Appunti Storia e Cittadinanza
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Appunti Storia e Cittadinanza
Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Appunti forniti dalla Prof.sa C. Stanizzi DAL CONGRESSO DI VIENNA ALL’UNITÀ D’ITALIA Il 22 settembre del 1814 fu convocato il Congresso di Vienna dalle potenze (Austria, Gran Bretagna, Prussia e Russia) che sconfissero Napoleone Bonaparte con l’obiettivo di ripristinare l’assetto politico europeo presente prima delle campagne napoleoniche. A questo congresso parteciparono ben 216 delegazioni provenienti da tutta Europa, tra le quali anche la Francia con il ministro Talleyrand in veste di osservatore. Dominatore indiscusso del congresso fu il primo ministro asburgico Metternich. Il congresso si prefiggeva anche l’obiettivo di dare all’Europa un assetto stabile per impedire le mire espansionistiche della Francia. Vi era un solo modo per garantire la pace duratura in Europa: limitare il potere di ciascuna potenza in modo che nessuna di esse risultasse troppo rafforzata rispetto alle altre. Due furono i principi alla base del lavoro del Congresso: Il principio di equilibrio, volto ad impedire che uno Stato potesse imporsi sugli altri; Il principio di legittimità con il quale si restaurarono sui troni le dinastie regnanti prima delle campagne napoleoniche. La tendenza del Congresso fu quella di rafforzare l’assolutismo monarchico e di impedire la diffusione delle idee francesi. Lo spirito della restaurazione fu perciò antiliberale e volto alla negazione del principio di nazionalità (popolo sovrano). L’Europa del Congresso di Vienna Dopo aver riorganizzato l’assetto politico europeo bisognava preservarlo il più a lungo possibile. Nel settembre 1815, su iniziativa dello zar Alessandro I di Russia, l’imperatore di Prussia e il sovrano d’Austria firmarono il documento istitutivo della Santa Alleanza, patto questo che non vincolava i contraenti ad alcun obbligo preciso e concreto. Il testo affermava che i sovrani si sarebbero prestato aiuto e soccorso in ogni 1 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA luogo e in ogni occasione. In un secondo tempo aderirono alla Santa Alleanza anche altre potenze europee, tra le quali la Francia. Nel novembre del 1815, su iniziativa britannica, fu stipulata la Quadruplice Alleanza tra Gran Bretagna, Russia, Prussia ed Austria, volta ad impedire che l’assetto e l’ordine delineati dal Congresso potessero essere rotti. La Francia venne posta a sorveglianza speciale da parte dell’Alleanza e inizialmente rimase esclusa dal “concerto europeo”. Nel 1818 il Congresso di Aquisgrana riconobbe la Francia come una potenza e le concesse di far parte del concerto. Nacque così la Pentarchia. La risposta alla politica antiliberale del Congresso non si fece attendere I gruppi liberali, che chiedevano l’instaurazione di governi costituzionali, erano una minoranza politica e sociale che faceva capo principalmente ad esponenti intellettuali e della borghesia imprenditoriale. Questi gruppi non potendo operare alla luce del sole si organizzarono in società segrete con attività cospirativa clandestina. In Italia la società segreta più famosa era la Carboneria che aveva filiali in tutta la penisola. Negli anni 1820-1821, in Spagna, in Portogallo e in Italia scoppiarono dei moti insurrezionali promossi da gruppi liberali i quali, però, non ottennero l’appoggio delle masse popolari. Nella penisola iberica questi moti costrinsero i regnanti a promulgare delle Costituzioni. In Italia il 1 luglio 1820 scoppiarono dei moti insurrezionali che interessarono il Regno delle Due Sicilie. I moti furono promossi da Michele Morelli e Giuseppe Silvati, due ufficiali carbonari, e ben presto dilagarono in tutto il napoletano. Alla rivolta si unì anche Guglielmo Pepe, ex ufficiale napoleonico, assumendone il comando. Il re Ferdinando I fu costretto a concedere la Costituzione. Il 15 luglio 1820 la rivolta esplose anche in Sicilia dove il moto assunse, oltre al carattere costituzionale, soprattutto quello separatista. Il governo di Napoli inviò Florestano Pepe il quale, per reprimere il moto, cercò di trattare con i rivoltosi, ma invano. Fu inviato quindi Pietro Colletta il quale sedò la rivolta nel sangue (settembre 1820). Animati dagli eventi accaduti in Spagna e nell’Italia meridionale, le società segrete lombarde e quelle del regno di Sardegna intensificarono la propria attività cospirativa, ma nell’ottobre del 1820 la polizia austriaca arrestò alcuni carbonari tra i quali Pietro Maroncelli e Silvio Pellico. Federico Confalonieri, capo della setta segreta dei federati di Lombardia, decise di passare all’azione pensando di poter contare sull’appoggio di Carlo Alberto, principe di Carignano, il quale nutriva simpatie per i gruppi liberali. Il moto piemontese fu guidato dal conte Santorre di Santarosa. In Piemonte la guarnigione militare dei rivoltosi raggiunse Torino il 12 marzo. Vittorio Emanuele I abdicò in favore di Carlo Felice il quale, trovandosi a Modena, affidò la reggenza a Carlo Alberto. Questi concesse la Costituzione che sarebbe entrata in vigore a seguito dell’approvazione di Carlo Felice. Il re sconfessò l’iniziativa di Carlo Alberto e minacciò di unirsi alle truppe di Novara, fedeli alla Corona. In Lombardia, invece, i piani di Confalonieri furono scoperti dalla polizia austriaca e l’insurrezione saltò. In aprile Carlo Alberto al capo di un esercito piemontese e austriaco sconfisse i rivoltosi di Santorre di Santarosa a Novara; così si conclusero i moti rivoluzionari del 1820-21. L’Austria che era la più interessata a reprimere i moti, fece convocare a Troppau un congresso dove Austria, Russia e Prussia proclamarono il principio d’intervento. In un Congresso a Lubiana fu deciso l’intervento armato nel napoletano. Il 23 marzo 1821 le truppe austriache abbatterono il regime costituzionale napoletano. Con il Congresso di Verona fu dato mandato alla Francia di reprimere il regime costituzionale spagnolo che, nonostante l’accanita resistenza dei gruppi liberali, cadde nell’ottobre del 1823. In Portogallo, invece, il regime costituzionale fu soppresso dalle forze assolutiste interne, riorganizzatesi nel frattempo. Nel 1830 scoppiarono in Europa nuove rivolte che determinarono in Francia e in Belgio una prima rottura negli assetti stabiliti dal Congresso di Vienna. In Francia scoppiò una rivolta popolare contro Carlo X il quale era intenzionato a ripristinare totalmente l’antico regime. La “rivoluzione di luglio” portò sul trono francese il conte Luigi Filippo d’Orleans. La Francia divenne così una monarchia costituzionale. In Belgio il 23 agosto 1830 a Bruxelles la popolazione insorse chiedendo l’indipendenza dall’Olanda. L’intervento dell’Alleanza a difesa del re Guglielmo I fu impedito da Luigi Filippo d’Orleans il quale affermò che per garantire la pace in Europa era necessario non intervenire. Il Belgio divenne così uno stato indipendente e poté dotarsi di una Costituzione liberale. In Italia l’attività cospirativa della carboneria non si era arrestata, ma era rimasta vitale soprattutto nell’Italia centrale. Gli eventi parigini spronarono i gruppi liberali all’azione. La carboneria, grazie ad Enrico Misley aveva preso contatti con Francesco IV duca di Modena il quale era intenzionato a costruire uno Stato nell’Italia centrosettentrionale sfruttando i moti liberali. Nella rivolta diretta da Ciro Menotti furono coinvolte l’Emilia, la Romagna e le Marche. L’improvviso cambiamento dell’atteggiamento di Francesco IV portò, però, all’arresto di Ciro Menotti ma non impedì lo scoppio della rivolta. Grazie a questi moti, nei ducati di Parma e Toscana e in alcuni territori pontifici furono instaurati dei governi provvisori; l’esercito dei rivoluzionari, però, non riuscì a resistere alla reazione austriaca. Nell’Italia centrale furono così ristabiliti i sovrani preesistenti. Le cause principali dell’insuccesso di questi moti furono il mancato appoggio sia delle masse popolari che di una grande potenza. 2 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA L’insuccesso dei moti carbonari fu dovuto da una parte al metodo di lotta e dall’altra al mancato appoggio popolare. Uno dei protagonisti del movimento nazionale italiano fu Giuseppe Mazzini, membro della carboneria, il quale puntava alla costituzione di un’Italia “una, libera, indipendente e repubblicana”. Mazzini rifiutava l’idea di un’Italia federale; era convinto che uno Stato centralizzato avrebbe meglio rappresentato l’unità nazionale. Secondo Mazzini il popolo aveva come missione quella di portare a termine l’unità nazionale che non doveva essere realizzata da un sovrano italiano né con l’aiuto di una potenza straniera ma attraverso un’insurrezione popolare. Nel 1831 Mazzini fondò la Giovine Italia, un’organizzazione clandestina nazionale che doveva incitare alla lotta popolare. La visione mazziniana, però, andava di là dei confini nazionali: da ciò la nascita della Giovine Europa che fu fondata dallo stesso Mazzini nel 1838. Il metodo scelto da Mazzini per la lotta fu quello del ricorso ai moti insurrezionali che avrebbero innescato poi una sollevazione delle masse popolari preparate all’azione per mezzo della propaganda. I tentativi insurrezionali promossi dai mazziniani si trasformarono tutti in pesanti sconfitte. I motivi di tali insuccessi vanno principalmente ricercati nella propaganda di obiettivi che le masse popolari non recepivano come propri e nell’incapacità di “convincere” le masse. Gli obiettivi indicati da Mazzini non coinvolgevano la stragrande maggioranza della popolazione costituita da contadini (Mazzini, ad esempio, non affrontava il problema della terra per loro fondamentale). Tra i tentativi insurrezionali falliti vi è quello dei fratelli Bandiera che, non avendo ottenuto l’appoggio dei contadini calabresi, furono catturati e fucilati dai Borboni. In Italia, mentre i mazziniani “perdevano colpi” anche a causa del fallimento dei moti insurrezionali, si andavano affermando, guadagnando consensi, i liberali moderati la cui visione prevedeva un processo d’unificazione lento e senza spargimento di sangue: tale processo si sarebbe concluso con la nascita di uno Stato federale. Nel 1848 l’Europa fu nuovamente investita da un’ondata di moti insurrezionali. In Francia la situazione politica ed economica era estremamente precaria a causa dell’atteggiamento di stampo conservatore assunto da Luigi Filippo d’Orleans. Gli oppositori del sovrana e diedero vita alla “campagna dei banchetti”, chiamata così perché i comizi politici venivano camuffati con banchetti offerti da esponenti antigovernativi. Il tentativo da parte del ministro Guizot di impedire uno di questi banchetti sfociò in una rivolta popolare che portò alla nascita della repubblica. Fu proclamato il diritto al lavoro e furono creati gli opifici nazionali volti ad eliminare la disoccupazione. Fu anche introdotto il suffragio universale maschile. Gli opifici nazionali, improduttivi e troppo costosi, furono ben presto chiusi dalla borghesia moderata, salita al potere, dopo aver fatto sedare nel sangue dalla guardia nazionale una rivolta operaia. Fu così varata una Costituzione moderata e la Francia divenne una Repubblica Presidenziale. Come primo presidente della Repubblica fu nominato Luigi Napoleone. I moti insurrezionali interessarono anche l’impero asburgico dove, promossa da studenti e insegnanti, scoppiò nel 1848 una rivolta che da Vienna si diffuse in tutto l’impero per il passaggio all’offensiva dei vari movimenti democratici. Tale offensiva ebbe come conseguenza l’abbandono di Vienna da parte di Metternich prima e di Ferdinando I dopo e la costituzione di governi provvisori a Budapest e a Praga. Insurrezioni scoppiarono nel 1848 anche in Germania dove si sollevò una rivolta che da Berlino si diffuse nelle altre città tedesche. Fu quindi convocata un’assemblea costituente di Francoforte con lo scopo di scrivere la Costituzione per la Germania unificata. In Italia la rivolta scoppiò inizialmente a Venezia e a Milano che si ribellarono alla dominazione asburgica. Anche l’Italia meridionale fu investita da moti insurrezionali. A Palermo scoppiò una rivolta che costrinse Ferdinando II a concedere la Costituzione. La rivolta si propagò anche in altre città italiane costringendo i sovrani a concedere anch’essi la Costituzione. A Venezia, la rivolta fu guidata da Daniele Manin e Nicolò Tommaseo e portò alla proclamazione della Repubblica di San Marco (17-03-1848). La rivolta milanese (conosciuta anche come le cinque giornate di Milano) fu guidata da Carlo Cattaneo e portò all’instaurazione di un governo provvisorio costituto dagli insorti. La vittoria milanese spinse Carlo Alberto (sul trono dal 1831) a dichiarare guerra all’Austria. A lui si unirono anche Pio IX, Leopoldo II e Ferdinando II; la guerra contro l’Austria divenne quindi una guerra nazionale (I Guerra d’Indipendenza 1848-1849). Per i personali interessi di Carlo Alberto l’intesa si ruppe presto. Il regno sabaudo, dopo qualche successo contro l’Austria, fu costretto a firmare l’armistizio con gli austriaci. Nel 1849 nell’impero asburgico, grazie all’esercito fedele alla corona, fu restaurata la vecchia monarchia. In Germania Federico Guglielmo IV rifiutò la corona offertagli dall’assemblea di Francoforte e ripristinò con le armi la monarchia abbattuta dagli insorti. In Italia la fine della “guerra regia" diede inizio alla guerra del popolo. Purtroppo la guerra dei democratici ebbe dimensioni di gran lunga inferiori a quelle sperate da Mazzini. Nel regno delle due Sicilie i borboni liquidarono la Costituzione prima concessa. Nello Stato pontificio, a seguito della mobilitazione dei democratici e dei liberali, sorse nel 1849 la Repubblica Romana governata da un triunvirato: Mazzini, Saffi ed Armellini, che intraprese una politica di laicizzazione dell’ex Stato pontificio. 3 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA In Toscana, i democratici costrinsero Leopoldo II a fuggire a Gaeta dove già si era rifugiato Pio IX. Anche la Toscana fu governata da un triunvirato: Guerrazzi, Montanelli e Mazzoni. Mazzini, a seguito della situazione favorevole determinatasi, voleva accelerare il processo di unificazione, ma trovò l’opposizione di Guerrazzi. Carlo Alberto, timoroso per la caduta di prestigio della monarchia sabauda, piuttosto che sottostare alle pesanti condizioni austriache imposte con la pace, decise di continuare la guerra. Una nuova sconfitta lo portò ad abdicare a favore di Vittorio Emanuele II. Intanto l’esercito austriaco occupò la Toscana consentendo a Leopoldo II di riprendere il potere. La repubblica Romana cadde per l’intervento di Luigi Napoleone erettosi a difensore dei cattolici per conquistarne l’appoggio. L’ultima a cadere, dopo una lunga resistenza all’assedio degli austriaci, fu la Repubblica di Venezia. L’unico stato italiano che non subì moti rivoluzionari fu lo Stato sabaudo. Alla guida del governo sabaudo vi era Camillo Benso di Cavour, per il quale il regno di Sardegna, stringendo alleanze con potenze straniere, doveva cacciare l’Austria dalla penisola per poter costituire un vasto regno dell’Italia Settentrionale. Tale convinzione portò Cavour ad inviare in Crimea un contingente sardo; ciò consentì al regno sabaudo di partecipare al Congresso di Parigi dove Cavour sollevò la questione italiana. Di fronte all’ennesimo insuccesso dei mazziniani nella spedizione di Sapri, Cavour, nell’incontro segreto di Plombiers, decise di allearsi con la Francia. Secondo gli accordi stipulati, Napoleone III (Luigi Napoleone diviene imperatore nel 1852 con tale nome) sarebbe entrato in guerra a fianco del regno sabaudo solo se quest’ultimo fosse stato attaccato dall’Austria. In cambio la Francia avrebbe ricevuto Nizza e la Savoia. Cavour, per provocare l’Austria, fece disporre truppe sabaude lungo il confine con i territori austriaci. Dopo un ultimatum austriaco respinto da Vittorio Emanuele II, l’Austria attaccò il regno di Sardegna (II Guerra d’Indipendenza). Come da patti la Francia si schierò con Vittorio Emanuele II. Dopo una serie di vittorie delle truppe sardo-francesi, Napoleone III propose all’Austria un armistizio in quanto nell’Italia centrale esponenti filopiemontesi, saliti al potere, chiedevano l’annessione al regno sabaudo. Il 12 luglio 1859 a Villafranca fu siglata la pace tra Francia ed Austria. La pace prevedeva la cessione della Lombardia da parte dell’Austria alla Francia, la quale successivamente la consegnò all’Italia, e la restaurazione dell’ordine nell’Italia centrale. Nel 1860 nell’Italia centrale si tennero dei plebisciti con esito favorevole all’annessione al regno sabaudo. Terminava così la prima fase dell’unificazione pensata da Cavour. A questo punto entrarono in scena i mazziniani con l’organizzazione di una spedizione di mille volontari guidati da Giuseppe Garibaldi, avente lo scopo di fare insorgere le masse popolari meridionali. La spedizione partì da Quarto il 5 maggio 1860. Garibaldi, sbarcato in Sicilia, piegò subito la resistenza delle male armate truppe borboniche e, in nome di Vittorio Emanuele II, vi proclamò la dittatura. Dopo aver sedato nel sangue un moto contadino contro i proprietari terrieri iniziò la risalita verso Napoli. Garibaldi sbarcò in Calabria in località Rumbolo di Melito di Porto Salvo (19 agosto 1860) che costituisce la parte più a Sud dell’Italia continentale. Nelle acque del mar Ionio, antistanti la dimora che scelse per le proprie truppe (oggi denominata Casina dei mille e che al tempo apparteneva ai marchesi Ramirez), era visibile sino a poco tempo fa la nave garibaldina “Torino” arenatasi durante lo sbarco frettoloso delle truppe, avvenuto sotto il fuoco nemico delle navi borboniche e la resistenza di uno sparuto gruppo di fedeli ai borboni prontamente messo a tacere. Nella Casina dei mille Garibaldi dimorò un paio di giorni per far riprendere fiato alle sue truppe, sopportando anche l’attacco delle navi borboniche che non ebbe però alcun esito. Di tale attacco è testimonianza una palla di cannone ancora oggi visibile sul muro di un balcone della casina, mentre lo sbarco di Rumbolo è ricordato da una stele eretta nel punto esatto dello sbarco. Da Melito di Porto Salvo i mille risalirono attraverso l’Aspromonte sino a Napoli dove entrarono il 7 settembre 1860. Intanto, per paura che Garibaldi potesse giungere a Roma, Cavour inviò truppe piemontesi in Umbria e nelle Marche, occupandole. Le truppe quindi si misero in marcia verso Napoli pronte a scontrarsi con Garibaldi il quale però non era interessato a combattere contro di esse. Questi preferì attendere l’arrivo del re. Nel frattempo nell’Italia meridionale si tennero dei plebisciti per l’annessione al regno sabaudo, che ebbero esito favorevole. Il 26 ottobre 1860, con lo storico incontro di Teano, Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele II tutti i territori da lui liberati. In epoca immediatamente successiva anche le Marche e l’Umbria furono annesse al regno sabaudo per mezzo di plebisciti. L’unificazione nazionale prendeva così corpo, anche se essa non era ancora completa perché il Lazio rimaneva territorio papale e il Veneto era in mano austriaca. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II venne proclamato re d’Italia. Con lo scoppio della guerra austro-prussiana del 1866, l’Italia si schierò con la Prussia con il premeditato intento di sottrarre il Veneto all’Austria (III Guerra d’Indipendenza). La guerra ebbe esito negativo per l’Italia, ma, grazie alle vittorie prussiane e alla pace di Vienna, il Veneto fu annesso al regno d’Italia. Per il completamento del processo d’unificazione mancava soltanto l’annessione dello Stato pontificio, operazione questa di difficile attuazione in quanto Pio IX non era in alcun modo intenzionato a rinunciare al potere temporale. Di fronte a questo rifiuto del papa, Garibaldi e i suoi volontari tentarono per due volte di 4 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA occupare Roma, ma Napoleone III, protettore dello Stato pontificio, glielo impedì. Con la caduta di Napoleone III a seguito della guerra franco-prussiana, truppe italiane guidate dal generale Cadorna entrarono a Roma dopo essersi aperti un varco presso Porta Pia (20 settembre 1870), ponendo fine al potere temporale del papa. Nel luglio 1871 Roma divenne la capitale del regno d’Italia. L’unità d’Italia si era finalmente realizzata. 5 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA 6 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA 7 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA 8 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA 9 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA 10 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA 11 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA GIUSEPPE MAZZINI (approfondimento per lettura) Uomo politico (Genova 22 giugno 1805 - Pisa 10 marzo 1872). Militante della Carboneria (1827-30), fu esule in Francia e in Svizzera. Allontanatosi dall’ideologia carbonara, maturò il progetto della Giovane Italia, secondo un principio repubblicano di nazione unita, composta di cittadini liberi ed eguali (Manifesto, 1831). Recatosi in Inghilterra (1837) vi visse alcuni anni in solitudine e con una scarsa disponibilità finanziaria, ma approfondendo il suo pensiero politico e la sua cultura letteraria. Dopo due anni, tornò alla politica, dando vita alla cosiddetta “seconda Giovine Italia”, il cui programma prevedeva una maggiore partecipazione popolare. Rientrato in Italia nel 1848, fu a capo della Repubblica romana, dedicandosi poi a tessere le fila di moti e colpi di mano che però non ebbero successo. Costretto di nuovo ad espatriare, dal 1857 visse principalmente fra Lugano e Londra, finché nel 1870 organizzò una spedizione per liberare Roma: fu però arrestato e rinchiuso nel forte di Gaeta, da cui uscì amnistiato l’anno successivo. Animato da profonde convinzioni repubblicane e democratiche, fu una delle maggiori personalità del Risorgimento italiano, distinguendosi in modo particolare nella lotta per l'indipendenza italiana e per la formazione di uno stato e una coscienza unitari. Vita e attività L'ambiente familiare contribuì a dare al futuro apostolo dell'unità una educazione severa nella quale ebbero indubbî riflessi la formazione politica del padre, Giacomo, medico, e il rigorismo morale della madre, Maria Drago, la cui concezione religiosa della vita era ricca di motivi giansenistici non infrequenti nella Liguria della fine del Settecento. Giansenisti erano anche i due abati - Luca Agostino De Scalzi e, in un secondo tempo, Stefano De Gregori - ai quali fu affidata la prima educazione di M. fino al 1819, anno della sua iscrizione al primo biennio dell'università (corrispondente all'odierno liceo), nella facoltà di filosofia e belle arti. Passò poi agli studî giuridici. Già coinvolto nei tumulti scoppiati a Genova il 21 giugno 1820, nel marzo 1821, con un gruppo di universitarî, si recava dal governatore di Genova, Des Geneys, per chiedere la costituzione: "una ragazzata", come scrisse Salvemini, giustamente non ricordata da M. nelle Note autobiografiche scritte nel 1861. Il generale clima di reazione dominante nel regno subalpino all'indomani del fallimento del moto costituzionale si manifestò nel campo degli studî non tanto con la chiusura delle università di Torino e di Genova per l'anno scolastico 1821-22, quanto con l'applicazione rigida di regolamenti (come quello approvato da Carlo Felice il 23 luglio 1822) che mortificavano le coscienze, imponendo agli studenti di frequentare con assiduità le funzioni parrocchiali e di confessarsi almeno una volta al mese, pena l'esclusione dagli studî. In questo clima, M. portò avanti i suoi studî, conseguendo la laurea il 6 aprile 1827. Durante gli anni universitarî M. si era legato ai fratelli Ruffini in un sodalizio in cui polemica letteraria e lotta politica erano strettamente collegate nella convinzione che una nuova letteratura presupponesse un rinnovamento morale e politico del Paese. È questo il senso della collaborazione mazziniana all'Indicatore genovese (1828) e, dopo la soppressione di questo, all'Indicatore livornese di F. D. Guerrazzi. L'evidente ripresa di alcuni motivi settecenteschi circa il necessario impegno civile di ogni autentica letteratura avveniva qui in chiave romantica. La stessa interpretazione di Dante da parte di M. (Dell'amor patrio in Dante, composto nel 1826, ma pubblicato undici anni più tardi) è significativa in questo senso, quale prima manifestazione di uno sforzo teso a creare una tradizione nazionale laica unitaria. Non per nulla più tardi da parte della storiografia "democratica" - si pensi per tutti all'abate Luigi Anelli - si metterà in evidenza il rapporto Dante-Mazzini, sino a fare di quest'ultimo l'interprete migliore delle idealità politiche dell'Alighieri. M. militò nelle file della carboneria tra il 1827 e il 1830, svolgendo un'intensa attività cospirativa in Liguria e in Toscana con Federico Campanella, G. Elia Benza, Carlo Bini, Giambattista Cuneo. Arrestato il 13 novembre 1830, in seguito alla delazione di Raimondo Doria, fu portato con gli altri incriminati nella fortezza di Savona, dove rimase fino al termine del processo (gennaio 1831), concluso con l'assoluzione, per insufficienza di prove, di tutti gli imputati. Dopo la sentenza, alcuni di questi - tra i quali M. - furono invitati a scegliere tra il confino in qualche piccola località all'interno del regno e l'esilio. M. scelse l'esilio e fu a Ginevra, a Lione e a Marsiglia. Durante la permanenza nel carcere di Savona M. avrebbe maturato il distacco dalla carboneria, ormai "fatta cadavere", avviando il disegno della Giovine Italia. Obiettivo della Giovine Italia era una repubblica unitaria "di liberi ed eguali", consapevoli di appartenere alla stessa nazione; mezzi per raggiungere questo fine, una educazione che predicasse l'insurrezione e un'insurrezione dalla quale risultasse un principio di educazione nazionale. A differenza dei moti precedenti ci si sarebbe dovuti basare non su una classe sola ma sull'intera nazione e non si sarebbe dovuto far dipendere l'inizio del moto da aiuti di altre potenze o di principi (proprio nel giugno 1831 M. aveva indirizzato a Carlo Alberto, successo appena a Carlo Felice, un appello per invitarlo a mettersi alla testa della rivoluzione italiana, senza ottenere, com'era del resto prevedibile e previsto, alcuna risposta). Questo differenziarsi dell'associazione di M. dal mondo carbonaro e settario si accentuò col passar dei mesi, come dimostra il Manifesto della Giovine Italia, apparso nel primo fascicolo dell'omonimo periodico pubblicato a Marsiglia nell'ottobre 1831; anche se non mancarono temporanei accordi e vere alleanze, come quella del settembre 1832 con la Società dei Veri Italiani, fondata 12 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA da Filippo Buonarroti, durata solo fino agli ultimi mesi del 1833. In quegli stessi anni M. tentò di diffondere la Giovine Italia nel regno sardo, anche nell'esercito. Una delazione provocò arresti e fucilazioni (21 condanne a morte di cui 12 eseguite; Iacopo Ruffini si suicidò in carcere), ma M. tentò ugualmente una spedizione armata nella Savoia sotto la guida di Gerolamo Ramorino, fallita miseramente. M. reagì al grave insuccesso allargando il suo programma con la fondazione della Giovine Europa (secondo l'Atto di fratellanza approvato a Berna il 15 aprile 1834, era costituita dalla Giovine Italia, dalla Giovine Germania e dalla Giovine Polonia). Nell'anno successivo M. fondò il periodico Jeune Suisse dove pubblicò, tra il 17 e il 24 febbraio 1836, l'importante scritto Interessi e principi, nel quale si dimostrava che la speranza di un miglioramento materiale non poteva far affrontare i rischi connessi a qualsiasi azione rivoluzionaria, che esigeva un principio "allo stato di credenza", una fede. In quello stesso anno M. fu scosso da una grave crisi di sconforto ch'egli definì la "tempesta del dubbio". Forse l'idea che inseguiva era un sogno e lo stesso concetto di patria un'illusione, forse l'Italia, "esaurita da due epoche di civiltà", era "condannata a giacere senza nome e missione propria, aggiogata a nazioni più giovani e rigogliose di vita". La crisi fu superata mediante la religiosa consapevolezza che la vita è missione ed è guidata dalla sola legge del dovere, alla quale in nessun modo ci si può sottrarre; ma la sua attività politica rimase ugualmente sospesa per circa tre anni. Nel frattempo, costretto a lasciare la Svizzera, M. si recò in Inghilterra; giunse a Londra il 12 gennaio 1837 in compagnia di Giovanni e Agostino Ruffini e di Angelo Usiglio. Egli intendeva proseguire la sua opera di proselitismo politico, creando una corrente di simpatia per l'Italia, facendone conoscere le tristi condizioni. M. per vivere non poteva far altro che scrivere e si impegnò duramente per trovare quotidiani e riviste disposti a pubblicare la sua prosa. Esclusi i periodici conservatori e le stesse riviste liberali, egli poté contare sulla sola rivista radicale, la London and Westminster Review, trimestrale, e sulle corrispondenze che da Londra inviava al Monde e all'Helvétie. In queste condizioni, amareggiato dalla scarsezza di mezzi materiali e dalla solitudine, M. trascorse quel primo periodo londinese, che ebbe un peso non trascurabile nella sua esperienza culturale. "Il contatto con l'ambiente francese aveva vivificato il suo pensiero politico, il duro lavoro di biblioteca nei primi due anni inglesi rinsalderà e soprattutto approfondirà la cultura letterario-filosofica dell'esule" (E. Morelli). Nel 1839 M. riprese il suo programma politico: sorse quella che si è soliti chiamare "seconda Giovine Italia". Il ritorno alla lotta politica era sorretto non soltanto da una ferma fede nel finale inevitabile trionfo, ma soprattutto dalla impossibilità di sottrarsi al compito cui si era votato. La novità, rispetto alla prima Giovine Italia, era costituita dalla maggiore attenzione rivolta agli operai: non bastava lavorare "pel popolo", bisognava lavorare "col popolo". Questo tentativo di organizzazione operaia, che ebbe anche un nuovo giornale, l'Apostolato popolare, organo dell'Unione degli operai italiani, se era assai lontano dal tradizionale paternalismo dei moderati, non mutò il fondamentale carattere interclassista del movimento mazziniano. Proprio mentre faticosamente M. riannodava le fila della sua organizzazione, allargandone il raggio, un moto di ex carbonari nelle Romagne fece ritenere a due ufficiali della marina austriaca - Attilio ed Emilio Bandiera, appartenenti all'Esperia, una società segreta collegata con la Giovine Italia - che fosse venuto, nonostante il contrario avviso di M., il momento di agire. Ma il tentativo di portare la rivoluzione in Calabria (dove nel marzo 1844 era stato domato un moto rivoluzionario) si concluse tragicamente il 25 luglio 1844 nel Vallone di Rovito, presso Cosenza, con nove fucilazioni. Diffidente nei confronti delle parziali riforme che si tentarono in Italia, così come nei confronti delle proposte di V. Gioberti e di C. Balbo, se pure nel settembre 1847 scrisse una lettera piena di speranze a Pio IX, M. si impegnò a scongiurare con un messaggio il pericolo separatista dell'insurrezione palermitana (genn. 1848). Caduta la monarchia di Luigi Filippo, M. si trasferì subito a Parigi, ove fondò l'Associazione nazionale italiana, i cui obiettivi erano: guerra all'Austria per unificare la penisola e assemblea costituente eletta a suffragio universale. A Milano, libera da due settimane dagli Austriaci, M. giunse il 7 apr. 1848; nel contrasto tra le tendenze politiche dominanti, quella moderata, che voleva la fusione con il regno sardo, e quella repubblicana capeggiata da C. Cattaneo, ostile alla fusione e al capo del governo provvisorio milanese G. Casati, M. assunse un atteggiamento assai meditato: egli disapprovava nettamente l'operato dei moderati e la loro politica fusionista, ma riteneva impolitico e pericoloso abbattere il governo provvisorio quando il problema più urgente era costituito dalla guerra contro l'Austria, che era ben lungi dall'essere conclusa. Quest'atteggiamento portò alla clamorosa rottura tra M. e i federalisti (30 aprile). Dopo le vittorie austriache, M. dovette rifugiarsi a Lugano; ma la guerra di popolo, da lui proclamata, si svuotò nell'infelice insurrezione di Val d'Intelvi (ottobre 1848). Rifugiatosi a Marsiglia, tornò in Italia, a Livorno; la sua proposta d'unione della Toscana, in mano al partito democratico, con Roma, dal 9 febbraio 1849 repubblica, non fu accolta da Guerrazzi. M. si recò allora a Roma dove giunse il 5 marzo di quell'anno. Il 29 marzo ebbe la notizia della disfatta di Novara che poneva termine alla prima guerra d'indipendenza. In quello stesso giorno si istituiva a Roma un triunvirato (composto da M., A. Saffi e C. Armellini), che fu l'animatore della difesa contro i Francesi durata dal 3 al 30 giugno allorché i triunviri si dimisero. Il progetto mazziniano di far uscire da Roma l'esercito, l'assemblea e il triunvirato per portare la guerra nelle province aveva trovato consenzienti soltanto Garibaldi, Pisacane e pochi altri; a grande maggioranza era stata decisa la cessazione della difesa. Caduta Roma, M. si mise subito al lavoro per unire tutte le forze disposte a lottare per l'indipendenza, l'unità e la libertà d'Italia, accettando come mezzi la guerra e la costituente. Si fondò un Comitato democratico europeo (1850) che attuò un concreto collegamento con i varî esponenti nazionali polacchi, russi, centro-europei e balcanici e un 13 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA comitato nazionale italiano che bandì un prestito per raccogliere fondi per la liberazione del Paese. Questo lavoro organizzativo fu particolarmente attivo in Liguria, in Piemonte e in Lombardia, dove vi furono tra il luglio 1851 e la fine del 1852 circa un centinaio di arrestati: 10 furono impiccati a Belfiore, nei pressi di Mantova, tra il 7 dicembre 1852 e il 19 marzo 1853. Tra la prima e la seconda serie di esecuzioni si ebbe a Milano il moto del 6 febbraio, sull'opportunità del quale, in realtà, c'erano stati dissensi tra gli stessi mazziniani. Il completo fallimento del moto segnò un duro colpo per M. che aveva sperato, questa volta, di sommuovere gli strati popolari e il sottoproletariato della capitale lombarda per rinnovare il miracolo del 1848, in una situazione interna e internazionale del tutto diversa. Nel 1857, in concomitanza con la spedizione di C. Pisacane finita tragicamente a Sapri, si portò a Genova per impadronirsi di armi con un colpo di mano, ma il tentativo fallì e M., già colpito da una condanna a morte nel 1833, fu nuovamente condannato in contumacia. Tornato a Londra, dal suo periodico Pensiero ed azione, deprecò l'alleanza franco-piemontese, ma spronò i suoi aderenti a combattere contro l'Austria insieme con l'esercito regio. Dopo Villafranca, inutilmente tentò di promuovere, da Firenze, una iniziativa di volontarî nelle Marche, nell'Umbria e nel Regno di Napoli. Ancora a Lugano, poi a Londra, dopo l'impresa dei Mille tornò a Genova, nascondendosi, ma la spedizione da lui promossa nell'Italia centrale fu fermata a Castel Pucci. Da Napoli, dove nell'ottobre 1860 aveva fondato il Popolo d'Italia, amareggiato dall'ostilità che la sua presenza di "esule in patria" provocava, per l'indirizzo ormai regio del Risorgimento, affranto da sofferenze fisiche, si recò a Lugano e poi ancora a Londra. La sua posizione nei confronti del Regno d'Italia si può così riassumere: Italia e non Piemonte, cioè italianizzare il Piemonte e non piemontizzare l'Italia, una nuova costituzione e non l'estensione dello statuto albertino a tutto il territorio nazionale; liberare Roma e Venezia, giungere alle Alpi. In contrasto anche con Garibaldi, del quale non approvò i tentativi per la soluzione della questione romana del 1862 (Aspromonte) e del 1867 (Mentana), si irrigidì nella sua posizione repubblicana, specie dopo la Convenzione di settembre (1864). Visse gli ultimi anni di vita tra Londra e Lugano, con brevi e furtivi soggiorni a Genova e a Milano: la sua azione politica era ormai polarizzata su due temi: Roma e la questione sociale. Roma non era per M. una città come le altre, da annettere, come si era fatto per il Veneto, anche dopo una guerra infelice. Roma era un'idea, il simbolo di un'età che da essa avrebbe avuto inizio. Per liberarla M. organizzò nella primavera 1870 una spedizione che sarebbe dovuta partire dalla Sicilia. Arrestato mentre si preparava a sbarcare nel porto di Palermo, fu internato nel forte di Gaeta. Ne uscì amnistiato e riprese il suo esilio. Fondò ancora la Roma del popolo (1871), per l'educazione degli operai, riprendendo i temi del libro I doveri dell'uomo (1860) in polemica con l'Internazionale. Di essa M. condannava l'irreligiosità, la negazione della nazione e della proprietà individuale, la lotta di classe. Gli operai avrebbero dovuto tendere, invece, verso un ordine di cose nel quale la proprietà fosse frutto del lavoro e nel quale il sistema del salario fosse sostituito dall'associazione volontaria, basata sull'unione del lavoro e del capitale nelle stesse mani. Solo in questo modo si sarebbe potuto creare un sistema nel quale l'utile della collettività precedesse l'utile dell'individuo. Quest'ultimo periodo fu per M. il più duro della sua vita. Lasciata Londra, il 10 febbraio 1871, si recò a Lugano dove rimase circa un anno. Tornò per l'ultima volta in Italia per finirvi i suoi giorni e, dal 6 febbraio 1872 alla morte, visse a Pisa, sotto il nome di dott. Brown, accettando l'ospitalità di Giannetta Nathan Rosselli. Morì il 10 marzo 1872: la salma fu tumulata a Staglieno (Genova). Pensiero Personalità di immenso fascino, il suo pensiero politico, se pur non si tradusse mai in un corpo ragionato di dottrine, si chiarì, reagendo alle prime esperienze democratiche, incontrate soprattutto nell'ambiente buonarrotiano di Ginevra, e a quelle carbonare dagli ambigui programmi riformatori, in una fondamentale esigenza etica di rinnovamento della società. La consapevolezza che i valori morali possono attuarsi soltanto trascendendo le particolarità individuali nella comunità immortale che è la nazione, deve dare alla vita anche politica una tensione tutta religiosa. L'uomo, svincolandosi da ogni interesse materialistico, si ritrova perciò nel suo popolo, e così i popoli in una fratellanza universale, essendo l'anima dei popoli la manifestazione stessa di Dio. Perciò il principio della nazionalità come unica forma morale dell'esistenza del popolo non è nella natura, nella razza, ma nello spirito, nella coscienza e nella volontà di essere nazione, e la libertà è quindi diritto prima che dovere, impegno non di astratta teoria ma di azione, spinta se occorre al sacrificio della propria persona, nella fede del valore imperituro di ogni testimonianza morale. Per questo la politica è educazione, e l'insurrezione anche fallita è sempre vittoria dello spirito di libertà, affermazione della vita-missione che solo nella nazione si attua e, senza compromessi, nel reggimento repubblicano. M. contribuì alla formazione di una coscienza civile e politica in Italia; molti dei maggiori uomini del Risorgimento sono passati attraverso il mazzinianesimo. E anche chi non vi era passato, come Cavour, e l'aveva anzi costantemente e coerentemente avversato, nel dimostrare la necessità di Roma per l'Italia (discorso alla camera del 27 marzo 1861), finiva inconsapevolmente per riprendere lo spirito, se non la lettera, di motivi tipicamente mazziniani (l'Italia senza Roma "forma senz'anima", unità materiale non unità morale). Il problema politico del Risorgimento acquistò con M. una dimensione religiosa: questo fondersi e confondersi 14 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA di motivi religiosi e politici non contribuì alla chiarezza concettuale, all'organicità e quindi alla diffusione del suo pensiero, ma diede all'azione mazziniana vigore e tensione morale. Opere I numerosissimi scritti di M. sono stati pubblicati una prima volta, in 18 volumi, nell'edizione cosiddetta daelliana (anche se presso l'editore milanese G. Daelli apparvero soltanto, tra il 1861 e il 1864, 7 volumi), curati dallo stesso M. i primi 8 volumi, da A. Saffi tutti gli altri, meno l'ultimo, il 18°, pubblicato nel 1891 "a cura della Commissione editrice". In occasione del centenario della nascita di M. fu costituita una commissione incaricata di fare una edizione nazionale degli Scritti editi e inediti di M. che, tra il 1906 e il 1943, pubblicò 100 volumi divisi in scritti politici, scritti letterarî ed epistolario e un ultimo volume con scritti letterarî e politici; a questi si sono aggiunti successivamente altri volumi. Tra il 1916 e il 1922 apparivano i 6 voll. del Protocollo della Giovine Italia.Brigate MazziniBrigate partigiane sorte dopo l'8 settembre 1943 per la lotta antitedesca su iniziativa del Partito repubblicano italiano.Mazzini SocietyOrganizzazione politica antifascista costituita negli Stati Uniti d'America dai rifugiati italiani attorno a C. Sforza, all'inizio della seconda guerra mondiale, e della quale fu segretario generale dal 1940 al 1943 A. Tarchiani. Ebbe tendenza democratica e anticomunista. (Enciclopedia Treccani.it) GIUSEPPE GARIBALDI (approfondimento per lettura) Patriota, generale e uomo politico (Nizza 1807 - Caprera 1882). Dopo aver aderito alla Giovine Italia e preso parte a moti insurrezionali in Italia, visse alcuni anni (1835-48) in America, combattendo per l’indipendenza in vari Paesi. Rientrato in Italia, partecipò al governo provvisorio di Milano e, dopo la proclamazione della Repubblica romana, nonostante i dissidi nati con Mazzini circa l’atteggiamento da tenere nei confronti di Casa Savoia, ricevette l’incarico della difesa di Roma. Sconfitto dai francesi, fuggì nuovamente all’estero (1849). Al rientro in Italia (1854) si allontanò ulteriormente dalle idee di Mazzini, accondiscendendo a divenire sostenitore della monarchia sabauda finché questa dimostrasse di credere fermamente nella causa italiana e assumendo la guida dell’esercito sardo contro l’Austria (1858-59). Dopo l'annessione da parte del Piemonte di Lombardia, Emilia, Toscana e Romagna, G. riavviò il processo di unificazione d’Italia, che sembrava essersi bloccato nell’impossibilità di prendere Roma, con l’impresa dei Mille, che consentì di unire il Mezzogiorno al Piemonte (1860) e quindi di giungere alla costituzione del Regno d’Italia (1861). Per le sue imprese, nelle quali dimostrò di avere non solo rare doti militari ma anche indiscutibile acume politico, G. è considerato uno dei più grandi artefici del Risorgimento italiano. Vita e attività La giovinezza Secondogenito di Domenico, capitano mercantile, e di Rosa Raimondi; attratto dalla passione per il mare, fu dapprima mozzo sul brigantino Costanza, poi navigò col padre e con altri armatori in Oriente. Comandava una nave propria, quando nel 1833 in una locanda di Taganrog, sul Mar Nero, informato da G. B. Cuneo di Oneglia dell'azione politica mazziniana fu "iniziato", come disse egli stesso, ai "sublimi misteri della patria", e decise di dedicarsi alla causa nazionale iscrivendosi alla Giovine Italia. Imbarcatosi come semplice marinaio con il nome di Cleombroto sulla fregata Des Geneys, per collaborare alla rivolta che avrebbe dovuto facilitare la spedizione mazziniana in Savoia, fallito il moto nel febbr. 1834, fu costretto a fuggire; riparato a Marsiglia vi apprese la sua condanna a morte (3 giugno). Si imbarcò allora per il Mar Nero; poi si arruolò nella flottiglia del bey di Tunisi. Ritornato alla metà del 1835 a Marsiglia, vi ottenne il comando in seconda di un brigantino diretto a Rio de Janeiro, dove giunse fra il dic. 1835 e il genn. 1836. L'eroe dei due mondi A Rio de Janeiro partecipò con altri italiani esuli alle riunioni della Giovine Italia. In seguito accettò col suo amico L. Rossetti di far guerra di corsa a favore dello stato di Rio Grande do Sul ribellatosi al governo brasiliano, e ne comandò poi la flotta da guerra. Al principio del 1842, costretto a riparare a Montevideo, portò con sé Anita, già compagna di vita e d'ideali, che divenne sua sposa. Ma subito riprese a combattere a favore di Fructuoso Rivera contro M. Oribe, sostenuto dal dittatore argentino J. M. de Rosas. Al comando di una flottiglia fu costretto dalla flotta argentina, presso Nueva Cava (15 ag. 1842), a cercar scampo a terra. G. ebbe il comando di una nuova flottiglia e, organizzata una legione italiana, risalì il Plata; l'8 febbr. 1846 si segnalava brillantemente a S. Antonio del Salto. Richiamato a Montevideo (sett. 1846), gli giunse dall'Italia, significativa del maturarsi dei tempi propizi per la libertà, la notizia della rivoluzione di Palermo, che lo 15 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA persuase a imbarcarsi, il 12 apr. 1848, con parte della legione. A Gibilterra, apprendendo che il re di Sardegna si preparava a intervenire contro l'Austria, decise di approdare a Nizza, dove, con sorpresa dei suoi compagni mazziniani, dichiarò "di non essere repubblicano, ma italiano". La guerra del 1848-49 Accolto freddamente dal governo sardo, nel corso della prima guerra d'indipendenza al comando di un gruppo di volontari si batté a Luino (15 ag.) e conquistò Varese, che poco dopo dovette abbandonare; resistette a Morazzone (26 ag.), e poi, premuto dalle soverchianti forze austriache, riparò in Svizzera. Tornato a Nizza, il 24 ottobre ne ripartì con alcune centinaia di volontari per la Sicilia, inviato da Paolo Fabrizi; ma, fermatosi in Toscana (25 ott. - 8 nov.), offrì alla Repubblica Romana la sua spada; tenuto dapprima in disparte, a Macerata, che lo nominò deputato alla Costituente, e poi a Rieti, fu chiamato a Roma per l'ultima difesa contro i Francesi. Dopo il sanguinoso scontro del 30 apr. 1849 seguirono la breve campagna contro l'esercito napoletano, interrotta per volere di G. Mazzini, e l'assedio, conclusosi con la caduta della Repubblica. Garibaldi sfuggì all'accerchiamento e riparò a S. Marino (31 luglio), donde tentò di raggiungere Venezia ancora libera. Ma attaccato da navi austriache sbarcò sulla costa di Magnavacca (ora Porto Garibaldi), e, nel tragico inseguimento, vide morire la moglie Anita (4 agosto). Attraverso Romagna e Toscana riuscì a raggiungere il territorio piemontese, dal quale, senza proteste, accettò l'espulsione. Cominciava il suo secondo esilio (16 settembre). Ospite prima del console piemontese di Tangeri (nov. 1849 - giugno 1850), poi operaio in una fabbrica di candele a New York, riprese finalmente a navigare nell'America Centrale, e tra il Perù, la Cina, l'Australia. Per l'Italia con Vittorio Emanuele Conquistato dalla politica realistica del governo sardo, nel 1854 G. tornò in Europa e, in seguito a un colloquio segreto con Cavour (13 ag. 1856), pubblicamente dichiarò di voler mettere a base dell'unità italiana la monarchia, aderendo alla Società Nazionale. Alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza, il 2 marzo 1859 s'incontrò con Cavour per accordarsi sull'organizzazione dei volontari; e in quell'occasione conobbe Vittorio Emanuele. Al comando dei cacciatori delle Alpi, vinse il gen. Urban sotto Varese (26 maggio) e a S. Fermo (27 maggio); protesse i fianchi dei Franco-Piemontesi ed entrò trionfalmente in Brescia (13 giugno). Gli avvenimenti che seguirono alla pace di Villafranca raffreddarono i rapporti fra G. e il governo sardo. Comandante in seconda delle truppe della lega militare formatasi fra Toscana, Romagna, Parma e Modena, passò nelle Marche per estendere colà il movimento rivoluzionario, ma, richiamato dallo stesso Vittorio Emanuele, depose il comando, ritirandosi a Caprera, dopo aver lanciato a Genova un manifesto agli Italiani di violenta critica alla politica piemontese. L'impresa dei Mille Giuntagli nell'aprile del 1860 notizia della rivolta scoppiata a Palermo, col consenso almeno tacito del governo si pose a capo della missione nota come spedizione dei Mille, che partì da Quarto nella notte dal 5 al 6 maggio 1860. Tappe dell'impresa furono: lo sbarco a Marsala (11 maggio), la battaglia di Calatafimi (15 maggio), la presa di Palermo (27 maggio), la battaglia di Milazzo (20 luglio), il passaggio dello Stretto di Messina (19 agosto), la trionfale marcia attraverso la Calabria, l'ingresso in Napoli (7 sett.), la decisiva battaglia del Volturno (1-2 ott.), l'incontro col re a Teano (26 ott.). Il 7 novembre entrò con Vittorio Emanuele a Napoli; sacrificando ogni ambizione alla soluzione sabauda, che sentiva necessaria per l'unità, il giorno seguente gli consegnò i risultati del plebiscito e il 9 ripartì per Caprera, rifiutando la nomina a generale e le ricompense concessegli. L'impresa che univa il Mezzogiorno al Piemonte per formare di lì a poco il Regno d'Italia, apparve subito come l'azione politicamente risolutiva del processo risorgimentale; anche dal punto di vista tecnicamente militare, sia nello stratagemma della marcia avvolgente su Palermo, sia nella dislocazione e nella manovra delle forze al Volturno, G. rivelò le sue grandi qualità di comandante, esaltate dall'ascendente che esercitava sui suoi uomini. Intanto la morte di Cavour parve allontanare il giorno del compimento dell'unità italiana. Le forze rivoluzionarie guardavano di nuovo a G. come all'uomo che sapeva osare, mentre U. Rattazzi cercava di ripetere, in modi assai più ambigui, la politica svolta con tanto successo da Cavour nel 1860. Dopo un vano tentativo di invasione del Trentino (Sarnico, maggio 1862), G. si recò a Palermo (28 giugno), lanciò un proclama contro la Francia, e al grido di "Roma o morte" marciò verso Roma; nell'Aspromonte (29 ag.) fu ferito e fatto prigioniero da soldati italiani. Amnistiato, nel marzo 1864 lasciò Caprera per Londra, dove ebbe incontri con Mazzini e con A. I. Herzen, oltre che col Palmerston, e misurò la propria straordinaria popolarità. Gli ultimi anni Scoppiata la terza guerra d'indipendenza nel 1866, accettò il comando dei volontari; entrò con essi nel Trentino e li condusse alla vittoria (Monte Suello, 3 luglio; Bezzecca, 21 luglio). Dopo l'annessione del Veneto, G. sentì ancor più urgente la conquista di Roma. Fermato a Sinalunga (24 sett. 1867) da soldati italiani mentre organizzava una spedizione contro Roma, fu ricondotto a Caprera, ma, sfuggendo alla 16 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA sorveglianza della flotta italiana, ritornò sul continente e il 23 ottobre passò il confine con i volontari accorsi all'impresa: a Mentana (3 novembre) le truppe francesi e pontificie lo costrinsero alla ritirata. Arrestato a Figline e condotto nella fortezza del Varignano, il 25 novembre fu imbarcato, virtualmente prigioniero, per Caprera, donde salpò solo per partecipare alla difesa della Francia (1870), ottenendo una vittoria a Digione (21-23 genn. 1871). Negli ultimi anni della sua vita inclinò sempre più a un socialismo di tipo umanitario e aderì all'Internazionale. In questo periodo aggiornò le sue Memorie autobiografiche, cominciate a Tangeri tra il 1849 e il 1850, aggiungendovi una redazione in versi sciolti, e scrisse (1869-74) tre romanzi: Clelia o il governo del monaco, Cantoni il volontario, I mille, e compose versi in lingua italiana e francese. (Enciclopedia Treccani.it) Lo stato che mantenne in vigore lo Statuto Albertino come venne ideato negli anni '40 fu il Piemonte di Vittorio Emanuele II. Questo programma, confermato da l'editto di Moncalieri che ospitava molti esuli politici provenienti da tutte le parti d'Italia, fece sì che l'immagine dello stato sabaudo venisse associata a quello che fosse in grado di promuovere i moti rivoluzionari in grado di risolvere i problemi. Una svolta importante della politica del regno sabaudo si può delineare nel gennaio del 1850 quando il nuovo governo guidato da Massimo d'Azeglio si trovò ad affrontare un problema importantissimo che era quello del rapporto tra Stato e Chiesa. La camera aveva approvato un disegno di legge per ridurre i privilegi ecclesiastici, la legge Siccardi del ministro della giustizia che l'aveva presentata. Il provvedimento di fatto eliminava il Foro Ecclesiastico, un tribunale speciale riservato esclusivamente alle persone di Chiesa, e il diritto d'asilo per i luoghi sacri. La legge Siccardi provocò numerose discussioni che interessarono il mondo ecclesiastico e Vittorio Emanuele II. Questa legge provocò l'opposizione e l'osteggiamento anche di numerosi conservatori presenti in Parlamento, ciononostante i moderati, guidati da Camillo Benso conte di Cavour, riuscirono a far passare il testo anche al Senato. Questa legge costituì una svolta nella politica piemontese, la votazione che si era svolta aveva dato vita al nuovo gruppo parlamentare che era quello liberale moderato, costituito liberamente perché aveva votato trasversalmente. Il gruppo aveva come avversari, da un lato, la destra ultrà cattolica, dall'altro lato la sinistra democratica repubblicana. Cavour, che guardava molto il modello inglese, divenne subito il leader del gruppo liberale democratico e affermava che vi era una forte connessione tra le libertà economiche e le libertà politiche per cui le riforme atte a migliorare l'economia di un Paese dovevano rinsaldare anche il regime monarchico costituzionale perché solo questo poteva garantire uno stato sviluppato sotto ogni punto di vista. Il Parlamento comunque avrebbe sempre dovuto rivestire una certa importanza e doveva essere, soprattutto, l'espressione dell'opinione pubblica. Contrario a suffragio universale, Cavour proponeva un sistema basato sul censo (i votanti dovevano appartenere ad un ceto medio elevato istruito e consapevole delle proprie scelte politiche). Cavour alle forze liberali assegnava il compito di mediare tra i diversi interessi della società. Per risolvere la questione nazionale escludeva la prospettiva rivoluzionaria. Non vedeva tra gli obiettivi principali immediati la realizzazione di uno stato nazionale che comprendesse l'intera penisola perché favorevole ad una gradualità, favorevole ad un regno di alta Italia sotto la dinastia dei Savoia mutò in seguito i suoi obiettivi. Il suo programma era volto alla realizzazione di un sistema politico efficiente, centralizzato e sotto il controllo dei ceti dirigenti altoborghesi che promuovessero gli interessi della casa Savoia. CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR Nato a Torino nel 1810 da una famiglia dell'antica nobiltà piemontese che si era distinta nei secoli perché al servizio dei Savoia. All'età di 10 anni fu iscritto all'Accademia militare dove diede prova di grande intelligenza. Osservatore degli avvenimenti contemporanei, si addentrava nell'ambiente politico per comprendere gli avvenimenti e, viste le disponibilità economiche, si recò spesso in visita all'estero per confrontarsi con le differenti culture e per crescere intellettualmente. Completò la sua preparazione attingendo ai principali pensatori dell'epoca. Quando nel 1847 il governo piemontese concessa la libertà di stampa, Cavour fece parte del comitato che fondò "Il Risorgimento" ed è proprio scrivendo su questo quotidiano che si affermò pubblicamente. Sfidò l'esitazione di tanti liberali moderati, sollecitò e poi approvò con fermezza l'emanazione dello Statuto Albertino che concentrava in sé tutti i diritti che una nazione civile avrebbe dovuto avere. Con l'elezione al Parlamento tra le file dei moderati, nel giugno del 1848, Cavour iniziò la sua carriera politica in cui vide il culmine nel giugno del 1852 quando divenne primo ministro. Quando nel 1850 Cavour venne chiamato a ricoprire il ruolo di ministro dell'agricoltura e del commercio, gli fu anche attribuita la carica di ministro delle finanze per le sue doti, le sue capacità e la sua esperienza 17 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA all'estero. Tra il 1850 e il 1852 trascrisse numerosi importanti trattati commerciali con l'Austria, il Belgio, Francia e d'Inghilterra ispirati tutti al principio del libero scambio che contribuirono a rafforzare la posizione del Piemonte e confermarono la sua abilità diplomatica. Per quanto riguarda la politica interna varò numerosi provvedimenti per riorganizzare la pubblica amministrazione e la contabilità dello stato. Dal punto di vista fiscale ideò una politica tributaria molto severa che cercò di favorire i settori economici più dinamici penalizzando le rendite improduttive. Dal Piemonte nacque quindi un processo di modernizzazione del Paese e di risoluzione della crisi economica pubblica. Cavour mantenne i suoi principi da moderato anche se decisamente progressista, questo suo indirizzo provocò lo sfaldamento del blocco di destra dal quale presero le distanze i conservatori. Cavour seppe anche catturare la simpatia di numerosi personaggi della sinistra che facevano capo a Urbano Rattazzi e da questa forma di trasversalità riuscì a raccogliere le simpatie sia di destra che di sinistra dando vita ad un Parlamento che passò alla storia come una forma di connubio tra queste forze. Grazie all'avvicinamento dei blocchi di destra e di sinistra si formò un'ampia maggioranza che lasciò fuori le posizioni estreme consentendo l'avvio di una politica riformatrice. Il frutto di questo avvicinamento si concretizzò nel 1852 con l'elezione di Urbano Rattazzi a Presidente della Camera dei Deputati. Parallelamente l'accordo tra Cavour e Rattazzi pose in difficoltà d'Azeglio che era lontano dalle idee riformistiche che stavano prendendo campo e nei mesi successivi alla nomina di Rattazzi la situazione si complicò dando l'avvio alla polemica tra conservatori e progressisti attorno all'approvazione di una legge che istituiva il matrimonio civile. Dopo aver allontanato Cavour dalle compagini ministeriali nel maggio 1852 d'Azeglio si ritrovò a rassegnare le dimissioni. Il sovrano capì che vi era dentro ai progressisti un consenso minore e incaricò Cavour di formare un nuovo ministero. CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR (approfondimento per lettura) Statista (Torino 1810 - ivi 1861). Ufficiale del genio (1827-31), fece il suo ingresso in politica nel 1847, fondando il giornale Il Risorgimento. Deputato (1848, 1849), fu più volte ministro (1850, 1851) e presidente del consiglio (1852). Nel 1860 assunse il pieno controllo diplomatico dell’impresa garibaldina, che controbilanciò con le annessioni e i successivi plebisciti, cosa che gli consentì poi di far prevalere il suo punto di vista (unitario ma monarchico) e di attuare la trasformazione giuridica del Regno di Sardegna nel Regno d’Italia, facendo proclamare Vittorio Emanuele II re d'Italia (1861). Gettò poi le premesse di un’azione volta a sanare i rapporti tra Stato e Chiesa ma morì prima di essere riuscito a portarla a compimento. Animato da spirito liberale, C. fu tra le figure di maggior spicco del Risorgimento, tra i pochi uomini dell'Ottocento italiano dotati di statura europea. Vita e attività Cadetto di Michele e di Adele de Sellon, destinato alla carriera delle armi, dal luglio 1824 paggio di Carlo Alberto principe di Carignano, fu radiato nel 1826, per una certa giovanile insofferenza alle regole e per il dichiarato liberalismo. Ufficiale del genio dal 1827, venne trasferito per punizione al forte di Bard per aver manifestato consenso alla rivoluzione di luglio in Francia. Ciò lo spinse alle dimissioni (12 nov. 1831). La sua fede politica raggiunse presto una base ferma: il juste milieu, l'avversione alla reazione e alla rivoluzione; più lenta fu invece la ricerca di un ubi consistam nell'attività pratica. Pensò di raggiungerlo nell'agricoltura e, amministratore dei beni di famiglia (i castelli di Santena e di Trofarello, le tenute di Leri e di Grinzana), vi introdusse lo spirito di un uomo di affari moderno. In mezzo alla diffidenza dei circoli conformistici, C. si inseriva così nel movimento riformatore subalpino, al quale cooperò sia con iniziative dirette (nel 1838-39 promosse asili e scuole d'infanzia; nel 1839 fu membro della commissione superiore di statistica; nel 1842 fu uno dei fondatori dell'Associazione agraria), sia con la sua attività di pubblicista nella Bibliothèque universelle di Ginevra, nella Revue nouvelle di Parigi, nell'Antologia Italiana di Torino. La riforma della legge sulla stampa permise a C. l'ingresso nella politica vera e propria, con la fondazione (1847) del giornale moderato Il Risorgimento, ove si fece patrocinatore di una costituzione, pur accentuando - soprattutto dopo la rivoluzione parigina del 1848 - un'esigenza conservatrice (suffragio censitario e collegio uninominale). Le Cinque giornate di Milano spinsero C. dai problemi di politica interna a quelli di politica estera e nel celebre articolo L'ora suprema della monarchia sabauda caldeggiò l'intervento immediato a favore degli insorti. Eletto deputato alle elezioni suppletive del 26 giugno 1848, battuto a quelle successive del 22 genn. 1849, si mostrò favorevole all'intervento in Toscana contro il partito rivoluzionario e avverso alla ripresa della guerra contro l'Austria. Rieletto il 29 marzo 1849, sostenne il ministero d'Azeglio contro le correnti di sinistra, ma dopo il proclama di Moncalieri, alla cui preparazione non prese parte, e dopo le elezioni del 9 dic. 1849, che segnarono la disfatta delle tendenze estreme, cambiò rotta politica individuando il pericolo non più a sinistra ma a destra. Si era venuta consolidando, intanto, la posizione parlamentare di C., che aveva fatto la prima 18 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA grande affermazione del suo programma il 7 maggio 1850 difendendo alla Camera le leggi Siccardi; entrato l'11 ott. 1850 nel gabinetto d'Azeglio come ministro dell'Agricoltura e Commercio, realizzato - nei limiti del possibile - il proprio ideale libero-scambista con tutta una serie di trattati commerciali (Francia, Belgio, Inghilterra), il 19 apr. 1851 assunse anche il ministero delle Finanze e con un prestito all'estero e con nuove tasse riuscì a risolvere il problema finanziario, svincolando il Piemonte dalla soggezione finanziaria ai Rothschild. I problemi tecnici non distraevano però C. dalla politica generale e, di fronte all'atteggiamento moderato di d'Azeglio, si accordò nel maggio 1852 col "centro sinistra" di U. Rattazzi (il "connubio"), preparando così la caduta del gabinetto. Da questo momento ha inizio quella grande politica che doveva portare al compimento del Risorgimento italiano. Costretto alle dimissioni dal presidente del consiglio il 16 maggio 1852, allontanatosi dalla scena politica con un viaggio all'estero, il 2 nov. 1852 C. fu designato da Vittorio Emanuele II, che invano aveva tentato di affidare il governo al capo della destra Balbo, come nuovo presidente del consiglio. Esplicò subito un'attività febbrile, attuando quasi del tutto, senza scosse brusche, il libero scambio. Caddero molti privilegi dell'aristocrazia; furono assunti i migliori degli esuli politici nell'amministrazione statale, vincendo le diffidenze dei subalpini; venne sancita la soppressione delle corporazioni religiose e della manomorta, riportando una netta vittoria sul re, che aveva rifiutato di sanzionare la legge e costretto C. a dimettersi (26 apr. 1855), ma aveva dovuto poi richiamarlo (3 maggio). Con questa vittoria il regime parlamentare trionfava in Piemonte - almeno in politica interna se non in quella estera - sul potere personale del re. Forte delle sue istituzioni liberali, il Piemonte si rivelava investito di una missione nazionale: al raggiungimento di tale missione lavorò C. e fu l'alleanza con la Francia e l'Inghilterra, del 10 genn. 1855, con la conseguente spedizione in Crimea, frutto della volontà di prestigio dinastico del sovrano e di abile calcolo politico-liberale del suo ministro, a dare a C. il diritto di porre per la prima volta diplomaticamente dinanzi all'Europa la questione italiana nel congresso di Parigi (8 apr. 1856). La realizzazione del programma cavouriano procedette tuttavia con una lotta incessante su due fronti: contro i clericali e i conservatori, divenuti minacciosi con le elezioni del 1857, e che C. contenne sacrificando Rattazzi (14 genn. 1858) e agitando lo spettro del mazzinianesimo e del sovvertimento sociale, e contro i mazziniani e gli ultrademocratici. Questi tuttavia fornirono a C. le migliori armi per la propria azione e l'attentato di Felice Orsini contro Napoleone III contribuì a far presente all'imperatore l'urgenza di risolvere la questione italiana. Si giunse così al convegno di Plombières del 21 luglio 1858: C. ancora non era guadagnato all'idea unitario-nazionale e accettò la divisione della penisola in tre grossi Stati. Scoppiata la concordata guerra con l'Austria nell'apr. 1859, l'improvviso armistizio di Villafranca mise in pericolo tutto il sogno di C., che preferì dimettersi e ritirarsi a Leri. Ma l'agitazione mazziniana-unitaria non era passata invano; né per C. costituivano più limite alla sua libertà d'azione le precedenti linee di condotta diplomatica; il movimento popolare per le annessioni dell'Italia centrale fornì a C., ritornato al potere il 21 genn. 1860, di che risolvere radicalmente il problema. Annessi mediante plebiscito la Toscana e i ducati di Parma e Modena (11-12 marzo), riconosciute alla Francia, previo plebiscito, Nizza e la Savoia (12-14 marzo), C. poté perciò imporre il proprio piano diplomatico nell'impresa che Garibaldi stava per effettuare in Sicilia; e, dopo le vittorie garibaldine di Calatafimi e di Palermo, per non lasciarsi sfuggire la direzione del movimento nazionale, concepì e fece effettuare l'invasione delle Marche e dell'Umbria in modo da bilanciare i suoi successi e da impedirgli una soluzione repubblicana dell'impresa. L'atteggiamento tenuto da Garibaldi nel colloquio di Teano diede partita vinta a C.; risolto il problema garibaldino, avvenuti i plebisciti delle Due Sicilie (21-22 ott.), delle Marche e dell'Umbria (4 e 5 nov.), C. poteva a buon diritto trasformare giuridicamente il Regno di Sardegna in Regno d' Italia. Fece proclamare Vittorio Emanuele II re d'Italia (17 marzo 1861) e con le trattative svolte a Roma dal padre C. Passaglia e da O. Pantaleoni e con quelle svolte a Parigi da O. Vimercati pose le premesse per la soluzione (ma la morte gli impedì di procedere per questa via) del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa sulla base di quel principio di libertà religiosa, che era stato la sorgente più intima del suo liberalismo. Si chiudeva così in assoluta coerenza tutta la sua vita ideale e pratica. Uomo tenace, concreto, positivo, di ampie visioni di politica interna ed estera, C. diede una soluzione diplomatica e monarchica al Risorgimento; da ultimo e nella fase conclusiva, in senso risolutamente unitario (e qui è da vedere una sostanziale vittoria del programma di Mazzini). Qualcosa del pathos mazziniano e dell'apertura democratica delle prime battaglie andò smarrita nella visione realistica del sottile diplomatico, ma la profonda fede liberale che lo animava, la lealtà con cui tenne fede allo Statuto e alla pratica parlamentare fecero sì che il nuovo Regno d' Italia sorgesse erede della passione liberalenazionale del sec. 19°. (Enciclopedia Treccani.it) 19 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA I MOTI INSURREZIONALI E LO STATUTO ALBERTINO Le Cinque Giornate di Milano, insurrezione preparata dai rivoluzionari, vide una partecipazione emotiva mai vista precedentemente. A questo movimento rivoluzionario non parteciparono i ricchi e gli aristocratici, gli stessi sconsigliarono vivamente la partecipazione ad essi. La rivoluzione scoppiò improvvisa il 18 marzo 1848 quando a Milano giunsero notizie delle sommosse popolari in corso a Vienna. Il popolo milanese era in forte squilibrio nei confronti dell’esercito regolare austriaco, le proprie armi erano recuperate e poco efficaci. I blocchi nelle vie della città erano costituiti perlopiù da mobilia proveniente dalle abitazioni e la logistica proveniva da qualsiasi luogo ma il sentimento popolare fu così forte da determinare il risvolto positivo dell’insurrezione delle Cinque Giornate di Milano. Il sovrano Carlo Alberto emanò la costituzione con lo Statuto Albertino che rimase in vigore fino al 1948. La longevità di questo atto fu determinato dalla sua flessibilità e dalla possibilità di apportarvi modifiche (come durante il periodo del fascismo). Il periodo di suo massimo successo, il 1848, vedeva l’Italia Suddivisa in numerosi Stati con loro autonome costituzioni. A seguito dei movimenti rivoluzionari i sovrani concessero tutte le richieste formulate dai rivoluzionari, riservandosi di ritirarle in seguito. La stagione delle rivoluzioni fu un periodo molto proficuo perché vennero riconosciuti al popolo molti diritti. Nel Regno di Sardegna lo statuto fondamentale venne promulgato il 4 marzo 1848. A differenza di quanto accade negli altri Stati italiani la carta costituzionale sopravvisse agli eventi storici, rimase in vigore nel Regno Sabaudo fino al 1860 e dopo l’unificazione divenne la legge fondamentale del Regno d’Italia fino alle soglie della nascita della Repubblica Italiana. Di seguito il preambolo dello Statuto Albertino CARLO ALBERTO per la grazia di Dio RE DI SARDEGNA, DI CIPRO E DI GERUSALEMME Ecc. Ecc. Ecc. Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri amatissimi Sudditi col Nostro proclama dell’ 8 dell’ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare, in mezzo agli eventi straordinari che circondavano il Paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse ferma Nostra intenzione di conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agli interessi ed alla dignità della Nazione. Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto Fondamentale come un mezzo il più sicuro di raddoppiare coi vincoli d’indissolubile affetto che stringono all’Italia Nostra Corona un Popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d’obbedienza e d’amore, abbiamo determinato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedire le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera, forte e felice si mostrerà sempre più degna dell’antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire. Perciò di Nostra certa scienza, Regia autorità , avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue:... In esso si afferma la gerarchia del regno ed, in particolare, il ruolo che deve avere il sovrano: padre leale che mantiene le promesse ed esaudisce desideri ma allo stesso tempo ammette i condizionamenti quando ci sono degli eventi straordinari. Se il re dovesse riconoscere dei limiti oggettivi al suo potere, nello statuto, si ribadisce che la legge deve essere perpetua ed irrevocabile; praticamente il sovrano non ha il potere di limitarla o abrogarla. La subordinazione del re alla legge è definita nell’articolo 7 secondo il quale il re fa i decreti necessari per l’esecuzione delle leggi senza sospenderne l’esecuzione o criticarle. Lo statuto sanciva tutte le libertà tipiche della costituzione dell’’800 quali l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la libertà individuale, l’inviolabilità del domicilio, la libertà di stampa (sia pure sottomessa ad una legislazione che doveva impedirne gli abusi), il diritto di proprietà, la libertà di associazione (benché affidata alla sfera privata). Per quanto riguarda la religione, con l’articolo 1 si conferma che il cattolicesimo è la sola religione di stato sebbene gli altri culti sono tollerati. Sempre nel febbraio 1848 Carlo Alberto emanò altre leggi chiamate "lettere patenti", ovvero più che leggi erano disposizioni legislative in cui si estendevano i diritti civili anche alle comunità minoritarie come i valdesi e gli ebrei. La separazione dei poteri è imperfetta. Il potere legislativo spetta alle camere, il Senato di nomina regia e la Camera dei Deputati nominata dal numero assai limitato di elettori. Al re viene relegato il potere esecutivo esercitato dei ministri da lui nominati. Il potere giudiziario amministrato, in nome del re, dai magistrati da lui designati. I ministri sono responsabili solo di fronte al re e non al Parlamento. Il limite è una monarchia costituzionale ma non parlamentare come in Inghilterra. 20 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA L’articolo 9 della costituzione vincola il re a convocare una nuova assemblea parlamentare entro quattro mesi dal suo ultimo scioglimento. La flessibilità è la modifica della carta senza particolari procedure di revisione, le leggi ordinarie nel regno potevano cambiare lo scritto della carta. Ciò permise un cambiamento in positivo dell’evoluzione dell’istituzione parlamentare, ispirato più alla costituzione inglese. A cominciare da Cavour il regno fu nella prassi parlamentare, ossia i governi erano responsabili davanti al Parlamento; allo stesso tempo già nell’Italia liberale lo scarso valore dell’enorme contenuto dello statuto consentì spesso una legislazione che limitava l’effettivo godimento dei diritti fondamentali. Questi diritti erano goduti solamente da alcuni, venivano escluse le masse popolari. Come già detto, lo statuto Albertino rimane in vigore anche nel periodo fascista visto il riferimento al potere, perché le decisioni venivano prese da chi lo deteneva. Nel periodo risorgimentale l’Italia conobbe un momento costituente che si verificò nel breve periodo della Repubblica Romana del 1849 quando l’assemblea costituente elaborò una costituzione democratica molto avanzata dove si riconfermavano le scelte istituzionali (l’Italia è una Repubblica e il popolo è sovrano) ma non entrò mai in vigore perché la Repubblica Romana non ebbe un seguito e la costituzione venne promulgata mentre i soldati francesi entrarono a Roma per ristabilire l’ordine e riportare il Papa al potere. 21 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA 22 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA L'EUROPA E IL MONDO NEL SECONDO OTTOCENTO Il nuovo volto del capitalismo e la seconda rivoluzione industriale l'Inghilterra è protagonista anche nel secondo Ottocento con la seconda rivoluzione industriale. Con le nuove tecnologie, che portano a nuove produzioni ed investimenti, vediamo che i settori più interessati sono il settore chimico, elettrico e metallurgico. Cambiano le modalità di produzione, la fabbrica di dimensioni contenute aumenta di grandezza per cui si espande la produttività e il proletariato industriale. Incominciano ad organizzarsi le masse con la nascita dei primi sindacati e oltre al movimento socialista anche il mondo cattolico diventa sempre più sensibile ai problemi sociali. Si produce e si commercia e il commercio diventa sempre più importante, le importazioni ed esportazioni sono sempre più proiettate a livello mondiale. Oltre l'Inghilterra anche altri Stati vanno via via affermandosi assumendo sempre più importanza, tra questi la Prussia, sotto la guida del cancelliere Otto von Bismarck che ottiene la riunione della Germania sotto il secondo impero del Reich ridimensionando l'importanza politica della Francia dopo la guerra tra Prussia e Francia del 1870. Dal punto di vista economico anche la Germania si espande e si pone in concorrenza serrata con l'Inghilterra. Oltre all’Europa, gli Stati Uniti, nonostante siano impegnati nella Guerra di Secessione con gli Stati del Sud (1861-1865), assumono sempre più importanza dal punto di vista economico. In oriente il Giappone reagisce all'aggressività occidentale e si trasforma a sua volta in una potenza nazionale. Le Cina, invece, attraversa un periodo di grave crisi poiché diventa preda delle mire delle potenze europee. L'Italia affronta i problemi della costruzione del nuovo stato unitario in cui sono evidenti profonde diversità legate ai vari territori; il Nord recepisce le nuove regole dell'industrializzazione come le altre nazioni europee mentre il Sud rimane legato al latifondo agricolo e fatica a svilupparsi. L'Italia comunque, nonostante le sue arretratezze, si lancia alla conquista di colonie in Africa ma questo tentativo risulterà fallimentare per cui negli ultimi anni dell'800 lo stato si ritroverà in una situazione di grave crisi economica e sociale che culminerà con la pressione di alcuni movimenti rivoluzionari (Milano-1898 e con l'assassinio di Umberto I, nel 1900, ad opera dell'anarchico Antonio Bresci). LA QUESTIONE SOCIALE Insieme al capitalismo e alla commercializzazione nascono i primi problemi sociali rappresentati dai rapporti tra imprenditore e lavoratore. Non esistendo nessuna legislazione che regolamentava il mondo del lavoro nascono i primi problemi e le rivendicazioni sociali. Nella prima fase, l'industrializzazione, che va dal 1850 al 1870, riguarda la tecnologia, l'organizzazione finanziaria e le banche con il conseguente aumento delle vie di comunicazione. Nella seconda fase, che va dal 1870 ai primi anni del '900, si assiste ad un imponente aumento dell'industria dovuto alla scoperta di nuove forme di energia quali petrolio, elettricità, nuove leghe metalliche e alla creazione di nuovi macchinari. Vi sono delle zone, sia in Europa che in Italia, dove si concentra maggiormente la produzione industriale. In questi territori vi sono maggiori capitali da poter investire, capitali che si concentrano sempre di più nelle mani di pochi. Nascono così i monopoli organizzati in cartelli, o cosiddetti "Trust", anticamera delle multinazionali, che detenevano il controllo su determinati prodotti. Per quanto riguarda la finanza vediamo la crescita dell'importanza delle grandi banche che finanziano gli imprenditori. Dal punto di vista commerciale diventa fondamentale lo scambio tra i vari Paesi delle materie prime da utilizzare nelle industrie per la lavorazione e si sente la necessità di colonizzare nuove terre per approvvigionarsi di una maggiore quantità di esse. Questo aumento del commercio può essere inteso come una prima fase della globalizzazione nata dall'esigenza di incrementare la produzione e il commercio. Fin dal 1860 molti Stati assunsero il sistema monetario aureo, le monete coniate dovevano corrispondere al prezzo dell'oro stabilito a livello mondiale (corrispondenza moneta-oro). Gli Stati concordarono nel non coniare più monete di quanto oro possedessero nei loro caveau, perché l'oro doveva rimanere una garanzia. L'espansione dell'industria e della tecnologia non assunse solo aspetti positivi ma anche di difficoltà. Gli ultimi anni del 1800, nonostante questa positività e questo sviluppo, si aprirono all'insegna della prima vera grande crisi del mondo dell'industrializzazione nell'era moderna. Denominata "Crisi della lunga depressione", questo periodo negativo fece sì che le nazioni che non potevano più reggere alla situazione di crisi si indirizzassero verso altri territori per colonizzarli e sfruttarli. Cominciano ad imporsi alcune nazioni che costruiscono i nuovi imperi coloniali. Questa nuova corsa ai territori da conquistare viene ricordata come "Imperialismo". Le potenze interessate sono, in primis, l'Inghilterra poi la Francia, il Belgio, la Germania, gli Stati Uniti e il Giappone. Gli Stati europei si indirizzarono verso l'Africa, nonostante l'Inghilterra avesse rivolto le sue mire anche all'oriente, gli Stati Uniti e il Giappone si indirizzarono verso l'Asia e la Cina. Con l'industrializzazione protagonista, oltre l'imprenditore, divenne anche il lavoratore che incominciò a protestare reclamando i propri diritti. Il primo ad interessarsi dei diritti dei lavoratori fu il Movimento Socialista che aveva acquisito degli elementi dal marxismo. Il Movimento Socialista incominciò ad organizzarsi in 23 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA associazione per i lavoratori che nascevano ovunque. Pian piano si rafforzarono all'interno delle nazioni e si affiancarono sempre di più alla vita politica per potersi affermare e farsi ascoltare. I seguito queste associazioni si organizzarono in partiti politici cercando di crescere anche a livello internazionale. La questione sociale venne affrontata anche dalla Chiesa che richiamava le nazioni alla loro responsabilità; sosteneva la giusta remunerazione dei lavoratori, l'utilizzo della ricchezza degli imprenditori per cause sociali giuste, poiché a questo capitalismo si rapportava un liberismo sfrenato con un individualismo egoista. Divengono evidenti le problematiche delle diseguaglianze sociali e aumenta il desiderio di redistribuzione delle ricchezze. L’Enciclica Rerum Novarum (sulle Nuove Cose) del 1891 di papa Leone XIII è un documento innovativo che si occupa delle problematiche mondiali e dà consigli, ponendo la Chiesa come un'associazione volta all'assistenza verso i più deboli e i bisognosi. DESTRA STORICA E SINISTRA STORICA Nei primi anni dell'unità d'Italia, 1871, il Paese si trovava in una situazione di grande differenza tra la classe dirigente e la popolazione. Per quanto riguarda la classe politica abbiamo la Suddivisione tra la Camera e il Senato composto da senatori, della compagine di Destra, nominati direttamente dal re, di cui facevano parte monarchici, cavouriani e liberali moderati. La Sinistra, costituita dai repubblicani e dai garibaldini, era più vicina alle idee di Mazzini. Inizialmente, dal 1861 al 1876, il potere venne mantenuto dalla Destra che in questo periodo ottenne il pareggio di bilancio. In attesa del completamento dell'unificazione si dovevano risolvere i problemi tra la Chiesa e lo stato italiano. Inoltre si dovevano varare dei provvedimenti atti a rendere validi i matrimoni civili come unici validi. Dal punto di vista culturale vi furono dei movimenti che tentarono di staccare la cultura dall'ideologia religiosa perché molte scuole erano ancora appannaggio della Chiesa cattolica. Per tutti questi motivi i rapporti tra stato e Chiesa non furono tranquilli. Dal punto di vista economico la Destra Storica doveva fare delle scelte in senso liberale che non cambiarono molto la situazione, anche se furono emanati numerosi decreti per incrementare le infrastrutture, tra cui strade, ponti, porti, poste e telegrafi che portarono molti industriali di altri Paesi a venire in Italia per lavorare ed investire. Nel 1876, dopo il periodo della Destra Storica, il governo venne assunto dalla Sinistra Storica, anche se c'era stato un breve periodo in cui qualche esponente della sinistra aveva governato fino al 1862 (Urbano Rattazzi). La Sinistra al governo riformò il sistema elettorale e quello fiscale, cercò di combattere l'analfabetismo riproponendo l'istruzione elementare per la maggior parte delle persone in forma gratuita ed obbligatoria, introdusse una prima legislazione sociale a favore delle classi più deboli, Agostino De Pretis (primo Presidente del Consiglio di sinistra) inserì nel suo governo personalità che rappresentassero il governo in tutte le regioni italiane e chiese l'appoggio, di volta in volta, ad alcuni gruppi per avere la maggioranza (si può considerare questo l'inizio del tanto discusso attuale "Trasformismo"). In ambito economico la Sinistra, nel 1878, prese delle misure protezionistiche per salvaguardare la produzione industriale del Nord, dal settore agricolo del Sud, ma il protezionismo non ottenne buoni risultati. Per migliorare i risultati dell'agricoltura occorreva investire del denaro per migliorare le attrezzature agricole, che dovevano essere all'avanguardia per permettere di produrre meglio. Questi finanziamenti non vennero concessi e l'agricoltura rimase bloccata con prodotti molto costosi. In più questo protezionismo portò ad avere dissidi con la Francia, ciò determinò una diminuzione delle esportazioni con aumento delle merci e un conseguente calo dei prezzi. Vi furono altre crisi economiche al termine dell'800 in concomitanza con il periodo dei grandi spostamenti, le persone attanagliate dalla grave crisi cercarono di spostarsi in altre zone dove lavorare e guadagnare generando il fenomeno dell'emigrazione, prevalentemente verso in America, generando lo spopolamento di molte zone. Si incorse in ulteriori dissidi con la Francia per la problematica delle colonie che la Francia possedeva nel Nord Africa sentendosi minacciata dall'idea colonizzatrice italiana in Africa. L'Italia si alleò con la Germania di Bismark avvicinandosi all'Austria. Esistendo già un patto tra Germania e Austria (la Duplice Alleanza del 1879) fra Germania, Austria e Italia venne firmata la Triplice Alleanza (l'intento dell'Italia era di servirsi della Germania e dell'Austria per combattere contro la Francia). Intanto de Pretis avviò una politica espansionistica moderata, non possedendo grandi mezzi, mirata all'Africa e principalmente all'Eritrea e, in seguito, indirizzandosi verso l'Etiopia (conosciuta come Abissinia). Questa avanzata trovò una grande opposizione nell'imperatore dell'Etiopia, il 6 gennaio 1897 gli etiopi combatterono contro gli italiani massacrandoli nella battaglia di Dogali. Nel luglio del 1897 de Pretis morì e a lui subentrò Francesco Crispi che decise di inviare militari in Africa orientale avviando un'azione diplomatica con i sovrani africani. Quest'azione diplomatica si concretizzò con il trattato di Uccialli del 1889. In base a questo trattato vennero definiti i confini dei territori che l'Italia avrebbe colonizzato, all'Italia venne quindi consentito di governare in termini di protettorato anche in Somalia dove si era fino ad allora spinta. Il protettorato non venne accettato positivamente e l'imperatore Negus Menelik, aiutato dalla Francia, dichiarò guerra alle truppe italiane sconfiggendole ad Adua (1896). Durante l'ultimo decennio del secolo, l'Italia fu caratterizzata da scontri sociali a cui i governi reagirono con pesanti misure verso i manifestanti. A Milano, nel 1898, il generale Beccaris avviò un'imponente repressione 24 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA verso il popolo che reagii violentemente nel luglio del 1900 con l'uccisione del re Umberto I per mano dell'anarchico Gaetano Bresci. 25 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA CONCETTO DI SOCIETÀ DI MASSA Nato nel 20º secolo e tuttora presente, può essere riassunto con: l'espansione demografica; lo sviluppo urbano; la popolazione che partecipa sempre di più alla produzione industriale e al mercato; l'allargamento dei consumi; lo sviluppo di nuovi settori di servizi; la nascita della burocrazia di stato; maggiore partecipazione delle masse alla vita sociale e politica. Alcuni studiosi hanno sottolineato questi aspetti, che sono comunque considerati positivi (la crescita del benessere e il processo di democratizzazione). Uno dei problemi della massificazione è rappresentato dal conformismo, il conformarsi alle idee altrui e il non volersi esprimere con una propria idea, oppure adottare il medesimo stile di vita e di consumi. La società di massa trovò le sue basi materiali nella fase di espansione economica a partire dal 1896 e continuò, senza interruzione, fino al 1913, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. In questo periodo crebbe la produzione e i redditi disponibili, aumentarono i prezzi e la rendita pro capite dei salari salì. Aumentò anche il potere d'acquisto. Lo sviluppo tecnologico riportò fiducia e il progresso sembrava ormai inarrestabile, la vita delle persone cambiò notevolmente con molti miglioramenti. In Francia questo periodo venne chiamato “Belle Epoque” (epoca bella), soprattutto perché il benessere collegato all'aumento della popolazione era collegato ad un cambiamento dello stile di vita, anche in senso igienico e sanitario. Le persone erano più fiduciose e consumavano di più, si moltiplicarono i divertimenti e crebbe il desiderio di uscire e divertirsi. Nacque anche la società di massa. Con l'industrializzazione progredì anche la scienza e la medicina, migliorarono le comunicazioni e, con l'inizio del '900, molte metropoli apparirono abbondantemente illuminate. È in questo periodo che nei palazzi vengono utilizzati i primi ascensori. Dal punto di vista sociale abbiamo la comparsa di comportamenti trasgressivi che portarono a consistenti cambiamenti nella società stessa e dei valori morali comuni. È il periodo in cui l'uomo incominciò ad avere delle crisi interiori che vengono avvertite nella letteratura, nell'arte e nella musica. Caratteristica fu anche l'esplosione dell'irrazionalità con il nazionalismo esasperato che portò a sentimenti accesi di nazionalismo, di antisemitismo e di xenofobia. Insieme all'antisemitismo nacque un movimento chiamato Sionismo che mirava a creare una patria per il popolo ebraico, questa patria venne identificata nella Palestina dove si diressero flussi migratori costanti, ma i dissidi interni al Paese, presenti tuttora, non arrestarono la situazione. Il Giappone, che era nell'era Meiji, si stava delineando come una grande potenza industriale. Era governato dall'imperatore e la politica espansionistica portò il Giappone a combattere spesso contro la Cina a cui sottrasse nel 1895 la Corea e Formosa con il trattato di Shimonoseki adottando una politica aggressiva. Nell'impero cinese ci fu una reazione di tipo xenofobo ripiegando il malcontento contro i Boxers e, nel 1899, nei confronti degli altri Stati europei che replicarono soffocando le manifestazioni. Con il protocollo del 1901 il Paese venne diviso in parti controllate dagli Stati europei. La Russia del XIX secolo non si presentava aperta come gli altri Stati europei, ma come un Paese piuttosto arretrato, un grande Paese agricolo dove vi erano ancora i servi della gleba, che erano i lavoratori, l'85% della popolazione, sottoposti ancora alle angherie dei grandi proprietari terrieri che rappresentavano solo l'1% delle persone (è facile comprendere come la ricchezza era detenuta nelle mani di pochissimi). Lo zar Alessandro II guardava all'Europa e voleva rendere la Russia un Paese moderno approntando tutta una serie di riforme come l'abolizione della servitù della gleba nel 1861, l'istituzione delle assemblee elettive provinciali a cui partecipavano diversi esponenti della società per ascoltare maggiormente la popolazione. L'abolizione dei servi della gleba non aveva ottenuto evidenti risultati perché i contadini non possedendo denaro non potevano comprare le terre e rimanevano a lavorare sotto padrone. La loro condizione era di una povertà assoluta. Dalle riforme furono escluse alcune province russe che non facevano parte dell'impero, Alessandro II si comportò come un dittatore contro i polacchi, i lituani e gli ucraini. Le riforme non portarono grandi cambiamenti in Russia. Dal 1860 alla fine del secolo vi furono numerose proteste del movimento populista contro lo zar, in particolar modo degli studenti. Il movimento populista si prodigò ad istruire le persone analfabete e che non riuscivano a comprendere in che cosa si dovesse migliorare. Alcuni rivoluzionari fecero anche delle azioni terroristiche che culminarono con la morte di Alessandro II che morì in un attentato nel 1881. Ad Alessandro II seguì prima Alessandro III, fino al 1894, e poi Nicola II che venne destituito durante la Rivoluzione Russa. Con Nicola II si ritornò ad una dittatura spietata, dove la polizia controllava di tutto. Le persone potevano essere condannate per un semplice 26 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA sospetto e si avviò un programma chiamato Russificazione già avviato da Alessandro II nei confronti di determinati territori che non appartenevano all'impero russo come le province baltiche e la Finlandia. Questo nazionalismo si sposava con il sentimento antisemita e si rinvigoriva nei momenti di crisi con i Progrom, rivolte popolari con devastazioni e saccheggi verso le popolazioni ebraiche che si videro costrette a migrare in America o a rivolgersi al movimento sionista per recarsi in Palestina. La politica degli zar non accontentava nessuno, i dissapori si fecero campo anche nell’Intelligencija, la colta classe d'elite russa. Si stava avviando una trasformazione importante che avrebbe influito nei futuri momenti che si sarebbero susseguiti nel '900. La Russia incominciò a guardare all'Europa industriale e si adottarono delle misure economiche, quali il protezionismo e un intervento massiccio dello stato che in qualche modo attirò gli industriali esteri. Nacquero dei centri industriali importanti: l'industria mineraria a Magnitogorsk negli Urali, quello petrolifero a Baku, quello tessile nella regione di Mosca e quello meccanico e metallurgico a Pietroburgo. Velocemente la Russia, all'inizio del 20º secolo, occupò il quarto posto tra i maggiori produttori industriali mondiali. Come conseguenza, come già successo negli altri Stati, si ebbe la crescita di un grande divario tra gli industriali e i lavoratori. Molti socialisti russi, tra cui Georgij Plechanov e Vladimir Il’ic Ul’janov detto Lenin fecero proprie le linee guida del movimento storico di Marx che poi si tradussero nelle teorie socialiste utilizzate per avviare un processo rivoluzionario contro il sistema capitalistico. Mentre per Plechanov chi avrebbe dovuto avviare la rivoluzione sarebbe dovuta essere stata la classe operaia sostenuta dalla borghesia che si sarebbe dovuta affermare in Russia, Lenin sosteneva che la rivoluzione comunista dovesse essere l'espressione della classe operaia e contadina e che dovesse essere condotta da rivoluzionari di professione che, sicuramente, essendo più competenti, avrebbero potuto portare il proletariato alla vittoria. Le correnti che si formano nel Partito Operaio Socialdemocratico furono la corrente bolscevica, che voleva la conquista del potere con la rivoluzione e l'eliminazione del capitalismo portando alla dittatura il proletariato, la corrente melscevica che voleva l'abbattimento dello zarismo con la collaborazione della borghesia liberale e la formazione di una repubblica costituzionale. Sia Plechanov che Lenin, come altri intellettuali russi, furono costretti ad espatriare ma Lenin, dall'estero, cominciò ad organizzare il Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo che si era costituito nel 1898. Questo congresso si tenne a Londra nel 1903 ottenendo la maggioranza della corrente bolscevica di cui faceva parte Lenin contro la minoranza melscevica. Nel 1903 in Russia si era anche costituito un Partito Costituzionale Democratico chiamato “dei Cadetti” di cui facevano parte molte persone borghesi che volevano trasformare il Paese in una democrazia liberale detta Monarchia Parlamentare. All'inizio del '900 le forze di opposizione russe erano costituite dai liberali, sostenute dai borghesi, e i socialisti rivoluzionari. Nel 1905 lo zar Nicola II pensò di distogliere l'attenzione delle persone ai problemi interni della Russia adottando una politica di espansione del Paese verso l'estremo oriente ma espandendosi verso l'Asia ed il Pacifico entrando in conflitto con il Giappone. Aveva già trasformato la Siberia come zona di deportazione per tutti coloro che si opponevano al suo controllo e aveva valorizzato questo territorio, si interessò ad altri territori cinesi settentrionali come la Manciuria, dove venne costruita la ferrovia Transiberiana. Proprio per la Manciuria il Giappone attaccò la base navale russa di Port Arthur nel 1904 affondando alcune navi; da questo attacco iniziò la Guerra Russo Giapponese. Questo conflitto, desiderato dallo zar, gli diede il pretesto di fermare il Giappone e tutte le idee rivoluzionarie ma l'andamento delle battaglie gli fece perdere ogni speranza perché il Giappone riuscì a sferrare continue sconfitte alla Russia. Il presidente americano Roosevelt condusse i due Paesi nel 1905 ad un tavolo di pace dove venne firmato un trattato per la divisione dei territori. Il mito della vittoria dell'uomo bianco sugli uomini di differente colore svanì e il Giappone ne uscì con onore annettendo la Corea del Nord come protettorato. La Russia rinunciò all'espansionismo in Asia rivolgendo le proprie attenzioni verso i Paesi balcanici che erano già stati oggetto di interesse dell'Austria a danno del debole impero turco. Ma se le sconfitte subite dal Giappone incrementarono i dissapori verso lo zar, con perdita di prestigio, diedero vita a rivoluzioni condotte dalle masse nel 1905 a Pietroburgo. La folla venne duramente respinta dalle truppe dello zar e quella giornata viene ricordata come "la domenica di sangue". I Soviet assunsero una parte preponderante nella decisione che lo zar dovesse essere destituito. Il Consiglio dei Soviet, promosso da tempo da Lenin, che si era formato da movimenti rivoluzionari costituiti da operai-contadini e borghesi-intellettuali stabilirono che il popolo dovesse partecipare attivamente alla vita politica del Paese e dovesse avere la possibilità di esporre la propria opinione con l'avviamento del processo democratico in Russia. Lo zar, trovandosi in opposizione su tutti i fronti, decise di dare alcune concessioni promulgando la Costituzione, la libertà di parola, di associazione, di stampa, istituendo la Duma (Parlamento) che fu la prima assemblea elettiva russa dotata solo di poteri consuntivi e non esecutivi. Questi iniziali piccoli cambiamenti diedero alcuni vantaggi agli agricoltori e ai nobili. Le classi popolari invece non si accontentarono di queste minime concessioni e reclamarono diritti più consistenti, le manifestazioni continuarono e vi fu un grande sciopero generale ben organizzato che bloccò il Paese per un lungo periodo. Lo zar cercò con le maniere forti di sedare queste rivolte e soffocò il movimento riformatore intervenendo militarmente. Sciolse la Duma e varò una nuova legge elettorale più restrittiva della precedente da cui nacque una terza Duma a maggioranza conservatrice. Il governo cercò di costituire una base che portasse nuovamente il consenso verso lo zar. Tra il 1906 e il 1910 il primo ministro Stolypin promulgò la riforma agraria che portò alla vendita 27 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA delle proprietà comuni che fino ad allora non si potevano vendere, stimolò la formazione di uno stato sociale agiato dove vi erano contadini liberati che si trasformarono in piccoli possidenti (kulaki) mentre rese disponibile un'enorme quantità di manodopera per le varie attività industriali. Tuttavia queste riforme non portarono miglioramento nella vita dei contadini che vivevano in condizioni precarie e di estrema povertà. Chi si ribellava al governo veniva fucilato o deportato in Siberia. LA CRESCITA ECONOMICA E L’IMPERIALISMO DEGLI STATI UNITI Mentre l'Europa cresce dal punto di vista tecnologico ed industriale, gli Stati Uniti mantengono un passo maggiore verso il rinnovamento. Terminata la Guerra di Secessione incominciò il boom economico, l'America divenne una delle potenze più importanti al mondo. La sua posizione geografica e la possibilità di commercio e confronto con altri Paesi, favorì la sua crescita ma ciò che contribuì maggiormente al suo successo furono le ricchezze di materie prime. Carbone, ferro e petrolio furono, insieme all'alto numero di uomini impiegati nel lavoro, i fattori favorevoli al suo sviluppo. Il Sud del Paese fu fortemente proiettato verso l'agricoltura e la forza lavoro beneficiò ancora della schiavitù, nonostante fosse stata decisa la sua abolizione alla fine della Guerra di Secessione. L'America fu anche all'avanguardia per la produzione di macchinari che venivano impiegati nell'industria. In America, alla fine dell'’800, si avviò il processo dell'emigrazione. Dall'Europa e, in particolar modo dai Paesi sottosviluppati, si avviarono importanti flussi migratori. La manodopera fornita dalle persone che arrivavano in America fu molto importante e necessaria. Crebbero le comunicazioni interne e le ferrovie che facilitavano e velocizzavano i trasporti delle merci. Oltre la ricchezza delle materie prime e di altri fattori favorevoli, ciò che aiutò e favorì l'industria americana fu la base teorica. Frederick Taylor, con il suo “taylorismo”, diede un impulso positivo alle fabbriche e al loro sviluppo. Con Taylor si affermò l'organizzazione del mondo del lavoro e l'introduzione del metodo della catena di montaggio (parcellizzazione del lavoro). Già nel ’700 Adam Smith aveva avuto questa intuizione per velocizzare il lavoro e prevenire gli infortuni. L'industria americana ebbe un grande sviluppo anche nella costruzione di automobili, Henry Ford applicò il principio del taylorismo. L'industria statunitense fu molto libera ed autonoma nei confronti dello stato, non vi erano controlli né interventi statali per cui l'iniziativa privata venne molto favorita a differenza di quanto avveniva in Europa ed in altri Paesi. Per questo motivo la potenza economica ed industriale era detenuta da pochi gruppi capitalistici industriali. Si formano i primi sindacati ed assemblee che, tramite l'associazione dei lavoratori, chiesero che lo stato intervenisse sull'economia con una tassazione di questi redditi imponenti in modo che potessero essere controllati e sulla regolamentazione dell'immigrazione. Nascono i primi anti-trust e le prime leggi sociali. Vi furono anche altre leggi molto incisive come quelle del repubblicano Theodore Roosevelt e del democratico Woodrow Wilson che prevedevano di sciogliere gli anti-trust e di venire incontro alle esigenze dei lavoratori (con la diminuzione delle ore di lavoro), l'introduzione della tassazione progressiva sul reddito e la diminuzione dei dazi protettivi. 28 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Per quanto riguarda l'imperialismo negli Stati Uniti verso l'America latina, nel 1898 la Spagna aveva conquistato numerosi territori dell'America ,atina. Già nel 1895 gli Stati Uniti avevano pensato di prendere possesso dell'America centrale osservando l'isola di Cuba che si era ribellata agli spagnoli, ma dopo la dura repressione degli spagnoli nei confronti degli isolani e dopo l'esplosione di una corazzata statunitense nel porto dell'Avana gli americani intervennero direttamente bloccando la Spagna su tutti i fronti fino alle Filippine da una parte e a Portorico dall'altra. Ulteriori interessi degli Stati Uniti furono indirizzati a Panama e in Messico. L'azione imperialistica degli Stati Uniti si indirizzò inoltre al controllo delle Filippine, di Portorico, delle isole Samoa e di Cuba e del canale di Panama. Interessati anche al Messico dovettero affrontare la Rivoluzione Messicana iniziata nel 1910 e guidata da Francisco Villa detto Pancho ed Emiliano Zapata. Al termine di questa rivoluzione si ebbe la costituzione democratica che non venne applicata completamente, tant'è vero che i governi successivi la misero in pratica liberamente. Con l'intervento in Messico gli Stati Uniti avevano ottenuto un corrispettivo politico, il presidente degli Stati Uniti, anche ai giorni nostri, per questo intervento si riserva di intervenire direttamente nelle questioni dei Paesi americani. L'ITALIA GIOLITTIANA Viene definita come tale per il periodo in cui governò Giovanni Giolitti. Dalla fine dell'’800 fu ministro, poi primo ministro e politico protagonista dalla prima fase della prima guerra mondiale fino al termine di essa. Con Giolitti si ebbero delle importanti riforme. Figura di primo ministro positiva per molti aspetti e negativa per altri, rappresentato con due facce da molti giornali politici dell'epoca per definire incoerente la sua politica. Spesso influenzato dai potenti del periodo, non vinse la sua battaglia di sviluppo del Sud. Positive sono le considerazioni sulle sue riforme del lavoro, riguardanti l'orario di lavoro, il diritto allo sciopero oltre che per il diritto all'istruzione e l'estensione al voto. Dal punto di vista economico, le regioni dove era meno presente il fenomeno dell'espatrio, poiché sussistevano condizioni economiche migliori, erano quelle della Savoia e quelle con uno sviluppo industriale più avanzato, mentre quelle a più alto tasso erano quelle del Sud. L'Italia del periodo è da considerarsi un Paese prettamente agricolo dove lo sviluppo dell'industria è rapportabile al 19% e il terziario al 23%. Nel 1913 abbiamo un aumento del settore terziario e di quello dell'industria. Le leggi a tematica sociale di Giolitti cercarono di aiutare la popolazione. Dopo la morte di Umberto I per mano dell'anarchico Bresci, in un periodo in cui erano frequenti manifestazioni e scioperi dei lavoratori contro il governo, divenne sovrano Vittorio Emanuele III. Il nuovo sovrano abbandonò la politica reazionaria del padre e cercò di ripristinare la legalità della Costituzione del 1848 dello statuto Albertino, dopo la caduta del 1901 del ministero Saracco, che aveva scontentato sia la destra che la sinistra, il re affidò l'incarico di formare il governo ad un rappresentante della sinistra, il giurista Giuseppe Zanardelli. Zanardelli avviò questa politica antirepressiva, concesse un'amnistia ai condannati politici e dette più libertà di associazione. Nel 1903 Zanardelli fu costretto a ritirarsi per malattia e l'incarico viene dato a Giovanni Giolitti che divenne presidente del consiglio e questa carica gli venne rinnovata, salvo brevi interruzioni, per quasi un decennio. Questo decennio prende il nome di età giolittiana. Giolitti, liberale che faceva parte della sinistra costituzionale, rese possibile lo sciopero come manifestazione di espressione dei lavoratori (presente anche prima, lo sciopero era spesso represso invalidandone il risultato). Giolitti non attuò la precedente politica repressiva ma cercò di ascoltare le parti ed avviare delle trattative tra i rappresentanti. Capì che si doveva intervenire con delle leggi adeguate in modo da rendere agevoli le condizioni economiche e morali degli italiani. Il suo intento fu anche quello di modernizzare lo stato aiutando l'industria, favorendo la crescita della forza lavoro nelle zone industriali e migliorando le qualità tecniche nelle zone agricole. Nel corso di quel decennio vennero istituite nuove leggi per i lavoratori e migliorate quelle esistenti, queste consideravano le categorie anziane dei lavoratori, le donne, i bambini e la prevenzione degli infortuni. Venne esteso l'obbligo della scuola fino al dodicesimo anno di età, il riposo settimanale, i lavoratori potevano presentare la propria candidatura alle elezioni. Venne stabilita un'indennità parlamentare con un compenso per i deputati che dovevano sostenere delle spese. Fu suo intento adeguare lo stipendio degli impiegati e dei lavoratori. Altri interventi furono quelli sulla sanità pubblica, distribuendo gratuitamente il chinino, in campo igienico e per il benessere generale. Questi miglioramenti influirono sull'abbassamento della mortalità e la popolazione, che nel 1870 era di 26 milioni, aumentò nel 1913 a 36 milioni. Buona parte della popolazione raggiunse un miglioramento del benessere generale e le rimesse dei migranti superavano i 260 milioni di euro migliorando la liquidità delle casse dello stato. Nonostante alcune disgrazie accadute in Italia in quel periodo, l'eruzione del Vesuvio del 1906 e il terremoto di Messina nel 1908, si raggiunse il pareggio di bilancio mantenendolo e portandolo addirittura in attivo. Una migliore politica sociale ed una adeguata amministrazione del denaro pubblico portò la nostra moneta ad acquisire un grande valore, tanto da essere preferita alle monete d'oro nel mercato internazionale. Sentore 29 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA della valida situazione economica fu l'accrescimento del risparmio e dei depositi nelle banche che potevano rilasciare prestiti alle imprese, al settore agricolo e all'artigianato. L'agricoltura beneficiò di politiche mirate, di bonifiche di territori e di costruzione di canali di irrigazione. Inoltre le colture beneficiarono dei nuovi prodotti chimici come i fertilizzanti e i diserbanti Il ramo metalmeccanico, dal 1902 al 1913, vide una crescita mai raggiunta prima; in Italia i settori che presero il sopravvento furono quello automobilistico, la Fiat fondata a Torino da Giovanni Agnelli nel 1899; quello dei pneumatici, la Pirelli fondata a Milano; non per ultimo il settore idroelettrico. Giolitti fu anche il promotore di opere pubbliche come l'estensione della rete stradale e ferroviaria, il "miracolo ferroviario" descriveva l'aumento della rete sul territorio, si aprì il traforo del Sempione, si iniziò l'acquedotto pugliese. Viene istituito il Monopolio di Stato per le assicurazioni sulla vita sino alla gestione delle società private, quest'iniziativa del 1911 venne discussa nell'opposizione di coloro che non desideravano la gestione pubblica. In questa difficile situazione parlamentare Giolitti volle arrivare ad una trattativa cercando di limitare le somme che venivano attribuite allo stato entro un certo tetto e cedendo al nuovo Istituto nazionale per le assicurazioni le altre entrate. Giolitti, dopo suo secondo governo, ebbe difronte i problemi irrisolti dell'arretratezza del Sud, la questione meridionale che si trascinava già da tempo era diventato il problema dominante. Il vertice del problema era rappresentato dall'analfabetismo, l'obbligatorietà agli studi fino al dodicesimo anno di età non riuscì ad arginare la problematica scolastica del meridione, poche persone potevano permettersi di andare a scuola e in Sicilia la metà delle persone erano analfabete, stessa situazione in Calabria e Basilicata. Altra problematica del Sud era rappresentata dalla salute, malattie che portavano alla morte come la tubercolosi mietevano 75.000 vittime l'anno. Da questo punto di vista, osservando le due italie, del Nord e del Sud, erano evidenti grandi disparità e queste situazioni erano evidenziate dall'alto tasso di emigrazione delle popolazioni del Sud verso gli altri Paesi europei ed extraeuropei. Il movimento femminista che si sviluppa alla fine dell'’800 vide una figura femminile molto importante, la prima pedagogista donna, Maria Montessori. Sulle sue teorie si basano ancora parecchi asili e scuole materne. Il metodo Montessori si basa sull'esperienza sensoriale dei bambini che per crescere, svilupparsi intellettualmente e arrivare all'astrazione, al ragionamento, hanno bisogno di operare concretamente sulle cose e di avere un contatto diretto sugli oggetti nella realtà. Anche tutto l'ambiente deve essere adatto affinché il bambino possa fare queste esperienze come la psicomotricità che contribuisce allo sviluppo di determinate aree del cervello. Giolitti, nato come liberale, fu molto vicino al Movimento Socialista per i suoi interessi verso la società e le problematiche dei lavoratori e al mondo cattolico per i disagiati. Capì che avvicinandosi a queste masse di persone avrebbero ottenuto maggiori consensi da loro. Cercò di accordarsi con il Partito Socialista e nel 1903 offrì a Filippo Turati, che era considerato un riformista, un suo ministero in modo che la sinistra facesse parte del suo governo. Questo suo desiderio non fu soddisfatto perché non si raggiunse un accordo. Nello Sciopero Generale del 1904, che bocciava la politica del governo, si arrivò ad indire nuove elezioni che però condussero all'indebolimento della sinistra, il Partito Socialista che capì l'impossibilità di ottenere i voti necessari, si avvicinò alla figura di Giolitti. Dopo lo Sciopero Generale Giolitti cercò di coinvolgere tutte le forze presenti e cercò di avvicinarsi anche alla Chiesa cattolica affinché appoggiasse le sue riforme, in cambio la Chiesa era interessata a bloccare la crescita del Partito Comunista (quella che Giolitti chiamava "la marea rossa" ma che era più vicina alla sinistra estrema). La Chiesa, dopo l'enciclica di Leone XIII, che aveva mostrato una certa apertura su quello che stava succedendo nel mondo, era propensa a questa collaborazione. Nel movimento dei cattolici era presente un sentimento che si avvicinava al liberismo, non ammetteva l'arricchimento personale ma voleva le masse partecipi di questo processo di miglioramento della società, all'arricchimento di pochi la Chiesa esaltava la libertà di crescita e che il lavoro fosse considerato una merce regolata dalla domanda e dall'offerta. Un cattolico attivo fu il sacerdote Romolo Murri che nel 1900 fondò il movimento che poi assunse il nome di Democrazia Cristiana Italiana come partito politico sotto la direzione di Don Luigi Sturzo. Questo movimento fondato da Murri non ebbe il consenso di Leone XIII e del suo successore Pio X perché non volevano che i cattolici aderissero a un movimento politico con il governanti. Si parlò infatti di cauto appoggio, valutato di volta in volta. Murri entrò in contrasto con i gerarchi ecclesiastici, venne eletto deputato nel 1904 con l'appoggio dei radicali e dei socialisti e per questo motivo la Chiesa, non desiderando la sua partecipazione, lo sospese dall'esercizio sacerdotale (sospeso “a divinis”) ed in seguito fu scomunicato. Don Luigi Sturzo si andò convincendo della necessità di un partito laico cristiano staccato dalla comunità ecclesiastica in modo che si potesse inserire nel tessuto sociale dello stato. Criticò i cattolici moderati sostenendo che la Chiesa dovesse essere attiva con una sua programmazione ed una sua propria strategia politica. Guido Miglioli e le sue Leghe Bianche guidarono un sindacato ispirato al cattolicesimo che possedeva un grande consenso nelle campagne con le casse rurali e le associazioni contadine. All'interno del Partito Socialista vi fu un ampio dibattito e prevalse l'idea rivoluzionaria. Giolitti capì che non sarebbe riuscito ad arrivare ad accordi con gli estremisti e si rivolse alle forze cattoliche perché il Partito Socialista si considerava ateo e anticlericale, inoltre questa forma di rivoluzione non riusciva a far progredire 30 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA il governo all'approvazione di alcune leggi. Provò ad avvicinare la figura di Pio X in modo da fargli accettare l'unità d'Italia con una maggiore tolleranza e limitare il “non expedit” (al momento della presa di Roma il Papa aveva pronunciato il “non expedit”, i cattolici dovevano stare al di fuori delle faccende della politica italiana). Pio X concesse alcuni candidati per le elezioni, con una scelta casuale e non vincolante per la Chiesa. Questi candidati dovevano farsi eleggere nelle liste liberali. Nel 1912 Giolitti estese il diritto di voto a tutti i maschi di almeno 21 anni, in grado di leggere e scrivere. Nel suffragio universale maschile, che alzava la percentuale degli aventi diritto al voto al 22,3%, le donne ancora non potevano votare. Stipulò con il conte marchigiano Vincenzo Ottorino Gentiloni il cosiddetto patto Gentiloni in base al quale i cattolici avrebbero sostenuto l'elezione dei deputati liberali. In cambio avrebbero ottenuto l'abolizione della politica anticlericale, decretando il rientro nella politica attiva dei cattolici. Questo fu il primo patto che venne stabilito tra lo Stato e la Chiesa dopo i fatti del 1870. L'azione politica di Giolitti, che da una parte aveva introdotto e favorito tanti miglioramenti, per altri aspetti raccolse molte critiche proprio perché già allora si intravedeva uno dei mali della nostra Italia tra cui la corruzione della corte elettorale con l'acquisto dei voti in cambio di qualche promessa. Altro aspetto negativo di questo politico fu il suo destreggiarsi tra partiti opposti facendo promesse ed accontentando entrambi, cercò l'appoggio degli industriali, operai e braccianti mirando ad un forte consenso. Il suo atteggiamento trasformista fu simile a quello di De Pretis. Oltre di corruzione, durante le lezioni, venne accusato di intimidazione. Questi metodi elettorali, utilizzati insieme al clientelismo per il commercio dei voti, furono utilizzati in particolar modo nel mezzogiorno e vennero denunciati da meridionalista Gaetano Salvemini. Nonostante ciò, alla sua vita politica vennero sempre riconosciuti i benefici e i miglioramenti apportati alla situazione italiana. Per quanto riguarda la politica estera, Giolitti decise di allontanarsi dai rapporti con Germania e Austria e di intraprendere alleanze con la Francia e Inghilterra in virtù di un aiuto che avrebbero potuto recare all'Italia nel suo ampliamento coloniale il cui intento di conquista della Libia, che era sotto dominio turco, era fortemente spalleggiato dal Movimento Nazionalista. Nel 1912 la pace firmata con la Turchia riconobbe all'Italia il possesso della Tripolitania e della Cirenaica. Quest'intervento provocò una spaccatura del Partito Socialista tra i riformisti, favorevoli al conflitto, e i pacifisti, contrari. Filippo Turati rimase alla guida dei riformisti nel Psi, altri dettero vita al Partito Socialista Riformista Italiano. Nel 1914 Giolitti cedette il governo al liberale moderato Antonio Salandra che si ritrovò a fronteggiare una situazione sociale in fermento dietro la spinta di forti proteste operaie e contadine, la "settimana rossa". LA SVOLTA DEL 1914 (Sintesi) Nell'autunno 1914 l'Italia si stava avviando verso la modernizzazione che aveva già da tempo interessato diversi Paesi europei ed extraeuropei. I maschi con occupazione lavorativa erano il 68% rispetto al 25% delle donne. In agricoltura erano impiegati oltre il 58% delle persone, nell'industria il 3% e nel terziario il 18% (dati del 1911 da comparare ai dati del 1011 che vedono il 4% delle persone impiegate nell'agricoltura, il 20% impiegate nell'industria e il 68% impiegate nel terziario; i lavoratori impiegati nell'industria sono 68% mentre le lavoratrici sono 46%). Le ferrovie del 1911 erano di 18.000 km e la vicina estensione di 26.000 km del 2011 rende chiaro lo scarso sviluppo delle vie di comunicazione su rotaia dei nostri giorni. Le città italiane del 1911 erano già ben popolate; Napoli aveva 668.000 abitanti circa contro i 962.000 del 2011, Milano 590.000 verso 1.242.000 attuali, Roma 542.000 contro 2.617.000, Torino 427.000 contro 872.000. L'Italia si stava modernizzando grazie anche agli interventi statali, ai trasporti pubblici, agli acquedotti e alle nuove strade. Cavour aveva intuito che per rendere l'Italia un Paese moderno si doveva puntare sulle infrastrutture. La speranza di vita nel 1911 era di 45 anni. I miglioramenti delle condizioni di vita, con la sintesi di nuovi medicinali e un'alimentazione più varia e ricca, diedero i loro benefici. La percentuale dei giovani del periodo era maggiore di quella degli anziani ma il tasso di povertà che affliggeva le nuove generazioni era assai elevato. Le condizioni di arretratezza e la scarsa qualità di vita, nonostante l'impegno nello sviluppo applicati nell'età giolittiana (1901-1914) diedero i risultati sperati e i salari crebbero, anche se inferiormente rispetto alla media degli altri Paesi europei. Oltre all'aumento della produzione e dei salari vi furono dei miglioramenti nella società con degli investimenti pubblici e privati; migliorò l'economia, furono ampliati gli acquedotti e le fogne e, di conseguenza, le fonti batteriche e virali che trasmettevano facilmente le malattie, vennero, se non abbattute, diminuite. Nei grandi centri comparvero i tram elettrici che erano meno dispendiosi di quelli tradizionali a cavallo, l'utilizzo della bicicletta prese campo nel trasporto privato a disposizione di tutti. Nel crescendo della popolazione urbana il settore che dava ancora più occupazione era sempre quello dell'agricoltura. Lo sviluppo dell'industria avanzava con difficoltà anche perché non sufficientemente supportata dalla politica. 31 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA L’Italia importava professionisti e tecnici di alto livello ed esportava manodopera a basso costo. Nel 1913 l'alfabetizzazione di massa diede la possibilità a quasi tutti bambini di frequentare le scuole anche se nel meridione vi erano forti retaggi per il decentramento di molte famiglie contadine. L'iniziale età lavorativa partiva da 10 anni e per questo motivo il progresso scolastico di molti bambini si arrestava con apprendimenti basilari. La scuola secondaria e l'Università erano prerogativa per pochi e ingegneri, dirigenti e professionisti provenivano da Paesi stranieri. La crescita economica era rallentata dalla politica doganale e dall'alto importo dei dazi. Il "protezionismo del grano" determinava una stasi nel Paese e un blocco delle esportazioni che penalizzava i settori agricoli che richiedevano una maggiore manodopera quali gli agrumi e la seta. Le condizioni della popolazione italiana erano migliorate ma sarebbero potute essere state ancora più soddisfacenti se la politica avesse tutelato maggiormente alcuni aspetti produttivi. La cattiva nomina dell'Italia era già quella del "Paese degli sprechi". Il costo della rete ferroviaria, che era risultato assai elevato, era ricaduto sulle spalle della popolazione. Questo fu l'inizio dell'indebitamento pubblico, lo Stato finanziava male gli appalti non valutando il reale del costo dell'opera. Lo Stato per recuperare grandi costi di realizzazione caricò gli importi spesi su elevate tasse per il traffico ferroviario scoraggiandone l'utilizzo. In definitiva, l'Italia di un secolo fa era una nazione con grande potenzialità ma che non era stata in grado di approfittare di esse per compiere il salto di qualità com'erano riusciti gli altri Stati europei. Con l'entrata in guerra l'Italia pagò questa sua inadeguatezza sia dal punto di vista economico che strategico e militare. Il lungo dibattito tra gli Interventisti, che appoggiavano le intenzioni di entrare in guerra, e i neutralisti, che perseguivano l'intento opposto, rendono perfettamente conto della non preparazione italiana ad un evento di così tale importanza ma i trattati internazionali misero l'Italia di fronte alla decisione obbligata di intervenire. L'anno fatale del 1914 fu un anno intenso sotto molti aspetti. Lo scoppio della guerra, che tutti rifiutavano e, nel contempo, tutti desideravano, vide origine nel desiderio di espansione territoriale (fomentato dalla potenza militare ed economica di alcuni Paesi). La goccia che fece traboccare il vaso fu l'assassinio dell'imperatore austroungarico Francesco Ferdinando I da parte dell'anarchico serbo Gavrilo Princip, uno studente appoggiato dal suo governo, governo che negò la propria responsabilità ma non fece nulla per ristabilire la pace tra Austria e Serbia. Con la scusa di preservare la sicurezza degli Stati europei ci si avviò alla corsa agli armamenti e al rafforzamento militare per affermare il senso di potenza dei singoli Stati. La diplomazia tra gli Stati venne basata su durissimi ultimatum e dichiarazioni di guerra, per non parlare dei rapporti tra i "tre cugini" (Guglielmo II di Germania, Giorgio V del Regno Unito e lo zar Nicola II di Russia). Quel che emerge è il susseguirsi di scommesse sbagliate, ognuno pensava che al nemico non convenisse entrare in guerra. A livello mondiale, nel 1914, possiamo ricordare la chiusura della borsa di Wall Street, dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale; nel Messico abbiamo la Rivoluzione Messicana condotta da Zapata e Pancho Villa che entrarono nelle città con gli eserciti; a Roma venne eletto Papa Giovanni Benedetto XV. Il 25 dicembre fu una data significativa perché vi fu una tregua tra i fronti combattenti contrapposti, si ricordano momenti di fraternizzazione azione tra francesi, tedeschi ed inglesi. A Parigi nasce la corrente culturale denominata "Avant Garde" e a New York viene proiettato il film Cabiria, la cui sceneggiatura fu di Gabriele D'Annunzio. Si sviluppano i movimenti come il futurismo e il dadaismo con le nuove sperimentazioni. Cronistoria 28 giugno 1914 - a Sarajevo (Bosnia) avviene l'assassinio di Francesco Ferdinando I, erede al trono dell'impero austroungarico e di sua moglie Sofia; 30 luglio 1914 - La Russia dichiara la mobilitazione generale (ricordiamo che la Russia era alleata con l'Inghilterra e la Francia nella Triplice Intesa mentre l'Italia era alleata con l'Austria e la Germania nella Triplice Alleanza); 2 agosto 1914 - l'Italia, anche se alleata con Germania e Austria, si dichiara neutrale (queste alleanze erano nate perché in caso di attacco ad una di queste nazioni, le nazioni alleate sarebbero dovute intervenire in aiuto. L'Italia si dichiara neutrale, nonostante l'Austria avesse subito l'assassinio del principe erede, perché non fu invasa e non avesse subito un attacco; di conseguenza l'Italia non si sentì di appoggiare l'attacco sferrato dall'Austria alla Bosnia); 4 agosto 1914 - il Regno Unito dichiara guerra alla Germania; 32 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA 23 agosto 1914 - il Giappone entra in guerra al fianco di Regno Unito e Francia (la guerra si espande e assume la connotazione di guerra mondiale); 27 agosto 1914 - i tedeschi sconfiggono i russi a Tannenberg, nella Prussia orientale; 2 settembre 1914 - l'Austria e la Germania invadono la Galizia; 29 ottobre 1914 - gli ottomani attaccano la Russia e la sconfiggono sul Mar Nero; 2 novembre 1914 - La Russia, seguita da Francia ed Inghilterra, dichiara guerra alla Turchia; 8 dicembre 1914 - La flotta navale tedesca viene sconfitta dalla flotta inglese presso le isole Falkland. SVILUPPO E SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE Il precedente periodo di pace venne interrotto dalle diplomazie per la spartizione delle colonie dell'Africa occidentale e per le rivendicazioni nazionali da parte dei serbi. La penisola balcanica è sempre in fermento; nel 1912 la situazione precipitò: la Serbia, la Grecia, il Montenegro e la Bulgaria approfittarono dal fatto che la Turchia fosse occupata nella guerra aperta dall'Italia per la conquista della Libia per coalizzarsi e prendere possesso del territorio che faceva parte dell'impero Ottomano; la guerra che ebbe inizio nel 1912 ed interessa la penisola balcanica durò pochi mesi e terminò con il successo degli alleati anche grazie all'appoggio della Russia. Nel 1913 si giunse ad un accordo, il "patto di Londra", con il quale l'impero turco rinunciò a tutti i territori in Europa tranne Costantinopoli e gli Stretti. La pace durò solo poche settimane perché vi furono dei dissidi tra i vincitori su come dividersi i territori conquistati. In giugno la Bulgaria attaccò la Serbia e la Grecia e scoppiò la Seconda Guerra Balcanica, in cui si inserirono nuovamente la Romania e l'Impero Ottomano per riconquistare territori precedentemente perduti. Alla fine dell'estate si giunse ad un nuovo accordo, la "pace di Bucarest", la Serbia ottenne il Kosovo e parte della Macedonia mentre il resto dei territori passarono alla Grecia, i turchi si impossessavano della Dacia. Nasceva così un regno nuovo indipendente, la Romania, che però era stato decurtato di territori a favore del Montenegro, Grecia e Serbia. Nella questione albanese intervenne anche l'Italia poiché aveva degli interessi su questo Paese. In un quadro internazionale carico di tensione bastò una scintilla rappresentata dall'uccisione a Sarajevo dell'arciduca austriaco Francesco Ferdinando, erede al trono, e di sua moglie Sofia. L'Austria colse subito l'occasione per attaccare la Serbia e inviò il 3 luglio un ultimatum a Belgrado da cui pretendeva una risposta entro quarantott'ore. Il governo della Serbia rispose in termini conciliatori ma respingendo le clausole più dure. L'Austria non accettò le scuse da parte della Serbia e le dichiarò guerra il 28 luglio del 1914. L'Europa venne sconvolta da questa dichiarazione e scattò il meccanismo delle alleanze militari e quelle della mobilitazione generale. Gli storici considerano questa la grande novità perché non coinvolse solo un piccolo esercito di una nazione ma si allargò alle masse popolari che, anche se non militari di leva, dovevano addestrarsi ed equipaggiarsi per parteciparvi. Malgrado ciò, questo conflitto venne considerato da tutti come un conflitto sbrigativo; in realtà questo sforzo bellico si rivelò molto impegnativo tanto che tutte le energie produttive dei Paesi furono impegnate nella produzione di armi. Nel giro di pochi giorni il conflitto si allargò e il 3 agosto tutte le diplomazie inviarono le dichiarazioni di guerra. La Russia si alleò con la Serbia, poiché mirava ad impadronirsi di qualche territorio della zona dei Balcani come contropartita. L'Austria e la Germania erano alleate per cui la Germania dichiarò guerra prima alla Russia e poi alla Francia. Il piano elaborato in segreto dal generale tedesco Alfred von Schlieffen era quello di eliminare rapidamente l'esercito francese per poi portarsi verso il fronte orientale, prima che fosse terminata la mobilitazione russa. Per ottenere una vittoria sul fronte occidentale doveva schierarsi alle spalle dell'esercito francese, invase il Belgio, violandone la neutralità e non considerando i trattati internazionali. Questo fu un gravissimo errore perché l'esercito tedesco era divenuto l'esercito che contravveniva ai trattati internazionali e si muoveva più lentamente. Da questo momento non fu più guardato di buon occhio. L'Inghilterra era preoccupata per la presenza dei tedeschi vicino al Canale della Manica. Questo motivo la spinse a scendere al fianco della Francia. I belgi, nonostante non si aspettassero quest’invasione, vi resistettero due settimane ostacolando l’avanzata tedesca con ogni mezzo (distruggendo strade e ponti). L’esercito francese ebbe il tempo necessario di prepararsi a respingere le truppe tedesche sulla Marna (affluente della Senna) a 40 km da Parigi, coadiuvato 33 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA dalle truppe britanniche accorse in aiuto. Dal 6 al 12 settembre su questo fronte ci fu una durissima battaglia, i combattimenti si fermarono sul fiume Aisne. Quando gli eserciti si fermavano e si combattevano su un determinato territorio la guerra "di movimento" diveniva "di posizione". Lungo i confini dei territori di combattimento vennero scavate le trincee che caratterizzarono la Prima Guerra Mondiale, dove i soldati stazionarono mesi e poi anni in condizioni igieniche indescrivibili, al freddo e al gelo, scarsamente alimentati e vestiti. I mezzi di sostentamento e i beni necessari per la sopravvivenza erano approvvigionati con difficoltà perché inviati a dorso di mulo. Sul fronte orientale, i russi, anche se non pronti per l'avvento di questa guerra, avevano invaso la Prussia e questa manovra aveva destato molto timore, tant'è vero che molti contingenti erano stati richiamati dai fronti occidentali per rispondere all'offensiva. Il generale tedesco Hindenburg riuscì a rispondere all'offensiva russa in due grandi battaglie: quella di Tannenberg e dei laghi Masuri. Sul fronte occidentale si stabilizzò l'offensiva e si venne a creare un nuovo confine di guerra. Dal 1914 il conflitto si spostò anche sul mare. La Germania e l'Inghilterra combatterono una guerra, che possiamo definire "navale", lungo le rotte del Atlantico e del Pacifico, per bloccare i nemici e soprattutto per impedire il rifornimento di armi e di merci. Queste battaglie vengono combattute con navi da guerra appositamente costruite (corazzate, incrociatori, navi corsare e i rivoluzionari sommergibili che acquisirono fondamentale importanza). Gli inglesi subirono inizialmente l'offensiva della Germania ma, dal 1914, riuscirono ad infliggere al nemico una grave sconfitta al largo delle isole Falkland, nel mare prospiciente l'Argentina Il 3 agosto 1914 il Giappone dichiarò guerra alla Germania poiché voleva rimpossessarsi di territori in Cina senza inimicarsi l'Inghilterra e l’America che vantavano possedimenti in quel Paese. Il Giappone occupò il il porto di Kiaochow. Con questa azione la guerra assunse ulteriormente una connotazione extra europea. Anche l’Africa venne coinvolta nella guerra quando la Triplice Intesa occupò i protettorati tedeschi del Togo, del Camerun e dell'Africa orientale tedesca con l'impiego di soldati coloniali. L'Intesa, inoltre, dichiarò guerra anche all'impero ottomano che fino ad allora aveva assunto posizioni di neutralità ma da questo momento si era alleato con la Germania occupando alcuni territori del Caucaso. Gli inglesi, rispondendo a queste alleanze e sconfiggendo le truppe ottomane, si erano impossessati della città di Bassora in Mesopotamia. Il governo italiano, colto di sorpresa da questi eventi, non seppe come comportarsi. L'Austria, senza informare gli alleati, aveva posto l'ultimatum alla Serbia. L'Italia, che non condivise questa decisione, il 2 agosto 1914 si dichiarò neutrale. Dall'agosto 1914 al maggio 1915 l'Italia si divise, in egual misura, tra interventisti e neutralisti. I neutralisti sostenevano che con la diplomazia l'Italia sarebbe riuscita a rimpossessarsi di territori rimasti sotto il controllo austriaco mentre gli interventisti vedevano possibile l'attuarsi di questo fine solo aderendo alla guerra in atto. Le posizioni neutrali erano sostenute dai cattolici e dai socialisti in quanto comprendevano che la maggioranza della popolazione sarebbe stata sterminata poiché non preparata per essere improvvisamente coinvolti. Questa considerazione era anche quella di Giolitti che sosteneva il raggiungimento dei risultati attraverso l'azione diplomatica. I sostenitori dell'opinione interventista videro la partecipazione di personaggi come Gabriele D'Annunzio, il poeta e scrittore più importante del periodo che sosteneva questa la tesi dell’entrata in guerra per rendere l'Italia un Paese autorevole e che organizzò delle manifestazioni pro-intervento, nelle "radiose giornate di maggio". Da poeta “vate” D’Annunzio propagandava le capacità belliche e di prestigio italiane, il suo impegno culminò in intense attività propagandistiche come il volo su Vienna per lanciare volantini inneggianti le capacità militari e di sentimento patriotico italiano. Altro personaggio, che dalla fronda neutralista dei socialisti e da direttore del giornale di partito “l’Avanti” si distaccò per sposare le idee interventiste, fu Benito Mussolini. Il 13 maggio, Salandra, il primo ministro del governo italiano, di posizioni neutraliste, decise di dare le proprie dimissioni. L'interventismo italiano vedeva il pensiero "irredentista" (per il recupero delle terre ancora in mano austriaca) e quello dell'interventismo “democratico”, rappresentato da Bissolati e Salvemini che sostenevano l'entrata in guerra al fianco della triplice intesa per combattere l'eccessivo militarismo e autoritarismo di Germania ed Austria. Il ministro degli esteri Sonnino firmò il "patto di Londra", un concordato segreto di intesa con Francia e d'Inghilterra dove gli alleati riconoscevano all'Italia il diritto di impossessarsi dei territori di Istria, Venezia e Triveneto e agli austriaci il Dodecaneso e una parte della Dalmazia. Inoltre l'Italia avrebbe avuto diritto anche su parte di eventuali territori nordafricani spartiti tra le colonne conquistate da Inghilterra e Francia. Il patto segreto rimase come tale fino al 1917, non si divulgò tra le forze politiche né nell'opinione pubblica. Questo fatto però, doveva essere discusso in Parlamento e tramutato in legge. L'impegno degli interventisti si rivolse alle masse e vennero organizzate numerose manifestazioni a favore dell'intervento, le "radiose giornate di maggio". L'opinione pubblica non era molto favorevole all'intervento poiché era più legata ai partiti neutralisti e a Giolitti. Il primo ministro Salandra, che era subentrato a Giolitti e che non raccoglieva i favori del Parlamento, il 13 maggio decise di rassegnare le dimissioni, ma il re, che era a favore dell'intervento, le rifiutò e lo richiamò alla guida del governo. Il 20 maggio, all'ordine del giorno delle Camere, venne conferito il pieno potere decisionale al governo sulla tematica di guerra. Qualche giorno prima Giolitti lasciò Roma per recarsi in Piemonte perché aveva capito di non poter avere nessuna voce in capitolo, particolarmente dopo l'intervento del re. 34 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Il Parlamento approvò l'intervento, Filippo Turati protestò invano per il metodo antidemocratico del sovrano e del governo. Essendo già stato firmato il “patto di Londra” prevalse l'idea interventista e, ad un anno di distanza, l'Italia si avviò ad entrare in guerra. Il 24 maggio 1915 l'Italia dichiara guerra all'Austria dopo aver inviato un ultimatum il giorno precedente. Al termine del primo anno di guerra il progetto tedesco di concludere questa in un breve arco temporale risultò vanificato, la nuova connotazione di guerra "di posizione" combattuta nel fango delle trincee vedeva un'organizzazione nelle retrovie di strutture di supporto quasi sempre insufficienti. L'infermeria, l'ufficio di comando, i servizi, la mensa erano i riferimenti logistici che costituivano le micro città della guerra. Per le truppe di guardia, oltre alla convivenza con animali infestanti e condizioni disumane, l'aspetto più gravoso era rappresentato dallo stazionamento in postazione per lungo periodo. Frequenti furono i casi di depressione, ammutinamento e tentativi di fuga dal fronte dei soldati. L'immobilismo delle manovre che si verificò dal 1915 al 1916 non determinò cambiamenti negli equilibri di guerra tra i vari Stati. Da ricordare è l'innovazione della macchina di guerra; in questo conflitto vengono abbondantemente impiegate le nuove tecnologie rappresentate dalle flotte aeree, navali, i carrarmati e, per la prima volta, le armi chimiche rappresentate dai gas. La situazione economica vide l'entrata in guerra di Paesi al limite della bancarotta. Il forte impegno economico da sopportare per la gestione dell'apparato militare di ogni Paese vedeva un gravoso impegno sia per i Paesi vincitori che, in particolar modo, per i Paesi vinti. L'entrata in guerra dell'America fu determinata dagli impegni monetari consistenti nei forti prestiti concessi all'Europa, al fine di evitare il disfacimento economico europeo con l'impossibilità di recupero dei fondi concessi. L'Italia stessa soffriva di questo problema, la sua entrata in guerra la vedeva fortemente impegnata economicamente con scarse risorse e una non adeguata preparazione militare, sia logistica che tecnica. Con il perdurare dei combattimenti in Italia si vide costretta ad impiegare militari molto giovani. Una delle sconfitte navali subite dalla Triplice Intesa fu la spedizione navale nello stretto dei Darganelli. Questa spedizione fu voluta da Winston Churchill affinché si mantenesse attraverso questo stretto una via di comunicazione con la Russia; i combattimenti con i turchi non ebbero la meglio ed è di questo frangente il ricordo della persecuzione dei turchi contro gli armeni che vivevano all'interno dell'impero ottomano in un territorio vicino alla Russia. Lo zar si era sempre occupato della protezione degli armeni perché erano di religione ortodossa, però quando la Turchia, che era alleata con l'Austria, entrò in guerra, accusò gli armeni di essersi schierati con il nemico. Con quest'accusa gli armeni vennero perseguitati e sterminati. L'esercito italiano, mentre il fronte russo si stava annullando, era comandato da Luigi Cadorna. Le truppe italiane e si spinsero fino alle linee austriache nonostante le gravi perdite. L'avanzata si arrestò a Gorizia a causa della forte resistenza austriaca. Tra giugno e dicembre 1915 furono condotte quattro battaglie sul fiume Isonzo. In queste battaglie persero la vita molti nostri soldati e i risultati non furono quelli auspicati a causa della scarsa preparazione militare e di disponibilità di mezzi. Il 1916 risultò essere un anno sempre molto duro; i fronti erano immobili, le perdite aumentavano e le derrate alimentari arrivavano sempre con più difficoltà. Le battaglie di Verdun e delle Somme, sul fronte francese, furono delle autentiche stragi e non condussero a nessun avanzamento delle truppe. Queste due battaglie sono da ricordare non per i risultati ma per l'impiego, mai fatto prima, di lanciafiamme e gas asfissianti. I sommergibili tedeschi colpirono a sorpresa con i loro siluri le navi da guerra. Con queste nuove tecnologie la Germania era convinta di poter sconfiggere gli inglesi e i francesi interrompendo i rifornimenti alimentari e di armi provenienti dall'America. La Germania intensificò gli attacchi nello Jutland, al largo della Danimarca contro gli inglesi e anche l'America subì gravi perdite con numerosi navi affondate dai sommergibili. Il 15 maggio 1916 l’Italia subisce dall'Austria una violenta offensiva a causa del nostro abbandono alla Triplice Alleanza. Le truppe austriache, superiori in preparazione e mezzi, vinsero numerose battaglie dove vennero fatti prigionieri i patrioti Cesare Battisti e Flavio Filzi che si erano impegnati nel conflitto convinti di sottrarre i territori degli austriaci. La stessa sorte la subirono Damiano Chiesa e l'istriano Nazario Sauro. Il nuovo governo presieduto da Paolo Boselli dichiarò guerra anche alla Germania perché voleva in qualche modo cautelarsi e chiedere l'intervento dell'Inghilterra. Il nostro esercito si era migliorato e riuscì a condurre una valida offensiva conquistando il 9 agosto Gorizia ed espugnando molti territori tra cui San Michele e il Sabotino. Le sorti della guerra, nonostante queste sporadiche vittorie, non erano definite. Il 21 novembre 1916 morì a Vienna, dopo 68 anni di regno, l'imperatore Francesco Giuseppe a cui succedette il nipote Carlo I di idee pacifiste, nonostante la Germania continuasse a non condividere quest'opinione. Fece pervenire all'Intesa delle proposte di accordo per la pace recapitata dal pontefice Benedetto XV che era succeduto a Pio X. Il Papa aveva definito la guerra, interpretando la voce di tutti i cattolici, “un'inutile strage”. A questo punto la Germania, che non voleva uscire dalla guerra ma vedeva l'indecisione austriaca, ricercò un accordo attraverso il Papa. 35 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA L'idea di perseguire la fine della guerra era comune a tutti ma non era chiaro né il metodo né come spartirsi i territori. Questo importante passo coincise con la nomina del primo ministro inglese David Lloyd George che era convinto di seguire le ostilità e rifiutare qualsiasi accordo; la Triplice Intesa decise quindi di continuare i conflitti (forte nella decisione che la Germania e l'Austria non intendevano rinunciare ai territori conquistati). I partiti socialisti nazionali dei vari Paesi si erano riuniti in Svizzera per decidere una posizione unitaria, il pensiero maggioritario era quello di arrivare ad una situazione in cui non si dichiarassero né vincitori né vinti; non sarebbero state decretate neanche annessioni, pagamenti e di indennizzi in modo da non favorire nessuno. Una minoranza di sinistra pretendeva invece una forma di “disfattismo rivoluzionario” ossia un maggiore vantaggio per il proletariato ottenibile con una sconfitta del proprio Paese e con la conseguente rivoluzione comunista. Questa corrente era capeggiata dagli “spartachisti” tedeschi, la lega di Spartaco fondata nel 1916 dai marxisti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, e dai bolscevichi capeggiati da Lennin. L'ECONOMIA DI GUERRA I governi avevano bisogno di armi, di munizioni e di tutto l'apparato bellico per proseguire nei combattimenti. Questi beni prodotti dalle fabbriche, che si erano trasformate per sopperire a queste nuove necessità, necessitavano di una rete di trasporto sia per le materie prime che per i prodotti finiti. L'agricoltura rimase l'occupazione principale per le donne, poiché gli uomini erano tutti impiegati in guerra. Altro impiego femminile è quello nelle fabbriche. I governi dovettero organizzare questi cambiamenti, la gestione della manodopera, il fabbisogno di alimenti per la popolazione e per i soldati sul fronte. La carenza di alimenti vide il loro razionamento. In tutti Paesi furono organizzati degli organismi di stato per gestire questo nuovo processo economico. Nel 1915, in Gran Bretagna per esempio, venne istituito il ministero per le munizioni; stessa cosa avvenne anche in Italia. In Germania si parla di socialismo di guerra con un apparato che gestì l’amministrazione dell'apparato militare. Per finanziare i costi della guerra lo Stato aveva bisogno di denaro che si procacciava con l'emissione di Buoni del Tesoro che venivano fatti sottoscrivere ai sudditi; tutti i loro risparmi venivano commutati in questi titoli. Si viene così a creare un accentramento dei poteri nelle mani dello Stato come non si era mai verificato prima. 1917 La guerra si stava logorando, i soldati all'estremo manifestavano spesso il loro malessere cercando perfino di disertare. Questa sofferenza aumentava con la consapevolezza che gli imprenditori e le catene industriali avevano tutto l'interesse nel proseguire con i conflitti. Il malessere si trasformò in protesta e a Torino vi fu una consistente rivolta per la mancanza di alimenti. Alla richiesta di pane, manifestata da giovani, donne e lavoratori si aggiunse anche la richiesta della fine dei conflitti ma i soldati furono costretti a reprimere le proteste con attacchi che videro la morte di molti manifestanti. Queste problematiche si riproposero nuovamente con la fine della guerra per la situazione critica in cui versava la popolazione. Lo stesso senso di malessere aveva particolarmente preso campo in Russia, dove era nato un fronte di opposizione allo zar Nicola II. Nel febbraio del 1917 ci fu una sommossa che portò lo zar a dimettersi e l'istituzione di un Governo Rivoluzionario Comunista guidato dal capo dei bolscevichi Lenin. La Rivoluzione D'ottobre determinò la decisione della Russia di ritirarsi dal conflitto. Il nuovo governo intavolò con la Germania e l'Austria delle trattative di pace che, secondo il pensiero di Lenin, dovevano essere democratiche. Si arrivò così all'armistizio del 1917 che si trasformò in pace nel marzo 1918. La Russia dovette pagare duramente questo accordo con l'Alleanza. Alla fine del conflitto si vide costretta a cedere numerosi territori. La caduta del fronte russo costituì un duro colpo per l'intesa che si trovò a combattere la Germania senza l'aiuto russo. L'Italia, che fino ad allora aveva preceduto nella conquista del Carso subì un arresto, dal 23 al 24 ottobre 1917 gli austriaci, aiutati dalle divisioni tedesche, scatenarono una controffensiva al nostro esercito noto come la Disfatta di Caporetto. I pochi soldati che scamparono alla morte cercarono di disertare. L'Italia cercò di reagire con fermezza a questa disfatta e mentre al governo Boselli succedeva un nuovo ministero di unità nazionale guidato da Vittorio Emanuele Orlando, nel Paese si cercò di racimolare più forze possibili di uomini da inviare sul fronte per sostenere le truppe in combattimento sulla linea del Piave dove si era arrestato l'esercito. I soldati avevano il morale affranto e il generale Cadorna venne sostituito da Armando Diaz. Da questo momento la guerra assume la nuova connotazione nazionale. Tutti i leader socialisti, che erano stati fino ad allora fermi oppositori dall'entrata all'entrata in guerra, sostenerono questa iniziativa. Nel 1917, che era stato un anno deleterio per l'Intesa si ebbe l'entrata in guerra dell'America al suo fianco. Il presidente Woodrow Wilson, sotto la richiesta alla pressione di tutto il mondo, dichiarò guerra alla Germania, in nome della libertà e della democrazia, per abbattere i Paesi oppressori. Nel breve periodo di pochi mesi 36 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA gli Stati Uniti fecero giungere gli aiuti e i mezzi di sostentamento all'Intesa apportando un fondamentale aiuto. Gli Stati Uniti avevano il loro interesse ad aiutare i popoli europei a cui avevano precedentemente imprestato dei fondi; aiutandoli a non subire ulteriori sconfitte si assicurava il recupero delle somme prestate. 1918 Nel 1918 la Germania e l'Austria tentarono di sferrare il colpo definitivo all'Intesa, anche se provate dal perdurare della guerra. La Germania concentrò le sue forze sulle truppe anglo-francesi verso la fine di marzo con scarsi risultati per merito del generale francese Ferdinand Foch nella seconda battaglia della Marna. I tedeschi dovettero retrocedere. Nel mese di giugno l'Austria sferrò il suo attacco all'Italia sul fiume Piave senza successo. L'esercito austriaco però era sempre preparato ma il Paese viveva, come gli altri, le problematiche interne dovute all'insoddisfazione del popolo. Alla fine di settembre la Turchia e la Bulgaria inoltrarono richieste di pace all'Austria e alla Germania. Il generale Diaz, sul fronte italiano, decisi di dare il via alla grande offensiva da lui stesso organizzata proprio nella data corrispondente alla disfatta di Caporetto. Nel giro di pochi giorni venne sfondato il fronte austriaco nel Vittorio Veneto e il nemico fu costretto alla ritirata. L'esercito italiano entrò a Trento e la flotta navale sbarcò a Trieste. Il 3 novembre 1918 l’Austria firmò l'armistizio a Villa Giusti, vicino Padova, e Diaz proclamò la vittoria dell'Italia e dello spirito unitario nazionale che era riuscito a contrastare un nemico così potente. L'11 novembre del 1918 la Germania aveva indotto il Kaiser ad abdicare e venne proclamata la Repubblica. Il nuovo governo chiese quindi la sospensione delle attività militari e fu delegato a stipulare l'armistizio a Parigi; la Germania abbandonò in tutta fretta il Paese. L’Ungheria divenne una repubblica indipendente. Austria e Germania, alla fine della Prima Guerra Mondiale, vedono l’uscire di scena degli Asburgo e il cessare di esistere del secondo Reich tedesco e dell'impero ottomano. Si proclama così l'autonomia delle nazioni e il loro autogoverno; si definisce la cartina d'Europa con le nazioni che la costituiscono. LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO Il governo del L'vov fu un governo conservatore a cui risposero le forze rivoluzionarie con la formazione di gruppi di operai, di soldati e di contadini che costituirono i Soviet (già nati nella rivoluzione del 1905 e che ora costituivano i delegati dei lavoratori all'interno delle fabbriche e dei soldati dell'esercito che non avevano più voluto partecipare alla guerra). I Soviet raccoglievano i Socialdemocratici Populisti e venivano scelti tra i maggiori rivoluzionari socialisti, erano suddivisi a loro volta in due gruppi: i bolscevichi e i menscevichi. I primi, di cui farà parte Lenin, erano per la rivoluzione; i secondi desideravano arrivare alla rivoluzione con tempi diluiti ed erano propensi all'Occidente. Nello stesso tempo le reazioni della popolazione, per come versavano le condizioni del Paese, davano origine al movimento dei "disfattisti" che parteggiavano l'uscita della Russia dal conflitto accettando la pace a tutti i costi. Il governo del L'vov si era formato perché le forze socialiste, con i rappresentanti del Soviet, non volevano assumere il potere e perché non riuscivano a trovare un accordo interno per le diverse posizioni. I menscevichi volevano arrivare alla rivoluzione attraverso varie fasi, così come le aveva previste Marx (alla rivoluzione bisognava arrivare quando nella società si fosse affermato il capitalismo), mentre i bolscevichi erano più rivoluzionari, non volevano una forza di governo socialista ma una rivoluzione che deponesse il governo per potersi insediare al suo posto. La situazione assunse però una svolta decisiva con Lenin, capo dei bolscevichi, costretto all'esilio dal 1900 e che si era stabilito in Svizzera. Nell'Aprile del 1907 riuscì a rientrare a Pietrogrado dopo aver ottenuto l'amnistia e dopo essere stato aiutato dai tedeschi per la fuga (aiuto concesso con la speranza di liberarsi della Russia durante il conflitto). Lenin fu accolto con soddisfazione a Pietrogrado e annunciò il suo programma che si condensava nelle "Tesi di Aprile" che richiamavano le teorie socialiste di Marx e sostenevano le possibilità di una rivoluzione proletaria. A questo scopo andava interrotta ogni intesa tra le forze rivoluzionarie e il governo L'vov aveva ancora l'appoggio dei socialisti menscevichi. Secondo le "tesi di aprile" tutto il potere doveva passare ai Soviet e questo governo doveva essere espressione degli interessi dei lavoratori. La "Rivoluzione di Febbraio" si poteva trasformare in rivoluzione socialista così come era stato auspicato da Marx. Allo slogan "Tutto il potere ai soviet!" Lenin aggiungeva anche quello significativo "I terreni ai contadini! Le fabbriche agli operai! La pace ai popoli!". Lenin sosteneva inoltre di stipulare questa pace osteggiando il governo che non voleva rinunciare alla guerra come anche i menscevichi e i socialisti rivoluzionari. Le tesi di Lenin lasciarono alcuni suoi collaboratori perplessi anche se veniva assicurata l'opposizione perché i bolscevichi non erano in gran numero e quindi il loro peso politico non era così grande da poter attuare pienamente le idee di Lenin. Era già presente un grande conflitto tra il governo e il popolo, particolarmente con quello di Pietrogrado dove risiedevano un grande numero di industrie. Nel mese di Maggio del 1917 si era formato un nuovo governo in Russia con la presidenza allargata ai menscevichi e ai socialisti rivoluzionari, Kerenskij era diventato ministro della guerra e divenne la figura politica più importante. L'Intesa attendeva una risposta ma la Russia confermò la sua intenzione di 37 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA proseguire la guerra, Kerenskij andò di persona dai suoi soldati cercando di animare gli animi. In giugno l'offensiva lanciata contro i tedeschi si rivelò disastrosa e quindi ci fu la controffensiva. Lungo la linea del fronte si ebbero le sconfitte da cui ne risentirono tutti militari, ed in particolar modo i comandanti perché non riuscivano più a ricomporre l'esercito. All'interno del Paese si verificarono tutta una serie di disordini che manifestavano contro la guerra. Di questi disordini il più importante fu quello in cui la guarnigione di Pietrogrado cercò di mobilitare tutti i Soviet locali portandoli a formare un nuovo gruppo di rivoluzionari. L'insurrezione però fu soffocata dalle truppe fedeli al governo e Lenin venne accusato di spionaggio e condannato ad un nuovo esilio. La guida del governo passò a Kerenskij, che da Ministro della Guerra divenne Ministro del Governo. Nello stesso tempo venne stabilita la data, il 28 Novembre, e le regole per l'elezione di un'Assemblea Costituente già promessa da marzo ma che in effetti non si era mai attuata, in modo che si creasse uno Stato sulla base di altri Stati occidentali e che avesse una costituzione, quindi una democrazia. Per tutta l'estate continuarono le agitazioni del Paese promosse da organizzazioni sindacali di lavoratori, donne, soldati e contadini alla luce di una certa libertà conquistata (libertà di stampa e di associazione). Questa democrazia rivoluzionaria univa tutti coloro che avevano qualcosa da dire. Nelle città nacquero diversi gruppi di Soviet tutti animati da questo fermento rivoluzionario; i comitati operai arrivarono a proporre di autogestire le fabbriche, poiché il governo non riusciva a gestire le situazioni conflittuali si ricercava la figura di un uomo forte che riportassero ordine tra i conflitti. La figura del generale Kornilov, che aveva aderito agli ideali repubblicani e che era d'accordo con l'ipotesi di una repubblica sovietica, sembrava essere la persona adatta alla situazione. A settembre cercò di traghettare la Russia verso una fase di normalità prima dando a Kerenskij maggiori poteri ma, vistesi respinte le richieste, marciò su Pietrogrado per ripristinare l'ordine presso i soviet e i soldati. Di questo intento ne approfittarono i bolscevichi che organizzarono la resistenza istituendo la “Guardia Rossa” e lanciandosi nella lotta contro Kornilov, senza sostenere neanche Kerenskij che il colonnello avrebbe voluto rendere più forte dandogli più poteri. Dopo aver evitato questo colpo di mano i bolscevichi ottennero una grande affermazione nel Paese. Resosi conto della forza di queste forze rivoluzionarie, Lenin realizzò che erano giunti i tempi per entrare in azione e rovesciare il governo Kerenskij conquistando il potere. Lenin rientrò clandestinamente dall'esilio a fine ottobre a Pietrogrado e riuscì a far accettare le sue linee dove c'erano dei punti che non accontentavano pienamente i soviet ma in linea generale era un programma che poteva essere sostenuto. Nella notte tra il 6 e il 7 Novembre 1917 (secondo il calendario russo ci troviamo alla fine di ottobre) la Guardia Rossa occupò i punti più importanti di Pietrogrado. L'8 Novembre diede l'assalto al palazzo del governo dove tentavano di resistere con le poche forze a favore di Kerenskij, che intanto era fuggito,. Questo momento passò alla storia come la "Rivoluzione di Ottobre". Gli intenti generali erano quelli di allontanare tutti borghesi dall'apparato politico formando un governo rivoluzionario di operai e soldati, la cessazione della guerra mediante una pace democratica, la concessione di libertà di propaganda politica all'esercito e la cessazione dei privilegi ai proprietari terrieri. Il successo ottenuto dalle Guardie Rosse, senza un grande spargimento di sangue, permise a Lenin e al partito bolscevico di mettersi a capo dello Stato russo. Nel nuovo governo i ministri vennero chiamati "Commissari del Popolo" e il governo "Consiglio dei Commissari del Popolo". Lenin divenne presidente del governo è Trotzki, che era suo amico, fu nominato Commissario degli Esteri e poi della Guerra, mentre Stalin fu nominato Commissario delle Nazionalità con il compito di coordinare i vari territori dell'ex impero zarista. Lo Stato doveva essere riorganizzato nella totalità, sia dal punto di vista politico-economico che amministrativo. I punti principali del governo di Lenin erano: che si doveva vivere in pace, la terra doveva essere distribuita ai contadini, i Soviet dovevano riorganizzare l'impero e quindi lo Stato doveva essere suddiviso in una serie di territori confederati tra di loro (Stato Federale). Dopo la rivoluzione dell'Ottobre 1917 i problemi della Russia non erano del tutto risolti; come promesso si tennero le elezioni per l'Assemblea Costituente, a suffragio universale, dove le liste erano già state stabilite prima della Rivoluzione d'Ottobre. I Socialisti Rivoluzionari ottennero la maggioranza assoluta mentre i bolscevichi si fermarono a meno del 25% e i menscevichi liberali ottennero ancora meno preferenze. Lenin proclamò il successo dei Soviet. L'8 Gennaio del 1818 si riunì l'unica assemblea che venne sciolta il giorno dopo, da quel momento le promesse di democrazia e libertà che erano state fondamentali per l'affermazione di Lenin vennero meno. Il governo bolscevico dovette affrontare le questioni più importanti della disgregazione dell'impero, perché in alcuni territori si erano formati dei governi autonomi come in Ucraina, e la prosecuzione della guerra. Si intavolarono delle trattative con l'Austria e la Germania che condussero nel Marzo del 1918 alla pace di Brest-Litovsk in cui la Russia dovette accettare le pesanti ritorsioni della richiesta: la rinuncia ai territori della Polonia, della Lituania, dei territori baltici, di una parte della Bielorussia e il riconoscimento dell'indipendenza della Finlandia e dell'Ucraina, con la conseguente perdita del 55% della produzione agricola. Inoltre perse il 70% della metallurgia e il 90% dei giacimenti carboniferi. Quest'ingente sacrificio fu visto dal Lenin come necessario per il raggiungimento dell'affermazione del nuovo governo. Un'altra conseguenza della pace fu l'uscita dal governo dell'ala di sinistra del Partito Socialista Rivoluzionario, ciò determinò la presenza dei bolscevichi come unico partito al governo. 38 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Già prima della pace vi erano state le avvisaglie di una guerra civile, che si prolungò fino al 1221. La guerra civile e il conflitto con la neo nata Polonia determinarono una situazione molto incerta nello Stato russo diviso tra i "rossi" che sostenevano il nuovo regime e i "bianchi" che avevano dato vita all'"Armata Bianca" (dal colore delle divise che riprendeva quello delle divise zariste) sostenuti dalle armate cosacche. L'Armata Bianca era rimasta fedele a Kerenskij e tra i suoi proseliti vedeva anche molti contadini contrari ai bolscevichi. L'Intesa vedeva di cattivo occhio questa situazione caotica e il pericolo di una propagazione dell'idea rivoluzionaria in Occidente; Lenin, nonostante avesse avuto delle grosse difficoltà interne, cercò di trarre anche dei vantaggi dalla crisi. L'esperienza della rivoluzione russa era la prima tappa, secondo lui, di una rivoluzione comunista mondiale; per questo motivo creò la Terza Internazionale Comunista, la cosiddetta “Komintern”, che aveva il compito di organizzare i vari partiti comunisti che stavano nascendo in tutto il mondo dalla scissione con i socialdemocratici. Prima di esportare il comunismo negli altri Paesi era necessario sconfiggere gli eserciti controrivoluzionari dell’Armata Rossa comandata da Trotzki, i piani di repressione non ottennero molti risultati per cui i bolscevichi al governo, nel 1918, decisero di introdurre la leva obbligatoria era stata momentaneamente abolita. Il numero dei militari crebbe notevolmente. Sempre nel 1918 l'Armata Bianca sembrava avere la meglio, perché si muoveva su diversi fronti. I bianchi si avvicinarono ad una città sugli Urali, dov'era imprigionato lo zar che venne ucciso il 17 Luglio 1918, insieme a tutta la sua famiglia, per il pericolo che potesse essere liberato e riportato al potere. Alcuni giorni dopo, il 23 Luglio, venne proclamata ufficialmente la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, con la capitale trasferita da Pietrogrado a Mosca e il partito comunista russo venne imposto come partito unico. L'Armata Rossa, che nel frattempo si era riuscita ad organizzare riuscì a reagire, prevalse sull’Armata Bianca nel 1919 e nel 1920. La guerra civile aveva causato in pochi anni milioni di morti, carestie e disagi e la popolazione ne subì le dure conseguenze; queste cause determinarono un grave ritardo negli intenti di pace di Lenin e questi furono tra gli anni più pessimi anni della storia russa. Durante gli anni della guerra civile Lenin racchiuse alcuni provvedimenti nel "Comunismo di Guerra". Per respingere l'attacco dei bianchi e far fronte alla carestia stabilì il controllo delle derrate alimentari e della produzione industriale da parte dello Stato (partecipazione statale nelle imprese industriali). Attraverso il comunismo di guerra Lenin spinse il Paese al di là delle previsioni, fu soppressa la proprietà privata, sottopose al controllo tutta la produzione (distribuita direttamente dallo Stato ed in particolar modo quella agricola perché non doveva far rimanere delle persone senza alimenti), si dava ai lavoratori e ai contadini quel minimo indispensabile per soddisfare i bisogni quotidiani mentre la rimanente produzione veniva requisita ed ammassata per poter essere ridistribuita dallo Stato, venne abolita ogni compravendita privata e si reintrodusse il razionamento e l'acquisto di merci tramite tessere. Dal punto di vista sociale i provvedimenti presi dal Lenin si basavano sulla soppressione della libertà di espressione, fu vietato lo sciopero e il lavoro forzato nelle fabbriche; per quanto riguarda l'ordine e il controllo viene istituita la "polizia politica" con la sua organizzazione spionistica denominata "ĉeca" molto simile a quella istituita dal vecchio imperatore. Il controllo sulla produzione garantì fondi per l'esercito dell’Armata Rossa e la possibilità di condurre battaglie ma questi provvedimenti, attuati senza l'approvazione popolare, fecero crollare sia la produzione agricola che industriale provocando una forte resistenza da parte dei contadini, in particolare dei kulaki, piccoli proprietari terrieri che si erano visti sottrarre i territori che in precedenza gli erano stati concessi. Lenin rispose a queste proteste con la repressione e la polizia ĉeca. L'apice del conflitto si raggiunse nei primi mesi del 1921 con la rivolta contadina e quella dei marinai che si trovavano alla base di Kronstadt, che pure loro avevano voluto la rivoluzione ma ne erano rimasti scontenti per gli esiti. Quest'episodio convinse Lenin ad abbandonare il suo programma rivoluzionario per cui liberalizzò l'economia e nel 1921 diede corso ad un nuovo programma economico del Paese: la cosiddetta “Nep” (nuova politica economica) dove venne restaurato il libero commercio, un'attività industriale minore e la proprietà privata. Anche i kulaki riuscirono ad usufruire di questa opportunità ottenendo nuovamente dei terreni da coltivare e il loro tenore di vita ne beneficiò. I provvedimenti della Nep riguardavano anche la grande industria che si avvalse di un aumento e miglioramento della produzione e all'affermazione e rafforzamento dello Stato sovietico (le industrie, anche se controllate dallo Stato, ebbero una moderata libertà d'azione). Non ci fu nessuna apertura in campo religioso; il Comunismo di Guerra aveva sequestrato tutti beni ecclesiastici, al clero venne proibito di operare in campo educativo e venne messa in vigore la pena ai lavori forzati per chi non si fosse attenuto a queste disposizioni. Il regime però si impegnò alla lotta contro l'analfabetismo. L'intento di Lenin fu anche quello di dare una regolamentazione amministrativa e politica territoriale alla Russia così nel corso del primo congresso dei Soviet, il 30 Dicembre 1922, si decise di creare la "Federazione delle Repubbliche", ciascuna governata da un Soviet locale, che prese il nome di “Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche” (Urss). Il 31 gennaio 1924 l'Urss si diede la prima costituzione eletta dal consiglio di Soviet supremo, che deteneva il potere legislativo, e dal consiglio dei Commissari del Popolo, che deteneva il potere esecutivo. 39 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Dal 1922 al 1923 Lenin e Stalin entrarono in conflitto sugli sviluppi del partito e sullo stato della rivoluzione. Lenin, già gravemente malato, morì nel 1924 e la sua successione scatenò la lotta tra Trotzki e Stalin ma ebbe la meglio quest'ultimo. Stalin riuscì a governare fino alla metà degli anni '50 affermando l'egemonia e la potenza della Russia ma provocando non ben poche problematiche (chiusura verso gli altri Stati). L'EUROPA ALLA FINE DEL CONFLITTO Alla fine della guerra si innescano una serie di trattati per la pace e per stabilire delle regole tra gli Stati. Il 18 Gennaio 1919 i rappresentanti delle maggiori potenze vincitrici si riuniscono a Parigi per dare un nuovo assetto all'Europa. Anche le potenze vincitrici non si potevano ritenere pienamente soddisfatte dei risultati della guerra, gravi erano state le perdite sia in denaro che in uomini. Alla Conferenza di Pace parteciparono tutti i delegati delle potenze vincitrici ma quelli che detennero un peso importante furono il presidente americano Wilson, il presidente del consiglio francese Clemenceau, che presiedette la conferenza e il primo ministro inglese Lloyd George. Il quarto consigliere di questa conferenza, il primo ministro italiano Vittorio Emanuele Orlando, assunse un ruolo minore anche se rappresentante di un Paese vincitore perché aveva creato problematiche per la spartizione dei territori della Dalmazia. Wilson già nel 1218 aveva fissato i 14 punti dei principi fondamentali della pace secondo i quali la pace avrebbe dovuto sottostare a determinate regole. Uno di questi, e sicuramente il più importante, è l'autodeterminazione dei popoli. I confini dovevano rappresentare l'unità territoriale dove vivevano coloro che avevano la stessa nazionalità e parlavano la stessa lingua. La Francia e l'Inghilterra erano preoccupate principalmente per avere dei risvolti territoriali ed economici e per mettere la Germania in condizione di non poter più intervenire in un conflitto. Il principio di Wilson, che la nazionalità doveva coincidere comunque con gli interessi degli Stati vincitori, si applicò anche per limitare il potere d'azione di altre nazioni. Come previsto dal punto 14 del programma di Wilson il 28 Aprile del 1919 si creò la Società delle Nazioni (un anticipo delle odierne associazioni di Stati riuniti per tutelare il bene comune e singolo di essi) in modo da applicare la diplomazia per risolvere eventuali problematiche. Si doveva eliminare l'ingiustizia, la violenza e ogni forma di attrito tra i popoli. Quest'organizzazione, a cui aderirono molti Paesi del mondo con l'esclusione dei vinti, riuscì a mettere in atto i suoi propositi ma si trasformò in uno strumento in gestione di Francia e d'Inghilterra (con il tacito consenso dei restanti votanti dell'associazione). Nel Marzo 1920 il congresso degli Usa si rifiutò di ratificare i trattati di pace di iniziative di Wilson perché l'America voleva tornare ad essere una potenza dominante e voleva isolarsi ritirandosi dalla Società delle Nazioni per non trovarsi coinvolta nelle vicende europee. Wilson aveva ottenuto il Nobel per la pace e i suoi meriti venivano ora trascurati. La Società delle Nazioni si stava indebolendo ed era priva dei mezzi di intervento, se non quello di porre, saltuariamente, delle sanzioni nei confronti di quelle nazioni che non rispettavano determinate regole. Dalla Conferenza di Pace nacquero cinque trattati di pace sottoscritti in riunioni svoltesi nei dintorni di Parigi. Il più importante di questi trattati fu quello sancito a Versailles dove vennero poste delle condizioni molto dure nei confronti della Germania. A questa nazione vinta si erano imposte pesanti penali, che saranno alla base della successiva ribellione della Germania. Con la pace seguita alla guerra si sarebbe dovuto ristabilire un clima sereno in Europa ma in realtà si gettano le basi per una futura guerra. La Germania perse i territori, dovette ridurre il suo esercito, non poteva avere molte unità militari e di flotta, venne sancita con pesanti sanzioni economiche, dovette sottostare all'obbligo di risarcimento di enormi somme ai Paesi vincitori e cedette le miniere e molti altri beni per un periodo di 10 anni. Queste clausole costituirono degli errori gravi da parte dei vincitori: il rifiuto di discutere con i vinti i trattati di pace, che furono semplicemente imposti, la richiesta economica di riparazione così elevata da impedire la ripresa di qualsiasi Stato vinto e i criteri di riassegnazione dei confini degli Stati, che non erano sempre rispettosi nei confronti delle nazioni vinte. La Germania dovette cedere parte del suo territorio alla nuova nazione polacca che ridivenne uno Stato sovrano dopo le tre spartizioni che aveva subito. Oltre alle regioni orientali tedesche veniva creato un corridoio che dava alla Polonia uno sbocco sul Mar Baltico (il corridoio di Danzica) e nello stesso tempo questo territorio separava la Prussia dal territorio tedesco. La città di Danzica, che era sul confine tra Polonia e Prussia orientale veniva decretata città libera. Per quanto riguarda l'Italia, tramite il trattato di SaintGermain firmato il 10 Settembre 1919, l'Austria dovette cedere all'Italia il Trentino, l'Alto Adige, l'Istria e l'alto bacino dell'Isonzo fino alle Alpi. La diplomazia italiana però ne uscì sconfitta da questo trattato perché non ottenne tutto ciò che aveva preteso dopo aver firmato il patto di Londra; non ottenne la Dalmazia e la città di Fiume che rimase neutrale. Fu grande la delusione perché si ritennero insoddisfacenti le concessioni per uno Stato che aveva subito così gravi perdite, la nostra vittoria venne così definita "vittoria mutilata". Sempre con il trattato di Saint-Germain in territori che appartenevano all'imperatore dell'impero austro ungarico, che contavano allora 51 milioni di abitanti e appartenevano a 10 gruppi linguistici diversi, vennero divisi fra quattro Stati indipendenti con il trattato di Trianon (Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e il regno di Jugoslavia) ed inoltre fu riconosciuta l'indipendenza all'Albania. Lungo il Mar Baltico, dai territori una volta appartenuti alla Russia, nacquero gli Stati indipendenti (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania) e con il quinto trattato di Neuilly venne riconosciuta l'indipendenza della Bulgaria. 40 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA L'impero Ottomano fu l'altro impero che subì la disgregazione, con il trattato di Sèvres del 10 Agosto del 1920, la Turchia si ritrovò territorialmente ridotta ad un modesto Stato entro i limiti della penisola anatolica. Se si esclude Costantinopoli, che poi diventerà Istanbul in territorio europeo, la Turchia vene privata di tutti i territori arabi, dell'isola di Cipro e della sovranità sugli stretti del Bosforo e dei Darganelli. Inoltre la Turchia dovette pagare ingenti somme in denaro ai Paesi vincitori. Dopo aver subito queste condizioni di pace, all'interno della Turchia ci furono delle rivolte a carattere nazionale capeggiata dal generale Mustafà Kemal Atatürk che riuscì a mettere insieme un esercito ben strutturato che si oppose alle truppe dell'intesa, particolarmente a quelle greche sbarcate per occupare l'Anatolia. Il pieno successo ottenuto da Mustafà Kemal Atatürk lo portarono a capo di un governo repubblicano della neo nata repubblica turca. Il 29 Ottobre 1923 riuscì a sviluppare il suo Paese risollevando le sorti economiche, l'Islam non fu più considerata la religione di Stato, l'istruzione divenne pubblica e laica, venne adottato l'alfabeto latino e vennero eliminate dal lessico turco sia le parole di origini arabe che persiane. Detenne numerosi poteri e avviò la Turchia ad uno sviluppo moderno e laico. Rimase presidente fino alla sua morte. Il nuovo Stato nacque tuttavia su base autoritaria e si avviò la turchizzazione a scapito di alcune minoranze etniche (persecuzione dei curdi). Con l'affermazione di Mustafà Kemal Atatürk vennero rimosse le condizioni del trattato di Sèvres con la sostituzione di richieste più accettabili. Venne ripristinata l'egemonia della Turchia sullo stretto del Bosforo e dei Dardanelli, in questo modo si cercò di minimizzare i problemi nati dopo il trattato cercando di non fomentare nuovi conflitti in oriente. Un patto segreto tra Francia e Inghilterra, per spartirsi i territori vicini in oriente prevedeva la nascita di un solo Stato arabo con un territorio desertico all'interno che doveva essere subordinato alla Francia e all'Inghilterra. Quanto stipulato tra Francia e Inghilterra andava contro le linee politiche del mondo arabo che fu incitato alla ribellione per riconquistare l'indipendenza. L'ETÀ DEI TOTALITARISMI È il periodo che va dal primo dopoguerra alla seconda guerra mondiale. Uno dei primi totalitarismi è rappresentato dall'ascesa di Stalin e dall’industrializzazione dell'Urss. Il pensiero di Lenin che la rivoluzione dovesse essere esportata si avverò suscitando l'attenzione e i tentativi di imitazione da parte dei Paesi sottosviluppati. In seguito alla morte di Lenin si verificò nel partito un periodo di crisi, una sorta di triunvirato guidò la Russia. I tre uomini che lo composero furono Josif Džugašvili detto Stalin, il cui significato del soprannome Stalin vuol dire uomo forte, d'acciaio, Zinovev che fu un altro importante uomo di partito e Kamenev, che guidava l'ala sinistra del partito di cui faceva parte Trotzki. Trotzki ebbe un ruolo fondamentale in quanto organizzò l'aspetto militare del Paese nella guerra civile in Russia e, in particolare, era stato l'organizzatore dell'armata Rossa. I quesiti che tenevano banco erano dove volesse andare la Russia con l'alternativa della rivoluzione e come dovesse organizzarsi l'Unione Sovietica. Un altro problema fu rappresentato dallo scontro tra i componenti del triunvirato, in quanto entrambe persone dal carattere molto forte. Trotzki sosteneva l'idea di una rivoluzione permanente mentre Stalin aveva formulato una teoria che quel tipo di socialismo, nato in Russia, dovesse rimanere tale ma solo nel loro Paese. Stalin, quindi, mirava ad un isolamento della Russia dagli altri Paesi, consolidando l'economia socialista e diventando ideale di ispirazione per gli altri Paesi in vista di una rivoluzione mondiale. Stalin era stato direttore dell'organo del partito socialista, la Pravda, fondata nel 1921 a Pietroburgo. Nel 1922 Stalin era diventato segretario generale del Comitato Centrale che nel Partito Comunista eleggeva le cariche esecutive. Nel giro di pochi anni riuscì ad imporsi alla guida del partito perché era un uomo d'azione, molto forte. Prima di tutto riuscì ad eliminare l'opposizione di sinistra, anche perché appoggiato da Bucharin che costrinse Trotzki all'esilio nel 1929; riuscii ad espellere dal partito i suoi due vecchi compagni Zinovev e Kamenev nel 1927 e, in seguito, la stessa sorte toccò a Bucharin. All'interno del partito chi lo ostacolava veniva esiliato o eliminato giustificando l'idea del partito che non doveva avere nemici all'interno. In campo economico, nonostante la Nep avesse ottenuto degli ottimi risultati, Stalin ritenne che la Russia dovesse diventare una potenza industriale quindi interruppe la Nep e impose la "collettivizzazione forzata" della terra, la nazionalizzazione dei territori e tutte le risolse che forzatamente provenivano dalla terra (rimuovendo la libertà del libero commercio dei prodotti) dovevano servire per lo sviluppo industriale. Lo Stato assunse quindi il controllo totale delle campagne attraverso la soppressione della piccola e della media proprietà agraria, che era quella dei Kulaki che furono costretti ad abbandonare le loro velleità imprenditoriali per entrare a far parte delle aziende agricole dello Stato, i kolchozy e i sovchozy. Tutto ciò fu reso possibile da una campagna violentissima contro questi proprietari terrieri che vennero eliminati come classe sociale, milioni di persone ebbero la peggio e nel 1932-1933 scoppiò una terribile carestia che portò anche alla decimazione della popolazione. 7 milioni di persone rimasero vittime, soprattutto nelle regioni più agricole, alcuni storici interpretano questa carestia come provocata dalla politica economica di Stalin mentre altri pensano che fosse deliberatamente provocata da lui per stroncare tutti quei contadini che si ribellavano allo Stato centrale. Stalin varò dei piani quinquennali per l'economia indirizzandola verso alcuni obiettivi, ma l'obiettivo principale era quello di industrializzare il Paese. Il 1929 fu un anno molto importante, il piano quinquennale soppiantò la Nep. 41 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA I beni strumentali usati per alimentare le attività produttive, altro argomento cardine della riforma, avevano la precedenza su quelli di consumo, venne quindi favorita l'industria pesante, quella siderurgica e quella elettrica, quella mineraria ed estrattiva, e nel giro di pochi anni, mentre gli altri Paesi europei subirono le problematiche della crisi economica americana del 1929, la Russia vide il suo periodo di massimo sviluppo. Sorsero le grandi città industriali collegate da infrastrutture imponenti. Reti ferroviarie e stradali, centrali idroelettriche e raffinerie di petrolio furono costruite a ritmo incessante. Oltre i progressi economici, altro fattore favorevole fu lo sfruttamento della forza lavoro; nel contempo i contadini che abbandonavano le campagne per sfuggire alla collettivizzazione forzata si riversarono nelle città per trovare impiego nelle fabbriche incentivati dal fatto di trovare una soluzione ai loro problemi e sottoposti all'idea forzata che sposare gli ideali del socialismo era una buona cosa. Nacque il movimento operaio di lavoratori che cercavano di dare il meglio di sé, lo "stacanovismo", dal nome del minatore Stakhanov che aveva avuto il merito di estrarre nel 1935 una quantità ingente di carbone. IL TERRORE STALINIANO E I GULAG Stalin, per il suo modo di agire, non poteva pensare di avere dalla sua parte il popolo quindi per ottenere il consenso utilizzò come metodi l'arma del terrore e la repressione creando una società non democratica e fondando un potere dittatoriale, personale e quindi tirannico. Inizialmente con il terrore controllò i contadini, in seguito utilizzò il terrore anche per eliminare i dissenzienti del suo partito. Dagli anni ’30 in poi eliminò i suoi avversari, tra cui Trotzki e fece processare i capi bolscevichi. Trotzki fu condannato ed esiliato a Città del Messico ma nel 1940 venne assassinato da un sicario inviato dall'Urss. Dal 1936 al 1938, periodo di affermazione di Stalin (vediamo emergere in Italia la figura di Mussolini e in Germania quella di Hitler), vi furono una serie di condanne dal regime stalinista, questo periodo venne chiamato "delle grandi purghe" a sinonimo della pulizia generale delle persone indesiderate che venne effettuata. Stalin era diventato una guida per l'Urss proprio grazie al metodo dell'eliminazione delle persone di partito che avevano lavorato con lui e prima di lui. Aumentò il numero dei prigionieri nei campi di lavoro coatto, i gulag (dall'acronimo russo "direzione generale dei campi"), molti dei quali si trovavano nella fredda Siberia. A tutti gli effetti erano dei campi di concentramento dove venivano deportati i dissidenti, detenzioni non solo per punire ma anche per rieducare le persone alla fede comunista, quindi vi trovavano prigionia sia delinquenti che dissidenti politici. Creati da Pietro “il grande” nel XVIII secolo, vennero in seguito dismessi da Lenin per poi essere riaperti dallo stesso per imprigionare i nemici del popolo. Sotto la dittatura di Stalin i gulag videro il massimo numero di prigionieri. Dal 1928 al 1940 il numero dei gulag crebbe a 160 e in essi vennero internati oltreché criminali anche uomini di cultura come il dissidente Solženicyn che era riuscito a scappare in America e attraverso i tre volumi Arcipelago Gulag rese nota la vita all'interno dei campi di internamento. Ogni cittadino poteva essere riconosciuto colpevole di cospirazione anche se accusato ingiustamente, i detenuti venivano impiegati nell'estrazione mineraria e per le riserve di legname, quindi sottoposti a lavori pesanti e con scarsi mezzi. Nei gulag venne attuata un'azione di sterminio pari a quella dei lager nazisti; oltre alle persone eliminate, perché considerate non rieducabili, le altre morirono per gli stenti e per il carico di lavoro. Si conoscono i milioni di morti causati dal nazismo ma non si riesce a stimare il numero delle vittime dei gulag. Tra il 1929 e il 1953 si stimano siano morte 2 milioni di persone, senza considerare i sopravvissuti che hanno subito danni fisici e psicologici. Come per tutte le dittature, lo Stato totalitario di Stalin si consolida con lo sterminio dei kulaki (i proprietari terrieri) con la collettivizzazione delle campagne, l'industrializzazione forzata (controllata anche militarmente dallo Stato), la ristrutturazione e rafforzamento di un esercito molto ben equipaggiato e l'educazione delle masse (seguendo le idee di regime). Il potere personale di Stalin si fondò sull'eliminazione degli oppositori politici e di tutti coloro che non accettavano il potere del dittatore, il ricorso ai gulag come strumento di punizione. Altro metodi utilizzati furono la repressione della libertà di stampa, di parola, il monopolio di tutti i mezzi di comunicazione e la propaganda della persona e del governo (sono paragonabili il culto della persona sia di Hitler a quella di Stalin). Stalin in Urss era riuscito a creare uno Stato senza precedenti e non aveva grandi rapporti con l'Occidente, la svolta si ebbe quando si affermò il nazionalsocialismo in Germania. Le nazioni occidentali, e la Russia stessa, avevano paura che la Germania si espandesse nuovamente, quindi l'Urss venne ammessa nella Società delle Nazioni e riconosciuta dagli Stati Uniti, a causa della minaccia della politica tedesca. La Russia con l'accettazione dell'antinazismo e dell'antifascismo intravide la possibilità di libertà d'azione tra comunismo e borghesia democratica. Verso gli anni ’20 i partiti comunisti nazionali assunsero una posizione di chiusura, non volendo rapporti con i borghesi e coloro che si professavano liberaldemocratici, che mutò radicalmente nel 1933 quando si affermò il nazismo, in virtù del pericolo che poteva provenire dalla Germania. 42 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA MUSSOLINI E L’AVVENTO DEL FASCISMO La sua persona, già conosciuta nel partito socialista come direttore dell'Avanti e come interventista, che fu obbligata alle dimissioni dal suo partito, vide la collocazione nel periodo storico dell'uscita dell'Italia dal primo conflitto mondiale. Nonostante ci fossero stati dei miglioramenti delle condizioni economico sociali dei Paesi europei, l'Italia era tra i Paesi occidentali quello più fragile. Anche se appartenente al gruppo delle nazioni vincitrici del conflitto mondiale, l'Italia venne relegata in una posizione marginale dalla Francia, dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti. Il cedimento diplomatico del governo italiano, con Vittorio Emanuele Orlando come presidente del consiglio e Sonnino come ministro degli esteri, fu determinato dalla richiesta non presa in considerazione, dell'annessione della Dalmazia e di Istria allo Stato italiano. Questi territori erano contesi anche dai serbi e croati ma, secondo i 14 punti del trattato di Wilson (che prevedeva l'ammissione di un territorio ad uno Stato vincitore solo se a lui vicino), le trattative si arenarono e Istria e Dalmazia rimasero territori autonomi. Il poeta D'Annunzio affermò che "l'Italia era stata spogliata dei frutti della vittoria" e passò dalle parole ai fatti; la sera dell'11 settembre 1919, riunito un gruppo di volontari ribelli delle truppe di terra marciò sulla città di Fiume che allora si trovava sotto un regime di occupazione interalleata. Con un colpo di mano istituì un governo di reggenza provvisoria in attesa che la città fosse annessa all'Italia. Gli industriali si trovarono di fronte alla difficoltà di riconvertire nuovamente le fabbriche al termine del periodo bellico e la scarsa rendita dell'agricoltura era stata mantenuta dal lavoro delle donne. Il periodo tra il 1919 e il 1920 venne definito "il biennio rosso" per tutti i sacrifici che vennero riversati sulle masse popolari. L'azione azzardata di D'Annunzio mise in difficoltà i liberali che avevano promesso la concessione di terreni conquistati da coltivare ai reduci di guerra ma questa promessa venne disattesa per lo scontro con i grandi proprietari terrieri. La protesta si accentuò, oltre che tra i contadini, anche tra i proletari; nel sud ci fu una mobilitazione tra le masse contadine e i grossi latifondisti, al nord vi fu la mobilitazione dei metalmeccanici e la "serrata" degli stabilimenti nel milanese provocò la manifestazione dei sindacati con il presidio delle fabbriche da parte di operai anche armati. La lotta dei lavoratori si basò sul lavoro, sull'esigenza di una vita dignitosa e sulla riconoscenza di diritti. Nacquero i consigli sindacali di fabbrica eletti direttamente dai lavoratori, simili ai soviet russi; Antonio Gramsci che allora era un giovane intellettuale socialista, dalle colonne del giornale torinese Ordine Nuovo, affermava che queste fabbriche controllate dai consigli di operai si sarebbero potute trasformare in avanguardie rivoluzionarie. Il 16 settembre 1919, in questo clima di difficoltà, si erano svolte le elezioni politiche a suffragio universale maschile con l'adozione del sistema proporzionale. Il partito socialista arrivò al 32,3% e diventa il primo partito in Italia, il Partito Popolare Italiano (che poi diverrà Democrazia Cristiana) ottenne il 20% confermando i cattolici non più vincolati dal "no-expedit". I liberali ebbero un tracollo mantenendo la maggioranza relativa in Parlamento ma perdendo la compattezza al suo interno. Il primo ministro Nitti, che era subentrato ad Orlando, riuscì a mantenere ancora per qualche mese il suo esecutivo grazie ad un accordo tra il suo governo e il Partito Popolare ma nella primavera del 1920, a causa della forte crisi, fu costretto a dimettersi. L'intera classe dirigente liberale richiamò Giolitti, in virtù della sua grande esperienza politica, per risanare la situazione. Giolitti annunciò un programma, di vaga ispirazione socialista, che mirava ad una redistribuzione dei redditi attraverso una serie di misure fiscali come la progressività delle imposte. Riuscii a convincere i sindacati a non appoggiare gli occupanti delle fabbriche, convinse il padronato ad accordare un minimo salariale ai lavoratori ottenendo lo sgombero delle fabbriche. Il primo ministro intraprese dei colloqui sulla questione della città di Fiume che si conclusero il settembre del 1920 con il "trattato di Rapallo" in cui si stabilì che l'Italia mantenesse l'Istria e la città di Zara cedendo il resto del territorio della Dalmazia mentre Fiume venne dichiarata città Stato indipendente. Di fronte all'insistenza di D'Annunzio, Giolitti fece intervenire l'esercito e, dopo un mese di resistenza, le truppe di resistenza dovettero ritirarsi ("Natale di sangue"). La politica di Giolitti non riuscì però a placare i dissapori all'interno del mondo politico e a reprimere l'insoddisfazione del mondo imprenditoriale, il Partito Socialista soffriva della scissione interna dovuta alla disfatta dei consigli operai nelle fabbriche. L'ala sinistra del Partito Socialista, costituita dai sostenitori di Gramsci si separò dal partito fondando il Partito Comunista Italiano. Malgrado il suo rinnovato impegno Giolitti non riuscì ad ottenere il consenso che gli era stato accreditato precedentemente, gli imprenditori non lo sostenevano più come in passato mentre i proprietari terrieri erano insoddisfatti per il potere contrattuale concesso ai lavoratori della terra. In questo clima di difficoltà nascono i “Fasci di Combattimento" fondati da Mussolini nel 1919 a Milano in piazza San Sepolcro. Questo movimento si distinse per un programma che voleva essere trasversale, unire sia la destra che la sinistra, fortemente nazionalista, che si proponeva come repubblicano, anticapitalista ma, nello stesso tempo, antisocialista. Questa prima fase del fascismo viene definita "sansepolcrista" ma alle elezioni del 1919 riscosse scarsi risultati non riuscendo a portare alla Camera con il sistema proporzionale neanche un deputato. Solo a partire dall'autunno del 1920 il nuovo movimento, cavalcando l'onda dei sofferenti, riuscì a divenire una forza visibile che si propose agli occhi della borghesia terriera delle campagne padane come uno strumento antisocialista efficace. Senza un'idea ben precisa ma con l'intento di unire più anime ciò che accomunò queste opinioni differenti fu il culto dell'affermazione conquistata anche con la violenza. I fasci trovano presto l'appoggio della grande industria, degli agrari che ritennero di strumentalizzare le violenze dei fascisti 43 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA ponendo un freno ai rivoluzionari, a coloro che guardavano ai fermenti socialisti e alla Rivoluzione Russa. Furono colpite le strutture e i militanti del mondo contadino e le amministrazioni comunali socialiste. Il primo episodio di questa offensiva si verificò nel Novembre del 1920 a Bologna in corrispondenza dell'insediamento della nuova giunta comunale socialista. Il fenomeno delle "squadre d'azione" si trasformò in "squadrismo" soprattutto nelle zone della Toscana e dell'Umbria. L'uso della violenza venne coadiuvato anche dall'aggregazione del fenomeno di massa per il coinvolgimento di numerose categorie e di persone a titolo di antagonista al socialismo. A dispetto delle previsioni all'inizio degli anni ’20 questo movimento impone una soluzione autoritaria, favorito anche dal re. Nel 1922 Mussolini si impossessò del governo e da quel momento in poi venne scardinato il movimento liberale. Affermandosi come regime autoritario si passò da un regime liberale a un regime dittatoriale con tutte le leggi che vennero emanate in questo senso. Le istituzioni non fecero opposizione all'affermazione di Mussolini, lo Stato stesso incitò il movimento ad assumere la posizione di imparziale difensore dell'ordine pubblico lasciando impunito il dilagare delle violenze. Per costituzionalizzare questo movimento Giolitti anticipò le elezioni al maggio del 1921 e inserì i fascisti all'interno dei blocchi nazionali delle liste di coalizione. I fascisti, che durante la campagna elettorale avevano continuato a commettere atti violenti, fecero eleggere 35 deputati tra cui Benito Mussolini. Giolitti rimase al governo ancora per pochi mesi e, nel luglio del 1921, cedette il posto a Bonomi che ebbe come obiettivo principale quello di eliminare la violenza degli squadristi. Mussolini stesso, dopo essere diventato membro del Parlamento voleva accreditare il fascismo come forza d'ordine e limitare le violenze degli squadristi, anche perché questi spesso si muovevano in maniera autonoma. Mussolini trasformò i fasci in Nuovo Partito Nazionale Fascista nel novembre del 1921 e in questo modo, con 200.000 iscritti, il nuovo partito risultò il partito con la più ampia base di massa popolare. Nel febbraio del 1922 anche Bonomi, non riuscendo a porre un argine alle situazioni che si stavano verificando, si dimise e come presidente del consiglio venne eletto Facta, statista piemontese. Anche questo nuovo governo non riuscì a bloccare l'ondata aggressiva, non riuscendo i socialisti a proporre un'alternativa; da un lato la violenza armata, dall'altro un Parlamento che non riusciva a legiferare in proposito. Con l'applicazione della violenza il fascismo aveva posto le basi per il controllo di tutti territori del Paese; l'idea di marciare anche su Roma mobilitando tutte le forze fasciste per la conquista del potere nacque in questo frangente. Mussolini comprendeva che per ottenere il successo, un colpo di Stato doveva essere appoggiato dai maggiori centri di potere, confidando sull'atteggiamento non ostile dei comandanti militari e sulla neutralità del Vaticano. Sicuro dell'appoggio del mondo economico, non era convinto dell'atteggiamento del re e per ingraziarsi la monarchia mise da parte l'atteggiamento tenuto nel primo periodo di trasformare l'Italia in una repubblica. In un discorso che pronunciò a Napoli il 24 ottobre del 1922 annunciò: "O ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma". Sempre a Napoli i fascisti organizzarono questa prova di forza, il piano prevedeva di assalire tutte le prefetture dell'Italia centro settentrionale e la marcia verso la capitale per conquistare il potere. Tra il 27 e il 28 ottobre 1922 le squadre di camice nere costituite da 25.000 uomini si diressero verso Roma. Il numero di persone partecipanti non avrebbe garantito il successo se fosse intervenuto l'esercito ma il re decise di non firmare il decreto di stato d'assedio sottoposto da Facta il 27 ottobre, in seguito a questo rifiuto Facta si dimise. Mussolini, che era rimasta a Milano, si intromise nella crisi di governo in attesa di sviluppi. Utilizzando come metodo di pressione le squadre fasciste che erano accampate al di fuori di Roma, gestìuna posizione di forza e portò avanti le trattative che gli consentirono il 29 ottobre di ricevere dal re l'incarico di guida del nuovo governo. Il 30 ottobre le squadre fasciste entrano nella capitale e Mussolini, proveniente da Milano, salì al quirinale per proporre la lista dei suoi ministri al re. Questi fatti segnano la fine dell'Italia liberale senza che molti osservatori se ne fossero resi conto. Mussolini confermò la sopravvivenza del Parlamento ma dichiarò che questo dipendeva da lui: " Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli, potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto". È anche vero che il primo governo fascista fu un governo di coalizione dove partecipavano i vari partiti, i liberali giolittiani, i conservatori, i popolari democratici. Dalla camera ricevette un ampio voto di fiducia e l'attribuzione di pieni poteri. Il fascismo che andò al potere fu liberale in economia, perché ciò era quello che chiedevano gli industriali. Il fascismo voleva smantellare l'apparato statale che era stato istituito durante la guerra rassicurando gli imprenditori e garantendosi l'appoggio del Vaticano introducendo la religione cattolica obbligatoria nelle scuole. Le opposizioni politiche furono liquidate con una dura oppressione sequestrando i loro giornali, arrestando i militanti dei partiti di opposizione e scegliendo le amministrazioni definite rosse. Con la fine del 1922 e l'inizio del 1923 furono introdotte le riforme istituzionali che difatti trasformavano il Partito Fascista in un partito autoritario. Nel dicembre 1922 fu costituito il Consiglio del Fascismo, che avrebbe dovuto dettare le linee guida del governo; nel 1923 gli squadristi vennero inscritti nella "Milizia Volontaria per La Sicurezza Nazionale" accreditandogli una posizione paritaria a quella della polizia. Successivamente venne elaborata una legge elettorale che si basava sull'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio unico nazionale che prevedeva l'assegnazione di due terzi dei seggi della Camera alla lista che avesse preso più del 25% dei voti. Il Parlamento a questo proposito approvò la legge redatta dal ministro Acerbo nel luglio del 1923 decretando la capitolazione della vecchia classe dirigente. Tutto ciò si 44 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA concretizzò con le elezioni dell'aprile 1924; i fascisti si presentarono con il listone nazionale, all'interno del quale erano ospitati i cattolici e i conservatori. La campagna elettorale fu caratterizzata da un'ondata di violenze inaudite; aggressioni e intimidazioni, portate avanti dallo squadrismo, colpirono gli oppositori. Tutto ciò compromise la libertà di voto, con queste condizioni il listone riuscì ad ottenere il 64,9% dei voti e 374 dei 533 seggi del Parlamento rendendo superfluo il meccanismo elettorale della legge Acerbo. Il 30 maggio 1924, all'apertura della nuova Camera, Matteotti, leader del Partito Socialista Unitario, pronunciò una dura requisitoria contro il ministro del consiglio, denunciando le violenze perpetrate dai fascisti durante la campagna elettorale, i brogli e le irregolarità, concludendo che le elezioni dovessero essere invalidate. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne aggredito e rapito da un gruppo di squadristi. Il 16 agosto 1924 venne ritrovato cadavere a pochi chilometri da Roma. Quest'assassinio ebbe un brutto impatto sull'opinione pubblica, anche presso coloro che prima non erano ostili al fascismo. Un'ondata di sdegno attraversò il Paese e si fecero campo le prime ribellioni e proteste. Anche in campo economico alcuni sfiduciati espressero il loro disappunto. Alla Camera intanto i partiti di opposizione decisero di coordinare la propria azione e sotto la guida del liberale Amendola decisero di non partecipare più ai lavori del Parlamento. Questo allontanamento dei lavori parlamentari venne chiamata la "Secessione dell'Aventino". La proposta dei comunisti di proclamare uno sciopero generale fu respinta dagli altri partiti e dai dirigenti dei sindacati, non venne seguito il consiglio di Giolitti di dimissioni di massa da parte dei deputati aventiniani, in modo da far intervenire il sovrano. Di fatto fu invalidando l'effetto della protesta. La maggioranza, indisturbata e con Mussolini che si presentò alla camera per assumersi direttamente la responsabilità per quanto accaduto a Matteotti, chiuse d'autorità il problema dell'onta del delitto. La sua asserzione esplicita confermava che l'Italia doveva trasformarsi in uno Stato autoritario che aveva il diritto di far tacere le opposizioni anche con l'uso della forza e che la brutalità diveniva uno strumento per lo Stato. FASCISTIZZAZIONE DELLO STATO La svolta avviene nel 1925 quando, con la violenza degli squadristi, furono emanati dei provvedimenti repressivi nei confronti di coloro che non si sottomettevano, portando nei centri urbani e nelle campagne la chiusura dei circoli e delle associazioni politiche antifasciste. Ci furono retate di comunisti e socialisti, vennero arrestati tutti coloro che erano giudicati pericolosi. La libertà di espressione non venne completamente soffocata ma si impedì di scrivere opinioni contrarie alle azioni dei fasci. La definitiva svolta autoritaria si realizzò verso la fine dell'anno e nel corso del 1926 con l'introduzione dell'Ordinamento Giuridico Italiano che comprendeva una serie di leggi chiamate “leggi fascistissime" volte a stabilire l'intelaiatura politico-istituzionale del nuovo regime. Concepite dal ministro della giustizia, il giurista napoletano Rocco, queste norme avevano l’obiettivo di riformare lo Stato nel senso di azzerare la differenza tra potere esecutivo e potere legislativo. Con la prima legge del 24 dicembre 1925 la carica di presidente del consiglio diventò quella di capo di governo a cui si conferivano molte prerogative. Responsabile unicamente di fronte al re, diveniva il tramite necessario per ogni atto politico e legislativo della vita nazionale, non doveva rendere conto ai ministri e neanche al Parlamento. Di fatto il potere esecutivo e legislativo erano nelle sue mani. Venne disposto che i ministri fossero responsabili esclusivamente nei confronti del re e del capo del governo ed un ordine del giorno non potesse essere approvato dalle camere senza l'assenso del capo del governo, annullando di fatto l'opera dei deputati e dei senatori. Una seconda legge del 31 gennaio 1926 rafforzò le funzioni del governo a cui venne attribuita la facoltà di emanare le leggi autonomamente e senza riferire al Parlamento, stravolgendo quindi la divisione dei poteri. Mussolini, tuttavia, avrebbe voluto confrontarsi con la monarchia perché Vittorio Emanuele III il capo dello Stato avendo il comando delle forze armate e il controllo della politica estera. Il sovrano continuò ad avere un atteggiamento di riservo anche se non condivideva in pieno alcune decisioni prese da Mussolini. Il passo successivo fu quello di costruire lo Stato autoritario e per attuare questo disegno vennero messe a margine tutte le autonomie locali. Con la legge del 26 febbraio 1926 venne abolito il carattere elettivo di questi organismi annullando la figura del Sindaco e istituendo quella del Podestà nominato da un regio decreto. Parallelamente il regime procedette a regolamentare i rapporti di lavoro e quindi a sopprimere anche i sindacati che avevano un ruolo fondamentale sin dalla fine del 1800. Per Mussolini l'ordinamento economico non doveva essere compromesso dalla lotta di classe, dovevano cambiare i rapporti tra lavoratori e imprenditori contribuendo entrambi a costruire lo Stato e salvaguardarne l'economia. Il primo passo verso questo intento venne compiuto nell'ottobre 1925 con la sottoscrizione del "Patto di Palazzo Vidoni" con cui la Confindustria riconosceva al sindacato fascista il monopolio di rappresentare i lavoratori. Verso la fine del 1926 vi fu un ulteriore sviluppo nella costruzione di questo regime; venne preso a pretesto un attentato subìto senza conseguenze da Mussolini a Bologna. Individuato come responsabile un ragazzo di 15 anni, venne linciato dalle camice nere che scortavano il duce. La conseguenza fu un ulteriore irrigidimento delle leggi e diminuzione delle libertà di pensiero e di stampa, giornali come “l’Avanti”, “l’Unità” e “La voce Repubblicana”, che non vollero sottostare alla propaganda del regime e furono segnalati dagli organi di controllo istituiti dal fascio, furono costretti a sospendere le pubblicazioni. 45 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Il 25 Novembre del 1926 venne emanato un provvedimento in difesa dello Stato con cui venne ripristinata la pena di morte e istituito il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, con questo provvedimento ogni sentenza diveniva immediatamente esecutiva e non esisteva possibilità di appello. La repressione utilizzò anche lo strumento dell'esilio, provvedimento amministrativo che veniva comunicato dalla polizia che doveva anche accertarsi dell'effettiva residenza del condannato nel luogo di assegnazione (sono da ricordare episodi di italiani illustri, come D'Annunzio, che nonostante vicini al regime si permettevano di muovere critiche ma non venivano allontanati poiché persone di prestigio per la fama del Paese). In soli 24 mesi il fascismo si era trasformato da movimento politico a regime ma un ulteriore fondamentale tappa fu quella della Legge Elettorale del 1928 dove l'elettore era chiamato ad approvare o respingere una lista unica nazionale di candidati per la Camera dei Deputati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo; chiaramente chi esprimeva parere contrario, e i nominativi venivano resi noti da infiltrati nei seggi, veniva perseguitato e punito dalla milizia. Il Gran Consiglio del Fascismo divenne un organo costituzionale e il suo potere si rafforzò potendo esprimere il proprio parere in ogni campo. In seguito a questa riforma elettorale, nel 1929, si svolse una consultazione plebiscitaria, anziché regolari elezioni, per l'approvazione o meno di un'unica lista nazionale compilata dal governo. Il 24 Marzo del 1929 la lista unica ottenne la quasi totalità di pareri favorevoli per l'elezione della Lista Unica Nazionale. La Camera nata da queste elezioni venne svuotata del suo significato in quanto non esisteva più un confronto politico o possibilità di discussione. Nel 1938 la Camera dei Deputati venne addirittura soppressa e sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. L'intento di Mussolini fu anche quello di dare un'immagine di culto di sé. L'appellativo duce (da dux, condottiero) da lui stesso attribuitosi, si rifaceva agli antichi fasti di Roma, come molte altre parole e titoli evocativi del periodo che volevano riportare l'Italia alla sua grandezza storica. La sua scelta di riprendere l'impegno di colonizzazione per le terre straniere si dimostrava un'idea arretrata confrontata alle scelte politiche degli altri Stati che progressivamente avevano abbandonato,o diminuito, le attività all'estero. L'architettura di regime vide in questo periodo la costruzione di molti edifici e strutture dove simboli inclusi in esse rimandano alla figura di Mussolini come salvatore della patria, restauratore dell'ordine e uomo della provvidenza. L'opinione generale venne progressivamente convinta che la figura del duce rappresentava la sintesi dell'ideale per la conduzione del Paese, il duce aveva sempre ragione e come lui non c'era nessuno. La propaganda venne utilizzata da Mussolini per accrescere il consenso popolare; il partito si occupava di essa controllando la stampa e il cinema. La gioventù crebbe con questi concetti incentrati sull'educazione e la cultura divulgata nelle aule scolastiche. Nel 1923 vi fu la riforma della scuola ideata dal ministro Gentile, una riforma che diede molta importanza alle materie umanistiche dove l'istruzione era incentrata nelle scuole che professavano l'ideologia fascista. Se le materie trattate erano di elevato livello, la scuola però mancava di una democratica organizzazione perché soggetta al controllo del regime. La strutturazione e l'inquadramento della gioventù avveniva tramite organizzazioni, come i “Balilla” e “Le giovani italiane” che raccoglievano gli adolescenti; questi gruppi associativi si basavano, come la scuola, sull'obbedienza, educazione e rispetto delle regole. I giovani erano indirizzati agli studi ed alle attività sportive con il culto del raggiungimento dei livelli di massima autostima e con l'adozione di simbologie rappresentate dalle divise indossate come elemento che li accomunava. La finalità del regime fu di ottenere cieca obbedienza da parte del popolo fin dalla gioventù. Nel 1931 i professori universitari dovettero giurare fedeltà al regime pena il ritiro della cattedra assegnata e i giovani universitari vennero inseriti nei gruppi di associazione dei Giovani Universitari Fascisti con i quali il regime era intenzionato a formare la nuova classe dirigente. Nacquero dei gruppi, come il Gruppo Nazionale del Dopolavoro, altre scuole rurali e, nel 1937, il Ministero della Cultura Popolare (Minculpop) che operò al fine di fascistizzare la cultura. Gli impiegati del pubblico impiego dovevano obbligatoriamente essere scritti alle associazioni di regime. Chi non sottostava alle regole del regime veniva severamente punito prima con l'estromissione dalla partecipazione attiva alla società e poi con il sequestro dei beni, con punizioni corporali inflitte dagli squadristi o il carcere. Tra le vittime più illustri vi furono Antonio Gramsci, segretario del Partito Comunista Italiano (che fu arrestato nel 1926 e morì nel 1937, dopo 11 anni di carcere); inoltre ricordiamo Alcide de Gasperi (arrestato per il suo tentativo di espatriare), Giovanni Amendola (che morì in esilio), Piero Gobetti, il socialista Filippo Turati, Don Luigi Sturzo (fondatore del Partito Popolare che si rifugiò in esilio come Gaetano Salvemini). Chi non professava pubblicamente le proprie idee antifasciste si organizzò clandestinamente e a Firenze nacque “Non mollare” il primo periodico antifascista. A Parigi, nel 1229, si formò il nuovo gruppo antifascista “Giustizia e libertà” fondato da Emilio Russu e Carlo Rosselli, intellettuali che provenivano da esperienze diverse ma accomunati dall'idea di combattere contro il regime. Numerosi appartenenti a questa organizzazione, alla loro scoperta, vennero eliminati per mano di sicari. La polizia segreta Ovra (“Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo”), nacque nel 1927 e venne impiegata nella dura repressione e nello spionaggio. 46 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA A tanto consenso sociale si contrapposero anche esponenti che osteggiarono la loro disapprovazione in forma segreta o palese; tra quelli che si esposero maggiormente vi furono il filosofo Benedetto Croce che ideò il “Manifesto degli Intellettuali Antifascisti” pubblicato nel 1925 in risposta al “Manifesto degli Intellettuali Fascisti” di Giovanni Gentile. Il manifesto di Croce fu sottoscritto da molti intellettuali e in esso vennero denunciate le nefandezze del regime. Il consenso popolare e delle masse diede l'affermazione al fascismo anche se molte persone non erano coscienti dell'entità del fenomeno; ingenuamente credettero al miglioramento delle loro condizioni con la prospettiva di benessere determinata dal ritorno dell'Italia ai periodi migliori. Il fascismo riscosse dalla popolazione un largo consenso sia per il terrore che esso incuteva che per il convincimento operato sul popolo. I liberi sindacati vennero eliminati, come la festa dei lavoratori del 1° maggio e tutte le manifestazioni collegate. Vennero sostituiti dalle Corporazioni che operavano per attuare il cambiamento della società italiana (lavoro e organizzazione sociale). Essi si basavano sul rapporto tra lavoratori e imprenditori, che non era più gestito dai sindacati, ma indirizzato ad un ottimale impegno sia dei lavoratori che degli imprenditori per il raggiungimento del benessere dello Stato. Il principio delle Corporazioni era quello di collaborare con le classi sociali al fine, con l'apporto fornito da ognuna di esse, del raggiungimento del miglioramento del Paese. L'ordinamento corporativo venne sancito ufficialmente dal 1927 con la pubblicazione della “Carta del Lavoro” dello Stato fascista. Chiaramente le corporazioni non nacquero spontaneamente e le loro decisioni provenivano sempre dagli alti strati dirigenziali del regime, spesso si rivelavano a beneficio della classe imprenditoriale e, contrariamente alle aspettative, non condussero a miglioramenti della situazione sociale ma ad un rallentamento delle riforme. Una migliore operatività delle Corporazioni si ebbe a partire dall'anno 1934 mentre i principi della Carta del Lavoro incominciarono ad avere un loro valore giuridico dal 1942 quando furono inserite nel Codice Civile. Profondi cambiamenti si ebbero anche nella politica economica del regime. Giuseppe Volpi, ministro delle finanze nel 1925, mise da parte il liberismo economico che era stato voluto dal precedente ministro De Stefani, e abbracciò il protezionismo inserendo i dazi sui cereali, scoraggiando l'importazione e favorendo la produzione interna di questi. Altra prerogativa che fu attribuita al ministro delle finanze fu quella di promulgare i divieti sulle importazioni. L'intento di queste politiche fu di restituire al Paese un prestigio nazionale e di improntare una politica autarchica rendendo l'Italia un Paese autosufficiente dal punto di vista economico. Il “cambio a quota 90” rappresentò l'impegno del regime a riportare lo scambio della lira con la sterlina a condizioni più vantaggiose (un cambio a L. 90 per una sterlina contro le L. 154 di quel periodo) per diminuire l'inflazione e rassicurare la classe imprenditoriale. Questa rivalutazione così alta non corrispondeva però alle reali capacità dell'Italia e vennero a crearsi numerosi scompensi economici con una scarsità di moneta circolante, un calo delle produzioni e una limitata richiesta di merci. Le imprese si trovarono in grosse difficoltà come pure il settore agricolo che non riuscì a modernizzarsi per la mancanza di fondi. La disoccupazione triplicò mentre le aziende dovettero ridurre i salari del 10-20%. Grazie alla politica degli incentivi statali rivolti all'industria si riuscì a sanare questa situazione nel gennaio del ’29, anno in cui il paese verrà messo nuovamente a dura prova per la crisi economica americana che si ripercuoterà a livello mondiale. Per ovviare o limitare il danno provocato da questa nuova crisi, si decise di intervenire a livello statale sulle imprese con l'istituzione dell'IMI (Istituto Mobiliare Italiano) e l'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). Con l'IMI e l'IRI lo Stato si trasforma in imprenditore ed elargisce capitali per sostenere queste industrie che stavano chiudendo. Lo Stato acquistò pacchetti azionari di queste industrie mentre si intervenne anche negli ambienti bancari dove subentrò la partecipazione statale. Con questi fatti vi fu una sostanziale modifica dello Stato liberale che originariamente non contemplava la partecipazione del Paese in campo economico. Il nuovo stato di Dirigismo Statale provocò la reazione dei capitalisti che consideravano un danno la partecipazione dei gerarchi fascisti nella produzione industriale. Gli imprenditori industriali, che inizialmente avevano appoggiato il regime, cominciarono a defilarsi. Nello stesso tempo queste politiche economiche adottate cominciarono a concentrare alcune imprese per migliorare il controllo da parte statale per cui si venne a creare l'accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi gruppi industriali. BATTAGLIE DEL FASCISMO Una tra le più importanti battaglie fu la "battaglia del grano" per incrementare, in campo agricolo, la produzione di cereali e per contrastare il disavanzo commerciale dovuto alla necessità di importare cereali, che determinava un disavanzo della bilancia dei pagamenti con l'estero. La "battaglia delle paludi" venne istituita per bonificare i territori e risanare terreni sino ad allora invisibili. La "battaglia demografica" favorì l'aumento della popolazione giovane nella convinzione di generare una nazione con grandi disponibilità di giovani soldati. Nell'ambito di queste battaglie lo spirito fascista assunse un tono paternalistico, nel 1225 venne istituito uno strumento per il sostegno della natalità, l'ONMI (l'Organo Nazionale per la Maternità e l'Infanzia) che migliorava ed estendeva l'assistenza sociale medica alle persone e forniva sostegno all'infanzia operando 47 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA per diminuire la mortalità infantile che era ancora molto alta. L'ONMI fu in realtà un mezzo di propaganda per decretare il ruolo di fattrice alla donna. Il fascismo, approfittando del periodo di pace, portò a termine una serie di lavori pubblici che dovevano cambiare e migliorare la vita pubblica dei cittadini e che dovevano modernizzare il paese impiegando i disoccupati. Nacquero ponti, strade, acquedotti, impianti bioelettrici, case, ferrovie, porti e stadi. Furono migliorati i servizi pubblici, venne sviluppata l'agricoltura non i metodi di irrigazione e bonifica come quelli realizzati nelle paludi pontine, fu incrementata la marina militare e quella mercantile e venne istituita l'aviazione civile. Nacquero le colonie marine e montane per i figli dei lavoratori dove potevano mandare i ragazzi a trascorrere un periodo sereno e salubre. Per incoraggiare le ricerche petrolifere venne istituita l'Agip (Azienda Generale Italiana Petroli) che assunse maggiore importanza solo al termine del periodo fascista. I RAPPORTI DEL FASCISMO CON LA CHIESA Nonostante le problematiche sorte con Don Minzoni e il suo seguente omicidio, Mussolini sostenne che il regime dovesse intrattenere dei rapporti pacifici con la Chiesa e, dopo lunghe trattative, l'11 febbraio del 1929 vennero stilati i Patti Lateranensi tra Mussolini, che rappresentava lo Stato italiano, e il Cardinale Pietro Gasparri, portavoce della Santa sede. Furono importanti accordi perché portarono situazioni vantaggiose per entrambi i contraenti. Lo scambio reciproco di concessioni comprese anche una convenzione finanziaria e un Concordato. Con questo trattato lo Stato italiano stabiliva che la religione cattolica diveniva l'unica religione di Stato e riconosceva la piena proprietà e sovranità del Pontefice del nuovo Stato della Città del 2 Vaticano, costituito da circa 1/2 km di superficie all'interno della città di Roma. Questo Stato nella città era uno Stato a sé stante, inviolabile e neutrale, pertanto lo Stato italiano non aveva nessun potere giuridico su di esso. Il Pontefice dichiarò chiusa la problematica riconoscendo lo Stato italiano con capitale Roma. Lo Stato italiano, inoltre, rendeva disponibile per lo Stato vaticano una grande somma di denaro a risarcimento dei grandi danni subiti dalla Santa Sede nel 1870. Con il Concordato il regime fascista garantiva alla chiesa il libero esercizio del potere spirituale e del culto in tutto il territorio nazionale, i sacerdoti erano esonerati dal servizio militare e si introdusse l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Vennero riconosciuti gli effetti civili anche al matrimonio religioso (matrimonio concordatario). L'accordo però non eliminò tutti i contrasti che vi erano tra il regime e la chiesa e nel 1931, quando Mussolini emanò il decreto di chiusura per tutti circoli cattolici tra cui l'Azione Cattolica, il malumore aumentò. Questo disaccordo venne parzialmente appianato permettendo all'Azione Cattolica di agire per finalità esclusivamente religiose e con la richiesta di far allontanare dall'azione cattolica tutti coloro che si dedicassero alla propaganda contro il regime. LA POLITICA ESTERA Nel periodo di pace che seguì l'avvento del regime fascista, Mussolini si impegnò nella revisione dei trattati di pace che non erano stati equi nei confronti dell'Italia, particolarmente sotto l'aspetto del colonialismo e della spartizione dei territori tra gli Stati vincitori. L'Italia rinsaldò l'amicizia con l'Inghilterra ma incontrò ostilità con la Francia che non riteneva opportuno che l'Italia dovesse colonizzare zone dell'Africa e del Mediterraneo. In una seconda fase il regime si sentì rafforzato nella sua posizione per l'avvenuto potenziamento militare dello Stato italiano e i rapporti con la Francia si inasprirono ulteriormente. La consolidata amicizia tra Inghilterra e Francia determinò una messa in disparte dell'Italia. A partire dal 1932 la politica estera italiana divenne più propensa ad agire militarmente mentre all'orizzonte si paventava il futuro problema della Germania di Hitler. Mussolini era convinto che, da come si stava prospettando la situazione e da come cresceva il desiderio di alcune nazioni di mostrarsi potenti, la possibilità di una futura guerra era sempre più concreta. La prima scelta del duce fu quella di schierarsi con la Francia e l'Inghilterra per arginare il pericolo della Germania ma, dopo pochi mesi, questa alleanza venne a meno perché la Francia mantenne il proprio riserbo sull'espansionismo colonialista dell'Italia che si era recata in Africa alla conquista di territori (in quel momento era in atto il ritiro degli Stati dai territori conquistati). La politica colonialista italiana in Africa, ai danni dell'Abissinia e dell'Etiopia che erano allora Stati indipendenti retti dal negus Hailé Selassié, si spinse sino al corno d'Africa dove vi erano già delle colonie italiane in Eritrea e Somalia. Mussolini intendeva mostrare agli altri Stati la potenza dell’Italia e che questa era divenuta in grado di proteggersi autonomamente ma la sua fu un'impresa anacronistica poiché il colonialismo si stava avviando al declino. Non intese rinunciare all'impresa che fu preceduta da incontri diplomatici con le altre potenze e il 3 ottobre del 1935 il duce approfittò di un attacco di bande etiopiche contro un presidio italiano per aprire le ostilità senza nessuna dichiarazione preventiva. Ordinò alle truppe presente in Eritrea e Somalia di superare i confini perché sosteneva che l'Italia doveva avere anche la missione di civilizzare quei popoli arretrati e il diritto di conquistarsi un posto di rilievo nello scenario politico. Il mese seguente a questa iniziativa la Società delle Nazioni colpevolizzo l'Italia perché decretò che la sua non era stata una missione di pace bensì una vera e propria aggressione e stabilì delle sanzioni 48 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA economiche, il divieto di essere riforniti di armi, aiuti economici e dei gravosi limiti alle nostre esportazioni. I danni provocati da queste sanzioni furono però limitati perché gli Stati Uniti, che non partecipavano alle Società delle Nazioni, e la Germania rifornirono ugualmente l'Italia. Queste sanzioni vennero sospese nel Luglio del 1936 e questa sospensione venne intrapresa dal regime fascista come un ulteriore mezzo di propaganda a prova di fermezza e potenza. Quando l'Italia si trovò di fronte alla decisione di Mussolini di occupare l'Abissinia non furono comprese le conseguenze, la campagna militare durò sette mesi e fu condotta con estrema brutalità, particolarmente dei marescialli Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani che utilizzarono armi e gas asfissianti contro le popolazioni. Il 9 Maggio del 1236 Mussolini annunciò la fine della guerra e la nascita dell'Impero dell'Africa orientale italiano, Vittorio Emanuele III non era solo più re d'Italia ma anche imperatore d'Etiopia. Il duce che era diventato fondatore dell'impero vide il suo massimo consenso da parte del popolo e riuscì a far comprendere che lui era riuscito ad imporsi non solo in Italia ma anche all'estero offrendo ad Hitler un precedente per il modo di agire violento. Questa guerra portò l'allontanamento e l'isolamento dell'Italia dalla Società delle Nazioni. Mussolini non potendo più collaborare con Francia e Inghilterra cercò l'alleanza con la Germania e nel 1936 venne proclamato l'accordo denominato Asse RomaBerlino. Il trattato firmato da Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, nominato ministro degli esteri, non costituì una vera propria alleanza ma stabilì uno stretto rapporto di collaborazione in eventuali guerre condotte contro nemici comuni come il pericolo bolscevico. Il fronte alleato della prima guerra mondiale venne così a rompersi definitivamente e l'Europa si trovò divisa in due blocchi contrapposti. Il nuovo Asse Roma-Berlino trovò un nuovo collante del 1938 quando l'Italia avviò una politica razzista e antisemita analoga a quella di Hitler, in quanto emanò le leggi razziali nei confronti degli ebrei. Questa fu una pagina particolarmente triste e controversa della nostra storia dove molti storici e critici si sono pronunciati cercando di dare una spiegazione: secondo alcuni negli anni ’20 per il fascismo non esisteva il problema ebraico (come dichiarato dallo stesso Mussolini), altri studiosi sostengono che i primi sentori dell'antisemitismo cominciarono a manifestarsi nei primi anni ’30 quando apparvero nei giornali di regime alcuni articoli in cui si sosteneva che gli ebrei erano talmente forti da conquistare economicamente e politicamente il mondo. Di lì a poco si ebbero i primi segnali che culminarono con le Leggi Razziali. Il “Manifesto della razza”, che discriminarla gli ebrei, venne pubblicato il 15 luglio del 1938 e fu firmato da 180 scienziati aderenti al regime, esso decretava l'adesione del fascismo alle leggi razziali tedesche. A partire da questo documento, dalla fine dell'estate all'inizio dell'autunno del 1938, furono emanati diversi decreti legge a cui fecero seguito una “Dichiarazione sulla razza” emessa dal Gran Consiglio del fascismo, in seguito adottata dallo Stato con un Decreto Legge il 17 novembre, che prevedeva l'esclusione degli ebrei delle scuole pubbliche, il matrimonio con italiani, il divieto di possedere aziende, attività, beni commerciali, beni immobili ammessi solo entro certi limiti, il divieto di prestare servizio nelle forze armate e nelle amministrazioni statali, forti limitazioni nell'esercizio di lavori, divieto di svolgere attività importanti quali il notaio e il giornalista. Numerosi scienziati ed intellettuali ebrei colpiti da questi provvedimenti dovettero andarsene via dall'Italia emigrando verso gli Stati Uniti (tra questi ricordiamo i fisici premi Nobel Emilio Segrè ed Enrico Fermi, che aveva sposato un'ebrea). L'insegnamento nelle scuole agli ebrei non venne proibito ma molti ebrei furono costretti a lasciare la loro cattedra di università tra cui Benvenuto Terracini e Attilio Momigliano. LA CRISI DEL ’29 Al termine della Prima Guerra Mondiale gli Stati Uniti ne erano usciti vincitori rafforzando la propria immagine e mostrando al mondo la loro potenza economica ed industriale. L'Europa si era ritrovata indebolita nonostante gli Stati vittoriosi si fossero suddivisi dei territori e avessero adottato delle manovre schiaccianti nei confronti dei vinti. Il trattato dei 14 punti di Wilson aveva dato origine ad un continente suddiviso in nazioni ma aveva creato anche degli aspetti negativi. I partecipanti al tavolo del trattato non avevano condiviso pienamente le indicazioni del documento e queste divergenze portarono a delle controversie in cui si denunciavano scelte non adeguate. Anche negli Stati Uniti si creò il malcontento per le prese di posizioni che si erano verificate in Europa, venne eletto un nuovo governo e si decise di cambiare indirizzo dalla politica che era stata intrapresa dal presidente Wilson. Le elezioni del 1920 furono elezioni presidenziali e furono considerate “memorabili” dagli storici in quanto a suffragio universale (primo appuntamento elettorale per le donne), venne eletto per la prima volta un candidato repubblicano (Harding) che aveva promesso di avviare una politica completamente differente da quella del suo predecessore. Insediatosi alla Casa Bianca il nuovo presidente intraprese una politica isolazionista confermandosi conservatore e tendendo a mantenere i privilegi della classe imprenditoriale, favorì il grande patrimonio delle classi più abbienti e non emanò nessun provvedimento per le classi più disagiate. Per quanto riguarda i rapporti con l'estero, gli Stati Uniti si isolarono dalle nazioni nate dopo il primo dopoguerra con la Società delle Nazioni, si rifiutarono di rettificare i trattati di Parigi e sottoscrissero autonomamente trattati di pace e collaborazione con Germania, Austria e l'Ungheria, con l'approvazione dell'opinione pubblica americana. 49 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Gli Stati Uniti difesero il prodotto interno nazionale applicando gravosi dazi per le importazioni, inoltre venne data la possibilità ai grandi monopoli di operare dei controlli del mercato e di monopolizzarlo. Vennero applicati dei provvedimenti atti a sfavorire l'immigrazione straniera, limitata prima nel 1921 e poi nel 1924, fino ad arrivare all'introduzione di quote. Questo provvedimento nacque dal timore che con la nascita dell'internazionale Socialista in Russia si potesse presentare il problema di infiltrazione di comunisti negli Stati Uniti. Inoltre, il sentimento xenofobo e di razzismo nato dall'alto numero di rappresentanti di varie razze (Ku Klux Klan), alimentò sentimenti di sospetto e di accusa verso i popoli stranieri (ingiusta condanna ed esecuzione di Sacco e Vanzetti). Nel 1919 fu inserito un emendamento della costituzione con cui si proibiva la produzione e la vendita di alcolici (periodo del Proibizionismo), questo provvedimento fu alla base di molti movimenti filantropici che si erano attivati affermando che l'uso dell'alcol era negativo per la salute e per la integrità psichica degli uomini. Questa discussione approdò al Congresso spinta da molte associazioni ma dopo la sua approvazione ci si rese conto che si sortì l'effetto opposto, con la nascita del mercato nero e il beneficio per la criminalità organizzata con la nascita e formazione di gang del malaffare. Nel 1923 venne ripristinata la vendita degli alcolici. Gli anni ’20 sono considerati anche gli anni del boom economico e dei cambiamenti sociali. Il divieto di scambiare liberamente con l'Europa aveva portato l'America alla sovrapproduzione dell'industria e il mercato interno, non potendo offrire la produzione all'estero, decise di riproporre i propri prodotti all'Europa perché avrebbero ottenuto dei vantaggi da un'Europa disastrata che doveva essere in qualche modo ricostruita. Le popolazioni europee, oltre che essere afflitte dalla ricostruzione, erano sopraffatte dei debiti di guerra che dovevano versare agli Stati Uniti. L'America, continuando a finanziare questi debiti, doveva trovare una fonte di guadagno e di recupero delle somme impiegate; la ripresa degli Stati europei avrebbe garantito il ritorno della moneta data in prestito dagli Stati Uniti. Il piano economico ideato dal politico economico Dawes, che venne approvato nel 1924, rispondeva alle richieste di finanziamento economico della Germania. La ripresa dei Paesi in difficoltà avrebbe inoltre impedito la possibile deriva comunista degli Stati confinanti con la Russia. Il piano Dawes ebbe successo dando un nuovo impulso all'economia europea, permise ai Paesi europei in difficoltà di riemergere con le loro industrie e produzioni e di pagare i loro debiti. La ripresa di questi Paesi inoltre determinò la loro dipendenza con gli Stati Uniti favorendo gli scambi internazionali e il giro di affari crebbe in modo molto consistente fino ad arrivare al boom economico del ’25 -’ 26. Crebbe l'aumento dei consumi e la produzione industriale, l'aumento salariale degli operai permise loro di vivere una vita dignitosa e le innovazioni tecniche proiettarono la vita verso il benessere. La spinta maggiore venne data dall'industria automobilistica (Henry Ford) con la produzione a larga scala di automobili e, collegate a queste, vi fu la nascita di altre industrie con il relativo aumento del settore terziario. Nelle grandi città nacquero società di affari, banche ed assicurazioni. Le comunicazioni implementarono i propri mezzi con la nascita di molti giornali. L'edilizia si sviluppò in modo esponenziale con la costruzione di moltissimi grattacieli che divennero sede di molte attività. In definitiva, nacque la società statunitense che assunse i connotati del “sogno americano” che fece sognare tutti ma appartenne a pochi. La propaganda contribuì notevolmente a far crescere il desiderio del raggiungimento del benessere per la popolazione e l'industria ottenne grandi benefici dalla pubblicità sugli organi di stampa e di comunicazione. Anche la letteratura americana, la produzione cinematografica e gli spettacoli teatrali contribuirono alla sponsorizzazione di questo stile di vita. Il fenomeno delle speculazioni prese il sopravvento, i redditi circolanti venivano impiegati per manovre finanziarie rischiose che miravano ai facili profitti anziché tutelare la produzione. Tra il 1927 e il 1928 la borsa di New York vide una crescita spropositata della speculazione e mobilitò una grossa quantità di denaro che non aveva un reale riscontro produttivo. Queste nuove attività finanziarie stimolarono i risparmiatori a intraprendere le attività finanziarie della borsa, quella che viene definita dagli storici “febbre speculativa”, Dove molti investivano il loro denaro nell'acquisto di titoli quotati in borsa determinando la salita di questi. In contrapposizione vi fu un ristagno del prodotto perché ne calava la domanda. Con il passare degli anni questo squilibrio divenne sempre più evidente per diversi fattori tra cui la ripresa degli Stati europei e la diminuzione della domanda di prodotto da parte di questi. Molti di questi Paesi adottarono le politiche protezionistiche diminuendo le importazioni o molti governi europei, per salvaguardare le proprie economie, intrapresero politiche di austerità che determinò la diminuzione del potere d'acquisto dei salari. Il prestito bancario divenne sempre più esoso per le tasche dei cittadini per cui i consumi diminuiranno e si arrivò alla depressione. Il mercato diventò stagnante e la domanda non crebbe. I prodotti rimasero invenduti nonostante ne venisse incoraggiato l'acquisto, i prezzi diminuiranno drasticamente e numerose fabbriche si trovarono nella condizione di dover licenziare i lavoratori. Con i primi segni della crisi finanziaria si ebbe anche il crollo della borsa. Il 1929 aveva già conosciuto una prima crisi della borsa, in primavera si ebbero i primi sentori; nell'autunno, con il rialzo delle quotazioni e con il raggiungimento dei livelli massimi, gli operatori decisero di monetizzare i guadagni per la paura di un eventuale nuova crisi e vi fu la corsa alla vendita dei titoli. Le quotazioni dei titoli scesero drasticamente e il 24 Ottobre del 1929 si verificò il “giovedì nero” con il crollo della borsa di Wall Street a New York. La chiusura di molte imprese fu la diretta conseguenza di questa nuova crisi economica e nel giro di due anni la 50 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA produzione industriale diminuì del 54%. Queste conseguenze finanziarie determinarono la fine del sogno industriale e del benessere americano che si era professato fino a quel momento. La conseguente crisi sociale si manifestò nell'elevato numero di persone senza lavoro e nei primi suicidi. Oltre al mondo industriale anche quello dell'agricoltura fu duramente colpito, negli Stati del sud la maggior parte dei contadini si ritrovò in condizioni di non riuscire a sopravvivere. Il fallimento delle banche provocò grande difficoltà per i risparmiatori. Il disastro economico degli Stati Uniti interessò tutto il mondo poiché gli interessi di questo Paese si estendevano a numerosi Stati e continenti. In Europa il ritiro dei capitali statunitensi e la deflazione, con il crollo del prezzo dei prodotti, determinarono una diminuzione della produzione e il conseguente aumento della disoccupazione. La Germania, che era direttamente dipendente dagli Stati Uniti per i prestiti ricevuti, vide la chiusura delle fabbriche in più settori che provocò una disoccupazione che arrivò ai 6 milioni di unità nel 1932 con il conseguente innesco di una fortissima inflazione. La Gran Bretagna, verso la fine del 1930, vide una flessione della produzione del 30% in soli due anni e il principio del commercio libero venne sostituito da politiche economiche che privilegiassero i rapporti fra i Paesi del Commonwealth. La crisi del ’29 causò gravi problemi anche in Italia, il prezzo del grano era sceso notevolmente (da L. 130 al quintale, nel 1929, a L. 93 nel 1933). Nonostante ciò alcuni industriali erano riusciti a tamponare le problematiche della crisi con la politica protezionistica del fascismo, dove con i salari ai minimi gli industriali erano riusciti a infiltrarsi nei mercati. La svolta alla risoluzione della crisi degli Stati Uniti si ebbe con la politica del nuovo presidente designato con le elezioni del 1932, Roosevelt. Egli si fece aiutare da persone molto competenti nel campo economico e tecnico mettendo in campo le esperienze più varie. Il nuovo piano per risolvere le problematiche economiche viene definito New Deal (“nuovo corso”) che diede una concezione nuova allo Stato corrispondente alle esigenze della nuova società. Roosevelt fu un democratico accorto, che capì che il capitalismo era importantissimo in una società libera e democratica come si consideravano gli Stati Uniti, dove però si dovevano dare delle regole al mondo dell'economia e, soprattutto, porre dei limiti alla crescita senza controllo dell'attività industriale. Il New Deal costituì una rivoluzione per il mondo economico americano e cercò di allontanare l'idea di un'economia libera, dove veniva privilegiato l'investimento privato, a favore di una economia soggetta a dei vincoli posti dalla politica (in modo che lo Stato avesse una sua partecipazione e potesse guidare il mondo dell'industria). L'intervento pesante da parte dello Stato contrastò l'eccessiva privatizzazione, Roosevelt parti dal principio dell'inflazione controllata, che non fosse andata oltre certi limiti in modo da poter abbattere la deflazione e rendere circolante una certa quantità di moneta in modo da aumentare i consumi. Il suo intervento sulla moneta deprezzò il dollaro del 40%, fece rialzare i prezzi e la quantità di carta moneta circolante e applicò il controllo delle Stato sulle banche, sulle borse e sul mercato azionario. Gli interventi in ambito sociale si occuparono dei salari minimi, dei contratti di lavoro, della presenza dei sindacati nel mondo del lavoro e la contrattazione per impedire l'egemonia degli imprenditori sui lavoratori. Per aumentare il lavoro, anche se questo avrebbe determinato il deficit dello Stato, applicò degli aiuti di Stato ad alcune aziende, in modo che queste avessero potuto assumere personale. Nel 1933, contrariamente a quello che avevano fatto i repubblicani, Roosevelt regolamentò l'economia e lo Stato si fece partecipe della situazione delle industrie dando avvio ad opere pubbliche. Venne applicata una tassazione dei redditi più abbienti e riuscì, nonostante l'opposizione delle classi più privilegiate, a raggiungere gli obiettivi prefissati con l'intervento del potere pubblico negli affari privati. Il suo operato venne appoggiato dalla massa popolare e venne eletto per il secondo mandato. Le scelte di Roosevelt furono appoggiate dall’economista inglese Keynes (che diede vita alle teorie keynesiane con ottimi risultati negli Stati Uniti e in altri Paesi). Questi miglioramenti non determinarono un ritorno allo stato ottimale pre-crisi, la svolta industriale decisiva si ebbe con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l'industria della guerra. LA CRISI DELLA GERMANIA E LA NASCITA DEL NAZISMO L'economia del Paese era andata distrutta e la situazione generale in Germania era precipitata dal punto di vista sociale; l'esercito era ridotto ai minimi termini mentre l'imperatore Guglielmo II, che era stato considerato il responsabile della disfatta della Germania, abdicò e si allontanò dal Paese il 9/12/18, mentre nel contempo venne proclamata la Repubblica. Si formò un governo provvisorio guidato dal principe Ebert che faceva parte del Partito socialdemocratico tedesco. Questo governo firmò definitivamente l'armistizio a Compiègne l'11/11/18. Il governo repubblicano non riuscì da solo però a rimettere ordine in Germania dato l'elevato numero dei problemi, per cui Ebert venne considerato un presidente inefficace e responsabile della capitolazione della Germania. Tutti erano convinti che lui avesse contribuito a pugnalare alle spalle il Paese e venne considerato come fautore di questo complotto. Il governo socialdemocratico non ebbe nessun appoggio, neanche da parte dei partiti della sinistra. Proprio dalla sinistra arrivò la prima critica, un duro attacco con la rivolta del Partito comunista 51 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA tedesco nel gennaio del ’19. Questo partito era nato alcuni giorni prima dall'unione di gruppi, tra cui la “Lega di Sparta” che era stata fondata nel ’16 da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg che erano usciti dal Partito socialdemocratico perché non ne condividevano i punti, e gli “Spartachisti”, che si contraddistinguevano perché criticavano il leninismo poiché pensavano che quello che stava avvenendo in Russia non aveva partecipazione da parte del popolo. Inoltre non credevano che i socialdemocratici, così com'erano organizzati in Germania, potessero aiutare il Paese a riprendersi. Nel 9/11/18 Ebert aveva già tentato di nominare una repubblica socialista tedesca e nel Gennaio del 1919, in un clima insurrezionale dove gli operai cominciavano scioperare per il miglioramento della loro condizione, tentarono nuovamente la via dell'insurrezione e si diressero verso Berlino. Questa rivolta non ebbe un risultato positivo e venne sedata. Il governo socialdemocratico ricevette l'appoggio dell'alta finanza e dell'esercito che temevano la minaccia dei reazionari. Questa settimana segnò profondamente il clima sociale e, a differenza di quello che era avvenuto in Russia nel 1917, in Germania l'insurrezione non sortì effetto. Per sedare la rivolta vennero impiegati gruppi paramilitari (i cosiddetti "Corpi franchi") che si erano costituiti dopo la guerra ed erano formati da reduci, volontari, ex ufficiali e gente già appartenente all'esercito che dopo l'esilio dell'imperatore non ne facevano più parte ufficialmente. Tra le prime vittime di questa controrivoluzione vi furono proprio Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg che furono arrestati e uccisi senza processo. I Corpi franchi riuscirono comunque a ristabilire l'ordine, soprattutto in Baviera, dove si era formata una Repubblica dei consigli di Stato sovietico. In seguito i Corpi franchi ebbero un ruolo molto importante, soprattutto nelle agitazioni che tormentavano la Repubblica appena nata. Sempre a Gennaio si svolsero le elezioni per un'assemblea costituente per creare la costituzione, perché la socialdemocrazia era risultata maggioranza. Questa Assemblea si riunì a Weimar ed elaborò la nuova Costituzione che entrò in vigore nell'Agosto del 1919 (Repubblica di Weimar). La Germania, a fine Giugno, accettò la pace di Versailles divenendo una repubblica federale con tre grandi regioni Stato autonome che si reggevano ed organizzavano autonomamente, anche se c'era un governo centrale che era rappresentativo di questa nuova Repubblica. Il Parlamento (Reichstag) era l'organo sovrano e aveva il potere legislativo. Il Cancelliere (primo ministro) rispondeva del proprio operato al Parlamento, veniva nominato dal presidente che veniva eletto ogni sette anni direttamente dal popolo. Il presidente era anche capo supremo dell'esercito e la costituzione gli accordava anche il potere di sospendere, in caso di emergenza, le libertà civili e quindi di disporre di tutte le misure necessarie per mantenere l'ordine (il presidente poteva prendere delle decisioni al di fuori del Parlamento in caso di emergenza, norma un po’ pericolosa perché il potere esecutivo, che era quello dovuto al governo, poteva prevaricare su quello legislativo dovuto al Parlamento e, considerando che una moderna democrazia si basa sulla divisione dei tre poteri, in questo modo veniva a mancare l'equilibrio fra di essi). La nuova Repubblica si trovò ad affrontare altre crisi e problemi, alcuni attentati terroristici a grandi uomini politici. Si dovette affrontare anche la disastrosa situazione economica del dopoguerra perché la Germania si trovò molto penalizzata dalle decisioni prese a Versailles. Le richieste di risarcimenti di guerra furono molto pesanti (269 miliardi di marchi da pagare in oro e non con merci e lavoro) ad esempio. La Germania si trovò in un periodo molto critico e non poté tener fede ai pagamenti per la chiusura dei mercati tradizionali che andarono ad appannaggio di Francia, Inghilterra e d'America; la perdita dei Paesi coloniali; la mancanza di materie prime che venivano estratte dal bacino della Saar e che era controllato da Francia e Belgio. La Germania chiese che i suoi debiti fossero dilazionati nel tempo, cosa che non riuscì ad ottenere per il rifiuto delle potenze alleate. Per le imprese tedesche fu una grossa problematica perché le industrie erano state prima convertite in industria di guerra e ora necessitavano di molti capitali per una ulteriore riconversione ad industrie civili. Dal ’22 la situazione si aggravò ulteriormente quando il governo tedesco stampò più banconote innescando un'infrazione senza precedenti che fece deprezzare il Marco, soprattutto nei confronti del Dollaro (precedentemente la Prima Guerra Mondiale un Dollaro veniva cambiato con quattro marchi, nel ’21 ne occorrevano 65, nel ’23 ce ne volevano 350.000 fino ad arrivare alla cifra record di 4 miliardi di marchi per un dollaro nel Novembre del ’23). I prezzi seguirono la svalutazione della moneta e aumentarono notevolmente, i lavoratori erano pagati due volte al giorno e si potevano assentare per due ore al giorno per andar a fare la spesa (perché con quella inflazione galoppante non avrebbero potuto fare la spesa). All'inflazione si associò anche la disoccupazione per cui tedeschi fecero molta fatica a mantenere un minimo di tranquillità, il loro modo di vivere e la loro qualità della vita com'era prima della guerra. Mentre la maggior parte dei tedeschi soffriva di questa situazione, una piccola parte della borghesia rappresentata dagli imprenditori e dagli industriali, si arricchiva esportando merci tedesche a prezzi competitivi per cui questa situazione portò ad una paralisi dal punto di vista economico e monetario. La Francia reagii a questo disordine nel 1923 occupando il bacino minerario della Ruhr, che era fonte di approvvigionamento di materie prime per la Germania che se ne trovò privata e quindi in maggiore difficoltà per il pagamento dei debiti di guerra. Il risentimento tedesco nei confronti della Francia si inasprì e nei 52 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA tedeschi montò sempre di più il nazionalismo con l'affermazione delle correnti di destra (di cui facevano parte gli ex ufficiali della guardia imperiale dell'esercito, che poi era stato sciolto dall'esilio del Kaiser Guglielmo II). Questi personaggi della destra avevano tutto l'interesse di far vedere che la situazione non andava bene e che necessitava un nuovo corso per migliorarla. In questo clima si di disordine si costituì a Monaco, nel 1919, il Partito dei lavoratori tedeschi, che proveniva dall'estrema destra; in questo partito e presente il caporale di origine austriaca Adolf Hitler. Hitler possedeva delle grandi capacità oratoria che lo rendevano in grado di attirare le persone. Nel 1920 trasformò il Partito dei lavoratori tedeschi in Partito nazionalsocialista dei lavoratori (più comunemente conosciuto nella forma abbreviata di Partito nazista). Da subito si organizzò in una struttura paramilitare, la cosiddetta SA che doveva controllare i disordini. L'uniforme era contraddistinta dalla camicia bruna. I membri del Partito nazista ebbero come esempio lo squadrismo fascista di cui si avvalsero per le sue competenze. Usarono la violenza per affermare le loro idee e l'obiettivo fu quello di creare anche in Germania quello che era già venuto in Italia, un regime autoritario ed anticomunista. Nel 1223 Hitler tentò un colpo di Stato contro il governo regionale bavarese, a Monaco, però questo colpo di Stato non ebbe successo tanto che Hitler venne arrestato e condannato a cinque anni di carcere. Durante la permanenza in carcere Hitler capì che doveva cambiare strategia cercando l'approvazione del popolo e delle maggiori forze imprenditoriali del Paese per poterlo far salire al potere in maniera legale. Nel frattempo la Germania stava migliorando grazie all'apertura, nel 1222, verso l'Urss, all'apertura degli scambi e soprattutto perché gli Stati Uniti avevano dato un sostegno economico attraverso il piano Dawes. La Francia incominciò il suo ritiro dal bacino di Ruhr completandolo nel 1925, diplomaticamente la Francia e la Germania si rappacificarono grazie anche all'ottimo lavoro diplomatico del ministro olandese degli esteri Briard che intraprese una nuova politica. Il “Patto di Locarno”, del 1925, firmato da Germania e Francia, con garanzia di Inghilterra ed Italia, rendeva come definitivi alcuni punti del patto di Versailles. I tedeschi concessero alla Francia i territori dell’Alsazia e della Lorena e si impegnarono non utilizzare le armi e l'esercito per modificare la situazione politica che si era venuta a creare. La Germania assicurò inoltre che non si sarebbe militarizzata e l'anno successivo fu ammessa alla Società delle Nazioni (1926). Il tutto avvenne in un clima di serenità tanto da soprannominare il "Patto di Locarno" come lo "Spirito di Locarno". Un ulteriore passo per la distensione tra le nazioni fu compiuto nell'Agosto del ’28 con il “Patto di BriandKellog” sottoscritto da 60 Paesi tra cui i principali europei quali Germania, Belgio, Italia, Urss e Giappone. Con la crisi americana del ’29 gli aiuti alla Germania diminuirono drasticamente e questo ridimensionamento delle finanze americane traghettò la Germania in una nuova crisi. In poco tempo furono ritirati i capitali stranieri che determinarono l’arresto delle attività industriali, fallimenti e disoccupazione per cui il sentimento che sfociò in quel periodo in Germania fu il nazionalismo esacerbato che aveva già avuto inizio dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. In questo clima di grande disordine e di grande sofferenza ne approfittò Hitler che uscì dal carcere prima del tempo, scontò solo un anno dei cinque della pena prevista per il fallito colpo di Stato del ’23 e che quindi riuscì ad affermarsi sugli altri partiti. Ebbe l'appoggio dei grandi industriali, della borghesia e dell'alta finanza che gli fornirono anche i mezzi economici perché vedevano in quest'uomo un'autorità e un freno al disordine che si era venuto a creare. Gli diedero la possibilità di creare un regime autoritario capace di dare l'avvio ad un periodo di maggiore tranquillità. Anche l'esercito appoggiò Hitler dandogli una svolta autoritaria. Hitler si presentava come colui che doveva difendere l'onore della Germania contro i soprusi delle altre nazioni. Nel settembre del ’30 e il nazismo incominciò ad avere un significativo successo diventato il secondo partito del Paese, anche se non ottenne la maggioranza per governare. Tutto ciò fu dovuto al fatto che Hitler era riuscito a stilare un programma che prometteva di far risorgere la Germania, in più aveva anche usato la violenza politica per ostacolare gli avversari (la sinistra in quel periodo si trovava molto divisa e il Partito comunista era diventato forte dal punto di vista elettorale ma non disponibile ad allearsi con le forze democratiche borghesi). Il Partito razzista trovava la situazione ottimale. Nel Marzo del ’32 si presentò come candidato alle elezioni presidenziali tedesche ma non ebbe successo perché il precedente presidente della Repubblica, già presidente dal 1925, il maresciallo Hindenburg, considerato dalla popolazione come un eroe per i trascorsi della Prima Guerra Mondiale, era sostenuto dai cattolici e dei socialdemocratici che non volevano assolutamente che Hitler andasse al potere perché paventavano il pericolo di una svolta autoritaria. Dopo che il Partito nazista divenne il primo partito, alle successive elezioni che si erano tenute nel Novembre del ’32, non riuscendo a costituire un governo, il presidente Hindenburg si trovò costretto a dichiarare un’ulteriore crisi, ruppe gli indugi e chiamò Hitler a formare il nuovo governo nominandolo Cancelliere, il 30 Gennaio del ’33. A pochi mesi dalla nomina a Cancelliere di Hitler, il 27 Febbraio del ’33, il Parlamento venne incendiato volontariamente con l’intento di far ricadere la colpa sul Partito comunista per aver commesso ciò per impedire al Partito nazista di prendere il potere. Si innescò una caccia responsabile come scusa per eliminare un numero rilevante di persone appartenenti a partiti diversi (tant'è vero che già in quella prima retata furono eliminati 1500 oppositori). Da quel momento la situazione precipitò sempre di più, nel partito nazista andò affermandosi utilizzando il terrore e dando un colpo decisivo alla Repubblica. 53 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Con un decreto emanato in Febbraio vennero limitate le libertà politiche civili, e vennero posti sotto controllo i partiti politici e la stampa dando il via all'instaurazione della dittatura. Mentre il Paese si avviava a questa nuova forma di governo, Hindenburg scioglieva il Parlamento in vista di nuove elezioni per il Marzo del ’33. Malgrado tutto ciò il Partito nazista non raggiunse la maggioranza assoluta fermandosi al 44%. I socialdemocratici comunisti si affermarono al 30% però nessun deputato socialdemocratico comunista poté entrare nel Parlamento perché furono arrestati alla vigilia delle elezioni. Hitler si confermò cancelliere e fece votare il Marzo del 1933 una legge delega finalizzata alla ripresa e per la ripresa del Paese richiese quattro anni di pieni poteri per il suo governo con l'intento nascosto di creare un regime totalitario. Nel frattempo furono eliminati tutti partiti avversari, fu vietata la formazione di nuovi movimenti politici e si affermò il nazismo come partito unico. Con queste leggi Hitler assunse il titolo di “Fuhrer” (condottiero, cavaliere, capitano) e portò avanti il suo disegno di creare un regime dittatoriale con il divieto di associarsi, di esprimere liberamente propri pensieri e di riunirsi in associazioni sindacali. Ci fu un clima di terrore e venne creata la polizia Gestapo (polizia interna allo Stato) e le SS, che si muovevano in modo spietato. Le SS guidate da Himmler erano utilizzate anche come guardie personali di Hitler. Dalle ’33 furono organizzati i campi di concentramento dove erano rinchiusi gli avversari e gli oppositori, per chi era accusato di tradimento c'era la Suprema Corte Popolare con un tribunale apposito per l’incriminazione ed eliminazione dei colpevoli. Tutta la cultura che non fosse esplicitamente dedicata alla Germania venne messa al bando. Vennero distrutti molti libri di intellettuali liberi che seguivano idee come il marxismo, il pacifismo, le teorie di Freud, ecc. Vennero risparmiati i testi che si rifacevano alla dottrina del nazismo. Il primo grande rogo dei libri si svolse fu a Berlino il Maggio del ’33 e quest'episodio si ripropose in tutte le città tedesche. Nella sua scalata al potere Hitler trovò alcuni oppositori interni al partito, tra cui anche alcuni che facevano parte delle SA guidati da Röhm, che non era d'accordo con il rapporto creato dal nazismo gli ufficiali militari e con gli imprenditori tedeschi. Hitler però aveva bisogno di questo consenso e di sentirsi legato alle fasce più alte della società, per cui non sopportando quest'opposizione interna eliminò dal partito tutti coloro che si ribellavano. Quest'epurazione avvenne nella notte del Luglio del ’34, ricordata come "la notte dei lunghi coltelli". Oltre Röhm, vennero eliminati molti altri esponenti interni dissidenti del Partito nazista. Hitler, di fatto, non aveva più oppositori e, alla morte di Hindenburg, ottenne il potere assoluto ricoprendo, senza il consenso, le due cariche supreme dello Stato. Il nuovo governo venne chiamato “Terzo Reich”. La Germania venne trasformata da Stato federale a Stato unitario e vennero emanate delle leggi che prevedevano lo scioglimento del Parlamento, governo e organi giudiziari concentrando il potere nelle sue mani o in quelle di funzionari nominati da Berlino e fedelissimi di Hitler. Questa trasformazione venne attuata e conclusa senza che la popolazione reagisse in qualche modo perché non c'era più nessuno che avesse la possibilità di opporsi (anche perché a conoscenza delle conseguenze). Si continuarono ad indire formalmente delle elezioni, anche se non ce n'era più bisogno poiché Hitler ricopriva entrambe le cariche di Stato più importanti. Hitler si identificava con lo Stato e riteneva che la sua volontà era quella del popolo in quanto si considerava un tutt'uno. A consolidare il regime contribuì anche l'azione di propaganda che mirò ad instradare la massa verso determinate idee; la propaganda venne affidata a Goebbels e condotta massicciamente da tutti gli organi di stampa e altri mezzi di comunicazione. Mirava ad educare le masse e ad instradarle nel pensiero. La popolazione fu sottoposta a questo indottrinamento e divenne riconoscente ad Hitler perché era riuscito a sollevare la Germania dal suo disastro economico. Hitler, come Mussolini, aveva installato una politica fortemente autarchica, con l'intervento dello Stato nei lavori pubblici (quindi blocco alle imprese private), nell'industria pesante e nelle infrastrutture, la concentrazione dei capitali, il blocco degli scioperi (gli operai dovevano operare portando avanti l'obiettivo di risollevare l'industria tedesca), la Germania si doveva rendere indipendente dalle importazioni producendo il proprio fabbisogno eliminando al massimo le importazioni sia di materie prime che di prodotti agricoli. Tutti i lavoratori vennero impegnati nell'industria e la disoccupazione calò drasticamente. La politica estera fu spregiudicata ed aggressiva. La Germania attraverso la firma dei patti, aveva creato una situazione di non poter divenire una potenza militare (con il Patto di Locarno), ma Hitler stravolse le regole e operò affinché il Paese si affermasse ed espandesse invadendo alcuni territori come l'Austria, non tenendo conto dei trattati internazionali. Questi Paesi erano importanti per Hitler perché erano considerati di spazio vitale e costituivano la prima tappa per una successiva espansione e unione di tutti popoli che facevano parte della stessa razza (pangermanesimo = unione di tutti Paesi della stessa razza germanica). La concezione dei rapporti tra le nazioni e popoli del nazismo si fondava sul razzismo feroce, tutti coloro che non facevano parte della razza germanica erano considerati diversi e per Hitler i diversi dovevano essere eliminati. Hitler cercò di realizzare con calma il suo progetto anche se la sua avanzata procedeva inesorabile facendo intravedere la grande potenza della Germania. 54 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Il regime dittatoriale che si era instaurato in Germania non era l'unico. Mussolini in Italia, Primo de Rivera in Spagna e altri movimenti nacquero in Paesi di stampo liberale come in Francia ed Inghilterra dove i regimi parlamentari ebbero una svolta un po' più a destra. Il nazismo, a metà degli anni ’30, diviene più aggressivo nella politica estera. Le potenze straniere accorgendosi di cosa stava succedendo in Germania cercarono di risolvere il problema diplomaticamente senza bloccare Hitler perché pensarono che attivare una nuova guerra, con il ricordo della precedente, non sarebbe stato opportuno. I fondamenti dell'ideologia nazionalsocialista vennero elencate da Hitler stesso nel suo programma e nella sua opera “Mein Kampf” (La mia lotta) che egli dettò al suo collaboratore Hess durante la prigionia per il colpo di Stato fallito e che venne pubblicato nel 1925. Fu questa la base ideologica del nazismo. La dottrina del pangermanesimo era sostenuta da teorie genetiche basate sulla razza che costituivano l'essenza della storia della società e il principio dell'ineguaglianza, che secondo la dottrina di Hitler era esistente per natura ed era motivo per la sottomissione delle masse ai capi e per le razze inferiori a quelle superiori. Il nazismo condusse degli studi genetici (che non diedero nessun riscontro scientifico) mirati a giustificare le convizioni del Fuhrer della superiorità assoluta della razza ariana che riteneva l'unica ad aver portato avanti il progresso dell'umanità e, quindi la sua purezza che doveva essere assolutamente preservata dagli inquinamenti. Hitler era dell'idea che lo Stato germanico stesso dovesse attuarsi al processo di purificazione mettendo in pratica l'eliminazione di tutte le razze impure. La popolazione a cui venne indirizzato il massimo intento purificatore fu quell'ebreo che era all'origine, secondo il nazismo, di tutti i mali del mondo compresi quelli della Germania. Hitler vedeva l'ebraismo come una malattia da cui discendevano le idee come il liberismo, il marxismo, la democrazia ecc. che doveva essere estirpata. La persecuzione divenne legge quando vennero promulgate le "Leggi di Norimberga" il 15 Settembre del ’35. Con questi provvedimenti di ebrei furono privati della cittadinanza tedesca, non poterono sposarsi con cittadini tedeschi e dovevano essere identificati con la "stella di David". La notte tra il 9 e il 10 Novembre del ’38, con il pretesto dell'accusa per l'omicidio Parigi di un diplomatico nazista da parte di un giovane ebreo, si avviò in Germania e in molte altre città la devastazione dei negozi, delle sinagoghe e delle abitazioni di ebrei ("La notte dei cristalli"). In quella notte si diede avvio all'eliminazione di migliaia di persone. L’odio trovò fondamento anche nelle ragioni materiali dettate dalla ricchezza e dell'affermazione degli ebrei nella società. Eliminando gli ebrei, i nazisti riuscirono a mettere mano ai patrimoni di questo popolo. Questi cittadini scacciati dal Paese o eliminati vennero depredati dei loro averi. La popolazione tedesca in parte era stata indottrinata dall'ideologia nazista e, in parte, non si rendeva conto di cosa stava accadendo. Per questo motivo i tedeschi assistevano inerti a quei tragici eventi. VERSO IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE In Austria il cancelliere Dollfuss era salito al potere imponendo un regime totalitario ma si era ritrovato a contrastare l'intento di annessione dell'Austria da parte della Germania di Hitler. L'omicidio di Dollfuss fece precipitare il paese nel caos facilitando le intenzioni del Fuhrer. Altri regimi totalitari del periodo furono quelli della Penisola balcanica, Jugoslavia, Grecia, Ungheria, Bulgaria e Polonia. Anche le regioni baltiche, la Finlandia e la Romania ebbero dei governi autoritari ma il fenomeno più somigliante al fascismo si ebbe nella penisola iberica dove in Portogallo s'instaurò la dittatura di Antonio de Oliveira Salazar che mantenne il potere per 35 anni. La Spagna in quegli anni, rispetto agi altri paesi europei, si ritrovava in una situazione di grande arretratezza, i grandi sforzi sostenuti la misero in condizione di divenire un paese all'avanguardia e questo fu dovuto all'intento di ricostruirsi e di liberarsi di un passato dittatoriale scomodo che l'aveva relegata ai margini. La grave situazione economica provocata dalla monarchia sostenuta dai conservatori e dai reazionari non cercò di modernizzare il paese (è riconducibile la questione meridionale italiana ai tempi dell'occupazione spagnola). Per osteggiare i movimenti democratici e socialisti i conservatori appoggiarono il colpo di Stato del generale Miguel Primo de Rivera che instaurò un regime dittatoriale. Dopo aver conseguito il successo elettorale nel 1931 venne deposto il re e fu proclamata la Repubblica. Durante il biennio rosso (spagnolo) vennero fatte alcune riforme, tra cui quella agraria, ma alcune forze reazionarie di destra crearono la Falange española (simili ai nostri Fasci di combattimento) che nelle lezioni del ’33 ottenne grande successo. Si formò così un governo reazionario, dal 1933 al 1935 (biennio nero) che smantellò le precedenti riforme fatte. Nel 1936 i Repubblicani antifascisti decisero di superare le posizioni e di allearsi con il Fronte Popolare e ottenendo una maggioranza schiacciante diedero vita ad un nuovo governo ma il paese divenne ingovernabile e il generale dittatore Francisco Franco, appoggiato dalla Falange, dai militari e dai nazionalisti prese il controllo del paese dando inizio alla guerra civile. Mentre la Germania e l'Italia appoggiavano e aiutavano Franco, le democrazie occidentali, anziché intervenire, cercarono di non essere coinvolte nei fatti. 55 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Molti volontari europei e americani cercarono di sostenere gli sforzi dei repubblicani del Fronte Popolare ma ottennero scarsi risultati nei confronti della Falange e di Franco che ottenne una vittoria schiacciante nel 1939. Il Giappone, durante la Prima Guerra Mondiale, aveva visto crescere il proprio prestigio instaurando un regime autoritario ed imperialista sostenuto dall'imperatore Hirohito. Nel 1931 il Giappone occupò i territori cinesi della Manciuria che non erano sufficientemente controllati dal governo cinese per gli scontri tra Mao Tse Tung e Chiang Kai Shek che avevano interrotto i rapporti con i cosiddetti Signori della guerra e avevano condotto la Cina ad una guerra civile. I comunisti incalzati da Chiang Kai Shek si spostarono nella regione del Chiang dove fondarono la Repubblica Comunista Cinese con un regime totalitario simile a quello sovietico. Di fronte alla minaccia giapponese però i nazionalisti e i comunisti cinesi rinunciarono alle loro ostilità e reagirono in comune accordo nel 1937. Nominato cancelliere Hitler mostrò il suo vero volto aggressivo verso tutta l'Europa. Nel 1933 la Germania si ritirò dalla Società delle Nazioni e, in seguito alla riannessione dei territori della Saar, Hitler potenziò l'esercito e si riarmò. Nel Marzo del 1936 incominciò ad occupare i territori della Renaria in aperta violazione dei trattati di Versailles. L'Inghilterra alla Francia non capirono la gravità del problema limitandosi a condannare l'azione tedesca ma non intraprendendo nessuna azione. L'alleanza tra Hitler e Mussolini, avvenuta sempre nel ’36 e dovuta all'isolamento di Mussolini per l'azione colonialistica, si ritrovò ad avere il sostegno del Giappone, che era uscito anch'esso dalla Società delle Nazioni. Pochi anni dopo il Giappone aderì all'Asse Roma-Berlino trasformandosi nel 1937 dell'Asse Roma-Berlino-Tokio. La Francia e l'Inghilterra si limitavano ad osservare i cambiamenti in atto in Europa senza intervenire ma Hitler non si fermò con i suoi intenti e nel 1938 occupò l'Austria che venne annessa alla Germania in seguito ad un plebiscito. Nel 1939 invase la Cecoslovacchia per annetterne i territori e le popolazioni dei Sudeti di origine ariana. Nel 1939 Mussolini, di sua iniziativa, occupò l'Albania. Poco tempo dopo Hitler rivendicò dalla Polonia il corridoio di Danzica (conteso anche dalla Russia perché sbocco verso il Mar Baltico). A questo punto i paesi democratici europei si resero conto che era arrivato il momento di intervenire e stipularono una serie di trattati con gli Stati confinanti con la Germania in modo da limitare le proprie mire di espansione. Dopo il 22 Maggio del 1939 l'Italia firmò il Patto d'acciaio che impegnava l'Italia e la Germania ad aiutarsi in caso di guerra. Nell'Agosto del 1239 la Germania sottoscrisse un patto di non aggressione con la Russia, il Patto Molotov-Ribbentrop (dal nome dei ministri degli esteri dei due paesi) che stipulava la divisione della Polonia in caso di vittoria tedesca. Questo patto era nato dalla necessità della Germania di proteggersi dall'eventuale presenza ostile alle proprie spalle della Russia e dal desiderio di Stalin di avere uno sbocco sul mare per il proprio paese e di gestire un periodo di tregua per un programmato riarmo da impiegare in un'eventuale guerra contro la Germania. IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE Il 3 Settembre del 1939 è considerato l'inizio del secondo conflitto mondiale perché Hitler, avendo avanzato delle richieste inaccettabili nei confronti della Polonia, attirò l'attenzione delle altre potenze mondiali. I tempi ormai erano già troppo avanzati e dopo il patto con la Russia, Hitler capì che era il momento adatto per entrare in azione. Il 1 Settembre 1939, alla scadenza di soli sette giorni di questo patto, Hitler ordinò alle sue truppe di invadere il territorio polacco. Da quel momento tutti tentativi furono vani. L'appello di Papa Pio XII, il messaggio del presidente Roosevelt e l'invito di Mussolini a soprassedere nell'intento di invadere la Polonia non diedero effetto. Hitler da molti anni aveva perseguito l'intento di riarmare la Germania e fu irremovibile su questa decisione. Francia e d'Inghilterra, sulla base del trattato di alleanza che era stato stipulato con il governo polacco, dichiararono aperte le ostilità. Il 5 Settembre USA e Giappone proclamarono la loro neutralità, l'Italia anch'essa decise di rimanere fuori dal conflitto dichiarandosi non belligerante. I nazisti avanzarono verso la Polonia con una quantità di mezzi inverosimile, impiegando corazzate e aerei in grado di condurre una guerra mirata e rapida, colpendo di sorpresa e occupando i territori. La popolazione civile fu messa a dura prova da continui bombardamenti con migliaia di morti, a ciò si aggiunse l'attacco delle armate sovietiche il 17 Settembre 1939 che avanzarono verso il confine polacco. L'esercito polacco asserragliato, dopo un mese, dovette arrendersi e la Polonia vide il suo territorio diviso tra i due contendenti. Hitler propose alla Francia e all'Inghilterra una convocazione di Alleanza di Pace ma le due potenze non accettarono. In base agli accordi segreti tra Germania e Urss, dopo due mesi, l'esercito sovietico controllò le piccole repubbliche baltiche dell'Estonia, Lettonia e Lituania e attaccò la Finlandia a cui espropriò il 12 Marzo del 1940 alcuni territori mentre la guerra, per un breve periodo, si spostò dalla Polonia alla penisola scandinava. Nella primavera del 1940 Hitler, per assicurarsi l'approvvigionamento di materie prime e nuove basi di attacco contro l'Inghilterra, si impadronì in maniera fulminea, della Danimarca e della Norvegia. 56 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA Nel fronte occidentale i tedeschi e francesi si combatterono arroccati dietro le linee di fortificazione denominatesi Sigfrido e Maginot. La linea Maginot si estendeva per quattrocento km, da Lussemburgo sino alla Svizzera, ed era stata già costruita e usata dai francesi nella Prima Guerra Mondiale. Questi primi mesi di conflitto furono caratterizzati da un'apparente tranquillità, la Francia la ritenne una guerra anomala ma il 10 Maggio del 1940 l’armata tedesca, violando il patto di neutralità con Olanda, Belgio e Lussemburgo, invase questi paesi aggirando a nord la linea Maginot. Con imponenti mezzi a disposizione i tedeschi riusciranno ad entrare in Francia e ad occuparla tra Namur e Sedan. Tutta la costa della Manica venne invasa dalle truppe tedesche e il contingente francese venne decimato. I militari francesi superstiti dovettero imbarcarsi velocemente a Dunkerque retrocedendo in patria a bordo di piccole imbarcazioni. L'Italia, che aveva dichiarato la propria non belligeranza, aveva riscosso il bene placido del Pontefice e del popolo che sposava le idee pacifiste. L'idea di non entrare in guerra di Mussolini aveva incontrato opinioni favorevoli ma era in realtà indotta dalla non preparazione militare dell'Italia e dai timori di un confronto diretto con la Germania. Con l'entrata in Francia di Hitler, il regime cambiò precipitosamente idea sperando di trarne qualche vantaggio e il 10 Giugno 1940 l'Italia dichiarò guerra alla Francia e all'Inghilterra. Quattro giorni dopo i tedeschi entrarono a Parigi costringendo la Francia a chiedere l'armistizio che fu firmato il 2 Giugno 1940 dal nuovo capo del governo francese, il vecchio maresciallo Henri Pétain, il quale lo firmò in cambio del consenso ad una Repubblica gestita da un approssimativo governo guidato da Pétain e con capitale a Vichy. La Francia di Vichy si diede un'impronta autoritaria, filonazista e collaborazionista. Oltre la Francia a nord, invasa dei tedeschi, e quella a sud, collaborante con i nazisti, vi era anche una Francia che faceva una scelta opposta. Il 18 Giugno 1940 il generale Charles de Gaulle, da Londra, incominciò a lanciare il primo appello ai francesi per organizzare la resistenza. Il 24 Giugno anche l'Italia firmò l'armistizio con la Francia, dopo aver occupato, con grosse perdite del nostro esercito, alcuni territori di scarsa importanza. Hitler cercò di consolidare i risultati ottenuti avanzando una proposta di pace all'Inghilterra, però questa non cedette all’offerta di Hitler, anche perché fortemente appoggiata in quest'intento dal nuovo primo ministro inglese Winston Churchill. La Germania, non ottenendo la pace, continuò la sua guerra progettando uno sbarco in Gran Bretagna attraverso la Manica (quella che venne definita "Operazione Leone Marino"). La Germania prima di procedere dovette preparare quest'operazione e Hitler capì che, per battere l'Inghilterra, doveva neutralizzare gli aerei della Raf (Royal Air Force) che erano molto potenti e validi. L'8 Agosto 1940 Hitler diede inizio alla Battaglia d'Inghilterra cercando di bombardare a tappeto tutte le installazioni militari delle più importanti città inglesi con gli aerei della Luftwaffe. I bombardamenti della forza aerea tedesca raggiunsero in parte questo scopo ma il popolo inglese, e la sua aviazione, non si abbatterono e continuarono nella resistenza con rifornimenti di mezzi provenienti dalle colonie inglesi e grazie agli ottimi rapporti commerciali con gli Stati Uniti. Già nell'Ottobre 1940 quest'offensiva venne abbondantemente ridimensionata, Hitler perse più di 3000 aerei e rinunciò all'ambizioso piano di concludere prima dell'inverno quella che, secondo lui, doveva essere una guerra lampo. Nella riuscita di questa offensiva ebbero particolare importanza i radar utilizzati dalle truppe inglesi che riuscirono per tempo a localizzare le flotte aeree tedesche e a respingere i loro attacchi. Contemporaneamente ai bombardamenti delle città inglesi, in Africa e nel Mediterraneo, incominciò l'offensiva italiana attraverso i canali di Sicilia e Suez. Vi furono numerose incursioni aeree sull'isola di Malta, che era una colonia inglese, e un duplice attacco sul continente africano, nella Somalia orientale che si concluse con la conquista della Somalia britannica, e della Libia, che portò all'occupazione di alcune importanti zone al confine con l'Egitto. In questi mesi il Patto d'Acciaio tra Germania e Italia venne esteso al Giappone istituendo il Tripartito (Asse Roma-Berlino-Tokio), il 6 Settembre 1940. Questo patto prevedeva l'impegno di queste tre nazioni di creare un ordine nuovo per il pianeta (uno scopo universalistico) che si basava sul culto della razza. In caso di vittoria di questi tre stati, essi avrebbero mirato al predominio sul mondo: il Giappone sui paesi asiatici e l'Italia e la Germania sul continente europeo. L'Italia avrebbe controllato i territori dalla Germania al bacino del Mediterraneo. Tra la fine del 1940 e l'inizio del 1941, i diplomatici tedeschi avviarono delle trattative con la Romania, Ungheria, Bulgaria, Jugoslavia e Slovacchia divenuta dopo l'occupazione di Praga, nel 1939, uno stato filonazista. Lo scopo di avviare queste trattative fu di formare una zona satellite per la Germania per poter attaccare l'unione Sovietica perché l'est europeo era considerato da Hitler come un vero e proprio spazio vitale per la Germania in quanto sottomettendo tutta la razza slava lui avrebbe potuto fare emergere la potenza della razza ariana. Naturalmente l'estendersi dell'influenza tedesca nell'Europa centrale preoccupò Stalin. Hitler per rassicurare i russi sulla stabilità del loro patto confermò la sua intenzione di rispettarlo, in realtà le sue intenzioni erano quelle di preparare un'eventuale attacco da attuare in futuro. Anche Mussolini era preoccupato delle iniziative tedesche e il patto garantiva la possibilità di non incorrere in una guerra con un nemico più potente. Per non sminuire nei confronti dell'alleato, l'Italia decise di intraprendere una guerra parallela. Il 28 Ottobre 1940 (data scelta perché anniversario della “Marcia su Roma” del 1922) l'Italia attaccò la Grecia occupando prima l'Albania. Quest'offensiva, preparata male ed in tutta fretta, vide presto la disfatta degli aggressori, con un'abbondante perdita di uomini e mezzi, mentre i greci erano stati riforniti dagli inglesi. La Grecia riuscì a far retrocedere le truppe italiane e penetrò nei territori dell'Albania. Hitler fu costretto a giungere in soccorso dell'Italia sia per sminuire la perdita di prestigio 57 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA italiana che per evitare l'organizzazione della controffensiva inglese. Dopo aver occupato la Jugoslavia gli inglesi entrarono in Grecia e la costrinsero alla resa nel 1941. La stessa sorte toccò all'isola di Creta che era rimasta sotto il controllo inglese per alcuni mesi, i quali l'avevano trasformata in un avamposto. Altri interventi italiani in Africa non volgevano a esito positivo, ci furono delle perdite pesanti inflitte dagli inglesi alla flotta italiana a Taranto e in Grecia. Gli inglesi, in Africa, avanzando verso l'Egitto riuscirono ad entrare in Libia e conquistarono la Cirenaica. Nel 1941 Hitler inviò in aiuto alle truppe italiane, che stavano combattendo in Africa, un contingente ben armato e costrinse gli inglesi ad abbandonare la Cirenaica e a ritirarsi oltre il confine egiziano. Un altro contingente inglese aveva occupato intanto la Somalia, l'Eritrea e l'Etiopia (dove venne rimesso sul trono il negus Hailé Selassié al posto del duca d'Aosta Amedeo di Savoia). Il colonialismo italiano volse al tramonto. Intanto Hitler aveva conquistato parecchi territori nei Balcani cercando di avvicinarsi verso l'Unione Sovietica che era sì sua alleata ma solo per convenienza. Il 22 Giugno 1941 Hitler diede il via all'“Operazione Barbarossa, riportando il suo esercito al confine con l'Unione Sovietica per entrare in essa e conquistarla. L'intento di Hitler era quello di colpire la Russia in brevissimo tempo per poi indirizzare la sua azione bellicosa verso l'Inghilterra ma questo piano mostrò diverse problematiche. Hitler era forte della sua preparazione militare e dei suoi mezzi e nel 1941, oltre alle truppe tedesche, fu inviato un contingente italiano di 60.000 uomini che nel 1942 divenne l'Armata italiana in Russia e che successivamente aumentò il proprio numero a 200.000 unità. L'avanzata delle truppe tedesche e italiane prese alla sprovvista la Russia che si trovò impreparata per cui gli invasori riuscirono ad impadronirsi di numerosi territori da cui traevano i sostentamenti (il grano del Ucraina e il petrolio del Caucaso, ad esempio). Le truppe si avviarono verso Leningrado per avvicinarsi alle rive del fiume Donez ma, non potendo la Russia ostacolare l'avanzata dei nemici (com'era già successo con le truppe napoleoniche) cercò di rendergli difficile l'intento organizzando la resistenza ed eliminando tutte le materie prime che avrebbero fornito sostentamento ai nemici. L'azione di temporeggiamento e indebolimento utilizzata dalla Russia vide l'aiuto dell'arrivo precoce dell'inverno con un clima insostenibile già a metà ottobre. La breve durata della guerra ipotizzata da Hitler si trasformò in un lungo conflitto, in quel periodo di tempo prolungato l'armata russa riuscì ad organizzarsi. I russi fecero anche affidamento sugli aiuti che provenivano dagli Stati Uniti, che in un primo momento avevano pensato di non intervenire e fornire nessun aiuto, con una politica di tipo isolazionista. Il 10 Marzo 1941 la proposta del presidente Roosevelt, che era stato eletto al suo terzo mandato, di affittare o imprestare mezzi e materie di prima necessità a paesi europei che ne avessero fatto richiesta per ostacolare l'avanzata di Hitler, dietro un ritorno di interessi per gli USA, furono di grande aiuto per Francia ed Inghilterra. Il 14 Agosto 1941 Roosevelt e Churchill si incontrarono al largo dell'isola di Terranova per firmare la Carta Atlantica, dove venivano fissati alcuni punti fondamentali di un programma che potesse servire a sconfiggere il nazismo. Il 21 Gennaio 1942 venne firmata a Washington da Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Cina e altre 20 nazioni la Dichiarazione delle Nazioni Unite (versione primitiva dell'organizzazione ONU). Dall'altro lato del Pacifico era cresciuta la potenza del Giappone, il cui intento era la costituzione di una grande Asia sotto il suo dominio, combattendo i comunisti di Mao Tse Tung e i nazionalisti. Il Giappone, nel 1940, era già riuscito a conquistare alcune colonie dell'Indocina minacciando di espandersi verso le Indie orientali olandesi (attuale Indonesia) per circondare da sud la Cina e minacciare anche il Pacifico orientale dove gli Stati Uniti avevano degli interessi. Gli Stati Uniti chiaramente non furono disponibili a subire quest'espansionismo e interruppero la fornitura di acciaio e petrolio al Giappone provocando la decisione di intervenire del paese nipponico. Il 7 Dicembre 1941 vi fu l'attacco della base americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, che provocò forti perdite della flotta americana. L'improvviso attacco provocò la risposta degli Stati Uniti facendo assumere al conflitto un aspetto ampliato. Con l'ingresso in guerra degli Stati Uniti vi fu un cambiamento dell'atteggiamento militare delle nazioni del tripartito (Germania-Italia-Giappone) che decisero di accelerare l'offensiva. I giapponesi, da parte loro, sfruttando la sorpresa e la loro preparazione militare, riuscirono ad ottenere una serie di vittorie e occupare le zone più importanti dell'estremo oriente fronteggiando l'India, la Nuova Guinea e l'Australia. In Occidente vi furono altri successi dell'Asse in Africa mentre l'esercito tedesco avanzava in Russia arrivando a Stalingrado. Questo fu il momento più critico della guerra per gli alleati (Francia-Inghilterra-Stati Uniti) ma i nuovi successi dell'Asse avevano consentito un allargamento territoriale e determinato l'allontanamento delle truppe delle basi di partenza per cui, trovandosi distanti dai posti di rifornimento i contatti divennero sempre più difficili. Gli alleati, invece avevano avuto il sostegno degli Stati Uniti che si rivelò fondamentale; in tempi brevi e con un sforzo produttivo di Stati Uniti riuscirono a mobilitare in Europa 14 milioni di uomini, inviare quantitativi enormi di derrate alimentari, medicinali, munizioni e tutto ciò che serviva per lo scontro armato. Come risposta la Germania diede vita ad una guerra sottomarina combattendola su vasta scala e indirizzata verso le navi che rifornivano gli alleati. Gli Stati Uniti si trovarono con delle perdite superiori rispetto le merci che inviava effettivamente in aiuto e verso la fine del 1942 la guerra sottomarina risultò molto dispendiosa per gli Stati Uniti perché, alla perdita delle navi, andavano sommate le distruzioni delle città degli stati alleati 58 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA in Europa provocate dall'aviazione tedesca. L'intento degli alleati di contrastare il nazismo non venne meno e a favore tra gli alleati vi furono delle battaglie importantissime in Russia che si risolsero a loro favore. Stalingrado, città di importanza strategica perché polo industriale russo situata tra il Don e il Volga, vide le prime occupazioni tedesche nel Luglio del 1942 che provocarono battaglie urbane sostenute dai cittadini casa per casa. I russi riuscirono a resistere a questo assedio per 80 giorni creando le premesse per la resa tedesca. Quando le armate sovietiche scatenarono la controffensiva nel Novembre del 1942 le truppe tedesche erano molto provate per la fame e freddo e nel giro di qualche settimana la Sesta Armata tedesca si ritrovò da invasore ad assediata nella sacca territoriale di Stalingrado. Hitler ordinò la resistenza ad oltranza e solo nel Febbraio del 1943 il comandante Friedrich von Paulus fu costretto ad arrendersi perché 230.000 soldati tedeschi morirono o furono fatti prigionieri dai russi. Questa disfatta segnò una svolta mondiale e rianimò le nazioni minacciate dalla potenza di Hitler. Nel Marzo del 1943 tutte le armate tedesche furono respinte al di là del Don con la conseguente ritirata. Quest'avvenimento coinvolse particolarmente l'Italia perché molti soldati che erano stati inviati in questa guerra non fecero ritorno. L'intento degli Stati Uniti di bloccare Hitler non aveva distolto però dall'intenzione di bloccare anche il Giappone, che nel frattempo si era impadronito di vasti territori, e tra le numerose battaglie sono da ricordare quelle delle Midway, nel 1942, e di Guadalcanal, nel 1943. In Africa settentrionale gli inglesi erano riusciti ad entrare nel fronte nemico a El-Alamein mentre gli americani sbarcarono in Marocco ed in Algeria dove le truppe francesi fedeli al governo di Vichy offrirono una debole resistenza. Per l'asse si delineò una situazione negativa per cui si decise di non protrarre i combattimenti con la definitiva capitolazione nel Maggio del 1943 delle truppe italo tedesche in Africa settentrionale che passò in mano agli alleati. Nel Gennaio del 1943 Roosevelt e Churchill si incontrarono in Marocco nella Conferenza di Casablanca per aprire un altro fronte in Europa e permettere una temporaneo momento di ripresa per le truppe di Stalin. Il momento venne considerato ideale perché l'Africa poteva costituire un'ottima base dove far partire l'invasione per ostacolare le truppe tedesche. Gli angloamericani scelsero l'obiettivo di attaccare l'Italia che non riusciva più a gestire un conflitto militare per le ingenti perdite. Mussolini non deteneva più l'appoggio della popolazione e degli altri settori come la monarchia, l'esercito. Il fascismo avevano compreso che l'accordo con la Germania aveva prodotto solo effetti negativi e l'unico modo per uscirne era sganciarsi dall'Asse. Nel Marzo 1943, per opporsi a Mussolini, furono indetti numerosi scioperi nelle città del nord che erano state già bombardate dagli alleati. Dopo le decisioni di Casablanca, il 10 Luglio, furono invase l'isola di Pantelleria e le truppe alleate sbarcarono in Sicilia con 13 divisioni angloamericane che ebbero la meglio sui tedeschi. Gli alleati, per farsi breccia in Italia, bombardarono anche Roma e Frascati che erano sedi del comando tedesco in Italia; per la prima volta il 19 Luglio 1943 Roma venne colpita e fu particolarmente elevato il numero delle vittime civili nel quartiere San Lorenzo. Tra il 24 e il 25 Luglio il Gran Consiglio del fascismo, dopo una drammatica seduta, approvò un ordine del giorno che stabiliva di ripristinare lo Statuto Albertino (che era stato modificato da Mussolini) dove il re diventava nuovamente il capo de le forze armate (e che di conseguenza decretava la prossima fine di Mussolini e del regime). Il 25 Luglio il re Vittorio Emanuele III convocò Mussolini e lo obbligò alle dimissioni, al termine di questa convocazione Mussolini venne arrestato e la reazione del popolo fu entusiasta. La fine della dittatura fu rapida e riscosse ampiamente il successo delle masse perché stremate, Mussolini non oppose resistenza e tutti i detenuti che erano stati imprigionati dal regime vennero liberati e ripresero la loro attività. Gli italiani si trovarono di fronte la convocazione di un nuovo governo e il nuovo primo ministro, designato dal re, fu il maresciallo Pietro Badoglio, che aveva precedentemente appoggiato il fascismo e i militari. Nel suo messaggio alla Nazione annunciò agli italiani la ripresa delle ostilità dell'Italia verso tutti territori che l'avevano vista impegnata. Nei giorni seguenti il nuovo governo prese contatti con gli alleati, che avevano intanto completato l'occupazione della Sicilia, per trattare una pace separata per uscire dal conflitto. I tedeschi capirono le intenzioni del governo italiano e inviarono numerosi contingenti nella penisola attraverso il passo del Brennero. Il 3 Settembre 1943 fu firmato, nei pressi di Siracusa, un armistizio con gli angloamericani che venne reso pubblico formalmente l'8 Settembre. La comunicazione fu ambigua e gli eserciti non ricevettero ordini ben precisi, l'Italia precipitò in un caos generale e, all'alba del 9 settembre, il re e il maresciallo Badoglio abbandonarono la capitale e si rifugiarono presso gli alleati a Brindisi. Questo vuoto di potere generò una mancanza di direzione nell'esercito che non seppe come agire. Di questo momento di debolezza ne approfittarono i tedeschi per controllare il Nord e il centro dell'Italia non erano ancora occupati dagli alleati, molti soldati italiani senza guida gettarono la divisa e cercarono di tornare alle proprie case, confondendosi con i civili, per evitare di essere presi dai nazisti. I tedeschi fecero scattare il “piano Alarico" in previsione dello sbarco alleato sulle coste italiane e il 10 Settembre i tedeschi completarono l'occupazione di Roma nonostante i vani tentativi dei nostri militari di difendere la capitale. Alcune guarnigioni, che erano rimaste senza guida, cercarono di resistere ma vennero sconfitte dei tedeschi come era già successo nell'isola greca di Cefalonia, per cui i soldati vennero catturati e deportati nei campi di concentramento. Il 12 Settembre un 59 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA gruppo di paracadutisti tedeschi liberò Mussolini, che era prigioniero a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, e lo condussero in Germania. Trovandosi alla mercé di Hitler, Mussolini portò avanti i suoi intenti di riprendere il conflitto al fianco dei tedeschi e proclamò nel Settembre 1943 la Repubblica Sociale italiana (detta Repubblica di Salò per il nome della cittadina sul Lago di Garda), cui aderirono molti fascisti. La Repubblica Sociale italiana voleva essere una continuazione del fascismo e, soprattutto, vendicarsi contro il re e coloro che avevano tradito Mussolini che riprendeva una posizione repubblicana con una parte del programma di San Sepolcro per cercare di portare verso le sue fila i fedeli al regime. Fu una fase di conflitto estenuante per il nostro paese perché i territori vennero divisi tra coloro che non volevano più saperne del fascismo e coloro che vi avevano aderito. Da una parte vi erano i repubblichini (coloro che avevano aderito alla Repubblica di Salò), schierati con i tedeschi, e dall'altra i partigiani. Il conflitto assunse due connotati: quello statale, tra gli alleati e i tedeschi, e quello di guerra civile tra i fascisti e gli antifascisti. La Repubblica Sociale italiana, per combattere al fianco dei tedeschi, cercò di riorganizzare l'esercito al comando di Rodolfo Graziani, che aveva già condotto le truppe fino alla sconfitta in Libia nel 1941, a cui si unirono gruppi di volontari. Furono molti quelli che decisero di non voler aderire a questa leva e decisero di schierarsi con i partigiani. La maggior parte di queste formazioni era collegata alle forze politiche in campo (partiti democratici antifascisti) che si erano organizzati nei 45 giorni precedenti l'8 Settembre. Dopo la liberazione avevano costituito il Comitato Nazionale di Liberazione con la presidenza di Ivanoe Bonomi (CLN che era costituito da Clnai, Comitato di Liberazione nazionale alta Italia con sede nella Milano occupata, e dal Clnc, Comitato di liberazione nazionale centrale). Questo comitato ebbe il compito di dare un'organizzazione alla guerra partigiana e nel corso di 20 mesi riuscì a organizzare quella lotta che era stata prima spontanea e condotta da gruppi di volontari non preparati. L'intento principale del CLN fu di riformare lo Stato italiano su basi democratiche. I partiti che facevano parte del CLN provenivano dalle più svariate formazioni: il Partito comunista, le Brigate Garibaldi, il Partito d'azione, le Brigate giustizia e libertà, il Partito socialista e la Democrazia Cristiana. Altri gruppi che si unirono di lì a poco al CLN furono quelli di ufficiali e soldati dell'ex regio che si erano riconosciuti nel governo di Badoglio. Anche il governo Badoglio si schierò contro l'occupazione nazista proclamando la decadenza della vecchia alleanza con Hitler e dichiarando ufficialmente guerra alla Germania il 13 Ottobre 1943. Con questa decisione, l'Italia, che forniva le truppe regolari, venne riconosciuta dagli alleati una nazione co-belligerante (non alleata ma che si univa ai compartimenti). Gli alleati erano riusciti a risalire la penisola dalla Calabria e, occupata Salerno, si avviarono verso Napoli che insorgeva spontaneamente dopo quattro giornate di lotta (Napoli rappresentò la prima città che si oppose ai tedeschi in tutta Europa). La guerra di movimento sul fronte italiano degli italiani si arrestò per il pericolo che i tedeschi attuassero qualche azione di forza nei loro confronti e per alcuni mesi si fermarono sulla linea di difesa detta "Gustav" che andava dal confine tra la Campania e il Lazio fino alle foci del fiume Sangro, con caposaldo la città di Cassino. All'inizio del 1944 gli angloamericani tentarono lo sbarco alle spalle della linea Gustav, ad Anzio, ma vennero fermati dai reparti tedeschi che erano sopraggiunti in tutta fretta e ciò causò un ulteriore blocco all'avanzata. Nel 1944 un congresso dei Partiti antifascisti chiese l'abdicazione del re Vittorio Emanuele III, che venne ritenuto responsabile di quello che era successo nel nostro Paese, in favore del re Umberto I. Questa linea venne appoggiata anche dai liberali, dai democratici cristiani e dagli alleati mentre i comunisti, i socialisti e partiti d'azione volevano che si abolisse immediatamente la monarchia. In questa situazione fu decisiva la scelta di Palmiro Togliatti, leader del Partito comunista, che era rientrato in Italia dall'Urss dopo essere stato esiliato per 18 anni, che offrì un appoggio al governo Badoglio purché questo governo fosse aperto alle decisioni di tutti i partiti del Cln. Questa iniziativa, che venne chiamata "la svolta di Salerno" rese possibile l'accordo del 12 Aprile 1944. In base a questa decisione il re si impegnava a nominare come suo successore il figlio Umberto, luogotenente del regno, e a rimandare la scelta tra monarchia e Repubblica ad un referendum popolare che si doveva tenere alla fine della guerra. Fu così che si costituì a Salerno un governo di Unità Nazionale, posto sotto la direzione di Badoglio, mentre fu ufficialmente riconosciuto il Clnai, con sede clandestina a Milano che ebbe per delega i poteri del governo nella conduzione della guerra dell'Italia occupata dai nazifascisti. Nella primavera del 1944 riprese l'avanzata degli alleati, che entrarono a Roma il 4 Giugno. Nello stesso giorno Umberto di Savoia venne nominato luogotenente generale del regno mentre il generale Badoglio venne sostituito dal presidente del Cln Ivanoe Bonomi, rappresentante dell'antifascismo moderato. Bonomi rimase in carica fino al 1945, perché appoggiato anche dagli alleati che favorirono la militarizzazione dei partigiani attraverso l'istituzione del "Corpo volontari della libertà" sotto il comando militare del generale Cadorna. Gli americani avanzarono verso nord, i primi giorni di Agosto giunsero a Firenze e si trovarono, per la prima volta, a confrontarsi con il Cln locale che aveva organizzato un governo autonomo e che avrebbe collaborato con gli americani per respingere i tedeschi. 60 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA L'avanzata alleata fu di nuovo bloccata in Settembre, quando venne raggiunta la "linea gotica", linea preparata dai tedeschi che correva dal Tirreno all'Adriatico partendo dalla provincia di Massa Carrara e raggiungendo Pesaro, attraverso le Alpi Apuane e l'Appennino tosco-emiliano. Da quel momento l'Italia fu divisa in due zone, per le regioni settentrionali e la popolazione civile l'inverno fu veramente lungo e tragico per il freddo, la fame e i continui bombardamenti e le violenze. In Italia la guerra durò a lungo perché gli alleati pensarono che il fronte aperto in Italia era di secondaria importanza dal punto di vista strategico mentre ritenevano che fosse molto più importante entrare nella Francia meridionale. Per occupare la Francia era già stata decisa una strategia nel 1943, in un congresso tenuto a Teheran con la presenza di Roosevelt, Churchill e Stalin. In quest'incontro le guide di queste grandi potenze pensarono che fosse necessario arrivare il più presto possibile all'eliminazione del nazifascismo. Stalin era dell'idea di aprire un altro fronte a ovest in modo che gli angloamericani non avessero cercato una pace separata con Hitler a discapito dell'Urss e quindi si impegnò a sostenere gli alleati con una controffensiva da est in modo da stringere, come in una morsa, la Germania prendendola tra due fuochi. Contemporaneamente Stalin ottenne dagli americani che l'Urss avrebbe conservato i territori occupati della Polonia e delle regioni baltiche, in base a quel patto che era stato fatto con Hitler nel 1939. Il progetto di invasione della Francia, chiamato "operazione Overlord", doveva essere attuato nel MaggioGiugno del 1944. Il 6 Giugno, due giorni dopo la liberazione di Roma, gli alleati effettuarono lo sbarco (meglio conosciuto come "lo sbarco di Normandia") a Cherbourg. Grazie al valore delle truppe, all'organizzazione e ai mezzi messi a disposizione, riuscirono a piegare i tedeschi che si erano posizionati lungo la linea della Manica, il cosiddetto "Vallo Atlantico". Nel giro di 10 giorni i tedeschi si trovarono di fronte ad 1 milione di uomini e 300.000 mezzi e corazzate e furono sottoposti ad una battaglia estenuante, sia da terra che da mare. Nel mese di Agosto un altro sbarco in Provenza contribuì a far crollare la resistenza dei reparti tedeschi anche grazie alla partecipazione dei ben organizzati partigiani francesi. Nel Settembre del 1944 la Francia fu liberata. Affidata ad un governo guidato dal generale De Gaulle rientrato trionfalmente a Parigi dal 26 Agosto come liberatore. Contemporaneamente sul fronte orientale l'armata Rossa, che dopo Stalingrado era riuscita a rispondere ai tedeschi, era giunta ai confini con la Polonia e iniziò a liberare gli Stati baltici. In questo periodo la Germania si trovò veramente in crisi, tutte le controffensive ordinate da Hitler erano fallite. Il Fuhrer non riuscendosi più a porre in prima persona per risolvere la situazione, rimase chiuso nel quartiere generale di Rastenburg dove, il 20 Luglio 1944, sfuggì ad un attentato dinamitardo organizzato dal colonnello Klaus von Stauffenberg insieme ad altri ufficiali. In pochi mesi la Germania finì sempre più sotto assedio, dal Luglio all'Ottobre 1944 si arresero la Romania, l'Ungheria e la Bulgaria mentre la Jugoslavia riacquistava la libertà grazie alla resistenza dei partigiani guidati dal capo comunista di origine croata Josip Broz (detto Tito) che assunse la guida del governo provvisorio. Nell'Ottobre 1944 inglesi sbarcarono in Grecia ma il conflitto non si poté considerare finito anche se la Germania aveva subito una pesante perdita. Durante l'ultimo inverno di guerra Roosevelt, Churchill e Stalin si riunirono nuovamente a Yalta, una città balneare della Crimea, e nel corso di questa conferenza vennero prese alcune decisioni importanti riguardo gli assetti internazionali del mondo al termine di questa guerra con la caduta della Germania nazista. Fu stabilita l'entrata in guerra dell'Unione Sovietica contro il Giappone dopo alcuni mesi della capitolazione tedesca per chiudere velocemente il conflitto. I sovietici e gli angloamericani minacciarono da vicino i tedeschi ma Hitler sperò comunque di trovare una soluzione confidando nelle armi segrete (aeroplani a reazione e la bomba atomica). Questa speranza si rivelò illusoria perché nel 1945 gli alleati ripresero l'offensiva da tutti i fronti, gli angloamericani passarono il Reno procedendo verso il centro della Germania e dopo una serie di bombardamenti, facendo capitolare numerose città (bombardamento su Dresda), i sovietici liberarono la Polonia, occuparono la Prussia orientale e superarono l'Oder. La resistenza antinazista si concluse il 25 aprile con l'incontro delle avanguardie americane e sovietiche sul fiume Elba. Contemporaneamente l'esercito tedesco subì sconfitte sul fronte italiano perché, mentre gli angloamericani superavano la "linea gotica" e irrompevano nella pianura padana, in tutte le maggiori città del Nord il 25 aprile le forze della resistenza erano insorte liberandosi dai nazisti prima dell'arrivo degli alleati e avevano insediato tutti i governi locali istituiti dalla Repubblica di Salò con l'appoggio di Hitler. Nello stesso giorno il Clnai assunse i poteri civili e militari nelle regioni settentrionali. In alcune città, come Torino, proseguì la battaglia fino al 1 Maggio. I gerarchi della Repubblica di Salò, compreso Mussolini, cercarono di scappare verso la Svizzera ma il 27 Aprile il duce venne intercettato da una pattuglia partigiana presso Dongo, sul lago di Como, e venne riconosciuto, arrestato e fucilato insieme a Claretta Petacci ed altri gerarchi fascisti. I loro cadaveri vennero esposti a piazzale Loreto a Milano. 61 Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15 Appunti di STORIA e CITTADINANZA La resa senza condizioni delle truppe tedesche entrò in vigore il 2 Maggio. Lo stesso giorno si concludeva la battaglia di Berlino perché l'armata Rossa aveva avuto la meglio e il 25 Aprile era entrata in città. Hitler, il 30 Aprile si era suicidato nei sotterranei della cancelleria del Fuhrer e gli era succeduto l'ammiraglio Karl Doenitz che fece dei tentativi per stipulare una pace separata con gli angloamericani ma questi tentativi vennero respinti e il 7 Maggio, a Reims la Germania dovette sottoscrivere la resa incondizionata entrata in vigore l'8 Maggio. L'Europa si ritrovò devastata sotto un cumulo di rovine ma era finalmente riuscita a ritrovare la pace dopo tanta sofferenza. Dopo la resa della Germania, tra le potenze resisteva solo il Giappone che però aveva subito tante sconfitte da parte degli Stati Uniti. Nonostante queste sconfitte la sua resistenza procedeva costante utilizzando numerose flotte navali e uomini che sostenevano gli attacchi nelle isole del Pacifico centrale e sudoccidentale. Gli americani erano riusciti a conquistare le isole Marshall, delle Marianne, delle Palau e delle Filippine. L'artefice dello smantellamento delle zone occupate dai giapponesi fu il generale Douglas Mac Arthur e, a quel punto, gli americani poterono ancora sferrare un attacco dell'arcipelago giapponese all'isola di Okinawa che fu conquistata nel Giugno 1945 dopo una tremenda battaglia dove morirono 100.000 giapponesi tra i quali tanti aviatori suicidi (kamikaze). La resistenza di Okinawa confermò ancora l’ottimo stato militare del Giappone che poteva contare su tantissimi uomini; fu allora che il presidente americano, il democratico Harry Truman (già vice presidente di Roosevelt e succedutogli dopo la sua morte) decise di impiegare la bomba atomica per porre fine al conflitto con il Giappone. Il 6 agosto 1945 gli Stati Uniti lanciarono la bomba atomica sulle due importanti città giapponesi Hiroshima e Nagasaki con le disastrose conseguenze conosciute. Di fronte a queste devastazioni anche i più ostili giapponesi decisero che bisognava porre fine al conflitto e a queste tragedie, così il 1 Settembre, a bordo della corazzata "Missouri", ancorata nella baia di Tokio, il Giappone firmò la resa. La guerra si poté ritenere conclusa con il bilancio spaventoso di 55 milioni di vittime, di cui una grande quantità tra i civili. 62