzioni 3.3 Liti soggette a reclamo (esclusione della conciliazione) 4 Controllo giudiziale dell’accordo 5 Procedimento di conciliazione 5.1 Conciliazione in udienza (rito “ordinario”) 5.2 Conciliazione fuori udienza (con rito “abbreviato”) 6 Conciliazione parziale 7 Effetti della conciliazione 7.1 7.2 7.3 7.4 Riduzione delle sanzioni amministrative Spese processuali Restituzione delle somme versate dal contribuente Effetti penali 8 Conciliazione giudiziale e rapporti plurisoggettivi 9 Riscossione delle somme 9.1 9.2 9.3 9.4 Versamento Interessi Omesso versamento delle somme o della prima rata Omesso versamento di rate successive alla prima 793 793 794 794 795 795 796 796 797 799 803 806 806 807 807 807 808 808 809 810 814 815 818 PARTE III - IMPUGNAZIONI Capitolo 51 - Impugnazioni: principi generali 1 Premessa 2 Principi generali in tema di impugnazioni 2.1 2.2 2.3 2.4 Mezzi di impugnazione Interesse ad impugnare Acquiescenza Litisconsorzio e impugnazioni 3 Termini per l’impugnazione 3.1 Termine “breve” 3.2 Termine “lungo” 3.3 Impugnazione del “contumace” involontario 4 Tutela cautelare 4.1 Ammissibilità nel contenzioso tributario 4.2 Procedimento Capitolo 52 - Ricorso in appello e appello incidentale 1 Premessa 2 Instaurazione del giudizio di appello 2.1 Competenza del giudice di appello 26 823 823 824 824 826 827 829 834 835 844 849 851 851 852 855 855 856 856 Contenzioso tributario 2.2 Legittimazione all’appello 2.3 Autorizzazione all’appello da parte della DRE (abrogazione) 3 Ricorso in appello: contenuto e termini per la proposizione 3.1 3.2 3.3 3.4 Contenuto dell’atto di appello Appello “cumulativo” Notifica del ricorso in appello Termini per la proposizione dell’appello 4 Costituzione in giudizio 4.1 Costituzione in giudizio dell’appellante 4.2 Costituzione in giudizio dell’appellato 5 Appello incidentale 5.1 Modalità e termini per la proposizione dell’appello incidentale 5.2 Appello incidentale tardivo 5.3 Rapporti tra appello principale e appello incidentale 6 Atto di appello del contribuente (bozza) 7 Atto di controdeduzioni con appello incidentale (bozza) 8 Atto di controdeduzioni con “devoluzione” (bozza) Capitolo 53 - Processo di appello 1 Premessa 1.1 1.2 1.3 1.4 Poteri dei presidenti Fase di trattazione Sentenza Processo con pluralità di parti 2 Effetto “devolutivo” dell’appello 2.1 Questioni ed eccezioni non riproposte 2.2 Ambito di applicazione della “devoluzione” 3 Divieto di domande nuove e di nuove eccezioni 3.1 Divieto di ius novorum e parti del processo 3.2 Ambito di applicazione del divieto 4 Appello e istruzione probatoria 4.1 Perentorietà del termine e facoltà di produzione di nuovi documenti in appello 4.2 Profili operativi 5 Rimessione della causa al giudice di primo grado (c.d. “appello rescindente”) 5.1 Cause di rimessione della lite in primo grado 5.2 Prosecuzione del processo dinanzi al giudice di primo grado 6 Non riproponibilità dell’appello dichiarato inammissibile (c.d. “consumazione del gravame”) 6.1 Mancanza della dichiarazione di inammissibilità 6.2 Rispetto del termine per l’impugnazione 7 Appello principale, incidentale e “devoluzione” (riepilogo) 8 Memoria di riassunzione a seguito di rimessione (bozza) Capitolo 54 - Revocazione 1 Premessa 857 858 858 858 867 867 873 874 874 885 887 890 892 893 895 897 898 901 901 902 903 904 905 906 908 909 910 911 912 914 915 916 917 918 922 923 924 925 926 928 931 931 27 Indice 2 Motivi di revocazione 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 Dolo di una delle parti a danno dell’altra Prove riconosciute o dichiarate false Rinvenimento di documenti decisivi “Errore revocatorio” “Conflitto teorico tra giudicati” Dolo del giudice 3 Profili processuali 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 Sentenze revocabili e rapporti con gli altri mezzi di gravame Giudice competente Ricorso per revocazione Procedimento Impugnazioni 4 Ricorso per revocazione ordinaria (bozza) 5 Ricorso per revocazione straordinaria (bozza) Capitolo 55 - Ricorso per Cassazione: caratteristiche generali 1 Premessa 2 Presupposti del ricorso 2.1 Interesse ad agire 2.2 Oggetto del giudizio di cassazione 3 Motivi del ricorso 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 Motivi di giurisdizione Violazione della competenza Violazione o falsa applicazione di norme di diritto Nullità della sentenza e del procedimento Omesso esame di un fatto decisivo per la controversia 4 Requisiti di forma del ricorso 4.1 4.2 4.3 4.4 Norme e fatti di riferimento Specificità ed autosufficienza Quesito di diritto Contenuto del ricorso Capitolo 56 - Processo in Cassazione 1 Premessa 2 Proposizione del ricorso per Cassazione 2.1 Termini 2.2 Deposito del ricorso 3 Svolgimento del processo 3.1 Camera di consiglio 3.2 Udienza pubblica 4 Decisioni della Corte 4.1 Ordinanza di rigetto 4.2 Ordinanza che dichiara l’inammissibilità o l’improcedibilità 4.3 Rinuncia al ricorso 28 933 933 934 936 937 939 941 941 941 946 946 949 950 950 952 955 955 956 956 957 957 958 958 958 959 961 961 962 962 962 963 965 965 965 965 966 967 967 969 969 970 970 970 Contenzioso tributario 4.4 Sentenze di accoglimento del ricorso 5 Definizione delle liti pendenti in cassazione (DL 40/2010) 5.1 Termini per la presentazione dell’istanza 5.2 Compatibilità con l’ordinamento comunitario Capitolo 57 - Giudizio di rinvio 1 Premessa 2 Processo di rinvio 2.1 Riassunzione del processo 2.2 Svolgimento del processo riassunto 2.3 Riscossione delle somme in caso di rinvio 3 Atto di riassunzione del processo (bozza) 971 972 972 973 975 975 976 976 982 985 987 PARTE IV - ESECUZIONE DELLA SENTENZA Capitolo 58 - Giudicato 1 Premessa 1.1 Regime “processuale” del giudicato 1.2 Giudicato e diritto comunitario 1.3 Ambito di applicazione del giudicato esterno 2 Eccezione di giudicato 2.1 Rilevabilità d’ufficio dell’eccezione 2.2 Eccezione di giudicato e imposte diverse 3 Efficacia del giudicato tra giurisdizioni (c.d. “circolazione del giudicato”) 3.1 Giudicato civile 3.2 Giudicato penale 3.3 Giudicato amministrativo 4 Giudicato e autonomia dei periodi d’imposta 4.1 Carattere “ultrattivo” del giudicato 4.2 Ambito di applicazione dell’ultrattività del giudicato 5 Giudicato e autotutela 5.1 Giudicato di rigetto e annullamento dell’atto impugnato 5.2 Giudicato di accoglimento e potere di “autotutela sostitutiva” 6 Giudicato e reiterazione del potere impositivo 7 Giudicato e liti di riscossione 8 Ulteriori applicazioni del giudicato esterno nel diritto tributario 8.1 Giudicato e redditi prodotti in forma associata 8.2 Giudicato e solidarietà tributaria Capitolo 59 - Riscossione del tributo in pendenza di giudizio 1 Premessa 2 Riscossione del tributo in pendenza di giudizio (imposte sui redditi, IRAP e imposta sul valore aggiunto) 2.1 Iscrizioni a ruolo a titolo definitivo 2.2 Iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio 991 991 992 994 995 996 996 997 997 998 998 1001 1001 1002 1003 1006 1006 1007 1007 1009 1009 1009 1009 1013 1013 1015 1015 1018 29 Indice 2.3 Accertamenti antielusivi (art. 37-bis del DPR 600/73) 2.4 Accertamenti esecutivi (DL 78/2010) 3 Riscossione del tributo in pendenza di giudizio (imposte indirette) 3.1 Imposta di registro 3.2 Imposte ipotecaria e catastale 3.3 Imposte di successione e di donazione 4 5 6 7 Diminuzione della pretesa e computo dei due terzi Riscossione del tributo in pendenza di giudizio (tributi locali) Riscossione del tributo in pendenza di giudizio (accise e dazi) Riscossione delle sanzioni in pendenza di giudizio 7.1 Iscrizione a ruolo delle sanzioni 7.2 Sanzioni derivanti da iscrizioni a ruolo a titolo definitivo 8 Ruoli straordinari 9 Versamenti delle somme 9.1 Cartella di pagamento 9.2 Accertamenti esecutivi 10 Decadenza per la richiesta delle somme Capitolo 60 - Esecuzione delle sentenze di accoglimento 1 Premessa 2 Diritto al rimborso scaturente dalla sentenza 2.1 Rimborso delle somme versate 2.2 Inottemperanza all’obbligo di rimborso 3 Sospensione legale della riscossione 3.1 3.2 3.3 3.4 4 5 6 7 Motivi che possono cagionare il blocco della riscossione Procedura Effetti della dichiarazione del contribuente Termine entro cui inviare la domanda Rilascio della sentenza in forma esecutiva Ricorsi contro gli atti di classamento Richiesta di sentenza uso notifica (bozza) Richiesta di sentenza in forma esecutiva (bozza) Capitolo 61 - Giudizio di ottemperanza 1 Premessa 2 Azione di ottemperanza e esecuzione forzata 3 Presupposti per l’azione di ottemperanza 3.1 Esistenza di un giudicato di condanna 3.2 Inadempimento dell’ente impositore 3.3 Termine previsto per l’adempimento 4 Processo di ottemperanza 4.1 4.2 4.3 4.4 30 Competenza Parti del processo Struttura del ricorso e deposito dei documenti Fissazione dell’udienza 1020 1021 1022 1023 1024 1025 1026 1026 1027 1028 1028 1028 1029 1030 1030 1032 1034 1037 1037 1038 1038 1039 1040 1040 1041 1043 1044 1047 1048 1049 1049 1051 1051 1052 1052 1053 1056 1057 1058 1061 1064 1065 1068 Contenzioso tributario 4.5 Esecuzione della sentenza inottemperata 4.6 Impugnazioni 4.7 Liquidazione delle spese del giudizio di ottemperanza 5 Messa di mora (bozza) 6 Ricorso in ottemperanza (bozza) 1070 1074 1076 1077 1078 PARTE V - VICENDE DEL PROCESSO TRIBUTARIO Capitolo 62 - Sospensione del processo 1 Premessa 2 Sospensione necessaria 2.1 Querela di falso 2.2 Questioni sullo stato e la capacità delle persone 3 Sospensione per “pregiudizialità” 3.1 Sospensione necessaria e processo tributario (art. 295 c.p.c.) 3.2 “Pregiudizialità interna” 3.3 “Pregiudizialità esterna” 4 Aspetti processuali della sospensione 4.1 Provvedimento di sospensione e suoi effetti 4.2 Ripresa del processo 5 Istanza di riassunzione (bozza) Capitolo 63 - Interruzione del processo 1 Premessa 2 Cause dell’interruzione 2.1 Eventi concernenti la parte (fallimento e società estinta) 2.2 Eventi concernenti il rappresentante legale della parte 2.3 Eventi concernenti il difensore della parte 3 Effetti dell’evento interruttivo 3.1 Momento di verificazione dell’evento interruttivo 3.2 Operatività degli effetti interruttivi 4 Provvedimenti sull’interruzione 4.1 Interruzione dichiarata dal presidente di sezione 4.2 Interruzione dichiarata dalla commissione 5 Effetti dell’interruzione 5.1 Effetti sugli atti 5.2 Effetti sui termini 6 Ripresa del processo interrotto 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 Soggetti legittimati Istanza di trattazione Termini Comunicazione della trattazione dopo la riassunzione Effetti della mancata riassunzione 7 Istanza di trattazione (bozza) 1083 1083 1083 1083 1085 1086 1086 1087 1088 1089 1089 1091 1093 1095 1095 1095 1096 1101 1102 1103 1104 1106 1108 1108 1109 1109 1109 1110 1110 1110 1111 1111 1112 1112 1113 31 Indice Capitolo 64 - Estinzione del processo 1 Premessa 2 Estinzione del processo per rinuncia al ricorso 2.1 Dichiarazione di rinuncia 2.2 Accettazione della rinuncia 2.3 Rimborso delle spese processuali 3 Estinzione del processo per inattività delle parti 3.1 Rilevabilità d’ufficio dell’estinzione ed inefficacia degli atti 3.2 Spese processuali 4 Estinzione del processo per cessazione della materia del contendere 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 Annullamento dell’atto impositivo Riduzione della pretesa in corso di causa Obbligazioni solidali Liti di rimborso Spese processuali 5 Dichiarazione di estinzione del processo 5.1 Reclamo contro il decreto presidenziale di estinzione 5.2 Effetti dell’estinzione Capitolo 65 - Successione nel processo 1 Premessa 2 Successione 2.1 Successione a titolo universale o particolare 2.2 Ipotesi di successione nel processo 1115 1115 1115 1116 1117 1118 1118 1119 1119 1120 1120 1123 1124 1125 1125 1127 1128 1128 1131 1131 1131 1131 1132 PARTE VI - CONTRIBUTO UNIFICATO ATTI GIUDIZIARI Capitolo 66 - Contributo unificato e diritti di copia 1 2 3 4 Premessa Decorrenza Presupposto impositivo Determinazione del contributo unificato 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7 4.8 4.9 Avvisi di accertamento e cartelle di pagamento Atti irrogativi di sanzioni Fermi di auto e ipoteche Rimborsi chiesti dal contribuente Atti di valore indeterminabile Società di persone (tributi imputati per trasparenza) Consolidato fiscale Obbligazioni solidali Liti di riscossione 5 Debenza del contributo unificato 5.1 Ricorso con successiva richiesta di sospensione giudiziale 5.2 Ricorso contro accertamento e successiva cartella di pagamento 5.3 Appello 32 1137 1137 1138 1138 1139 1140 1141 1142 1142 1142 1143 1144 1145 1145 1145 1145 1145 1146 Contenzioso tributario 5.4 Reclamo (atti notificati dall’1.4.2012) 5.5 Giudizio di ottemperanza 5.6 Altre “vicende processuali” 6 Soggetto tenuto al pagamento 7 Versamento del contributo unificato 7.1 Versamento mediante conto corrente postale 7.2 Versamento mediante modello F23 7.3 Versamento presso le tabaccherie convenzionate 8 Omesso/insufficiente versamento 8.1 Invito al pagamento delle somme 8.2 Sanzioni amministrative 9 10 11 12 13 14 Maggiorazione della metà del contributo unificato Dichiarazione di valore della causa Rimborso del contributo Liti sulla debenza del contributo unificato Modulistica Diritti di copia 14.1 Certificazione di conformità 14.2 Versamento 14.3 Tabelle per la debenza dei diritti di copia 1148 1148 1149 1150 1151 1151 1152 1153 1153 1154 1155 1156 1157 1158 1158 1158 1162 1162 1162 1162 PARTE VII - DEFINIZIONE DELLE LITI PENDENTI Capitolo 67 - Definizione delle liti pendenti 1 Premessa 2 Pendenza della lite al 31.12.2011 2.1 Inammissibilità del ricorso 2.2 Formazione del giudicato 2.3 Liti pendenti dinanzi al giudice ordinario 3 Ambito applicativo della definizione 3.1 Atti emessi dall’Agenzia delle Entrate 3.2 Limite di valore di 20.000,00 euro 4 Liti condonabili 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7 4.8 Avvisi di accertamento/irrogazione di sanzioni Avvisi di liquidazione Cartelle di pagamento Avvisi di recupero di crediti d’imposta Atti di diniego o di revoca di agevolazioni Atti di valore indeterminabile Liti di rimborso Liti relative a precedenti condoni 5 Versamento delle somme 5.1 Effettuazione dei versamenti e prosecuzione della riscossione 5.2 Determinazione del valore della lite 5.3 Somme già versate per effetto della riscossione frazionata 1167 1167 1168 1169 1171 1175 1175 1176 1178 1183 1184 1184 1185 1189 1189 1189 1189 1190 1190 1192 1193 1193 33 Indice 5.4 5.5 5.6 5.7 Determinazione delle somme da versare Errore scusabile per irregolarità dei versamenti Compilazione del modello F24 Esempio di compilazione del modello F24 6 Domanda di definizione 6.1 Compilazione del modello 6.2 Esempio di compilazione del modello 7 Sospensione dei processi 7.1 Istanza di sospensione 7.2 Contribuente che non intende definire la lite 8 Società di persone e obbligazioni solidali 8.1 Obbligazioni solidali 8.2 Società di persone 8.3 Consolidato fiscale 9 Valori fiscali riconosciuti al contribuente 9.1 Perdite fiscali 9.2 Svalutazione partecipazioni 9.3 Ammortamenti 10 Adempimenti degli uffici ed estinzione del processo 10.1 Certificazione di regolarità della definizione 10.2 Estinzione del giudizio 11 Diniego di condono 11.1 Ricorso contro il diniego in pendenza di giudizio 11.2 Ricorso contro il diniego in pendenza dei termini di impugnazione 11.3 Necessità di reclamo/mediazione 12 Compatibilità con il diritto comunitario (IVA) 13 Effetti penali del condono sulle liti pendenti 13.1 Circostanza attenuante 13.2 Patteggiamento 1195 1202 1203 1204 1206 1206 1208 1210 1211 1211 1212 1213 1215 1216 1216 1216 1218 1218 1218 1219 1219 1220 1221 1223 1224 1225 1125 1226 1226 PARTE VIII - APPENDICE Check list processo in Commissione tributaria provinciale Check list processo in Commissione tributaria regionale Check list contributo unificato Check list definizione delle liti pendenti 1229 1231 1233 1235 Indice analitico 1239 34 PARTE I ORGANI E OGGETTO DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA 359 360 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. 1 PROCESSO TRIBUTARIO E APPLICABILITÀ DELLE NORME DEL C.P.C. DLgs. 546/92 1 Giurisprudenza Corte Cost. 19.3.96 n. 82; Corte Cost. 12.3.98 n. 53; Cass. 2.4.2007 n. 8129; Cass. 15.7.2008 n. 19367; Cass. 3.12.2010 n. 24614 1 PREMESSA Gli atti emanati dall’Amministrazione finanziaria possono essere sottoposti a sindacato da parte del giudice tributario. Infatti, l’art. 24 Cost. impone che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, e che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Anche nel processo tributario sono quindi operanti i principi costituzionali in tema di “giusto processo”. Pertanto, trova piena applicazione l’art. 111 Cost., secondo cui: ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale; la legge ne assicura la ragionevole durata; tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. La disciplina del processo tributario è contenuta nei seguenti testi normativi: DLgs. 545/92, che concerne l’organizzazione della magistratura tributaria; DLgs. 546/92, che riguarda le modalità di svolgimento del contenzioso tributario. 2 PROCESSO TRIBUTARIO Il processo tributario, come si avrà modo di evidenziare, è ispirato ai principi processual-civilistici. Infatti, il contenzioso tributario è un processo: dispositivo, nel senso che la materia del contendere è delineata dalle parti, e non può essere ampliata dal giudice; caratterizzato dall’impulso di parte. Il contenzioso tributario è un processo di impugnazione: infatti, è sempre instaurato mediante l’impugnazione, entro termini previsti a pena di decadenza, di un atto emanato dall’Amministrazione finanziaria (avviso di accertamento, cartella di pagamento, diniego di rimborso). Dalla natura impugnatoria del processo discende che: 37 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. 2.1 il ricorso è ammissibile solo se presentato entro i termini decadenziali previsti per l’impugnazione dei provvedimenti impositivi; l’estinzione del processo comporta, in linea di principio, la definitività dell’atto; non sono ammesse le azioni di accertamento (il contribuente non può, in assenza di un atto impositivo, adire il giudice tributario al fine di ottenere una sentenza dichiarativa, ad esempio, dell’insussistenza dell’obbligazione tributaria). PRINCIPI COSTITUZIONALI La giurisdizione tributaria deve essere attuata sulla base dei postulati costituzionali in tema, appunto, di giurisdizione. In particolare, occorre che la giurisdizione venga attuata nel rispetto dei principi: di indipendenza del giudice (art. 104 Cost.); del “giusto processo” (art. 111 Cost.). 2.1.1 Indipendenza del giudice L’art. 101 Cost. prevede che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, e l’art. 104 specifica che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Gli artt. 101 e 104 Cost. affermano quindi che il giudice deve essere indipendente sotto il profilo: funzionale, che consiste nella possibilità di giudicare senza altra soggezione che non sia quella di legge; organizzativo, dato dall’autonomia del giudice rispetto a ogni altro potere. In virtù del richiamato art. 104 Cost., la magistratura tributaria deve essere indipendente da ogni altro potere, con particolare riferimento al potere esecutivo. Di conseguenza, sarebbe incostituzionale una norma che prevedesse la possibilità, per soggetti facenti parte dell’Amministrazione finanziaria, di essere nominati giudici. Si evidenzia che, sotto il vigore del DPR 636/72, molte norme erano idonee a compromettere l’indipendenza del giudice. A titolo esemplificativo, ai sensi dell’ormai abrogato art. 35 del suddetto decreto, il giudice poteva delegare la fase istruttoria alla Guardia di Finanza. Con la sentenza 24.11.82 n. 196, la Corte Costituzionale ha asserito che l’indipendenza del giudice tributario è assicurata: dalla nomina dei magistrati a tempo indeterminato; dalla previsione di cause di incompatibilità con la carica di giudice; dall’attribuzione del potere di nomina ad organismi estranei all’Amministrazione finanziaria. 2.1.2 “Giusto processo” L’art. 111 co. 1 Cost. impone che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. 38 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. Tale disposizione individua i principi del “giusto processo”, operanti, di conseguenza, anche nel processo tributario. La norma prevede che il processo si deve svolgere: nel contraddittorio tra le parti; in condizione di parità; davanti ad un giudice terzo e imparziale; nel rispetto del principio della ragionevole durata. Principio della ragionevole durata e “equo indennizzo” L’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo stabilisce che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole”. In attuazione di ciò, la c.d. “Legge Pinto” (L. 89/2001) ha contemplato un apposito procedimento strumentale all’ottenimento di un’equa “riparazione in caso di violazione del termine di ragionevole durata del processo”. Secondo la giurisprudenza, la c.d. “equa riparazione” non può trovare applicazione nel processo tributario. Tuttavia la Corte di Cassazione ha sancito che, sebbene, in linea di principio, il diritto al risarcimento del danno non possa essere attribuito in relazione all’eccessiva durata del rito tributario, esso può sussistere: nelle controversie devolute alla giurisdizione tributaria “che non investano la determinazione del tributo ma solo aspetti a questo consequenziali, come, esemplificando, nel caso del giudizio di ottemperanza”; in merito alla materia penale, intesa come nozione autonoma, quindi comprensiva “delle controversie relative all’applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in sanzioni detentive ovvero siano, per la loro gravità, assimilabili, sul piano della afflittività ad una sanzione penale” (Cass. 15.7.2008 n. 19367). Successivamente, in sostanza mitigando quanto sostenuto, la Suprema Corte ha affermato che la Legge Pinto non può trovare applicazione nemmeno con riferimento alle sanzioni amministrative, in quanto violazioni strettamente connesse al tributo (Cass. 3.12.2010 n. 24614). Occorre peraltro rilevare che una “timida” apertura nei confronti dell’applicabilità di ciò nel rito tributario proviene dal legislatore che, con il DL 40/2010 (art. 3 co. 2-bis), ha stabilito che, ove il contribuente avesse inteso beneficiare della definizione delle liti ultradecennali pendenti in Cassazione, avrebbe dovuto rinunciare ad ogni richiesta di risarcimento ai sensi, appunto, della Legge Pinto. Il dubbio che ci si può porre è il seguente: se la L. 89/2001 pacificamente non opera nel processo tributario, non vi sarebbe stata alcuna necessità di contemplare la rinuncia ad avvalersi dei benefici previsti da detta legge, ma così non è stato. 39 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. 2.2 PROCESSO DI PRIMO GRADO L’atto introduttivo del processo tributario è il ricorso, che deve essere redatto e notificato all’ente impositore in osservanza degli artt. 18 e 20 del DLgs. 546/92. Il primo grado di giudizio si svolge dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, e può essere in tal modo schematizzato: notifica del ricorso all’ente che ha emanato il provvedimento, entro sessanta giorni dalla notifica del medesimo (art. 20 del DLgs. 546/92); costituzione in giudizio del contribuente, entro trenta giorni dalla notifica del ricorso (art. 22 del DLgs. 546/92); costituzione in giudizio del resistente, entro sessanta giorni dalla ricezione del ricorso (art. 23 del DLgs. 546/92); formazione del fascicolo del processo ad opera della segreteria e relativa sottoposizione al presidente della Commissione (art. 25 del DLgs. 546/92); assegnazione del ricorso ad una Sezione da parte del presidente della Commissione (art. 26 del DLgs. 546/92); esame preliminare del ricorso ad opera del presidente di sezione (art. 27 del DLgs. 546/92); fissazione dell’udienza e relativa comunicazione alle parti; espletamento di attività difensive ad opera delle parti, da svolgersi secondo l’osservanza dei seguenti termini: venti giorni liberi prima dell’udienza, per la produzione dei documenti; dieci giorni liberi prima dell’udienza, per la produzione di memorie illustrative; cinque giorni liberi prima dell’udienza, per la produzione delle memorie di replica, nel solo caso in cui la trattazione avvenga in Camera di consiglio (art. 32 del DLgs. 546/92); trattazione della causa, in pubblica udienza o in Camera di consiglio (artt. 33 e 34 del DLgs. 546/92); emanazione della sentenza (art. 36 del DLgs. 546/92). Ora, per effetto delle modifiche del DL 98/2011, per le liti su atti emessi dall’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a 20.000,00 euro, il contribuente, in luogo del ricorso, è tenuto a notificare il reclamo e ad esperire una previa fase amministrativa, dove la lite può essere definita anche tramite mediazione (art. 17bis del DLgs. 546/92). Dichiarazione di inammissibilità in sede di esame preliminare del ricorso Successivamente alla costituzione in giudizio delle parti, il presidente di sezione procede ad un primo esame del ricorso. In tale fase, egli può dichiararne l’inammissibilità, se manifesta (art. 27 del DLgs. 546/92). A fronte di ciò, il contribuente può proporre reclamo dinanzi al collegio, che: 40 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. se lo respinge, dichiara l’inammissibilità con sentenza soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione; se lo accoglie, dispone la prosecuzione del giudizio (art. 28 del DLgs. 546/92). Notifica del ricorso (entro 60 giorni dalla ricezione dell’atto impositivo) Costituzione in giudizio del contribuente (entro 30 giorni dalla notifica del ricorso) Costituzione in giudizio dell’ente impositore (entro 60 giorni dalla ricezione del ricorso) Formazione del fascicolo del processo a cura della segreteria Esame preliminare del ricorso (ad opera del presidente di sezione) dichiarazione di inammissibilità inerzia del contribuente comunicazione dell’udienza da parte della segreteria reclamo al collegio produzione di documenti e di memorie discussione o trattazione della causa definitività dell’atto sentenza di inammissibilità accoglimento del reclamo appello prosecuzione del giudizio sentenza Fig. 1 - Processo di primo grado Tutela cautelare La proposizione del ricorso non sospende, di norma, l’efficacia esecutiva dell’atto. Pertanto, la riscossione delle somme prosegue nel rispetto delle norme sulla riscossione in pendenza di giudizio. Ciò premesso, il contribuente può, ai sensi dell’art. 47 del DLgs. 546/92, chiedere al giudice di sospendere l’efficacia esecutiva dell’atto. 41 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. 2.3 IMPUGNAZIONI Le sentenze delle Commissioni tributarie possono essere impugnate mediante: appello; revocazione; ricorso per Cassazione (art. 50 del DLgs. 546/92). Le pronunce delle Commissioni tributarie provinciali possono essere impugnate tramite: appello; revocazione straordinaria. Invece, le sentenze delle Commissioni tributarie regionali possono essere gravate da: ricorso per Cassazione; revocazione ordinaria; revocazione straordinaria. Sentenze della Commissione tributaria provinciale appello revocazione straordinaria ricorso per Cassazione Sentenze della Commissione tributaria regionale revocazione ordinaria revocazione straordinaria Fig. 2 - Impugnazioni Processo di appello Il giudizio dinanzi alla Commissione tributaria regionale può essere in tal modo schematizzato: notifica del ricorso in appello (art. 52 del DLgs. 546/92); se l’appello non è stato notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, deposito di copia dell’appello presso la segreteria del giudice di primo grado (art. 53 del DLgs. 546/92); costituzione in giudizio dell’appellante, entro trenta giorni dalla notifica dell’appello (art. 53 del DLgs. 546/92); costituzione in giudizio dell’appellato, entro sessanta giorni dalla ricezione dell’appello. In tal sede quest’ultimo può: proporre appello incidentale; riproporre le questioni disattese o non esaminate in primo grado (art. 54 del DLgs. 546/92); produzione di documenti e di memorie; trattazione della causa (in Camera di consiglio o in pubblica udienza); sentenza del giudice di appello: di riforma, totale o parziale, della sentenza del giudice di primo grado; 42 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. di conferma della sentenza del giudice di primo grado; di rimessione della causa in primo grado (art. 59 del DLgs. 546/92). 2.4 FASE ESECUTIVA Le sentenze del giudice tributario sono immediatamente esecutive. In caso di sentenza favorevole al contribuente, l’ente impositore, ai sensi dell’art. 68 del DLgs. 546/92, deve rimborsare le somme eventualmente versate nel corso del giudizio entro novanta giorni dalla notifica della sentenza. Tuttavia, qualora l’ente non adempiesse al “comando” contenuto nella sentenza, il contribuente deve, per tutelare i propri diritti, attendere la formazione del giudicato, e, alternativamente o congiuntamente: agire in ottemperanza (art. 70 del DLgs. 546/92); avviare l’espropriazione forzata. 2.5 PROCESSO TRIBUTARIO TELEMATICO Il DL 98/2011 ha istituito la prima norma concernente il c.d. “processo tributario telematico”, introducendo il co. 1-bis nell’art. 16 del DLgs. 546/92. Per effetto di ciò, ora le comunicazioni possono avvenire in via telematica, mediante utilizzo della posta elettronica certificata. A tal fine, è anche previsto che: l’indirizzo della casella PEC debba essere indicato nell’atto introduttivo del giudizio; l’omissione di ciò comporta una maggiorazione del 50% del contributo unificato. Inoltre, nell’art. 39 del DL 98/2011 è precisato che, con regolamento governativo, che avrebbe dovuto essere emanato entro il 3.1.2012, sarebbero state introdotte “disposizioni per il più generale adeguamento del processo tributario alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Decreti di attuazione delle comunicazioni telematiche Con vari decreti, sono state dettate le istruzioni operative per le comunicazioni delle segreterie delle Commissioni tributarie che devono avvenire in via telematica, ora operanti in tutta Italia. 2.5.1 Prenotazione degli appuntamenti con la segreteria in via telematica A decorrere dall’1.12.2010, è stato attivato il servizio di prenotazioni on line che consente ai contribuenti di prenotare eventuali appuntamenti con le segreterie delle Commissioni tributarie, al fine, ad esempio, di richiesta copie di sentenze o di ricezione atti. Il servizio è attivo su quasi tutto il territorio nazionale, ed è accessibile attraverso il sito Internet www.finanze.it, entrando nella voce “Giustizia tributaria”. 43 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. 2.5.2 Monitoraggio dello stato del processo per via telematica Accedendo al sito Internet www.finanze.it voce “Giustizia tributaria”, è possibile monitorare lo stato di avanzamento del contenzioso, essendo abilitati ai servizi Entratel o Fisconline. Nel menzionato sito Internet è evidenziato che, per ogni ricorso, è possibile conoscere: i dati generali, come il numero della sezione della Commissione tributaria a cui è stato assegnato; i contenuti del fascicolo processuale; la data di udienza; la composizione del Collegio giudicante; l’esito della controversia e il testo della pronuncia. 3 APPLICABILITÀ DELLE NORME DEL C.P.C. Il processo civile è il paradigma processuale di riferimento del rito tributario. Infatti, l’art. 1 co. 2 del DLgs. 546/92 stabilisce che “i giudici tributari applicano le norme del suddetto decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”. Pertanto, l’operatività delle disposizioni del codice di procedura civile è subordinata a due condizioni, in quanto la norma codicistica: non deve riguardare un istituto disciplinato dal decreto sul processo tributario; deve essere compatibile con la natura impugnatoria del rito fiscale. Come specificato dalla Relazione ministeriale al DLgs. 546/92, la disciplina del codice di procedura civile, ivi comprese le disposizioni attuative, è applicabile nel rispetto “del doppio criterio dell’esistenza di una lacuna nella normativa speciale e della compatibilità della disciplina generale del codice di proceduta civile con quella specialmente prevista nel decreto”. In questo paragrafo si intende illustrare per linee generali il criterio con cui l’interprete può ritenere o meno applicabili al processo tributario le norme processualcivilistiche. Le singole problematiche verranno trattate nei capitoli di competenza. 3.1 CRITERI DI APPLICABILITÀ DELLE NORME DEL C.P.C. L’applicabilità delle disposizioni codicistiche deve essere vagliata alla luce della ratio delle norme del DLgs. 546/92. A titolo esemplificativo, dall’esclusione del giuramento ai sensi dell’art. 7 del DLgs. 546/92 deriva l’inapplicabilità delle norme in tema di interrogatorio formale (artt. 228 ss. c.p.c.), posto che quest’ultimo è strumentale a stimolare la confessione della parte, che, a sua volta, ha gli stessi effetti del giuramento. Per contro, si ritiene ammissibile l’interrogatorio libero delle parti, in quanto costituisce elemento valutabile dal giudice (art. 117 c.p.c.). 44 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. Talvolta, l’operatività di un complesso di norme codicistiche è contemplata dal legislatore. Si pensi: alla disciplina sull’astensione e sulla ricusazione del giudice (art. 6 del DLgs. 546/92); alla disciplina sul personale di segreteria (art. 9 del DLgs. 546/92); alle notificazioni (art. 16 del DLgs. 546/92); alla compensazione delle spese (art. 15 del DLgs. 546/92); alle impugnazioni in generale (art. 49 del DLgs. 546/92); al ricorso per Cassazione (art. 62 del DLgs. 546/92). In altri casi, è lo stesso DLgs. 546/92 a sancire l’esclusione di determinate norme del codice di procedura civile. Si evidenziano le seguenti ipotesi: il regolamento di competenza (art. 5 del DLgs. 546/92); le sentenze parziali o limitate ad alcune domande (art. 35 del DLgs. 546/92). Per esigenze di giustizia sostanziale, l’esclusione di una norma codicistica è stata a volte interpretata restrittivamente. Ad esempio, sebbene l’art. 5 del DLgs. 546/92 escluda espressamente il regolamento di competenza, la giurisprudenza ha stabilito che tale mezzo di impugnazione è ammesso per impugnare non la sentenza relativa all’incompetenza bensì l’ordinanza di sospensione necessaria del processo (Cass. 2.4.2007 n. 8129). Per approfondimenti si rinvia al cap. 4 “Competenza”. In molti casi, l’applicabilità della norma è demandata all’interprete, basti pensare, a titolo esemplificativo: alla rimessione in termini (art. 153 co. 2 c.p.c.); alla litispendenza (art. 39 c.p.c.); alla continenza (art. 39 c.p.c.); alla procura (artt. 83 e 84 c.p.c.); alla responsabilità processuale aggravata (art. 96 c.p.c.); alla sospensione necessaria del processo (art. 295 c.p.c.); ai poteri attribuiti al giudice civile in sede istruttoria; al provvedimento cautelare d’urgenza (art. 700 c.p.c.). Applicabilità delle norme del codice civile richiamate dal codice di procedura civile Nel processo tributario si ritengono applicabili le norme del codice civile richiamate dal codice di procedura civile. Come si evidenzierà nel cap. 21 “Prove”, sono operanti, tra gli altri, gli articoli del codice civile in tema di onere della prova (artt. 2697 ss.) e di prova per presunzioni (artt. 2727 ss.). Applicabilità delle norme del codice di procedura civile e giurisprudenza costituzionale La Corte Costituzionale si è più volte pronunciata in merito all’operatività, nel processo tributario, delle norme del codice di procedura civile. 45 Cap. 1 - Processo tributario e applicabilità delle norme del c.p.c. Con la sentenza 12.3.98 n. 53, la Consulta ha stabilito che il modello rituale civile non necessariamente deve essere assunto come parametro per il contenzioso tributario, in virtù del suo carattere peculiare. Inoltre, con la pronuncia 19.3.96 n. 82, essa ha sancito che: non esiste un principio costituzionalmente rilevante di uniformità dei modelli processuali, pertanto, i diversi riti possono differenziarsi sulla base di scelte discrezionali del legislatore, derivanti dal tipo di configurazione del processo e dalla situazione sostanziale dedotta in giudizio. 3.2 APPLICABILITÀ DI NORME RELATIVE AD ALTRI MODELLI PROCESSUALI Il processo civile non è l’unico modello processuale al quale il rito tributario può ritenersi ispirato. Infatti, alcuni autori hanno sostenuto che tale rito, per il suo carattere impugnatorio, pare più simile al processo amministrativo che a quello civile. Per questo motivo, non è da escludere che, in linea di principio, l’interprete, in presenza di lacune, possa fare riferimento alle norme sul processo amministrativo. 4 CONSIDERAZIONI GENERALI Il processo tributario è caratterizzato da una forte disparità, sia sostanziale sia processuale, sussistente tra le parti. La posizione di supremazia degli uffici finanziari non si esaurisce al termine dell’attività di verifica ma si protrae, sotto determinati aspetti, anche nel processo. Come si evidenzierà nei capitoli di riferimento: l’omessa o tardiva costituzione in giudizio del resistente non comporta, a differenza di quanto avviene per il contribuente, alcuna inammissibilità; il contribuente, nonostante l’ottenimento di una sentenza di condanna dell’ufficio al versamento di determinate somme non può, in caso di inerzia dell’ente, procedere ad espropriazione forzata o esperire l’azione di ottemperanza, se non dopo la formazione del giudicato; l’iscrizione a ruolo, a volte, può avvenire per l’intero nonostante la proposizione del ricorso e a prescindere dalla fondatezza della pretesa. Si ritiene quindi auspicabile un intervento del legislatore strumentale a mitigare, quantomeno in parte, le evidenziate disparità. Le osservazioni svolte devono essere vagliate anche alla luce della riforma della riscossione delle somme richieste con gli avvisi di accertamento sulle imposte sui redditi/IVA/IRAP. Infatti, a partire dall’1.10.2011, gli accertamenti sono esecutivi in luogo del ruolo, con acceleramento della riscossione, poichè, come prevede l’art. 29 del DL 78/2010, decorsi, nella maggior parte delle ipotesi, novanta giorni dalla notifica, il credito viene affidato ad Equitalia, che aziona le consuete misure cautelari. 46 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria 2 GIURISDIZIONE TRIBUTARIA DLgs. 546/92 2 Giurisprudenza Corte Cost. 14.3.2008 n. 64; Cass. SS.UU. 23.4.2008 n. 10469; Cass. SS.UU. 5.6.2008 n. 14827; C.T. Prov. Torino 3.4.2009 n. 47; Corte Cost. 8.5.2009 n. 141; Cass. SS.UU. 26.6.2009 n. 15031; Corte Cost. 12.1.2010 n. 39; Cass. SS.UU. 19.1.2010 n. 675; Cass. SS.UU. 14.5.2010 n. 11720; Cass. 17.8.2010 n. 18721; Cass. SS.UU. 7.10.2010 n. 20778; Cass. SS.UU. 16.11.2010 n. 23107; Cass. SS.UU. 26.1.2011 n. 1782; Cass. SS.UU. 26.1.2011 n. 1780; Cass. SS.UU. 14.3.2011 n. 5928; Cass. SS.UU. 5.12.2011 n. 25934; Corte di Giustizia UE 15.12.2011 causa C-427/10; Cass. 2.3.2012 n. 3294; Cass. SS.UU. 8.11.2012 n. 19289; Cass. SS.UU. 20.11.2012 n. 20323; Cass. 29.1.2013 n. 2133 1 PREMESSA L’attività giurisdizionale si concretizza nell’applicazione del complesso di norme esistenti in un determinato sistema (c.d. “diritto oggettivo”) da parte di un organo terzo e imparziale (il giudice). Dal punto di vista soggettivo, per giurisdizione si intende invece l’insieme degli organi destinatari dell’applicazione delle norme. Per approfondimenti si rinvia al cap. 7 “Giudice tributario”. Nell’ordinamento giuridico italiano, sono presenti le seguenti giurisdizioni: ordinaria (nella quale rientrano, in linea generale, le liti civili e penali); amministrativa; tributaria; contabile; penale-militare. Limiti “esterni” della giurisdizione Il limite “esterno” della giurisdizione tributaria concerne la ripartizione di quest’ultima con le altre giurisdizioni nonché le ipotesi in cui, nella fattispecie prospettata al giudice, non sussiste alcuna giurisdizione. Si veda anche quanto sostenuto in tema di difetto di giurisdizione “assoluto” e “relativo” nel cap. 3 “Difetto di giurisdizione”. A titolo esemplificativo, il fatto di stabilire se le liti relative alla c.d. “rivalsa successiva” (cfr. § 3.1.2) rientrano nella giurisdizione tributaria o nella giurisdizione ordinaria attiene ai limiti “esterni”, appunto, della giurisdizione. Limiti “interni” della giurisdizione I limiti “interni” della giurisdizione riguardano i provvedimenti impugnabili dinanzi al giudice tributario, elencati dall’art. 19 del DLgs. 546/92. Per approfondimenti si rinvia al cap. 27 “Atti impugnabili”. 47 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Ad esempio, la questione relativa all’impugnabilità o meno di specifici provvedimenti (quali il preavviso di fermo amministrativo o le c.d. “comunicazioni bonarie”) attiene ai limiti “interni” della giurisdizione tributaria. Profili processuali della giurisdizione Per le modalità con cui è possibile far valere, in sede contenziosa, il difetto di giurisdizione, si rinvia al cap. 3 “Difetto di giurisdizione”. Differenza tra giurisdizione e competenza La giurisdizione non va confusa con la competenza, che consiste nella quantità di giurisdizione attribuita a ciascun giudice. Per approfondimenti si rinvia al cap. 4 “Competenza”. Ciò premesso, si segnala che, nella letteratura giuridica, spesso i due termini sono (erroneamente) utilizzati come sinonimi, sebbene siano riferibili a concetti totalmente differenti. Per ipotesi, qualora una causa concerna: la ripartizione della “competenza giurisdizionale” tra giudice tributario e giudice amministrativo, è inerente la giurisdizione; l’individuazione del giudice competente (la C.T. Prov. Torino anziché quella di Asti) a decidere sulla liceità di un determinato atto impositivo, riguarda la competenza. GIURISDIZIONE organo giurisdizionale cui proporre ricorso (TAR, Tribunale, Commissione tributaria) COMPETENZA luogo ove proporre ricorso (es. C.T. Prov. Belluno) Fig. 1 - Giurisdizione e competenza Indicazione dell’autorità cui ricorrere nell’atto impositivo L’art. 7 della L. 212/2000 specifica che gli atti tributari devono indicare l’autorità cui proporre ricorso. Nelle fattispecie dubbie, la suddetta indicazione può essere errata, quindi è bene vagliare con attenzione la questione. Esaminando la circ. Agenzia delle Entrate 16.5.2005 n. 22 § 8 si legge che nel provvedimento di cancellazione di una ONLUS dall’apposita anagrafe va indicata la Commissione tributaria provinciale competente. Come si evidenzierà (cfr. § 3.2.8), quantomeno prima della sentenza delle Sezioni Unite 1625/2010, non era affatto pacifica la sussistenza della giurisdizione tributaria su tal punto. Con la sentenza 9.5.2008 n. 11498, le Sezioni Unite hanno sancito che a nulla rileva che nella cartella di pagamento sia stato dato avviso della possibilità di ricorrere (nel caso di specie, erroneamente) al giudice tributario, posto che la giurisdizione tributaria “non dipende dalla volontà, o, peggio ancora, dagli errori delle parti, ma dall’oggetto della lite in relazione alle previsioni della legge”. 48 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Nell’ipotesi in cui il contribuente abbia proposto ricorso dinanzi a un giudice sfornito di giurisdizione trova applicazione la translatio iudicii, per i cui rilievi si rinvia al cap. 3 “Difetto di giurisdizione”. 2 GIURISDIZIONE TRIBUTARIA E COSTITUZIONE La giurisdizione tributaria rientra nell’ambito delle giurisdizioni speciali, ovvero nell’ambito delle giurisdizioni diverse da quella ordinaria. Ai sensi dell’art. 102 Cost.: “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”; “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali”. Il divieto di istituzione di giudici speciali, secondo la giurisprudenza costituzionale, non va inteso con riferimento alle giurisdizioni già esistenti all’entrata in vigore della Costituzione (Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Tribunali militari, Commissioni tributarie). Natura giurisdizionale delle Commissioni tributarie La natura giurisdizionale delle Commissioni tributarie è stata affermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 27.12.74 n. 287. Originariamente, gli organi di giustizia tributaria rientravano nell’ambito della Pubblica Amministrazione, e la fase giudiziale altro non era che la continuazione della fase di verifica. 2.1 LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA La VI disposizione transitoria della Costituzione prevede che, entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, il legislatore avrebbe dovuto provvedere alla revisione degli organi di giurisdizione speciale tra i quali rientrano, appunto, le Commissioni tributarie. Con la richiamata sentenza 287/74, la Consulta ha sancito la legittimità costituzionale delle Commissioni tributarie sulla base delle seguenti considerazioni: la giurisdizione ordinaria “non sarebbe idonea, per mentalità e insufficienza di cognizioni tecniche, a penetrare i fenomeni economici, a volte complessi, che presiedono alla formazione del reddito”; con il DPR 636/72 il legislatore ha inteso esercitare il potere di revisione di cui alla VI disposizione transitoria della Costituzione. Si evidenzia che il DPR 636/72 è l’“antecedente storico” dell’attuale DLgs. 546/92. 2.2 AMPLIAMENTO DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA E COMPATIBILITÀ CON LA COSTITUZIONE La giurisdizione tributaria è da ritenersi circoscritta alla risoluzione di liti aventi natura, appunto, tributaria. L’eventuale devoluzione a tale giurisdizione di liti extrafiscali contrasta con il divieto di istituzione di nuovi giudici speciali (cfr. § 2). 49 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Concetto di tributo In linea di principio, per “tributo” si intende una prestazione patrimoniale imposta che, essendo collegata ad un fatto economico, attua il concorso al finanziamento della spesa pubblica. Il tributo concerne quindi sia le imposte sia le tasse. Le imposte hanno come presupposto un fatto economico generato dal soggetto passivo (ad esempio il possesso di un immobile), mentre le tasse hanno come presupposto un atto o un’attività della P.A. (ad esempio il rilascio di un documento). È talvolta difficile stabilire se il corrispettivo di un servizio pubblico rientri o meno nell’ambito della tassa. La questione è rilevante, posto che solo le “tasse” (nel senso tributaristico del termine) rientrano nella giurisdizione tributaria. L’oggetto della presente trattazione non consente ulteriori approfondimenti, per cui ci si limita ad osservare che, a prescindere dalla denominazione formale dell’istituto singolarmente considerato: se l’entrata è coattiva, può essere definita tassa; se ha base contrattuale, ha natura privatistica. SÌ Imposte Tasse NO Entrate patrimoniali (es. canoni demaniali) GIURISDIZIONE TRIBUTARIA Fig. 2 - Giurisdizione tributaria - Ambito di applicazione 2.2.1 Canone per l’occupazione del suolo pubblico (COSAP) Con la sentenza della Corte Costituzionale 14.3.2008 n. 64, l’art. 2 del DLgs. 546/92 è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui stabilisce che “appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto” dall’art. 63 del DLgs. 446/97. La Consulta ha precisato che “l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali. Tale illegittima attribuzione può derivare, direttamente, da una espressa disposizione legislativa che ampli la giurisdizione tributaria a materie non tributarie”. Il COSAP (Canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche), precisa la Corte, “è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo (Tosap) in luogo del quale può essere applicato e dall’altro, risulta disegnato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici”. 2.2.2 Canone sulla pubblicità In alternativa all’imposta sulla pubblicità, i Comuni possono introdurre un apposito canone. 50 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria A differenza di quanto sostenuto in tema di COSAP (cfr. § 2.2.1), la Corte Costituzionale, con la sentenza 8.5.2009 n. 141, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 2 del DLgs. 546/92 nella parte in cui devolve alla giurisdizione tributaria le liti relative al canone sulla pubblicità. Nella sentenza viene specificato che: sia per l’imposta sulla pubblicità che per il canone, l’obbligo di erogare le somme richieste dall’ente locale nasce dalla legge per il solo fatto dell’installazione dei mezzi pubblicitari, con l’unica differenza che la suddetta installazione “per essere legittima, deve essere preceduta, per l’imposta sulla pubblicità, da un’apposita dichiarazione e, per il CIMP, dall’autorizzazione del Comune”; il canone è dovuto indipendentemente dal fatto dell’occupazione, e, quindi, “dalla possibilità di instaurare una correlazione tra tali prelievi e l’uso dei beni stessi”. Per contro, nel caso del COSAP, il soggetto che occupa il bene pubblico “è tenuto a prestare un corrispettivo (se titolare di concessione-contratto) o una indennità (se privo di tale concessione) per remunerare l’uso di un bene del demanio o del patrimonio disponibile del Comune”. 2.2.3 Canone per la depurazione delle acque reflue La quota della tariffa per il servizio idrico integrato, relativa alla fognatura e alla depurazione, costituisce un corrispettivo di natura commerciale. Per questo motivo, con la sentenza 12.1.2010 n. 39, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2 del DLgs. 546/92 nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione delle Commissioni tributarie le liti relative alla debenza del suddetto canone. Le ragioni della declaratoria di incostituzionalità sono le medesime utilizzate nella sentenza n. 64 del 2008, resa in riferimento al COSAP (cfr. § 2.2.1). La Consulta afferma, richiamando la precedente sentenza 335 del 2008, che il canone in esame costituisce il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, “il quale, ancorchè determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente nel patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza”. 2.2.4 Tariffa igiene ambientale (TIA) L’art. 49 del DLgs. 22/97, nel prevedere l’abrogazione della TARSU (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani), ha disposto che i costi per la gestione dei rifiuti vengono coperti mediante l’istituzione di una tariffa. Il riferimento, effettuato dall’art. 2 del DLgs. 546/92, al “canone per lo smaltimento rifiuti” è da intendersi concernente la TIA (Tariffa igiene ambientale). Il legislatore ha successivamente introdotto vari termini al fine di consentire ai Comuni la sostituzione della TARSU con la TIA. In un primo momento, la Corte di Cassazione ha optato per la natura tributaria della TIA (cfr., tra le altre, Cass. 9.8.2007 n. 17526). 51 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria La Cassazione ha rilevato come “l’entrata in questione abbia natura sicuramente pubblicistica, non costituendo, in senso tecnico, il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta; e rappresentando invece una forma di finanziamento del servizio pubblico attraverso l’imposizione dei relativi costi sull’area sociale che da tali costi ricava, nel suo insieme, un beneficio” (Cass. 9.8.2007 n. 17526; nello stesso senso Cass. SS.UU. 8.3.2006 n. 4895 e Cass. SS.UU. 5.3.2009 n. 5299, 5298 e 5297). Successivamente, la questione è stata rimessa all’esame della Consulta (Cass. SS.UU. 15.6.2009 n. 13894) che, con la sentenza 24.7.2009 n. 238, ha dichiarato non fondate le censure di incostituzionalità dell’art. 2 del DLgs. 546/92 in quanto: la natura tributaria di un prelievo, a prescindere dal nomen iuris adottato dalla normativa che lo disciplina, si desume da alcuni fatti indice consistenti “nella doverosità della prestazione, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante”; la TIA, in sostanza, contiene una disciplina analoga a quella della TARSU, la cui natura tributaria è pacifica in giurisprudenza; infatti, il presupposto della TIA è rinvenibile nella occupazione o conduzione di superfici; la natura autoritativa e non sinallagmatica della TIA si rinviene anche nel fatto che i servizi per lo smaltimento dei rifiuti sono istituiti dai Comuni, e che i soggetti obbligati “non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi”; nonostante la disciplina relativa alla TIA non contenga alcun riferimento all’accertamento ed alla riscossione, tale lacuna può essere colmata con l’esercizio del potere regolamentare comunale; le c.d. “bollette di pagamento” possono essere impugnate dinanzi alla giustizia tributaria, per cui l’accesso a tale giurisdizione è garantito. Giurisdizione ordinaria (DL 78/2010) L’art. 14 co. 33 del DL 78/2010 ha stabilito che “le disposizioni di cui all’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”. Siccome la norma fa riferimento alla c.d. “TIA ambiente”, dovrebbero, come stabilito dalla Corte Costituzionale, rientrare nella giurisdizione tributaria le liti relative alla “TIA Ronchi”, che dovrà essere comunque sostituita dalla “TIA ambiente” (deliberazione Corte Conti sez. Lombardia 28.1.2011). Quindi, allo stato attuale, nonostante la presenza di opinioni contrarie (circ. Min. Economia e Finanze 11.11.2010 n. 3 e nota Direzione provinciale Trento 11.10.2010 n. 906), si ritiene che le liti sulla TIA rientrino nella giurisdizione tributaria, in quanto ciò, tra l’altro, è stato confermato dalla Suprema Corte (Cass. 2.3.2012 n. 3294). TARES A decorrere dall’1.1.2013, la TARSU e la TIA saranno sostituite dal tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (c.d. “TARES”), di cui all’art. 14 del DL 201/2011. 52 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Detta entrata, stante la sua struttura, pare abbia natura tributaria. COSAP giurisdizione ordinaria Canone sulla pubblicità giurisdizione tributaria TIA Canone per la depurazione delle acque reflue giurisdizione ordinaria (DLgs. 152/2006) giurisdizione ordinaria Fig. 3 - Art. 2 del DLgs. 546/92 e giurisdizione 2.2.5 Sanzioni “comunque” irrogate da uffici finanziari Con la sentenza 130/2008 della Consulta, l’art. 2 del DLgs. 546/92 è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui devolve alla giurisdizione tributaria le liti inerenti le sanzioni amministrative “comunque” irrogate da uffici finanziari, anche laddove conseguano a violazioni di natura non tributaria. L’ordinanza di rimessione alla Consulta concerneva, nel caso di specie, la legittimità costituzionale dell’art. 2 del DLgs. 546/92 nella parte in cui non esclude dalla giurisdizione tributaria le liti relative alle sanzioni di cui all’art. 3 co. 3 del DL 12/2002 (inerenti l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture contabili obbligatorie). Al riguardo, si mette in risalto che il DL 223/2006 (conv. L. 248/2006) ha attribuito alla Direzione Provinciale del Lavoro, e non più all’Agenzia delle Entrate, la competenza all’irrogazione delle sanzioni citate. La Corte Costituzionale precisa, richiamando la precedente sentenza 64/2008, che la devoluzione delle liti relative alle sanzioni “sulla base del mero criterio soggettivo costituito dalla natura finanziaria dell’organo competente ad irrogarle e, dunque, a prescindere dalla natura tributaria del rapporto cui tali sanzioni si riferiscono” si pone in contrasto con l’art. 102 (divieto di istituzione di nuovi giudici speciali) Cost. Per effetto della sentenza della Consulta, potrebbero sorgere dubbi sulla giurisdizione in tema di liti relative a sanzioni non connesse direttamente a violazioni tributarie. Sanzioni relative al conferimento di incarichi a dipendenti pubblici senza l’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza Le conclusioni fatte proprie dalla Consulta con la sentenza 130/2008 dovrebbero valere anche per le sanzioni relative al conferimento di incarichi, da parte di soggetti privati, a dipendenti pubblici senza l’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza (art. 53 del DLgs. 165/2001). In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite (Cass. SS.UU. 1.7.2009 n. 15382). Sanzioni relative alla violazione della normativa in tema di apparecchi da gioco Le sanzioni irrogate dall’Amministrazione Monopoli di Stato ai sensi dell’art. 110 co. 9 del TULPS, per violazione della normativa in tema di apparecchi da gioco, 53 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria non rientrano nella giurisdizione tributaria, stante la natura extrafiscale delle stesse (Cass. SS.UU. 16.11.2010 n. 23107). Sanzioni relative alla mancata ottemperanza da parte degli operatori finanziari alla richiesta dati per gli accertamenti bancari L’art. 10 del DLgs. 471/97 prevede sanzioni amministrative per gli operatori finanziari che non ottemperano alla richiesta dati avanzata dall’Amministrazione finanziaria ai sensi degli artt. 32 del DPR 600/73 e 51 del DPR 633/72. Si veda la voce “Indagini finanziarie”, in “Accertamento e riscossione”, Guide e Soluzioni, IPSOA. Con le sentenze 16.6.2008 n. 113 e 23.4.2009 n. 81, la C.T. Prov. Nuoro, in relazione ad un atto di irrogazione delle suddette sanzioni, ha dichiarato la giurisdizione ordinaria. Secondo i giudici, l’inosservanza del precetto da parte dell’operatore finanziario “si considera come una inosservanza ad un provvedimento legittimo della Pubblica amministrazione che esula da un rapporto strettamente tributario, anche perché la richiesta dei dati è stata fatta ad un Ente diverso da quello inquisito”. Sanzioni relative alla trasmissione telematica delle dichiarazioni e alla normativa in tema di visto di conformità Potrebbero sorgere problemi sulla giurisdizione in punto di sanzioni inerenti: all’omessa o tardiva trasmissione della dichiarazione da parte dei soggetti abilitati dall’art. 3 co. 3 del DPR 322/98 (art. 7-bis del DLgs. 241/97); alle certificazioni tributarie (art. 39 del DLgs. 241/97). La natura tributaria delle suddette sanzioni, però, ha un fondamento positivo. Infatti, l’art. 39 co. 1-bis del DLgs. 241/97 prevede che alle sanzioni di cui agli artt. 39 e 7-bis del medesimo decreto si applicano, in quanto compatibili, le norme del DLgs. 472/97, relativo, appunto, alle sanzioni tributarie. Sanzioni da omessa compilazione del modulo RW Le sanzioni, disciplinate dall’art. 4 del DL 167/90, relative all’omessa compilazione del modulo RW hanno natura tributaria, in quanto connesse alla materia fiscale. Non a caso, l’art. 12 del DL 78/2009 stabilisce che tali sanzioni, ove irrogate al fine di contrastare i c.d. “paradisi fiscali”, devono essere contestate entro i termini di cui all’art. 20 del DLgs. 472/97 raddoppiati, ammettendone implicitamente la natura fiscale. In senso favorevole alla natura tributaria delle sanzioni in oggetto si è espressa l’Amministrazione finanziaria (circ. Agenzia delle Entrate 30.1.2002 n. 9, § 1.13). Sanzioni valutarie Problematica è la giurisdizione in punto di sanzioni valutarie, in quanto la giurisprudenza ha adottato soluzioni contrastanti. Con la sentenza 11.6.2004 n. 11170, la Corte di Cassazione ha sancito la natura non tributaria delle sanzioni di cui al DL 167/90, relative al trasferimento di denaro da e per l’estero. A conclusioni diverse è pervenuta Cass. 4.7.2003 n. 10607, ove è stata sostenuta la natura fiscale delle menzionate sanzioni, sulla base del fatto che la riforma concernente 54 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria la liberalizzazione dei capitali, funzionale al “monitoraggio di trasferimenti di capacità contributiva”, non può che far propendere per la natura tributaria delle sanzioni. In riferimento alle sanzioni di cui al DPR 148/88, la giurisprudenza ha optato per la loro natura prettamente valutaria, e non fiscale, con conseguente devoluzione delle liti al giudice ordinario (Cass. SS.UU. 8.2.2008 n. 3001). L’Agenzia delle Entrate (ris. 17.9.2004 n. 121), richiamando la precedente circ. 21.3.2002 n. 25 (§ 3), ha precisato che le sanzioni, per essere impugnate dinanzi alla giustizia tributaria, devono risultare connesse con violazioni riconducibili all’ordinamento fiscale. Di conseguenza, “sembra pertanto evidente che non ricorrono i presupposti necessari per affermare che le controversie sulle sanzioni valutarie [relative, nello specifico, al DPR 148/88] possano rientrare nella giurisdizione delle commissioni tributarie”. Allo stato attuale, appare prevalente la tesi favorevole alla natura non fiscale delle sanzioni valutarie. Sanzioni per produzione di documenti falsi a sostegno di domanda di sospensione della riscossione ex L. 228/2012 Potrebbero sorgere dubbi sulla natura delle sanzioni che l’ente impositore, ai sensi dell’art. 1 co. 537 ss. della L. 228/2012, può irrogare qualora il debitore produca documenti falsi a sostegno della dichiarazione con cui viene inibita la prosecuzione della riscossione in merito a determinati crediti. Attualmente, la direttiva Equitalia 11.1.2013 n. 2 si è espressa favorevolmente alla natura non tributaria di dette sanzioni, ma ciò non può essere pacifico, qualora la domanda di sospensione concerna debiti tributari. Per approfondimenti si veda il cap. 60 “Esecuzione delle sentenze di accoglimento”. Giurisdizione tributaria sanzioni relative a questioni tributarie Giurisdizione ordinaria sanzioni relative a questioni non tributarie Fig. 4 - Sanzioni irrogate dagli uffici finanziari 3 OGGETTO DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA Ai sensi dell’art. 2 del DLgs. 546/92, “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati” compresi: quelli regionali, provinciali, comunali; le addizionali; le sanzioni amministrative “comunque” irrogate da uffici finanziari; Per osservazioni sulla costituzionalità di quest’ultima disposizione si rinvia al § 2.2.5. gli interessi e ogni altro accessorio. 55 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria La giurisdizione tributaria ha dunque carattere onnicomprensivo, posto che concerne le liti aventi ad oggetto ogni tributo. imposte tributi locali addizionali Giurisdizione tributaria sanzioni amministrative interessi accessori Fig. 5 - Oggetto della giurisdizione tributaria A titolo esemplificativo, rientrano nella giurisdizione tributaria le cause inerenti: le imposte sui redditi (IRPEF, IRES) e le varie imposte sostitutive; l’IVA; l’IRAP; i tributi locali (ICI/IMU, imposta sulla pubblicità, TOSAP); le addizionali comunali e regionali all’IRPEF; le accise e i dazi; l’imposta di bollo; l’imposta di registro, ipotecaria e catastale; l’imposta sulle assicurazioni; l’imposta sugli intrattenimenti; l’imposta di successione e donazione; il contributo di solidarietà (art. 2 co. 2 del DL 138/2011). Come precisato dalla giurisprudenza, la giurisdizione tributaria è una giurisdizione “esclusiva” che si estende ad ogni aspetto concernente l’an e il quantum del tributo, e che si arresta solo di fronte agli atti dell’esecuzione forzata (Cass. SS.UU. 15.5.2007 n. 1082). imposte sui redditi imposte sostitutive IVA IRAP Giurisdizione tributaria accise dazi imposta di successione e di donazione imposta di registro, ipotecaria e catastale tributi locali (IMU, TOSAP, TARSU) NO Fig. 6 - Casistica 56 azioni di accertamento negativo relative al rapporto tributario Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Azione di accertamento negativo La giurisdizione tributaria è una giurisdizione di annullamento: per questo motivo, non è ammessa la c.d. “azione di accertamento negativo”. Tramite l’azione di accertamento negativo, pacificamente ammessa in sede civile, l’attore può chiedere al giudice di dichiarare l’insussistenza di un diritto preteso dal convenuto (ad esempio, l’insussistenza di una servitù di passaggio sopra un determinato fondo). Nel senso dell’inammissibilità dell’azione di accertamento negativo nel processo tributario, Cass. SS.UU. 20.11.2007 n. 24011. Per lo stesso motivo, non è ammessa la domanda riconvenzionale, per i cui rilievi si rinvia al cap. 32 “Costituzione in giudizio del resistente”. Tale tipologia di azione non può essere esperita nemmeno dinanzi alla giustizia ordinaria (Cass. SS.UU. 22.7.2004 n. 13793). Così, è stato dichiarato il difetto di giurisdizione in un caso ove il contribuente ha adito il Tribunale al fine di ottenere una sentenza dichiarativa dell’insussistenza dell’obbligazione IRAP (Trib. Roma 6.5.2009). 3.1 GIURISDIZIONE TRIBUTARIA E GIURISDIZIONE ORDINARIA In relazione a determinate fattispecie, possono sorgere problemi relativi al riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario. 3.1.1 Liti di “rivalsa ordinaria” Nella c.d. “sostituzione d’imposta”, un’apposita norma contempla che un soggetto (sostituto), all’atto della corresponsione di una somma ad un altro soggetto (sostituito) per un determinato titolo (ad esempio, corresponsione dello stipendio ad un lavoratore dipendente), debba operare una ritenuta il cui importo va versato all’Erario. Si pensi al caso delle somme erogate per prestazioni professionali o alle retribuzioni, ove l’erogante (cliente o datore di lavoro/sostituto), all’atto della corresponsione della somma al percipiente (professionista o lavoratore subordinato/sostituito), ha l’obbligo di operare la ritenuta e di versare l’importo all’Erario. Si veda la voce “Sostituzione a titolo di acconto, liti di rivalsa”, in “Accertamento e riscossione”, Guide e Soluzioni, IPSOA. Nel caso in cui il sostituto effettui la ritenuta, potrebbe accadere che, in epoca successiva, il sostituito, ritenendo che il provento non avrebbe dovuto essere assoggettato a tassazione, chieda al sostituto la restituzione delle somme trattenute. Originariamente, la Corte di Cassazione aveva sostenuto che: “la controversia tra sostituito e sostituto d’imposta relativa alla legittimità della ritenuta d’acconto operata dal secondo è devoluta alla giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie”; “l’indagine su detta legittimità non integra una mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata incidentalmente, ma comporta la risoluzione di una causa di natura tributaria, avente carattere pregiudiziale, la quale deve essere definita con effetti di giudicato sostanziale dal giudice cui spetta la relativa cognizione ratione materiae, in litisconsorzio necessario con l’Amministrazione finanziaria” (Cass. 9.11.2005 n. 21733, Cass. SS.UU. 6.6.2003 n. 9074 e Cass. SS.UU. 17.11.99 n. 789). 57 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Discostandosi dal predetto orientamento, con la sentenza 26.6.2009 n. 15031, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che le liti instaurate dal sostituito relative alla legittimità delle ritenute rientrano nella giurisdizione ordinaria, posto che la giurisdizione tributaria implica la presenza sia di un ente impositore cui notificare il ricorso sia di un atto impugnabile. La decisione prende le mosse dal fatto che il processo tributario non concerne tutte le cause inerenti una questione tributaria, ma solo le liti instaurate avverso un atto emesso da un ente impositore. La Corte di Cassazione precisa inoltre che: nel caso in cui il sostituto abbia (volontariamente o in via coattiva) onorato il debito tributario, non perde il diritto di rivalsa, siccome il giudice ordinario ben può conoscere in via incidentale dell’obbligazione tributaria; ove la causa fosse erroneamente instaurata dinanzi al giudice tributario, questi non potrebbe che dichiarare l’inammissibilità del ricorso per difetto di provvedimento impugnabile; in sede ordinaria, l’ufficio non acquista la qualità di litisconsorte necessario; la giurisdizione tributaria permane ovviamente sia nel caso di diniego opposto dall’ufficio a fronte di richiesta di rimborso sia nel caso di atto di accertamento emesso per contestare, ad esempio, l’omessa esecuzione della ritenuta o l’omessa dichiarazione di proventi imponibili. Si segnala che, con la sentenza 29.4.2009 n. 9940 la Corte di Cassazione è giunta a conclusioni esattamente opposte. L’orientamento testè citato è stato accolto dalla giurisprudenza successiva, quindi allo stato attuale appare consolidato (Cass. SS.UU. 8.11.2012 n. 19289; Cass. 29.1.2013 n. 2133). 3.1.2 Liti di “rivalsa successiva” Qualora il sostituto non esegua la ritenuta (cfr. § 3.1.1), rimane comunque obbligato verso l’Erario, e, nel caso in cui effettui ugualmente il versamento, può esercitare la c.d. “rivalsa successiva” nei confronti del sostituito. Giurisdizione tributaria Secondo la Corte di Cassazione, “il sostituto, in caso di versamenti di somme non detratte a titolo di ritenuta, potrà a sua volta formulare richiesta di restituzione al fisco (…) impugnandone quindi il rigetto, con ricorso rivolto anche nei confronti del sostituito effettivo debitore verso il fisco e, quindi, da considerarsi litisconsorte necessario” (Cass. SS.UU. 15.11.2005 n. 23019). Il sostituto dovrebbe quindi: presentare istanza di rimborso all’ufficio; impugnare l’eventuale diniego opposto da quest’ultimo; chiamare in causa anche il sostituito; chiedere al giudice, in sostanza, di dichiarare l’applicabilità della ritenuta (nel caso in cui ciò avvenisse, la sentenza sarebbe destinata a fare stato anche nei confronti del sostituito). 58 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Ciò equivale a instaurare un processo con l’intento di ottenere una sentenza di rigetto, poiché, come rilevato da autorevole dottrina, l’istanza di rimborso e la “rivalsa successiva” si pongono in un rapporto di incompatibilità reciproca. La Cassazione ammette, implicitamente, che il sostituto, nel caso in cui abbia perso la causa contro il diniego di rimborso, possa utilizzare il giudicato formatosi per escutere il sostituito in sede civile. Considerato che il giudicato tributario non fa stato nel processo civile, e che il sostituto (a differenza dell’ufficio) non dispone di mezzi pubblicistici per escutere il sostituito, il percorso indicato dalla sentenza non appare praticabile. Per approfondimenti sull’efficacia del giudicato si rinvia al cap. 58 “Giudicato”. Giurisdizione ordinaria La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 26.6.2009 n. 15031 (cfr. § 3.1.1), ha sancito che anche le liti relative alla “rivalsa successiva” sono devolute alla giurisdizione ordinaria, stante l’assenza di un atto impugnabile, che costituisce il “veicolo di accesso” alla giurisdizione tributaria. Tuttavia, con la sentenza 26.6.2009 n. 15047, la Corte di Cassazione è giunta a conclusioni esattamente opposte, anche se, in merito alla c.d. “rivalsa ordinaria”, la giurisprudenza sembra ormai consolidata in senso favorevole alla giurisdizione ordinaria. 3.1.3 Legittimazione del cessionario IVA alla richiesta di rimborso dell’imposta erroneamente versata Secondo la giurisprudenza maggioritaria, ogni qual volta l’IVA addebitata in fattura risulti “non dovuta”, legittimato a proporre l’istanza di rimborso è esclusivamente colui che ha emesso la fattura (cedente/prestatore). Si veda la voce “Rimborsi annuali”, in “IVA”, Guide e Soluzioni, IPSOA. Infatti, “è il cedente il soggetto legittimato a pretendere il rimborso dell’imposta dall’Amministrazione ed, in ipotesi, obbligato a restituire al cessionario la somma pagata all’Amministrazione stessa, a titolo di rivalsa” (Cass. 27.6.2001 n. 8783); il cessionario/committente, “che abbia corrisposto, in via di rivalsa, al cedente o prestatore di servizi l’IVA eventualmente non dovuta (…), può ripetere quanto indebitamente versato solo da quest’ultimo [dinanzi al giudice civile], mentre non è legittimato a richiedere il rimborso all’Amministrazione finanziaria” (Cass. SS.UU. 13.12.91 n. 13446). Si registra un precedente in senso parzialmente contrario, secondo cui: “l’estraneità del consumatore finale al rapporto obbligatorio tributario non comporta un mero difetto di legittimazione all’azione di rimborso, ma la non esperibilità, da parte dello stesso soggetto, del rimedio giurisdizionale del ricorso alle Commissioni tributarie”; è compito del giudice ordinario stabilire se la domanda giudiziale del cessionario possa essere proposta, oltre che nei confronti del cedente, anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (Cass. SS.UU. 14.5.2001 n. 208). 59 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria I principi sopra esposti potrebbero essere rivisti alla luce della sentenza della Corte di Cassazione 7.2.2008 n. 2808, ove è stato sostenuto che il cessionario/committente, nel caso in cui non sia considerabile come consumatore finale, è legittimato a presentare direttamente l’istanza di rimborso e ad impugnarne il rigetto. Secondo la Corte, il cessionario/committente opera in qualità di soggetto passivo d’imposta, posto che “si inserisce in un complesso sistema di trasferimento a cascata dell’IVA che tendenzialmente mira a far sì che l’IVA non incida sull’operatore stesso, ma si trasferisca sul consumatore finale” e “diviene potenziale destinatario di atti di applicazione di sanzioni sicuramente da esso impugnabili”. La Cassazione precisa che, qualora il cessionario/committente sia un consumatore finale e intenda, ad esempio, invocare l’applicazione di un’aliquota IVA agevolata, deve citare dinanzi al giudice civile il cedente/prestatore, promuovendo in tal modo una normale azione di indebito. Tuttavia, le Sezioni Unite hanno successivamente sostenuto, senza distinzioni, che solo il cedente può chiedere il rimborso dell’IVA indebitamente versata all’Agenzia delle Entrate (Cass. SS.UU. 27.2.2009 n. 4813 e 13.1.2010 n. 355). 3.1.4 Cessione del credito IVA infrannuale Il credito IVA emergente dalla dichiarazione annuale (e non anche quello infrannuale chiesto a rimborso in base all’art. 38-bis del DPR 633/72) può essere ceduto (ris. Agenzia delle Entrate 4.4.2006 n. 49; circ. Agenzia delle Entrate 13.2.2006 n. 6, § 12.4). Si veda la voce “Rimborsi infrannuali, cessione del credito IVA”, in “IVA”, Guide e Soluzioni, IPSOA. Per effetto dell’atto di cessione si realizza il trasferimento del credito, con la conseguenza che il cessionario subentra nelle posizioni giuridiche soggettive del cedente. In base a ciò, il cessionario è legittimato a chiedere il rimborso dell’IVA dinanzi al giudice tributario e la relativa azione è soggetta al termine di decadenza biennale di cui all’art. 21 del DLgs. 546/92 (Cass. SS.UU. 4.6.2002 n. 8090 e C.T. Reg. Roma 18.10.2005 n. 87). 3.1.5 Responsabilità del liquidatore di società di capitali (art. 36 del DPR 602/73) L’art. 36 co. 1 del DPR 602/73 prevede che i liquidatori di enti soggetti all’IRES rispondono in proprio per le imposte dovute dalla società per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori quando, disponendo delle risorse per pagare l’imposta, abbiano: assegnato beni ai soci; soddisfatto creditori che non dovevano essere preferiti all’ufficio. Si veda la voce “Liquidatori, responsabilità per le imposte”, in “Accertamento e riscossione”, Guide e Soluzioni, IPSOA. La responsabilità ex art. 36 del DPR 602/73 non ha natura tributaria, in quanto è una responsabilità ex lege (Cass. SS.UU. 4.5.89 n. 2079 e Cass. 15.10.2001 n. 12546). 60 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Il co. 6 della norma precisa però che contro l’accertamento è possibile proporre ricorso dinanzi al giudice tributario. Con la sentenza 4.5.89 n. 2079, SS.UU. hanno precisato che, in virtù della natura non tributaria della responsabilità: è possibile agire dinanzi al giudice civile al fine di contestare la sussistenza degli elementi dell’illecito (c.d. “azione di accertamento negativo”); nel caso in cui venga notificato un accertamento, la lite rientra nella giurisdizione tributaria, per cui “l’elemento determinante ai fini dell’attribuzione della giurisdizione … è il concretizzarsi della pretesa dell’amministrazione in un formale atto di accertamento”. In conclusione, fino al momento in cui il liquidatore non riceve l’accertamento, può ottenere una sentenza di accertamento negativo dal Tribunale; successivamente, deve adire la giustizia tributaria. 3.1.6 Risarcimento dei danni causati dall’Amministrazione finanziaria e dall’Agente della Riscossione Secondo consolidata giurisprudenza, la domanda di risarcimento del danno cagionato dall’Amministrazione finanziaria rientra nella giurisdizione ordinaria. L’oggetto della trattazione non consente di approfondire il tema relativo alle situazioni in cui possono sussistere gli estremi dell’illecito aquiliano. Ci si limita dunque a osservare che, ad esempio, qualora il contribuente sia in grado di dimostrare di aver subito un danno causato dall’indebita riscossione di imposte rivelatesi non dovute, può far valere la responsabilità extracontrattuale dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Trib. Venezia 23.4.2007). L’assunto prende le mosse dal fatto che “qualora la domanda sia basata su comportamenti illeciti tenuti dall’Amministrazione finanziaria … la controversia, avendo ad oggetto una posizione sostanziale di diritto soggettivo del tutto indipendente dal rapporto tributario, è devoluta” alla giurisdizione ordinaria (Cass. SS.UU. 16.4.2007 n. 8958 e Cass. SS.UU. 4.1.2007 n. 15). Alle stesse conclusioni si deve giungere in caso di risarcimento domandato come conseguenza della mancata attuazione del diritto comunitario (Cass. SS.UU. 20.11.2012 n. 20323). In via analoga, è stata dichiarata la giurisdizione ordinaria in “una controversia con la quale il privato, adempiuto il debito d’imposta relativo all’ICI non tempestivamente o integralmente versata, domandi il risarcimento dei danni subiti in sede di riscossione coattiva per aver dovuto corrispondere anche le somme pretese dal Comune per l’assistenza legale allo stesso prestata da avvocati di cui l’ente pubblico si sia avvalso” (Cass. SS.UU. 29.4.2008 n. 10826). Danno cagionato dall’Agente della Riscossione Anche l’azione di risarcimento del danno causato dall’Agente della Riscossione (art. 59 del DPR 602/73) va proposta dinanzi al giudice ordinario. Danno da responsabilità processuale aggravata Il danno da “responsabilità processuale aggravata” (art. 96 c.p.c.) rientra invece nella giurisdizione tributaria, poiché è una responsabilità “accessoria” al giudizio. Per approfondimenti si rinvia al cap. 47 “Condanna alle spese”. 61 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria 3.1.7 Riconoscimento del credito da parte dell’Amministrazione finanziaria e diritto al rimborso Qualora l’Amministrazione finanziaria abbia riconosciuto il diritto di credito del contribuente, la lite relativa alla restituzione della somma rientra nell’ambito della giurisdizione ordinaria, posto che l’azione proposta dal contribuente riveste i caratteri di un comune indebito oggettivo (art. 2033 c.c.). A titolo esemplificativo, ciò si potrebbe verificare nel caso in cui l’Amministrazione, con apposita nota, abbia sostenuto che le somme per i rimborsi sono spettanti e giacenti presso la sezione rimborsi e “saranno effettuati con la procedura manuale non appena possibile, compatibilmente con l’assegnazione dei fondi stanziati con apposito decreto ministeriale” (Cass. SS.UU. 22.7.2002 n. 10725). Per contro, nel caso in cui l’Amministrazione, nel riconoscere il suddetto diritto di credito, abbia posto limiti o condizioni all’erogazione della somma, la lite rientra nella giurisdizione tributaria, in quanto le eccezioni opposte dall’ufficio implicano la risoluzione di una questione fiscale (Cass. SS.UU. 5.3.2008 n. 5902). Per approfondimenti sui profili processuali e procedimentali del rimborso si rinvia al cap. 29 “Liti di rimborso”. 3.1.8 Interessi e altri accessori L’art. 2 del DLgs. 546/92 sancisce che rientrano nella giurisdizione tributaria gli interessi e “ogni altro accessorio” relativi all’obbligazione tributaria. Tra gli interessi di cui alla norma citata, si rammentano quelli per: ritardata iscrizione a ruolo (art. 20 del DPR 602/73); dilazione di pagamento (art. 21 del DPR 602/73); ritardato rimborso di somme pagate (art. 44 del DPR 602/73). Per “accessori” si intendono gli aggi dovuti all’esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori e il maggior danno da svalutazione monetaria (cfr., da ultimo, Cass. SS.UU. 29.4.2008 n. 10826). Rivalutazione monetaria Le somme dovute, a titolo risarcitorio, derivanti dal maggior danno da svalutazione monetaria sulle somme indebitamente versate rientrano nella giurisdizione tributaria, in quanto costituiscono questioni consequenziali alle controversie fiscali (Cass. SS.UU. 31.7.2007 n. 16871 e Cass. SS.UU. 4.10.2002 n. 14274). 3.1.9 Contributi dovuti ai Consorzi di bonifica I contributi spettanti ai Consorzi di bonifica imposti ai proprietari per le spese di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica rientrano nel novero dei tributi, per cui sussiste la giurisdizione tributaria (Cass. SS.UU. 24.1.2007 n. 1481 e 5.8.2009 n. 17943). Spetta invece al giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una cartella con la quale un Consorzio di bonifica, gestore del servizio di acqua potabile, ha agito nei confronti dell’utente per il recupero delle somme da questi dovute (Cass. SS.UU. 14.5.2010 n. 11720). 62 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria 3.1.10 Canoni e tariffe previsti da varie disposizioni normative La giurisdizione in tema di canoni presenta aspetti controversi. Infatti, il soggetto privato domanda, in determinate ipotesi, di fruire di un servizio pubblico e, in questa occasione, la P.A. chiede la corresponsione di un canone. Come rilevato in dottrina, tale esborso può, contemporaneamente, costituire il corrispettivo di quanto dovuto dal privato o essere un’imposta applicata nel momento in cui il soggetto manifesta la sua ricchezza. Canoni In relazione ai canoni, la Cassazione ha affermato che essi, essendo entrate relative al godimento di un bene, non hanno natura tributaria (Cass. SS.UU. 14.1.2005 n. 604 e Cass. 15.5.2006 n. 11089). I giudici affermano comunque che “è sovente difficile stabilire quando un esborso costituisce corrispettivo (ancorché ridotto per ragioni politiche) per servizi ricevuti o per l’utilizzo di un bene pubblico, e dunque la giustificazione dell’esborso stesso assume carattere privatistico (con conseguente devoluzione al giudice ordinario) e quando invece l’esborso trova giustificazione in un rapporto pubblicistico impositivo (ricadente nella giurisdizione tributaria) e l’utilizzo del bene pubblico, o il presumibile vantaggio che il privato riceve dal servizio (o potrà ricevere dal servizio quando verrà istituito) costituiscono solo il presupposto giustificativo dell’imposizione”. 3.1.11 Fermo di beni mobili registrati e iscrizione di ipoteca L’art. 19 del DLgs. 546/92 contempla, tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, il provvedimento di fermo amministrativo di beni mobili registrati e l’iscrizione di ipoteca su beni immobili del debitore. In osservanza di quanto stabilito con le sentenze della Corte Costituzionale 64 e 130/2008 (cfr. § 2.2.1 e 2.2.5), la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la pronuncia 5.6.2008 n. 14831, ha sancito che: se i crediti posti a fondamento del provvedimento sono di natura non tributaria (ad esempio, crediti previdenziali), sussiste la giurisdizione ordinaria; per contro, se l’atto concerne crediti fiscali, sussiste la giurisdizione tributaria; “il debitore, in caso di provvedimento [nella specie] di fermo che trovi riferimento in una pluralità di crediti di natura diversa, può comunque proporre originariamente separati ricorsi innanzi ai giudici diversamente competenti”. Di diverso avviso si è dimostrata parte della giurisprudenza di merito. Con la sentenza 7.11.2008 n. 180, C.T. Prov. Pisa ha precisato che la giurisdizione tributaria deve sussistere anche qualora il credito tutelato dal fermo non abbia natura tributaria. Infatti, specificano i giudici, nel caso in cui un contribuente sia notificatario di una cartella di pagamento relativa ad imposte, contributi e sanzioni derivanti da violazioni del codice della strada, egli sarebbe costretto, in armonia con quanto evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, ad adire tre giudici diversi, “con il rischio di trovarsi dinnanzi a tre diverse pronunce di pari grado”. 3.1.12 Fermo amministrativo dei rimborsi La Pubblica Amministrazione può, in determinate circostanze, fruire di istituti finalizzati alla tutela dei propri crediti, che consistono, tra l’altro, nella sospensione 63 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria dei pagamenti o dei rimborsi i cui beneficiari siano, allo stesso tempo, debitori nei confronti della stessa. Anche l’Amministrazione finanziaria beneficia delle suddette misure cautelari. Il fermo dei rimborsi fiscali può essere disposto in base: all’art. 69 del RD 2440/23, norma valevole per tutte le amministrazioni dello Stato; L’art. 69 del RD 2440/23 stabilisce che “qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo”. all’art. 23 del DLgs. 472/97, disposizione relativa alle sanzioni tributarie. Fermo disposto ai sensi dell’art. 69 del RD 2440/23 Secondo la Cassazione, la giurisdizione in punto di fermo non può essere sempre devoluta alle Commissioni, siccome essa sussiste solo ove il contribuente metta in discussione la sussistenza del potere di adozione della misura cautelare (Cass. SS.UU. 28.3.2006 n. 7023 e Cass. SS.UU. 7.2.2002 n. 1733). Invece, qualora il contribuente denunci vizi del fermo e, di conseguenza, ne richieda l’annullamento, la posizione giuridica soggettiva sarebbe di interesse legittimo, quindi la giurisdizione sarebbe quella amministrativa (Cass. SS.UU. 7.2.2002 n. 1733). Detto orientamento pare essere stato rivisto dalle Sezioni Unite, che, sebbene non in materia fiscale, hanno sostenuto che la giurisdizione deve radicarsi con riferimento alla natura giuridica del bene tutelato (Cass. SS.UU. 22.12.2010 n. 25983). È interessante notare che i giudici, a sostegno di ciò, richiamano il proprio orientamento in tema di giurisdizione sul fermo dei beni mobili registrati, che, al pari del fermo dei rimborsi, si radica con riferimento alla natura del credito e non alla posizione giuridica soggettiva del soggetto Fermo disposto ai sensi dell’art. 23 del DLgs. 472/97 I provvedimenti di compensazione e di sospensione adottati per effetto dell’art. 23 del DLgs. 472/97 sono dichiarati impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie dalla norma stessa, per cui non si pongono problemi relativi alla giurisdizione. 3.1.13 Pretese avanzate mediante cartella di pagamento Ai fini dell’individuazione del giudice fornito di giurisdizione, non ha rilevanza che le somme (aventi natura extratributaria) siano richieste mediante cartella di pagamento. Inoltre, è irrilevante che nella cartella sia stato dato avviso della possibilità di ricorrere al giudice tributario siccome la giurisdizione tributaria “non dipende dalla volontà, o, peggio ancora, dagli errori delle parti, ma dall’oggetto della lite in relazione alle previsioni della legge” (Cass. SS.UU. 9.5.2008 n. 11498 e 30.6.2009 n. 15242). Somme riscosse per conto di uno Stato estero Le operazioni prodromiche alla fase espropriativa (emanazione della cartella di pa- 64 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria gamento e, se del caso, dell’avviso di mora) rientrano nella giurisdizione tributaria anche se il tributo è richiesto da uno Stato estero, nella specie la Germania (Cass. SS.UU. 23.5.2008 n. 13357). 3.1.14 Liti espropriative L’art. 2 del DLgs. 546/92 prevede che restano escluse dalla giurisdizione tributaria le controversie inerenti gli atti dell’esecuzione forzata esattoriale successivi alla cartella di pagamento e, se previsto, all’avviso di mora. In virtù di ciò, le liti inerenti le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi rientrano nella giurisdizione ordinaria. Pignoramento disposto senza previa notifica della cartella di pagamento Possono sorgere problemi in relazione all’ipotesi in cui l’atto di pignoramento sia stato emanato senza previa notifica dell’atto “presupposto” (cartella di pagamento o avviso di accertamento). Per approfondimenti si rinvia al cap. 28 “Omessa notifica dell’atto «presupposto»”. Secondo varie sentenze della giurisprudenza di merito, il pignoramento, in tal caso, sarebbe ricorribile, posto che il contribuente impugnerebbe, unitamente al pignoramento, anche la cartella di pagamento (C.T. Prov. Piacenza 29.6.2009 n. 71, C.T. Prov. Milano 27.10.2009 n. 255, C.T. Prov. Parma 11.2.2010 n. 39 e C.T. Prov. Milano 10.9.2010 n. 186), e tale soluzione sembra accolta dalla Suprema Corte, espressasi sul punto in via incidentale (Cass. 4.10.2011 n. 20294). 3.1.15 Controversie in materia di terreni Rientrano nella giurisdizione tributaria le liti, promosse dai singoli possessori, inerenti: l’intestazione, la delimitazione, il classamento dei terreni; la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella; la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale (art. 2 del DLgs. 546/92). Le c.d. “liti catastali” presentano profili controversi, in quanto, a seconda della fattispecie oggetto della lite, possono sussistere, alternativamente, la giurisdizione tributaria, amministrativa e ordinaria. Ambito di estensione della giurisdizione tributaria Le Sezioni Unite hanno chiarito il riparto di giurisdizione tra giudici ordinari e giudici tributari in materia di controversie sui terreni (Cass. SS.UU. 26.7.2007 n. 16429 e 19.1.2010 n. 675). La Corte ha affermato che: i giudici tributari sono competenti sulle controversie instaurate dai privati possessori che abbiano ad oggetto operazioni di intestazione o di variazione, operate dall’amministrazione al solo fine dell’imposizione di tributi, rispetto ai quali le intestazioni o variazioni si configurino come presupposti indispensabili; 65 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria la giurisdizione spetta al giudice ordinario se la lite coinvolge la titolarità del diritto dominicale. Non è possibile, infatti, interpretare letteralmente il disposto di cui all’art. 2 del DLgs. 546/92, posto che tale norma attiene strettamente alla materia tributaria e non può essere applicata al di fuori di tale ambito. Questa, infatti, non si riferisce ad ogni controversia che possa avere ad oggetto le materie in essa indicate, poiché, ove interpretata in tal senso, comporterebbe il confluire nella giurisdizione tributaria anche di molte azioni tipiche di tutela della proprietà, come l’azione di rivendica o di regolamento di confini, “che palesemente esulano dalla materia che la normativa in discorso intendeva disciplinare”. Giurisdizione amministrativa Sussiste la giurisdizione amministrativa ove il contribuente intenda impugnare un atto a carattere “generale” quale, ad esempio, il decreto in materia di tariffe di estimo (Corte Cost. 19.1.93 n. 9). Giurisdizione ordinaria Spettano alla giurisdizione ordinaria le liti promosse dai soggetti titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale che domandano la dichiarazione di nullità di un frazionamento catastale (Cass. 15.4.2004 n. 7144). Ovviamente, rimane ferma la giurisdizione ordinaria per i processi relativi ad azioni di rivendica o di regolamento di confini. 3.1.16 Monopolio statale del gioco del lotto Il monopolio statale del gioco del lotto, sebbene sia funzionale all’assicurazione di entrate all’Erario, non rappresenta né un’imposta indiretta sulla scommessa né un’imposta sul reddito. Pertanto, il giocatore che agisce in giudizio ai sensi dell’art. 1935 c.c. deve instaurare il processo dinanzi alla giurisdizione ordinaria (Cass. SS.UU. 6.4.2006 n. 7996). Ai sensi dell’art. 1935 c.c., “le lotterie danno luogo ad azione in giudizio, qualora siano state legalmente autorizzate”. 3.1.17 Controversie tra istituto di credito delegato alla riscossione e Amministrazione finanziaria Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia, tra l’istituto di credito delegato alla riscossione e l’Amministrazione finanziaria, volta al rimborso delle somme (e degli interessi) versati dalla Banca in eccesso rispetto agli importi per i quali essa era stata delegata dal contribuente (Cass. SS.UU. 7.11.2000 n. 1148). Le Sezioni Unite affermano, infatti, che la delega con cui il contribuente affida il pagamento delle imposte all’istituto bancario comporta l’estinzione del debito d’imposta e la contestuale costituzione, in capo alla Banca delegata, di un’obbligazione distinta, avente ad oggetto la devoluzione alla Tesoreria dello Stato della somma ricevuta. 3.1.18 Diritti di imbarco aeroportuale Sino alle innovazioni apportate dalla L. 222/2007, secondo la giurisprudenza i diritti di imbarco aeroportuale dei passeggeri di cui all’art. 5 della L. 324/76 rientravano nella giurisdizione tributaria siccome corrisposti, in via coattiva, dagli utenti del ser66 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria vizio aeroportuale per consentire ai gestori di svolgere le attività loro affidate (Cass. SS.UU. 17.10.2006 n. 22245). L’art. 39-bis del DL 159/2007 ha invece stabilito che le norme in tema di diritti di imbarco “si interpretano nel senso che dalle stesse non sorgono obbligazioni di natura tributaria”, per cui, a seguito di ciò, è possibile affermare che sussiste la giurisdizione ordinaria. In tal senso si sono pronunciate le Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2008 n. 379. 3.1.19 Contributo unificato atti giudiziari Le liti relative al “contributo unificato atti giudiziari” sono devolute alla giurisdizione tributaria, in quanto il suddetto contributo è sostitutivo dell’imposta di bollo (Cass. SS.UU. 8.2.2008 n. 3008 e Cass. SS.UU. 5.5.2011 n. 9840). La natura tributaria del contributo unificato è stata anche affermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 11.2.2005 n. 73. Per approfondimenti sul contributo unificato, applicabile, dal 7.7.2011, anche nel contenzioso tributario, si veda il cap. 66 “Contributo unificato e diritti di copia”. 3.1.20 Tassa di iscrizione ad albi professionali Rientrano nella nozione di tassa, con conseguente sussistenza della giurisdizione tributaria, le liti relative alle quote di iscrizione agli albi professionali, in quanto prestazioni imposte “doverose” ed entrate che prescindono da un qualsivoglia rapporto di sinallagmaticità (Cass. SS.UU. 26.1.2011 n. 1782). La causa riguarda le quote di iscrizione agli albi degli avvocati, ma, come del resto precisato nella stessa sentenza, ben può riguardare la tassa di iscrizione ad albi relativi all’esercizio di altre professioni. 3.1.21 Diritti camerali È stato più volte sancito che le liti relative ai diritti camerali sono devolute alla giurisdizione tributaria (Cass. SS.UU. 23.4.2008 n. 10469). 3.1.22 Rimborso del costo delle fideiussioni prestate dal contribuente L’art. 8 co. 4 della L. 212/2000 (c.d. “Statuto dei diritti del Contribuente”) sancisce che l’ufficio deve rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione dei pagamenti. La norma può avere rilevanza, tra l’altro, per le fideiussioni prestate ai sensi dell’art. 38-bis del DPR 633/72 nonché per quelle ottenute ai fini della sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato. Per approfondimenti si rinvia al cap. 48 “Tutela cautelare”. In tal caso, è dubbia la sussistenza della giurisdizione tributaria, stante il carattere non fiscale delle spese sostenute per l’ottenimento delle fideiussione. Il Tribunale di Trieste, con la sentenza 28.12.2007 n. 1443, ha dichiarato la giurisdizione ordinaria, in quanto la fideiussione non può essere considerata “accessorio” del tributo (cfr. § 3.1.8). Per contro, la giurisdizione tributaria è stata implicitamente ammessa da C.T. Prov. 67 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Treviso 30.7.2008 n. 35 e C.T. Reg. Trieste 15.1.2008 n. 35. Inoltre, C.T. Reg. Bari 3.4.2009 n. 50 ha sancito che il costo della fideiussione è considerabile quale “accessorio” del tributo. 3.1.23 Altre fattispecie Secondo la giurisprudenza, rientrano nella giurisdizione tributaria le liti relative: al canone RAI (Cass. SS.UU. 20.11.2007 n. 24010); alle tasse sulle concessioni governative (Cass. SS.UU. 28.11.2005 n. 25031); alle tasse automobilistiche (Cass. SS.UU. 12.2.2010 n. 3242); alla tasse di archivio notarile (Cass. SS.UU. 4.3.2010 n. 5287); al contrassegno SIAE (Cass. SS.UU. 26.1.2011 n. 1780). Per contro, rientrano nella giurisdizione ordinaria le liti inerenti: gli oneri economici posti a carico dei titolari degli impianti di riscaldamento per le attività di controllo (Cass. SS.UU. 30.11.2006 n. 25520); i contributi erogati dall’Unione europea (C.T. Reg. Roma 30.6.2006 n. 85); i compensi derivanti dallo sfruttamento abusivo di un bene di proprietà pubblica (Cass. SS.UU. 14.1.2005 n. 604); le spese di giustizia (Cass. SS.UU. 14.2.2007 n. 3184); il c.d. “canone di posteggio” di cui all’(abrogato) art. 3 della L. 112/91 (Cass. SS.UU. 15.5.2006 n. 11089); l’entità delle garanzie fornite mediante polizza fideiussoria per ottenere il rimborso dell’IVA ex art. 38-bis del DPR 633/72, sussistenti tra fideiussore e Amministrazione finanziaria (Cass. SS.UU. 28.7.98 n. 7395; in senso simile, Cass. SS.UU. 5.12.2011 n. 25934); l’accertamento del credito d’imposta in sede di opposizione allo stato passivo (Cass. SS.UU. 12.12.2001 n. 15715); i diritti di prelievo sulle “quote latte” (C.T. Prov. Brescia 21.4.2005 n. 10); le spese di notifica degli atti giudiziari (Cass. SS.UU. 7.12.2007 n. 25551); i contributi per eventi sismici (Cass. SS.UU. 30.6.2009 n. 15242). Fattispecie Giurisdizione tributaria Giurisdizione ordinaria Liti di rivalsa (sostituzione d’imposta) X Liti IVA tra cessionario e cedente X Responsabilità processuale aggravata (art. 96 c.p.c.) X Danno cagionato dall’ente impositore o da Equitalia Rimborso delle imposte X X Rimborso delle imposte (se l’ufficio ha riconosciuto X il credito) Interessi X Rivalutazione monetaria X Contributi dovuti ai Consorzi di bonifica X Fermo di beni mobili registrati e iscrizione di ipoteca (se il credito tutelato ha natura tributaria) 68 X Caso dubbio Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Fattispecie Giurisdizione tributaria Fermo di beni mobili registrati e iscrizione di ipoteca (se il credito tutelato non ha natura tributaria) Caso dubbio X Fermo amministrativo dei rimborsi fiscali X Liti “catastali” X Liti “catastali” (se lite riguarda la titolarità del diritto X dominicale) Diritti camerali Giurisdizione ordinaria X Tasse di concessione governativa X Canone RAI X Canoni demaniali X Canoni previsti da varie disposizioni normative X Controversie tra istituto di credito delegato alla ri- X scossione e ufficio Diritti di imbarco aeroportuale X Contributi erogati dall’UE X Spese di giustizia X Quote di iscrizione agli albi professionali X Contributo unificato atti giudiziari X Sanzioni valutarie X Sanzioni (omessa compilazione modulo RW) X Rimborso costo delle fideiussioni X 3.2 GIURISDIZIONE TRIBUTARIA E GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA In relazione a determinate fattispecie, possono sorgere problemi relativi al riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice amministrativo. La giurisdizione amministrativa si configura qualora l’attività amministrativa sia caratterizzata da profili discrezionali nonché nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva (ambiente, urbanistica). 3.2.1 Circolari dell’Amministrazione finanziaria Le circolari dell’Amministrazione finanziaria (così come le note e le risoluzioni) non sono atti giuridici, in quanto non comportano alcun effetto vincolante nei confronti del contribuente. In una lite ove è stata impugnata una circolare, la Sezioni Unite hanno dichiarato il difetto di giurisdizione assoluto, posto che tali provvedimenti non sono impugnabili dinanzi a nessun giudice (Cass. SS.UU. 2.11.2007 n. 23031). 3.2.2 Diniego di autotutela Rientrano nella giurisdizione tributaria le controversie relative al diniego di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cass. SS.UU. 10.8.2005 n. 16776, Cass. 20.2.2006 n. 3608, Cass. SS.UU. 27.3.2007 n. 7388 e Cass. 29.12.2010 n. 26313). Le sentenze superano quanto sostenuto da Cass. 26.1.2007 n. 1710, secondo cui, data l’ampia discrezionalità del potere di autotutela, l’impugnabilità del diniego non sarebbe consentita. 69 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Per approfondimenti sull’impugnabilità del diniego si rinvia al cap. 27 “Atti impugnabili”. 3.2.3 Domicilio fiscale stabilito dall’Amministrazione L’art. 58 del DPR 600/73 sancisce che “agli effetti delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende domiciliato in un comune dello Stato”. In deroga a quanto stabilito dalla norma appena citata, l’ufficio può stabilire il domicilio fiscale “nel comune dove il soggetto svolge in modo continuativo la principale attività ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, nel comune in cui è stabilita la sede amministrativa” (art. 59 del DPR 600/73). Si veda la voce “Domicilio fiscale”, in “Accertamento e riscossione”, Guide e Soluzioni, IPSOA. La giurisprudenza ha precisato che: la controversia sulla legittimità del provvedimento rientra nella giurisdizione amministrativa e non in quella delle Commissioni tributarie (Cass. SS.UU. 5.7.65 n. 1408); il giudice può censurare solo la legittimità del provvedimento. Di conseguenza, egli potrà valutare se il domicilio sia stato spostato “nel comune dove il soggetto svolge in modo continuativo la propria attività”, e non, a titolo esemplificativo, se il provvedimento sia anche stato adottato per agevolare l’attività di accertamento (Consiglio di Stato 6.12.77 n. 1123). Si rileva che la (risalente) sentenza del Consiglio di Stato è stata emanata in un contesto storico in cui il vizio di eccesso di potere aveva un ambito di applicazione più ristretto rispetto a oggi. Per questo motivo, non è da escludere un sindacato del giudice più penetrante rispetto a quanto sembra consentito dalla massima riportata. Tanto premesso, non è possibile escludere un mutamento di giurisprudenza, posto che, a ben vedere, il provvedimento di cambiamento del domicilio fiscale attiene pressoché solo alla materia tributaria. 3.2.4 Rateazione delle somme iscritte a ruolo L’art. 19 del DPR 602/73 sancisce che l’Agente della Riscossione può concedere al contribuente, al ricorrere di determinati presupposti, la dilazione delle somme iscritte a ruolo. Il diniego di rateazione, secondo varie pronunce delle Sezioni Unite, è impugnabile in sede tributaria, sulla base del carattere onnicomprensivo di tale giurisdizione (Cass. SS.UU. 1.7.2010 n. 15647, Cass. SS.UU. 7.10.2010 n. 20778 e Cass. SS.UU. 14.3.2011 n. 5928). I giudici hanno affermato che, ai fini del radicamento della giurisdizione, non ha rilievo il fatto che il diniego di rateazione possa essere basato su valutazioni discrezionali, estranee al campo fiscale. Equitalia, con la direttiva 27.3.2008, si era invece espressa in senso favorevole alla giurisdizione amministrativa. Come rilevato da attenta dottrina, la questione dovrebbe essere esaminata anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 19 del DPR 602/73, relativo alla dilazione delle somme iscritte a ruolo. Per effetto delle modifiche apportate dal DL 248/2007, ora la dilazione delle somme può essere concessa anche a esecuzione avviata. Siccome la giurisdizione tributaria si “ferma” agli atti esecutivi successivi 70 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria alla cartella di pagamento, in tal caso potrebbero sorgere dubbi sulla sua sussistenza, anche se, per esigenze di ordine sistematico, è meglio optare per la soluzione affermativa. 3.2.5 Sospensione amministrativa della riscossione L’ente impositore può sospendere la riscossione fino alla pubblicazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale (art. 39 del DPR 602/73). Con la sentenza 9.11.2005 n. 6269, il Consiglio di Stato ha dichiarato in tal caso la giurisdizione amministrativa. Secondo i giudici, il provvedimento di sospensione è espressione del potere amministrativo di autotutela, “e mira ad evitare una riscossione che sia sostanzialmente ingiusta o inopportuna, per la esistenza di fatti o circostanze che sono oggetto di esclusiva valutazione, tipicamente discrezionale, dell’amministrazione”. Tanto premesso, la decisione contrasta, dal punto di vista ideologico, con la devoluzione alla giurisdizione tributaria del diniego di autotutela (cfr. § 3.2.2). Bisogna considerare che la giurisprudenza più recente ha affermato che la linea di demarcazione tra giurisdizione tributaria e amministrativa non concerne la situazione giuridica soggettiva (diritto soggettivo e interesse legittimo) ma la materia, pertanto se essa è tributaria non si può optare per la giurisdizione amministrativa sol perché si è in presenza di un interesse legittimo. 3.2.6 Rigetto dell’istanza del privato relativa alla fruizione dei benefici del “cinque per mille” Nell’ipotesi relativa al rigetto dell’istanza del privato relativa alla fruizione dei benefici del “cinque per mille”, vi sono dubbi sulla giurisdizione competente. Con la circ. 22.5.2007 n. 30 (§ 10), l’Agenzia delle Entrate ha specificato che il ricorso contro il provvedimento di diniego deve essere proposto dinanzi al giudice ordinario. Nello stesso senso, TAR Toscana 14.3.2008 n. 294 e 28.2.2008 n. 246, ad avviso dei quali la giurisdizione amministrativa va esclusa sulla base del fatto che la partecipazione al riparto del cinque per mille, così come l’individuazione dei beneficiari, non implicano scelte discrezionali da parte dell’ufficio. Per questo motivo, la situazione giuridica soggettiva rientra nell’alveo del diritto soggettivo (e non dell’interesse legittimo), con conseguente sussistenza della giurisdizione ordinaria. Nel senso della giurisdizione tributaria, C.T. Prov. Napoli 29.4.2010 n. 376, in quanto la situazione è assimilabile al diniego di iscrizione/cancellazione dall’anagrafe delle ONLUS (§ 3.2.7, 3.2.8). 3.2.7 Provvedimento di iscrizione all’anagrafe delle ONLUS Ai sensi dell’art. 11 del DLgs. 460/97, è istituita presso il Ministero delle Finanze l’anagrafe delle ONLUS. L’art. 3 del DM 266/2003 precisa che, senza pregiudizio dell’ulteriore azione di verifica, la Direzione Regionale delle Entrate iscrive il soggetto richiedente nell’apposito registro. 71 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Le cause inerenti il diniego di iscrizione all’anagrafe delle ONLUS, al pari di quelle relative al provvedimento di cancellazione, rientrano nella giurisdizione tributaria (TAR Lazio 9.6.2010 n. 16762 ). 3.2.8 Provvedimento di cancellazione dall’anagrafe delle ONLUS In base al più recente orientamento della giurisprudenza, sussiste la giurisdizione tributaria in merito all’impugnazione del provvedimento di cancellazione di una ONLUS dall’apposita anagrafe (art. 5 del DM 266/2003). Prima dell’intervento delle Sezioni Unite (sentenza 1625/2010), la questione non era pacifica. Con la pronuncia 16.11.2004 n. 13087, il TAR Lazio ha dichiarato la giurisdizione amministrativa, sulla base del fatto che la perdita dello status di ONLUS “non ha risvolti soltanto di carattere fiscale, ma si traduce nella perdita d’immagine e di una serie di benefici previsti dalla legge ad altri fini” (in senso analogo, C.T. Prov. Roma 17.6.2008 n. 189). Secondo C.T. Prov. Ancona 27.9.2004 n. 106, invece, sarebbe sussistita la giurisdizione tributaria in ragione della consequenzialità tra l’iscrizione all’anagrafe delle ONLUS e lo speciale regime tributario riservato a queste ultime. Nello stesso senso, TAR Marche 14.4.2004 n. 169. Le Sezioni Unite si sono infine pronunciate in senso favorevole alla giurisdizione tributaria (Cass. SS.UU. 27.1.2010 n. 1625). I giudici rilevano che il motivo dell’istituzione dell’anagrafe delle ONLUS è prettamente tributaria, come ben si può evincere dal titolo del DLgs. 460/97 (“Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”) e dai numerosi benefici fiscali collegati alla suddetta iscrizione. Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, il provvedimento di cancellazione dall’anagrafe delle ONLUS va impugnato dinanzi la Commissione tributaria. L’assunto prende le mosse dal fatto che, nel contesto di cui al DLgs. 460/97, le ONLUS “non costituiscono un nuovo tipo di soggetto giuridico ma una categoria fiscale a cui partecipano le organizzazioni che a precise condizioni fruiscono di un trattamento fiscale agevolato” (circ. Agenzia delle Entrate 16.5.2005 n. 22 § 8). L’impostazione è stata ribadita con la ris. 5.3.2010 n. 16. 3.2.9 Potere di annullamento degli atti amministrativi illegittimi e potere di disapplicazione Al giudice tributario è attribuito il potere di annullamento degli atti impositivi. La questione è più complessa se l’atto impositivo è emanato sulla base di un regolamento o di un atto amministrativo generale (si pensi, ad esempio, all’ipotesi dei tributi locali o alle rettifiche basate sul c.d. “redditometro”). In quest’ultima ipotesi, se il regolamento (o l’atto amministrativo generale) si profila illegittimo, può essere: disapplicato, dal giudice tributario; annullato, dal giudice amministrativo (art. 7 co. 5 del DLgs. 546/92). 72 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Per approfondimenti si rinvia al cap. 20 “Potere di disapplicazione”. 3.2.10 Oneri di urbanizzazione Le liti relative agli oneri di urbanizzazione sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass. 20.10.2006 n. 22514). 3.2.11 Contributi obbligatori per la richiesta di attivazione della procedura di VIA (Valutazione impatto ambientale) L’art. 27 della L. 136/99 prevede che, per ogni richiesta di VIA (Valutazione di impatto ambientale), l’istante deve corrispondere un determinato importo. Tale somma è versata a titolo di contributo per il servizio di verifica dell’impatto ambientale dell’opera che si intende realizzare (ad esempio, una centrale termoelettrica). Secondo le Sezioni Unite, “la prestazione pecuniaria dovuta dal richiedente, determinata dalla legge nella quantità e nei presupposti, non si colloca all’interno di un quadro di corrispettività sinallagmatica, ma costituisce un’entrata dello Stato … funzionale alla copertura dei costi per l’esercizio di una pubblica funzione nell’interesse della collettività”. Per questo motivo, l’entrata ha natura di tassa, con conseguente sussistenza della giurisdizione tributaria (Cass. SS.UU. 16.4.2007 n. 8955 e 8956). 3.2.12 Richiesta di abilitazione al rilascio del c.d. “visto pesante” Le liti relative all’impugnazione del rifiuto all’abilitazione concernente il rilascio della certificazione tributaria rientrano nella giurisdizione ordinaria, in quanto implicano una valutazione sullo status professionale del soggetto, e coinvolgono non interessi legittimi, bensì diritti soggettivi (Consiglio di Stato 3.4.2009 n. 2106). Questa interpretazione, sempre sulla base di quanto detto nel § 3.2.5, desta alcune perplessità. 3.2.13 Transazione fiscale È controverso se il diniego di transazione fiscale di cui all’art. 182-ter del RD 267/42 debba essere impugnato dinanzi alla giurisdizione tributaria o alla giurisdizione amministrativa. Per TAR Catanzaro 27.7.2012 n. 424, la questione è devoluta alla giurisdizione amministrativa, siccome, oltre al problema relativo alla delineazione della situazione giuridica sottostante (diritto soggettivo o interesse legittimo), l’atto con cui l’Amministrazione rigetta o accoglie la proposta inerisce un rapporto di natura tributaria che risulta però già definito. Più precisamente, il suddetto atto, rispetto al sottostante rapporto tributario, dà vita a un’ulteriore fase che non riguarda più l’accertamento e la quantificazione dell’obbligazione tributaria, né è relativo alla fase della sua riscossione, ma implica una nuova valutazione da parte degli uffici. 3.2.14 Atti emanati durante le verifiche fiscali Gli atti istruttori (ordini di verifica, processi verbali di constatazione) non sono immediatamente impugnabili, posto che ogni contestazione deve essere fatta valere unitamente al ricorso contro l’atto impositivo. 73 Cap. 2 - Giurisdizione tributaria Si veda anche il cap. 27 “Atti impugnabili”. La diretta impugnabilità degli atti di verifica è stata esclusa anche dinanzi alla giurisdizione amministrativa. Infatti, la Corte di Cassazione ha stabilito che il disposto di cui all’art. 7 della L. 212/2000 (c.d. “Statuto dei diritti del Contribuente”), secondo cui “la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti”, non può essere interpretato nel senso di introdurre nel sistema una doppia tutela, in quanto tale norma consente di impugnare dinanzi al TAR atti che, per loro natura genetica, non possono essere impugnati dinanzi alle Commissioni tributarie quali i regolamenti amministrativi, e non atti (come gli “ordini di verifica”) che possono essere sindacati in sede tributaria unitamente al ricorso contro il successivo accertamento (Cass. SS.UU. 16.3.2009 n. 6315). Fattispecie Diniego di autotutela Giurisdizione Giurisdizione Caso tributaria amministrativa particolare X Dilazione delle somme iscritte a ruolo X Sospensione amministrativa della riscossione X Circolari dell’amministrazione finanziaria Difetto di giurisdizione assoluto Domicilio fiscale stabilito dall’ufficio Cancellazione anagrafica delle ONLUS X X Oneri di urbanizzazione Contributi obbligatori per la richiesta di attivazione VIA X X Cinque per mille (rigetto all’ammissione dei benefici) Caso dubbio Visto pesante (rilascio) Giurisdizione ordinaria Transazione fiscale Questione Atti istruttori Unitamente all’atto impositivo dubbia 74 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione 3 DIFETTO DI GIURISDIZIONE DLgs. 546/92 L. 69/2009 3 - 59 Giurisprudenza Cass. SS.UU. 4.5.63 n. 1104; Cass. SS.UU. 3.3.2003 n. 3144; Cass. SS.UU. 26.2.2004 n. 3877; Cass. SS.UU. 12.1.2005 n. 385; C.T. Prov. Salerno 15.11.2006 n. 265; Cass. SS.UU. 22.2.2007 n. 4109; Corte Cost. 12.3.2007 n. 77; Cass. SS.UU. 3.7.2007 n. 14993; Consiglio di Stato 16.7.2007 n. 4032; Cass. SS.UU. 5.6.2008 n. 14831; Cass. SS.UU. 9.10.2008 n. 24883; C.T. Reg. Puglia sez. Lecce 11.3.2011 n. 72; C.T. Reg. Firenze 20.3.2012 n. 20/21/12; C.T. Prov. Caltanissetta 28.5.2012 n. 170/3/12 1 PREMESSA La giurisdizione tributaria concerne, in linea di principio, le liti inerenti tributi di ogni genere e specie, comunque denominati (art. 2 del DLgs. 546/92). Per approfondimenti sulla giurisdizione tributaria si rinvia al cap. 2 “Giurisdizione tributaria”. Tuttavia, in alcuni casi può essere difficile stabilire quale sia il giudice fornito di giurisdizione, in quanto non sempre è pacifica la natura giuridica di una fattispecie. Si pensi, a titolo esemplificativo, ai canoni di concessione comunale, alle liti di “rivalsa” nella sostituzione d’imposta o a quelle inerenti il fermo di beni mobili registrati. La devoluzione di una lite alla giurisdizione ordinaria piuttosto che a quella tributaria è rilevante. È sufficiente rammentare che, qualora venga affermata la giurisdizione ordinaria, il patrocinio dovrà essere necessariamente assunto da un avvocato e non da altri professionisti quali dottori commercialisti o ragionieri. I rimedi offerti dall’ordinamento per censurare l’inosservanza delle norme in tema di giurisdizione sono: il difetto di giurisdizione; il regolamento preventivo di giurisdizione. Questioni di giurisdizione: ripartizione della potestà decisionale tra Corte Costituzionale e Corte di Cassazione Le questioni sulla giurisdizione possono essere esaminate, a seconda delle ipotesi, sia dalla Corte Costituzionale sia dalla Corte di Cassazione. Ovviamente, diversi sono gli effetti delle pronunce emanate dai suddetti organi. Per approfondimenti sugli effetti delle sentenze della Corte Costituzionale si rinvia al cap. 42 “C.d. «pregiudiziale di costituzionalità»”. Qualora sia la legge a prevedere che una certa materia è devoluta alla giurisdizione tributaria, il giudice (d’ufficio o sollecitato dalle parti) può sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma per contrasto con l’art. 102 Cost. 75 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione Per contro, nel caso in cui la risoluzione della questione sia demandata all’interprete, trovano applicazione i rimedi processuali del difetto di giurisdizione nonché del regolamento preventivo di giurisdizione. Riepilogando, se il giudice ritiene che: l’art. 2 del DLgs. 546/92 o altra norma sia incostituzionale nella parte in cui devolve una certa materia alla giurisdizione tributaria, solleva la questione di fronte alla Consulta; una lite, ad esempio, non sia relativa a un tributo bensì a un corrispettivo patrimoniale, può dichiarare il difetto di giurisdizione sul quale si pronuncerà la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, se investita della questione. Differenza tra atto impugnabile e giurisdizione Nel processo tributario vige il principio di tassatività degli atti impugnabili: di conseguenza, possono essere impugnati, in linea generale, solo gli atti elencati dall’art. 19 del DLgs. 546/92. Per approfondimenti sulla possibilità di interpretare estensivamente l’elenco di cui all’art. 19 del DLgs. 546/92 si rinvia al cap. 27 “Atti impugnabili”. La proposizione del ricorso avverso un atto non rientrante nel suddetto elenco non riguarda la giurisdizione bensì la proponibilità della domanda. Pertanto, qualora il contribuente: ricorra ad esempio avverso un “PVC” (atto non impugnabile), il giudice dichiara l’inammissibilità del ricorso; impugni un’ingiunzione concernente il recupero di un canone demaniale (atto impugnabile inerente una fattispecie devoluta alla giurisdizione ordinaria), il giudice dichiara il difetto di giurisdizione. La questione può complicarsi nella fattispecie in cui, prima dell’esame dell’impugnabilità di un provvedimento, occorra determinare il giudice fornito di giurisdizione. Si pensi al caso del diniego di autotutela. Come si può evincere dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 27.3.2007 n. 7388: in primo luogo, occorre stabilire se una certa fattispecie (il diniego di autotutela) rientra nella giurisdizione amministrativa o tributaria; risolto tale quesito nel senso favorevole alla giurisdizione tributaria, occorre stabilire se l’atto in esame (il diniego, espresso o tacito) rientra o meno tra quelli impugnabili. CONTESTAZIONE DELLA GIURISDIZIONE eccezione di giurisdizione regolamento preventivo di giurisdizione Fig. 1 - Giurisdizione e rimedi processuali 76 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione 2 MOMENTO DETERMINANTE LA GIURISDIZIONE L’art. 5 c.p.c. stabilisce che “la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento di proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”. Nel rito tributario, la proposizione della domanda coincide con la notifica del ricorso all’ente impositore. L’applicabilità al processo tributario dell’art. 5 c.p.c. è stata ribadita dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza 7.11.2008 n. 363. Mutamento di legge L’art. 5 c.p.c. statuisce che i mutamenti di legge successivi alla proposizione del ricorso non hanno effetto sulla giurisdizione (c.d. “perpetuatio iurisdictionis”). Secondo consolidata giurisprudenza, il principio della c.d. “perpetuatio iurisdictionis” non può essere invocato per affermare la giurisdizione del giudice che inizialmente ne era privo (Cass. SS.UU. 29.12.2004 n. 24073 e Cass. SS.UU. 26.2.2004 n. 3877). Una società di persone riceve, antecedentemente alle modifiche apportate dal DL 203/2005 all’art. 2 del DLgs. 546/92, un atto di ingiunzione inerente il recupero del canone comunale sulla pubblicità. La società propone ricorso dinanzi al Tribunale, che lo accoglie. Successivamente, sopravviene il disposto di cui al DL 203/2005 che, modificando l’art. 2 del DLgs. 546/92, devolve alla giurisdizione tributaria le liti inerenti il suddetto canone. In tale ipotesi, per effetto dell’art. 5 c.p.c., il processo è destinato a continuare dinanzi alla giurisdizione ordinaria, posto che la giurisdizione si determina in base alla legge vigente alla data di proposizione della domanda. Per contro, in base al principio, ormai consolidato, secondo cui l’art. 5 c.p.c. non può essere invocato per affermare la giurisdizione del giudice che inizialmente ne era privo, qualora la causa fosse stata erroneamente instaurata ab origine dinanzi alla giustizia tributaria, non sarebbe più possibile contestarne la giurisdizione, proprio sulla base della sopravvenienza della legge citata. Sopravvenuta incostituzionalità della legge Il principio enunciato dall’art. 5 c.p.c. non trova applicazione nelle ipotesi di declaratoria di incostituzionalità della legge attributiva della giurisdizione. Sul punto, la giurisprudenza ha infatti sancito che la c.d. “perpetuatio iurisdictionis”: non opera quando la norma sulla giurisdizione è successivamente dichiarata incostituzionale, data l’efficacia retroattiva che assiste le pronunce della Corte Costituzionale (Cass. SS.UU. 3.7.2007 n. 14993), e che la declaratoria di illegittimità costituzionale sulla giurisdizione trova applicazione nei giudizi pendenti, posto che la sua efficacia retroattiva prevale sulla perpetuità della giurisdizione di cui all’art. 5 c.p.c. (Consiglio di Stato 16.7.2007 n. 4032). 77 ES Cap. 3 - Difetto di giurisdizione ES Un contribuente propone ricorso avverso un atto impositivo mediante il quale il Comune richiede determinate somme a titolo di COSAP. La Commissione tributaria provinciale accoglie il ricorso, ma il Comune propone appello. Nelle more del processo di secondo grado, sopravviene la sentenza della Corte Costituzionale 64/2008, ove l’art. 2 del DLgs. 546/92 viene dichiarato incostituzionale nella parte in cui devolve alla giurisdizione tributaria le liti relative al COSAP. In tale fattispecie, il giudice di appello dichiarerà con sentenza il proprio difetto di giurisdizione, indicando il giudice fornito di giurisdizione e il termine presso il quale il processo deve essere riassunto, applicando i principi della c.d. “translatio iudicii” (cfr. § 3.3). Come evidenziato, il processo non potrebbe continuare in sede tributaria, stante l’inapplicabilità del disposto di cui all’art. 5 c.p.c. 3 DIFETTO DI GIURISDIZIONE L’art. 3 del DLgs. 546/92 sancisce che “il difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie è rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo”. Il difetto di giurisdizione può essere: assoluto; relativo. Difetto di giurisdizione assoluto Il difetto di giurisdizione assoluto si configura quando, su di una determinata questione, nessun giudice può decidere, poiché, ad esempio, la materia riguarda la valutazione di questioni riservate alla Pubblica Amministrazione (c.d. “merito amministrativo”). L’istituto, nella maggior parte dei casi, riguarda materie sottoposte al vaglio della giustizia amministrativa. Ciò premesso, con la sentenza 2.11.2007 n. 23031, la Corte di Cassazione ha rilevato il difetto di giurisdizione assoluto in merito all’impugnazione di una circolare. In tal caso, infatti, la circolare, non costituendo fonte del diritto, non è idonea a incidere sulle situazioni giuridiche dei contribuenti, pertanto non può essere sottoposta a nessun vaglio giudiziale. Difetto di giurisdizione relativo Il difetto di giurisdizione relativo concerne questioni che, a seconda della regola di diritto da applicare, possono rientrare in una giurisdizione piuttosto che in un’altra. Si pensi, ad esempio, alle liti inerenti i canoni di concessione demaniali. In queste ipotesi, può essere difficile stabilire se la giurisdizione è attribuita al giudice tributario o al giudice ordinario. 3.1 ECCEZIONE DI GIURISDIZIONE L’eccezione di giurisdizione può essere rilevata in ogni stato e grado del processo. Pertanto, la parte può sollevare la questione: oralmente in udienza, a prescindere dal fatto di averla evidenziata nel ricorso; in appello, salvo il limite del giudicato “interno” e “implicito” (cfr. § 3.2). 78 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione 3.2 PRONUNCIA DEL GIUDICE SULLA GIURISDIZIONE Il difetto di giurisdizione è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (art. 3 del DLgs. 546/92). A fronte della questione di giurisdizione, il giudice tributario ha davanti a sé le seguenti possibilità: affermare (anche implicitamente) la propria giurisdizione e decidere nel merito; declinare la propria giurisdizione e indicare il giudice che ne è fornito, con conseguente applicazione della c.d. “translatio iudicii” (cfr. § 3.3); dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione. La sentenza declinatoria della giurisdizione può essere appellata. Per effetto del disposto di cui all’art. 59 co. 1 lett. a) del DLgs. 546/92, il giudice di appello, qualora dichiari la giurisdizione negata dal primo giudice, rimette la causa in primo grado. Per osservazioni inerenti le cause di rimessione della lite in primo grado da parte del giudice di appello si rinvia al cap. 53 “Processo di appello”. Rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione e esame preliminare del ricorso L’art. 27 del DLgs. 546/92 prevede che, in sede di esame preliminare del ricorso, il presidente ne dichiara l’inammissibilità nei casi espressamente previsti. Per approfondimenti sulle cause di inammissibilità del ricorso si rinvia al cap. 36 “Inammissibilità del ricorso”. In detta sede, si ritiene che il presidente non possa rilevare il difetto di giurisdizione, sul quale deve necessariamente pronunciarsi il collegio. Rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione , giudicato “interno” e giudicato “implicito” L’art. 3 del DLgs. 546/92 prevede che il difetto di giurisdizione può essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo. La disposizione deve essere interpretata alla luce del c.d. giudicato “interno”. In base a ciò, qualora il giudice di primo grado si pronunci su un aspetto (anche rilevabile d’ufficio, come la giurisdizione), esso deve essere riproposto nei motivi di appello: in mancanza di ciò, si forma il c.d. giudicato “interno”. Per approfondimenti sul giudicato “interno” e implicito si rinvia al cap. 53 “Processo di appello”. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata su tale aspetto con la sentenza 9.10.2008 n. 24883, affrontando il tema del “giudicato implicito”, concetto leggermente più ampio rispetto al “giudicato interno”. In detta sede, è stato evidenziato che se i giudici di primo grado non affrontano specificamente la questione di giurisdizione “non per questo si può ritenere che la questione non sia stata affrontata e decisa”, posto che ogni decisione giudiziale implica la preventiva verifica della potestà, appunto, di giudicare. In base a ciò, le Sezioni Unite rammentano che la verifica sulla giurisdizione, in assenza di eccezione di parte o di questione rilevata d’ufficio, “avviene comunque de plano” e acquista “visibilità” solo nel caso in cui la giurisdizione venga negata. 79 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione In conclusione, coordinando il principio del c.d. giudicato “implicito” con la rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione: fino al momento in cui la causa non sia decisa nel merito in primo grado, il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti; entro lo stesso termine le parti possono proporre il regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c. (cfr. § 4); la sentenza di primo grado può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione solo se sul punto non si è formato il giudicato, intendendosi per tale anche il giudicato “implicito”, come sopra rilevato; il giudice può rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione solo se sul punto non si è formato il giudicato, intendendosi per tale anche il giudicato “implicito”. ES Un contribuente riceve una cartella di pagamento relativa al recupero di spese di giustizia. Egli propone ricorso dinanzi alla Commissione tributaria, e il giudice annulla la cartella di pagamento. L’Agente della Riscossione propone appello, e, nell’udienza di discussione, eccepisce il difetto di giurisdizione. Alla luce del dictum delle Sezioni Unite (sentenza 24883/2008), l’eccezione è inammissibile posto che l’appellante avrebbe dovuto formulare un motivo di appello sulla giurisdizione. ECCEZIONE DI GIURISDIZIONE (sollevata dalla parte o rilevata d’ufficio) il giudice afferma la propria giurisdizione il giudice nega la propria giurisdizione e indica il giudice che ne è fornito appello ricorso per Cassazione translatio iudicii (vedi fig. 3) appello in caso di accoglimento, il giudice rimette la causa in primo grado Fig. 2 - Procedimento 3.3 RIASSUNZIONE DEL PROCESSO DINANZI AL GIUDICE FORNITO DI GIURISDI- ZIONE (C.D. “TRANSLATIO IUDICII”) Tramite l’istituto della translatio iudicii si consente al contribuente che, per errore, abbia proposto ricorso dinanzi ad un giudice sfornito di giurisdizione, di mantenere salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda. Infatti, prima dell’intervento della Corte Costituzionale (sentenza 77/2007), delle 80 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione Sezioni Unite (sentenza 4109/2007) e, da ultimo, del legislatore, il suddetto errore avrebbe comportato la declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione. Prima dell’intervento del legislatore, l’istituto della translatio iudicii era contemplato per la sola ipotesi della competenza dall’art. 5 del DLgs. 546/92. Per approfondimenti si veda il cap. 4 “Competenza”. 3.3.1 Introduzione a opera del legislatore della translatio iudicii La L. 69/2009, che, tra l’altro, ha riformato varie norme del codice di procedura civile, ha introdotto, all’art. 59, la translatio iudicii tra diverse giurisdizioni. Pertanto, come contemplato dalla disposizione citata: il giudice che abbia dichiarato il proprio difetto di giurisdizione indica, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito; se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione, la domanda è riproposta al giudice indicato come fornito di giurisdizione, “nel successivo processo le parti rimangono vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute”; la domanda di riassunzione si ripropone con le stesse modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile; nel caso in cui sulla giurisdizione non si siano pronunciate le Sezioni Unite, il giudice dinanzi al quale la causa è stata riassunta può, d’ufficio, rimettere la questione alle Sezioni Unite stesse; restano ferme le norme in tema di regolamento preventivo di giurisdizione (cfr. § 4); l’inosservanza dei termini per la riassunzione o la mancata riassunzione determinano l’estinzione del processo, che, oltre ad essere dichiarata dal giudice nella prima udienza, impedisce la conservazione degli effetti della domanda; in ogni caso di riproposizione della domanda dinanzi al giudice fornito di giurisdizione, “le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova”. La L. 18.6.2009 n. 69 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 19.6.2009 n. 140. Prima della suddetta riforma, l’ammissibilità della translatio iudicii era stata sostenuta dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, con la sentenza 22.2.2007 n. 4109, aveva stabilito che questa avrebbe dovuto essere applicata anche alle questioni di giurisdizione. In tale pronuncia, era stato sancito che una lettura costituzionalmente orientata della materia avrebbe imposto di affermare che la c.d. “translatio iudicii” avrebbe dovuto trovare applicazione anche fra giudici diversi, sebbene non vi fosse stata una norma che, a differenza di quanto avviene in tema di competenza, lo avesse affermato espressamente. Alle stesse conclusioni era giunta la Corte Costituzionale che, con la sentenza 12.3.2007 n. 77, aveva dichiarato incostituzionale l’art. 30 della L. 1034/71 (inerente il 81 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione processo amministrativo) “nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione”. Omessa disposizione della translatio iudicii Nell’ipotesi in cui il giudice si limiti a dichiarare il proprio difetto di giurisdizione senza disporre la translatio iudicii, il contribuente può impugnare la sentenza per violazione di una norma processuale. È dubbio che, nonostante la mancata disposizione della translatio iudicii, il contribuente possa provvedere autonomamente a riassumere il processo dinanzi al giudice fornito di giurisdizione. In tal caso, il giudice di appello, investito della questione, se ritiene fondata la declinatoria di giurisdizione, dispone la translatio iudicii a cui avrebbe dovuto provvedere il giudice di primo grado (C.T. Reg. Puglia sez. Lecce 11.3.2011 n. 72). 3.3.2 Riassunzione del processo La riassunzione del processo, ai sensi dell’art. 59 co. 2 della L. 69/2009, deve avvenire con le stesse modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile. Pertanto, l’atto di riassunzione in Commissione tributaria deve possedere i requisiti indicati dall’art. 18 del DLgs. 546/92, inerente il ricorso. Per approfondimenti sulle modalità di stesura del ricorso si veda il cap. 25 “Ricorso: contenuto e notifica”. Inoltre, analogamente a quanto avviene nel caso della competenza (cfr. cap. 4), la parte dovrà, entro trenta giorni dalla notifica del ricorso in riassunzione, provvedere alla costituzione in giudizio, a pena di inammissibilità del ricorso stesso. Si ritiene che, nonostante la translatio iudicii, l’eventuale concessione della sospensiva mantenga i propri effetti anche dinanzi al giudice presso cui il processo viene riassunto. Per approfondimenti sulla tutela cautelare si rinvia al cap. 48 “Tutela cautelare”. Termine per la riassunzione La L. 69/2009 specifica che la riassunzione deve avvenire entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha declinato la propria giurisdizione. Il co. 2 dell’art. 59 della L. 69/2009 dovrebbe applicarsi anche alla pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite. Prima dell’intervento del legislatore, si riteneva il processo dovesse essere riassunto entro sei (ora tre) mesi dalla comunicazione della sentenza che avesse dichiarato il difetto di giurisdizione, in applicazione analogica dell’art. 50 c.p.c., inerente la competenza. In tal senso si era espressa l’Agenzia delle Entrate con la circ. 24.9.2008 n. 56, nel fornire le indicazioni utili agli uffici periferici ai fini della riassunzione dei processi inerenti il “lavoro nero”. 82 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione La normativa processuale sul difetto di giurisdizione si differenzia dunque da quella sulla competenza. Infatti, l’art. 5 del DLgs. 546/92 prevede che la riassunzione dinanzi al giudice indicato come competente debba avvenire entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza che ha dichiarato il difetto di competenza (cfr. cap. 4), mentre, in base all’art. 59 co. 2 della L. 69/2009, la riassunzione deve avvenire entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha disposto la translatio iudicii. Ciò è da accogliere con favore in quanto, come si avrà modo di evidenziare per la competenza, nell’ipotesi in cui il giudice declinasse la propria competenza e una delle parti intendesse sindacare ciò in appello, la causa, per evitare l’estinzione del processo derivante dalla mancata riassunzione, dovrebbe comunque essere riassunta. Nel caso della giurisdizione, invece, nell’ipotesi in cui il giudice di primo grado dichiarasse il proprio difetto di giurisdizione, la parte potrebbe proporre appello, siccome la riassunzione postula la formazione del giudicato sul punto. Mancata o tardiva riassunzione La tardiva o mancata riassunzione della causa dinanzi al giudice fornito di giurisdizione cagiona l’estinzione del processo. Ciò, in sede tributaria, acquista una particolare rilevanza, posto che all’estinzione del giudizio consegue la definitività dell’atto impugnato. Per approfondimenti sull’estinzione del processo si veda il cap. 64 “Estinzione del processo”. Come sostenuto in dottrina, la parte che ne ha interesse potrebbe rivolgersi al giudice ad quem al fine di ottenere una pronuncia sull’estinzione, anche se ciò, a ben vedere, non dovrebbe essere assolutamente necessario. Prove assunte dinanzi al giudice sfornito di giurisdizione L’art. 59 co. 5 della L. 69/2009 stabilisce che in ogni caso di riproposizione della domanda dinanzi al giudice fornito di giurisdizione, “le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova”. Pertanto, nell’ipotesi in cui, in sede civile, sia stata assunta una testimonianza, le dichiarazioni del testimone possono essere valutate dal giudice tributario quale argomento di prova, nonostante l’art. 7 co. 4 del DLgs. 546/92 vieti la prova testimoniale. Mantenimento degli effetti sostanziali e processuali della domanda La riassunzione della causa comporta il mantenimento degli effetti sostanziali e processuali della domanda. Tuttavia, l’art. 59 co. 2 della L. 69/2009 specifica altresì che restano ferme le preclusioni e le decadenze intervenute per cui dovrebbe permanere la decadenza relativa, ad esempio, alla proposizione del ricorso. In base a ciò, sembra potersi affermare che, ove il contribuente proponga impugnazione ad esempio avverso una fattura TIA dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria oltre i 60 giorni, il giudice tributario, investito della lite per effetto della riassunzione, possa comunque dichiarare inammissibile il ricorso (in questo senso, C.T. Reg. Firenze 20.3.2012 n. 20/21/12; C.T. Prov. Caltanissetta 28.5.2012 n. 170/3/12). 83 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione Resta ferma l’applicabilità della rimessione in termini (cfr. cap. 26). Alla stessa conclusione dovrebbe giungersi in merito alle preclusioni processuali, ad esempio costituite dall’impossibilità, nel processo tributario, di integrare i motivi di impugnazione successivamente alla stesura del ricorso. Giudice della riassunzione e regolamento di giurisdizione d’ufficio L’art. 59 co. 3 della L. 69/2009 prevede che, una volta riassunto il processo, il giudice indicato come fornito di giurisdizione possa, d’ufficio, sollevare di fronte alle Sezioni Unite (ove le stesse non si siano già pronunciate) il regolamento di giurisdizione “d’ufficio”. Tale istituto va tenuto distinto dal regolamento di giurisdizione di cui all’art. 41 c.p.c., che può essere intentato dalle parti, e non dal giudice. La Commissione nega la propria giurisdizione e indica il giudice che ne è fornito riassunzione mancata o tardiva riassunzione prosecuzione del processo estinzione del processo (definitività dell’atto) Fig. 3 - Translatio iudicii 3.3.3 Difetto di giurisdizione e impugnazioni Il capo di sentenza con cui il giudice ha dichiarato o declinato la propria giurisdizione può essere appellato. In tal caso, la Commissione tributaria regionale: se ritiene fondata l’eccezione di giurisdizione: rimette la causa in primo grado al giudice che erroneamente ha declinato la propria giurisdizione, oppure dispone la translatio iudicii a favore del giudice fornito di giurisdizione, qualora in primo grado il giudice abbia erroneamente affermato la propria giurisdizione; se ritiene infondata l’eccezione di giurisdizione, esamina se del caso la lite nel merito. L’art. 59 del DLgs. 546/92 prevede infatti che il giudice di appello rimette la causa in primo grado, tra l’altro, qualora il giudice di prime cure abbia erroneamente declinato la propria giurisdizione. Per approfondimenti si rinvia al cap. 53 “Processo di appello”. 3.3.4 “Translatio iudicii” e sopravvenuta incostituzionalità della norma La c.d. “translatio iudicii” opera anche a seguito di sopravvenuta incostituzionalità della norma attributiva della giurisdizione. Ciò può essere di particolare rilevanza posto che, con le sentenze 64/2008, 130/2008 e 39/2010 la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 2 del DLgs. 546/92 nella parte in cui devolve alla giurisdizione tributaria le liti relative al COSAP, al canone per la depurazione e lo scarico delle acque reflue e alle sanzioni “comunque” irrogate dagli uffici finanziari anche se non attinenti la materia fiscale. 84 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione 4 REGOLAMENTO PREVENTIVO DI GIURISDIZIONE Il regolamento preventivo di giurisdizione è un mezzo processuale che consente alle parti di ottenere, prima che la causa sia decisa nel merito, una pronuncia sulla giurisdizione ad opera delle Sezioni Unite. Per approfondimenti sul processo presso la Corte di Cassazione si rinvia ai cap. 55 “Ricorso per Cassazione: caratteristiche generali” e 56 “Processo in Cassazione”. L’art. 3 co. 2 del DLgs. 546/92 prevede che nel processo tributario è ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione a norma dell’art. 41 c.p.c. A sua volta, l’art. 41 c.p.c. stabilisce che “finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, la parte può chiedere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione”. Il regolamento preventivo di giurisdizione non è un mezzo di impugnazione, bensì un procedimento incidentale che si innesta all’interno del processo di cognizione. Dalla natura non impugnatoria del regolamento di giurisdizione discende l’inapplicabilità della c.d. “consumazione dell’impugnazione”. In base a ciò, è stata dichiarata ammissibile la proposizione di un secondo regolamento di giurisdizione a seguito della dichiarazione di inammissibilità del primo per mancata sottoscrizione (Cass. SS.UU. 4.11.96 n. 9533). Si ritiene che l’istanza di regolamento di giurisdizione: sia proponibile anche dallo stesso ricorrente (Cass. SS.UU. 15.5.95 n. 5304); non sia sollevabile d’ufficio dal giudice, salvo quanto rilevato nel § 3.3.2. 4.1 PROCEDIMENTO Il regolamento preventivo di giurisdizione deve essere proposto: con ricorso steso nelle forme di cui all’art. 366 c.p.c. (relativo alle modalità di formazione del ricorso per Cassazione); da un procuratore iscritto all’albo degli avvocati “cassazionisti”. Per approfondimenti sulle altre ipotesi in cui il patrocinio non può essere assunto da dottori commercialisti o ragionieri si rinvia al cap. 12 “Difensore”. L’art. 367 c.p.c. prevede che una copia del ricorso per Cassazione debba essere depositata, dopo la notifica alle altre parti, presso la segreteria del giudice a quo (quindi presso la segreteria del giudice ove pende la causa di merito). 4.1.1 Termine per la proposizione del regolamento di giurisdizione L’art. 41 c.p.c. prevede che il regolamento di giurisdizione può essere presentato sino a che la causa non sia decisa “nel merito”. Pertanto, esso non può più essere proposto dal momento in cui la causa viene trattenuta in decisione, e, precisamente: in ipotesi di discussione in pubblica udienza, nel momento in cui si conclude l’udienza stessa; in ipotesi di trattazione in Camera di consiglio, nel momento in cui vengono depositate le repliche. Per approfondimenti sulle modalità di discussione della causa si rinvia al cap. 40 “Discussione della causa”. 85 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione Per ciò che riguarda il termine iniziale, il regolamento di giurisdizione ha come presupposto la pendenza della causa di merito, per cui è da escludere la possibilità di un’istanza presentata ante causam (cfr., per tutte, Cass. SS.UU. 14.12.2004 n. 23235). 4.1.2 Decisione “sul merito” e proposizione del regolamento di giurisdizione L’art. 41 c.p.c. prevede che il regolamento di giurisdizione può essere esperito sino a che la causa non sia decisa “nel merito”. In base a ciò, si potrebbe sostenere la proponibilità del regolamento di giurisdizione a seguito di sentenze circoscritte a questioni di “rito” quali, ad esempio, la giurisdizione stessa o l’ammissibilità del ricorso introduttivo. La Corte di Cassazione, discostandosi dall’orientamento precedente, ha stabilito che l’art. 41 c.p.c. deve essere interpretato “nel senso che qualsiasi decisione emanata dal giudice presso il quale il processo è radicato, ha efficacia preclusiva del regolamento, come se dicesse «finchè non sia intervenuta una decisione sulla causa in sede di merito»” (Cass. SS.UU. 19.8.2002 n. 12246). Regolamento di giurisdizione e ordinanza cautelare Il regolamento di giurisdizione può essere proposto anche se è stata esaminata la sospensiva ai sensi dell’art. 47 del DLgs. 546/92, in quanto la relativa ordinanza non è definibile quale decisione “nel merito” (Cass. SS.UU. 3.3.2003 n. 3144). Regolamento di giurisdizione e sentenza declinatoria di competenza L’ammissibilità del regolamento di giurisdizione non è preclusa dalla sentenza declinatoria di competenza (Cass. SS.UU. 12.1.2005 n. 385). Per approfondimenti sugli effetti della sentenza declinatoria di competenza si rinvia al cap. 4 “Competenza”. In tale ipotesi non è infatti intervenuta una sentenza di “merito”, posto che il processo può proseguire dinanzi al giudice indicato come competente per effetto della riassunzione. si propone con ricorso alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite Regolamento di giurisdizione deve essere sottoscritto da un avvocato “cassazionista” va proposto finché la causa di primo grado non è decisa nel merito Fig. 4 - Regolamento preventivo di giurisdizione 4.2 REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE E SOSPENSIONE DEL PROCESSO La proposizione del regolamento di giurisdizione non sospende automaticamente il processo. Infatti, l’art. 367 c.p.c. sancisce che il giudice presso cui pende la causa di merito “sospende il processo se non ritiene l’istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata”. Per approfondimenti sugli effetti della sospensione si rinvia al cap. 62 “Sospensione del processo”. 86 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione Rapporti tra regolamento di giurisdizione e fase di merito Il giudice tributario potrebbe, alla luce di quanto esposto, decidere di non sospendere il processo. In tale ipotesi, sorgono problematiche relative al coordinamento tra il processo di merito (che, all’atto dell’emanazione della sentenza della Cassazione, ben potrebbe essersi già concluso) e il processo pendente in Cassazione. Sul punto, le Sezioni Unite hanno precisato che il regolamento di giurisdizione: è esaminabile nonostante il processo sia proseguito dinanzi al giudice di merito, che nel frattempo abbia pronunciato sentenza sulla giurisdizione ancorché passata in giudicato. Ciò poiché, per effetto della proposizione del regolamento di giurisdizione, la sentenza del giudice di merito deve ritenersi “condizionata” al riconoscimento della giurisdizione da parte della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. 23.5.2005 n. 10703); Il carattere “condizionato” della sentenza del giudice di merito comporta che, qualora la sentenza della Cassazione emessa a fronte dell’istanza di regolamento sia di segno diverso rispetto a quanto pronunciato dal giudice di merito sul punto, il processo potrà essere riassunto dinanzi al giudice fornito di giurisdizione, non ostando a ciò il giudicato formatosi, anche, eventualmente, sulla giurisdizione, in sede di merito. 4.3 stante il carattere incidentale del processo scaturito dall’istanza di regolamento, l’estinzione del processo di merito “travolge” necessariamente il primo (Cass. SS.UU. 30.5.2005 n. 11328). RIASSUNZIONE DEL PROCESSO L’art. 367 c.p.c. sancisce che “se la Corte di Cassazione dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, le parti debbono riassumere il processo entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza”. Con la sentenza 22.2.2007 n. 4109, le Sezioni Unite hanno sancito che: proposto il regolamento nel giudizio tributario e ritenuta dalla Cassazione la giurisdizione ordinaria, è ammissibile la riassunzione del processo dinanzi al giudice ordinario; allo stesso modo, a seguito di regolamento proposto davanti al giudice ordinario, è ammissibile la prosecuzione del processo dinanzi al giudice tributario. Come evidenziato, il processo dinanzi al giudice di merito potrebbe non essere stato sospeso. In tale ipotesi, si ritiene, in caso di declaratoria di giurisdizione del giudice ordinario, che le attività istruttorie svoltesi dinanzi al giudice tributario siano “travolte” dalla pronuncia sulla giurisdizione, posto che sono state adottate sulla base di un presupposto (la giurisdizione) ritenuto poi insussistente. Riassunzione del processo La riassunzione in sede tributaria deve avvenire su istanza di parte entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza della Suprema Corte, pena l’estinzione del processo. 87 Cap. 3 - Difetto di giurisdizione 88 Cap. 4 - Competenza 4 COMPETENZA DLgs. 546/92 4, 5 Giurisprudenza Cass. 8.8.84 n. 4642; Cass. SS.UU. 16.1.86 n. 211; Cass. 6.6.89 n. 2748; Cass. 1.6.90 n. 5150; C.T.C. 11.4.92 n. 2816; C.T.C. 21.2.2003 n. 1355; C.T. Prov. Milano 11.2.2004; Cass. 13.8.2004 n. 15864; C.T. Prov. Milano 15.2.2007 n. 435; Cass. 2.4.2007 n. 8129; C.T. Prov. Pisa 31.7.2007 n. 117; C.T. Reg. Torino 13.5.2008 n. 26; C.T. Prov. Alessandria 25.3.2009 n. 36; C.T. Prov. Torino 21.9.2009 n. 132; C.T. Prov. Reggio Emilia 4.10.2010 n. 169; C.T. Prov. Vercelli 19.4.2012 n. 28/02/12 1 PREMESSA Per competenza di un giudice si intende la “quantità” di giurisdizione attribuita a quest’ultimo dall’ordinamento. Nel processo tributario, la competenza è determinata con riferimento al luogo in cui è ubicato l’ente che ha emanato l’atto impugnato. L’unico criterio utilizzato dal legislatore per la distribuzione della competenza è quello per territorio, non esistendo, a differenza di ciò che avviene nel processo civile, né il criterio della materia né quello del valore. La proposizione del ricorso dinanzi ad un giudice incompetente non comporta l’inammissibilità dello stesso, in quanto, come si avrà modo di evidenziare, trova applicazione la c.d. “translatio iudicii”. Differenza tra giurisdizione e competenza Nella letteratura giuridica, spesso giurisdizione e competenza sono utilizzati come sinonimi, sebbene siano riferibili a concetti differenti. Infatti, come evidenziato dall’Amministrazione finanziaria, “mentre le questioni di competenza si pongono fra giudici dello stesso ordine (ad esempio, fra giudici tributari), le questioni di giurisdizione concernono i rapporti fra giudici di ordine diverso (ad esempio, giudici tributari e giudici ordinari)” (C.M. 23.4.96 n. 98 parte I). 2 COMPETENZA DEL GIUDICE TRIBUTARIO Ai sensi dell’art. 4 del DLgs. 546/92, “le Commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli uffici delle entrate o del territorio del Ministero delle finanze ovvero degli enti locali ovvero dei concessionari del servizio di riscossione, che hanno sede nella loro circoscrizione”. Il secondo periodo della norma, così come modificato dal DL 78/2010, prevede che “se la controversia è proposta nei confronti di un centro di servizio o altre articolazioni dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nell’ambito della dotazione organica 89 Cap. 4 - Competenza prevista a legislazione vigente e anche mediante riorganizzazione, senza oneri aggiuntivi, degli Uffici dell’Agenzia è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso”. Il co. 2 della norma stabilisce che le Commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni dei giudici di primo grado che hanno sede nella loro circoscrizione. Per approfondimenti sulla competenza delle Commissioni tributarie regionali si rinvia al cap. 53 “Processo di appello”. Inderogabilità della competenza La predeterminazione della competenza è attuativa dell’art. 25 Cost., ai sensi del quale “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. A differenza di ciò che avviene in sede civile, l’art. 5 co. 1 del DLgs. 546/92 stabilisce che la competenza del giudice tributario è inderogabile. Irrilevanza delle articolazioni interne delle Commissioni tributarie Ai fini della competenza non ha rilevanza l’eventuale articolazione in sezioni (anche distaccate) del giudice tributario, in quanto queste ultime hanno una valenza meramente interna (art. 1 co. 1 del DLgs. 545/92). Per osservazioni sulle articolazioni interne del giudice tributario si rinvia al cap. 7 “Giudice tributario”. Momento di individuazione della competenza La competenza si determina con riguardo alla normativa vigente allo stato di fatto esistente al momento di proposizione della domanda, e non hanno rilevanza i successivi mutamenti di legge (art. 5 c.p.c.). Agenzie fiscali COMPETENZA (Commissioni tributarie provinciali) controversie promosse nei confronti di Agenti della Riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione Enti locali COMPETENZA (Commissioni tributarie regionali) impugnazioni avverso le decisioni dei giudici di primo grado che hanno sede nella loro circoscrizione Fig. 1 - Competenza del giudice tributario 2.1 ATTI DELLE AGENZIE FISCALI Gli atti delle Agenzie fiscali (Entrate, Dogane) devono essere impugnati dinanzi alla Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio locale che ha emesso l’atto. 90 Cap. 4 - Competenza A titolo esemplificativo, un avviso di accertamento notificato dalla Direzione provinciale di Lucca deve essere impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale della suddetta città. La giurisprudenza ha pertanto stabilito che, ad esempio, non ha rilevanza il luogo di ubicazione degli immobili, qualora sia diverso da quello dell’ufficio emanante l’accertamento di maggior valore ai fini INVIM (Cass. 23.11.93 n. 11564). Alla stessa maniera è stato affermato che l’atto di iscrizione di ipoteca deve essere impugnato dinanzi al giudice ove ha sede l’Agente della Riscossione, e non dinanzi a quello ove è sito l’immobile ipotecato (C.T. Prov. Reggio Emilia 4.10.2010 n. 169). Parimenti, un atto emesso dalla DRE deve essere impugnato dinanzi alla C.T. Prov. sita nel capoluogo di Regione (C.T. Prov. Vercelli 19.4.2012 n. 28/02/12). Irrilevanza dell’incompetenza territoriale dell’ufficio Ai sensi dell’art. 31 co. 2 del DPR 600/73, la competenza ad effettuare i controlli spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del contribuente. La giurisprudenza ha più volte precisato che il vizio di incompetenza dell’ufficio conduce all’inesistenza dell’atto (Cass. 16.6.94 n. 5826). L’incompetenza territoriale dell’ufficio rileva esclusivamente ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, e non si riflette sulla competenza del giudice tributario. Per approfondimenti sul diverso caso di presentazione, da parte del contribuente, di un’istanza di rimborso ad un ufficio incompetente si rinvia al cap. 29 “Liti di rimborso”. Come sostenuto dalla Corte di Cassazione, infatti, la competenza si radica in base alla sede dell’ufficio, rimanendo irrilevante “l’eventualità della spettanza del potere di provvedere ad un ufficio diverso” (Cass. 15.4.96 n. 3533). Una società commerciale riceve un avviso di accertamento relativo al recupero a tassazione di IVA indebitamente detratta. Il contribuente, nel periodo d’imposta oggetto di accertamento, aveva il domicilio fiscale a Genova. All’atto della notifica dell’avviso, egli aveva però variato la propria residenza a Torino, con conseguente mutamento di domicilio fiscale. L’avviso di accertamento viene correttamente notificato a Torino, ma l’emissione avviene ad opera della Direzione provinciale della suddetta città. In tale ipotesi, l’atto di accertamento è viziato da incompetenza territoriale, posto che avrebbe dovuto essere emanato dalla Direzione provinciale di Genova, competente al momento di presentazione della dichiarazione da parte del contribuente. Il ricorso deve comunque essere presentato dinanzi la C.T. Prov. Torino, in quanto, nonostante ciò, la competenza si radica con riferimento all’ufficio che ha emanato l’atto. Sarebbe perciò errato proporre ricorso dinanzi la C.T. Prov. di Genova. Recentemente, il principio è stato ribadito da C.T. Prov. Torino 21.9.2009 n. 132. 2.2 ATTI DELL’AGENTE DELLA RISCOSSIONE Al pari di quanto affermato per le Agenzie fiscali, gli atti emanati dall’Agente della 91 ES Cap. 4 - Competenza Riscossione devono essere impugnati dinanzi al giudice nella cui circoscrizione ha sede l’Agente stesso. Le peculiarità insite nelle c.d. “liti di riscossione” possono comportare problematiche relative alla competenza giudiziale, le quali sono esaminate nel cap. 30 “Liti avverso le cartelle di pagamento”. 3 PROFILI PROCESSUALI L’art. 5 del DLgs. 546/92 specifica il “regime processuale” della competenza. Prima di esaminare le problematiche processuali della competenza, è bene schematizzare ciò che può succedere se le parti o il giudice rilevano l’incompetenza. Ove il giudice di primo grado si ritenga competente: respinge l’eccezione di incompetenza decidendo nel merito, e la parte può riproporre la questione dinanzi al giudice di appello, che: se la ritiene fondata, rimette la causa dinanzi al giudice competente (dovrebbe trovare applicazione la translatio iudicii); se non la ritiene fondata, rigetta l’appello su questo punto (ma l’eccezione può essere riproposta in sede di legittimità). Per contro, nell’ipotesi in cui la Commissione tributaria provinciale si ritenga incompetente: dichiara con sentenza la propria incompetenza indicando il giudice competente e assegnando alle parti un termine per la riassunzione (in difetto di riassunzione, il processo si estingue); il giudice indicato come competente non può più mettere in discussione la propria competenza (anche se fosse errata), né può sollevare d’ufficio il regolamento di competenza; in sede di riassunzione, non è più sollevabile la questione di competenza; le parti possono appellare la sentenza chiedendo la riforma della decisione sulla competenza. In tal caso: se l’appello viene rigettato, la parte può ricorrere per Cassazione (è in tal caso dubbio che trovi applicazione la translatio iudicii); se l’appello viene accolto, il giudice deve rimettere la causa in primo grado. Indicazione del giudice adito nel ricorso introduttivo L’art. 18 co. 2 del DLgs. 546/92 prescrive che nell’impugnazione deve essere indicato il giudice cui il ricorso è rivolto. Ciò non ha riflessi sulla disciplina della competenza, quindi il ricorso rivolto ad un giudice incompetente è ammissibile. Per approfondimenti relativi alle modalità di stesura del ricorso introduttivo si rinvia al cap. 24 “Ricorso: contenuto e notifica”. 92 Cap. 4 - Competenza ECCEZIONE DI INCOMPETENZA il giudice dichiara l’incompetenza, indica il giudice competente e fissa il termine per la riassunzione il giudice afferma la propria competenza la parte che ha sollevato l’eccezione può proporre appello il giudice accoglie l’appello il giudice non accoglie l’appello possibile translatio iudicii ricorso per Cassazione le parti non riassumono estinzione del processo (definitività della pretesa) le parti riassumono la competenza non può più essere contestata la parte appella il giudice accoglie l’appello il giudice non accoglie l’appello rimessione della causa in primo grado possibile definitività dell’atto Fig. 2 - Eccezione di incompetenza e processo 3.1 ECCEZIONE DI INCOMPETENZA L’incompetenza è rilevabile, anche d’ufficio, solo nel grado cui si riferisce (art. 5 co. 1 del DLgs. 546/92). Sussiste una sorta di “autonomia” dei gradi di giudizio in funzione della rilevabilità dell’eccezione. Per effetto di ciò, l’incompetenza: della Commissione tributaria provinciale non può essere eccepita nelle more del processo di secondo grado; della Commissione tributaria regionale non può essere eccepita in sede di legittimità. Incompetenza sollevata dalle parti L’incompetenza territoriale, essendo rilevabile d’ufficio, può essere censurata dalle parti sino: all’udienza, in ipotesi di discussione della causa in pubblica udienza; a cinque giorni liberi prima dell’udienza, in ipotesi di trattazione della causa in Camera di consiglio. Per approfondimenti sulle modalità di trattazione della causa si rinvia al cap. 40 “Discussione della causa”. 93 Cap. 4 - Competenza La questione di competenza non può essere sollevata in via gradata rispetto a eccezioni di merito, posto che queste ultime presuppongono la competenza del giudice adito. L’eccezione in tal modo formulata deve ritenersi come non proposta, con conseguente non riproponibilità in appello (Cass. 6.6.89 n. 2748). Incompetenza rilevata dal giudice La rilevabilità ex officio della competenza comporta che il giudice la possa rilevare fino alla fase deliberativa. A seguito delle modifiche apportate dalla L. 69/2009 al codice di procedura civile, ove il giudice intenda basare la decisione su una questione rilevabile d’ufficio, deve instaurare il contraddittorio tra le parti, pena la nullità della sentenza. Si veda il cap. 41 “Contraddittorio sulle questioni rilevabili d’ufficio”. ECCEZIONE DI INCOMPETENZA è rilevabile solo nel grado cui si riferisce d’ufficio su istanza di parte Fig. 3 - Eccezione di incompetenza 3.2 SENTENZA RELATIVA ALLA COMPETENZA Il provvedimento con cui il giudice si pronuncia in ordine alla propria competenza è la sentenza. Essa è soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, in particolare all’appello. Tuttavia, come si avrà modo di osservare, diversi possono essere gli esiti di quest’ultimo giudizio, con specifico riferimento all’operatività della translatio iudicii. Divieto di sentenze parziali L’art. 35 co. 3 del DLgs. 546/92 sancisce che nel rito fiscale non sono ammesse sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande. In virtù di ciò, a differenza di quanto avviene nel processo civile, il giudice tributario non può emanare, nelle more del giudizio, sentenze che si esauriscono nella semplice declaratoria sulla competenza. 3.2.1 Sentenza dichiarativa di competenza Qualora il giudice intenda respingere l’eccezione di incompetenza, egli dichiara (esplicitamente o implicitamente) la propria competenza nella sentenza. In tal caso, la parte che ha formulato l’eccezione può riproporla nei motivi di appello o di ricorso per Cassazione. Per contro, l’eccezione non può essere sollevata nei motivi di appello dalla parte che non l’ha formulata in primo grado, posto che, ai sensi dell’art. 5 del DLgs. 546/92, la competenza è rilevabile solo nel grado cui si riferisce. La Commissione tributaria regionale può accogliere o respingere la questione di competenza a lei proposta. 94 Cap. 4 - Competenza Nel primo caso, come precisato dalla giurisprudenza civile, il giudice di appello non è legittimato a decidere la causa nel merito, in quanto, in ossequio al doppio grado di giurisdizione, deve rimettere le parti dinanzi al giudice di primo grado competente (Cass. 8.8.84 n. 4642). Trova quindi applicazione la translatio iudicii (cfr. § 3.3). 3.2.2 Sentenza dichiarativa di incompetenza Se la Commissione tributaria si reputa incompetente, è tenuta a rilevare con sentenza la propria incompetenza, specificando altresì il giudice competente. Ove il giudice si limitasse a rilevare la propria incompetenza (senza indicare nemmeno indirettamente il giudice competente), ciò potrebbe essere censurato in appello. Si veda anche il cap. 3, per l’analogo caso in tema di giurisdizione. Ai sensi dell’art. 5 co. 2 del DLgs. 546/92, la sentenza che dichiara la propria incompetenza “rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza della commissione tributaria in essa indicata, se il processo viene riassunto”. La norma trova applicazione anche in sede di ottemperanza (Cass. 22.12.2000 n. 16081), per i cui rilievi si rinvia al cap. 61 “Giudizio di ottemperanza”. Da ciò consegue che la competenza non può più essere messa in discussione nel processo riassunto, nemmeno nelle ipotesi in cui: il giudice indicato come competente non si ritenga tale; la sentenza declinatoria di competenza abbia errato nell’indicare il giudice competente. 3.3 RIASSUNZIONE DEL PROCESSO (C.D. “TRANSLATIO IUDICII”) Qualora il giudice si dichiari incompetente, esso deve indicare la Commissione competente, e il processo deve essere riassunto dinanzi a quest’ultimo giudice. La riassunzione: deve avvenire su istanza di parte entro il termine indicato dal giudice o, in difetto, entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza ad opera della segreteria (art. 5 co. 5 del DLgs. 546/92); implica la conservazione degli effetti sostanziali e processuali dell’atto introduttivo proposto dinanzi al giudice ritenutosi incompetente. Illegittimità dell’intervento della segreteria della Commissione La segreteria della Commissione non è legittimata a trasmettere al giudice competente i ricorsi (a suo avviso) proposti in violazione delle norme sulla competenza (Cass. 1.6.90 n. 5150). L’assunto è confermato dalla stessa Amministrazione finanziaria la quale, con la C.M. 18.7.88 n. 7, ha specificato che “nel processo tributario non è consentita alcuna ingerenza delle segreterie, in ordine alla rilevazione del difetto di competenza che deve essere accertato e dichiarato, esclusivamente, dalle commissioni”. 95 Cap. 4 - Competenza 3.3.1 Modalità e termini per la riassunzione La riassunzione del processo comporta la continuazione dello stesso dinanzi al nuovo giudice, e non l’istituzione di un nuovo processo. Essa deve avvenire su impulso di parte, in quanto la formulazione dell’art. 5 del DLgs. 546/92 preclude la prosecuzione d’ufficio del rito (C.T.C. 21.2.2003 n. 1355). Atto di riassunzione La legittimazione alla riassunzione spetta a ciascuna parte. Sotto il profilo operativo: la riassunzione segue la forma del ricorso, che, tra l’altro, deve contenere la sommaria enunciazione della precedente fase del processo nonché la volontà di proseguire, appunto, in riassunzione; Per le relative osservazioni si rinvia al cap. 24 “Ricorso: contenuto e notifica”. non occorre il rilascio di una nuova procura al difensore; il riassumente ha l’onere di: notificare l’atto alle altre parti; procedere ad una nuova costituzione in giudizio entro i 30 giorni dinanzi al giudice indicato come competente (in difetto, il ricorso in riassunzione potrà essere dichiarato inammissibile). Per approfondimenti si rinvia ai cap. 31 “Costituzione in giudizio del ricorrente” e 32 “Costituzione in giudizio del resistente”. Successivamente alla costituzione in giudizio della parte istante, analogamente a quanto stabilito dall’art. 53 co. 3 del DLgs. 546/92 (norma prevista per il giudizio di appello): la segreteria del giudice ad quem dovrebbe richiedere alla segreteria del giudice dichiaratosi incompetente la trasmissione del fascicolo d’ufficio; dopo l’acquisizione del suddetto fascicolo e decorso il termine per la costituzione in giudizio dell’altra parte, il presidente fissa la data dell’udienza di trattazione. Per approfondimenti si rinvia al cap. 35 “Iscrizione del ricorso nel registro generale, formazione del fascicolo e assegnazione del ricorso”. ATTO DI RIASSUNZIONE (nelle forme del ricorso) NOTIFICA DELL’ATTO ALLE ALTRE PARTI COSTITUZIONE IN GIUDIZIO Fig. 4 - Procedimento di riassunzione Riassunzione e reclamo Per gli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a 20.000,00 euro notificati dall’1.4.2012, il contribuente, anziché il ricorso, deve notificare apposito reclamo alla Direzione provinciale. Per approfondimenti si veda il cap. 23 “Reclamo e mediazione”. 96 Cap. 4 - Competenza Qualora il contribuente, successivamente alla notifica del reclamo con esito negativo, provveda alla costituzione in giudizio presso il giudice, se questi si ritiene incompetente, si è dell’avviso che sia possibile notificare direttamente il ricorso in riassunzione alla Direzione provinciale e procedere successivamente al deposito dello stesso presso il giudice indicato come competente. Infatti, l’instaurazione di una ulteriore fase di reclamo sarebbe priva di ogni giustificazione, in quanto già effettuata ab origine. Termini per la riassunzione La riassunzione va eseguita “a istanza di parte nel termine fissato nella sentenza o in mancanza nel termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza stessa” (art. 5 del DLgs. 546/92). In caso di termine fissato con la sentenza, non si pongono particolari problemi. Nell’ipotesi opposta, la norma individua il termine in “sei mesi dalla comunicazione della sentenza”. L’art. 37 co. 3 del DLgs. 546/92 prevede infatti che “il dispositivo della sentenza è comunicato alle parti costituite entro dieci giorni dal deposito”. Si veda anche il cap. 45 “Sentenza”. Occorre evidenziare che, ai sensi dell’art. 50 c.p.c. (così come novellato dalla L. 69/2009), il termine per la riassunzione è stato ridotto da sei a tre mesi. Tale termine si profila, a nostro avviso, inapplicabile al processo tributario, in virtù del chiaro disposto di cui all’art. 5 del DLgs. 546/92. Quanto esposto è confermato anche dall’Agenzia delle Entrate (circ. 31.3.2010 n. 17, § 2.4). In tal caso, potrebbero sorgere problematiche qualora la segreteria ometta la comunicazione della sentenza. È stato evidenziato che potrebbe operare, per la riassunzione, il c.d. “termine lungo” per l’impugnazione, coincidente, dopo le modifiche apportate dalla L. 69/2009 all’art. 327 c.p.c., con sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. 3.3.2 Riassunzione del processo e proposizione di appello avverso la sentenza dichiarativa dell’incompetenza La sentenza con cui il giudice dichiara la propria incompetenza può essere appellata, anche se ciò comporta una serie di rischi. L’art. 59 co. 1 lett. a) del DLgs. 546/92 prevede che giudice di appello rimette la causa in primo grado, tra l’altro, quando dichiara la competenza declinata dal primo giudice. Per approfondimenti si rinvia al cap. 53 “Processo di appello”. Proposizione dell’appello e omessa riassunzione Il termine per appellare (specie in ipotesi di operatività del c.d. “termine lungo” ante L. 69/2009) può essere maggiore di quello dettato per la riassunzione, per cui potrebbe accadere che l’appello venga proposto, ad esempio, in un momento successivo allo spirare del termine per la riassunzione. Di conseguenza, l’estinzione del giudizio si sarebbe già verificata. Ad analoga conclusione si dovrebbe pervenire nel caso in cui l’appello fosse 97 Cap. 4 - Competenza presentato prima della riassunzione, posto che quest’ultimo termine non può ritenersi sospeso per effetto della presentazione dell’appello. Inoltre, parte della dottrina ha specificato che qualora il giudice di appello respinga la questione di competenza, sarebbe con ogni probabilità preclusa la translatio iudicii, e il processo sarebbe destinato ad estinguersi (infatti, il termine per la riassunzione sarebbe ormai decorso). Riassunzione del processo e contestuale proposizione di appello Potrebbe succedere che una parte riassuma il processo e un’altra presenti appello. In tale ipotesi, parte della dottrina ritiene che il processo di riassunzione debba essere sospeso sino all’esito dell’appello: questa soluzione è criticata sulla base del fatto che i casi di sospensione di cui all’art. 39 del DLgs. 546/92 sono tassativi. Per approfondimenti si rinvia al cap. cap. 62 “Sospensione del processo”. La questione è stata esaminata da C.T. Prov. Alessandria 25.3.2009 n. 36, ove, in un’ipotesi di contemporanea proposizione dell’appello e della riassunzione, è stato, in sostanza, precisato che: il giudice cui la causa è stata riassunta per effetto della translatio iudicii può sospendere il processo in attesa della definizione della vertenza pendente per effetto dell’appello proposto nei confronti della sentenza che ha declinato la propria competenza e ha disposto la translatio iudicii; l’accoglimento dell’appello e la consequenziale rimessione della lite in primo grado al giudice che erroneamente ha declinato la propria competenza comporta l’inammissibilità “sopravvenuta” del ricorso in riassunzione, e gli atti vanno inviati al giudice cui la causa è stata rimessa. Appello della sentenza declinatoria di competenza: considerazioni conclusive I rischi che il contribuente incontra qualora optasse per l’appello della sentenza declinatoria di competenza inducono a sostenere che, in ogni caso, è opportuno provvedere alla riassunzione del processo. 3.3.3 Estinzione del processo La mancata o tardiva riassunzione del processo comporta l’estinzione dello stesso, con conseguente definitività dell’atto impugnato. Per approfondimenti sulle ipotesi di estinzione del processo tributario si rinvia al cap. 64 “Estinzione del processo”. Ad analoga conclusione si dovrebbe giungere in caso di riassunzione dinanzi ad un giudice diverso da quello indicato nella sentenza. TERMINI PER LA RIASSUNZIONE OMESSA O TARDIVA RIASSUNZIONE Fig. 5 - Termini per la riassunzione 98 termine fissato dal giudice sei mesi dalla comunicazione della sentenza estinzione del giudizio Cap. 4 - Competenza 3.4 INAMMISSIBILITÀ DEL REGOLAMENTO DI COMPETENZA L’art. 5 co. 4 del DLgs. 546/92 sancisce espressamente l’inapplicabilità del regolamento di competenza. Nel processo civile, il regolamento di competenza è un mezzo di impugnazione mediante il quale la questione di competenza viene devoluta all’esame della Corte di Cassazione. Incidentalmente, si rileva che è invece ammesso il regolamento di giurisdizione, per i cui rilievi si rinvia al cap. 3 “Difetto di giurisdizione”. La disposizione, sospettata di incostituzionalità da parte della dottrina, è strumentale a favorire la celerità del processo tributario. Regolamento di competenza e sospensione necessaria del processo L’art. 42 c.p.c. stabilisce che i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. sono impugnabili soltanto con regolamento di competenza. La ratio della norma è rinvenibile nell’esigenza di prevedere una forma di controllo su di un provvedimento (la sospensione) idoneo ad arrestare il processo per periodi assai lunghi. Per approfondimenti sulle ipotesi di sospensione del processo si rinvia al cap. 62 “Sospensione del processo”. La giurisprudenza ha sancito che l’inapplicabilità, nel rito tributario, del regolamento di competenza deve essere interpretata restrittivamente, con la conseguenza che tale impugnazione è ammessa nei confronti delle ordinanze di sospensione del processo (Cass. 2.4.2007 n. 8129 e Cass. 26.5.2005 n. 11140). 4 RICORSO IN RIASSUNZIONE (BOZZA) Alla Commissione tributaria provinciale di ....................... RIASSUNZIONE A SEGUITO DI SENTENZA DECLINATORIA DI COMPETENZA Per: il Sig. ................................................ Contro: Agenzia delle Entrate - Direzione provinciale di ... . Il sig. ................................................ (cod. fisc. ................................................, casella PEC), rappresentato ed assistito dall’Avv./Dott./Rag. ............................... (cod. fisc.; numero di fax; casella di posta elettronica certificata) per delega a margine del presente atto, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in .... alla Via ................................................, n. ...., C.A.P. .............. 99 Cap. 4 - Competenza PREMESSO che, con atto del ..................................., impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di ................................................ un avviso della Direzione provinciale di ..............................................., contestandone la legittimità e la fondatezza; che la Commissione tributaria provinciale adita, con sentenza del ......................., comunicata il .............................., dichiarava la propria incompetenza territoriale e nel contempo indicava come competente la Commissione di ...................................; che è interesse dell’istante riassumere il ricorso proposto, al fine di ottenerne l’accoglimento; tutto ciò premesso, RIASSUME il ricorso, già proposto alla Commissione tributaria provinciale di ....................... dichiaratasi incompetente. A tal fine, integralmente riporta il testo dell’originario ricorso del quale chiede l’accoglimento: (riportare il testo del ricorso, comprese le conclusioni). Si deposita: 1) copia della sentenza n. ......./ ....... della Commissione tributaria provinciale di ...................................; 2) copia del ricorso iniziale; 3) copia dell’atto impugnato; 4) altri documenti. Luogo e data Firma del difensore (Avv./Dott./Rag. ...................................) 100 Cap. 4 - Competenza DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ DELLA COPIA DEL RICORSO ALL’ORIGINALE Il sottoscritto Avv./Dott./Rag. ..................................., in qualità di difensore abilitato del Sig. ................................... nella presente controversia, attesta, ai sensi dell’art. 22, co. 3, del D.Lgs. 546/1992, che questo ricorso è conforme all’originale consegnato (o spedito per posta) all’ufficio ................................... in data ..................... Secondo la circ. 1/2011 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il contributo unificato non dovrebbe essere dovuto, in quanto già pagato in occasione del deposito del ricorso “originario”. Qualora la notifica dell’atto di riassunzione fosse antecedente al 7.7.2011, rimane applicabile, in luogo del contributo unificato, l’imposta di bollo. 101 Cap. 4 - Competenza 102 Cap. 5 - Litispendenza e continenza 5 c.p.c. LITISPENDENZA E CONTINENZA 39 Giurisprudenza Cass. 10.4.2000 n. 4509; Cass. 18.7.2002 n. 10509; C.T. Reg. Roma 10.3.2008 n. 4 1 PREMESSA Gli istituti della litispendenza e della continenza sono disciplinati dall’art. 39 c.p.c. La loro finalità è di evitare che su di una medesima controversia si formino più decisioni che possano potenzialmente dar luogo ad un contrasto di giudicati. La dottrina è solita sostenere che la litispendenza e la continenza siano strumenti che derogano alle ordinarie regole sulla competenza, poiché, qualora ricorrano, uno dei giudici aditi deve rinunciare alla controversia pur essendo competente a deciderla nel merito. Per approfondimenti sulla competenza si rinvia al cap. 4 “Competenza”. La litispendenza e la continenza sono applicabili al processo tributario in virtù del rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile effettuato dall’art. 1. co. 2 del DLgs. 546/92 (Cass. 10.4.2000 n. 4509 e C.T. Reg. Roma 10.3.2008 n. 4). 2 LITISPENDENZA La litispendenza si verifica nell’ipotesi in cui un contribuente presenti più ricorsi avverso lo stesso provvedimento dinanzi allo stesso giudice o a giudici diversi. In tal caso, il giudice adito mediante il secondo ricorso dichiara con ordinanza l’inammissibilità del ricorso per litispendenza. Non rientra nell’istituto della litispendenza la presentazione, nei termini, di un secondo ricorso al fine di sanare un vizio formale del primo. Si veda sul punto il cap. 24 “Ricorso: contenuto e notifica”. 2.1 PENDENZA DELLE LITI Al fine di individuare la litispendenza occorre che le controversie siano, appunto, pendenti. Il periodo temporale di pendenza della lite è delimitato: dal momento di proposizione del ricorso che, ai sensi dell’art. 20 del DLgs. 546/92, ha luogo mediante la sua notifica; al passaggio in giudicato del provvedimento che definisce il processo (sentenza o decreto presidenziale). Per approfondimenti si rinvia ai cap. 24 “Ricorso: contenuto e notifica” e 58 “Giudicato”. In linea di principio, la lite si considera pendente anche quando il processo si trova in “stato di quiescenza”. Ad esempio: dopo l’interruzione o la sospensione del processo e prima della sua riassunzione; 103 Cap. 5 - Litispendenza e continenza dopo la notifica della sentenza e prima che sia decorso il termine per impugnarla. Si veda, contra, relativamente al processo civile, Cass. 18.10.95 n. 10857 e Cass. 11.6.87 n. 5115. 2.2 COINCIDENZA DELLA CONTROVERSIA E DELLE PARTI Per configurare la litispendenza i processi devono vertere sulla medesima controversia e coinvolgere le medesime parti. Tali presupposti dovrebbero verificarsi con più facilità nel processo tributario rispetto a quello civile. Infatti, mentre nel rito civile le controversie, pur aventi il medesimo oggetto, possono essere volte al raggiungimento di finalità diverse (ad esempio, di accertamento del diritto, di condanna della controparte, ecc.), il processo tributario ha natura impugnatoria, concretizzandosi nella richiesta di annullamento dell’atto impositivo (o di una sua parte). Impugnazione di atti diversi relativi alla medesima pretesa tributaria È stato sostenuto che la litispendenza non ricorre qualora oggetto di impugnazione siano atti differenti relativi ad una medesima pretesa tributaria (ad esempio, impugnazione dell’avviso di accertamento e dell’avviso di liquidazione). Reiterazione dell’atto impositivo - Insussistenza della litispendenza Nell’ipotesi in cui l’Amministrazione emetta, in relazione alla medesima pretesa, due identici atti ed il contribuente li impugni entrambi, non sussiste litispendenza tra le controversie. Infatti, il secondo atto è illegittimo, in quanto emesso in violazione del divieto di duplicazione d’imposta (C.T. Prov. Torino 10.6.2008 n. 38). Qualora l’Amministrazione si renda conto di avere emanato un atto inficiato da un vizio formale (esempio, mancata indicazione del responsabile del procedimento) deve annullare d’ufficio il primo provvedimento ed emetterne un altro. Nel caso in cui il primo atto sia stato nel frattempo impugnato, il processo si estingue per cessazione della materia del contendere, e il contribuente deve impugnare il secondo atto nelle forme ordinarie. Si veda anche il cap. 64 “Estinzione del processo”. ES Un contribuente riceve una cartella di pagamento basata su un controllo automatico. Il messo notificatore, all’atto della consegna del provvedimento al contribuente, si dimentica di indicare il luogo di notifica nella relata. Il contribuente presenta ricorso. Equitalia, resasi conto del vizio di notifica inficiante la cartella, provvede ad emanarne un’altra notificandola in modo corretto. Il contribuente presenta ricorso contro la seconda cartella chiedendo la nullità dell’atto per violazione dell’art. 67 del DPR 600/73 (divieto di duplicazione d’imposta). Equitalia eccepisce in giudizio la litispendenza, chiedendo, per tale motivo, l’inammissibilità del secondo ricorso. Nella fattispecie in oggetto, il resistente non può eccepire la litispendenza, posto che il secondo ricorso non concerne lo stesso atto del primo, e, inoltre, è la stessa parte resistente ad aver costretto il contribuente ad adire il giudice, per evitare la prosecuzione della riscossione. 104 Cap. 5 - Litispendenza e continenza 2.3 DIVERSITÀ DI GIUDICI I giudici davanti ai quali le controversie sono promosse devono essere diversi. In particolare, può trattarsi: di giudici di Commissioni tributarie distinte; di giudici di sezioni diverse della medesima Commissione tributaria. Non integra il fenomeno della litispendenza la contemporanea pendenza della medesima controversia avanti il giudice tributario e quello ordinario, in quanto “la litispendenza, ai sensi ed agli effetti dell’art. 39 c.p.c. si riferisce alla proposizione della stessa causa davanti a giudici diversi nell’ambito della giurisdizione ordinaria, e, pertanto, non può valere ad introdurre deroghe ai criteri di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice di diversa giurisdizione, ancorché aditi con la medesima domanda” (Cass. SS.UU. 6.10.81 n. 5243 e Cass. 30.7.2007 n. 16834). Per quanto sopra, la disciplina della litispendenza trova applicazione tra giudici diversi appartenenti alla sola giurisdizione tributaria. Si veda, in senso contrario, C.T. I° Trento 11.5.2007 n. 42 secondo cui è configurabile la litispendenza tra due identiche controversie proposte l’una con atto di citazione davanti al Tribunale e l’altra con ricorso alla Commissione tributaria. Giudici tributari diversi Si configura litispendenza quando sono pendenti identiche controversie tra giudici tributari diversi, vale a dire tra Commissioni tributarie provinciali e regionali e Cassazione. Sezioni diverse della stessa Commissione tributaria Secondo un’opinione, è incerta la litispendenza nell’ipotesi in cui le controversie siano proposte davanti a Sezioni diverse della medesima Commissione. In relazione a tale fattispecie, parte della dottrina ha proposto l’applicazione dell’art. 29 del DLgs. 546/92, relativo alla riunione dei ricorsi. Per approfondimenti si rinvia al cap. 38 “Riunione dei ricorsi”. La scarsa giurisprudenza pronunciatasi al riguardo ha, invece, sancito la configurabilità della litispendenza con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso presentato successivamente (C.T. I° Trento 18.6.2007 n. 70). 2.4 CRITERIO DELLA PREVENZIONE La litispendenza comporta, come rilevato, l’inammissibilità del secondo ricorso. Il giudice successivamente adito deve dichiarare con ordinanza la litispendenza e disporre la cancellazione della causa dal ruolo. In virtù delle modifiche apportate dalla L. 69/2009 all’art. 39 c.p.c., la litispendenza deve essere dichiarata con ordinanza e non più mediante sentenza. La norma è applicabile anche al processo tributario (circ. Agenzia delle Entrate 31.3.2010 n. 17 § 2.2.). 105 Cap. 5 - Litispendenza e continenza Tra i diversi processi instaurati, quindi, prosegue quello facente capo al giudice adito per primo (c.d. “criterio della prevenzione”). A tal fine, occorre avere riguardo alla data di notifica del ricorso (circ. Agenzia delle Entrate 31.3.2010 n. 17 § 2.2). Nel caso del reclamo, invece, occorre attendere le prime pronunce della giurisprudenza, in quanto esso è un atto che si converte in ricorso solo in un momento successivo. Per approfondimenti si veda il cap. 23 “Reclamo e mediazione”. Qualora le domande siano state notificate nella stessa data, prevale la causa per la quale sia stata fissata prima l’udienza di trattazione (C.T. Prov. Milano 11.2.2004). La litispendenza è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo. Omessa rilevazione della litispendenza - Effetti Ove la litispendenza non venga rilevata potrebbero essere pronunciate decisioni tra loro contrastanti relative alla stessa controversia. A tale situazione è possibile porre rimedio: eccependo in sede di appello il conflitto di giudicati, nel caso in cui si tratti di sentenze di primo grado; facendo ricorso alla revocazione ordinaria di cui all’art. 395 n. 5 c.p.c. (“se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”), qualora si tratti di sentenze di secondo grado. Le sentenze di primo grado non sono impugnabili per revocazione ordinaria, ma solo con appello. Per approfondimenti, si rinvia al cap. 54 “Revocazione”. ES Si consideri l’impugnazione di un avviso di accertamento proposta davanti a due Commissioni tributarie distinte. Il primo giudizio si conclude con una sentenza di accoglimento del ricorso che passa in giudicato. Il secondo giudizio si conclude, invece, con una pronuncia sfavorevole al contribuente. Quest’ultimo appella detta sentenza, ma i giudici di appello confermano la decisione impugnata. Contro tale sentenza il contribuente potrà proporre revocazione ordinaria, facendo valere il già intervenuto passaggio in giudicato della sentenza emessa dal primo giudice. Conseguentemente, la sentenza impugnata verrà eliminata e rimarrà efficace solo la prima sentenza passata in giudicato. Peraltro, se il contribuente omette di proporre revocazione, in virtù della successione tra i giudicati, la seconda sentenza passerà in giudicato, mentre la prima perderà la propria efficacia. contemporanea pendenza di più ricorsi Litispendenza relativi alla stessa controversia davanti allo stesso giudice o giudici diversi Fig. 1 - Litispendenza 106 Inammissibilità del secondo ricorso Cap. 5 - Litispendenza e continenza 3 CONTINENZA L’art. 39 co. 2 c.p.c. non fornisce una definizione della continenza, limitandosi a indicare la regola da applicare qualora essa si verifichi. La continenza si concretizza nell’ipotesi in cui, poste due liti con identiche caratteristiche, una controversia presenta un petitum che, in virtù della sua ampia portata, ricomprende quello dell’altra lite. A titolo esemplificativo, sussiste continenza tra due cause nell’ipotesi in cui nell’una si chieda il rimborso di tutte le rate di un’imposta illegittimamente versate e nell’altra se ne chieda il rimborso di una sola. Il rapporto di continenza tra giudizi pendenti davanti a giudici diversi impone la trattazione congiunta in un unico procedimento della controversia continente e di quella contenuta. Il giudice competente a decidere entrambe le liti è individuato secondo i principi della competenza e della prevenzione. Nello specifico: se il giudice adito per primo è competente a decidere anche la lite proposta successivamente, il giudice di quest’ultima dichiara con ordinanza la continenza, fissando alle parti un termine perentorio entro cui riassumere la causa davanti al primo giudice competente; se, invece, il primo giudice non è competente, lo stesso deve dichiarare la continenza fissando alle parti un termine per la riassunzione della prima lite davanti al giudice adito per secondo. La Cassazione, con la sentenza 30.10.2000 n. 14281, ha ritenuto sussistente la continenza tra due giudizi nei quali: in uno si chiedeva l’accertamento del diritto ad agevolazioni fiscali decennali, disconosciute dall’Amministrazione; nell’altro si impugnava il diniego di rimborso delle maggiori imposte versate per un solo periodo d’imposta sul presupposto dell’inesistenza dell’obbligo tributario (riteneva, infatti, il contribuente sussistente il diritto alla fruizione delle predette agevolazioni). A parere dei giudici, “entrambi i procedimenti, pendenti tra i medesimi soggetti (ma dinanzi a diversi giudici tributari), hanno ad oggetto l’accertamento del diritto alla esenzione e, quindi, entrambi i giudici sono investiti della medesima questione”. Nel caso in cui la riunione dei giudizi per continenza non possa essere disposta perché essi sono pendenti davanti a giudici di gradi diversi, deve disporsi la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. (Cass. 18.7.2002 n. 10509). Per approfondimenti si rinvia al cap. 62 “Sospensione del processo”. 107 Cap. 5 - Litispendenza e continenza 108 Cap. 6 - C.d. “cognizione incidentale” 6 C.D. “COGNIZIONE INCIDENTALE” DLgs. 546/92 2 co. 3 Giurisprudenza Cass. 20.9.96 n. 8329; Cass. SS.UU. 6.7.2000 n. 467; Cass. SS.UU. 15.11.2002 n. 16156; Cass. 29.4.2003 n. 6631; Cass. 10.6.2005 n. 12353; Cass. SS.UU. 18.10.2005 n. 20113; Cass. 10.12.2010 n. 25017 1 PREMESSA Al fine di pervenire alla risoluzione della controversia, il giudice può trovarsi nella condizione di vagliare questioni pregiudiziali alla decisione che deve adottare. La questioni pregiudiziali si inseriscono, come passaggio obbligato, nell’iter logico-giuridico che conduce alla decisione sulla domanda. Per approfondimenti sull’iter deliberativo del collegio giudicante si rinvia al cap. 44 “Fase deliberativa”. Si pensi, a titolo esemplificativo, ad un accertamento relativo all’imposta sulla successione: in tal caso, il giudice deve accertare incidentalmente la qualità di erede del contribuente posto che, qualora tale status fosse insussistente, sarebbe inutile esaminare il merito della pretesa. L’art. 2 co. 3 del DLgs. 546/92 stabilisce che “il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e di stato e di capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio”. Autosufficienza della giurisdizione tributaria L’art. 2 co. 3 del DLgs. 546/92 enuncia il principio di “autosufficienza” della giurisdizione tributaria. In base a ciò, se il giudice, per esempio, deve decidere incidentalmente se un soggetto è o meno amministratore di una società, egli non è tenuto a devolvere la questione alla giurisdizione civile, proprio in virtù dell’autosufficienza. La giurisprudenza ha infatti stabilito che le cause “pregiudiziali” pendenti in sede civile non comportano la sospensione del processo tributario, posto che tali questioni possono essere decise incidentalmente in sede tributaria (Cass. 29.4.2003 n. 6631). Per approfondimenti sulla giurisdizione tributaria e sulla sospensione del processo si rinvia, rispettivamente, ai cap. 2 “Giurisdizione tributaria” e 62 “Sospensione del processo”. 2 C.D. “COGNIZIONE INCIDENTALE” Dal punto di vista strettamente processuale, i capi di sentenza relativi all’accertamento delle questioni pregiudiziali non fanno “stato” in altre giurisdizioni come quella civile. 109 Cap. 6 - C.d. “cognizione incidentale” Per approfondimenti sul giudicato esterno nel processo tributario si rinvia al cap. 58 “Giudicato”. Ad esempio, la qualità di erede del contribuente accertata dal giudice tributario ai fini della debenza dell’imposta di successione ben può essere messa in discussione in sede civile. Domanda di accertamento incidentale L’art. 34 c.p.c. prevede che il giudice, su domanda di parte, può decidere una questione pregiudiziale con l’efficacia del giudicato. Ciò non può trovare applicazione nel processo tributario, in virtù del carattere impugnatorio di tale modello rituale (Cass. SS.UU. 6.7.2000 n. 467). 2.1 AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA GIURISDIZIONE INCIDENTALE La decisione delle questioni pregiudiziali ha un ambito di applicazione assai ampio siccome molte imposte hanno come presupposto l’accertamento di fatti extratributari quali il possesso di un immobile, il carattere merceologico di un bene o un determinato status. La giurisprudenza ha stabilito che possono formare oggetto di cognizione incidentale: la simulazione di un contratto (Cass. 10.6.2005 n. 12353 e Cass. 10.12.2010 n. 25017); la natura demaniale di un’area (Cass. 23.5.2003 n. 8130); la qualità di amministratore di fatto (Cass. SS.UU. 18.10.2005 n. 20113); la proprietà di un’intercapedine (Cass. SS.UU. 15.11.2002 n. 16156); la qualità di erede (Cass. SS.UU. 6.7.2000 n. 467). Giurisdizione incidentale e questioni tributarie La natura impugnatoria del processo tributario comporta che “la legittimità di un atto a contenuto concreto ed autonomamente impugnabile davanti al giudice [tributario] adito, non reso oggetto di diretta ed idonea impugnazione, non è suscettibile di delibazione in base a cognizione meramente incidentale” (Cass. 22.3.2006 n. 6386). 2.2 COGNIZIONE INCIDENTALE E GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Il giudice tributario ha il potere di disapplicare i regolamenti e gli atti amministrativi che ritiene illegittimi (art. 7 del DLgs. 546/92). Per approfondimenti sull’ambito di applicazione nonché sui limiti del potere di disapplicazione si rinvia al cap. 20 “Potere di disapplicazione”. Il potere di disapplicazione rientra nella cognizione incidentale, posto che sul relativo capo di sentenza non si forma il giudicato. 2.3 COGNIZIONE INCIDENTALE E “CIRCOLAZIONE DEL GIUDICATO” La c.d. “circolazione del giudicato” attiene alla valenza di un giudicato formatosi in una giurisdizione all’interno di un’altra giurisdizione. Si pensi all’ipotesi in cui il giudice civile abbia sentenziato lo status di amministratore di un determinato soggetto. Tale decisione ben può essere presa in considerazione dal giudice tribu- 110 Cap. 6 - C.d. “cognizione incidentale” tario, anche se la sentenza del giudice civile non ha la “forza” del giudicato in sede tributaria. Per ulteriori approfondimenti si rinvia al cap. 58 “Giudicato”. Il giudice tributario, nell’esame delle questioni pregiudiziali, ben può basarsi su una sentenza emanata, ad esempio, dal giudice civile. Ciò può essere utile in molte ipotesi quali l’accertamento della proprietà di un bene ai fini IMU o la dichiarazione di un determinato status. 3 QUESTIONI DI STATO E DI CAPACITÀ DELLE PERSONE La giurisdizione incidentale incontra due limiti, indicati dall’art. 2 co. 3 del DLgs. 546/92, attinenti: alla querela di falso; allo stato e alla capacità delle persone. Nel caso in cui il giudice dovesse esaminare, in via incidentale, una delle suddette questioni, ha l’obbligo, imposto dall’art. 39 del DLgs. 546/92, di sospendere il processo, in attesa della decisione del giudice civile. Per approfondimenti sulla sospensione del processo che, in tal caso, è necessaria, si rinvia al cap. 62 “Sospensione del processo”. Le questioni di stato, che verranno esaminate nello specifico nel cap. 62, attengono, in linea generale, alla posizione soggettiva dell’individuo nella sua veste di cittadino e a diritti personali nell’ambito familiare. Rientrano nelle “questioni di stato” gli accertamenti giudiziali inerenti, appunto, gli status di cittadino, di marito e di figlio. Per contro, non rientrano in tale concetto e, quindi, possono formare oggetto di cognizione incidentale, le qualificazioni di erede e di amministratore di fatto. 111 Cap. 6 - C.d. “cognizione incidentale” 112 Cap. 7 - Giudice tributario 7 DLgs. 545/92 GIUDICE TRIBUTARIO 1 - 29-bis Prassi Ris. CPGT 18.3.97 n. 1; Ris. CPGT 10.6.97 n. 7; Ris. CPGT 24.6.97 n. 10; Ris. CPGT 1.7.97 n. 11; Ris. CPGT 23.9.2003 n. 3; Ris. CPGT 9.5.2006 n. 5; Ris. CPGT 17.10.2006 n. 8; Ris. CPGT 7.11.2006 n. 10; Ris. CPGT 29.9.2009 n. 4 Giurisprudenza Consiglio di Stato 22.6.2006 n. 3951; TAR Sardegna 17.1.2008 n. 53; Consiglio di Stato 12.3.2009 n. 1478; Consiglio di Stato 23.10.2009 n. 6519; Consiglio di Stato 2.2.2010 n. 466; Cass. 13.10.2010 n. 21156; Cass. 3.12.2010 n. 24614; TAR Puglia 25.10.2012 n. 1811 1 PREMESSA L’ordinamento della magistratura tributaria è disciplinato dal DLgs. 545/92, emanato in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 413/91. Essa è una magistratura speciale, e, di conseguenza, costituisce una deroga al principio costituzionale di unicità della giurisdizione (art. 102 Cost.). L’organo di autogoverno della giurisdizione tributaria è il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, ed è competente sui provvedimenti di decadenza dei giudici tributari, nonché sull’accertamento delle cause di incompatibilità. 2 COMMISSIONI TRIBUTARIE L’art. 1 co. 1 del DLgs. 545/92 stabilisce che gli organi della giurisdizione tributaria sono ordinati in Commissioni tributarie provinciali e regionali, la cui sede si trova rispettivamente nel capoluogo di ogni provincia o regione. 2.1 PROVINCE DI TRENTO E BOLZANO Per le province di Trento e Bolzano, l’art. 1 co. 2 del DLgs. 545/92 prevede una disciplina a parte, in ragione della loro autonomia. In tali province, infatti, la giurisdizione tributaria è esercitata dalle Commissioni di primo e secondo grado, alle quali vengono applicate le disposizioni delle Commissioni provinciali e regionali, in quanto compatibili, nonché le leggi e gli statuti regionali che le riguardano. Secondo quanto disposto dall’art. 1 del DPR 574/88, ai procedimenti ed alle sentenze pronunciate dalle Commissioni tributarie di Bolzano sono applicabili le disposizioni sul bilinguismo proprie del processo civile ed amministrativo. Inoltre, per la nomina dei giudici tributari è richiesto quale requisito l’attestato di conoscenza della lingua italiana e tedesca come previsto dall’art. 41bis del DPR 752/76. 2.2 COMMISSIONI TRIBUTARIE CENTRALI Prima della riforma della giustizia tributaria attuata con il DLgs. 545/92, il sistema processuale era articolato in tre gradi di giudizio: 113 Cap. 7 - Giudice tributario Commissione tributaria di primo grado; Commissione tributaria di secondo grado; Commissione tributaria centrale. Con l’art. 42 co. 3 del DLgs. 545/92 è stata disposta la soppressione della Commissione tributaria centrale che, però, è rimasta in attività per permettere il graduale esaurimento dei giudizi pendenti. La L. 244/2007 ha infatti previsto un processo di delocalizzazione della Commissione tributaria centrale presso le Commissioni regionali. 2.3 COMPOSIZIONE DELLE COMMISSIONI Sia le Commissioni tributarie provinciali sia quelle regionali sono al loro interno suddivise in una pluralità di sezioni. Inoltre, tutte le Commissioni sono presiedute da un presidente il quale, di norma, presiede anche la prima sezione. 2.3.1 Presidente Il presidente della Commissione può essere sostituito nelle funzioni non giurisdizionali dal presidente di sezione con maggiore anzianità, per incarico o per età, nel momento in cui sia: assente; inadempiente (art. 2 del DLgs. 545/92). Nel caso in cui la Commissione sia composta da più di quindici sezioni, le funzioni non giurisdizionali attribuite al presidente possono essere delegate ad uno o più presidenti di sezione, sempre nel rispetto dei criteri di anzianità per incarico o per età. 2.3.2 Sezioni Posto che all’interno di ogni Commissione possono esservi numerose sezioni, ognuna di esse deve essere composta da almeno: un presidente; un vice-presidente; non meno di quattro giudici (art. 2 co. 4 del DLgs. 545/92). 2.3.3 Collegio giudicante All’interno di ogni sezione si forma il collegio giudicante, il quale ha una composizione fissa di tre votanti e viene presieduto dal presidente o dal vicepresidente di sezione (art. 2 co. 5 del DLgs. 545/92). Ove in una sezione non vi sia la possibilità di formare il collegio giudicante, il presidente ha il compito di designare giudici di altre sezioni. Infatti, la composizione collegiale degli organi di giustizia tributaria è un requisito che attiene alla valida costituzione del giudice, la cui ricorrenza è essenziale per l’emanazione della sentenza (Cass. 27.8.2001 n. 11269). Per approfondimenti sugli effetti dell’irregolare composizione del collegio giudicante con riferimento alla validità della sentenza si rinvia ai cap. 44 “Fase deliberativa” e 45 “Sentenza”. 114 Cap. 7 - Giudice tributario Ogni commissione è formata da più sezioni un presidente ogni sezione è composta da: un vice presidente non meno di quattro giudici all’interno di ogni sezione si forma il collegio giudicante, che ha composizione fissa di tre votanti Fig. 1 - Commissioni tributarie 2.4 NOMINA DEI PRESIDENTI I presidenti delle Commissioni provinciali e regionali, delle sezioni, nonché i vicepresidenti vengono nominati per graduatoria tra i magistrati: ordinari; amministrativi; militari (art. 3 del DLgs. 545/92). Il procedimento di nomina dei giudici tributari è illustrato nel § 8. I giudici onorari non possono essere nominati presidenti delle Commissioni tributarie (TAR Sicilia 31.12.92 n. 545). Come descritto dalla sentenza richiamata, l’art. 3 del DLgs. 545/92 dispone che i magistrati, per la carica di presidente di Commissione, possono essere scelti tra quelli “in servizio o a riposo”, riferendosi in tal modo al rapporto d’impiego che sussiste per i magistrati ordinari, amministrativi e militari. La graduatoria avviene secondo quanto stabilito dalle Tabelle E ed F del DLgs. 545/92. I criteri di valutazione ed i punteggi di cui alle Tabelle citate possono essere modificati su conforme parere del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze (art. 44-ter DLgs. 545/92). 2.5 NOMINA DEI VICEPRESIDENTI I vicepresidenti di sezione possono essere scelti, oltre che tra i magistrati ordinari, amministrativi e militari, anche tra coloro in possesso di un diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio, che abbiano esercitato per un minimo di: 5 anni, le funzioni di giudice tributario, per la nomina nelle Commissioni provinciali; 10 anni, le funzioni di giudice tributario, per la nomina nelle Commissioni regionali (art. 3 del DLgs. 545/92). Il vicepresidente non ha solo la funzione di sostituire il presidente di Commissione in caso di assenza o di inadempimento dello stesso, ma è anche componente della Commissione medesima. Pertanto, nel caso in cui il collegio sia composto dal presidente della Commissione e da due componenti della stessa, uno dei quali con l’attribuzione della funzione di vicepresidente, esso deve ritenersi regolarmente costituito (C.T.C. 12.5.92 n. 3422). 115 Cap. 7 - Giudice tributario È regolarmente formato anche il collegio presieduto dal vicepresidente, munito dei requisiti indicati dall’art. 2 co. 4 del DLgs. 545/92, e da altri due giudici (C.T.C. 30.10.79 n. 11312). 3 FORMAZIONE DELLE SEZIONI E DEI COLLEGI GIUDICANTI La formazione delle sezioni avviene ogni anno, ad opera del presidente di ciascuna Commissione con proprio decreto, nel rispetto dei criteri fissati dal Consiglio di Presidenza (artt. 6 co. 1 e 24 co. 1 lett. f) del DLgs. 545/92). Per osservazioni sulla composizione e sulle funzioni del Consiglio di Presidenza si rinvia al § 14. Il presidente di ciascuna sezione, tenendo presente i criteri di massima indicati dal Consiglio di Presidenza, stabilisce: all’inizio di ogni anno, il calendario delle udienze; all’inizio di ogni trimestre, la determinazione dei collegi giudicanti. La composizione dei collegi giudicanti deve essere determinata in modo da evitare che essi siano formati sempre dagli stessi membri. Per favorire l’avvicendamento dei componenti della sezione, l’art. 11 co. 3 del DLgs. 545/92 prevede che i presidenti, i vice presidenti e i giudici tributari non possano essere assegnati alla stessa sezione per più di cinque anni consecutivi. Legittimità costituzionale dei criteri di formazione delle sezioni L’art. 25 Cost. impone che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. Per giudice naturale deve intendersi l’ufficio giudiziario competente per materia, territorio e funzione, istituito dalla legge sulla base di criteri oggettivi. La presenza di più sezioni all’interno della stessa Commissione, di per sé, non viola il principio del giudice naturale. In merito, la giurisprudenza ha affermato che non è causa di nullità del giudizio lo spostamento, da una sezione all’altra, di una determinata controversia per esigenze di organizzazione interna (C.T.C. 14.1.93 n. 186). Per approfondimenti sulla legittimità costituzionale dei criteri di attribuzione dei ricorsi alle singole sezioni si rinvia al cap. 35 “Iscrizione del ricorso nel registro generale, formazione del fascicolo e assegnazione del ricorso”. Invece, per osservazioni sull’immutabilità del giudice si veda il cap. 44 “Fase deliberativa”. Esame delle domande di sospensione cautelare L’art. 6 co. 3 del DLgs. 545/92 stabilisce che il presidente della Commissione, con proprio decreto, deve indicare una o più sezioni che, nel periodo di sospensione feriale dei termini, procedono all’esame delle domande di sospensione cautelare (art. 47 del DLgs. 546/92). Sulla sospensione dell’atto impugnato si rinvia al cap. 48 “Tutela cautelare”. Infatti, al c.d. “processo cautelare” non si applica la sospensione feriale dei termini (art. 5 della L. 742/69). 116 Cap. 7 - Giudice tributario Per approfondimenti sulla sospensione feriale dei termini si rinvia al cap. 16 “Termini processuali”. 4 SEZIONI STACCATE Il co. 1-bis dell’art. 1 del DLgs. 545/92 prevede l’istituzione di sezioni staccate delle Commissioni tributarie regionali, site nei Comuni ove hanno sede: le Corti d’Appello; sezioni staccate delle Corti d’Appello; sezioni staccate dei Tribunali Amministrativi Regionali; capoluoghi di provincia: con oltre 120.000 abitanti; distanti non meno di 100 Km dal capoluogo di regione. Le sezioni staccate delle Commissioni tributarie regionali non sono rilevanti ai fini della competenza. Per approfondimenti sulla competenza si rinvia al cap. 4 “Competenza”. Si evidenzia che l’assegnazione del ricorso ad una determinata sezione può avere rilevanza nell’ipotesi del processo di ottemperanza, ove il ricorso deve essere esaminato dalla sezione che ha emesso la sentenza oggetto, appunto, di ottemperanza. Per i relativi approfondimenti si rinvia al cap. 61 “Giudizio di ottemperanza”. Il co. 4 dell’art. 1 del DLgs. 545/92 prevede la possibilità di variare il numero delle sezioni staccate a seconda del flusso medio dei processi, permettendo in tal modo una certa flessibilità organizzativa delle Commissioni. Criteri per la formazione delle sezioni staccate Per l’assegnazione dei componenti alle sezioni staccate, i presidenti delle Commissioni regionali devono interpellare i magistrati della Commissione di competenza al fine di raccogliere le relative richieste di assegnazione (ris. CPGT 23.9.2003 n. 7). Al fine di comporre tali sezioni è necessario privilegiare l’assegnazione su domanda e, in assenza di ciò, ricorrere all’assegnazione d’ufficio. Nel caso in cui le domande eccedano il numero di posti da assegnare, i presidenti delle Commissioni tributarie regionali dovranno applicare i seguenti criteri, privilegiando, ove possibile, il primo: residenza anagrafica da almeno due anni in Comuni compresi nell’ambito territoriale della sezione staccata; anzianità di servizio nelle Commissioni tributarie compresa quella maturata nelle precedenti Commissioni di primo e secondo grado e, a parità, la maggiore età. La pregressa anzianità da valutare ai fini della graduatoria sarà quella maturata nella funzione per la quale l’assegnazione è disposta. In caso di domande insufficienti a coprire l’organico delle sezioni staccate, i criteri di assegnazione d’ufficio saranno i seguenti: residenza anagrafica in Comuni ricompresi nell’ambito territoriale della sezione staccata; 117 Cap. 7 - Giudice tributario minore anzianità di servizio nelle Commissioni tributarie, compresa quella maturata nelle precedenti Commissioni di primo e secondo grado (subordinatamente, si prende in considerazione la minore età). Modalità di assegnazione dei ricorsi alle sedi staccate I ricorsi di competenza delle sezioni staccate possono essere presentati direttamente presso la segreteria di tali sezioni, così come tutti gli altri atti relativi al processo (ris. CPGT 27.6.2000 n. 4). L’ufficio di segreteria di ciascuna sezione staccata ha il compito di comunicare, almeno ogni 15 giorni, l’elenco dei ricorsi presentati, avendo cura di indicare il nome delle parti. Non costituendo un autonomo ufficio, bensì una mera articolazione interna della Commissione regionale, il presidente di Commissione assegnerà i ricorsi nel rispetto dei criteri generali previsti per la ripartizione degli stessi a tutte le sezioni. Per approfondimenti sulla modalità di assegnazione dei ricorsi alle sezioni si rinvia al cap. 35 “Iscrizione del ricorso nel registro generale, formazione del fascicolo e assegnazione del ricorso”. Ove la Commissione regionale abbia più di 15 sezioni, il presidente può delegare l’assegnazione dei ricorsi alla sezione staccata al presidente di sezione con maggiore anzianità nell’incarico o, subordinatamente, per età (art. 2 co. 3 del DLgs. 545/92). Spetta ai Presidenti delle Commissioni regionali la vigilanza sull’andamento e sul funzionamento della sede staccata. non pongono problemi di competenza Le sezioni staccate sono dotate di una segreteria abilitata a ricevere gli atti processuali Fig. 2 - Sezioni staccate delle C.T. Regionali 5 REQUISITI PER LA NOMINA DEL GIUDICE Per la nomina a giudice tributario sono necessari determinati requisiti individuati dagli artt.: 7 del DLgs. 545/92, che indica le qualità generali per la nomina; 4 del DLgs. 545/92, per la nomina a giudice delle Commissioni provinciali; 5 del DLgs. 545/92, per la nomina a giudice delle Commissioni regionali. È utile precisare che tali qualità devono essere soddisfatte a priori dai candidati e non corrispondono alle cause di incompatibilità indicate dall’art. 8 del DLgs. 545/92 (cfr. § 6). 5.1 REQUISITI GENERALI DEI GIUDICI TRIBUTARI I componenti delle Commissioni tributarie, ai sensi dell’art. 7 del DLgs. 545/92, devono: essere cittadini italiani; avere l’esercizio dei diritti civili e politici; non avere riportato condanne: 118 Cap. 7 - Giudice tributario per delitti comuni non colposi; per contravvenzioni a pena detentiva; per reati tributari; ovvero non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; non avere superato, alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione, settantadue anni di età; avere idoneità fisica e psichica. essere cittadini italiani avere l’esercizio dei diritti civili e politici Requisiti non aver riportato condanne per reati dolosi avere meno di 72 anni avere idoneità fisica e psichica Fig. 3 - Requisiti oggettivi per la nomina a giudice tributario 5.2 NOMINA DEI GIUDICI DELLE COMMISSIONI PROVINCIALI Secondo l’art. 4 del DLgs. 545/92, i giudici delle Commissioni tributarie provinciali possono essere scelti tra: i magistrati ordinari, amministrativi, militari o contabili, in servizio o a riposo, e gli avvocati e procuratori dello Stato a riposo; i dipendenti civili dello Stato, o di altre amministrazioni pubbliche in servizio o a riposo che hanno prestato servizio per almeno dieci anni di cui almeno due in una qualifica alla quale si accede con laurea in giurisprudenza, in economia e commercio o altra equipollente; gli ufficiali della Guardia di Finanza cessati dalla posizione di servizio permanente effettivo prestato per almeno dieci anni; coloro che sono iscritti negli albi dei ragionieri e dei periti commerciali ed hanno esercitato per almeno dieci anni le relative professioni; coloro che, in possesso del titolo di studio ed in qualità di ragionieri o periti commerciali, hanno svolto per almeno dieci anni, alle dipendenze di terzi, attività nelle materie tributarie ed amministrativo contabili; coloro che sono iscritti nel ruolo o nel registro dei revisori ufficiali dei conti o dei revisori contabili, ed hanno svolto almeno cinque anni di attività; coloro che hanno conseguito l’abilitazione all’insegnamento in materie giuridiche, economico o tecnico-ragionieristiche ed hanno esercitato per almeno 5 anni attività di insegnamento; coloro che sono in possesso dei requisiti indicati dall’art. 5 del DLgs. 545/92 necessari ad accedere alla carica di giudici delle Commissioni tributarie regionali; coloro che hanno conseguito almeno da due anni il diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio; 119 Cap. 7 - Giudice tributario gli iscritti agli albi degli ingegneri, degli architetti, dei geometri, dei periti edili, dei periti industriali, dei dottori agronomi, degli agrotecnici e dei periti agrari che hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni. 5.3 NOMINA DEI GIUDICI DELLE COMMISSIONI REGIONALI Secondo l’art. 5 del DLgs. 545/92, i giudici delle Commissioni tributarie regionali possono essere scelti tra: i magistrati ordinari, amministrativi, militari o contabili, in servizio o a riposo e gli avvocati e procuratori di Stato, a riposo; i docenti di ruolo universitario o delle scuole secondarie di secondo grado ed i ricercatori in materie giuridiche, economico e tecnico-ragionieristiche, in servizio o a riposo; i dipendenti civili dello Stato o di altre Amministrazioni Pubbliche, in servizio o a riposo, in possesso di laurea in giurisprudenza e in economia e commercio o altra equipollente, che hanno prestato servizio da almeno dieci anni in qualifiche per le quali è richiesta una di tali lauree; gli ufficiali superiori o generali della Guardia di Finanza cessati dalla posizione di servizio permanente effettivo; gli ispettori del Servizio centrale degli ispettori tributari cessati dall’incarico dopo almeno sette anni di servizio; i notai e coloro che sono iscritti negli albi professionali degli avvocati e dei procuratori o dei dottori commercialisti ed hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni; coloro che sono stati iscritti negli albi professionali degli avvocati, procuratori, dottori commercialisti, dei ragionieri o dei periti commerciali ed hanno esercitato attività di amministratori, sindaci, dirigenti in società di capitali o di revisori dei conti. magistrati dipendenti civili dello Stato I giudici sono nominati tra professionisti (avvocati, notai, commercialisti) laureati in giurisprudenza o economia docenti universitari ufficiali della Guardia di Finanza cessati dal servizio Fig. 4 - Requisiti soggettivi per la nomina a giudice tributario 5.3.1 Avvocati e procuratori dello Stato La disciplina del contenzioso tributario esclude espressamente che gli avvocati e i procuratori dello Stato possano essere nominati giudici tributari. Gli artt. 4 e 5 del DLgs. 545/92, che elencano le categorie di professionisti nell’ambito delle quali vanno scelti i giudici tributari, alla lett. a) indicano, accanto ai magistrati delle varie giurisdizioni “a servizio o a riposo”, soltanto gli avvocati e i 120 Cap. 7 - Giudice tributario procuratori di Stato “a riposo”, negando testualmente l’accesso alla funzione a coloro i quali sono in servizio (ris. CPGT 24.6.97 n. 10). La preclusione trova fondamento nel fatto che essi svolgono la funzione di difensore delle amministrazioni statali e perciò si troverebbero a ricoprire la veste di giudice in controversie in cui è sempre coinvolta l’Amministrazione finanziaria, facendo insorgere non pochi dubbi sulla loro terzietà. 5.3.2 Esercizio dell’attività professionale Gli artt. 4 e 5 del DLgs. 545/92 prevedono come requisito di legittimità, per alcune categorie di professionisti, oltre all’iscrizione agli albi anche l’esercizio effettivo della professione per un certo numero di anni. Alcuni dubbi sono stati sollevati in merito alla possibilità che la prova dell’avvenuta iscrizione agli albi potesse essere sufficiente per soddisfare il requisito dell’effettivo esercizio della professione. Con la ris. 10.6.97 n. 7, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria si è espresso precisando che i requisiti in parola devono essere entrambi soddisfatti, in quanto non è affatto certo che il periodo di iscrizione all’albo coincida con quello di effettivo esercizio della professione. 6 INCOMPATIBILITÀ L’art. 8 del DLgs. 545/92 individua le cause di incompatibilità con la funzione di giudice tributario. Ai sensi della citata norma, non possono essere componenti delle Commissioni, finché permangono in attività di servizio o nell’esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali: i membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo; i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circostanziali e gli amministratori di altri enti che applicano tributi o hanno partecipazione al gettito dei tributi indicati nell’art. 2 del DLgs. 546/92, nonché coloro che, come dipendenti di detti enti o componenti di organi collegiali, concorrono all’accertamento dei tributi stessi; i dipendenti dell’Amministrazione finanziaria che prestano servizio presso gli uffici delle Agenzie fiscali; gli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza; i soci, gli amministratori e i dipendenti delle società concessionarie del servizio di riscossione delle imposte o preposte alla gestione dell’anagrafe tributaria e di ogni altro servizio tecnico del Ministero dell’Economia e delle Finanze; i prefetti; coloro che ricoprono incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici; coloro che esercitano, in qualsiasi forma, la consulenza tributaria, anche se si tratta di detenzione di scritture contabili o redazione di bilanci; 121 Cap. 7 - Giudice tributario coloro che sono iscritti in albi professionali relativi ai soggetti che possono patrocinare le cause di fronte alle Commissioni tributarie, nella misura in cui esercitino attività di consulenza fiscale; gli appartenenti alle Forze armate ed i funzionari civili dei corpi di polizia; i coniugi, i parenti e i conviventi fino al secondo grado e gli affini in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano le attività per cui è prevista l’incompatibilità con la carica di giudice. In merito alle cause di incompatibilità con la carica di giudice tributario, va subito rilevato che l’art. 8 del DLgs. 545/92 è stato modificato dal DL 98/2011 conv. L. 111/2011 e dal DL 138/2011 conv. L. 148/2011. Le citate cause hanno valenza solo nel periodo di tempo in cui il soggetto esercita la carica di giudice, essendo comportamenti legittimi prima della nomina (ris. CPGT 22.12.98 n. 17). La preesistenza di cause di incompatibilità, non rilevate al momento della nomina, ne invalidano il provvedimento e ne comportano la revoca (ris. CPGT 18.3.97 n. 1 § 1). L’art. 8 del DLgs. 545/92 precisa, inoltre, che non possono essere componenti dello stesso collegio giudicante i coniugi, i conviventi e i parenti ed affini entro il quarto grado. Incarichi presso più Commissioni Ulteriore causa di incompatibilità con la carica di giudice tributario è data dal divieto di essere componente di più Commissioni tributarie allo stesso momento. Il Consiglio di Presidenza, con la ris.18.12.2001 n. 9, ha precisato che vi è incompatibilità tra il ruolo di giudice tributario svolto presso una Commissione provinciale o regionale e quello svolto presso la Commissione tributaria centrale. Incompatibilità di soggetti facenti parte del Garante del contribuente Il Consiglio di Presidenza, nella ris. 13.10.2006 n. 7, ha specificato che l’attività del Garante può essere assimilata ad un incarico elettivo la cui incompatibilità temporanea è prevista dall’art. 8 co. 1 lett. b) del DLgs. 545/92. Pertanto, esso ha ritenuto che qualora un giudice tributario venga nominato anche membro del Garante del contribuente, debba chiedere la sospensione dell’incarico fino alla cessazione di tale funzione. parlamentari consiglieri regionali, provinciali, comunali dipendenti dell’Amministrazione finanziaria Cause di incompatibilità componenti della Guardia di Finanza funzionari delle società di riscossione prefetti coloro i quali esercitano la consulenza tributaria detenzione di scritture contabili Fig. 5 - Incompatibilità 122 Cap. 7 - Giudice tributario 6.1 INCOMPATIBILITÀ E SOSPENSIONE DALL’INCARICO L’art. 8 co. 4 del DLgs. 545/92 prevede alcuni casi in cui si rende necessaria la sospensione dalla carica di giudice. La suddetta sospensione avviene se i componenti delle Commissioni vengono nominati: membri del Parlamento nazionale; membri del Parlamento europeo; consiglieri regionali, provinciali, comunali e circostanziali o amministratori di altri enti che applicano tributi o hanno partecipazione al gettito dei tributi indicati nell’art. 2 del DLgs. 546/92; giudici costituzionali. L’incompatibilità sancita per i consiglieri regionali, provinciali e comunali, come precisato dal Consiglio di Presidenza nella ris. 1/97 (§ 2), vige anche per il presidente della Regione, il presidente della Provincia e per il sindaco, nonché per gli assessori regionali e provinciali. Cause di incompatibilità durante il periodo di sospensione L’art. 8 co. 4 del DLgs. 545/92 prevede che, quando cessa la causa di incompatibilità, i giudici riassumono le rispettive funzioni anche in soprannumero presso la Commissione tributaria di appartenenza. Il CPGT (ris. 29.9.2009 n. 4) ha specificato che, durante il periodo di sospensione, il giudice rimane tale, con conseguente sussistenza delle altre cause di incompatibilità contemplate dalla stessa norma. Pertanto, il membro della Commissione che, essendo sospeso dall’incarico per essere stato eletto, nella specie, consigliere comunale, fornisca consulenza tributaria, ben può essere dichiarato decaduto. 6.2 ATTIVITÀ DI CONSULENZA TRIBUTARIA Il DL 98/2011 (conv. L. 111/2011) ha modificato l’art. 8 del DLgs. 545/92, prevedendo un’ampia incompatibilità tra soggetti che esercitano, in ogni modo, la consulenza tributaria e la carica di giudice fiscale. La norma stabilisce che sono incompatibili con la veste di giudice delle Commissioni tributarie coloro i quali: in qualsiasi forma, anche in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria; detengono le scritture contabili; redigono i bilanci; svolgono attività di consulenza, assistenza e rappresentanza a qualsiasi titolo nelle controversie di carattere fiscale, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori. Vengono in tal modo confermate le prese di posizione della giurisprudenza amministrativa sul punto, ove, tra l’altro, l’incompatibilità era stata ravvisata nelle seguenti ipotesi: 123 Cap. 7 - Giudice tributario soggetto depositario di scritture contabili (Consiglio di Stato 29.5.2009 n. 3366); soggetto facente parte di uno studio associato (Consiglio di Stato 12.3.2009 n. 1478); curatore fallimentare (Consiglio di Stato 28.9.2009 n. 5842). Anche a seguito della riforma, è possibile affermare, in attesa di interventi del Consiglio di presidenza, che non dovrebbe costituire causa di incompatibilità l’attività didattica in materia fiscale (TAR Emilia Romagna 9.11.2001n. 872). La sentenza riguardava un giudice tributario che ricopriva il ruolo di responsabile per le politiche tributarie di due associazioni di aziende. consulenza fiscale, anche sporadica Incompatibilità con la carica di giudice (DL 98/2011) tenuta scritture contabili redazione di bilanci rappresentanza/assistenza dei contribuenti Fig. 6 - Consulenza fiscale 6.3 ISCRIZIONE AD ALBI O ELENCHI PROFESSIONALI L’incompatibilità concerne(va), a seguito delle innovazioni originariamente apportate dal DL 98/2011 all’art. 8 del DLgs. 545/92, anche i soggetti iscritti ad albi ed elenchi individuati dall’art. 12 del DLgs. 546/92, quindi, in sostanza, tutti i soggetti abilitati al patrocinio dinanzi alle Commissioni tributarie. Per gli albi ed elenchi di cui sopra si veda il cap. 12 “Difensore”. Da ciò sarebbe derivato che non avrebbero potuto più rivestire la carica di giudice, se iscritti al relativo Albo professionale, i dottori commercialisti, gli avvocati, i consulenti del lavoro e le altre categorie “residuali” indicate dalla norma (es. spedizionieri doganali, geometri). L’introduzione della norma avrebbe avuto particolare rilievo per gli avvocati, siccome, in precedenza, l’esercizio dell’attività forense (a meno che non si trattasse di avvocati tributaristi) non era incompatibile con l’attività di giudice (Cass. 8.7.2004 n. 12598 e Cass. 6.9.2004 n. 17936). Per contro, ad esempio per i dottori commercialisti, ove all’iscrizione all’Albo si fosse accompagnato l’esercizio della professione, nella maggioranza dei casi si sarebbe verificata la causa di incompatibilità. Resosi conto degli effetti che tale incompatibilità avrebbe comportato nei confronti del funzionamento della giustizia tributaria (l’automatica esclusione dei soggetti iscritti in albi avrebbe causato, di fatto, la decadenza di tutti gli avvocati e dottori commercialisti), il legislatore, con la legge di conversione del DL 138/2011, ha rimodificato l’art. 8 del DLgs. 545/92, stabilendo che l’incompatibilità si verifica solo se i soggetti iscritti negli albi o negli elenchi esercitano una delle attività indicate nella precedente lett. i). In tal modo, di fatto, la norma non introduce una nuova causa di incompatibilità, siccome chi esercita una delle attività di cui alla lett. i) è già, di per sé, un soggetto incompatibile con la funzione di giudice tributario. 124 Cap. 7 - Giudice tributario 6.4 LEGAMI DI PARENTELA Il DL 98/2011 ha soppresso la lett. m) dell’art. 8 co. 1 del DLgs. 545/92 e introdotto il co. 1-bis, prevedendo espressamente che: “non possono essere componenti di commissione tributaria provinciale i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i) nella regione e nelle province confinanti con la predetta regione dove ha sede la commissione tributaria provinciale. Non possono, altresì, essere componenti delle commissioni tributarie regionali i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che sono iscritti in albi professionali ovvero esercitano le attività individuate nella lettera i) del comma 1 nella regione dove ha sede la commissione tributaria regionale ovvero nelle regioni con essa confinanti”. Si pone quindi fine ad un dibattito interpretativo, che prendeva le mosse dal fatto che la lett. m) faceva riferimento, per le cause di incompatibilità, alla lett. i), che, nella formulazione previgente alle modifiche apportate dalla L. 449/97, prevedeva l’incompatibilità a causa della semplice iscrizione all’Albo professionale (in sostanza, la lett. m), facente riferimento all’iscrizione all’Albo professionale, mal si conciliava con la lett. i post L. 449/97, il cui riferimento era l’attività di consulenza fiscale, a prescindere dall’iscrizione all’Albo). Sorgeranno, presumibilmente, questioni interpretative derivanti dal fatto che la legge fa riferimento al concetto di “convivenza”, che, anche in ambito civile, non è delineato con sufficiente chiarezza. 7 VERIFICA DELL’ INCOMPATIBILITÀ Le cause di incompatibilità possono essere verificate solo in un momento successivo alla delibera di nomina. Il Consiglio di presidenza ha il dovere di svolgere accertamenti di carattere preventivo solo in ordine ai requisiti: indicati dall’art. 7 del DLgs. 545/92; specificatamente previsti: dall’art. 4 del DLgs. 545/92, per la nomina a giudice delle Commissioni provinciali; dall’art. 5 del DLgs. 545/92, per la nomina a giudice delle Commissioni regionali (ris. CPGT 17/98). Requisiti per la nomina e cause di incompatibilità Nella ris. 17/98, il Consiglio di presidenza si è pronunciato sulla differenza tra i requisiti di nomina e le cause stricto sensu di incompatibilità. I requisiti di nomina attengono alla possibilità del soggetto a conseguire la carica o l’ufficio; mentre le situazioni di incompatibilità riguardano la possibilità di conservare una funzione alla quale si è stati già validamente nominati al fine di impedire situazioni conflittuali con l’esercizio della carica conseguita. Pertanto, sotto il profilo temporale, l’incompatibilità non può configurarsi ed essere accertata prima che la carica venga assunta. Di contro, la carenza dei requisiti ne125 Cap. 7 - Giudice tributario cessari alla funzione di giudice impedisce la nomina, invalidando il relativo provvedimento. Quanto esposto trova il suo fondamento in ragione della necessaria coordinazione tra la norma che determina le cause di incompatibilità e quelle che indicano i requisiti necessari per la nomina. Infatti, i professionisti sono le categorie maggiormente esposte alle cause di incompatibilità; allo stesso tempo, però, proprio gli artt. 4 e 5 del DLgs. 545/92 indicano quali requisiti essenziali per la funzione di giudice non solo l’iscrizione all’albo, ma anche l’esercizio della professione per un certo numero di anni senza alcuna discriminazione per l’attività in materia tributaria (ris. CPGT 17/98 §4). Termine per l’eliminazione della causa di incompatibilità La giurisprudenza ha chiarito che il procedimento attivato dal Consiglio di presidenza è rispettoso del contraddittorio, per cui la decadenza può essere pronunciata anche senza diffida a far cessare la causa di incompatibilità (TAR Sardegna 53/2008). Si evidenzia che ai giudici tributari non è applicabile la disciplina prevista per lo statuto degli impiegati civili dello Stato, contenuta nel DPR 10.1.57 n. 3, poiché in ragione di quanto disposto dall’art. 11 co. 1 del DLgs. 545/92, la nomina a componente della Commissione tributaria non costituisce in nessun caso rapporto di pubblico impiego (TAR Sardegna 53/2008; TAR Emilia Romagna 7.6.2002 n. 820; contra TAR Puglia 25.10.2012 n. 1811). L’art. 63 del DPR 3/57 stabilisce, per i dipendenti civili dello Stato, l’obbligatorietà del provvedimento di diffida in caso di incompatibilità e, solo ove siano inutilmente decorsi 15 giorni da tale atto, che l’impiegato decade dall’impiego. Effetti dell’incompatibilità sulla sentenza Il realizzarsi di una condizione di incompatibilità con la carica di giudice non comporta né la nullità né l’inesistenza della sentenza (Cass. 20.9.2006 n. 20389). Per approfondimenti sulle cause di nullità delle sentenze si rinvia al cap. 45 “Sentenza”. Nel caso in cui un componente si trovi in una condizione di incompatibilità, detta situazione implica la decadenza dall’incarico (art. 12 co. 1 lett. b) del DLgs. 545/92). Tale decadenza avrà efficacia solo a partire dal giorno in cui verrà dichiarata, senza alcuna retroazione sugli atti di esercizio delle funzioni in precedenza compiuti dal giudice decaduto (Cass. 18.2.2000 n. 1853). L’Amministrazione Finanziaria ha espresso un difforme orientamento. Infatti, essa ha ritenuto che una sentenza pronunciata da un organo giudicante irregolarmente costituito a causa dell’incompatibilità di uno dei componenti sia affetta da nullità (C.M. 4.2.98 n. 39). L’incompatibilità è verificata Fig. 7 - Verifica dell’incompatibilità 126 dal Consiglio di Presidenza successivamente alla nomina Cap. 7 - Giudice tributario 8 PROCEDIMENTO DI NOMINA I componenti delle Commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, previa delibera del Consiglio di presidenza (art. 9 co. 1 del DLgs. 545/92). La nomina avviene secondo l’ordine di collocazione indicato negli elenchi predisposti relativamente ad ogni Commissione tributaria, previa comunicazione di disponibilità ad assumere l’incarico (cfr. § 9.2). Quindi, il procedimento di nomina si realizza attraverso una sequenza procedimentale che può essere in tal modo riassunta: individuazione dei posti vacanti; raccolta delle domande di disponibilità ad assumere l’incarico; formazione degli elenchi di collocazione; scrematura dei candidati in ragione del possesso dei requisiti necessari per la nomina. Ai sensi dell’art. 9 co. 2-bis del DLgs. 545/92, introdotto dal DL 98/2011, per le Commissione tributaria regionale, “i posti da conferire sono attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, ovvero gli avvocati dello Stato, a riposo”. 8.1 COMUNICAZIONE DI DISPONIBILITÀ Il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha il compito di stabilire, con proprio decreto, il termine e le modalità da adottare per le comunicazioni di disponibilità agli incarichi da conferire (art. 9 del DLgs. 545/92). Domande di nomina Le domande di nomina, ovvero le “comunicazioni di disponibilità”, devono dare indicazione di tutti i requisiti richiesti per la nomina stessa. Tali atti devono essere depositati secondo quanto stabilito dal Ministro dell’Economia e delle Finanze; pertanto, non è possibile riconoscere efficacia alle domande che siano state presentate prima dell’emanazione del decreto ove, tra l’altro, sono indicati i tempi e i modi per effettuare le comunicazioni (ris. CPGT 3.6.97 n. 6). Alla comunicazione di disponibilità deve essere allegata la documentazione necessaria per provare: l’appartenenza ad una delle categorie indicate dagli artt. 3, 4 e 5 del DLgs 545/92; di essere in possesso dei requisiti necessari alla carica; di non versare in alcuna delle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 8 del DLgs. 545/92. 8.2 FORMAZIONE DEGLI ELENCHI PER LA NOMINA Il procedimento di nomina, ad oggi, non è un procedimento concorsuale, ma si concreta in una selezione ad opera del Consiglio di presidenza sulla base degli elenchi giacenti presso le Commissioni tributarie. 127 Cap. 7 - Giudice tributario I suddetti elenchi sono formati secondo: i criteri di valutazione e i relativi punteggi indicati nella Tabella E; la documentazione allegata alla dichiarazione di disponibilità dell’incarico; i termini e le modalità determinati dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, con proprio decreto (art. 9 co. 5 del DLgs 545/92). L’obiettività del criterio di individuazione dei componenti delle Commissioni tributarie dovrebbe essere garantita dall’ordine di collocazione nei predetti elenchi e dall’esistenza di criteri di valutazione ed attribuzione dei relativi punteggi secondo la predefinita Tabella E allegata al decreto in esame. Redazione degli elenchi In base ai titoli risultanti dalla documentazione di ciascuno degli interessati dichiaratisi disponibili, il Consiglio di presidenza deve provvedere alla formazione degli elenchi da inviare al Ministro delle Finanze per la formulazione della proposta di nomina ad opera del Capo dello Stato. La ris. 3.6.97 n. 6 ha precisato che il Consiglio di presidenza, alla scadenza del periodo di tempo per la comunicazione degli incarichi da conferire, procede a compilare gli elenchi comprendenti tutti i presidenti di Commissione e di sezione (art. 3 del DLgs. 545/92), che sono, o sono stati, componenti delle Commissioni tributarie, i quali hanno diritto ad essere nominati con precedenza sulla base dei punteggi previsti dalle Tabelle E ed F allegate al DLgs. 545/92. Allo stesso modo, il Consiglio provvede a formare gli elenchi di tutti i giudici tributari provinciali e regionali (artt. 4 e 5 del DLgs. 545/92) che sono, o sono stati, componenti di Commissioni, e che hanno diritto ad essere nominati con precedenza sugli altri giudici, in base ai punteggi previsti dalla Tabella F. Al termine di tali operazioni, ove risultino ancora posti vacanti, si procede a formare anche un elenco dei soggetti disponibili, appartenenti alle categorie sopra indicate sulla base dei punteggi previsti dalla Tabella E. 8.3 MANCANZA DEI REQUISITI PER LA CARICA L’esclusione dagli elenchi di coloro che hanno comunicato la propria disponibilità all’incarico, senza essere in possesso dei requisiti prescritti, è fatta con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, su conforme deliberazione del Consiglio di presidenza (art. 9 co. 6 del DLgs. 545/92). La nomina dei giudici avviene con decreto del Ministro dell’Economia previa delibera del Consiglio di presidenza con procedimento indicato dall’art. 9 del DLgs. 545/92 Fig. 8 - Nomina dei giudici 8.4 ONORARIETÀ E DURATA DELL’INCARICO L’art. 11 co. 1 del DLgs. 545/92 indica, in primo luogo, l’onorarietà dell’incarico, sancendo esplicitamente che la nomina a giudice tributario non costituisce in nessun caso rapporto di pubblico impiego. 128 Cap. 7 - Giudice tributario I componenti delle Commissioni tributarie, sia provinciali che regionali, indipendentemente dalle funzioni svolte, cessano dall’incarico al compimento del settantacinquesimo anno di età (art. 11 co. 2 DLgs. 545/92). 8.5 ASSEGNAZIONE DELL’INCARICO PER TRASFERIMENTO L’assegnazione di diverso incarico o del medesimo incarico per trasferimento dei componenti delle Commissioni tributarie in servizio è disposta nel rispetto dei seguenti criteri: la vacanza dei posti di presidente, di presidente di sezione, di vice presidente e di componente delle Commissioni tributarie provinciali e regionali è annunciata dal Consiglio di presidenza e viene portata a conoscenza di tutti i componenti delle Commissioni in servizio, a prescindere dalle funzioni svolte, con indicazione del termine entro il quale i componenti che aspirano all’incarico devono presentare domanda; alla nomina di ciascun incarico si procede in conformità al procedimento in precedenza descritto, disciplinato dall’art. 9 del DLgs. 545/92 (cfr. § 8.2); la scelta degli aspiranti è fatta dal Consiglio di presidenza secondo i criteri di valutazione e i punteggi di cui alle Tabelle E ed F allegate al DLgs. 545/92, tenendo anche conto: delle attitudini; della laboriosità; della diligenza di ciascun candidato; e, in caso di parità di punteggio, della maggiore anzianità (art. 11 co. 4 del DLgs. 545/92). Si noti che i componenti delle Commissioni tributarie, indipendentemente dalla funzione o dall’incarico svolto, non possono incorrere all’assegnazione di altri incarichi prima di due anni dal giorno in cui sono stati immessi nelle funzioni dell’incarico ricoperto (art. 11 co. 4 lett. c) del DLgs. 545/92). Prima nomina a giudice tributario Ove dovessero esserci ancora posti vacanti al termine del procedimento sopra esposto, si avvia la procedura di nomina ex art. 9 del DLgs. 545/92 riservandola solo a coloro che aspirano, per la prima volta, a un incarico nelle Commissioni tributarie provinciali e regionali (art. 11 co. 5 del DLgs. 545/92). 8.6 CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO DI NOMINA Un volta redatti gli elenchi per determinare l’ordine di nomina, raccolte le domande di disponibilità e scremati i candidati in ragione del possesso dei requisiti per assumere le cariche vacanti, il procedimento si conclude, quindi, con: la delibera di nomina del Consiglio di presidenza; la proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze; il decreto del Presidente della Repubblica. La delibera altro non è che la proposta del Consiglio di presidenza dei componenti delle Commissioni tributarie. 129 Cap. 7 - Giudice tributario Tale proposta passa poi al vaglio del Ministro dell’Economia e delle Finanze e, infine, il procedimento si completa con la nomina che deve obbligatoriamente avvenire con decreto del Presidente della Repubblica. 8.7 GIURAMENTO Secondo quanto disposto dall’art. 10 del DLgs. 545/92, i componenti delle Commissioni tributarie, prima dell’ammissione nelle loro funzioni, prestano giuramento, pronunziando e sottoscrivendo la formula “Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservare lealmente le leggi dello Stato e di adempiere con coscienza ai doveri inerenti al mio ufficio”. I presidenti delle Commissioni regionali prestano giuramento dinanzi al presidente del Consiglio di presidenza, mentre i presidenti delle Commissioni provinciali prestano giuramento dinanzi al presidente della Commissione regionale nella cui circoscrizione ha sede la Commissione cui loro sono destinati (art. 10 co. 2 e 3 del DLgs. 545/92). Infine, i presidenti di sezione e gli altri componenti delle Commissioni tributarie prestano giuramento dinanzi al presidente della Commissione cui sono destinati (art. 10 co. 4 del DLgs. 545/92). 9 DECADENZA DALL’INCARICO In base all’art. 12 del DLgs. 545/92 decadono dalla carica di giudice i componenti delle Commissioni tributarie che: perdono uno dei requisiti generali richiesti dall’art. 7 del DLgs. 545/92 per assurgere alla carica di giudice; incorrono in uno dei motivi di incompatibilità previsti dall’art. 8 del DLgs. 545/92; cessano, se magistrati o dipendenti dell’amministrazione pubblica in attività di servizio, dall’impiego per causa diversa dal collocamento a riposo o da dimissioni volontarie; omettono, senza giustificato motivo, di assumere l’incarico entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto di nomina; non partecipano, senza giustificato motivo, a tre sedute consecutive. perdita dei requisiti per la nomina Decadenza dall’incarico presenza di una o più cause di incompatibilità mancata partecipazione a tre sedute consecutive Fig. 9 - Cause di decadenza 9.1 DECRETO MINISTERIALE DI DECADENZA La decadenza è dichiarata con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze previa deliberazione del Consiglio di presidenza (art. 12 co. 2 del DLgs. 545/92). La giurisprudenza ha chiarito che il giudice nei confronti del quale esiste una causa di incompatibilità ai sensi dell’art. 8 del DLgs. 545/92 cessa dalle funzioni solo con l’emanazione del decreto ministeriale (Cass. 20.9.2006 n. 20389). 130 Cap. 7 - Giudice tributario Efficacia del parere del Consiglio di presidenza Ai sensi dell’art. 24 co. 1 lett. c) del DLgs. 545/92, il Consiglio di presidenza ha il potere di deliberare sulle nomine e su ogni altro provvedimento riguardante i componenti delle Commissioni tributarie. Il Consiglio di presidenza, nella ris. 27.6.2000 n. 3, ha specificato che la declaratoria di decadenza, pur non avendo natura di provvedimento conclusivo del procedimento, ha un’efficacia vincolante. In virtù di ciò, il successivo decreto ministeriale si profila recettivo della pronuncia del Consiglio e spiega i propri effetti dalla data della delibera consiliare. Un diverso orientamento è stato espresso dal TAR Friuli Venezia Giulia nella sentenza 30.1.2001 n. 21, ove è stato precisato che la delibera del Consiglio di presidenza, in tal caso, è un parere obbligatorio non avente natura vincolante. Secondo il TAR, il DLgs. 545/92 è estremamente preciso nello specificare i diversi effetti delle sue deliberazioni, che: talvolta sono atti decisori a efficacia diretta – sono tali, specifica il TAR, le pronunzie sui reclami elettorali relative alla sua elezione – (art. 26 del DLgs. 545/92); in altri casi, hanno carattere vincolante del successivo decreto ministeriale, come in materia disciplinare (art. 16 del DLgs. 545/92). Pertanto, “le ipotesi in cui detto collegio delibera con efficacia vincolante sono tassativamente determinate dalla legge, che si cura di specificarle, in quanto la regola, che si applica in mancanza di diversa determinazione normativa, è quella del carattere obbligatorio, ma non vincolante, delle deliberazioni in parola”. La fattispecie esaminata dal TAR si profila peculiare. Nel caso di specie, il giudice era stato dichiarato decaduto con decreto del Ministro previo parere del Consiglio di presidenza, in quanto svolgeva attività di consulenza fiscale. Il giudice decaduto aveva adito la giustizia amministrativa adducendo, come motivazione del ricorso, il fatto che il Ministro delle Finanze, pur conformandosi al parere del Consiglio di presidenza, aveva decretato la decadenza per motivi ulteriori rispetto a quelli delineati dal parere del Consiglio di presidenza stesso. Il TAR ha respinto il ricorso dichiarando la piena libertà del Ministro di valutare autonomamente la sussistenza dell’incompatibilità del giudice poiché il parere del Consiglio di presidenza, nello specifico caso della decadenza, è obbligatorio ma non vincolante. 9.2 MANCATA PARTECIPAZIONE ALLE SEDUTE Come evidenziato dalla lett. e) dell’art. 12 co. 1 del DLgs. 545/92, l’assenza del giudice tributario a tre sedute consecutive comporta la decadenza dall’incarico. In tale ipotesi, il presidente della Commissione deve comunicare al Consiglio di presidenza la mancata partecipazione alle sedute e le eventuali giustificazioni addotte al riguardo, mentre spetta al Consiglio stabilire se le assenze possano ritenersi giustificate (ris. CPGT 1/97 § 3). Autorizzazione all’assenza La domanda per ottenere l’autorizzazione all’assenza deve essere presentata, da parte del magistrato interessato, al Consiglio di presidenza, avendo cura di illustrare e documentare con sufficiente dettaglio le ragioni alla base della richiesta. 131 Cap. 7 - Giudice tributario A seguito del deposito, il Consiglio ha l’onere di procedere all’esame della domanda, concludendo il procedimento amministrativo con un provvedimento che dia adeguata motivazione sia del suo accoglimento che del suo rigetto (ris. CPGT 7.11.2006 n. 10). 9.2.1 Motivi di giustificazione Ad avviso del Consiglio di presidenza, possono essere motivi di giustificazione dell’assenza: la malattia; l’astensione obbligatoria dal lavoro a norma del DLgs. 26.3.2001 n. 151; la famiglia; l’attività professionale (ris. CPGT 1.7.97 n. 11). 9.2.2 Malattia Il giudice può essere autorizzato a non partecipare alle sedute della Commissione per un periodo massimo di sei mesi. A tal fine, i successivi periodi di assenza per malattia si sommano, quando tra essi non si interpone un periodo di esercizio delle funzioni superiore a due mesi. In ogni caso la durata complessiva dell’assenza, compresa quella per motivi di famiglia o di attività professionale, non può superare diciotto mesi in un quinquennio. 9.2.3 Astensione obbligatoria dal lavoro L’astensione obbligatoria dal lavoro può sussistere, ad esempio, in caso di maternità o paternità secondo quanto stabilito dall’art. 2 del DLgs. 26.3.2001 n. 151. Il DLgs. 151/2001 disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità. 9.2.4 Famiglia e attività professionale L’autorizzazione ad assentarsi per motivi familiari o professionali può essere concessa relativamente a situazioni “meritevoli di tutela” (ris. CPGT 11/97). Il provvedimento di concessione è di competenza del Consiglio di presidenza ed ha carattere costitutivo, quindi l’assenza non è giustificata prima della sua emanazione. La durata dell’assenza non può superare i sei mesi. A tal fine, i periodi di assenza si sommano quando tra essi non interceda un periodo di esercizio delle funzioni superiore a sei mesi. In ogni caso, come nell’assenza per malattia, la durata complessiva dell’assenza non può superare diciotto mesi in un quinquennio. Al componente della Commissione assente per motivi di famiglia o di attività professionale non compete il compenso fisso (ris. CPGT 11/97). 9.2.5 Segnalazione delle assenze I componenti che siano costretti a non partecipare alle sedute della Commissione per uno dei motivi sopra indicati hanno l’obbligo di comunicare senza ritardo al 132 Cap. 7 - Giudice tributario presidente della Commissione i motivi dell’assenza, trasmettendo la relativa documentazione (ris. CPGT 11/97). I presidenti di sezione hanno, a loro volta, l’obbligo di segnalare al presidente della Commissione le assenze dei giudici registrate ad ogni seduta. Infine, i presidenti di Commissione devono segnalare al Consiglio di presidenza: i casi suscettibili di valutazione di decadenza ai sensi dell’art. 12 del DLgs. 545/92; i giudici che, pur non assentandosi per tre sedute consecutive, non partecipano frequentemente alle sedute della Commissione. 9.3 SEGNALAZIONE DELLE CAUSE DI INCOMPATIBILITÀ Le norme sull’incompatibilità e sulla decadenza sono dettate nel pubblico interesse: pertanto, esse devono essere segnalate dai giudici tributari e dai presidenti delle Commissioni regionali e provinciali. A tal fine, entro il 31 gennaio di ogni anno, i giudici tributari devono trasmettere al Consiglio di presidenza, tramite il presidente della Commissione, una dichiarazione relativa all’insussistenza di cause di incompatibilità, con particolare riferimento all’esercizio di attività professionali da parte del coniuge, dei parenti e degli affini. Il Consiglio di presidenza provvede ad espletare i dovuti controlli, ai sensi dell’art. 24 co. 2 del DLgs. 545/92. Procedura per le segnalazioni Il DLgs. 545/92 non detta una procedura relativa all’accertamento delle cause di incompatibilità, di decadenza e all’adozione dei relativi provvedimenti. L’art. 12 co. 2 del DLgs. 545/92 si limita a prevedere che la decadenza del giudice deve essere dichiarata con decreto del Ministro delle Finanze previa decisione del Consiglio di presidenza. Secondo la ris. CPGT 1/97 (§5), può essere utile far riferimento all’art. 16 del DLgs. 545/92, che disciplina il procedimento disciplinare e prevede le garanzie fondamentali per l’interessato. Per una disamina del procedimento disciplinare previsto si veda il § 11. Tuttavia, il Consiglio di presidenza ritiene di dover seguire due differenti procedure distinguendo: i casi di incompatibilità implicanti ex lege l’automatica sospensione dall’incarico che comportano l’adozione di un provvedimento di semplice presa d’atto, salva la facoltà dell’interessato di richiedere di essere sentito dal consiglio; dalle altre ipotesi, ove occorre osservare il procedimento previsto dall’art. 16 del DLgs. 545/92, con la riduzione a metà dei termini ivi indicati (ris. CPGT 1/97 § 5). 10 TRATTAMENTO ECONOMICO Con decreto ministeriale vengono determinati: 133 Cap. 7 - Giudice tributario il compenso fisso mensile spettante ai componenti delle Commissioni tributarie (art. 13 co. 1 del DLgs. 545/92); un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi; un rimborso delle spese sostenute per l’intervento alle sedute in Commissione, per i residenti in comuni diversi della stessa regione da quello in cui ha sede la Commissione (art. 13 co. 2 del DLgs. 545/92). Tali compensi sono cumulabili con i trattamenti pensionistici e di quiescenza comunque denominati (art. 13 co. 3-bis del DLgs 545/92). Liquidazione dei compensi La liquidazione dei compensi è disposta dalla Direzione regionale delle entrate nella cui circoscrizione ha sede la Commissione tributaria di appartenenza, ed i relativi pagamenti sono eseguiti dal dirigente responsabile della segreteria della Commissione, quale funzionario delegato cui sono accreditati i fondi necessari (art. 13 co. 3 del DLgs. 545/92). Legittimità costituzionale del metodo di liquidazione dei compensi Si ritiene legittima la determinazione dei compensi eseguita sulla base di un decreto ministeriale. Al riguardo si sono sollevate molteplici censure di incostituzionalità in considerazione del fatto che i compensi dei componenti delle Commissioni tributarie vengono determinati e liquidati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale può avere un interesse nei confronti delle cause che possono instaurarsi tra il contribuente e l’Amministrazione Finanziaria. La Corte Costituzionale, con ordinanza 6.7.89 n. 379, ha dichiarato la questione manifestamente inammissibile in base al fatto che i compensi dei magistrati non sono assimilabili alla retribuzione, ma consistono in semplici emolumenti, inidonei ad incidere sull’indipendenza nel giudice. La censura era stata sollevata in ragione del principio enunciato dall’art. 108 Cost., ove viene disciplinato che “le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite dalla legge. La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia”. Ordinanze cautelari Non è dovuto alcun compenso aggiuntivo per le ordinanze cautelari emanate ai sensi dell’art. 47 del DLgs. 546/92, posto che l’art. 13 del DLgs. 545/92 prevede detto emolumento solo per i provvedimenti che definiscono il giudizio, e tali non sono quelli cautelari (Cass. 13.10.2010 n. 21156) I giudici affermano che, nel rito tributario, solo impropriamente può parlarsi di “ricorso cautelare”, siccome “l’istanza di sospensione va proposta con lo stesso ricorso ovvero con atto separato, ma sempre con riferimento al ricorso tributario”. 134 Cap. 7 - Giudice tributario 10.1 COMPENSO FISSO L’erogazione del compenso fisso ha la funzione di compensare il giudice per la disponibilità che egli assicura all’espletamento della funzione giurisdizionale. Il compenso fisso è identico per tutti coloro che svolgono la medesima funzione, indipendentemente dal numero di udienze effettivamente tenute in quanto è collegato alla titolarità della funzione svolta (ris. CPGT 2/2007). Ciascuna assenza ingiustificata, mancante di una preventiva comunicazione e autorizzazione da parte del presidente di sezione, comporta la decurtazione di un quarto del compenso fisso mensile, indipendentemente dal numero delle udienze fissate (ris. CPGT 5.5.98 n. 11). 10.2 COMPENSO AGGIUNTIVO Il compenso aggiuntivo, per ogni ricorso definito, deve essere determinato secondo criteri uniformi, che devono tener conto delle funzioni e dell’apporto di attività di ciascuno alla trattazione della controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza (art. 13 co. 2 del DLgs. 545/92). Per la determinazione del compenso variabile previsto per il presidente della Commissione, i presidenti e i vice presidenti di sezione, si deve fare riferimento a coloro che rivestono le dette qualifiche alla data in cui la singola decisione è stata adottata e non alla data del deposito della sentenza (ris. CPGT 5/98). Compenso a fronte dell’esercizio di fatto Il giudice tributario, che pur non avendone titolo, ha comunque svolto le funzioni relative all’incarico ricoperto, ha arrecato un vantaggio all’amministrazione e detta attività deve essere riconosciuta sotto il profilo retributivo. Pertanto, l’entità del compenso spettante a colui che esercita l’attività giurisdizionale in via di fatto deve essere commisurata all’effettivo lavoro svolto, rientrando nella categoria dei compensi aggiuntivi (ris. CPGT 20.2.2007 n. 1). 11 SANZIONI DISCIPLINARI L’art. 15 del DLgs. 545/92 prevede che il presidente di ciascuna Commissione vigila sull’operato degli altri componenti. Al presidente della Commissione regionale spetta l’onere di esercitare la vigilanza sulle attività delle Commissioni provinciali aventi sede nella circoscrizione della stessa e sui loro componenti. 11.1 TIPOLOGIA DI SANZIONI Ai sensi dell’art. 15 del DLgs. 545/92, i comportamenti adottati da un componente della Commissione tributaria non conformi ai doveri o alla dignità del proprio ufficio possono dare luogo alle seguenti sanzioni disciplinari: ammonimento, per lievi trasgressioni; censura, per mancato deposito di una decisione dopo un primo ammonimento e nei casi di recidiva in altre lievi trasgressioni; 135 Cap. 7 - Giudice tributario 11.2 sospensione dalle funzioni per un periodo da tre a sei mesi, per tardivo deposito più di tre volte in un anno delle decisioni dopo la scadenza dei termini fissati dal presidente ai sensi della lett. c) del co. 1 dell’art. 15 del DLgs. 545/92. PROCEDIMENTO Il procedimento disciplinare è promosso dal presidente del Consiglio dei Ministri o dal presidente della Commissione tributaria regionale nella cui circoscrizione presta servizio l’incolpato (art. 16 co. 1 del DLgs. 545/92). Il Consiglio di presidenza, nel termine di dieci giorni dalla richiesta di apertura del procedimento disciplinare, affida ad un suo componente l’incarico di procedere ad accertamenti preliminari da svolgersi entro trenta giorni. Inoltre, sempre il Consiglio di presidenza, sulla base delle risultanze emerse dagli accertamenti, provvede a contestare i fatti all’incolpato con invito a presentare entro trenta giorni le sue giustificazioni. Istruttoria In seguito al deposito delle giustificazioni da parte del magistrato, il Consiglio, se non ritiene di archiviare gli atti, incarica un proprio componente di procedere all’istruttoria, che deve essere conclusa entro novanta giorni mediante deposito degli atti presso la segreteria. Di tali deliberazioni deve essere data immediata comunicazione al giudice sottoposto a procedimento disciplinare (art. 16 co. 3 del DLgs. 545/92). Discussione dinanzi al Consiglio di presidenza Il presidente del Consiglio di presidenza, trascorso il termine di trenta giorni per il deposito delle giustificazioni, fissa la data di discussione davanti allo stesso con decreto da notificare almeno quaranta giorni prima all’incolpato, il quale può prendere visione ed estrarre copia degli atti e depositare le sue difese non oltre dieci giorni prima della discussione (art. 16 co. 4 del DLgs. 545/92). Seduta di discussione Nella seduta fissata per la discussione, il componente del Consiglio di presidenza che è stato incaricato ad effettuare l’istruttoria svolge la relazione per fornire adeguata spiegazione dei fatti. In sede di discussione, il magistrato incolpato ha diritto di parola per ultimo e può farsi assistere da altro componente della Commissione tributaria (art. 16 co. 5 del DLgs. 545/92). Sanzione disciplinare La sanzione disciplinare deliberata dal Consiglio di presidenza è applicata con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze. L’art. 16 del DLgs. 545/92 dispone inoltre che “per quanto non contemplato dalla presente legge si applicano le disposizioni sul procedimento disciplinare vigenti per i magistrati ordinari in quanto compatibili”. 136 Cap. 7 - Giudice tributario ammonimento Sanzioni disciplinari censura sospensione dalle funzioni Fig. 10 - Sanzioni 12 RESPONSABILITÀ Ai componenti delle Commissioni tributarie si applicano le disposizioni della L. 13.4.88 n. 117, concernente il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali (art. 14 del DLgs. 545/92). 12.1 PRESUPPOSTI PER LA RESPONSABILITÀ DEI MAGISTRATI I soggetti che hanno subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle proprie funzioni, possono agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni (art. 2 co. 1 della L. 117/88). Di contro, non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove svolta dal giudice nell’esercizio delle proprie funzioni (art. 2 co. 2 della L. 117/88). 12.1.1 Colpa grave L’art. 2 co. 3 della L. 117/88 chiarisce che integrano gli estremi della colpa grave, tra gli altri: la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa da atti del procedimento; la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento. 12.1.2 Diniego di giustizia Il diniego di giustizia consiste nel rifiuto, nell’omissione o nel ritardo del magistrato nel compimento del proprio ufficio. Siffatta fattispecie si realizza quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell’istanza volta ad ottenere il provvedimento (art. 3 co. 1 della L. 117/88). Ove il diniego di giustizia venga a realizzarsi, colui che abbia subito un ingiusto danno patrimoniale, o non patrimoniale, ha diritto ad ottenere un adeguato risarcimento dallo Stato (art. 2 co. 1 della L. 117/88). 12.2 PROCEDIMENTO L’azione di risarcimento contro lo Stato deve essere esercitata nei confronti del presidente del Consiglio dei Ministri (art. 4 della L. 117/88). 137 Cap. 7 - Giudice tributario Il Tribunale competente è quello del capoluogo del distretto della Corte d’Appello, da determinarsi a norma dell’art. 11 c.p.p. Ai sensi dell’art. 11 c.p.p., quando un magistrato è imputato (rectius convenuto) in un processo, la competenza si radica presso il giudice individuato in base alla Tabella di cui all’art. 1 delle norme di attuazione del codice di procedura penale. 12.2.1 Azione di risarcimento L’azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando: siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o i rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari; non siano più possibili l’azione di modifica o di revoca del provvedimento; o, se tali rimedi non siano previsti, sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno (art. 4 co. 2 della L. 117/88). Termine per la proposizione della domanda La domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro due anni decorrenti dal momento in cui l’azione è esperibile. L’azione può essere esercitata anche decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno, se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell’ambito del quale lo stesso si è verificato. Nei casi di diniego di giustizia, l’azione deve essere promossa entro due anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull’istanza (art. 4 co. 4 della L. 117/88). In nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che, a causa del segreto istruttorio, non abbia avuto conoscenza del fatto (art. 4 co. 5 della L. 117/88). 12.2.2 Inammissibilità della domanda Il Tribunale, sentite le parti, delibera in Camera di consiglio sull’ammissibilità della domanda presentata contro lo Stato ai sensi dell’art. 2 della L. 117/88. Essa è inammissibile nel caso in cui: non siano rispettati i termini o i presupposti di cui agli artt. 2, 3 e 4 della L. 117/88; sia manifestamente infondata. Impugnazione del decreto di inammissibilità L’inammissibilità è dichiarata dal Tribunale con decreto motivato, impugnabile attraverso reclamo ai sensi dall’art. 739 c.p.c. Il reclamo deve essere presentato presso la Corte d’Appello, che delibera con decreto motivato entro quaranta giorni dalla proposizione del ricorso (art. 5 co. 4 della L. 117/88). Contro il decreto di inammissibilità della Corte d’Appello può essere proposto ricorso per Cassazione. 138 Cap. 7 - Giudice tributario 12.2.3 Ammissibilità della domanda Il tribunale che dichiara ammissibile la domanda dispone la prosecuzione del processo. La Corte d’Appello o la Corte di Cassazione che in sede di impugnazione dichiarino ammissibile la domanda rimettono, per la prosecuzione del processo, gli atti ad altra sezione del Tribunale e, ove questa non sia costituita, al Tribunale che decide in composizione interamente diversa. Nell’eventuale giudizio d’appello non possono far parte della corte i magistrati che abbiano fatto parte del collegio che ha pronunciato l’inammissibilità (art. 5 co. 4 della L. 117/88). 12.2.4 Intervento del magistrato nel giudizio Il magistrato il cui comportamento, atto o provvedimento rileva in giudizio non può essere chiamato in causa ma può intervenire in ogni fase e grado del procedimento, ai sensi di quanto disposto dal co. 2 dell’art. 105 c.p.c. (art. 6 co. 1 della L. 117/88). Al fine di consentire l’eventuale intervento del magistrato, il presidente del Tribunale deve dargli comunicazione del provvedimento nei quindici giorni precedenti la data fissata per la prima udienza. La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato non fa stato nel giudizio di rivalsa, né nel procedimento disciplinare, se il magistrato non è intervenuto volontariamente in giudizio (art. 6 co. 2 della L. 117/88). Il magistrato cui viene addebitato il provvedimento non può essere assunto come teste né nel giudizio di ammissibilità né nel giudizio contro lo Stato (art. 6 co. 3 della L. 117/88). 12.2.5 Azione di rivalsa dello Stato Lo Stato, entro un anno dall’avvenuto risarcimento sulla base del titolo giudiziale o stragiudiziale stipulato dopo la dichiarazione di ammissibilità sopra descritta (art. 5 della L. 117/88), esercita l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato (art. 7 co. 1 della L. 117/88). In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa e nel giudizio disciplinare (art. 7 co. 2 della L. 117/88). L’azione di rivalsa deve essere promossa dal presidente del Consiglio dei Ministri, davanti al Tribunale del capoluogo del distretto della Corte d’Appello da determinarsi a norma dell’art. 11 c.p.p. 13 RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA Il giudice tributario che non abbia adeguatamente svolto i propri compiti pur continuando a percepire il compenso può essere condannato al risarcimento da “danno erariale” (Corte dei Conti 28.12.2007 n. 998). Nella sentenza 998/2007, la Corte dei Conti ha condannato un giudice tributario che ha percepito regolarmente i compensi fissi per un decennio pur rimanendo sistematicamente assente, partecipando in tutto a circa quindi sedute. 139 Cap. 7 - Giudice tributario Responsabilità dei giudici L. 117/88 giudizio dinanzi alla Corte dei Conti dolo, colpa grave e diniego di giustizia responsabilità amministrativa (“danno erariale”) Fig. 11 - Responsabilità dei giudici 14 CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA La magistratura costituisce un ordine autonomo e distinto da ogni altro potere (art. 104 Cost.). In attuazione di ciò, l’ordinamento prevede che la giustizia tributaria sia amministrata da un apposito Consiglio di presidenza. Esso è costituito con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro delle Finanze (art. 17 co. 1 DLgs. 545/92). 14.1 COMPOSIZIONE Il Consiglio di presidenza è composto da undici componenti eletti dai giudici tributari e da quattro componenti eletti dal Parlamento (due dalla Camera dei Deputati e due dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti). I componenti nominati dalle Commissioni tributarie sono eletti da tutti i giudici delle Commissioni provinciali e regionali con voto personale, diretto e segreto, e non sono immediatamente rieleggibili. I membri del Consiglio vengono scelti tra i professori di università in materie giuridiche o tra i soggetti abilitati alla difesa dinanzi alle Commissioni tributarie che risultino iscritti ai rispettivi albi professionali da almeno dodici anni. Il presidente e il vice presidente del Consiglio sono, invece, eletti e scelti tra coloro che sono stati nominati membri del Consiglio stesso. Va detto che, per effetto delle modifiche apportate dal DL 98/2011 all’art. 17 del DLgs. 545/92, il Consiglio di presidenza “elegge nel suo seno un presidente tra i componenti eletti dal Parlamento”. Ipotesi di incompatibilità I membri del CPGT eletti dal Parlamento non possono esercitare attività professionale in ambito tributario, né alcuna altra attività suscettibile di interferire con le funzioni degli organi di giustizia tributaria, finché sono in carica. 14.1.1 Durata della carica L’art. 18 del DLgs. 545/92 dispone che il Consiglio di presidenza rimane in carica per quattro anni. 11 eletti dai giudici tributari Formazione del Consiglio di Presidenza 15 componenti 4 eletti dal Parlamento Fig. 12 - Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria 140 Cap. 7 - Giudice tributario 14.1.2 Ineleggibilità Non possono essere eletti membri del Consiglio di presidenza i componenti delle Commissioni tributarie sottoposti, a seguito di giudizio disciplinare, ad una sanzione più grave dell’ammonimento (art. 20 co. 1 del DLgs. 545/92). Il componente della Commissione tributaria sottoposto alla sanzione della censura è eleggibile dopo tre anni dalla data del relativo provvedimento, se non gli è stata applicata altra sanzione disciplinare. 14.1.3 Elezione del Consiglio di presidenza Le elezioni del Consiglio di presidenza hanno luogo entro i tre mesi anteriori alla scadenza del precedente Consiglio e sono indette con decreto del Ministro delle Finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale almeno trenta giorni prima della data stabilita (art. 21 del DLgs. 545/92). Per l’elezione dei componenti del Consiglio di presidenza è istituito presso il Ministero delle Finanze l’ufficio elettorale centrale, composto da: un presidente di Commissione regionale o provinciale che lo presiede; due giudici tributari, nominati dal Ministro delle Finanze. 14.1.4 Proclamazione degli eletti L’ufficio elettorale centrale proclama eletti coloro che, nell’ambito di ciascuna categoria di eleggibili, hanno riportato il maggior numero di voti; mentre a parità di voti è eletto il più anziano di età. I reclami relativi alla eleggibilità e alle operazioni elettorali sono indirizzati al Consiglio di presidenza e debbono pervenire alla segreteria dello stesso entro il quindicesimo giorno successivo alla proclamazione dei risultati. Tali reclami non hanno effetto sospensivo e su di essi decide il Consiglio di Presidenza (art. 23 del DLgs. 545/92). 14.2 ATTRIBUZIONI DEL CONSIGLIO DI PRESIDENZA L’art. 24 del DLgs 545/92 stabilisce che al Consiglio di presidenza sono attribuiti i seguenti compiti: verifica dei titoli di ammissione dei propri componenti e decisione sui reclami attinenti alle elezioni; redazione del regolamento interno; delibera sulle nomine e su ogni altro provvedimento riguardante i componenti delle Commissioni tributarie; formulazione al Ministro dell’Economia e delle Finanze di proposte per l’adeguamento e l’ammodernamento delle strutture e dei servizi, sentiti i presidenti delle Commissioni tributarie; predisposizione di elementi per la redazione della relazione del Ministro delle Finanze di cui al co. 2 dell’art. 29 del DLgs. 545/92, che riguarda l’andamento dell’attività degli organi di giustizia tributaria, anche in ordine alla produttività comparata delle Commissioni; fissazione dei criteri di massima per la formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti; 141 Cap. 7 - Giudice tributario fissazione dei criteri di massima per la ripartizione dei ricorsi nell’ambito delle Commissioni tributarie divise in sezioni; promozione di iniziative intese a perfezionare la formazione e l’aggiornamento professionale dei giudici; formulazione di pareri sugli schemi di regolamento e di convenzione previsti dal presente decreto o che comunque riguardano il funzionamento delle Commissioni tributarie; formulazione di pareri sulla ripartizione fra le Commissioni tributarie dei fondi stanziati nel bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze per le spese del loro funzionamento; formulazione di pareri sulla determinazione dei compensi fissi ai componenti delle Commissioni tributarie di cui all’art. 13 del DLgs. 545/92; spostamento dei componenti presso altra Commissione tributaria o sezione staccata, rientrante nello stesso ambito regionale, per la durata massima di un anno; delibera su di ogni altra materia ad esso attribuita dalla legge. Il Consiglio di presidenza è quindi l’organo che vigila sul generale funzionamento delle Commissioni tributarie, avendo anche la possibilità di disporre ispezioni. 14.2.1 Convocazione del Consiglio di Presidenza Il Consiglio di presidenza è convocato dal presidente o, in sua assenza, dal componente che lo sostituisce, di iniziativa propria o su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti (art. 25 del DLgs. 545/92). 14.2.2 Deliberazioni Il Consiglio di presidenza delibera con la presenza di almeno quattro componenti. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza e a voto palese e, in caso di parità, prevale il voto del presidente. Le delibere sono adottate a scrutinio segreto, se riguardano persone o su richiesta di almeno due componenti presenti. 14.2.3 Scioglimento del Consiglio di presidenza Il Consiglio di presidenza, qualora ne sia impossibile il funzionamento, è sciolto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, previa delibera del Consiglio dei Ministri (art. 28 del DLgs. 545/92). In tal caso, le nuove elezioni devono essere indette entro un mese dalla data di scioglimento ed hanno luogo entro il bimestre successivo. 14.2.4 Funzione di sorveglianza Il presidente del Consiglio dei Ministri esercita l’alta sorveglianza sulle Commissioni tributarie e sui giudici tributari. Il presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’Economia e delle Finanze hanno facoltà di chiedere al CPGT e ai presidenti delle Commissioni informazioni circa il funzionamento della giustizia tributaria (art. 29 del DLgs. 545/92). 142 Cap. 7 - Giudice tributario Relazione sugli organi della giurisdizione tributaria Il Ministro dell’Economia e delle Finanze presenta entro il 31 dicembre di ogni anno una relazione al Parlamento sull’andamento dell’attività degli organi di giustizia tributaria sulla base degli elementi predisposti dal Consiglio di presidenza. verifica titoli di ammissione dei componenti redazione regolamento interno delibera sulle nomine dei giudici Compiti del Consiglio di presidenza delibera sulla decadenza dei giudici criteri di formazione delle sezioni criteri di ripartizione dei ricorsi formazione professionale dei giudici Fig. 13 - Attribuzioni del Consiglio di presidenza 143 Cap. 7 - Giudice tributario 144 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice 8 DLgs. 546/92 ASTENSIONE E RICUSAZIONE DEL GIUDICE 6 Prassi C.M. 23.4.96 n. 98; Circ. Agenzia delle Entrate 31.3.2010 n. 17 Giurisprudenza C.T.C. 18.3.94 n. 765; C.T. Prov. Livorno 19.5.98 n. 128; Cass. 26.3.2002 n. 4297; Corte Cost. 23.12.2005 n. 460; Cass. 14.3.2007 n. 5930; Consiglio di Stato 2.4.2012 n. 1958 1 PREMESSA L’astensione e la ricusazione sono istituti strumentali a garantire l’imparzialità del giudice. Tali istituti si differenziano, in primis, in ragione del soggetto che prende l’iniziativa, infatti: l’astensione è un procedimento ad iniziativa del giudice stesso; la ricusazione si attiva con l’istanza di una delle parti. L’art. 6 co. 1 del DLgs. 546/92 stabilisce che l’astensione e la ricusazione dei componenti delle Commissioni tributarie sono disciplinate dalle norme del codice di procedura civile in quanto applicabili. Si evidenzia che nel contenzioso tributario, al pari di quanto avviene nel processo civile, non sono previsti mezzi per chiedere la ricusazione di un intero collegio giudicante astrattamente considerato, il che, invece, al ricorrere di determinati presupposti può accadere nel processo penale, ove esiste la c.d. “remissione del processo”. 2 ASTENSIONE L’istituto dell’astensione, come quello della ricusazione, nasce per preservare la posizione di imparzialità e terzietà del giudice nell’esercizio delle proprie funzioni. Per effetto del combinato disposto degli artt. 6 del DLgs. 546/92 e 51 ss. c.p.c., l’astensione può essere: obbligatoria; facoltativa. 2.1 ASTENSIONE OBBLIGATORIA Ai sensi dell’art. 51 c.p.c., il giudice ha l’obbligo di astenersi, in quanto si presuppone una “presunzione assoluta di parzialità”, quando: ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado di una delle parti o di uno dei difensori; 145 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice egli stesso o il coniuge è convivente o commensale abituale di una delle parti o di uno dei difensori; egli stesso o il coniuge ha, con una delle parti o alcuno dei suoi difensori: una causa pendente; una grave inimicizia; dei rapporti di credito o debito; ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa; ha deposto nella causa come testimone; ha avuto conoscenza della causa come arbitro o magistrato in altro grado di processo; ha prestato assistenza nella causa come consulente tecnico; è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa. Tali fattispecie sono ritenute tassative e non suscettibili di interpretazione estensiva (Cass. 28.1.84 n. 55). Oltre le ipotesi di astensione obbligatoria sopra elencate, l’art. 6 co. 2 del DLgs. 546/92 prevede l’obbligo di astensione: nei processi riguardanti controversie dal giudice esaminate nella qualità di componente delle Commissioni per il gratuito patrocinio; Per approfondimenti sul gratuito patrocinio si rinvia al cap. 13 “Gratuito patrocinio”. in ogni caso in cui il giudice abbia, o abbia avuto, rapporti di lavoro autonomo ovvero di collaborazione con una delle parti. Secondo la C.M. 23.4.96 n. 98, per lavoro autonomo deve intendersi qualsiasi attività di lavoro non subordinato, sia abituale che occasionale, avente ad oggetto anche una materia diversa dall’attività di consulenza tributaria; mentre per rapporto di collaborazione con una delle parti si deve intendere qualsiasi attività che sottenda un rapporto di lavoro subordinato. In tutte le suddette fattispecie, nel caso in cui il giudice non richieda la propria astensione, le parti hanno la possibilità di presentare istanza di ricusazione (§ 4). Denuncia penale a carico del giudice La presentazione di una denuncia penale da parte del ricusante a carico del giudice ricusato non è una causa di astensione obbligatoria, posto che non rientra nei casi disciplinati dall'art. 51 c.p.c. (Consiglio di Stato 2.4.2012 n. 1958). Per i giudici, ragionando diversamente “l’istituto della ricusazione costituirebbe, per il tramite di una presentazione di denunce in successione (di volta in volta rivolte avverso il nuovo giudicante), uno strumento per evitare il giudizio, così frustrando il diritto alla tutela giurisdizionale delle altre parti presenti in giudizio, che al contrario, ex art. 24 Cost., il giudice ha il dovere di garantire”. 146 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice 2.1.1 Interesse del giudice nella causa Se il giudice diviene portatore di un proprio interesse rispetto alla causa in cui è chiamato a giudicare, o in altra vertente su un’identica questione di diritto, sussiste l’obbligo per lo stesso di astenersi dal giudizio. Ciò non è di facile predeterminazione. Si ritiene che l’interesse del giudice rispetto alla lite si possa realizzare quando dalla soluzione della causa lo stesso possa trarre un vantaggio, o uno svantaggio, concreto (sia di tipo patrimoniale che morale). Tale posizione di interesse non necessariamente deve concretizzare i presupposti per l’assunzione della qualità di parte (interesse diretto). In riferimento alla ricusazione, la Corte di Cassazione, con la sentenza 12.10.2002 n. 14573, ha precisato che la genericità dell’indicazione normativa circa l’interesse del giudice rispetto alla causa non esclude l’onere della parte ricusante di indicare fatti specifici in relazione ai quali si possa configurare un interesse personale e concreto del giudice rispetto alla lite, all’oggetto o ai soggetti che ne sono parte. Interesse “politico” L’appartenenza del giudice ad associazioni aventi finalità “politiche” o sindacali, diverse da quelle della parte privata, non può comportare la sussistenza di un interesse rilevante ai fini dell’astensione dello stesso. Nella sentenza 14573/2002, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’eventuale appartenenza dei magistrati al gruppo associativo denominato “Magistratura Democratica” non configura un’ipotesi di interesse del giudice nella causa. 2.1.2 Rapporti tra il giudice e le parti in causa La sussistenza di rapporti di parentela o di conoscenza tra il giudice o il consorte, e le parti o i difensori di queste, sono motivi di astensione obbligatoria. Legami di parentela Secondo l’art. 51 co. 1 c.p.c., se il giudice, o il coniuge, è parente (in linea diretta o collaterale) fino al quarto grado di una delle parti o di uno dei difensori, sussiste una causa di astensione obbligatoria. La seguente tabella analizza i gradi di parentela rilevanti poiché si possa realizzare una fattispecie di astensione obbligatoria. Gradi di parentela, in linea diretta e collaterale Genitori Parenti in linea retta di primo grado Nonni Parenti in linea retta di secondo grado Bisnonni Parenti in linea retta di terzo grado Figli Parenti in linea retta di primo grado Nipoti Parenti in linea retta di secondo grado Bisnipoti Parenti in linea retta di terzo grado Fratelli e sorelle Parenti in linea collaterale di secondo grado Nipoti (figli di fratelli) Parenti in linea collaterale di terzo grado 147 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice Gradi di parentela, in linea diretta e collaterale Pronipoti (figli di figli di fratelli) Parenti in linea collaterale di quarto grado Zii paterni e materni Parenti in linea collaterale di terzo grado Cugini Parenti in linea collaterale di quarto grado Prozii (fratelli dei nonni) Parenti in linea collaterale di quarto grado Conoscenza delle parti o dei difensori La conoscenza che il giudice o il coniuge può avere delle parti o dei difensori è un motivo di astensione obbligatoria. L’art. 51 co. 1 n. 2 c.p.c. individua, quali prove di una stretta conoscenza, le ipotesi di convivenza di abituale commensalità. Il giudice può essere negativamente influenzato anche nel caso in cui abbia avuto conoscenza delle parti o di alcuno dei difensori, per effetto di: causa pendente; grave inimicizia; rapporti di credito e debito (art. 51 co. 1 n. 3 c.p.c.). Le ipotesi di “causa pendente” e di “rapporto di credito e debito” devono riguardare situazioni effettive e non potenziali. Invece, la “grave inimicizia” si riferisce a quelle situazioni di avversità o di rancore preesistenti tra il giudice e la parte privata ed estranee al processo. 2.1.3 Conoscenza antecedente della causa Il giudice ha l’obbligo di astenersi se ha dato “consiglio o prestato patrocinio nella causa” (art. 51 co. 1 n. 4 c.p.c.). Tale norma risponde all’esigenza di evitare che lo stesso giudice sia costretto, nel decidere, a ripercorrere l’identico iter logico precedentemente seguito. Deve, inoltre, astenersi il giudice che ha deposto (nella stessa causa) come testimone. Stante l’assenza di prove testimoniali nel processo tributario (art. 7 co. 4 del DLgs. 546/92), la ratio della norma induce a ritenere che non possa decidere sulla causa il giudice tributario venuto, in privato, a conoscenza della controversia. Si vedano le osservazioni effettuate in merito alla scienza privata del giudice nel cap. 19 “Poteri delle Commissioni tributarie”. 2.1.4 Astensione del giudice e gradi di giudizio L’art. 51 co. 1 n. 4 c.p.c. sancisce che l’astensione è obbligatoria se il giudice “ha avuto conoscenza della causa come arbitro o magistrato in altro grado di processo”. Pertanto, ad esempio in appello nel Collegio non potrà essere presente un magistrato che ha partecipato alla deliberazione di primo grado. Nel caso in cui il giudice si sia pronunciato sull’inammissibilità del ricorso e poi abbia preso parte al successivo giudizio di reclamo non sussiste alcun motivo di astensione. In tal caso, infatti, la declaratoria di inammissibilità è avvenuta in sede 148 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice di esame preliminare del ricorso nello stesso grado di giudizio (C.T. Prov. Livorno 19.5.98 n. 128). Per approfondimenti si rinvia ai cap. 36 “Inammissibilità del ricorso” e 37 “Reclamo contro i decreti presidenziali”. In sede di rinvio, la questione è leggermente diversa, in quanto, ferma restando la necessità della c.d. “alterità” del giudice, non si applicano, in questo senso, gli istituti dell’astensione e della ricusazione (cfr. cap. 57). 2.1.5 Ulteriori motivi di astensione obbligatoria L’art. 51 co. 1 n. 5 c.p.c. individua come ultima ipotesi di astensione obbligatoria l’eventualità che il giudice rivesta particolari cariche in relazione ad una delle parti in causa, quali: tutore; curatore; procuratore; agente; datore di lavoro; amministratore e gerente: di un ente; di un’associazione anche non riconosciuta; di un comitato; di una società o di uno stabilimento. ha interesse nella causa è coniuge o parente di una delle parti Il giudice deve astenersi quando ha grave inimicizia con una delle parti ha fatto parte della Commissione per il gratuito patrocinio ha avuto rapporti di lavoro con una delle parti Fig. 1 - Astensione 2.2 ASTENSIONE FACOLTATIVA L’art. 51 c.p.c. disciplina una causa di astensione facoltativa che, a differenza delle fattispecie di astensione obbligatoria, non legittima le parti a presentare istanza di ricusazione (cfr. § 4). Tale ipotesi ricorre ogni qual volta il giudice possa avere gravi ragioni di convenienza rispetto alla causa. Il riferimento alle “gravi ragioni di convenienza”, quale clausola di chiusura della norma, individua una casistica di situazioni non prevedibili a priori, che possono rendere il giudice non idoneo a decidere su una determinata controversia. 149 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice 3 PROCEDIMENTO DI ASTENSIONE Il procedimento di astensione si differenzia a seconda che si venga a realizzare una fattispecie di astensione obbligatoria o facoltativa. Infatti, solo in quest’ultimo caso si ritiene possa essere svolta una valutazione dei motivi che hanno portato alla richiesta di astensione. 3.1 ASTENSIONE OBBLIGATORIA Nell’astensione obbligatoria, il giudice ha l’obbligo di comunicare la relativa causa al capo dell’ufficio superiore. La dichiarazione di astensione è insindacabile; pertanto, il capo dell’ufficio si limita a prendere atto dell’astensione e ad emettere il provvedimento di sostituzione (Corte Cost. 23.12.2005 n. 460). Pur non essendo richieste particolari formalità per la dichiarazione di astensione, l’art. 78 delle disposizioni di attuazione del c.p.c., prevede che “il giudice istruttore, che riconosce l’esistenza di un motivo di astensione a norma dell’art. 51 del codice, deve farne espressa dichiarazione oppure istanza scritta al presidente del tribunale appena ricevuto il decreto di nomina”. 3.2 ASTENSIONE FACOLTATIVA Ove il giudice si trovi in presenza di gravi ragioni di convenienza, può richiedere l’autorizzazione ad astenersi (art. 51 co. 2 c.p.c.). In tal caso, la dottrina prevalente ritiene che il procedimento di astensione sia caratterizzato dal vaglio preliminare delle ragioni poste a fondamento della richiesta. Infatti, lo stesso dettato normativo (“richiesta” e “autorizzazione”) lascia presupporre la necessità di effettuare una valutazione, da parte dell’ufficio superiore, sull’adeguatezza delle ragioni che hanno portato il giudice a richiedere l’autorizzazione per astenersi dal giudizio. 3.3 RICHIESTA DI ASTENSIONE Il “capo dell’ufficio superiore” di cui all’art. 51 co. 2 c.p.c. a cui deve essere indirizzata la dichiarazione o la richiesta di astensione deve essere individuato: nel presidente di sezione al quale è assegnato il ricorso, se ad astenersi è il vicepresidente o uno dei membri della sezione stessa; nel presidente della Commissione, se ad astenersi è un presidente di sezione; nel presidente della Commissione regionale, se ad astenersi è il presidente della Commissione provinciale. Presidente della Commissione tributaria regionale In dottrina si rilevano difformi orientamenti in merito all’ipotesi in cui ad astenersi sia il presidente della Commissione tributaria regionale. Parte degli interpreti individuano “il capo dell’ufficio superiore” nel presidente della Corte di Cassazione, dando rilievo all’aspetto processuale. Secondo un diverso orientamento, invece, la dichiarazione o l’autorizzazione di astensione dovrebbe essere indirizzata al Consiglio di presidenza della Giustizia Tributaria. 150 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice 3.4 SOSTITUZIONE DEL GIUDICE La procedura di astensione si conclude con il provvedimento di sostituzione del giudice, che viene adottato con decreto motivato. La scelta del giudice chiamato a sostituire quello astenutosi dovrà essere effettuata secondo criteri predeterminati quali, ad esempio, l’anzianità di ruolo o di età. Mancato rispetto del provvedimento di sostituzione Ove venga adottato il provvedimento di sostituzione, il giudice astenutosi non è più legittimato ad essere membro del collegio. La sentenza emessa da un collegio giudicante composto anche da tale magistrato è affetta da nullità (Cass. 12.2.2000 n. 1566). Tale vizio dovrebbe costituire causa di rimessione della lite in primo grado, in quanto relativo alla costituzione del giudice ai sensi dell’art. 59 del DLgs. 546/92. Si veda il cap. 53 “Processo di appello”. è chiesta dal giudice al capo dell’ufficio superiore L’astensione è attuata con un provvedimento di sostituzione Fig. 2 - Procedimento di astensione 4 RICUSAZIONE La ricusazione è il rimedio offerto alla parte per rendere concreto ed attuale l’obbligo di astensione del giudice. Nell’ipotesi in cui il giudice non adempia all’obbligo di astensione, ciascuna delle parti può presentare istanza di ricusazione. 4.1 ORGANO COMPETENTE A PRONUNCIARSI SULLA RICUSAZIONE Sulla ricusazione decide il collegio al quale appartiene il componente della Commissione tributaria ricusato, senza la sua partecipazione e con l’integrazione di altro membro della stessa Commissione designato dal suo presidente (art. 6 co. 3 DLgs. 546/92). Questione di legittimità costituzionale La Corte Costituzionale ha più volte respinto la questione di legittimità dell’art. 53 c.p.c. (ma il principio può essere esteso all’art. 6 del DLgs. 546/92) nella parte in cui prevede che sulla ricusazione decide il collegio di cui fa parte il giudice ricusato (cfr., da ultimo, Corte Cost. 27.3.2003 n. 80). è chiesta dalla parte La ricusazione è proponibile quando il giudice non si è astenuto è decisa dal collegio cui appartiene il componente ricusato Fig. 3 - Ricusazione 151 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice 4.2 PROCEDIMENTO DI RICUSAZIONE Il procedimento di ricusazione è un procedimento incidentale che si innesta all’interno di quello principale. Esso è introdotto con ricorso, che deve contenere: i motivi della ricusazione; i mezzi di prova; la sottoscrizione della parte o del difensore (art. 52 c.p.c.). In dottrina è stato evidenziato che nel procedimento di ricusazione dovrebbe essere ammessa la prova testimoniale, posto che il divieto di cui all’art. 7 del DLgs. 546/92 concerne il carattere “cartolare” del contenzioso fiscale, che, nel caso della ricusazione, non avrebbe ragione di esistere. Deposito del ricorso Il deposito del ricorso deve avvenire: in segreteria entro due giorni prima dell’udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a decidere sulla causa; prima dell’inizio della trattazione o discussione, se la composizione soggettiva del collegio non è ancora conosciuta (art. 52 co. 2 c.p.c.). 4.3 EFFETTI DELL’ISTANZA DI RICUSAZIONE L’art. 52 co. 3 c.p.c. stabilisce che l’istanza di ricusazione sospende il processo. Per approfondimenti sugli effetti della sospensione si rinvia al cap. 62 “Sospensione del processo”. La giurisprudenza ha chiarito che la proposizione dell’istanza di ricusazione non comporta, di per sé, la sospensione del processo, posto che il giudice può delibare sommariamente sulla sua ammissibilità e disporre eventualmente la prosecuzione del giudizio (cfr., per tutte, Cass. 10.3.2006 n. 5236). Impugnabilità del provvedimento di sospensione del processo Il provvedimento che dispone la sospensione si ritiene impugnabile con regolamento di competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c. (Cass. 25.5.2005 n. 11010). Sebbene l’art. 5 del DLgs. 546/92 stabilisca l’inammissibilità del regolamento di competenza nel processo tributario, la giurisprudenza ritiene ammissibile tale mezzo di gravame in relazione all’ordinanza di sospensione del processo. Per approfondimenti si rinvia al cap. 4 “Competenza”. 4.4 CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO La ricusazione è decisa dal collegio senza la partecipazione del giudice ricusato, che viene sostituito con un altro giudice (art. 6 co. 3 del DLgs. 546/92). Il procedimento di ricusazione è definito con ordinanza, che può: dichiarare l’inammissibilità del ricorso, se l’istanza non è stata presentata nelle forme e nei termini fissati dall’art. 52 co. 2 c.p.c.; rigettare il ricorso per infondatezza; accogliere il ricorso. 152 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice 4.4.1 Ricorso inammissibile o rigettato L’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione provvede sulle spese e può condannare la parte o il difensore che l’ha proposta a una pena pecuniaria non superiore a 250 euro (art. 54 c.p.c.). L’importo delle pena pecuniaria è stato elevato da 5,00 a 250,00 euro ad opera della L. 69/2009, in vigore dal 4.7.2009. La norma è applicabile anche al processo tributario, come specificato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 31.3.2010 n. 17 (§ 2.5). 4.4.2 Istanza di ricusazione proposta successivamente all’inizio del processo Le parti sono legittimate a presentare istanza di ricusazione, dopo l’inizio del processo, solo nel caso in cui sorga una causa di astensione obbligatoria in precedenza non conosciuta. 4.4.3 Ordinanza di ricusazione Ai sensi dell’art. 53 co. 2 c.p.c., la ricusazione è decisa con ordinanza non impugnabile, udito il giudice ricusato e assunte, quando occorre, le prove offerte. L’ordinanza che accoglie la ricusazione designa il giudice che deve sostituire quello ricusato (art. 54 c.p.c.). La suddetta ordinanza non è impugnabile in quanto, pur avendo natura decisoria, manca del necessario carattere della definitività (Cass. 26.3.2002 n. 4297). Riassunzione del processo L’art. 54 c.p.c. specifica che dell’ordinanza di ricusazione è data comunicazione alle parti, che devono provvedere alla riassunzione della causa entro il termine perentorio di sei mesi. La mancata riassunzione del giudizio comporta l’estinzione dello stesso e, di conseguenza, la definitività dell’atto impugnato. Per approfondimenti sull’estinzione del giudizio si rinvia al cap. 64 “Estinzione del processo”. 4.4.4 Istanza di ricusazione erroneamente respinta L’inimpugnabilità dell’ordinanza non osta alla sindacabilità dell’erroneo rigetto dell’istanza di ricusazione in appello. Infatti, si può verificare la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice allorquando, in mancanza di astensione obbligatoria del magistrato, le parti presentino tempestivamente istanza di ricusazione e questa venga erroneamente respinta (Corte Cost. 23.12.2005 n. 460). Il vizio causato dall’incompatibilità del giudice ricusato diviene quindi motivo di gravame (Cass. 26.3.2002 n. 4297). L’accoglimento dell’appello su tal punto dovrebbe comportare la rimessione della causa in primo grado ai sensi dell’art. 59 del DLgs. 546/92. Si veda per approfondimenti il cap. 53 “Processo di appello”. 153 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice Ricorso per ricusazione (contenente i motivi di ricusazione e le relative prove) deposito del ricorso entro 2 giorni dall’udienza, se è conosciuto il nome dei componenti il collegio prima della discussione, in caso contrario ordinanza del collegio Fig. 4 - Procedimento di ricusazione 5 MANCATA PRESENTAZIONE DELL’ISTANZA DI RICUSAZIONE L’inosservanza dell’obbligo di astensione non può essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice (Cass. 14.3.2007 n. 5930). La mancata astensione del giudice, nel caso in cui egli sia incorso in un’ipotesi di astensione obbligatoria, comporta solo la facoltà, per le parti, di presentare ricorso per ricusazione. Interesse proprio del giudice nella causa La mancata astensione del giudice cagiona, di per sé, la nullità della sentenza solo qualora egli abbia avuto un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del processo (Cass. 18.1.2002 n. 528). 6 ISTANZA DI RICUSAZIONE (BOZZA) Commissione tributaria provinciale di ………… Sezione n. .…… ISTANZA DI RICUSAZIONE Per: la Soc. .................. Nel giudizio Contro: l’Agenzia delle Entrate - Direzione provinciale di ... La Soc. .................. (cod. fisc. .................., casella PEC), nella persona del proprio legale rappresentante Sig. ..., difesa per delega a margine dell’atto introduttivo del presente giudizio dall’Avv./Dott./Rag. ............................ (cod. fisc.; numero di fax; casella di posta elettronica certificata) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in .................. C.A.P. ....... Via ......................... n. ..., 154 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice PREMESSO che con ricorso del ............, impugnava l’avviso di accertamento ............, n. ..., emesso dall’Agenzia delle Entrate - Direzione provinciale di ............ e notificato il ............; che la controversia è stata assegnata alla .......... Sezione; che componente del collegio, a cui è stato assegnato il ricorso, è l’Avv. ............, il quale risulta parte attrice nella causa pendente dinanzi al Giudice di Pace di ..., (indicare gli estremi della controversia pendente) in cui è convenuto il sottoscritto difensore; che non è opportuno che nell’attuale collegio giudicante partecipi un giudice che ha causa pendente con il difensore della società ricorrente; tutto ciò premesso, ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 52 del codice di procedura civile PROPONE ISTANZA DI RICUSAZIONE dell’Avv. .................. facente parte del collegio al quale è stata assegnata la trattazione del ricorso e chiede che venga disposta la sua sostituzione con altro giudice. Deposita .................. (documentare le circostanze di fatto dedotte a fondamento dell’istanza). Luogo e data Firma del difensore (Avv./Dott./Rag. ..................) Si evidenzia che, a decorrere dai ricorsi notificati dal 7.7.2011, l’imposta di bollo è stata sostituita dal contributo unificato, per cui, se la domanda di ricusazione è relativa ad un processo ove il ricorso è stato notificato dal 7.7.2011, il bollo non è dovuto; se, invece, il ricorso (di primo grado o di appello) è stato notificato prima di detta data, il bollo è ancora dovuto. La richiesta di ricusazione non è soggetta a contributo unificato. 155 Cap. 8 - Astensione e ricusazione del giudice 156 Cap. 9 - Personale di segreteria 9 DLgs. 546/92 9 PERSONALE DI SEGRETERIA Giurisprudenza Cass. 22.1.83 n. 621; Cass. 25.1.86 n. 491; Cass. 8.3.88 n. 2349; Cass. 10.7.91 n. 7671; Cass. 20.2.92 n. 2084; Consiglio di Stato 1.4.97 n. 320; Cass. 19.3.99 n. 2524; Cass. 30.7.99 n. 8261; Cass. 4.5.2002 n. 6425; Cass. 9.7.2004 n. 12770; Cass. 20.9.2004 n. 18856; Cass. 19.7.2005 n. 15189; Cass. SS.UU. 16.12.2005 n. 27689; Cass. 17.3.2006 n. 5894; Cass. 25.10.2006 n. 22841; Cass. 12.1.2007 n. 434; Cass. 20.4.2007 n. 9389; Cass. SS.UU. 21.6.2007 n. 14385; Cass. 5.12.2007 n. 25356 1 PREMESSA Ciascuna Commissione tributaria, nello svolgimento delle proprie funzioni, è coadiuvata da un ufficio di segreteria con funzioni di assistenza e collaborazione nell’esercizio dell’attività giurisdizionale, nonché per lo svolgimento di ogni altra attività amministrativa attribuita alla stessa o ai suoi componenti (art. 31 del DLgs. 545/92). All’interno di detto ufficio si distinguono: il personale di segreteria; il personale ausiliario addetto alla segreteria (art. 9 del DLgs. 546/92). personale addetto svolge le funzioni del cancelliere (art. 57 e 58 c.p.c.) personale ausiliario svolge la funzione di assistenza in udienza (art. 59 c.p.c.) Ufficio di segreteria Fig. 1 - Ripartizione del personale dell’ufficio di segreteria 2 PERSONALE DELL’UFFICIO DI SEGRETERIA Il personale dell’ufficio di segreteria è equiparato dal co. 1 dell’art. 9 del DLgs. 546/92 al cancelliere. Ciò determina l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 57, 58 e 60 c.p.c. e delle relative disposizioni di attuazione che disciplinano nel rito civile le attività del cancelliere (C.M. 23.4.96 n. 98). 2.1 ATTIVITÀ DELL’UFFICIO Le mansioni cui attende il personale dell’ufficio di segreteria sono riconducibili principalmente ad un’attività: di tipo documentale; di assistenza del giudice. 157 Cap. 9 - Personale di segreteria Infatti, ai sensi dell’art. 57 c.p.c., il cancelliere: da un lato, “documenta a tutti gli effetti, nei casi e nei modi previsti dalla legge, le attività proprie e quelle degli organi giudiziari e delle parti”; dall’altro, “assiste il giudice in tutti gli atti dei quali deve essere formato processo verbale”. Quando il giudice è tenuto a provvedere per iscritto, salvo che la legge disponga altrimenti, è compito del segretario redigere la scrittura (ad esempio, il processo verbale). Il medesimo, quindi, appone la sua sottoscrizione dopo quella del giudice (art. 57 co. 3 c.p.c.). Di seguito, in forma tabellare, sono riepilogati i principali compiti posti a carico del personale dell’ufficio di segreteria secondo quanto disposto dal DLgs 546/92, anche in considerazione degli artt. 57 e 58 c.p.c. e delle relative disposizioni attuative. Si ricorda che, secondo l’art. 58 c.p.c., il cancelliere “attende al rilascio di copie ed estratti autentici dei documenti prodotti, all’iscrizione delle cause a ruolo, alla formazione del fascicolo d’ufficio e alla conservazione di quelli delle parti, alle comunicazioni e alle notificazioni prescritte dalla legge o dal giudice, nonché alle altre incombenze che la legge gli attribuisce”. Compiti Riferimenti normativi Redazione del processo verbale di trattazione della causa in Camera di consiglio o in pubblica udienza Artt. 33 e 34 del DLgs. 546/92 Redazione del processo verbale di conciliazione giudiziale Art. 48 del DLgs. 546/92 Redazione del processo verbale; in generale, per tutti gli atti che sono compiuti con l’intervento di terzi interessati Art. 44 disp. att. c.p.c. Rilascio di copie ed estratti autentici degli atti e dei documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio Art. 25 co. 2 del DLgs. 546/92 Certificazione del deposito della sentenza presso la segreteria con apposizione sulla stessa della propria firma e della data Art. 37 del DLgs. 546/92 Certificazione del passaggio in giudicato della sentenza Rilascio di copia della sentenza spedita in forma esecutiva Iscrizione della causa a ruolo Art. 124 disp. att. c.p.c., art. 38 del DLgs. 546/92 Art. 69 del DLgs. 546/92 Art. 25 co. 1 del DLgs. 546/92 Formazione e conservazione del fascicolo d’ufficio del processo e conservazione di quelli di parte fino al termine del processo Art. 25 co. 1 e 2 del DLgs. 546/92 Sottoposizione del fascicolo d’ufficio al presidente della Commissione tributaria Art. 25 co. 3 del DLgs. 546/92 Effettuazione delle comunicazioni e delle notificazioni alle parti Rifiuto di ricevere il fascicolo di parte e verifica della regolarità, anche fiscale, degli atti e dei documenti del fascicolo di parte Ricezione degli atti Artt. 16 co. 1, 31, 37, 47 co. 2 del DLgs. 546/92, artt. 136 e 137 c.p.c. Artt. 73 e 74 disp. att. c.p.c. Artt. 22, 23, 24, 32, 53 e 54 del DLgs. 546/92 Formazione di fascicoli per ogni affare del proprio ufficio Art. 36 disp. att. c.p.c. Tenuta dei registri di cancelleria Art. 28 disp. att. c.p.c. 158 Cap. 9 - Personale di segreteria 2.1.1 Natura di atto pubblico del documento formato dal segretario L’art. 57 c.p.c. attribuisce, tra l’altro, al cancelliere funzioni di documentazione delle attività proprie degli organi giudiziari e delle parti. Conseguentemente, gli atti redatti dai segretari, o formati con il loro concorso, nell’ambito delle funzioni loro attribuite e con l’osservanza delle formalità previste, costituiscono atti pubblici (ex multis, Cass. SS.UU. 16.12.2005 n. 27689). Falsità dell’atto formato dal segretario - Necessità della querela di falso L’eventuale falsità degli atti formati dal segretario deve essere fatta valere mediante querela di falso (Cass. SS.UU. 16.12.2005 n. 27689). Per approfondimenti sulla valenza probatoria degli atti pubblici si rinvia al cap. 21 “Prove”. La proposizione della querela di falso non è necessaria in caso di errore materiale in ordine, ad esempio, alla certificazione della data di deposito di un documento. In tale ipotesi, il riscontro dell’errore deve essere effettuato dal giudice, il quale può avvalersi degli elementi emergenti da altri atti e delle dichiarazioni provenienti dallo stesso personale di cancelleria (Cass. 22.1.83 n. 621). In ogni caso, la querela di falso potrebbe essere presentata qualora il giudice non rilevi detto errore. 2.1.2 Stesura del processo verbale Ai sensi dell’art. 57 co. 2 c.p.c., l’attività di assistenza del giudice da parte del segretario si esplica in relazione a tutti gli atti per i quali deve essere formato processo verbale. Modalità di redazione e sottoscrizione del processo verbale Il segretario redige il processo verbale dell’udienza sotto la direzione del giudice (art. 130 c.p.c.). Nel processo verbale egli deve indicare le attività dal medesimo compiute, quelle delle persone intervenute e le dichiarazioni da esse rese (art. 44 disp. att. c.p.c.). Per ulteriori osservazioni sul verbale di udienza si rinvia al cap. 40 “Discussione della causa”. Invece, per approfondimenti sugli effetti del potenziale contrasto tra verbale di udienza e sentenza si rinvia al cap. 45 “Sentenza”. Detto verbale viene quindi sottoscritto dal presidente e dal segretario medesimo. Da un punto di vista formale, il mancato rispetto delle norme relative alla dettatura e alla redazione del processo verbale (art. 57 e 130 c.p.c.) non pregiudica gli atti compiuti in udienza, in quanto con la sottoscrizione del giudice viene soddisfatta la finalità di attribuire pubblica fede a quanto documentato nel verbale medesimo (Cass. 25.10.2006 n. 22841). Mancata assistenza del segretario - Irrilevanza La funzione svolta dal segretario è meramente integrativa rispetto a quella del giudice. Per tale ragione, non comportano l’inesistenza o la nullità dell’atto, in quanto il medesimo è comunque idoneo al raggiungimento dello scopo cui è destinato: 159 Cap. 9 - Personale di segreteria 2.1.3 la mancata assistenza del segretario nella formazione del processo verbale d’udienza; l’omessa sottoscrizione di detto verbale da parte del segretario (Cass. 20.4.2007 n. 9389). Rilascio di copie autentiche di atti e sentenze Il segretario è competente a rilasciare copie ed estratti autentici degli atti e dei documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio e delle sentenze. Per osservazioni sulla richiesta di copie della sentenza si rinvia al cap. 45 “Sentenza”. Non surrogabilità dell’attestazione di autenticità del documento La giurisprudenza ha precisato che l’autenticazione dei documenti deve seguire “rigorose regole formali, d’ordine oggettivo e soggettivo, regole che l’ordinamento prevede e disciplina a salvaguardia della fedeltà documentale e che (..) non consentono (..) forme o metodi surrogati o di supplenza” (Cass. 25.1.86 n. 491). Nella fattispecie, avente ad oggetto il deposito, unitamente al ricorso per Cassazione, della copia autentica della sentenza impugnata di cui all’art. 369 co. 2 n. 2 c.p.c., è stato dichiarato inammissibile il ricorso in quanto il ricorrente si era limitato a produrre una copia non autentica della sentenza impugnata. 2.1.4 Attestazione del deposito della sentenza Il segretario certifica il deposito in segreteria dell’originale della sentenza da parte del giudice. Per approfondimenti sul deposito della sentenza, si rinvia al cap. 45 “Sentenza”. Assenza della certificazione di deposito della sentenza La certificazione di deposito della sentenza da parte del segretario è estrinseca all’atto e non incide sulla regolarità della stessa. Pertanto, la mancanza della certificazione non è causa di nullità della pronuncia. In tal caso, la funzione autenticatrice assolta dalla firma del segretario può essere sostituita dall’annotazione della sentenza completa dei requisiti previsti dall’art. 132 c.p.c. negli appositi registri (Cass. SS.UU. 21.6.2007 n. 14385). Dichiarazione del segretario certificante il deposito della sentenza e termine “lungo” per l’impugnazione Ai fini della decorrenza del termine “lungo” per l’impugnazione, non assume alcun rilievo la dichiarazione rilasciata dal segretario, attestante l’avvenuto deposito della sentenza in data diversa da quella riportata sul provvedimento (Cass. 5.12.2007 n. 25356). Per approfondimenti sui termini di impugnazione si rinvia al cap. 51 “Impugnazioni: principi generali”. Nel caso di specie, l’attestazione era stata rilasciata sulla base delle mere risultanze del terminale, senza la previa verifica di quanto riportato sul registro cronologico e senza neppure prospettare un errore materiale nella data apposta sulla sentenza. 160 Cap. 9 - Personale di segreteria 2.1.5 Certificazione del passaggio in giudicato della sentenza Il segretario dà atto del passaggio in giudicato della sentenza tramite attestazione, posta in calce alla copia della sentenza: contenente la relazione di notificazione, che non è stato proposto nei termini di legge appello o ricorso per Cassazione, né istanza di revocazione per i motivi di cui ai n. 4 - 5 dell’art. 395 c.p.c. (art. 124 co. 1 disp. att. c.p.c.); che non è stata proposta impugnazione nel termine di sei mesi dal deposito della sentenza stessa (art. 124 co. 2 disp. att. c.p.c.). Per approfondimenti sugli effetti del passaggio in giudicato della sentenza, si veda il successivo cap. 58 “Giudicato”. La produzione di tale attestato ha rilevanza anche in relazione all’ottemperanza (cfr. cap. 61). 2.1.6 Deposito degli atti di parte Il segretario riceve gli atti che le parti depositano in sede di costituzione in giudizio e durante il corso del processo. Al momento della ricezione dell’atto il segretario ne attesta il deposito. Per approfondimenti sul deposito degli atti si rinvia ai cap. 31 “Costituzione in giudizio del ricorrente”, 32 “Costituzione in giudizio del resistente”, 33 “Integrazione dei motivi e memorie illustrative” e 34 “Produzione di documenti”. Ai fini della prova del tempestivo deposito di un atto, incombe sulla parte l’onere di verificare l’effettiva apposizione di detta attestazione da parte del segretario (Cass. 30.7.99 n. 8261). 2.1.7 Formazione di fascicoli per ogni affare del proprio ufficio L’art. 36 disp. att. c.p.c. pone a carico del segretario l’obbligo di formare un fascicolo per ogni affare del proprio ufficio, anche quando la formazione di esso non sia prevista espressamente. Numerazione del fascicolo I fascicoli sono numerati in base all’ordine che assumono nel ruolo generale sotto il quale è iscritto l’affare. Indicazioni sulla copertina del fascicolo La copertina di ogni fascicolo deve recare l’indicazione: dell’ufficio; della sezione alla quale appartiene il giudice incaricato dell’affare; del giudice; delle parti con i rispettivi difensori muniti di procura; dell’oggetto della controversia. Nella facciata interna della copertina è contenuto l’indice degli atti inseriti nel fascicolo con l’indicazione della natura e della data di ciascuno di essi. Gli atti sono inseriti nel fascicolo in ordine cronologico e muniti di un numero progressivo corrispondente a quello risultante dall’indice. 161 Cap. 9 - Personale di segreteria 2.1.8 Verifica della regolarità dei documenti del fascicolo di parte In sede di costituzione in giudizio, la segreteria effettua un controllo sulla regolarità formale della documentazione depositata (C.M. 23.4.96 n. 98 parte 3). Per approfondimenti sulla costituzione in giudizio, si rimanda ai successivi cap. 31 “Costituzione in giudizio del ricorrente” e 32 “Costituzione in giudizio del resistente”. L’art. 74 disp. att. c.p.c. prevede che “il cancelliere, dopo aver controllato la regolarità anche fiscale degli atti e dei documenti, sottoscrive l’indice del fascicolo ogni volta che viene inserito in esso un atto o un documento”. Tale sottoscrizione ha lo scopo di attestare la regolarità dell’esibizione degli atti e dei documenti inseriti, al fine di metterli a disposizione delle parti per consentire loro di esercitare il proprio diritto di difesa. In virtù di ciò, qualora la segreteria riscontri irregolarità formali nella costituzione in giudizio, può rifiutarsi di ricevere i documenti. Ciò potrebbe accadere, per esempio, qualora vi sia discordanza tra i documenti elencati nell’indice e quelli effettivamente depositati dalla parte. In ogni caso, è esclusa ogni forma di controllo sostanziale sugli atti processuali. A titolo esemplificativo, si rammenta che, con la C.M. 18.7.88 n. 7, il Ministero delle Finanze ha specificato che “nel processo tributario non è consentita alcuna ingerenza delle segreterie, in ordine alla rilevazione del difetto di competenza che deve essere accertato e dichiarato, esclusivamente, dalle commissioni”. Si veda sul punto il cap. 4 “Competenza”. Mancanza di sottoscrizione dell’indice del fascicolo di parte La mancanza della sottoscrizione dell’indice del fascicolo di parte costituisce una mera irregolarità formale, per cui eventuali ostacoli all’utilizzabilità degli atti possono sorgere soltanto se la controparte contesti la produzione e l’esibizione di detti documenti (Cass. 12.1.2007 n. 434). Assenza di un documento del fascicolo di parte Nel caso in cui risulti assente un documento in relazione al quale ne era stata certificata l’esistenza al momento del deposito del fascicolo di parte mediante la sottoscrizione apposta dal cancelliere, ai fini della decisione, il giudice deve comunque considerare tale documento, in quanto, salvo prova contraria, deve ritenersi che l’attività sia stata svolta regolarmente (Cass. 20.9.2004 n. 18856). Nella suddetta sentenza, i giudici evidenziano che la prova contraria può essere fornita tramite la prova del ritiro del documento dal fascicolo di parte. Ciò non può trovare applicazione nel rito tributario posto che le parti non possono ritirare i propri fascicoli. Si veda il cap. 35 “Iscrizione del ricorso nel registro generale, formazione del fascicolo e assegnazione del ricorso”. Omessa indicazione nell’indice di un documento In mancanza dell’indicazione nell’indice del fascicolo di parte di un documento che si assume inserito nel medesimo, si presume che detto documento non sia stato acquisito al processo. In ogni caso, la parte può dimostrare che, malgrado l’inosservanza delle necessarie formalità, il documento è stato comunque prodotto (Cass. 19.7.2005 n. 15189). 162 Cap. 9 - Personale di segreteria 2.2 PERSONALE ADDETTO ALL’UFFICIO Secondo quanto disposto dall’art. 32 del DLgs. 545/92, agli uffici di segreteria delle Commissioni tributarie sono addetti dipendenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze compresi in un apposito contingente. Composizione dell’ufficio e mansioni assegnate L’art. 35 del DLgs. 545/92 attribuisce ad ogni soggetto assegnato all’ufficio di segreteria determinate mansioni, in relazione al livello di qualifica funzionale di ciascuno. In particolare: i direttori delle segreterie delle Commissioni tributarie e i funzionari con IX e VIII qualifica funzionale: provvedono all’organizzazione tecnica del lavoro degli uffici di segreteria; partecipano a Commissioni di studio relative al funzionamento del contenzioso tributario istituite in seno all’Amministrazione finanziaria; vigilano sul restante personale assegnato alla segreteria; gli impiegati con VII e VI qualifica funzionale: assistono i collegi giudicanti nelle udienze; controfirmano gli atti nei quali la legge richiede il loro intervento; ricevono gli atti del processo concernenti il loro ufficio; rilasciano le copie delle decisioni; svolgono compiti di carattere amministrativo e contabile e provvedono agli adempimenti che ad essi vengono affidati; possono, nel caso di assenza o vacanza, fare le veci dei funzionari della qualifica funzionale immediatamente superiore; gli impiegati con V e IV qualifica funzionale: provvedono ai servizi di protocollazione, classificazione, copiatura, fotocopiatura, spedizione e ogni altra mansione inerente alla qualifica di appartenenza; sostituiscono in caso di assenza o impedimento gli impiegati della qualifica funzionale immediatamente superiore. 3 PERSONALE AUSILIARIO DELLA SEGRETERIA Nel processo tributario, le attività dell’ufficiale giudiziario in udienza sono effettuate dal personale ausiliario addetto alla segreteria (art. 9 co. 2 del DLgs. 546/92). Secondo quanto disposto dall’art. 35 del DLgs. 545/92, è assegnato a tale ufficio il personale ausiliario con III qualifica funzionale, dipendente dal Ministero delle Finanze. Mansioni Ai sensi dell’art. 59 c.p.c., l’ufficiale giudiziario “assiste il giudice in udienza, provvede all’esecuzione dei suoi ordini, esegue la notificazione degli atti e attende alle altre incombenze che la Legge gli attribuisce”. 163