Sfruttamento delle microalghe: tra realtà e prospettive

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Sfruttamento delle microalghe: tra realtà e prospettive
Xxxx Xxx
I possibili usi delle microalghe,
in particolare nel settore energetico
Sfruttamento
delle microalghe:
tra realtà e
prospettive
di Fabio Barbato,
Carlo Alberto
Campiotti, Germina
Giagnacovo,
Vito Pignatelli,
Dario Tumminelli,
Corinna Viola,
Estelle Silva Diorato
Nel panorama mondiale delle innovazioni
più promettenti per il settore delle fonti
rinnovabili di energia, un ruolo di primo
piano è ricoperto dalla valorizzazione
a fini energetici delle microalghe, con
numerosi gruppi di ricerca pubblici e
privati, impegnati a migliorare i processi
produttivi connessi alla coltivazione di questa
categoria di microorganismi acquatici e al loro
impiego per la produzione di energia e/o
biocombustibili.
Saline realizzate con bacini artificiali lungo la South Bay di San Francisco in California. Quando
l’acqua evapora, microorganismi alofili di vario tipo possono diventare predominanti nelle varie
vasche, variandone il colore. Il verde è determinato dalla presenza di microalghe della famiglia Chlorophyceae, il rosso da Dunaliella salina, membro della stessa famiglia, contenente elevate quantità
di beta-carotene ad alto valore commerciale.
[Immagine: Doc Searls, Wikipedia Commons, 2009]
Sfruttamento delle microalghe
Le microalghe destano l’interesse di numerosi gruppi di ricerca (Garofalo, 2010)
poiché presentano una serie di prerogative
molto interessanti, le quali si accompagnano, purtroppo, a diverse problematiche che
hanno a tutt’oggi impedito uno sfruttamento adeguato del loro potenziale, nonostante
diversi decenni di ricerca e sviluppo e la
relativa pubblicazione di migliaia di lavori
scientifici.
• il contenuto energetico, che può non
raggiungere livelli tali da superare le
energie spese per la loro coltivazione e
per i processi di lavorazione necessari
per il successivo utilizzo;
• il fatto di richiedere diversi raccolti,
quantitativamente ridotti, a brevi intervalli di tempo, piuttosto che uno più
abbondante limitato a una o due volte
l’anno.
Fra i principali vantaggi vengono annoverati:
• la velocità di crescita molto elevata;
• la capacità di prosperare in acque ricche di nutrienti, e quindi di contribuire a processi di depurazione di acque
reflue;
• la proprietà di assorbire CO2 insufflata
nel mezzo di coltura e di trasformarla
in materia organica;
• la possibilità di crescita anche in climi
caldi e in acqua salata, senza intaccare le risorse di acqua dolce nelle zone
dove queste sono limitate;
• la possibilità di essere coltivate in aree
marginali senza sottrarre superfici alle
colture agricole a fini alimentari o ad
altre attività economiche già insediate
nel territorio;
• la produzione di una biomassa omogenea, non suddivisa in componenti
con caratteristiche differenti, come per
le piante terrestri (semi, frutti, foglie,
fusto, radici).
Il presente articolo si prefigge di contribuire alla conoscenza delle microalghe da parte di un pubblico più vasto di quello degli
“addetti ai lavori”, soprattutto per quanto
riguarda gli aspetti legati all’energia, con
un approccio divulgativo e non eccessivamente tecnico. Verranno comunque affrontati brevemente anche aspetti più generali,
riguardanti le principali caratteristiche e
funzionibiologiche, sia nell’ambiente naturale che in quello di coltivazione, per l’utilizzo nell’ambito di iniziative commerciali
e di ricerca di vario genere.
Inoltre, si riporterà una descrizione dell’attuale “stato dell’arte” del settore a livello
globale e un quadro delle sfide future che
attendono gli sforzi dei ricercatori e degli
operatori economici interessati allo sfruttamento di questa risorsa.
Mentre le loro principali criticità sono:
• la necessità di essere separate dalla
fase liquida, dove crescono con densità piuttosto bassa;
• l’uso, per ora praticamente universale, di colture monospecifiche in cui va
evitata la contaminazione da parte di
altre specie microalgali indesiderate o
di microrganismi, insetti e uccelli che
se ne cibano o ne impediscono un corretto sviluppo;
GRUPPO
CLASSE
ESEMPI (GENERI PIÙ DIFFUSI)
Alghe azzurre
(cianobatteri)
Cyanophyceae
Arthrospira (meglio nota come
Spirulina), Nostoc, Anabaena,
Schizotrix, Microcystis
Diatomee
Cyclotella, Coscinodiscus,
Bacillariophyceae Chaetoceros, Skeletonema, Nitzschia,
Phaeodactylum
Alghe verdi
Chlorophyceae
Chlorella, Neochloris, Chlamydomonas,
Scenedesmus, Dunaliella, Tetraselmis
Dinoflagellati
Dinophyceae
Ceratium, Gymnodinium, Peridinium,
Gonyaulax
Alghe dorate
Haptophyceae
Pavlova, Isochrysis, Chrysochromulina,
Prymnesium
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Tra realtà e prospettive
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Le microalghe
Le microalghe, anche note come fitoplancton, sono organismi microscopici unicellulari che vivono singolarmente o in
colonie (catene o altri tipi di aggregati), in
acque dolci e salate. A seconda della specie, le loro dimensioni individuali possono
variare da pochi micrometri a qualche centinaia (millesimi di millimetro, 10-6 m). La
loro attività fotosintetica è fondamentale
per la vita sulla Terra, in quanto si stima che
producano il 30-50% dell’ossigeno atmosferico, assorbendo contemporaneamente
anidride carbonica, il maggiore gas ad effetto serra, per poter crescere e sintetizzare
nuova sostanza organica (biomassa).
La biodiversità delle microalghe è enorme e rappresenta una risorsa poco studiata
e sfruttata; solamente 35.000 specie sono
state descritte rispetto a quelle esistenti,
stimate essere fra 200.000 e 800.000, secondo i dati della Wageningen University.
Questi microrganismi producono comunemente numerosissimi composti bioattivi
come polisaccaridi, amido, proteine, acidi
grassi, carotenoidi, antiossidanti, enzimi,
polimeri, peptidi, tossine e steroli; costituiscono potenzialmente una rilevante fonte
di geni per percorsi di biosintesi particola-
Sfruttamento delle microalghe
ri, a volte unici.
Semplificando, senza addentrarsi troppo
nella loro complessa sistematica, si può
dire che le microalghe più utili appartengono a 5 o 6 classi principali, distinguibili
per la loro morfologia, la loro pigmentazione, il loro ciclo biologico e la loro struttura
cellulare come descritto nella tabella della
pagina precedente.
A
B
Alcune microalghe viste al microscopio ottico (ingrandimento
400X circa).
A: Diatomee di acqua dolce, in
alto Pennales sp., più in basso a
destra Centrales sp.
B: Micractinium sp.
C: Dictyosphaerium sp.
Potenzialità
delle microalghe
Funzioni nell’ambiente naturale
Le microalghe fungono da fonte energetica
primaria per buona parte degli ecosistemi
marini, in quanto costituiscono il nutrimento di numerosi animali, dal microscopico zooplancton ai molluschi e crostacei
filtratori. Tali organismi rappresentano il
successivo anello della catena alimentare e
sono poi a loro volta predati. Al fitoplancton è stata attribuita addirittura la metà di
tutta l’attività fotosintetica della Terra e, di
conseguenza, la produzione di buona parte
della nuova biomassa (sostanza organica),
con conversione dell’energia della radiazione solare in energia chimica che sta
alla base delle reti trofiche. Da rimarcare
la velocità di crescita di determinate specie
microalgali, che le pongono ai vertici della
produttività tra gli organismi fotosintetici.
Questo aspetto è riscontrabile nelle cosiddette fioriture algali, bloom fitoplanctonici,
come nel caso dei dinoflagellati, tossici per
gli animali acquatici e per l’uomo, sia per
contatto diretto che per ingestione o inalazione tramite aerosol.
Usi a scopi non energetici
Le microalghe del genere Spirulina, attualmente Arthrospira, sono state utilizzate per
secoli nell’alimentazione di alcune popolazioni africane, del lago Ciad e del Centro
America, ad esempio quelle del lago Tex21
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Tra realtà e prospettive
coco in Messico (Hendrikson, 2009).
L’interesse verso il loro uso a scopo alimentare si manifestò intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso, quando emerse la
preoccupazione che l’aumento della popolazione mondiale potesse determinare una
carenza alimentare e le microalghe sembravano poter rappresentare una fonte proteica a basso costo; questa pratica fu in seguito abbandonata, visti i deludenti risultati
C
ottenuti dalle prime colture commerciali.
Nel 1961, in Giappone la società Nihon
Chlorella iniziò a coltivare microalghe su
larga scala a fini commerciali, sfruttando
soprattutto il genere Chlorella (Iwamoto
H., 2004).
Negli anni Ottanta, in Asia, erano presenti
46 fabbriche che producevano più di 1.000
chili di biomassa al mese, in maggior parte
di Chlorella (Kawaguchi, 1980). Nel 1986
le strutture di produzione di Dunaliella
salina installate in Australia, per ottenere β-carotene, diventarono un altro polo
dell’industria microalgale nel mondo. In
seguito sono stati realizzati grandi impianti
nel sudest asiatico, in California e alle Hawaii, dedicati principalmente alla produzione di Spirulina.
Agli inizi dello stesso decennio, in Giappone, nacque il concetto di cibo funzionale
o alimento funzionale. Questo genere di
alimenti riveste un ruolo protettivo per la
salute del consumatore, contribuendo, in
tal modo, alla riduzione dei costi sociali
per difendere la salute di una popolazione
sempre più numerosa e con una maggiore
aspettativa di vita (Arai S., 1996).
Oggi, dunque, non si pensa più alle microalghe come alla soluzione per risolvere i problemi della fame nel mondo; esse
vengono, invece, studiate per applicazioni
in diversi settori commerciali quali: produzione di integratori alimentari, farmaci,
cosmetici e mangimi.
Per quanto concerne il consumo umano,
la pasta microalgale secca, in polvere o in
compresse, di alcune specie (es. Chlorel-
Sfruttamento delle microalghe
Tra realtà e prospettive
Contenuto nutrizionale di alcune specie di microalghe rispetto ad alimenti comuni
Materiale
Proteine
Carboidrati
Lipidi
Lievito per il pane
39
38
1
Carne
43
1
34
Latte
26
38
28
Riso
8
77
2
Soia
37
30
20
Chlorella vulgaris
51-58
12-17
14-22
Dunaliella salina
57
32
6
Porphyridium cruentum
28-38
40-57
9-14
Scenedesmus obliquus
50-56
10-17
12-14
Spirulina maxima
60-71
13-16
6-7
Synecochoccus sp.
63
15
11
Aphanizomenon flosaquae
62
23
4-7
I contenuti sono espressi in percentuale sul peso secco. Fonte dati: Spolaore P. et al., 2006; Becker et al., 1994
la) contiene elevate quantità di carboidrati semplici e complessi, oltre a numerosi
composti descritti di seguito. Tipici delle
microalghe sono i beta glucani, in grado
di potenziare la risposta del nostro sistema immunitario (Iwamoto, 2004). In altre
specie (es. Arthrospira) è preponderante il
contenuto in proteine, che le rende un integratore indicato in stati di debilitazione
organica o per gli sportivi.
Dentifrici, lozioni, unguenti e alginati in
creme assimilabili attraverso la pelle sono
alcuni dei prodotti con sostanze di derivazione microalgale più comunemente
commercializzati dalle industrie farmaceutiche, principalmente in Giappone. In
campo medico vengono sfruttate le loro
proprietà antibatteriche, antivirali e antitumorali (Iwamoto, 2004; Qiang Hu, 2004;
Hendrickson, 2009).
Le microalghe contengono quantità interessanti di vitamine, tra cui la A, quelle del
gruppo B inclusa la B12, la C, la D, la E,
la K (Becker, W., 2004) che ne aumentano
il valore nutrizionale. La quantità prodotta dipende strettamente dalle condizioni di
crescita e da tutti i processi che vanno dalla
raccolta al confezionamento della biomassa (Brown M.R. et al., 1999; Ben-Amotz
et al., 2003).
Fra i numerosi acidi grassi riscontrabili nelle microalghe i più importanti sono l’acido
docosaesanoico (DHA, 22:6n-3), l’acido
arachidonico (ARA 20:4n-6), l’acido eicosapentaenoico (EPA 20:5n-3), l’acido
gamma-linoleico e l’acido alfa-linolenico,
collettivamente noti come PUFA, polyunsaturated fatty acids, gli acidi grassi poliinsaturi Omega-3 e Omega-6.
Notevoli sono anche le proprietà antiossidanti. Sono presenti svariate molecole attive in questo senso, tra cui i carotenoidi
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astaxantina e beta carotene. Inoltre sono
presenti oligominerali nella loro forma
organica maggiormente assimilabile. Tali
composti possono o essere estratti dalla
biomassa algale prima di altre utilizzazioni
(uso indiretto), o assorbiti consumando la
pasta microalgale tal quale, umida o secca
(uso diretto).
Nella tabella qui sopra si evidenzia l’elevato contenuto in proteine, carboidrati e lipidi di alcune specie di microalghe rispetto a
quello di alcuni alimenti più comuni.
Per contro, un fattore potenzialmente preoccupante per il consumo umano è l’elevato contenuto in acidi nucleici di alcune
specie di microalghe, che può favorire lo
sviluppo di malattie del metabolismo quali
gotta e calcolosi renali. Alcuni metodi di
produzione, sopratutto in aree inquinate,
hanno fornito derivati con livelli di tossicità non trascurabili per il consumo umano,
con conseguente sospensione della lavorazione, come avvenuto, ad esempio, presso
il lago Texcoco. Consumi superiori ai 100
grammi al giorno di sostanza secca possono indurre in alcuni casi effetti negativi,
quali dolori allo stomaco, nausea, vomito,
costipazione (Becker, 2004).
Le specie oggi maggiormente coltivate a
fini commerciali appartengono ai generi:
Arthrospira, Chlorella, Dunaliella, Haematococcus, Nannochloropsis, Nitzschia,
Crypthecodinium, Schizochytrium, Tetraselmis, Skeletonema, Isochrysis, Chaetoceros.
In acquacoltura le microalghe vengono utilizzate nelle avannotterie, sia come alimento per lo zooplancton destinato a nutrire le
larve di pesce, sia come elemento di stabilizzazione chimica nelle vasche (tecnica
delle “acque verdi”). Inoltre vengono comunemente impiegate anche negli schiu-
Sfruttamento delle microalghe
Specie di alghe usate come mangime
Specie allevate
Famiglia: Bacillariophyceae
Skeletonema costatum
B, B, D
Thalassiospira pseudo nana
B, A, D
Phaeodactylum tricornutum, C. muelleri
B, A, D, C, F
Chaetoceros affinis, C. calcitrans
B, A, D, F
Cylindrotheca closterium
B
Bellerochea polymorpha
D
Actinocyclus normanii
D
Nitzschia closterium, N. paleacea
F
Cyclotella nana
F
Famiglia: Haptophyceae
Isochrysis affinis galbana, I. tahiti
B, A, D, C, F
Pseudaisochrysis paradoxa
A, D, C
Dicrateria sp.
D
Cricosphaera elongata
D
Coccolithus huxleyi
D
Olisthodiscus luteus
I
Pavlova lutheri, P. pinguis
A, D, F, G
Famiglia: Chrysophyceae
Pyramimonas virginica
A, D
Micromonas pussila
D
Famiglia: Chryptophyceaea
Cryptomonas
D
Rhodomonas salina
A, D
Chroomonas salina
D
Famiglia: Xanthopyceae
Olisthodiscus luteus
D
Famiglia: Cyanophyceae
Spirulina (Arthrospira) platensis
B, D, F, G
Famiglia: Chlorophyceae
Tetraselmis suecica
B, A, D, E, F, G
Chlorella sp.
A, C, F, G, I
Scenedesmus obliquus, S. quadricauda
I, G, F
Dunaliella tertiolecta
D, F, G
Chlamydomonas khaki
A, D, I, G, I
Chlorococcum sp.
D
Brachiomonas submarina
D
Spongiococcum excentricum
A
Famiglia: Eustigmatophyceae
Nannochloropsis oculata, N. gaditana
D, G, H
Specie allevate:
A, larve di molluschi bivalvi; B, larve di gamberi peneidi; C, larve di gambero
d'acqua dolce ; D, postlarve di molluschi bivalvi; E, larve di abalone; F, artemia; G,
rotiferi marini; H, copepodi marini; I, zooplancton d’acqua dolce.
Microalghe usate per la produzione di mangimi
in acquacoltura [fonte dati: Becker 2004; DePauw & Persoone, 1988; Lavens & Sorgeloos,
1996].
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Tra realtà e prospettive
ditoi di molluschi, combinate in miscele
multispecifiche più o meno diversificate;
questo per la loro diversa composizione
specifica in proteine e acidi grassi essenziali, soprattutto quelli poliinsaturi (PUFA), al
fine di fornire un alimento il più completo
possibile (Kanazawa, 1985).
Microalghe
ed energia rinnovabile
Biocombustibili di prima e di seconda generazione
È ormai accertato dalla comunità scientifica internazionale che la continua emissione nell’atmosfera di anidride carbonica
prodotta dalle attività umane, soprattutto
da quelle basate su combustibili derivati
dal petrolio, stia velocemente cambiando l’intero ecosistema del pianeta Terra,
modificando al rialzo gli equilibri termici (IPCC). Pertanto da anni scienziati e
ricercatori sono impegnati nella difficile
ricerca di soluzioni in grado di risolvere
concretamente tale problema. Tra queste
di primaria importanza sono i tentativi di
sostituire i combustibili di origine fossile
con altri di origine vegetale, tendenti al bilancio neutro della CO2. Si assume, infatti,
che la biomassa fotosintetica durante il suo
accrescimento assorba la stessa quantità di
anidride carbonica emessa quando viene
infine combusta; tuttavia sono da considerare anche i processi per la trasformazione
della biomassa, i quali possono influire negativamente sul bilancio totale.
Attualmente, la produzione di biocombustibili ricavati da piante edibili, cosiddetti
di prima generazione, è ritenuta da più parti
una pratica non sostenibile per la riduzione
delle superfici agricole sfruttabili a fini alimentari e per l’incremento del prezzo delle
materie prime (acqua, fertilizzanti ecc.),
necessarie anche alla produzione di beni di
prima necessità, quali frumento, mais, riso,
canna da zucchero. Inoltre, l’uso dei suoli
attualmente coltivati potrebbe non bastare
a colmare la scarsità di cibo che colpisce
buona parte della popolazione mondiale.
Per questo motivo, oggi si punta all’utilizzo di biomasse non edibili per produrre
biocombustibili, riducendo così la concorrenza per le risorse tra settore energetico e
agroalimentare.
Alla luce di questa situazione, in diversi
Paesi sono state attivate linee di ricerca finalizzate a sviluppare e a mettere a punto
nuove tecnologie eco-sostenibili per la produzione di energia pulita. Tali tecnologie
utilizzano i cosiddetti biocombustibili di
Sfruttamento delle microalghe
seconda o (di nuova) generazione, prodotti
da fonti rinnovabili eco-compatibili.
Da alcuni anni è stata presa in considerazione anche nel nostro Paese la possibilità di usare a tale scopo le microalghe, in
grado di produrre in modo sostenibile una
quantità di energia decisamente maggiore
per unità di superficie rispetto a quella ottenuta dal mais o dalla soia e anche dalla palma da olio tropicale (Benemann e Pedroni,
2007; Tredici, 2010). Le microalghe possono infatti essere considerate a pieno titolo
una coltura energetica di seconda generazione, in grado di evitare impatti dannosi
sul mercato agroalimentare e sulla biodiversità terrestre; ciò in quanto coltivabili
su terreni scarsamente produttivi altrimenti
inutilizzabili, come le zone costiere aride
e le zone paludose, con acque salmastre o
marine. Per la loro crescita si potrebbero
sfruttare acque eutrofiche, ovvero ricche
di sali nutrienti di origine agricola o civile,
ottenendo così anche la loro depurazione.
Le microalghe sarebbero capaci di produrre 30 volte l’equivalente in olio rispetto
alla stessa area coltivata con specie terrestri
convenzionali, quali mais, soia e altro. Il limite teorico di produttività, calcolato sulla
base di considerazioni relative alla luce incidente e all’efficienza fotosintetica, indica
valori di circa 280 tonnellate di biomassa
secca per ettaro all’anno alle latitudini del
sud della Spagna; ipotizzando un contenuto lipidico estraibile del 40%, si ottengono
valori di 115 m3 di olio per ettaro per anno
(Wageningen University).
Tuttavia esistono ancora diversi punti critici prima di poter realizzare produzioni
energetiche economiche che vadano oltre
stime più o meno ottimistiche ottenute da
esperienze realizzate su scala limitata o,
Metodologie produttive usate per peggio, solo da calcoli teorici. Su questi
ottenere composti commerciali aspetti di ampliamento della scala operatidalle microalghe
va si attendono ancora risultati consolidati
Luce
Nutrienti
ALGHE
Fotobioreattori
Vasche
Bacini
Opzionali
Acque reflue
Acque salate
CO2 da gas
di scarico
Terreno
degradato
Input
Coltivazione
24
Estrazione /
Transesterificazione
Biodiesel
Fermentazione
Bioetanolo
Digestione
Anaerobica
Metano
Gassificazione/
Bio-idorgeno
Idrogeno
Essiccazione/
Gassificazione
Co-combustione,
combustibili specifici
Essiccazione
Cibo, mangimi
Essiccazione/
Estrazione
Biomolecole
Down-stream
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Prodotti
Tra realtà e prospettive
da parte del mondo della ricerca, anche in
termini di definizione dei prodotti energetici maggiormente convenienti.
Di conseguenza, in un contesto come quello italiano, puntare principalmente al biodiesel come principale prodotto energetico
derivante dalle microalghe può rivelarsi
una scelta non priva di rischi. Infatti le capacità produttive medie di biodiesel da parte delle 19 raffinerie nazionali sono molto
elevate, mediamente intorno alle 120.000
tonnellate/anno ad impianto, un valore raggiungibile solo utilizzando colture microalgali molto estese (100-200 km2). L’utilizzo
di tali superfici è da considerarsi improponibile per una prima fase di sviluppo, specialmente in mancanza, a livello mondiale,
di tecnologie consolidate su larga scala per
produzioni intensive di biomassa microalgale a basso costo. Nelle prime fasi, sarebbe probabilmente più opportuno considerare impianti su piccola/media scala per
la produzione di microalghe da destinare
alla produzione di biogas, i quali presenterebbero i valori aggiunti della depurazione
di acque eutrofiche/reflue (Schenk et al.,
2008), dell’assorbimento di CO2 e della
produzione di O2 durante le ore di luce,
(Park et al., 2011). Questo rappresenta un
obiettivo di prodotto energetico ottenibile con processi più semplici, minori input
energetici e minori standard qualitativi della biomassa rispetto a quanto richiesto per
il biodiesel (Barbato, 2011).
Ovvio aspetto accessorio delle coltivazioni
microalgali è il contributo alla riduzione
delle emissioni di CO2, in quanto questa viene assorbita dalle microalghe sia dall’aria
atmosferica, sia nel caso in cui provenga da
fonti quali fumi di combustione o biogas e
venga insufflata appositamente nel mezzo
di coltura. L’assorbimento avviene mediante conversione fotosintetica del carbonio in
sostanza organica, attraverso una serie di
percorsi metabolici che possono condurre
a diversi composti di accumulo energetico
nella cellula microalgale, tra cui riveste
particolare interesse il bioolio, ovvero una
sostanza oleosa con alta densità energetica
che è possibile impiegare, oltre che per la
produzione di biodiesel, anche direttamente per l’alimentazione di generatori elettrici
diesel, anche di piccola taglia. La biomassa residua dopo l’estrazione dell’olio dalle
microalghe può essere comunque usata per
la produzione di biogas.
Oltre al biodiesel, agli oli combustibili e
al biogas, altri prodotti energetici possono
essere ricavati dalle biomasse microalgali,
sebbene con risultati operativi per ora meno
consistenti rispetto a quelli menzionati in
precedenza, come ad esempio idrogeno,
Sfruttamento delle microalghe
tramite la microalga Chlamydomonas sp.
in particolari condizioni di coltura, o bioetanolo per via fermentativa della cellulosa
e di altri carboidrati presenti nella biomassa di determinate specie microalgali.
Coltivare le microalghe
Colture di laboratorio
Vasca per la coltivazione delle
microalghe di tipo “raceway”.
[Immagine: JanB46, Wikipedia
Commons, 2011]
Coltura di Scenedesmus dimorphus in contenitore PET da cinque litri.
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Tra realtà e prospettive
dell’anno; in tali casi si è obbligati a massimizzare produzione e raccolta dell’alga nei
periodi più caldi.
I sistemi di coltivazione in vasche aperte
non protette non garantiscono produzioni
monospecifiche, pertanto sono utilizzati
per un limitato numero di specie cosiddette
“estremofile” come Arthrospira platensis
(Spirulina) e Dunaliella salina, che crescono in condizioni selettive estreme, rispettivamente di elevato pH (maggiore o uguale
Oltre al mantenimento e alla caratterizzazione delle specie e dei ceppi, le colture
in laboratorio consentono la realizzazione
della ricerca di base per definirne le proprietà funzionali. Quelle monospecifiche
vengono avviate in provette da 10-50 ml,
in condizioni ambientali controllate, in
mezzi liquidi contenenti i nutrienti necessari alla crescita.
Su scala di laboratorio il volume della coltura è incrementabile mediante passaggi
successivi fino a qualche decina di litri. A
tal fine è possibile utilizzare capienti contenitori in PET trasparenti che devono essere
sterilizzati per via chimica (Barbato e De a 9) e di elevata salinità (oltre il 40‰). Ciò
impedisce a buona parte delle potenziali
Luca, 2011).
specie contaminanti di proliferare. A tal
fine le open ponds si possono proteggere
Colture massive
Anche in questo caso si prefe- dalla pioggia e da agenti contaminanti trarisce aumentare gradualmente i mite teli plastici trasparenti o serre. Nei bavolumi dei fotobioreattori, par- cini in terra è spesso usato un rivestimento
tendo da 20-30 litri per passare a in telo plastico impermeabile per un mivalori più grandi, fino ad arrivare gliore controllo dei parametri biotici e per
in vasche o in veri e propri ba- evitare possibili percolazioni.
cini di crescita. I passaggi ripetuti permettono la riduzione
dei tempi di crescita (le colture Fotobioreattori
vengono a trovarsi sempre nella L’uso di contenitori chiusi detti “fotobiofase esponenziale), un controllo reattori” è stato per lungo tempo associato
più accurato e uno sviluppo più ad alti costi di gestione, soprattutto quando
facilmente programmabile. Una il funzionamento di tali sistemi era ancora
volta raggiunti i volumi di uti- totalmente dipendente da illuminazione e
lizzo, le colture possono essere termostatazione artificiali. Recentemente è
mantenute in modo semi-conti- stata avviata la produzione su larga scala
nuo, continuo o discontinuo.
di una vasta gamma di specie algali quali
Spirulina, Chlorella ed Haematococcus in
Vasche aperte, open ponds sistemi chiusi, posti all’aperto o in serra,
Oggi gran parte della produzione con cui è possibile ottenere biomassa algamondiale avviene in vasche all’aper- le di maggior purezza in alta concentrazioto in zone tropicali e sub-tropicali, dove è ne, limitando nel contempo i costi grazie
possibile abbattere i costi utilizzando al me- all’illuminazione e, ove possibile, al riscalglio la luce solare come sorgente di energia damento naturale.
lungo tutto il corso dell’anno. Spesso per Nonostante le differenze tra le svariate tila coltivazione su larga scala vengono uti- pologie, si può affermare che il criterio
lizzate vasche a rimescolamento poco pro- principale con cui viene ideato e realizzato
fonde, configurate a circuito (raceway) e un fotobioreattore è quello di permettere
dotate di agitatori elettromeccanici a pale. alla cellula fotosintetica di raggiungere
In molte regioni non tropicali gli impian- la migliore efficienza nella conversione
ti di colture algali all’aperto hanno spesso dell’energia luminosa, cercando di garanlo svantaggio di trovarsi in condizioni cli- tire una adeguata quantità di luce, sia essa
matiche sfavorevoli, tali da non permette- artificiale o solare. Anche i metodi per more cicli di produzione lungo tutto il corso vimentare le colture e per ottimizzare gli
n.26 | Aprile 2012
Sfruttamento delle microalghe
scambi gassosi sono importanti.
Per altri versi, sono attualmente in corso
studi per modificare geneticamente alcuni
ceppi algali, in particolare di Chlamydomonas reinhardti, in modo da ottenere maggiori efficienze fotosintetiche soprattutto
ad alte densità cellulari. I risultati finora ottenuti mostrano, tuttavia, problemi nell’ottenimento di concentrazioni cellulari ottimali da parte dei ceppi ingegnerizzati.
Le tipologie esistenti per la produzione di
alghe tramite fotobioreattori sono riconducibili ai seguenti sistemi sia da esterno che
da interno:
Fotobioreattori cilindrici.
[Immagine: Steve Jurvetson,
Flickr, 2005]
1) Sistemi a pannello, o flat panels;
2) Sistemi a colonna con sistema a gorgogliamento d’aria, o bubble columns;
3) Sistemi cilindrici orizzontali, o tubular
reactors.
Nell’ottica delle produzioni a fini energetici su vasta scala, i fotobioreattori possono essere utili per formare gli inoculi delle
coltivazioni in vasche aperte, dove viene
realizzata la fase finale di accrescimento,
selezionando le specie algali in base al
maggior contenuto energetico e alla loro
adattabilità alle condizioni colturali e climatiche.
Raccolta e trattamento
Separare la biomassa dalla fase acquosa in
cui cresce può essere un compito difficile e
costoso. Di fatto è uno dei maggiori impedimenti all’ampia diffusione delle colture
microalgali su scala commerciale, specialmente a fini energetici. Molto dipende dalla forma e dalle dimensioni della particola26
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Tra realtà e prospettive
re microalga considerata, essendo le specie
coloniali e filamentose quali la Spirulina le
più facili da separare attraverso filtri in tela
con maglie opportunamente dimensionate,
mentre le forme unicellulari sferoidali di
piccole dimensioni come Chlorella o Nannochloropsis sono quelle più difficilmente
recuperabili dal mezzo di coltura.
Laddove è possibile, la più conveniente
tipologia di separazione è la semplice sedimentazione, ovvero l’accumulazione per
gravità della biomassa algale sul fondo del
recipiente di coltura o di un contenitore di
forme e dimensioni dedicate allo scopo.
Il fattore critico in questo caso è il lungo
tempo richiesto per la concentrazione della
biomassa sul fondo, che può variare notevolmente a causa di una serie di fattori quali
temperatura, illuminazione, stato fisiologico dell’alga, pH, salinità ecc. Esistono altre
tecniche di separazione che fanno uso di
flocculanti per addensare le singole cellule
algali, facilitare e sveltire la sedimentazione, con lo svantaggio però di trovare nella
biomassa anche la sostanza flocculante, oltre al costo della stessa. Al contrario, esiste
la possibilità, soprattutto per alghe ricche
di lipidi, di tecniche di flotation, ovvero
di concentrazione di biomassa per galleggiamento, anche attraverso la creazione di
schiume.
Sono disponibili svariati sistemi elettromeccanici piuttosto energivori, e quindi
costosi, quali filtrazioni di vario genere e
centrifugazioni.
Una volta ottenuta la biomassa umida, si
deve procedere in alcuni casi all’essiccazione che può essere ottenuta con energia
solare, magari con l’uso di una serra, in
un forno o con il sistema spray drying che
ha il vantaggio di non dover scaldare fortemente la biomassa, evitando il dannegggiamento di composti termolabili, tra cui
diverse vitamine.
La biomassa algale essiccata spesso non
è usata tal quale, solitamente si procede all’estrazione di sostanze di interesse
commerciale. Nel caso della produzione di
biodiesel, ad esempio, è necessario estrarre i lipidi, passaggio questo che richiede
infrastrutture apposite, solitamente utilizzate anche per altre materie prime naturali rinnovabili, che sono disponibili solo
presso bioraffinerie ad elevata produttività.
Sono in corso di sperimentazione sistemi
di estrazione alternativi con tecniche di
sonicazione, che usano gli ultrasuoni per
rompere le cellule algali e liberare le goccioline oleose in esse contenute già nella
fase finale della coltivazione, in modo da
poter recuperare per semplice separazione
di fase la componente oleosa.
Sfruttamento delle microalghe
Le microalghe
nel mondo
L’oasi di Ca’ di Mezzo, Codevigo
(Pd). Si tratta di un’area soggetta, in passato, ad eutrofizzazione
e fioritura microalgale, oggi bonificata grazie a tecniche di fitodepurazione.
27
Vi sono attualmente molti importanti produttori commerciali di microalghe, operanti soprattutto in regioni asiatiche, del
Pacifico e del Sud degli Stati Uniti, con
impianti la cui produzione annua può raggiungere circa 500 tonnellate. L’interesse
del mercato per le microalghe è in rapida
crescita da qualche anno a questa parte, soprattutto per le prospettive di un loro utilizzo a livello energetico. Tuttavia, nonostante lo stanziamento di ingenti fondi pubblici
e privati per la ricerca di settore da parte di
nazioni quali gli Usa e la Cina, gli incrementi di produttività sono trascurabili e il
commercio rimane limitato al settore degli
integratori e delle biomolecole.
Ad oggi, ancora non esiste al mondo un
impianto commerciale economicamente rilevante dedito alla coltivazione di microalghe a fini energetici. Non di meno, diverse
importanti organizzazioni pubbliche e private, tra cui alcune grandi società petrolifere, stanno seguendo lo sviluppo e migliorando l’operatività di strutture di ricerca e
pilota per affinare la qualità ed espandere
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Tra realtà e prospettive
la quantità dei loro prodotti in ambito
energetico a fini commerciali. Andrà studiato a fondo l’impatto ambientale di tali
processi industriale per ottenere sistemi di
produzione sostenibili e ecocompatibili. A
tal fine si sta facendo sempre maggior uso
delle metodologie che prendono in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto,
la cosiddetta LCA, Life Cycle Assessment
(Green n. 25, pagg. 36-43).
Al fine di coordinare e favorire gli studi
sulle microalghe, nonché la loro diffusione
agli ambiti produttivi, sono state costituite diverse società di settore, tra si possono
citare la EABA, European Algae Biomass
Association, e la ABO, Algal Biomass Organization negli Stati Uniti. Si sono rapidamente moltiplicati da alcuni anni i convegni nazionali e internazionali su queste
tematiche che attirano un pubblico assai
numeroso, con ricadute economiche e occupazionali non trascurabili.
Conclusioni
La ricerca sulle microalghe mostra ancora
una serie di criticità da risolvere, prima di
poter arrivare a poterle sfruttare commercialmente a scopo energetico, mentre negli
altri settori di utilizzo si punta essenzialmente ad un significativo aumento della
produttività e della diffusione. Seguono
alcuni temi che richiederanno un consistente sforzo da parte della ricerca a livello
globale.
Selezione e caratterizzazione dei ceppi.
Dovranno essere individuati quelli:
• robusti, ovvero in grado di resistere a
condizioni ambientali non controllate,
quali quelle di situazioni all’aperto in
climi temperati e tropicali;
• produttivi, ovvero in grado di raggiungere densità elevate in breve tempo, con
Sfruttamento delle microalghe
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n.26 | Aprile 2012
Tra realtà e prospettive
alti contenuti di sostanze desiderate;
• resistenti ai contaminanti, ovvero in
grado di mantenere la monospecificità
o una netta prevalenza anche in vasche
all’aperto;
• cosmopoliti o locali, in modo da non
causare problematiche in caso di fuoriuscite in ambienti naturali.
Uso e depurazione di acque reflue. Ottimizzazione in laboratorio delle capacità
dei ceppi di moltiplicarsi sfruttando i nutrienti presenti nelle acque reflue; si può
così ottenere la depurazione delle stesse.
Cattura attiva della CO2. Miglioramento
della capacità di assorbire CO2 anche da
gas esausti residuali da combustioni, contribuendo così alla riduzione delle emissioni di gas serra.
Miglioramento della resa energetica. Individuazione di prodotti energetici con i
più favorevoli bilanci mediante studi col
metodo LCA.
Tecniche di separazione. I metodi di recupero della biomassa dal liquido colturale
e di trattamento successivo devono essere
resi più efficienti e poco energivori, adattandoli agli specifici ceppi algali utilizzati.
Abbattimento dei costi. In generale devono
essere abbattuti tutti i costi relativi alla produzione, in relazione soprattutto all’individuazione di opportune economie di scala e
processi che garantiscano rese sufficientemente costanti nel tempo.
In conclusione, nonostante le grandi potenzialità di utilizzo della biomassa algale,
c’è ancora bisogno di sperimentazione e
sviluppo perché queste tecnologie possano
diventare una realtà commerciale diffusa,
specialmente in campo energetico. Purtroppo, in questi tempi di grave crisi economica, la tendenza è quella di ridurre i
fondi dedicati alla ricerca; le poche risorse
disponibili devono essere dedicate ai settori d’indagine più promettenti. Tra di essi si
possono senz’altro annoverare, come si è
cercato di mostrare nel presente articolo, le
microalghe.
Fabio Barbato, Carlo Alberto Campiotti,
Germina Giagnacovo, Vito Pignatelli,
Dario Tumminelli, Corinna Viola
ENEA, Roma
Estelle Silva Diorato
Universidade Federal do Bahia, Brasile