HONORÉDE BALZAC PapàGoriot
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HONORÉDE BALZAC PapàGoriot
HONOReDE BALZAC PapjGoriot La signora Vauquer, nata de Conflans, quna vecchia donna che, da quarant'anni, conduce a Parigi una pensione familiare situata in via Neuve-Sainte-Geneviq ve, tra il quartiere latino e il sobborgo Saint-Marceau. La pensione, conosciuta sotto il nome di Casa Vauquer, accoglie senza distinzione uomini e donne, giovani e vecchi, senza che la maldicenza abbia mai potuto fare appunti alla moralitjdi questa rispettabile casa. Ma q pur vero che da trent'anni non ci si era mai veduta una persona giovane, e, se un giovane vi dimora, qperchpla sua famiglia deve corrispondergli un ben magro mensile. Tuttavia, nel 1819, epoca in cui questo dramma ha inizio, vi si trovava una povera ragazza. Per quanto la parola dramma sia caduta in discredito per il modo abusivo e ingiusto col quale qstata prodigata in questi tempi di penosa letteratura, qui qnecessario adoperarla; questa storia non qdrammatica nel vero senso della parola, ma, al termine dell'opera, qualche lacrima potrjesser versata "intra muros" ed "extra". Sarjcapita fuori di Parigi? Ê permesso dubitarne. I particolari di questa vicenda piena d'osservazioni e di colori locali possono essere apprezzati solo fra le alture di Montmartre e quelle di Montrouge, in quella famosa valle di ruderi fatiscenti e di ruscelli neri di melma; valle colma di sofferenze reali, di gioie spesso false, e cosutremendamente agitate, che occorre non so che cosa di eccessivo per produrvi una sensazione di qualche durata. Tuttavia, ci si incontrano qua e ljdolori che l'accumularsi dei vizi e delle virtrende grandi e solenni; di fronte a essi, gli egoismi, gli interessi si arrestano e si fanno pietosi; ma l'impressione che ne ricevono qcome un frutto saporoso presto divorato. Il carro della civiltj , simile a quello dell'idolo di Jaggernat, obbligato a rallentare di ben poco la corsa da un cuore meno degli altri facile a lasciarsi stritolare e a cui ostacoli la ruota, lo ha presto infranto e continua la sua marcia gloriosa. Cosufarete voi, voi che tenete questo libro in una mano bianca, voi che ve ne state sprofondato in una morbida poltrona dicendovi: Forse questo mi divertirj . Dopo aver letto le segrete infelicitjdi papjGoriot, pranzerete con appetito, imputando la vostra insensibilitjall'autore, tacciandolo d'esagerazione, accusandolo di aver fatto della letteratura. Ah! sappiatelo: questo dramma non qnpuna invenzione npun romanzo. "All-is-true", qcosuvero, che ognuno puzriconoscerne gli elementi presso di sp , forse nel suo stesso cuore. La casa in cui viene esercitata la pensione familiare qdella signora Vauquer. E' situata nel tratto basso della via Neuve- Sainte-Geneviq ve, nel punto in cui il piano stradale digrada verso la via dell'Arbalq te con un pendio cosubrusco e aspro, che i cavalli la salgono o la scendono di rado. Tal circostanza qfavorevole al silenzio che regna in queste strade strette fra la cupola di Val-de-Grace e quella del Panthp on, due monumenti che fanno mutare le condizioni dell'atmosfera gettandovi toni gialli, tutto oscurando con le tinte severe proiettate dalle loro cupole. Lj , il selciato qarido, i rigagnoli non hanno npmelma npacqua, l'erba cresce lungo i muri. L'uomo pispensierato vi si rattrista come ogni altro passante, il rumore di una carrozza qun avvenimento, le case sono tetre, le mura fanno pensare a una prigione. Un Parigino smarrito vedrebbe ljsolo pensioni familiari o istituti, miseria e noia, vecchiaia che muore, allegra gioventcostretta a lavorare. Nessun quartiere di Parigi q , pidi questo, orribile e, diciamolo pure, pisconosciuto. La via Neuve-Sainte- Geneviq ve, soprattutto, qcome una cornice di bronzo, la sola che convenga a questo racconto, per preparare la comprensione del quale non saranno mai troppi i colori foschi e le idee gravi; proprio come, di gradino in gradino, la luce diminuisce e la voce della guida si fa cavernosa quando il viaggiatore discende nelle Catacombe. Paragone esatto! Chi deciderj che cosa qpiorribile a vedersi: cuori inariditi, o crani vuoti ? La facciata della pensione djsu di un giardinetto, in modo che la casa forma un angolo retto con la via Neuve-Sainte-Geneviq ve, donde la vedete secondo il senso della profonditj . Lungo la facciata tra la casa e il giardino corre un acciottolato a cunetta, largo una tesa, dinanzi al quale c'qun viale cosparso di ghiaia, fiancheggiato da gerani, da oleandri e da melograni piantati entro grandi vasi di maiolica blu e bianca. Si entra in questo viale da una porta sormontata da una targa su cui qscritto: CASA VAUQUER e sotto: "Pensione familiare per uomini, donne e altri". Durante il giorno, un cancello di legno, munito di un campanello dal suono stridente, lascia vedere, al termine del breve selciato, sul muro opposto alla strada, un'arcata dipinta in color marmo verde da un artigiano del quartiere. Sotto la prospettiva simulata da tale pittore si leva una statua che raffigura l'Amore. Guardando la vernice screpolata che la ricopre, gli amatori di simboli ci scoprirebbero forse un mito dell'amore parigino, che viene curato a qualche passo da lu . Sotto lo zoccolo, la seguente epigrafe mezzo cancellata ricorda il tempo a cui risale questo oggetto ornamentale, testimone dell'entusiasmo suscitato da Voltaire rientrato a Parigi nel 1777: Chiunque tu sia, ecco il tuo maestro. Lo q , lo fu, lo sarj . Al cader della notte il cancello qsostituito da una porta. Il giardinetto, largo quanto q lunga la facciata, rimane incassato tra il muro della strada e il muro divisorio della casa vicina, lungo la quale pende un manto d'edera che la nasconde interamente e richiama gli occhi dei passanti per il suo effetto, in Parigi, pittoresco. Ognuna delle sue mura q tappezzata di spalliere e di viti, i cui frutti gracili e polverosi sono l'oggetto dei timori annuali della signora Vauquer e delle sue conversazioni coi pensionanti. Lungo ogni muro corre uno stretto viale che conduce a un luogo ombroso di tigli, parola che la signora Vauquer, benchpnata de Conflans, pronuncia ostinatamente "tiglie" malgrado i rilievi grammaticali dei suoi ospiti. Tra i due viali laterali c'qun campo di carciofi, fiancheggiato da alberi da frutto tagliati in forma di conocchia e orlato d'acetosella, lattuga o prezzemolo. Sotto i tigli c'quna tavola rotonda dipinta in verde, e alcune sedie intorno. Li, durante le giornate canicolari, i commensali abbastanza ricchi da permettersi di prendere il caffq , vanno a gustarlo, sotto un caldo capace di far schiudere le uova. La facciata, alta tre piani e sormontata da soffitte, qcostruita in pietra e tinteggiata in quel color giallo che conferisce un carattere ignobile a quasi tutte le case di Parigi. Le cinque finestre d'ogni piano hanno piccoli vetri e sono guarnite di persiane nessuna delle quali qa filo con le altre, di modo che tutte le loro linee stonano reciprocamente. La profonditjdella casa comporta due finestre che, al pianterreno, sono ornate d'inferriate a grata. Dietro l'edificio c'qun cortile largo circa venti piedi, dove vivono in buon accordo maiali, galline, conigli, e in fondo al quale sorge una tettoia per il deposito della legna. Tra questa e la finestra della cucina sta sospesa la dispensa, e sotto scolano le acque grasse dell'acquaio. Sulla via Neuve- Sainte-Geneviq ve, il cortile ha una porta stretta da cui la cuoca getta le immondizie di casa, pulendo la sentina a forza d'acqua, per evitare una pestilenza. Il pianterreno, naturalmente destinato all'esercizio della pensione familiare, si compone di un primo vano che prende luce dalle due finestre che danno sulla strada e in cui si entra per una porta-finestra. Questa sala comunica con quella da pranzo, separata dalla cucina dalla tromba di una scala i gradini della quale sono di legno e di mattonelle colorate e lustrate. Nulla qpitriste di questa sala, ammobiliata con poltrone e seggiole foderate di stoffa di crine a righe alternativamente opache e lucide. Al centro c'quna tavola rotonda con un piano di marmo Sant'Anna decorata da uno di quei vassoi di porcellana bianca filettata d'oro mezzo cancellato, che oggi si trovano dappertutto. La stanza, pavimentata piuttosto male, qrivestita di legno ad altezza d'uomo. Il resto delle pareti qtappezzato con una carta da parato sulla quale sono raffigurati i principali fatti di Telemaco e i cui classici personaggi sono colorati. Il pannello tra le finestre a grate presenta ai pensionati il quadro del festino offerto al figlio d'Ulisse da Calipso. Da quarant'anni tale pittura provoca i motteggi dei giovani pensionanti, i quali si ritengono superiori alla loro posizione dileggiando il pranzo cui le ristrettezze li condannano. Il camino in pietra, con focolare sempre pulito, dimostrazione che il fuoco vi si accende solo nelle grandi occasioni, ha per ornamento due vasi pieni di fiori artificiali, stinti e pigiati, e una pendola di marmo bluastro di pessimo gusto. In questa prima sala si respira un cattivo odore indefinibile, che potrebbe esser chiamato "odor di pensione". Odore di rinchiuso, di muffa, di rancido; mette freddo, qumido al naso, penetra negli abiti; ha il tanfo di una sala dove si qmangiato; puzza di servit, di dispensa, di ospizio. Forse potrebbe essere descritto se si trovasse un procedimento per analizzare le quantitj elementari e nauseabonde immessevi dalle atmosfere catarrali e "sui generis" di ciascun pensionante, giovane o vecchio. Eppure, malgrado tali orrende volgaritj , se paragonaste questa sala a quella da pranzo, che le qattigua, trovereste la prima elegante e profumata come uno spogliatoio per signora. La sala da pranzo, dalla parete interamente rivestita di legno, fu tinta un tempo d'un colore oggi indistinto, che forma un fondo su cui l'unto ha impresso i suoi strati in modo da disegnarvi figure bizzarre. Ai muri, credenze appiccicose sulle quali sono disposte caraffe sbeccate, appannate, tondi di metallo marezzato, pile di piatti di spessa porcellana, orlati di blu, fabbricati a Tournai. In un angolo c'quna scatola a caselle numerate che serve a tenere riposte le salviette, sporche e macchiate di vino, di ciascun pensionante. Vi si trovano poi quei mobili indistruttibili, ovunque proscritti, ma messi ljcome i resti della civiltjagli Incurabili. Vi vedrete un barometro col cappuccino che esce fuori quando piove, incisioni esecrabili da togliere l'appetito incorniciate in legno nero verniciato a filetti d'oro, una pendola di madreperla incrostata di rame, una stufa verde, lucerne d'Argand dove la polvere si combina con l'olio, una lunga tavola coperta d'incerata unta quanto basta perchpun allegro studente in medicina "esterno" ci scriva il proprio nome servendosi del dito come di uno stilo, sedie zoppe, miserevoli piccole stuoie di sparto che si disfa sempre e non finisce mai, poi scaldini dai buchi rotti, dalle cerniere sconnesse, dove il legno si carbonizza. Per spiegare quanto questa mobilia qvecchia, screpolata, tarlata, tremolante, logora, monca, orba, invalida, spirante, se ne dovrebbe fare una descrizione che ritarderebbe troppo l'interesse di questa storia e che i lettori che hanno fretta non perdonerebbero. Il pavimento, rosso, q pieno di avvallamenti prodotti dallo strofinio o dalle riverniciature. Insomma, ljregna la miseria senza poesia; una miseria economa, concentrata, consunta. Se non qancora infangata, qper lo meno macchiata; se non ha npbuchi npstracci, sta per andare in putrefazione. Questa stanza qin tutto il suo splendore nel momento in cui, verso le sette del mattino, il gatto della signora Vauquer precede la sua padrona; salta sulle credenze, vi annusa il latte contenuto in varie tazze coperte dal piattino, e fa sentire il suo ronron mattinale. Subito dopo appare la vedova, agghindata con la sua cuffia di tulle sotto la quale pende un giro di capelli finti, in disordine; essa cammina trascinando le sue pantofole raggrinzite. Il viso vecchiotto, grassottello, dal mezzo del quale esce un naso a becco di pappagallo, le piccole mani paffutelle, il personale grassoccio come un "topo di chiesa", il seno troppo pieno e ondeggiante, sono in armonia con la sala che trasuda l'infelicitj , dove s'q rannicchiata la speculazione e di cui la signora Vauquer respira l'aria calda e fetida senza esserne disgustata. Il viso fresco come una prima gelata d'autunno, gli occhi pieni di rughe, l'espressione dei quali passa dal sorriso prescritto alle ballerine all'amaro cipiglio dell'esattore, insomma tutta la sua persona spiega la pensione come la pensione implica la sua persona. Il bagno penale non puznon avere l'aguzzino, non potreste immaginarvi l'uno senza l'altro. La pinguedine pallida di questa piccola donna qil prodotto di questa vita, come il tifo qla conseguenza delle esalazioni d'un ospedale. La sua sottana di lana a maglia, pilunga della gonna ricavata da un abito vecchio e la cui imbottitura esce dalle fenditure della stoffa scucita, compendia il salotto, la sala da pranzo, il giardinetto, annuncia la cucina e fa presentire i pensionanti. Quando lei qlj , lo spettacolo qcompleto. Di circa cinquant'anni, la signora Vauquer somiglia a tutte le donne che hanno subito disgrazie. Ha l'occhio vitreo, l'aria innocente di una mezzana che fa la difficile per farsi pagare di pi, ma invece disposta a tutto per addolcire la sua sorte, a dar nelle mani della giustizia Giorgio o Pichegru, se Giorgio o Pichegru dovessero ancora essere arrestati. Tuttavia, q"in fondo una buona donna", dicono i pensionanti, che la ritengono una disgraziata, sentendola gemere e tossire come loro. Chi era stato il signor Vauquer? Lei non dava mai particolari sul defunto. In che modo aveva perduto i suoi averi? Con le disgrazie, rispondeva. Si era mal comportato verso di lei, non le aveva lasciato che gli occhi per piangere, quella casa per vivere, e il diritto di non compatire nessuna sfortuna perchp , diceva lei, aveva sofferto tutto quel che qpossibile soffrire. Al sentir trotterellare la padrona, la grossa Silvia, la cuoca, si affrettava a servire la colazione ai pensionanti "interni". Generalmente i pensionanti "esterni" si abbonavano solo al pranzo, che costava trenta franchi al mese. All'epoca in cui questa storia comincia, gli interni erano sette. Al primo piano si trovavano i due migliori appartamenti della casa. La signora Vauquer abitava quello pimodesto, e l'altro era occupato dalla signora Couture, vedova di un ufficiale di commissariato della Repubblica francese. Essa aveva con spuna giovinetta, Vittorina Taillefer, cui faceva da madre. La pensione delle due ammontava a milleottocento franchi. I due appartamenti del secondo piano erano occupati l'uno da un vecchio di nome Poiret, l'altro da un uomo di circa quarant'anni, che portava una parrucca nera, si tingeva i favoriti, diceva di essere stato un negoziante, e si chiamava signor Vautrin. Il terzo piano si componeva di quattro stanze, di cui due affittate, l'una a una vecchia zitella chiamata signorina Michonneau, l'altra a un antico fabbricante di vermicelli, di altre paste alimentari e di amido, che si faceva chiamare familiarmente papjGoriot. Le due altre stanze erano destinate agli uccelli di passo, a quegli sfortunati studenti i quali, come papjGoriot e la signorina Michonneau, potevano spendere soltanto quarantacinque franchi al mese per il vitto e l'alloggio; ma la signora Vauquer gradiva poco la loro presenza e li accettava solo quando non trovava di meglio; mangiavano troppo pane. In quel momento, l'una delle due stanze era occupata da un giovane venuto dai dintorni d'Angoulq me a Parigi per compiere gli studi di legge, e la cui numerosa famiglia si sobbarcava alle pi dure privazioni per mandargli milleduecento franchi l'anno. Eugenio de Rastignac, cosuegli si chiamava, era uno di quei giovani formati al lavoro dalla sfortuna, che si rendono conto delle speranze riposte in loro dai genitori, e che si preparano una buona sorte calcolando gijl'importanza dei loro studi, e adattandoli in anticipo allo sviluppo futuro della societj , al fine di essere i primi a sfruttarla. Senza le sue osservazioni originali e l'abilitjcon la quale seppe presentarsi nei salotti dl Parigi, questo racconto non sarebbe stato colorato coi toni esatti dovuti indubbiamente al suo spirito sagace e al suo desiderio di penetrare nei misteri di una situazione spaventevole accuratamente nascosta cosuda coloro che l'avevano creata come da chi la subiva Al di sopra del terzo piano c'erano un solaio per stendere la biancheria e due soffitte, ove dormivano un uomo di fatica, Cristoforo e la grossa Silvia, la cuoca. Oltre i sette pensionanti interni, la signora Vauquer aveva, in media ogni anno, otto studenti in legge o in medicina, e due o tre clienti dimoranti nel quartiere, tutti abbonati solamente al pranzo. La sala accoglieva a pranzo diciotto persone, e poteva contenerne una ventina; ma, la mattina, non vi si trovavano che sette ospiti, il cui insieme dava, durante la colazione, l'aspetto di un pasto in famiglia. Ognuno scendeva in pantofole, si permetteva osservazioni confidenziali sul modo di vestire o sull'aria degli esterni, o sui fatti della sera precedente, esprimendosi con la confidenza propria dell'intimitj . I sette pensionanti erano i beniamini della signora Vauquer, che distribuiva loro, con una precisione da astronomo, le premure e i riguardi, secondo la cifra della loro retta. Un identico motivo affliggeva questi esseri riuniti dal caso. I due locatari del secondo piano pagavano solo settantadue franchi al mese. Un prezzo cosuconveniente che non si puztrovar altro che nel sobborgo Saint-Marceau, tra la Bourbe e la Salpr triq re, e al quale soltanto la signora Couture faceva eccezione, dice gijche quei pensionanti dovevano essere sotto il peso di disgrazie pio meno evidenti. Percizlo spettacolo desolante offerto dall'interno della casa si ripeteva negli abiti dei suoi frequentatori tutti egualmente frusti. Gli uomini portavano finanziere il cui colore era divenuto problematico, calzature di quelle che si gettano all'angolo dei paracarri nei quartieri eleganti; biancheria lisa, vestiti ai quali non era rimasta che l'anima. Le donne avevano abiti passati di moda, ritinti, stinti, vecchi merletti rammendati, guanti lucidi per l'uso, collarini avvampati e scialletti ragnati. Se tali erano gli abiti, quasi tutti mettevano in mostra corpi solidamente squadrati, costituzioni che avevano resistito alle tempeste della vita, facce fredde, dure, logore, come quelle degli scudi fuori corso. Le bocche appassite erano armate di denti avidi. Tali pensionanti facevano presentire drammi conclusi o in atto; non quei drammi rappresentati alla luce della ribalta, fra tele dipinte, ma drammi vivi e muti, drammi gelidi che agitavano e riscaldavano il cuore, drammi ininterrotti. La vecchia signorina Michonneau aveva sui suoi occhi stanchi una sudicia visiera di taffetjverde, cerchiata con un filo d'ottone che avrebbe spaventato l'angelo della Pietj . Il suo scialle a frange magre e lacrimevoli sembrava coprisse uno scheletro, tanto le forme che ne trasparivano erano angolose. Quale acido aveva corroso le forme femminili di questa creatura? Eppure doveva essere stata graziosa e ben fatta. Era stato il vizio, il dolore, la cupidigia? Aveva troppo amato, era stata una rigattiera, o soltanto cortigiana? Espiava i trionfi di una giovinezza insolente, dinanzi alla quale s'erano avventati i piaceri, con una vecchiezza rifuggita dai passanti? Il suo sguardo bianco dava il freddo, il suo viso rattratto minacciava. Aveva il verso aspro d'una cicala che grida nel suo cespuglio all'approssimarsi dell'inverno. Diceva di aver preso cura d'un vecchio signore malato di catarro alla vescica e abbandonato dai figli che lo ritenevano povero. Il vecchio le aveva lasciato un legato di mille franchi di rendita vitalizia, periodicamente contestati dagli eredi, alle calunnie dei quali si trovava esposta. Sebbene il gioco delle passioni avesse devastato il suo viso, vi si trovavano ancora alcune tracce di una bianchezza e di una finezza di pelle le quali lasciavano supporre che il corpo conservasse qualche resto di bellezza. Il signor Poiret era una specie di essere meccanico. Nel vederlo allungarsi come un'ombra grigia lungo un viale del Jardin des Plantes, la testa coperta da un berretto floscio, reggendo appena, in mano, il bastone dal pomo d'avorio, lasciando svolazzare le falde sciupate della finanziera che mal nascondeva i pantaloni quasi vuoti e le gambe ricoperte da calze blu che tremolavano come quelle d'un ebbro, mostrando il panciotto d'un bianco sporco e la gala di rozza mussolina spiegazzata che si univa imperfettamente alla cravatta attorcigliata intorno a un collo di tacchino, molti si domandavano se quell'ombra cinese appartenesse o no alla razza audace dei figli di Jafet sfarfalleggianti sul Boulevard Italien. Quale lavoro aveva potuto rattrappirlo cosu ? Quale passione aveva reso color del bistro la sua faccia bulbosa che, disegnata in caricatura, sarebbe sembrata fuori della realtj ? Che cosa mai egli era stato? Ma, forse, era stato impiegato al ministero della giustizia, presso l'ufficio dove i carnefici mandano i conti delle loro spese, le fatture dei veli neri per i parricidi, della crusca per i cesti della ghigliottina, della funicella per le mannaie. Forse era stato ricevitore alla porta d'un mattatoio, o vice- ispettore di sanitj . Insomma, quest'uomo sembrava essere stato uno degli asini del nostro grande mulino sociale, uno di quei Ratons parigini che non conoscono neppure i loro Bertrands, uno di quei perni su cui avevano girato gli infortuni o le sozzure pubbliche, infine uno di quegli uomini dei quali diciamo, al vederli: "Eppure sono necessari anche loro". La Parigi elegante ignora queste facce pallide per le sofferenze morali o fisiche. Ma Parigi qun vero oceano. Gettateci uno scandaglio, non ne conoscerete mai la profonditj . Percorretelo, descrivetelo; per quanta cura poniate nel percorrerlo, nel descriverlo, per quanto numerosi e interessati siano gli esploratori di questo mare, vi si troverjsempre un luogo vergine, un antro sconosciuto, fiori, perle, mostri, qualcosa d'inaudito, d'obliato dai palombari letterari. La casa Vauquer quna di queste mostruositjcuriose. Due figure vi formavano un contrasto sorprendente con il resto dei pensionanti e degli abbonati. Sebbene la signorina Vittorina Taillefer fosse di un pallore malsano simile a quello delle giovinette clorotiche, e armonizzasse con la sofferenza comune che costituiva lo sfondo del quadro per una tristezza abituale, per il contegno imbarazzato, per l'aspetto povero e gracile, tuttavia il suo viso non era vecchio, le sue movenze e la sua voce erano agili. Quella giovanile sventura somigliava a un arbusto dalle foglie ingiallite, da poco piantato in un terreno inadatto. La fisionomia rossastra, i capelli d'un biondo fulvo, la vita troppo sottile esprimevano quella grazia che i poeti moderni trovavano nelle statuine del medioevo. Gli occhi grigi e neri esprimevano una dolcezza e una rassegnazione cristiane. I vestiti semplici, di poco prezzo, rivelavano forme giovanili. Era graziosa per giustapposizione. Felice, sarebbe stata incantevole; la felicitjqla poesia delle donne, come la toletta ne qil belletto. Se la gioia d'un ballo avesse riflesso le sue tinte rosee su quel pallido viso; se le dolcezze d'una vita elegante avessero riempito, avessero invermigliato quelle gote gijlievemente scavate; se l'amore avesse rianimato quegli occhi tristi, Vittorina avrebbe potuto gareggiare con le pibelle giovinette. Le mancava cizche crea una seconda volta la donna: le gale e i biglietti amorosi. La sua storia avrebbe fornito il soggetto di un libro. Il padre credeva di avere le sue buone ragioni per non riconoscerla, si rifiutava di tenerla con sp , le corrispondeva solo seicento franchi all'anno, e aveva alterato il proprio patrimonio per poterlo trasmettere interamente al figlio. Parente lontana della madre di Vittorina che era andata a morire di dispiacere presso di lei, la signora Couture aveva cura dell'orfana come di una sua figlia. Disgraziatamente, la vedova dell'ufficiale di commissariato della Repubblica possedeva soltanto l'assegno vedovile e la pensione; e poteva lasciare un giorno la povera ragazza senza esperienza e senza risorse di fortuna, in balu a del mondo. La buona donna conduceva Vittorina alla messa tutte le domeniche, a confessarsi ogni quindici giorni, per farne ad ogni modo una ragazza devota. E aveva ragione. I sentimenti religiosi aprivano un avvenire a questa figlia non riconosciuta che amava suo padre, che ogni anno s'incamminava verso di lui per recargli il perdono di sua madre; ma che ogni anno urtava contro la porta della casa paterna, inesorabilmente chiusa. Il fratello, suo unico mediatore, non era venuto a trovarla neppure una volta in quattro anni, e non le inviava alcun aiuto. Lei supplicava Iddio di aprire gli occhi a suo padre, d'intenerire il cuore del fratello, e pregava per loro senza incolparli. La signora Couture e la signora Vauquer non trovavano parole sufficienti nel dizionario delle ingiurie per qualificare un tal barbaro modo di procedere. Quando maledivano l'infame milionario, Vittorina pronunciava dolci parole, simili al canto del colombo ferito, il cui grido di dolore esprime ancor l'amore. Eugenio de Rastignac aveva un viso tipicamente meridionale, carnagione bianca, capelli neri, occhi blu. Il suo garbo, i suoi modi, il suo contegno abituale denotavano il figlio di una famiglia nobile, in cui la prima educazione non aveva comportato che tradizioni di buon gusto. Se teneva da conto gli abiti, se normalmente finiva di consumare quelli dell'anno precedente, tuttavia poteva uscire qualche volta vestito come un giovane elegante. Di solito portava una vecchia finanziera, un brutto panciotto, la brutta cravatta nera, sciupata, male annodata di tutti gli studenti, un paio di pantaloni intonati col resto, e stivaletti risuolati. Tra questi due personaggi e gli altri, Vautrin, l'uomo di quarant'anni, dai favoriti tinti, serviva di transizione. Era uno di quei tipi a proposito dei quali il popolo dice: Ecco un uomo in gamba! Aveva le spalle larghe, il busto ben sviluppato, i muscoli in mostra, le mani grosse, quadrate e fortemente marcate alle falangi da ciuffetti di peli folti e di un rosso acceso. La faccia, rigata da rughe premature, presentava segni di durezza che smentivano le maniere affabili e compiacenti. La sua voce baritonale, in armonia con la sua grossolana gaiezza, non dispiaceva. Era gentile e ridanciano. Se qualche serratura non andava, rapidamente la smontava, la raccomodava, la oliava, la limava e, dopo averla rimontata, diceva: "Questa mi conosce". Egli, del resto, conosceva tutto: le navi, il mare, la Francia, l'estero, gli uomini, gli avvenimenti, le leggi, gli alberghi, e le prigioni. Se c'era qualcuno che si lamentava troppo, gli offriva subito i suoi servigi. Aveva prestato varie volte denaro alla signora Vauquer e a qualche altro pensionante, ma i debitori sarebbero morti piuttosto che non restituirglielo, tanto, malgrado la sua aria di buon uomo, incuteva timore per un certo sguardo profondo e risoluto. Il modo con cui sprizzava un getto di saliva annunciava un sangue freddo imperturbabile che non doveva farlo indietreggiare dinanzi a un delitto pur di uscire da una posizione difficile. Come quello di un giudice severo, il suo occhio sembrava andare in fondo a tutte le questioni, a tutte le coscienze, a tutti i sentimenti. Le sue abitudini consistevano nell'uscire dopo colazione, nel rientrare per il pranzo, nello star fuori tutta la sera e nel tornare verso la mezzanotte, con l'aiuto di una chiave comune affidatagli dalla signora Vauquer. Lui solo godeva d'un tale favore. Ma era anche lui che meglio trattava la vedova, e la chiamava: mamma, prendendola per la VITA, adulazione poco apprezzata! La buona donna credeva che la cosa fosse ancora facile, mentre invece dipendeva solo da Vautrin, il quale aveva le braccia abbastanza lunghe per stringere quella pesante circonferenza. Un aspetto del suo carattere consisteva nel pagare generosamente quindici franchi al mese per il "gloria" che prendeva alla fine del pranzo. Persone meno superficiali di quanto non lo fossero quei giovani travolti dai turbini della vita parigina, o quei vecchi indifferenti a cizche non li riguardasse direttamente, non si sarebbero fermate all'impressione dubbia che causava loro Vautrin. Egli sapeva o indovinava le cose di coloro che gli erano vicini, mentre nessuno poteva conoscere npi suoi pensieri nple sue occupazioni. Sebbene avesse posto la sua apparente bonomia, la sua costante compiacenza e la sua allegria come una barricata tra gli altri e lui, spesso lasciava trasparire la spaventevole profonditj del suo carattere. Spesso una battuta degna di Giovenale, con la quale sembrava si compiacesse a beffare le leggi, a sferzare l'alta societj , a convincerla della propria incongruenza, doveva far supporre che egli nutrisse un rancore verso la condizione sociale e che ci fosse in fondo alla sua vita un mistero accuratamente nascosto. Attratta, forse inconsapevolmente, dalla forza dell'uno o dalla avvenenza dell'altro, la signorina Taillefer distribuiva i suoi sguardi furtivi, i suoi pensieri segreti, tra quel quadragenario e il giovane studente; ma nessuno dei due sembrava pensare a lei, quantunque da un giorno all'altro il caso avrebbe potuto mutare la sua situazione e farla diventare un ricco partito. Del resto nessuna di quelle persone si dava la pena di verificare se i guai addotti da una di esse fossero veri o falsi. Ognuno aveva per l'altro una indifferenza mista di diffidenza, risultante dalle rispettive situazioni. Si sapevano impotenti a consolare le loro pene, e tutti, nel raccontarsele, avevano vuotato la coppa del compatimento. Simili a vecchi coniugi, non avevano piniente da dirsi. Non restavano dunque tra loro che i rapporti di una vita meccanica, il gioco di un ingranaggio senza olio. Tutti dovevano tirar diritto per la via dinanzi a un cieco, ascoltare senza emozione il racconto di una disgrazia, e vedere nella morte la soluzione di un problema di miseria che li rendeva freddi di fronte alla pitremenda agonia. La pifelice di queste anime desolate era la signora Vauquer, che troneggiava in quel libero ospizio. Per lei sola quel piccolo giardino, reso vasto come una steppa dal silenzio e dal freddo, dal secco e dall'umido, era un ridente boschetto. Per lei sola quella casa gialla e tetra, che sapeva di verderame come un banco di negozio, presentava qualche delizia. Quelle celle le appartenevano. Essa nutriva quei galeotti condannati a pene perpetue, esercitando su di essi una autoritjrispettata. In quale altro posto quei poveri esseri avrebbero trovato, a Parigi, al prezzo cui lei li dava, alimenti sani, sufficienti, e un appartamento che essi erano padroni di far diventare, se non elegante o comodo, almeno pulito e salubre? Se lei si fosse permessa di commettere un'ingiustizia palese, la vittima l'avrebbe sopportata senza lamentarsene. Un aggregato simile doveva presentare e presentava in piccolo gli elementi d'una societj completa. Tra i diciotto commensali si trovava, come nei collegi, come dappertutto, una povera creatura abbandonata, una vittima su cui fioccavano gli scherzi. Al principio del secondo anno, questa figura divenne per Eugenio de Rastignac la pisaliente fra tutte quelle in mezzo a cui era condannato a vivere ancora per due anni. Questo "Patirai" era l'antico vermicellaio, papjGoriot, sul quale un pittore, come lo storico, avrebbe fatto cadere tutta la luce del quadro. Per quale motivo questo sprezzo semiastioso, questa persecuzione mista di pietj , questa mancanza di rispetto verso la sfortuna avevano colpito il pianziano pensionante? Era stato forse lui a provocarli con alcune di quelle ridicolezze o di quelle bizzarrie che meno facilmente si perdonano dei vizi? Tali quesiti riguardano da vicino non poche ingiustizie sociali. Forse qproprio della natura umana il far sopportar tutto a chi tutto soffre per vera umiltj , per debolezza o per indifferenza. Non piace forse a tutti noi di provare la nostra forza a spese di qualcuno o di qualcosa? L'essere pidebole, il monello suona a tutte le porte quando gela, o si arrampica per scrivere il suo nome su d'un incontaminato monumento. PapjGoriot, vecchio di sessantanove anni circa, si era ritirato presso la signora Vauquer nel 1813, dopo aver lasciato gli affari. Aveva preso in un primo tempo l'appartamento occupato dalla signora Couture, e pagava allora milleduecento franchi di pensione; e, per lui, cinque luigi di pio di meno erano una bagattella. La signora Vauquer aveva rimesso a nuovo le tre camere dell'appartamento facendosi corrispondere un anticipo che servua pagare, si dice, un cattivo mobilio composto di tende in "calicz" giallo, di poltrone in legno verniciato foderate di velluto d'Utrecht, alcune verniciature a colla e carte da parati rifiutate dalle osterie dei sobborghi. Forse la noncurante generositjnel lasciarsi gabbare dimostrata da papjGoriot, che a quell'epoca era rispettosamente chiamato signor Goriot, lo fece prendere per un imbecille, senza nessuna pratica degli affari. Goriot arrivzcon un guardaroba ben fornito, il corredo magnifico del negoziante che non si priva di nulla ritirandosi dal commercio. La signora Vauquer aveva ammirato diciotto sue camicie di mezza tela d'Olanda, la cui finezza era tanto pinotevole in quanto il vermicellaio portava sulla gala fissa due spille unite da una catenina, ognuna delle quali era montata con un grosso diamante. Abitualmente vestito con un abito color blu chiaro, portava ogni giorno un panciotto di picchqbianco sotto il quale fluttuava il suo ventre a pera e prominente, che faceva ballonzare una pesante catena d'oro guarnita di ciondoli. La sua tabacchiera, anch'essa d'oro, conteneva un medaglione pieno di capelli che lo rendevano in apparenza colpevole di qualche fortunata avventura. Quando la sua ospite l'accuszdi essere un "galentin", lascizerrare sulle labbra il gaio sorriso del borghese lusingato nel suo debole. I suoi "armaddi" (pronunciava questa parola al modo del popolo minuto) furono riempiti dall'abbondante sua argenteria di famiglia. Gli occhi della vedova si accesero quando l'aiutzcompiacentemente a cavare fuori e e mettere a posto i ramaiuoli, i cucchiai da salsa, le posate, le oliere, le salsiere, numerosi piatti, i servizi in argento dorato da colazione, infine pezzi pio meno belli pesanti qualche libbra, e di cui egli non voleva disfarsi. Quei regali gli ricordavano le feste della sua vita domestica. "Questo", disse alla signora Vauquer tenendo un piatto e una piccola tazza il cui coperchio rappresentava due tortorelle che si beccavano, "qil primo regalo fattomi da mia moglie nell'anniversario del nostro matrimonio. Povera donna! Lo aveva acquistato con le sue economie quand'era ancora ragazza. Vedete, signora: preferirei dover grattare la terra con le mie unghie piuttosto che separarmene. Grazie a Dio potrzprendere in questa tazza il caffqtutte le mattine durante il resto dei miei giorni. Non sono da compiangere; ho di che vivere agiatamente per molto tempo". E poi la signora Vauquer aveva visto, col suo occhio di gazza, alcuni titoli del debito pubblico che, approssimativamente addizionati, potevano assicurare all'ottimo Goriot una rendita di circa otto o diecimila franchi. Da quel giorno, la signora Vauquer, nata de Conflans, che aveva allora quarantotto anni effettivi ma non ne accettava che trentanove, cominciz a nutrire qualche idea. Sebbene il lacrimatoio degli occhi di Goriot fosse rivoltato, gonfio, pendente, il che lo obbligava ad asciugarseli di frequente, essa lo trovzdi aspetto piacente e perbene. Del resto i suoi polpacci carnosi, prominenti, pronosticavano, quanto il suo lungo naso robusto, qualitjmorali cui la vedova sembrava tenesse e confermate dalla faccia lunare e ingenuamente sciocca del buon uomo. Doveva essere un animale solidamente costruito, capace di dissipare tutto il suo spirito in sentimento. I suoi capelli ad ala di piccione, che il barbiere del Politecnico gli incipriava tutte le mattine, disegnavano cinque punte sulla sua bassa fronte e decoravano bene il suo viso. Quantunque un poco grossolano, era cosuazzimato, prendeva cosusignorilmente il tabacco, lo aspirava da uomo cosusicuro di avere sempre la tabacchiera piena di macubino, che il giorno in cui il signor Goriot prese stanza presso di lei, la signora Vauquer si coriczquella sera crogiolandosi come una pernice nel lardello, al fuoco del desiderio che la colse di abbandonare il sudario di Vauquer per rinascere in Goriot. Maritarsi, vendere la pensione, andar sotto braccio a quel fior fiore di borghesia, diventare una signora distinta nel quartiere, raccogliervi la questua pei poveri, fare gite domenicali a Choisy, Soissy, Gentilly; andare a teatro come desiderava, in palco, senza attendere i biglietti di favore che taluno dei pensionanti le offriva nel mese di luglio; ella sognztutto l'Eldorado delle modeste famiglie parigine. Non aveva confidato a nessuno di possedere quarantamila franchi messi da parte soldo per soldo. Certamente si riteneva, dal punto di vista della ricchezza, un partito conveniente. "Quanto al resto, valgo bene il buon uomo" disse rivoltandosi nel letto, come per dimostrare a se stessa delle grazie che la grossa Silvia trovava ogni mattino modellate a fondo. Da quel giorno, per circa tre mesi, la vedova Vauquer approfittzdel barbiere del signor Goriot, e fece qualche spesa per la toletta, con la scusa che era necessario dare alla casa un certo decoro in armonia con le persone cosurispettabili che la frequentavano. Si preoccupzmolto di mutare i pensionanti, allegando la pretesa di non accettare ormai che persone distinte sotto ogni riguardo. Se si presentava un forestiero, gli vantava la preferenza che il signor Goriot, uno dei commercianti piin vista e pistimati di Parigi, le aveva accordato. Distribuudei cartoncini, in cima ai quali si leggeva: "Casa Vauquer". "Era, diceva lo stampato, una delle piantiche e pistimate pensioni borghesi del quartiere latino. Con una vista piacevolissima sulla vallata dei Gobelins (la si scorgeva dal terzo piano), e un grazioso giardino, all'estremitjdel quale correva un viale di tigli". Vi si parlava dell'aria buona e della tranquillitj . Quel cartoncino le procurz la contessa de l'Ambermesnil, una donna di trentasei anni, che attendeva la fine della liquidazione e la corresponsione d'una pensione spettantele quale vedova di un generale morto "sui" campi di battaglia. La signora Vauquer curzla tavola, fece accendere il fuoco nelle sale per circa sei mesi, e mantenne cosubene le promesse dell'avviso, da rimetterci del suo. Percizla contessa diceva alla signora Vauquer, chiamandola "cara amica", che le avrebbe procurato la baronessa de Vaumerland e la vedova del colonnello conte Picquoiseau, due amiche le quali attendevano la scadenza del loro impegno in una pensione situata al Marais, picara della casa Vauquer. Le due signore avrebbero goduto di una sistemazione economica molto buona non appena gli Uffici del ministero della Guerra avessero perfezionato le relative pratiche. "Ma", lei diceva, "gli Uffici non la finiscono mai!". Le due vedove salivano insieme dopo il pranzo nella camera della signora Vauquer e vi facevano quattro chiacchiere sorseggiando rosolio di ribes e sgranocchiando dolciumi riservati alla bocca della padrona di casa. La signora de l'Ambermesnil approvzle mire dell'albergatrice su Goriot, mire eccellenti che lei, del resto aveva indovinato fin dal primo giorno; lo trovava un uomo perfetto. - Ah! mia cara signora, qun uomo sano come il mio occhio - le diceva la vedova - un uomo ottimamente conservato, e che puzdare ancora molte soddisfazioni a una donna. La contessa fece generosamente alcune osservazioni alla signora Vauquer sul suo modo di vestirsi, non in armonia con le sue pretese. - Bisogna che vi mettiate sul piede di guerra - le disse. Dopo molti calcoli, le due vedove si recarono insieme al Palais- Royal, ove acquistarono, alle Galeries de Bois, un cappello con piume e una cuffia. La contessa trascinzl'amica al magazzino della Petite-Jeannette, dove scelsero un vestito e una sciarpa. Quando queste munizioni furono adoperate e la vedova fu sotto le armi, rassomiglizin modo perfetto alla insegna del "Boeuf jla mode" ("Bue alla moda"). Tuttavia, si trovz cosumutata in meglio da credersi in obbligo verso la contessa e, quantunque poco generosa la pregzdi accettare un cappello da venti franchi. Per la veritj , intendeva poi chiederle il favore di sondare Goriot e di metterla in valore agli occhi di lui. La signora d'Ambermesnil si prestz assai amichevolmente a tale manovra, e circuuil vecchio vermicellaio col quale riuscuad avere un colloquio; ma, dopo averlo trovato pudibondo, per non dire refrattario, ai tentativi che le suggeruil personale desiderio dl sedurlo per proprio conto, uscunauseata dalla sua grossolanitj . - Angelo mio - disse alla cara amica - da quell'uomo lunon caverete fuori un bel nulla! E' ridicolmente diffidente, quno spilorcio, una bestia, uno stupido, e non vi procurerjche dispiaceri. Tra il signor Goriot e la signora de l'Ambermesnil avvennero cose tali, che la contessa non volle neanche pitrovarsi con lui. L'indomani lei se ne andz, dimenticando di pagare sei mesi di pensione e lasciando un vestito smesso valutato cinque franchi. Per quante accurate ricerche la signora Vauquer facesse, non potp avere nessuna informazione in Parigi sulla contessa de l'Ambermesnil. Essa parlava spesso di quella deplorevole faccenda, pentendosi della sua troppa fiducia, sebbene fosse pidiffidente d'una gatta; ma rassomigliava a tante persone che diffidano del loro prossimo e si danno in balia del primo venuto. Fatto morale bizzarro, ma vero, la cui radice si trova facilmente nel cuore umano. Forse certuni non hanno pinulla da sperare dalle persone con le quali vivono; dopo aver mostrato loro il vuoto della propria anima, si sentono segretamente giudicati da esse con una severitjmeritata; ma, provando un invincibile bisogno di adulazione, che a essi manca, o divorati dal desiderio di avere l'apparenza di possedere qualitjche non hanno, sperano di sorprendere la stima o il cuore degli estranei, a rischio di perdere un giorno questo o quella. Infine, esistono individui nati mercenari che non fanno mai del bene ai loro amici o conoscenti, perchpvi sarebbero obbligati, mentre, rendendo un servizio a sconosciuti, ne riscuotono un guadagno d'amor proprio; pila cerchia degli affetti qvicina a loro, e meno amano; pisi estende, e piessi sono servizievoli. La signora Vauquer partecipava senza dubbio di queste due nature, essenzialmente meschine, false, esecrabili. - Se c'ero io - le diceva allora Vautrin - questo guaio non vi sarebbe capitato! Vi avrei garbatamente smascherato quell'imbrogliona. Le conosco bene, quelle "mascherine". Come tutte le menti limitate, la signora Vauquer aveva l'abitudine di non uscire dalla cerchia dei fatti e di non giudicarne le cause. Soleva scaricare sugli altri i propri errori. Dopo aver subu to quella perdita, essa considerzl'onesto vermicellaio come la causa del suo infortunio e comincizda allora, diceva, a disilludersi sul conto di lui. Quando ebbe riconosciuto l'inutilitjdei suoi adescamenti e delle sue spese di rappresentanza, non tardz a indovinarne la ragione. Si accorse che il suo pensionante aveva gij , secondo il suo modo di esprimersi, i propri giretti. Infine ebbe la dimostrazione che la sua speranza cosu vagamente accarezzata era fondata su di una base chimerica, e che non avrebbe mai cavato fuori un bel niente da quell'uomo lu , secondo la frase energica della contessa, che sembrava intendersene. Naturalmente, nell'avversione andzpilontano di quanto non era andata nell'amicizia. Il suo odio non fu dettato in ragione del suo amore, ma dalle speranze ingannate. Se il cuore umano trova riposo salendo le alture dell'affetto, sosta di rado lungo la rapida china dei sentimenti ispirati dall'odio. Ma, essendo il signor Goriot suo pensionante, la vedova fu costretta a reprimere le esplosioni dell'amor proprio ferito, a soffocare i sospiri causatile da quel disinganno, e a ringoiare i desideri di vendetta come un frate perseguitato dal proprio priore. Gli spiriti meschini soddisfano i loro sentimenti, buoni o cattivi che siano, con continue meschinitj . La vedova uszla sua malizia di donna nell'inventare sorde persecuzioni contro la propria vittima. Comincizcon l'abolire il superfluo introdotto nella pensione. "Niente picetrioli, niente piacciughe, tutta roba per dar nell'occhio!", disse a Silvia la mattina in cui decise di ritornare al vecchio programma. Il signor Goriot era un uomo frugale, e in lui la parsimonia, necessaria a quanti fanno da spla propria fortuna, aveva degenerato in abitudine. Minestra, lesso e un piatto di legumi erano stati e dovevano essere sempre il suo pranzo preferito. Fu percizdifficile alla signora Vauquer tormentare in questo lato il pensionante, non potendone in nulla mortificare i gusti. Delusa di aver incontrato un uomo inattaccabile, cominciza screditarlo, e fece condividere la propria avversione per Goriot da parte degli altri pensionanti i quali, per divertirsi, si prestarono alle sue vendette. Verso la fine del primo anno la vedova era giunta a un tal grado di sospetto, da chiedersi come mai il commerciante, che disponeva dalle sette alle ottomila lire di rendita, che possedeva un'argenteria superba e gioielli d'una bellezza pari a quelli di una mantenuta, continuasse a star da lei, pagandole una pensione cosumodica in proporzione ai suoi mezzi. Durante la pigran parte di quel primo anno Goriot aveva spesso pranzato fuori una o due volte alla settimana; poi, insensibilmente, era arrivato a mangiar fuori solo due volte al mese. Le piccole distrazioni galanti di messer Goriot stavano troppo in relazione con gli interessi della signora Vauquer perchpquesta non fosse scontenta dell'esattezza progressiva con cui il suo pensionante prendeva i pasti presso di lei. Quel cambiamento fu attribuito tanto a una lenta diminuzione di fortuna quanto al desiderio di far dispetto alla ospite. Una delle pidetestabili abitudini di questi spiriti lillipuziani consiste nell'attribuire agli altri le loro piccinerie. Disgraziatamente, al termine del secondo anno, il signor Goriot giustificzle chiacchiere di cui era l'oggetto chiedendo alla signora Vauquer di passare al secondo piano e di ridurgli la retta a novecento franchi. Ebbe bisogno d'una cosustretta economia, da non permettersi pidi accendere il fuoco durante l'inverno. La vedova Vauquer pretese di esser pagata in anticipo; il signor Goriot acconsentue da quel giorno lei lo chiamzpapjGoriot. Ognuno cerczallora d'indovinare le cause di quella decadenza. Indagine difficile. Come aveva detto la falsa contessa, papjGoriot era un sornione, un taciturno. Secondo la logica delle persone senza sale in zucca, tutte indiscrete perchpnon sanno cosa dire, chi non parla delle proprie cose deve combinarne delle brutte. Quel commerciante, prima cosuper bene, divenne un briccone; quel damerino, una vecchia canaglia. Ora, a parere di Vautrin, che andza quell'epoca ad abitare in casa Vauquer, papa Goriot era uno che frequentava la borsa e che, secondo un modo di dire alquanto energico del gergo finanziario, "scroccava" sulla Rendita dopo essersi rovinato. Ora, era uno di quei piccoli giocatori che azzardano e guadagnano tutte le sere dieci franchi al gioco. Ora, si faceva di lui una spia al servizio dell'alta polizia; ma Vautrin sosteneva che non era abbastanza furbo per "essere dei loro". PapjGoriot era poi anche un avaro che prestava danaro a ingorda usura, uno che puntava sempre sullo stesso numero aumentando di volta in volta la posta. Se ne faceva tutto quel che il vizio, l'infamia, l'impotenza generano di pimisterioso. Tuttavia, per quanto ignobili fossero il suo modo di agire o i suoi vizi, l'avversione che egli ispirava non arrivava al punto da farlo mettere alla porta: dopo tutto pagava la sua pensione. E poi: era utile, e ognuno sfogava su di lui il proprio buon umore o il proprio malumore con scherzi o sfuriate. Il parere che sembrava pi attendibile, e che fu generalmente adottato, era quello espresso dalla signora Vauquer. A sentir lei, quell'uomo cosuben conservato, sano come il suo occhio, e dal quale si potevano ancora avere molte soddisfazioni, era un libertino dai gusti strani. Ecco su quali fatti la vedova Vauquer fondava le sue calunnie. Qualche mese dopo la fuga della disastrosa contessa che era riuscita a vivere per sei mesi alle sue spalle, una mattina, prima di alzarsi, sentu lungo la scala il fruscio di un abito di seta e il passettino d'una donna giovane e lieve filare verso la camera di Goriot, la cui porta s'era intelligentemente aperta. Subito dopo la grossa Silvia corse a riferire alla padrona che una ragazza, troppo bella per essere onesta; "acconciata come una dea", dagli stivaletti di prunella senz'ombra di fango, era scivolata come un'anguilla dalla strada fino alla cucina e le aveva domandato dove fosse l'appartamento del signor Goriot. La signora Vauquer e la sua cuoca si misero a spiare e colsero molte parole teneramente pronunciate durante la visita, che durzqualche tempo. Quando il signor Goriot uscuinsieme alla "sua signora", la grossa Silvia afferrz subito la sporta, e finse di andare al mercato per seguire la coppia degli innamorati. -Signora - disse alla padrona tornando a casa - il signor Goriot deve essere proprio ricco sfondato per tenerle su quel piede. Figuratevi che all'angolo dell'Estrapade c'era una superba carrozza sulla quale lei qsalita. Durante il pranzo la signora Vauquer andza tirare una tenda per impedire che Goriot fosse disturbato dal sole, un raggio del quale gli offendeva gli occhi. - Siete amato dalle belle, signor Goriot, il sole vi cerca! disse alludendo alla visita che aveva ricevuto. Cj spita, avete buon gusto, era proprio carina. - Era mia figlia - egli rispose con una specie d'orgoglio nel quale i pensionanti vollero trovare la vanitjd'un vecchio che vuol salvare le apparenze. Un mese dopo quella visita, il signor Goriot ne ricevette un'altra. Sua figlia, che, la prima volta, era andata in toletta da mattina, giunse nel pomeriggio vestita come per andare in societj . I pensionanti, intenti a chiacchierare in sala, videro una graziosa bionda, dalla vita sottile, carina, e assai troppo distinta per essere la figlia d'un papjGoriot. - E due! -. fece la grossa Silvia, che non la riconobbe. Qualche giorno dopo, un'altra ragazza, alta e ben fatta, bruna, dai capelli neri e dall'occhio vivace, chiese del signor Goriot. - E tre! - disse Silvia. Questa seconda ragazza, che per la prima volta era anch'essa andata a trovare suo padre di mattina, tornz, qualche giorno dopo, di sera, in toletta da ballo e in carrozza. - E quattro! - fecero la signora Vauquer e la grossa Silvia, le quali non riconobbero in quella gran dama alcuna traccia della ragazza vestita semplicemente la mattina in cui fece la prima visita. Goriot pagava ancora milleduecento franchi di retta. La signora Vauquer trovzdel tutto naturale che un uomo ricco avesse quattro o cinque amanti, e lo giudiczanche assai furbo nel farle passare per figlie sue. Non si scandalizzzaffatto che le facesse venire in casa Vauquer. Soltanto, poichpqueste visite le spiegavano l'indifferenza del pensionante nei suoi riguardi, si permise, al principio del secondo anno, di chiamarlo "vecchio mandrillo". Poi, quando questi calzai novecento franchi, gli chiese con molta insolenza che cosa intendesse fare della sua casa, vedendo discendere una di quelle signore. Papj Goriot le rispose che quella signora era la sua figlia maggiore. - Ma quante ne avete di figlie: trentasei ? - fece in tono aspro la signora Vauquer. - Non ne ho che due - repliczil pensionante con la dolcezza d'un uomo andato in rovina e reso docile dalla miseria. Verso la fine del terzo anno, papjGoriot ridusse ancora le spese, passando al terzo piano e mettendosi a quarantacinque franchi al mese di pensione. Aboluil tabacco, licenzizil barbiere e non s'inciprizpi. Quando papjGoriot comparve la prima volta senza essere incipriato, la sua ospite si lascizsfuggire un'esclamazione di sorpresa vedendo il colore dei suoi capelli: essi erano d'un grigio sporco e verdastro. Il suo viso, che segreti dolori avevano insensibilmente reso pitriste di giorno in giorno, appariva il pidesolato di tutti quelli che guarnivano la tavola. Non vi fu allora pialcun dubbio. PapjGoriot era un vecchio libertino, i cui occhi erano stati preservati dal malefico effetto dei rimedi necessari alle sue malattie soltanto per l'abilitjdi un medico. Il colore disgustoso dei capelli derivava dagli stravizi e dalle droghe prese per continuare a praticarli. Lo stato fisico e morale del buon uomo dava ragione a quelle ciarle. Quando il suo corredo fu logoro, comprz calicz da quattordici soldi la canna per sostituire la sua bella biancheria. I diamanti, la tabacchiera d'oro, la catena, i gioielli scomparvero a uno a uno. Non portava piil vestito blu chiaro, tutto il suo ricco abbigliamento, e indossava, estate e inverno, una finanziera di grosso panno marrone, un panciotto di pelo di capra, e pantaloni grigi di fustagno. Diventzsempre pimagro; i suoi polpacci divennero flaccidi; il viso paffuto del borghese soddisfatto si riempudi rughe, la fronte si corrugz, la mascella venne fuori. Durante il quarto anno della sua dimora in via Neuve-Sainte- Geneviq ve non era pi riconoscibile. Il buon vermicellaio di sessantadue anni, che non ne dimostrava neppure quaranta, il grasso e grosso borghese dalla faccia fresca e serena, il cui spiritoso modo di fare rallegrava i passanti, che aveva qualcosa di giovanile quando sorrideva, pareva adesso un settuagenario ebete, vacillante e scialbo. I suoi occhi blu tanto vivaci assunsero toni scuri e grigio-ferro, erano impalliditi, non lacrimavano pi, e il loro orlo rosso sembrava piangere sangue. Ad alcuni faceva orrore, ad altri, pietj . Dei giovani studenti in Medicina, avendo notato l'abbassamento del suo labbro inferiore e misurato il vertice del suo angolo facciale, dopo avere a lungo strapazzato il buon uomo senza cavarne fuori nulla, lo dichiararono affetto da cretinismo. Una sera, dopo il pranzo, avendogli la signora Vauquer detto in tono canzonatorio: "E allora!: com'qche le vostre figliuole non vengono pia trovarvi?", mettendo cosuin dubbio la sua paternitj , papjGoriot trasalu come se l'ospite lo avesse punto con un ferro. - Vengono qualche volta - rispose con una voce emozionata. - Ah! Ah!, le vedete ancora qualche volta! esclamarono gli studenti. - Bravo il papj Goriot! Ma il vecchio non sentui frizzi che la sua riposta aveva procurato, era ricaduto in uno stato di meditazione preso, da coloro che l'osservavano superficialmente, per un torpore senile. Se lo avessero ben conosciuto, forse si sarebbero vivamente interessati al problema che presentava il suo stato fisico e morale, ma nulla era pidifficile. Quantunque sarebbe stato facile sapere se Goriot aveva fatto realmente il vermicellaio e qual era l'ammontare della sua ricchezza, le persone anziane, la cui curiositjsi destzsul suo conto, non uscivano mai dal quartiere e vivevano attaccate alla pensione come le ostriche allo scoglio. Quanto alle altre persone, gli allettamenti particolari della vita parigina facevano loro dimenticare, uscendo dalla via Neuve-Sainte-Geneviq ve, il povero vecchio che prendevano in giro. Per mentalitjristrette e giovani spensierati la cruda miseria di papjGoriot e il suo atteggiamento di stupido erano incompatibili con una fortuna e una capacitjquali che siano. Quanto alle donne che egli chiamava sue figlie, ognuno condivideva l'opinione della signora Vauquer, la quale diceva, con la logica severa conferita dall'abitudine di far tutte le supposizioni possibili alle vecchie che passano la sera chiacchierando: "Se papj Goriot avesse figlie cosuricche come sembravano esserlo tutte quelle signore che sono venute a trovarlo, non abiterebbe da me, al terzo piano, a quarantacinque franchi al mese, e non andrebbe vestito come un pezzente". Nulla poteva smentire queste induzioni. Perciz, verso la fine del mese di novembre del 1819, epoca nella quale scoppizquesto dramma, ognuno nella pensione aveva idee ben definite sul povero vecchio. Egli non aveva mai avuto npfiglie npmoglie; l'abuso dei piaceri ne aveva fatto un lumacone, un mollusco antropomorfo da classificare fra i "Berrettiferi", come diceva un impiegato al Museo, uno dei clienti della tavola della pensione a prezzo fisso; al confronto di Goriot, Poiret era un'aquila, un gentleman; Poiret parlava, ragionava, rispondeva. A dire il vero, non diceva niente, parlando ragionando o rispondendo, giacchpera solito ripetere in altra forma quel che dicevano gli altri, ma prendeva parte alla conversazione, era un essere vivo, pareva sensibile, mentre papjGoriot, aggiungeva l'impiegato al Museo, era sempre allo zero di Rp aumur. Eugenio de Rastignac era ritornato in quello stato d'animo che devono aver conosciuto i giovani d'ingegno superiore, o coloro cui una situazione difficile conferisce momentaneamente le qualitjdegli uomini d'eccezione. Durante il suo primo anno di permanenza in Parigi, il poco studio richiesto per superare i primi esami presso la Facoltj lo aveva lasciato libero di godere le delizie appariscenti della Parigi mondana. Uno studente non dispone di molto tempo se vuol conoscere il repertorio d'ogni teatro, studiare le uscite del labirinto parigino, sapere gli usi, imparare la lingua e abituarsi ai piaceri particolari della capitale; frugare negli angoli buoni e cattivi, seguire i Corsi che lo divertono, inventariare le ricchezze dei musei. Uno studente si appassiona di sciocchezze che gli sembrano grandiose. Ha il suo grand'uomo, un professore del Collq ge de France, pagato per essere all'altezza del suo uditorio. Rialza la cravatta, assume atteggiamenti fatali verso la dama delle prime gallerie dell'Opp ra-Comique. Attraverso queste successive iniziazioni si spoglia della sua scorza, allarga l'orizzonte della sua vita e finisce per conoscere la sovrapposizione degli strati umani che compongono la societj . Se ha cominciato con l'ammirare gli equipaggi che sfilano sotto un bel sole lungo gli Champs-Elysp es, giunge ben presto a invidiarli. Eugenio aveva gijfatto questo noviziato a sua propria insaputa, quando partuper le vacanze, dopo aver conseguito la licenza per l'ammissione al corso di Lettere e Diritto. Le illusioni dell'infanzia, le idee di provincia erano scomparse. L'intelligenza modificata e l'ambizione esaltata gli fecero vedere chiaro nell'ambiente del maniero paterno, in seno alla famiglia. Il padre, la madre, i due fratelli, le due sorelle, e una zia la cui ricchezza consisteva in pensioni vitalizie, vivevano sulla piccola terra di Rastignac. Questo possesso, che rendeva circa tremila franchi, era sottoposto all'incertezza che governa il prodotto tipicamente industriale della vigna e, tuttavia bisognava far uscire ogni anno milleduecento franchi per lui. La vista di tale costante ristrettezza che gli veniva generosamente nascosta; il paragone che fu costretto a fare tra le sorelle, che gli erano parse tanto belle quando era un fanciullo, e le donne di Parigi, nelle quali aveva trovato il tipo d'una bellezza a lungo vagheggiata; l'avvenire incerto della numerosa famiglia che fondava le speranze su di lui; la parsimoniosa cura con cui vide conservare i pimodesti prodotti; il vino di famiglia fatto con le vinacce; insomma, una quantitjdi circostanze che qinutile elencare qui, decuplicarono i suoi desideri di "parvenu" e gli acuirono la brama di distinguersi. Come accade alle anime grandi, egli non volle essere debitore che del proprio merito. Ma il suo temperamento era eminentemente meridionale: quando si trattava di passare all'azione, le sue determinazioni subivano quelle esitazioni che hanno i giovani allorchpsi trovano in alto mare, senza sapere npdove dirigere le loro forze, npsotto quale angolo far gonfiare le loro vele. Se, da principio, volle gettarsi a corpo morto nel lavoro, sedotto subito dopo dalla necessitjdi cercarsi delle relazioni, capuquanto influsso hanno le donne nella vita sociale, e decise di lanciarsi senz'altro nella societj , per conquistarvi delle protettrici: e potevano esse mancare a un giovane ardente e spiritoso, il cui spirito e il cui ardore erano sostenuti dal tratto elegante e da una specie di bellezza nervosa, alla quale le donne cedono volentieri? Tali idee lo presero in mezzo ai campi, durante le passeggiate che faceva allegramente con le sorelle, le quali lo trovarono assai cambiato. La zia, la signora de Marcillac, che un tempo era stata ammessa a Corte, vi aveva conosciuto la pialta aristocrazia. D'un tratto il giovane ambizioso trovz, nei ricordi coi quali la zia lo aveva tanto spesso cullato, gli elementi di molte conquiste sociali, importanti per lo meno quanto quelle che andava conoscendo alla Scuola di Diritto; la interrogzsui rapporti di parentela che potevano ancora essere riannodati. Dopo avere scosso i rami dell'albero genealogico, la vecchia donna ritenne che, di tutte le persone che avrebbero potuto essere utili al nipote tra la razza egoista dei parenti ricchi, la signora viscontessa de Beausp ant sarebbe stata la meno recalcitrante. Ella scrisse alla giovane donna una lettera nel vecchio stile, e la consegnza Eugenio, dicendogli che, se gli fosse riuscito di spuntarla con la viscontessa, questa gli avrebbe fatto ritrovare gli altri parenti. Qualche giorno dopo il suo arrivo, Rastignac invizla lettera della zia alla signora de Beausp ant. La viscontessa rispose con l'invito a un ballo per il giorno dopo. Tale era la situazione generale della pensione borghese alla fine del mese di novembre del 1819. Qualche giorno pitardi Eugenio, dopo essere andato al ballo della signora de Beausp ant, rientrzverso le due di notte. Per riguadagnare il tempo perduto, il coraggioso studente s'era ripromesso, mentre ballava, di lavorare fino al mattino. Avrebbe per la prima volta vegliato in quel silenzioso quartiere, sotto il fascino d'una falsa energia tratta dal vedere gli splendori del mondo. Non aveva pranzato in casa Vauquer. I pensionanti poterono quindi credere che sarebbe ritornato dal ballo l'indomani mattina, essendo qualche volta rientrato dalle feste del Prado o dai balli dell'Odp on, con le calze di seta imbrattate di fango e gli scarpini malconci. Prima di mettere i catenacci alla porta, Cristoforo l'aveva aperta per dare una guardata sulla strada; Rastignac sopraggiunse e potpsalire alla sua camera senza far rumore, seguito da Cristoforo che ne faceva molto. Eugenio si spogliz, calzzle pantofole, indosszuna brutta finanziera, accese il fuoco di mattonelle di carbone, e si dispose rapidamente allo studio, di guisa che Cristoforo copru ancora col rumore dei suoi scarponi i preparativi poco rumorosi del giovanotto. Eugenio rimase pensoso qualche istante prima d'immergersi nei tomi di Diritto. Aveva or ora trovato nella signora viscontessa de Beausp ant una delle regine della moda parigina, la casa della quale era considerata la pipiacevole del faubourg Saint-Germain. Essa era, del resto, e per il suo nome e per la sua fortuna, una delle sommitjdel mondo aristocratico. Grazie alla zia de Marcillac, il povero studente era stato bene accolto in quella casa, senza sapere l'importanza del favore ricevuto. Essere ammesso in quei salotti dorati equivaleva a un brevetto di alta nobiltj . Con l'apparire in quella societj , pi impenetrabile d'ogni altra, egli aveva acquistato il diritto d'essere ricevuto dappertutto. Abbagliato da quella rumorosa riunione, scambiata appena qualche parola con la viscontessa, Eugenio s'era accontentato di individuare, tra la folla delle divinitjparigine che si affollavano in quell'eletto ricevimento, una di quelle donne che un giovane deve a prima vista adorare. La contessa Anastasia de Restaud, alta e ben formata, passava per avere una delle pibelle figure di Parigi. Immaginate grandi occhi neri, una mano stupenda, un piedino ben modellato, movimenti vivacissimi, una donna che il marchese de Ronquerolles chiamava: un purosangue. La finezza della nervatura non le toglieva alcuna attrattiva; aveva forme piene e rotonde, senza con questo essere accusata della sia pur lieve grassezza. "Puro sangue, donna di razza": queste locuzioni cominciavano a sostituire gli angeli del cielo, le figure ossianiche, tutta la vecchia mitologia amorosa condannata dal dandismo. Ma, per Rastignac, la signora Anastasia de Restaud rappresentzla donna desiderabile. Si era assicurato due giri nella lista dei cavalieri scritta sul ventaglio, e le aveva potuto parlare durante la prima contraddanza. - E ora, dove potrzincontrarvi ancora, signora? le aveva chiesto bruscamente con quella audacia appassionata che piace tanto alle donne. - Mah! - lei rispose - al Bois, ai "Bouffons", a casa mia, dove volete. - E l'avventuroso meridionale s'era affrettato a entrare in confidenza con quella deliziosa contessa, quanto un giovane puzentrare in confidenza con una donna durante una contraddanza e un valzer. Presentandosi come cugino della signora de Beausp ant, fu invitato da quella donna che egli ritenne una gran dama, e fu ammesso in casa sua. Quando gli rivolse l'ultimo sorriso, Rastignac stimz doverosa la sua visita. Egli aveva avuto la fortuna d'incontrare un uomo che non aveva dileggiato la sua ignoranza, difetto mortale in mezzo agli illustri impertinenti dell'epoca: i Maulincourt, i Ronquerolles, i Maximes de Trailles, i de Marsay, gli Adjuda-Pinto, i Vandenp sse, che si trovavano lj , nella gloria della loro fatuitje mescolati alle donne pi eleganti: lady Brandon, la duchessa de Langeais, la contessa de Kargarouet, la signora de Sp rizy, la duchessa di Carigliano, la contessa Ferraud, la signora de Lanty, la marchesa d'Aiglemont, la signora Firmiani, la marchesa de Listomq re e la marchesa d'Espard, la duchessa de Maufrigneuse e i Grandlieu. Fortunatamente, dunque, l'ingenuo studente s'era imbattuto nel marchese de Montriveau, l'amante della duchessa de Langeais, un generale semplice come un fanciullo, da cui seppe che la contessa de Restaud abitava in via Helder. Essere giovane, aver sete di mondo, aver fame d'una donna, e vedersi schiudere due case! Mettere il piede nel faubourg Saint- Germain, in casa della viscontessa de Beausp ant, il ginocchio nella Chaussp e-d'Antin, in casa della contessa de Restaud! Immergersi con uno sguardo nella fuga dei salotti di Parigi, e ritenersi un cosubel giovane da trovarvi aiuto e protezione in un cuore di donna! Sentirsi tanto ambizioso da dare un superbo calcio alla corda tesa sulla quale bisogna camminare, con la sicurezza del funambulo che non cadrj , e aver trovato in una donna incantevole il miglior bilanciere! Con questi pensieri e dinanzi a questa donna che si ergeva sublime vicino a un fuoco di mattonelle di carbone, tra il Codice e la miseria, chi non avrebbe, come Eugenio, scandagliato l'avvenire con una riflessione, chi non l'avrebbe arredato di successi ? La sua immaginazione anticipava cosuvivacemente le gioie future, che credeva di trovarsi gijaccanto alla signora de Restaud, quando un sospiro simile a un "han" di San Giuseppe turbzil silenzio della notte, risuonznel cuore del giovane in modo da fargli credere si trattasse del rantolo d'un moribondo. Aprupian piano l'uscio e, quando fu nel corridoio, scorse una linea di luce tracciata sotto quello di papjGoriot. Eugenio penszche il suo vicino fosse stato colto da un'indisposizione, avvicinzl'occhio alla serratura, guardznella camera, e vide il vecchio intento a un lavoro che gli sembrztroppo criminale per non credersi in dovere di rendere un servigio alla societjosservando bene quel che stava macchinando nottetempo il sedicente vermicellaio. PapjGoriot doveva aver fissato all'asse di una tavola rovesciata un piatto e una specie di zuppiera d'argento dorato e avvolgeva una specie di corda attorno a questi oggetti riccamente lavorati stringendoli con una tale forza, da torcerli per convertirli verosimilmente in lingotti. "Cj spita! che uomo!", si disse Rastignac nel vedere le braccia nerborute del vecchio che, con l'aiuto di quella corda, deformava in silenzio il metallo come una pasta. "Che sia un ladro o un ricettatore che, per esercitare pial sicuro il suo commercio, si finga sciocco, debole, e viva come un povero?", si chiese Eugenio rialzandosi un momento. Lo studente tornz a porre l'occhio alla serratura. PapjGoriot, sciolta la corda, prese la massa d'argento, la pose sulla tavola dopo avervi steso sopra il tappeto e su questo rotolzil metallo per ridurlo a una sbarra: operazione che eseguucon una facilitjmeravigliosa. "E' dunque forte come lo era Augusto, re di Polonia?", si domandzEugenio, quando la sbarra prese presso a poco la forma rotonda. PapjGoriot guardzil suo lavoro con aria triste, lacrime gli uscirono dagli occhi, spense il mzccolo alla luce del quale aveva attorto quell'argento dorato, ed Eugenio lo sentuandare a letto sospirando. "E' pazzo", penszlo studente. - Povera figlia mia ! - disse ad alta voce papjGoriot. A questa parola, Rastignac stimz prudente tacere su quanto era accaduto e non condannare avventatamente il vicino. Stava per rientrare nella propria camera, quando sentua un tratto un rumore difficile a definirsi e che doveva essere causato da uomini in pantofole, i quali salivano la scala. Eugenio tese l'orecchio e riconobbe effettivamente la respirazione alternata di due uomini. Senza aver avvertito npil cigolio dell'uscio npil passo degli uomini, scorse a un tratto una debole luce al secondo piano, nella camera del signor Vautrin. - Quanti misteri in una pensione familiare! - disse fra spe sp . Scese qualche gradino, si mise ad ascoltare, e il suono dell'oro colpuil suo orecchio. La luce fu subito spenta, le due respirazioni si fecero sentire nuovamente senza che l'uscio avesse cigolato. Poi, man mano che i due uomini scendevano, il rumore andzaffievolendosi. - Chi va lj ? - gridzla signora Vauquer, aprendo la finestra della sua camera. - Sono io che torno, mamma Vauquer - disse Vautrin con la sua grossa voce. "Strano! Cristoforo aveva pur messo i catenacci", penszEugenio rientrando nella propria camera. "Bisogna stare svegli per sapere bene quel che accade intorno, a Parigi". Divagato per tali piccoli fatti dalla propria meditazione ambiziosamente amorosa, si mise a studiare. Distratto dai sospetti sortigli sul conto di papjGoriot, pidistratto ancora dall'immagine della signora de Restaud, che di momento in momento appariva dinanzi a lui come la messaggera d'un brillante avvenire, finuper andarsene a letto e per dormire saporitamente. Su dieci notti promesse allo studio, i ragazzi ne dedicano sette al sonno. Bisogna aver pidi vent'anni per vegliare. L'indomani mattina c'era a Parigi una di quelle nebbie che l'avvolgono e l'oscurano in modo tale, che anche le persone piprecise s'ingannano sul tempo. Si manca agli appuntamenti d'affari. Ognuno crede siano le otto, quando suona mezzogiorno. Erano le nove e mezza, e la signora Vauquer non si era ancora levata. Cristoforo e la grossa Silvia, anche loro in ritardo, prendevano tranquillamente il caffq , preparato con i veli del latte destinato ai pensionanti e che Silvia faceva bollire a lungo, affinchpla signora Vauquer non si accorgesse di questa decima illegalmente percepita. - Silvia - disse Cristoforo inzuppando il primo crostino - il signor Vautrin, che dopo tutto qun brav'uomo, anche questa notte ha ricevuto due persone. Se la signora domandasse, non bisogna dirle nulla. - Vi ha dato qualche cosa? - Mi ha dato cento soldi come mesata; un modo per dire: acqua in bocca. - Tolto lui e la signora Couture, che non sono taccagni, gli altri vorrebbero toglierci con la mano sinistra quel che ci danno con la destra il primo dell'anno - disse Silvia. - Per quel che ci danno ! - fece Cristoforo appena una moneta, e da cento soldi. E' da due anni che papjGoriot si pulisce le scarpe da sp . Quello spilorcio di Poiret fa a meno del lustro e piuttosto se lo berrebbe che darlo alle sue ciabatte. Quanto poi a quel povero diavolo dello studente, mi djquaranta soldi. Quaranta soldi non valgono neppure le spazzole, e per giunta si vende pure gli abiti vecchi. Che baracca! Perz! fece Silvia bevendo a piccoli sorsi il caffq- il nostro servizio qil migliore del quartiere: qui si sta bene Ma, a proposito del grosso papjVautrin, Cristoforo, vi hanno detto qualche cosa? - Su . Ho incontrato giorni fa un signore per strada che mi ha detto: - Abita da voi un signore grosso, coi favoriti tinti? Io gli ho risposto: - No, signore, non se li tinge mica. Un allegrone come lui ha ben altro da fare. L'ho riferito al signor Vautrin, e lui mi ha risposto: - Hai fatto bene, ragazzo mio! Rispondi sempre cosu . Non c'qdi peggio che far conoscere le nostre debolezze. Per questo tante volte vanno a monte i matrimoni. - E a me, al mercato, hanno cercato d'infinocchiarmi per farmi dire se lo vedevo quando si cambia la camicia. Bell'affare! Ma, oh! - disse interrompendosi - ecco che stanno suonando le dieci meno un quarto a Val-de-Grace, e non si sente nessuno. - Ma se sono usciti tutti! La signora Couture e la ragazza sono andate a mangiare alle otto il buon Dio a Saint-Etienne. PapjGoriot quscito con un pacco. Lo studente non tornerj che alle dieci, dopo la lezione. Li ho visti uscire mentre pulivo le scale, e papjGoriot m'ha pure urtato col suo pacco, duro come il ferro. Che diavolo mai farjquel buon uomo? Gli altri lo prendono in giro, ma tutto sommato q un brav'uomo, e vale pidi tutti loro. E' piuttosto tirchio, ma le signore da cui vado qualche volta per lui m'allungano mance vistose, e sono proprio ben messe! - Quelle che lui chiama figlie sue, eh? Saranno una dozzina. - Io sono stato soltanto da due, le stesse che sono venute qui. - Ecco che si sente la signora; e comincerjsubito a strillare; bisogna che vada. Badate al latte, Cristoforo, per via del gatto. Silvia saludalla padrona. - Ma come, Silvia: sono gijle dieci meno un quarto, e mi avete lasciato dormire fino adesso come una marmotta? Una cosa simile non mi era mai capitata. - E' colpa della nebbia, si taglia col coltello. - Ma la colazione? - Mah!, i pensionanti dovevano avere proprio il diavolo in corpo; sono cascati tutti dal letto e sono gijfuori. - Parla bene, Silvia - soggiunse la signora Vauquer- si dice cader da letto. - Signora mia, dirzcome volete voi. Ma tant'qche voi potete far colazione alle dieci. La Michonnette e il Poireau non si sono mossi. Non ci sono che loro in casa, e dormono come quei due sassi che sono. - Ma Silvia, tu li metti tutt'e due insieme; come se... - Come se, che? - riprese Silvia lasciandosi sfuggire una grossa e stupida risata. - Insieme fanno il paio. - Ê curioso, Silvia: come mai il signor Vautrin stanotte qpotuto rientrare dopo che Cristoforo aveva messo i catenacci? - Proprio al contrario, signora. E' lui che ha sentito il signor Vautrin, ed qsceso per aprirgli la porta. E cosuavete creduto... - Dammi il copribusto e va a preparare la colazione. Fa' quel che qrimasto del montone, con le patate, e servi pere cotte, di quelle che costano due centesimi l'una. Pochi istanti dopo, la signora Vauquer discese proprio nel momento in cui il gatto aveva rovesciato con un colpo di zampetta il piattino che copriva una tazza di latte, e lo stava leccando in tutta fretta. - Mistigru ! - gridz. Il gatto scappz, poi tornzper strofinarsi alle sue gambe. - Su , su , fa il vigliacco, sfacciatello! le disse. - Silvia! Silvia! - Che c'q , signora? - Guardate un po' cosa ha bevuto il gatto? - La colpa qdi quella bestia di Cristoforo, glielo avevo detto di coprirlo. Dov'qandato? Ma non vi date pensiero, signora; facciamo conto che quella era la colazione di papj Goriot. L'allungherzcon l'acqua, e lui non se ne accorgerjneppure. Non bada a niente, neanche a quel che mangia. - Ma dove diamine qandato, il nostro caffettiere? - disse la signora Vauquer mettendo a posto i piatti. - E chi lo sa? Quello traffica come cinquecento diavoli. - Ho dormito troppo - disse la signora Vauquer. - Ma cosula signora qfresca come una rosa... In quella il campanello si fece sentire, e Vautrin entrzin sala cantando col suo vocione: A lungo ho corso il mondo E ovunque mi hanno visto... - Oh! Oh!, buon giorno, mamma Vauquer - disse scorgendo l'ospite, che galantemente prese tra le sue braccia. - Andiamo, smettetela. - Chiamatemi impertinente! - riprese. - Andiamo, ditelo. Lo volete dunque dire? Andiamo, vi aiuterza mettere i piatti. Ah!, io son gentile, non qvero? Corteggiar la bruna e la bionda, Amare, sospirar... - Ho visto poco fa una cosa singolare. ...alla ventura. - Cosa? - domandzla vedova. - PapjGoriot alle otto e mezza stava in via Dauphine, dall'orefice che compra argenteria e guarnizioni di metallo. Gli ha venduto per una discreta somma un oggetto di argento dorato, molto bene attorcigliato per uno che non qdel mestiere - Ma davvero ? - Sicuro. Tornavo dall'aver accompagnato un amico in procinto di partire con le Messaggerie reali; e ho atteso per vedere quel che papjGoriot faceva: una cosa comica. E' risalito per questo quartiere passando per la via dei Grq s, ed qentrato in casa d'un noto usuraio che si chiama Gobseck, un autentico tipaccio, capace di giocare a domino con le ossa di suo padre; un giudeo, un arabo, un greco, uno zingaro, un uomo che sarebbe difficile derubare, perchpi suoi scudi li tiene in banca. - Ma che diamine fa questo papjGoriot? - Non fa, disfa - rispose Vautrin. - E' uno stupido, cosuimbecille, da rovinarsi innamorandosi delle ragazze che... - Eccolo - disse Silvia. - Cristoforo! - gridzpapjGoriot - accompagnami su. Cristoforo seguupapjGoriot e ridiscese subito dopo. - Dove vai? - chiese mammjVauquer al suo domestico. - Vado a fare una commissione per il signor Goriot. - E questo, cos'q- disse Vautrin strappando dalle mani di Cristoforo una lettera sulla quale lesse: "Alla Signora contessa Anastasia de Restaud". - E dove la porti? - In via dell'Helder. Ho l'ordine di non consegnarla che alla signora contessa. - Che c'qdentro? - domandzVautrin, mettendo la lettera contro luce - un biglietto di banca? No. - Apri un poco la busta. - Una cambiale all'ordine - esclamz. - Cj spita! E' galante, quel vecchio rimbambito. Va', furbacchione - disse coprendo con la sua larga mano il capo di Cristoforo, che fece girare su se stesso come un dado - rimedierai una buona mancia. La tavola era stata intanto apparecchiata. Silvia faceva bollire il latte. La signora Vauquer accendeva la stufa aiutata da Vautrin che canterellava sempre: A lungo ho corso il mondo E ovunque mi hanno visto.. Quando tutto fu pronto, la signora Couture e la signorina Taillefer rincasarono. - Da dove venite, cosudi buon mattino, mia bella signora? disse la signora Vauquer alla signora Couture. - Siamo state a far le nostre devozioni a Saint-Etienne-du-Mont; non dobbiamo andare oggi dal signor Taillefer? Povera piccola, trema come una foglia - riprese la signora Couture sedendosi dinanzi alla stufa, alla cui bocca presentzle sue scarpe, che si misero a fumare. - Scaldatevi, Vittorina - disse la signora Vauquer. - E' bene, signorina, pregare il buon Dio d'intenerire il cuore di vostro padre - disse Vautrin, avvicinando una sedia all'orfana. Ma questo non basta. Ci vorrebbe un amico che s'incaricasse di dire il fatto suo a quel brutto tipo, a quel selvaggio che si dice abbia tre milioni e non vi djun soldo di dote. Una bella ragazza, oggi, ha bisogno di dote. - Povera figliuola - disse la signora Vauquer. Ma, tesoro mio, quel mostro di vostro padre se ne tira addosso, di maledizioni, quante ne vuole! A queste parole gli occhi di Vittorina s'inumidirono di lacrime e la vedova non proseguu , a un cenno che le fece la signora Couture - Basterebbe che lo vedessimo, basterebbe che gli potessi parlare e dargli l'ultima lettera di sua moglie riprese a dire la vedova dell'ufficiale di Commissariato. - Non mi sono azzardata a mandargliela per posta, riconoscerebbe la mia calligrafia... - "O donne innocenti, disgraziate e perseguitate" esclamzVautrin interrompendo - siete dunque a questo punto? Di qui a qualche giorno, penserzio alle vostre cose, e vedrete che tutto andrjbene. -Oh! signore - disse Vittorina, dando uno sguardo umido e insieme ardente a Vautrin, che non se ne commosse - se conoscete un mezzo per arrivare a mio padre, ditegli che il suo affetto e l'onore di mia madre mi sono pipreziosi di tutte le ricchezze del mondo. Se riuscirete a ottenere che egli mitighi la sua ostinazione, pregherzil buon Dio per voi. Siate sicuro d'una riconoscenza... - "A lungo ho corso il mondo" - cantzVautrin con voce ironica. In quel momento Goriot, la signorina Michonneau, Poiret discesero, attratti forse dall'odore della salsa che Silvia stava facendo per cucinare gli avanzi del montone. Quando i sette commensali si misero a tavola augurandosi il buon giorno, suonarono le dieci e si sentudalla strada il passo dello studente. - Ah!, bene, signor Eugenio - disse Silvia - oggi farete allora colazione con tutti gli altri. Lo studente salutzi pensionanti e si mise a sedere accanto a papjGoriot. - Mi qcapitata una strana avventura - disse servendosi una abbondante porzione di montone e tagliandosi un pezzo di pane che la signora Vauquer misurava sempre con l'occhio. - Un'avventura! - fece Poiret. - Ebbene, perchpve ne meravigliereste, vecchio parruccone? disse Vautrin a Poiret. - Il signore qproprio fatto per averle. La signorina Taillefer fece scivolare timidamente uno sguardo sul giovane studente. - Raccontateci la vostra avventura - disse la signora Vauquer. - Ieri mi trovavo al ballo della signora viscontessa de Beausp ant, una mia cugina che ha una magnifica casa, con stanze tappezzate di seta, e che ci ha offerto insomma una festa superba, dove mi sono divertito come un re... - Attu no - disse Vautrin interrompendolo di netto. - Signore - riprese vivacemente Eugenio - che volete dire con questo? - Dico "attu no", perchpi reattini si divertono molto pidei re. - Ê vero: io preferirei essere quest'uccellino senza pensieri, piuttosto che un re, in quanto.. - fece Poiret, l'"idemista". - Breve - riprese lo studente tagliandogli la parola - ballo con una delle pibelle donne della festa, una contessa incantevole, la pideliziosa creatura che abbia mai visto. Aveva fiori di pesco tra i capelli, sul fianco il pibel mazzolino di fiori naturali profumatissimi; ma, via!, avreste dovuto vederla, qimpossibile descrivere una donna nell'animazione della danza. Ebbene!, stamane ho incontrato la divina contessa, verso le nove, a piedi, in via dei Grq s. Oh!, il cuore mi ha dato un balzo, credevo... - Che lei venisse qui - disse Vautrin, lanciando uno sguardo profondo allo studente. Andava certamente da papjGobseck, un usuraio. Se frugate nei cuori delle donne, a Parigi, vi troverete l'usuraio prima dell'amante. La vostra contessa si chiama Anastasia de Restaud, e abita in via dell'Helder. - A questo nome lo studente guardzfisso Vautrin. PapjGoriot sollevzdi scatto la testa, gettzsui due interlocutori uno sguardo luminoso e pieno d'inquietudine, che sorprese i pensionanti. - Cristoforo arriverjtroppo tardi, e lei ci sarjandata - si disse fra spe spdolorosamente Goriot. - Ho indovinato - disse Vautrin curvandosi all'orecchio della signora Vauquer. Goriot mangiava macchinalmente senza sapere quel che mangiava. Non era mai apparso cosustupido e piassorto come in quel momento. - Chi diavolo, signor Vautrin, ha potuto dirvi il suo nome? domandzEugenio. - Ah, ah!, ecco - rispose Vautrin. - PapjGoriot lo sapeva bene, lui ! E perchpnon dovrei saperlo io? - Il signor Goriot? - esclamzlo studente. - Ah, dunque! - disse il povero vecchio. - Era proprio tanto bella, ieri? - Chi? - La signora de Restaud. - Guardate il vecchio pezzente - disse la signora Vauquer a Vautrin - come gli si accendono gli occhi. - Che la mantenga lui? - disse sottovoce la signorina Michonneau allo studente. - Oh!, su , era straordinariamente bella - riprese Eugenio, che papjGoriot intanto guardava avidamente. - Se la signora de Beausp ant non fosse stata lu , la mia divina contessa sarebbe stata la regina del ballo; i giovani non ammiravano che lei, io ero il dodicesimo iscritto nella sua lista, lei ballava tutte le contraddanze. Le altre signore morivano d'invidia. Se c'qstata ieri una creatura felice, quella era lei. E' proprio giusto dire che non c'qnulla di pibello che fregata a vela, cavallo al galoppo e donna che balla. - Ieri all'apogeo della fortuna, da una duchessa disse Vautrin;- stamane in fondo alla scala, da un usuraio: ecco le Parigine. Se i loro mariti non possono mantenerle nel lusso sfrenato, si vendono. Se non sanno vendersi, sventrerebbero la madre per cercarvi di che brillare. Ne fanno di tutti i colori. Lo sappiamo, lo sappiamo! Il viso di papjGoriot, che s'era acceso come il sole di una bella giornata ascoltando lo studente, divenne cupo alla crudele osservazione di Vautrin. - Ma dunque - disse la signora Vauquer - qual qla vostra avventura? Le avete parlato? Le avete chiesto se voleva imparare il Diritto? - Lei non mi ha visto - rispose Eugenio. - Ma incontrare una delle pigraziose donne di Parigi in via dei Grq s, alle nove, una donna rientrata dal ballo alle due del mattino, non q singolare? Solo a Parigi si hanno queste avventure. - Perz, ce ne sono di pistrane ancora - esclamzVautrin. Lasignorina Taillefer aveva appena ascoltato questa conversazione, tanto era preoccupata per il tentativo cui si accingeva. La signora Couture le fece segno di alzarsi perchpsi andasse a vestire. Quando le due uscirono, papjGoriot le imitz. - Ebbene, avete visto? - disse la signora Vauquer a Vautrin e agli altri pensionanti. - E' chiaro che s'qrovinato per quelle donne. - Non potrzmai credere - esclamzlo studente - che la bella contessa de Restaud sia di papjGoriot. - Ma - gli disse Vautrin interrompendolo - noi non ci teniamo affatto a farvelo credere. Siete ancora troppo giovane per conoscere bene Parigi; vedrete pi in lj che ci s'incontrano quelli che noi chiamiamo: "sottanieri"... (A queste parole, la signorina Michonneau guardzVautrin con un'aria d'intelligenza). L'avreste detto un cavallo da parata che sente il suono della tromba. Ah!, ah! - fece Vautrin interrompendosi per gettarle uno sguardo profondo - non abbiamo avuto anche noi le nostre passioncelle? (La vecchia zitella abbasszgli occhi, come una suora che veda delle statue). Ebbene, - egli riprese quei tipi sposano un'idea, e non la mollano. Essi non hanno sete che d'una certa acqua presa a una certa fontana, e spesso stagnante; per poterla bere, venderebbero pure le loro mogli, i loro figli, venderebbero l'anima al diavolo. Per alcuni, la fontana qil gioco, la borsa, una collezione di quadri o d'insetti, la musica; per altri, quna donna che sa cucinar loro qualche ghiottoneria. A questi potreste offrire tutte le donne della terra, essi se ne infischiano, vogliono solo quella che soddisfa le loro passioni. Spesso questa donna non li ama affatto, li maltratta, vende loro molto care poche briciole di appagamento; ebbene, questi capi ameni non si stancano, e porterebbero l'ultima coperta al Monte di Pietjper dar loro l'ultimo scudo. PapjGoriot quno di questi. La contessa lo sfrutta perchplui qdiscreto, ed ecco il bel mondo! Il pover'uomo non pensa che a lei. Fuori della sua passione, voi lo vedete, qun bestione. Mettetelo su tale terreno, il suo viso scintilla come un diamante. Non qdifficile indovinare il suo segreto. Egli ha portato stamattina a far fondere l'argento dorato, e l'ho visto entrare da papjGobseck in via dei Grq s. Seguitemi bene! Tornando, ha mandato dalla contessa quello scemo di Cristoforo, che ci ha fatto vedere l'indirizzo della lettera in cui era contenuta una cambiale all'ordine. E' chiaro che, se la contessa andava anche lei dal vecchio usuraio, la cosa doveva essere urgente. PapjGoriot ha galantemente pagato per lei. Non qnecessario faticare molto per vederci chiaro. Cizvi prova, mio giovane studente, che mentre la vostra contessa rideva, ballava, faceva la smorfiosa, lasciava dondolare i suoi fiori di pesco, e stringeva la veste, era sulle spine, come si dice, pensando alle cambiali protestate, o a quelle dell'amante. - Mi fate venire una voglia matta di sapere la veritj . Andrzdomani dalla signora de Restaud - esclamzEugenio. - Su- disse Poiret - bisogna andare domani dalla signora de Restaud. - Ci troverete forse il buon uomo Goriot, a riscuotere il premio delle sue galanterie. - Ma - disse Eugenio con un'aria di disgusto - la vostra Parigi qdunque proprio un pantano. - E un curioso pantano - riprese Vautrin. - Chi ci s'infanga in vettura quna persona per bene, chi ci s'infanga a piedi qun briccone. Se vi tocca portar via a qualcuno una cosa qualsiasi, siete messo alla berlina sulla piazza del Palazzo di Giustizia come una curiositj . Rubate un milione, e siete mostrato a dito nei salotti come un esempio di virt. Voi pagate trenta milioni alla Gendarmeria e alla Giustizia per tenere in piedi questa morale. Che bella cosa! - Come - esclamzla signora Vauquer - papjGoriot avrebbe dato a fondere il suo servizio da colazione d'argento dorato? - Sul coperchio c'erano due tortorelle? - domando Eugenio. - Proprio cosu . - Ci teneva tanto! Piangeva, quando ha contorto la tazza e il piattino. L'ho visto per caso disse Eugenio. - Ci teneva come alla sua vita - aggiunse la vedova. - Vedete quanto il buon uomo qinnamorato - esclamzVautrin. Quella donna sa ben lusingarlo. Lo studente risaluin camera. Vautrin uscu . Pochi istanti dopo, la signora Couture e Vittorina montarono in una vettura da piazza, che Silvia era andata a cercare per loro. Poiret offruil braccio alla signorina Michonneau e tutti e due andarono a passeggio al Jardin des Plantes, approfittando delle due belle ore della giornata. - E allora, eccoli ljquasi sposati - disse la grossa Silvia. Escono oggi insieme per la prima volta. Sono tutti e due cosusecchi che, se si urtano, sprizzeranno faville come un acciarino. - Attenzione allo scialle della signorina Michonneau - disse ridendo la signora Vauquer prenderjcome un'esca. Alle quattro del pomeriggio, Goriot, quando rientrz, vide, alla luce di due lampade fumose, Vittorina con gli occhi rossi. La signora Vauquer ascoltava il racconto della visita infruttuosa fatta al signor Taillefer nella mattinata. Annoiato di ricevere sua figlia e quella vecchia donna, Taillefer le aveva lasciate giungere fino a lui per spiegarsi con loro. - Mia cara signora - diceva la signora Couture alla signora Vauquer - pensate che non ha neppure fatto sedere Vittorina, che qrimasta sempre in piedi. A me ha poi detto, senza andare in collera, con la massima freddezza, di risparmiarci il disturbo di andare da lui; che la signorina, senza chiamarla sua figlia, danneggiava se stessa importunandolo cosu (una volta all'anno, il mostro !); che, avendo sposato senza dote la madre di Vittorina, lei non aveva nulla da pretendere; insomma, le cose pidure, da far sciogliere in lacrime la povera piccola. Lei s'qgettata allora ai piedi del padre, e gli ha detto coraggiosamente che insisteva tanto solo per sua madre, e che gli avrebbe obbedito, senza far commenti; ma che lo supplicava di leggere il testamento della povera morta. Lei ha preso la lettera e gliela ha presentata, con le pibelle e pisentite espressioni: non so dove le qandate a trovare, Dio gliele dettava, perchpla povera figliuola era cosubene ispirata che io, ascoltandola, piangevo come un vitello. Sapete che cosa faceva intanto quell'orrendo uomo? Si tagliava le unghie; poi, ha preso la lettera che la povera signora Taillefer aveva bagnato con le sue lacrime, e l'ha gettata al fuoco dicendo: "Va bene!". Ha fatto il gesto di risollevare la figlia, che gli stava prendendo le mani per baciarle, ma le ha ritirate. Non quna scelleratezza? Quello scioccone del figlio qentrato, e non ha neppure salutato la sorella . - Ma questi sono proprio due mostri! - disse papjGoriot. - E poi - soggiunse la signora Couture senza raccogliere l'esclamazione del buon uomo padre e figlio se ne sono andati salutandomi e pregandomi di scusarli, perchpavevano affari urgenti. Ecco com'qandata la nostra visita. Ma almeno ha veduto sua figlia. Non capisco come possa non riconoscerla: gli somiglia come una goccia d'acqua. I pensionanti, interni ed esterni, arrivarono gli uni dopo gli altri augurandosi scambievolmente il buon giorno e dicendosi quei nonnulla che esprimono, presso certi ceti parigini, uno spirito lq pido in cui la stoltizia ql'ingrediente principale, e il cui merito consiste particolarmente nel gesto che li accompagna o nel modo di pronunciarli. Questa specie di gergo varia continuamente. La facezia che ne qil principio non ha mai pidi un mese di vita. Un avvenimento politico, un processo in corte d'Assise, una canzonetta, i frizzi di un attore, tutto serve ad alimentare questo gioco dello spirito, che consiste soprattutto a considerare le idee e le parole come volani e a rimandarsele con le racchette. La recente invenzione del Diorama, che portava l'illusione dell'ottica a un grado pialto dei Panorami, aveva introdotto in alcuni studi di pittori la facezia di parlare in "rama", una specie di morbo che un giovane artista, frequentatore della pensione Vauquer, vi aveva inoculato. - Ebbene, signor Poiret - disse l'impiegato al Museo - come va la vostra "saluterama"? Poi, senza aspettare la risposta: Signore voi siete addolorate - disse alla signora Couture e a Vittorina. - Andiamo a "mangere" - esclamzOrazio Bianchon, uno studente di medicina, amico di Rastignac; - il mio stomaco qsceso "usque ad talones".. - Fa un famoso "frettorama"! - disse Vautrin. Scansatevi dunque, papjGoriot! Che diamine! Il vostro piede prende tutta la bocca della stufa. - Illustre signor Vautrin - disse Bianchon - perchpdite "frettorama"? C'quno sbaglio, si dice "freddorama". - No - disse l'impiegato al Museo - secondo la regola si deve dire "frettorama": ho fretto ai piedi. - Ah! Ah! - Ecco sua eccellenza il marchese di Rastignac, dottore in dirittorovescio - esclamz Bianchon afferrando Eugenio per il collo e stringendolo in modo da quasi soffocarlo. Ohp !, voi altri, ohp ! - La signorina Michonneau entrzpian piano, salutzi commensali senza far parola, e andza sedersi vicino alle tre donne. - Quella mi fa battere sempre i denti, quella vecchia cornacchia- disse a bassa voce Bianchon a Vautrin indicandogli la signorina Michonneau. - Io che sto studiando il sistema di Gall, riscontro in lei le bozze di Giuda. - Signore, l'avete conosciuta? - E chi non la conosce? Parola mia d'onore, quella vecchia zitella pallida mi fa l'effetto di quei lunghi vermi che finiscono per consumare una trave. - Ecco quel che q , giovanotto - disse il quadragenario lisciandosi i favoriti. E rosa, ella ha vissuto quanto vivon le rose, Quanto un mattino. - Ah! ah!, ecco una famosa "zupporama" - disse Poiret vedendo Cristoforo che entrava portando rispettosamente la zuppa. - Vogliate perdonarmi, signore - disse la signora Vauquer - ma non qche una zuppa di cavoli. I giovanotti scoppiarono a ridere. - Toccato, Poiret! - Poirrette toccato! - Segnate due punti alla signora Vauquer - disse Vautrin. - Ma avete visto che nebbia, stamattina? - disse l'impiegato. - Era - disse Bianchon - una nebbia frenetica, mai vista, una nebbia lugubre, malinconica, verde, bolsa, una nebbia Goriot. - "Goriorama" - disse il pittore - perchpnon ci si vedeva piin ljdi un palmo. - Hp !, milord Gaoriotte, "loro star parlando di vui". Seduto all'infimo posto della tavola, vicino alla porta attraverso la quale passava il domestico, papjGoriot sollevzla testa odorando, per una vecchia abitudine commerciale che talvolta ricompariva, un pezzo di pane che stava sotto la sua salvietta. - Ebbene! - gli gridzaspramente la signora Vauquer, con una voce che dominzil rumore dei cucchiai, delle scodelle e delle voci - non qforse buono quel pane? - Al contrario, signora - le rispose - qfatto con la farina di Etampes, di prima qualitj . - Come lo capite? - gli domandzEugenio. - Dalla bianchezza, dal gusto. - Dal gusto del naso, visto che l'odorate - disse la signora Vauquer. - State diventando cosueconomo, che finirete per trovare il modo di nutrirvi fiutando l'aria della cucina. - Prendete allora un brevetto d'invenzione esclamzl'impiegato al Musco - e farete una bella fortuna. - Ma no, lui fa cosuper persuadersi di essere stato vermicellaio - disse il pittore. - Il vostro naso, qdunque una storta - chiese l'impiegato al Museo. - Stor-cosa? - fece Bianchon. - Stor-tura. - Stor-piamento. - Stor-ione. - Stor-nello. - Stor-mo. - Stor-dito. - Stor-iella. - Stor-norama. Queste otto risposte partirono da tutte le parti della sala con la rapiditjd'un fuoco di fila, e fecero tanto piridere in quanto il povero papjGoriot guardava i commensali con un'aria ingenua, come un uomo che cerca di capire una lingua straniera. - Stor? - domandza Vautrin - che gli stava vicino. - Stor-ta ai piedi, vecchio mio! - rispose Vautrin incalcandogli il cappello con una pacca sulla testa da farglielo scendere fino agli occhi. Il povero vecchio, stupefatto da quel brusco colpo rimase, per un momento, immobile. Cristoforo portzvia la scodella del buon uomo, credendo avesse finito la minestra; in modo che, quando Goriot, dopo essersi rialzato il cappello, riprese il cucchiaio, lo battpsulla tavola. Tutti i commensali scoppiarono dal ridere. - Signore - disse il vecchio - voi siete un impertinente, e se vi permettete di darmi un'altra volta simili incalcate... - Ebbene!, e allora?, papj- disse Vautrin interrompendolo. - Ebbene!, voi la pagherete cara un giorno o l'altro... - All'inferno, non qvero? - disse il pittore - in quell'angoletto nero dove si mettono i bambini cattivi! - Ma, signorina - disse Vautrin a Vittorina - voi non mangiate nulla. Il babbo si q mostrato recalcitrante? - Un orrore - fece la signora Couture. - Bisogna ricondurlo alla ragione - disse Vautrin. - Perz- disse Rastignac, che era assai vicino a Bianchon - la signorina potrebbe intentare un processo per gli alimenti, perchpnon mangia affatto. Eh!, eh!, guardate come papj Goriot sta osservando la signorina Vittorina. Il vecchio non badava a mangiare per contemplare la povera ragazza, dal cui volto traspariva un dolore vero, il dolore della figlia non riconosciuta che ama suo padre. - Mio caro - disse Eugenio a bassa voce - ci siamo ingannati sul conto di papjGoriot. Non qnpun imbecille, npun uomo senza nervi. Applicagli il sistema Gall e dimmi poi quel che ne pensi. Gli ho visto questa notte contorcere un piatto d'argento dorato come fosse stato di cera, e in questo momento l'espressione del suo viso indica sentimenti fuori dell'ordinario. La sua vita qcosumisteriosa che mi sembra valga la pena d'essere studiata. Su , Bianchon, tu hai un bel ridere, ma io non scherzo. - Quest'uomo qun caso clinico - disse Bianchon - d'accordo, se accetta, lo anatomizzo. - No, palpagli la testa. - Ah!, bravo, la sua stoltizia puzesser contagiosa! L'indomani Rastignac si vestuin modo assai elegante e si recz, verso le tre del pomeriggio, dalla signora de Restaud, abbandonandosi lungo la strada a quelle speranze storditamente folli, che fanno la vita dei giovani cosubella d'emozioni; essi non calcolano allora npgli ostacoli npi pericoli, vedono sempre il successo, poetizzano la loro esistenza col solo gioco dell'immaginazione, e divengono infelici o tristi per il fallimento di progetti animati solo dai loro desideri sfrenati; se costoro non fossero ignari e timidi, il mondo sociale sarebbe impossibile. Eugenio camminava usando mille precauzioni per non infangarsi, ma camminava pensando a quel che avrebbe detto alla signora de Restaud; faceva provviste di spirito, inventava le risposte di una conversazione immaginaria, preparava le sue battute argute, le sue frasi alla Talleyrand, supponendo piccole circostanze favorevoli alla dichiarazione d'amore su cui fondava il proprio avvenire. Lo studente, tuttavia, s'infangz, dovette farsi pulire gli stivaletti e spazzolare i pantaloni al Palais- Royal. "Se fossi ricco", disse fra spe spcambiando una moneta da cento soldi che aveva portato per qualche imprevisto, sarei andato in carrozza, e avrei potuto pensare con agio ai casi miei!". Finalmente giunse in via di Helder e chiese della contessa de Restaud. Con la rabbia fredda di un uomo sicuro di trionfare un giorno, subul'occhiata sprezzante di coloro che lo avevano visto attraversare il cortile a piedi, senza aver sentito il rumore d'una carrozza alla porta. Quell'occhiata fu per lui tanto pipenosa in quanto s'era reso conto della sua inferioritjentrando nel cortile, ove scalpitava un bel cavallo riccamente attaccato a uno di quei carrozzini sgargianti, ostentazioni del lusso di una vita dissipata e sottintesi dell'abitudine a tutte le felicitjparigine. Si mise di cattivo umore. I cassetti aperti nel suo cervello, che contava di trovare pieni di spirito, si chiusero; diventzstupido. Aspettando la risposta della contessa, alla quale un domestico annunciava i nomi dei visitatori, Eugenio si appoggizsu di un piede solo dinanzi a una finestra dell'anticamera, appoggiz il gomito sulla maniglia della finestra, e guardzmacchinalmente nella corte. Il tempo non gli passava mai, e gijse ne sarebbe andato via, se non avesse avuto quella tenacia meridionale che fa prodigi quando segue la linea retta. - Signore - disse il domestico - la signora qora nel suo salottino privato, molto occupata, e non mi ha neppure risposto; ma, se il signore vuol passare in salotto, c'qgijqualcuno. Pur ammirando lo spaventevole potere di questa gente che, con una sola parola, accusa o giudica i propri padroni, Rastignac aprula porta da cui era uscito il domestico certamente apposta per far credere a tali domestici che egli conosceva bene i padroni di casa; ma sbuczsventatamente in una stanza dove si trovavano lumi, credenze, un apparecchio per riscaldare gli asciugamani del bagno, e che conduceva a un corridoio oscuro e a una scala segreta. Le risa soffocate che udunell'anticamera portarono al colmo la sua confusione. - Signore, il salotto qda questa parte - gli disse il domestico con quel falso rispetto che sembra uno scherno di pi. Eugenio tornzsui suoi passi con una tale precipitazione, che urtzcontro una vasca da bagno, ma resse fortemente nella mano il cappello in modo da impedire che gli ci cadesse dentro. In quel momento un uscio si apruin fondo al lungo corridoio illuminato da una piccola lampada, e Rastignac sentunello stesso tempo la voce della signora Restaud, quella di PapjGoriot e il suono di un bacio. Rientrznella sala da pranzo, la traversz, seguuil domestico e rientrznel primo salotto, dove rimase fermo dinanzi alla finestra, accorgendosi solo allora che dava nel cortile. Egli voleva vedere se quel papjGoriot era realmente il suo papjGoriot. Il cuore gli batteva in modo strano, si rammentava delle spaventose riflessioni di Vautrin. Il domestico attendeva Eugenio alla porta del salotto, ma da questo uscua un tratto un elegante giovane che disse con impazienza: - Me ne vado, Maurizio. Direte alla signora contessa che l'ho attesa per pidi mezz'ora. - Questo impertinente, il quale senza dubbio aveva diritto di esserlo, canticchiz qualche gorgheggio all'italiana dirigendosi verso la finestra dov'era Eugenio, sia per vedere la faccia dello studente, sia per guardare in cortile. - Ma il signor conte farebbe meglio ad aspettare ancora un istante, la signora ha finito disse Maurizio ritornando in anticamera. In quel momento, papjGoriot sbucava vicino al portone dall'uscita della scaletta. Il buon uomo tendeva l'ombrello e si accingeva ad aprirlo, senza vedere che il portone era stato aperto per far passare un giovane decorato, che guidava un tilbury. PapjGoriot ebbe appena il tempo di trarsi indietro per non essere schiacciato. La seta dell'ombrello aveva spaventato il cavallo, che fece un leggero scarto verso la gradinata. Il giovane voltzla testa incollerito, guardzpapjGoriot, e gli fece, prima che uscisse, un saluto che mostrava la considerazione obbligata che si concede agli usurai di cui si ha bisogno, o quel rispetto necessario che esige un uomo bacato, di cui pitardi si arrossisce. PapjGoriot rispose con un piccolo saluto amichevole, pieno di bonomia. Tutto cizaccadde con la rapiditj d'un baleno. Troppo assorto per accorgersi che non era solo, Eugenio sentua un tratto la voce della contessa. - Ah!, Massimo, voi ora ve ne andavate - disse con un tono di rimprovero a cui s'univa un po' di stizza. La contessa non aveva fatto attenzione all'arrivo del tilbury. Rastignac si volse di scatto e vide la contessa in una civettuola vestaglia di cascemir bianco, a nastri rosa, pettinata con una certa negligenza, come lo sono le parigine al mattino; era profumata, aveva senza dubbio fatto il bagno, e la sua bellezza, per cosudire ammorbidita, sembrava pivoluttuosa; i suoi occhi erano umidi. L'occhio dei giovani sa vedere tutto; il loro animo si unisce alle irradiazioni della donna come una pianta aspira nell'aria le sostanze che le sono necessarie; Eugenio sentula freschezza delle mani di quella donna senza aver bisogno di toccarle. Egli vedeva, attraverso il cascemir, i toni rosa del busto che la vestaglia, leggermente dischiusa, lasciava a momenti scoperto, e sul quale il suo sguardo si stendeva. L'espediente delle stecche non occorreva alla contessa, bastava la sola cintura a marcarle la flessuosa vita, il suo collo invitava all'amore, i suoi piedi eran graziosi nelle pantofoline. Quando Massimo prese quella mano per baciarla, solo allora Eugenio si accorse di lui e la contessa, di Eugenio. - Ah!, siete voi, signor de Rastignac, sono lieta di vedervi disse con un tono al quale sanno ubbidire le persone di spirito. Massimo guardava alternativamente Eugenio e la contessa in modo assai significativo per fare andare via l'intruso. - Suvvia, mia cara, spero che metterai questo stupidello alla porta! Questa frase era la traduzione chiara e intelligibile degli sguardi del giovane impertinentemente fiero, che la contessa aveva chiamato Massimo, e del quale lei consultava il viso, con quell'intento sottomesso che rivela tutti i segreti di una donna senza che essa se ne accorga. Rastignac provzun odio violento per quel giovane. Innanzi tutto i bei capelli biondi e ben pettinati di Massimo gli fecero capire quanto i suoi fossero orribili. Poi Massimo aveva stivaletti fini e puliti, mentre i suoi, malgrado l'attenzione che aveva messo nel camminare, erano ricoperti d'un leggero strato di fango. Infine Massimo indossava un soprabito che gli stringeva elegantemente i fianchi e lo faceva somigliare a una graziosa donna, mentre Eugenio portava, alle due e mezza, un abito nero. L'accorto figlio della Charente sentula superioritjche l'abbigliamento conferiva a quel dandy, sottile e alto, dall'occhio chiaro, dal colorito pallido, un di quegli uomini capaci di mandare in rovina degli orfani. Senza attendere la risposta d'Eugenio, la signora de Restaud corse come a volo spiegato nell'altro salotto, facendo svolazzare i lembi della vestaglia che s'avvolgevano e si dispiegavano, in modo da darle l'apparenza d'una farfalla; e Massimo la seguu . Eugenio, su tutte le furie, seguuMassimo e la contessa. I tre personaggi si trovarono percizdi fronte all'altezza del caminetto, in mezzo al salotto principale. Lo studente sapeva bene che avrebbe dato impaccio all'odioso Massimo; ma, a rischio di spiacere alla signora de Restaud, volle dare impaccio al dandy. A un tratto, rammentandosi di aver visto il giovanotto al ballo della signora de Beausp ant, comprese quel che rappresentasse Massimo per la signora de Restaud; e, con quell'audacia giovanile che fa commettere grandi sciocchezze od ottenere grandi successi, si disse: "Ecco il mio rivale, voglio trionfare su di lui". Imprudente!, ignorava che il conte Massimo de Trailles era solito farsi insultare, per poter poi tirare per primo e uccidere l'avversario. Eugenio era un provetto cacciatore, ma non aveva ancora abbattuto venti fantocci su ventidue in un tiro a segno. Il giovane conte si gettzin una poltrona vicino al fuoco, prese le molle, e smosse i tizzoni con una mossa cosuviolenta, cosuscontenta, che il bel volto d'Anastasia espresse una subitanea afflizione. La giovane donna si volse verso Eugenio e gli diede uno di quegli sguardi freddamente interrogativi che dicono tanto chiaro: "Perchpnon ve ne andate?", da far subito pronunciare alle persone bene educate di quelle frasi che bisognerebbe chiamare: frasi d'uscita. Eugenio assunse un'aria garbata e disse: - Signora, avevo urgenza di vedervi per... S'interruppe senza aggiungere altro. Un uscio s'apru . Il signore del tilbury apparve, senza cappello, non salutz la contessa, guardz preoccupato Eugenio, e stese la mano a Massimo, dicendogli: "Buon giorno", con un'espressione fraterna che sorprese singolarmente Eugenio. I giovani di provincia non sanno quanto sia dolce la vita a tre. - Il signor de Restaud - disse la contessa allo studente, presentandogli suo marito. Eugenio s'inchinzprofondamente. - Signore - lei disse continuando e presentando Eugenio al conte de Restaud - il signor de Rastignac, parente della signora viscontessa de Beausp ant dalla parte dei Marcillac, e che ho avuto il piacere d'incontrare all'ultimo suo ballo. "Parente della signora viscontessa de Beausp ant dalla parte dei Marcillac"! Queste parole, che la contessa pronuncizquasi enfaticamente per quella specie d'orgoglio che prova una padrona di casa nel dimostrare che da lei vengono solo persone distinte, ebbero un effetto magico; il conte perdette il suo tono freddamente cerimonioso e salutzlo studente. - Molto lieto - disse - signore, di poter fare la vostra conoscenza. Lo stesso Massimo de Trailles diede a Eugenio uno sguardo inquieto e smise subito la sua aria impertinente. Questo colpo di bacchetta magica, dovuto al potente intervento di un nome, aprutrenta caselle nel cervello del Meridionale, e gli fece ritornare lo spirito che s'era preparato. Una subitanea luce gli fece vedere chiaro nell'atmosfera dell'alta societj parigina, ancora tenebrosa per lui. La casa Vauquer, papjGoriot, erano in quel momento ben lungi dal suo pensiero. - Credevo la famiglia dei Marcillac estinta! - disse il conte de Restaud a Eugenio. - Su , signore - questi rispose. - Il mio prozio, il cavaliere de Rastignac, sposzl'erede della famiglia de Marcillac. Egli ebbe una sola figlia, che sposzil maresciallo de Clarimbault, avo materno della signora de Beausp ant. Noi siamo il ramo cadetto, ramo tanto pi povero in quanto il mio prozio, vice-ammiraglio, ha tutto per perduto al servizio del re. Il governo rivoluzionario non ha voluto ammettere i nostri crediti alla liquidazione della compagnia delle Indie. - Il vostro signor prozio non era forse il comandante del "Vengeur" prima del 1789? - Precisamente. - Allora egli deve aver conosciuto mio nonno, che comandava il "Warwick". Massimo alzzlievemente le spalle guardando la signora de Restaud, come per dirle: "Se si mette a parlare di marina con quello lu , siamo perduti". Anastasia capulo sguardo del signor de Trailles. Con quella ammirevole presenza di spirito che hanno le donne sorrise dicendo: - Venite con me, Massimo, ho qualcosa da chiedervi. Signori, vi lasceremo navigar di conserva sul "Warwick" e sul "Vengeur". Si alzze fece un segno d'ironico tradimento a Massimo, che insieme a lei prese la strada del salottino. Non appena la coppia "morganatica", graziosa espressione tedesca che non ha equivalente in francese, raggiunse la porta, il conte interruppe la conversazione con Eugenio. - Anastasia!, ma restate qui, mia cara - esclamzcon malumore- sapete bene che... - Torno, torno - disse lei interrompendolo - solo un momento per dire a Massimo una cosa di cui voglio incaricarlo. Tornzsubito. Come tutte le donne che, obbligate a rispettare il carattere del marito per poter fare il loro comodo, sanno fin dove possono arrivare per non perdere una fiducia preziosa, e che a tale scopo non lo urtano nelle piccole cose della vita, la contessa aveva capito dalle inflessioni della voce del conte che non era prudente trattenersi nel salottino. Questi contrattempi erano dovuti alla presenza di Eugenio. Percizla contessa indiczlo studente con un'aria e un gesto pieni di dispetto a Massimo, il quale disse molto epigrammaticamente al conte, a sua moglie e a Eugenio: - Sentite, voi avete da parlare d'affari, non voglio disturbarvi; arrivederci. - E uscu precipitosamente. - Ma restate, Massimo! - gridzil conte. - Venite a pranzo da noi - disse la contessa che, lasciando ancora una volta Eugenio e il conte, seguuMassimo nel primo salotto, ove rimasero insieme quel tanto da credere che nel frattempo il signor de Restaud avrebbe liquidato Eugenio. Rastignac li sentiva ora scoppiar dal ridere, ora parlare, ora tacere; ma il malizioso studente faceva intanto lo spiritoso col signor de Restaud, lo adulava o lo imbarcava in discussioni, per rivedere la contessa e sapere quali erano le sue relazioni con papjGoriot. Quella donna, evidentemente innamorata di Massimo, quella donna, padrona di suo marito, legata segretamente al vecchio vermicellaio, gli sembrava tutto un mistero. Egli voleva penetrare in tale mistero, sperando cosudi poter regnare da sovrano su quella donna cosusquisitamente Parigina. - Anastasia - disse il conte, chiamando di nuovo sua moglie. - Mio povero Massimo - disse lei al giovanotto - bisogna rassegnarsi. A questa sera... Spero, Nasia - le disse all'orecchio - che darete l'ordine di non far pientrare quel ragazzotto i cui occhi si accendevano come carboni quando la vostra vestaglia s'apriva. Sarebbe capace di farvi delle dichiarazioni d'amore, vi comprometterebbe, e mi costringerebbe a ucciderlo. - Siete pazzo, Massimo? - disse lei. - Questi studentelli non sono forse, al contrario, eccellenti parafulmini? Troverzil modo, tuttavia, di farlo prendere in uggia da Restaud. Massimo scoppizdal ridere e uscu , seguito dalla contessa, che si affaccizalla finestra per vederlo salire in carrozza, e far scalpitare il cavallo agitando la frusta. Tornzsolo quando il portone fu richiuso. - Ma sai, mia cara - le disse il conte quando rientrz- il fondo dove risiede la famiglia del signore non qlontano da Verteuil, sulla Charente. Il prozio del signore e mio nonno si conoscevano. - Felice di trovarmi fra conoscenti - disse la contessa distratta. - Pidi quanto non lo crediate - disse a bassa voce Eugenio. - Come! - fece ella vivamente. - Ma - riprese lo studente - ho visto or ora uscire da casa vostra un signore col quale sono porta a porta, nella stessa pensione: papjGoriot. A questo nome adorno della parola padre il conte che stava attizzando il fuoco, gettzle molle nel fuoco, come se gli avessero scottato le mani, e si alzz. - Signore, avreste potuto anche dire: il signor Goriot - esclamz. La contessa dapprima impallidu , vedendo lo scatto del marito, poi arrossu , e rimase evidentemente imbarazzata; poi, rispose con voce che volle render naturale, e con un'aria falsamente disinvolta: - E' impossibile conoscere persona cui noi si voglia pibene...- S'interruppe, guardzil pianoforte, come se si destasse in lei qualche capriccio, e disse: - Vi piace la musica, signore? - Molto - rispose Eugenio, divenuto rosso e mortificato dalla idea confusa di aver commesso una grossa sciocchezza. - Cantate? - domandzlei andando verso il pianoforte, di cui tocczvivacemente tutti i tasti dal do pibasso al fa pialto. Rrrrah ! - No, signora. Il conte de Restaud camminava intanto in lungo e in largo. - Peccato, vi siete privato di un gran mezzo di successo. - "Ca-a-ro, ca-a-a-ro, ca-a-a-a-ro, non dubitar" cantzla contessa. Pronunciando il nome di papjGoriot, Eugenio aveva dato un colpo di bacchetta magica, ma con un risultato contrario a quello che avevano ottenuto le parole: parente della signora de Beausp ant. Egli si trovava nella situazione di un uomo introdotto a titolo di favore in casa di un collezionista di curiositj , e che, urtando per inavvertenza in un armadio pieno di statuine, faccia cadere tre o quattro teste male incollate. Avrebbe voluto sprofondarsi in un abisso. L'espressione del volto della signora de Restaud era sgarbata, fredda, e i suoi occhi divenuti indifferenti sfuggivano quelli dello sfortunato studente. - Signora - egli disse - voi avete da parlare col signor de Restaud, vogliate gradire i miei omaggi, e permettermi... - Quando verrete - fece precipitosamente la contessa fermando Eugenio con un gesto fareste sempre al signor de Restaud e a me il pigrande piacere. Eugenio s'inchinzprofondamente alla coppia e uscu , seguito dal signor de Restaud il quale, nonostante le insistenze dell'ospite perchpnon si disturbasse, lo accompagnzfino all'anticamera. - Ogni volta che il signore si presenterjalla porta - disse il conte a Maurizio - npla signora npio ci saremo mai per lui. Quando Eugenio mise il piede sulla gradinata, si accorse che pioveva. "Insomma, si disse, sono venuto qui a commettere una balordaggine di cui ignoro la causa e le conseguenze, per di pici rimetterzl'abito e il cappello. Farei meglio a restarmene nel mio cantuccio a sgobbare sul Diritto, a non pensare ad altro che a diventare un severo magistrato. Posso io andare in societjse, per destreggiarsi convenientemente, occorrono un mucchio di carrozzini, stivaletti verniciati, attrezzi indispensabili, catene d'oro, guanti di daino che costano sei franchi, da calzare la mattina, e guanti gialli tutte le sere? Oh, vecchio buffo d'un papjGoriot!". Quando si trovz sotto il portone, il cocchiere d'una vettura da nolo, che tornava certamente dall'aver accompagnato una coppia di sposi e che non chiedeva di meglio che rubare al padrone qualche corsa di contrabbando, fece segno a Eugenio, vedendolo senza ombrello, in abito nero, panciotto bianco, guanti gialli e stivaletti lucidi. Eugenio era in preda a una di quelle rabbie sorde che spingono un giovane ad affondarsi sempre pi nell'abisso in cui qcaduto, quasi sperando di trovarvi una fortunata via di scampo. Acconsentucon un movimento della testa all'offerta del cocchiere, e salunella vettura ove alcuni bocciuoli di fiori d'arancio e alcuni fili argentati attestavano che c'erano stati degli sposi. - Dove va il signore? - chiese il cocchiere, che s'era gijtolto i guanti bianchi. - Diamine! - si disse Eugenio - dato che mi sono gettato allo sbaraglio, che almeno mi serva a qualche cosa! - Andiamo al palazzo de Beausp ant - aggiunse ad alta voce. - Quale? - domandzil cocchiere. Parola sublime, che confuse Eugenio. Questo novello uomo elegante non sapeva che esistevano due palazzi de Beausp ant, ignorava quanto era ricco in fatto di parenti, che non si curavano di lui. - Il visconte de Beausp ant, in via... - Di Grenelle - disse il cocchiere scuotendo la testa e interrompendolo. - Ma c'qanche il palazzo del conte e del marchese de Beausp ant, in via Saint-Dominique - egli aggiunse, rialzando il predellino. - Lo so bene - rispose Eugenio con un tono secco. - Oggi tutti mi prendono dunque in giro! - si disse gettando il cappello sui cuscini del sedile anteriore. - Questa quna scappata che mi costerjquanto il riscatto d'un re. Ma almeno farzuna visita alla mia sedicente cugina in piena forma aristocratica. PapjGoriot mi costa gijper lo meno dieci franchi, il vecchio scellerato! In fede mia!, voglio raccontare la mia avventura alla signora de Beausp ant, e forse la farzridere. Lei saprjcertamente il mistero dei legami criminosi tra quel vecchio topo senza coda e quella bella donna. E' meglio piacere a mia cugina che andare a battere contro quella donna immorale, che mi fa l'impressione sia molto costosa. Se il solo nome della bella viscontessa qgijtanto potente, di quale importanza non sarjla sua persona? Miriamo in alto. Quando si punta a qualcosa che qin cielo, non bisogna forse mirare a Dio? - Queste parole rappresentavano la formula breve di mille e un pensieri tra i quali egli ondeggiava. Riebbe un poco di calma e di fiducia vedendo cadere la pioggia. Disse fra spe spche, se buttava due delle preziose monete da cento soldi che gli rimanevano, esse sarebbero state convenientemente impiegate nella conservazione dell'abito, degli stivaletti e del cappello. Non fu senza una punta di ilaritj che uduil cocchiere gridare: "La porta, per favore!". Un guardaportone in uniforme rosso-oro fece stridere sui cardini il portone del palazzo, e Rastignac vide con una dolce soddisfazione la sua vettura passare sotto l'androne, fare il giro del cortile e fermarsi sotto la pensilina della gradinata. Il cocchiere, dal pesante pastrano blu bordato di rosso, corse ad abbassare il predellino. Scendendo dalla vettura, Eugenio sentudelle risa rattenute che provenivano dal peristilio. Tre o quattro domestici s'erano gijfatti beffe di quell'equipaggio da sposi popolari. Le loro risa illuminarono lo studente proprio nel momento in cui confrontzquella vettura con uno dei pieleganti "coupp s" di Parigi, attaccato a due vivaci cavalli che portavano rose agli orecchi, che mordevano il freno e che un cocchiere incipriato, elegante nella sua cravatta, teneva in briglia come se fossero in procinto di prender la mano. Alla Chaussp e-d'Antin nel cortile del palazzo della signora de Restaud aveva trovato il fine carrozzino del ventiseienne. Nel faubourg Saint-Germain stazionava in lusso di un gran signore, un equipaggio che a pagarlo non sarebbero bastati trentamila franchi. "Chi c'qdunque?", si domandzEugenio cominciando a capire con qualche ritardo che a Parigi poche dovevano essere le donne non occupate, e che la conquista di una di queste regine doveva costare pidel sangue. "Diamine! Anche mia cugina avrjcertamente il suo Massimo". Salula gradinata con la morte nell'anima. Al suo apparire la porta a vetri s'apru ; i domestici erano seri come asini sotto la striglia. La festa da ballo cui aveva preso parte s'era svolta nei grandi appartamenti da ricevimento, situati al pianterreno del palazzo de Beausp ant. Non avendo avuto il tempo, tra l'invito e il ballo, di far visita alla cugina, non era ancora mai penetrato negli appartamenti della signora de Beausp ant; egli stava dunque per vedere per la prima volta le meraviglie di quell'eleganza personale, che rivela l'anima e le abitudini d'una donna di classe: studio tanto picurioso in quanto il salotto della signora de Restaud gli offriva un termine di paragone. La viscontessa lo avrebbe ricevuto alle quattro e mezza. Cinque minuti prima, non avrebbe potuto vedere sua cugina. Eugenio, che ignorava affatto queste varie etichette parigine, fu condotto attraverso uno scalone di marmo bianco, adorno di fiori, dalla ringhiera dorata, dalla guida rossa, presso la signora de Beausp ant, della quale non conosceva la biografia verbale, una cioqdi quelle tante mutevoli storie che si raccontano tutte le sere da un orecchio all'altro nei salotti di Parigi. La viscontessa aveva da tre anni una relazione con uno dei pifamosi e piricchi signori portoghesi: il marchese d'Adjuda- Pinto. Era una di quelle relazioni innocenti, cosuricche d'attrattive per le persone in tal modo legate, da non poter sopportare un terzo incomodo. Perciz lo stesso visconte de Beausp ant aveva dato il buon esempio al pubblico, rispettando, per amore o per forza, tale unione morganatica Le persone che, nei primi giorni di questa amicizia, andarono a trovare la viscontessa alle due, vi trovarono il marchese d'Adjuda-Pinto. La signora de Beausp ant, incapace di rifiutarsi di ricevere - il che non sarebbe stato affatto conveniente - riceveva gli ospiti con tanta freddezza e contemplava con tanta attenzione la cornice del salotto, che ognuno capiva quanto l'annoiasse. Quando si seppe in Parigi che si dava noia alla signora de Beausp ant andandola a trovare tra le due e le quattro, essa potpgodere la picompleta solitudine. Andava ai "Bouffons" o all'Opp ra in compagnia del signor de Beausp ant e del signor d'Adjuda-Pinto; ma, da uomo di mondo, il signor de Beausp ant, dopo averveli accompagnati, lasciava sempre soli la moglie e il Portoghese. Il signor d'Adjuda doveva sposarsi. Doveva sposare una signorina de Rochefide. In tutta l'alta societjuna sola persona ignorava questo matrimonio, e la persona era la signora de Beausp ant. Alcune sue amiche gliene avevano, su , parlato, ma vagamente, lei ne aveva riso, ritenendo che gli amici volessero turbare una felicitjinvidiata. Tuttavia le pubblicazioni stavano per esser fatte. Sebbene fosse venuto per partecipare il proprio matrimonio alla viscontessa, il bel Portoghese non aveva ancora osato fargliene parola. Perchpnulla senza dubbio qpi difficile che dar notizia a una donna di un simile ultimatum. Certi uomini si trovano pia loro agio sul terreno, di fronte a un uomo che attenta al loro cuore con una spada, che non dinanzi a una donna la quale, dopo avere spacciato le proprie elegie per due ore, sviene e chiede i sali. In quel momento, dunque, il signor d'Adjuda-Pinto era sulle spine, e voleva uscire, pensando che la signora de Beausp ant avrebbe saputo la notizia; le avrebbe scritto, e sarebbe stato picomodo trattare il galante assassinio per corrispondenza che non a viva voce. Quando il domestico della viscontessa annunciz il signor Eugenio de Rastignac, questi fece trasalir di gioia il marchese d'Adjuda-Pinto. Sappiatelo bene: donna innamorata qancor piingegnosa a crearsi dei dubbi di quanto non sia abile a variare il piacere. Quando qsul punto d'essere abbandonata, indovina pifacilmente il significato d'un gesto di quanto il destriero di Virgilio non annusi i lontani corpuscoli messaggeri d'amore. Percizsiate certi che la signora de Beausp ant colse quel trasalimento involontario quasi impercettibile, ma candidamente spaventevole. Eugenio non sapeva che non ci si deve mai presentare a chicchessia in Parigi senza essersi fatto prima raccontare dagli amici di casa la storia del marito, della moglie o dei figli, per non commettere nessuna di quelle balordaggini a proposito delle quali si dice pittorescamente in Polonia: "Attaccate i buoi al carro vostro"! certo per evitare il malpasso in cui vi impantanereste. Se questi infortuni della conversazione non hanno ancora un nome in Francia, qperchpsono considerati indubbiamente impossibili, data l'enorme pubblicitjche godono le maldicenze. Dopo essersi impantanato dalla signora de Restaud, che non gli aveva lasciato neppure il tempo di attaccare i buoi al suo carro, solo Eugenio poteva essere capace di ricominciare il proprio mestiere di bovaro presentandosi in casa della signora de Beausp ant. Ma, se aveva orribilmente infastidito la signora de Restaud e il signor de Trailles, ora invece toglieva dall'imbarazzo il signor d'Adjuda. Addio - stava dicendo il Portoghese affrettandosi a raggiungere l'uscio, quando Eugenio entrzin un salottino civettuolo, grigio e rosa, dove il lusso sembrava soltanto eleganza. - Ma questa sera - disse la signora de Beausp ant volgendo la testa e dando uno sguardo al marchese - non si va ai "Bouffons"? - Non posso - gli rispose afferrando la maniglia dell'uscio. La signora de Beausp ant si alzz, lo richiamz vicino a sp , senza porre la minima attenzione a Eugenio, il quale, in piedi, stordito dagli scintillii d'una ricchezza meravigliosa, credeva adesso alla realtjdei racconti arabi, e non sapeva dove cacciarsi, trovandosi in presenza di quella donna senza esser notato da lei. La viscontessa aveva alzato l'indice della sua mano destra, e con una graziosa mossa indicava al marchese un posto dinanzi a lei. Ci fu in quel gesto un cosuviolento dispotismo di passione, che il marchese lascizla maniglia dell'uscio e tornzindietro. Eugenio lo guardzcon una punta d'invidia. "Ecco", si disse, "l'uomo del coupp ! Ma dunque qproprio necessario avere cavalli focosi, livree e oro a profusione per ottenere lo sguardo d'una Parigina?". Il demone del lusso lo morse al cuore, la febbre del guadagno lo prese, la sete dell'oro gli inaridula gola. Egli non disponeva che di centotrenta franchi a trimestre. Il padre, la madre, i fratelli, le sorelle, la zia non spendevano, tutti insieme, duecento franchi al mese. Tale rapido confronto tra la sua situazione attuale, e la meta cui bisognava arrivare, contribuirono a sbalordirlo. - Perchp- domandzla viscontessa ridendo - voi non potete venire agli "Italiens"? - Affari. Pranzo dall'ambasciatore d'Inghilterra. - Ma poi lo lascerete. Quando un uomo inganna, qinvincibilmente costretto ad accumulare bugie su bugie. Il signor d'Adjuda disse allora ridendo: - Lo esigete? - Su , certo. - Ecco quel che volevo farmi dire - rispose, dando uno di quegli sguardi maliziosi che avrebbero rassicurato tutt'altra donna. Prese la mano della viscontessa, la bacize uscu . Eugenio si passzla mano sui capelli, e si torse per salutare, credendo che la signora de Beausp ant ora avrebbe pensato a lui; ma a un tratto essa si slancia, si precipita in galleria, corre alla finestra e guarda il signor d'Adjuda che sale in carrozza: tende l'orecchio all'ordine, e sente che il portiere ripete al cocchiere: "Dal signor de Rochefide". Queste parole, e il modo col quale d'Adjuda si tuffznella carrozza furono il lampo e la folgore per quella donna, che rientrzin preda a mortali apprensioni. Le piorribili catastrofi non sono che questo nel gran mondo. La viscontessa tornznella camera da letto, si sedette a un tavolo, e prese un elegante foglio di carta. "Dato che", scrisse, "voi pranzate dai Rochefide, e non all'ambasciata inglese, mi dovete una spiegazione; vi attendo". Dopo aver raddrizzato qualche lettera, sfigurata dal tremolio convulso della mano, appose un C che voleva dire: Clara de Bourgogne, e suonz. - Giacomo - disse al domestico che accorse - andate alle sette e mezza dal signor de Rochefide, e ludomandate del marchese d'Adjuda. Se il signor marchese qlu , fategli pervenire questo biglietto senza chiedere risposta; se non c'q , tornate e riportatemi la lettera. - C'qqualcuno che attende la signora viscontessa in salotto. - Ah! qvero - disse lei spingendo la porta. Eugenio cominciava a trovarsi a disagio; finalmente la viscontessa gli disse con un tono da emozionarlo fin nel profondo del cuore: - Scusatemi, signore, dovevo scrivere una parola, ma ora sono tutta per voi. - Lei non sapeva quel che si dicesse, giacchpecco quello che invece pensava: "Ah!, vuole sposare la signorina de Rochefide. Ma qforse libero? Questa sera il matrimonio andrjin fumo, o io... Ma domani non se ne parlerjgijpi". - Cugina,.. - rispose Eugenio. - Eh? - fece la viscontessa, gettandogli uno sguardo la cui impertinenza agghiaccizlo studente. Eugenio comprese il valore di quella esclamazione. Da tre ore aveva imparato tante cose, che s'era messo sul chi va lj . - Signora - egli riprese a dire arrossendo. Esitz, poi disse continuando: - Perdonate; ho tanto bisogno di protezione, che un briciolo di parentela non avrebbe guastato nulla. La signora de Beausp ant sorrise, ma tristemente; essa sentiva gijla sfortuna brontolare nella sua atmosfera. - Se sapeste in che situazione si trova la mia famiglia - egli disse continuando - forse sareste lieta di far la parte di una di quelle fate favolose che si compiacevano di eliminare gli ostacoli attorno ai loro figliocci. - Ebbene!, cugino - disse ridendo - in che cosa posso esservi utile? - Ma come volete che lo sappia? Essere legato a voi da un legame di parentela che si perde nell'ombra qgijuna grande fortuna per me. Voi mi avete turbato, e io non so pi cosa volevo dirvi. Siete la sola persona che conosco a Parigi. Ah!, ecco, volevo consultarvi pregandovi di accogliermi come un povero fanciullo che vuol attaccarsi alla vostra sottana, e che saprebbe morire per voi. - Voi uccidereste qualcuno per me? - Ne ucciderei due! - fece Eugenio. - Ragazzo !, su , siete un ragazzo - lei disse reprimendo qualche lacrima; - voi sareste capace di amare sinceramente, voi! - Oh! - egli fece scuotendo la testa. La viscontessa s'interesszvivamente allo studente per quella risposta da ambizioso. Il meridionale era alle sue prime armi. Tra il salottino azzurro della signora de Restaud e il salotto rosa della signora de Beausp ant, aveva fatto tre anni di quel "Diritto parigino" di cui non si parla mai, sebbene costituisca un'alta giurisprudenza sociale che, ben espressa e ben praticata, conduce a tutto. - Ah!, ci sono - - disse Eugenio. - Avevo notato la signora de Restaud al vostro ballo, e stamane mi sono recato da lei. - Le avrete procurato un bel fastidio - disse sorridendo la signora de Beausp ant. - Eh?, su , sono un ignorante e mi farztanti nemici, se non mi accorderete la vostra protezione. Credo sarjdifficile trovare a Parigi una donna giovane, bella, ricca, elegante, che non sia occupata, e a me ne occorre una che m'insegni cizche voi donne sapete cosu bene spiegare: la vita. Troverzovunque un signor de Trailles. Sono venuto percizda voi per chiedervi la soluzione di un enigma, e per pregarvi di dirmi di quale natura sia la sciocchezza che io ho commesso. Ho parlato di un padre... - La signora duchessa de Langeais - disse Giacomo tagliando la parola allo studente, che fece il gesto di un uomo violentemente contrariato. - Se volete avere successo nella vita - disse la viscontessa d bassa voce - prima di tutto non dimostrate cosupalesemente i vostri sentimenti. Eh!, buon giorno, mia cara-riprese alzandosi, andando incontro alla duchessa e stringendole le mani, con l'effusione carezzevole che avrebbe potuto dimostrare a una sorella e alla quale la duchessa rispose con le pigraziose moine. "Ecco due buone amiche", penszRastignac. "Avrzd'ora in poi due protettrici; le due donne devono avere gli stessi affetti, e anche questa s'interesserjdi me". - A che debbo il piacere di vederti, mia cara Antonietta? disse la signora de Beausp ant. - Ma, ho visto il signor d'Adjuda-Pinto entrare in casa del signor de Rochefide, e allora ho pensato che vi avrei trovata sola. La signora de Beausp ant non si morse le labbra, non arrossu , il suo sguardo non mutz, la sua fronte parve schiarirsi mentre la duchessa pronunciava quelle fatali parole. - Se avessi saputo che eravate occupata... - aggiunse la duchessa volgendosi verso Eugenio. - Il signore qil signor Eugenio de Rastignac, uno dei miei cugini - disse la viscontessa. Avete notizie del generale Montriveau ?- ella fece. - Sp rizy, m'ha detto ieri che non lo si vedeva pi; qstato forse da voi, oggi? La duchessa, che si diceva fosse stata abbandonata dal signor de Montriveau, per il quale nutriva una folle passione, sentunel cuore la punta di quella domanda, e arrossu rispondendo: - Era all'Eliseo. - In servizio - disse la signora de Beausp ant. - Clara, voi sapete certamente - riprese la duchessa gettando fiotti di malignitjdagli occhi - che domani si faranno le pubblicazioni di matrimonio del signor d'Adjuda-Pinto e della signorina Rochefide! Il colpo era troppo forte: la viscontessa impallidue rispose ridendo: - Una delle tante chiacchiere con le quali si divertono gli sciocchi. Quale ragione avrebbe il signor d'Adjuda di portare fra i Rochefide uno dei pibei nomi del Portogallo? La nobiltjdei Rochefide qdi ieri. - Ma si dice che Berta avrjduecentomila lire di rendita. - Il signor d'Adjuda qtroppo ricco per fare questi calcoli. - Ma, mia cara, la signorina de Rochefide qincantevole. - Ah! - E poi, oggi pranza da loro, i patti sono conclusi. Mi meraviglia molto che non ne sappiate nulla. - Qual'q dunque la sciocchezza che avete commesso, signore-disse la signora de Beausp ant. - Questo povero ragazzo si trova cosuda poco lanciato nel mondo, che nulla comprende, mia cara Antonietta, di quanto diciamo. Siate buona con lui, rimandiamo a domani la nostra conversazione. Domani, vedete, tutto sarjcertamente ufficiale, e voi potrete essere ufficiosa a colpo sicuro. La duchessa rivolse a Eugenio uno di quegli sguardi impertinenti che avvolgono un uomo da cima a piedi, lo schiacciano e lo riducono a zero. - Signora, io, senza saperlo, ho immerso un pugnale nel cuore della signora de Restaud. Senza saperlo, ecco il mio errore - disse lo studente abbastanza ben servito dalla sua intelligenza e che aveva compreso i mordenti epigrammi nascosti sotto le frasi affettuose di quelle due donne. - Voi continuate a trattare, temendole forse, le persone consapevoli del male che vi fanno, mentre chi ferisce ignorando la profonditjdella ferita arrecata q considerato uno sciocco, un incauto che non sa approfittar di nulla, e tutti lo disprezzano. La signora de Beausp ant lancizsullo studente uno di quegli sguardi struggenti nei quali le grandi anime sanno mettere riconoscenza e, insieme, dignitj . Quello sguardo fu come un balsamo che curz la piaga fatta al cuore dello studente dall'occhiata da ufficiale-stimatore con la quale la duchessa lo aveva valutato. - Figuratevi - disse Eugenio continuando - che io m'ero gijvenuto conquistando la simpatia del conte de Restaud; giacchp- aggiunse rivolgendosi alla duchessa con un'aria umile e al tempo stesso maliziosa - devo dirvi, signora, che io non sono ancora che un povero diavolo di studente, tanto solo, tanto povero... - Non dite questo, signor de Rastignac. Noi donne non vogliamo mai quello che gli altri non vogliono. - Oh! - fece Eugenio - io non ho che ventidue anni, e bisogna sopportare le contrarietj della propria etj . Del resto, io mi sto confessando; ed qimpossibile inginocchiarsi a un piprezioso confessionale: vi si commettono i peccati di cui si qaccusati poi nell'altro. La duchessa assunse un tono freddo a un tal discorso irreligioso, di cui condannzil cattivo gusto dicendo alla viscontessa: - Il signore viene... La signora de Beausp ant rise di cuore di suo cugino e della duchessa. - Viene solo adesso, mia cara, e cerca una istitutrice che gli insegni il buon gusto. - Signora duchessa - riprese Eugenio - non qforse naturale di volersi iniziare ai segreti di quel che ci ammalia? "Andiamo", disse a se stesso, "sono certo che sto dicendo loro frasi da parrucchiere". - Ma la signora de Restaud q , credo, l'allieva del signor de Trailles - disse la duchessa. - Non ne sapevo nulla, signora - riprese a dire lo studente. - E cosuio mi sono messo storditamente tra loro due. Insomma, m'ero gijalquanto affiatato col marito, mi vedevo sopportato dalla moglie, quando mi qvenuto in mente di dir loro che conoscevo un uomo che avevo visto proprio allora uscire da una scala segreta, e che aveva, in fondo a un corridoio, baciato la contessa. - Chi era? - domandarono le due donne. - Un vecchio che vive con due luigi al mese, in fondo al faubourg Saint-Marceau, come me, studente povero; un vero disgraziato che tutti burlano e che chiamiamo papjGoriot. - Ma, bambino che siete - esclamzla viscontessa - la signora de Restaud nasce Goriot. - La figlia di un vermicellaio - riprese la duchessa - una donnetta che si qfatta presentare a corte contemporaneamente alla figlia d'un pasticciere. Ve ne ricordate, Clara? Il re si mise a ridere, e disse in latino un motto spiritoso sulla farina. Persone..., come disse? persone... - "Ejusdem farinae"- disse Eugenio. - Proprio cosu- disse la duchessa. - Ah!, qsuo padre - riprese lo studente facendo un gesto d'orrore. - Ma su ; il buon uomo aveva due figlie, di cui va pazzo, sebbene l'una e l'altra l'abbiano quasi rinnegato. - La seconda - domandzla viscontessa guardando la signora de Langeais - non qmaritata a un banchiere, che ha un cognome tedesco, un barone de Nucingen? Non si chiama Delfina? Non quna bionda che ha un palco di fianco all'Opp ra, e frequenta anche i "Bouffons", e ride forte per farsi notare? La duchessa sorrise dicendo: - Ma, mia cara, io proprio vi ammiro. Perchpvi occupate tanto di quella gente ? Bisognava proprio essere innamorato pazzo, come lo era Restaud, per infarinarsi con la signorina Anastasia. Oh!, non ci farjdavvero un buon affare ! Lei qnelle mani del signor de Trailles, e lui la manderjalla rovina. - Hanno rinnegato il loro padre! - ripeteva Eugenio. - Ebbene, su , il loro padre, un padre - riprese a dire la viscontessa - un buon padre che ha dato loro tutto; si dice abbia dato a ciascuna cinque o seicentomila franchi per renderle felici maritandole bene; ed egli s'qriservato da otto a diecimila franchi di rendita per sp , credendo che le figlie gli sarebbero rimaste figlie, e che si sarebbe creato presso di loro due esistenze, due case dove sarebbe stato adorato, vezzeggiato. E invece in due anni i generi l'hanno bandito dal loro ambiente come l'ultimo dei miserabili... - Qualche lacrima sgorgzdagli occhi di Eugenio: egli era stato di recente ristorato dalle pure e sante emozioni della famiglia; era ancora sotto il fascino delle convinzioni giovanili; ed era quella la sua prima giornata nel campo di battaglia della civiltjparigina. Le vere emozioni si comunicano cosufacilmente, che per qualche minuto i tre si guardarono in silenzio. - Eh! mio Dio - disse la signora de Langeais - su , cizsembra orribile, eppure lo vediamo tutti i giorni. Non c'quna ragione in tutto questo? Ditemi, cara, avete mai pensato che cos'qun genero? Un genero qun uomo per il quale noi alleveremo, voi od io, una cara creaturina, cui saremo attaccate da mille legami, che rappresenterjper diciassette anni la gioia della famiglia, che ne sarjl'anima candida, direbbe Lamartine, e ne diverrjla peste. Quando quest'uomo ce l'avrjpresa, comincerjcon l'afferrare il suo amore come un'ascia, per tagliare nel cuore e nel vivo di quell'angelo tutti i sentimenti per i quali era attaccata alla sua famiglia. Ieri, la nostra figlia era tutta per noi, e noi eravamo tutto per lei; domani diventerjla nostra nemica. Non vediamo questa tragedia compiersi tutti i giorni? Qui, la nuora si comporta con estrema impertinenza verso il suocero, che ha sacrificato tutto per suo figlio. Lj , un genero mette la suocera alla porta. Sento chiedere che cosa ci sia di drammatico oggi nella societj ! Ma il dramma del genero qspaventoso, senza poi contare i nostri matrimoni, diventati qualcosa di assai stupido. Mi rendo perfettamente conto di cizche qaccaduto al vecchio vermicellaio. Credo di ricordarmi che questo Foriot... - Goriot, signora. - Su , questo Moriot fu presidente di una sezione durante la rivoluzione, ebbe parte nel segreto della famosa carestia, e comincizla sua fortuna col vendere a quei tempi la farina ad un prezzo dieci volte superiore a quello che gli costava. Ne ha avuta quanta ne ha voluta. L'amministratore di mia nonna gliene ha venduta per somme enormi. Questo Goriot faceva senza dubbio a mezzo, come tutta quella gente, col Comitato di Salute Pubblica. L'amministratore, ricordo, diceva a mia nonna che poteva rimanere con tutta tranquillitja Grandvilliers, perchpil suo grano costituiva una eccellente tessera civica. Ebbene, questo Loriot, che vendeva grano ai tagliatori di teste, non ha avuto che una passione. Adora, dicono, le figlie. Ha fatto appollaiare la maggiore nella casa de Restaud, e ha innestato l'altra al barone de Nucingen, un ricco banchiere che fa il monarchico. Comprenderete bene come, sotto l'impero, i due generi non si siano troppo scandalizzati di avere quel vecchio Novantatrppresso di loro: la cosa poteva ancora andare con Bonaparte. Ma quando sono tornati i Borboni, il buon uomo ha dato fastidio al signor de Restaud, e ancor pial banchiere. Le figlie, che forse amavano ancora il padre, hanno voluto salvare capra e cavoli, il padre e il marito; e hanno adottato il sistema di ricevere il Toriot quando in casa non c'qnessuno; e hanno giustificato la cosa con pretesti affettuosi: "Papj , venite, staremo meglio perchpsaremo soli!" eccetera. Io, mia cara, credo che i sentimenti sinceri abbiano occhi e intelligenza: il cuore di quel povero Novantatrpdeve aver sanguinato. Ha capito che le figlie si vergognavano di lui; che se esse amavano i loro mariti, egli nuoceva ai suoi generi. Bisognava dunque sacrificarsi. E si qsacrificato, perchpqun padre: si qmesso al bando da se stesso. Vedendo le figlie contente, ha compreso d'aver fatto bene. Il padre e le figlie sono stati complici di questo piccolo delitto. Êuna cosa che accade dappertutto. Questo papjDoriot non sarebbe stato forse come una macchia di morchia nel salotto delle figlie? Ci si sarebbe trovato a disagio, ci si sarebbe annoiato. Quel che qaccaduto a questo padre puzcapitare alla pibella donna con l'uomo che amerjdi pi: se lei lo annoia col suo amore, lui se ne va, e commette qualsiasi vigliaccheria pur di sfuggirla. Tutti i sentimenti sono cosu . Il nostro cuore qun tesoro, vuotatelo di colpo, siete rovinati. Noi non perdoniamo a un sentimento d'essersi manifestato nella sua interezza pi di quanto non perdoniamo a un uomo di non possedere un soldo di suo. Quel padre aveva dato tutto. Aveva dato, per venti anni, le sue viscere, il suo amore; aveva dato tutta la sua fortuna in un giorno. Spremuto bene il limone, le figlie hanno gettato la buccia all'angolo della strada. - Il mondo qinfame - disse la viscontessa sfilacciando il suo scialle e senza alzare gli occhi, poichpera stata toccata nel vivo dalle parole che la signora de Langeais aveva pronunciato proprio per lei, narrando questa storia. - Infame?, no - riprese a dire la duchessa - va per il verso suo, ecco tutto. Se ve ne parlo cosu , qper dimostrarvi che non mi faccio ingannare dal mondo. La penso come voi - disse premendo la propria mano su quella della viscontessa. - Il mondo qun pantano, cerchiamo di rimaner sulle alture. Si levz, bacizsulla fronte la signora de Beausp ant dicendole: - Siete proprio bella, in questo momento, mia cara. Avete i pibei colori che abbia mai visto. - Poi uscudopo aver lievemente chinato la testa nel guardare il cugino. - PapjGoriot qsublime! - disse Eugenio rammentandosi di averlo visto torcere nella notte il servizio d'argento dorato. La signora de Beausp ant non sentu , era pensierosa. Trascorse qualche minuto di silenzio, e il povero studente, per una specie di timido stupore, non osava npandarsene, nprimanere, npparlare. - Il mondo qinfame e cattivo - disse poi la viscontessa. - Non appena ci capita una disgrazia, si trova subito un amico pronto a venircela a dire, e a trafiggerci il cuore con un pugnale facendocene ammirare l'impugnatura. E gijil sarcasmo, gijle ironie! Ah!, ma io mi difenderz.. Erse la testa da gran dama qual era, e baleni partirono dagli occhi suoi fieri. - Ah! - fece quindi vedendo Eugenio - siete ancora lu ! - Ancora - egli disse sommessamente. - Ebbene, signor de Rastignac, trattate questo mondo come merita. Volete arrivare?, io vi aiuterz. Misurerete quanto qprofonda la corruzione femminile, misurerete l'ampiezza della miserabile vanitjdegli uomini. Quantunque abbia gijletto bene in questo libro del mondo, c'erano pagine che ancora non conoscevo. Ora so tutto. Pifreddamente calcolerete, piandrete avanti. Colpite senza pietj , e sarete temuto. Considerate uomini e donne come cavalli di posta, e lasciateli crepare a ogni cambio: arriverete cosuall'j pice delle vostre ambizioni. E, date retta a me: non diverrete mai niente, in questa societj , se non avrete una donna che s'interesserjdi voi. Deve essere giovane, ricca, elegante. Ma se nutrite un sentimento sincero, tenetelo nascosto come un tesoro; non lasciatelo mai scorgere, altrimenti sarete perduto. Non sareste piil carnefice, ma diverrete la vittima. Se dovesse capitarvi di amare, mantenete gelosamente il vostro segreto! Svelatelo solo quando avrete ben saputo a chi aprirete il vostro cuore. Per preservare in anticipo questo amore che non esiste ancora, imparate a diffidare di questo mondo. Ascoltatemi, Michele...(Essa sbagliava ingenuamente il nome senza accorgersene). Esiste qualcosa di pispaventoso ancora dell'abbandono del padre da parte delle sue due figlie, che lo vorrebbero morto: ed qla rivalitjdelle due sorelle tra loro. Restaud qun aristocratico, sua moglie qstata ammessa e presentata a corte; ma sua sorella, la sua ricca sorella, la bella signora Delfina de Nucingen, moglie d'un uomo denaroso, muore dal dispiacere; la gelosia la divora, qdistante le mille miglia dalla sorella; sua sorella non qpisua sorella; e due donne si rinnegano fra loro come rinnegano il loro padre. Perciz, la signora de Nucingen leccherebbe tutto il fango che c'q tra la via Saint-Lazare e la via de Grenelle pur di entrare nel mio salotto. Ha creduto che de Marsay le avrebbe fatto raggiungere lo scopo, e si qresa la schiava di de Marsay, annoia de Marsay. De Marsay si cura ben poco di lei. Se me la farete conoscere, diverrete il suo beniamino, vi adorerj . Dopo, amatela, se volete, altrimenti servitevi di lei. Io potrzvederla una o due volte, in occasione d'un mio ricevimento, quando ci sarjmolta gente: ma non la riceverzmai di mattina. La saluterzsoltanto, e questo basterj . Voi vi siete chiusa la porta della contessa per aver pronunciato il nome di suo padre, Goriot. Su , mio caro, se andrete venti volte dalla signora de Restaud, venti volte vi diranno che non qin casa. E' stato dato l'ordine di non farvi pientrare. Ebbene!, papj Goriot v'introduca in casa della signora Delfina de Nucingen. La bella signora de Nucingen sarjper voi un'insegna. Siete l'uomo prescelto da lei; e le donne andranno pazze per voi. Le sue rivali, le sue amiche, le sue migliori amiche, vorranno togliervi a lei. Ci sono donne che desiderano l'uomo gijscelto da un'altra, come ci sono povere borghesi che, mettendosi cappelli simili ai nostri, sperano con questo di acquisire i nostri modi. Avrete successo. A Parigi il successo qtutto, qla chiave del potere. Se le donne trovano in voi spirito, talento, gli uomini lo crederanno, purchpnon li disinganniate. Voi potrete allora osar tutto e andare dovunque. Saprete allora che cosa qil mondo: un'accolta di ingannati e di bricconi. Cercate di non essere nptra gli uni nptra gli altri. Vi dzil mio nome come un filo d'Arianna per entrare in questo labirinto. Non lo compremettete - disse, curvando il collo e dando uno sguardo da regina allo studente - restituitemelo bianco. E adesso lasciatemi. Noi donne, abbiamo anche noi da combattere le nostre battaglie. - Non vi occorre un uomo volenteroso per andare ad appiccare il fuoco a una miccia? chiese Eugenio interrompendola. - E allora? - disse lei. Egli si battpsul cuore, sorrise al sorriso della cugina e uscu . Erano le cinque. Eugenio aveva appetito, e temette di non fare in tempo ad arrivare per l'ora di pranzo. Un tal timore gli fece provare il piacere d'essere condotto rapidamente attraverso Parigi. Questo piacere puramente macchinale gli permise di abbandonarsi interamente ai suoi pensieri, che lo assalivano. Quando un giovane della sua etjqfatto segno allo sprezzo va in collera, si infuria, minaccia col pugno l'intera societj , vuol vendicarsi e non qsicuro neppure di se stesso. Rastignac in quel momento era oppresso da queste parole: "Vi siete chiusa la porta della contessa". Eppure ci andrz, disse fra spe sp , e se la signora de Beausp ant ha ragione, se c'ql'ordine di non farmi passare... io... la signora de Restaud mi troverjin tutti i salotti dove va. Imparerza tirare di scherma, a tirar di pistola, e le ucciderzil suo Massimo! E i denari?, gli gridava la coscienza, dove li troverai? A un tratto la ricchezza messa in mostra nella casa della contessa brillzdinanzi ai suoi occhi. Aveva veduto ljil lusso di cui una signorina Goriot doveva essere innamorata: mobili dorati, oggetti di valore posti in evidenza, il lusso non intelligente dell'arricchito, lo sperpero della mantenuta. Questa affascinante immagine, fu subito schiacciata dalla grandiositjdel palazzo de Beausp ant. La sua immaginazione, trasposta nelle alte regioni della societjparigina, gli ispirz mille cattivi pensieri, allargandogli la mente e la coscienza. Vide il mondo com'q : le leggi e la morale impotente dei ricchi, e vide nella fortuna la "ultima ratio mundi". "Vautrin ha ragione, la fortuna qla virt!" si disse. Giunto in via Neuve-Sainte-Geneviq ve, salurapidamente in camera sua, scese per dare dieci franchi al cocchiere, ed entrzin quella sala da pranzo nauseabonda ove scorse, come bestie alla mangiatoia, i diciotto commensali in atto di pascersi. Lo spettacolo di quelle miserie e l'aspetto della sala gli riuscirono orribili. Il passaggio era troppo brusco, il contrasto troppo completo per non sviluppare oltre misura in lui il sentimento dell'ambizione. Da un lato, le fresche e incantevoli immagini dell'ambiente sociale pi elegante, figure giovani, vive, inquadrate nelle meraviglie dell'arte e del lusso, teste appassionate, piene di poesia; dall'altro lato sinistri quadri orlati di fango, e facce dove le passioni non avevan lasciato che le loro corde e il loro meccanismo. Gli insegnamenti che la collera di una donna abbandonata aveva strappato alla signora de Beausp ant, le sue capziose profferte gli tornarono alla memoria, e la miseria le commentz. Rastignac risolse di aprire due trincee parallele per giungere alla fortuna, di basarsi sulla scienza e sull'amore, d'essere un sapiente dottore e un uomo alla moda. Era ancora molto ragazzo! Queste due linee sono due asintoti che non possono mai incontrarsi. - Siete molto cupo, signor marchese - gli disse Vautrin, dandogli uno di quegli sguardi coi quali quell'uomo sembrava iniziarsi ai misteri pisegreti del cuore. - Io non sono disposto a sopportare gli scherzi di chi mi chiama: signor marchese - egli rispose. - Qui, per essere veramente marchesi, bisogna avere centomila franchi di rendita, e quando si vive in Casa Vauquer, non si qprecisamente il favorito della Fortuna. Vautrin guardz Rastignac con un'aria paterna e sprezzante, come se avesse detto: Marmocchio!, di te farei un solo boccone! Poi rispose: - Siete di cattivo umore, forse perchpnon vi qandata bene con la bella contessa de Restaud. - Mi ha chiuso la sua porta per averle detto che suo padre mangiava alla nostra tavola esclamzRastignac. Tutti i convitati si guardarono tra loro. PapjGoriot abbasszgli occhi, e si volse per asciugarseli. - Mi avete mandato un po' di tabacco nell'occhio - disse al vicino. - Chi molesterjpapjGoriot dovrjd'ora in poi fare i conti con me - rispose Eugenio, guardando il vicino del vecchio vermicellaio - egli vale pidi tutti noi. Non parlo delle signore - aggiunse volgendosi verso la signorina Taillefer. Questa frase fu un epilogo; Eugenio l'aveva pronunciata con un'aria che impose il silenzio ai commensali. Solo Vautrin gli disse motteggiando: - Per prendere papj Goriot sotto la vostra protezione e diventare il suo gerente responsabile, bisogna saper tenere bene una spada in mano e tirar bene di pistola. - E cosufarz- disse Eugenio. - Avete dunque iniziato le ostilitjoggi? - Forse - rispose Rastignac. - Ma io non rendo conto dei fatti miei a nessuno, dato che non cerco d'indovinare quelli che gli altri fanno la notte. Vautrin guardzRastignac di traverso. - Ragazzo mio, quando non si vuol essere ingannati dal gioco delle marionette, bisogna entrare senz'altro nella baracca, e non contentarsi di guardare attraverso i buchi della tenda. E basta con le chiacchiere - aggiunse vedendo Eugenio prossimo alla stizza. Avremo fra noi una breve conversazione quando vorrete. Il pranzo divenne cupo e freddo. PapjGoriot, assorto nel profondo dolore causatogli dalla frase dello studente, non comprese che le disposizioni degli animi erano cambiate a suo riguardo, e che un giovane in grado d'imporre un basta alla persecuzione aveva preso le sue difese: - Il signor Goriot - disse la signora Vauquer a bassa voce - sarebbe dunque il padre d'una contessa? - E d'una baronessa - repliczRastignac. - Non puzfar altro - disse Bianchon a Rastignac: - gli ho misurato la testa: non ha che una bozza, quella della paternitj , sarjun "Padre Eterno". Eugenio era troppo imbronciato perchpla facezia di Bianchon potesse farlo ridere. Egli voleva approfittare dei consigli della signora de Beausp ant, e si domandava dove e come si sarebbe procurato il denaro. Divenne pensieroso alla visione delle savane del mondo che passavano dinanzi ai suoi occhi deserte e spopolate; e tutti lo lasciarono solo nella sala da pranzo, quando il pranzo ebbe termine. - Avete dunque visto mia figlia? - gli chiese Goriot commosso. Destato dalla sua meditazione dal buon uomo, Eugenio gli prese la mano, e guardandolo con una specie d'intenerimento:- Voi siete un bravo e degno uomo - gli rispose. Parleremo delle vostre figlie pitardi. - Si alzzsenza voler ascoltare papjGoriot, si ritirz nella propria camera e scrisse alla madre questa lettera: "Mia cara madre, vedi se non hai una terza mammella da spremere per me. Mi trovo in una situazione tale, da far presto fortuna. Ho bisogno di milleduecento franchi, e mi occorrono a ogni costo. Non dire nulla di ciza mio padre; egli forse vi si opporrebbe, e, se non avessi questo denaro, cadrei in preda a una disperazione che mi indurrebbe a bruciarmi le cervella. Ti spiegherzle ragioni della mia richiesta non appena ti vedrz, giacchpdovrei scriverti dei volumi per farti comprendere la condizione nella quale mi trovo. Non ho giocato, mia buona madre, non ho debiti; ma se tieni a conservarmi la vita che m'hai dato, devi trovarmi questa somma. In breve, frequento la casa della viscontessa de Beausp ant, che mi ha preso sotto la sua protezione. Devo andare in societj , e non ho un soldo per procurarmi un paio di guanti puliti. Potrei mangiare soltanto pane, non bere che acqua, e, se occorre, digiunare; ma non posso fare a meno degli utensili coi quali in questo paese si zappa la vigna. Si tratta di fare la mia strada o di restare nel fango. So tutte le speranze che voi riponete in me, e voglio realizzarle prontamente. Mia buona madre, vendi qualcuno dei tuoi vecchi gioielli, e presto te ne darzin cambio degli altri. Conosco abbastanza la situazione della nostra famiglia per saper apprezzare simili sacrifici, e devi credere che io non ti domando di farli invano, altrimenti sarei un mostro. Devi vedere nella mia preghiera soltanto il grido d'una imperiosa necessitj . Il nostro avvenire qtutto in questo aiuto, col quale devo aprire la campagna; poichpquesta vita di Parigi qun combattimento continuo. Se, per completare la somma, non c'qaltra risorsa che quella di vendere i merletti di mia zia, dille che gliene manderzdi pibelli", eccetera. Scrisse a ciascuna delle sorelle chiedendo le loro economie, e, per strappargliele senza che parlassero in famiglia del sacrificio che non avrebbero mancato di fare per lui con piacere, seppe commuovere la loro sensibilitjtoccando le corde dell'onore, cosuben tese e cosurisuonanti nei giovani cuori. Quando ebbe scritto queste lettere, provz, tuttavia, una trepidazione involontaria; palpitava, trasaliva. Il giovane ambizioso conosceva la nobiltjimmacolata di quelle anime sepolte nella solitudine, sapeva quali pene avrebbe causato alle sue due sorelle e anche quali sarebbero state le loro gioie, con quale piacere si sarebbero intrattenute a parlare segretamente del loro adorato fratello, in fondo alla vigna. La sua coscienza si levz, luminosa, e gliele fece apparire mentre contavano in segreto il loro piccolo tesoro: egli le vide mentre usavano la furberia delle giovinette per mandargli in incognito quel denaro, commettendo un primo inganno per essere sublimi. "Il cuore d'una sorella qun diamante di purezza, un abisso di tenerezza!" egli si disse. Si vergognava d'avere scritto. Come sarebbero stati efficaci i loro voti, quanto puro sarebbe stato lo slancio delle loro anime verso il cielo! Con quale piacere si sarebbero sacrificate! Quale dolore avrebbe provato sua madre, se non fosse riuscita a inviare l'intera somma! Quei bei sentimenti, quegli enormi sacrifici gli sarebbero serviti di scalino per arrivare a Delfina de Nucingen. Alcune lacrime, ultimi grani d'incenso bruciati sul sacro altare della famiglia, gli uscirono dagli occhi. Si mise a camminare in preda a un'agitazione piena di disperazione. PapjGoriot, vedendolo in quello stato dall'uscio della propria camera rimasto socchiuso, entrze gli disse: - Che cosa avete, signore? - Ah, mio buon vicino, io sono ancora figlio e fratello, come voi siete padre. Avete ragione di temere per la contessa Anastasia; essa qnelle mani di un certo signor Massimo de Trailles, che la manderjalla rovina. PapjGoriot si ritirzbalbettando alcune parole di cui Eugenio non afferrzil senso. L'indomani, Rastignac andza portare le sue lettere alla posta. Esitzfino all'ultimo istante, ma poi le lascizcadere nella cassetta dicendo: Riuscirz!; la parola del giocatore, del grande condottiero, parola fatalista che manda in rovina piuomini di quanti ne salvi. Qualche giorno dopo, Eugenio andzdalla signora de Restaud, ma non fu ricevuto. Tre volte vi tornz, tre volte ancora trovzla porta chiusa, quantunque si presentasse in ore in cui il conte Massimo de Trailles non vi si trovava. La viscontessa aveva avuto ragione. Lo studente non studizpi. Si presentava alla lezione per rispondere all'appello e, dopo aver attestato la sua presenza, se ne andava. Aveva fatto il ragionamento che fa la maggior parte degli studenti. Si sarebbe riservato di studiare al momento di passare gli esami; aveva deciso di cumulare l'iscrizione del secondo e del terzo anno, e poi di studiare il Diritto seriamente e tutto insieme all'ultimo momento. In questo modo aveva quindici mesi per navigare a suo agio nell'oceano di Parigi, per dedicarsi alla tratta delle donne o per pescarvi la sua fortuna. Durante quella settimana, vide due volte la signora de Beausp ant, dalla quale andava solo quando usciva la vettura del marchese d'Adjuda. Per qualche giorno ancora l'illustre donna, la pipoetica figura del faubourg SaintGermain, rimase vittoriosa, e fece sospendere il matrimonio della signorina de Rochefide col marchese d'Adjuda-Pinto. Ma quegli ultimi giorni, che la paura di perdere la propria felicitjrese piardenti di tutti, dovevano far precipitare la catastrofe. Il marchese d'Adjuda, d'accordo coi Rochefide, aveva considerato il dissenso e la riconciliazione come una circostanza favorevole, essi speravano che la signora de Beausp ant si sarebbe abituata all'idea di quel matrimonio e avrebbe finito per sacrificare le sue mattine a un avvenire previsto nella vita degli uomini. Malgrado le pisante promesse rinnovate ogni giorno, il signor D'Adjuda recitava dunque la commedia, e la viscontessa gradiva di essere ingannata. - Invece di saltare nobilmente dalla finestra, ruzzolava per le scale - diceva la duchessa de Langeais, la sua migliore amica. Tuttavia, quelle ultime luci brillarono abbastanza a lungo perchpla viscontessa rimanesse a Parigi e aiutasse il suo giovane parente, per il quale nutriva una specie di affetto superstizioso. Eugenio s'era dimostrato con lei pieno di devozione e di sensibilitjin una circostanza in cui le donne non vedono nppietjnpconsolazione sincera in nessuno sguardo. Se allora un uomo dice loro dolci parole, le dice per interesse. Desiderando conoscere perfettamente il suo scacchiere prima di tentare l'abbordaggio della casa de Nucingen, Rastignac volle mettersi al corrente della vita anteriore di papj Goriot, e raccolse notizie sicure, il cui riassunto qquesto. Giovanni-Gioacchino Goriot era, prima della rivoluzione, un semplice operaio vermicellaio, abile, parsimonioso e tanto intraprendente da acquistare il fondo del suo padrone che il caso volle vittima dei primi moti del 1789. Aveva preso stanza in via de la Jussienne, nei pressi della Halle-aux-Blp s, e aveva avuto il grossolano buon senso di accettare la presidenza della sua sezione, per far difendere il proprio commercio dai personaggi piinfluenti di quella pericolosa epoca. Tale saggezza era stata l'origine della sua fortuna che comincizdurante la carestia, falsa o vera, in seguito alla quale il grano raggiunse a Parigi un prezzo enorme. Il popolo si ammazzava dinanzi alla porta dei fornai, mentre alcuni andavano a cercare senza chiasso le paste alimentari dai droghieri. Durante quell'anno il cittadino Goriot mise insieme un capitale che pitardi gli servua esercitare il suo commercio, con tutta la superioritjche dja chi la possiede una forte disponibilitjdi denaro. Gli capitzquel che accade a tutti gli uomini la cui capacitjqsolo relativa. La sua mediocritjlo salvz. Del resto, poichpla sua fortuna fu conosciuta quando non era piun pericolo esser ricchi, non provoczl'invidia di nessuno. Il commercio del grano sembrava aver assorbito tutta la sua intelligenza. Se si trattava di grani, di farine, di granaglie, di riconoscere le loro qualitj , le provenienze, di curare la loro conservazione, di prevederne il corso del prezzo, di profetare l'abbondanza o la penuria dei raccolti, di procurarsi i cereali a buon mercato, di approvvigionarsene in Sicilia, in Ucraina, Goriot non aveva l'uguale. A vederlo trattare i suoi affari, discutere delle leggi sull'esportazione, sull'importazione dei grani, studiarne lo spirito, coglierne i difetti, lo si sarebbe ritenuto capace d'essere un ministro. Paziente, attivo, energico, costante, sollecito nelle spedizioni della merce, aveva un occhio d'aquila, preveniva tutto, prevedeva tutto, sapeva tutto, nascondeva tutto; diplomatico per concepire, soldato per marciare. Fuori della sua specialitj , della sua semplice e oscura bottega, sulla soglia della quale rimaneva nelle ore d'ozio, le spalle appoggiate allo stipite, tornava a essere l'operaio stupido e grossolano, l'uomo che si addormentava durante uno spettacolo a teatro, uno di quei Dolibans parigini, forti solo in stupidaggini. Queste nature si rassomigliano quasi tutte. Nel cuore di quasi tutte troverete un sentimento sublime. Due sentimenti esclusivi avevano riempito il cuore del vermicellaio, ne avevano assorbito l'umore, come il commercio del grano assorbiva tutta la sua intelligenza. La moglie, figlia unica di un ricco fattore della Brie, fu per lui oggetto d'una ammirazione religiosa, d'un amore sconfinato. Goriot aveva ammirato in lei una natura fragile e forte, semplice e graziosa, che contrastava profondamente con la sua. Se c'qun sentimento innato nel cuore dell'uomo, non qesso l'orgoglio della protezione esercitata ogni momento a favore di un essere debole? Aggiungeteci l'amore, quella riconoscenza viva di tutte le anime schiette per il fondamento dei loro piaceri, e comprenderete una quantitjdi bizzarrie morali. Dopo sette anni di felicitjsenza nubi, Goriot, disgraziatamente per lui, perdette sua moglie: questa cominciava a dominarlo, fuori della sfera dei sentimenti. Forse sarebbe riuscita a coltivare quella natura inerte, forse sarebbe riuscita a seminarvi l'intelligenza delle cose del mondo e della vita. In tale situazione, il sentimento della paternitjsi sviluppzin Goriot fino alla irragionevolezza. Egli riverszil suo affetto, tradito dalla morte, sulle due figlie, che, da principio, soddisfecero appieno tutti i suoi sentimenti. Per quanto brillanti fossero le proposte fattegli da negozianti o da fattori desiderosi di dargli le loro figlie, volle rimanere vedovo. Il suocero, il solo uomo per il quale aveva avuto simpatia, pretendeva di sapere con certezza che Goriot aveva giurato di non commettere alcuna infedeltjverso la moglie, anche dopo morta. La gente della Halle, incapace di capire questa sublime follia, ci rideva su, e appioppza Goriot qualche grottesco soprannome. Il primo che, bevendo il vino a coronamento d'un affare combinato, si permise di pronunciarlo, ebbe dal vermicellaio un pugno sulla spalla che lo stese a terra, facendogli battere la testa contro un paracarro della via Oblin. L'affetto sconsiderato, l'amore ombroso e delicato che Goriot nutriva per le figlie era cosu conosciuto, che un giorno uno dei suoi concorrenti, volendolo fare allontanare dal mercato per restare arbitro dei prezzi, gli disse che Delfina era stata investita da un carrozzino. Il vermicellaio, pallido e smorto, lascizsubito la Halle. Stette male parecchi giorni in seguito alla reazione dei sentimenti contrari provocata in lui da quella falsa notizia. Se non assestzquesta volta il suo colpo mortale sulla spalla di quell'uomo, lo cacciz tuttavia dalla Halle e lo costrinse, in una circostanza critica, a dichiarare fallimento. L'educazione che diede alle due figlie fu, naturalmente, anch'essa irragionevole. Godendo di una rendita di pidi sessantamila lire, e non spendendo che appena milleduecento franchi per sp , la felicitjdi Goriot stava tutta nel soddisfare i capricci delle figlie; i migliori insegnanti furono incaricati di dotarle di quelle capacitj che denotano una buona educazione; ebbero una damigella di compagnia; fortunatamente per loro, fu una donna di spirito e di gusto; montavano a cavallo, avevano carrozza, vivevano come avrebbero vissuto le amanti d'un vecchio signore ricco; bastava che esprimessero i picostosi desideri per vedere il padre affrettarsi a soddisfarli; e non chiedeva che una carezza in cambio dei suoi doni. Goriot collocava le figlie nell'ordine degli angeli, e, necessariamente, al di sopra di sp , il pover'uomo! Amava perfino il male che quelle gli arrecavano. Quando le figlie furono in etjda marito, le lascizlibere di sceglierselo secondo i propri i gusti; ognuna avrebbe avuto in dote la metjdella sostanza del padre. Corteggiata per la sua bellezza dal conte de Restaud, Anastasia aveva tendenze aristocratiche che la condussero a lasciare la casa paterna per lanciarsi nelle alte sfere sociali. Delfina amava il denaro; sposz Nucingen, banchiere d'origine tedesca che divenne barone del Sacro Impero. Goriot rimase vermicellaio. Le figlie e i generi si offesero presto di vedergli continuare quel commercio, sebbene questo fosse per lui tutta la sua vita. Dopo aver subu to per cinque anni le loro insistenze, acconsentudi ritirarsi a vivere coi prodotti dei suoi fondi e i guadagni procuratigli dall'azienda negli ultimi anni; un capitale che la signora Vauquer, presso la quale era andato a stabilirsi, aveva stimato fruttare dalle otto alle diecimila lire di rendita. Egli si ridusse in quella pensione per il dolore provato nel vedere le due figlie costrette dai loro mariti a rifiutare non solo di prenderlo con loro, ma anche di riceverlo alla luce del sole. Questo era tutto quel che sapeva un certo signor Muret sul conto di papjGoriot, del quale aveva acquistato i fondi. Le supposizioni che Rastignac aveva sentito fare dalla duchessa de Langeais erano, cosu , confermate. E qui finisce l'esposizione di questa oscura, ma tremenda tragedia parigina. Verso la fine di quella prima settimana del mese di dicembre, Rastignac ricevette due lettere: una di sua madre, un'altra della sorella maggiore. Quelle calligrafie cosuben conosciute lo fecero al tempo stesso esultare di gioia e tremar di paura. Quei due fragili fogli di carta contenevano una sentenza di vita o di morte per le sue speranze. Se provava un po' di timore ricordando le ristrettezze dei suoi genitori, aveva tuttavia sperimentato troppo bene la loro predilezione per non temere di aver succhiato le loro ultime gocce di sangue. La lettera della madre era cosuconcepita: "Mio caro figliolo, t'invio quel che mi hai chiesto. Fai buon uso di questo denaro; non potrei, quand'anche si trattasse di salvarti la vita, trovare una seconda volta una somma cosuimportante senza che tuo padre ne fosse informato: e cizturberebbe l'armonia della nostra famiglia. Per procurartela, dovrebbe accendere ipoteche sulla nostra terra. Mi q impossibile dar giudizi di merito su progetti che non conosco: ma di che natura dunque essi sono, per farti temere di confidarmeli? Una spiegazione non richiedeva poi dei volumi, a noi madri basta una parola, ed essa mi avrebbe risparmiato le angosce dell'incertezza. Non potrei nasconderti l'impressione dolorosa che mi ha causato la tua lettera. Mio caro figlio, qual qdunque il sentimento che ti ha costretto a gettare nel mio cuore un tale timore? Devi avere molto sofferto, scrivendomi, perchpho molto sofferto leggendoti. Quale carriera vuoi dunque abbracciare? La tua vita, la tua felicitjsarebbero forse destinate a farti comparire quel che non sei, a frequentare un ambiente dove non sapresti andare senza fare spese che non puoi sostenere, senza perdere un tempo prezioso per i tuoi studi? Mio buon Eugenio, credi al cuore di tua madre: le vie tortuose non conducono a niente di grande. La pazienza e la rassegnazione debbono essere le virtdei giovani che si trovano nella tua posizione. Non ti rimprovero, non vorrei aggiungere al nostro invio alcuna amarezza. Le mie parole sono quelle di una madre fiduciosa quanto previdente. Se tu sai quali sono i tuoi obblighi, io so, da parte mia, come il tuo cuore sia puro, come le tue intenzioni siano ottime. E percizposso dirti senza tema: Va', mio diletto, cammina! Tremo perchpsono madre; ma ogni tuo passo sarjteneramente accompagnato dai nostri voti e dalle nostre benedizioni. Sii prudente, caro figliolo. Devi essere saggio come un uomo maturo, il destino di cinque persone a te care qposto nella tua ragionevolezza. Su , tutte le nostre fortune sono in te, come la tua felicitjqla nostra. Noi tutti preghiamo Dio di secondarti nelle tue imprese. Tua zia Marcillac qstata, in questa circostanza, d'una bontjinaudita: qarrivata perfino a comprendere quel che mi dicevi a proposito dei tuoi guanti. Ma lei ha un debole per il primogenito, diceva scherzosamente. Eugenio mio, sii affezionato molto a tua zia; ti dirzquel che ha fatto per te solo quando le cose ti saranno andate bene, altrimenti il suo denaro ti brucerebbe le dita. Voi ragazzi non sapete quanto sia doloroso sacrificare cari ricordi. Ma che cosa non si sacrificherebbe per voi? La zia m'incarica di dirti che ti bacia in fronte e che vorrebbe comunicarti con questo bacio la forza d'essere spesso felice. La buona ed eccellente donna ti avrebbe scritto se non avesse la gotta alle dita. Tuo padre sta bene. Il raccolto del 1819 oltrepassa le nostre speranze. Addio, figlio caro, non ti dirznulla delle sorelle: Laura ti ha scritto. Lascio a lei il piacere di chiacchierare sui piccoli fatti di casa. Voglia il cielo che tu riesca! Oh, su , riesci, Eugenio mio, tu mi hai fatto conoscere un dolore troppo forte perchpio possa sopportarlo una seconda volta. Ho saputo che cosa vuol dire essere poveri quando ho desiderato la ricchezza per poterla donare a mio figlio. E ora, addio. Non lasciarci senza notizie e abbi il bacio che t'invia tua madre". Quando Eugenio ebbe terminato di leggere questa lettera, era in lacrime; pensava a papj Goriot che aveva contorto il suo argento dorato e l'aveva venduto per poter pagare la cambiale della figlia. "Tua madre ha contorto i suoi gioielli!", egli diceva fra spe sp . "Tua zia ha certamente pianto nel vendere uno dei suoi ricordi! Con quale diritto malediresti tu Anastasia? Tu non fai che imitare, per l'egoismo del tuo avvenire, cizche lei ha fatto per il suo amante! Chi vale di pi: lei o te?". Lo studente si sentule viscere ryse da un senso di calore intollerabile. Voleva rinunciare alla societj , non voleva prendere quel denaro. Provzquei nobili e bei rimorsi segreti il cui merito raramente q apprezzato dagli uomini quando giudicano i loro simili, ma che fanno spesso assolvere dagli angeli del cielo il criminale condannato dai giuristi della terra. Rastignac aprula lettera della sorella, le cui espressioni innocentemente graziose gli rinfrancarono il cuore. "La lettera qarrivata assai a proposito, caro fratello. Agata e io volevamo spendere il nostro denaro in tanti modi diversi, che non sapevamo pia quale acquisto deciderci. Hai fatto come il domestico del re di Spagna, quando rovescizgli orologi del padrone: ci hai messe d'accordo! Veramente, eravamo sempre in contrasto intorno a quello dei nostri desideri al quale avremmo dato la preferenza, e non avevamo indovinato, mio buon Eugenio, l'impiego che li avrebbe compresi tutti. Agata ha saltato dalla gioia. Insomma, siamo state come due pazze per tutta la giornata, a "tali insegne" (stile della zia) che mammjci diceva con la sua aria severa: Ma che diamine avete, signorine? Se ci avessero sgridato un pochino, ne saremmo state, credo, ancor picontente. Una donna deve provare molto piacere nel soffrire per colui che ama! Io sola ero distratta e triste pur in mezzo alla mia gioia. Sarzsenza dubbio una cattiva moglie, sono troppo spendereccia. Mi ero comprata due cinte, un punteruolo tanto carino per far gli occhielli ai miei busti, e altre sciocchezze, e cosuavevo meno denaro della grossa Agata, che qparsimoniosa e ammucchia gli scudi come una gazza. Lei aveva duecento franchi! Io, mio povero amico, ho soltanto cinquanta scudi. Sono dunque ben punita, e vorrei buttare la cinta nel pozzo, tanto mi sarjsempre penoso portarla. Ti ho derubato. Agata qstata proprio carina. Mi ha detto: "Mandiamogli trecentocinquanta franchi fra tutte e due!". Ma non posso trattenermi dal raccontarti come le cose sono andate. Sai come abbiamo fatto per obbedire ai tuoi ordini? Abbiamo preso il nostro glorioso denaro, siamo andate tutte e due a passeggio e, una volta arrivate alla strada maestra, siamo corse a Ruffec e abbiamo consegnato la somma al signor Grimbert, gerente delle Messaggerie reali! Eravamo, al ritorno, leggere come rondini. "Sarjil piacere che ci rende cosu ?" , mi ha detto Agata. Ci siamo dette mille cose che perznon vi ripeterz, signor Parigino, in quanto si parlava troppo di voi. Oh!, caro fratello, ti vogliamo tanto bene: ecco detto tutto in due parole. Quanto al segreto, piccole volpi come noi due, secondo la zia, sono capaci di tutto: anche di tener acqua in bocca... Mamma qandata in gran mistero ad Angouleme con la zia, e tutte e due hanno mantenuto il silenzio sull'alta politica del loro viaggio, che ha avuto luogo dopo lunghe conferenze dalle quali tanto noi che il signor barone siamo stati tenuti lontani. Grandi congetture occupano gli spiriti dello Stato di Rastignac. L'abito di mussolina con fiori a traforo che le infanti stanno ricamando per sua maestjla regina procede nel piprofondo segreto. Sono rimaste da fare soltanto due parti. E' stato deciso che non si costruirjpiil muro dalla parte di Verteuil e invece ci si metterjuna siepe. Il popolino ci perderjin frutta e spalliere, ma in compenso i forestieri ci guadagneranno una bella vista. Se l'erede presunto avesse bisogno di fazzoletti, qavvertito che la signora vedova de Marcillac, frugando nei suoi scrigni e nei suoi bauli, conosciuti sotto i nomi di Pompei e di Ercolano, ha scoperto una pezza di bella tela d'Olanda, che non ricordava di avere; le principesse Agata e Laura pongono agli ordini dell'erede il loro filo, il loro ago, e mani sempre un poco troppo rosse. I due principi cadetti don Enrico e don Gabriele hanno conservato la funesta abitudine d'impinzarsi di mosto cotto, di far inquietare le sorelle, di non voler imparare nulla, di divertirsi a dar la caccia ai nidi, di far chiasso e di tagliare, contro le leggi dello Stato, rami di vinco per farne frustini. Il nunzio del papa, volgarmente chiamato signor curato, minaccia di scomunicarli se continueranno a trascurare i santi canoni della grammatica per i bellicosi cannoni di sambuco. Addio, caro fratello, mai lettera ha recato, pidi questa, tanti voti formulati per la tua felicitj , nptanto soddisfatto amore. Chissjquante cose avrai da raccontarci al tuo ritorno! E dovrai dire tutto a me, che sono la maggiore. La zia ci ha lasciato capire che tu riscuoti dei successi in societj . "Si parla di una dama e si tace sul resto". Tra noi ci s'intende! Dillo pure francamente, Eugenio, se invece dei fazzoletti preferisci che ti facciamo delle camicie. Rispondimi presto in proposito. Se ti occorresse presto qualche bella camicia ben cucita saremo felici di metterci subito al lavoro; e se ci fossero a Parigi fatture che non conoscessimo, mandaci un modello, specialmente per i polsini. Addio, addio! Ti bacio in fronte sul lato sinistro, sulla tempia di mia esclusiva proprietj . Lascio l'altra pagina per Agata, che m'ha promesso di non leggere nulla di quel che ti ho scritto. Ma, per essere pisicura, rimarrzvicino a lei mentre ti scriverj . Tua sorella che ti ama. Laura de Rastignac". "Oh!, su ", disse fra spe spEugenio, "la fortuna a ogni costo. Dei tesori non compenserebbero questo sacrificio. Vorrei apportare loro tutte le felicitj insieme. Millecinquecento franchi!", aggiunse dopo una pausa. "Ogni moneta dovrj colpire nel segno! Laura ha ragione. Perdinci!, ho soltanto camicie di tela ordinaria. Per la felicitjdi un altro, una giovinetta diventa furba quanto un ladro. Innocente per spe previdente per me, qcome l'angelo del cielo che perdona gli errori della terra senza comprenderli". Il mondo era suo! Gijil suo sarto era stato da lui chiamato, saggiato, conquistato. Vedendo il signor de Trailles, Rastignac aveva valutato l'importanza dei sarti nella vita dei giovani. Ahimq !, non ci sono mezzi termini: un sarto qo un nemico mortale, o un amico procuratoci dal conto pagato. Quello di Eugenio era un uomo consapevole della paternitj della sua industria, e si considerava come un anello di congiunzione tra il presente e l'avvenire dei giovani. PercizRastignac, riconoscente, fece la fortuna di quest'uomo con una di quelle battute per le quali pitardi divenne celebre. "Un suo paio di pantaloni ha fatto concludere matrimoni da ventimila lire di rendita". Millecinquecento franchi e abiti a piacere! In quel momento il povero Meridionale non ebbe pidubbi, e scese a far colazione con quell'aria indefinibile che conferisce a un giovane il possesso d'una somma qualsiasi. Quando il denaro scivola entro la tasca d'uno studente, si erge contro di lui una colonna immaginaria su cui egli si appoggia. Cammina pispedito, sente di avere un punto d'appoggio per la sua leva, ha lo sguardo ampio, diretto, ha i movimenti agili; il giorno prima, umile e timido, si lascerebbe picchiare; l'indomani picchierebbe anche un primo ministro. Si producono in lui fenomeni inauditi: vuole tutto e puztutto, desidera a casaccio, qgaio, generoso, espansivo. Insomma, l'uccello dianzi implume, ora vola ad ali spiegate. Lo studente squattrinato addenta una briciola di piacere come un cane ruba un osso superando mille pericoli, lo stritola, ne succhia il midollo, e ancora corre; ma il giovane che fa tintinnare nel taschino poche fuggevoli monete d'oro pregusta i propri godimenti, li particolarizza, se ne compiace, si dondola nel cielo, non sa picosa significhi la parola: "miseria". Parigi qtutta sua. Etjin cui tutto qlucente, tutto scintilla e fiammeggia! Etjdi forza gioiosa di cui nessuno approfitta, npl'uomo npla donna ! Etjdi debiti e di vivi timori che centuplicano ogni piacere! Chi non ha frequentato la riva sinistra della Senna, tra la via Saint-Jacques e la via dei Saints-Pq res, non sa nulla della vita umana! "Ah!, se le donne parigine sapessero!", si diceva Rastignac divorando le pere cotte a un soldo l'una, fatte servire dalla signora Vauquer, "verrebbero a farsi amare qui". In quel momento un fattorino delle Messaggerie reali si presentznella sala da pranzo, dopo aver suonato al cancello. Chiese del signor Eugenio de Rastignac, cui porse due sacchetti da ritirare, e un registro da firmare. Rastignac fu allora sferzato come da un colpo di frusta, dallo sguardo profondo lanciatogli da Vautrin. - Ora potrete di che pagare le lezioni di scherma e gli esercizi di tiro - gli disse quell'uomo. - Sono arrivate le caravelle - gli disse la signora Vauquer guardando i sacchetti. La signorina Michonneau temeva di fermare lo sguardo sul denaro, nella tema di palesare la sua bramosia. - Avete una madre molto buona - disse la signora Couture. - Il signore deve avere una madre molto buona - ripetpPoiret. - Su , la mamma s'qsvenata - disse Vautrin. - Potrete ora farne di tutti i colori, andare in societj , pescarvi doti, e ballare con le contesse che hanno guarnizioni di fior di pesco tra i capelli. Ma date retta a me, giovanotto, frequentate il tiro a segno. Vautrin fece il gesto di un uomo che mira al suo avversario. Rastignac voleva dare la mancia al fattorino, ma non si trovznulla in tasca. Vautrin frugz nella sua, e gettzventi soldi all'uomo. - Avete buon credito - riprese guardando lo studente. Rastignac dovette ringraziarlo sebbene, dopo le parole aspramente scambiatesi il giorno in cui era tornato dalla sua visita alla signora de Beausp ant,quell'uomo glifossedivenuto insopportabile. Durante quegli otto giorni Eugenio e Vautrin erano rimasti silenziosi uno di fronte all'altro, e si osservavano scambievolmente. Lo studente si chiedeva invano il perchp . Senza dubbio le idee si proiettano in ragione diretta della forza con cui vengono concepite, e vanno a colpire ljdove il cervello le invia, per una legge matematica paragonabile a quella che guida i proiettili quando escono dal mortaio. Gli effetti sono diversi. Ci sono nature deboli, nelle quali le idee si conficcano e le devastano, ma ci sono anche nature fortemente protette, crani dai bastioni di bronzo su cui le volontjdegli altri si appiattiscono e cadono come palle dinanzi a una muraglia; ci sono poi ancora nature flosce e bambagiose nelle quali le idee altrui vengono a morire come pallottole che si attutiscono nella terra molle delle ridotte. Rastignac aveva una di quelle teste piene di polvere che saltano in aria al minimo urto. Era troppo vivacemente giovane per non offrire il bersaglio a tali idee, per non subire il contagio di tali sentimenti, di cui tanti bizzarri fenomeni ci colpiscono a nostra insaputa. La sua visione morale aveva la gittata lucida dei suoi occhi di lince. Ognuno dei suoi doppi sensi aveva quella lunghezza misteriosa, quella flessibilitjd'andata e ritorno che ci sorprende nelle persone superiori, spadaccini abili nel trovare il punto debole di tutte le corazze. Da un mese, per altro, s'erano sviluppati in Eugenio tanti pregi quanti difetti. I difetti gli erano stati imposti dalla societjmondana e dal proposito di realizzare i suoi sempre crescenti desideri. Tra i pregi c'era quella vivacitjmeridionale che fa tirar diritto lungo le difficoltjper risolverle, e che non consente a un uomo d'oltre Loira di indugiare in una incertezza qualsiasi; pregio che la gente del Nord considera un difetto: secondo essa, se fu l'origine della fortuna di Murat, fu anche la causa della sua morte. Bisognerebbe concludere che, quando un meridionale riesce ad accoppiare la furberia del Nord all'audacia dell'oltre Loira, egli qcompleto e rimane re di Svezia. Rastignac non poteva dunque restare a lungo sotto il fuoco delle batterie di Vautrin senza sapere se quest'uomo era un amico o un nemico. Di momento in momento gli sembrava che quel singolare personaggio penetrasse sempre pinel segreto delle sue passioni, e gli leggesse nel cuore, mentre in colui tutto rimaneva cosuben nascosto, da sembrare dotato della profonditjimmobile d'una sfinge che sa, vede tutto, e non dice nulla. Sentendosi le tasche piene, si ribellz. - Fatemi il favore di attendere - disse a Vautrin che s'era alzato per uscire, dopo aver assaporato gli ultimi sorsi di caffq . - Perchp ? - rispose il quarantenne calzandosi il cappello a larghe tese e prendendo un bastone di ferro col quale faceva spesso mulinelli da uomo che non avrebbe temuto d'essere assalito da quattro malfattori. - Voglio pagare il mio debito - riprese Rastignac, sciogliendo rapidamente un sacchetto e contando centoquaranta franchi alla signora Vauquer. - Conti chiari amici cari - disse alla vedova. Siamo pari fino a San Silvestro. Cambiatemi, per favore, questi cento soldi. - Amici cari conti chiari - ripetpPoiret guardando Vautrin. - Ecco i venti soldi - disse Rastignac tendendo una moneta alla sfinge in parrucca. Si direbbe che avete paura di dovermi qualcosa! - esclamzVautrin ficcando uno sguardo divinatorio nell'animo del giovane, cui fece uno di quei sorrisi beffardi e alla Diogene per i quali Eugenio era stato mille volte sul punto di litigare. - Ma..., su- rispose lo studente, che teneva i due sacchetti in mano e s'era alzato per salire in camera sua. Vautrin usciva dalla porta che dava nel salotto, e lo studente si disponeva ad andarsene per la porta che conduceva sul pianerottolo. - Ma lo sapete, signor marchese de Rastignacorama, che quel che mi dite non q perfettamente gentile? - disse allora Vautrin, sbattendo la porta del salotto e andando verso lo studente, che lo guardzfreddamente. Rastignac chiuse la porta della sala da pranzo, conducendo con spVautrin, ai piedi della scala, nel vano che separava la sala da pranzo dalla cucina, dov'era una porta che dava nel giardino, sormontata da una grande finestra guarnita di sbarre di ferro. Lj , lo studente disse dinanzi a Silvia che sbuczdalla cucina: - Signor Vautrin, io non sono marchese, e non mi chiamo Rastignacorama. - Adesso si battono - disse la signorina Michonneau con aria indifferente. - Si battono - ripetpPoiret. - Ma no - rispose la signora Vauquer, accarezzando la sua pila di scudi. - Ma non vedete che se ne vanno sotto i tigli? - esclamzla signorina Vittorina, levandosi per guardare nel giardino. - Quel povero giovane, perz, ha ragione. - Andiamocene su, mia cara piccola - disse la signora Couture sono affari che non ci riguardano. Quando la signora Couture e Vittorina si alzarono, incontrarono sulla porta, la grossa Silvia che sbarrzloro il passo. - Che cosa succede? - chiese. - Il signor Vautrin ha detto al signor Eugenio: "Spieghiamoci!". Poi, l'ha preso per un braccio, ed eccoli ljche camminano tra i nostri carciofi. In quel momento Vautrin apparve. - Signora Vauquer - disse sorridendo - non abbiate timore di nulla, vado a provare le mie pistole sotto i tigli. - Oh, signore - fece Vittorina congiungendo le mani - perchpvolete uccidere il signor Eugenio? Vautrin fece due passi indietro e guardzVittorina. - Ecco un'altra storia - egli esclamzcon una voce beffarda che fece arrossire la povera ragazza. - E' tanto grazioso, non qvero?, quel giovanotto - egli riprese. - Mi fate venire un'idea. Farzla felicitjdi voi due, mia bella figliola. La signora Couture aveva preso la sua pupilla per un braccio e l'aveva portata via, dicendole all'orecchio: - Ma Vittorina, stamattina siete proprio incredibile! - Non voglio che si tirino di pistola in casa mia - disse la signora Vauquer. - Cosumi spaventate tutto il vicinato e farete accorrere la polizia. - Andiamo, calma, mammjVauquer - rispose Vautrin. - Lj , lj , va bene, andremo al tiro. - Raggiunse Rastignac e, presolo confidenzialmente sotto braccio, gli disse: - Quando vi avessi provato che a trentacinque passi metto cinque volte di seguito la mia pallottola in un asso di picche, non per questo vi perdereste di coraggio. Avete l'aria d'essere alquanto rabbiosetto e vi fareste ammazzare come un imbecille. - Voi indietreggiate - disse Eugenio. - Non mi provocate - rispose Vautrin. - Non fa freddo, questa mattina, andiamo a sederci laggi- aggiunse indicando le sedie verniciate di verde. - Ljnessuno ci sentirj . Ho da parlarvi. Siete un bravo ragazzo e non vi voglio male. Vi voglio bene, parola di Tromp... (per mille fulmini!) parola di Vautrin. Per quale ragione vi voglio bene, ve lo spiegherz. Intanto sappiate che vi conosco come se vi avessi fatto io, e ve lo proverz. Appoggiate lui vostri sacchetti - riprese, indicandogli la tavola rotonda. Rastignac poszil denaro sulla tavola e si sedette in preda a una curiositjacuita in lui al pialto grado dal subitaneo cambiamento verificatosi nei modi di quell'uomo, il quale, dopo aver parlato di ucciderlo, si atteggiava a suo protettore. - Voi vorreste sapere chi sono, quel che ho fatto, o quel che faccio - riprese Vautrin. Siete troppo curioso, figliolo mio. Suvvia, un po' di calma. Ne sentirete ben altre! Ho avuto molte disgrazie. Prima statemi a sentire, e poi replicherete. Ecco la mia vita passata, in tre parole. Chi sono? Vautrin. Che faccio? Quel che mi pare. Andiamo avanti. Volete conoscere il mio carattere? Sono buono con chi mi fa del bene o con chi ha un cuore che parla al mio. A loro qpermesso tutto: possono prendermi a calci negli stinchi senza che io dica loro: "Bada!". Ma, perdio! sono cattivo come il diavolo con chi mi molesta o non mi va a genio. Ed qbene sappiate che l'uccidere un uomo mi preoccupa tanto cosu ! - disse sputando. - Cerco tuttavia di ucciderlo bene e quando qassolutamente necessario. Sono quel che voi chiamate un artista. Ho letto le "Memorie" di Benvenuto Cellini, cosucome mi vedete, e per di piin italiano! Ho imparato da quell'uomo, un uomo risoluto, a imitare la Provvidenza, che ci fa morire a casaccio, e ad amare il bello ovunque esso si trovi. Non q , del resto giocare una bella partita il trovarsi solo contro tutti e aver fortuna? Ho ben riflettuto alla costituzione attuale del vostro disordine sociale. Ragazzo mio, il duello qun gioco da bambini, una sciocchezza. Quando di due uomini vivi uno deve scomparire, bisogna essere degli imbecilli per rimettersi al caso. Il duello! Testa o croce!, ecco tutto. Io metto cinque pallottole di seguito in un asso di picche, in modo che ogni nuova pallottola ricalchi la precedente, e a trentacinque passi per di pi! Quando si qdotati di questa piccola capacitj , ci si puzritener certi di buttare giil proprio avversario. Ebbene!, ho tirato su di un uomo a venti passi e non l'ho colpito. Quel birbone non aveva mai maneggiato una pistola in vita sua. Guardate! - disse lo straordinario uomo sbottonandosi il panciotto e mettendo in mostra il petto villoso come la schiena di un orso, ma il cui pelo fulvo incuteva una specie di disgusto misto a spavento - lo sbarbatello mi ha bruciacchiato il pelo - aggiunse mettendo il dito di Rastignac su di un forellino che aveva in petto. - Ma allora ero un ragazzo, avevo la vostra etj : ventun anni. Credevo ancora in qualcosa, all'amore d'una donna: un mucchio di sciocchezze in cui state per impelagarvi. Ci saremmo battuti, non qvero? Avreste potuto uccidermi. Supponete di avermi steso a terra; dove sareste voi? Bisognerebbe fuggire, andare in Svizzera, mangiarsi i soldi di papj , che non ne ha molti. Io voglio lumeggiarvi la posizione in cui siete; ma lo farzcon la superioritjdi un uomo che, dopo aver esaminato le cose di questo basso mondo, ha visto che le soluzioni da adottare sono due: o una stupida obbedienza, o la ribellione. Io non obbedisco a niente, qchiaro? Sapete che cosa vi occorre, con l'andazzo da voi preso? Un milione, e alla svelta; senza il quale, con la vostra testolina, potete pure andare bighellonando fra le reti di Saint-Cloud per vedere se esiste un Essere Supremo. Il milione ve lo darzio. - Fece una pausa guardando Eugenio. - Ah, ah!, ora fate un miglior viso a papjVautrin! Sentendo queste mie parole, mi siete sembrato simile a una ragazza cui si dica: "A questa sera!", e che fa toletta gongolando come un gatto quando beve il latte. Alla buon'ora. Suvvia! A noi! Ed ecco il vostro conto, giovanotto. Abbiamo laggipapj , mamma, prozia, due sorelle (diciotto e diciassette anni), due fratellini (quindici e dieci anni): questo qil ruolino dell'equipaggio. La zia educa le sorelle. Il curato djlezione di latino ai fratelli. La famiglia mangia picastagne lesse che pane bianco, papjtiene da conto i suoi pantaloni, mamma ha appena un vestito per l'inverno e uno per l'estate, le sorelle fanno alla meglio. So tutto, conosco il Mezzogiorno. Le cose devono andar cosuin casa vostra, se vi mandano milleduecento franchi all'anno, e dato che la vostra terrina non rende che tremila franchi. Abbiamo una cuoca e un domestico, bisogna conservare il decoro, papjqbarone. Quanto a noi, siamo ambiziosi; abbiamo per parenti i Beausp ant e andiamo a piedi, vogliamo la ricchezza e non abbiamo un soldo, mangiamo la sbobba di mamma Vauquer e ci piacciono i bei pranzi del faubourg Saint- Germain, dormiamo su di un giaciglio e vorremmo avere un palazzo. Non biasimo i vostri desideri. Avere dell'ambizione, cuoricino mio, non qda tutti. Chiedete alle donne quali uomini preferiscono: gli ambiziosi. Gli ambiziosi hanno le reni piresistenti, il sangue piricco di ferro, il cuore picaldo, degli altri uomini. E la donna qcosufelice e cosubella nelle ore in cui qforte, che preferisce a tutti gli uomini quello che ha una forza enorme, a costo d'essere spezzata da lui. Sto facendo l'inventario dei vostri desideri per farvi una domanda. La domanda qquesta. Abbiamo una fame da lupi, i nostri dentini sono aguzzi: come faremo a riempire la pentola? Prima di tutto dobbiamo mangiare il codice; non q divertente, e non serve a nulla!, ma qnecessario mangiarlo. Sia pur cosu . Ci facciamo avvocato per diventare presidente d'una corte d'assise, e condannare ai lavori forzati poveri diavoli migliori di noi, con un: L. F. sulla spalla, per assicurare ai ricchi sonni tranquilli. Non qdivertente, e poi qcosa lunga. Prima, due anni di attesa a Parigi, passandoli a guardare, ma senza toccare, le chicche di cui siamo ghiotti. E' noioso desiderare sempre e non soddisfarsi mai. Se foste pallido e della natura dei molluschi non avreste nulla da temere, ma abbiamo il sangue febbrile dei leoni e un appetito, da far venti sciocchezze al giorno. Ma voi soccomberete a un simile supplizio, il piorribile che si sia immaginato nell'inferno del buon Dio. Ammettiamo che siate giudizioso, che beviate latte e scriviate elegie; bisognerjcominciare, generoso come siete, dopo tante noie e privazioni da far diventare arrabbiato un cane, col diventare sostituto di qualche briccone, in una misera cittadina dove il governo vi darjmille franchi di stipendio, come si butta il pancotto al cane del macellaio. Abbaia appresso ai ladri, difende i ricchi, fa ghigliottinare la gente di fegato. Molto obbligato! Se non avrete qualcuno che vi protegge, ammuffirete nel vostro tribunale di provincia. Verso i trent'anni sarete giudice a milleduecento franchi l'anno, se nel frattempo non avrete gettato la toga alle ortiche. Quando avrete raggiunto la quarantina, sposerete la figlia di qualche mugnaio, ricco di circa seimila lire di rendita. Grazie! Se avrete protezioni, sarete procuratore del re a trent'anni, con mille scudi di stipendio, e sposerete la figlia del Sindaco. Se commetterete qualcuna di quelle piccole bassezze politiche, come ad esempio quella di leggere su di un bollettino Villq le invece di Manuel (c'qla rima e percizla coscienza qa posto), sarete, a quarant'anni, procuratore generale, e potrete anche diventare deputato. Tenete conto, mio caro ragazzo, che intanto avremo fatto qualche strappo alla nostra coscienza, avremo avuto vent'anni di fastidi, di miserie nascoste, e che le nostre sorelle saranno rimaste zitelle. Ho inoltre l'onore di farvi osservare che in Francia i procuratori generali sono in tutto venti, mentre ad aspirare a quel grado siete in ventimila, fra cui ci sono dei tipi capaci anche di vendersi la famiglia pur di salire un gradino. Se questo mestiere non qdi vostro gradimento, vediamo qualche altra cosa. Il barone di Rastignac vuol fare l'avvocato? Oh, che bella cosa! Bisogna patire dieci anni, spendere mille franchi al mese, avere una biblioteca, uno studio, andare in societj , baciare la toga di un avvocato anziano per avere qualche causa, e spazzare il palazzo di giustizia con la lingua. Se un tale mestiere vi conducesse in porto, non direi di no; ma trovatemi a Parigi cinque avvocati che, a cinquant'anni, guadagnino pidi cinquemila franchi all'anno! Ah, no!, piuttosto che avvilirmi cosu , preferirei fare il corsaro. D'altra parte: dove trovare gli scudi? Tutto ciznon qallegro. Abbiamo una soluzione nella dote d'una donna. Volete sposarvi? Sarjcome mettervi una pietra al collo; e poi, se vi ammoglierete per ragioni d'interesse, dove vanno a finire il nostro senso dell'onore, la nostra nobiltj ? Tanto varrebbe cominciare fin da oggi con la vostra ribellione alle convenzioni umane. Non sarebbe nulla raggomitolarsi come un serpente dinanzi a una donna, leccare i piedi della madre, far bassezze tali da disgustare una scrofa, puah !, se almeno trovaste la felicitj . Ma, invece, sarete sfortunato come le pietre delle fogne, con in piuna moglie sposata per quei motivi. Ma allora qmeglio lottare con gli uomini che con la propria moglie. Ecco il crocicchio della vita, giovanotto: scegliete. Voi avete gijscelto: siete andato dal nostro cugino Beausp ant, e vi avete fiutato il lusso. Siete andato dalla signora de Restaud, la figlia di papjGoriot, e vi avete fiutato la parigina. Quel giorno, siete ritornato qui con una parola scritta in fronte, e che io ho saputo ben leggere: Arrivare! arrivare a ogni costo. Bravo! mi sono detto, ecco un uomo audace, che mi va a genio. Vi qoccorso denaro. Dove prenderlo? Avete salassato le sorelle. Tutti i fratelli "scroccano" pio meno dalle sorelle. I vostri millecinquecento franchi strappati, Dio sa come !, a un paese dove ci sono picastagne che monete da cento soldi, partiranno come soldati che vanno a far bottino. E dopo, che farete? Lavorerete? Il lavoro, inteso come lo intendete in questo momento, procura, in vecchiaia, un alloggio in casa di mamma Vauquer ai giovani tipo Poiret. Una rapida fortuna qil problema che si pongono in questo istante cinquantamila giovani che si trovano tutti nella vostra situazione. Voi rappresentate una sola unitjdi quel numero. Da cizpotrete immaginare gli sforzi che dovrete compiere e l'accanimento della lotta. Dovrete sbranarvi reciprocamente come ragni entro un vaso, dato che non ci sono cinquantamila buoni posti. Sapete come qui ci si fa strada? Col lampo del genio o con l'accortezza della corruzione. Bisogna penetrare in questa massa d'uomini come una palla di cannone, o infiltrarvisi come la peste. L'onestjnon serve a nulla. Ci si piega sotto il potere del genio, lo si odia; si cerca di calunniarlo, perchpesso prende ma non dj ; ma ci si piega a lui, se persiste; in una parola, lo si adora in ginocchio quando non lo si qpotuto seppellire sotto il fango. Di corruzione ce n'qtanta, il talento qraro. Perciz, la corruzione ql'arma della mediocritjche abbonda, e voi ne sentirete ovunque la punta. Vedrete donne i cui mariti hanno in tutto seimila franchi di stipendio, e che ne spendono pidi diecimila per la loro toletta. Vedrete impiegati a milleduecento franchi acquistare terre. Vedrete donne prostituirsi per andare nella carrozza del figlio d'un pari di Francia, che puzcorrere a Longchamp sulla pista principale. Avete visto quel povero babbeo di papjGoriot costretto a pagare la cambiale firmata da sua figlia, il cui marito ha cinquantamila lire di rendita. Vi sfido a far due passi in Parigi senza imbattervi in intrighi infernali. Scommetterei la mia testa contro un piede di questa insalata che incapperete in un vespaio presso la prima donna che vi piacerj , anche se ricca, bella e giovane. Hanno tutte a che fare con le leggi, in guerra coi mariti per qualunque cosa. Non la finirei pise dovessi spiegarvi i mercimoni che fanno per gli amanti, per le mode, per i figli, per la casa o per la loro vanitj ; raramente per la virt, siatene certo. E cosu , l'uomo onesto qil nemico comune. Ma cosa credete che sia l'uomo onesto? A Parigi, l'uomo onesto qcolui che tace, e si rifiuta di condividere un tal sistema di vita. Non vi parlo di quei poveri iloti che ovunque sgobbano senza esser mai ricompensati del loro lavoro, e che io chiamo la confraternita delle ciabatte del buon Dio. Certo, ljqla virtin tutto il fiore della sua sciocchezza, ma ljqanche la miseria. Vedo da qui la smorfia di questa brava gente, se Iddio ci giocasse il brutto tiro di assentarsi al momento del giudizio universale. Se dunque volete far presto fortuna, bisogna essere gij ricco o sembrarlo. Per arricchire, si tratta qui di giocare grossi colpi; se no, il gioco qda spilorcio, e... servitor vostro! Se nelle cento carriere che potete intraprendere, s'incontrano dieci uomini che riescono rapidamente, il pubblico li chiama ladri. Traete le vostre conclusioni. Ecco la vita cosucom'q . Non qpibella della cucina, puzza quanto questa e bisogna imbrattarsi le mani se si vuol mangiare bene; sappiate tuttavia lavarvi bene la faccia; qui qtutta la morale dell'epoca nostra. Se vi parlo cosudel mondo, esso me ne ha dato il diritto, lo conosco bene. Credete che lo biasimi? Per niente. Êstato sempre cosu . I moralisti non lo cambieranno mai. L'uomo q imperfetto. Ê, talvolta, pio meno ipocrita, e gli ingenui dicono allora che egli qo non q morigerato. Non accuso i ricchi in favore del popolo: l'uomo qlo stesso in alto, in basso, al centro. Per ogni milione di questo alto bestiame si trovano dieci persone risolute che si mettono al di sopra di tutto, anche alle leggi, io sono di queste. Se voi siete un uomo superiore, marciate diritto e a testa alta. Ma dovrete lottare contro l'invidia, la calunnia, la mediocritj , contro tutti! Napoleone ha avuto un ministro della guerra che si chiamava Aubry, e che per poco non lo spediva in colonia. Misurate bene le vostre possibilitj . Guardate se potrete alzarvi ogni mattino con una volontjpiforte di quella che avevate il giorno prima. In tali congiunture, vi farz una proposta che nessuno rifiuterebbe. Ascoltatemi bene. Io, vedete, ho un'idea. La mia idea qdi andare a vivere la vita patriarcale in un grande possedimento, di centomila jugeri, per esempio, negli Stati Uniti, nel Sud. Voglio farvi il colonizzatore, avere sotto di me schiavi, guadagnare qualche milioncino vendendo i miei buoi, il mio tabacco, la mia legna, vivendo come un sovrano, facendo quel che voglio, conducendo un'esistenza che non si concepisce qui, dove ci si rannicchia in una tana di gesso. Io sono un grande poeta. Le mie poesie, io non le scrivo; esse consistono in azioni e in sentimenti. Posseggo, in questo momento, cinquantamila franchi, coi quali potrei comprare appena quaranta negri. Ho bisogno di duecentomila franchi, perchpvoglio duecento negri, al fine di soddisfare il mio gusto per la vita patriarcale. I negri, vedete, sono dei bambini venuti al mondo or ora, di cui si fa cizche si vuole, senza che un ficcanaso di procuratore del re venga a chiedervene conto. Con un tal capitale nero, in capo a dieci anni possiederztre o quattro milioni. Se riesco, nessuno mi domanderj : Chi sei? Io sarzil signor Quattro Milioni, cittadino degli Stati Uniti. Avrzcinquant'anni, non sarzancora marcio, mi divertirza mio modo. In due parole: se vi procuro una dote di un milione, mi darete duecentomila franchi? E' il venti per cento di commissione; eh!; troppo? Vi farete amare dalla vostra mogliettina. Una volta ammogliato, vi mostrerete preoccupato, pentito, triste per quindici giorni. Una notte, dopo qualche sdolcinatura, confesserete a vostra moglie, fra due baci, di aver duecentomila franchi di debito, dicendole: "Amor mio!". Questa commedia viene recitata tutti i giorni dai giovani pi distinti. Una giovane non rifiuta mai il suo denaro a chi le prende il cuore. Credete forse di rimetterci? No. Troverete la maniera di riguadagnare i duecentomila franchi in un qualche affare. Col vostro denaro e con la vostra intelligenza, metterete insieme una fortuna tanto considerevole quanto potete desiderarla. Ergo, avrete fatto, in soli sei mesi, la vostra felicitj , quella di un'amabile donna e quella del vostro papjVautrin, senza contare quella della vostra famiglia che d'inverno si soffia sulle dita per mancanza di legna. Non vi meravigliate npdi cizche vi propongo npdi cizche vi chiedo ! Su sessanta bei matrimoni celebrati a Parigi, ce ne sono quarantasette che danno luogo a simili mercanteggiamenti. La camera dei Notari ha costretto il signor... - Che cosa devo fare? - chiese avidamente Rastignac interrompendo Vautrin. - Quasi nulla - questi rispose lasciandosi sfuggire un moto di gioia, simile alla sorda espressione d'un pescatore che senta esservi un pesce all'estremitj della lenza. Ascoltatemi bene! Il cuore d'una povera figlia sfortunata e miserevole qla spugna pi avida di riempirsi d'amore, una spugna secca che si dilata non appena vi cada dentro una gocciola di sentimento. Fare la corte a una giovane sola, sconfortata e povera, senza che essa supponga la ricchezza che un giorno le dovrjarrivare!, caspita!, qcome avere buon gioco, come conoscere i numeri del lotto, come giocare in borsa sulla rendita avendo prima avuto le opportune notizie. In tal modo costruite su palafitte un matrimonio indistruttibile. Se a questa ragazza piovono milioni, lei ve li getterjai piedi, come se fossero sassi. "Prendi, amor mio! Prendi Adolfo! Alfredo! Prendi, Eugenio", dirj , se Adolfo Alfredo Eugenio hanno avuto il buon senso di sacrificarsi per lei. Intendo per sacrificarsi vendere un abito vecchio per andare a mangiare insieme al Cadran- Bleu i crostini coi funghi; da lu , la sera, all'Ambigu-Comique, impegnare l'orologio al Monte di Pietjper regalarle uno scialle. E non vi parlo poi degli scarabocchi d'amore, npdi quelle sciocchezzuole cui tengono tanto le donne, come, ad esempio, di spargere gocce d'acqua sulla carta da lettere a mo' di lagrime quando si qlontani da loro; ma mi sembra che gijconosciate perfettamente il gergo del cuore Parigi, vedete, qcome una foresta del Nuovo Mondo, nella quale si muovono venti tribselvagge, gli Illinois, gli Uroni, i quali vivono con quanto prodotto dalle differenti classi sociali; voi siete un cacciatore di milioni. Per prenderli usate trappole, vischio, richiami. Ci sono vari modi di cacciare. Alcuni vanno a caccia della dote, altri della liquidazione; alcuni pescano coscienze; altri vendono i loro associati con mani e piedi legati. Chi torna col carniere ben pieno qsalutato, festeggiato, ricevuto nella buona societj . Rendiamo giustizia a questo suolo ospitale, voi avete da fare con la cittjpicompiacente del mondo. Se le fiere aristocrazie di tutte le altre capitali d'Europa si rifiutano di ammettere nei loro ranghi un milionario scellerato, Parigi gli tende le braccia, accorre alle sue feste, accetta i suoi pranzi e trinca con la sua infamia. - Ma dove trovarla, la ragazza? - disse Eugenio. - Ma se l'avete davanti a voi! - Chi, la signorina Vittorina? - Gij , proprio lei! - Eh, come? - Lei vi ama gij , la vostra piccola baronessa de Rastignac! - Ma se non ha un soldo! - riprese Eugenio meravigliato. - Ah!, qui vi volevo. Ancora due parole - disse Vautrin - e tutto sarjchiarito. Il papj Taillefer qun vecchio briccone, e si dice abbia assassinato un suo amico durante la rivoluzione. E' uno di quegli uomini arditi, indipendenti nelle loro opinioni. E' un banchiere, principale socio della ditta Federico Taillefer e compagni. Ha un figlio unico, cui vuol lasciare tutta la sua sostanza, a detrimento di Vittorina. Io non posso approvare simili ingiustizie. Sono come Don Chisciotte, mi piace prendere la difesa del debole contro il forte. Se la volontjdi Dio fosse di riprendersi il figlio, Taillefer riprenderebbe con spla figlia; egli vorrebbe un erede qualsiasi, sciocchezza suggerita dalla stessa umana natura, e d'altra parte non puzpiavere figli, lo so. Vittorina qdolce e bellina, e farjpresto a conquistare suo padre. Lo farjgirare su se stesso come una trottola, con lo spago del sentimento! Sarjtroppo sensibile al vostro amore per dimenticarvi; e voi la sposerete. Io m'incarico di assumere la parte della Provvidenza, farzvolere il buon Dio. Ho un amico, per il quale a suo tempo mi sono molto prestato, un colonnello dell'armata della Loira, da poco passato nella guardia reale. Egli segue i miei consigli, ed qdivenuto ultra-realista: non quno di quegli imbecilli che tengono alle loro opinioni. Se vi posso dare un altro consiglio, mio caro, qdi non tenere npalle vostre opinioni npalle vostre parole. Quando ve le chiederanno, vendetele. Un uomo che si vanta di non mutar mai opinione qun uomo che s'impone di camminare sempre in linea retta, un ingenuo che crede all'infallibilitj . Non ci sono principi, ci sono soltanto accadimenti; non ci sono leggi, ci sono soltanto circostanze: l'uomo superiore sposa gli accadimenti e le circostanze per dirigerli. Se ci fossero principi e leggi stabili, i popoli non li cambierebbero come noi la camicia. L'uomo non ha il dovere d'essere pi saggio di tutta una nazione. L'uomo che ha reso il minor numero di servigi alla Francia q un feticcio venerato per aver sempre visto rosso; qbuono tutt'al piper esser messo al Conservatorio, fra le macchine, con l'etichetta: La Fayette. Invece il principe [Talleyrand] contro cui tutti scagliarono una pietra, e che disprezza abbastanza l'umanitjda sputarle in viso tanti giuramenti quanti ne chiede, ha impedito lo smembramento della Francia al congresso di Vienna: gli si dovrebbero offrire corone, gli si getta addosso fango. Oh!, so bene come vanno le cose, io! E posseggo i segreti di molta gente. Basta. Avrzun'opinione incrollabile il giorno in cui avrztrovato tre teste d'accordo sull'uso d'un principio, e attenderza lungo! Non si trovano in tribunale tre giudici che interpretino in modo eguale un articolo di legge. Ma torno al mio uomo. Rimetterebbe GesCristo in croce, se glielo chiedessi. Basterjuna sola parola del suo papjVautrin perchpegli cerchi di attaccar lite con quel briccone che non manda neppure cento soldi alla sua povera sorella, e... - A questo punto Vautrin si alzz, si mise in guardia, fece la mossa d'un maestro di scherma quando porta la gamba destra in avanti e lascia al suo posto il piede sinistro. - E, all'ombra - egli aggiunse. - Orrore! - disse Eugenio. - Voi volete scherzare, signor Vautrin? - Lj , lj , calma - riprese quell'uomo. - Non fate il bambino: tuttavia, se vi diverte, corrucciatevi, adiratevi! Dite pure che sono un infame, uno scellerato, un briccone, un bandito, ma non chiamatemi np imbroglione np spia! Andiamo, su, sparate la vostra bordata! Vi perdono, qcosunaturale alla vostra etj ! Anch'io sono stato cosu . Soltanto, riflettete. Un giorno o l'altro potrete far di peggio. Andrete a fare il galletto da qualche bella donna, e vi farete dare dei soldi. Ci avete pensato? - chiese Vautrin; - giacchpcome riuscirete, se non trarrete profitto dal vostro amore? La virt, mio caro studente, qinscindibile: o qo non q . Si dice che basta far penitenza dei propri peccati. Un altro bel sistema, in virtdel quale si qassolti da un delitto con un atto di contrizione! Sedurre una donna per arrivare a porvi su un certo piuolo della scala sociale, mettere zizzania tra i figli di una famiglia, insomma tutte le infamie che si commettono sotto la cappa di un camino o altrimenti a scopo di piacere o per interesse personale, credete voi che siano atti di fede, di speranza e di caritj ? Perchpdue mesi di prigione al dandy che, in una notte, toglie a un ragazzo la metj della sua fortuna, e perchpla galera al povero diavolo che ruba un biglietto da mille franchi, con le circostanze aggravanti? Ecco quello che sono le vostre leggi. Non c'qun articolo che non arrivi all'assurdo. L'uomo in guanti e in parole gialli ha commesso assassini in cui non si versa sangue, ma se ne dj ; l'assassino ha aperto una porta con un grimaldello: entrambe son cose notturne! Tra quel che vi propongo e quel che farete un giorno, non c'q che il sangue in meno. Voi credete in qualcosa di stabile in quel mondo? Ma disprezzate gli uomini, e cercate le maglie per dove si puzpassare attraverso la rete del Codice. Il segreto delle grandi fortune senza ragioni apparenti sta in un delitto, dimenticato perchp pulitamente compiuto. - Basta, signore, non voglio sentir altro, mi fareste dubitare di me stesso. Ora il sentimento qtutta la mia scienza. - Come volete, mio bel ragazzo. Vi credevo piforte - disse Vautrin - non vi dirzpi nulla. Un'ultima parola, perz. - E, guardando fisso lo studente: - Voi conoscete il mio segreto - gli disse. - Un giovane che vi dice di no saprjpresto dimenticarlo. - Avete ben detto, cizmi fa piacere. Un altro, vedrete, sarjmeno scrupoloso. Ricordatevi di quanto voglio fare per voi. Vi dzquindici giorni. Prendere o lasciare. "Che logica di ferro ha costui!", si disse Rastignac, vedendo Vautrin andarsene tranquillamente, col suo bastone sotto il braccio. "Egli mi ha detto crudelmente quel che la signora de Beausp ant mi diceva salvando la forma. Costui mi lacerava il cuore con artigli d'acciaio. Perchpvoglio andare dalla signora de Nucingen? Egli ha indovinato le mie idee non appena le ho concepite. In due parole, questo brigante mi ha detto picose sulla virtdi quante non me ne abbiano dette gli altri uomini e i libri. Se la virtnon ammette capitolazione, ho dunque derubato le mie sorelle?", disse gettando il sacchetto sul tavolo. Si sedette, e rimase luassorto in una sbalordita meditazione. "Restar fedele alla virt, martirio sublime. Oh!, tutti credono alla virt; ma chi q virtuoso? I popoli venerano la libertjcome un idolo; ma dov'qsulla terra un popolo libero? La mia giovinezza qancora azzurra come un cielo senza nuvole: voler essere grande o ricco, non significa risolversi a mentire, a piegarsi, ad abbassarsi, a raddrizzarsi, ad adulare, a dissimulare? Non qun consentire a diventare il servo di coloro che hanno mentito, che si sono piegati, abbassati? Prima d'esser loro complice, bisogna servirli. Ebbene, no. Io voglio lavorare nobilmente, santamente; voglio lavorare giorno e notte, dover la mia fortuna solo al mio lavoro. Sarjla pilenta delle fortune, ma ogni giorno la mia testa riposerjsu di un guanciale senza un cattivo pensiero. Che cosa c'qdi pibello del contemplare la propria vita e trovarla pura come un giglio? Io e la vita siamo come un giovane e la sua fidanzata. Vautrin mi ha fatto vedere quel che accade dopo dieci anni di matrimonio. Diavolo!, la mia testa si smarrisce. Non voglio pensare a nulla, il cuore q una buona guida". Eugenio fu distolto dalla sua meditazione dalla voce della grossa Silvia, che gli annunciz il sarto, al quale si presentztenendo in mano i due sacchetti pieni di denaro; e non si sentu contrariato da tale circostanza. Dopo essersi provato gli abiti da sera, indosszil nuovo vestito da mattino, che lo trasformava completamente: "Ora valgo quanto il signor de Trailles", disse fra spe sp . "Finalmente, ho l'aria di un gentiluomo". - Signore - disse papjGoriot entrando in camera di Eugenio - mi avete chiesto se conoscevo la casa dove va la signora de Nucingen? - Su . - Ebbene, essa va luneduprossimo al ballo del maresciallo Carigliano. Se potete andarci, mi direte poi se le due mie figlie si sono divertite, come erano vestite, tutto insomma. - Come l'avete saputo, mio buon papjGoriot? domandzEugenio facendolo sedere accanto al fuoco. - Me lo ha detto la sua cameriera. So tutto quel che fanno da Teresa e da Costanza riprese con aria allegra. Il vecchio sembrava un amante ancora abbastanza giovane per essere soddisfatto d'uno stratagemma che lo metta in comunicazione con la sua amante, senza che questa possa scoprirlo. - Voi le vedrete, voi! - disse esprimendo con ingenuitj una dolorosa invidia. - Non so - rispose Eugenio. - Andrzdalla signora de Beausp ant per chiederle se puz presentarmi alla marescialla. Eugenio pensava con una specie di gioia interiore a mostrarsi alla viscontessa vestito come d'ora in avanti avrebbe usato vestirsi. Quel che i moralisti definiscono gli abissi del cuore umano sono soltanto gli ingannevoli pensieri, gli involontari moti dell'interesse personale. Quelle peripezie, soggetto di tante declamazioni, quei cambiamenti repentini, sono calcoli fatti a profitto dei nostri godimenti. Vedendosi ben vestito, ben calzato, Rastignac dimenticzla virtuosa decisione. La giovinezza non osa guardarsi allo specchio della coscienza quando pende dalla parte dell'ingiustizia, mentre l'etjmatura vi si qspecchiata; in cizconsiste tutta la differenza tra queste due fasi della vita. Da qualche giorno i due vicini, Eugenio e papjGoriot, erano divenuti buoni amici. La loro segreta amicizia dipendeva dalle ragioni psicologiche che avevano causato sentimenti contrari tra Vautrin e lo studente. L'ardito filosofo che vorrj constatare gli effetti dei nostri sentimenti nel mondo fisico, ritroverjsenza dubbio pidi una prova della loro effettiva materialitjnei rapporti che essi creano tra noi e gli animali. Qual fisiognomo qpisollecito a indovinare un carattere, di quanto non lo sia un cane a sapere se uno sconosciuto gli vuol bene o no? Gli "atomi uncinati", espressione proverbiale di cui tutti si servono, sono uno di quei fatti che rimane nei linguaggi per smentire le sciocchezze filosofiche di cui si occupano coloro che si divertono a vagliare la scorza delle parole primitive. Quando siamo amati, lo sentiamo. Il sentimento s'imprime in tutte le cose e attraversa lo spazio. Una lettera qun'anima; qun'eco cosufedele della voce che parla, da farla annoverare dagli spiriti delicati fra i piricchi tesori dell'amore. PapjGoriot, che il sentimento irriflessivo elevava fino al sublime della natura canina, aveva annusato il compatimento, l'ammirativa bontj , le simpatie giovanili che s'erano commosse per lui nel cuore dello studente. Tuttavia, questa unione nascente non aveva ancora portato ad alcuna confidenza. Se Eugenio aveva manifestato il desiderio di vedere la signora de Nucingen, non contava certo sul vecchio per esser introdotto da lui in casa di lei, ma sperava che una qualsiasi indiscrezione avrebbe potuto essergli utile. PapjGoriot gli aveva parlato delle figlie solo a proposito di quel che si era permesso di dire davanti a tutti i pensionanti il giorno delle sue visite. - Mio caro signore - gli aveva detto l'indomani - come mai avete potuto credere che la signora de Restaud si sia adirata con voi perchpavete pronunciato il mio nome? Le mie due figlie mi vogliono tanto bene. Io sono un padre felice. Sono i due generi che si sono mal comportati verso di me. Io non ho voluto far soffrire quelle care creature per i miei dissensi con i loro mariti, e ho preferito vederle di nascosto. Tale mistero mi procura mille gioie che non possono comprendere gli altri padri i quali possono vedere le loro figlie quando vogliono. Io questo non lo posso fare, capite? Allora vado, quando qbel tempo ai Champs- Elisp es, dopo aver domandato alle cameriere se le mie figlie escono. Le attendo al passaggio, il cuore mi batte quando le vetture giungono, le ammiro nella loro toletta, e loro mi gettano, passando, un sorrisetto che mi fa sembrar d'oro la natura, come se vi cadesse un raggio di qualche bel sole. Io rimango lu , perchpdevono ripassare. Le vedo di nuovo! L'aria gli ha fatto bene, sono rosee. Sento dire vicino a me: "Ecco una bella donna!". Questo mi rallegra il cuore. Non sono sangue mio? Voglio bene ai cavalli delle loro carrozze, vorrei essere il cagnolino che tengono sulle ginocchia. Vivo dei loro piaceri. Ognuno ha il proprio modo d'amare; il mio non fa male a nessuno, e allora perchpla gente si occupa di me? sono felice a modo mio. E' forse contrario alla legge che io vada a vedere le mie figlie, la sera, quando escono di casa per andare al ballo? Che dolore, se arrivo troppo tardi e mi dicono: "la signora qgijuscita". Una volta ho aspettato fino alle tre del mattino per veder Nasia, che non avevo veduto da due giorni. Per poco non scoppiavo dalla contentezza. Ve ne prego, non parlate di me se non per dire quanto le mie figlie siano buone. Esse vorrebbero colmarmi d'ogni sorta di regali; glielo impedisco e dico loro: "Tenete per voi il vostro denaro. Che volete che io me ne faccia ? Non ho proprio bisogno di nulla". Giacchp , mio caro signore, che sono io? Un misero cadavere; l'anima sta ovunque si trovino le mie figlie. Quando avrete visto la signora de Nucingen, mi direte quale delle due vi piace di pi- disse il buon uomo dopo un momento di silenzio, vedendo che Eugenio si preparava a uscire per andare alle Tuileries in attesa dell'ora di presentarsi in casa de Beausp ant. Quella passeggiata fu fatale per lo studente. Alcune donne lo notarono. Era cosubello, cosugiovane, e d'una eleganza cosudi buon gusto! Nel vedersi oggetto di un'attenzione quasi ammirativa, non penszpinpalle sorelle npalla zia che aveva saccheggiato, npalle sue virtuose repugnanze. Aveva visto passare al di sopra della sua testa quel demonio che qcosufacile scambiare per un angelo, quel Satana dalle ali screziate che semina rubini, che lancia le sue frecce d'oro contro i palazzi, imporpora le donne, riveste d'un vano splendore i troni, cosusemplici in origine: aveva ascoltato il dio di quella vanitjcrepitante, il cui orpello ci sembra sia un simbolo della potenza. Le parole di Vautrin, per quanto ciniche, erano scese nel suo cuore, come nel ricordo d'una vergine s'imprime il profilo ignobile d'una rivenditrice d'abiti che le ha detto: "Oro e amore a josa!". Dopo aver bighellonato, verso le cinque Eugenio si presentz in casa della signora de Beausp ant, e vi ricevette uno di quei colpi terribili di fronte ai quali i cuori giovani sono disarmati. Aveva fino allora trovato la contessa piena di quella urbanitjgarbata, di quella grazia melliflua, data dall'educazione aristocratica, e che non q completa se non viene dal cuore. Quando entrz, la signora de Beausp ant ebbe un gesto secco, e gli disse in tono reciso: - Signor de Rastignac, mi qimpossibile vedervi, almeno in questo momento!, ho da fare... Per un osservatore, e Rastignac lo era diventato presto, quella frase, il gesto, lo sguardo, l'inflessione della voce, erano la storia del carattere e delle abitudini della casta. Scorse la mano di ferro sotto il guanto di velluto; la personalitj , l'egoismo sotto le maniere; il legno sotto la vernice. Sentu , insomma, l'"Io il Re", che comincia sotto i pennacchi del trono e finisce sotto il cimiero dell'ultimo gentiluomo. Eugenio s'era troppo facilmente lasciato andare nel credere, sulla parola della cugina, alla virtdella donna. Come tutti gli sventurati, aveva firmato in buona fede il patto delizioso che deve unire il benefattore e il beneficato, e il cui primo articolo consacra tra i magnanimi cuori una completa eguaglianza. La beneficenza, che unisce due esseri in uno solo, quna passione celeste, tanto incompresa, tanto rara quanto il vero amore. L'una e l'altro sono la prodigalitjdelle anime belle. Rastignac voleva riuscire a essere invitato al ballo della duchessa di Carigliano; e superz quella burrasca. - Signora - disse con voce commossa - se non si trattasse d'una cosa importante, non sarei venuto a importunarvi; siate gentile permettetemi di vedervi pitardi, attenderz. - Ebbene !, venite a pranzo da me - disse un po' confusa della durezza delle sue parole; giacchpquesta donna era davvero altrettanto buona che nobile. Sebbene commosso da tale improvviso cambiamento, Eugenio si disse andandosene: "Abbassati, sopporta tutto. Che cosa non devono essere le altre, se, in un momento, la migliore delle donne dimentica le promesse della sua amicizia, ti lascia lucome una scarpa vecchia! Ognuno per sp , dunque. E' pur vero che la sua casa non qun negozio, e il torto qmio d'aver bisogno di lei. Bisogna, come dice Vautrin, diventare una palla di cannone". Le amare riflessioni dello studente furono presto dissipate dal piacere che si riprometteva pranzando dalla viscontessa. Cosu , per una specie di fatalitj , i minimi atti della sua vita cospiravano a spingerlo in quella strada ove, secondo le osservazioni della terribile sfinge di casa Vauquer, egli doveva, come su di un campo di battaglia, uccidere per non essere ucciso, ingannare per non essere ingannato; ove doveva lasciare alla barriera la sua coscienza, il suo cuore, mettersi una maschera, beffarsi, senza pietj , degli uomini, e come a Sparta, cogliere la fortuna senza esser visto, per meritare la corona. Quando tornzdalla viscontessa, la trovz piena di quella bontjgraziosa di cui gli aveva sempre dato prova. Tutti e due si avviarono verso una sala da pranzo dove il visconte attendeva sua moglie, e in cui risplendeva quel lusso della tavola che sotto la Restaurazione fu spinto, come ognuno sa, al pialto grado. Il signor de Beausp ant, simile a molte persone scettiche indifferenti e insensibili, non trovava ormai altro piacere che nella buona tavola; era, quanto a ghiottoneria, della scuola di Luigi Diciottesimo e del duca d'Escars. La sua tavola offriva dunque un doppio lusso: quello del contenente e quello del contenuto. Mai un simile spettacolo si era presentato agli occhi d'Eugenio, che pranzava per la prima volta in una di quelle case in cui le grandezze sociali sono ereditarie. La moda aveva da poco soppresso le cene, con le quali terminavano un tempo i balli dell'Impero, e in cui i militari avevano bisogno di prender forza per prepararsi a tutti i combattimenti che li attendevano, all'interno e all'esterno. Eugenio aveva fino allora assistito solo a balli. La disinvoltura che lo distinse pitardi cosueminentemente, e che gijcominciava ad assumere, gli impedudi apparire scioccamente stupefatto. Ma, vedendo quell'argenteria cesellata e le mille ricercatezze d'una tavola sontuosa, ammirando per la prima volta un servizio di domestici eseguito silenziosamente, era difficile a un uomo d'ardente immaginazione non preferire quella vita sempre elegante alla vita di privazioni che al mattino di quello stesso giorno voleva accettare. Il suo pensiero lo riportzper un momento nella pensione borghese, e ne provzun cosuprofondo orrore, che giurzdi lasciarla nel prossimo mese di gennaio, sia per sistemarsi in un alloggio pipulito, sia per allontanarsi da Vautrin, di cui sentiva l'ampia mano sulla sua spalla. Quando si pensa alle mille forme che assume a Parigi la corruzione, parlante o muta, un uomo di buon senso si domanda per quale aberrazione lo Stato vi istituisca scuole e vi riunisca i giovani, come mai le belle donne possono esservi rispettate, come mai l'oro messo in vetrina dai cambiavalute non s'invola magicamente dalle loro ciotole. Ma se si pensa che pochi sono i casi di delitti, anche di delitti commessi dai giovani, da quale rispetto non si deve essere presi per quei pazienti Tantali in combattimento con se stessi, e quasi sempre vincitori? Se fosse ben descritto nella sua lotta con Parigi, il povero studente offrirebbe uno dei soggetti pidrammatici della nostra civilizzazione moderna. La signora de Beausp ant guardava invano Eugenio per invitarlo a parlare; egli non volle dir nulla in presenza del Visconte. - Mi accompagnate questa sera agli "Italiani"? - chiese la viscontessa al marito. - Non potete dubitare con quale piacere vi ubbidirei - egli rispose con una galanteria ironica da cui lo studente rimase ingannato - ma devo vedere qualcuno alle "Varietp s". "La sua amante" essa pensz. - Non avete d'Adjuda, questa sera? - domandzil visconte. - No - rispose lei con stizza. - E allora!, se vi occorre assolutamente un braccio, prendete quello del signor de Rastignac. - La viscontessa guardzEugenio sorridendo. - Sarjben compromettente per voi - essa disse. - "Il francese ama il pericolo perchp vi trova la gloria", ha detto il signor de Chateaubriand - rispose Rastignac inchinandosi. Pitardi egli fu condotto, vicino alla signora de Beausp ant, in un veloce "coupp ", al teatro alla moda, e credette a una fantasmagoria quando entrzin un palco di faccia e si vide preso di mira da tutti gli occhialini unitamente alla viscontessa, la cui toletta era deliziosa. Egli passava da un incanto all'altro. - Avevate da parlarmi - gli disse la signora de Beausp ant. - To!, guardate, ecco ljla signora de Nucingen a tre palchi dal nostro. Sua sorella e il signor de Trailles sono dall'altro lato. Dicendo queste parole, la viscontessa guardava il palco dove doveva trovarsi la signorina de Rochefide, e, non vedendovi il signor d'Adjuda, il suo volto brillzin un modo straordinario. - E' incantevole - disse Eugenio dopo aver guardato la signora de Nucingen. - Ha le ciglia bianche. - Su , ma che graziosa vita sottile! - Ha le mani grosse. - Che begli occhi! - Ha il viso lungo. - Ma la forma lunga conferisce distinzione. - E' una fortuna per lei averla almeno lu . Guardate come prende e come lascia l'occhialino! Il Goriot viene fuori da tutti i suoi gesti - disse la viscontessa con grande meraviglia di Eugenio. Difatti, la signora de Beausp ant guardava con l'occhialino la sala e non sembrava fare attenzione alla signora de Nucingen, della quale tuttavia non perdeva neppure un gesto. Il pubblico era squisitamente elegante. Delfina de Nucingen non era poco lusingata d'interessare in pieno il giovane, bello, elegante cugino della signora de Beausp ant. Egli non guardava che lei. - Se continuate a coprirla coi vostri sguardi, susciterete uno scandalo, signor de Rastignac. Non riuscirete a nulla, se vi scaglierete in questo modo contro le persone. - Mia cara cugina - disse Eugenio - voi mi avete gijben protetto; se volete compiere l'opera, vi chiedo solo di rendermi un servigio chi vi darjpoco disturbo e mi farjgran bene. Eccomi preso. - Gij ? - Su . - E di quella donna? - Le mie pretese sarebbero forse ascoltate altrove? - egli disse dando uno sguardo penetrante alla cugina. - La signora duchessa di Carigliano qamica della signora duchessa de Berry - riprese dopo una pausa; - voi dovete vederla, abbiate la bontjdi presentarmi a lei e di condurmi al ballo che darjlunedu . Luincontrerzla signora de Nucingen, e vi ingaggerzla mia prima scaramuccia. - Volentieri - lei rispose. - Se gijavete dell'interesse per lei, i vostri affari di cuore vanno benissimo. Ecco ljde Marsay nel palco della principessa Galathionne. La signora de Nucingen qalla tortura, qindispettita. Non c'qmiglior momento per abbordare una donna, specie poi la moglie d'un banchiere. A queste donne della Chaussp e-d'Antin piace la vendetta. - Che cosa fareste voi in un caso simile? - Io, soffrirei in silenzio. In quel momento il marchese d'Adjuda si presentznel palco della signora de Beausp ant. - Ho trascurato i miei affari pur di raggiungervi - disse - e ve lo dico affinchpquesto non sia un sacrificio. Il raggiare del volto della viscontessa insegnzad Eugenio a riconoscere le espressioni d'un vero amore e a non confonderle con le smorfie della civetteria parigina. Egli ammirz sua cugina, si fece silenzioso e cedette il suo posto al signor d'Adjuda, sospirando. "Che nobile, che sublime creatura, quna donna che ama cosu ", disse fra spe sp . "E quest'uomo la tradirebbe per una bambolina? Come qpossibile tradirla?". Si sentual cuore una rabbia infantile. Avrebbe voluto rotolarsi ai piedi della signora de Beausp ant, desiderava il potere dei demoni per ghermirla e trarla al suo cuore, come un'aquila solleva dalla pianura e reca al suo nido una capretta bianca ancor lattante. Si sentiva umiliato di trovarsi entro quel grande Museo della bellezza senza il suo quadro, senza una amante sua. "Avere un'amante quna posizione quasi regale", diceva fra spe sp , "qil segno della potenza!". E guardzla signora de Nucingen come un uomo insultato guarda il proprio avversario. La viscontessa si voltzverso di lui per fargli, per la sua discrezione, mille ringraziamenti con una sola strizzatina d'occhi. Il primo atto era finito. - Conoscete voi abbastanza la signora de Nucingen, da poterle presentare il signor de Rastignac? - domandzal marchese d'Adjuda. - Ma sarjfelice di conoscere il signore - rispose il marchese. Il bel Portoghese si alzze prese sottobraccio lo studente, che in un batter d'occhio si trovzin presenza della signora de Nucingen. - Signora baronessa - disse il marchese - ho l'onore di presentarvi il cavalier Eugenio de Rastignac, cugino della viscontessa de Beausp ant. Voi fate una cosuviva impressione su di lui, che ho voluto completare la sua felicitjavvicinandolo al suo idolo. Queste parole furono dette con un certo accento di scherzo, che ne faceva accettare il pensiero un po' crudo, ma che, opportunamente dissimulato, non dispiace mai a una donna. La signora de Nucingen sorrise, e offrua Eugenio il posto di suo marito, uscito poco prima. - Non oso proporvi di rimanere qui, signore - gli disse. - Quando si ha la fortuna d'esser vicino alla signora de Beausp ant, ci si resta. - Ma - le rispose a bassa voce Eugenio - credo, signora, che se voglio far cosa grata a mia cugina, dovrzrimanere accanto a voi. Prima che giungesse il signor marchese, parlavamo di voi e della distinzione di tutta la vostra persona - aggiunse a voce alta. Il signor d'Adjuda si ritirz. - Ma davvero volete rimanere qui con me? Ci conosceremo, allora; la signora de Restaud mi aveva gijfatto venire il pivivo desiderio di vedervi. - Oh, quanta falsitj ! Ha dato l'ordine di non ricevermi. - Come sarebbe a dire? - Signora, troverzil coraggio di dirvene la ragione, ma chiedo tutta la vostra indulgenza confidandovi un simile segreto. Io sono il vicino del vostro signor padre. Non sapevo che la signora de Restaud fosse sua figlia. Ho commesso l'imprudenza di parlarne, molto innocentemente, e ho urtato vostra sorella e suo marito. Non potete immaginare quanto la signora duchessa de Langeais e mia cugina abbiano trovato questa apostasia filiale di cattivo gusto. Ho raccontato loro la scena, e ne hanno riso alla follia. E' stato allora che, facendo un parallelo tra voi e vostra sorella, la signora de Beausp ant mi ha parlato di voi nel migliore dei modi, e mi ha detto quanto voi siete buona col mio vicino, il signor Goriot. Come, del resto, potreste non amarlo? Vi adora cosuappassionatamente, che ne sono gijgeloso. Abbiamo parlato stamane di voi per due ore. Poi, entusiasmato di quel che vostro padre mi ha raccontato, questa sera, pranzando da mia cugina, le dicevo che voi non potevate essere tanto bella quanto eravate figlia affezionata. Volendo senza dubbio favorire una cosucalda ammirazione, la signora de Beausp ant mi ha condotto qui, dicendomi con la sua grazia abituale che vi avrei incontrata. - Come, signore - disse la moglie del banchiere - debbo gijesservi riconoscente? Ancora un po', e diverremo vecchi amici. - Benchpl'amicizia debba essere in voi un sentimento poco comune - disse Rastignac non vorrzmai essere vostro amico. Queste sciocchezze stereotipate a uso dei debuttanti sembrano sempre affascinanti alle donne, e non sono meschine che lette a freddo. Il gesto, l'accento, lo sguardo d'un giovane conferiscono loro incalcolabili valori. La signora de Nucingen trovzRastignac molto interessante. Poi come tutte le donne, non potendo dir nulla a proposito di questioni cosubruscamente poste come lo erano quelle dello studente, rispose ad altro. - Su , mia sorella ha torto di condursi nel modo in cui si conduce verso il mio povero padre, che davvero qstato per noi un dio. E' stato necessario che il signor de Nucingen mi ordinasse tassativamente di vedere mio padre soltanto la mattina, perchpcedessi su questo punto. Ma ne sono stata a lungo addolorata. Ne ho pianto. Queste violenze venute dopo le brutalitjnel matrimonio, sono state una delle ragioni che piturbarono la nostra unione. Io sono certo la donna di Parigi pifelice agli occhi del mondo, la piinfelice in realtj . Sentendomi parlare cosu , mi crederete pazza. Ma voi conoscete mio padre, e, a tale titolo, non potete essere per me un estraneo. - Voi non avete mai incontrato alcuno - le disse Eugenio - che sia pidi me animato dal desiderio di appartenervi. Che cosa cercate voi tutte? La felicitj- riprese con una voce che penetrava nell'anima. - E allora! se per una donna la felicitjconsiste nell'essere amata, adorata, nell'avere un amico cui poter confidare tutti i propri desideri, le fantasie, i dolori, le gioie, mostrarsi nella nuditjdella propria anima, coi graziosi difetti e le belle qualitj , senza timore d'essere tradita, credetemi, un tal cuore devoto, sempre ardente, non puztrovarsi che in un giovane, pieno d'illusioni, capace di morire a un solo vostro cenno, che ancora non sa nulla del mondo e nulla vuol sapere, perchpper lui il mondo siete voi. Ma io, lo vedete, e ora riderete della mia ingenuitj , io arrivo qui dal fondo di una provincia, nuovo a tutto, dopo aver conosciuto solo anime belle; e contavo di rimanere senza amore. M'qaccaduto di vedere mia cugina, che mi ha messo troppo accanto al suo cuore; mi ha fatto indovinare i mille tesori della passione, io sono, come Cherubino, innamorato di tutte le donne, in attesa di potermi consacrare a una di loro. Vedendovi, quando sono entrato, mi sono sentito portare a voi come da una corrente. Avevo gij pensato tanto a voi! Ma non vi avevo mai sognato tanto bella come siete in realtj . La signora de Beausp ant mi ha detto di non guardarvi tanto. Lei non sa quel che c'qdi attraente a vedere le vostre deliziose labbra rosse, la vostra carnagione bianca, i vostri occhi dagli sguardi cosudolci. Anch'io vi sto dicendo delle follie, ma lasciatemele dire! Nulla piace pialle donne che il sentirsi indirizzare cosudolci parole. La donna pi rigorosamente devota le ascolta anche quando a esse non deve rispondere. Dopo aver cosu iniziato il suo dire, Rastignac snocciolzil suo rosario con voce resa bassa per civetteria; e la signora de Nucingen incoraggiava Eugenio con dei sorrisi, guardando di tanto in tanto de Marsay, che non lasciava il palco della principessa Galathionne. Rastignac rimase vicina alla signora de Nucingen fino al momento in cui il marito venne a prenderla per ricondurla a casa. - Signora - le disse Eugenio - avrzil piacere d'incontrarvi al ballo della duchessa di Carigliano. - Poichpla zignora fe ne preca - disse il barone, un grosso Alsaziano la cui figura tondeggiante indicava una pericolosa malizia - ziete ziguro t'esser pen ricefuto. "I miei affari vanno bene, perchpnon si qinalberata sentendomi dire: Mi amerete? Ho messo il morso alla bestia, saltiamole in groppa e guidiamola", si disse Eugenio andando a salutare la signora de Beausp ant, che si alzava e usciva con d'Adjuda. Il povero studente non sapeva che la baronessa era distratta e che attendeva da de Marsay una di quelle lettere decisive che straziano l'anima. Tutto contento del suo falso successo, Eugenio accompagnzla viscontessa fino al peristilio dove ognuno attende la propria carrozza. - Vostro cugino non sembra pilui - disse il Portoghese, ridendo, alla viscontessa, quando Eugenio li ebbe lasciati. - Sta per far saltare il banco. E' svelto come un'anguilla, e penso che andrjlontano. Voi sola potevate accuratamente scegliergli una donna che si trova proprio nel momento in cui ha bisogno d'essere consolata. - Ma - disse la signora de Beausp ant - bisogna pur sapere se lei ama ancora colui che l'abbandona. Lo studente tornza piedi dal Teatro Italiano alla via Neuve- Sainte-Geneviq ve, facendo i pirosei progetti. Egli aveva ben notato l'attenzione con cui la signora de Restaud lo aveva guardato, sia quando si trovava nel palco della viscontessa, sia in quello della signora de Nucingen, e penszche la porta della contessa non sarebbe pirimasta chiusa per lui. Cosugijquattro relazioni di prim'ordine, ivi compresa quella della marescialla cui contava di riuscire gradito, stavano per essergli acquisite nel cuore dell'alta societj parigina. Senza troppo spiegarsene i modi, gijprevedeva che, nel gioco complicato degli interessi di quel mondo, avrebbe dovuto attaccarsi a un ingranaggio per trovarsi nella parte superiore della macchina, e si sentiva la forza d'arrestarne la ruota. "Se la signora de Nucingen s'interessa di me le insegnerza governare suo marito. Questo marito fa affari d'oro, potrjaiutarmi a mettere insieme in un colpo solo una fortuna". Non diceva questo a se stesso crudamente, ma era ancora abbastanza politico da stimare una situazione, apprezzarla e calcolarla; quelle idee fluttuavano all'orizzonte sotto forma di nuvole lievi, e, sebbene non avessero l'asprezza di quelle di Vautrin, se fossero state tuttavia provate al crogiuolo della coscienza non avrebbero dato nulla di molto puro. Gli uomini giungono, attraverso una sequela di transazioni di tal genere, alla morale rilassata che professa l'epoca attuale, ove s'incontrano piraramente che in ogni altro tempo quegli uomini tetragoni, quelle belle volontjche non si piegano mai al male, uomini ai quali la minima deviazione dalla linea retta sembra essere un delitto: magnifiche immagini della probitj che ci hanno valso due capolavori: l'"Alceste" di Moliq re, e poi recentemente "Jenny Deans" e suo padre, nell'opera di Walter Scott. Forse l'opera opposta, la pittura delle tortuositjnelle quali un uomo di mondo, un ambizioso, fa rotolare la coscienza, cercando di costeggiare il male per arrivare allo scopo salvando le apparenze, non sarebbe npmeno bella, npmeno drammatica. Nel raggiungere la soglia della pensione, Rastignac s'era incapricciato della signora de Nucingen, gli era apparsa agile, fine come una rondinella. L'inebbriante dolcezza dei suoi occhi, il tessuto delicato e serico della pelle sotto la quale aveva creduto veder scorrere il sangue, il suono incantevole della voce, i biondi capelli: tutto di lei ricordava; e forse il camminare, mettendo il sangue in movimento, aveva concorso a quella fascinazione. Lo studente busszforte alla porta di papjGoriot. - Vicino mio - disse - ho visto la signora Delfina. - Dove? - Agli "Italiani". - Si divertiva? Ma entrate. - E il buon uomo, che s'era levato da letto in camicia, si ricoriczalla svelta. - Parlatemi dunque di lei - aggiunse. Eugenio, che si trovava per la prima volta in camera di Goriot, non seppe padroneggiare un moto di stupore vedendo il bugigattolo dove viveva il padre dopo aver ammirato la toletta della figlia. La finestra era senza tende; la carta da parati incollata sui muri se ne distaccava in pi punti a causa dell'umiditj , e si accartocciava scoprendo la calce ingiallita dal fuoco. Il buon uomo giaceva su di un lettuccio, non aveva che una leggera coperta e un copriletto imbottito, fatto con gli avanzi dei vecchi abiti della signora Vauquer. I vetri della finestra erano umidi e pieni di polvere. Incontro a essa, si vedeva uno di quei vecchi canterani in legno di rosa bombati, con le maniglie in rame foggiato a tralci decorati di foglie di fiori, e un vecchio mobile con una tavoletta di legno su cui era posta una brocca d'acqua nella sua catinella, e tutto l'occorrente per farsi la barba. In un angolo, le scarpe; accanto alla testata del letto, un comodino senza sportello e senza lastra di marmo; all'angolo del caminetto, dove non c'era traccia di fuoco, si trovava quella tavola quadrata, in legno di noce, il cui asse aveva servito a papjGoriot per sformare il servizio d'argento dorato. Un brutto scrittoio, sul quale era il cappello del buon uomo, una poltrona col sedile di paglia, sfondata, e due sedie completavano il miserevole mobilio. La sommitjdel letto, attaccata al soffitto con un cencio, reggeva una strisciaccia di stoffa a quadrati rossi e bianchi. Il pi povero commissionario doveva essere meno mal combinato nel suo granaio di quanto non lo fosse papjGoriot in casa della signora Vauquer. L'aspetto della camera metteva freddo e stringeva il cuore; sembrava il pi triste alloggio d'una prigione. Per fortuna Goriot non vide l'espressione che si dipinse sul viso di Eugenio quando questi poszla candela sul comodino. Il buon uomo si volse dalla parte di lui, rimanendo coperto fino al mento. - Dunque!, chi preferite: la signora de Restaud o la signora de Nucingen ? - Preferisco la signora Delfina - rispose lo studente - perchplei vi vuol pibene. A queste parole, dette con calore, il buon uomo tirzfuori il braccio dal letto e strinse la mano d'Eugenio. - Grazie, grazie - rispose il vecchio commosso. - E, che vi ha detto di me? Lo studente ripetple parole della baronessa abbellendole, e il vecchio l'ascoltzcome se avesse ascoltato la parola di Dio. - Cara figliuola!, su , su , mi vuole tanto bene. Ma non credetela affatto in quanto vi ha detto d'Anastasia. Vedete, le due sorelle sono gelose l'una dell'altra; quna prova di pi della loro tenerezza. La signora de Restaud mi vuole tanto bene anche lei. Lo so. Un padre qcoi suoi figli come Dio qcon noi; va fino in fondo ai cuori, e giudica le intenzioni. Sono tutte e due egualmente amorose. Oh!, se avessi avuto dei buoni generi, sarei stato troppo felice. Ma indubbiamente non c'quna felicitjcompleta quaggi. Se avessi vissuto con loro, al solo sentir le loro voci, saperle vicine, vederle andare e venire, come quando le avevo in casa mia, il cuore mi avrebbe fatto capriole. Erano eleganti? - Su- disse Eugenio. - Ma, signor Goriot, come mai, avendo due figlie cosuriccamente sistemate, potete restare ancora in un tugurio simile? - In fede mia - rispose con aria di apparente noncuranza - a che mi servirebbe lo star meglio? Io non so d'altra parte spiegarmi queste cose; non so dire due parole di seguito. Tutto qqui - aggiunse battendosi sul cuore. - La mia vita, qinteramente nelle mie due figlie. Se si divertono, se sono felici, ben vestite, se camminano su tappeti, che importa di quale stoffa io sia vestito, e quale sia il posto dove mi corico? Io non ho freddo se loro hanno caldo, io non mi annoio mai se loro ridono. Non ho dispiaceri all'infuori dei loro. Quando sarete padre, quando direte, sentendo cinguettare i vostri bambini: l'ho fatto io!, e sentirete le piccole creature appartenere a ogni goccia del vostro sangue, di cui sono state il fior fiore, perchpqproprio cosu !, vi crederete aderente alla loro epidermide, vi crederete mosso voi stesso dai loro passi. La voce loro mi risponde ovunque. Un loro sguardo, se triste, mi ferma il sangue. Un giorno saprete che si qpifelici della loro felicitjche non della propria. Non posso spiegarvi questo; sono moti interni che diffondono il benessere dappertutto. Insomma, io vivo tre volte. Volete proprio che vi dica una cosa strana? Ebbene, quando sono diventato padre, ho compreso Iddio. Egli q intiero ovunque, perchpla creatura quscita da lui. Signore, io sono cosucon le mie figlie. Soltanto che io amo le mie figlie piche Iddio non ami il mondo, perchpil mondo non q bello quanto Iddio, mentre le mie figlie son pibelle di me. Esse sono cosucongiunte all'anima mia, che io ero sicuro che le avreste vedute questa sera. Mio Dio! A un uomo capace di rendere la mia piccola Delfina cosufelice come lo quna donna quando la si ama veramente bene, ma io gli lustrerei le scarpe, gli renderei qualsiasi servizio. Ho saputo dalla sua cameriera che quel piccolo signor de Marsay qun tristo uomo. M'q venuta la voglia di torcergli il collo. Come si fa a non amare un gioiello di donna, una voce d'usignolo, fatta che sembra un modello? Dove aveva gli occhi per sposare quel grosso ciocco d'Alsaziano? Ci sarebbero voluti per tutte e due dei bei giovani a modo. Insomma, hanno fatto a loro capriccio. - PapjGoriot era sublime. Mai Eugenio lo aveva visto cosuilluminato dal fuoco della sua passione paterna. Una cosa degna di nota qla potenza di infusione che hanno i sentimenti. Per quanto grossolana sia una creatura, quando essa esprime un affetto intenso e verace, esala un fluido particolare che modifica la fisionomia, anima il gesto, colorisce la voce. Spesso l'essere pisciocco raggiunge, sotto l'impeto della passione, la pigrande eloquenza con l'idea, se non con le parole, e sembra muoversi entro una sfera luminosa. C'era, in quel momento, nella voce, nel gesto di quel buon uomo, la potenza comunicativa propria del grande attore. Del resto, i nostri nobili sentimenti non sono forse la poesia della volontj ? - Ebbene, non vi dispiacerjallora di sapere - gli disse Eugenio - che sta per romperla certamente con quel de Marsay. Questo bel tomo l'ha lasciata per unirsi alla principessa Galathionne. Quanto a me, vi dirzche questa sera mi sono innamorato della signora Delfina. - Ah! - fece papjGoriot. - Su . E non le sono dispiaciuto. Abbiamo parlato d'amore per un'ora, e devo andarla a trovare dopodomani, sabato. - Oh !, come vi vorrei bene, mio caro signore, se voi le piaceste. Voi siete buono; e certo non la tormentereste mai. Se la tradiste, vi torcerei subito il collo. Una donna non puzavere due amori, credetemi. Mio Dio!, ma io sto dicendo delle sciocchezze, signor Eugenio. Fa freddo qui, per voi. Mio Dio!, l'avete dunque sentita parlare? E, che vi ha detto per me? "Nulla" disse fra spe spEugenio. - Mi ha detto-rispose ad alta voce - che vi mandava un buon bacio filiale. - Addio, vicino; dormite bene, fate bei sogni; i miei saranno fatti tutti di quella parola or ora da voi riferitami. Che Dio vi esaudisca in tutti i vostri desideri! Questa sera siete stato per me come un buon angelo: mi avete portato l'aria respirata da mia figlia. "Pover uomo" si disse Eugenio andandosene a letto, "fa intenerire un cuore di pietra. Sua figlia ha pensato a lui quanto al Gran Turco". Dopo quella conversazione, papjGoriot vide nel suo vicino un confidente insperato, un amico. Si erano stabiliti tra loro i soli rapporti coi quali il vecchio poteva legarsi a un altro uomo. Le passioni non fanno mai calcoli sbagliati. PapjGoriot gijsi vedeva un poco pivicino a sua figlia Delfina, meglio ricevuto da lei, se Eugenio fosse diventato caro alla baronessa. Del resto gli aveva palesato uno dei suoi dolori. La signora de Nucingen, alla quale mille volte al giorno augurava la felicitj , non aveva conosciuto la dolcezza dell'amore. Certo, Eugenio era, per ripetere la sua maniera d'esprimersi, uno dei giovani pia modo che mai avesse conosciuto, e sembrava presentisse che le avrebbe procurato tutti i piaceri di cui era stata privata. Il buon uomo strinse dunque col suo vicino un'amicizia che andz crescendo, e senza la quale sarebbe stato impossibile conoscere la conclusione di questa storia. L'indomani mattina, a colazione, l'ostentazione con cui papjGoriot guardava Eugenio, vicino al quale andza sedersi, le parole che gli rivolse, e il cambiamento della sua fisionomia, normalmente simile a una maschera di gesso, meravigliarono i pensionanti. Vautrin che rivedeva lo studente per la prima volta dopo il loro colloquio, sembrava volesse leggergli nell'anima. Ricordandosi del progetto di quell'uomo, Eugenio, che, prima di addormentarsi, aveva, durante la notte, misurato il vasto campo che s'apriva ai suoi sguardi, penszper forza di cose alla dote della signorina Taillefer, e non potpfare a meno di guardare Vittorina, come il pivirtuoso giovane puzguardare una ricca ereditiera. Per caso, i loro sguardi s'incontrarono. La povera ragazza trovzEugenio interessante nel suo vestito nuovo. Lo sguardo che si scambiarono fu abbastanza significativo perchpRastignac non dubitasse d'esser per lei l'oggetto di quei confusi desideri che provano tutte le giovinette e che esse riferiscono al primo essere seducente che incontrano. Una voce gli diceva: Ottocentomila franchi! Ma, a un tratto, tornza immergersi nei ricordi della sera prima, e penszche la sua calcolata passione per la signora de Nucingen poteva essere l'antidoto dei suoi cattivi e involontari pensieri. - Ieri, agli "Italiani", hanno dato il "Barbiere di Siviglia", di Rossini. Non ho mai sentito musica cosudeliziosa - egli disse. - Mio Dio!, quna felicitjavere un palco agli "Italiani"! PapjGoriot colse questa parola a volo, come il cane coglie un gesto del padrone. - Voi uomini state come papi - disse la signora Vauquer - fate tutto quel che vi piace. - Come siete ritornato a casa? - gli chiese Vautrin. - A piedi - rispose Eugenio. - A me - riprese il tentatore - non piacciono le cose a metj ; a teatro vorrei andarci con la mia carrozza, nel palco mio, e tornarmene a casa comodamente. O tutto o niente!, ecco la mia divisa. - Ed qquella buona - aggiunse la signora Vauquer. - Voi andrete forse a trovare la signora de Nucingen - disse Eugenio a bassa voce a papj Goriot. - Lei vi riceverjsenza dubbio a braccia aperte; e vorrjconoscere mille piccoli dettagli su di me. Ho saputo che farjdi tutto per essere ricevuta da mia cugina, la signora viscontessa de Beausp ant. Non dimenticatevi di dirle che l'amo troppo per non pensare a procurarle tale soddisfazione. Rastignac se ne andzin fretta alla Scuola di diritto, cercava di rimanere il meno possibile in quella odiosa pensione. Bighellonzquasi tutta la giornata, in preda a quella esaltazione che hanno conosciuto i giovani pieni di troppe vive speranze. I ragionamenti di Vautrin lo stavano facendo riflettere sulla vita sociale, quando incontrzil suo amico Bianchon nel giardino del Lussemburgo. - E perchpquest'aria grave? - gli domandzlo studente in medicina, prendendolo sotto braccio per passeggiare insieme dinanzi al palazzo. - Sono tormentato da brutte idee. - Di qual genere? Ma delle idee si guarisce. - E come? - Soccombendovi. - Tu ridi senza sapere di che si tratta. Hai letto Rousseau? - Su . - Ti ricordi di quel punto in cui egli domandava al lettore cizche farebbe nel caso in cui potesse arricchirsi uccidendo in Cina, con la sua sola volontj , un vecchio mandarino, senza muoversi da Parigi? - Su . - Ebbene? - Ma! io sono al trentatreesimo mandarino. - Non scherzare. Andiamo, se ti venisse provato che la cosa qpossibile, e che ti basterebbe un cenno della testa, lo faresti, tu? - Êmolto vecchio, il mandarino? Ma, oh!, giovane o vecchio paralitico o ben portante, in fede mia... Diamine!, ebbene, no! - Tu sei un bravo ragazzo, Bianchon. Ma se amassi, al punto di sentirtene scombussolata l'anima, una donna, e le occorressero denari, molti denari per la sua toletta, per il suo equipaggio, insomma per tutti i suoi capricci? - Ma tu mi togli la ragione, e poi pretendi che ragioni. - Ebbene su , Bianchon, io sono pazzo, guariscimi. Ho due sorelle che sono due angeli di bontj , di candore, e voglio che siano felici. Dove trovare duecentomila franchi per la loro dote di qui a cinque anni? Ci sono, come vedi, circostanze nella vita in cui bisogna rischiare molto e non sciupare la propria sorte per guadagnar soltanto soldi. - Ma tu poni il problema che tutti devono risolvere all'ingresso nella vita, e vuoi tagliare il nodo gordiano con la spada. Per agire cosu , mio caro, bisogna essere Alessandro, se no si finisce in galera. Io mi accontento della piccola esistenza che mi creerzin provincia, dove succederzscioccamente a mio padre. Le buone disposizioni dell'uomo trovano soddisfazione nel pi ristretto cerchio tanto completamente quanto in un'immensa circonferenza. Napoleone non pranzava due volte al giorno, e non poteva avere piamanti di quante non ne abbia uno studente in medicina, interno ai Cappuccini. La nostra felicitj , mio caro, starjsempre tra la pianta dei nostri piedi e il nostro occipite: e costi un milione l'anno o cento luigi, la percezione intrinseca della felicitjqla stessa. Concludo per la vita del cinese. - Grazie, tu mi hai fatto del bene, Bianchon. Saremo sempre buoni amici. - Ma dimmi - riprese lo studente in medicina - uscendo dal corso di Cuvier, al Jardin des Plantes, ho scorto la Michonneau e Poiret conversare su di una panca con un signore, che ho visto durante i torbidi dell'anno scorso nei dintorni della Camera dei Deputati e che mi ha fatto l'impressione sia un agente della polizia travestito da onesto borghese che vive di rendita. Teniamo d'occhio quella coppia; poi ti dirzil perchp . Ciao, vado a rispondere all'appello delle quattro. Quando Eugenio tornzalla pensione, trovzpapjGoriot che lo attendeva. - Toh - disse il buon uomo - ecco una lettera sua. Ma che graziosa calligrafia, eh? Eugenio dissuggellzla lettera, e lesse. "Signore, mio padre mi ha detto che vi piace la musica italiana. Sarzlieta se vorrete procurarmi il piacere di accettare un posto nel mio palco. Sabato avremo la Fodor e Pellegrini, e allora sono sicura che non rifiuterete il mio invito. Il signor de Nucingen si unisce a me per pregarvi di venire prima a pranzo da noi, senza alcuna cerimonia. Se accetterete, lo renderete lieto di non dover compiere la sua fatica coniugale accompagnandomi. Non rispondetemi, venite, e gradite i miei complimenti. D. de N." - Mostratemela - disse il buon uomo a Eugenio, quando ebbe letto la lettera. Ci andrete, non qvero? - aggiunse dopo aver odorato la carta. Che buon profumo! E pensare che le sue dita l'hanno toccata! "Una donna non si butta cosuaddosso a un uomo" pensava lo studente. "Vuole servirsi di me per riacciuffare de Marsay. Non c'qche il dispetto capace di far fare di queste cose". - Ebbene - domandzpapjGoriot - a che pensate, dunque? Eugenio non conosceva il delirio della vanitj da cui certe donne erano prese in quell'epoca, e non sapeva che, pur di aprirsi una porta nel faubourg Saint-Germain, la moglie d'un banchiere sarebbe stata capace di tutti i sacrifici. A quell'epoca la moda cominciava a mettere al di sopra di tutte le donne coloro che erano ammesse nei salotti del faubourg Saint- Germain, dette le donne del Petit-Chateau, tra le quali la signora de Beausp ant, la sua amica duchessa de Langeais e la duchessa de Maufrigneuse tenevano il primo posto. Solo Rastignac ignorava il furore da cui erano prese le signore della Chaussp e d'Antin per entrare nella sfera superiore ove brillavano le costellazioni del loro sesso. Ma la sua diffidenza lo servubene, gli diede la freddezza e il triste potere di porre condizioni anzichpriceverne. - Su , ci andrz- egli rispose. Cosu , la curiositjlo conduceva dalla signora de Nucingen, mentre, se questa donna lo avesse sdegnato, forse vi sarebbe stato condotto dalla passione. Tuttavia, non attese l'indomani e l'ora d'uscire di casa senza una specie d'impazienza. Per un giovane, c'q , nel suo primo intrigo, tanto interesse, forse, quanto se ne incontra in un primo amore. La certezza di riuscire genera mille felicitj che gli uomini non confessano, e che costituiscono tutto il fascino di certe donne. Il desiderio nasce non meno dalla difficoltj che dalla facilitjdel successo. Tutte le passioni umane sono certamente eccitate o conservate dall'una o dall'altra di queste due cause che dividono l'impero dell'amore. Forse tale divisione quna conseguenza della grande questione dei temperamenti, che domina, checchpse ne dica, la societj . Se i malinconici hanno bisogno del tonico delle civetterie, forse i nervosi o sanguigni abbandonano la partita se la resistenza dura troppo. In altri termini, l'elegia qtanto essenzialmente linfatica per quanto bilioso qil ditirambo. Facendo toletta, Eugenio gustztutti quei piccoli piaceri di cui non osano parlare i giovani, per paura d'esserne presi in giro, ma che solleticano il loro amor proprio. Si acconciava la chioma pensando che lo sguardo d'una bella donna si sarebbe insinuato sotto i suoi boccoli neri. Si permise tante smorfie quante ne avrebbe fatte una giovinetta nell'agghindarsi per il ballo. Guardzcon soddisfazione la sua linea snella, lisciando le pieghe del vestito. "E' certo" si disse, "che ce ne saranno altri fatti peggio!". Poi scese, nel momento in cui tutti i frequentatori della pensione s'erano gijmessi a tavola, e ricevette allegramente l'urrjdi sciocchezze che la sua eleganza suscitz. Un segno dei modi di fare particolari delle pensioni familiari qla meraviglia che vi produce una toletta assai curata. Nessuno puzindossare un vestito nuovo senza che ognuno dica la sua. - Kt, kt, kt, kt - fece Bianchon, facendo schioccare la lingua contro il palato, come per incitare un cavallo. - Un insieme da duca e pari! - disse la signora Vauquer. - Il signore va alla conquista? - fece osservare la signorina Michonneau. - Chicchirichu ! - esclamzil pittore. - I miei complimenti alla signora vostra sposa - disse l'impiegato al Museo. - Il signore ha una sposa? - domandzPoiret. - Una sposa a scomparti, che va sull'acqua, colore garantito, prezzo tra le venticinque e le quaranta, disegno a quadri ultima moda, lavabile, si porta bene, metjfilo, metjcotone e metjlana, guarisce il mal di denti e altre malattie approvate dall'Accademia di Medicina! ottima inoltre per i bambini!, ancora piindicata contro il mal di testa, le infiammazioni e altre malattie dell'esofago, degli occhi e delle orecchie - gridzVautrin con la volubilitj comica e l'accento d'un imbonitore. - Ma quanto, una simile meraviglia, mi direte voi, signori? Due soldi! No. Niente. E' una rimanenza delle forniture fatte al Gran Mogol, e che tutti i sovrani d'Europa, compreso il grrrrrranduca di Baden, hanno voluto vedere! Entrate diritti avanti a voi!, e passate al botteghino. Musica, maestro! Brum, lj , lj , trin! lj , lj , bum, bum! Signor clarinetto, stonate- egli riprese con una voce rauca - batterzsulle dita. - Dio!, come qdivertente quell'uomo - disse la signora Vauquer alla signora Couture con lui non mi annoierei mai. - Fra le risa e i frizzi, di cui questo discorso comicamente declamato fu il segnale, Eugenio potp cogliere lo sguardo furtivo della signorina Taillefer, che si chinzverso la signora Couture per dirle qualche parola all'orecchio. - E' arrivato il carrozzino - disse Silvia. - Dove pranza? - domandzBianchon. - Dalla signora baronessa de Nucingen. - La figlia del signor Goriot - fece lo studente. A quel nome, gli sguardi conversero sul vecchio vermicellaio che contemplava Eugenio con una specie d'invidia. Rastignac giunse in via Saint-Lazare dinanzi a una di quelle case snelle, a colonne sottili, dal portico stretto, che rappresentano a Parigi il "grazioso"; una vera casa di banchiere, colma di ricercatezze costose, di stucchi, di pianerottoli in mosaico. Trovzla signora de Nucingen in un salottino affrescato all'italiana, la cui decorazione somigliava a quella dei caffq . La baronessa era triste. Gli sforzi che faceva per nascondere il suo dolore tanto piinteressarono vivamente Eugenio, in quanto non c'era in essi nulla di falso. Aveva creduto di poter rendere gaia una donna con la sua presenza, e la trovava invece in preda allo sconforto. Questa delusione punse il suo amor proprio. - Comprendo di aver ben poco diritto alla vostra confidenza, signora - disse dopo averla punzecchiata sul suo stato di preoccupazione - ma se vi dessi noia, conto sulla vostra franchezza, ditemelo sinceramente. - Restate - essa rispose - rimarrei sola se ve ne andaste. Nucingen pranza fuori, e non vorrei essere sola, ho bisogno di distrarmi. - Ma che cosa avete? - Sareste l'ultima persona a cui lo direi - esclamz. - Voglio saperlo. Altrimenti dovrei credere che questo segreto mi riguarda in qualche modo. - Forse ! Ma no - riprese lei - si tratta di beghe domestiche, da seppellire in fondo al cuore. Non ve lo dicevo forse ieri l'altro? Io non sono affatto felice. Le catene d'oro sono le pipesanti. Quando una donna dice a un uomo di essere infelice, se quest'uomo ha spirito, qelegante, e ha millecinquecento franchi di scioperataggine in tasca, deve pensare come Eugenio, e diventa fatuo. - Che cosa potete voi desiderare? - gli disse. Siete bella, giovane, amata, ricca. - Non parliamo di me - lei disse facendo un sinistro movimento con la testa. Pranzeremo insieme, a quattr'occhi, e andremo a sentire la pideliziosa delle musiche. Vi piaccio? - riprese alzandosi e facendo vedere il suo abito in cascemir bianco a fiorami, della piricca eleganza. - Vorrei che foste tutta per me - disse Eugenio. - Siete deliziosa. - Avreste una triste proprietj- rispose lei sorridendo con amarezza. - Nulla qui farebbe supporre l'infelicitj , e tuttavia, malgrado queste apparenze, io sono disperata. I miei dispiaceri mi tolgono il sonno, finirzper diventare brutta. - Oh, questo qimpossibile - repliczlo studente. Ma io sono curioso di conoscere questi vostri dispiaceri, che un amore devoto farebbe scomparire. - Ah!, se io ve li confidassi, voi mi sfuggireste - disse. - Voi ora mi amate solo per quella galanteria che qabituale negli uomini; ma se mi amaste davvero, cadreste in una disperazione tremenda. Come vedete, qmeglio che taccia. Per favore - aggiunse parliamo d'altro. Venite a vedere i miei appartamenti. - No, restiamo qui - rispose Eugenio sedendosi su di un divano dinanzi al fuoco accanto alla signora de Nucingen, della quale prese la mano con disinvoltura. Essa se la lascizprendere e anzi la premette su quella del giovane con uno di quei movimenti di forza concentrata che tradiscono intense emozioni. - Sentite - le disse Rastignac - se avete dei dispiaceri, dovete confidarmeli. Voglio provarvi che vi amo e che il mio amore non ha altra ragione che voi. O voi parlate, e mi dite le vostre pene, affinchpio possa dissiparle, a costo d'uccidere sei uomini, o io me ne vado, per non tornare mai pi. - Ebbene! - essa esclamz, colta da un pensiero disperato che le fece battere con una mano la fronte - voglio mettervi immediatamente alla prova. "Su ", pensz, non c'qaltro mezzo". Suonz. - La carrozza del signore qattaccata? - chiese al domestico. - Su , signora - La prendo io. A lui darete invece la mia, coi miei cavalli. Servirete il pranzo alle sette. - Andiamo, venite con me - disse poi a Eugenio, che credette di sognare nel trovarsi nel cuppdel signor de Nucingen, a fianco di quella donna. - Al Palais-Royal - ordinzal cocchiere - vicino al Thp atre Frano ais. Strada facendo, essa apparve agitata, e si rifiutzdi rispondere alle mille domande di Eugenio, il quale non sapeva cosa pensare di quella resistenza muta, compatta, ottusa. "In un momento costei potrjsfuggirmi di mano" lui si diceva. Quando la vettura si fermz, la baronessa guardzlo studente con un'aria che impose il silenzio alle sue folli parole; giacchpegli era andato davvero fuori di sp . - Mi volete molto bene? - gli disse. - Su- rispose nascondendo l'inquietudine che lo prendeva. - Non penserete nulla di male sul mio conto, qualunque cosa io possa domandarvi? - No. - Siete disposto ad ubbidirmi? - Ciecamente. - Siete andato mai a giocare? - gli chiese con voce tremante. - Mai. - Ah!, respiro. Avrete allora fortuna. Ecco la mia borsa - aggiunse. - Prendetela, dunque!, ci sono dentro cento franchi, qtutto quel che possiede questa donna tanto felice. Salite in una casa da gioco, non so dove siano, ma so che ce ne sono al Palais- Royal. Rischiate i cento franchi a un gioco che si chiama "roulette" e perdete tutto, o portatemi qui seimila franchi. Vi dirzi miei dispiaceri al vostro ritorno. - Che il diavolo mi porti se capisco qualcosa in quel che sto per fare, ma vi ubbidirz egualmente - egli disse con una gioia causata da questo pensiero: "Si compromette con me, e non potrjpirifiutarmi nulla". Eugenio prende la graziosa borsa, corre al numero "nove", dopo essersi fatto indicare da un mercante d'abiti la pivicina casa da gioco. Vi sale, si lascia prendere il cappello; poi entra e domanda dov'qla "roulette". Fra lo stupore dei frequentatori, un domestico lo conduce dinanzi a una lunga tavola. Eugenio, seguito dagli sguardi di tutti gli spettatori, chiede senza rossore dove si deve mettere la posta. - Se mettete un luigi su di uno solo di questi trentasei numeri, ed esce, incasserete trentasei luigi - gli disse un rispettabile vecchio dai capelli bianchi. Eugenio gettzi cento franchi sulla cifra della sua etj : ventuno. Parte un grido di meraviglia senza che egli abbia avuto il tempo di ritornare sulla sua puntata. Aveva vinto senza saperlo. - Prendetevi subito il vostro denaro - gli disse il vecchio signore - non si vince mica due volte con quel sistema. Eugenio prende un rastrello che gli tende il vecchio signore, trae a sptremilaseicento franchi e, sempre senza conoscere il gioco, li mette sul rosso. I presenti lo guardano con invidia, vedendo che continua a giocare. La ruota gira, egli vince ancora, e il banco gli paga altri tremilaseicento franchi. - Avete vinto settemila duecento franchi - gli disse all'orecchio il vecchio signore - ora, se mi volete dar retta, andatevene, il rosso qgijuscito otto volte. Se avete un po' di caritj , sarete grato di questo buon consiglio alleviando la miseria d'un vecchio prefetto di Napoleone, che si trova all'estremo del bisogno. - Rastignac, stordito, si lascia prendere dieci luigi dall'uomo dai capelli bianchi, e scende coi suoi settemila franchi senza ancora aver capito nulla del gioco, ma stupefatto della sua fortuna. - E allora! dove mi condurrete adesso? - le disse, mostrando i settemila franchi alla signora de Nucingen, quando lo sportello della carrozza fu richiuso. Delfina lo strinse con una stretta folle e l'abbraccizvivacemente, ma senza passione. - Mi avete salvata! - Lacrime di gioia colarono copiose sulle sue gote. - Vi dirztutto, amico mio. Voi sarete mio amico, non qvero? Voi mi vedete ricca, molto ricca; nulla mi manca, o almeno sembra non mancarmi nulla! Ebbene!, sappiate che il signor de Nucingen non mi lascia disporre d'un soldo; paga lui tutto l'andamento di casa, le mie carrozze, i miei palchi; mi corrisponde per la toletta una somma insufficiente; mi riduce, per calcolo, a una miseria segreta. Io sono troppo fiera per implorarlo. Non sarei l'ultima della creature se comprassi il suo denaro al prezzo cui vuol vendermelo? Come mai, io, con una dote di settemila franchi, mi sono lasciata spogliare? Per orgoglio, per indignazione. Siamo cosugiovani, cosuingenue, quando cominciamo la vita coniugale! La parola con la quale bisognava chiedere il denaro a mio marito mi lacerava la bocca; e non osavo mai, consumavo il denaro delle mie economie e quello che mi dava il mio povero padre; poi ho cominciato a far debiti. Il matrimonio qstato per me la piorribile delle delusioni, non ve ne posso parlare; vi basti sapere che mi getterei dalla finestra se dovessi vivere con Nucingen senza che ognuno di noi due avesse il proprio appartamento separato. Quando qstato necessario dichiarargli i miei debiti di giovane signora per gioielli, capricci (il mio povero padre non ci negava mai nulla), qstato per me un martirio; ma ho trovato il coraggio di dirglielo. Non avevo forse un mio proprio patrimonio? Nucingen qandato su tutte le furie, mi ha detto che lo avrei mandato alla rovina e tante cose orribili! Avrei preferito trovarmi cento piedi sotto terra. Avendo preso la mia dote, ha pagato, ma stabilendo da quel momento in poi per le mie spese personali un assegno cui mi sono dovuta rassegnare, pur di avere pace. Poi, ho voluto corrispondere all'amor proprio di qualcuno che voi conoscete - essa aggiunse. - Pur essendo stata ingannata da lui, sarei cattiva se non riconoscessi la nobiltj del suo carattere. Ma tuttavia egli mi ha abbandonata in modo indegno! Non si dovrebbe mai abbandonare una donna alla quale si qbuttato, in un momento di necessitj , un pugno d'oro! La si dovrebbe amare sempre! Voi, anima bella di ventun anni, voi giovane e puro, voi mi domanderete come una donna possa accettare denaro da un uomo. Mio Dio!, non qforse naturale di condividere tutto con l'essere cui dobbiamo la nostra felicitj ? Quando ci si qdati tutto, chi potrebbe far caso d'una particella di quel tutto? Il denaro diviene qualcosa solo quando il sentimento non c'qpi. Non si qlegati per tutta la vita? Chi di noi puzprevedere una separazione quando si ritiene profondamente amato? Voi ci giurate un amore eterno: come qconcepibile avere, allora, interessi distinti? Voi non sapete quel che ho sofferto oggi, quando Nucingen si qcategoricamente rifiutato di darmi seimila franchi, lui che li passa tutti i mesi alla sua amante, una donna dell'Opp ra! Avrei voluto uccidermi. Le idee pifolli mi passavano per la testa. Ci sono stati momenti in cui invidiavo la sorte d'una domestica, d'una cameriera. Ricorrere a mio padre? Pazzia! Anastasia e io lo abbiamo dissanguato: il mio povero padre avrebbe venduto se stesso se potesse valere seimila franchi. Lo avrei fatto disperare inutilmente. Voi mi avete salvato dall'onta e dalla morte, ero ebbra di dolore. Ah!, signore, vi dovevo questa spiegazione: sono stata proprio irragionevole con voi. Quando vi siete allontanato, e vi ho perduto di vista, volevo fuggirmene a piedi... dove? Non so. Ecco, questa qla vita di metjdelle donne di Parigi: lusso esteriore, e crucci crudeli dell'anima. Conosco delle povere creature anche pidisgraziate di me. Ve ne sono perfino di quelle costrette a farsi fare dai fornitori conti falsi. Altre sono costrette a rubare ai mariti; alcuni credono che dei cascemir da cento luigi si diano per cinquecento franchi, altri che un cascemir da cinquecento franchi valga cento luigi. Si trovano povere donne che fanno digiunare i loro figli, e rubacchiano per potersi fare un vestito. Io non mi sono mai abbassata a tali odiosi inganni. Ecco la mia ultima angoscia. Se alcune mogli si vendono ai mariti per dominarli, io almeno sono libera! Potrei farmi coprire d'oro da Nucingen ma preferisco piangere con la testa appoggiata al cuore d'un uomo che possa stimare! Ah, questa sera il signor de Marsay non avrjil diritto di guardarmi come una donna che ha pagata. - E si nascose il volto fra le mani, per non mostrar le sue lacrime a Eugenio, che, invece, glielo scopru , per contemplarlo. In quel momento lei era sublime. - Mescolare il denaro al sentimento: non qcosa orribile? Voi non potrete amarmi - aggiunse. Questo miscuglio di nobili sentimenti, che fanno le donne cosugrandi, e di errori, che l'attuale situazione della societjle forza a commettere, sconvolgeva Eugenio, il quale pronunciava parole dolci e consolanti ammirando quella bella donna, cosuingenuamente imprudente nel suo grido di dolore. - Non vi farete di questo un'arma contro di me? - essa chiese promettetemelo. - Ah!, signora, ne sono incapace - egli rispose. Essa gli porse la mano e la mise sul suo cuore con un gesto pieno di riconoscenza e di gentilezza. - Grazie a voi, eccomi ritornata libera e lieta. Vivevo sotto l'impressione di una mano di ferro. Ora voglio vivere con semplicitj , e non spendere nulla. E vi accontenterete di come sarz, amico mio, non qvero? Tenete questo - disse prendendo solo sei biglietti di banca. In coscienza vi debbo mille scudi, poichpmi son considerata come se fossi in societjcon voi. - Eugenio si difese come una vergine. Ma avendogli la baronessa detto: Vi considero come un mio nemico se non siete mio complice, accettzil denaro. - Sarjuna posta di riserva in caso di sfortuna - disse. - Ecco la parola che temevo - essa esclamzimpallidendo. - Se volete che io sia qualcosa per voi, giuratemi - aggiunse - di non tornare mai pi a giocare. Mio Dio! Io corrompervi!, ne morirei di dolore. Erano arrivati. Il contrasto tra quella miseria e quella opulenza stordiva lo studente, nelle cui orecchie le sinistre parole di Vautrin risuonarono. - Mettetevi lu- disse la baronessa entrando nella sua camera e indicando un canappvicino al fuoco - devo scrivere una lettera molto difficile! Consigliatemi voi. - Non scrivete - le disse Eugenio - mettete i biglietti entro una busta, fate l'indirizzo e inviateli per mezzo della vostra cameriera. - Ma voi siete un tesoro - essa disse. - Ah!, ecco, signore che cosa significa essere stato ben educato. Questo qdel puro Beausp ant - aggiunse sorridendo. "E' incantevole", si disse Eugenio che s'infiammava sempre pi. E guardzla camera, dove egli respirava la voluttuosa eleganza d'una ricca cortigiana. - Vi piace? - domandzsuonando per chiamare la cameriera. - Teresa, portate questa lettera al signor de Marsay, e consegnatela a lui in persona. Se non ci fosse, riportatemi la lettera. Teresa uscudopo avere gettato un malizioso sguardo su di Eugenio. Il pranzo era pronto. Rastignac diede il braccio alla signora de Nucingen, che lo condusse in una sala da pranzo deliziosa, dove trovzlo stesso lusso della tavola gijammirato in casa di sua cugina. - Quando ci sarjrappresentazione agli "Italiani", voi verrete sempre a pranzo da me e poi mi accompagnerete. - Mi abituerei volentieri a questa dolce vita, se essa dovesse durare; ma io sono un povero studente, che deve ancora costruirsi la propria fortuna. - La farete - disse lei sorridendo. - Vedete? tutto s'accomoda: io non m'aspettavo d'esser cosucontenta. E' proprio nella natura femminile provare l'impossibile col possibile e distruggere i fatti con presentimenti. Quando la signora de Nucingen e Rastignac entrarono nel palco ai "Bouffons", assunse un'aria di soddisfazione che la rendeva cosubella, da provocare quelle piccole calunnie contro le quali le donne sono senza difesa, e che fanno spesso credere a immoralitjinventate a bella posta. Quando si conosce Parigi, non si crede mai a quel che si dice, e non si dice mai nulla di quel che vi si fa. Eugenio prese la mano della baronessa, e tutti e due si parlarono con strette pio meno vive delle loro mani per comunicarsi le sensazioni prodotte dalla musica. Per essi quella serata fu inebriante. Uscirono insieme, e la signora de Nucingen volle accompagnare Eugenio fino al Pont-Neuf, rifiutandogli, lungo la strada, uno dei baci che gli aveva calorosamente prodigati al Palais-Royal. Eugenio le rimproverzquella incoerenza. - Ma prima - rispose - era la riconoscenza per una devozione insperata, ora, sarebbe una promessa. - E voi non me ne volete fare nessuna! Ingrata! - E si crucciz. Facendo allora uno di quei gesti d'impazienza che deliziano un innamorato, gli dette da baciare la mano, che egli prese con una mala grazia di cui essa rimase rapita. - A lunedu , al ballo - lei disse. Andandosene a piedi, sotto un bel chiaro di luna, Eugenio piombzin serie riflessioni. Si sentiva nello stesso tempo felice e scontento; felice, d'una avventura il cui epilogo probabile gli faceva avere una delle pibelle e pieleganti donne di Parigi, oggetto dei suoi desideri; scontento, di vedere sconvolti i suoi piani per raggiungere il successo; e fu allora che in lui ebbero concretezza i pensieri avuti in forma indecisa due giorni prima. L'insuccesso ci fa sentire sempre il potere delle nostre pretese. PiEugenio godeva la vita parigina, meno voleva rimanere oscuro e povero. Spiegazzava il biglietto da mille franchi nella tasca, facendo mille ragionamenti capziosi per giustificarne il possesso. Infine giunse in via Neuve-Sainte-Geneviq ve, e quando si trovzin cima alla scala, vide una luce. PapjGoriot aveva lasciato aperto l'uscio della sua camera e accesa la candela, affinchplo studente non dimenticasse di "raccontargli sua figlia", secondo il suo modo di esprimersi. Eugenio non gli nascose nulla. - Ma - esclamzpapjGoriot in un violento attacco di disperazione provocato dalla gelosia - costoro mi credono rovinato; ho ancora milletrecento franchi di rendita! Santo Dio! Ma perchpla povera piccola non qvenuta da me? Avrei venduto i miei titoli, avremmo lucrato sul capitale nominale, e con la rimanenza mi sarei costituito una rendita vitalizia. Perchpnon siete venuto a confidarmi il vostro imbarazzo, mio buon vicino? Come avete avuto il coraggio di andare a rischiare al gioco i suoi poveri cento franchi? C'qda sentirsi spezzare il cuore. Ecco di che cosa sono capaci i generi! Oh!, se li avessi tra le mani, li strozzerei. Santo Dio! piangere... ma lei ha proprio pianto? - Con la testa sul mio panciotto - preciszEugenio. - Oh! datemelo - disse papjGoriot. - Come! ci sono lule lacrime di mia figlia, della mia cara Delfina, che non piangeva mai quand'era piccola! Oh!, ve ne comprerzun altro, non portatelo pi, lasciatelo a me. Lei ha il diritto, secondo il contratto di nozze, di godere dei suoi beni. Ah!, andrz domani a consultare Derville, q un avvocato. E otterrz l'investimento del patrimonio di mia figlia. Conosco le leggi, sono un vecchio lupo e ritroverzi miei denti. - To', papj , ecco mille franchi che lei ha voluto donarmi sul guadagno del gioco. Teneteglieli da parte, nel panciotto. Goriot guardzEugenio, gli tese la mano per stringer la sua, su cui lascizcadere una lacrima. - Voi avrete successo nella vita - gli disse il vecchio. - Dio qgiusto, vedete? Conosco cos'qla probitj , e posso assicurarvi che pochi sono gli uomini che vi somigliano. Volete allora essere anche voi un mio caro figlio? Ora, andatevene a letto: voi potete dormire, non siete ancora padre. Essa ha pianto, e vengo a saper questo, io, che me ne stavo lj tranquillamente a mangiare come un imbecille mentre lei soffriva; io, io che venderei anche il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo per evitare una lacrima a tutte e due! "In fede mia" si disse Eugenio coricandosi, "credo che sarzun uomo onesto per tutta la vita. Si prova soddisfazione nel seguire le ispirazioni della propria coscienza". Solo, forse, coloro che credono in Dio fanno il bene in segreto ed Eugenio credeva in Dio. L'indomani, all'ora del ballo, Rastignac si reczin casa della signora de Beausp ant, che lo condusse con spper presentarlo alla duchessa di Carigliano. Fu accolto con ogni cortesia dalla marescialla, presso la quale ritrovzla signora de Nucingen. Delfina s'era agghindata nell'intento di piacere a tutti per meglio piacere ad Eugenio, dal quale attendeva impazientemente un'occhiata, credendo cosudi celare la propria impazienza. Per chi sa indovinare le emozioni d'una donna, un tal momento qpieno di delizie. Chi non si qspesso divertito a far attendere il proprio giudizio, a mascherare con civetteria il proprio piacere, a provocare confessioni nell'inquietudine che si qcausata, a goder dei timori che verranno fugati con un sorriso? Durante il ballo, lo studente considerztutto il valore della sua posizione, e si rese conto di avere un rango nella societjper il fatto d'esser cugino della signora de Beausp ant. L'aver conquistato la baronessa de Nucingen, che gijgli si attribuiva come amante, lo metteva cosuin evidenza, che tutti i giovani gli lanciavano occhiate d'invidia; cogliendone qualcuna, gustzi primi piaceri della vanitj . Passando da un salone all'altro, passando attraverso i gruppi degli invitati, sentuvantare la sua felicitj . Le donne tutte predicevano i suoi successi. Delfina, temendo di perderlo, gli promise che non gli avrebbe quella sera rifiutato il bacio che si era tanto schermita d'accordargli due sere prima. Durante quel ballo, Rastignac si ebbe molte promesse. Fu presentato da sua cugina ad alcune signore che pretendevano tutte d'essere eleganti, e i cui salotti avevano fama d'essere piacevoli; egli si vide lanciato nella pialta e pibella societjparigina. Quella serata ebbe dunque per lui il fascino d'un brillante debutto, e doveva ricordarsene fino ai giorni della vecchiaia, come una giovinetta si ricorda del ballo in cui riportzi primi trionfi. L'indomani, quando, a colazione, raccontzi suoi successi a papjGoriot, dinanzi ai pensionanti, Vautrin si mise a sorridere diabolicamente. - E voi credete forse - esclamzquel logico feroce - che un giovane alla moda possa abitare in via Neuve-Sainte-Geneviq ve, in casa Vauquer?, pensione infinitamente rispettabile sotto ogni riguardo, senza dubbio, ma niente affatto elegante. E' ben messa, buona per la sua abbondanza, qfiera d'essere il maniero temporaneo d'un Rastignac, ma, tutto sommato, si trova in via Neuve-Sainte-Geneviq ve, e non sa cosa sia il lusso, perchp q puramente "patriarcalorama". Mio giovane amico - riprese Vautrin con un'aria paternamente ironica - se volete far bella figura a Parigi, vi ci vogliono tre cavalli e un tilbury per la mattina, un cuppper la sera: in tutto novemila franchi per le carrozze. Sareste indegno del vostro destino se non spendeste che tremila franchi dal sarto, seicento dal profumiere, cento scudi dal calzolaio, cento dal cappellaio. Quanto alla lavandaia, essa vi costerjmille franchi. I giovani alla moda non possono fare a meno d'essere assai forti nell'articolo biancheria: non qforse quel che si osserva pi di frequente in loro? L'amore e la chiesa richiedono bei lini sui loro altari. Siamo arrivati a quattordicimila. Non vi parlo di quel che perderete al gioco, in scommesse, in doni; q impossibile non calcolare almeno duemila franchi di spiccioli. Ho fatto quella vita, ne conosco le spese. Aggiungete a queste prime necessitj , trecento luigi per la pappa, mille franchi per la cuccia. Andiamo, ragazzo, o disponiamo dei nostri venticinquemila franchi l'anno, o cadiamo nel fango, ci facciamo ridere dietro, e il nostro avvenire, i nostri successi e le nostre amanti se ne vanno in fumo! Dimenticavo il domestico e il "grum"! I vostri biglietti galanti li farete forse recapitare da Cristoforo? E li scriverete sulla carta di cui ora vi servite? Sarebbe come suicidarsi. Credete a un vecchio pieno di esperienza! - egli riprese con un "rinforzando" nella sua voce di basso. - O ridursi in una virtuosa soffitta, e sposare il lavoro, o scegliere un'altra strada. E Vautrin strizzzl'occhio ammiccando alla signorina Taillefer come a ricordare e a riassumere in quel suo sguardo i ragionamenti seducenti da lui seminati nel cuore dello studente, per corromperlo. Passarono vari giorni, durante i quali Rastignac condusse la vita pi dissipata. Pranzava quasi tutti i giorni con la signora de Nucingen che accompagnava in societj . Rientrava alle tre o alle quattro del mattino, si alzava a mezzogiorno per far toletta, se la giornata era bella andava a passeggio al Bosco con Delfina, sciupando il tempo senza saperne il valore, e immagazzinando tutte le esperienze, tutte le seduzioni del lusso con l'ardore da cui qpreso l'impaziente calice della palma per i fecondanti pollini del suo imeneo. Giocava forte, perdeva o vinceva molto; e finuper abituarsi alla vita esuberante dei giovani parigini. Con le prime vincite aveva restituito millecinquecento franchi alla madre e alle sorelle, accompagnando il denaro con graziosi regali. Sebbene avesse preannunciato di voler lasciare la casa Vauquer, ci si trovava ancora negli ultimi giorni del mese di gennaio, e non sapeva come uscirne. I giovani sono sottoposti quasi tutti a una legge in apparenza inesplicabile, ma la cui ragione proviene dalla loro stessa giovinezza e da quella specie di furia con la quale si lanciano al piacere. Ricchi o poveri, non hanno mai denaro per le necessitjdella vita, mentre ne trovano sempre per i loro capricci. Prodighi in tutto cizche si ottiene a credito, sono avari in tutto quel che si paga in contanti, e sembrano vendicarsi di cizche non hanno, dissipando tutto quanto possono avere. Cosu , per porre nettamente la questione, uno studente tiene pial cappello che al vestito. L'enormitjdel guadagno fa del sarto essenzialmente un creditore, mentre la modicitjdel prezzo fa del cappellaio uno degli esseri piintrattabili fra coloro coi quali egli qcostretto a contrattare. Se il giovane seduto in un palco a teatro presenta all'occhialino delle belle signore sorprendenti panciotti, qdubbio che egli porti i calzini: il venditore di oggetti di maglieria qun altro tarlo della sua borsa. Rastignac era in quella condizione. Sempre vuota per la signora Vauquer, sempre piena per le esigenze della vanitj , la sua borsa contava rovesci e successi lunatici in disaccordo coi pagamenti pifacili. Per poter lasciare la pensione fetida, ignobile, dove si umiliavano periodicamente le sue pretese, non era indispensabile pagare un mese alla padrona, e comprar la mobilia per il suo appartamento di dandy? Ma la cosa era sempre impossibile. Se, per procurarsi il denaro necessario al gioco, Rastignac ben sapeva acquistare dal gioielliere orologi e catene d'oro pagati a caro prezzo con le vincite, e che poi portava al Monte di Pietj , questo cupo e discreto amico della giovent, egli si trovava d'altra parte senza risorse e senza audacia quando si trattava di pagare il vitto, l'alloggio, o di acquistare gli arnesi indispensabili per lo sfruttamento della vita elegante. Una necessitjbanale, debiti contratti per bisogni soddisfatti non gli inspiravano pialcuna idea geniale. Come la maggior parte di coloro che hanno conosciuto questa vita rischiosa, aspettava sempre l'ultimo momento per saldare crediti considerati sacri secondo i borghesi, come faceva Mirabeau, il quale pagava il conto del fornaio solo quando gli veniva presentato sotto la forma draconiana di una cambiale. A quell'epoca Rastignac aveva perduto, e s'era indebitato. Lo studente cominciava a capire che era impossibile continuare quell'esistenza senza avere fonti fisse di guadagno. Ma, pur soffrendo sotto le pungenti percosse della sua situazione precaria, si sentiva incapace di rinunciare ai piaceri di quella vita e voleva continuarla ad ogni costo. I casi fortunati su cui aveva contato divenivano chimerici, mentre gli ostacoli reali s'ingrandivano. Iniziatosi ai segreti domestici del signore e della signora de Nucingen, si era accorto che, per convertire l'amore in strumento di fortuna, bisognava aver ingoiato ogni vergogna e rinunciato alle nobili idee che rappresentano l'assoluzione da tutti i peccati di giovent. Tale vita esteriormente splendida, ma rysa da tutte le tenie del rimorso, e i cui fuggitivi piaceri erano caramente pagati con persistenti angosce, egli l'aveva ormai abbracciata, vi si rivoltolava facendosene, come il Distratto di La Bruyq re, un letto nel fango del fossato; ma, come il Distratto, non insudiciandosi fino allora che il vestito. - Abbiamo, allora, ucciso il mandarino? - gli chiese un giorno Bianchon, alzandosi da tavola. - Non ancora - egli rispose - ma rantola. Lo studente in medicina interpretzquella parola come uno scherzo, ma non lo era. Eugenio, che, per la prima volta da molto tempo, aveva pranzato nella pensione, s'era mostrato pensieroso durante il pasto. Invece di uscire, alla frutta, rimase in sala seduto vicino alla signorina Taillefer, cui dava di tanto in tanto occhiate espressive. Alcuni pensionanti erano ancora a tavola e mangiavano delle noci, altri camminavano per la stanza continuando discussioni iniziate. Come quasi tutte le sere, ognuno seguiva il proprio capriccio, secondo il grado d'interesse che poneva alla conversazione, o secondo la maggiore o minore pesantezza causatagli dalla digestione. D'inverno, raramente la sala da pranzo rimaneva vuota prima delle otto, momento in cui le quattro donne restavano sole e si vendicavano del silenzio che il sesso imponeva loro in mezzo a quel gruppo di maschi. Colpito dalla preoccupazione cui Eugenio era in preda, Vautrin rimase nella sala da pranzo, sebbene prima sembrasse aver fretta d'uscirne, e ci rimase in modo da non esser veduto da Eugenio, che lo credette uscito. Poi, invece d'accompagnare i pensionanti che andavano via per ultimi, si trattenne nascostamente nel salotto. Egli aveva letto nell'animo dello studente e attendeva di scorgere un sintomo decisivo. Rastignac si trovava infatti in una situazione di perplessitjche molti giovani hanno dovuto conoscere. Innamorata o civetta, la signora de Nucingen aveva fatto passare Rastignac attraverso tutte le angosce d'una vera passione, usando con lui le risorse della diplomazia femminile consueta a Parigi. Dopo essersi compromessa in pubblico con lo stare sempre insieme al cugino della signora de Beausp ant, esitava a conferirgli realmente i diritti di cui sembrava godere. Da un mese eccitava cosubene i sensi di Eugenio, che aveva finito per colpirne il cuore. Se, nei primi momenti della relazione, lo studente aveva creduto di padroneggiare la situazione, la signora de Nucingen era poi divenuta la piforte, con l'aiuto di quella familiaritjche commuoveva in Eugenio tutti i sentimenti, buoni o cattivi, di quei due o tre uomini che coesistono entro uno stesso giovane parigino. Lo faceva per calcolo? No; le donne sono sempre sincere, anche nelle loro pigrandi falsitj , perchpcedono a qualche sentimento naturale. Forse Delfina, dopo aver lasciato prendere subito tanto imperio su di lei da parte di quel giovane e avergli dimostrato anche troppo affetto, obbediva a un sentimento di dignitj , che la faceva o ritornare sulle sue concessioni o compiacersi di sospenderle. E' cosunaturale, a una Parigina, nel momento stesso in cui la passione la trascina, di esitar nella caduta, di mettere alla prova il cuore di colui al quale sta per affidare il suo avvenire! Tutte le speranze della signora de Nucingen erano state tradite una prima volta, e la sua fedeltjverso il giovane egoista era stata misconosciuta. Essa aveva il diritto d'essere diffidente. Forse aveva notato nei modi d'Eugenio, che il rapido successo aveva reso fatuo, una specie di disistima causata dalle stranezze della loro situazione. Desiderava senza dubbio apparire imponente a un uomo di quell'etj , ed essere considerata grande agli occhi suoi, dopo essere stata per tanto tempo considerata trascurabile agli occhi di colui dal quale era stata abbandonata. Non voleva che Eugenio la credesse una facile conquista proprio perchpegli sapeva che lei era stata di de Marsay. E poi, dopo aver subu to il degradante piacere d'un vero e proprio mostro qual qil giovane libertino, essa provava tanta dolcezza a percorrere le regioni fiorite dell'amore, che era un incanto per lei ammirarne tutti gli aspetti, ascoltarne a lungo i fremiti, e lasciarsi a lungo accarezzare da caste brezze. Il vero amore pagava per quello cattivo. Tale controsenso sarjpurtroppo frequente, finchpgli uomini non sapranno quanti fiori falciano nell'animo di una giovane donna i primi inganni. Quali che fossero le sue ragioni, Delfina si faceva gioco di Rastignac e si divertiva a farsi gioco di lui, certamente perchpsi sapeva amata ed era sicura di far cessare i crucci del suo amante secondo il proprio regale beneplacito di donna. Per rispetto a se stesso, Eugenio non voleva che il suo primo combattimento terminasse con una sconfitta, e persisteva nel suo inseguimento, come un cacciatore che vuole assolutamente uccidere una pernice la prima volta che va a caccia. Le sue ansietj , il suo amor proprio offeso, le sue disperazioni, simulate o sincere, lo avvincevano sempre pia quella donna. Tutta Parigi gli attribuiva la signora de Nucingen, dalla quale non aveva ottenuto nulla pi di quanto il primo giorno che l'aveva conosciuta. Non sapendo ancora che la civetteria d'una donna offre talvolta pibenefici di quanto il suo amore non dia piaceri, cadeva in preda a sciocche ire. Se il periodo durante il quale una donna si nega all'amore offriva a Rastignac la ricchezza delle sue primizie, queste divenivano per lui tanto costose per quanto erano verdi, agroline e deliziose al gusto. Talvolta, trovandosi senza un soldo, senza avvenire, pensava, nonostante la voce della coscienza, alla fortuna che avrebbe potuto conseguire e di cui Vautrin gli aveva dimostrato la possibilitjmediante un matrimonio con la signorina Taillefer. Egli attraversava allora un periodo in cui la sua miseria parlava cosuad alta voce, che cedette quasi involontariamente alle male arti della terribile sfinge dagli sguardi della quale rimaneva spesso affascinato. Nel momento in cui Poiret e la signorina Michonneau risalivano nelle proprie camere, Rastignac credendo d'esser solo tra la signora Vauquer e la signora Couture, che sferrucchiava maniche di lana sonnecchiando vicino alla stufa, guardzla signorina Taillefer in un modo cosu tenero, da farle abbassare gli occhi. - Avete qualche dispiacere, signor Eugenio? - gli chiese Vittorina dopo un istante di silenzio. - E chi non li ha! - rispose Rastignac. - Se fossimo sicuri, noi giovani, d'essere amati, con una devozione che ci ricompensasse dei sacrifici che siamo sempre disposti a fare, non avremmo forse mai dispiaceri. La signorina Taillefer gli diede, per tutta risposta, uno sguardo non equivoco. - Voi, signorina, vi credete sicura del vostro cuore, oggi; ma potreste esser certa di non cambiare mai? Un sorriso errzsulle labbra della povera giovinetta come un raggio sprizzato dal suo animo, e ne fece tanto risplendere il volto, che Eugenio ebbe timore d'aver provocato una cosuviva esplosione di sentimento. - Come!, se domani foste ricca e felice, se una immensa ricchezza vi cadesse dal cielo, amereste ancora il giovane povero, piaciutovi nei giorni della sfortuna? Lei fece un grazioso cenno con la testa. - Un giovane molto infelice? Nuovo cenno. - Ma che sciocchezze state dicendo? - esclamzla signora Vauquer. - Lasciateci stare - rispose Eugenio - noi ci comprendiamo. - Vi sarebbe dunque una promessa di matrimonio tra il signor cavaliere Eugenio di Rastignac e la signorina Vittorina Taillefer? - disse Vautrin con la sua grossa voce, mostrandosi all'improvviso all'uscio della sala da pranzo. - Ah !, mi avete messo paura - dissero insieme la signora Couture e la signora Vauquer. - Potrei scegliere di peggio - rispose ridendo Eugenio, al quale la voce di Vautrin causzla picrudele emozione che avesse mai provato. - Basta con questi scherzi di cattivo gusto, signori! - disse la signora Couture. - Su, figliola, andiamocene in camera. La signora Vauquer seguule due pensionanti, per economizzare la candela e il fuoco, passando la serata in camera loro. Eugenio si trovzsolo a faccia a faccia con Vautrin. - Sapevo bene che ci sareste arrivato - gli disse quell'uomo conservando un imperturbabile sangue freddo. - Ma, ascoltate! Io sono delicato come chiunque altro, io. Non prendete decisioni in questo momento, voi non siete adesso del solito umore. Avete debiti, e io non voglio che sia la passione, la disperazione a farvi venire da me, ma la ragione. Forse avete bisogno di qualche migliaio di scudi. Eccoli, li volete? Quel demonio cavzdalla tasca un portafoglio e ne trasse tre biglietti di banca che fece brillare agli occhi dello studente. Eugenio si trovava nella picritica situazione. Doveva dare al marchese d'Adjuda e al conte de Trailles cento luigi perduti sulla parola. Non li aveva, e non osava andare a passare la serata in casa della signora de Restaud, dov'era atteso. Era una delle serate intime, durante le quali si sgranocchiano pasticcini, si beve il tq , ma si possono anche perdere seimila franchi al whist. - Signore - gli disse Eugenio nascondendo a stento un tremito convulso - dopo quel che mi avete confidato, comprenderete che mi qimpossibile avere con voi obbligazioni. - Ebbene!, mi sarebbe dispiaciuto se aveste parlato altrimenti riprese il tentatore. - Voi siete un bel giovane, delicato, fiero come un leone e dolce come una fanciulla. Sareste una bella preda per il diavolo. Mi piace questo tipo di giovani. Ancora due o tre riflessioni d'alta politica, e poi vedrete il mondo come realmente q . Rappresentandovi qualche scenetta di virt, l'uomo superiore puzsoddisfare tutti i propri capricci, fra i grandi applausi dei gonzi che siedono in platea. Fra pochi giorni sarete dei nostri. Ah!, se voleste diventare mio allievo, vi farei arrivare a tutto. Voi non formulereste un desiderio che non fosse all'istante esaudito, qualsiasi desiderio: onore, ricchezza, donne. Tutta la civiltjsarebbe per voi ridotta in ambrosia. Sareste il nostro fanciullo viziato, il nostro Beniamino, e ci faremmo massacrare tutti per farvi piacere. Qualsiasi ostacolo vi verrebbe spianato. Se avete ancora qualche scrupolo, vuol dire che mi prendete per uno scellerato. Ebbene, un uomo probo quanto ancora voi credete di esserlo, il signor de Turenne, faceva, senza credersi compromesso, i suoi affarucci con dei briganti. Voi non volete avere obbligazioni con me, eh? Non importa - riprese Vautrin lasciandosi sfuggire un sorriso. Prendete questi pezzi di carta, e scrivete qui sopra - disse cavando fuori una cambiale bollata - qui, di traverso: "Accettata per la somma di tremilacinquecento franchi pagabili in un anno". E metteteci la data! L'interesse qabbastanza forte per togliervi ogni scrupolo; potete chiamarmi un giudeo e considerarvi esente da ogni riconoscenza. Vi permetto di disprezzarmi ancor oggi, sicuro che poi mi vorrete bene. Troverete in me immensi abissi, quei vasti sentimenti concentrati che gli ingenui chiamano vizi; ma non mi troverete mai npvile npingrato. Insomma, io non sono npuna pedina, npun alfiere, ma una torre, ragazzo mio. - Ma che razza d'uomo siete voi mai? - esclamzEugenio - siete stato creato proprio per tormentarmi ! - Ma no, io sono un brav'uomo che vuole infangarsi affinchpvoi siate al riparo dal fango del vostro avvenire. Vi chiederete forse perchpmai tutta questa affezione per voi. Ebbene!, ve lo dirzpian piano un giorno o l'altro, all'orecchio. Vi ho dapprima turbato mostrandovi il carillon dell'ordine sociale e il funzionamento della macchina; ma il vostro turbamento passerj , come quello di un coscritto sul campo di battaglia, e vi abituerete all'idea di considerare gli uomini come soldati decisi a morire al servizio di coloro che si consacrano da se stessi re. I tempi sono molto cambiati. Una volta si diceva a un bravo: "Ecco cento scudi, uccidimi il signor tale", e si andava tranquillamente a cena dopo aver fatto scomparire un uomo per un su , per un no. Oggi vi propongo di procurarvi una bella fortuna con un semplice cenno della testa che non vi compromette affatto, e voi esitate. Il secolo qfiacco. Eugenio firmzla tratta e la consegnzin cambio dei biglietti di banca. - Ebbene!, andiamo, parliamo assennatamente - riprese Vautrin. Io voglio partire fra qualche mese per l'America, e andarvi a piantare il tabacco. Vi manderz i sigari dell'amicizia. Se diventerzricco, vi aiuterz. Se non avrzfigli (caso probabile, giacchp non desidero ripiantarmi qui col mezzo di riproduzione del germoglio), ebbene!, vi lascerzin ereditjla mia fortuna. Non si chiama questo essere l'amico di un uomo? E' perchpvi voglio bene, io. Ho la passione di prodigarmi a favore degli altri. L'ho gijfatto altre volte. Come vedete, ragazzo mio, io vivo in una sfera pielevata di quella degli altri uomini. Considero le azioni come mezzi, e non miro che allo scopo. Che cosa qun uomo per me? Tanto! - disse, facendo schioccare l'unghia del pollice sotto uno dei denti. - Un uomo q tutto o nulla. E' meno che nulla se si chiama Poiret; lo si puzschiacciare come una cimice, qpiatto e djcattivo odore. Ma un uomo qun dio quando vi somiglia; non qpi una macchina ricoperta di pelle, ma un teatro ove si agitano i pibei sentimenti; e io non vivo che di sentimenti. Un sentimento non qforse il mondo in un pensiero? Guardate papjGoriot: le sue due figlie sono per lui tutto l'universo, sono il filo col quale egli guida se stesso nel creato. Ebbene!, per me, che conosco a fondo la vita, non esiste che un solo sentimento reale: un'amicizia da uomo a uomo. Pietro e Jaffier, ecco la mia passione. So a memoria "Venezia Salvata". Avete visto molti uomini, quando un camerata dice: "Andiamo a sotterrare un cadavere!", cosucoraggiosi da andarci senza pronunciar verbo, senza affliggerlo con la morale? Io sono stato capace di far questo. Non parlerei cosu , tuttavia, a chiunque. Ma voi, voi siete un uomo superiore, a voi si puzdir tutto, voi sapete capire tutto. Voi non diguazzate a lungo nelle paludi ove vivono i mostriciattoli da cui siamo circondati qui. Ebbene eccolo detto. Voi sposerete. Affondiamo ciascuno la punta della nostra propria arma. La mia qdi ferro e non cede mai, eh, eh! Vautrin uscusenza voler ascoltare la risposta negativa dello studente, per lasciarlo a suo agio. Egli sembrava conoscere il segreto di quelle piccole resistenze, di quei combattimenti di cui gli uomini fanno mostra dinanzi a loro stessi, e che servono a giustificare azioni riprovevoli. "Faccia come vuole, ma io non sposerzdavvero la signorina Taillefer", disse Eugenio fra spe sp . Dopo aver subu to il malessere d'una febbre interiore che gli provoczl'idea di un patto concluso con quell'uomo di cui aveva orrore, ma che s'ingrandiva ai suoi occhi per il cinismo stesso delle idee e per l'audacia con cui attanagliava la societj , Rastignac si vestu , ordinzuna vettura, e si reczdalla signora de Restaud. Da qualche giorno, essa aveva raddoppiato le sue attenzioni per il giovane, del quale ogni passo era un progresso nel cuore del gran mondo, e il cui ascendente sembrava dover essere un giorno temibile. Egli pagzil suo debito a de Trailles e d'Adjuda, gioczal whist parte della notte, riguadagnz quel che aveva perduto. Superstizioso come la maggior parte degli uomini che debbono ancora fare la loro strada e che sono pio meno fatalisti, volle vedere nella sua fortuna come una riconoscenza del cielo per la propria perseveranza nel rimanere sulla retta via. L'indomani mattina, si affrettza domandare a Vautrin se aveva ancora la cambiale. Alla risposta affermativa, gli restituui tremila franchi con una soddisfazione alquanto naturale. - Tutto va bene - gli disse Vautrin. - Ma io non sono vostro complice - rispose Eugenio. - Lo so, lo so - fece Vautrin interrompendolo. - Voi fate ancora delle bambinate. Vi fermate alle prime difficoltj . Due giorni dopo, Poiret e la signorina Michonneau stavano seduti su di una panca al sole, in un viale solitario del Jardin des Plantes, e facevano conversazione con quel signore che ben a ragione sembrava sospetto allo studente in medicina. - Signorina - diceva il signor Gondureau - non vedo donde nascono i vostri scrupoli. Sua Eccellenza monsignor il ministro della polizia generale del regno... - Ah!, Sua Eccellenza monsignor il ministro della polizia generale del regno... - ripetp Poiret. - Su , Sua Eccellenza si occupa di questo affare disse Gondureau. A chi non sembrerjinverosimile che Poiret, vecchio impiegato, uomo, senza dubbio, di virtborghesi, sebbene privo d'idee, continuasse ad ascoltare il sedicente benestante della via Buffon, nel momento in cui questi pronunciava la parola: polizia, svelando cosula fisionomia di un agente della via Jp rusalem attraverso la sua maschera di onest'uomo? Eppure, nulla era pinaturale. Ognuno comprenderjmeglio a che specie particolare appartenesse Poiret, nella grande famiglia dei gonzi, dopo una considerazione gijfatta da alcuni osservatori, ma finora non resa di pubblica ragione. Esiste una popolazione pennuta, stretta dal bilancio domestico, tra il primo grado di latitudine che comporta gli stipendi di milleduecento franchi, una specie di Groenlandia amministrativa, e il terzo grado, nel quale cominciano gli stipendi un poco picaldi da tre a seimila franchi, regione temperata, dove si acclimata la gratificazione, dove essa fiorisce malgrado le difficoltjdella coltura. Una delle caratteristiche che meglio mette allo scoperto la patologica ristrettezza di questi subalterni quna specie di rispetto involontario, meccanico, istintivo, per quel Gran Lama d'ogni ministero, conosciuto dall'impiegato da una firma illeggibile e sotto il titolo di "Sua Eccellenza monsignor ministro", cinque parole che equivalgono a "Il Bondo Cani del Califfo di Bagdad", e che, agli occhi di questo popolo appiattito, rappresenta un potere sacro, senza appello. Come il papa per i cattolici, monsignore qamministrativamente infallibile agli occhi dell'impiegato; la luce che spande si comunica ai suoi atti, alle sue parole, a quelle dette in suo nome; egli copre tutto coi ricami dell'uniforme, e legalizza le azioni che ordina; il suo titolo di eccellenza, che attesta la purezza delle intenzioni e la santitjdei voleri, serve come passaporto alle idee meno ammissibili. Quel che questi poveri diavoli non farebbero nel loro interesse, si affrettano a farlo non appena la parola "Sua Eccellenza" q stata pronunciata. Gli uffici praticano la loro obbedienza passiva, come l'esercito ha la sua: metodo che soffoca la coscienza, annichilisce un uomo e finisce, col tempo, per adattarlo come una vite o una madrevite alla macchina governativa. Perciz il signor Gondureau, che sembrava conoscere gli uomini, scorse subito in Poiret uno di questi sciocchi burocratici, e fece uscire il Deus ex machina, la parola talismanica di: Sua Eccellenza, nel momento in cui bisognava, scoprendo le batterie, confondere Poiret, che appariva ai suoi occhi quale il maschio della Michonneau, come la Michonneau gli sembrava la femmina di Poiret. - Dal momento che Sua Eccellenza in persona, Sua Eccellenza monsignor il !.. Ah !, ma allora la cosa cambia aspetto - disse Poiret. - Avete sentito quel che dice il signore, al giudizio del quale pare che vi rimettiate riprese il falso benestante rivolgendosi alla signorina Michonneau. - Ebbene, Sua Eccellenza ha ormai la certezza assoluta che il preteso Vautrin, alloggiato presso la Casa Vauquer, qun forzato evaso dal bagno penale di Tolone, dove qconosciuto sotto il nome di Ingannalamorte. - Ah ! Ingannalamorte! - disse Poiret - dev'essere molto fortunato, se si qmeritato un soprannome simile. - Ma certo - riprese l'agente. - Questo soprannome qdovuto alla fortuna che ha avuto di non perder la vita nelle imprese estremamente audaci da lui compiute. E' dunque un uomo pericoloso, come vedete! Egli ha qualitjche lo rendono veramente straordinario. La stessa condanna gli ha procurato, nel suo ambiente, un grandissimo onore... - E' allora un uomo d'onore? - chiese Poiret. - A suo modo su . Ha acconsentito ad accollarsi il debito di un altro, un falso commesso da un bellissimo giovane cui voleva molto bene, un giovane italiano, forte giocatore, entrato poi nel servizio militare, dove s'qper altro comportato ottimamente. - Ma, se Sua Eccellenza il ministro della polizia qsicuro che il signor Vautrin sia Ingannalamorte, perchpha bisogno di me? - domandzla signorina Michonneau. - Ah, gij- fece Poiret - se infatti il ministro, come ci avete fatto l'onore di dire, ha una certezza qualsiasi... - Certezza non qproprio la parola; ... si dubita, ecco tutto. Ora vi dirzcome stanno le cose. Jacques Collin, soprannominato Ingannalamorte, gode tutta la fiducia dei tre bagni penali che lo hanno scelto quale agente e loro banchiere. Egli guadagna molto occupandosi di questo genere d'affari, che necessariamente richiede un uomo di "marca". - Ah! ah!, capite il gioco di parola, signorina? - fece Poiret. Il signore lo chiama un uomo di "marca", perchpqstato marcato. - Il falso Vautrin - disse l'agente continuando - riceve i capitali dei signori forzati, li investe, li conserva e li tiene a disposizione di quelli che evadono, o delle loro famiglie, quando ne dispongono per testamento, o delle loro amanti, quando traggono assegni su di lui a favor loro. - Delle loro amanti! Volete dire delle loro mogli - fece osservare Poiret. - No, signore. Il forzato non ha generalmente che spose illegittime, che noi chiamiamo concubine. - Ma allora vivono tutti in stato di concubinaggio? - Conseguentemente. - Ebbene - disse Poiret - ecco orrori che Monsignore non dovrebbe tollerare. Dato che avete l'onore di vedere Sua Eccellenza, spetta a voi, che mi sembrate avere idee filantropiche, illuminarlo sulla condotta immorale di questa gente, che offre un pessimo esempio al resto della societj . - Ma, signore, il governo non li manda mica ljper offrire il modello di tutte le virt. - E' giusto. Tuttavia, signore, permettete... - Ma lasciate parlare il signore, mio caro - disse la signorina Michonneau. - Voi capite, signorina - riprese Gondureau. - Il governo puzavere un grande interesse a mettere le mani su di una cassa illecita, che si dice ammonti a un totale assai maggiore: Ingannalamorte incassa valori notevoli ricettando non solo le somme possedute da qualcuno dei suoi camerati, ma anche quelle che provengono dalla Societj dei Diecimila... - Diecimila ladri! - esclamzPoiret spaventato. - No, la Societjdei Diecimila qun'associazione di grandi ladri, di gente che lavora in grande stile e non si occupa di affari che quando ci sono diecimila franchi da guadagnare. Questa societjsi compone di tutto quel che c'qdi pidistinto tra coloro che vanno diritti in corte d'assise. Essi conoscono il Codice, e non rischiano mai la condanna a morte quando sono pizzicati. Collin qil loro uomo di fiducia, il loro consigliere. Con l'aiuto delle sue immense risorse, quest'uomo ha saputo crearsi una propria polizia e relazioni molto estese che avvolge in un mistero impenetrabile. Sebbene da un anno sia stato circondato di spie, non siamo ancora riusciti a veder chiaro nel suo gioco. La sua cassa e il suo talento servono costantemente dunque a pagare il vizio, a fornire fondi al delitto, e mantengono in piedi un esercito di cattivi soggetti che sono in perpetuo stato di guerra con la societj . Acciuffare Ingannalamorte e impadronirsi della sua banca, sarjcome tagliare il male alla radice. Quindi tale spedizione qdivenuta un affare di Stato e di alta politica, che potrjonorare coloro che coopereranno alla sua riuscita. Voi stesso, signore, potreste essere riammesso nell'amministrazione, diventare segretario d'un commissario di polizia, funzioni queste che non vi impedirebbero affatto di percepire la pensione. - Ma perchp- disse la signorina Michonneau - Ingannalamorte non scappa con tutta la cassa? - Oh! - fece l'agente - ovunque andasse, sarebbe seguu to da un uomo incaricato di ucciderlo, se frodasse il bagno penale. E poi una cassa non si porta via cosufacilmente come si rapisce una signorina di buona famiglia. Del resto, Collin quna persona incapace di compiere un gesto simile; si riterrebbe disonorato. - Signore - disse Poiret - avete ragione, egli sarebbe senz'altro disonorato. - Tutto questo, tuttavia, non ci dice ancora per quale ragione non andiate semplicemente a catturarlo - fece la signorina Michonneau. - Ebbene!, signorina, io vi rispondo... Ma - le disse all'orecchio - impedite al vostro amico d'interrompermi, altrimenti non la finiremo pi. Quel tipo deve essere molto fortunato se riesce a farsi ascoltare. Ingannalamorte, venendo qui, ha assunto l'aspetto d'una persona per bene, fa il buon borghese parigino, ha preso stanza in una pensione senza pretese; qfino, lui, e date retta a me, non lo si coglierjmai all'impensata. Dunque il signor Vautrin qun uomo considerato, che fa affari considerevoli. "Naturalmente" disse fra spe spPoiret. - Il ministro, se c'ingannassimo arrestando un autentico Vautrin, non vuol mettersi contro npi commercianti di Parigi npl'opinione pubblica. Il signor Prefetto di polizia ciurla nel manico, ha dei nemici. Se si commettesse un errore, coloro che aspirano al suo posto approfitterebbero dello scandalo e degli strilli dei liberali per farlo saltare. Si tratta qui di procedere come nel processo Cogniard, il falso conte di Sainte-Helq ne; se fosse stato un vero conte di Sainte-Helq ne, saremmo stati freschi! E percizqnecessario identificarlo bene. - Su , ma voi avete bisogno di una bella donna - disse con vivacitjla signorina Michonneau. - Ingannalamorte non si lascerebbe avvicinare da una donna repliczl'agente. - Vi rivelerz un segreto: egli non ama le donne. - Ma non vedo allora a che cosa io possa servire per un simile accertamento, una supposizione che consentirei a fare per duemila franchi. - Nulla di pifacile - disse lo sconosciuto. - Vi darei una fialetta contenente una dose di liquore preparato per provocare un malessere, che non presenta tuttavia il minimo pericolo e simula una apoplessia. La droga puzessere mescolata indifferentemente sia al vino che al caffq . Voi trasportate immediatamente il nostro uomo su di un letto, e lo spogliate per sorvegliare che non muoia. Quando sarete rimasta sola con lui, gli darete un colpo sulla spalla, paf !, e vedrete ricomparire le lettere del suo marchio. - Ma tutto cizqmolto facile - disse Poiret. - Ebbene, acconsentite? - domandzGondureau alla vecchia zitella. - Ma, caro signore - rispose la signorina Michonneau - e se le lettere non ci fossero, avrei egualmente i duemila franchi? - No. - E, quanto sarjallora l'indennitj ? - Cinquecento franchi - Fare una cosa simile per cosupoco? Il male qsempre quello nella coscienza; e io devo sedare la reazione della mia coscienza, signore. - Posso assicurarvi - disse Poiret - che la signorina ha molta coscienza, oltre ad essere una amabilissima persona e molto intelligente. - Ebbene! - riprese la signorina Michonneau - datemi tremila franchi se qIngannalamorte, e nulla se non qlui. - Sta bene - disse Gondureau - ma alla condizione che la faccenda sia sbrigata domani. - Un momento, caro signore; ho bisogno di consultare prima il mio confessore. - Furba! - fece l'agente alzandosi. - Allora, a domani. E se avete urgenza di parlarmi, venite al vicolo Sainte-Anne, in fondo alla corte della Sainte-Chapelle. C'quna porta sola sotto la volta. Chiedete del signor Gondureau. Bianchon, che tornava dalla lezione di Cuvier, rimase colpito dalla parola alquanto originale: Ingannalamorte, e udulo "sta bene", del celebre capo della Polizia. - Perchpnon vi decidete subito? Sarebbero trecento franchi di rendita - disse Poiret alla signorina Michonneau. - Perchp ? - essa rispose. - Ma perchpbisogna rifletterci. E se il signor Vautrin fosse proprio questo Ingannalamorte? In questo caso sarebbe forse piconveniente mettersi d'accordo con lui. Tuttavia, chiedergli del denaro vorrebbe dire prevenirlo, e lui sarebbe capace di squagliarsela gratis. E allora sarebbe un detestabile puff. - Ma ammesso che fosse prevenuto - riprese Poiret - quel signore non ci ha detto che era sorvegliato? Ma voi, voi allora perdereste tutto. "Del resto" penszla signorina Michonneau, "io non ho alcuna simpatia per quell'uomo! Non sa dirmi che cose spiacevoli". - Ma - riprese Poiret - voi fareste di meglio. Come ha detto quel signore, che mi sembra persona molto ammodo, oltre a essere assai ben vestito, qun gesto di obbedienza alle leggi togliere dalla circolazione un criminale, per quanto virtuoso possa essere. Chi ha bevuto, berrj . Se gli venisse in mente di assassinarci a tutti? Ma, che diavolo! Noi saremmo colpevoli di questi assassinii, senza contare che saremmo le prime vittime. La preoccupazione non permetteva alla signorina Michonneau di ascoltare le frasi cadenti a una a una dalla bocca di Poiret, come le gocce d'acqua che cadono attraverso il rubinetto d'una fontana mal chiuso. Da quando quel vecchio aveva cominciato a snocciolare la serie delle sue frasi, senza che la signorina Michonneau lo interrompesse, continuava a parlare sempre, come una macchina caricata. Dopo aver attaccato un primo argomento, era portato dalle sue parentesi a trattarne altri del tutto opposti, senza aver concluso nulla. Giunti alla Casa Vauquer, s'era cacciato in una sequela di passaggi e di citazioni transitorie che lo avevano condotto a riferire la sua deposizione nel processo di messer Ragoulleau e di madama Morin, ove era comparso quale teste a discarico. Entrando, la sua compagna non manczdi scorgere Eugenio de Rastignac impegnato con la signorina Taillefer in un intimo colloquio il cui interesse era cosupalpitante, che la coppia non fece alcuna attenzione ai due vecchi pensionanti, che attraversarono la sala da pranzo. - Doveva finire cosu- disse la signorina Michonneau a Poiret. Era da otto giorni che si facevano l'occhio di triglia. - Gij- egli rispose. - E percizfu condannata. - Chi? - La signora Morin. - Ma io vi sto parlando della signorina Vittorina! - disse la Michonneau entrando, distratta, nella camera di Poiret - e voi mi rispondete con la signora Morin. Chi qquesta donna? - E di che cosa sarebbe colpevole la signorina Vittorina? chiese Poiret. - E' colpevole di amare il signor Eugenio de Rastignac, e va innanzi per questa strada senza sapere dove questa la condurrj , povera innocente! Eugenio era stato, durante la mattinata, portato alla disperazione dalla signora de Nucingen. Nel foro interiore della sua coscienza s'era abbandonato completamente a Vautrin, senza voler approfondire npi motivi dell'amicizia che gli dimostrava quell'uomo straordinario, nple conseguenze d'una simile alleanza. Sarebbe stato necessario un miracolo per trarlo dall'abisso nel quale aveva gijmesso il piede da un'ora, scambiando con la signorina Taillefer le pidolci promesse. Vittorina credeva di ascoltare la voce di un angelo, i cieli si schiudevano per lei, la Casa Vauquer si adornava di quei colori fantastici che i decoratori usano per i palazzi di teatro: amava, era amata, o almeno lo credeva! E quale donna non lo avrebbe creduto, come lei, vedendo Rastignac, ascoltandolo durante quell'ora sottratta a tutti gli Argo della casa? Dibattendosi contro la sua coscienza, sapendo di far male e volendo farlo, dicendosi che si sarebbe riscattato da quel peccato veniale con la felicitjd'una donna, s'era abbellito della sua stessa disperazione e riluceva di tutti i fuochi infernali che aveva nel cuore. Fortunatamente per lui, il miracolo si compu : Vautrin entrz allegramente, e lesse nell'animo dei due giovani, che egli aveva sposati con le macchinazioni del suo genio infernale, ma di cui turbzsubito la gioia cantando col suo vocione rauco: La mia Fanchette qdeliziosa Nella sua semplicitj ... Vittorina scappzportando con sptanta felicitjquanto dolore aveva fino allora sofferto nella vita. Povera figliola! Una stretta di mano, la sua gota sfiorata dai capelli di Rastignac, una parola detta cosuvicino al suo orecchio da sentire il calore delle labbra dello studente, i suoi fianchi cinti da un braccio tremante, un bacio sul suo collo, furono il fidanzamento della sua passione, che l'avvicinarsi della grossa Silvia, minacciando d'entrare in quella radiosa sala da pranzo, rese piardente, pivivo, piimpegnativo delle pibelle testimonianze d'affetto raccontate nelle picelebri storie d'amore. Questi "piccoli voti", secondo una graziosa espressione dei nostri antenati, sembravano crimini a una devota giovinetta che andava a confessarsi ogni quindici giorni! In quell'ora, essa aveva prodigato pitesori dell'anima di quanti, pitardi, ricca e felice, non ne avrebbe dati concedendosi tutta. - L'affare qfatto - disse Vautrin ad Eugenio. - I nostri due dandy si sono picchiati. Tutto s'qsvolto passabilmente. Questione di opinioni. Il nostro piccioncino ha insultato il mio falchetto. A domani, nel ridotto di Clignancourt. Alle otto e mezza, la signorina Taillefer erediterj l'amore e la ricchezza di suo padre, mentre starjtranquillamente a inzuppare i suoi crostini di pane imburrato nel caffq . Non qbuffa a raccontarsi? Quel piccolo Taillefer q molto forte alla spada, ed qpieno di fiducia come se avesse una scala reale in mano; ma sarjsalassato da un colpo di mia invenzione, che consiste nel rialzare l'arma e nel colpire in fronte. Vi insegnerzquesto colpo, perchpqstraordinariamente utile. Rastignac ascoltava stupito, ed era incapace di rispondere. In quel momento giunsero papjGoriot, Bianchon e qualche altro pensionante. - Ecco come io vi volevo - gli disse Vautrin. - Voi sapete quello che fate. Bene, mio aquilotto! Voi governerete gli uomini; siete forte, quadrato, coraggioso; avete la mia stima. E volle prendergli la mano. Ma Rastignac ritirzpresto la sua, e cadde su di una sedia, impallidendo; credeva di vedere un lago di sangue dinanzi a sp . - Ah!, abbiamo ancora qualche fascia imbrattata di virt- disse Vautrin a bassa voce. Papjd'Oliban ha tre milioni, so a quanto ascende la sua fortuna. La dote vi renderj candido come un abito da sposa, e dinanzi agli stessi vostri occhi. Rastignac non esitzpi. Decise di andare ad avvertire in serata i signori Taillefer padre e figlio. In quel momento, avendolo Vautrin lasciato, papjGoriot gli disse all'orecchio: - Siete triste, ragazzo mio!, vi rallegrerzio. Venite con me! E il vecchio vermicellaio accese lo stoppino a una lampada. Eugenio lo seguu , pieno di curiositj . - Entriamo da voi - disse il buon uomo, che s'era fatto dare la chiave della camera dello studente da Silvia. Voi avete creduto questa mattina che lei non vi amasse, eh! - riprese a dire. - Lei vi ha mandato via, e voi ve ne siete andato crucciato, desolato. Sciocchezze! Aspettava me. Capite? Dovevamo andare a finir di sistemare un gioiello d'appartamento, che andrete ad abitare di qui a tre giorni. Non mi scoprite. Lei vuol farvi una sorpresa, ma io non resisto a tenervi pia lungo nascosto il segreto. Abiterete in via d'Artois, a due passi dalla via Saint-Lazare. Ci starete come un principe. Abbiamo preso per voi dei mobili come per una sposa. Abbiamo fatto molte cose da un mese a questa parte, senza dirvi nulla. Il mio avvocato si qmesso all'opera, mia figlia avrji suoi trentaseimila franchi all'anno, interesse della dote, e otterrzl'investimento di quegli ottocentomila franchi in redditizi beni al sole. Eugenio taceva e camminava, con le braccia incrociate, in lungo e in largo, per la sua povera camera in disordine. PapjGoriot colse un momento in cui lo studente gli voltava le spalle, e pose sul caminetto una scatola in marocchino rosso, su cui era impresso in oro lo stemma di Rastignac. - Mio caro figliolo - disse il povero buon uomo - mi sono cacciato in questa faccenda fino al collo. Ma, vedete, c'era in me molto egoismo, io sono interessato al vostro cambiamento di quartiere. Non mi direte di no, eh?, se vi domando qualche cosa. - Che volete? - Al di sopra del vostro nuovo appartamento, al quinto piano, c'quna stanza annessa, ci potrzabitare, no? Invecchio sempre pi, sto troppo lontano dalle mie figlie. Non vi disturberz. Soltanto, starzlu . Voi mi parlerete di lei tutte le sere. Questo non vi darj fastidio, qvero? Quando rientrerete, e io sarza letto, vi sentirz, e mi dirz: E' stato fino a poco fa con la mia piccola Delfina. L'ha accompagnata al ballo, qfelice per merito suo. Se fossi malato, sarebbe un balsamo al mio cuore sentirvi rientrare, muovere, uscire. Ci sarjtanto di mia figlia in voi! Non ci sarjda fare che un passo per trovarsi agli Champs-Elysp es, dove loro passano tutti i giorni, le vedrzsempre, mentre ora qualche volta arrivo troppo tardi. E poi lei verrjda voi, forse, la sentirz, la vedrznella sua vestaglia imbottita da mattina, trotterellare, facendo graziosamente le fusa come una gattina. Da un mese, qtornata come quand'era ragazza: gaia e brillante. La sua anima qin convalescenza, vi deve la felicitj . Oh!, io farzper voi l'impossibile. Mi diceva poco fa, rientrando: "Papj , sono tanto felice!". Quando mi dicono rispettosamente "padre", mi gelano; ma quando mi chiamano: "papj ", mi sembra di vederle ancora piccoline, e ravvivano tutti i miei ricordi. Mi sento anche di piloro padre. Ho l'illusione che non siano ancora di nessun altro! - Il buon uomo si asciugzgli occhi, piangeva - Era tanto che non avevo pisentito quelle parole, tanto che non mi aveva dato piil braccio! Oh!, su , sono dieci anni che non cammino pia fianco d'una delle mie figliole. Com'qpiacevole sfiorare il suo vestito, mettersi a passo con lei, condividere il suo calore. Insomma, questa mattina ho accompagnato Delfina dappertutto. Entravo con lei nei negozi. E l'ho riaccompagnata a casa. Oh!, tenetemi vicino a voi. Qualche volta potreste aver bisogno di chi ci faccia qualche servigio: io sarzlupronto. Oh !, se quel grosso ciocco d'Alsaziano morisse, se la sua gotta fosse cosuspiritosa da salirgli allo stomaco, la mia povera figliola sarebbe felice! Voi diverreste mio genero, sareste agli occhi di tutti suo marito. Oh! lei qcosuinfelice per non conoscere nulla dei piaceri del mondo, che le perdono qualsiasi cosa. Il buon Dio deve stare dalla parte dei padri che amano tanto i loro figli. Lei vi vuol troppo bene! - disse scuotendo la testa, dopo una pausa. - Camminando, mi parlava di voi: "Êvero, papj , che quna persona per bene e ha tanto buon cuore! Vi parla di me?". E me ne ha dette tante dalla via d'Artois fino al passaggio dei Panoramas, da farne volumi! E ha versato il suo cuore nel mio. Per tutta la mattina, non mi sentivo pi vecchio, non pesavo un'oncia. Le ho detto che mi avevate dato il biglietto da mille franchi. Oh! la mia cara, ne qstata commossa fino alle lacrime. Ma che cosa avete lj , sul caminetto? - chiese infine Goriot che moriva d'impazienza vedendo Rastignac immobile. Eugenio, sbalordito, guardava il suo vicino come un ebete. Quel duello annunciatogli da Vautrin per l'indomani, contrastava cosuviolentemente con le realizzazioni delle sue pi care speranze, da fargli provare tutte le sensazioni dell'incubo. Si volse verso il caminetto, vi scorse la scatolina quadrata, l'apru , e vi trovzdentro un foglio, sotto il quale si trovava un orologio Brp guet. Sul foglio erano scritte queste parole: "Voglio che pensiate a me tutte le ore, perchp ... Delfina". Quest'ultima parola doveva certamente alludere a qualche scena svoltasi fra loro. Eugenio ne rimase intenerito. Il suo stemma figurava internamente smaltato nell'oro della cassa dell'orologio. Questo oggetto, da tanto tempo desiderato, lo stile, la catena, la chiavetta, i fregi, soddisfacevano tutti i suoi gusti. PapjGoriot era raggiante. Egli aveva senza dubbio promesso alla figlia di riferirle ogni minimo effetto della sorpresa che avrebbe prodotto in Eugenio il suo dono, dacchpegli rientrava ormai come terzo in quelle giovanili emozioni e non sembrava esserne il meno felice. Egli voleva gijbene a Rastignac, e nei riflessi di sua figlia e in rapporto a se stesso. - Andate a trovarla, questa sera! Vi aspetta. Quel grosso ciocco dell'Alsaziano cena con la sua ballerina. Ah! ah!, qrimasto come uno stupido, quando il mio avvocato gli ha detto il fatto suo. Non ha avuto il coraggio di dichiarare che ama mia figlia fino all'adorazione? Si provi a toccarla con un dito, e lo ammazzo. L'idea di sapere la mia Delfina preda di... (e qui sospirz) mi farebbe commettere un delitto: ma il mio non sarebbe un omicidio, perchpsi tratta solo d'una testa di vitello sul corpo d'un maiale. Mi terrete con voi, non qvero? - Su , mio buon papjGoriot, sapete quanto vi voglio bene... - Lo vedo, voi non vi vergognate di me, voi! Lasciate che vi abbracci - e strinse lo studente fra le braccia. - La renderete felice? Promettetemelo! Ci andrete questa sera, non qvero? - Oh!, su . Ma ora devo lasciarvi, per certi affari che non posso rimandare. - Posso esservi utile in qualche cosa? - In fede mia, su ! Mentre andrzdalla signora de Nucingen vorrei pregarvi di andare dal signor Taillefer padre, e chiedergli se puzaccordarmi un colloquio in serata, dovendo parlargli d'una faccenda di somma importanza. - Ma allora qvero, giovanotto - domandzpapjGoriot cambiando espressione - che voi fareste la corte a sua figlia, come dicono questi imbecilli qui sotto? Corpo di mille fulmini! Voi non sapete che cosa sia un pugno alla Goriot. E, se c'ingannaste, non sarebbe questione che d'un pugno. Oh!, questo non qpossibile. - Vi giuro che io amo una sola donna al mondo - rispose lo studente - e lo so solo da un momento fa. - Ah!, che felicitj ! - fece papjGoriot. - Ma - riprese lo studente - il figlio di Taillefer si batte domani, e ho sentito dire che verrj ucciso. - E che cosa ve ne importa? - chiese Goriot. - Ma bisogna dirgli che impedisca a suo figlio di recarsi... esclamzEugenio. In quel momento fu interrotto dalla voce di Vautrin, che si fece sentire sulla soglia dell'uscio, cantando: "O Riccardo, o mio re! Il mondo ti abbandona". Brum! brum! brum! brum! brum! "A lungo ho corso il mondo, E mi si qvisto..." Tra, la, la, la, ... - Signori - gridzCristoforo - la zuppa qservita, e tutti sono gija tavola. - Cristoforo - disse Vautrin - va' a prendere una bottiglia del mio vino di Bordeaux. - Vi piace, I'orologio? - domandzpapjGoriot. Lei ha buon gusto, eh? - Vautrin, papj Goriot e Rastignac scesero insieme la scala e a tavola si trovarono, a causa del loro ritardo, vicini. Eugenio ostentzla pigrande freddezza a Vautrin durante il pranzo, sebbene quell'uomo, cosuamabile agli occhi della signora Vauquer, non avesse mai sfoggiato tanto spirito. Fu scoppiettante di arguzie, e seppe trascinare tutti i commensali. Quella sua disinvoltura, quel suo sangue freddo costernavano Eugenio. - Com'qche oggi vi va cosubuona? - gli chiese la signora Vauquer. - Siete allegro come un galletto! - Sono sempre allegro io, quando ho concluso buoni affari. - Affari? - domandzEugenio. - Ebbene, su . Ho venduto una partita di merci che mi procurerjuna discreta percentuale. Signorina Michonneau - aggiunse poi, accorgendosi che la vecchia zitella lo stava guardando - ho forse sul viso qualche tratto che non vi garba, da farmi "l'occhio americano"? Nel caso, ditemelo! E allora lo cambierz, per riuscirvi gradito. - Poiret, non ci bisticceremo davvero per questo, no? - aggiunse ammiccando al vecchio impiegato. - Perbacco!, voi dovreste posare per un Ercole Farnese - disse il giovane pittore a Vautrin. - Giusto!, in fede mia, se la signorina Michonneau poserjda Venere del Pq re Lachaise rispose Vautrin. - E Poiret? - fece Bianchon. - Oh!, Poiret poserjda Poiret. Sarjil dio dei giardini! - esclamzVautrin. - Il suo nome deriva da pera... - Cotta! - riprese Bianchon. - E allora vi troverete tra la pera e il formaggio. - Ma basta con tutte queste sciocchezze - disse la signora Vauquer - e fareste meglio a offrirci il vostro vino di Bordeaux, di cui vedo una bottiglia che sta qui facendo atto di presenza; essa ci terrjin allegria, senza contare che fa bene allo "stommacco". - Signori - fece Vautrin - la signora presidentessa ci richiama all'ordine. La signora Couture e la signorina Vittorina non si scandalizzeranno dei vostri discorsi scherzosi, ma rispettate l'innocenza di papjGoriot. Vi offro una piccola "bottigliorama" di vin di Bordeaux, che il nome di Laffitte rende doppiamente illustre: e cizsia detto senza alcuna allusione politica. Forza, Cinese! - aggiunse guardando Cristoforo, che non si mosse. Vieni qui, Cristoforo! Come, non senti fare il tuo nome? Cinese, porta i liquidi ! - Ecco, signore - disse Cristoforo presentandogli la bottiglia. Dopo aver riempito il bicchiere d'Eugenio e quello di papjGoriot, se ne verszlentamente alcune gocce, le gustz, mentre i suoi due vicini bevevano; ma ad un tratto fece una boccaccia. - Diamine!, sa di turacciolo. Prendi questo per te, Cristoforo, e vaccene a prendere dell'altro; a destra, sai... Siamo sedici, porta giotto bottiglie. - Visto che siete in vena di liberalitj- disse il pittore - io offrirzle castagne. - Oh! oh! - Booououh! - Prrr! Ognuno lancizesclamazioni, che partirono come razzi d'una girandola. - Andiamo, mamma Vauquer, offritecene due di Champagne - le gridzVautrin. - Nientemeno! E perchpnon chiedermi addirittura tutta la casa? Due di Champagne! Ma sapete che costano dodici franchi l'una? Io non li guadagno mica, io! Ma se il signor Eugenio vuol pagarle lui, io vi offro il rosolio di ribes. - Eccola col suo ribes, che purga come la manna - disse lo studente in medicina a bassa voce. - Vuoi star zitto, Bianchon? - esclamzRastignac - io non posso sentir parlare di manna senza che lo stomaco... Ebbene su , vada per lo Champagne, lo pago io aggiunse lo studente. - Silvia - disse la signora Vauquer - serviteci i biscotti e i pasticcini. - I vostri pasticcini sono troppo grandi - disse Vautrin - hanno la barba! Ma i biscotti, portateli. In un momento il vino di Bordeaux circolz, i commensali si animarono, l'allegria raddoppiz. Furono risa sgangherate, tra le quali scoppiarono alcune imitazioni di diverse voci d'animali. All'impiegato del Museo venne in mente di rifare il grido d'un venditore ambulante parigino che somigliava al miagolio d'un gatto in amore, e subito otto voci mugghiarono simultaneamente le frasi seguenti: - Arrotinooo! - ...Miglio per uccellini! - Caramelle, caramelle! - Piatti da accomodare! - Pesce fresco, pesce fresco! Battipanni! - Cenciaiuolo, roba vecchia! - Ciliege dolci! La palma toccza Bianchon per il timbro nasale con cui gridz: - Ombrellaio! Ombrelli da accomodare! In pochi istanti si generzun chiasso da far scoppiare la testa, una conversazione senza capo np coda, una vera e propria opera che Vautrin dirigeva come un direttore d'orchestra, sorvegliando Eugenio e papjGoriot, i quali apparivano gijubriachi. Con la schiena appoggiata alla sedia, ambedue assistevano a quella insolita confusione con un'aria grave, bevendo poco; entrambi erano preoccupati di quel che dovevano fare durante la serata, ma, tuttavia, non si sentivano la forza d'alzarsi. Vautrin, che seguiva i mutamenti della loro fisionomia guardandoli in tralice, colse il momento in cui i loro occhi vacillarono e sembrarono volersi chiudere, per chinarsi all'orecchio di Rastignac, e dirgli: - Ragazzino mio, non siamo abbastanza furbi da farla a papjVautrin, e lui vi vuole troppo bene per lasciarvi commettere qualche sciocchezza. Quando ho deciso di fare qualcosa, solo il buon Dio qcosuforte da sbarrarmi la strada. Ah!, sarebbe dunque nostra intenzione di andare ad avvertire papjTaillefer, e fare sbagli da scolaretto? Il forno q acceso, la farina qimpastata, il pane qsulla pala; domani ne faremo saltare le miche sulla nostra testa mordendolo, e proprio adesso non vorremmo infornare?... No, no; tutto si cuocerj ! Se abbiamo ancora qualche piccolo rimorso, la digestione lo porterjvia. Mentre noi schiacceremo un sonnellino, il colonnello conte Franchessini aprirja nostro favore la successione di Michele Taillefer con la punta della propria spada. Ereditando dal fratello, Vittorina avrjquindicimila piccoli franchi di rendita. Ho assunto gijinformazioni, e so che la successione della madre ammonta a pidi trecentomila... Eugenio sentiva queste parole senza poter rispondere: aveva la lingua incollata al palato, ed era sotto l'azione di una sonnolenza invincibile; vedeva la tavola e i volti dei commensali soltanto attraverso una nebbia luminosa. Presto il rumore si calmz, i pensionanti uscirono a uno a uno. Poi, quando non rimase piche la signora Vauquer, la signora Couture, la signorina Vittorina, Vautrin e papjGoriot, Rastignac vide, come in sogno, la signora Vauquer che prendeva le bottiglie per scolarne il fondo, in modo da riempirne qualcuna. - Ah!, che pazzi, come sono giovani! - diceva la vedova. Questa fu l'ultima frase che Eugenio potpcapire. - Solo il signor Vautrin qcapace di far questi scherzi - disse Silvia. - Guardate lu Cristoforo, come russa! - Addio, mammj- fece Vautrin. - Vado a teatro ad ammirare il signor Marty nel "Monte Selvaggio", un grande lavoro tratto dal "Solitario". Se volete, vi ci conduco insieme con le altre signore. - Grazie - rispose la signora Couture. - Come, vicina mia ! - esclamzla signora Vauquer - non volete ascoltare un lavoro teatrale ricavato dal "Solitario", l'opera di Atala de Chateaubriand, che ci piaceva tanto di leggere, cosubella da farci piangere come tante Maddalene d'Elodia sotto "le tiglie" l'estate scorsa, un lavoro morale, insomma, che puzistruire la vostra signorina? - Non possiamo andare a teatro - rispose Vittorina. - Eccoli, sono andati, questi due - disse Vautrin muovendo comicamente la testa di papj Goriot e quella d'Eugenio. Appoggiando la testa dello studente sulla spalliera della sedia, per farlo dormire comodamente, lo bacizcon calore sulla fronte e cantz: Dormite, o dolci amori! Per voi desto sarz. - Temo si senta male - disse Vittorina. - E allora rimanete a curarlo - rispose Vautrin. - Questo - le sussurrzall'orecchio - qil vostro dovere di sposa devota. Il giovane vi adora, e voi sarete la sua mogliettina, ve lo predico. Insomma, - aggiunse ad alta voce - essi furono stimati in tutto il paese, vissero felici ed ebbero molti figliuoli. Ecco come finiscono tutti i romanzi d'amore. Andiamo, mammjdisse rivolgendosi alla signora Vauquer stringendola per la vita, - mettetevi il cappello, il bell'abito a fiorami, la sciarpa della contessa. Vado intanto a ordinare una carrozza. E uscucantando: Sole, sole, o divin sole, tu che le zucche fai maturar... - Buon Dio! signora Couture, con quell'uomo vivrei felice anche sotto il letto! Guardate fece poi voltandosi verso il vermicellaio - ecco papjGoriot andato anche lui. A questo vecchio canchero fosse mai venuto in mente una volta di portarmi in"gnisun" posto! Ma sta per cadere per terra, mio Dio! E' indecente perzper un uomo d'etjsmarrire la ragione cosu . Mi direte che non si puzperdere quel che non si ha. Silvia, portatelo in camera sua. Silvia prese il buon uomo sotto il braccio, lo aiutza camminare, e lo buttz, vestito com'era, attraverso il letto, come un sacco. - Povero ragazzo - fece la signora Couture scostando i capelli di Eugenio che gli ricadevano sugli occhi, qcome una giovinetta, non sa cosa sia uno stravizio. - Ah, posso ben dirlo; da trentun anni che gestisco la pensione,- disse la signora Vauquer - mi sono passati parecchi giovanotti per le mani, come suol dirsi; ma non ne ho mai incontrato uno cosuperbene, cosudistinto come il signor Eugenio. Quant'qbello quando dorme! Appoggiategli la testa sulla vostra spalla, signora Couture. Perz!, cade su quella della signorina Vittorina: c'qun dio per i ragazzi. Bastava poco perchpnon si rompesse la testa sul pomo della sedia. Fra tutti e due farebbero proprio una bella coppia. - Ma volete dunque tacere, vicina mia? - esclamzla signora Couture - state dicendo certe cose... - Ma! - fece la signora Vauquer - tanto non sente nulla. Vieni qui, Silvia, aiutami a vestirmi. Voglio mettermi il busto grande. - Ah, su !, il busto grande, dopo aver mangiato? - disse Silvia. - No, no, cercatevi qualcun altro per farvi stringere; non sarzdavvero io il vostro assassino. Commettereste una imprudenza che potrebbe costarvi la vita. - Non fa nulla, bisogna fare onore al signor Vautrin. - Volete proprio tanto bene ai vostri eredi? - Basta, Silvia, meno chiacchiere - fece la vedova uscendo. - Alla sua etj ! - riprese la cuoca indicando la padrona a Vittorina. La signora Couture e la sua pupilla, sulla cui spalla Eugenio dormiva, rimasero sole nella sala da pranzo. Il russare di Cristoforo risuonava nella casa silenziosa, e faceva risaltare il tranquillo sonno di Eugenio, che dormiva con infantile leggiadria. Felice di potersi permettere uno di quegli atti di caritjattraverso i quali si effondono tutti i sentimenti della donna e che le faceva sentire, senza commettere peccato, il cuore del giovane battere sul suo, Vittorina aveva nel volto qualcosa di maternamente protettivo, che la rendeva fiera. Tra i mille pensieri che si levavano dal suo cuore, essa avvertiva un tumultuoso moto di voluttj , eccitato dallo scambio d'un giovanile e puro calore. - Povera cara figliuola! - disse la signora Couture, stringendole la mano. La vecchia signora ammirava quel candido e sofferente sembiante, sul quale era discesa l'aureola della felicitj . Vittorina somigliava a una di quelle ingenue pitture medievali in cui tutti i particolari sono negletti dall'artista, che si qriservato la magia di un pennello calmo e fiero per la figura, d'un tono giallo, ma dove il cielo pare riflettersi con le sue tinte d'oro. - Eppure, mammj , non ha bevuto pidi due bicchieri - fece Vittorina passando le dita fra i capelli d'Eugenio. - Ma se fosse stato un dissoluto, figlia mia, avrebbe sopportato il vino come tutti gli altri. La sua ebbrezza qil suo miglior elogio. Il rumore d'una vettura risuonznella strada. - Mammj- disse la ragazza - ecco il signor Vautrin. Prendete voi, vi prego, il signor Eugenio. Non vorrei esser vista cosuda quell'uomo; ha certe espressioni che sporcano l'anima, e certi sguardi che imbarazzano una donna come se le si levasse il vestito. - No - rispose la signora Couture - tu ti sbagli! Il signor Vautrin qun brav'uomo, un po' sul genere del povero signor Couture, rude ma buono, un burbero benefico. In quel momento Vautrin entrzpiano piano, e contemplzil quadro formato da quei ragazzi, che la luce della lampada sembrava accarezzasse. - Ebbene! - disse incrociando le braccia - ecco una di quelle scene che avrebbero ispirato qualche bella pagina al buon Bernardin de Saint-Pierre, l'autore di "Paul et Virginie". La giovinezza quna gran bella cosa, signora Couture. Povero ragazzo, dorme - aggiunse guardando Eugenio - il bene scende alcune volte nel sonno. Signora - riprese rivolgendosi alla vedova - quel che mi lega a questo giovane, quel che mi commuove, qil sapere la bellezza della sua anima in armonia con quella del suo viso. Guardatelo: non vi sembra un cherubino poggiato sulla spalla d'un angelo? E' degno d'essere amato, quello lu . Se fossi donna, vorrei morire (no, non sono cosustupido!) vivere, per lui. Ammirandoli cosu , signora - aggiunse a bassa voce e chinandosi all'orecchio della vedova - non posso fare a meno di pensare che Dio li ha creati per essere l'uno dell'altro. Le vie della Provvidenza sono ben nascoste, essa sonda le reni e il cuore - esclamzad alta voce. - Nel vedervi uniti, ragazzi miei, uniti da una stessa purezza, da tutti i sentimenti umani, penso sia impossibile che voi siate mai separati in avvenire. Dio qgiusto. Ma - disse alla ragazza - mi sembra di aver trovato in voi le linee della fortuna. Datemi la mano, signorina Vittorina, io m'intendo di chiromanzia, e spesso ho detto la buona ventura. Andiamo, non abbiate paura. Oh!, che cosa non vedo! In fede di onest'uomo, voi sarete fra breve una delle piricche ereditiere parigine. Colmerete di felicitjcolui che vi ama. Vostro padre vi chiama vicino a sp . Vi mariterete a un titolato giovane, bello, che vi adora. In quel momento i passi pesanti della leziosa vedova che scendeva interruppero le profezie di Vautrin. - Ecco mammjVauquerre bella come un astrrro, legata stretta come un salame. Non scoppiamo un pochettino? - le chiese mettendo la mano sulla parte superiore del busto; le punte di petto stanno molto pigiate, mammj . Se durante la recita dovremo piangere, avverrjun'esplosione; ma io raccoglierzi pezzi con la cura d'un antiquario. - Conosce il gergo della galanteria francese, costui! - fece la vedova chinandosi all'orecchio della signora Couture. - Addio, figlioli - riprese Vautrin rivolgendosi ad Eugenio e a Vittorina. - Vi benedico aggiunse imponendo le mani sul loro capo. - Date retta a me, signorina, gli auguri d'un galantuomo valgono pur qualcosa, devono portarvi fortuna, Dio li ascolta. - Addio, mia cara amica - disse la signora Vauquer alla pensionante. - Credete - aggiunse a bassa voce - che il signor Vautrin possa avere qualche intenzione a mio riguardo? - Eh!, eh! - Ah, mia cara mammj- disse Vittorina sospirando e guardandosi le mani, quando le due donne rimasero sole. - Se quel buon signor Vautrin dicesse la veritj! - Ma basta una cosa sola per questo - rispose la vecchia signora - basta solo che quel mostro di tuo fratello cada da cavallo. - Oh !, mammj . - Mio Dio, forse qun peccato augurare il male al proprio nemico - riprese la vedova. Ebbene, ne farzla penitenza. Ti assicuro che porterzvolentieri dei fiori sulla sua tomba. Senza cuore!, egli non ha il coraggio di dire cizche avrebbe detto sua madre, di cui detiene a tuo danno l'ereditja forza d'imbrogli. Mia cugina possedeva una bella fortuna. Per tua disgrazia, non s'qmai parlato del suo apporto dotale nel contratto. - Non potrei godere la mia felicitj , se dovesse costare la vita a qualcuno - rispose Vittorina. - E se, per essere felice, mio fratello dovesse mancare, preferirei restare sempre qui. - Mio Dio, come dice quel buon signor Vautrin, che, lo hai sentito, qun uomo religioso riprese la signora Couture - mi ha fatto piacere di sapere che egli non qincredulo come gli altri, che parlano di Dio con minor rispetto di quanto non ne abbia il diavolo. Ebbene, chi puzsapere per quali strade alla Provvidenza piaccia condurci? Aiutate da Silvia le due donne trasportarono Eugenio nella sua camera, lo coricarono sul letto, e la cuoca gli sbottonzil vestito per farlo star comodo. Prima di lasciare la stanza Vittorina, non appena la sua protettrice ebbe voltato le spalle, impresse un bacio sulla fronte d'Eugenio, con tutta la felicitjche doveva causarle quel criminale gesto furtivo. Guardzla sua camera, raccolse, per cosudire, in un solo pensiero le mille gioie di quella giornata, ne fece un quadro che rimase a contemplare a lungo, e s'addormentzcome la pifelice creatura di Parigi. La festicciola col favore della quale Vautrin aveva fatto bere a Eugenio e a papjGoriot vino narcotizzato, significzla sua rovina. Bianchon, mezzo ubriaco, dimenticzd'interrogare la signorina Michonneau a proposito di Ingannalamorte. Se avesse pronunciato questo nome, avrebbe sicuramente destato la prudenza di Vautrin, o, per chiamarlo col suo vero nome, di Jacques Collin, una celebritjdella galera. E poi, il nomignolo di Venere del Pq re-Lachaise fece decidere la signorina Michonneau a consegnare nelle mani della forza il galeotto, proprio nel momento in cui, fidando nella generositjdi Collin, stava pensando se non sarebbe stato meglio avvertirlo e farlo evadere durante la notte. E uscu , accompagnata da Poiret, per recarsi dal famoso capo della polizia, al vicolo Sainte-Anne, credendo di aver ancora a che fare con un alto funzionario chiamato Gondureau. Il direttore della polizia giudiziaria la ricevette cortesemente. Poi, dopo un colloquio in cui tutto fu precisato, la signorina Michonneau chiese il liquido con l'aiuto del quale avrebbe dovuto procedere alla verifica del marchio. Dal gesto di contentezza che fece il grand'uomo del vicolo Sainte-Anne nel cercare una fialetta nel cassetto dello scrittoio, la signorina Michonneau capuche in quella cattura si nascondeva qualcosa di piimportante dell'arresto d'un semplice forzato. A furia di spremersi il cervello, essa suppose che la polizia sperasse, sulla scorta di certe rivelazioni fatte da alcuni galeotti traditori, di giungere in tempo per mettere le mani su considerevoli valori. Quando ebbe espresso tali congetture a quella volpe, egli ebbe un sorriso, e volle stornare i sospetti della vecchia zitella. - V'ingannate - le rispose. - Collin qla "sorbona" pipericolosa che mai si sia trovata nel reparto dei ladri. Ecco tutto. I bricconi lo sanno bene; egli qla loro bandiera, il loro sostegno, insomma il loro Bonaparte; e tutti gli vogliono bene. Questo bel tipo non ci lascerjmai la sua "ghirba" in piazza de Grq ve. E poichpla signorina Michonneau non capiva, Gondureau le spiegzle due parole di gergo che aveva usato: "Sorbona" e "ghirba" sono due energiche espressioni del linguaggio dei ladri i quali, loro per primi, hanno sentito la necessitjdi considerare la testa umana sotto due aspetti. La "sorbona" qla testa dell'uomo vivo, il suo giudizio, il suo pensiero. La "ghirba" quna parola di spregio destinata a significare quanto poco valga la testa, quando essa qstata recisa. - Collin ci prende in giro - egli disse. - Quando c'imbattiamo in uomini del genere, che sono come sbarre d'acciaio temprate all'inglese, abbiamo la risorsa di ucciderli se, all'atto dell'arresto, si attentano a fare la pipiccola resistenza. Noi contiamo, appunto, su qualche via di fatto per uccidere Collin domattina. In questo modo si evitano il processo, le spese di custodia, il nutrimento, e si libera la societjda un pericolo. Le procedure, le escussioni dei testimoni, il pagamento delle loro indennitj , l'esecuzione, tutto quel che deve legalmente sbarazzarci da tali delinquenti, costano ben pidei mille scudi che riceverete. E poi, si fa economia di tempo. Assestando un bel colpo di baionetta nella pancia di Ingannalamorte, impediremo un centinalo di delitti ed eviteremo la corruttela di cinquanta pessimi soggetti, i quali si terranno prudentemente ai margini della correzionale. Ecco un'azione di polizia ben fatta. Secondo l'avviso dei veri filantropi, procedere cosuvuol dire prevenire i reati. - Ma qanche servire il proprio Paese - disse Poiret. - Ebbene! - repliczil capo - dite cose sensate, questa sera, voi. Sucerto, noi serviamo il Paese. E la societjqingiusta nei nostri riguardi. Noi le rendiamo grandi servigi, tuttavia ignorati. Ma poi qproprio di un uomo superiore porsi al di sopra dei pregiudizi, qproprio di un cristiano sopportare i guai che il bene porta con sp , quando non qfatto secondo i sani principi. Parigi qParigi: questa parola spiega la mia vita. Ho l'onore di salutarvi, signorina. Mi troverzcoi miei uomini domani al Giardino del Re. Mandate Cristoforo in via Buffon, dal signor Gondureau, nella casa dov'ero. Signore, servitor vostro. Caso mai vi rubassero qualcosa, servitevi pure di me per farvela ritrovare, sono a vostra disposizione. - Ebbene! - disse Poiret alla signorina Michonneau - si trovano degli imbecilli che la sola parola polizia mette sotto sopra. Questo signore qmolto amabile, e quanto vi chiede qsemplice come dire: buon giorno. L'indomani doveva essere una delle giornate pistraordinarie nella storia della Casa Vauquer. Fino allora, il fatto pisaliente di quella vita tranquilla era stata l'apparizione meteorica della falsa contessa de l'Ambermesnil. Ma tutto doveva impallidire dinanzi alle peripezie di quella giornata campale, della quale si sarebbe parlato in eterno nelle conversazioni della signora Vauquer. Innanzi tutto Goriot ed Eugenio de Rastignac dormirono fino alle undici. La signora Vauquer, rientrata a mezzanotte dalla "Gav tp ", rimase fino alle dieci e mezza a letto. Il prolungato sonno di Cristoforo, che aveva bevuto i fondi delle bottiglie offerte da Vautrin, causzqualche ritardo nel servizio della casa. Poiret e la signorina Michonneau non si lamentarono del ritardo subu to dalla colazione. Quanto a Vittorina e alla signora Couture, esse dormirono sino a tardi. Vautrin uscuprima delle otto, e tornzproprio quando la colazione stava per essere servita. Nessuno perciz protestzquando, verso le undici e un quarto, Silvia e Cristoforo bussarono a tutti gli usci per dire che la colazione era pronta. Durante l'assenza di Silvia e del domestico, la signorina Michonneau scese per prima, verszil liquido nella tazza d'argento di Vautrin, dove la crema per il caffqsi scaldava a bagno maria, a differenza di tutti gli altri commensali. La vecchia zitella aveva contato su questa particolaritjdella pensione per fare il suo colpo. Non fu senza qualche difficoltjche i sette pensionanti si trovarono riuniti. Nel momento in cui Eugenio, stirandosi le braccia, scendeva buon ultimo, un fattorino gli consegnzuna lettera della signora de Nucingen. La lettera era cosuconcepita: "Io non ho falsa vanitj , npsono in collera con voi, amico mio. Vi ho atteso fino alle due dopo mezzanotte. Attendere una persona amata! Chi ha conosciuto questo supplizio non lo impone a nessuno. Vedo bene che voi amate per la prima volta. Che cosa mai qaccaduto? Sono angustiata. Se non avessi timore di svelare i segreti del mio cuore, sarei venuta a vedere quel che vi capitava, piacevole o spiacevole che fosse. Ma uscire di casa a quell'ora, o a piedi o in carrozza, non avrebbe voluto dire screditarsi? Ho in questa circostanza provato il rammarico d'esser nata donna. Rassicuratemi, ditemi perchpnon siete venuto, dopo quanto vi avrjdetto mio padre. M'inquieterz, ma vi perdonerz. State poco bene? Perchpabitare cosulontano da me? Una parola, per favore! A presto, non qvero? Una parola mi basterj , se siete occupato. Ditemi solo: o corro da voi, o sto male... Ma se vi trovaste indisposto, mio padre sarebbe venuto a dirmelo! Che cosa dunque qaccaduto?...". - Gij , che cosa qaccaduto? - esclamzEugenio, che si precipitznella sala da pranzo, spiegazzando la lettera senza finire di leggerla. - Che ora q ? - Le undici e mezza - rispose Vautrin inzuccherando il suo caffq . Il forzato evaso gettzsu di Eugenio quello sguardo freddamente ammaliatore che certi uomini eminentemente magnetici hanno il dono di lanciare, e che, si dice, calma i pazzi furiosi nei manicomi. Eugenio tremzin tutte le sue membra. Il rumore d'un "fiacre" si fece sentire dalla strada, e un domestico che indossava la livrea del signor Taillefer, subito riconosciuto dalla signora Couture, entrzprecipitosamente con aria stravolta. - Signorina - esclamz- il vostro signor padre vi desidera. E' accaduta una grave disgrazia. Il signor Federico s'qbattuto al duello, ha ricevuto un colpo di spada in fronte, e i medici disperano di salvarlo; avrete appena il tempo di dirgli addio!, ha perduto conoscenza. - Povero giovane! - esclamzVautrin. - Come mai attaccar lite quando si hanno trenta buone mila lire di rendita? E' proprio vero che la gioventnon si sa regolare! - Signore! - gli gridzEugenio. - Ebbene!, cosa, bambinone? - fece Vautrin terminando tranquillamente di bere il caffq , operazione che la signorina Michonneau seguiva troppo attentamente per commuoversi del fatto straordinario che tutti aveva lasciato sorpresi. - Non ci sono forse duelli tutte le mattine, a Parigi? - Vengo con voi, Vittorina - disse la signora Couture. E le due donne corsero via senza npscialle npcappello. Prima di uscire, Vittorina, con gli occhi pieni di lacrime, diede a Eugenio uno sguardo come per dirgli: "Non credevo che la nostra felicitjdovesse costarmi tante lagrime!". - Ma!, voi siete dunque profeta, signor Vautrin - chiese la signora Vauquer. - Io sono ogni cosa - rispose Jacques Collin. - E' strano davvero! - riprese la signora Vauquer, infilando una dopo l'altra frasi sconnesse sull'accaduto. - La morte ci coglie senza domandarci il permesso. I giovani se ne vanno spesso prima dei vecchi. Fortuna, noi donne, di non dover avere duelli; ma in cambio abbiamo malattie che gli uomini non hanno. Noi facciamo i figli, e il mal di madre dura parecchio! Che terno al lotto per Vittorina! Adesso suo padre sarjcostretto a riconoscerla. - Ecco fatto! - disse Vautrin guardando Eugenio - ieri la ragazza era senza un soldo, e stamane ricca a milioni. - Dite su, signor Eugenio - esclamzla signora Vauquer - ci avete messo le mani al momento buono! A questa uscita, papjGoriot guardz lo studente e gli vide nella mano la lettera spiegazzata. - Non l'avete terminata!, che vuol dir questo?, sareste voi forse come tutti gli altri? - gli domandz. - Signora, io non sposerzmai la signorina Vittorina - disse Eugenio rivolto alla signora Vauquer, con un senso d'orrore e di disgusto, che sorprese i presenti. PapjGoriot prese la mano dello studente e gliela strinse. Avrebbe voluto baciargliela. - Oh, oh! - fece Vautrin. - Gli italiani hanno un buon modo di dire: "col tempo"! - Attendo la risposta - disse a Rastignac l'inviato della signora de Nucingen. - Ditele che andrzda lei. L'uomo uscu . Eugenio era in preda a un violento stato d'eccitazione che non gli consentiva d'esser prudente. - Che fare? - diceva ad alta voce, parlando a se stesso. - Le prove non ci sono ! Vautrin sorrise. In quel momento la pozione assorbita dal suo stomaco cominciava ad avere effetto. Tuttavia il forzato era cosurobusto che si levz, guardzEugenio, e gli disse con voce cupa: - Giovanotto, la fortuna arriva dormendo. - E cadde stecchito. - C'qdunque una giustizia divina - disse Eugenio. - Mio Dio!, e che diamine ora gli prende a questo povero signor Vautrin ? - Un colpo apoplettico! - gridzla signorina Michonneau. - Silvia, corri, figlia mia, va subito a chiamare il medico - fece la vedova. - Ah! signor Rastignac, andate presto a cercare il signor Bianchon; Silvia potrebbe non trovare il nostro medico, il signor Grimpel. Rastignac, felice di avere un pretesto per lasciare quella spaventosa caverna, uscu correndo. - Cristoforo, su, corri dal farmacista a chiedergli qualcosa contro l'apoplessia. - Cristoforo uscu . - Andiamo, papjGoriot, aiutateci a trasportarlo su, in camera sua. Vautrin fu preso, portato su per la scala e messo sul letto. - Io non vi servo a nulla, vado a vedere mia figlia - disse il signor Goriot. - Vecchio egoista! - esclamzla signora Vauquer - va', ti auguro di morire come un cane. - Ma andate a vedere se avete un po' d'etere - fece alla signora Vauquer la signorina Michonneau che, aiutata da Poiret, aveva svestito Vautrin. La signora Vauquer scese in camera sua, lasciando la signorina Michonneau padrona del campo di battaglia. - Presto, levategli la camicia e rivoltatelo! Siate dunque buono a qualche cosa ed evitatemi di vedere delle nuditj- disse a Poiret. - Ve ne state lucome Babj . Rivoltato che fu Vautrin, la signorina Michonneau battpsulla spalla di Vautrin un forte colpo con la mano, e le due fatali lettere ricomparvero, in bianco, nel mezzo della macchia rossa. - To', vi siete guadagnato presto il compenso di tremila franchi- esclamzPoiret, reggendo ritto Vautrin mentre la signorina Michonneau gli rimetteva la camicia. - Auf!, quanto pesa - aggiunse stendendolo nuovamente sul letto. - Statevi zitto. E se ci fosse una cassa? - disse con vivacitjla vecchia zitella, i cui occhi sembravano forare i muri, tanta era l'aviditjcon la quale osservava ogni pipiccolo mobile della camera. - Se si potesse aprire questo scrittoio con un qualche pretesto riprese a dire. - Non sarebbe forse cosa ben fatta - riprese Poiret. - E perchp ? Il denaro rubato, essendo stato di tutti, non qpidi nessuno. Ma qche ci manca il tempo - essa rispose. - Sento venire la Vauquer. - Ecco l'etere - disse la signora Vauquer. - Ma davvero che oggi qproprio la giornata delle avventure. Dio !, quell'uomo non puzessere malato, qbianco come un pollo. - Come un pollo? - ripetpPoiret. - Il cuore qregolare - disse la vedova ponendogli la mano sul cuore. - Regolare? - fece Poiret meravigliato. - Ottimo. - Vi sembra? - domandzPoiret. - Diamine!, pare che dorma. Silvia qandata a cercare un medico. Guardate, signorina Michonneau, aspira l'etere. Ma!, sarjuno "spasso" (e voleva dire: uno spasmo). Il polso qbuono. Lui qforte come un Turco. Vedete, signorina, che pelliccetta ha sullo stomaco ? Costui vivrjcent'anni! La sua parrucca non s'qneppure mossa. To, qincollata e ha i capelli finti, perchpqdi pelo rosso. Dicono che i rossi o sono ottimi o pessimi! E lui, allora, sarebbe buono? - Per essere appeso - disse Poiret. - Volete dire al collo d'una bella donna - esclamzvivamente la signorina Michonneau. Andatevene, signor Poiret. Sta a noi curarvi, quando siete ammalati. E poi, per quel che siete buono a fare, potete pure andarvene a spasso - aggiunse. - Bastiamo la signora Vauquer e io a sorvegliare questo nostro caro signor Vautrin. Poiret se ne andzpian piano e senza fiatare, come un cane cui il padrone ha dato un calcio. Rastignac era uscito per camminare, per prendere aria: soffocava. Quel delitto consumato ad ora stabilita, aveva cercato d'impedirlo, il giorno avanti. Che cosa era accaduto? Che cosa doveva fare? Tremava d'esserne il complice. Il sangue freddo di Vautrin anche adesso lo spaventava. "Se ora Vautrin morisse senza piriprendere la parola?", si chiedeva Rastignac. Passava per i viali del Luxembourg come se fosse stato inseguito da una muta di cani, e gli sembrava di udirne i latrati. - Di' - gli gridzBianchon - hai il "Pilote"? "Le Pilote" era un giornale radicale diretto dal signor Tissot, e che pubblicava per la provincia, qualche ora dopo i quotidiani del mattino, un'edizione che dava le notizie del giorno, in modo da farle arrivare nei dipartimenti ventiquattro ore prima degli altri giornali. - Ê riportato un fatto straordinario - disse lo studente medico dell'ospedale Cochin. Taillefer figlio si qbattuto in duello col conte de Franchessini della vecchia guardia, che gli ha infilato due pollici di ferro in fronte. E la piccola Vittorina qdiventata uno dei pi ricchi partiti di Parigi. Ma dimmi un po', ad averlo saputo? Che "trenta e quaranta" [gioco d'azzardo] qmai la morte! E' vero che Vittorina ti guardava con simpatia - Taci, Bianchon, quella non la sposerzmai. Io amo una donna deliziosa, io ne sono amato, io... - Dici questo come se invano ti tormentassi per non essere infedele. Dimmi qual qla donna che valga il sacrificio della ricchezza del sire di Taillefer? - Tutti i diavoli dunque mi vengono dietro? esclamzRastignac. - E dove mai ne avresti tu dietro? Sei forse pazzo? Dammi qui la mano - disse Bianchon per sentirti il polso. Ma tu hai la febbre! - Va da mamma Vauquer - gli fece Eugenio - quello scellerato di Vautrin qcascato come morto. - Ah! - disse Bianchon, che lascizRastignac solo - tu mi confermi dei sospetti che andrz a controllare. La lunga passeggiata dello studente in diritto fu solenne. Egli fece in certo modo il suo completo esame di coscienza. Vagabondz, esaminz, esitz, ma per lo meno la sua probitj uscu , da quell'aspro e terribile colloquio con se stesso, provata come una sbarra di ferro che resiste a ogni colpo. Si rammentzdelle confidenze fattegli da papjGoriot il giorno prima, dell'appartamento scelto per lui vicino a Delfina, in via d'Artois; riprese la lettera, la rilesse, la baciz. "Un tale amore qla mia j ncora di salvezza", si disse. "Il cuore di questo povero vecchio ha ben sofferto. Egli non dice nulla dei suoi dolori, ma chi non li indovinerebbe? Ebbene, io avrzcura di lui come d'un padre, gli procurerzmille gioie. Se mi vuol bene, lei verrjspesso da me a passare la giornata vicino a lui. Quella gran contessa de Restaud quna infame che farebbe di suo padre un portinaio. Cara la mia Delfina!, lei qpibuona col brav'uomo, qdegna d'essere amata. Ah!, stasera sarzdunque felice!". Cavzfuori l'orologio, lo ammirz. "Tutto mi qandato bene! Quando ci si ama per sempre, ci si puzaiutare, posso accettare questo dono. E poi, io farzfortuna, e potrzricambiare tutto, centuplicato. Nel mio legame non c'qnpcolpa, npnulla che possa far aggrottar le ciglia alla pisevera virt. Quante oneste persone non contraggono simili unioni? Noi due non inganniamo nessuno e solo la menzogna ci avvilirebbe. Mentire non qcome abdicare? Lei s'qda tempo ormai divisa da suo marito. Del resto, sarzio a dire a quell'Alsaziano di cedermi una moglie che gli qimpossibile render felice". La lotta interiore di Rastignac durza lungo. Sebbene la vittoria dovesse arridere alla virt giovanile, egli fu tuttavia ricondotto da una invincibile curiositj , verso le quattro e mezza, al cader della notte, verso la Casa Vauquer, che si riprometteva di lasciare per sempre. Egli voleva sapere se Vautrin era morto. Dopo aver avuto l'idea di somministrargli un emetico, Bianchon aveva fatto mandare al suo ospedale quanto Vautrin aveva rigettato, per farne l'analisi chimica. Notando l'insistenza della signorina Michonneau per fare buttar via tutto, i suoi dubbi si rafforzarono; del resto, Vautrin si ristabilutroppo presto perchpBianchon non supponesse un qualche complotto ordito contro il capo ameno della pensione. Quando Rastignac rientrz, Vautrin stava in piedi vicino alla stufa della sala da pranzo. Richiamati pipresto del solito dalla notizia del duello di Taillefer figlio, i pensionanti, curiosi di conoscere i particolari del fatto e le conseguenze di esso sulla sorte di Vittorina, se ne stavano riuniti, ad eccezione di papj Goriot, e parlavano di quanto era accaduto. Quando Eugenio entrz, i suoi occhi incontrarono quelli dell'imperturbabile Vautrin, il cui sguardo penetrzcosuaddentro nel suo cuore e vi rimescolztanto fortemente alcune corde malefiche, da farlo rabbrividire. - Ebbene, caro figliuolo - gli disse il forzato evaso - la "Camusa" avrjda fare a lungo prima di prendermi. A quel che dicono queste signore, ho superato vittoriosamente uno colpo apoplettico che avrebbe potuto uccidere un bue. - Ah!, potete pur dire un toro - esclamzla vedova Vauquer. - Vi dispiacerebbe forse di vedermi ancor vivo? - disse Vautrin all'orecchio di Rastignac, di cui credette d'indovinare il pensiero. - Sarebbe segno che siete un uomo diabolicamente forte! - Ah, in fede mia ! - disse Bianchon - la signorina Michonneau parlava ieri l'altro d'un tale soprannominato Ingannalamorte; quel nome vi starebbe proprio bene. Queste parole produssero su Vautrin l'effetto della folgore; egli impallidue vacillz, il suo sguardo magnetico cadde come un raggio di sole sulla signorina Michonneau, cui quel getto di volontjspezzzle gambe. La vecchia zitella si lascizscivolare su di una sedia. Poiret si fece avanti con vivacitje si mise tra lei e Vautrin, avendo capito che essa era in pericolo, tanto la faccia del forzato divenne ferocemente espressiva nel gettare la maschera bonaria sotto la quale si nascondeva la sua vera natura. Senza ancora comprendere nulla di quel dramma tutti i pensionanti rimasero attoniti. In quel momento, si udirono i passi di molti uomini, e il rumore di alcuni fucili che dei soldati battevano sul selciato della strada. Mentre Collin cercava macchinalmente una via d'uscita guardando le finestre e i muri, quattro uomini comparvero sulla soglia dell'uscio della sala. Il primo era il capo della polizia, gli altri tre erano ufficiali della polizia municipale - In nome della legge e del re - disse uno di questi, le cui parole furono coperte da un mormorio di stupore. Subito il silenzio regnznella sala da pranzo, i pensionanti si separarono per lasciar passare i tre, che avevano tutti la mano entro la tasca di fianco, dov'era una pistola carica. Due gendarmi di scorta agli agenti sbarrarono la porta della sala; e altri due occuparono quella che dava sulla scala. Il passo e i fucili di molti soldati risuonarono sull'acciottolato che correva lungo la facciata della casa. Ogni speranza di fuga fu dunque tolta a Ingannalamorte, sul quale tutti gli sguardi conversero irresistibilmente. Il capo della polizia andzdiritto innanzi a lui e gli diede sulla testa un manrovescio cosu forte, da fargli saltar via la parrucca ridando alla testa di Collin tutto il suo orrore. In armonia col corpo, quella testa e quella faccia, incorniciata da quei capelli corti, rosso-mattone, che davano a esse uno spaventevole carattere di forza e insieme d'astuzia furono messe appropriatamente in luce, come se il fuoco dell'inferno le avesse rischiarate. Ognuno conobbe allora veramente chi era Vautrin, il suo passato, il suo presente, il suo avvenire, le sue teorie implacabili, la religione del suo arbitrio, la regalitj che gli conferiva il cinismo dei suoi giudizi, delle sue azioni, e la forza di un complesso psicologico capace di tutto. Il sangue gli salual viso, e i suoi occhi brillarono come quelli di un gatto selvatico. Balzzsu se stesso con un movimento improntato a una ferocia tanto energica, ruggutanto forte da strappar grida di terrore a tutti i pensionanti. A quel gesto di leone, e approfittando del clamore generale, gli agenti trassero le pistole. Collin capuil pericolo che correva vedendo rilucere il cane d'ogni arma, e diede subito la prova della maggior potenza umana. Orribile e pur maestoso spettacolo!, la sua fisionomia mostrzun fenomeno che non puzesser paragonato se non a quello d'una caldaia piena di quel vapore fumoso capace di sollevare le montagne, che dissolve in un batter d'occhio una goccia d'acqua fredda. La goccia d'acqua che raffreddzla sua ira fu una riflessione rapida come un baleno. Egli si mise a sorridere e guardzla sua parrucca. - Oggi non sembri molto cortese - disse al capo della polizia. E tese le mani ai gendarmi, facendo loro un cenno con la testa. Signori gendarmi, mettetemi le manette o le catenelle. Chiamo a testimoni i presenti che non faccio resistenza. - Un mormorio d'ammirazione, strappato dalla prontezza con cui la lava e il fuoco uscirono e rientrarono in quel vulcano umano, risuonznella sala. - ... signor smargiasso - riprese a dire il forzato guardando il celebre direttore della polizia giudiziaria. - Andiamo, spogliatevi - gli disse l'uomo del vicolo Sainte-Anne, con un'aria sprezzante. - Ma come? - disse Collin - ci sono delle signore. Non nego nulla, e mi arrendo. Tacque un istante, e guardzi presenti come un oratore che sta per dire cose sorprendenti. - Scrivete, papjLachapelle - disse poi rivolto a un vecchietto dai capelli bianchi, che s'era seduto all'estremitjdella tavola dopo aver cavato fuori da un portafogli il processo verbale dell'arresto. - Riconosco di essere Jacques Collin, detto Ingannalamorte, condannato a vent'anni di ferri, e vi proverzdi non aver rubato il mio soprannome. Se avessi soltanto alzato la mano - disse ai pensionanti, - quelle tre spie ljavrebbero fatto spargere tutto il mio sangue sul pavimento della casa di mammjVauquer. Quelle birbe son sempre dietro a tendere trappole ! La signora Vauquer si sentumale all'udire tali parole. - Mio Dio!, c'qda farne una malattia; e pensare che ieri ero con lui alla "Gav tp " - disse a Silvia. - Un po' di filosofia, mammj- riprese Collin. - E' forse una disgrazia essere stata nel mio palco, ieri, alla "Gav tp "? - esclamz. - Credete d'esser migliore di noi? Noi abbiamo meno infamia sulla spalla che non ne avete voi nel cuore, membri flaccidi di una societj cancrenosa: il migliore tra voi non reggerebbe al mio confronto. - I suoi occhi si fissarono su Rastignac, al quale rivolse un sorriso grazioso che contrastava singolarmente con la rude espressione del viso. - -Il nostro contrattino qsempre in essere, angelo mio, purchp , s'intende, venga accettato! Non qcosu ? - E cantz: La mia Fanchette qdeliziosa Nella sua semplicitj . - Non vi preoccupate - egli riprese - so fare le mie riscossioni. Si ha troppa paura di me perchpci si provi a derubarmi! Il bagno penale coi suoi costumi e il suo linguaggio, con i suoi bruschi passaggi dal faceto all'orrendo, la sua terrificante grandezza, la sua familiaritj , la sua bassezza, fu ad un tratto rappresentato da quella frase e da quell'uomo, che non fu piun uomo, ma il tipo di tutta una classe degenerata, d'una categoria selvaggia e logica, brutale e scaltra. In un momento Collin divenne un poema infernale ove si trovarono raffigurati tutti i sentimenti umani, meno uno: il pentimento. Il suo sguardo era quello dell'arcangelo caduto, che vuole sempre far guerra. Rastignac abbasszgli occhi accettando quella parentela delittuosa come una espiazione dei suoi cattivi pensieri. - Chi mi ha tradito? - chiese Collin, muovendo il suo terribile sguardo sui presenti. E fermandolo sulla signorina Michonneau: Tu - le disse - vecchia cagna, sei tu che mi hai provocato un finto sturbo, arnese di polizia! Basterebbe che dicessi due parole per farti tagliare il collo in otto giorni. Ma ti perdono, perchpsono cristiano. Del resto non sei tu che mi hai tradito. Chi allora? Ah! ah!, state rovistando lass, eh? - gridzsentendo gli ufficiali della forza pubblica che stavano aprendo gli armadi e sequestrando la sua roba. - Ma gli uccelli hanno preso il volo da ieri. E voi non ne saprete mai nulla. I miei libri di commercio sono qui - disse battendosi con una mano la fronte. Ora so chi mi ha tradito. Non puzessere stato che quel mascalzone di Fil di Seta. Non qvero, padre accalappiatore? - chiese al capo della polizia. - Questo va troppo bene d'accordo col fatto di cercare i biglietti di banca lass. Ma ormai non c'qpinulla, mia cara Miette ! Quanto a Fil di Seta, costui sarjsoppresso entro quindici giorni, anche se lo faceste sorvegliare da tutta la vostra gendarmeria. Quanto le avete dato, a questa Michonnette? - domandzai funzionari della polizia qualche migliaio di scudi! Io valevo di pi, Ninon cariata, Pompadour stracciona, Venere da Pq re-Lachaise. Se mi avessi avvertito, avresti ricevuto seimila franchi. Ah!, non te lo credevi, vecchia ruffiana, eh?, altrimenti avrei avuto la preferenza. Su , te li avrei dati volentieri, per evitare un viaggio che mi secca e mi fa perdere dei soldi - diceva mentre gli mettevano le manette. Quella gente ci prenderjgusto a farmi perdere chissjquanto tempo per rintronarmi. Se mi mandassero subito al bagno penale, potrei tornare presto alle mie occupazioni, malgrado i nostri allocchi del quai des Orfq vres. Una volta laggi, si faranno in quattro per far evadere il loro generale, questo buon Ingannalamorte! C'qforse uno solo di voi che abbia come ho io, pidi diecimila fratelli pronti a far qualsiasi cosa per lui? - chiese con fierezza. - Qui c'qdella bontj- aggiunse battendosi sul cuore - io non ho mai tradito nessuno. To', guardali, cagna - fece rivolgendosi alla vecchia zitella. - Di me hanno paura, costoro, ma tu fai voltar loro lo stomaco. Prenditi ora il tuo premio. - E tacque un istante, guardando i pensionanti. - Ma siete proprio cosusciocchi voialtri? Non avete mai visto un forzato? Un forzato della tempra di Collin, qui presente, qun uomo meno vile degli altri, il quale protesta contro le profonde disillusioni che provoca il contratto sociale, come dice Jean-Jacques, di cui mi vanto d'essere allievo. E poi, io sono solo contro il governo con tutta la sua impalcatura di tribunali, di gendarmi, di bilanci, e io l'intrappolo. - Cj spita - disse il pittore - ci sarebbe da fare un disegno stupendo. - Di', aiutante di monsignore il boia, manovratore della "Vedova" (nome denso di tremenda poesia che i forzati danno alla ghigliottina) - aggiunse Vautrin rivolgendosi al capo della polizia - sii buono, dimmi se qstato Fil di Seta a tradirmi! Non vorrei che la pagasse per un altro, non sarebbe giusto. In quel momento gli agenti, che avevano rovistato e inventariato ogni cosa nella sua camera, rientrarono e parlarono a bassa voce col capo della spedizione. Il processo verbale era stato chiuso. - Signori - disse Collin rivolto ai pensionanti - stanno per portarmi via. Voi siete stati tutti molto buoni con me durante la mia permanenza qui, e ve ne sarz riconoscente. Accogliete il mio saluto. Mi permetterete di mandarvi un po' di fichi della Provenza. Fece qualche passo, e si voltzper guardare Rastignac. - Addio, Eugenio - disse con una voce dolce e triste, che contrastava singolarmente col tono brusco delle sue precedenti parole. - Se dovessi trovarti in difficoltj , ricordati che ti ho lasciato un amico affezionato. - Sebbene avesse le manette ai polsi, riuscua mettersi in guardia, eseguuun attacco battendo il piede, da maestro di scherma, gridz: - Uno! Due! e avanzzil piede destro. - In caso di pericolo, rivolgiti lj . Puoi disporre dell'uomo e del suo denaro. Il singolare personaggio pronunciz queste ultime parole con un tono alquanto buffonesco, in modo da poter essere compreso soltanto da Rastignac. Quando i gendarmi, i soldati e gli agenti di polizia ebbero lasciata la casa, Silvia, che era intenta a bagnare d'aceto le tempie della padrona, guardzi pensionanti stupiti. - Eppure - disse - era un brav'uomo! Questa frase ruppe l'incanto che i molteplici e vari sentimenti provocati da quella scena avevano prodotto in ciascuno dei presenti. In quell'istante, dopo essersi reciprocamente e tacitamente interrogati, videro tutti insieme la signorina Michonneau, gracile, secca e fredda come una mummia, accovacciata vicino alla stufa, gli occhi bassi, come se avesse temuto che l'ombra del paralume non fosse cosuforte da nascondere l'espressione dei suoi sguardi. La figura di quella donna, antipatica a tutti da vario tempo, venne subito compresa. Un mormorio che, per esser perfettamente all'unisono, manifestava un unanime senso di disgusto, risuonzsordamente. La signorina Michonneau lo sentu , e rimase immobile. Bianchon, per il primo, si chinzverso il vicino: - Me ne vado, se quella donna continuerja mangiare con noi disse a bassa voce. In un batter d'occhio, ognuno, ad eccezione di Poiret, approvzquanto detto dallo studente in medicina, che, forte dell'adesione generale, si fece avanti al vecchio pensionante. - Voi che siete cosuamico della signorina Michonneau - gli disse - parlatele e fatele comprendere che se ne deve andare all'istante. - All'istante? - ripetpPoiret sorpreso. Poi, andzvicino alla vecchia, e le disse qualche parola all'orecchio. - Ma io ho pagato la retta, e ho diritto di stare qui come tutti gli altri - disse lanciando uno sguardo di vipera sui pensionanti. - Se qper questo, ci quoteremo per restituirvene la somma - fece Rastignac. - Il signore difende Collin - essa rispose dando allo studente uno sguardo velenoso e indagatore - e non qdifficile sapere il perchp ! A tale parola, Eugenio balzzcome per scagliarsi contro la vecchia zitella e strozzarla. Quello sguardo, di cui comprese la perfidia, aveva gettato una orribile luce nella sua anima. - Lasciatela, dunque - esclamarono i pensionanti. Rastignac incrocizle braccia e tacque. - Finiamola con questa signorina Giuda - disse il pittore, rivolgendosi alla signora Vauquer. - Signora, se non mettete alla porta la Michonneau, noi lasceremo tutti la vostra baracca, e diremo dappertutto che la frequentavano solo spie e forzati. In caso contrario, nessuno di noi farjparola di questo fatto che, in fin dei conti, potrebbe accadere anche nella migliore societj , finchpai galeotti non verrjimpresso un marchio in fronte e non verrjloro proibito di travestirsi da borghesi parigini, e di mostrarsi cosusciocchi capi ameni come lo sono tutti. A quel discorso, la signora Vauquer ritornzsubito miracolosamente in salute, si alzz, incrocizle braccia, aprui suoi occhi chiari e senza tracce di lacrime. - Ma, signor mio, volete proprio la rovina della mia casa? Ecco che ora il signor Vautrin... Oh !, santo Dio - disse interrompendosi - non posso fare a meno di chiamarlo col suo nome di persona per bene! Ecco, - riprese - che ora mi si fa vuoto un appartamento, e volete pure che ne debba avere due di pida affittare in una stagione in cui tutti stanno a casa loro? - Signori, prendiamo il cappello, e andiamo a mangiare a piazza della Sorbonne, da Flicoteaux - disse Bianchon. La signora Vauquer calcolzcon un solo colpo d'occhio il partito pivantaggioso, e si precipitzdinanzi alla signorina Michonneau. - Andiamo, bellezza mia, non vorrete mica la fine della mia pensione, no? Vedete a che punto mi fanno arrivare questi signori, risalite nella vostra camera, per questa sera. - Niente affatto, niente affatto! - gridarono i pensionanti - noi esigiamo che se ne vada all'istante. - Ma non ha ancora pranzato, la povera signorina - disse Poiret in tono supplichevole. - Andrja mangiare dove vuole - gridarono pivoci. - Alla porta, la spia ! - Alla porta, gli spioni! - Signori - esclamzPoiret che si erse a un tratto all'altezza del coraggio dato dall'amore ai montoni - rispettate una donna! - Le spie non hanno sesso - disse il pittore. - Bel sessorama! - Alla portorama! - Signori, questo qindecente. Quando si manda via qualcuno, bisogna almeno salvare la forma. Noi abbiamo pagato, e restiamo- disse Poiret calcando il suo berretto e mettendosi a sedere vicino alla signorina Michonneau, che la signora Vauquer stava catechizzando. - Cattivello - gli disse il pittore con aria comica - cattivello, andiamo! - Insomma, se non ve ne andate voi, ce ne andiamo noi - disse Bianchon. E i pensionanti mossero tutti insieme verso il salotto. - Signorina, vedete? - esclamzla signora Vauquer - sono rovinata. Non qpipossibile che voi restiate, costoro finiranno per scendere ad atti di violenza. La signorina Michonneau si alzz. - Se ne andrj ! Non se ne andrj ! Se ne andrj . Non se ne andrj ! Queste parole dette alternativamente, e l'ostilitjdei discorsi che si cominciavano a fare su di lei, costrinsero la signorina Michonneau ad andarsene, dopo alcuni accordi presi a bassa voce con la padrona. - Andrzdalla signora Buneaud - disse, con aria minacciosa. - Andate pure dove volete, signorina - fece la signora Vauquer, che trovzingiuriosa la scelta d'una pensione che rivaleggiava con la sua, e che per conseguenza le era odiosa. Andate dalla Buneaud, e avrete aceto per vino, cibi rifatti. I pensionanti si disposero su due file, osservando il piprofondo silenzio. Poiret guardz cosuteneramente la signorina Michonneau, si mostrzcosuingenuamente indeciso se seguirla o restare, che i pensionanti, esultando poichpla signorina Michonneau se ne andava, si misero a ridere. - Xi, xi, xi, Poiret - gli gridzil pittore. - Andiamo, oplj , op! L'impiegato al Museo si mise a cantare comicamente le prime parole di una nota romanza: Partendo per la Siria Il giovane e bel Dunoy... - Andiamo, che morite d'invidia, "trahit sua quemque voluptas" - disse Bianchon. - Ognuno segue la sua: libera traduzione di Virgilio - fece il ripetitore. La signorina Michonneau fece il gesto di prendere il braccio di Poiret, guardandolo, e lui, non sapendo come resistere a quell'invito, accorse a darglielo. Scoppiarono applausi e ci fu un'esplosione di risa. - Bravo, Poiret! - Questo vecchio Poiret! Apollo-Poiret! Marte- Poiret. - Che coraggio, questo Poiret! In quel momento entrzun commissionario e consegnzuna lettera alla signora Vauquer, che, dopo averla letta, cadde di peso su di una sedia. - Non rimane altro che bruciare la mia casa, c'qcaduto sopra un fulmine. Taillefer figlio q spirato alle tre. Sono stata proprio punita di aver augurato il bene a quelle due donne, a scapito di questo povero giovane. La signora Couture e Vittorina mi chiedono le loro cose, e vanno a stabilirsi presso il signor Taillefer. Egli concede alla figlia di tenere con spla vedova Couture come dama di compagnia. Quattro appartamenti vuoti, cinque pensionanti di meno. - Si sedette e sembrzstesse per piangere - La disgrazia qentrata oggi in casa mia! esclamzdesolata. Il rumore d'una vettura che si fermava risuonza un tratto dalla strada. - Qualche altro guaio - disse Silvia. Ed ecco apparire Goriot con un viso luminoso e colorito di felicitj , da far credere a una sua rigenerazione. - Goriot in carrozza! - dissero i pensionanti - ma qproprio la fine del mondo. Il buon uomo andzdiritto da Eugenio, rimasto pensoso in un canto, e lo prese per il braccio: - Andiamo - gli disse con aria allegra. - Ma non sapete quel che qsuccesso? - gli domandzEugenio. - Vautrin era un forzato, ed qstato arrestato poco fa; il figlio di Taillefer qmorto. - Ebbene, che ce ne importa? - rispose papjGoriot.- Io pranzo con mia figlia nel vostro appartamento, capite? Lei vi sta aspettando, venite! Tirzcosuviolentemente Rastignac per il braccio, da farlo camminare per forza, e parve rapirlo, come se si fosse trattato della sua amante. - Mangiamo! - esclamzil pittore. Ognuno prese allora la propria sedia e si mise a tavola. - Ma insomma - disse la grossa Silvia - oggi tutto va male, l'umido di castrato con patate s'qattaccato! Be', lo mangerete bruciato lo stesso! La signora Vauquer non ebbe il coraggio di dire una parola nel vedere solo dieci persone invece di diciotto intorno alla tavola; ma tutti cercarono di consolarla e di farla stare allegra. Dapprima i clienti che prendevano solo i pasti alla pensione parlarono di Vautrin e degli avvenimenti della giornata, e seguirono l'andamento serpentino della conversazione mettendosi a discorrere di duelli, del bagno penale, della giustizia, delle leggi da rifare, delle carceri. Poi finirono col trovarsi ben lontani da Jacques Collin, da Vittorina e da suo fratello. Sebbene fossero soltanto dieci, gridarono per venti in modo da sembrare pi numerosi del solito; e fu la sola differenza tra quel pranzo e quello del giorno prima. L'indifferenza abituale di tale mondo egoista che, l'indomani, doveva trovare negli eventi quotidiani di Parigi un'altra preda da divorare, riprese il sopravvento e la stessa signora Vauquer si lascizcalmare dalla speranza, che assunse in tale occasione la voce della grossa Silvia. Quella giornata doveva essere fino alla sera una fantasmagoria per Eugenio, il quale, malgrado la forza del suo carattere e la bontjdel suo animo, non sapeva come connettere le proprie idee, quando si trovzin carrozza a fianco di papjGoriot, i cui discorsi rivelavano una gioia inconsueta, e risuonavano al suo orecchio, dopo tante emozioni, come le parole che udiamo in sogno. - Da questa mattina qfinita. Pranziamo tutti e tre insieme, insieme!, capite? Erano quattro anni che non pranzavo picon la mia Delfina, la mia piccola Delfina. L'avrzcon me per tutta una sera. Abbiamo preso possesso del vostro appartamento da questa mattina. Ho lavorato come un facchino, in maniche di camicia. Ho aiutato a portare i mobili. Ah! ah!, non avete mai veduto com'qgraziosa a tavola, vedrete quante attenzioni avrjper me: "Prendete, papjmangiate questo, sentite com'qbuono". Ed qallora il momento che io non posso mangiare. Oh!, qtanto che non sono stato un po' tranquillo insieme a lei, come tra poco lo saremo! - Ma - gli disse Eugenio - oggi il mondo s'qproprio capovolto? - Capovolto - rispose papjGoriot. - Ma in nessuna epoca il mondo qandato cosubene. Io non vedo che facce allegre per le strade, persone che si stringono la mano, persone felici come se andassero tutte a mangiare dalla loro figlia, a gustarvi un buon pranzetto ordinato da lei davanti a me al capo cuoco del Caffqdegli Inglesi. Ma!, vicino a lei anche l'aloe sarebbe dolce come il miele. - Mi pare di risorgere - disse Eugenio. - Ma camminate!, vetturino - gridzpapjGoriot aprendo il vetro davanti. - Andate pi svelto, vi darzcento soldi di mancia se mi portate in dieci minuti dove vi ho detto. - Al sentir questa promessa il vetturino traverszParigi con la rapiditjd'un lampo. - Non va, questo vetturino - diceva papjGoriot. - Ma dove diamine mi portate? - gli chiese Rastignac. - A casa vostra - rispose papjGoriot. La vettura si fermzin via d'Artois. Il buon uomo scese per primo e buttzdieci franchi al vetturino con la prodigalitjdi chi, rimasto vedovo, nel parossismo della sua felicitjnon bada pia niente. - Andiamo, saliamo - disse a Rastignac facendogli attraversare un cortile e conducendolo alla porta d'un appartamento al terzo piano, situato nella parte posteriore d'una casa nuova e di bella apparenza. PapjGoriot non ebbe bisogno di suonare. Teresa, la cameriera della signora de Nucingen, aprula porta. Eugenio si trovzin un delizioso appartamento da scapolo, composto di un'anticamera, d'un salottino, d'una camera da letto e di uno studio, che davano su di un giardino. Nel salottino, il cui mobilio e arredamento potevano sostenere il confronto con quanto vi poteva essere di picarino, di pigrazioso, egli scorse, alla luce delle candele, Delfina, che si alzzda un divano, vicino al fuoco, dispose un parafuoco sul caminetto, e gli disse con un tono di voce pieno di tenerezza: - Vi si qdunque dovuto cercare, signore che non capite nulla. Teresa uscu . Lo studente prese Delfina fra le braccia, la strinse vivamente e pianse di gioia. Quest'ultimo contrasto tra quel che vedeva e quel che or ora aveva veduto, in una giornata in cui tante emozioni avevano stancato il suo cuore e la sua testa, provoczin Rastignac un accesso di sensibilitjnervosa. - Lo sapevo bene che ti amava - disse piano papjGoriot a sua figlia, mentre Eugenio sfinito giaceva sul divano senza poter pronunciare una parola nprendersi ancora conto del modo in cui quest'ultimo colpo di bacchetta magica era stato dato. - Ma venite a vedere - gli disse la signora de Nucingen prendendolo per mano e conducendolo in una camera i cui tappeti, i mobili e i minimi dettagli gli ricordarono, in pipiccole proporzioni, quella di Delfina. - Ci manca un letto - fece Rastignac. -E' vero, signore - essa rispose arrossendo e stringendogli la mano. Eugenio la guardz, e apprezzzil sentimento di pudore contenuto nel cuore d'una donna innamorata, ancor giovane. - Voi siete una di quelle creature degne d'una adorazione senza fine - le disse all'orecchio. - Su , oso dirvelo, visto che ci comprendiamo tanto bene: pivivo e sincero ql'amore, e piesso dev'essere velato, misterioso. Non sveliamo il nostro segreto a nessuno. - Oh!, ma io non sarzqualcuno, non qvero? - disse papjGoriot, brontolando. - Ma lo sapete bene che voi siete noi, voi... - Ah!, ecco quel che volevo sentirmi dire. Non vi sarzd'imbarazzo, qvero? Andrz, verrz come uno spirito benigno che sta dovunque, e che si sa esser lusenza che nessuno lo veda. Vedi dunque, Delfinetta, Ninetta, Dedp , se avevo ragione di dirti: "C'qun grazioso appartamento in via d'Artois, arrediamolo per lui!". E tu non volevi. Ah!, sono io l'autore della tua gioia, come sono l'autore dei tuoi giorni. I padri debbono sempre dare, se vogliono essere felici. Dare sempre, qil vero modo per essere padre. - Come? - domandzEugenio. - Su , lei non voleva, aveva paura che si facessero chiacchiere sul suo conto, come se il mondo valesse la felicitj !, ma tutte le donne sognano poi di fare quel che fa lei... Papj Goriot parlava solo, mentre la signora de Nucingen aveva intanto condotto Rastignac nello studio, dove un bacio risuonz, sebbene dato pian piano. La stanza era in armonia con l'eleganza dell'appartamento, nel quale del resto non mancava proprio nulla. - Abbiamo indovinato i vostri gusti? - essa chiese tornando nel salotto per mettersi a tavola. - Su- gli rispose - anche troppo bene. Ahimq !, tutto questo lusso, questi bei sogni realizzati, tutta la poesia d'una vita giovanile, elegante, questo io lo sento troppo per non meritarlo; ma non posso accettarlo da voi, e d'altra parte sono ancora troppo povero per... - Ah! ah!, cominciate gija contrariarmi? - lei disse con un'arietta di scherzosa autoritj , facendo una di quelle graziose smorfie come ne fanno le donne quando vogliono deridere uno scrupolo per meglio dissiparlo. Eugenio aveva troppo solennemente in quel giorno fatto il suo esame di coscienza, e l'arresto di Vautrin, indicandogli la profonditjdell'abisso in cui era stato per precipitare, aveva troppo bene corroborato i suoi nobili sentimenti e la sua delicatezza, per cedere a quella carezzevole confutazione dei suoi generosi propositi. Una profonda tristezza s'impadronudi lui. - Come! - fece la signora de Nucingen - rifiutereste? Sapete che cosa vuol dire un simile rifiuto? Che dubitate del futuro, che non osate legarvi a me. Temete dunque di tradire il mio affetto? Se voi mi amate, se io vi... amo, perchpindietreggiate di fronte a cosulievi obbligazioni? Se sapeste qual piacere ho provato nell'occuparmi di tutto questo appartamento da scapolo, non esitereste, e mi domandereste perdono. Avevo a disposizione del denaro vostro, e l'ho bene impiegato: ecco tutto. Credete d'essere grande, e siete invece piccino. Voi valete ben di pi... Ah! - aggiunse, cogliendo uno sguardo appassionato di Eugenio - e fate tante storie per delle sciocchezze. Se non mi volete bene, oh !, su , allora non accettate. La mia sorte dipende da una parola. Parlate! Ma papj , convincetelo voi - aggiunse rivolgendosi, dopo una pausa, a suo padre. - Crede forse lui che io sia meno sensibile riguardo al nostro onore? PapjGoriot aveva il fermo sorriso d'un teriachi nell'osservare i due, nell'ascoltare quella gentile loro disputa. - Bambino!, voi siete all'inizio della vita - essa riprese prendendo la mano di Eugenio, trovate una barriera che per molti sarebbe insormontabile, una mano di donna ve l'apre, e voi indietreggiate? Ma voi riuscirete, farete una brillante fortuna, il successo qscritto sulla vostra bella fronte. E non potrete allora rendermi quel che oggi vi presto? In altri tempi le donne non davano forse ai loro cavalieri armature, spade, elmi, giachi, cavalli, affinchpessi potessero andare a combattere in loro nome nei tornei? Ebbene, Eugenio, le cose che io vi offro sono le armi dell'epoca, gli strumenti necessari a chi vuol diventare qualcosa. Bello, il solaio dove abitate, se somiglia alla camera di papj!... Ma insomma, vogliamo o no andare a pranzo? Volete proprio rattristarmi? Rispondete, dunque! - disse scuotendogli la mano. - Santo Iddio, papj , fatelo decidere, o me ne vado di qui e non lo rivedrzpi. - Adesso vi farzdecidere - disse papjGoriot uscendo dall'estasi. - Mio caro signor Eugenio, voi state per farvi prestare del denaro da alcuni ebrei, non q vero? - Êproprio necessario - rispose. - Bene!, allora qcosa fatta - riprese il buon uomo cavando fuori un brutto portafoglio di cuoio logorato. - Mi sono fatto ebreo, ho pagato io tutte le fatture: eccole qui. Voi non dovete un centesimo per tutto quel che si trova qui. Non qpoi una grossa somma, si tratta tutt'al pidi cinquemila franchi. E io ve li presto! A me non opporrete un rifiuto, non sono mica una donna io. Mi farete una ricevuta su di un pezzo di carta e me li restituirete poi. Qualche lacrima cadde contemporaneamente dagli occhi di Eugenio e di Delfina, che si guardarono con sorpresa. Rastignac tese la mano al buon uomo, e gliela strinse. - Ebbene, cosa?, non siete forse miei figli? - disse Goriot. - Ma, mio povero padre - fece la signora de Nucingen - come diamine avete fatto? - Ah!, qui ti volevo. Quando ti ho fatto decidere a farlo abitare vicino a te, e ti ho visto comprare oggetti come per una sposa, mi sono detto: "Potrj trovarsi in qualche difficoltj !". L'avvocato ritiene che la causa da intentare contro tuo marito, per fargli restituire il tuo denaro, durerj pi di sei mesi. Bene. Allora ho venduto i miei milletrecentocinquanta franchi di rendita; mi sono costituito, con quindicimila franchi, milleduecento franchi di vitalizio garantito da buone ipoteche, e ho pagato i vostri fornitori col resto della somma, figli miei. Ho lassuna camera da cinquanta scudi all'anno, posso vivere come un principe con quaranta soldi al giorno, e me ne avanzeranno. Non consumo nulla, di abiti non ho quasi bisogno. Sono quindici giorni che rido sotto i baffi, dicendomi: "Come saranno felici!". E non siete forse felici? - Oh! papj , papj ! - disse la signora de Nucingen, slanciandosi verso suo padre, che l'accolse sulle ginocchia. Essa lo coprudi baci, gli carezzzil viso coi suoi capelli biondi, e verszlacrime su quel vecchio viso sereno, luminoso. - Caro papj , voi siete davvero un padre! No, non esistono due padri come voi sotto il cielo. Eugenio vi voleva gijda prima tanto bene: che sarjadesso? - Ma figli miei - disse Goriot, che da dieci anni non sentiva battere il cuore di sua figlia sul suo - ma, Delfinetta, tu vuoi dunque proprio farmi morire dalla gioia! Il mio povero cuore si spezza. Andiamo, signor Eugenio, noi siamo pari e patta! - E il vecchio, intanto, stringeva la figlia in una stretta selvaggia e tanto delirante che questa disse: - Ah!, ma cosutu mi fai male! - Ti faccio male! - egli fece impallidendo. E la guardzcon un'aria sovrumana di dolore. Per ben ritrarre la fisionomia di questo Cristo della paternitj , converrebbe cercare paragoni nelle immagini che i principi della tavolozza hanno creato per dipingere la passione sofferta per il bene del mondo dal Salvatore degli uomini. PapjGoriot baciz dolcemente la cintura che le sue dita avevano stretto troppo. - No, no, non ti ho fatto del male, qvero? - egli riprese interrogandola con un sorriso; sei tu che m'hai fatto male col tuo grido. La spesa da me sostenuta qstata piforte - fece poi all'orecchio della figlia, baciandoglielo con precauzione - ma bisogna prenderlo cosu altrimenti s'inquieterebbe. - Eugenio era rimasto come pietrificato dall'inesauribile amor paterno di quell'uomo, e lo osservava esprimendo quell'ingenua ammirazione che, nei giovani, qfede. - Sarzdegno di tutto questo! - egli esclamz. - O mio Eugenio, qbello quel che avete ora detto. - E la signora de Nucingen bacizlo studente in fronte. - Egli ha rifiutato per te la signorina Taillefer con tutti i suoi milioni - disse papjGoriot. Eppure su , vi amava, la piccola; e con la morte del fratello, eccola divenuta ricca quanto Creso. - Oh!, perchpdirlo? - esclamzRastignac. - Eugenio - gli disse Delfina all'orecchio - adesso ho un rimorso per questa sera. Ah!, ma io vi amerztanto!, e sempre. - Ecco la pibella giornata che passo dopo i vostri due matrimoni - esclamzpapjGoriot. - Il buon Dio potrjfarmi soffrire quanto vorrj , ma io potrzsempre dirmi: "Nel mese di febbraio di quell'anno sono stato, per un momento, pifelice di quanto gli uomini possano esserlo durante tutta la loro vita". Guardami, Fifina! - disse alla figlia. - E' bella, non qvero? Ditemi dunque, avete trovato molte donne con un cosubel colorito e con una fossetta cosu ! No, qvero? Ebbene, sono io che ho fatto questo amore di donna. E ormai, resa felice da voi, diverrjmille volte meglio. Posso ora anche andare all'inferno, vicino mio - egli aggiunse - se vi occorre la mia parte di paradiso, ecco, ve la dono. Mangiamo, mangiamo - riprese, non sapendo neanche piquel che si dicesse - tutto qnostro. - Povero il mio papj ! - Se sapessi, figlia mia - disse alzandosi e andando verso di lei, prendendole la testa e baciandola fra le trecce - se sapessi quanto puoi con poco rendermi felice!, vieni a trovarmi qualche volta, sarzlass, non avrai che da fare un passo. Promettimelo, du ! - Su , padre caro. - Dimmelo ancora. - Su , mio buon papj . - Taci ora, altrimenti te lo farei ripetere cento volte, se dovessi dar retta a me stesso. Adesso mangiamo. Tutta la serata trascorse in fanciullaggini, e papjGoriot non si mostrzil meno pazzo dei tre. Si chinava ai piedi della figlia per baciarglieli; la guardava a lungo negli occhi; strisciava la testa sul suo vestito; insomma, faceva follie come ne avrebbe fatte il pi giovane e tenero amante. - Vedete? - disse Delfina a Eugenio - quando papjqcon noi, bisogna essere del tutto suoi. Qualche volta perzsarjpur fastidioso. Eugenio, che aveva gij provato pi volte qualche punta di gelosia, non poteva disapprovare quella parola, che racchiudeva il principio d'ogni ingratitudine. - E l'appartamento, quando sarjpronto? - chiese Eugenio guardando attorno alla stanza. Dovremo lasciarci, questa sera? - Su , ma domani verrete a pranzo da me - rispose lei con un'aria d'intesa. - Domani c'q recita al Teatro degli italiani. - Io me ne andrzin platea - fece papjGoriot. Era mezzanotte. La carrozza della signora de Nucingen attendeva. PapjGoriot e lo studente tornarono alla pensione Vauquer, parlando di Delfina con un crescente entusiasmo, che produsse un curioso contrasto di espressione tra quelle due violente passioni. Eugenio non poteva nascondersi che l'amore del padre, non intaccato da alcun interesse personale, schiacciava il suo per costanza e portata. L'idolo era sempre puro e bello per il padre, e la sua adorazione s'accresceva di tutto il passato, di tutto il futuro. Essi trovarono la signora Vauquer sola accanto alla stufa, tra Silvia e Cristoforo. La vecchia padrona stava lu , come Mario sulle rovine di Cartagine. Aspettava gli unici due pensionanti che le erano rimasti, lamentandosene con Silvia. Sebbene lord Byron abbia fatto esprimere al Tasso lamenti assai belli, questi sono tuttavia ben lontani da quelli che sfuggivano dalla bocca della signora Vauquer. - Allora domattina non ci saranno da preparare che tre tazze di caffq , Silvia. Hp !, la mia casa deserta, c'qda sentirsi spezzare il cuore. Che cosa qormai la vita, senza i miei pensionanti? Nulla. Ecco qui la mia casa smobiliata dei suoi ospiti. La vita qrimasta nei mobili. Che cosa ho mai fatto, per meritarmi tanti disastri? Le provviste di fagioli e di patate sono state fatte per venti persone. La polizia in casa mia! Non mangeremo altro che patate! E dovrzlicenziare Cristoforo! - Il Savoiardo, che stava dormendo, si destzdi soprassalto e disse: - Signora! - Povero ragazzo, qcome un cane - fece Silvia. - La stagione qmorta, tutti si sono gijsistemati. Da dove potranno venirmi dei pensionanti? C'qda perdere la testa. E quella strega della Michonneau che mi porta via anche Poiret! Che cosa gli faceva mai, per essersi quell'uomo attaccato a lei, che segue come un cagnolino? - Eh!, diamine - fece Silvia crollando il capo - queste vecchie zitelle, le sanno loro tutte le malizie. - E quel povero signor Vautrin, che secondo loro qun forzato? - riprese a dire la vedova. - Ebbene, Silvia, qpiforte di me, non ci credo ancora. Un allegrone come lui, che spendeva in gloria quindici franchi al mese, e che pagava puntualmente! - Ed era cosugeneroso! - disse Cristoforo. - Devono aver commesso un grosso errore - fece Silvia. - Questo no, se ha confessato lui stesso! - continuzla signora Vauquer. - E dire che tutta questa roba qandata a succedere a casa mia, in un quartiere dove non passa mai neppure un gatto! Parola di donna onesta, mi pare di sognare. Perchp , senti, abbiamo visto capitare a Luigi Sedicesimo il suo guaio, abbiamo visto cadere l'Imperatore, l'abbiamo visto tornare e ricadere: tutto questo era pur nell'ordine delle cose possibili; ma imprevisti a danno delle pensioni familiari in genere, non ce ne sono; si puzfare a meno del Re, ma mangiare bisogna sempre; e quando una signora per bene, nata de Conflans, djda mangiare una ottima cucina, ma, a meno che non venga la fine del mondo... Ma qproprio cosu , questa q la fine del mondo. - E pensare che la signorina Michonneau, che vi ha causato tutto questo disastro, riscuoterj , a quanto si dice, mille scudi di rendita - esclamzSilvia. - Non me ne parlare, quna scellerata! - disse la signora Vauquer - E per di piqandata dalla Buneaud! Ma quella qcapace di tutto, deve averne fatte d'ogni colore, quella ai suoi tempi deve aver anche ammazzato e rubato. Dovrebbe andarci lei, in galera, al posto di quel pover'uomo... In quel momento Eugenio e papjGoriot suonarono il campanello. - Ah, ecco i due miei fedeli - disse la vedova sospirando. I due fedeli, che serbavano un assai tenue ricordo dei disastri capitati alla pensione, annunciarono senza tanti complimenti alla loro ospite che sarebbero andati a dimorare alla Chaussp e-d'Antin. - Ah!, Silvia - fece la vedova - ecco l'ultimo colpo. Mi avete dato il colpo di grazia, signori, questo mi ha preso allo "stommacco". Mi ci sento come una sbarra. Ecco una giornata che mi carica sulle spalle dieci anni di pi. Diventerzpazza, parola d'onore. Che farne, dei fagioli? Ebbene?, se rimango sola qui, te ne andrai domani, Cristoforo. Addio, signori, buona notte. - Ma che cosa ha? - domandzEugenio a Silvia. - Diamine! Se ne sono andati tutti, dopo quanto qaccaduto. Questo le ha sconvolto la testa. Vado, sento che piange. Le farjbene sfogarsi un po'. Ecco la prima volta che si vuota gli occhi, da quando sono al suo servizio. L'indomani, la signora Vauquer si era, secondo il suo modo di dire, "ragionata". Se parve afflitta, come colei che aveva perduto tutti i suoi pensionanti e la cui vita era stata sconvolta, conservava tuttavia il suo giudizio, e mostrzquale fosse il vero dolore, un dolore profondo, il dolore causato dagli interessi rovinati, dalle abitudini scomposte. Certo, lo sguardo che un innamorato dj , nel lasciarli, ai luoghi abitati dalla propria amante, non qpitriste di quello dato dalla signora Vauquer alla tavola vuota. Eugenio la consolzdicendole che Bianchon, il cui servizio all'ospedale finiva tra qualche giorno, lo avrebbe senza dubbio rimpiazzato; che l'impiegato al Museo aveva spesso espresso il desiderio di occupare l'appartamento della signora Couture e che in pochi giorni essa si sarebbe rimessa su. - Dio vi ascolti, mio caro signore!, ma purtroppo la disgrazia qentrata in questa casa. Non passeranno dieci giorni e ci verrjla morte, vedrete - gli disse dando un lugubre sguardo alla sala da pranzo. Chi prenderj ? - Êbene sloggiare - disse a bassa voce Eugenio a papjGoriot. - Signora - disse Silvia accorrendo tutta turbata - sono tre giorni che non vedo Mistigru . - Beh, allora, se il mio gatto qmorto, se ci ha lasciati, io... - La povera vedova non terminzla frase, congiunse le mani e si lascizcadere lungo il dorso della sua poltrona, affranta da quel terribile presagio. Verso mezzodu , ora in cui passavano i portalettere nel quartiere del Pantheon, Eugenio ricevette una lettera racchiusa in una elegante busta, sigillata con lo stemma di Beausp ant. Conteneva un invito per il signor e la signora de Nucingen al grande ballo annunciato da un mese, e che doveva aver luogo in casa della viscontessa. A questo invito erano aggiunte poche parole per Eugenio: "Ho pensato, signore, che v'incarichereste volentieri d'esser l'interprete dei miei sentimenti presso la signora de Nucingen; vi mando l'invito che mi avete richiesto e sarz lieta di conoscere la sorella della signora de Restaud. Conducetemi dunque questa bella signora, e fate in modo che ella non si prenda tutto il vostro affetto; voi me ne dovete molto, in cambio di quello che ho per voi. Viscontessa de Beausp ant". "Ma", disse fra spe spEugenio tornando a leggere il biglietto, "la signora de Beausp ant mi dice abbastanza chiaramente che non vuol ricevere il barone de Nucingen". E corse da Delfina, felice di poterle procurare un piacere di cui egli avrebbe ricevuto senza dubbio il premio. La signora de Nucingen era al bagno. Rastignac attese nel salottino, in preda alle impazienze naturali in un giovane ardente e smanioso di possedere un'amante, da due anni oggetto dei suoi desideri. Sono emozioni che non si provano due volte quando si q giovani. La prima donna, realmente donna, cui un uomo si lega, cioqcolei che gli si presenta nello splendore di tutto quell'insieme richiesto dalla societjparigina, colei non ha mai una rivale. L'amore, a Parigi, non assomiglia per nulla agli altri amori. Npgli uomini nple donne vi si lasciano ingannare da apparenze pavesate di luoghi comuni, che ognuno mette in mostra per decenza sui propri affetti cosudetti disinteressati. Qui, una donna non deve soddisfare soltanto il cuore e i sensi, sa perfettamente di dover adempiere ben pigrandi obblighi verso le mille vanitjdi cui si compone la vita. Qui, soprattutto l'amore qessenzialmente millantatore, scialacquatore, ciarlatano e fastoso. Se tutte le donne della corte di Luigi Quattordicesimo hanno invidiato alla La Valliq re l'impeto della passione di quel grande sovrano, tale da fargli dimenticare che i merletti dei suoi polsini costavano mille scudi ciascuno quando li strappzper facilitare al duca de Vermandois il suo ingresso alla scena del mondo, che cosa mai si puzchiedere al resto dell'umanitj ? Siate giovani, ricchi e titolati, siate ancora di pi, se potete; pigrani d'incenso recherete ai piedi dell'idolo, pipresto vi sarjpropizio, sempre che abbiate un idolo. L'amore quna religione e il culto deve costar picaro che quello d'ogni altra religione; esso passa rapidamente, e passa come un monello che vuole lasciar traccia del suo passaggio con le devastazioni. Il lusso del sentimento qla poesia delle soffitte; senza tale ricchezza, che diverrebbe l'amore? Se vi sono eccezioni a queste regole draconiane del codice parigino, esse si possono trovare nella solitudine, presso quelle anime che non si sono lasciate trascinare dalle dottrine sociali, che vivono vicino a qualche sorgente d'acqua limpida, fuggevole, ma perenne, anime che, fedeli alle loro verdi ombre, liete di ascoltare il linguaggio dell'infinito scritto per esse in tutte le cose e ritrovato in loro stesse, attendono pazientemente le ali per compiangere coloro che rimarranno sulla terra. Ma Rastignac, come la maggior parte dei giovani i quali, in anticipo hanno assaporato il gusto del grandioso, voleva presentarsi completamente armato nella lizza del mondo; ne aveva contratto la febbre e sentiva forse di avere il potere di dominarlo, ma senza ancora conoscere npi mezzi npil fine di quella ambizione. Quando manca l'amore puro e sacro, che riempie una vita, questa sete del potere puzdiventare un nobile sentimento; basta abbandonare ogni interesse personale e proporsi come meta la grandezza del proprio paese. Ma lo studente non era ancora arrivato al punto in cui l'uomo puzcontemplare il corso della vita, e giudicarla. Fino allora non aveva nemmeno completamente scosso l'incanto delle fresche e soavi idee che avvolgono come un fogliame la giovinezza di chi qstato allevato in provincia. Egli aveva sempre esitato a passare il Rubicone parigino. Malgrado le sue ardenti curiositj , aveva sempre conservato dentro di spqualche idea della vita felice che conduce il vero gentiluomo nel proprio feudo. Tuttavia i suoi ultimi scrupoli erano scomparsi il giorno avanti, quando s'era trovato in quell'appartamento messo su per lui. Nel godere dei vantaggi materiali dell'agiatezza, come godeva da tempo dei vantaggi morali offertigli dai suoi natali, s'era spogliato della sua pelle d'uomo di provincia, e si era dolcemente adattato in una posizione da cui scorgeva un bell'avvenire. Perciz, mentre attendeva Delfina mollemente seduto in quel grazioso salottino che stava divenendo un poco suo, si vedeva gijtanto lontano dal Rastignac giunto l'anno prima a Parigi, che, sbirciando con un effetto d'ottica morale, egli si domandava se in quel momento rassomigliava a se stesso. - La signora qin camera - venne a dirgli Teresa, ed egli trasalu . TrovzDelfina distesa nel suo divano, vicina al fuoco, fresca, riposata. Nel vederla cosu adagiata sui flutti della mussola, non si poteva non paragonarla a quelle belle piante indiane il cui frutto si sviluppa nel fiore. - Ebbene!, eccoci - essa disse con emozione. - Indovinate un po' che cosa vi porto - fece Eugenio sedendosi vicino a lei e prendendole il braccio per baciarle la mano. La signora de Nucingen ebbe un moto di gioia nel leggere l'invito. Volse verso Eugenio i suoi occhi inumiditi, e gli gettzle braccia al collo per attrarlo a sp in un delirio di vanitosa soddisfazione. - Êa voi (a te, gli disse all'orecchio; ma Teresa sta nel mio gabinetto da toletta, siamo prudenti !), qa voi che debbo questa felicitj ? Su , oso chiamarla felicitj . Ottenuto da voi, non qqualcosa di piche un trionfo d'amor proprio? Nessuno aveva voluto introdurmi in quell'ambiente. Forse voi mi giudicherete in questo momento piccina, frivola, leggera come una Parigina; ma pensate, amico mio, che io sono pronta a sacrificare tutto per voi e che, se desidero piardentemente che mai di frequentare il faubourg Saint-Germain, q perchpci siete voi. - Non credete - chiese Eugenio - che la signora de Beausp ant abbia l'aria di dirci che non ha alcun desiderio di vedere al suo ballo il barone de Nucingen? - Ma certo - rispose la baronessa restituendo la lettera a Eugenio. - Quelle donne luhanno il genio dell'impertinenza. Ma non importa, ci andrzlo stesso. Ci sarjanche mia sorella, e so che si sta preparando una toletta deliziosa. Eugenio - riprese a dire a bassa voce - lei ci va per dissipare brutti sospetti. Voi non sapete quali voci corrono sul suo conto! Nucingen mi ha detto stamane che ieri se ne parlava al Circolo senza reticenze. Dove q pi, mio Dio!, l'onore delle donne e delle famiglie? Mi sono sentita colpita, ferita io stessa nella mia povera sorella. Secondo alcuni, il signor de Trailles avrebbe firmato cambiali per un ammontare di centomila franchi, quasi tutte scadute, e per le quali gli atti contro di lui sarebbero in corso. In tale congiuntura, mia sorella avrebbe venduto i suoi diamanti a un ebreo, quei bei diamanti che le avete visto portare, e che provengono dalla signora de Restaud madre. Insomma, da due giorni non si parla che di questo. Credo quindi che Anastasia abbia ordinato un abito di stoffa laminata e voglia richiamare su di sptutti gli sguardi in casa de Beausp ant, comparendovi in tutto il suo splendore e coi suoi diamanti. Ma io non voglio stare al disotto di lei. Ha sempre cercato di schiacciarmi, non qmai stata buona con me, che pure le facevo tanti favori e avevo sempre pronto del denaro per lei, quando le mancava. Ma non parliamo pidella societj , oggi voglio essere felice appieno. Rastignac all'una del mattino si trovava ancora dalla signora de Nucingen che, dandogli l'addio degli amanti, quell'addio denso di gioie future, gli disse con una espressione di malinconia: - Sono tanto paurosa, tanto superstiziosa, chiamate pure questi miei presentimenti come volete, ma temo di dover pagare la mia felicitjcon qualche tremenda catastrofe. - Bambina - disse Eugenio. - Ah!, sono io la bambina stasera - essa disse ridendo. Eugenio tornzalla pensione Vauquer deciso a lasciarla l'indomani; e percizlungo la strada si abbandonza quelle graziose fantasticherie proprie dei giovani quando hanno ancora sulle labbra il gusto della felicitj . - Ebbene? - chiese papjGoriot quando Rastignac gli passzdavanti. - Ebbene - rispose Eugenio - vi dirztutto domani. - Tutto, non qvero? - gridzil buon uomo. - Ora andatevene pure a letto. Cominceremo domani la nostra vita felice. L'indomani, Goriot e Rastignac non attendevano che la buona volontjdi un facchino per lasciare la pensione, quando verso mezzogiorno il rumore di una carrozza, che si fermava proprio dinanzi alla porta della casa Vauquer, risuonz nella via Neuve- Sainte-Geneviq ve. La signora de Nucingen scese dalla carrozza, e domandzse suo padre si trovava ancora in pensione. Rispostole di su , salusvelta la scala. Eugenio era nella sua camera, senza che il suo vicino lo sapesse. A colazione lo aveva pregato di portar via la propria roba, dicendogli che si sarebbero ritrovati alle quattro in via d'Artois. Ma, mentre il buon uomo era andato a cercare i facchini, Eugenio, dopo aver rapidamente risposto all'appello della scuola, era rientrato senza che nessuno lo avesse visto, per saldare i conti con la signora Vauquer, non volendo lasciare quell'incarico a Goriot, che, nel suo fanatismo, avrebbe certamente pagato per lui. La padrona era uscita. Eugenio risaluin camera per vedere se non aveva dimenticato nulla e fu contento di aver avuto quell'idea perchptrovznel cassetto del suo tavolo l'accettazione in bianco da lui rilasciata a Vautrin, sbadatamente dimenticata ludal giorno in cui l'aveva saldata. In mancanza del fuoco, stava per strapparla in minuti pezzi quando, riconoscendo la voce di Delfina, si studizdi non fare pialcun rumore, e si fermzper udirla, pensando che essa non doveva avere alcun segreto per lui. Poi, fin dalle prime parole, trovzla conversazione tra padre e figlia troppo interessante per non ascoltarla. - Ah!, papjmio - disse - quale fortuna che abbiate avuto l'idea di chiedere il rendiconto dei miei beni almeno prima che io non sia rovinata! Posso parlare? - Su , la casa qvuota - disse papjGoriot con voce alterata. - Ma che cosa avete, babbo? - domandzla signora de Nucingen. - Tu mi dj i - rispose il vecchio - una mazzata sulla testa. Dio ti perdoni, figlia mia! Tu non sai quanto ti voglio bene; se lo avessi saputo, non mi avresti detto cosubruscamente simili cose, specie se tutto ancora non qperduto. Ma che cosa qaccaduto di cosuurgente da farti venire a cercarmi qui, se tra pochi istanti avremmo dovuto trovarci in via d'Artois? - Eh! papjmio, si qforse padroni di se stessi quando avviene una disgrazia? Mi sembra d'essere pazza! Il vostro avvocato ci ha fatto scoprire un po' pipresto il guaio che certamente verrjfuori pitardi. La vostra consumata esperienza commerciale sta per diventarci necessaria, e io sono corsa a cercarvi come ci si attacca a un ramo quando si sta per annegare. Quando il signor Derville ha visto che Nucingen opponeva mille cavilli, gli ha minacciato di intentare una causa dicendogli che l'autorizzazione del presidente del tribunale si sarebbe presto ottenuta. Nucingen qallora venuto stamane da me e mi ha chiesto se io volevo proprio la sua rovina e la mia. Gli ho risposto che io non m'intendevo affatto di queste cose, che avevo dei beni, che era giusto ne avessi il possesso e che per tutto quel che si riferiva a tale questione si rivolgesse al mio avvocato, che io non sapevo nulla di nulla e che percizmi trovavo nell'impossibilitjdi capire qualcosa in tutta questa faccenda. Non qcosuche mi avevate raccomandato di dirgli? - Bene - rispose papjGoriot. - Allora - riprese Delfina - egli mi ha messo al corrente dei suoi affari. Ha impegnato tutti i suoi capitali e i miei in speculazioni appena cominciate e per le quali ha dovuto anticipare forti somme. Se ora io l'obbligassi a restituirmi la dote, si troverebbe costretto a chiedere un concordato; mentre, se attendo un anno, s'impegna sul suo onore a rendermi un capitale doppio o triplo, impiegando il mio denaro in affari immobiliari, al termine dei quali sarzpadrona di tutti i miei beni. Babbo mio, dicendomi questo era sincero, e mi ha spaventato. Mi ha chiesto scusa del suo modo d'agire, mi ha ridato completa libertj , mi ha permesso di fare quel che voglio, a condizione di lasciarlo interamente padrone di condurre gli affari servendosi del mio nome. E, per provarmi la sua buona fede, mi ha promesso di chiamare il signor Derville ogni volta che io lo voglia, affinchpegli stesso possa giudicare se gli atti in virtdei quali la mia firma qimpegnata siano regolarmente redatti. Insomma, si qrimesso a me, mani e piedi legati. Chiede per due anni ancora l'amministrazione della casa, e mi ha supplicato di non spendere pidi quanto mi dj . Mi ha dimostrato che tutto quel che poteva fare era di conservare le apparenze, che ha rotto la sua relazione con la ballerina, e che si sarebbe ridotto alla pi segreta e inesorabile economia, per arrivare al compimento delle sue speculazioni senza alterare il suo credito. Io l'ho trattato malissimo, gli ho fatto vedere di non credere alle sue parole per fargli perdere la pazienza e saperne ancora di pi: mi ha mostrato i suoi conti, e poi s'qmesso a piangere. Non ho mai visto un uomo in quello stato. Aveva perduto la testa, diceva di volersi suicidare, delirava. Mi ha fatto proprio pena! - E tu credi a queste frottole? - esclamzpapjGoriot. E' un commediante! Ho avuto rapporti d'affari con molti tedeschi; costoro sono quasi tutti in buona fede, pieni di candore; ma quando, con la loro aria di franchezza e di bonomia, vogliono essere scaltri e imbroglioni, lo sono allora pidi tutti gli altri. Tuo marito approfitta di te. Si sente stretto in un cerchio, e allora fa il morto, vuol rimanere pipadrone sotto il tuo nome di quanto non lo sia sotto il suo. E approfitta di questa circostanza per mettersi al riparo dai rischi del suo commercio. Ê fino, lui, quanto perfido; qun pessimo arnese. No, no, io non me ne andrz al Pq re-Lachaise lasciando le mie figlie prive di tutto. Capisco ancora qualcosa in commercio. Egli, dice, ha impegnato le sue disponibilitjin vari affari; ebbene!, i suoi interessi saranno rappresentati da valori, da ricevute, da contratti! Li negozi, e liquidi intanto la parte tua. Sceglieremo le migliori speculazioni, ne correremo i rischi, e avremo i titoli probativi intestati al nostro nome di Delfina Goriot, moglie separata, per quanto attiene ai beni, del barone de Nucingen. Ma ci prende proprio per imbecilli, costui? Crede forse che io possa sopportare per due giorni l'idea di lasciarti senza danaro, senza pane? Ma io non la sopporterei neppure un sol giorno, neppure una notte, neppure un'ora! Se questa idea fosse realtj , non sopravviverei. Come!, avrei dunque lavorato per quarant'anni, avrei portato sacchi sulle spalle, avrei sudato sette camicie, avrei sofferto privazioni tutta la mia vita, per voi, angeli miei, che mi rendevate qualsiasi lavoro, qualsiasi peso, leggero; e oggi la mia ricchezza, la mia vita se ne andrebbero in fumo? Sarebbe cosa da farmi morire di rabbia. Per quanto c'qdi pisacro sulla terra e in cielo, metteremo tutto in chiaro, verificheremo la contabilitj , la cassa, gli affari! Non dormirz, non mi coricherz, non mangerzfinchpnon mi sarjprovato che la tua dote qlj , ancora tutta intera. Per fortuna, i tuoi beni sono separati dai suoi; avrai Derville come avvocato, un galantuomo, fortunatamente. Dio buono!, tu dovrai avere il tuo buon milioncino, le tue cinquantamila lire di rendita, fino alla fine dei tuoi giorni, o facciamo una chiassata in tutta Parigi! Ah! Ah! E sarz capace di fare appello anche alle Camere, se i tribunali dovessero darci torto. Il solo pensiero di saperti tranquilla e felice quanto al denaro, alleviava tutti i miei mali e calmava i miei crucci. Il denaro qla vita. Col denaro si ottiene tutto. Che cosa dunque ci viene a contare, quel grosso ciocco dell'Alsaziano? Delfina, non concedere neppure un quarto di centesimo a quel bestione, che ti ha tenuto alla catena e ti ha reso infelice. Se ora ha bisogno di te, lo bastoneremo di santa ragione, e lo faremo rigar diritto. Dio buono, ho la testa che mi va in fiamme, ho il cervello che mi brucia. La mia Delfina sul lastrico! Oh!, Fifina mia, tu! Perdio!, dove sono i miei guanti? Andiamo, usciamo, voglio andare a veder tutto: la contabilitj , gli affari, la cassa, la corrispondenza, subito! Non mi calmerzse non quando mi sarjdimostrato che la tua dote non corre pirischi, e la vedrzcoi miei occhi. - Babbo mio caro!, siate prudente. Se metteste la benchpminima velleitjdi vendetta in questa faccenda, e se faceste vedere intenzioni troppo ostili, io sarei perduta. Lui vi conosce, ha trovato del tutto naturale che, istigata da voi, mi preoccupassi della mia dote; ma, ve lo giuro, essa qnelle sue mani e vuole continuare a tenerla. Egli qcapace di scappare con tutti i capitali, e di lasciarci cosu , lo scellerato! Sa bene che non sarzcerto io a disonorare il nome che porto, facendogli causa. Egli qforte e insieme debole. Ho tutto ben considerato. Se lo spingiamo agli estremi, sono rovinata. - Ma qallora un furfante? - Eh! su , babbo - rispose gettandosi su di una sedia, piangendo. - Non volevo dirvelo per risparmiarvi il rammarico di avermi fatto sposare un uomo di quella specie! Costumi privati e coscienza, l'animo e il corpo, tutto s'accorda in lui! Ê spaventevole; io lo odio e lo disprezzo. Su , io non posso pistimare il vile Nucingen, dopo tutto quel che mi ha detto. Un uomo capace di lanciarsi nelle speculazioni commerciali di cui mi ha parlato, dimostra di non avere la benchpminima delicatezza, e i miei timori nascono da cizche gli ho letto assai bene nell'animo. Egli mi ha nettamente proposto, lui, mio marito, la libertj ; e sapete quel che significa questo? Significa che, in caso di rovina, io dovrei diventare un semplice strumento nelle sue mani e, insomma, servirgli da prestanome. - Ma ci son ben le leggi! c'qpure una piazza de Grq ve per generi di questa razza! esclamzpapjGoriot - ma lo ghigliottinerei io stesso, se non ci fosse il carnefice. - No, papjmio, non ci sono leggi contro di lui. Sentite in due parole il suo discorso, sfrondato di tutte le circonlocuzioni in cui lo ha avvolto: "O tutto qperduto, e voi non avrete pineanche un centesimo, e sarete rovinata, giacchpnon saprei scegliere per complice altra persona che voi; o mi lascerete portare a buon fine i miei affari". Chiaro? Egli tiene ancora a me. La mia probitjdi donna gli djgaranzia; sa che io gli lascerzla sua fortuna e che mi contenterzdella mia. Êun'associazione disonesta e ladresca cui debbo sottostare sotto pena di andare in rovina. Compra la mia coscienza e la paga, consentendomi di essere la donna d'Eugenio. "Io ti permetto di commettere dei falli, e tu lasciami commettere dei reati, mandando alla rovina della povera gente!". Non qabbastanza chiaro un simile discorso? Sapete quel che significa per lui far degli affari? Compra terreni a nome suo, e poi ci fa costruire case da prestanomi. Questi stipulano contratti per le costruzioni con gli appaltatori, li pagano con effetti a lunga scadenza e consentono a darne quietanza, lucrando un piccolo compenso, a mio marito, che diventa allora proprietario delle case, mentre i prestanomi si liberano dagli obblighi contratti verso gli appaltatori truffati, dichiarando fallimento. Il nome della ditta de Nucingen qservito a dar la polvere negli occhi dei poveri costruttori. L'ho capito bene. E ho pure capito che, per dimostrare, all'occorrenza, la possibilitj del pagamento di ingenti somme, ha inviato considerevoli valori ad Amsterdam, Londra, Napoli, Vienna. Come, allora, potremo costringerlo alla resa dei conti? - Eugenio uduil rumore pesante dei ginocchi di papjGoriot, che dovette cadere sul pavimento della camera. - Mio Dio, che cosa ti ho fatto io? Mia figlia nelle mani di quel miserabile: egli esigerj tutto da lei, se lo vorrj ! Perdono, figlia mia - gridzil vecchio. - Su , se ora mi trovo in un abisso, c'qforse un po' di colpa da parte vostra - disse Delfina. - Siamo cosupoco giudiziose, quando ci sposiamo. Conosciamo forse il mondo, gli affari, gli uomini, i costumi? Sono i genitori che dovrebbero pensare in vece nostra. Babbo caro, non vi rimprovero nulla, perdonate le mie parole. In questo caso la colpa q tutta mia. No, non piangete, papj- disse baciandogli la fronte. - Non piangere neppure tu, mia piccola Delfina. Dammi qui i tuoi occhi, lascia che te li asciughi coi miei baci. Ora rimetterzun po' d'ordine nella mia povera zucca, e cercherzdi dipanare questo groviglio d'affari in cui tuo marito ti ha messo. - No, lasciate fare a me; lo manovrerzio. Egli mi ama; ebbene mi servirzdel prestigio che ho su di lui per indurlo a investire subito una parte dei miei capitali in qualche buona proprietj . Forse riuscirza fargli ricomprare, sotto il mio nome, i beni che aveva a Nucingen in Alsazia: lui ci tiene. Vorrei perzche domani voi veniste a esaminare la sua contabilitj ,i suoi affari. Il signor Derville non s'intende affatto dl questioni commerciali. Ma no, non venite proprio domani. Non voglio guastarmi il sangue. Il ballo della signora de Beausp ant avrjluogo dopo domani, e io voglio aver cura di me per essere bella riposata e far cosuonore al mio caro Eugenio! E ora andiamo a vedere la sua camera. In quel momento una vettura si fermznella via Neuve-Sainte- Geneviq ve, e si uduper la scala la voce della signora de Restaud che diceva a Silvia: - C'qmio padre? Questa circostanza disimpegnzfortunatamente Eugenio, che gijpensava di gettarsi sul letto, fingendo di dormire. - Ah!, babbo, vi hanno parlato d'Anastasia? - chiese Delfina riconoscendo la voce della sorella. - Sembra che succedano strane cose nella sua famiglia. - Che cosa? - domandzpapjGoriot - ma qdunque proprio la mia fine? La mia povera testa non reggerja una doppia sciagura. - Buon giorno, papj- disse la contessa entrando. - Ah!, tu qui, Delfina? La signora de Restaud parve imbarazzata di incontrare sua sorella. - Buon giorno, Nasia - disse la baronessa. - Ti sembra strano trovarmi qui? Mio padre lo vedo tutti i giorni, io. - Da quando? - Se tu venissi, lo sapresti. - Non beffeggiarmi, Delfina - fece la contessa con una voce lamentosa. - Sono tanto disgraziata, sono perduta, povero papjmio!, oh!, proprio perduta, questa volta! - Cos'hai, Nasia? - esclamzpapjGoriot. - Dicci tutto, figliola. - Essa impallidu . - Delfina, su, soccorrila, sii buona con lei, ti vorrzbene anche di pi, se possibile! - Mia povera Nasia - disse la signora de Nucingen, facendo sedere la sorella - parla. Noi siamo le due sole persone che ti vorranno sempre tanto bene, da perdonarti tutto. Ricordati che gli affetti famigliari sono i pisicuri. Le fece aspirare dei sali, e la contessa rinvenne. - Ci lascerzla pelle - disse papjGoriot. - Andiamo - riprese attizzando il fuoco avvicinatevi tutte e due. Ho freddo. Che hai, Nasia?, di' s, presto, tu mi fai morire... - Ebbene! - disse la povera donna - mio marito sa tutto. Babbo, vi ricordate di quella cambiale di Massimo, qualche tempo fa? Ebbene! non era la prima. Ne avevo gijpagate molte altre. Ai primi di gennaio, il signor de Trailles mi sembrava assai preoccupato. Non mi diceva nulla; ma qfacile leggere nel cuore delle persone cui si vuol bene, basta un niente; e poi, ci sono dei presentimenti. Lui si mostrava piinnamorato, piaffettuoso che mai, e io ero sempre pifelice. Povero Massimo!, dentro di sp , mi ha poi detto, mi dava intanto il suo ultimo addio; voleva farsi saltare le cervella. Allora l'ho tanto tormentato, tanto supplicato, sono rimasta due ore ai suoi ginocchi. Alla fine, mi ha confessato di avere centomila franchi di debiti. Oh!, papj , centomila franchi! Sono diventata pazza. Voi non li avevate, io non avevo pinulla... - No - disse papjGoriot - io non avrei potuto procurarteli, a meno di andarli a rubare. Ma ci sarei andato, Nasia! E ci andrz. A queste parole lugubremente dette, come il rantolo d'un moribondo, che indicavano l'agonia di un sentimento di paterno affetto ridotto all'impotenza, le due sorelle tacquero. Quale egoismo sarebbe rimasto insensibile a quel grido di disperazione che, simile a una pietra lanciata in un abisso, ne rivelava la profonditj ? - Li ho trovati disponendo di quel che non mi apparteneva, babbo - disse la contessa scoppiando in lacrime. Delfina si commosse e pianse, appoggiando la testa sul collo della sorella. - Ma allora qtutto vero! - le disse. Anastasia abbassz la testa, la signora de Nucingen la strinse tutta a sp , la baciz teneramente e, appoggiandola sul suo cuore: - Qui tu sarai sempre amata senza venir giudicata - le disse. - Angeli miei - fece Goriot con voce fioca - per quale destino la vostra riconciliazione q dovuta a una sciagura? - Per salvare la vita di Massimo, per salvare insomma tutta la mia felicitj- riprese a dire la contessa incoraggiata dalle prove d'una tenerezza cosucalda e palpitante - ho portato a quell'usuraio che conoscete, una creatura infernale che nulla puzintenerire, a quel signor Gobseck, i diamanti di famiglia cui tiene tanto il signor de Restaud, i suoi, i miei, tutto: e li ho venduti. Venduti!, capite? E cosului qstato salvato, ma io sono morta. Restaud ha saputo tutto. - Da chi?, come? Io l'ammazzo! - gridzpapjGoriot. - Ieri, mi ha fatto chiamare nella sua camera. Ci sono andata... "Anastasia, mi ha detto con una voce... (oh!, la sua voce m'qbastata, ho indovinato tutto), dove sono i vostri diamanti?". Li ho con me. "No", mi ha detto guardandomi, "stanno lu sul mio cassettone". E mi ha indicato lo scrigno, da lui coperto con un fazzoletto. "Sapete da dove provengono?" mi ha chiesto, e io sono caduta ai suoi ginocchi.., ho pianto, e gli ho domandato di quale morte avrebbe voluto vedermi morire. - Tu gli hai detto tutto questo? - esclamzpapjGoriot. - Per il santo nome di Dio, chi si proverja far del male a voi due, finchpsarzvivo, puzstar sicuro che lo brucerza fuoco lento! Su , lo farza pezzetti come... PapjGoriot tacque, le parole gli si spegnevano nella gola. - Poi, mia cara, mi ha chiesto qualcosa di pidifficile ancora della morte. Non faccia il cielo sentire mai a una donna quel che ho sentito io! - L'ucciderz, quell'uomo - disse papjGoriot tranquillamente. - Ma lui non ha che una vita sola, e me ne deve due. Insomma, che cosa t'ha chiesto? - riprese, guardando Anastasia. - Ebbene! - fece la contessa continuando, dopo una pausa - mi ha guardato in faccia e mi ha detto: "Anastasia, metterztutto sotto silenzio, resteremo uniti, abbiamo dei figli. Non ucciderzil signor de Trailles, potrei fallire il colpo, e, nel disfarmene in altro modo, potrei anche cozzare contro la giustizia umana. Ucciderlo nelle vostre braccia, sarebbe poi disonorare i figli. Ma, per non veder morire npi vostri figli, npil loro padre, npme, vi pongo due condizioni. Rispondete: "Uno dei figli qmio?". Gli ho risposto di su . "Quale?", mi ha domandato. Ernesto, il nostro primogenito. "Bene, ha detto. E ora, giurate di obbedirmi ormai su di un solo punto". Ho giurato. "Voi firmerete la vendita dei vostri beni quando ve lo chiederz". - Non firmare! - gridzpapjGoriot. - Non firmare mai questo! Ah!, ah!, signor de Restaud, voi non sapete cosa sia rendere una donna felice, lei cerca il suo bene dov'esso q , e voi volete punirla della vostra sciocca impotenza?... Ma ci sono io, qui, alto lj , dovrj fare i conti con me. Nasia, sta tranquilla. Ah, lui tiene al suo erede, eh? Bene; bene. M'impadronirzdi suo figlio che, perdio!, qanche mio nipote. Potrzvederlo, questo marmocchio? Lo nasconderznel mio villaggio natio, ne avrzcura io, sta tranquilla. Lo farzcapitolare, quel mostro, dicendogli: "A noi due! Se vuoi riavere tuo figlio, restituisci a mia figlia la sua dote, e lascia che faccia il suo comodo". - Padre! - Su , tuo padre! Ah!, io sono un vero padre. Che queste canaglie di gran signori non maltrattino le mie figlie. Perdio!, non so quel che mi sento nelle vene. Mi ci sento il sangue d'una tigre, e vorrei divorarli, quei due. O, figlie mie!, qquesta la vostra vita? Ma questa qla mia morte. Che ne sarjdi voi, quando io non ci sarzpi? I padri dovrebbero vivere quanto i loro figli. Mio Dio, com'qmal combinato il tuo mondo! E suche un figlio tu pure lo hai, secondo quel che ci qstato detto. Dovresti impedire di farci soffrire nei nostri figli. Angeli miei cari, come!, debbo dunque la vostra presenza solo ai vostri dolori? Non mi fate conoscere altro che le vostre lacrime? Ebbene su , voi mi amate, lo vedo. Venite, venite a piangere qui! Il mio cuore qgrande, e puzricevere tutto. Su , voi potete pure trafiggerlo, ma i brani di esso saranno sempre tanti cuori di padre. Vorrei prendere su di me le vostre pene, soffrire per voi. Ah!, quando eravate piccoline, eravate tanto felici. - Non abbiamo avuto che quel tempo, felice - disse Delfina. - Dov'qquell'epoca quando ci rotolavamo dall'alto dei sacchi nel granaio grande? - Papj , non qtutto ancora, quel che vi ho detto - disse Anastasia, all'orecchio di Goriot, che ebbe uno scatto. - La vendita dei diamanti non ha reso centomila franchi. Si sta procedendo contro Massimo. Dobbiamo ancora pagare dodicimila franchi. Lui mi ha promesso di metter la testa a partito, di non giocare pi. Al mondo non mi resta piche il suo amore, e io l'ho pagato troppo caro per non morire se lo perdessi. Gli ho sacrificato fortuna, onore, tranquillitj , figli. Oh! fate che almeno Massimo sia libero, che non sia disonorato, che possa rimanere nella societj , dove saprjfarsi una posizione. Adesso egli non mi deve soltanto la felicitj , abbiamo dei figli che rimarrebbero nella miseria! Tutto sarjperduto, se lo porteranno a Sainte-Pelagie. - Io non li ho, Nasia. Pinulla, pinulla! E' la fine del mondo. Oh! il mondo sta per crollare, qcerto. Andatevene, salvatevi prima! Ah!, ho ancora le mie fibbie d'argento, sei posate, le prime possedute in vita mia. E poi, non ho altro che milleduecento franchi di rendita vitalizia... - Che ne avete dunque fatto delle rendite di Stato ? - Le ho vendute, riservandomi quel poco di rendita per vivere. Mi occorrevano dodicimila franchi per mettere su un appartamento a Delfina. - Un appartamento per te, Delfina? - disse la signora de Restaud alla sorella. - Oh, ciznon ha importanza! - riprese a dire papjGoriot - i dodicimila franchi sono gij impegnati. - Ho capito - fece la contessa. - E' per il signor de Rastignac Ah!, mia povera Delfina, non far questo. Guarda come sono ridotta, io. - Mia cara, il signor de Rastignac qun giovane incapace di mandare in rovina la sua amante. - Ti ringrazio, Delfina. Nella crisi che attraverso, m'aspettavo di meglio da te; ma gij , tu non mi hai mai voluto bene. - Ma no, lei ti vuol bene, Nasia - esclamzpapjGoriot - me lo diceva proprio poco fa. Stavamo parlando di te, e mi diceva che tu sei bella, e che lei qsoltanto graziosa! - Lei! - ripetpla contessa - ma lei qd'una bellezza fredda. - Quand'anche fosse - disse Delfina arrossendo - come ti sei comportata, tu, verso di me? Tu mi hai rinnegata, mi hai fatto chiudere le porte di tutte le case in cui desideravo esser ricevuta, insomma non ti sei mai lasciata sfuggire la minima occasione di farmi dispiacere. E poi, sono io forse venuta, come te, a sottrarre a questo povero papj , a mille franchi per volta, la sua ricchezza, riducendolo nello stato in cui ora si trova? Ecco in cosa qconsistita l'opera tua, sorella mia. Io, ho sempre voluto vedere mio padre quando ho potuto, non l'ho mai messo alla porta e non sono venuta poi a leccargli le mani al momento del bisogno. Non lo sapevo neppure che avesse speso quei dodicimila franchi per me. Io sono ordinata, io!, e tu lo sai. E poi, se papjmi ha fatto dei regali, non glieli ho mai chiesti. - Tu eri pifortunata di me: il signor de Marsay era ricco, e tu ne sai qualche cosa. Sei stata sempre avara come l'oro. Addio, io non ho npsorella np ... - Taci, Nasia! - esclamzpapjGoriot. - Solo una sorella come te puzripetere quel che nessuno crede pi; sei un mostro - le disse Delfina. - Figliole mie, figliole mie, smettetela, o m'uccido qui davanti a voi. - Nasia, ti perdono - disse la signora de Nucingen continuando - sei una sciagurata. Ma io sono migliore di te. Dirmi questo proprio nel momento in cui sarei stata capace di tutto per venirti in aiuto, anche di entrare in camera di mio marito, cosa che non farei npper me npper... Questo qdegno di tutto il male che mi hai fatto da nove anni. - Figliole mie, figliole mie, abbracciatevi! - disse il padre. - Voi siete due angeli. - No, lasciatemi - gridzla contessa, che Goriot aveva presa per un braccio, e che s'era svincolata dall'abbraccio paterno. - Lei ha meno pietjdi quanta non ne avrebbe mio marito. Eppure si direbbe sia l'immagine di tutte le virt! - Preferisco essere ritenuta debitrice del signor de Marsay, piuttosto di dover confessare che il signor de Trailles mi costa pidi duecentomila franchi - rispose la signora de Nucingen. - Delfina! - gridzla contessa facendo un passo verso di lei. - Io ti sto dicendo la veritj , mentre tu invece mi calunni - repliczfreddamente la baronessa. - Delfina, tu sei una... PapjGoriot si slanciz, trattenne la contessa e le impedudi parlare, coprendole la bocca con la mano. - Mio Dio!, babbo, ma che cosa avete toccato stamani? - gli domandzAnastasia. - Ebbene, su , ho torto - disse il povero padre asciugandosi le mani lungo i pantaloni. - Ma non sapevo che sareste venute qui, sto cambiando casa. Era lieto d'essersi meritato un rimprovero che scaricava su di lui la collera della figlia. - Ah! - riprese poi sedendosi - mi avete spezzato il cuore. Mi sento morire, figliole mie! La testa mi brucia dentro come se ci fosse il fuoco. Siate dunque buone, vogliatevi bene! Altrimenti mi farete morire. Delfina, Nasia, andiamo; avevate ragione e avevate torto tutte e due. Vediamo, Dedp- riprese a dire volgendo verso la baronessa i suoi occhi pieni di lacrime - le occorrono dodicimila franchi: cerchiamoli. Non vi guardate cosu . (E si mise in ginocchio dinanzi a Delfina). Chiedile perdono per far piacere a me - le disse all'orecchio - lei qla piinfelice; non qcosu ? - Mia povera Nasia - disse Delfina spaventata dalla selvaggia e folle espressione che il dolore aveva fatto assumere al viso del padre - ho avuto torto, abbracciami... - Ah! mi versate un balsamo sul cuore - esclamzpapjGoriot. - Ma dove trovare i dodicimila franchi? E se mi offrissi come surrogante? - Ah!, papjmio! - dissero le due figlie facendoglisi attorno - no, no. - Dio vi ricompenserjdi questo pensiero, la nostra vita non basterebbe!, non qvero, Nasia? - riprese Delfina. - E poi, povero babbo, sarebbe una goccia d'acqua - fece osservare la contessa. - Ma non si puzfar nulla del proprio sangue? - gridzil vecchio esasperato. - Io mi dz tutto intero a chi ti salverj , Nasia! Ucciderei un uomo per lui. Farzcome Vautrin, andrzin galera!, io... - E si irrigidu , come se fosse stato fulminato. - Piniente! - disse strappandosi i capelli. - Se sapessi dove andare, per rubare; ma qdifficile anche trovare il modo di rubare. E poi ci vorrebbe gente, ci vuol tempo per derubare la Banca. Ho capito, devo morire, non mi resta altro che morire. Su , non sono pibuono a nulla, non sono pipadre!, no. Lei mi chiede aiuto, ha bisogno di me!, ed io, miserabile, non ho nulla da darle. Ah!, tu ti sei fatto dei vitalizi, vecchio scellerato, e avevi pur delle figlie! Ma non le ami tu, dunque? Crepa, crepa, come quel cane che sei! Su , sto al disotto anche d'un cane, un cane non farebbe cosu . Oh!, la mia testa! bolle! - Ma papj- gridarono le due donne che lo circondavano per impedirgli di darsi la testa al muro - siate dunque ragionevole! Singhiozzava. Eugenio, spaventato, prese la cambiale da lui firmata a favore di Vautrin e il cui bollo comportava una somma anche maggiore; ne corresse la cifra, ne fece una cambiale regolare di dodicimila franchi all'ordine di Goriot, ed entrz. - Ecco qui tutto il vostro denaro, signora - disse presentando la carta. - Dormivo, ma la vostra conversazione m'ha svegliato, e ho potuto cosusapere quanto dovevo al signor Goriot. Eccone qui il titolo, che potrete scontare; io lo pagherzpuntualmente. La contessa, immobile, teneva in mano la carta. - Delfina - disse, pallida e tremante di collera, di furore, di rabbia - ti perdonerei tutto, Dio me n'qtestimonio, ma questo! Come!, il signore era lj ? Tu allora lo sapevi. E sei stata cosumeschina da vendicarti, lasciandomi cosusvelargli i miei segreti, la mia vita, quella dei miei figli, la mia vergogna, il mio onore? Va', non sei pinulla per me, ti odio io, ti farztutto il male possibile, io... - La collera le mozzzla parola, la sua gola s'inaridu . - Ma, qmio figlio, il nostro ragazzo, tuo fratello, il tuo salvatore - gridava papjGoriot. Abbraccialo, Nasia! Guarda, l'abbraccio io - riprese, stringendo Eugenio con una specie di furore. - Oh!, figliolo mio, io sarzpiche un padre per te, voglio esser per te una famiglia. Vorrei essere Dio, per mettere tutto l'universo ai tuoi piedi. Ma, bacialo, dunque, Nasia, questo non qun uomo ma un angelo, un vero angelo. - Lasciate stare, babbo, qpazza in questo momento- disse Delfina. - Pazza! Pazza!, e tu cosa sei? - fece la signora de Restaud. - Figliole mie, io muoio se continuate cosu- gridzil vecchio cadendo sul letto come se colpito da un proiettile. - Esse mi uccidono!, - mormorz. La contessa guardzEugenio, che intanto era rimasto immobile, sbalordito dalla violenza di quella scena: - Signore - gli disse interrogandolo col gesto, con la voce e lo sguardo, senza fare attenzione al padre, il cui panciotto venne rapidamente sbottonato da Delfina. - Signora, pagherze tacerz- gli rispose senza attendere la domanda. - Tu hai ucciso nostro padre, Nasia - disse Delfina, indicando il vecchio svenuto alla sorella, la quale fuggu . - Le perdono volentieri - disse il buon uomo riaprendo gli occhi - la sua situazione q spaventosa e farebbe perdere la testa anche pisolida. Consola Nasia, sii dolce con lei, promettilo al tuo povero padre che sta per morire - disse a Delfina premendole la mano. - Ma che cosa avete? - essa chiese tutta spaventata. - Nulla, nulla - rispose il padre - passerj . Ho qualcosa che mi stringe la fronte, una emicrania. Povera Nasia, che brutto avvenire! In quel momento la contessa rientrz, si gettzalle ginocchia di suo padre: - Perdono! gridz. - Sta' su - disse papjGoriot - se mi dici cosuadesso mi fai anche pimale. - Signore - disse la contessa a Rastignac, con gli occhi bagnati di lacrime - il dolore mi ha reso ingiusta. Sarete davvero un fratello per me? - riprese tendendogli la mano. - Nasia - le disse Delfina abbracciandola - mia piccola Nasia, dimentichiamo tutto. - No - rispose - me ne ricorderz! - Angeli miei - esclamzpapjGoriot - voi mi togliete il velo che avevo sugli occhi, la vostra voce mi rianima. Abbracciatevi ancora una volta. Ebbene!, Nasia, questa cambiale ti metterjal sicuro? - Lo spero. Ma ditemi, papj , volete metterci anche la vostra firma? - Guarda che bestia sono io, a non averci pensato. Ma mi sono sentito male, Nasia, non volermene. Mandami presto a dire che sei fuori d'ogni imbarazzo. No, verrzio stesso. Ma no, non verrz, non posso pivedere tuo marito, lo ucciderei. Quanto poi ad alienare i tuoi beni, lo impedirzio. Va' presto, figlia mia, e fa' che Massimo metta la testa a posto. Eugenio era stupefatto. - Questa povera Anastasia qstata sempre violenta - disse la signora de Nucingen - ma ha buon cuore. - S'qravveduta per avere l'avallo - fece Eugenio all'orecchio di Delfina. - Credete? - Vorrei non crederlo. Diffidate di lei - aggiunse levando gli occhi al cielo, come per confidare a Dio pensieri che non osava esprimere. - Su , qstata sempre un po' commediante, e il mio povero padre si lascia abbindolare dalle sue smorfie. - Come vi sentite, mio buon papjGoriot? - domandzRastignac al vecchio. - Ho voglia di dormire - rispose. Eugenio aiutzGoriot a coricarsi. Poi, quando il buon uomo si fu addormentato tenendo la mano di Delfina, la figlia si ritirz. - Ci vediamo questa sera agli "Italiens" - disse a Eugenio - e mi dirai tu come sta. Domani cambierete casa, signor mio. Vediamo un po' la vostra camera. Oh!, che orrore! fece appena entrata. - Ma voi state anche peggio di mio padre. Eugenio, tu ti sei portato bene. Vi amerei anche di pise fosse possibile; ma, figliolo mio, se volete far fortuna, non bisogna mica buttare, come avete fatto, delle dozzine di migliaia di franchi dalla finestra. Il conte de Trailles qun giocatore. Mia sorella non vuole ammetterlo. Egli sarebbe andato a cercare i suoi dodicimila franchi ljdove perde e guadagna monti d'oro. Un gemito li fece ritornare in camera di Goriot, che trovarono apparentemente addormentato; ma quando i due amanti gli si avvicinarono, udirono queste parole: - Esse non sono felici! - O che dormisse o che fosse desto, l'accento di quella frase colpucosu vivamente il cuore della figlia, che si avvicinzal giaciglio del padre, e lo bacizin fronte. Egli aprugli occhi dicendo: - Sei tu, Delfina? - Ebbene, come stai? - gli chiese. - Bene - rispose. - Non ti preoccupare, adesso uscirz. Andate, andate pure, figli miei, e siate felici. Eugenio accompagnzDelfina fino in casa sua; ma, preoccupato dello stato in cui aveva lasciato Goriot, non volle rimanere a pranzo da lei, e tornzalla pensione Vauquer. Ci trovzGoriot in piedi, e in procinto di mettersi a tavola. Bianchon s'era collocato in modo da poter bene esaminare il viso del vermicellaio. Quando gli vide prendere il pane e odorarlo per sentire con quale farina fosse stato fatto, lo studente, avendo notato in quel gesto una assenza totale di cizche si potrebbe chiamare la coscienza dell'atto, fece un gesto sinistro. - Mettiti vicino a me, signor interno di Cochin - disse Eugenio. Bianchon ci si mise tanto pivolentieri, in quanto cosusarebbe stato pivicino al vecchio pensionante. - Che cos'ha? - chiese Rastignac. - A meno che mi sbagli, qspacciato! Deve essere accaduto qualcosa di straordinario in lui, mi pare sia sotto la minaccia d'una apoplessia sierosa imminente. Sebbene la parte inferiore del viso sia abbastanza calma, i tratti superiori si contraggono, suo malgrado, verso la fronte: guarda! E poi gli occhi si trovano in quello stato speciale che denota l'invasione del siero nel cervello. Non si direbbero pieni d'una polvere fina? Ma domattina ne saprzdi pi. - Non c'qqualche rimedio? - Nessuno. Forse si potrjritardare la sua morte, se si troverjil modo di provocare una reazione verso le estremitj , verso le gambe; ma se domani sera i sintomi non scompaiono, il pover'uomo qfinito. Non sai mica da che fatto sia stato causato il male? Deve aver subu to un colpo violento, sotto il quale il suo morale avrjceduto. - Su- disse Rastignac - ricordandosi bene che le due figlie avevano colpito senza tregua il cuore paterno. "Almeno Delfina" diceva fra spe spEugenio, "gli vuol bene a suo padre, lei!". La sera, agli "Italiens", Rastignac uszqualche precauzione per non allarmare la signora de Nucingen. - Non vi preoccupate - lei rispose alle prime parole di Eugenio - mio padre qforte. Ma, certo, questa mattina lo abbiamo un po' scosso. Le nostre fortune sono in pericolo: capite la portata di questa disgrazia? Io non vivrei, se il vostro affetto non mi rendesse insensibile a quel che prima avrei considerato angosce mortali. Non c'qora che un solo timore, una sola disgrazia per me: perdere l'amore che mi ha fatto provare il piacere di vivere. All'infuori di questo sentimento, tutto m'qindifferente, nulla al mondo m'interessa pi. Voi siete tutto per me. Se provo la felicitjd'esser ricca, qper piacervi di pi. Io sono, a mia onta, piamante che figlia. Perchp ? Non lo so. Tutta la mia vita qin voi. Mio padre mi ha dato un cuore, ma voi l'avete fatto battere. Il mondo intero puzbiasimarmi, ma, che importa?, se voi, che non avete il diritto di rimproverarmi, mi assolvete dai delitti cui mi istiga un sentimento irresistibile? Mi crederete una figlia snaturata! Oh!, no, q impossibile non amare un padre cosubuono com'qil nostro. Ma potevo io forse impedire che egli non vedesse le conseguenze inevitabili dei nostri deplorevoli matrimoni? Perchp non li ha impediti? Non doveva lui riflettere in vece nostra? Oggi, lo so, lui soffre quanto noi: ma che potevamo farci? Consolarlo? Non lo consoleremmo per nulla. La nostra rassegnazione lo addolorava pidi quanto i nostri rimproveri e i nostri rammarichi potrebbero fargli del male. Ci sono situazioni, nella vita, in cui tutto qamarezza. Eugenio rimase silenzioso, preso da tenerezza per l'effusione ingenua d'un sentimento sincero. Se le Parigine sono spesso false, ebbre di vanitj , egoiste, civette, fredde, qperz sicuro che quando amano veramente, sacrificano pisentimenti alle loro passioni che tutte le altre donne; e allora esse si fanno grandi per le loro stesse piccolezze, e diventano sublimi. E poi Eugenio era colpito dallo spirito profondo e cosuassennato che la donna dimostra nel giudicare i sentimenti pinaturali, quando un affetto predominante la separa e la pone a distanza da essi. La signora de Nucingen si offese del silenzio mantenuto da Eugenio. - Ma a che cosa pensate? - gli chiese. - Ascolto ancora quel che mi avete detto. Avevo creduto fino ad ora di amarvi pidi quanto voi non mi amiate. Lei sorrise, e si difese dal piacere provato per mantenere la conversazione nei limiti imposti dalle convenienze. Non aveva mai udito le espressioni vibranti d'un amore giovane e sincero. Qualche parola ancora, e non si sarebbe picontenuta. - Eugenio - essa disse poi cambiando discorso - ma non sapete il fatto del giorno? Tutta Parigi andrjdomani dalla signora de Beausp ant. I Rochefide e il marchese d'Adjuda si son messi d'accordo di non divulgare la notizia; ma il re firmerjdomani il contratto di matrimonio, e la vostra povera cugina ancora non sa nulla. Non potrjfare a meno di non dare il ricevimento, e il marchese non interverrjal ballo. Non si parla che di questo. - E la gente ride d'una infamia, e ci fa la zuppa! Non sapete che la signora de Beausp ant ne morirj ? - No - disse Delfina sorridendo - voi non conoscete quel tipo di donne lj . Ma tutta Parigi andrjda lei, e ci sarzanch'io! E devo del resto a voi questo piacere. - Ma - disse Rastignac - non sarjuna di quelle tante ciarle assurde che si fanno correre per Parigi? - Sapremo la veritjdomani. Eugenio non rientrzalla pensione Vauquer. Non riuscua prendere la decisione di non godere del suo nuovo appartamento. Se il giorno prima era stato costretto a lasciare Delfina all'una dopo mezzanotte, questa volta fu Delfina a lasciarlo verso le due, per tornare a casa sua. Egli dormul'indomani fino a tardi, attese verso mezzodula signora de Nucingen, che fece colazione con lui. I giovani sono cosuavidi di questi vaghi piaceri che egli aveva gijquasi dimenticato papj Goriot. Fu per lui una prolungata gioia quella di abituarsi a ognuna delle eleganti cose che gli appartenevano. La signora de Nucingen era poi lu , a dare al tutto un maggior pregio. Tuttavia, verso le quattro, i due amanti si ricordarono di papjGoriot, pensando alla felicitjche s'era ripromesso nell'andare ad abitare in quella casa. Eugenio fece osservare che era necessario trasportarvi subito il buon uomo, in previsione d'una sua malattia, e lascizDelfina per correre alla pensione Vauquer. NppapjGoriot npBianchon erano a tavola. - Eh! - gli disse il pittore - papjGoriot sta male; Bianchon qsu, vicino a lui. Il buon uomo ha visto una delle sue figlie, la contessa de "Restaurama". Poi, ha voluto uscire, e il suo male qpeggiorato. La societjsta per essere privata d'una delle sue belle figure. Rastignac si slancizsu per le scale. - Ehi! signor Eugenio! - Signor Eugenio, la signora vi chiama - gridzSilvia. - Signore - gli disse la vedova - il signor Goriot e voi dovevate andar via il quindici febbraio. Sono tre giorni che il quindici qpassato, siamo al diciotto; devo esser pagata di un mese vostro e di un mese suo; ma se mi garantite voi papjGoriot, la vostra parola mi basta. - Perchp , forse non vi fidate? - Fidarsi! Se il buon uomo perdesse la conoscenza e morisse, le figlie non mi darebbero un centesimo, e tutti i suoi stracci non valgono dieci franchi. Ha portato via stamane le ultime sue posate. Non so poi perchp . S'era vestito come un giovanotto. Dio mi perdoni, ma credo si sia messo il rossetto, m'qparso ringiovanito. - Rispondo io di tutto - disse Eugenio rabbrividendo d'orrore e temendo una catastrofe. Saluda papjGoriot. Il vecchio giaceva sul letto, e Bianchon gli era d'accanto. - Buon giorno, papj- gli disse Eugenio. Il buon uomo gli sorrise dolcemente, e rispose volgendo verso di lui due occhi vitrei: Come sta, lei? - Bene. E voi? - Non c'qmale. - Non stancarlo - disse Bianchon portando Eugenio in un angolo della camera. - Ebbene? - gli chiese Rastignac. - Lo puzsalvare solo un miracolo. La congestione sierosa qavvenuta, sono intervenuto allora coi senapismi, fortunatamente li sente, gli fanno effetto. - Lo si puztrasportare? - Impossibile. Bisogna lasciarlo lu , evitargli qualsiasi movimento e ogni emozione... - Mio buon Bianchon - disse Eugenio - lo cureremo noi due. - Ho gijfatto venire il primario del mio ospedale. - E che ha detto? - Si pronuncerjdomani sera. M'ha promesso di tornare non appena libero dai suoi impegni. Disgraziatamente questo originale ha commesso stamane una imprudenza su cui non vuol dare spiegazioni! Êtestardo come un mulo. Quando lo interrogo, fa finta di non capire, e dorme per non rispondermi; se invece ha gli occhi aperti, si lamenta. E' uscito prestissimo, qandato a piedi per Parigi, non si sa dove. Ha portato con sptutto quel che ancora possedeva di valore, e deve essersi recato a far qualche benedetto traffico, superiore alle sue forze! Una delle figlie qvenuta. - La contessa? - domandzEugenio. - Una alta, bruna, l'occhio vivace e ben tagliato, dai graziosi piedini, e dalla vita sottile? - Su . - Lasciami un momento solo con lui - disse Rastignac. - Lo confesserze vedrai che a me dirjtutto. - Intanto io vado a pranzo. Cerca di non farlo agitare troppo, abbiamo ancora qualche speranza di salvarlo. - Sta' tranquillo. - Quanto si divertiranno domani - disse papjGoriot ad Eugenio, quando furono soli. Andranno a un gran ballo. - Ma che diamine avete fatto stamane, papj , per essere cosusofferente stasera, da essere costretto a rimanere a letto? - Nulla. - Anastasia qvenuta ? - domandzRastignac. - Su- rispose papjGoriot. - E allora? Non nascondetemi nulla. Che cos'altro vi ha chiesto ancora? - Ah! - riprese, raccogliendo le forze per parlare - era cosuaffranta, se sapeste, ragazzo mio, Nasia non ha piun soldo dopo l'affare dei diamanti. Aveva ordinato, per quel ballo, un abito di stoffa laminato che le deve stare come un gioiello. La sarta, un'infame, non ha voluto farle credito, e la cameriera ha versato lei mille franchi in acconto sulla toletta. Povera Nasia, ridotta a questo punto! La cosa mi ha straziato il cuore. La cameriera, vedendo che Restaud non si fida di Nasia, ha avuto paura di perdere il suo denaro e s'q messa d'accordo con la sarta per non consegnare l'abito se non quando le saranno restituiti i mille franchi. Il ballo qdomani. L'abito qpronto. Nasia qdisperata Ha voluto farsi prestare le mie posate per impegnarle. Suo marito vuole che lei vada al ballo per far vedere a tutta Parigi i diamanti che si dice abbia venduto. Puzdire a quel mostro: "Devo dare mille franchi, pagateli?". No. Ho capito tutto questo, io. Sua sorella Delfina interverrjcon una toletta superba. Anastasia non deve essere al di sotto della sorella minore. E poi, qcosuin lacrime, quella povera figlia mia! Io sono rimasto cosuumiliato di non aver avuto dodicimila franchi ieri, che avrei dato il resto della mia miseranda vita per riscattare quel torto. Avete visto? Avevo avuto la forza di sopportare tutto, ma il trovarmi senza denaro di fronte a quest'ultima occorrenza, mi ha spezzato il cuore. Oh! Oh!, ma ho detto npuno npdue, mi sono rabberciato e azzimato; ho venduto per seicento franchi di posate e di fibbie, poi da papjGobseck ho impegnato per un anno il mio titolo di rendita vitalizia contro quattrocento franchi versatimi una volta tanto. Beh, mangerzpane solo! Mi bastava quand'ero giovane, puzbastarmi anche adesso. Ma almeno cosupotrjgodersi una bella serata la mia Nasia. Sarjsgargiante. Ho il biglietto da mille franchi sotto il capezzale. Mi riscalda aver sotto la testa quel che farjpiacere alla povera Nasia. E potrjmettere alla porta la sua cattiva Vittoria. S'qmai visto che i domestici non hanno fiducia nei loro padroni? Domani starzbene, Nasia verrjalle dieci. Non voglio che esse mi ritengano ammalato, altrimenti non andrebbero al ballo, rimarrebbero qui a curarmi. Nasia mi bacerjdomani come se fossi suo figlio, le sue carezze mi guariranno. E poi, non avrei forse speso mille franchi dal farmacista? Preferisco darli alla mia Panacea, alla mia Nasia. Almeno la consolerzdella sua miseria. Questo mi sgrava del torto d'essermi fatto una rendita vitalizia. Lei qin fondo all'abisso, e io non ho pila forza di tirarla su. Oh! mi ridarzal commercio. Andrza Odessa per comprarvi il grano. I grani, lj , valgono tre volte meno di quel che costano i nostri. Se l'importazione dei cereali qvietata in natura, le brave persone che fanno le leggi non hanno perzpensato a proibire quei prodotti in cui il grano qla base. Eh! Eh!..., ci ho pensato io stamane! C'qda far bei colpi con gli amidi. "Êpazzo" si disse Eugenio guardando il vecchio. "Su, riposatevi, ora, non parlate...". Eugenio scese per il pranzo, quando tornzBianchon. Poi tutti e due passarono la notte vegliando a turno il malato, l'uno studiando libri di medicina, l'altro scrivendo alla madre e alle sorelle. L'indomani, i sintomi presentati dal malato furono, secondo Bianchon, di buon augurio; ma richiesero continue cure di cui solo i due studenti erano capaci, e nel racconto dei quali qimpossibile compromettere la pudibonda fraseologia dell'epoca. Le sanguisughe applicate sul corpo dimagrito del buon uomo furono accompagnate da cataplasmi, da bagni ai piedi e da altri espedienti clinici per i quali, del resto, occorrevano la forza e lo spirito di devozione dei due giovani. La signora de Restaud non venne; mandza ritirare la somma da un fattorino. - Credevo che sarebbe venuta lei stessa. Ma questo non qpoi un male, si sarebbe preoccupata - disse il padre, sembrando lieto di tale circostanza. Alle sette di sera, Teresa recapitzuna lettera di Delfina. "Che ne qdi voi, amico mio? Appena amata, sarei gijtrascurata? Mi avete dimostrato, nelle confidenze fatteci da cuore a cuore, un'anima troppo bella per non stimarvi come coloro che rimangono sempre fedeli valutando ogni sfumatura sentimentale. Voi stesso lo avete detto, ascoltando la preghiera di Mosq : "Quel che per gli uni qsempre la medesima nota, per gli altri ql'infinito della musica!". Ricordatevi che vi attendo questa sera per andare insieme al ballo della signora de Beausp ant. Il contratto del signor d'Adjuda qstato firmato stamane a corte, e la povera viscontessa non lo ha saputo che alle due. Tutta Parigi andrjda lei, come il popolo gremisce la Grq ve quando ci deve essere una esecuzione. Non qorribile andare a vedere se quella donna nasconderj il suo dolore, se saprjmorire bene? Io certo non ci andrei amico mio, se fossi gijstata ricevuta altre volte in casa sua, ma lei certamente non riceverjpi, e tutti i miei sforzi sarebbero allora inutili. La mia situazione qben diversa da quella degli altri. E poi, io ci vado anche per voi. Vi aspetto. Se voi non vi trovaste da me fra due ore, non so se vi perdonerei una simile fellonia". Rastignac prese una penna, e rispose cosu : "Sto attendendo un medico per sapere se vostro padre potrjvivere ancora. E' moribondo. Verrza portarvi la sentenza, e temo sarjuna sentenza di morte. Vedrete voi se sarjil caso d'intervenire al ballo. Mille tenerezze". Il medico venne alle otto e mezza, e, senza esprimere un parere favorevole, non ritenne la morte imminente. Previde alternativamente miglioramenti e ricadute, da cui sarebbero dipesi la vita e lo stato mentale del buon uomo. - Sarebbe meglio che morisse presto - fu l'ultima parola del medico. Eugenio affidzpapjGoriot alle cure di Bianchon e uscuper recare alla signora de Nucingen le dolorose notizie che, nella sua coscienza ancora imbevuta dei doveri famigliari, avrebbero dovuto sospendere ogni divertimento. - Ditele che si diverta lo stesso - gli gridzpapjGoriot che sembrava assopito, ma che si drizzza sedere sul letto nel momento in cui Rastignac uscu . Il giovane si presentzdesolato a Delfina, e la trovzpettinata, calzata; non le rimaneva che indossare l'abito da ballo. Ma, come le pennellate con le quali i pittori finiscono i loro quadri, gli ultimi ritocchi richiedevano pitempo di quanto non ne erano necessari per il fondo stesso della tela. - Come?, non siete in abito da sera? - gli chiese. - Ma, signora, vostro padre... - Ancora mio padre - esclamzinterrompendolo. - Non sarete voi a insegnarmi i doveri verso mio padre. Conosco mio padre da lungo tempo. Non una parola, Eugenio. Non vi ascolterzse non quando vi sarete vestito da sera. Teresa ha gijpreparato tutto per voi; la carrozza qpronta, prendetela e tornate subito. Parleremo di mio padre andando al ballo. Bisogna uscire presto; se rimaniamo presi nella fila delle vetture, saremo fortunati se riusciremo ad entrare alle undici. - Signora ! - Andate!, non una parola di pi- disse andando di corsa verso il suo spogliatoio per prendervi una collana. - Ma via, signor Eugenio, farete inquietare la signora - disse Teresa spingendo il giovane, spaventato da quell'elegante parricidio. Andza vestirsi, facendo le pitristi, le piscoraggianti riflessioni. Vedeva il mondo come un oceano di fango nel quale un uomo s'immergeva fino al collo se v'immergeva il piede. - Vi si commettono solo delitti meschini, - si disse. - Vautrin qpigrande. Egli aveva visto le tre grandi manifestazioni della societj : l'Obbedienza, la Lotta e la Rivolta; la Famiglia, il Mondo e Vautrin. E non osava decidersi. L'Obbedienza era noiosa, la Rivolta impossibile e la Lotta incerta. Il pensiero lo ricondusse in seno alla sua famiglia. Si ricordzdelle pure emozioni di quella vita tranquilla, si rammentzdei giorni trascorsi fra esseri da cui era amato. Conformandosi alle leggi naturali del focolare domestico, quelle care creature vi trovavano una felicitjpiena, durevole, senza angosce. Malgrado i suoi buoni pensieri, non si sentuil coraggio di andare a confessare la fede delle anime pure a Delfina, comandandole la Virtin nome dell'Amore. Gijla sua nuova educazione aveva dato i suoi frutti. Amava gijegoisticamente. La sua sensibilitjgli aveva consentito di conoscere la natura del cuore di Delfina. Presentiva che costei sarebbe stata capace di calpestare il corpo del padre pur di andare al ballo, ed egli non aveva npla forza di rappresentare la parte d'un ragionatore, npil coraggio di dispiacerle, npla virtdi lasciarla. "Non mi perdonerebbe mai di aver avuto ragione contro di lei in questa circostanza", si disse. Poi commentzle parole dei medici, si cullz nell'illusione che papjGoriot non fosse poi cosugravemente malato come credeva; insomma, accumulzragionamenti capziosi per giustificare Delfina. Lei non sapeva bene lo stato in cui versava il padre. Il buon uomo stesso la avrebbe mandata al ballo, se fosse andata a trovarlo. Spesso la legge sociale, implacabile nella propria formula, condanna, laddove il delitto apparente qgiustificato dagli innumerevoli modi di vedere introdotti in seno alle famiglie dalla differenza dei caratteri, dalla diversitjdegli interessi e delle situazioni. Eugenio cercava d'ingannare se stesso, era pronto a sacrificare alla sua amante la propria coscienza. Da due giorni, tutto era mutato nella sua vita. La donna vi aveva gettato i suoi disordini, aveva fatto impallidire l'affetto familiare, aveva tutto confiscato a proprio profitto. Rastignac e Delfina s'erano incontrati nelle condizioni richieste per provare, l'uno per mezzo dell'altra, i pivivi godimenti. La loro passione, ben preparata, s'era ingrandita con quel che uccide le passioni: il godere. Possedendo quella donna, Eugenio si accorse che fino allora l'aveva solo desiderata, l'amzsolo all'indomani della felicitj ; l'amore non qforse che la riconoscenza per il piacere provato. Infame o sublime, egli adorava quella donna per le voluttjche gli aveva portato in dote e per tutte quelle che ne aveva ricevuto. Delfina amava Rastignac come Tantalo avrebbe amato l'angelo che gli avrebbe recato di che soddisfare la sua fame, o estinguere la sete della sua gola inaridita. - Ebbene!, come sta mio padre? - gli domandzla signora de Nucingen quando egli fu di ritorno e in abito da sera. - Malissimo - rispose - se volete darmi una prova del vostro affetto, corriamo a vederlo. - Ebbene!, su- lei disse - ma dopo il ballo. Mio buon Eugenio, sii cortese, non farmi la morale, vieni con me. Uscirono. Eugenio rimase silenzioso per un tratto di strada. - Che avete? - gli chiese. - Sento il rantolo di vostro padre - egli rispose con accento di stizza. E prese a narrare con la calorosa eloquenza della gioventla feroce azione cui la signora de Restaud era stata spinta dalla vanitj , la crisi mortale che l'ultima dedizione paterna aveva provocato, e quel che sarebbe costato l'abito di stoffa laminata d'Anastasia. Delfina piangeva. - Sarzbrutta - essa pensz. Le sue lacrime si asciugarono. - Andrzad assistere mio padre, non lascerzil suo capezzale - riprese a dire. - Ah!, ecco come ti volevo - esclamzRastignac. I fanali di cinque vetture rischiaravano gli accessi del palazzo de Beausp ant. Da ogni lato della porta illuminata si pavoneggiava un gendarme. Il gran mondo affluiva in tal quantitj , e ognuno poneva tanta sollecitudine nel recarsi a vedere quella gran dama al momento della sua caduta, che gli appartamenti al pianterreno del palazzo erano gijpieni quando la signora de Nucingen e Rastignac fecero il loro ingresso. Da quando tutta la corte si precipitz in casa della Grande Demoiselle, cui Luigi Quattordicesimo aveva strappato l'amante, nessuna catastrofe d'amore fu piclamorosa di quella della signora de Beausp ant. In quella circostanza, l'ultima figlia della quasi reale casa di Borgogna si dimostrzsuperiore alla propria sciagura, e dominzfino all'ultimo istante la societjdi cui aveva accettato le vanitjsolo per asservirle al trionfo della sua passione. Le pibelle donne di Parigi animavano i saloni con le loro tolette e con i loro sorrisi, gli uomini pinotevoli della corte, gli ambasciatori, i ministri, le personalitjpi illustri d'ogni ramo, fregiati di croci, di placche, di cordoni multicolori, si affollavano attorno alla viscontessa. L'orchestra faceva risuonare i motivi della sua musica sotto i soffitti dorati di quel palazzo, deserto per la sua regina. La signora de Beausp ant era in piedi all'ingresso del primo salone per ricevere i suoi pretesi amici. Vestiva di bianco, senza alcun ornamento nei capelli, semplicemente intrecciati, sembrava calma e non ostentava npdolore, npfierezza, npfalsa allegrezza. Nessuno poteva leggere nell'animo suo. L'avreste detta una Niobe di marmo. Il suo sorriso agli amici intimi fu qualche volta ironico; ma essa apparve a tutti presente a se stessa, e si mostrzcosueguale a quella che era stata quando la felicitjl'adornava dei suoi raggi, che i meno accorti l'ammirarono, come i giovani Romani applaudivano il gladiatore che sapeva sorridere morendo. Il mondo sembrava essersi agghindato per dare il suo addio ad una delle sue sovrane. - Temevo che non veniste - essa disse a Rastignac. - Signora - egli rispose con voce commossa interpretando la frase come un rimprovero sono venuto per rimanere ultimo. - Bene - essa disse prendendogli la mano. - Voi siete forse qui il solo di cui possa fidarmi. Amico mio, amate una donna cui possiate voler bene sempre. Non ne abbandonate mai nessuna. Si mise a braccetto di Rastignac e lo condusse a un divano, nel salone dove si giocava. - Andate - gli disse - dal marchese. Giacomo, il mio domestico, vi condurrjda lui e vi darjuna lettera per lui. Gli chiedo la mia corrispondenza. Ve la consegnerj , spero, tutta quanta. Quando avrete le mie lettere, salite in camera mia. Mi avvertiranno. - Si alzzper andare incontro alla duchessa de Langeais, la sua migliore amica, anche lei sopraggiunta. Rastignac uscu , fece chiedere del marchese d'Adjuda al palazzo de Rochefide, dove doveva passare la serata, e dove infatti lo trovz. Il marchese lo condusse in casa propria, consegnzun cofanetto allo studente e gli disse: - Ci sono tutte. - Sembrzpoi voler parlare a Eugenio, sia per interrogarlo a proposito del ballo e della viscontessa, sia per confessargli d'essere gij forse pentito del suo matrimonio, come di fatto pitardi lo fu; ma un lampo d'orgoglio brillznei suoi occhi, ed ebbe il deplorevole coraggio di mantenere il silenzio sui suoi pinobili sentimenti. - Non ditele nulla di me, mio caro Eugenio. - Strinse la mano di Rastignac con un gesto affettuoso, sommamente triste, e gli fece cenno di uscire. Eugenio tornzal palazzo de Beausp ant, e fu introdotto nella camera della viscontessa, dove notzi preparativi d'una partenza. Si sedette vicino al fuoco, guardzancora la cassettina di cedro, e cadde in una profonda malinconia. Per lui, la signora de Beausp ant assumeva le proporzioni d'una dea dell'lliade. - Ah!, amico mio - disse la viscontessa entrando, e appoggiando la mano sulla spalla di Rastignac. Egli vide sua cugina in lacrime, gli occhi al cielo, una mano tremante, l'altra sollevata. Essa prese a un tratto il cofanetto, lo mise sul fuoco e lo guardzmentre bruciava. - Ballano! Sono venuti tutti puntualmente, mentre la morte verrjtardi. Zitto!, amico mio - disse ponendo un dito sulla bocca di Rastignac, che stava per parlare. - Non vedrzmai pinpParigi npla societj . Alle cinque del mattino partirz, per andarmi a seppellire in fondo alla Normandia. Dalle tre del pomeriggio sono stata costretta a fare i miei preparativi, a firmare dei documenti, a esaminare degli affari; non potevo mandare nessuno da... - S'interruppe. - Sicuramente lo si sarebbe trovato da... - E s'interruppe ancora, affranta dal dolore. In quei momenti tutto qsofferenza, e certe parole non si possono pronunciare. - Ma - riprese a dire - contavo questa sera su di voi per quest'ultimo favore. Vorrei darvi un pegno della mia amicizia. Penserzspesso a voi che mi siete sembrato buono e nobile, giovane e candido in mezzo a questo mondo, dove tali qualitj sono tanto rare. Spero penserete qualche volta a me. Tenete - disse volgendo lo sguardo intorno a sp- ecco il cofanetto dove mettevo i miei guanti. Ogni volta che li ho presi da qui prima di andare a un ballo o al teatro mi sentivo bella perchpero felice, e lo toccavo solo per lasciarci qualche leggiadro pensiero, c'qmolto di me, ludentro, c'qtutta una signora de Beausp ant che non esiste pi. Accettatelo. Penserzio a farvelo portare in casa vostra, in via d'Artois. La signora de Nucingen qassai bella questa sera, amatela. Se non ci vedremo pi, amico mi, siate certo che augurerztanto bene a voi che siete stato cosubuono con me. Ora scendiamo, non voglio far credere che piango. Ho l'eternitjdinanzi a me, vi rimarrzsola, e nessuno mi chiederjconto delle mie lacrime. Ancora uno sguardo a questa camera. - Si fermz. Poi, dopo essersi per un istante coperti gli occhi con la mano, li asciugz, li bagnzcon acqua fresca, e si mise sotto al braccio dello studente. Andiamo! - disse. Rastignac non aveva ancora mai provato un'emozione cosuviolenta come quella procuratagli dal contatto con quel dolore cosunobilmente represso. Rientrando nei saloni, Eugenio ne fece il giro con la signora de Beausp ant, ultima e delicata cortesia di quella gentil dama. Vide poi subito le due sorelle, la signora de Restaud e la signora de Nucingen. La contessa era magnifica con tutti i suoi diamanti in mostra, e dovevano certo scottarle in quanto era quella l'ultima volta che li avrebbe portati. Per quanto potenti fossero il suo orgoglio e il suo amore, non riusciva a sostenere gli sguardi di suo marito. Quello spettacolo non era tale da rendere i pensieri di Rastignac meno tristi. Se aveva rivisto Vautrin nel colonnello italiano, egli rivide allora, sotto i diamanti delle due sorelle, il misero lettuccio sul quale giaceva papj Goriot. La viscontessa ingannata dal suo atteggiamento malinconico ritrasse da lui il braccio. - Oh!, non voglio davvero privarvi di un piacere - essa disse. Eugenio fu subito chiamato da Delfina, felice dell'effetto da lei prodotto e fiera di porre ai piedi dello studente gli omaggi che raccoglieva in quel mondo, dove sperava di essere accolta. - Come trovate Nasia? - gli chiese. - Ha scontato - rispose Rastignac - anche la morte di suo padre. Verso le quattro del mattino, la folla dei salotti cominciava a diradare. La musica non s'udupi. La duchessa de Langeais e Rastignac si trovarono soli nel salotto grande. La viscontessa, credendo di dover incontrare solo lo studente, vi entrzdopo aver detto addio al signor de Beausp ant, che andza coricarsi ripetendole: - Avete torto, mia cara, d'andarvi a ritirare in provincia alla vostra etj ! Ma restate con noi! Vedendo la duchessa, la signora de Beausp ant non potptrattenere un gesto di sorpresa. - Ho indovinato, Clara - disse la signora de Langeais. - Voi partite per non ritornare pi; ma voi non partirete senza prima avermi ascoltata, e senza prima esserci capite. - E, presa l'amica a braccetto, la condusse nel salotto vicino, e lj , guardandola con le lacrime agli occhi, la strinse fra le braccia e la bacizsulle gote. - Non voglio lasciarvi freddamente, mia cara, sarebbe per me un rimorso troppo forte. Voi potete contare su di me come su voi stessa. Siete stata grande questa sera, io mi sono sentita degna di voi, e voglio dimostrarvelo. Ho avuto dei torti verso di voi, non mi sono sempre condotta bene, perdonatemi, mia cara; disapprovo tutto quel che ha potuto offendervi, vorrei poter ritirare le mie parole. Uno stesso dolore ha unito le nostre anime, e io non so chi di noi due sarjla piinfelice. Il signor de Montriveau non era qui, stasera, capite? Chi vi ha visto durante questo ballo, Clara, non vi dimenticherjpi. Io tento un'ultima prova. Se andrjmale, mi ritirerzin un convento. Dove andate, voi? - In Normandia, a Courcelles, ad amare e a pregare fin quando a Dio piacerjritirarmi da questo mondo. - Venite qui, signor de Rastignac - disse la viscontessa con voce commossa, pensando che il giovane attendeva. Lo studente piegzil ginocchio, prese la mano della cugina e la baciz. - Antonietta, addio! - riprese a dire la signora de Beausp ant - siate felice. Quanto a voi, voi lo siete, voi siete giovane, potete credere a qualcosa - disse allo studente. - Nel partire da questo mondo, avrzavuto intorno a me, come alcuni morenti privilegiati, religiose e sincere emozioni! Rastignac se ne andzverso le cinque, dopo aver veduto la signora de Beausp ant nella sua berlina da viaggio, dopo aver avuto il suo ultimo addio bagnato di lacrime, lacrime che provavano come le persone pielevate non sono poste fuori della legge del cuore e non vivono senza dolori, come vorrebbero far credere al popolo taluni suoi cortigiani. Eugenio tornza piedi alla pensione Vauquer, con un tempo umido e freddo. La sua formazione spirituale s'andava completando. - Non riusciremo a salvare il povero papjGoriot - disse Bianchon a Rastignac, quando questi entrznella camera del suo vicino. - Amico mio - gli rispose Eugenio, dopo aver guardato il vecchio addormentato - va', segui il destino modesto in cui limiti le tue aspirazioni. Io mi trovo in un inferno, e devo restarci. Qualsiasi male ti si dica del mondo, credici! Non c'qGiovenale che possa dipingerne l'orrore, coperto d'oro e di pietre preziose. L'indomani, Rastignac fu svegliato verso le due del pomeriggio da Bianchon che, costretto a dover uscire, lo pregz di assistere papjGoriot, il cui stato era molto peggiorato durante la mattinata. - Il buon uomo non ha altri due giorni, non ha forse pineppure altre sei ore di vita disse lo studente in medicina - ma tuttavia non possiamo cessare dal combattere il male. Bisognerjora apprestargli cure picostose. Noi saremo i suoi infermieri, ma io non ho un soldo. Ho rivoltato le sue tasche, frugato nei suoi armadi: zero al quoziente. L'ho interrogato in un momento in cui aveva la testa a posto, e mi ha detto di non possedere neanche un centesimo. Tu, hai qualcosa ? - Mi restano in tutto venti franchi - rispose Rastignac - andrza giocarli, vincerz. - E se perdi? - Chiederzdel denaro ai generi e alle figlie. - E se loro non te lo daranno? - rispose Bianchon - La cosa piurgente in questo momento non qtanto di trovare il denaro, quanto di avvolgere il buon uomo in un senapismo bollente dai piedi a metjdelle cosce. Se grida, ci sarjqualche speranza. Tu sai come si fa. E poi, ti aiuterjCristoforo. Ora passerz dal farmacista per garantirgli l'ammontare di tutte le medicine che prenderemo da lui. E' un guaio che il pover'uomo non si possa trasportare al nostro ospedale, lusarebbe stato meglio. Su, vieni, ti dirzquel che devi fare; e non lasciarlo finchpio non sia ritornato. I due giovani entrarono nella camera dove giaceva il vecchio. Eugenio rimase spaventato del mutamento avvenuto in quel viso convulso, pallido e sfinito. - Ebbene, papj ? - gli disse chinandosi verso il giaciglio. Goriot levzverso Eugenio i suoi occhi appannati e lo guardzassai attentamente, ma senza riconoscerlo. Lo studente non sostenne quello spettacolo, le lacrime gli inumidirono gli occhi. - Bianchon, non ci vorrebbero le tendine alle finestre? - No, il tempo che fa fuori non ha pieffetto su di lui. Dio volesse che sentisse caldo o freddo. Ma comunque ci vuole del fuoco per far le tisane e preparare tante altre cose. Ti manderzun po' di fascine che ci serviranno finchpnon avremo la legna. Tra ieri e questa notte, ho consumato la tua e tutte le formelle del pover'uomo. C'era tanta umiditj ; l'acqua stillava dai muri. Sono riuscito a scaldare appena la camera. Cristoforo l'ha spazzata, era proprio una stalla. Vi ho bruciato del ginepro, tanto era il lezzo. - Santo Dio - disse Rastignac - ma le sue figlie! - Senti, se ti chiede da bere, gli darai questo - disse lo studente mostrando a Rastignac una grande tazza bianca. - Se si lamenta e il ventre gli diventasse caldo e duro, ti farai aiutare da Cristoforo per somministrargli... tu mi hai capito. Nel caso che si agitasse, che parlasse molto, se insomma cominciasse a vaneggiare, lascialo fare. Non sarjun cattivo segno. Ma manda subito Cristoforo all'Ospedale Cochin. Il nostro medico, un mio collega o io stesso, verremo ad applicargli delle ventose. Abbiamo avuto, stamane, mentre dormivi, un consulto con un allievo del dottor Gall, il primario dell'H{tel-Dieu e il nostro. Questi sanitari ritengono di aver riscontrato curiosi sintomi e noi seguiremo il decorso della malattia per accertare alcuni aspetti scientifici molto importanti. Uno di loro pensa che se la pressione del siero si verificasse pisu di un organo che su di un altro, essa potrebbe dar luogo a fatti singolari. Ascoltalo bene, se si mettesse a parlare, per vedere a qual genere d'idee si riferiscono i suoi discorsi, se sono effetto di memoria, di discernimento, di giudizio; se tratta di cose materiali o di sentimento; se calcola, se torna sul passato; insomma, sii in grado di farci un resoconto esatto. Se l'invasione sierosa dovesse avvenire tutta insieme, allora morirj in uno stato d'ebetudine, come qquello in cui si trova adesso. Tutto qassai curioso in questo genere di malattie! Se la bomba scoppiasse qui - fece Bianchon indicando l'occipite del malato, ci sono esempi di fenomeni strani: il cervello riacquista alcune sue facoltj , e la morte sopravviene pilentamente. Le sierositjpossono abbandonare il cervello e prendere altre vie, e non se ne conosce il percorso che con l'autopsia. C'qagli Incurables un vecchio ebete al quale qcapitato che il travaso ha preso la strada della colonna vertebrale; soffre orribilmente, ma vive. - Si sono divertite? - chiese papjGoriot, che riconobbe Eugenio. - Oh!, non pensa che alle figlie - disse Bianchon. - Mi ha ripetuto pidi cento volte questa notte: "Stanno ballando. Lei ha il suo vestito". E le chiamava coi loro nomi. Mi faceva piangere, che il diavolo mi si porti se ti dico bugie!, con le sue intonazioni: "Delfina!, mia piccola Delfina!, Nasia!". Parola mia d'onore - disse lo studente in medicina - c'era da scoppiare in lacrime. - Delfina - fece il vecchio - lei qlj , non qvero? Lo sapevo bene. - E i suoi occhi riacquistarono un'attivitjfolle per guardare i muri e l'uscio. - Scendo per dire a Silvia che prepari i senapismi - esclamzBianchon - questo qil momento buono. - Rastignac rimase solo vicino al vecchio, seduto ai piedi del suo letto, gli occhi fissi su quella testa, la cui vista incuteva terrore e ispirava dolore. "La signora de Beausp ant fugge, costui muore", si disse. "Le anime belle non possono restare a lungo in questo mondo. Come, infatti, i nobili sentimenti potrebbero amalgamarsi con una societjmeschina, gretta, superficiale?". Le immagini della festa cui aveva assistito si riaffacciarono alla sua memoria e contrastarono con lo spettacolo di quel letto di morte. Bianchon riapparve subito. - Senti, Eugenio, ho veduto poco fa il primario, e sono tornato di corsa. Se si manifestassero sintomi di un ritorno alla ragione, se parla, coricalo su di un lungo senapismo, in modo da avvolgerlo nella sp nape dalla nuca ai reni, e facci chiamare. - Sei molto caro, Bianchon - disse Eugenio. - Oh, si tratta d'un caso clinico! - repliczlo studente in medicina, con tutto l'ardore d'un neofita. - Insomma - disse Eugenio - sarzdunque il solo ad assistere questo povero vecchio unicamente per affetto. - Se mi avessi visto questa mattina, non diresti cosu- fece Bianchon, senza per altro offendersi della frase. - I medici, usi alla pratica, non vedono che la malattia; io vedo ancora il malato, mio caro ragazzo. - Se ne andz, lasciando Eugenio solo col vecchio e con la preoccupazione di una crisi, che non tardza dichiararsi. - Ah!, siete voi, mio caro figliolo - disse papjGoriot riconoscendo Eugenio. - Vi sentite meglio? - domandzlo studente, prendendogli la mano. - Su , mi sentivo la testa stretta come in una morsa, ma ora se ne sta liberando. Avete visto le mie figliole? Verranno qui subito, accorreranno non appena mi sapranno malato, mi hanno assistito tanto amorosamente in via della Jussienne! Mio Dio!, vorrei che la mia camera fosse pipulita, per riceverle. Un giovanotto m'ha consumato tutto il carbone. - Sento venire Cristoforo - gli disse Eugenio - che vi porta della legna mandatavi da quel giovanotto. - Bene!, ma come si fa a pagare la legna? Io non ho un soldo, figliolo mio! Ho tutto donato, tutto. Sono ridotto a dover chiedere l'elemosina. Ma, almeno, l'abito laminato era bello? (Ah!, mi sento male!). Grazie, Cristoforo, Dio vi ricompenserj , ragazzo mio; io non ho pinulla. - A te e a Silvia vi ricompenserzbene io - disse Eugenio all'orecchio del ragazzo. - Le mie figliole vi hanno detto che sarebbero venute, non qvero?, Cristoforo? Tornaci, ti regalo cento soldi. Digli che non mi sento bene, che vorrei abbracciarle, vederle ancora una volta prima di morire. Digli questo, ma senza spaventarle troppo. - Cristoforo uscua un cenno di Rastignac. - Stanno per arrivare - riprese a dire il vecchio. - Le conosco bene. Se muoio, che dolore darei a quella buona Delfina! E a Nasia, lo stesso. Non vorrei morire per non farle piangere. Morire, mio buon Eugenio, vuol dire non vederle pi. Ljdove ce ne andiamo mi annoierzassai. Per un padre l'inferno ql'esser senza la compagnia dei figli, e io l'ho gij provato da quando esse si sono sposate. Il mio paradiso era la via della Jussienne. Ma ditemi: se andassi in paradiso, potrei ritornare sulla terra in spirito intorno a loro? Ho sentito dire qualcosa di simile. Sarjvero? Mi pare di vederle in questo momento com'erano in via della Jussienne. Scendevano, la mattina. "Buon giorno, papj ", mi dicevano. Le prendevo allora sulle mie ginocchia, gli facevo mille moine, mille scherzucci. E loro mi carezzavano con tanta grazia! Facevamo colazione tutte le mattine insieme, pranzavamo, insomma ero padre, mi godevo le mie figliole. Quand'erano in via della Jussienne, non facevano tanti ragionamenti, non sapevano nulla del mondo, mi volevano bene. Mio Dio!, perchpnon sono rimaste sempre piccole? (Oh!, quanto soffro, la testa mi scoppia!) Ah!, ah!, perdonatemi, figliole mie, soffro terribilmente, e deve essere proprio un dolore forte assai, perchpvoi mi avete fatto diventare ben resistente al male. Mio Dio!, se avessi solo le loro mani nelle mie, non sentirei affatto il mio male. Credete che verranno? Cristoforo qtanto stupido! Avrei dovuto andarci io stesso. Lui le vedrj , lui. Ma voi siete stato ieri al ballo. Ditemi, dunque, com'erano? Non sapevano nulla della mia malattia, q vero? Non avrebbero allora ballato, povere piccole! Oh!, non voglio pistar male. Hanno ancora troppo bisogno di me. Le loro fortune sono compromesse. E di quali mariti sono in balu a! Fatemi guarire, fatemi guarire. (Oh!, quanto soffro! Ah! ah! ah!) Capite? Bisogna che guarisca, perchpgli serve del denaro, e io so dove poterlo guadagnare. Andrza fabbricare amido in aghi a Odessa. Sono furbo, io, e guadagnerzmilioni. (Oh!, soffro troppo!). - Goriot tacque per un istante e parve fare ogni sforzo per riunire le sue forze al fine di sopportare il dolore. - Se loro fossero qui, non mi lamenterei - disse. - E allora perchplamentarmi? Un lieve assopimento sopravvenne, e durza lungo. Cristoforo intanto tornz. Rastignac, credendo che papjGoriot dormisse, lascizche il domestico gli riferisse ad alta voce l'esito della sua missione. - Signore - questi disse - sono andato prima dalla contessa ma non le ho potuto parlare, perchpaveva molto da fare con suo marito. E siccome insistevo, il signor de Restaud q venuto lui stesso e mi ha detto proprio cosu : "Se il signor Goriot muore, ebbene, qquanto di meglio puzfare. Ho bisogno della signora de Restaud per portare a termine degli affari importanti, lei ci verrjquando tutto sarjfinito". Pareva molto in collera, quel signore. Mentre stavo per uscire, la signora qentrata in anticamera da una porta che non avevo visto, e m'ha detto: "Cristoforo, dua mio padre che io sto discutendo con mio marito, e che adesso non posso lasciarlo; si tratta della vita o della morte dei miei figli; ma, non appena avrzfinito, verrz". Quanto alla signora baronessa, altra storia! Non l'ho vista, e non le ho potuto parlare. "Oh!", mi ha detto la cameriera, "la signora qtornata dal ballo alle cinque e un quarto, e ora dorme; se la sveglio prima di mezzogiorno, mi sgrida. Le dirzche suo padre peggiora, quando mi chiamerj . Per una brutta notizia c'qsempre tempo". Ho avuto un bel pregare! Ah!, su , ho anche chiesto di parlare al signor barone, ma era uscito. Nessuna delle figlie verrj ! - esclamzRastignac. - Adesso scrivo a tutte e due. - Nessuna - disse il vecchio drizzandosi a sedere sul letto. - Devono pensare agli affari, dormono: esse non verranno. Lo sapevo. Bisogna morire per sapere che cosa sono i figli. Ah!, amico mio, non prendete moglie, non fate figli! Gli date la vita, e loro vi danno la morte. Li fate entrare nel mondo, e loro ve ne discacciano. No, non verranno! So questo da dieci anni. Me lo dicevo qualche volta, ma non osavo crederlo. - Una lacrima spuntzin ciascuno dei suoi occhi, si fermz sull'orlo rosso, e non cadde. - Ah!, se fossi ricco, se avessi conservato il mio patrimonio, se non glielo avessi donato, esse sarebbero qui, mi leccherebbero le guance coi loro baci! Abiterei in un palazzo, avrei belle stanze, domestici e fuoco per riscaldarmi; esse sarebbero tutte in lacrime, coi loro mariti e i loro figli. Avrei tutto questo. E invece, nulla! Il denaro procura tutto, anche le figlie. Oh!, il mio denaro, dov'q ? Se avessi tesori da lasciare, esse mi assisterebbero, mi curerebbero; le sentirei, le vedrei. Ah!, mio caro figliolo, mio solo figliolo, preferisco l'abbandono in cui sono lasciato, e la mia miseria! Almeno, quando un poveretto qamato, qben sicuro d'essere amato. Ma no!, vorrei essere ricco, perchpallora le vedrei. In fede mia, chi sa? Esse hanno tutte e due un cuore di pietra. Gli volevo troppo bene perchpne potessero volere a me. Un padre deve essere sempre ricco, deve tenere i figli a freno come i cavalli di cui non c'q da fidarsi. E io che stavo sempre in ginocchio innanzi a loro! Le sciagurate! Questo qil degno coronamento d'un modo d'agire verso di me che dura da dieci anni. Se sapeste come avevano tutti i riguardi per me nei primi tempi del loro matrimonio! (Oh, sto soffrendo un crudele martirio!). Avevo dato a ognuna circa ottocentomila franchi; allora nploro, npi loro mariti potevano trattarmi male. Mi ricevevano: "Mio buon papj , di qui, mio caro padre, di lj ". Il coperto per me era sempre pronto in casa loro. Pranzavo coi loro mariti, che mi trattavano con considerazione. Poteva sembrare che io possedessi anche qualcos'altro. Perchpquesto? Perchpnon avevo mai parlato dei miei interessi. Un uomo che djottocentomila franchi alle proprie figlie era un uomo da tenersi da conto. E mi venivano usati tutti i riguardi, ma era solo per il mio denaro. Il mondo non qbello. L'ho visto io! Mi portavano in carrozza al teatro, e prendevo parte alle loro serate fin quando mi pareva. Insomma, si vantavano d'essere figlie mie, e mi riconoscevano come padre loro. Non sono mica uno sciocco, andiamo! e nulla m'qsfuggito. Tutto qstato fatto con perfida astuzia, e ne ho il cuore trafitto, Lo vedevo bene che erano tutte finzioni, ma il male non aveva rimedio. In casa loro non stavo mica senza alcuna soggezione, come a tavola qui sotto. Non sapevo che dire. E quando qualcuno del loro ambiente mondano domandava all'orecchio dei miei generi: "Chi qquel signore lu ?". "E' il padre con gli scudi, qricco". "Ah!, caspita!", si diceva, e mi si guardava col rispetto dovuto agli scudi. E se qualche volta potevo essergli di disturbo, compensavo lautamente i miei difetti! D'altronde, chi q perfetto? (la mia testa quna piaga!). Io sto soffrendo in questo momento quel che si deve soffrire per morire, mio caro signor Eugenio; eppure, questo qniente a paragone del dolore che mi diede il primo sguardo col quale Anastasia mi fece capire che avevo detto una sciocchezza, di cui si vergognz: quel suo sguardo mi aprututte le vene. Avrei voluto saper tante cose, ma quel che avevo intanto ben saputo era che ormai ero di troppo su questa terra. L'indomani, andai da Delfina per consolarmi, ma pure lucommisi un'altra sciocchezza che la fece andare in collera. Ci diventai quasi pazzo. Passai otto giorni senza sapere quel che dovevo fare. Non osai piandarle a trovare, per il timore dei loro rimproveri. Ed eccomi messo alla porta dalle mie figlie. Oh, mio Dio!, tu che conosci le miserie, i patimenti da me sopportati, tu che hai contato le pugnalate da me ricevute durante tutto questo tempo che mi ha fatto diventare vecchio, mi ha cambiato, ucciso, incanutito: perchpmi fai soffrire anche adesso? Ho ben espiato il peccato d'amarle troppo. Esse si sono ben vendicate del mio affetto, mi hanno attanagliato come carnefici! Eppure, i padri sono cosusciocchi! Le ho amate tanto, che ci sono ritornato come un giocatore al gioco. Le mie figlie erano il mio vizio; erano le mie padrone, insomma tutto. Se avevano tutte e due bisogno di qualche cosa, di qualche ornamento, le cameriere me lo dicevano, e io glielo regalavo per essere bene accolto! E mi hanno dato anche qualche lezioncina sul modo di comportarmi in societj . Oh!, per darmele, non hanno aspettato il giorno dopo. Cominciavano a vergognarsi di me. Ecco che cosa vuol dire dare una buona educazione ai propri figli. Alla mia etjnon potevo mica andare a scuola. (Soffro orribilmente, mio Dio!, e i medici, chiamate i medici! Se mi aprissero la testa, soffrirei di meno). Ma le figlie, le mie figlie, Anastasia!, Delfina! Voglio vederle. Mandate la gendarmeria a cercarle, la polizia! La giustizia qdalla parte mia, tutto qdalla parte mia, la natura, il codice civile. Io protesto. La patria perirj , se i padri sono calpestati. Questo qchiaro. La societj , il mondo si basano sulla paternitj ; tutto crolla se i figli non amano i loro padri. Oh!, vederle, sentirle, non importa quel che mi diranno, purchpio senta la loro voce, questo calmerji miei dolori, Delfina soprattutto. Ma ditegli, quando saranno qui, che non mi guardino, come fanno sempre, freddamente. Ah!, mio buon amico, signor Eugenio, voi non sapete cosa sia vedere l'oro dello sguardo cambiarsi tutto insieme in grigio piombo. Dal giorno in cui i loro occhi non hanno piraggiato su di me, qstato sempre inverno qui per me; non ho avuto piche dolori da ingoiare, e li ho ingoiati! Ho vissuto solo per essere umiliato, insultato. Le amo tanto, che mandavo gi tutti gli affronti coi quali mi vendevano una misera gioia per me vergognosa. Un padre che si deve nascondere per vedere le sue figlie! Gli ho dato la mia vita, e loro oggi non mi daranno neppure un'ora! Ho sete, ho fame, il cuore mi brucia, e loro non verranno ad alleviare la mia agonia, perchpio muoio, lo sento. Ma non sanno dunque che cosa vuol dire calpestare il cadavere del loro padre? C'qun Dio nei cieli, e Lui ci vendica nostro malgrado, noi padri. Oh!, esse verranno! Venite, mie care, venite ancora a baciarmi, un ultimo bacio, il viatico di vostro padre, che pregherjDio per voi, che Gli dirjche siete state brave figliole, che vi difenderj ! Dopo tutto, siete innocenti. Sono innocenti, amico mio! Ditelo bene a tutti, e che non siano rimproverate per causa mia. La colpa qtutta mia, sono io che le ho abituate a calpestarmi. Mi faceva piacere. Questo non riguarda nessun altro, npla giustizia umana, npquella divina. Dio sarebbe ingiusto se le condannasse per causa mia. Non ho saputo regolarmi, ho avuto il torto di abdicare i miei diritti. Mi sarei umiliato per loro! Che volete! anche il miglior carattere, le migliori anime avrebbero ceduto alla corruzione di questa arrendevolezza paterna. Sono uno sciagurato, e la mia punizione qgiusta. Io solo sono responsabile dei torti delle mie figlie, sono io che le ho guastate. Esse vogliono oggi il piacere, come volevano una volta le chicche. Gli ho sempre permesso di soddisfare ogni loro capriccio di giovinette. A quindici anni avevano gijcarrozza! Non hanno avuto mai una rp mora. Io solo sono colpevole, ma colpevole per amore. La loro voce mi allargava il cuore. Le sento arrivare, vengono. Oh!, su , verranno. La legge comanda che si vada a veder morire il padre, la legge sta dalla parte mia. E poi, questo non costerjche la spesa d'una corsa in vettura. La pagherzio. Scrivetegli che ho da lasciargli dei milioni! Parola d'onore! Andrza fabbricare paste alimentari a Odessa. Conosco il modo. Col mio progetto c'qda guadagnar milioni. Nessuno ci ha pensato. E' merce che non si guasterjdurante il trasporto, come il grano o la farina. Eh! eh!, l'amido? Saranno milioni! Non gli direte una bugia, ditegli che si tratta proprio di milioni, e, seppure venissero qui per il loro interesse, preferisco che m'ingannino, ma almeno le vedrz. Voglio le mie figlie! Le ho fatte io! Sono mie! - disse drizzandosi a sedere sul letto, mostrando a Eugenio la testa dai capelli bianchi sconvolti e che minacciava, con tutto quel che poteva esprimere minaccia. - Andiamo - gli disse Eugenio - mettetevi gi, mio buon papjGoriot, adesso gli scrivo. Non appena Bianchon tornerj , andrzda loro, se non vengono. - Se non vengono? - ripetpil vecchio singhiozzando. - Ma allora mi troveranno morto, morto in un accesso di rabbia, di rabbia! La rabbia mi prende! In questo momento, rivedo tutta la mia vita. Sono stato ingannato! Non mi vogliono pibene, non m'hanno mai voluto bene!, questo qchiaro. Se non son venute, non verranno pi. Pitarderanno, meno si decideranno a darmi questa gioia. Le conosco. Esse non hanno mai saputo capire i miei crucci, i miei dolori, i miei desideri, e tanto meno si renderanno conto della mia morte; esse non capiscono neppure il segreto della mia tenerezza. Su , lo so, l'abitudine di strapparmi le viscere gli ha fatto svalutare tutto quel che facevo per loro. Se mi avessero chiesto di potermi cavar gli occhi, gli avrei detto: "Cavatemeli!". Sono troppo stupido... Esse credono che tutti i padri siano come il loro. Bisogna sempre farsi rispettare. I loro figli mi vendicheranno. Ma qloro interesse venir qui. Avvertitele che, cosu , compromettono la loro agonia. Commettono tutti i delitti in uno solo. Ma andate dunque subito da loro, ditegli che il non venire qun parricidio! Ne hanno gijcommessi abbastanza, e non c'qbisogno di aggiungere anche questo; e gridate come faccio io: "Eh!, Nasia! Eh!, Delfina!, venite da vostro padre, che qstato cosubuono con voi, e che ora soffre tanto!". Niente, nessuno. Dovrzallora morire proprio come un cane? Ecco come sono ricompensato: con l'abbandono. Sono delle infami, delle scellerate; le abomino, le maledico; mi leverzla notte dalla tomba per rimaledirle, perchp insomma, amici miei, ho forse torto?, esse si comportano molto male!, no? Ma che mi dico? Non mi avete detto che Delfina qlj ? E' la migliore delle due. Voi siete mio figlio, Eugenio, vogliatele bene, siate un padre per lei. L'altra qtanto disgraziata. E i loro interessi? Ah!, mio Dio!, muoio, soffro un po' troppo. Tagliatemi la testa, lasciatemi soltanto il cuore. - Cristoforo, andate a cercare Bianchon! - gridz Eugenio, spaventato dal tono che assumevano i gemiti e le grida del vecchio, e chiamatemi una vettura. - Vado a cercare le vostre figlie, mio buon papjGoriot, ve le porterzqui. - Con la forza! Con la forza! Chiedete le guardie, i soldati, tutto! - disse, volgendo verso Eugenio un ultimo sguardo in cui brillzil senno. - Dite al governo, al procuratore del re che mi siano condotte qui, lo voglio! - Ma le avete maledette. - Chi vi ha detto questo? - rispose il vecchio stupefatto. - Voi non sapete che le amo, che le adoro! Sono guarito, se le vedo... Andate, mio buon vicino, mio caro figliolo, andate, voi siete tanto buono, voi; vorrei dimostrarvi la mia riconoscenza, ma non ho da darvi che la benedizione d'un moribondo. Ah!, vorrei almeno vedere Delfina, per dirle di disobbligarmi verso di voi. Se l'altra non puz, portatemi qui quella. Ditele che non le vorrete pibene, se non vuol venire. Lei vi vuole tanto bene, che verrj . Da bere! Le viscere mi bruciano! Mettetemi qualcosa sulla testa. La mano delle mie figlie, questo mi salverebbe, lo sento... Mio Dio!, chi rifarjla loro dote, se me ne vado? Voglio andare a Odessa per loro, a Odessa, per fabbricarvi paste alimentari. - Bevete questo - disse Eugenio sollevando il moribondo e prendendolo col suo braccio sinistro, mentre con l'altro teneva una tazza piena di tisana. - Voi suche dovete amare vostro padre e vostra madre - disse il vecchio stringendo con le mani gijquasi perdute la mano di Eugenio. - Lo capite che sto per morire senza vederle, le mie figlie? Aver sempre sete e mai bere, ecco come ho vissuto per dieci anni... I miei due generi hanno ucciso le mie figlie. Su , non ho piavuto figlie dopo che si sono sposate. Padri, dite al parlamento di fare una legge sul matrimonio! E non maritate mai le vostre figlie, se le amate. Il genero quno scellerato che tutto corrompe in una figlia, insudicia tutto. Niente pimatrimonio! E' quel che ci toglie le nostre figlie, e non le abbiamo piquando moriamo. Fate una legge sulla morte dei padri. Tutto questo q spaventoso! Vendetta! Sono i miei generi che gli impediscono di venire. Uccideteli! A morte Restaud, a morte l'Alsaziano, sono i miei assassini! La morte o le mie figlie! Ah!, q finita, muoio senza di loro! Loro! Nasia, Fifina, su, venite dunque!, vostro padre se ne va... - Mio buon papjGoriot, calmatevi, andiamo, state tranquillo, non vi agitate. - Non vederle, ecco l'agonia! - Le vedrete. - Davvero? - gridzil vecchio con aria smarrita. - Oh!, vederle! Sto per vederle, sto per sentire la loro voce. Morirzcontento. Ebbene!, su , non domando pidi vivere, non ci tenevo pi, le mie pene andavano crescendo. Ma vederle, toccare le loro vesti, ah!, niente altro che le loro vesti, qben poco, ma che senta almeno qualcosa di loro! Fatemi prendere i loro capelli... pelli... Cadde con la testa sul guanciale, come se avesse ricevuto un colpo di mazza. Le sue mani si agitarono sulla coperta, come per prendere i capelli delle figlie. - Le benedico - disse in uno sforzo supremo... - benedico. A un tratto si accasciz. In quel momento entrzBianchon. - Ho incontrato Cristoforo - disse - ora ti porta una vettura. - Poi guardzil malato, gli sollevzcon forza le palpebre, e i due studenti videro l'occhio senza pivita, vitreo- Non si riprenderj- disse Bianchon - almeno non credo. - Gli prese il polso, lo palpz, mise la mano sul cuore del buon uomo. - La macchina cammina ancora; ma nel caso suo quna disgrazia, sarebbe meglio che morisse subito! - In fede mia, su- disse Rastignac. - Ma tu cos'hai? Sei pallido come la morte. - Amico mio, ho sentito fino adesso i suoi gridi e i suoi lamenti. Ma c'qun Dio! Oh, su , c'qun Dio, e deve averci preparato un mondo migliore, altrimenti la nostra terra qun non senso. Se lo spettacolo non fosse stato cosutragico, mi sarei sciolto in lacrime; ma ho il cuore e lo stomaco orribilmente stretti. - Di' su, qui occorrono tante cose; dove trovare i soldi ? Rastignac cavzdi tasca l'orologio. - Tieni, vallo a impegnare. Non voglio fermarmi per la strada perchptemo di perdere anche un solo minuto, e poi attendo Cristoforo. Non ho un centesimo, bisognerjpagare il vetturino quando tornerz. Rastignac si precipitzper le scale, e corse in via Helder, dalla signora de Restaud. Lungo la strada, la sua immaginazione, colpita dall'orrendo spettacolo cui aveva assistito, riscaldzla sua indignazione. Quando giunse in anticamera, e domandzdella signora de Restaud, le risposero che non era possibile vederla. - Ma - disse al domestico - vengo da parte di suo padre, che sta morendo. - Signore, abbiamo ricevuto dal signor conte gli ordini piseveri... - Se c'qil signor de Restaud, ditegli in quali condizioni versa suo suocero, e avvertitelo che bisogna che io gli parli all'istante. Eugenio attese a lungo. "Forse in questo momento sta morendo", pensava. Il domestico l'introdusse nel primo salotto, dove il signor de Restaud ricevette lo studente in piedi, senza farlo sedere, dinanzi a un caminetto senza fuoco. - Signor conte - gli disse Rastignac - vostro suocero sta spirando in questo momento in un tugurio infame, senza neppure un soldo per procurarsi un po' di legna; egli qproprio in fin di vita, e chiede di rivedere sua figlia. - Signore - gli rispose freddamente il conte de Restaud, - avrete avuto modo di accorgervi che io nutro una ben scarsa affezione per il signor Goriot. Egli ha guastato il carattere della signora de Restaud, qstato la disgrazia della mia vita, vedo in lui il nemico della mia tranquillitj . Che muoia, che viva, la cosa mi qdel tutto indifferente. Ecco quali sono i miei sentimenti a suo riguardo. Il mondo potrjbiasimarmi, ma io non mi curo della sua opinione. Ora ho cose assai piimportanti da concludere che non quella d'occuparmi di quel che penseranno di me degli sciocchi o degli indifferenti. Quanto alla signora de Restaud, non qin grado di uscire. E poi, non voglio che lasci la casa. Dite a suo padre che, non appena avrjadempiuto i suoi doveri verso me e verso suo figlio, andrja vederlo. Se vuol bene a suo padre, potrjessere libera tra qualche istante... - Signor conte, non spetta a me giudicare la vostra condotta; voi siete il padrone di vostra moglie; ma io posso contare sulla vostra lealtj , e allora promettetemi solo di dirle che non ha piun giorno di vita, e che l'ha gijmaledetta non vedendola al suo capezzale! - Diteglielo voi stesso - rispose il signore de Restaud, colpito dal sentimento d'indignazione che l'accento di Eugenio tradiva. Rastignac entrz, accompagnato dal conte, nel salotto dove la contessa stava abitualmente; la trovzin lacrime, sprofondata in una poltrona, disperata. Gli fece pietj . Prima di guardare Rastignac, rivolse a suo marito timidi sguardi che dimostravano una prostrazione completa delle sue forze, schiacciate da una tirannia morale e fisica. Il conte scosse la testa, ed essa si credette allora incoraggiata a parlare. - Signore, ho gijsentito tutto. Dite a mio padre che, se conoscesse la situazione in cui mi trovo, mi perdonerebbe. Non prevedevo anche questo supplizio, esso qal di sopra delle mie forze, ma resisterzfino all'ultimo - disse rivolta a suo marito. - Sono madre. Dite a mio padre che sono irreprensibile verso di lui, nonostante le apparenze - esclamzcon disperazione, rivolta allo studente. Eugenio salutzi due, intuendo l'orribile crisi che quella donna attraversava, e se ne andz stupefatto. Il tono del signor de Restaud gli aveva dimostrato l'inutilitjdel suo passo, e capuche Anastasia non era pilibera. Corse allora dalla signora de Nucingen, e la trovz ancora a letto. - Sto male, mio buon amico - gli disse. - Ho preso freddo nell'uscir dal ballo, ho paura di avere una polmonite, e sto aspettando il medico... - Anche se foste in punto di morte - le disse Eugenio interrompendola - vi dovete trascinare fino a vostro padre. V'invoca! Se poteste udire il pidebole dei suoi gridi, non vi sentireste pialcun male. - Eugenio, mio padre non qforse tanto malato come voi dite, ma io sarei disperata se dovessi sembrarvi colpevole, e farzquanto vorrete. Lui, lo so, morirebbe di crepacuore se la mia malattia divenisse mortale per essere io uscita di casa. Ebbene, verrznon appena il medico mi avrjvisitata. Ah! perchpnon avete pil'orologio?- domandznon vedendo pi la catena. Eugenio arrossu . - Eugenio!, Eugenio, se voi l'aveste gijvenduto, o perduto... oh!, questo sarebbe molto brutto. - Lo studente si chinzverso il letto di Delfina, e le disse all'orecchio: - Volete saper la veritj ? Ebbene, sappiatela! Vostro padre non ha di che comprarsi il sudario nel quale sarjavvolto stasera. Il vostro orologio qstato impegnato, non avevo pi un soldo. Delfina saltzd'un sbito fuori del letto, corse allo scrittoio, ne trasse la borsa e la tese a Rastignac. Poi suonz, e gridz: - Ci vengo, ci vengo, Eugenio. Lasciatemi vestire; ma sarzun mostro! Arriverzprima di voi! Teresa - gridzalla sua cameriera - dite al signor de Nucingen che salga subito, devo parlargli. Eugenio, felice di poter annunciare al morente la presenza d'una delle sue figlie, arrivz quasi lieto in via Neuve-Sainte- Geneviq ve. Frugznella borsa per poter pagare subito il vetturino. La borsa della giovane signora, cosuricca, cosuelegante, conteneva sessantasei franchi. Giunto in cima alla scala, trovzche il chirurgo dell'ospedale stava operando papjGoriot, sostenuto da Bianchon e sotto la sorveglianza del medico. Gli applicavano delle ventose alla schiena, ultimo rimedio della scienza, rimedio inutile. - Li sentite? - domandava il medico. PapjGoriot, intravisto lo studente, rispose: - Vengono, non qvero? - Puzcavarsela disse il chirurgo - parla. - Su- rispose Eugenio - Delfina mi segue. - Oh! - fece Bianchon - parlava delle figlie, e le invoca come un uomo sul palo, a quanto si dice, dopo l'acqua... - Basta - disse il medico al chirurgo - non c'qpinulla da fare, non lo salveremo. Bianchon e il chirurgo rimisero il morente disteso sul suo infetto giaciglio. - Bisognerebbe perzcambiargli la biancheria - disse il medico. - Sebbene non ci sia alcuna speranza, si deve rispettare in lui la natura umana. Tornerz, Bianchon - disse allo studente. - Se si lamentasse ancora, applicategli dell'oppio sul diaframma. Il chirurgo e il medico uscirono. - Andiamo, Eugenio, coraggio, figlio! - disse Bianchon a Rastignac quando furono soli, bisogna mettergli una camicia pulita e cambiare la biancheria. Va' a dire a Silvia che porti su le lenzuola e che ci venga ad aiutare. Eugenio scese e trovzla signora Vauquer occupata ad apparecchiare la tavola insieme a Silvia. Alle prime parole che le rivolse Rastignac, la vedova gli si avvicinz, assumendo l'aria agrodolce d'una commerciante sospettosa che non voglia npperdere il suo denaro, npurtare il cliente. - Caro signor Eugenio - essa rispose - lo sapete bene quanto me, papjGoriot non ha pi un soldo. Dare le lenzuola a un uomo che sta per morire, significa perderle, tanto piche se ne dovrjsacrificare una come sudario. Per cui, voi mi dovete gijcentoquarantaquattro franchi; mettete quaranta franchi di lenzuola, e qualche altra piccola cosa, la candela che vi darjSilvia: tutto questo fa almeno duecento franchi, che una povera vedova come me non si puzpermettere il lusso di perdere. Eh!, insomma, siate giusto, signor Eugenio; ho perduto gijabbastanza in questi cinque giorni, da quando la jettatura ha preso stanza in casa mia. Avrei pagato io dieci scudi perchpquel buon uomo se ne fosse gijandato i giorni scorsi, come avevate detto. Il suo stato fa una brutta impressione sui pensionanti. Se si trattasse d'una lieve indisposizione lo farei portare all'ospedale. Infine, mettetevi al mio posto. La mia pensione prima di tutto; essa qla vita, per me. Eugenio risalurapidamente da papjGoriot. - Bianchon, e il denaro dell'orologio? - Êsul tavolo, ne restano trecentosessanta e pochi altri franchi. Con quanto mi hanno dato ho pagato tutto quel che dovevamo. La ricevuta del Monte di Pietjsta sotto il denaro. - Prendete, signora - disse Rastignac dopo aver sceso a precipizio la scala in preda a un senso d'orrore - saldate i conti. Il signor Goriot non rimarrja lungo in casa vostra, e neppure io... - Su , uscirjcoi piedi in avanti, il povero buon uomo - essa disse contandosi duecento franchi con un'aria metjlieta e metjmalinconica. - Facciamo presto - disse Rastignac. - Silvia, dategli le lenzuola e andate sopra, ad aiutare questi signori. - Non vi dimenticherete di Silvia - disse la signora Vauquer all'orecchio di Eugenio - ha fatto due nottate. Non appena Eugenio ebbe voltato le spalle, la vecchia corse dalla cuoca: - Prendi le lenzuola rivoltate, numero sette. Saranno sempre abbastanza buone per un morto - le disse all'orecchio. Eugenio, che aveva gijsalito qualche gradino della scala, non sentule parole della vecchia padrona. - Su - gli disse Bianchon - cambiamogli la camicia. Tienilo ritto. Eugenio si pose a capo del letto e sorresse il moribondo, cui Bianchon tolse la camicia; il buon uomo fece un gesto come per conservare qualcosa sul suo petto, ed emise grida lamentose e inarticolate, come gli animali quando hanno da esprimere un grande dolore. - Oh!, oh! - disse Bianchon - vuole una catenina di capelli e un medaglione che gli abbiamo levato poco fa, per applicargli i cauteri. Pover'uomo. Bisogna ridargliela. Sta sul caminetto. Eugenio andza prendere una catenina di capelli intrecciati biondo cenere, senza dubbio quelli della signora Goriot. In una faccia del medaglione lesse: Anastasia; nell'altra: Delfina. Immagine del suo cuore che riposava sempre sul suo cuore. I boccoli contenuti nel medaglione erano talmente fini, che dovevano essere stati presi durante la prima infanzia delle due figlie. Quando il medaglione tocczil suo petto, il vecchio fece un "han!" prolungato, che significava una soddisfazione, ma pur spaventosa a vedersi. Era una delle ultime manifestazioni della sua sensibilitj , che sembrava ritrarsi verso quel centro sconosciuto da cui partono e a cui s'indirizzano le nostre simpatie. Il suo viso convulso assunse un aspetto di gioia malata. I due studenti, colpiti da quel tremendo scoppio di una forza di sentimento che sopravviveva al pensiero, piansero calde lacrime sul morente, che gettzun grido di piacere acuto. - Nasia! Fifina! - disse. - Vive ancora - fece Bianchon. - E a che gli serve? - disse Silvia. - A soffrire - rispose Rastignac. Dopo aver fatto al suo camerata un segno per indicargli d'imitarlo, Bianchon si mise in ginocchio per poter passare le sue braccia sotto le gambe del malato, mentre Rastignac faceva altrettanto dall'altra parte del letto, per poter passare le sue mani sotto la schiena. Silvia era lu , pronta a levare le lenzuola non appena il moribondo fosse stato sollevato, per rimpiazzarle con quelle da lei portate. Ingannato senza dubbio dalle lacrime, Goriot uszle ultime sue forze per stendere le mani, incontrzd'ambo i lati del letto le teste degli studenti, le prese con violenza per i capelli, e si ududebolmente: "Ah!, miei angeli!". Due parole, due mormorii accentuati dall'anima, che su quelle parole s'involz. - Pover'uomo - disse Silvia intenerita da quella esclamazione, ove s'era espresso un sentimento supremo che la piorribile e la piinvolontaria delle menzogne aveva esaltato un'ultima volta. L'ultimo sospiro di quel padre doveva essere un sospiro di gioia. Quel sospiro fu l'espressione di tutta la sua vita: s'ingannava ancora! PapjGoriot fu pietosamente riadagiato sul suo giaciglio. A partire da quel momento, la sua fisionomia conservz la dolorosa impronta del combattimento impegnato tra la morte e la vita in un organismo che non aveva piquella specie di coscienza cerebrale da cui risultano i sentimenti di piacere e di dolore per l'essere umano. Ma era soltanto questione di tempo; poi, sarebbe sopravvenuto il disfacimento. - Resterjcosuqualche ora, e morirjsenza che ce ne accorgiamo, non rantolerjneppure. Il cervello deve ormai essere completamente invaso dal siero. In quel momento si sentuun passo di giovane donna ansimante. - Arriva troppo tardi - disse Rastignac. Non era Delfina, era Teresa, la sua cameriera - Signor Eugenio - disse - qscoppiata una scenata violenta tra il signore e la signora, a proposito del denaro chiesto dalla mia povera signora per suo padre. E' svenuta, qaccorso il medico, ha dovuto farle un salasso, e lei gridava: "Mio padre muore, voglio rivedere il mio papj !". Grida, credete, da spezzare il cuore. - Basta, Teresa. Anche se venisse, adesso sarebbe inutile, papjGoriot ha perduto conoscenza. - Povero signore, ma allora qmolto grave! - disse Teresa. - Se non avete pibisogno di me, vado a pensare al pranzo, sono gijle quattro e mezza disse Silvia, che poco mancznon si scontrasse in cima alla scala con la signora de Restaud. Fu un'apparizione grave e terribile, quella della contessa. Essa guardzil letto del morto, mal rischiarato da una sola candela, e pianse quando vide la maschera di suo padre, sulla quale palpitavano ancora gli ultimi sussulti della vita. Bianchon si ritirz, per discrezione. - Non sono arrivata in tempo - disse la contessa a Rastignac. Lo studente fece con la testa un cenno affermativo, pieno di tristezza. La signora de Restaud prese la mano di suo padre, la baciz. - Perdonatemi, padre mio! Dicevate che la mia voce vi avrebbe richiamato dalla tomba; ebbene! tornate un momento alla vita per benedire vostra figlia, pentita. Ascoltatemi. Tutto cizqspaventoso!, la vostra benedizione qla sola che io possa ormai ricevere su questa terra. Tutti mi odiano, voi solo mi amate. Anche i miei figli mi odieranno. Portatemi con voi, vi amerz, vi assisterz. Non mi sente pi, divento pazza. - Cadde in ginocchio, e contemplz quel resto umano con una espressione di delirio. - Nulla pimanca alla mia sciagura - disse guardando Eugenio. - Il signor de Trailles qpartito, lasciando debiti enormi, e ho saputo che mi tradiva. Mio marito non mi perdonerjmai, e l'ho lasciato padrone dei miei averi. Ho perduto tutte le mie illusioni. Ahimq ! per chi ho tradito il solo cuore (indiczsuo padre) da cui ero adorata! L'ho rinnegato, l'ho respinto, gli ho dato mille dispiaceri, infame che sono! - Egli lo sapeva - disse Rastignac. In quel momento papjGoriot schiuse gli occhi, ma per effetto d'una convulsione. Il gesto che rivelava la speranza della contessa non fu meno orrendo a vedersi che l'occhio del morente. - Mi sentirj ? - esclamzla contessa. - No - essa si rispose, sedendosi vicino al letto. Avendo la signora de Restaud espresso il desiderio di vegliare suo padre, Eugenio scese per prendere un po' di cibo. I pensionanti erano gijriuniti. - Ebbene - gli domandzil pittore - pare che su staremo per avere un piccolo mortorama, q vero? - Carlo - gli rispose Eugenio - mi sembra sarebbe piopportuno che scherzaste su qualche argomento meno lugubre. - Allora qui non si potrjpiridere? - riprese a dire il pittore. - Cosa c'qdi male, se Bianchon dice che il buon uomo ha perduto conoscenza? - E poi - disse l'impiegato al Museo - lui morirjcome ha vissuto. - Mio padre qmorto - gridzla contessa. A questo grido terribile, Silvia, Rastignac e Bianchon salirono e trovarono la signora de Restaud svenuta. Dopo averla fatta rinvenire, la trasportarono nella carrozza che l'attendeva. Eugenio l'affidzalle cure di Teresa, ordinandole di condurla in casa della signora de Nucingen. - Oh!, qproprio morto - disse Bianchon scendendo. - Andiamo, signori, a tavola - disse la signora Vauquer - la zuppa si fredda. I due studenti si misero vicini. - Che si deve fare adesso? - domandzEugenio a Bianchon. - Gli ho gijchiuso gli occhi, e l'ho composto. Quando il medico comunale avrj constatato il decesso che adesso andremo a denunciare, lo si cucirjentro un lenzuolo e lo si sotterrerj . Che ne sarjdi lui? - Non odorerjpiil pane cosu- disse un pensionante imitando la smorfia del buon uomo. - Sacramento!, signori - disse il ripetitore - lasciate stare papjGoriot, e non ce ne fate fare un'indigestione; qda un'ora che ci qstato servito in tutte le salse! Uno dei privilegi della brava cittjdi Parigi qquello di poter nascere, vivere, morire senza che nessuno ci faccia attenzione. Approfittiamo perciz dei vantaggi della civiltj . Oggi sono morte sessanta persone; vi volete proprio impietosire delle ecatombi parigine? Se papjGoriot q crepato, tanto meglio per lui! Se lo adoravate, andate a vegliarlo, e a noi lasciateci mangiare in pace. - Oh!, su- disse la vedova - meglio per lui che sia morto! Pare che il pover'uomo abbia avuto parecchi dispiaceri, durante la sua vita. Questa fu la sola orazione funebre di un essere che, per Eugenio, rappresentava la Paternitj . I quindici pensionanti si misero a parlare come il solito. Quando Eugenio e Bianchon ebbero finito di mangiare, il rumore delle forchette e dei cucchiai, le risa della conversazione, le diverse espressioni di quelle facce ingorde e indifferenti, la loro noncuranza, tutto, insomma, li ghiaccizd'orrore. Uscirono per andare a chiamare un prete che vegliasse e pregasse durante la notte vicino al morto. Fu loro necessario limitare gli estremi doveri da compiere verso il buon uomo entro la piccola somma di cui potevano disporre. Verso le nove di sera, la salma fu collocata su di una brandina, tra due candele, in quella camera nuda, e un prete venne a sedersi accanto a essa. Prima di coricarsi Rastignac, dopo aver chiesto informazioni al prete sul prezzo del servizio funebre e su quello del trasporto, scrisse due righe al barone de Nucingen e al conte de Restaud, pregandoli d'inviare loro incaricati per provvedere a tutte le spese della sepoltura. Mandzloro Cristoforo, poi si coricze s'addormentzaffranto dalla stanchezza. L'indomani mattina Bianchon e Rastignac dovettero recarsi essi stessi a denunciare il decesso, che verso mezzodufu constatato. Due ore dopo nessuno dei due generi aveva inviato il denaro, nessuno s'era presentato a loro nome, e Rastignac aveva gijdovuto pagare gli onorari del prete. E poichpSilvia aveva domandato dieci franchi per cucire il buon uomo nel lenzuolo e disporlo nella cassa, Eugenio e Bianchon calcolarono che, se i parenti del morto non avessero sopperito ad alcuna spesa, essi sarebbero appena riusciti a provvedervi. E allora lo studente in medicina prese lui stesso l'incarico di porre il cadavere in una cassa da povero, che fece venire dall'ospedale, dove potppagarla al minor prezzo. - Fa' uno scherzo a quei bei tipi lj- disse a Eugenio. - Vai ad acquistare un'area, per cinque anni, al Pq re-Lachaise, e ordina un servizio di terza classe in chiesa e alle pompe funebri. Se i generi e le figlie si rifiuteranno di rimborsarti, tu farai incidere sulla tomba queste parole: "Qui giace il signor Goriot padre della contessa de Restaud e della baronessa de Nucingen sepolto a spese di due studenti". Eugenio seguuil consiglio dell'amico solo dopo essere stato inutilmente dal signore e dalla signora de Nucingen e dal signore e dalla signora de Restaud. Non potpvarcare la soglia. I portieri avevano ricevuto ordini rigorosi: - Il signore e la signora - dissero - non ricevono nessuno, qmorto il padre, e sono immersi nel pivivo dolore. Eugenio aveva ormai sufficiente esperienza del mondo parigino per sapere che non doveva insistere. Si sentuuna strana stretta al cuore quando si vide nell'impossibilitjdi giungere fino a Delfina. "Vendete un gioiello", le scrisse dalla guardiola del portiere, "ma che vostro padre sia almeno portato decentemente alla sua ultima dimora". Sigillzil biglietto e pregzil portiere del barone di consegnarlo a Teresa per la signora; ma il portiere lo consegnzinvece al barone de Nucingen, che lo gettznel fuoco. Dopo aver fatto tutti i suoi passi Eugenio tornzverso le tre alla pensione, e non potptrattenere una lacrima quando vide, alla porta di servizio, la cassa coperta appena da un drappo nero, disposta su due sedie, presso quella strada deserta. Un brutto aspersorio, che nessuno aveva ancora toccato, era immerso in una piluccia di rame argentato piena d'acqua benedetta. La porta non era stata neppure parata a lutto. Era la morte dei poveri, che non ha fasto, npseguito, npamici, npparenti. Bianchon, costretto a rimanere in ospedale, aveva scritto due righe a Rastignac per fargli sapere quanto aveva combinato con la chiesa. Lo studente gli comunicava che una messa costava troppo, che bisognava contentarsi del servizio, pieconomico, della sola benedizione, e che aveva mandato Cristoforo, con un biglietto, alle pompe funebri. Nel momento in cui Eugenio finiva di leggere gli scarabocchi di Bianchon, vide tra le mani della signora Vauquer il medaglione cerchiato d'oro che conteneva i capelli delle due figlie. - Come avete osato prendere quell'oggetto? - le chiese. - Diamine, si doveva forse sotterrarlo con quello? - rispose Silvia: - qd'oro. - Certo! - riprese Eugenio, indignato - che almeno porti con spla sola cosa che possa rappresentare le sue due figlie. Quando giunse il carro funebre, Eugenio fece riportare su la cassa, la schiodze pose religiosamente sul petto del buon uomo una immagine che si riferiva a un tempo in cui Delfina e Anastasia erano giovani, vergini e pure, e "non facevan tanti ragionamenti", com'egli aveva detto nei suoi gridi di agonizzante. Solo Rastignac e Cristoforo, con due becchini, accompagnarono il carro che portava il pover'uomo a Saint-Etienne-du Mont, chiesa poco distante dalla via Neuve-Sainte-Geneviq ve. Giunti lu , la cassa fu portata in una piccola cappella bassa e oscura, nella quale lo studente cerczinvano le due figlie di papjGoriot o i loro mariti. Era solo con Cristoforo, che si credette in dovere di rendere gli estremi servigi a un uomo che gli aveva fatto guadagnare qualche buona mancia! In attesa dei due preti, del chierico e del sagrestano, Rastignac strinse la mano di Cristoforo, senza poter pronunciare una parola. - Su , signor Eugenio - disse Cristoforo - era un bravo e onest'uomo, che non alzava mai la voce, che non faceva danno a nessuno e non ha mai fatto del male. I due preti, il chierico e il sagrestano entrarono e diedero tutto quel che si puzper settanta franchi in un'epoca in cui la religione non qcosuricca da pregare gratis. Il clero cantzun salmo, il "Libera", il "De profundis". La funzione durzventi minuti. Fuori non c'era che una sola vettura delle pompe funebri per il prete e il chierico, i quali acconsentirono a ospitare Eugenio e Cristoforo. - Appresso non viene nessuno - disse il prete; - potremo andare pisvelti per non fare tardi; son gijle cinque e mezza. Ma nel momento in cui la salma fu introdotta nel carro funebre, due carrozze blasonate, ma vuote, quella del conte de Restaud e quella del barone de Nucingen, apparvero e seguirono il convoglio fino al Pq re-Lachaise. Alle sei la salma di papjGoriot fu calata nella fossa, attorno alla quale si trovavano domestici delle sue figlie, che scomparvero col clero non appena fu recitata la breve preghiera dovuta al buon uomo per il denaro all'uopo versato dallo studente. Quando i due affossatori ebbero gettato poche palate di terra sulla cassa, per nasconderla, si rialzarono e uno d'essi, rivolgendosi a Rastignac, gli chiese la mancia. Eugenio si frugz nella tasca e, non avendovi trovato nulla, fu costretto a farsi prestare venti soldi da Cristoforo. Questo particolare, di poca importanza in se stesso, provoczin Eugenio un senso d'orrenda tristezza. La giornata volgeva al tramonto, un umido crepuscolo eccitava i suoi nervi; guardzla tomba e vi inumzl'ultima lacrima della sua giovent, quella lacrima strappata dalle tante emozioni d'un cuore puro, una di quelle lacrime che, dalla terra in cui cadono, risalgono fino al cielo. Incrocizle braccia, contemplzle nubi. Vedendolo in quell'atteggiamento, Cristoforo penszbene di lasciarlo. Rastignac, rimasto solo, fece qualche passo verso la parte alta del cimitero, e vide Parigi tortuosamente distesa lungo le due rive della Senna, ove cominciavano ad accendersi i lumi. I suoi occhi si fissarono quasi avidamente tra la colonna della piazza Vendome e la cupola degli Invalidi, lj , dove viveva quel bel mondo nel quale aveva voluto penetrare. Egli gettzsu quell'alveare ronzante uno sguardo che sembrava assorbirne in anticipo il miele, e pronuncizqueste parole grandiose: - E ora, a noi due! E come primo atto di sfida lanciato alla societj , Rastignac andza pranzo dalla signora de Nucingen. Sachp , settembre 1834