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PMI Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 00202046 Anno XXII - Numero 1 - Gennaio 2016 - Direzione e Redazione: Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (Mi) Tariffa R.O.C.: Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano 2016 IL MENSILE DELLA PICCOLA E MEDIA IMPRESA 1 • Disciplina dei rimborsi dell’Imposta sul Valore Aggiunto • Iscrizione in bilancio di avviamento acquisito a titolo oneroso: implicazioni contabili e fiscali • Rivalutazione immobili “in eccesso”: le regole civilistiche e fiscali • Rimborsi chilometrici corrisposti ai lavoratori: trattamento fiscale • Internazionalizzazione: le strategie • Cruscotti di controllo aziendale - La “Balanced Scorecard” • Il “Business Model Canvas”: un nuovo strumento per sviluppare l’impresa • Il prezzo: valore percepito dai clienti e profittabilità • Criteri da applicare per la scelta degli investimenti Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. SOMMARIO AMMINISTRAZIONE Disciplina dei rimborsi dell’Imposta sul Valore Aggiunto di Roberta Bianchi........................................................................................................................... 5 Iscrizione in bilancio di avviamento acquisito a titolo oneroso: implicazioni contabili e fiscali di Luca Di Penta .............................................................................................................................. 14 Rivalutazione immobili “in eccesso”: le regole civilistiche e fiscali di Corrado Fenici ............................................................................................................................. 22 Rimborsi chilometrici corrisposti ai lavoratori: trattamento fiscale di Antonio Veneruso ...................................................................................................................... FINANZA & CREDITO Internazionalizzazione: le strategie di Gabriele Toma ............................................................. .............................................................. CONTROLLO DI GESTIONE 27 31 Cruscotti di controllo aziendale - La “Balanced Scorecard” di Amedeo De Luca ........................................................... ........................................................... 40 Il “Business Model Canvas”: un nuovo strumento per sviluppare l’impresa di Antonio Ferrandina ......................................................... .......................................................... 45 Il prezzo: valore percepito dai clienti e profittabilità di Marco Orlandi.............................................................. ............................................................... 50 Criteri da applicare per la scelta degli investimenti di Teresa Tardia ............................................................... ............................................................... PMI 57 3 n. 1/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Redazione Per informazioni in merito a contributi, articoli ed argomenti trattati scrivere o telefonare a: IL MENSILE DELLA PICCOLA E MEDIA IMPRESA Editrice Wolters Kluwer Italia S.r.l. Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) Direttore Responsabile: Giulietta Lemmi Redazione Paola Boniardi, Carla Brunazzi, Rosa Ronsivalle Realizzazione grafica Ipsoa - Gruppo Wolters Kluwer Fotocomposizione Integra Software Services Pvt. Ltd. IPSOA Redazione e-mail: [email protected] sito internet: www.edicolaprofessionale.com/pmi Casella postale 12055 - 20120 Milano telefono (02) 82476.087 telefax (02) 82476.227 Distribuzione Vendita esclusiva per abbonamento Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 589 del 5 novembre 1994 Iscritta nel Registro Nazionale della Stampa con il n. 3353 vol. 34 Foglio 417 in data 31 luglio 1991 Iscrizione al R.O.C. n. 1702 Abbonamenti Gli abbonamenti hanno durata annuale, solare: gennaio-dicembre; rolling: 12 mesi dalla data di sottoscrizione, e si intendono rinnovati, in assenza di disdetta da comunicarsi entro 60 gg. prima della data di scadenza a mezzo raccomandata A.R. da inviare a Wolters Kluwer Italia S.r.l. Strada 1 Pal. F6 Milanofiori 20090 Assago (MI). Servizio Clienti: tel. 02.824761 e-mail: [email protected] www.servizioclienti.wki.it PUBBLICITÀ: Italia abbonamento annuale: € 181,00 + IVA db Consulting srl Event & Advertising via Leopoldo Gasparotto 168 - 21100 Varese tel. 0332/282160 - fax 0332/282483 e-mail: [email protected] www.db-consult.it Amministrazione Per informazioni su gestione abbonamenti, numeri arretrati, cambi d’indirizzo, ecc. 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I Suoi recapiti postali e il Suo indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi dell’art. 130, comma 4, del D.Lgs. n. 196/2003, anche a fini di vendita diretta di prodotti o servizi analoghi a quelli oggetto della presente vendita. Lei potrà in ogni momento esercitare i diritti di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 196/2003, fra cui il diritto di accedere ai Suoi dati e ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di opporsi al trattamento dei Suoi dati ai fini di invio di materiale pubblicitario, vendita diretta e comunicazioni commerciali e di richiedere l’elenco aggiornato dei responsabili del trattamento, mediante comunicazione scritta da inviarsi a: Wolters Kluwer Italia S.r.l. - PRIVACY - Centro Direzionale Milanofiori Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), o inviando un Fax al numero: 02.82476.403. A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE IVA Disciplina dei rimborsi dell’Imposta sul Valore Aggiunto di Roberta Bianchi - Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili Per quanto attiene la disciplina dei rimborsi IVA l’Agenzia delle entrate aveva emanato la circolare n. 32/E del 30 dicembre 2014 nella quale erano stati forniti i primi chiarimenti in merito alla nuova disciplina dei rimborsi dell’IVA di cui all’art. 38-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come sostituito dall’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 ma il 27 ottobre 2015 ha fornito ulteriori chiarimenti nella circolare n. 35/E su alcune questioni interpretative sollevate successivamente all’emanazione della citata circolare e nello specifico: Chiarimenti 1) termini per la presentazione della dichiarazione integrativa a seconda che venga variata la modalità di utilizzo del credito o apposto il solo visto di conformità/sottoscrizione alternativa; 2) dichiarazione sostitutiva: come procedere nel caso di omissione della compilazione; 3) dichiarazione sostitutiva - Cessioni di azioni o quote infragruppo - art. 38-bis, comma 3, lett. b) del D.P.R. n. 633/1972; 4) avvisi di accertamento relativi all’imposta di registro e all’imposta sostitutiva; 5) accertamenti definiti mediante accertamento con adesione o conciliazione giudiziale; 6) calcolo degli interessi ai fini dell’ammontare da garantire nel modello di cauzioni in titoli di Stato per garantire il rimborso dell’IVA; 7) Mod. TR presentato per anni d’imposta antecedenti il 2015; 8) possibilità di inviare un nuovo Mod. TR dopo la scadenza del termine di presentazione per modificare i dati presenti nel quadro TD; 9) dichiarazione sostitutiva con riferimento al presupposto di cui all’art. 30, lett. e) del D.P.R. n. 633/1972 (rappresentante fiscale); 10) garanzia per compensazioni IVA di gruppo. Per quanto attiene il punto 1) l’Agenzia delle entrate rileva che come chiarito con circolare n. 32/E del 31 dicembre 2014, la nuova formulazione dell’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972 elimina l’obbligo generalizzato di prestare la garanzia per ottenere l’esecuzione del rimborso IVA. A decorrere dal 13 dicembre 2014 viene, infatti, riconosciuta al contribuente la possibilità di ottenere i rimborsi di importo superiore a 15.000 euro presentando, in alternativa alla garanzia, ai sensi del comma 6, una dichiarazione annuale o un’istanza trimestrale munita di visto di conformità, o sottoscrizione alternativa, e una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà attestante la sussistenza dei requisiti patrimoniali stabiliti dalla norma. Tanto premesso, nei casi: – apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione con la quale viene chiesto il rimborso; – revoca in tutto o in parte dell’importo originariamente chiesto a rimborso; PMI 5 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE – incremento dell’importo chiesto a rimborso e proporzionale riduzione dell’importo chiesto in compensazione o detrazione è possibile presentare la dichiarazione integrativa entro i termini previsti dall’art. 2, comma 8-bis del D.P.R. n. 322/1998, ossia entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo. In particolare, si osserva quanto segue: a) nel caso in cui la mancata apposizione del visto di conformità o della sottoscrizione alternativa sia stata frutto di errore o di omissione, al fine di applicare la nuova disciplina dell’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972, è possibile correggere l’errore o l’omissione mediante presentazione di una dichiarazione integrativa. Tuttavia, per i rimborsi chiesti prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 38-bis ma non ancora eseguiti a quella data, laddove sia ormai decorso il termine fissato dal citato art. 2, comma 8-bis, per la rettifica della dichiarazione, la conformità della dichiarazione originaria potrà essere attestata anche mediante presentazione di un’autonoma attestazione, rilasciata ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. n. 241/1997, da un professionista abilitato. Con tale procedura è possibile regolarizzare anche la mancata apposizione del visto di conformità alla dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2013, i cui termini di rettifica sono scaduti al 30 settembre 2015; b) e c) la possibilità di variare la scelta di utilizzo del credito IVA originariamente effettuata dal contribuente, è stata, invece, affrontata in alcuni documenti di prassi che si sono succeduti nel tempo. Con circolare n. 17/E/2011 è stato chiarito che, in caso di mancata prestazione della garanzia, il contribuente può rettificare la richiesta di rimborso presentando, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, una dichiarazione integrativa, al fine di indicare il medesimo credito (o parte di esso) come eccedenza da utilizzare in detrazione o compensazione (variazione del Quadro VX). Successivamente, con circolare n. 25/E/2012, è stato preso in considerazione il disallineamento tra la disciplina delle imposte sul reddito e la disciplina IVA, verificatosi a seguito dell’introduzione nell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998 del comma 8-ter. Tale disposizione prevede, infatti, che le dichiarazione dei redditi e dell’IRAP possano essere integrate dai contribuenti per modificare la originaria richiesta di rimborso “esclusivamente per la scelta della compensazione, sempreché il rimborso stesso non sia stato già erogato anche in parte, mediante dichiarazione da presentare entro 120 giorni dalla scadenza del termine”. Con il sopracitato documento di prassi è stato, dunque, chiarito che, in analogia a quanto disposto per le imposte sul reddito e per l’IRAP, può essere revocata in tutto o in parte la richiesta di rimborso IVA al fine di utilizzare il credito in compensazione, mediante presentazione di una dichiarazione integrativa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo. Tale indirizzo interpretativo, che, ai fini IVA, riconduce la rettifica in argomento nell’ambito della dichiarazione integrativa da presentarsi entro i termini ordinari previsti dal comma 8-bis, trova conferma nella recente ordinanza n. 15180 del 2 luglio 2014 della Corte di cassazione, secondo cui il carattere innovativo dell’art. 7, comma 2, lett. i), del D.L. n. 70/2011, “consente… di affermare che prima dell’introduzione di tale meccanismo non fosse possibile modificare l’oggetto della domanda di rimborso, se non nei limiti di cui allo stesso D.P.R. n. 322/1998, art. 2, commi 8 e 8-bis, che disciplina espressamente le modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle 6 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi della Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 136”. In coerenza con tale argomentazione, il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 gennaio 20111, nel dare attuazione all’art. 38-bis, al paragrafo 1.3 ha disposto, con riferimento ai rimborsi in conto fiscale, che “La rettifica della somma richiesta a rimborso in conto fiscale avviene mediante presentazione di una dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto o di una dichiarazione unificata integrativa.”. Tale principio, che riconduce nell’ambito della dichiarazione integrativa la possibilità di modificare la scelta relativa alle modalità di restituzione del credito IVA, è applicabile, per le ragioni sopra esposte, anche al caso in cui la rettifica si riferisca ad un rimborso chiesto mediante procedura ordinaria. Da ultimo, si rileva che la Corte di cassazione, nel sottolineare la rilevanza, in materia di esecuzione dei rimborsi IVA, degli atti regolamentari dell’Amministrazione finanziaria, ha osservato che “la facoltà di revoca della scelta di utilizzo del credito operata dal contribuente non risulta espressamente disciplinata ex lege (art. 30 e 38-bis del D.P.R. n. 633/1972), trattandosi di aspetto attinente alle modalità esecutive delle forme di impiego del credito d’imposta che le norme di legge demandano alla disciplina regolamentare od amministrativa” è, pertanto, necessario verificare “se - eventualmente - detta facoltà riceva riconoscimento e regolamentazione nelle fonti normative secondarie o nelle c.d. ‘norme interne’ adottate con atti amministrativi di natura organizzativa - volte a conformare le attività procedimentali degli Uffici finanziari.”. A tale categoria di atti, rilevanti ai fini delle modalità della richiesta di restituzione del credito, appartiene il citato Provvedimento del 28 gennaio 2011, sopra citato, che dà attuazione all’art. 38-bis, stabilendo le ulteriori modalità ed i termini per l’esecuzione dei rimborsi. Ne consegue che, laddove il contribuente voglia modificare l’originaria domanda di restituzione, deve presentare una dichiarazione integrativa, ai sensi del citato art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322/1998, sia che voglia ridurre l’ammontare del credito chiesto a rimborso, come chiarito con la citata circolare n. 25/2012, sia che voglia chiedere un rimborso maggiore di quello indicato in dichiarazione. Con riferimento alla richiesta di un maggior rimborso si devono, pertanto, intendere superate le indicazioni fornite con la circolare n. 32/E/2014 e con circolare n. 6/E del 19 febbraio 2015, nelle quali era stato affermato che, laddove il contribuente avesse voluto chiedere a rimborso un ammontare più alto rispetto a quello originariamente richiesto, avrebbe dovuto presentare una dichiarazione integrativa, eventualmente munita di visto, entro i 90 giorni dalla scadenza della presentazione della dichiarazione. Per quanto attiene il punto 2) invece l’Agenzia rileva che l’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972, come recentemente modificato dal D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, prevede al comma 3 che “alla dichiarazione o istanza è allegata una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, a norma dell’art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445”. Pertanto - fermo restando quanto già chiarito con la circolare n. 32/E del 2014 paragrafo 2.5.2. con riferimento alle istanze di rimborso pregresse - a differenza di quanto avveniva ai fini della presentazione dell’attestazione di “virtuosità” ai sensi della previgente normativa, non si ritiene possibile la presentazione di detta dichiarazione sostitutiva in un momento successivo alla dichiarazione/istanza. La dichiarazione sostitutiva potrà essere prodotta successivamente, secondo le modalità previste dai modelli dichiarativi, solo qualora venga presentata una dichiarazione correttiva/ integrativa. In riferimento al punto 3) la circolare esplica che tra i requisiti necessari ai fini dell’erogazione dei rimborsi IVA senza la prestazione della garanzia, il comma 3 dell’art. 38-bis del D.P.R. PMI 7 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE n. 633/1972 richiede che non risultino cedute, se la richiesta di rimborso è presentata da società di capitali non quotate nei mercati regolamentati, nell’anno precedente la richiesta, azioni o quote della società stessa per un ammontare superiore al 50% del capitale sociale. A tale riguardo è irrilevante la circostanza che il soggetto ceda le azioni o quote nell’ambito dello stesso gruppo, in quanto il requisito della solidità patrimoniale previsto dalla norma verrebbe comunque meno in capo al soggetto richiedente. Pertanto, la presenza di cessioni che superino l’anzidetta percentuale anche nell’ambito dello stesso gruppo implica l’assenza del requisito richiesto dall’art. 38-bis, comma 3, lett. b), con la conseguenza che il contribuente sarà tenuto alla prestazione della garanzia ai fini dell’erogazione del rimborso. In riferimento al punto 4 viene rilevato che l’art. 38-bis, comma 4, lett. b), prevede che sono eseguiti previa prestazione della garanzia “i rimborsi di ammontare superiore a 15.000 euro quando richiesti… b) da soggetti passivi ai quali, nei due anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore: 1) al 10 per cento degli importi dichiarati se questi non superano 150.000 euro; 2) al 5 per cento degli importi dichiarati se questi superano 150.000 euro ma non superano 1.500.000 euro; 3) all’1 per cento degli importi dichiarati, o comunque a 150.000 euro, se gli importi dichiarati superano 1.500.000 euro”. Nel caso in cui le imposte siano dovute non in base alla dichiarazione bensı̀ ad un atto, come accade per l’imposta di registro, per determinare la differenza tra l’imposta dichiarata e l’imposta accertata è necessario fare riferimento ai dati riportati nell’atto stesso, calcolando la differenza tra l’imposta complessiva che risulta dovuta in base all’atto, considerata pari a zero in ipotesi di omessa registrazione, e la maggiore imposta accertata. Inoltre nel quesito posto in merito a questo punto 4 si chiedeva, al fine di verificare se, ai sensi dell’art. 38-bis comma 4, lett. b) del D.P.R. n. 633/1972, l’esecuzione del rimborso è subordinata alla presentazione della garanzia, come calcolare, la differenza tra imposta dichiarata e imposta accertata nel caso in cui l’avviso di accertamento abbia ad oggetto il recupero dell’imposta sostitutiva ovvero dell’imposta relativa al reddito soggetto a tassazione separata. L’Ufficio risponde che in caso di accertamento avente ad oggetto il recupero dell’imposta sostitutiva, ovvero dell’imposta soggetta a tassazione separata, la verifica dei presupposti che rendono necessaria la prestazione della garanzia ai fini dell’esecuzione del rimborso, deve essere effettuata con riferimento all’imposta oggetto di recupero, tenuto conto dell’autonoma determinazione delle basi imponibili su cui sono calcolate le diverse imposte. Tuttavia, qualora la rettifica comporti l’attrazione a tassazione ordinaria del reddito originariamente sottoposto ad imposta sostitutiva o a tassazione separata, la verifica deve essere effettuata con riferimento all’imposta complessivamente dovuta, calcolata sulla base imponibile oggetto di rettifica e, pertanto, il raffronto deve tener conto di quanto già dichiarato dal contribuente anche titolo di imposta sostituiva o di tassazione separata. Relativamente al punto 5) viene segnalato che con la circolare n. 32/2014 era stato chiarito che “nel computo degli atti da considerare al fine del calcolo degli importi accertati si deve tener conto di tutti quelli notificati nei due anni antecedenti la richiesta di rimborso, prescindendo dall’esito degli stessi, con eccezione degli atti annullati in autotutela o oggetto di sentenze favorevoli al contribuente passate in giudicato”. Al medesimo fine, occorre tenere conto anche degli importi definiti attraverso gli strumenti deflattivi del contenzioso, che rideterminando la misura dei tributi dovuti, rendono definitiva la pretesa erariale. 8 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Ne consegue che ai fini della verifica di cui trattasi, laddove la pretesa erariale risulti rideterminata per effetto di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale o reclamo/mediazione, anche successivamente all’istanza di rimborso, il raffronto tra l’imposta dichiarata e quella accertata deve essere effettuato con riferimento agli importi rideterminati e non a quelli originariamente accertati. Per quanto poi attiene la rilevanza o meno, ai fini dell’applicazione dell’art. 38-bis, comma 4, lett. b) dei seguenti atti: • atti di adesione che non presuppongono la notifica di un avviso di accertamento; • inviti, di cui all’art. 5, comma 1-bis del D.Lgs. n. 218/1997, notificati ma non ancora “accettati” dal contribuente, nel caso in cui l’Ufficio si scosta dalle risultanze del PVC, e, rideterminando la pretesa, dà la possibilità al contribuente di accettare l’invito versando, almeno 15 giorni prima della data fissata per il contraddittorio, le somme dovute con le sanzioni ridotte a 1/6; • adesione al PVC ai sensi all’art. 5-bis dello stesso Decreto legislativo, in base alla quale sono ancora dovute delle somme a seguito del pagamento rateale. Nella circolare si segnala che l’art. 1, comma 637, lett. c), n. 1.2) della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 ha abrogato, a decorrere dal 1˚ gennaio 2015, l’art. 5 comma 1-bis e l’art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997. Tali norme, tuttavia, ai sensi del successivo comma 638 “continuano ad applicarsi agli inviti al contraddittorio in materia di imposte sui redditi, di Imposta sul Valore Aggiunto e di altre imposte indirette, notificati entro il 31 dicembre 2015, e le disposizioni di cui all’art. 5-bis dello stesso Decreto legislativo n. 218 del 1997 continuano ad applicarsi ai processi verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di Imposta sul Valore Aggiunto consegnati entro la stessa data.”. Le suddette disposizioni prevedono, rispettivamente, che il contribuente possa aderire ai contenuti dell’invito al contraddittorio inviato dall’Ufficio competente, ovvero ai contenuti del processo verbale di costatazione, laddove i rilievi mossi non siano suscettibili di ulteriori approfondimenti. Ambedue le possibilità di aderire alla pretesa erariale non presuppongono la preventiva notifica di un avviso di accertamento. Tanto premesso, la scrivente è dell’avviso che nel caso in cui il contribuente aderisca alla proposta dell’Ufficio, ovvero ai rilievi mossi nel processo verbale di constatazione, prima della notifica di un avviso di accertamento, il perfezionamento dell’adesione sia equiparabile alla notifica dell’avviso di accertamento, in quanto atto idoneo a quantificare e definire nel suo esatto ammontare la pretesa erariale. In merito al punto 6) comunica che in considerazione dell’accelerazione in atto nel processo di erogazione dei rimborsi, e coerentemente con la ratio delle disposizioni in materia di rimborsi IVA contenute nel D.Lgs. n. 175/2014, dirette a contrarre le tempistiche e a ridurre i costi per l’esecuzione dei rimborsi, si è ritenuto opportuno modificare l’indirizzo espresso nella circolare n. 32/E del 2014 in merito al computo degli interessi da considerare ai fini del calcolo dell’ammontare garantito. Nel modello approvato con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 26 giugno 2015, infatti, gli interessi relativi al ritardo nell’esecuzione dei rimborsi in procedura semplificata non rilevano ai fini dell’ammontare da garantire. Nel citato Provvedimento di approvazione del modello è stato precisato, pertanto, che “deve ritenersi aggiornato il paragrafo 2.4 della circolare n. 32/E del 30 dicembre 2014 relativamente alla determinazione dell’importo da garantire alla luce delle novità contenute nell’art. 14 del Decreto legislativo n. 175 del 2014”. PMI 9 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Per quanto attiene invece il punto 7 relativo al quesito sul Mod. TR presentato per anni d’imposta antecedenti il 2015 si fa presente che la presentazione della dichiarazione annuale relativa ad anni d’imposta fino al 2014, contenente l’indicazione dei rimborsi trimestrali già presentati, munita di visto di conformità o di sottoscrizione alternativa, assolve alle condizioni di esonero dalla produzione della garanzia previste dal nuovo art. 38-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e consente, pertanto, l’erogazione del rimborso IVA trimestrale senza la presentazione della garanzia. Oltre al visto di conformità o alla sottoscrizione alternativa, l’art. 38-bis prevede che alle dichiarazioni o istanze venga allegata una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante i requisiti patrimoniali e contributivi. Per i rimborsi trimestrali presentati per gli anni di imposta antecedenti il 2014, in presenza dei requisiti e delle condizioni previste per la presentazione della dichiarazione sostitutiva, e sempre che non sussistano le condizioni soggettive di rischio indicate nel comma 4 del nuovo art. 38-bis, la suddetta dichiarazione sostitutiva deve essere presentata all’Ufficio o all’Agente della riscossione competente, allegando la fotocopia del documento d’identità del soggetto legittimato a sottoscriverla. In particolare, ad integrazione di quanto già chiarito con la citata circolare, si precisa che, esclusivamente con riferimento al periodo transitorio, i requisiti e le condizioni previste per la presentazione della dichiarazione sostitutiva, nonché l’assenza delle condizioni soggettive di rischio, andranno valutate con riferimento alla situazione attuale del contribuente alla data di presentazione della dichiarazione integrativa munita del visto di conformità. Qualora la presentazione di una dichiarazione integrativa non sia necessaria, perché la dichiarazione originaria è già stata presentata con il visto di conformità, le predette condizioni andranno verificate alla data di presentazione della sola dichiarazione sostitutiva di atto notorio. La medesima data rileverà anche quando la presentazione della dichiarazione integrativa non sia più consentita per scadenza del termine fissato dall’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322; in questo caso la conformità della dichiarazione originaria potrà essere attestata mediante presentazione di un’autonoma attestazione, rilasciata ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. n. 241/1997 da un professionista abilitato. I rimborsi trimestrali richiesti per l’anno d’imposta 2014, invece, potranno essere erogati senza presentazione della garanzia laddove il modello di dichiarazione annuale contenga il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa, nonché la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Gli interessi, eventualmente sospesi per la mancata consegna della garanzia, riprendono a decorrere dalla data di presentazione della dichiarazione annuale completa di visto di conformità o di sottoscrizione alternativa e di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, o dalla data di presentazione della dichiarazione sostitutiva in caso di istanze trimestrali relative ad anni d’imposta antecedenti il 2014. In merito al punto 8 ci si interroga se il contribuente possa presentare un successivo Mod. TR, dopo la scadenza prevista, per correggere il quadro TD del precedente modello inviato tempestivamente, per motivi diversi rispetto alle ipotesi indicate dalla risoluzione n. 99/E dell’11 novembre 2014. L’Agenzia segnala che, come chiarito dalla risoluzione n. 99/E del 2014, il contribuente può variare la modalità di utilizzo del credito infrannuale presentando un nuovo Mod. TR anche oltre i termini di scadenza previsti dall’art. 8 del D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542, purché prima dell’invio della dichiarazione annuale IVA relativa allo stesso periodo d’imposta. La modifica del Mod. TR tempestivamente presentato non può essere esercitata nel caso in cui l’Ufficio abbia già validato la disposizione di pagamento o nel caso in cui il credito sia stato già utilizzato in compensazione. 10 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Con la stessa modalità e con gli stessi limiti temporali previsti dalla citata risoluzione, si ritiene che possano essere corrette o integrate anche le indicazioni rese con riguardo al presupposto per ottenere il rimborso, nonché alla richiesta di esonero dalla presentazione della garanzia o alla sussistenza dei requisiti per accedere all’erogazione prioritaria, non eseguite o eseguite non correttamente all’interno del quadro TD del Mod. TR tempestivamente presentato. Nel caso di richiesta di esonero dall’obbligo di prestare garanzia, il nuovo Mod. TR dovrà recare il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa e la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante i requisiti patrimoniali e contributivi. Sul punto si precisa che, la presentazione di un Mod. TR recante il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa e la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ma privo del campo 3 del rigo TD8 denominato “Esonero garanzia” compilato con il codice “1”, non preclude l’erogazione del rimborso senza presentazione della garanzia, in assenza delle condizioni di rischio di cui al comma 4 dell’art. 38-bis del D.P.R n. 633/1972. In tal caso, pertanto, non è necessario presentare un nuovo Mod. TR. Con riferimento alla possibilità concessa ai contribuenti di poter modificare anche oltre i termini un Mod. TR presentato tempestivamente, si pone la questione della modalità di calcolo degli interessi. In base alla normativa vigente di riferimento (art. 1 del D.M. 23 luglio 1975, come sostituito dal D.M. 15 febbraio 1979, e art. 1, comma 16, del D.L. 30 dicembre 1991, n. 417), gli interessi per i rimborsi infrannuali, richiesti con il Mod. TR entro la fine del mese successivo al trimestre, decorrono dal giorno 20 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento. Considerato che con la risoluzione n. 99/E del 2014 e con la presente circolare è stata concessa la possibilità di presentare un nuovo Mod. TR anche oltre i termini previsti, al fine di ricostituire il margine temporale che il legislatore ha riconosciuto agli Uffici per l’esecuzione dei rimborsi tempestivamente presentati, gli interessi decorrono dal giorno 20 del mese successivo alla data di presentazione della nuova istanza. Sul punto n. 9 l’art. 38-bis, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, dispone che l’esecuzione dei rimborsi di ammontare superiore a 15.000 euro è subordinata alla presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui emerge il credito richiesto a rimborso, munita del visto di conformità o della sottoscrizione alternativa di cui all’art. 10, comma 7, primo e secondo periodo, del D.L. n. 78/2009. Alla dichiarazione o all’istanza deve essere allegata una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, disciplinata dall’art. 47 del D.P.R. n. 445/ 2000, che attesti la consistenza patrimoniale del richiedente. Sotto il profilo soggettivo, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui al citato art. 47, è disciplinata dall’art. 3 del medesimo Decreto, ai sensi del quale “1. Le disposizioni del presente testo Unico si applicano ai cittadini italiani e dell’Unione Europea, alle persone giuridiche, alle società di persone, alle Pubbliche amministrazioni e agli enti, alle associazioni e ai comitati aventi sede legale in Italia o in uno dei Paesi dell’Unione Europea. 2. I cittadini di Stati non appartenenti all’Unione regolarmente soggiornanti in Italia, possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani. 3. Al di fuori dei casi previsti al comma 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione autorizzati a soggiornare nel territorio dello Stato possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 nei casi in cui la produzione delle stesse avvenga in applicazione di convenzioni internazionali fra l’Italia ed il Paese di provenienza del dichiarante. PMI 11 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE 4. Al di fuori dei casi di cui ai commi 2 e 3 gli stati, le qualità personali e i fatti, sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all’originale, dopo aver ammonito l’interessato sulle conseguenze penali della produzione di atti o documenti non veritieri.”. Ne consegue che, in caso di richiesta di rimborso presentata dal rappresentante fiscale, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, relativa alla consistenza patrimoniale del soggetto titolare del credito chiesto a rimborso, deve essere presentata: a) dal rappresentate fiscale secondo le regole ordinarie nel caso in cui il soggetto titolare del credito sia residente nell’Unione Europea, ovvero nel caso in cui sia residente in uno Stato non appartenente all’Unione Europea, quando la produzione della dichiarazione sostitutiva avvenga in applicazione di convenzioni internazionali tra l’Italia e il Paese di provenienza; b) in tutti gli altri casi la solidità patrimoniale del soggetto titolare del credito ai fini del rispetto delle condizioni prescritte dall’art. 38-bis, comma 3, lett. a), b) e c) del D.P.R. n. 633/1972, può essere attestata mediante la procedura prevista dal comma 4 del citato art. 3 del D.P.R. n. 445/2000. Si ritiene, infatti, che l’esonero dalla garanzia, ammesso dal comma 5 del richiamato art. 38-bis, non pregiudichi le ragioni erariali quando le condizioni che consentono il rimborso siano attestate attraverso un iter amministrativo formalmente diverso ma sostanzialmente analogo a quello previsto dal comma 3 dell’art. 38-bis. Ciò in quanto il procedimento previsto dell’art. 3, comma 4, del D.P.R. n. 445/2000 garantisce comunque la certezza pubblica, consentendo all’Amministrazione finanziaria forme di controllo analoghe a quelle esercitabili sulle dichiarazioni rese in Italia da contribuenti residenti. Resta inteso che la verifica dell’assenza delle condizioni soggettive di rischio indicate nel comma 4 del nuovo art. 38-bis sarà operata dall’Ufficio in relazione all’attività svolta in Italia. Infine l’Agenzia si esprime anche sul tema della Garanzia per compensazioni IVA di gruppo segnalando che le disposizioni contenute nel novellato art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972, in materia di garanzie, trovano applicazione anche nell’ambito della liquidazione dell’IVA di gruppo, in forza del rinvio al citato articolo contenuto nell’art. 6, comma 3, del D.M. delle Finanze 13 dicembre 1979, n. 11065. Il suddetto art. 6, infatti, nel disporre lo specifico obbligo di prestazione di garanzia per le eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell’ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall’ente o società controllante, prevede, altresı̀, che a tal fine si applicano le disposizioni dell’art. 38-bis. Pertanto, tutti gli adempimenti previsti dall’art. 38-bis per l’ottenimento dei rimborsi IVA, compresa la prestazione delle garanzie se dovuta, si applicano anche alle compensazioni nell’ambito dell’IVA di gruppo, nelle medesime forme. Inoltre, ai fini della determinazione dell’importo oggetto della garanzia o della assunzione diretta dell’obbligazione, di cui all’art. 38-bis, si applica la franchigia di cui all’art. 21 del D.M. delle Finanze 28 dicembre 1993, n. 567, anche alle eccedenze di credito compensate nell’ambito della liquidazione IVA di gruppo, nei medesimi limiti previsti per i rimborsi in procedura semplificata, ovvero fino all’importo massimo annuale di cui all’art. 34, comma 1, della Legge n. 388/2000, attualmente determinato in 700.000 euro. Pertanto, nelle ipotesi in cui nell’ambito della liquidazione IVA di gruppo la compensazione debba essere assistita da garanzia, la stessa può riferirsi all’importo eccedente la franchigia in commento, se spettante. L’ammontare non garantito, non può comunque eccedere 12 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE l’importo massimo annuale di 700.000 euro. Ai fini del calcolo della franchigia, il conto fiscale cui fa riferimento l’art. 21 del D.M. n. 567/1993 è quello della società titolare del credito compensato nella liquidazione IVA di gruppo. Qualora le società aderenti all’IVA di gruppo abbiano applicato la franchigia per un importo superiore al limite di cui all’art. 34, comma 1, della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, l’Ufficio procede all’emanazione dell’atto di recupero di cui all’art. 1, comma 421, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311, per la parte eccedente non garantita salvo che il contribuente provveda a prestare o integrare la garanzia, nelle forme previste. In considerazione del richiamo esplicito all’art. 21 del D.M. del 28 dicembre 1993, n. 567, contenuto nello schema di “Assunzione di obbligazione di pagamento” di cui alla circolare 22 giugno 1998, n. 164, senza il limite previsto per i rimborsi in procedura semplificata, si rende applicabile l’art. 10, comma 2, della Legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui è esclusa l’irrogazione di sanzioni e la richiesta di interessi al contribuente, qualora “si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria”. Laddove, infine, a seguito dei chiarimenti resi con questa circolare, le garanzie di cui all’art. 38-bis, comma 6, risultino obbligatorie, l’Ufficio le richiederà in sede di liquidazione del rimborso ovvero, nel caso di compensazione, procederà all’emanazione dell’atto di recupero di cui all’art. 1, comma 421, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311, salvo che il contribuente provveda a prestare la garanzia, nelle forme previste. Anche in tale evenienza, considerata l’incertezza della norma, si rende applicabile il citato art. 10, secondo cui è esclusa l’irrogazione di sanzioni e la richiesta di interessi al contribuente. PMI 13 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Il caso Iscrizione in bilancio di avviamento acquisito a titolo oneroso: implicazioni contabili e fiscali di Luca Di Penta - Dottore commercialista, revisore legale dei conti e giornalista pubblicista Alfa S.p.A., che ha un fatturato di euro 4.500.000, un Patrimonio Netto di euro 800.000 e 35 dipendenti acquista, nel corso del 2015, l’azienda Beta, avente fondate aspettative di redditi futuri superiori al settore in cui opera: il valore dell’avviamento acquisito a titolo oneroso è pari a euro 200.000, documentato da apposita perizia allegata al contratto di compravendita redatto da notaio. L’operazione è esclusa da IVA ai sensi dell’art. 2, n. 3, lett. b) e, per il principio di alternatività, la componente avviamento, indicata separatamente in contratto, è soggetta a Imposta di Registro (Tavola 1), per un ammontare di euro 6.000.L’imposta non ha attinenza con l’avviamento, in quanto la prima può essere rappresentata in bilancio come un costo sospeso, la seconda rappresenta la propensione di Beta a produrre reddito. Pertanto l’importo di euro 6.000 può trovare spazio nella voce B) I.7 Altre Immobilizzazioni Immateriali e ammortizzato tanto civilisticamente quanto fiscalmente nelle stesse modalità e orizzonte temporale dell’avviamento. L’Agenzia delle Entrate utilizza un criterio matematico per quantificare l’avviamento presunto, vale a dire prendendo quale riferimento la media dei ricavi di Beta nel triennio antecedente l’operazione e moltiplicandola per la percentuale di redditività nell’esercizio in cui si pone in essere l’acquisto d’azienda. Tavola 1 - La stima di congruità ai fini dell’Imposta di Registro dell’avviamento Beta Anno 14 Reddito Ricavi 2012 € 75.000 € 1.200.000 2013 € 100.000 € 1.150.000 2014 € 150.000 € 1.600.000 2015 € 100.000 € 1.200.000 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE % redditività 2015 8,33% Reddito € 109.722 Moltiplicatore 3 Avviamento stimato dall’Agenzia delle entrate € 321.875 Un’eventuale rettifica dell’avviamento da parte dell’Agenzia delle entrate è quantificabile quindi in euro 121.875 e in una richiesta di Imposta di Registro pari a euro 3.656 oltre a sanzioni e interessi. È probabile un ricorso da parte del Legale Rappresentante di Alfa, ove questi potrà fornire al giudice la relazione di stima del perito che motiva il valore in atti. L’Assemblea ordinaria di Alfa S.p.A. delibera l’iscrizione nello Stato Patrimoniale dell’avviamento, ai sensi dell’art. 2426, comma 6, c.c., con il consenso del Collegio Sindacale; il valore sarà ammortizzato in 5 anni. Si ricorda che, per effetto delle modifiche intervenute con il D.Lgs. n. 139 del 18 agosto 2015, a decorrere dal 1 gennaio 2016, l’avviamento è ammortizzato sistematicamente in base alla sua vita utile o, qualora non sia possibile prevederla, in 10 anni al massimo. L’avviamento conseguito a titolo oneroso per l’acquisizione di Beta viene rilevato in bilancio ed in Unico Società di capitali. Tavola 2 - Rilevazione dell’avviamento nel bilancio 2015, in UNICO 2016 SC, accensione della fiscalità anticipata Stato Patrimoniale Attivo B) Immobilizzazioni I-Immateriali 5) Avviamento 160.000 C) Attivo circolante II-Crediti 5-ter) Imposte anticipate 9.071 Totale 9.071 Conto Economico 10) Ammortamenti e svalutazioni a) Ammortamento delle immobilizzazioni immateriali 40.000 22) Imposte correnti, differite e anticipate b) Imposte anticipate (9.071) PMI 15 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Mod. UNICO SC 1 RF21 28.889 3 28.889 Mod. IRAP IC48 28.889 La differenza temporanea d’imposta è destinata a riassorbirsi quando, a partire dal periodo d’imposta 2020, si apporterà in UNICO SC e nella dichiarazione IRAP al quadro IC una variazione in diminuzione di euro 11.111 con una riduzione del credito per imposte anticipate pari a euro 3.489. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. n. 139/2015, a partire dal 1˚ gennaio 2016 è stata estesa la possibilità di ammortizzare l’avviamento, con il consenso del Collegio Sindacale, in un orizzonte temporale di 10 anni. La rilevazione dell’avviamento nella valutazione di azienda Il valore di stima autonoma dell’avviamento ha particolare attinenza al metodo misto di valutazione d’azienda, inteso a determinare il valore corrente del Patrimonio Netto e dei flussi di reddito superiori a quelli derivanti dall’impiego ordinario di capitale di rischio e finanziario; quest’ultimo profitto derivante dagli investimenti si può stimare in base a quello ottenuto dalle aziende che operano nel medesimo settore. Per quanto riguarda invece la valutazione dell’azienda, si può prendere come riferimento la somma V=K+A ove K è il Capitale Netto opportunamente rettificato e A è l’avviamento, derivante da extra-reddito futuro prodotto dall’azienda per suoi specifici punti di forza. Nelle PMI il valore A deve tenere conto di un periodo di produzione del Reddito Netto ridotto, vista la difficoltà delle stime future, in un orizzonte di 5 anni. Il valore del Patrimonio Netto Rettificato viene privato dell’eventuale avviamento a titolo oneroso, in quanto il sovra-reddito che esprime va a confluire in A, delle spese di impianto e ampliamento; i leasing vanno valutati con metodo finanziario, considerando i relativi beni di proprietà e il valore attuale dei canoni e dell’eventuale riscatto, se probabile; le rimanenze vanno valutate ai prezzi di mercato dei beni e i debiti delle banche oltre l’anno computando i costi totali attualizzati. Dall’individuazione dei suddetti dati A può essere espresso dalla suddetta formula: A = (Rn-iK) aØ5i’ dove i e i’ differiscono in quanto il primo, tasso di rendimento del capitale, esprime il tasso redditività globale del cluster, omogeneo per settore di attività e dimensioni, di aziende dove è inclusa Alfa S.p.A., mentre i’ è un tasso di remunerazione del capitale di rischio risultante dalla sommatoria del tasso di rendimento dei BTP più un premio di rischio derivante dall’investimento in partecipazioni quotate nella Borsa Italiana e desumibile da apposite tavole statistiche. 16 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Tavola 3 - I metodi di valutazione con individuazione dell’avviamento in una società di capitali di piccole dimensioni Tipologia Metodo di stima Descrizione Particolarità Limiti Stima autonoma dell’avviamento attraverso la quantificazione del Reddito Netto prospettico A=(Rn-iK)aØni’ V=K+ A Dove V è il valore dell’azienda che tiene conto di V, valore del Capitale Netto Rettificato ottenuto dalla valutazione dei beni di proprietà e intangibili, nonché delle obbligazioni verso terzi; l’altro addendo A è costituito dal Capitale Economico derivante dall’attualizzazione in un orizzonte di 5 anni del sovra-reddito potenziale dell’azienda rispetto a quelle del settore Si stima il valore incrementale del Capitale Economico rispetto ai redditi conseguiti nel tempo da aziende del settore e di analoghe dimensioni dato un certo orizzonte temporale. Nel caso in cui l’azienda in esame dovesse prevedere perdite, sarà molto probabile un badwill, e la necessità di stimarle per tutti i futuri esercizi per cui si potrebbero subire Nel caso in cui la stima di perdite diventi irreversibile il Capitale Netto dell’impresa potrebbe ridursi a quello di stralcio, cosı̀ definito quando la sua assemblea delibera la sua liquidazione. In tal caso la rilevazione contabile sarà l’accantonamento a Fondo Rischi delle svalutazioni dei beni aziendali. Infatti il badwill ridimensiona sempre i fattori immateriali che concorrono al calcolo di K (plusvalori latenti). A volte K può essere sovradimensionato, in quanto non sono mai state rivalutate immobilizzazioni e partecipazioni; il Reddito Netto prospettico può invece essere sottodimensionato, a causa dell’opzione fatta dagli amministratori di rivalutazione dei beni; in tali casi è opportuno scegliere per un metodo di valutazione classico, quale quello patrimoniale complesso o reddituale I principali limiti del metodo si ravvisano alla determinazione di un badwill, in quanto, sebbene il Patrimonio Netto Rettificato si riduca, allo stesso tempo rimane un suo valore intrinseco derivante dalla consistenza dei singoli beni aziendali. Un altro limite è costituito dall’assunzione dei valori in modo statico, in quanto si assume che i redditi dell’impresa saranno tutti distribuiti. Per le S.p.A. di piccole dimensioni l’erogazione di dividendi ha incidenza minoritaria sul reddito, per cui nel valore del Patrimonio Netto rettificato bisognerà tener conto dell’accantonamento a riserva nel tempo, per la differenza tra reddito prospettico e normale, dell’aumento nella loro stima dovuto a maggior capacità d’investimento Stima attraverso la Valore incremen- Tale criterio si basa Se la rivalutazione Il metodo si focaquantificazione e tale delle su un metodo non è in grado di far lizza solo sul PMI 17 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE rivalutazione con- immobilizzazioni= trollata dei cespiti å Delta B) Stato Patrimoniale-maggiori ammortamenti+Re munerazione prodotta dal cespiteni]Øni Dove: Delta B) Stato Patrimoniale è il totale della rivalutazione delle immobilizzazioni, n è la durata utile del cespite e i il tasso normale reddituale di attualizzazione. Se il margine è positivo, la rivalutazione dei singoli cespiti è integrale misto patrimoniale reddituale adatto alle imprese in cui il fattore dei cespiti è predominante a causa della natura dell’attività fronte a tali costi futuri i cespiti saranno rivalutati solo proporzionalmente all’incidenza del reddito atteso misurato dalla rivalutazione dei beni rispetto ai maggiori ammortamenti e alla remunerazione attesa dai primi. Occorre, nell’implementazione di tale metodo, scorporare dalla remunerazione per i soci quella derivante dalla remunerazione dell’attivo circolante capitale fisso, e può essere adottato a condizione che non superi il valore corrente di mercato dei cespiti Il trattamento contabile dell’avviamento L’avviamento è il valore iscritto nell’Attivo dello Stato Patrimoniale derivante dalla differenza tra il prezzo pagato per l’acquisto di un’azienda e il valore corrente delle sue singole attività e passività. Nel caso in cui il corrispettivo viene stabilito globalmente bisognerà stimare correttamente i valori correnti dei suoi elementi attivi e passivi, al fine di calcolare l’avviamento. Il principio contabile OIC 24 elenca i requisiti affinché possa essere iscritto avviamento nello Stato Patrimoniale: OIC 24 1) l’avviamento deve essere acquisito a titolo oneroso, e iscritto con il consenso del Collegio Sindacale, se esistente; 2) deve essere espressivo di un costo la cui competenza è differita nel tempo; 3) il suddetto costo deve essere recuperabile, vale a dire suscettibile di generare ricavi negli esercizi futuri. L’avviamento non può considerarsi un bene immateriale a se stante, ma una qualità dell’azienda intesa nel suo complesso. L’ammortamento dell’avviamento avviene con criterio sistematico per un periodo massimo di 5 esercizi (10 dal 2016), a meno che le caratteristiche o la particolare situazione in cui si trova la società faccia ragionevolmente presumere una sua più lunga durata; ciò può accadere quando, ad esempio, l’attività dell’azienda richieda tempi più dilatati per l’entrata in un regime normale di produzione e vendita, ovvero quando i prodotti offerti, dopo il loro sviluppo, richiedano un lungo periodo di attesa per ottenere l’autorizzazione a essere messi in commercio. 18 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Un periodo più lungo di ammortamento, o un ammortamento con criterio diverso, ad esempio per quote proporzionalmente crescenti, devono essere adeguatamente motivati e descritti in Nota Integrativa. Il trattamento fiscale dell’avviamento L’art. 103, comma 3, del T.U.I.R. prescrive che le quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto nell’attivo del bilancio sono deducibili in misura non superiore a un diciottesimo del valore stesso. Ciò significa che l’avviamento, iscritto in bilancio secondo corretti criteri contabili, potrà essere ammortizzato in un orizzonte temporale superiore ai 18 anni. La risoluzione Agenzia delle entrate n. 154/2004 tratta del trattamento dell’avviamento in caso di conguagli versati dall’acquirente o, al contrario, di rimborsi: in fase di assestamento al bilancio, sarà necessario variare il valore residuo dell’ammortamento, e calcolarlo in base alla sua durata residua. L’Agenzia delle entrate precisa che, quando il valore dell’avviamento a titolo oneroso sia determinabile sulla base del contratto di alienazione di azienda o suo ramo, esso può essere iscritto nell’attivo dello Stato Patrimoniale alla voce B. I.5), e deducibile per quote ai sensi dell’art. 103, comma 3 del T.U.I.R. Nel caso in cui è previsto un conguaglio negli anni successivi al dante causa, anch’esso è fiscalmente riconosciuto e sarà deducibile sommandolo al valore residuo preesistente. Tavola 4 - La deducibilità dell’avviamento acquisito a titolo oneroso a seguito di conguagli o rimborsi ricevuti Anno di acquisizione 2013 Anno di acquisizione 2012 Avviamento € 1.500 Avviamento € 1.500 Data conguaglio Importo conguaglio € 250 2014 Data rimborso 2013 Importo rimborso € 100 Valore residuo 2014 Ammortamento 2015 € 1.569 € 98 Valore residuo 2014 Ammortamento 2015 € 1.162 € 77 Naturalmente l’avviamento acquisito a titolo oneroso, ammortizzandosi ai fini civilistici per un massimo di 5 anni, provoca differenze temporanee d’imposta, causando l’accensione della fiscalità anticipata. La sentenza Cass. n. 22506 depositata il 4 novembre 2015 L’Imposta di Registro sull’avviamento, nel caso in cui nell’atto di trasferimento di azienda o di suo ramo, sia separatamente indicato, è pari al 3%.In base alla circolare Agenzia delle entrate n. 235/1997 l’Ufficio applica la presunzione semplice per cui il suo valore deve essere calcolato in base agli elementi emergenti dagli studi di settori o, in mancanza, dalla percentuale di redditività sulla media dei ricavi nel triennio antecedente l’operazione, il tutto moltiplicato per 3. Il valore è moltiplicato per 2 in caso di inizio di attività successivo all’inizio del triennio di osservazione, in caso di durata residua del contratto di locazione della sede operativa inferiore a 1 anno, o in caso di mancato esercizio dell’attività per almeno 183 giorni nell’anno antecedente l’operazione. In caso di ricorso la stima corretta dell’avviamento in base a perizia di parte può ribaltare la presunzione e orientare di conseguenza una sentenza motivata della Commissione tributaria. PMI 19 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Il modus operandi degli Uffici dell’Agenzia delle entrate è criticabile, in quanto, contravvenendo alla migliore dottrina sulle valutazioni d’azienda, non tiene conto tanto dei plusvalori latenti dei valori dell’Attivo dello Stato Patrimoniale, quanto dei redditi prospettici superiori al rendimento normale del capitale; si rileva anche che il reddito utilizzato è già incorporato in parte nei beni sociali che lo producono e per cui si paga l’Imposta di Registro. In tale contesto la sentenza n. 22506, depositata il 4 novembre 2015, va oltre e fissa principi che, si spera, siano aggiornati con una decisione del Collegio preso a Sezioni Riunite, al fine di mettere un punto fermo sull’argomento. La fattispecie riguarda la cessione di una testata giornalistica in perdita strutturale, in cui il marchio e l’avviamento sono stati valutati al prezzo simbolico di 1 lira; l’Ufficio del Registro di Roma aveva ripreso la base imponibile dell’operazione, quantificandola in circa L. 20.000.000.000, argomentando sulla base di un tasso di redditività sui ricavi conseguiti del 16% a una capitalizzazione del 20%; si rileva, senza contare che la testata giornalistica era in perdita, che questi parametri erano talmente alti che non potevano rispecchiare fedelmente l’effettiva situazione economica dell’azienda. Nel corso dei vari dibattimenti che si sono succeduti nel tempo le Commissioni tributarie avevano decretato che l’avviamento era stato computato 2 volte, in quanto era stato indicato nella Situazione Patrimoniale contenuta nell’atto di cessione e nel calcolo aritmetico formalizzato dall’Ufficio. La Cassazione, accogliendo due punti sollevati dall’Agenzia delle entrate, rileva che la Commissione tributaria centrale non poteva disconoscere, in quanto qualità intrinseca dell’azienda, un avviamento, a causa dell’avere sostenuto perdite nei precedenti esercizi. Infatti, in base alle precedenti sentenze della Suprema Corte, si devono scindere le perdite, che riguardano l’ordinario svolgimento dell’attività d’impresa, dall’azienda, elemento diverso dalla prima e che può racchiudere un reddito latente in condizioni ordinarie; difatti le perdite possono sorgere nel particolare andamento della gestione, a causa di interessi passivi elevati, perdite su crediti, sopravvenienze passive. In conclusione, la Corte di cassazione rinvia la decisione definitiva alla Commissione, che si dovrà attenere scrupolosamente a questo principio giurisprudenziale “In tema di Imposta di Registro, l’esistenza dell’avviamento non può escludersi solo a causa di sostenere perdite precedenti e successive”. Conclusioni Come già rilevato dalla sentenza n. 2702 del 25 febbraio 2002, la sussistenza di preesistenti perdite non pregiudica la possibilità che un’azienda oggetto di conferimento o cessione non abbia incorporato l’avviamento. Tecnicamente la base imponibile ai fini dell’Imposta di Registro si calcola prima di tutto valutando i componenti dell’attivo patrimoniale e, in tale fase, l’avviamento non può escludersi solo per l’esistenza o il particolare ammontare delle perdite, in quanto qualità intangibile insita nel complesso aziendale. Successivamente sarà possibile detrarre le passività ai singoli elementi dell’Attivo patrimoniale proporzionalmente al valore di quest’ultimi. Tuttavia le parti che hanno posto in essere la compravendita di un’azienda o ramo di azienda possono motivare anche con stima peritale allegata al relativo contratto come è stato valutato l’avviamento, in quanto potrebbero esserci fattori rilevanti quali l’obsolescenza dei prodotti a causa delle innovazioni apportate dalla concorrenza ovvero uno squilibrio della Posizione Finanziaria Netta che potrebbero fondatamente indurre gli istituti di credito a ridimensionare i fidi concessi, pertanto i redditi conseguiti nel triennio antecedente non rispecchierebbero una situazione economica aggiornata dell’azienda. Si rileva anche che, nel corso della valutazione dell’avviamento a fine esercizio, il valore effettivo può essere inferiore a quello residuo al netto degli ammortamenti. In casi rilevanti, o 20 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE causati da circostanze eccezionali, contabilmente si valuterà una sua svalutazione. Tale svalutazione non sarà immediatamente deducibile, ma ai fini IRES si dedurrà una quota di svalutazione che trova capienza, sommata al minor ammortamento civilistico, nel valore massimo annuo di deduzione dell’ammortamento, e ai fini IRAP, parimenti, sussisterà una deduzione derivante dalla minore quota di ammortamento fiscale e una variazione in diminuzione che va a coprire la differenza tra l’ammontare massimo dell’ammortamento dell’avviamento previsto dal T.U.I.R. e la prima. Diverso è il caso in cui si sceglie di ammortizzare l’avviamento a valori inferiori rispetto all’aliquota massima, in quanto il maggior valore residuo potrà essere recuperato solo in sede di cessione d’azienda. PMI 21 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE IRES Rivalutazione immobili “in eccesso”: le regole civilistiche e fiscali di Corrado Fenici - Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili La facoltà di rivalutare i beni immobili in base alle disposizioni del D.L. n. 185/2008 ha rappresentato un’interessante opportunità per molte società sia per migliorare i valori patrimoniali e, in casi di soggetti con forti perdite, evitare interventi sul capitale, sia per adeguare alla realtà del mercato i valori fiscali degli immobili ad un costo piuttosto basso. Non sono, tuttavia, rari i casi in cui questa scelta si è successivamente rivelata un boomerang. La combinazione negativa della stagnazione del mercato immobiliare e dei valori fiscali elevati attribuiti agli immobili rivalutati ha avuto effetti negativi con riguardo alla disciplina delle società non operative, in particolare dal 2013, periodo d’imposta dal quale i maggiori valori fiscalmente riconosciuti degli immobili entravano nel calcolo del test di operatività. In presenza di valori degli immobili troppo elevati è quindi lecito chiedersi come procedere per “annullare” gli effetti della rivalutazione ripristinando il valore originario degli immobili. La questione va affrontata sotto il duplice aspetto civilistico e fiscale. L’aspetto civilistico Dal punto di vista civilistico, la norma di riferimento è l’art. 2426, n. 3, c.c. che prevede che: “l’immobilizzazione che, alla data della chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i nn. 1) e 2) [ossia il costo d’acquisto o di produzione] deve essere iscritta a tale minore valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata”. Ma cosa ha inteso il legislatore con il termine “valore”? Sui dubbi di interpretazione della norma civilistica intervengono i principi contabili, in particolare l’OIC 9 chiarisce che al termine dell’esercizio (o ad ogni data di chiusura del bilancio) occorre effettuare un’apposita valutazione che abbia lo scopo di verificare se si sono manifestati indicatori di perdite durevoli di valore. Lo stesso principio contabile riporta l’elenco degli indicatori che, come minimo, devono essere esaminati per riscontrare l’esistenza della perdita durevole: • il valore di mercato è diminuito significativamente durante l’esercizio, più di quanto si prevedeva sarebbe accaduto con il passare del tempo o con l’uso normale dell’attività in oggetto; • durante l’esercizio si sono verificate, o si verificheranno nel futuro prossimo, variazioni significative con effetto negativo per la società nell’ambiente tecnologico, di mercato, economico o normativo in cui la società opera o nel mercato cui un’attività è rivolta; 22 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE • nel corso dell’esercizio sono aumentati i tassi di interesse di mercato o altri tassi di rendimento degli investimenti, ed è probabile che tali incrementi condizionino il tasso di attualizzazione utilizzato nel calcolo del valore d’uso di un’attività e riducano il valore equo; • il valore contabile delle attività nette della società è superiore al loro valore equo stimato della società; • l’obsolescenza o il deterioramento fisico di un’attività risulta evidente; • nel corso dell’esercizio si sono verificati significativi cambiamenti con effetto negativo sulla società, oppure si suppone che si verificheranno nel prossimo futuro, nella misura o nel modo in cui un’attività viene utilizzata o ci si attende sarà utilizzata. Qualora le fattispecie previste dagli indicatori si fossero manifestate, occorre, prima di svalutare, effettuare un ulteriore controllo, ovvero accertare se il valore recuperabile dell’immobilizzazione, determinato sulla base della capacità di ammortamento dei futuri esercizi, sia almeno pari al suo valore di iscrizione in bilancio. Se gli ammortamenti relativi al cespite sono tali da determinare una perdita complessiva negli esercizi futuri in cui l’immobilizzazione è utilizzata, la svalutazione è obbligatoria. Con riguardo a beni iscritti tra le immobilizzazioni che erano stati in precedenza rivalutati, il principio contabile OIC 16 stabilisce che la perdita di valore acquisisce rilevanza solo se viene considerata “durevole”. In tal caso, si ha l’obbligo di procedere alla svalutazione, con contropartita a conto economico. Vediamo uno schema riassuntivo. OIC 16 Immobilizzazioni materiali Rivalutazione Paragrafo 69: OIC9 Svalutazioni per Definizioni perdite durevoli di Paragrafo 3: valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali PMI Se la legge speciale stabilisce che la rivalutazione di un bene immateriale debba essere effettuata in base a parametri prestabiliti e l’adozione di tali parametri comporta l’iscrizione di un valore rivalutato che negli esercizi successivi risulti eccedente il valore recuperabile, il valore rivalutato è conseguentemente svalutato con rilevazione della perdita durevole a conto economico se non disposto diversamente dalla legge. Perdita durevole di valore Si definisce perdita durevole di valore la diminuzione di valore che rende il valore recuperabile di un’immobilizzazione, determinato in una prospettiva di lungo termine, inferiore rispetto al suo valore netto contabile. Valore recuperabile Si definisce valore recuperabile di un’attività o di un’unità generatrice di flussi di cassa il maggiore tra il suo valore d’uso e il suo valore 23 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE equo (fair value), al netto dei costi di vendita. Valore d’uso Si definisce valore d’uso il valore attuale dei flussi di cassa attesi da un’attività o da un’unità generatrice di flussi di cassa. Valore equo (fair value) Il valore equo (fair value) è l’ammontare ottenibile dalla vendita di un’attività in una transazione ordinaria tra operatori di mercato alla data di valutazione. Vediamo cosa comporta contabilmente quest’obbligo di svalutazione. All’atto della rivalutazione, per incrementare il valore contabile netto era possibile contabilmente modificare in alternativa: – il solo valore lordo, lasciando inalterato il fondo ammortamento (con conseguente aumento delle quote di ammortamento annue ed allungamento del periodo di ammortamento); – il solo fondo ammortamento, lasciando inalterato il valore lordo (per mantenere le quote di ammortamento inalterate, e sempre allungando il periodo di ammortamento); – sia il valore lordo che il fondo ammortamento (in modo da mantenere inalterato il periodo di ammortamento, con cambiamento, però delle quote di ammortamento annue). Il saldo attivo di rivalutazione doveva venire imputato direttamente a patrimonio netto (non transitando da conto economico) e poteva essere attribuito a capitale sociale oppure iscritto in una specifica riserva del patrimonio netto. Per fare un esempio, supponiamo sia stata effettuata la rivalutazione di un immobile per euro 100.000 (rivalutando il solo valore lordo), scegliendo di conferirle rilevanza fiscale. La scrittura contabile è la seguente: Immobili a 100.000 Diversi Riserva di rivalutazione 97.000 Debiti tributari per imposta sostitutiva 3.000 Una volta constatato l’obbligo di svalutazione, ad esempio per tutto il valore della precedente rivalutazione, si dovrà procedere con la seguente scrittura contabile: Svalutazione immobili a Immobili 100.000 100.000 (CE B10.c) La perdita (non realizzata) per la svalutazione va quindi rilevata a conto economico in base al disposto sopra citato dell’OIC 16, non va ridotta la riserva di rivalutazione. 24 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Il trattamento ai fini IRES Le svalutazioni del valore delle immobilizzazioni, ai sensi dell’art. 101, comma 1, T.U.I.R., non rappresentano un costo fiscalmente deducibile nell’anno di imputazione contabile, in quanto si tratta di minusvalenze non realizzate. Pertanto tali svalutazioni rilevate civilisticamente dovranno essere riprese a tassazione in sede di determinazione del reddito d’impresa. Quando, allora, la perdita di valore transitata a conto economico a titolo di svalutazione e (momentaneamente) non dedotta assumerà rilevanza ai fini fiscali? La risposta “fiscale” a questa domanda è che il costo di un’immobilizzazione deve partecipare alla determinazione del reddito d’impresa per quote annuali stabilite dal Decreto ministeriale del 31 dicembre 1988. Se l’impresa deducesse l’intera perdita di valore nell’anno dell’imputazione contabile, non farebbe altro che “accelerare” l’ammortamento fiscale del costo del bene, “concentrando” indebitamente (dal punto di vista fiscale ma anche civilistico) nell’esercizio di imputazione contabile una quota maggiore di tale costo. Variazioni in diminuzione In sostanza, durante il periodo di ammortamento del bene, è possibile apportare delle variazioni in diminuzione in sede di dichiarazione per la parte del maggior ammortamento fiscale risultante dall’applicazione dei coefficienti tabellari (Decreto 31 dicembre 1988) al valore fiscale più alto di quello civilistico. Questo modus operandi è stato chiarito dall’Agenzia delle entrate con vari interventi di prassi. Per tutti citiamo, ai fini IRES, la risoluzione n. 98/E del 19 dicembre 2013 e, ai fini IRAP, la circolare n. 26/E del 20 giugno 2012. Vediamo l’applicazione pratica di questo metodo utilizzando il dato dell’esempio di cui sopra. Ipotizziamo un immobile acquistato nel 1996 per un prezzo equivalente a 100.000 euro, rivalutato nel 2008 a 200.000 euro con riconoscimento fiscale del maggior valore nel 2013 e poi svalutato nel 2015 a 100.000 euro. Per semplicità espositiva, supponiamo che con la svalutazione sia variata anche la vita utile del bene, in modo tale che rimanga sempre valida l’aliquota di ammortamento del 3%. A seguito della svalutazione, l’ammortamento fiscale si continua ad effettuare sul valore ante svalutazione, operando delle variazioni in diminuzione in dichiarazione dei redditi. Il risultato è che la svalutazione di 100.000 euro verrà recuperata fiscalmente tramite i maggiori ammortamenti fiscali, fino al riallineamento dei valori civilistico e fiscale dell’immobile. Costo Rivalutaz. d’acquisto Svalutaz. fiscale 100.000,00 Ammortam. Riconos. 200.000,00 100.000,00 2036 2037 totali 1996 2008 2013 2014 2015 3.000,00 6.000,00 6.000,00 6.000,00 3.000,00 3.000,00 3.000,00 6.000,00 6.000,00 6.000,00 6.000,00 5.000,00 200.000,00 -3.000,00 -6.000,00 -5.000,00 100.000,00 100.000,00 Civ. Ammortam. Fisc. Variaz in dich 3.000,00 Fondo civ 3.000,00 42.000,00 72.000,00 78.000,00 81.000,00 100.000,00 100.000,00 Fondo fisc 3.000,00 39.000,00 57.000,00 63.000,00 69.000,00 195.000,00 200.000,00 PMI 25 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Il trattamento ai fini IRAP L’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997 esclude espressamente la deducibilità dall’IRAP della voce B10) lett. c) del conto economico, riferita alle svalutazioni delle immobilizzazioni materiali. Concorrono invece a formare la base imponibile IRAP gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali di cui alla voce B10) lett. b) del conto economico. Di fatto l’effetto è lo stesso che per la base imponibile IRES, ossia a seguito dell’indeducibilità della svalutazione si crea un disallineamento tra il valore civilistico (più basso) e il valore fiscale (più alto) del bene. Anche qui si pone quindi il problema di individuare il momento in cui il costo non dedotto, transitato a conto economico a titolo di svalutazione, assume rilevanza ai fini IRAP. L’Agenzia delle entrate ha fornito alcuni chiarimenti con la circolare n. 26/E del 20 giugno 2012. Vanno innanzitutto distinte due casisitiche: Casi – beni acquisiti prima del 1˚ gennaio 2008 (data di entrata in vigore dell’attuale disciplina IRAP) e che a tale data presentavano un disallineamento tra il valore civile e il valore fiscale; – beni acquisiti dal 1˚ gennaio 2008 oppure beni acquisiti prima e che a tale data non presentavano alcun disallineamento tra il valore civile e quello fiscale. Nel primo caso, i maggiori valori fiscali sono deducibili dall’imponibile IRAP attraverso variazioni in diminuzione a partire dall’esercizio successivo a quello in cui si conclude l’ammortamento contabile, nei limiti dell’importo derivante dall’applicazione dei coefficienti tabellari previsti dal Decreto 31 dicembre 1988). In pratica trovano ancora applicazione le regole vigenti con la precedente disciplina IRAP e viene consentito effettuare le variazioni in diminuzione operate ai fini IRES per recuperare la svalutazione non dedotta. Nel secondo caso, il disallineamento tra il valore civile e quello fiscale che si genera a seguito della svalutazione fiscalmente non rilevante si riassorbe attraverso variazioni in diminuzione da effettuarsi in dichiarazione nel corso del processo di ammortamento del bene, applicando il criterio di ammortamento utilizzato in sede civilistica, ossia ripartendo il valore fiscale del bene (più alto perché al lordo della svalutazione) sulla base della vita utile residua del bene stesso. Questa precisazione deriva dal fatto le regole IRES attuali sono “sganciate” dalle regole IRAP con la conseguente impossibilità di utilizzare, ai fini della determinazione delle quote di ammortamento rilevanti per l’IRAP, i coefficienti previsti dal Decreto 31 dicembre 1988. 26 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Imposte sul reddito Rimborsi chilometrici corrisposti ai lavoratori: trattamento fiscale di Antonio Veneruso - Pubblicista e fiscalista d’impresa Il lavoratore dipendente sovente si reca in “trasferta” su incarico e nell’interesse dell’azienda utilizzando come mezzo di trasporto la propria personale autovettura, previo rimborso delle spese relative ai chilometri percorsi, determinato sulla scorta delle tabelle ACI previste per quel veicolo (ma in genere calcolato in base a tariffe interne all’azienda inferiori a quelle ACI). Al riguardo, si segnala che l’Agenzia delle entrate è recentemente intervenuta sulla tematica con la risoluzione 30 ottobre 2015, n. 92/E, introducendo particolari chiarimenti sulla modalità di calcolo ai fini dell’esenzione fiscale del rimborso in parola. Definizione di “trasferta” Come è ormai prassi consolidata, per trasferta s’intende l’attività lavorativa svolta dal dipendente occasionalmente e temporaneamente nell’esclusivo interesse dell’impresa al di fuori del territorio del Comune ove di regola la stessa ha sede ovvero, in presenza di più sedi/unità locali, della sede in cui lo stesso svolge le normale mansioni. Per gli amministratori, invece, titolari di reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, laddove non risulta specificatamente individuata la sede di lavoro nell’atto di nomina, il concetto di trasferta è da intendersi ai trasferimenti al di fuori del Comune del loro domicilio fiscale, cosı̀ come chiarito dalla circolare 26 gennaio 2001, n. 7/E e ribadito dalla successiva n. 58 /E del 18 giugno 2001. Disciplina fiscale della trasferta L’art. 51, comma 5, T.U.I.R., disciplina specificatamente le trasferte del dipendente per motivi di lavoro stabilendone le relative modalità con cui le indennità e i rimborsi spese concorrono o meno alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Giova ricordare che le indennità o i rimborsi spese, anche a piè di lista, per trasferte nell’ambito del territorio comunale ove è stata fissata la sede di lavoro, ad eccezione dei rimborsi delle spese di trasporto (taxi, mezzi pubblici, ecc., escluso mezzi di trasporto del dipendente) risultanti da documenti emessi dal vettore concorrono a formare il reddito del dipendente. Trasferta fuori dal territorio comunale Come meglio si dirà in prosieguo, il richiamato art. 51, comma 5, T.U.I.R. prevede che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente le indennità percepite per PMI 27 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE trasferte fuori dalla sede di lavoro fino ad un importo max giornaliero di euro 46,48 (euro 77,47 per l’estero), al netto delle spese di viaggio e trasporto. In ipotesi di rimborso a piè di lista delle spese di alloggio, ovvero di vitto o di alloggio o di alloggio o vitto fornito gratuitamente, il limite è ridotto di un terzo. Tale limite max è invece ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto. Per la stessa trasferta, la scelta di uno dei predetti sistemi di rimborso è vincolante per l’intera durata, significando che non è consentito adottare diverse tipologie di calcolo in caso di una stessa trasferta con durata di più giorni. In sostanza, la norma fiscale ammette per le trasferte la facoltà di adottare uno dei tre seguenti metodi di rimborso. Indennità forfetaria Le indennità forfetarie sono escluse dall’imponibile del percipiente, sia esso dipendente o collaboratore, nei limiti giornalieri di cui sopra, al netto delle spese di viaggio e trasporto, anche sotto forma di indennità chilometrica. Tali ultime spese sono esenti da tassazione quando siano rimborsate analiticamente sulla scorta di idonei giustificativi emessi dal vettore (ferrovie, aerei, ecc.) da allegare alla “nota spese” o della spettante indennità chilometrica se il dipendente è stato autorizzato ad utilizzare la propria autovettura. Per la quantificazione di tale ultima indennità, di cui si è occupata la richiamata risoluzione n. 92/E/2015, l’importo da rimborsare non dovrà comunque eccedere quello risultante dall’applicazione delle tabelle tariffarie ACI previste per quel veicolo o similari. Ogni altra indennità di trasferta eccedente i limiti in discorso avrà piena rilevanza reddituale in capo al dipendente. Rimborso analitico Con il rimborso analitico il datore di lavoro provvede a rimborsare in modo dettagliato le spese sostenute durante la trasferta, sempre al di fuori del territorio comunale ove è dichiarata la sede di lavoro, sulla base di idonea documentazione giustificativa esibita dal lavoratore. Pertanto, in tal caso i rimborsi analitici delle spese di vitto e alloggio, delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità chilometrica, e di trasporto non concorrono in nessun caso a formare il reddito del dipendente. Analogamente, non concorrono a formare il reddito del dipendente, l’eventuale corresponsione di altre spese sostenute durante la trasferta ad esempio per la lavanderia, per telefonate, il parcheggio, le mance, i giornali e cosı̀ via, anche se non documentabili, purché analiticamente attestate dal dipendente nella nota spese e di importo complessivo non superiore a euro 15,49 al giorno per trasferte in Italia (euro 25,82 per l’estero). La R.M. 17 febbraio 1982, n. 9/512 ha ritenuto che tali spese possono essere considerate sufficientemente documentate sulla base di dichiarazioni del dipendente. Rimborso misto Tale ipotesi si configura quando unitamente al rimborso analitico delle spese di vitto e alloggio venga corrisposta anche l’indennità di trasferta. La disposizione in rassegna prevede che in caso di rimborso analitico delle spese di vitto o di alloggio, ma non di entrambe, l’indennità di trasferta giornaliera esente da tassazione (euro 46,48 ovvero euro 77,47 per l’estero) si 28 PMI n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE riduca di un terzo. Qualora, invece, vengano rimborsate sia le spese di vitto che di alloggio oppure quando il vitto e l’alloggio è fornito gratuitamente dal datore di lavoro, la predetta quota esente da tassazione deve essere ridotta di due terzi. Anche l’adozione di questo metodo di rimborso comporta, comunque, che i rimborsi spese relativi a spese di viaggio e trasporto ivi inclusa l’indennità chilometrica, non rilevano ai fini della determinazione del reddito del percipiente ovviamente se supportati da idonea documentazione, mentre ogni ulteriore rimborso in aggiunta ai predetti è da assoggettare a tassazione. Documentazione Ai fini operativi, il lavoratore/collaboratore per ottenere il rimborso delle spese di trasferta dovrà presentare apposita nota spese recante l’indicazione della data e della località in cui è stato comandato a svolgere l’attività lavorativa nell’interesse aziendale. A tale documento, firmato dal dipendente/collaboratore e dal responsabile che ne ha disposto la trasferta, anche ai fini di attestarne l’effettivo svolgimento della medesima e, quindi, del reale sostenimento degli oneri in esso indicati, devono essere allegati tutti i relativi documenti giustificativi, come fatture, scontrini, ricevute, biglietti aerei, di taxi e di treno. Le spese di vitto e alloggio possono essere comprovate oltre che dall’ordinaria fattura anche da ricevuta fiscale integrata a cura dell’emittente con i dati identificativi del cliente ovvero dal c. d. scontrino fiscale parlante, cioè riportante oltre alle indicazioni del servizio reso anche del codice fiscale del dipendente fruitore del servizio. Le spese afferenti ai viaggi effettuati con i predetti mezzi pubblici devono essere documentate dai relativi titoli (rectius biglietti). Nel caso in cui il dipendente/collaboratore utilizzi per la trasferta la propria autovettura, come anticipato in precedenza, l’importo da rimborsare non può superare quello risultante dall’applicazione delle tabelle ACI, avuto riguardo alla percorrenza, al tipo di automezzo usato dal dipendente e al costo chilometrico ricostruito secondo il tipo di autovettura. Detti elementi dovranno risultare dalla documentazione interna conservata dal datore di lavoro, cosı̀ come da ultimo ricordato dalla R.M. n. 36/E/2015 che ci occupa. Risoluzione 30 ottobre 2015, n. 36/E L’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 36/2015, ha fornito chiarimenti proprio in merito alla modalità di calcolo dei rimborsi chilometrici al dipendente/collaboratore in trasferta che incidono sostanzialmente sul relativo trattamento fiscale. Più in dettaglio, il caso di specie ha riguardato l’ipotesi in cui per raggiungere la località di trasferta il lavoratore inizi il tragitto alternativamente: a) con partenza dal proprio domicilio; b) con partenza dalla sede di lavoro. Per la descritta fattispecie l’Amministrazione finanziaria ha individuato un doppio regime di tassazione proprio a seconda che il tragitto sia minore o maggiore rispetto a quello calcolato partendo dalla sede di lavoro. Esenzione fiscale In sostanza, l’esenzione fiscale (e contributiva) del rimborso chilometrico sarà integralmente riconosciuta soltanto qualora la partenza della trasferta dalla propria abitazione determini una percorrenza inferiore rispetto alla partenza dalla sede di lavoro. PMI 29 n. 1/2016 A Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AMMINISTRAZIONE Al contrario, l’esenzione fiscale (e contributiva) del rimborso chilometrico sarà limitata qualora la partenza della trasferta dalla propria abitazione comporti una distanza chilometrica superiore, con conseguente tassazione della sola quota eccedente riferibile alla predetta maggiore distanza. Le conclusioni cui perviene l’Agenzia delle entrate, seppur corrette da un punto di vista prettamente tecnico, in effetti non tengono conto che l’eventuale minimo vantaggio conseguito dal lavoratore è meramente accidentale e, quindi, rappresenta un “accessorio fortuito”, atteso che la trasferta, cui è direttamente connesso il rimborso in parola, è in ogni caso svolta nell’esclusivo interesse e su disposizione unilaterale del datore di lavoro che la dispone, cosı̀ come si ricava dalla sentenza della Corte di cassazione del 25 ottobre 2001, n. 13193. A parere di chi scrive, quindi, si ritiene che alla luce di tale conclusione pro-Fisco ne potrebbero derivare effetti negativi sull’organizzazione aziendale attraverso un disincentivo nelle trasferte dell’uso dell’autovettura privata, che spesso ne rappresenta il mezzo di trasporto più funzionale allo scopo, verso altri mezzi di trasporto pubblici o privati, magari con maggiori oneri, ancorché deducibili, in capo al datore di lavoro. 30 PMI n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO Transazioni commerciali Internazionalizzazione: le strategie di Gabriele Toma Le analisi evidenziano ormai da alcuni trimestri come le imprese che operano con i mercati esteri siano in grado di affrontare meglio la crisi, con fatturati e margini economici in relativa crescita e con una certa propensione all’innovazione ed a realizzare investimenti; in alcuni comparti, addirittura, pare lo stiano facendo meglio dei loro diretti competitori europei. Questo processo di internazionalizzazione è supportato sia dalla crescita (in volume) delle esportazioni (di chi già vendeva all’estero), sia dall’aumento del numero complessivo delle aziende che producono e vendono sui mercati esteri (le imprese italiane, nel complesso, si posizionano con una quota di mercato stabilmente attorno all’ottavo posto a livello mondiale): le rilevazioni dell’ISTAT di settembre scorso, hanno in proposito evidenziato pur con luci ed ombre che, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, le esportazioni dell’Italia sono aumentate del 4,2% e che il surplus commerciale risulta di poco meno di 2,5 miliardi di euro (era di circa 1,9 miliardi a settembre 2014). Tavola 1- Interscambio commerciale dell’Italia (fonte ISTAT, valori in milioni di euro) 2012 2013 2014 Export Italia 390.182 390.233 398.870 Variazione % 3,8 0 2,2 Import Italia 380.292 361.002 356.939 Variazione % -5,3 -5,1 -1,1 Interscambio complessivo 770.474 751.235 755.809 Variazione % -0,9 -2,5 0,6 Saldi 9.890 29.231 41.931 19.341 12.700 Variazione assoluta 35.413 rispetto al periodo precedente PMI Gen-Set 2014 294.968 Gen-Set 2015 307.278 4,2 267.523 277.335 3,7 562.491 584.613 3,9 27.445 29.943 2.498 31 n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO L’ISTAT ha sottolineato inoltre come la crescita congiunturale dell’export a ottobre 2015 sia da ritenersi imputabile principalmente all’aumento delle vendite verso mercati extra-UE (che rappresentano oltre il 45% delle vendite all’estero), come Stati Uniti (+ 22%), India (+13,4%), Giappone (+2,4% a fronte di una sostanziale stabilità delle vendite dall’inizio dell’anno), e Cina (+1,8%) che registra una contenuta inversione di tendenza rispetto ai primi dieci mesi del 2015. Tavola 2 - Esportazioni con i Paesi extra-UE - ottobre 2015 (fonte ISTAT, valori in milioni di euro) Paesi e aree geo economiche 32 Esportazioni Quote % (a) Variazioni tendenziali perc. Ott. 15 Gen.-Ott.15 Ott. 14 Gen.-Ott.14 Paesi europei non UE 11,8 -6,5 -4,9 Russia 2,4 -20,6 -27,5 Svizzera 4,8 -3,2 1,9 Turchia 2,4 -8,6 5,0 Africa settentrionale 3,5 -11,3 -6,8 Altri Paesi africani 1,6 -36,3 -5,9 America settentrionale 8,2 3,6 21,6 Stati Uniti 7,5 3,3 22,0 America centro-meridionale 3,5 -18,7 -0,2 Medio Oriente 5,0 1,4 9,3 Altri Paesi asiatici 9,8 2,8 3,2 Cina 2,6 1,8 -0,5 Giappone 1,3 2,4 -0,1 India 0,8 14,0 13,4 Oceania e altri territori 1,8 -6,2 1,1 OPEC 5,7 -11,6 0,0 MERCOSUR 1,7 -33,9 -12,1 EDA 3,8 -4,9 2,7 ASEAN 1,8 -7,7 -2,6 Totale 45,1 -4,5 3,7 PMI n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO Particolarmente reattive si sono dimostrate le vendite di autoveicoli (+30,4%), di articoli sportivi, di macchine automatiche, di giochi, di strumenti musicali, di preziosi, di strumenti medici (+8,7%) e di computer, apparecchi elettronici e ottici (+8,6%). Vendite italiane all’estero Partendo dal dato importante rappresentato dalle vendite italiane all’estero, è necessario sottolineare come si debbano inquadrare sotto il concetto di “internazionalizzazione” delle PMI, non solo le relazioni di export commerciale, ma l’insieme di tutte quelle decisioni ed azioni che rendono più presenti e competitive le imprese italiane all’estero: negli ultimi anni sono infatti andati a delinearsi molteplici profili di imprese che hanno relazioni con l’estero, caratterizzate per differenti gradi di intensità di interazione col mercato e di investimento di risorse, che vedono come modelli estremi, l’esportazione di prodotti e la creazione di una presenza produttiva e commerciale stabile in un differente Paese. Obiettivi Gli obiettivi direttamente riscontrabili sono essenzialmente quelli di conquistare progressivamente quote di mercato per aumentare il “fatturato” (le vendite dipendono sia dalla competitività dell’azienda stessa, sia dalla dimensione del mercato a cui essa si rivolge, sia dalla vicinanza fisica ad esso: in questa maniera si consente all’impresa di allargare la propria base di affari), diversificare i rischi (si riduce la dipendenza dell’azienda da un unico mercato, consentendole di superare eventuali periodi di recessione), sviluppare economie di scala (l’attività all’estero cessa di essere una parte marginale dell’attività complessiva dell’impresa, questa intraprende un processo di crescita in termini di dimensioni, supportato dalla crescita della base di mercato, che le consente di accedere a nuove risorse finanziare e di sfruttare i vantaggi legati alla dimensione) e, nel caso della delocalizzazione, ridurre sensibilmente i costi della produzione e della commercializzazione per massimizzare i profitti (quando l’entità delle vendite aggiuntive ottenibili sul mercato estero è tale da non incidere significativamente sui costi fissi, tali vendite incrementeranno la redditività complessiva dell’impresa). Vi sono anche ricadute indirette che scaturiscono da questo tipo di esperienza e delle quali beneficia tutta l’impresa, come ad esempio aprire l’organizzazione aziendale a nuove idee ed a nuove esperienze (essere attivi su mercati differenti consente di venire a contatto con realtà nuove, diversi modi di operare e nuove idee di successo che possono essere recepite e utilizzate sia sul mercato italiano, sia sugli altri mercati di riferimento), reagire attivamente ai processi di globalizzazione (uscire dai confini nazionali aiuta le aziende a costruirsi i mezzi finanziari e le competenze manageriali, per competere con i concorrenti stranieri anche sul mercato domestico) ed accrescere la propria competitività sul mercato domestico (l’esperienza, le competenze e le risorse acquisite, andranno a costituire un vantaggio competitivo importante nei confronti di quelle aziende che limitano la loro area di attività al solo mercato italiano). Livelli differenti di internazionalizzazione Esportazione Non rappresenta una vera e propria strategia di internazionalizzazione, ma una strategia commerciale che si rivolge a mercati differenti da quelli domestici. Ha però una sua rilevanza nell’avvicinare le imprese alla decisione di penetrare un mercato estero con una presenza stabile di tipo commercial-distributiva inizialmente e di tipo manifatturiera in divenire. Possiamo distinguere due modalità di esportazioni, quelle indirette e quelle dirette. Nel primo caso, l’azienda produttrice non interviene direttamente nel governare le vendite su un mercato estero (Paese o area geografica), ma utilizza strutture di trading o agenti indipendenti che propongono i prodotti al mercato di competenza. Si tratta della strategia di internazionalizzazione più blanda, poiché richiede bassissimi investimenti ma nello stesso tempo con una connotazione molto labile per il brand ed il prodotto aziendale. Il principale PMI 33 n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO punto di debolezza è rappresentato dalla assenza di un rapporto diretto tra produttore e consumatore (e mercato di sbocco), utile ad acquisire conoscenze importanti per essere meno vulnerabili rispetto ai competitor, ed al canale distributivo che potrebbe facilmente mettere in difficoltà l’esportatore. Le esportazioni dirette sono invece quelle nelle quali l’impresa produttrice è impegnata con una propria rete distributiva e di vendita a servire il mercato estero. Si tratta sicuramente di una scelta che comporta impegni economici ed organizzativi maggiori (creazione forza vendita in loco, coordinamento delle vendite, organizzazione e gestione delle piattaforme logistiche, maggiori rischi commerciali e di credito, ecc.) ma presenta anche importanti vantaggi in termini di flessibilità e di conoscenza delle tendenze e delle aspettative del mercato di sbocco, utili per programmare in maniera più efficace le attività aziendali. “Licensing” Si tratta di una strategia indirettamente finalizzata all’internazionalizzazione (contro il pagamento di un prezzo, viene concessa ad una azienda locale la possibilità di produrre su licenza i propri prodotti e servizi su un determinato mercato): non è necessario per l’azienda italiana entrare direttamente in contatto con il mercato estero, ma attraverso questa forma contrattuale, può avviare un processo di penetrazione commerciale e di acquisizione di informazioni utili per passare ad un livello più spinto e diretto di presenza sul mercato straniero. “Partnership” commerciali Sono gli strumenti per attuare una politica di internazionalizzazione mediamente impegnativa, attraverso la condivisione di strategie ed investimenti tra più imprese accomunate dall’obiettivo comune di entrare su un mercato (o su un Paese) estero. Tra i più comuni modelli ci sono i “consorzi all’esportazione”, che nascono appunto per realizzare attività congiunte all’estero (missioni commerciali, partecipazione a fiere, gestione di piattaforme logistiche, azioni di marketing, ecc.), con la suddivisione dei costi necessari e per facilitare le vendite sui mercati obiettivo delle imprese consorziate. La partecipazione a questo tipo di consorzio è particolarmente interessante per chi si affaccia per la prima volta ad un mercato straniero e non ha intenzione di investirvi risorse importanti: le aspettative che frequentemente si associano a queste partnership vengono però spesso deluse per la difficoltà di coordinamento tra i molti soggetti coinvolti e la bassa propensione alla collaborazione delle imprese tra loro “concorrenti”. Costituzione di filiali In questa maniera si prende la decisione importante di realizzare una presenza stabile e duratura su un mercato estero: può avvenire sia con la creazione ex novo di una unità locale, sia con l’acquisizione di una realtà già operativa su quel mercato. Nel primo caso, gli investimenti richiesti sono più rilevanti, necessitando di maggiori risorse sia nella fase di predisposizione dell’operazione (analisi della legislazione locale, individuazione logistica, creazione delle relazioni, ecc.), sia nella fase di avvio e gestione (reperimento delle risorse umane, conoscenza del mercato e dei clienti, ecc.), mentre nel secondo caso, molto spesso l’entità che si acquisisce è già conosciuta e sperimentata per precedenti rapporti di agenzia o contatti di collaborazione, per cui i costi di avvio sono assenti o molto contenuti. Queste strategie di internazionalizzazione, a fronte di investimenti rilevanti in termini economici e di coordinamento con la “casa madre”, permettono nel medio periodo l’acquisizione di una solida conoscenza del mercato estero (del Paese e dell’area geografica di riferimento) e la conseguenza costruzione di una posizione stabile a difesa del proprio prodotto e business. Costituzione di società miste È quella più spinta tra le forme di presenza diretta su un mercato straniero: in questo modo una azienda italiana partecipa nel capitale di una impresa estera assieme ad un socio di quel Paese, con un investimento duraturo e stabile. La scelta di costituire una joint venture può essere generata sia da valutazioni di convenienza nel coinvolgimento diretto di imprenditori 34 PMI n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO locali (vantaggi fiscali, vantaggi commerciali od organizzativi), ecc.), sia dalla necessità imposta dalla legislazione locale (superamento barriere all’entrata, contenimento dei dazi all’importazione, ecc.). Esistono differenti formulazioni di società miste, influenzate dalle normative dei singoli Paesi: tra le più diffuse possiamo ricordare le contractual joint venture (collaborazione contrattuale tra soggetti responsabili delle obbligazioni della società limitatamente per la quota individualmente sottoscritta), le equity joint venture (società nella quale la responsabilità di ogni socio è limitata alla propria quota di capitale sociale), e le wholly foreign owned enterprise (società con propria personalità giuridica e costituita da più soci stranieri). Con livelli di flessibilità ed investimento differenti in funzione della modalità scelta, il successo dell’ingresso di una azienda sui mercati stranieri è condizionato dall’interazione di variabili che possibilmente vanno governate per ridurre l’alea d’impresa ed i rischi connessi all’internazionalizzazione. Conquistare quote di mercato è difficile, richiede costanza, tenacia e investimenti costanti: occorre raccogliere informazioni, attivare contatti, prevedere spese di viaggio nei Paesi esteri, eventualmente adattare i prodotti e i servizi offerti alle esigenze dei mercati locali. La pianificazione, a qualsiasi livello ci si voglia spingere nell’internazionalizzazione, è quindi necessaria per utilizzare al meglio le risorse e le energie che saranno necessarie e per prepararsi ad entrare in maniera attiva su nuovi mercati. I rischi dell’internazionalizzazione per una impresa Il “piano export” deve analizzare tutti i rischi e delineare strategie di difesa sia preventivamente che in risposta al verificarsi degli eventi. Le categorie di rischio sono fondamentalmente cinque: Categorie di rischio – rischi d’impresa: sono quelli che caratterizzano ogni attività imprenditoriale e che rappresentano l’alea per l’imprenditore. Sui mercati esteri sono aggravati dalla minore conoscenza del mercato, dei concorrenti e, della distribuzione, e dalla posizione di sostanziale svantaggio che l’azienda si trova a dover affrontare nella fase iniziale del processo di internazionalizzazione; – rischi commerciali: sono quelli che derivano dall’approccio con clienti nuovi e dalla possibilità da loro espressa di non ottemperare al pagamento dei loro debiti commerciali. Si tratta di un elemento perturbante connesso strettamente all’attività commerciale e fortemente influenzato dalla maggiore scarsità di informazione e conoscenza della clientela possibile verso clienti e mercati nuovi; – rischi economici: derivano dall’andamento della domanda sui mercati internazionali, alcuni dei quali sono caratterizzati da un alto grado di incertezza e di volatilità, che possono portare a improvvisi e importanti eventi di contrazione; – rischi monetari (o di cambio): sono connessi alla valuta di regolamento dei pagamenti, che potrebbe essere differente dall’euro. In presenza di dilazioni di pagamento significative, l’azienda potrebbe trovarsi esposta al rischio di riduzione di valore della transazione dovuto alla svalutazione della moneta estera rispetto all’euro; – rischi politici: sono quelli che derivano dalle scelte in tema economico dagli Stati sovrani nei quali ci si trova ad operare. Manovre protezionistiche improvvise, innalzamento dei dazi, svalutazione della moneta, ad esempio, sono tutt’altro che infrequenti e possono rappresentare una importante causa di perdita economica per le imprese. Per alcuni di questi rischi esistono tecniche e strumenti di attuazione che è opportuno valutare ed utilizzare a difesa dell’impresa, come l’assicurazione del credito commerciale, la copertura PMI 35 n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO del rischio di tasso e di cambio o l’assicurazione sui rischi politici, o utilizzando modalità di pagamento destinate a mitigare la rischiosità degli incassi. Per prima cosa, è necessario analizzare le variabili interne all’impresa in grado di influenzare la scelta strategica: volendo raggrupparle per categorie, possiamo parlare degli obiettivi, dell’entità dell’investimento, del livello di coinvolgimento che si intendono sostenere, delle competenze (tecnologiche ed umane) possedute e del livello di rischio che si è disposti ad assumere. Assieme alle variabili interne, la stessa analisi va fatta anche su quelle esterne, pure capaci di influenzare l’andamento dell’investimento ed il raggiungimento del successo economico: si tratta principalmente delle caratteristiche del mercato (vincoli giuridici, barriere all’entrata, maturità, presenza di competitor, ecc.), di quelle normative (legislazione societaria, fiscale, sul lavoro, ecc. in grado di indirizzare le scelte su una strategia più o meno flessibile in termini di intensità di investimento) e di quelle logistiche e dei trasporti. Indirizzare il proprio all’estero è quindi complesso come intraprendere una nuova attività d’impresa (con impiego di risorse proporzionale alle dimensioni che si vogliono attribuire al business). L’attività di internazionalizzazione va quindi pianificata sempre nel migliore dei modi. Si inizia nell’ottica di una utile corretta gestione aziendale, con la predisposizione di un “piano di export”, fondamentale anche per l’accesso al credito e ai finanziamenti. Il secondo livello di analisi, si diceva in precedenza, è quello che riguarda le risorse interne e la struttura aziendale per valutarne la coerenza agli obiettivi di internazionalizzazione posti nel piano: a questo punto è obbligatorio domandarsi se le competenze e le esperienze del capitale umano, le capacità di marketing, quelle organizzative, commerciali, amministrative e tecniche sono all’altezza dei nuovi compiti richiesti con l’ingresso su un mercato nuovo e differente da quello nel quale fino ad oggi si è operato. È assolutamente fondamentale fare un check-up per conoscere con precisione quale sia il proprio livello di capacità ad affrontare il progetto e di quali risorse ci debba dotare prima di iniziare. Si passa successivamente all’analisi delle risorse finanziarie stimando con un businessplan, i costi di avvio (e prospettici) dell’iniziativa, le previsione di ricavo a medio termine e le fonti di finanziamento. Non è di poca importanza questa attività poiché investimenti importanti e concentrati in breve tempo producono risultati nel medio periodo e con rischi spesso elevati. “Check-up” di autovalutazione delle variabili interne da parte di una impresa che vuole intraprendere un percorso di internazionalizzazione 1 – Risorse umane • Cercare la condivisione del progetto di internazionalizzazione da parte della proprietà e del management. • Investire sullo sviluppo delle competenze necessarie alla gestione dei mercati esteri. • Investire per preparare l’azienda al commercio internazionale. • Censire le risorse interne per individuare i collaboratori dotati delle necessarie doti di professionalità, flessibilità, capacità di adattamento, apertura mentale, capacità di osservazione ed entusiasmo. • Svolgere un audit organizzativo per conoscere il livello di efficienza e reattività delle funzioni aziendali nella partecipazione al progetto di internazionalizzazione. • Individuare le responsabilità nella gestione e nello sviluppo del progetto, assegnando competenze e poteri per l’ottenimento dei risultati attesi (ad esempio ad un “Export manager”). 36 PMI n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO • Sviluppare la conoscenza delle lingue straniere (è fondamentale l’inglese) da parte delle persone coinvolte. • Sviluppare la conoscenza informatica in azienda. • Individuare le competenze da acquisire attraverso risorse in outsourcing o attraverso nuove assunzioni. 2 – Analisi di marketing • Analizzare le ragioni del proprio successo imprenditoriale sul mercato nel quale si opera, per adattarle a quelle del mercato nel quale si vuole entrare. • Analizzare le caratteristiche e le esigenze dei propri clienti. • Analizzare e strutturare le informazioni commerciali provenienti dai clienti e dalle loro esperienze di acquisto. • Analizzare le statistiche sulla qualità del proprio credito commerciale. • Analizzare la concorrenza diretta presente sul mercato domestico e sul mercato estero. • Analizzare la propria struttura distributiva e commerciale. • Definire budget di vendita, stabilire momenti di feedback e di revisione, definire iniziative di incentivazione. • Valutare strategie di personalizzazione del prodotto e dell’offerta commerciale sulle richieste del cliente. • Predisporre documentazione tecnica, materiale illustrativo e pubblicitario in inglese e nella lingua del Paese di destinazione. • Disporre di un proprio sito internet in inglese e in altre lingue. 3 – Risorse finanziarie • Valutare dettagliatamente e approfonditamente le risorse necessarie alla realizzazione del progetto di internazionalizzazione. • Stabilire quanto sarà finanziato con risorse proprie e quanto con risorse di debito. • Valutare, per la quota di finanziamento, la forma tecnica, la durata, e l’eventuale costo sostenibile. • Definire le politiche di copertura dei rischi finanziari, politici e commerciali legati ai mercati esteri. • Individuare le controparti in grado di gestire gli aspetti legali e fiscali del progetto di internazionalizzazione. • Valutare il livello di protezione della propria proprietà intellettuale sui mercati esteri. 4 – Risorse tecniche • Valutare la rispondenza dei propri prodotti alla normativa vigente nel Paese di sbocco e quanto sono aderenti alle aspettative della clientela. • Analizzare il costo degli interventi sul prodotto e sul processo produttivo per apportare modifiche al prodotto, se indispensabili. • Valutare l’incidenza dei maggiori tempi di trasporto e stoccaggio sul mantenimento della qualità dei prodotti e sulla necessità di differenziare il packaging. • Valutare l’esistenza della documentazione tecnica e della etichettatura richiesta nel Paese di sbocco o necessità di predisporla. • Prevedere la necessità di personale in loco per l’assemblaggio del prodotto o per prestare assistenza tecnica. • Analizzare la capacità degli impianti produttivi nel fare fronte, in tempi brevi ed a costi marginali ragionevoli, alla possibilità di un incremento di fatturato per le vendite per l’export. Dopo essersi “presi le proprie misure”, l’azienda deve immaginare in quali Paesi indirizzare il proprio business. Per fare questo è di fondamentale importanza conoscere i propri punti di forza (prodotto, design, tecnologia, moda, ecc.), le caratteristiche dei propri clienti e i punti di PMI 37 n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO debolezza dei concorrenti, e progettare l’ingresso su nuovi mercati dove replicare le proprie best practice. In questo tipo di analisi è necessario conoscere per ogni area geografica di interesse, ad esempio, il contesto politico, economico, culturale, la politica fiscale, la presenza o meno di barriere tariffarie e di dazi all’importazione, le tendenze e le prospettive di sviluppo, l’adesione ad accordi commerciali di libero scambio, unioni doganali o accordi regionali: è in altre parole necessario avere una “scheda Paese” precisa di ogni mercato di sbocco e l’insieme di queste informazioni va correlato a ciascuna variabile per arrivare a stilare una graduatoria che definisca l’attrattività dei Paesi in base alle aspettative di successo del proprio progetto di internazionalizzazione. È questa la fase nella quale deve essere definita una robusta strategia competitiva in grado di indirizzare le scelte dell’impresa all’estero: dopo avere scelto il segmento di mercato nel quale posizionarsi e le modalità di presenza commerciale, bisogna individuare i partners con i quali definire la collaborazione (agenti, trading company, soci in joint venture, ecc.), stringere con loro rapporti di collaborazione, decidere le politiche di prezzo, le condizioni di vendita e di pagamento e le strategie di comunicazione, distribuzione e di sviluppo. Si tratta di una fase che se affrontata con superficialità può influenzare l’esito del processo di internazionalizzazione e può comportare gravi perdite di denaro. Bisogna intervenire sull’organizzazione interna dell’azienda per accrescere la sponsorship da parte della proprietà e del management, necessaria per dare autorevolezza al processo di “innovazione” che si avvia e per ottenere il giusto coinvolgimento da parte di tutte le funzioni aziendali e di tutti i soggetti che collaborano con l’impresa. È estremamente importante, poi, che l’andamento del progetto sia monitorato in modo continuo e costante per potere sempre essere correttamente indirizzato, se necessario, con azioni correttive. Nel piano strategico devono entrare anche le valutazioni di tipo finanziario, ovvero rivolte al reperimento delle fonti di finanziamento da impiegare per gli investimenti necessari, in base al livello di penetrazione commerciale che si vuole raggiungere, e alla scelta degli strumenti di gestione dei crediti commerciali che si genereranno con le esportazioni o con le vendite (su un mercato nuovo rispetto a quello domestico). È fondamentale scegliere i mezzi di pagamento più efficaci per attenuare i rischi commerciali, che in alcuni Paesi sono molto alti, e condizioni di pagamento che costituiscono, in particolare in Paesi con un limitato sviluppo del sistema creditizio, una leva di marketing che può risultare fondamentale. La determinazione delle politiche distributive sono ugualmente importanti per il successo finale, in particolare se non si possiede una propria piattaforma sul Paese. La logistica ed i trasporti sono determinanti per il successo di un’attività, sia nella fase della vendita, sia per tutte le attività di assistenza, manutenzione e garanzia: esse rappresentano sicuramente un vantaggio competitivo (in quanto sono un servizio per il cliente), ma nel contempo possono divenire un costo rilevante a causa della distanza, della presenza di criticità infrastrutturali in loco o del rischio di danneggiamento e deperimento della merce prima della consegna. Non vanno poi sottovalutati i maggiori oneri di vendita derivanti per la produzione di materiale commerciale ad hoc (richieste d’offerta, offerte, conferme, contratti, cataloghi, listini, ecc.) e di documentazione legale (prodotta da dogane, spedizionieri, banche, assicuratori, ecc.). Il piano di marketing è uno strumento di discussione e di guida verso l’internazionalizzazione: per essere efficace deve contenere anche percorsi alternativi a quello principale, per condurre l’impresa comunque verso l’obiettivo proposto, al verificarsi di imprevisti. Occorre individuare gli elementi che, con maggiore probabilità, possono provocare situazioni inaspettate e impreviste che possono compromettere il perseguimento degli obiettivi stabiliti e individuare contingency plan che consentano di far fronte a tali eventualità. In esso devono essere 38 PMI n. 1/2016 F Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. FINANZA & CREDITO analizzati i punti sensibili del piano (trigger points), le contromisure ed i prospetti economico finanziari alternativi alla soluzione standard. In conclusione, per rispondere alle nuove sfide poste dall’evoluzione della globalizzazione, le PMI devono assolutamente valutare e cogliere le opportunità offerte dai cambiamenti del contesto economico internazionale: con le proprie eccellenza, le imprese italiane possono giocare un ruolo di primo piano sui mercati mondiali, ma per farlo devono puntare decisamente sull’internazionalizzazione in maniera strategica ed organizzata. PMI 39 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Pianificazione aziendale Cruscotti di controllo aziendale La “Balanced Scorecard” di Amedeo De Luca Introduzione È indubbia la necessità, per la moderna impresa, di conoscere i fattori critici del suo funzionamento e la dinamica delle relazioni con clienti, fornitori e concorrenti. All’impresa occorre un sistema di misurazione delle performance, affinché possa essere governata in modo razionale ed efficace. Necessita, inoltre, che i suoi processi decisionali si basino su un insieme di misure delle sue prestazione, accuratamente progettate e sistematicamente elaborate, in quanto nessun indicatore è in grado - da solo - di misurare in modo completo l’influenza dei fattori sulle performance aziendali. Il controllo e la valutazione di dette performance assumono oggi per l’impresa un’importanza vitale nel raggiungimento dei suoi obiettivi di competitività e di profittabilità. Tale valutazione consente al management di: • controllare in itinere la gestione dell’azienda; • intraprendere eventuali misure correttive; • pianificare le future scelte aziendali. In questa prospettiva è unanimamente riconosciuta l’importanza della Balanced Scorecard (BSC), “sistema di indicatori” (cruscotto o dashboard) che monitora la gestione e la dinamica aziendale. La BSC è uno dei modelli più diffusi a livello internazionale; essa: La BSC • ha il pregio dell’estrema semplicità e concettuale; • si presta bene ad essere implementato nelle PMI. Il cruscotto di indicatori di “performance”: multidimensionalità della BSC Gli indicatori economici e finanziari (metrics) di performance sono alla base della gestione dell’azienda e del monitoraggio dei risultati delle sue strategie. In questo contesto, il cruscotto delle performance si rivela un importante strumento di supporto decisionale, a vari livelli di responsabilità. In una prospettiva di business intelligence, il cruscotto fornisce al decision maker analisi, report e modelli predittivi di ottimizzazione, integrando ed elaborando i dati acquisiti dai vari sistemi aziendali. 40 PMI n. 1/2016 CONTROLLO DI GESTIONE C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. La possibilità di trattare gli indicatori del cruscotto consente al management di quantificare i rischi ed i benefici economici sottostanti alle decisioni aziendali. La BSC è uno strumento che collega e “bilancia” gli indicatori di performance, allo scopo di conoscere in anticipo i riflessi di una determinata azione sulla gestione aziendale. Essa permette di connettere gli obiettivi operativi a breve termine a quelli strategici di lungo termine. La metodologia considera un insieme organizzato di indicatori che - integrati consentono una valutazione globale dei risultati aziendali. Essa consente di esplorare i fattori critici del funzionamento dell’impresa e la dinamica delle relazioni con clienti, fornitori e concorrenti. Lo strumento si caratterizza per il suo orientamento alla gestione futura dell’impresa (senza trascurare le passate performance), monitorando gli obiettivi aziendali all’interno di un sistema integrato, nel quale convergono strategie, reporting direzionale e performance manageriali. La BSC analizza i risultati dall’azienda secondo quattro dimensioni o prospettive (Tavola 1): 1) la prospettiva della performance economico-finanziaria: mette in relazione i risultati ottenuti dall’azienda con le aspettative di profitto degli azionisti; 2) la prospettiva del cliente: orientamento dell’attività aziendale alla soddisfazione della clientela, allo scopo di differenziarsi dalla concorrenza; 3) la prospettiva della gestione dei processi, mirata all’individuazione dei fattori critici di successo per la soddisfazione dei clienti e degli azionisti e - di conseguenza - delle azioni di miglioramento atte a raggiungere gli obiettivi dei vari livelli aziendali; 4) la prospettiva di sviluppo futuro, connessa all’innovazione di processo e all’apprendimento (in termini di capacità e competenze del personale, di motivazione, di responsabilizzazione e coinvolgimento dello stesso), che consentono uno sviluppo globale dell’organizzazione. Tavola 1 - Le quattro prospettive della Balanced Scorecard PMI 41 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Testando periodicamente le relazioni causa-effetto, il management individua i drivers della performance ed è in grado di: • controllare il raggiungimento dei risultati aziendali da parte dell’azienda; • valutare la reale efficacia delle strategie dell’impresa. La “Balanced Scorecard” e le PMI Nell’ambito del controllo di gestione aziendale, si assiste oggi al passaggio dall’approccio contabile classico ad un approccio - strutturato e tempestivo - di monitoraggio delle performance dell’impresa. La BSC, nata come un sistema di controllo diagnostico, atta a fornire ai manager una valutazione complessiva della performance dell’azienda, presenta le caratteristiche tipiche di un sistema di controllo interattivo. Rispetto alle grandi imprese, le PMI presentano le seguenti caratteristiche: Per le PMI • hanno strutture organizzative semplici, in cui il proprietario-imprenditore interviene in genere pesantemente nella vita aziendale; • registrano pochi livelli manageriali e scarsa delega decisionale (il processo di decision making è accentrato nelle mani del proprietario-imprenditore); • hanno risorse umane, finanziarie e di tempo scarse; • operano su mercati di ridotte dimensioni; • hanno strategie informali; • presentano una scarsa standardizzazione e formalizzazione dei comportamenti aziendali: con logiche di gestione orientate al breve termine e scarso ricorso a strumenti di pianificazione; • percepiscono i sistemi di misurazione come fonte di rigidità e poco utili per la risoluzione dei problemi organizzati; • hanno un orientamento tecnico-produttivo (l’eccellenza tecnica del prodotto è considerata un fattore determinante per il successo dell’organizzazione); • presentano un inadeguato utilizzo di strumenti informatici per la gestione dell’informazione; utilizzano in modo insufficiente strumenti di Business Intelligence per la raccolta e la elaborazione dei dati; • localizzano principalmente l’aspetto finanziario e operativo del business; raramente si interessano alle misurazioni di altre aree di performance. La mancanza di adeguate risorse rappresenta il maggiore ostacolo all’implementazione della BSC nelle PMI, strumento da esse poco conosciuto. Unitamente all’inadeguatezza delle risorse, i manager delle PMI non hanno le competenze e la formazione necessaria per implementare modelli manageriali complessi. Essendo spesso assente un’adeguata cultura manageriale, nelle PMI strumenti manageriali quali il BSC non sono considerati importanti. Pur con i limiti sopra elencati, la BSC può essere applicata con successo nelle PMI, se adattata alle peculiari caratteristiche di queste aziende e se sono seguiti nella sua implementazione (Tavola 2) i criteri di seguito indicati: • le PMI che intendono adottare la BSC devono evitare di costruire modelli complessi, con elevato numero di indicatori; 42 PMI n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE • le misure di performance devono essere semplici e sintetiche, riportate graficamente e visualizzate in modo efficace, al fine di consentire ai manager di interpretare le stesse in modo veloce; • le procedure da seguire per raccogliere ed elaborare i dati devono essere chiaramente definite e non devono risultare onerose. Tavola 2 - Fasi ed azioni da attuare per l’implementazione della BSC nelle PMI Fasi Azioni 1) Identificazione del piano strategico Il piano deve coinvolgere l’intero management ed individuare le azioni strategiche. Obiettivo: ottenere il consenso all’interno dell’azienda 2) Costituzione di un comitato di pianificazione Il comitato formula gli obiettivi da inserire nelle prospettive della BSC 3) Feedback Tramite la comunicazione della BSC all’interno dell’azienda il comitato raccoglie commenti ed opinioni sulla BSC stessa 4) Revisione della BSC Sulla base del feedback ricavato il comitato migliora la BSC 5) Comunicazione della nuova BSC Il comitato comunica la nuova BSC all’intero personale dell’azienda. A ciascun membro del Personale è richiesto di organizzare la propria BSC 6) Revisione Il comitato controlla nuovamente la BSC e rivede sia la BSC globale che quella del Personale 7) Stesura del piano Sulla base della BSC il comitato formula il piano strategico di 5 anni strategico di 5 anni 8) Controllo Si controllano trimestralmente i progressi individuali e dell’azienda 9) Validazione Sulla base delle BSC personali di ogni dipendente il comitato valuta le prestazioni dei soggetti e fornisce consigli per migliorare le stesse 10) Revisione Dopo 5 anni il comitato valuta nuovamente la BSC globale Fonte: Ecofin Consulting, con adattamenti Benefici della BSC per le PMI I maggiori benefici ricercati dalle PMI, nell’utilizzo della BSC, sono i seguenti: • miglioramento del processo decisionale; • coordinamento delle attività dell’organizzazione; • monitoraggio della performance. La BSC permette di pervenire ad un maggiore coordinamento dei processi e delle attività tra le varie unità aziendali, consentendo una migliore pianificazione del lavoro. PMI 43 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Da varie ricerche, condotte in diversi Paesi europei, emerge che un migliore allineamento tra obiettivi strategici e azioni è considerato il principale beneficio atteso dall’utilizzo della BSC. In sintesi, la BSC: • conferisce nuove opportunità di creazione di valore alle PMI; • assicura supporto al management nell’identificazione e nell’integrazione degli obiettivi (finanziarie non) dell’azienda, mirati alla creazione di valore aggiunto e alla soddisfazione della clientela; • è uno strumento flessibile, in grado di adattarsi alle diverse realtà aziendali; • è unico per ogni azienda e consente di formulare strategie ad hoc, che riducono i costi e massimizzano i ricavi. 44 PMI n. 1/2016 CONTROLLO DI GESTIONE C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Business Plan Il “Business Model Canvas”: un nuovo strumento per sviluppare l’impresa di Antonio Ferrandina - www.piano-marketing.blogspot.it Premessa Un imprenditore che voglia lanciare una nuova iniziativa o implementare altre attività commerciali, industriali o di servizi, può avvertire la necessità di uno studio preliminare per valutare la fattibilità di mercato, tecnologica, economica e finanziaria della sua idea. La redazione di un business plan risulta però impegnativo, soprattutto se l’imprenditore vuole solo “mettere su carta” un quadro generale della propria iniziativa. Tale quadro generale si definisce Business Model e il suo studio permette di decidere con precisione che tipo di attività si vuole svolgere, per quali clienti, i canali per raggiungere il mercato, come fidelizzare le relazioni, acquisire le risorse critiche, le attività necessarie, contattare i partner da inserire nel processo, gestire le fonti di ricavo e di costo che si genereranno. In definitiva, il Business Model spiega come l’azienda crea, fornisce e acquista valore, mentre il Business Plan descrive che cosa, quanto tempo e quante risorse serviranno per mettere in pratica il Business Model. Il “Business Model Canvas” Per comprendere e rappresentare il modello di business si possono impiegare diversi sistemi; fra questi il Business Model Canvas1, che permette di rappresentare gli elementi fondamentali dell’idea di impresa, su un unico foglio di carta A4. È pertanto uno strumento indicato proprio per le PMI, propedeutico allo sviluppo di un vero e proprio piano di fattibilità. Può essere costruito attraverso i seguenti nove blocchi che permettono una visione sintetica di tutto il modello (Figura 1): 1 Il Business Model Canvas è trattato nel libro Creare modelli di Business, di Alexander Osterwalder, FAG, 2012. PMI 45 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Figura 1 - Il Business Model Canvas Value Proposition (Valore Offerto): Quale “valore” viene proposto ai clienti? Per quale bisogno, necessità, problema si vuole proporre una soluzione? Quale prodotto/servizio o gamma dei medesimi prodotti e servizi creiamo per ogni segmento di clienti? Customers Segments (Segmenti di Clientela): I differenti gruppi di persone e aziende che la start-up intende raggiungere e servire. Chi può usufruire del valore che si crea? Customer Relationships (Relazioni con i Clienti): Il tipo di relazioni che l’azienda stabilisce con i diversi gruppi di clienti. Quale tipo di rapporto si può generare e coltivare nel tempo con ogni segmento? Distribution Channels (Canali di Distribuzione): I canali attraverso i quali veicolare la proposta di valore nel modo più efficace, rapido, facile, meno costoso e più innovativo. Attraverso quali mezzi, strumenti, solchi, alternativi rispetto ad altri prodotti e servizi similari o concorrenti si può raggiungere il mercato? Key Activities (Attività-Chiave): Le attività più importanti per creare la value proposition dell’azienda. Quali sono le attività che danno forma e sostanza alla proposta di valore (es. qualità percepita del prodotto o servizio, velocità di consegna, facilità nei pagamenti, gestione on line dell’help-desk, numero verde per risolvere i problemi, informazioni aggiornate su disponibilità prodotti)? Key Resources (Risorse-Chiave): Le risorse che sono necessarie per produrre valore. Esse sono fondamentali per sostenere e supportare il business. Quali sono le competenze professionali, personali, fisiche, di tempo e finanziarie essenziali? Key Partners (Partners Chiave): Chi sono i partner (tecnologici, commerciali) vitali per avviare e sviluppare il progetto? Costs (Costi): Area che mostra dove si originano i costi. Quali costi sono fissi, quali variabili, quali economie di scala si possono creare? Revenue Streams (Flussi di Ricavi): Da dove ci si aspetta che arrivino i ricavi per ogni segmento di clientela. Sono frutto di vendite, di royalties da partnership o altro? 46 PMI n. 1/2016 CONTROLLO DI GESTIONE C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Un caso aziendale Consigliamo altamente ai nuovi imprenditori e alle start-up di attivare questo processo di analisi molto interessante ed immediato per valutare il modello di business, prima di passare alla redazione di un business plan. Per vedere come funziona in pratica il modello, che richiede un solo foglio di carta ovvero un cartellone sul quale inserire post it colorati, proponiamo un caso aziendale di una start up che ha deciso di analizzare il proprio business con il Canvas. L’obiettivo è quello di realizzare una piattaforma informatica per utilizzare tutte le possibilità commerciali offerte dalla rete web, per far incontrare la domanda e l’offerta nel settore della gastronomia e dei prodotti alimentari di alta gamma. Realizzare un luogo virtuale nel quale le imprese, i professionisti del settore e i clienti privati possano incontrarsi. In questo senso l’azienda si porrà come intermediario virtuale fra imprese del settore (B2B) e imprese e domanda di mercato B2C (aziende non del settore e privati) In base a tali chiavi di lettura, la società ha analizzato il proprio business utilizzando i 9 blocchi del Canvas e creando la cornice generale del business (Tavola 2): Value Proposition (Valore Offerto): La Piattaforma ideata e gestita dalla società esprimerà diverse offerte di valore. Questi in sintesi i vantaggi per le imprese e gli operatori in genere: 1) raggiungere nuovi clienti e sviluppare il volume d’affari; 2) acquistare prodotti/servizi a condizioni vantaggiose; 3) ricercare con maggiore facilità nuovi fornitori e partner; 4) ridurre i costi e i tempi di transazione. Per i clienti privati invece la piattaforma consentirà di: 1) avere a disposizione maggiori informazioni sulle possibilità offerte dalle imprese operanti nel settore; 2) selezionare concrete e vantaggiose occasioni commerciali. Customers Segments (Segmenti di Clientela): I differenti gruppi di persone e aziende che la startup intende raggiungere e servire sono i seguenti: 1) imprese e professionisti del settore agroalimentare, commercio prodotti alimentari e ristorazione, interessati a servirsi della Piattaforma per promuovere le proprie prestazioni e servizi nei confronti di operatori e privati (B2B e B2C); 2) imprese produttrici e Venditrici di Prodotti settore agroalimentare e ristorazione attratti dalla Piattaforma per promuovere le vendite dei propri prodotti a favore di operatori e privati; 3) privati che ricerchino le migliori combinazioni prezzo/prodotto/servizio. Customer Relationships (Relazioni con i Clienti): Per assicurarsi il successo commerciale occorre identificare il tipo di relazione che vogliamo creare con i segmenti di clientela. Ci sono varie forme di relazioni con i clienti che metteremo in piedi: 1) Assistente personale: interazione clienti-azienda. Tale assistenza viene eseguita sia durante le vendite, dopo la vendita, specialmente in sede di acquisizione dei primi importanti clienti aziende. PMI 47 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE 2) Self Service: interazione indiretta tra l’azienda e i clienti. Qui l’organizzazione fornisce gli strumenti necessari ai clienti per servirsi da soli in modo semplice ed efficace; quindi la piattaforma aziendale dovrà permettere in modo agevole sia per i privati sia per gli operatori di consultare le pagine web, iscriversi, inserire i prodotti/servizi, gestire il carrello degli acquisti, ecc. 3) Community: una comunità che permette un’interazione diretta tra i diversi clienti e l’azienda. La piattaforma produce uno scenario in cui la conoscenza può essere condivisa e i problemi risolti anche tra i clienti. 4) Co-creazione: ingresso diretto del cliente nel risultato finale dei prodotti/servizi dell’azienda attraverso la formulazione dei preventivi on line, l’acquisto prodotti, il rating assegnato dai clienti, l’opportunità di fornire di contenuto le newsletter, il blog e i forum. Distribution Channels (Canali di Distribuzione): Nel nostro caso utilizzeremo un mix di canali on line e off-line. Anche se, a regime, quando il sito sarà ben noto e posizionato, la maggior parte delle acquisizioni avverrà sul web, riteniamo che in prima battuta, e soprattutto per gli operatori e aziende più importanti, sia molto utile ed efficace un’attività promozionale svolta da un addetto commerciale, una presenza pubblicitaria nelle fiere di settore, e anche pubblicità di carattere tradizionale. In dettaglio, i canali saranno: – Addetto Promozione/Commerciale; – Google, Facebook, Linkedin Advertising; – Posizionamento Organico; – Pubblicità Off-Line. Revenue Streams (Flussi di Ricavi): Nel nostro modello i ricavi saranno generati da: – canone di abbonamento da parte delle aziende, professionisti, che vendono prodotti e servizi; in particolare, per le aziende che vogliono esporre una vetrina di prodotti più ampia, potranno essere applicati canoni di abbonamento maggiori; – commissioni di intermediazione: solo per le aziende che producono e vendono prodotti fisici. – advertising: il fatturato è generato dai proventi derivanti dalla pubblicità di altri prodotti/ servizi esterni al nostro network. Key Activities (Attività-Chiave): Le attività più importanti per erogare la value proposition dell’azienda saranno: – lo Sviluppo piattaforma Web; – l’Attività di Web Marketing. Key Resources (Risorse-Chiave): Le risorse che sono necessarie per creare valore per il cliente saranno: – la Piattaforma Web; – gli Sviluppatori; – la creazione di un Brand, anche rispetto alla concorrenza. Costs (Costi): I principali costi, in accordo con le tipologie di servizio, le attività e risorse critiche si addenseranno nelle seguenti aree: 48 PMI n. 1/2016 CONTROLLO DI GESTIONE C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. – Piattaforma Web; – Web Marketing; – Addetto Commerciale; – Eventi; – Staff redazione; – Gestione amministrativa. Figura 2 - Esempio di Business Model Canvas PMI 49 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Processi di business Il prezzo: valore percepito dai clienti e profittabilità di Marco Orlandi - Dottore commercialista-revisore legale Le quattro componenti del “marketing mix” e i fattori rilevanti nelle strategie di prezzo La politica di prezzo rappresenta una delle quattro componenti del c.d. marketing mix o delle 4P: a) prodotto (o politica del prodotto); b) prezzo (o politica di prezzo); c) promozione (o politica di comunicazione); d) punto di vendita (o politica di distribuzione). Non è sufficiente, infatti, costruire e fabbricare un prodotto e un servizio valido sotto il profilo qualitativo e adeguato alle esigenze dei consumatori, o della clientela, ma è necessario adottare una strategia di prezzo che consenta di influenzare la domanda e il comportamento d’acquisto dei possibili utenti finali dei beni prodotti dall’impresa. Attraverso la strategia di prezzo l’azienda si pone, in particolare, l’obiettivo di raggiungere la massimizzazione dei volumi di vendita, dei profitti e l’incremento della quota di mercato. Uno dei fattori determinanti nella fissazione del prezzo di vendita è dato dal costo del prodotto, perché, ovviamente, non è possibile applicare prezzi inferiori al costo di produzione, se non per periodi limitati di tempo, a scopo promozionale e di sviluppo delle quote di mercato. Nell’individuazione del prezzo di vendita dei prodotti si devono, però, tenere in considerazione i modelli di comportamento d’acquisto dei consumatori, o dei clienti obiettivo (ossia le loro caratteristiche personali, culturali, sociali, psicologiche), il processo di decisione dell’acquirente e i fattori che lo influenzano, posto che ogni prodotto ha un valore percepito per i clienti diverso e l’applicazione di un prezzo troppo alto può far perdere vendite, ridurre la customer satisfaction, che è influenzata dal rapporto prezzo/qualità, ad esclusivo vantaggio dei concorrenti. La determinazione del prezzo di vendita dei prodotti è, quindi, condizionata da numerosi fattori, di origine sia interna che esterna, quali in particolare, per citarne solo alcuni: I fattori che determinano il prezzo 50 – dalla struttura dei costi di produzione (diretti e indiretti, fissi e variabili) e dalla qualità del prodotto; – dalle caratteristiche della domanda di mercato, dal valore percepito e dalle esigenze dei clienti, dal grado di elasticità della domanda rispetto al prezzo applicato. Più la domanda è elastica, più è sensibile alle variazione di prezzo, sia in aumento che in diminuzione (il cliente, in questi casi, diventa più “volatile” e meno fedele al prodotto); ne consegue che la domanda è elastica se le quantità vendute aumentano significativamente alla diminuzione dei prezzi, oppure diminuiscono in misura rilevante per effetto dell’aumento dei prezzi. Più PMI n. 1/2016 CONTROLLO DI GESTIONE C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. precisamente, l’elasticità della domanda rispetto ai prezzi, elaborata dall’economista Léon Walras, indica la variazione percentuale della domanda di un singolo prodotto (o quantità venduta) rispetto ad una variazione percentuale del prezzo dello stesso prodotto; – dalla realtà di mercato, dalla segmentazione, dalla tipologia e dal numero di utilizzatori che, a seconda della diversa natura dei prodotti e servizi erogati, possono essere numericamente pochi (ad es. per i beni strumentali durevoli aventi caratteristiche tecnologiche avanzate) oppure parecchi (come nel caso di prodotti alimentari di largo consumo); – dalla tipologia di prodotto (beni di consumo, materie prime, beni intermedi o semilavorati, beni strumentali o durevoli); – dalle tendenze di mercato, da fattori di moda, dal comportamento, dai gusti e dalle motivazioni d’acquisto dei consumatori (più o meno influenzabili, o suggestionabili, ad es., dalla pubblicità o da fattori di imitazione di soggetti leader); – dalle varie fasi di ciclo di vita del prodotto (fase di lancio, sviluppo, maturità, declino); – dal contesto socio-culturale-economico del mercato di riferimento o di sbocco; – dalle risorse finanziarie a disposizione dell’impresa; – dalle politiche e dall’offerta di prodotti simili da parte dei concorrenti; – dal grado di differenziazione dei prodotti rispetto alla concorrenza; – dalla forza del brand e dell’immagine aziendale; – dalle relazioni sviluppate con i clienti; – dagli obiettivi di sviluppo e crescita prefissati a livello strategico e di business plan; – dalla forza della rete di vendita e dei canali distributivi utilizzati; – dalla comunicazione esterna e dalle campagne pubblicitarie adottate dall’impresa. La politica di prezzo, per essere efficace, deve tenere in considerazione congiuntamente diversi fattori, tra cui uno dei più importanti è rappresentato dalla soddisfazione finale del cliente, che è spinto soprattutto ad acquistare prodotti di buona qualità ad un prezzo ritenuto conveniente in rapporto al valore percepito. La componente prezzo rappresenta, quindi, un fattore indubbiamente rilevante del piano di marketing, perché deve essere correttamente calibrato e manovrato al fine di non deprimere ulteriormente i fatturati aziendali, soprattutto in tempi di ipercompetitività in mercati sempre più globalizzati. Il piano di marketing mix, nelle sue diverse componenti distintive, se ben progettato, gestito e strutturato nelle sue varie fasi procedurali, migliora l’offerta di prodotto attraverso la focalizzazione dell’impresa sui bisogni e i desideri dei clienti target, attraverso il soddisfacimento delle loro esigenze, tra loro differenziate, a seguito di un corretto posizionamento dell’offerta di prodotto stessa nei segmenti di mercato tra loro eterogenei. Tavola 1 - Le quattro leve del marketing mix (o delle 4P) PRODOTTO - SERVIZI PREZZO IL MARKETING MIX PROMOZIONE/ COMUNICAZIONE PUNTO DI VENDITA/ DISTRIBUZIONE PMI 51 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE I metodi di determinazione del prezzo in base ai costi: il “markup pricing” e l’analisi “Activity Based Costing” (ABC) Le imprese determinano i costi dei prodotti secondo la metodologia del full costing, sommando ai costi diretti di produzione (ad es. per materie prime, manodopera e altri costi industriali) i costi comuni, o indiretti, identificando i costi reali attribuibili a ciascun prodotto, o a ciascuna commessa (nel caso di aziende che lavorino per singoli clienti su specifica ordinazione), mediante l’Activity Based Costing (ABC), che è un metodo di imputazione dei costi indiretti fondato sulla specifica relazione con le attività legate a ciascun prodotto o cliente. Alla contabilità dei costi tradizionale è, pertanto, utile e necessario affiancare la tecnica dell’Activity Based Costing, o ABC, che prende in considerazione i processi aziendali nella loro totalità, al fine di comprendere i rapporti esistenti tra i vari input ed output di una singola azienda e incrementare, al contempo, la produttività e l’impiego efficiente delle risorse aziendali; l’ABC si ispira ai principi della “produzione snella e flessibile” (o della c.d. lean production). Costi indiretti I costi indiretti coinvolti nell’ABC riguardano i costi comuni industriali, i costi comuni commerciali e i costi comuni amministrativi; questa metodologia di controllo dei costi si propone di individuare gli input improduttivi, gli sprechi aziendali e le eventuali sovrapposizioni di risorse finanziarie, umane, o materiali, attraverso un’analisi congiunta di diverse aree, processi e unità produttive, in una visione integrata e dinamica delle diverse attività a cui si associano i costi oggetto di ripartizione basata sull’individuazione dei cost driver (o determinanti di costo) di ogni singola attività di supporto, o ausiliaria. L’ABC considera, pertanto, tutte le attività svolte nell’azienda, in una accezione aziendalistica unitaria, mediante la quale tutti i costi indiretti devono essere imputati ai prodotti per determinare in modo preciso e attendibile il costo complessivo (o pieno) di produzione; cosı̀ agendo si individuano, al contempo, le attività che creano valore per l’impresa, migliorandone la competitività, tramite la scomposizione in attività essenziali e fondamentali dei diversi processi produttivi e gestionali. Mediante un approccio corretto e adeguato di determinazione e di controllo dei costi di produzione, nella loro componente sia variabile che fissa, si può definire il prezzo minimo di vendita che corrisponde al costo totale, al di sotto del quale si lavora in perdita, mentre al di sopra del quale si realizza un margine di profitto e un cash flow positivo. Per la determinazione del prezzo di vendita il metodo più agevole ed elementare è quello del costo totale, detto anche del markup pricing, in base al quale si aggiunge un margine percentuale di ricarico prefissato al costo del prodotto o della commessa. Tuttavia, tale metodo di definizione del prezzo non tiene conto dei prezzi della concorrenza e delle caratteristiche della domanda di mercato, nelle sue varie componenti e sfaccettature, e non sempre rappresenta il prezzo di vendita ideale o più vantaggioso per l’azienda, perché potrebbe non garantire un livello di vendite adeguato o in linea con le previsioni di budget. Gli altri metodi di determinazione del prezzo Il metodo del profitto (o del prezzo) obiettivo, del valore percepito, dei prezzi correnti e delle tre “C” Vi sono, tuttavia, altri metodi di determinazione del prezzo di vendita, quali il metodo del profitto (o del prezzo) obiettivo, del valore percepito, dei prezzi correnti e il c.d. metodo delle tre “C”, che si fondano su politiche di marketing più sofisticate ed evolute rispetto a quella analizzata nel paragrafo precedente, che rimane pur sempre valida e imprescindibile per 52 PMI n. 1/2016 CONTROLLO DI GESTIONE C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. qualsiasi impresa, in quanto prende in considerazione i costi di produzione, nelle sue varie componenti, fisse e variabili (il costo del prodotto rappresenta, infatti, il prezzo minimo al di sotto del quale non si può scendere). Metodo del profitto In particolare, con il metodo del profitto (o del prezzo) obiettivo si calcola, sulla base delle vendite previste e dei relativi costi unitari di produzione (fissi e variabili), il prezzo unitario di vendita dei singoli prodotti, che permettono di conseguire il profitto prefissato, sia in termini percentuali unitari che complessivi. Nel calcolo del profitto (o del prezzo) obiettivo si determina, inoltre, per ogni singolo prodotto, il punto di pareggio o il break even point, che esprime il livello di produzione che consente di coprire i costi complessivi di produzione (dato dalla somma di costi fissi e di costi variabili) con i ricavi totali derivanti dalla vendita dei prodotti, che è dato dalla seguente formula: Il break even point (il punto di pareggio tra ricavi totali e costi totali) q = CF / (p - cv) dove: CF = totale costi fissi imputabili al prodotto; p = prezzo di vendita unitario di prodotto; q = quantità prodotte o volume di produzione. Il punto di pareggio o di equilibrio, in cui i ricavi totali sono uguali ai costi totali, è dato dal rapporto tra l’importo totale dei costi fissi e la differenza tra prezzo di vendita del prodotto e costo variabile unitario, che rappresenta il margine di contribuzione unitario. Metodo del valore percepito Viceversa, con il metodo del valore percepito, il parametro di riferimento nella formazione del prezzo di vendita è rappresentato dall’importanza che ha il prodotto per il cliente o il consumatore finale; si fissa, di conseguenza, un prezzo che sia il più possibile corrispondente al valore che il bene stesso ha per il cliente. Un prezzo troppo alto rispetto all’offerta di valore percepita dai clienti potrebbe compromettere i volumi di vendita finali e intaccare la redditività aziendale, perché potrebbe comportare una perdita di clienti. Il prezzo è, infatti, una variabile che necessita di un continuo controllo, soprattutto nel caso in cui l’offerta di valore percepita dai clienti su alcuni prodotti dell’impresa non sia elevata e corrispondente al prezzo applicato; in questa particolare situazione di mercato, occorre rivedere e modificare velocemente il prezzo applicato, per non creare insoddisfazione nei clienti, dai quali dipendono le vendite aziendali. Per incrementare il valore percepito dai clienti sull’offerta di prodotto dell’azienda si deve rafforzare l’immagine aziendale e il suo brand, oltre alla qualità dei prodotti, cercando di sviluppare il più possibile le relazioni con i clienti e la customer satisfaction, attraverso l’individuazione di un corretto posizionamento dei prodotti, che è sempre frutto di un adeguato processo di segmentazione del mercato, dei consumatori e degli utilizzatori finali. Modello delle tre “C” Con il c.d. modello delle tre “C”, infine, il prezzo di vendita viene determinato osservando più parametri simultaneamente, o contemporaneamente, che sono dati, in particolare, dal costo del prodotto, dalla domanda dei clienti e dai prezzi applicati dai concorrenti diretti; normalmente il costo del prodotto, in questa scala di valori, rappresenta il prezzo minimo di vendita, i prezzi dei concorrenti costituiscono un utile parametro di comparazione e raffronto, mentre il prezzo massimo applicabile è individuato dal valore percepito dai clienti dei propri prodotti. PMI 53 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Se l’impresa è leader di mercato potrebbe anche applicare e stabilire prezzi superiori rispetto a quelli dei concorrenti diretti, anche se è sempre opportuno posizionare il prezzo di vendita finale su livelli non eccessivamente discordanti rispetto a prodotti omogenei, in termini qualitativi, di imprese concorrenti operanti sul mercato, per non perdere competitività. Con il metodo dei prezzi correnti, infine, l’impresa fonda essenzialmente la sua politica di prezzo sui prezzi dei concorrenti, in concreto allineandosi e conformandosi ad aziende leader di mercato, o nel caso di prodotti fungibili indifferenziati (come, ad es., petrolio, metalli, prodotti agricoli) a mercuriali di settore, adottando in tal modo un comportamento da follower1. Tavola 2 - Il modello delle tre “C” Costo del prodotto: prezzo minimo di vendita Strategia del prezzo di vendita: il modello delle tre Concorrenza: prezzo applicato da altre imprese concorrenti (valore utile di riferimento) Clienti e domanda di mercato: valore percepito dai clienti La politica di prezzo (o di “pricing”) e la “customer satisfaction” La politica di prezzo rappresenta, come anzidetto, una leva del c.d. marketing mix, la cui determinazione è influenzata da diversi elementi chiave, interni ed esterni all’azienda stessa. A livello interno, indubbiamente, esercita un’importanza preminente la struttura dei costi, che è formata da una componente fissa e da una variabile. Ipotizzata una certa quantità venduta per singolo prodotto, si determina e si ricerca la combinazione più conveniente tra prezzo e quantità venduta, tenendo conto dell’andamento dei propri costi medi unitari di produzione al variare dei volumi di vendita, che tendono di solito a ridursi all’aumentare delle quantità prodotte e vendute (per effetto di una migliore copertura dei costi fissi). Per alcune aziende, infatti, l’applicazione di prezzi troppo alti riduce il volume delle vendite; tutto accade sovente quando i prodotti non si differenziano di molto rispetto a quelli offerti della concorrenza, l’impresa non ha un marchio forte o una chiara leadership di mercato, i piani di marketing e il sistema delle relazioni con il cliente non sono idonei a creare un posizionamento di primo piano, o vincente, sul mercato. In ogni caso è fondamentale recuperare efficienza, in quanto attraverso la riduzione dei costi medi unitari di produzione si può procedere ad una eventuale diminuzione dei prezzi di vendita, divenendo, di conseguenza, più competitivi per effetto dell’aumento dei volumi complessivi di vendita tramite la leva prezzo. La riduzione dei costi medi unitari di produzione, mantenendo invariati i prezzi di vendita dei prodotti, porta ad un incremento dei margini di contribuzione unitari e ad una maggiore copertura dei costi fissi di struttura. 1 Per un eventuale approfondimento delle tematiche aziendali connesse allo sviluppo dei piani di marketing e delle politiche di prezzo, vedi il seguente libro, uscito alla fine del mese di luglio 2015: M. Orlandi, Come diventare Manager Imprenditori, pag. 209 ss., Collana Innovative Management, IPSOA Editore – Milano, 2015. 54 PMI n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Tavola n. 3 - Confronto tra ricavi di vendita e costi totali di produzione (con varie ipotesi di quantità prodotte, in base alle vendite realizzate o previste): Quantità prodotte (volumi di produzione) Ricavi di vendita Prezzo unitario di vendita Ricavi totali Costi di produzione Costo unitario medio Utile lordo (differenza tra Costo totale di Ricavi totali produzione e Costi totali) Ipotesi a): 29,00 115.300 unità 3.343.700 23,20 2.674.960 Ipotesi b) 27,00 126.550 unità 3.416.850 21,33 2.699.311,50 euro 717.538,50 Ipotesi c) 98.000 unità 3.038.000 25,11 2.460.780,00 euro 577.220,00 31,00 euro 668.740,00 Dal prospetto di cui sopra si desume che per l’impresa è più conveniente sotto il profilo economico la soluzione b), perché, rispetto alle altre due ipotesi, a fronte di un incremento dei volumi complessivi di vendita del prodotto, derivanti da una modesta riduzione a livello percentuale del prezzo unitario di vendita, si ottiene in proporzione una maggiore diminuzione percentuale dei costi unitari medi di produzione. Ne discende una maggiore copertura dei costi fissi per l’effetto congiunto dell’aumento delle vendite realizzate e dei margini di contribuzione unitari. Nella determinazione delle strategie di prezzo è necessario soprattutto valutare il mantenimento e lo sviluppo delle quote di mercato, difendendo la redditività aziendale e i margini di profitto; la politica di prezzo di solito viene differenziata anche in base al ciclo di vita del prodotto, e non solo secondo l’ottica del cliente obiettivo. L’andamento dei volumi di vendita per singolo prodotto nel corso del tempo è, infatti variabile, sia in relazione al proprio ciclo di vita, sia in base alle caratteristiche intrinseche del prodotto; vi sono, infatti, alcuni prodotti per i quali si manifestano volumi costanti o anche crescenti di ricavi con il decorrere del tempo (ad es. per prodotti dolciari, come cioccolatini, biscotti o caramelle di note marche), mentre altri sono soggetti ad un rapido declino, con prevalenza soprattutto della fase di introduzione e sviluppo (come, per es., il settore dei telefoni cellulari, o degli smartphone, i quali sono caratterizzati da un’elevata tecnologia software, con continue modifiche sia sotto il profilo tecnico-informatico sia nel design, per fattori legati anche a tendenze di moda). È di fondamentale importanza analizzare il processo decisionale che porta il consumatore ad acquistare un determinato bene o servizio ed il relativo coinvolgimento psicologico (che può essere elevato, intermedio o scarso); assumono, quindi, un ruolo preminente le informazioni di marketing assunte in fase di pre-acquisto, essendo l’offerta di prodotto diversa e segmentata in base alle differenti aspettative ed esigenze del consumatore-cliente finale. In ogni caso è importante analizzare attentamente i flussi di vendita generati da ciascun prodotto, al fine di individuare le eventuali modifiche da apportare ai prodotti e individuare la politica di prezzo più idonea e corretta per la crescita e il consolidamento dell’azienda sul mercato. Le imprese di minori dimensioni hanno il più delle volte una metodologia e un’organizzazione di marketing piuttosto elementare, o rudimentale, di solito determinano per “tentativi” i livelli di produzione e adeguano successivamente i prezzi alle quantità prodotte e ai costi del prodotto, cercando di massimizzare gli utili e i profitti; cosı̀ facendo, l’impresa, però, rinuncia a costruire nel tempo una politica di prezzo, perché, in concreto, subisce il cambiamento e non lo sa gestire tramite la creazione e lo sviluppo di un marketing relazionale con i clienti, che PMI 55 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE consentirebbe, invece, di riconoscere nel prodotto posto in vendita un determinato valore e renderlo cosı̀ meno condizionabile o influenzabile da variazioni di prezzo in aumento, seppur entro certi limiti. Occorre, pertanto, realizzare un piano di marketing bilanciato, osservare in profondità i clienti obiettivo, per offrire, conseguentemente, un prodotto e un servizio conforme alle loro esigenze e necessità, ottimizzando e migliorando continuamente la customer satisfaction, anche a livello di prezzo, che rappresenta una leva fondamentale del marketing mix. L’impresa si deve, quindi, immedesimare nel cliente, concentrandosi e orientandosi sulle sue esigenze, in quanto i processi di crescita aziendale richiedono la capacità di soddisfare i bisogni dei clienti e di riuscire, nel contempo, a commercializzare i prodotti e i servizi aziendali creando un’offerta di prodotto adeguata e conforme alle caratteristiche della domanda e alla situazione economica congiunturale. È, quindi, opportuno adottare una determinazione del prezzo basata sul valore (detta value pricing), offrendo prodotti a un prezzo congruo tenuto conto della loro qualità, per acquisire un maggior numero di clienti interessati al valore o ad un’offerta di qualità, più che a un prezzo basso; su questo fronte sono, quindi, necessarie delle riorganizzazioni interne dell’attività d’impresa dirette a ridurre i costi di prodotto, a massimizzare l’efficienza, tenendo, però, sempre alta la qualità dei prodotti, che rappresentano il fulcro e il perno fondamentale della customer satisfaction. Confrontando di continuo i risultati ottenuti dai prodotti, in termini di vendite e di margini di contribuzione industriale, si valuta l’andamento del ciclo di vita di ogni singolo prodotto; quando, dopo la fase di introduzione e sviluppo, i costi incrementali per unità di prodotto raggiungono i ricavi supplementari (o incrementali), un prodotto entra nella fase di declino e diviene superato o obsoleto. Raggiunto questo punto, o si migliora significativamente il prodotto con un’innovazione radicale, oppure è opportuno abbandonare l’articolo, perché genera solamente perdite e cash flow negativi. È utile, pertanto, analizzare i margini di contribuzione industriale per ciascun prodotto e linea di prodotto, suddividendoli per area o segmento di mercato, come evidenziato nella tabella sotto indicata: Tavola n. 4 - Matrice prodotti-mercati-margini di contribuzione industriali per prodotto e per linea di prodotto Linea di prodotto A Margine di contribuzione industriale da mercato Alfa P1 P2 P3 Totale MCI per area di mercato e per linea di prodotto 56 PMI n. 1/2016 Margine di contribuzione industriale da Mercato Beta Margine di contribuzione industriale da mercato Gamma Totale M.C.I. per singolo prodotto CONTROLLO DI GESTIONE C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Investimenti Criteri da applicare per la scelta degli investimenti di Teresa Tardia - Consulenza e formazione Per le aziende investire è quasi un obbligo ed è un modo con cui si perseguono percorsi di cambiamento nell’ambito produttivo e operativo. Le scelte di investimento devono essere pianificate e devono essere attentamente valutate per comprenderne la reale capacità di generare i benefici attesi. Le tecniche possono essere molteplici alcune sono di derivazione contabile, altre sono state prese in prestito dalla finanza aziendale. In questo articolo si vogliono proporre alcuni semplici strumenti e tecniche di analisi ai responsabili amministrativi per aiutarli nella scelta del miglior investimento. Si tratta di tecniche di calcolo che sono ampiamente utilizzate nelle aziende dalle più semplici alle più complesse. Ogni investimento deve tener conto di alcuni elementi base su cui valutare la portata dell’intervento di investimento aziendale che può essere quella dei flussi netti generati, oppure della distribuzione dei flussi nel tempo o del valore finanziario nel tempo Nessuno di questi tre approcci esclude l’altro: possono essere analizzati singolarmente oppure integrati al fine di ottenere una analisi più particolareggiata e completa. La valutazione Il responsabile amministrativo deve valutare sia la convenienza economica che la sostenibilità finanziaria al fine di definire in modo adeguato il capital budgeting, ossia la modalità con cui si procede alla valutazione del livello di convenienza dell’investimento. I criteri che analizzeranno in una azienda tipo in ambito contabile amministrativo sono quelli del Tasso di Rendimento Medio o TRM, il periodo di recupero e il discounted cash flow, il Valore Attuale Netto (VAN) e il Tasso Interno di Rendimento (TIR). In primis dobbiamo definire cos’è un investimento. Nelle aziende gli investimenti sono tipicamente quelli in beni strumentali, ma possono anche essere in valori intangibili. Si tratta generalmente di investimenti in macchine produttive, impianti, capannoni, e più in generale in immobilizzazioni che danno la loro utilità per più anni e che dal punto di vista contabile sono ripartiti su più anni attraverso l’applicazione del calcolo dell’ammortamento. Gli investimenti intervengono sulla capacità produttiva dell’impresa e pertanto devono essere attentamente valutari con opportuni criteri al fine di prendere la decisione migliore in termini di opportunità e di convenienza. La dimensione della convenienza economica riguarda la capacità dell’investimento di creare ricchezza e di assorbire l’investimento effettuato. La sostenibilità economica riguarda invece la capacità di sostenere l’investimento in funzione della capacità aggiuntiva allocata e se si fa fronte all’investimento stesso con propri capitali e/o è necessario ricorre a terzi in funzione delle previsione dei flussi generati. Appare pertanto chiaro che il tasso di rendimento contabile, non può essere l’unica misura presa in considerazione per valutare un investimento. Dal punto di vista contabile un investimento rientra tra le immobilizzazioni e genera una uscita per la sua acquisizione. Le PMI 57 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE immobilizzazioni partecipano attraverso l’ammortamento, che è un procedimento tecnico contabile, alla generazione dei costi su più anni che vengono immediatamente detratti dai ricavi di periodo. Pertanto il tasso di rendimento contabile è in funzione dei criteri scelti dagli amministratori per il processo di ammortamento del bene attraverso la definizione del ciclo di vita della immobilizzazione e della relativa percentuale di ammortamento. Appare pertanto chiaro che non sempre è agevole la scelta degli investimenti o dell’investimento adeguato in termini di flussi di cassa e di valore investito. Quando si procede nella definizione di un investimento, se vi sono più progetti, spesso capita che non tutti possono essere approvati, pertanto è necessario mettere in campo dei criteri al fine di evidenziare quello economicamente e finanziariamente più conveniente. In base alle finalità che perseguono, gli investimenti possono essere vincolanti, concorrenti e indipendenti. Indipendentemente dai criteri proposti, la scelta finale deve essere prospettica in funzione della capacità dell’impresa di generare ricchezza e favorire lo sviluppo, l’ammodernamento e l’ampiamento della propria capacità produttiva. I criteri utilizzati I criteri utilizzati per valutare gli investimenti si basano o sui risultati economici che l’investimento potrà generare in termini di ricavi e dei costi incrementali rispetto alla produzione attuale o originaria oppure sui flussi di cassa, in termini di stima delle entrate o delle uscite che il progetto è in grado di generare. In particolare, i flussi devono essere monetari e differenziali nel senso che devono essere legati al progetto, devono essere al netto delle imposte e al lordo degli eventuali oneri finanziari. In particolare, quando si fa riferimento ai flussi incrementali di risorse si fa esplicito richiamo ai flussi di reddito e ai flussi di cassa che l’iniziativa è in grado di generare. In questi casi si analizza anche la distribuzione temporale dei flussi, si prendono in considerazione i flussi monetari netti, e si considerano anche quelli che generano i flussi monetari netti più vicini al momento dell’investimento considerando l’orizzonte temporale, perché si ricostituisce prima l’orizzonte temporale di riferimento in termini di liquidità. Infine si analizza il valore finanziato del tempo, ossia la somma disponibile al momento attuale dato che il valore futuro è diverso rispetto a quello attuale. Il Tasso di Rendimento Medio Si definisce Tasso di Rendimento Medio o TRM il rapporto tra il reddito medio differenziale e il valore dell’investimento medio differenziale in un periodo specifico. Se il risultato che emerge è un Tasso di Rendimento Medio superiore a un tasso che chiameremo soglia (cut off rate), l’iniziativa dell’investimento è positiva e pertanto potrà essere realizzata, in caso negativo va rifiutata. Il cut off rate si identifica analizzando investimenti che hanno lo stesso livello di rischio di quello che si prende in considerazione nel caso specifico. A tale proposito si riporta un esempio (Tavola 1) esemplificatore dei calcoli che devono essere eseguiti. Tavola 1 - Tasso di Rendimento Medio Anno 1 Anno 3 Anno 4 Anno 5 Anno 6 Unità aggiuntive 4.800 5.000 5.700 6.000 6.500 7.000 Ricavi differenziali 144.000 150.000 171.000 180.000 195.000 210.000 Costi differenziali 58 Anno 2 PMI n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Variabili 48.000 50.000 57.000 60.000 65.000 70.000 Fissi aggiuntivi 12.000 12.000 12.000 12.000 12.000 12.000 Ammortamenti 60.000 60.000 60.000 60.000 60.000 60.000 Reddito lord differenziale 24.000 28.000 42.000 48.000 58.000 68.000 -Imposto 30% 7.200 8.400 12.600 14.400 17.400 20.400 Reddito netto differenziale 16.800 19.600 29.400 33.600 40.600 47.600 Reddito netto differenziale 31 267 Investimento medio180.000 TRM (31 267/180.000)x100 = 17% se il valore è superiore al cut off rate il progetto viene accettato Il periodo di recupero Si identifica con il periodo di recupero il tempo necessario per generare i flussi di cassa positivi relativi a un investimento che è oggetto di analisi. Anche in questo caso l’investimento dovrà essere realizzato entro uno specifico periodo che sarà chiamato cut off period, con questo metodo si identificano i flussi positivi o negativi; si somma anche l’esborso iniziale che rientra nel calcolo e si osserva in quale momento il segno dei flussi di cassa diventa positivo. Se il payback period è inferiore al periodo di tempo fissato per il rientro dell’investimento, allora viene accettato. A tale proposito nella Tavola 2 si riporta una esemplificazione. Tavola 2 - Calcolo del periodo di recupero Anni Flussi di cassa Flussi di cassa cumulati 0 -360.000 -360.000 1 86.400 -273.600 2 147.600 -12.6000 3 162.600 36.600 4 176.400 213.000 5 189.000 402.000 6 204.000 606.000 7 254000 860000 162.600: 12 = 36.600: x Da cui x = 2,701107011 0, 701107011 x 30 = 21,03 giorni Ossia il periodo di recupero è di 3 anni 2 mesi e 21 giorni PMI 59 n. 1/2016 C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. CONTROLLO DI GESTIONE Il Valore Attuale Netto Il VAN o Valore Attuale Netto corrisponde alla somma di tuti i flussi positivi o negativi attualizzati generati, confrontandoli con l’investimento inziale. Il progetto di investimento diventa conveniente quando il totale dei flussi di cassa è uguale o superiore a quello iniziale e il VAN deve essere > 0. Va anche scelto accuratamente il tasso che si applica che deve essere superiore al tasso degli investimenti applicatore nel settore in cui l’impresa opera ed è inserita. Va osservato che il tasso scelto deve essere in funzione del ciclo di vita dell’impresa. Nella pratica aziendale circa il 75% delle imprese italiane utilizza il calcolo del VAN per prendere in considerazione l’opportunità di effettuare l’investimento. In sintesi si deve prendere come riferimento il tasso che si applicherebbe con investimenti o progetti simili in termini di durata e di rischiosità. Se l’investimento è a basso rischio il tasso di riferimento è quello dei titoli di Stato, che sono considerati un impiego sicuro. Negli altri casi quando si rileva che vi è un rischio più elevato si aggiungono alcuni punti percentuali al tasso dei titoli di stato come premio per il rischio. Si riporta nella tavola 3 una esemplificazione. Tavola 3 - Calcolo del VAN nella ipotesi del tasso del 7,5% Flussi di cassa Tasso di attualizzazione (1+0,075)-t Flussi di cassa attualizzati -360.000 1 -360.000 75.000 0,930233 69.767 75.000 0,865333 64.900 75.000 0,804961 60.372 75.000 0,748801 56.160 75.000 0,696559 52.242 75.000 0,647962 48.597 75.000 0,602755 45.207 VAN 37.245 Tasso Interno di Rendimento Il Tasso Interno di Rendimento è quel taso che rende pari a uguale a 0 il VAN di un progetto di investimento, ossia rende uguali i flussi in uscita e in entrata di un investimento. L’investimento viene accolto se il tasso di rendimento del progetto o dell’investimento è uguale o maggiore al tasso di rendimento di altri progetti. Conclusioni Tutti i criteri che sono stati esplicitati in questo articolo vanno considerati nella scelta di un investimento. Applicare un criterio non esclude l’altro sia di quelli di derivazione prettamente 60 PMI n. 1/2016 CONTROLLO DI GESTIONE C Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. contabile che si quelli derivati dalla finanza aziendale. Va sottolineato che l’applicazione del VAN o del TIR portano allo stesso risultato. Tuttavia affidarsi unicamente a un solo metodo non sarebbe opportuno poiché ad esempio calcolare unicamente il cut off period o il cut off rate significa non considerare i difetti che tale approccio mette in evidenza. L’insieme di tutti questi indicatori fornisce una indicazione sulla bontà dell’investimento e sulla capacità di generare reddito. PMI 61 n. 1/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
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