Il capodanno di Gaza

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Il capodanno di Gaza
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Numero 17 - Febbraio 2009
Direttrice: Annalisa Turel
www.sconfinare.net
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Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione
L’editoriale
“La domenica delle salme non si
udirono fucilate: il gas esilarante
presidiava le strade. La domenica
delle salme si sentiva cantare:
quant’è bella giovinezza, non
vogliamo più invecchiare”. Così
cantava Fabrizio De Andrè,
all’indomani della caduta del
muro di Berlino, ne La Domenica
delle Salme, la sua canzone civile
più famosa. Nei giorni scorsi,
i giorni dell’attacco israeliano
a Gaza, questa canzone mi è
tornata
improvvisamente
in
mente. Il fatto è che guardi alcuni
telegiornali italiani nei momenti
di apice della crisi nella Striscia,
e scopri che tutti hanno ben altre
priorità nelle notizie. Si parla del
gelo (?), della neve a Milano,
dei saldi maistaticosìsaldi, del
Grande Fratello 9 che finalmente
ricomincia, e chi più ne ha più ne
metta. Ma di ciò che succede in
Medio Oriente, per fare un esempio,
neanche un cenno. E quando un
cenno c’è, non ti aiuta a capire, ma
si tratta solo di una dichiarazione di
tifo per una delle due parti in lotta,
come se si trattasse di una partita
di calcio. Allora, mi sono reso
conto di quanto De Andrè avesse
ragione: la nostra è una società
del disimpegno, del divertimento
ad ogni costo. Siamo anestetizzati
da un continuo brusio di fondo;
ci sentiamo informati su tutto,
e in realtà non siamo informati
su niente. In questa situazione,
è importante che ognuno di noi
faccia il possibile per mantenere
vivo un dibattito costruttivo. E’
un’operazione difficile, che costa
tempo e fatica, senza dubbio.
Nessuno nega che sia molto
più facile lasciarsi trascinare
dal flusso, prendendo ciò che
ci viene offerto in abbondanza,
senza farsi troppe domande.
Ma è un atteggiamento che, per
noi di Sconfinare, sarebbe poco
dignitoso. Ecco perché cerchiamo
di fare “opposizione costruttiva”:
nel nostro piccolo, cerchiamo di
sollevarci dal cicaleccio continuo
che ci circonda, per parlare con
voce chiara. Non è detto che ce la
faremo, ma intanto ci proviamo, e
cerchiamo di migliorarci numero
dopo numero. In questo nostro
ambizioso tentativo, voi lettori
siete imprescindibili; se riusciremo
a fare qualcosa di buono, sarà
soprattutto grazie a voi che ci
seguite con attenzione e interesse.
Buona lettura!
Giovanni Collot
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Il capodanno di Gaza
Speciale
Medioriente
Perché? Ritengo che a
Israele non interessi la
creazione di uno stato
palestinese: i palestinesi
sono in ginocchio da
sessant’anni, specie a
Gaza, e in Cisgiordania
la situazione non è
dissimile.
Israele
semplicemente non ha
interesse a cambiare
lo status quo. Lo
dimostra anche il fatto
che non collabori alla
pacificazione tra Hamas e Fatah.
In questo momento infatti, da un
lato, c’è il presidente (in esilio
semi-volontario)
dell’Autorità
Nazionale
Palestinese,
Abu
Mazen, riconosciuto come tale
praticamente solo da Israele e dai
suoi alleati, oltre che dai pochi
militanti di Fatah; dall’altro lato
Haniyeh, più volte scomunicato
dallo stesso Abu Mazen, eletto
primo ministro dell’Autorità
Nazionale Palestinese nel 2006.
Dopo la sanguinosa guerra civile
palestinese del 2006, terminata con
la vittoria di Hamas, i due partiti
sono rimasti in rapporti che variano
tra il pessimo e l’aperta ostilità.
Una riconciliazione è necessaria
per ridare credibilità al progetto
di stato nazionale Palestinese:
in questo senso si deve muovere
la diplomazia, soprattutto quella
europea. L’Egitto sta facendo
grandi sforzi per portare i due partiti
a remare nella stessa direzione,
ma certamente un intervento
della UE in tal senso avrebbe ben
altro peso nei confronti di Israele.
Anche perché pochi palestinesi
vedono di buon occhio l’Egitto,
considerato troppo servile verso
Gerusalemme.
Se in Palestina è in atto una grossa
crisi politica, la situazione in
Israele prima delle elezioni
del 10/02 sembra essere
abbastanza
differente:
appare probabile un’intesa di
governo tra Likud e Kadima.
Sia Kadima, rappresentante i
moderati, sia Likud, partito
fortemente
conservatore,
sono dati nettamente in
vantaggio sul centro sinistra dei
Renato Soru non è un politico.
Non nel senso italiano del
termine. È un politico sardo, una
figura che mancava da tanti anni
nello scenario regionale. Inoltre
è uno dei pochi personaggi in
Italia a vantare un lungo elenco
di risultati concreti e positivi, che
in uno scenario normale (da paese
civile?) gli garantirebbero una
sopravvivenza politica assoluta.
Invece no. Siamo in Italia, dove
i successi reali di quattro anni
di governo non valgono una
rielezione certa. Quello che vale
sono le speculazioni, le chiacchiere
e le manovre dietro le quinte.
Non molti conoscono il cammino
della Sardegna dei passati 5 anni,
ma è necessario avere un quadro
chiaro per potersi schierare con
l’uno o con l’atro candidato
alle prossime elezioni. Nelle
elezioni regionali del giugno
2004 Renato Soru vinse con il
50,1% delle preferenze, circa
487mila voti. La sfida che gli si
presentò era quella di combattere
il degrado e l’arretratezza della
Sardegna, valorizzando il suo
ampio potenziale di sviluppo
e portando la regione da una
situazione di “mezzogiorno” a
una di “centro”. L’impresa era
tutt’altro che facile. Soru iniziò
con un riordino del bilancio, una
semplificazione e ottimizzazione
della spesa regionale, il recupero
e la salvaguardia del patrimonio
naturale sardo. La prima legge
del 2004 è stata la c.d. Salvacoste,
che impone di rispettare una
distanza di 2 km dalla costa
quando si costruiscono edifici. Le
successive iniziative sono state
la riduzione del numero delle
comunità montane (soprattutto
dove l’elemento montano non
esisteva proprio) e la costruzione
di linee digitali e infrastrutture che
hanno portato la popolazione della
Sardegna ad essere la prima con
copertura adsl al 100%. Il primo
passo della nuova era digitale
sarda, è stato il sito internet della
regione, che fu inoltre garanzia di
una maggiore trasparenza nella
vita politica sarda.
Altri grandi risultati negli anni
successivi sono stati la chiusura
della base militare americana
de La Maddalena entro il 2008
e la creazione di un unico ente
regionale per la gestione del
servizio idrico: la nuova società
Abbanoa (acqua-nuova, NdR) ha
sostituito i cinque enti esistenti.
continua a pagina 2
continua a pagina 5
a pagina 3
La Striscia di Gaza è un territorio ma non sarebbe la prima volta
in cui vivono circa un milione che una delle due parti in causa
e mezzo di persone rinchiuse disattenda quanto promesso. La
come animali in un recinto. Nulla situazione politica in Palestina è
può uscire e nulla può entrare se in questo momento estremamente
non con il benestare di Israele. complessa: numerose fazioni
Medicinali, cibo, acqua, coperte all’interno dei partiti di Fatah e
non possono entrare; feriti di Hamas si contendono potere e
guerra, bambini che si trovavano finanziamenti, perseguendo i loro
nel posto sbagliato, donne in fini ciascuno con i propri mezzi.
procinto di partorire non possono Una riconciliazione tra Fatah e
andare negli ospedali egiziani, Hamas è stata ostacolata sia da
più attrezzati di quelli palestinesi, Israele sia dagli Stati Uniti che
perché Israele non dà loro il hanno impedito uno scambio di
permesso. Animali in gabbia, prigionieri politici tra i due partiti
appunto. Il cessate il fuoco invocato palestinesi. Il mantenimento
da entrambe le parti e mediato dell’ordine in Palestina non è
dall’Egitto a giugno doveva evidentemente la priorità né per
servire ad allentare l’embargo l’uno né per l’altro.
di Gerusalemme sulla Striscia Partiamo da qualche mese prima,
di Gaza in cambio della fine dei partiamo dalla prima metà di
lanci di razzi palestinesi sulle città settembre: 11 europarlamentari
israeliane. Israele non ha rispettato visitano la striscia di Gaza e
i patti, anzi, l’embargo si è fatto incontrano il “premier” di Hamas,
sempre più forte. Hamas verso la Ismail Haniyeh. Egli afferma che
fine di dicembre ha interrotto il il suo partito era in quei giorni
cessate il fuoco lanciando quattro intenzionato a riconoscere Israele,
missili in territorio israeliano. in cambio del riconoscimento
Israele ha risposto con attacchi israeliano dei diritti nazionali
aerei, stringendo ulteriormente palestinesi e della dichiarazione di
le fasce marittime accessibili volontà di collaborare per creare
alle imbarcazioni palestinesi e uno stato palestinese entro i confini
successivamente con un’invasione del 1967. Haniyeh sostiene anche
di terra non ancora terminata (oggi che Israele abbia rifiutato questa
è il 19/01).L’Egitto ha mediato una proposta.
tregua tra Gerusalemme e
Hamas: Israele ha dichiarato
la volontà unilaterale di
ritirare le truppe, Hamas
concederà una settimana
di tempo perché il ritiro
venga effettuato. Il ritiro è
iniziato e non si sa quando
esso finirà. Resta ancora
aperta la questione dei
alle pagine
valichi di Gaza: a parole
12 e 13
le intenzioni di Israele
sono di renderli accessibili,
De Andrè
dieci
anni
dopo
Fidatevi,
meglio Soru
2
Mondo
Sconfinare
Barack Obama
nuovo presidente degli States
I quotidiani, spesso patrie dell’ex-comunismo e dell’antiberlusconismo, lanciavano
titoli di prima pagina esaltando la vittoria di
Barack Obama quale emblema di un nuovo orizzonte per l’America e per il mondo,
quale inaspettata incarnazione americana del
bene in contrapposizione al male, per l’occasione rappresentato da McCain. Sin da
prima l’America era destinata alla deriva, ora
invece è improvvisamente balzata di nuovo
sul palcoscenico degli importanti come protagonista. Non vorrei essere fuori tempo o
passare per polemico, riutilizzando un tema
già abbondantemente discusso. Se ne parlerà
almeno finché il nuovo presidente degli Stati
Uniti d’America non poggerà il didietro sulla poltrona del suo ufficio alla Casa Bianca.
Si strumentalizza la vittoria del suo colore di
pelle, come se ad una persona equilibrata e
ragionevole desse fastidio, per salire sul carro e urlare “Voi – uomini di destra razzisti
– avete perso!”. Migliaia di scrittori, giornalisti o improvvisati opinionisti hanno steso
chilometri di inchiostro per annunciare che
“la vera novità non sta nel colore della pelle”.
Frottole. Questo è il problema. Ci etichettiamo come “open-minded” quando ancora viviamo questi contrasti. Una marea di gente
è ancora ferma a queste differenze; almeno
in Italia. Troppo bigottismo e troppa chiusura ai cambiamenti. Una società vecchia
e retrograda, che camuffa la sua mentalità
spacciandola per conservatrice e tradizionalista. Chi scrive è un non-razzista. Sostenevo
Obama, come tanti coetanei di altre visioni
politiche, perché della politica della guerra siamo tutti stufi, perché di massacri per
esportare la democrazia non ce n’è bisogno.
Ci sono missioni e missioni, intenti ed intenti. Questo non vuol dire che McCain fosse
un guerrafondaio, semplicemente – forse - ricordava troppo la filosofia politica di Bush.
Però, ancor mi chiedo, perché quando D’Alema mandò le truppe in Kosovo nessuno aprì
bocca? Essere di destra non è sinonimo di
essere razzisti, così come essere di sinistra
non significa non esserlo. Partire da questa
ribalta, che cautamente approvo, per urlare ai
quattro venti che a vincere è stata una nuova
America, anti-guerrista, rivoluzionaria. Perché “ha portato alle urne anche coloro che
prima si astenevano dal voto”. È vero, ed è
un bene assoluto. Ma rifletterei una volta in
più su chi e quale pensiero politico rappresenti veramente il nuovo presidente. Obama
sta simpatico ed è fortemente sostenuto dalla
sinistra italiana, per la quale non faccio riferimento ai rappresentanti politici ma agli
stessi italiani. Barack Obama non discende
dagli schiavi, non è il Che Guevara pacifista
del 2009. È figlio di un ricco intellettuale keniota andato in America per prendere il PhD
(sigla di “Doctor of Philosophy”), e dove ha
lasciato incinta sua madre. Dopo le promesse
da campagna elettorale, ha esordito ravvisando l’impossibilità di ritirare subito l’esercito
dall’Iraq, vuole aumentare lo sforzo militare
in Afghanistan reindirizzandovi le tre truppe
dismesse dall’Iraq ed è un patriota americano
che crede nei valori dell’America. Sento quotidianamente commenti favorevoli a Obama
da parte di chi, in Italia, predilige esponenti di
sinistra. Nulla in contrario, puntualizzo. Però
chi appartiene al gruppo appena citato, chi è
anti-americanista perché ormai va di moda,
si è mai chiesto a quale corrente di pensiero
politico appartiene il neo-presidente appena
tornato dalle vacanze alle Hawaii? In America prevalgono Repubblicani e Democratici,
in contrapposizione tra loro. Ma attenzione a
farne un’analogia con l’antitesi delle nostre
fazioni politiche. Pongo una domanda, la cui
risposta richiederebbe un pensiero calibrato e sgombro dei pregiudizi contingenti: se
Obama fosse stato bianco avrebbe riscosso lo
stesso successo? E noi, forse, potremmo anche cercare di fare lo stesso con l’Italia. Un
po’ di sano patriottismo nonostante il mare di
pecche che ci circonda, nonostante all’estero siamo definiti “il Paese dei furbi”. Al solo
scopo di raddrizzare la spina dorsale del nostro stato. Del quale poi ce ne ricordiamo
quando, una volta fuori dai confini italiani,
cerchiamo una pastasciutta o una pizza.
Buon anno a tutti.
Massimiliano Quercioli
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Colpo di stato in Guinea
Torna la stagione dei golpe africani
Torna la stagione dei golpe in Africa, la sollevazione militare in Guinea segue quella di
agosto 2008 in Mauritania, quella del 2003
in Repubblica Centrafricana e molte altre
in un lungo elenco. Subito dopo il decesso dell’anziano e malato presidente Lansana Conte avvenuto il 23 dicembre scorso,
le forze armate hanno preso l’iniziativa ed
alcuni giovani ufficiali hanno annunciato,
alla Radio Nazionale, la sospensione della
Costituzione e lo scioglimento di Governo
e Parlamento. La Guinea era governata dal
1984 da Conte, anch’egli militare golpista e
soffriva perennemente di crisi politiche e di
una situazione economica disastrosa; questo nonostante il paese sia ricchissimo di
bauxite e risorse naturali. Nel febbraio del
2007, stanche della crisi economica e della
mancanza di prospettive, migliaia di persone scesero per le strade della capitale Conakry chiedendo riforme e le dimissioni del
presidente Conte. La polizia reagì con estrema durezza,
provocando
la morte di
almeno 186
persone, secondo le cifre
fornite dalle
associazioni
per i diritti
umani locali.
La
nuova
giunta golpista, insediatasi nelle ore
successive la
Il capodanno di Gaza
CONTINUA DALLA PRIMA
laburisti alleati con le liste arabe. Un sondaggio condotto dal Maagar Mohot Survey
Institute il 18/01 darebbe 65 seggi alle destre, 46 alle sinistre e 9 alle liste arabe sui
120 da spartire. Un sondaggio dello stesso
istituto sostiene la tesi che la guerra abbia
avvantaggiato il centro-destra e in particolare il Likud. È infatti Netanyahu, a capo del
Likud, il Presidente preferito nel sondaggio
con il 36% dei consensi, Tzipi Livni di Kadima al 21% e Barak dei laburisti al 14%.
A mio avviso questi risultati non sono figli
della guerra: erano molto simili anche prima
dell’inizio dell’operazione “Piombo Fuso”.
Una vittoria della destra non sarebbe tuttavia il segnale migliore da dare ai palestinesi
in questo momento. È stata la destra a volere la guerra ed al governo c’era la destra
quando il blocco su Gaza è stato irrigidito
invece che ridotto. È stata in sostanza la destra di Likud e Kadima a fare la guerra. L’ha
provocata non aderendo al cessate il fuoco
mediato dall’Egitto a giugno, non dando
valore all’importante proposta di Hamas di
settembre e ha usato come pretesto il lancio
di razzi palestinesi sul territorio israeliano,
il tutto con la complicità del laburista Barak
che, essendo in minoranza nel governo, ha
potuto solo prendere atto e piegare anch’egli
la guerra come mezzo propagandistico per
se e il suo partito. Ciò emerge dal fatto che
già nel mese di novembre 8 razzi erano partiti dal territorio palestinese diretti sulle città
israeliane, ma come mai quell’atto non fu
considerato come una rottura della tregua?
Perché dicembre/gennaio? Perché si tratta
di un periodo più prossimo alle elezioni?
Non ci è dato saperlo con certezza. Possiamo congetturare che ci siano motivazioni
di ordine strategico (tentare di indebolire
Hamas) o politico verso la Palestina (rallentare il processo di pace e la costituzione dello stato palestinese) o politico verso
gli israeliani (alzare i toni dello scontro per
giungere, dopo le elezioni, con un governo
più forte, a una definitiva offensiva contro
Hamas).
Di questa guerra di cui si parla come di una
grande vittoria non si capiscono i risultati.
Per uccidere trecento miliziani di Hamas,
sono stati uccisi più di mille civili nei modi
più atroci. Il 06/01 un carro armato ha di-
Febbraio 2009
strutto a cannonate una scuola ONU dentro
cui erano rifugiate diverse decine di persone; ne sono morte 43. Se anche ci fossero
stati terroristi al suo interno, la soluzione era
rappresentata dal loro arresto, non dalla distruzione dell’edificio in cui stavano insieme
a donne e bambini. L’episodio, citato da più
fonti, ha avuto una rilevanza mediatica molto bassa per quello che rappresenta: un atto
indiscriminato di sterminio. Avendo l’obiettivo (dichiarato) d’indebolire Hamas e gli
estremisti, i soldati di Gerusalemme hanno
distrutto scuole, ospedali, case, moschee,
sedi dell’ONU ottenendo come risultato che
l’odio verso Israele è solo aumentato in tutto
il mondo musulmano, un rallentamento del
processo di pace e l’allontanamento della
costituzione di uno stato palestinese, unica
vera soluzione per una questione che è lungi
dall’essere risolta, oggi più di ieri.
Si ringrazia Emiliano Quercioli per reperimento di alcune fonti.
Edoardo Da Ros
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morte di Conte e guidata dal giovane capitano Moussa Dadis Camara, ha dichiarato
che l’attuale situazione governativa è momentanea, dovuta alle condizioni in cui si
trova il paese e ha promesso nuove elezioni
nel 2010. Nel frattempo ha però imposto il
coprifuoco e fermato i membri del vecchio
governo oltre ad attuare una parata militare
nella capitale, accolto da una folla festante
e speranzosa di un vero cambiamento politico. L’Unione Europea, l’ONU, gli Stati
Uniti d’America e l’Unione Africana hanno
condannato il colpo di stato invitando le autorità guineiane a indire libere e democratiche elezioni. Solo il presidente del Senegal, l’anziano Abdoulaye Wade, ha fin’ora
esplicitamente dichiarato il suo sostegno
alla nuova giunta in un’intervista a Radio
France International.
Emiliano Quercioli
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Sconfinare
periodico regolarmente registrato presso il Tribunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di
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Redazione
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Valeria Carlot, Francesco Scatigna, Margherita Gianessi, Emmanuel Dalle Mulle,
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Francescutto, Francesco Gallio, Alessandro
Battiston, Massimiliano Andreetta, Nicola
Battistella, Dimitri Brandolin, Isabella Ius,
Davide Lessi, Andrea Lucchetta, Margherita Vismara, Francesco Marchesano, Mattia
Mazza, Luca Nicolai, Agnese Ortolani, Leonetta Pajer, Emiliano Quercioli, Federico
Permutti, Giacomo Antonio Pides, Federica
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Plazzotta, Giovanni Armenio, Giulia Riedo.
Vignette di Stefano Facchinetti
www.sconfinare.net
Febbraio 2009
Sconfinare
Fosforo bianco: istruzioni per l’uso
Falluja (Iraq), novembre 2004. L’esercito
americano si appresta a lanciare un’offensiva
contro una roccaforte degli insorti iracheni,
in quella che sarà ricordata come una delle
più sanguinose battaglie del conflitto. A metà
strada tra Baghdad e la Giordania, proprio
nel mezzo del triangolo sunnita –zona più
ostile all’occupazione – la città di Falluja
è oggetto di un pesante bombardamento,
le cui caratteristiche riveleranno una triste
pagina sulle modalità di esportazione della
democrazia in quella che era (sic!) la “città
delle moschee e della scienza” irachena.
Un’inchiesta tutta italiana (realizzata da
Sigfrido Ranucci di Rainews 24) ha gettato
luce sull’inquietante utilizzo, pesante
e indiscriminato, di armi chimiche nel
corso della battaglia da parte delle truppe
USA. La sostanza in questione è il fosforo
bianco, “Willy Pete” in gergo militare. Le
strazianti immagini dei corpi letteralmente
fusi dei caduti (civili e insorti), consumati
fino all’osso, attestano l’impiego massiccio
di quest’arma, che sarà confermato da
testimonianze e dalle indagini della stampa
di mezzo mondo, fino alla totale ammissione
del suo utilizzo per tramite del ministero
della difesa inglese. Ma cos’è il fosforo
bianco?
Questo solido molecolare, non appena entra
a contatto con l’ossigeno presente nell’aria,
produce anidride fosforica generando un
intenso calore (con picchi di temperatura
di qualche migliaio di gradi) e una violenta
luce bianca. Un vero e proprio incendio
inestinguibile, in quanto la combustione
continua fino all’esaurimento anche se
immerso nell’acqua. L’impiego corretto (e
lecito) di tale sostanza in operazioni militari
impone il suo utilizzo in campo aperto,
con funzione di illuminazione (è lo stesso
principio utilizzato per i “traccianti” o i
candelotti illuminanti, in virtù della forte luce
che emana) o di copertura, con la creazione
di uno schermo di fumo. Al contrario, se le
proprietà tossiche e incendiarie del fosforo
vengono utilizzate come ordigno diretto
contro obiettivi, siamo di fronte ad una vera
e propria “arma chimica”, i cui effetti (in
una città densamente abitata come Falluja,
ma non solo) possono essere devastanti.
La dispersione nell’ambiente di “gocce
incandescenti” provocate dall’esplosione
di un ordigno lanciato dall’alto bruciano
letteralmente ogni corpo comburente con cui
entrano in contatto (provocando ustioni di
terzo grado) fino a molti metri di distanza.
Le immagini della pioggia di fuoco scatenata
a Falluja qualche anno fa dagli elicotteri
americani sono enormemente simili alle
foto analizzate dagli esperti del Times di
pochi giorni fa, che ritraggono l’aviazione
israeliana lanciare particolari ordigni con una
familiare caduta “a tentacolo”, caratteristica
del fosforo bianco, su Gaza City (una delle
zone più densamente abitate del pianeta).
Le testimonianze di medici costretti a trattare
“ustioni molto insolite, difficili da curare,
molto profonde” e la foto di un militare
intento a maneggiare un presunto proiettile
di fosforo bianco – di colore azzurro chiaro,
contrassegnato dalla sigla M825A1 –
sembrerebbero
avvalorare
la
pesante
accusa.
Del
resto l’esercito
israeliano
ha
ammesso
l’utilizzo delle
bombe al fosforo
“contro obiettivi
militari in campo
aperto” durante
la
campagna
libanese del 2006,
sconfessando
precedenti
dichiarazioni,
secondo le quali l’agente chimico era stato
utilizzato solamente per gli scopi “permessi”
(illuminazione degli obiettivi).
La Convenzione di Ginevra del 1980 sulla
messa al bando delle armi chimiche definisce
con dovizia di particolari cosa possa essere
considerato “chemical weapon”, e quindi
bandito. Non lo è il fosforo bianco, essendo
però chiaro come il confine tra lecito e
illecito per l’utilizzo di questo agente sia
particolarmente labile, e dipenda dall’uso
che se ne fa: le armi caricate al fosforo, se
utilizzate massicciamente per scopi diversi
dall’originaria “illuminazione del campo
di battaglia o protezione fumogena delle
truppe amiche” (e soprattutto se impiegate in
spazi popolati ) possono essere considerate
a tutti gli effetti come ordigni proibiti. “La
Convenzione – spiega P. Kaiser, portavoce
dell’agenzia dell’Onu sul divieto di uso,
produzione e stoccaggio di armi chimiche
– è strutturata in modo che ogni elemento
chimico che venga usato contro l’uomo o
gli animali provocando danni o la morte a
causa delle proprietà tossiche è considerato
un’arma chimica. Quindi non importa di
quale sostanza si parli, ma se lo scopo è
quello di causare danni con le proprietà
tossiche, allora è un comportamento
proibito”. E C. Heyman, esperto militare
ed ex maggiore dell’esercito britannico,
ha dichiarato: “Se il fosforo bianco è stato
fatto esplodere laddove si trovava una
folla di civili, qualcuno dovrà prima o poi
risponderne alla Corte dell’Aia. Il fosforo
bianco è anche un’arma terroristica”. Detto
da un militare, non fa una piega.
Matteo Lucatello
[email protected]
www.matteolucatello.it
3
Una Striscia di sangue Mondo
Il difficile mestiere delle armi
4 Novembre. La IAF (l’aviazione israeliana), venuta a conoscenza di un tunnel segreto tra Gaza e Israele, decide di distruggerlo
lanciando dei razzi all’uscita gazana con
l’intento di inficiare rifornimenti di armi
ad Hamas garantendo una tregua sicura per
Israele. Questo è stato il primo segno della
fine della tregua. Fine segnata il 19 dicembre dal lancio di razzi da Gaza verso le città israeliane più prossime al confine, come
Sderot. Secondo le statistiche storiche è la
città più a lungo bombardata di sempre.
Una città dalle case dotate di piccoli bunker
e dalla vita spezzata dalle sirene. Il Governo
Israeliano ha quindi dato, attraverso il Ministro della Difesa Ehud Barakh, l’ordine
allo Stato Maggiore di organizzare l’offensiva sulla Striscia. Si è intensificata l’attività dell’Aman (servizi informazione IDF) e
dello Shin Bet (servizio interno) nel mappare accuratamente gli arsenali e la regione di
Gaza. Si sono decisi gli obiettivi principali:
arresto e/o eliminazione dei militanti di Hamas; localizzazione e distruzione dei tunnel
segreti da Gaza verso Egitto e Israele (trai
400 e i 1000) violanti l’embargo; localizzazione e distruzione di arsenali e laboratori.
Si è deciso il nome. “Piombo Fuso”. In primis vi è stata una serie di bombardamenti
aerei (27 dicembre) che dura ancora oggi
contro postazioni di guerriglieri e di rampe
di lancio dei missili, già abitazioni o caserme della impotente polizia ormai fuori dal
controllo di al-Fatah. A questo, Hamas ha
risposto intensificato i suoi attacchi ed ha
inoltre deciso di farla finita con quello che
è rimasto di Fatah a Gaza fucilando già durante i primi bombardamenti 35 suoi esponenti. Il 3 gennaio è iniziata la seconda fase
dell’attacco con l’offensiva di terra portata
avanti dal Comando Sud dello Tzahal con
truppe corazzate, fanteria e paracadutisti in
2 direzioni: da nord attraverso il confine e
la costa, e da est, al fine di dividere la Striscia e isolare Gaza City. Quindi nei giorni
successivi si sono susseguite azioni di penetrazioni nelle periferie urbane di Jabalay,
Bayt Lahiya, Gaza City e Khan Yaunus,
dando inizio ai sequestri di armi e alla distruzione dall’aria dei tunnels presso Rafah.
Lo scenario è quello complesso della guerra
urbana, caratterizzata dal pericolo costante
dietro ogni angolo e da scontri casa per casa
che rendono difficile l’uso di armi pesanti.
Per di più Gaza è un’area densamente popolata dove si trova un nemico non sempre distinguibile dai civili e che non si fa scrupolo di sacrificarne le vite utilizzandoli come
scudi umani, tragedia che non si ottiene solo
con il porre direttamente i civili in mezzo
alla linea di fuoco, ma anche trasformando
probabili rifugi (come scuole UNRWA o
normali abitazioni, visto che Hamas non ha
mai speso per la realizzazione di rifugi preferendo comprare armi) in arsenali. I mezzi
sviluppati per lo scenario urbano, più mobili
e protetti a scapito della potenza di fuoco
non difendono costantemente la fanteria dal
pericolo delle trappole esplosive disseminate tra le macerie. Le ricognizioni aeree per
individuare più precisamente i bersagli o le
semplici telefonate di avvertimento per i civili palestinesi fatte da Israele non possono
essere garanzia di una “chirurgizzazione”
bellica. Persone in movimento a 200 m in
aree dove vi sono scontri non sono distinguibili come civili che si rifugiano od ostili che
si trincerano, colla rapidità che occorre nel
prendere decisioni. La spicciola valutazione
del combattente-barbaro è spesso ipocrita
miopia. Infine, si vuol chiarire la questione
del fosforo bianco. Questo, usato per la prima volta nel 1916, è una sostanza chimica
dalla caratteristica di bruciare producendo
un denso fumo, al contatto con l’ossigeno
fino all’esaurimento di uno dei due. Per questo viene usato come illuminante o fumogeno, o come arma, con il solo divieto di non
impiegarlo contro i civili o in caso di immediato rischio per questi. Infatti il fosforo
non è annoverato, nonostante il fumo prodotto, tra le armi chimiche della Chemical
Weapons Convention firmata nel 1993 anche da Israele (mai ratificata), tranne che per
il paragrafo VII riguardante l’uso di mezzi
incendiari. Inoltre il portavoce della Croce
Rossa Internazionale Hornby ha dichiarato
che l’impiego israeliano di fosforo bianco è
stato per uso illuminante e non diversamente e quindi del tutto legale.
Lorenzo Fabrizi
[email protected]
Sconfinare
4
Politica Nazionale Luciano D’Alfonso: Il Sindaco
che fa grande Pescara!
Era questo lo slogan con cui il Sindaco del
Pd aveva ottenuto la rielezione al primo turno e senza l’apporto della Sinistra Arcobaleno lo scorso aprile 2008: e i pescaresi ci
avevano davvero creduto.
Nel giugno 2003, quando era stato eletto
per la prima volta, alcuni erano restii a dare
la massima carica cittadina ad uomo venuto
da Lettomanoppello, paese della provincia;
ma anche in quel caso, tramite il voto disgiunto, i cittadini avevano votato lui più
che la sinistra. Di certo alla vittoria dell’exdemocristiano D’Alfonso aveva contribuito
la fama di “più grande appaltatore d’Abruzzo” che si era guadagnato da Presidente
della Provincia, e del resto nessuno allora,
né tempo dopo, volle vedere il fatto che
molti dei suoi ex-più-stretti-collaboratori
in Provincia erano indagati per tangenti e
concussione (“Pescara Provincia Amica” lo
slogan di quegli anni).
In ogni caso D’Alfonso rappresentava al
meglio lo spirito rampante pescarese che
potrebbe essere riassunto nelle 3 C: Cemento, Commercio, Corruzione (aggiungerei anche Criminalità). Bastava questo per
votarlo.
Così D’Alfonso vinse, ed intervistato il
giorno dopo l’elezione lanciò subito un piano da 5 milioni di euro per…mettere toppe d’asfalto nelle strade! Poi la città iniziò
a riempirsi di targhe con il nuovo slogan:
“Pescara Città Vicina”. Una su ogni lavoro
pubblico…
Ma lui più di ogni altro seppe sfruttare la
voglia di eccezionalità del capoluogo adriatico, da sempre desideroso di elevarsi al di
sopra del resto della regione e dimostrare di
essere davvero “la Milano del Sud”. Questo
spirito aveva spinto in passato alla costruzione di una stazione ferroviaria immensa,
accolta con grande entusiasmo come una
delle più innovative d’Europa, salvo poi
rendersi conto della sua sostanziale inutilità…storia ripetutasi nel 2000 con la costruzione del nuovo Tribunale, il terzo più
grande del Centro-Sud, rimasto in buona
parte vuoto, ma bello…
E D’Alfonso non ha mancato di inscriversi
in questo filone…per Piazza Salotto volle installazioni del giapponese Toyo Hito,
mentre Piazza 1° Maggio (ribattezzata
Piazza Mediterraneo) fu rivestita di marmo
di Carrara secondo il progetto originario
di Cascella…ed ancora porfido e mosaici
hanno ricoperto il lungomare e le vie del
centro. Ma non v’è stato quartiere o rione
che non abbia conosciuto la celebre targa
“Pescara Città Vicina”: marciapiedi, rotatorie, asfalto, parcheggi, aree verdi…con
il Sindaco che inaugurava personalmente
ogni opera…
Uno spot continuo per lui che costantemente
risultava il più amato d’Italia nelle
rilevazioni del Sole24Ore. Intanto anche
l’imprenditoria locale portava avanti i
progetti messi in cantiere da anni…di
Bohigas il nuovo centro residenziale De
Cecco, di Fuksas il centro direzionale della
Fater e del luganese Botta le 3 torri da 18
piani di Caldora. Altre torri si prevedono
sul lungofiume, i cui attici duplex (13° e
14° piano) saranno dotati di piscina privata
sul tetto, mentre la Regione (che ha deciso
di compiere anch’essa l’antica transumanza
trasferendo la sua sede ogni inverno a
Pescara) ha in progetto altre 3 torri da 50
metri…poco importa se a poca distanza,
in uno dei quartieri off-limits, la comunità
rom tiene cavalli sul balcone o li porta a
spasso tra le auto attaccati a dei calesse (le
famiglie zingare che dagli anni ’70 si sono
stabilite a Pescara, controllando il traffico
di stupefacenti ed il giro di prostituzione,
hanno da sempre una spiccata passione per
i cavalli…forse anche dovuta agli affari che
gestiscono nell’ippodromo cittadino…).
Mentre il sottosegretario alle infrastrutture
del Ministro Di Pietro definiva Pescara “la
Los Angeles dell’Adriatico”, la città era ben
determinata a newyorkizzarsi…tanto per
tener fede al nomignolo di “Piccola Manhattan”. Ed anche il Sindaco ha pensato
di assecondare questa tendenza lanciando
un nuovo slogan: “Pescara Città dei Ponti”. Risultato? 2 nuovi ponti in cantiere sul
fiume Pescara…il Ponte Nuovo ed il Ponte del Mare (ponte sospeso ciclo-pedonale
progettato dall’altoatesino Pilcher alla foce
del fiume). Sul secondo, orgoglio del Sindaco che lo aveva fatto finanziare dall’imprenditoria locale (con cui del resto aveva
buoni rapporti…) per un totale di 10 milioni
di euro, si era levato lo scandalo quando il
Primo Cittadino aveva tentato di affidarne
la costruzione senza gara d’appalto allo
stesso Pilcher che “di certo avrebbe saputo
portare a termine meglio di chiunque altro
il lavoro”. Copione identico per la riqualificazione delle aree dismesse dell’ex stazione
ferroviaria, che D’Alfonso voleva affidare
all’immobiliare Toto che avrebbe svolto la
commissione “gratuitamente” in cambio…
del monopolio nella gestione di tutti i parcheggi cittadini per 30 anni…
Ma neanche questo ruppe la luna di miele tra la cittadinanza e l’ormai onnipotente Sindaco…nessuno si chiedeva del resto
perché la solerzia dell’amministrazione non
fosse altrettanto spiccata nella gestione dei
cantieri per i Giochi del Mediterraneo, che
Pescara ospiterà quest’estate: nel Comitato
organizzatore sono presenti esponenti della
vecchia maggioranza di centro-destra con
cui l’attuale amministrazione non è riuscita
Febbraio 2009
ad “accordarsi”…il villaggio olimpico deve
ancora vedere la luce…
Così, quando l’amatissimo D’Alfonso è stato arrestato, la città si è svegliata da un lungo sonno…ma mentre l’orgoglio pescarese
rischiava di essere distrutto dal 3° commissariamento dal dopoguerra ad oggi, molti
continuavano a difendere il Sindaco…
Il giorno di Natale il Tg trasmetteva, dopo
quelle del Papa, le immagini di D’Alfonso
affacciato alla finestra che salutava, per
tutti ormai quell’uomo era innocente:
quasi scarcerato per Volontà Divina in quel
Santissimo Giorno. Poco importava se dal
Tribunale avevano fatto sapere che tutte le
accuse restavano valide e che il Sindaco,
scarcerato solo perché dimessosi, sarebbe
subito tornato al fresco se avesse ritirato
le dimissioni. Luciano sembrava non
curarsene ed annunciava poche ore dopo di
voler fare un discorso alla cittadinanza in
Piazza Salotto il giorno di Capodanno: in
un clima da golpe sudamericano fu lo stesso
Veltroni a dissuaderlo dal suo proposito. Ma
il 5 gennaio il “colpo di genio”: D’Alfonso
ritira le dimissioni, presenta un certificato
medico e passa la palla al suo Vice. Cosa
non doveva sapere il Commissario?
Non importa. I pescaresi possono far finta
che nulla sia accaduto, l’orgoglio della
città è salvo. A giugno forse le elezioni, il
cui risultato sembra tutt’altro che scontato.
Del resto, ancora adesso, sono in molti a
dire che Luciano D’Alfonso ha fatto grande
Pescara.
Attilio Di Battista
[email protected]
Da un eccesso all'altro
La laicità a colpi di provocazione
Negli ultimi tempi, l'ennesima provocazione
in campo religioso ha avuto luogo: gli autobus di Genova verranno infatti pubblicizzati
dall'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR), con lo slogan "La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno". Naturalmente
l'opinione pubblica si è infervorata, Bertone
si è grattato i natali, la Chiesa mantiene un
tacito profilo conscia della giustezza della
politica del silenzio, quale migliore delle risposte, alla provocazione.
Nonostante io personalmente sia aconfessionale, ma non ateo, bensì laico e laicista nella
mia visione dello stato, mi sorprendo come
le lotte debbano essere combattute attraverso le estremizzazioni. Pur riconoscendo alle
persone atee il diritto di non riconoscere
l'esistenza di Dio, ciò non toglie che queste
ultime non debbano prevaricare la fede di
chi invece crede.
Nel pensiero laico la
libertà sta nella scelta
libera in libero stato, ossia senza che una determinata forza, maggioritaria o minoritaria che
sia, possa in alcun modo
influenzare la crescita
del pensiero della persona. Per questo devono
essere accolte le rivolte
alle frequenti interferenze nel mondo pubblico
di determinate forze di pensiero. Tali interferenze non sono solo un'opinione, diventano coercizione lì dove si precetta in base
a valori morali personali e li si generalizza.
Eppure le critiche non possono diventare a
loro volta un fattore di discriminazione o di
oppressione. Vorrebbe dire fare lo stesso cattivo gioco del nemico, uccidendo il pensiero
laico che invece si rifocilla del confronto e
non dello scontro.
Inoltre, non è discriminando che si ottiene la
cultura di base su cui educare ad una nuoca
laicità. Per effettuare un parallelismo, non
sono le quote rosa di per loro a risolvere
il problema del machismo. Sono forse uno
strumento poco democratico per ricreare
una cultura di base, imperniata sul rispetto della donna. Allora, ritornando al nostro
discorso principale, il messaggio che "Dio
non esiste" è una presa di posizione che
invade lo spazio pubblico senza effettivamente creare il germe dello spirito critico.
Tale gesto sarebbe forse più adatto se fatto
sul sito internet dell'Unione suddetta. Tale
gesto invece piacerà a pochi, radicalizzerà i
molti. E il processo di effettiva laicizzazione dello Stato italiano ("secolarizzazione"
per alcuni) rischia di fare tre passi indietro
dopo averne fatti due.
Questo evento però ha fatto scaturire in me
un altro tipo di riflessione: la crisi economica
di cui tanto si parla per certi versi non avrà
conseguenze negative in tutti i settori della
società. La crisi, in primis quella psicologica,
farà sì, almeno secondo il mio punto di vista,
che la generazione attuale si renda conto di
quanta precarietà e senso dell'effimero vi
sia nei beni materiali. Si rifocillerà allora
nell'abbondanza della ricchezza morale, nel
confronto di idee e di opinioni, nell'attuazione
di scelte non per forza capitalisticamente
cicliche, ma sostenibilmente sviluppabili.
Ambientalismo,
localismo,
cultura
generalizzata, nuove forme di arte, letteratura
e musica, ritorno ad un'ortodossia dei credi.
Lo definirei nel complesso uno "sviluppo
radicato", che per molti versi è già in atto.
In fondo è successo molte volte nella storia
e la necessità ha sempre aguzzato l'ingegno.
Credo in quel che sarà.
Edoardo Buonerba
[email protected]
Sconfinare
2009 Febbraio
Fidatevi, Meglio Soru
5
Politica Nazionale
CONTINUA DALLA PRIMA
Senza nessun licenziamento, Abbanoa ha
sistematicamente ridotto gli sprechi, e, di
conseguenza i costi.
Con la legge finanziaria regionale del 2007,
lo Stato ha riconosciuto alla Regione Sardegna il diritto graduale di compartecipare
al gettito tributario maturato nel territorio
regionale a partire dallo stesso anno. Tra il
2007 e il 2009 tale gettito è cresciuto di circa
1,4 miliardi di euro. A partire dall’anno 2010
le maggiori entrate regionali ammonteranno
ad oltre 3 miliardi di euro. In cambio la Regione si fa
carico degli oneri
del Fondo
sanitario
nazionale e delle
funzioni
di trasporto pubblico locale,
compresa
la continuità territoriale, mantenendo
un saldo
positivo di
circa 1,8
miliardi
di euro.
Per quanto riguarda l’istruzione pubblica,
mentre i tagli dei finanziamenti colpiscono
tutta l’Italia, nell’Isola sono stati aumentati
i fondi per l’edilizia scolastica, per un totale
di circa 300 milioni di euro. La regione attribuisce inoltre assegni per merito fino a 500
euro mensili, agli studenti diplomati con
almeno 80/100 che si iscrivono all’Università (con priorità per le facoltà scientifiche)
e agli studenti universitari in regola con i
crediti che abbiano almeno la media del 27.
Inoltre, la Regione ha finanziato nell’ultimo
triennio più di 3000 studenti per alta formazione, tirocini e “percorsi di rientro” in Sardegna, per favorire la crescita accademica
e professionale dei neolaureati e garantire
un efficace inserimento nel mondo lavorativo sardo. Le fonti di quanto riferito sono
documenti, atti regionali e dati Istat per il
periodo 2004-2008. Tornando alla questione
delle elezioni, le argomentazioni del candidato per il PDL – un certo Cappellacci ex
consigliere del comune di Cagliari – sono
tutte “contro”: egli afferma che quanto realizzato nel mandato Soru sia
stato una delusione e un fallimento per la Sardegna. Per il
programma alternativo vengono spese invece poche, pochissime parole. Anzi, in generale
sono veramente poche le parole pronunciate direttamente da
Cappellacci. Chi chiacchiera
di più è Berlusconi: è lui che
in realtà gestisce e ordina la
campagna elettorale del PDL.
È lui, il primo ministro italiano, che organizza e predispone le assemblee e i comizi. Ed
è sempre lui che racconta le
barzellette durante i convegni.
Ma della Sardegna non si parla
mai? Sì, il programma elettorale del “candidato del PDL
Cappellacci” è preciso: cancel-
lare tutte le norme che dal 2004 sono state
fatte da Soru (Berlusconi ha detto proprio
così). E quando mai un avversario politico in
una campagna elettorale in Italia ha dato dei
meriti al presidente uscente? Che campagna
elettorale sarebbe? In realtà, quali sono le
condizioni della Sardegna? Esiste davvero
il “peggioramento delle condizioni di vita”
sbandierato da Berlusconi, pardon Cappellacci? Ci sentiamo davvero più indietro del
2004? Basta leggere i dati reali e si avrà la
dimostrazione del contrario: la Sardegna va
in direzione esattamente opposta a quella
nazionale, e lo affermano i giudici più credibili i cittadini stessi.
Questa campagna elettorale purtroppo non
parte dal lavoro realizzato negli ultimi quattro anni: si cerca consenso promettendo, ma
non parlando di fatti concreti. E colui che si
candida alla guida della regione non è che
un muto e sorridente fantoccio. Nel frattempo Soru gira la Sardegna per ricordare ciò
che è stato realizzato dalla sua giunta, ciò
che ancora sarà fatto e soprattutto come, con
i soldi risparmiati e guadagnati e non con
illusioni o sogni impossibili.
Troppo serio il Presidente Soru.
Fidatevi che è meglio Soru.
Diego Pinna
Enrico Casu
[email protected]
[email protected]
http://megliosoru.wordpress.com
120 milioni di motivi per riflettere
ovvero, quando la tonaca fa la differenza
Partiamo dai fatti: lo scorso 5 Dicembre a
Roma la CEI per voce di monsignor Bruno
Stenco, direttore dell’ufficio nazionale della
conferenza stessa per l’educazione, la scuola e l’università, ha tuonato indignata contro
i 130 milioni di euro di tagli previsti per le
scuole paritarie nella finanziaria 2009, e ha
minacciato di portare in piazza le federazioni delle scuole cattoliche se i tagli fossero
stati effettivi.
Nel giro di qualche ora (!), con un emendamento al ddl Bilancio,120 milioni di euro
sono stati ripristinati, ha fatto sapere il sottosegretario all’economia Giuseppe Vegas;
sarà il ministro dell’istruzione, di concerto
con il ministro degli affari regionali e il ministro dell’economia a decretare i criteri per la
distribuzione di questi fondi entro 30 giorni
dall’entrata in vigore della finanziaria. Dopo
il ripristino dei fondi il portavoce della CEI
Domenico Pompili ha alleggerito i toni, dichiarando che i vescovi, preoccupati per le
scuole cattoliche confidano comunque negli
impegni presi dal governo. Ora vi propongo
un indovinello: quanti parlamentari hanno
protestato? Se avete detto 0 complimenti,
avete indovinato! Di fatti pare proprio che
l’unico a contestare immediatamente la decisione del governo sia stato Paolo Ferrero,
segretario del PRC (e se non lo facevano
loro!), che da alcuni mesi a questa parte è
un partito extraparlamentare. Ferrero ha polemizzato dicendo che mentre il governo ha
ignorato le manifestazioni a cui hanno preso
parte migliaia di studenti e docenti, rifiutan-
do di cambiare
chiesa. In un
i
provvedipaese
veramenti
sulla
mente laico il
scuola pubbliretrofront del
ca e l’univergoverno avrebsità, è bastata
be
suscitato
una semplice
per lo meno
minaccia
di
la protesta di
mobilitazione
una parte del
da parte dei
parlamento,
vescovi e delle
quella dei laici
scuole cattodi destra e siliche private
nistra, se non
per far cammanifestazioni
biare idea alla
di piazza; da
maggioranza. Più della
noi nulla di tutto queUna decina di vescovi conta
marcia indietro sui tagli,
sto sarebbe accaduto,
nei palazzi romani più delle
comunque equivoca e
anzi stava per succequantomeno contradditcentinaia di migliaia di perdere il contrario. In un
toria per un paese che
paese veramente laico
sone che sono scese in piazvuole definirsi laico, è
e sovrano, dove i poza contro i tagli del decreto
stata “sorprendente” la
litici non hanno paura
Gelmini
reazione del parlamendi assumersi la responto: nessuno ha protestasabilità delle proprie
to, anzi membri dell’opdecisioni, la maggioposizione come Maria Pia Garavaglia ed ranza di governo non ritirerebbe di certo i
Antonio Rusconi del PD hanno lamentato, propri emendamenti alla prima minaccia di
dopo il ripristino dei fondi, che mancavano proteste della CEI, o di qualsiasi altra assoall’appello altri 14 milioni di euro per le ciazione o gruppo,ed invece a Roma questa
scuole paritarie. Questo fatto dimostra una è la regola da sempre, se il gruppo che provolta di più quanto in Italia sia labile e con- testa è forte ed influente. Alla luce dei fatti
fuso il confine fra stato e chiesa nonostante se si è tornati indietro su questi 120 miliosiano passati ormai quasi 140 anni dal 20 ni, la scontata conclusione a cui si giunge è
Settembre e quanto ancora oggi lo stato sia che una decina di vescovi conta nei palazzi
condizionato nell’attività legislativa dalla romani più delle centinaia di migliaia di
persone che sono scese in piazza contro i
tagli del decreto Gelmini. E’ vero che la
somma che si è deciso di ridare alle scuole cattoliche è ben poca cosa rispetto alle
decine di miliardi di euro che ogni anno
vengono stanziati per la scuola pubblica,
che è la maggioranza che deve governare
anche infischiandosene dell’opposizione e
delle proteste, ma anche così la decisione
è ingiusta per principio, a priori, se prima
il ministro dell’istruzione afferma che è finita l’era dei privilegi e degli sprechi, che
si cercherà di riformare in senso meritocratico la scuola, e poi nella realtà dei fatti
una parte del sistema scolastico (quella più
numerosa e con meno risorse) vede i suoi
fondi diminuire e l’altra, molto meno numerosa e più ricca li vede inalterati. Perché
si attuano provvedimenti duri di contenimento dei costi verso quelle che sono le
scuole DELLO stato e al contrario, verso
quelle che sono a tutti gli effetti delle scuole private NON statali (anche se qualcuno
ha pensato bene di chiamarle paritarie) si
adopera un trattamento di favore? Dopo
quello che sta accadendo, pare proprio
che il primo presidente del consiglio italiano a raccontare barzellette non sia stato
Berlusconi, bensì l’indimenticato Conte di
Cavour quando diceva “Libera chiesa in
libero stato”. E’ la storia a dircelo.
Matteo Sulfaro
[email protected]
Sconfinare
6
Università
Febbraio 2009
Un grande laboratorio di dissenso
Colloquio coi prof. La Mantia e Neglie sul progetto di ricerca che partirà a marzo
«La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma
nell’abbandonare quelle vecchie».
È a partire da questa frase di John M. Keynes che prende vita il progetto di studio che
hanno messo in cantiere i professori Neglie
e La Mantia per il prossimo semestre. Il
tema è molto vasto: il dissenso e la manifestazione del dissenso, in ogni ambito. Il
ruolo centrale spetterà agli studenti, ai loro
interessi e alla loro fantasia. Ogni gruppo
di ricerca creerà il suo “percorso didattico”,
un lavoro di studio e ricerca concentrato
su un ambito preciso della questione.
L’evento conclusivo «sarà un convegnacolo: un evento, cioè, a metà tra
convegno e spettacolo»; raccoglierà
tutti gli spunti per creare un puzzle
complessivo della nostra idea di “dissenso”.
La prima fase del progetto prevede,
dunque, il lavoro di ricerca. Gli studenti interessati potranno riunirsi in
gruppi e, a seconda dell’ambito che
desiderano approfondire, scegliersi
un professore di riferimento. L’approccio sarà multidisciplinare: potenzialmente tutti i professori potranno
dare il loro contributo, anche attraverso piccoli seminari durante i loro
corsi del secondo semestre.
Sono gli stessi prof. Neglie e La Mantia a proporre alcuni spunti. Si potrà
spaziare dal “dissenso contro i totalitarismi”, come quello di Solidarnosc
in Polonia e dei cattolici in Unione
sovietica, a quello studentesco; dal
dissenso armato di terrorismo e anni
di piombo a quello utopico delle comuni maoiste e dei parchi Hobbit; dal
rapporto “dissenziente” fra le chiese
cattolica e ortodossa, alla Teologia della liberazione; dalla forza di andare controcorrente dell’antipsichiatria di Basaglia al tema
delle “Piccole patrie”, le identità regionali
che cercano protezione dall’invadenza burocratica/tecnico/finanziaria
dell’Unione
Europea. Le ricerche avranno un taglio
“multimediale”: cinema, letteratura, teatro e
musica entreranno a pieno titolo nei lavori.
Per questo si vorrebbero coinvolgere la Cineteca del Friuli oltreché, magari, l’Università di Udine e DAMS Cinema.
Ogni gruppo di studio produrrà infine un
paper che verrà esposto durante l’incontro/
conferenza finale. Inoltre probabilmente i
lavori verranno pubblicati su un blog dedicato, in cui verrebbero anche esposte tutte
le informazioni e le scadenze riguardanti il
convegno e il lavoro dei gruppi di studio.
Sempre a questo scopo saranno sfruttate le
mailing list delle associazioni che decideranno di collaborare.
Il “convegnacolo” conclusivo (che si terrà tra
la fine di aprile e l’inizio di marzo) sarà una
manifestazione multimediale: un’unione di
testimonianze dal cinema, dalla musica, dalla letteratura che spera di riuscire a coinvolgere anche i cittadini di Gorizia. Il modello
di partenza è il convegno sul Sessantotto,
svoltosi l’anno scorso sempre a Gorizia,
solo con una struttura più organizzata e appunto una maggiore partecipazione degli
studenti. Per curare l’aspetto iconografico
della giornata il prof. Neglie è già alla ricerca di una “task force musica&immagini”.
Anche se non è ancora certo, probabilmente si riuscirà a ottenere l’attribuzione
dei crediti liberi/F per il lavoro svolto nei
gruppi di studio: più che un metodo per attirare più studenti, questo vuole essere un
riconoscimento ufficiale della serietà del
lavoro svolto.
Un altro aspetto innovativo di questo
progetto è la partecipazione di studenti
stranieri, russi e polacchi, provenienti delle università con cui è a contatto
Gorizia: svolgeranno nelle loro università l’attività di studio e ricerca, per poi
“confluire” qui per l’incontro finale. In
particolare, gli studenti russi potranno
forse condividere la loro ricerca con
gli italiani, approfittando dello scambio
che li porterà in Italia in marzo.
Il professor La Mantia presenterà il
progetto il prossimo 3 marzo alle 15.00
all’inaugurazione del suo corso di Storia dell’Europa Orientale; il professor
Neglie il 5 marzo, all’apertura di Storia
Contemporanea. Chi fosse interessato può fin da ora contattare i docenti:
oltre agli spunti già forniti saranno la
fantasia e la voglia di impegnarsi degli
studenti a trasformare quest’evento in
un’occasione di crescita e rinnovamento della nostro corso di laurea e della
città di Gorizia.
Federico Faleschini
Francesco Marchesano
[email protected]
[email protected]
Ma ambasciator non porta pena
Il titolo della conferenza trae in inganno
più d’uno studente. “La politica estera
italiana dalla caduta del muro ad oggi”.
Uau! Che titolone. Specie in un posto
in cui la materia di studio si arena
usualmente all’a.D. 1975 (per conoscere i
venticinque anni successivi, tranquilli, c’è
sempre l’Erasmus. Se volete compilare
la domanda dovreste essere ancora in
tempo).
Con nelle orecchie tanta sete di novità
prendiamo posto. Ma capisco da subito
che aria tira. Il buon ambasciator
Ferraris, appena sceso fresco fresco
dalla montagna, ci detta il suo primo
comandamento facendoci sapere che
lui, qui, non ci voleva venire affatto. Per
dieci minuti buoni si lamenta del corso
di laurea, lodando però gli studenti e la
qualità della loro preparazione – perché a
Gorizia “o si studia, o non c’è nient’altro
da fare”.
Cos’è, un sarcasmo?
Tralasciando ghigni maliziosi e le
confutazioni strettamente personali a marginali, in realtà. Tipo (giusto per citarne
questa affermazione, il mio cervello si un paio) Sarajevo, il Kosovo, il Libano,
focalizza istintivamente su un punto l’Afghanistan, l’Iraq, la Russia e la Cina,
credo condiviso dall’assemblea: ma chi l’Unione Europea. E invece, nulla. Ferraris
ti vuole, parlaci di questa
non aggiunge niente di
politica estera o me ne
nuovo, nemmeno quando
Mi chiedo da studente con le domande gliene si
vado a farmi uno spritz.
Finalmente
comincia se dobbiamo continuare dà l’occasione, tolte un
l’intervento,
con
a prediligere un titolo paio di sparate di dubbia
l’accortezza
però
ed il nome alla qualità opportunità che meritano
d’inserire un prologo che
una menzione: l’invito alle
dell’intervento
parte – guarda caso – dal
ragazze a sedersi in prima
1861. Perché l’attualità è
fila, perché così “si guarda
davvero importante. Giusto un’oretta su qualcosa di piacevole”; e la solenne
argomenti del resto trascurati dal nostro dichiarazione che “gli italiani preferiscono
corso di laurea: la prima guerra mondiale, il compromesso, si sa. Per esempio, il
la politica estera fascista, il peso compromesso alla moglie è l’amante”.
determinante, eccetera. Non seguo perché Che sollievo. Auspico vivamente che
ho l’impressione di aver studiato questa queste boutade siano la norma per tutti i
cosa in almeno dieci manuali diversi. nostri ambasciatori. Sono felice che in giro
E forse uno era “la storia a fumetti” del per il mondo siamo i primi a contribuire
Giornalino.
agli stereotipi sull’italiano medio. Grandi
Ma io aspetto con ansia che giungano amatori, gli italiani!
argomenti più vicini a noi. Cose del tutto Dopo un’ora e mezza in cui si snocciolano
banalità ci vuole davvero una sopportazione
da guinness per stare seduti. La mia dura
ben due ore e ancora ne stupisco, fossi
rimasto in youtube a guardare i Griffin
avrei imparato più cose.
Mi chiedo da studente se siano nel
nostro interesse questi appuntamenti
in cui veniamo snobbati da relatori che
arrivano senza intervento scritto e che
svogliatamente se la raccontano per un paio
d’ore, quasi beandosi del fatto d’essere in
una posizione in cui possono permettersi
di dire quello che vogliono perché tanto
nessuno avrà il fegato di contraddirli. Mi
chiedo da studente se dobbiamo continuare
a prediligere un titolo ed il nome alla
qualità dell’intervento, e continuare a
sentirci “onorati” della visita di questi
personaggi anche se ci disprezzano, e non
hanno nemmeno il pudore di tacere. E
magari dovrei pure applaudire, o tributar
loro una standing ovation. No, grazie.
Rodolfo Toè
rodolfo.toè@sconfinare.net
Febbraio 2009
Sconfinare
Felice erasmus a tutti!
In questo periodo, come tutti gli anni, torna
quella che si può definire la “febbre da erasmus” e molti degli studenti del nostro corso di laurea iniziano a cercare informazioni,
compilare moduli, visitare siti, per cercare
di conseguire la borsa di studio per scambio interuniversitario piu famosa nel mondo
studentesco. L’esperienza di scambio “socrates-erasmus” oltre ad essere un momento
di scambio per studenti è anche e soprattutto,
a mio avviso, un modo per aprire la mente
e accumulare un numero di esperienze che
difficilmente si potrebbe raggiungere senza
partecipare al programma.
Per questo motivo ritengo che non ci sia un
vero e proprio “anno strategico” per cercare di trascorrere qaulceh mese all’estero
soprattutto perche dal diverso grado di maturità si sviluppano interessi diversi che porteranno a diverse esperienze.
Armati di voglia e spirito di adattamento
quindi iniziate pure a vagliare le possibilità
offerte: iniziate a delimitare un area sub-regionale che vi può interessare (ad es. Paesi
con lingua inglese, oppure Paesi dell’europa centro-orientale e cosi via) all’interno
di questa delimitazione ordinate le vostre
preferenze, anche in base alle materie che
si andranno a studiare negli atenei proposti.
Una volta rintracciato il docente che gestisce la o le borse che vi interessano prendete
contatti diretti in modo da avere notizie di
prima mano (spesso le notizie passaparola,
sono molto più catastrofiche dei problemi
-Buongiorno professore. Oggi si parlerà
di P2, sebbene in linee molto generali
per motivi contingenti…
Bene, comincio col dirle che ai tempi
della P2 facevo il magistrato. Ero anche
Vice Presidente vicario del “Centro di
azione latina”, fondato da Fanfani (adesso
“Istituto italo-latino americano”). L’istituto
all’epoca aveva contratto dei debiti: il
consigliere economico dell’ambasciatore
argentino si trovava all’Hotel Excelsior,
credo nell’Ottobre dell’80, dove c’era
anche Licio Gelli.
-Fu lì che incontrò Gelli per la prima
volta?
Si. In quell’occasione mi chiese se ero
disposto a fare da consulente legale per
una multinazionale, dato che ero (e sono)
professore di diritto internazionale (presso
l’Università “La Sapienza”, n.d.r.). Da lì
poi arrivò la proposta per entrare a far parte
della Loggia P2, e mi diede un modulo da
compilare.
-In cosa consisteva questo modulo?
Era un modulo normalissimo: le uniche
cose “particolari” erano due clausole.
La prima in cui era previsto il rispetto
assoluto della Costituzione e delle leggi
statali; la seconda in cui si contemplava il
rispetto della segretezza sull’iniziazione
muratoria, per garantire la riservatezza
del rituale. A quel punto giunsi alla parte
relativa ai “soci presentatori”. Insomma,
due individui avrebbero dovuto sostenere
la mia “candidatura”. Ma non conoscevo
nessuno. Fu lo stesso Gelli a farmi due
nomi.
-Che nomi le fece?
Quello di Fanelli, questore della Polizia di
Stato, e di Picchiotti, generale dell’Arma
che realmente si devono affrontare!) recatevi alle riunioni e non disdegnate di dare gia
qualche occhiata ai siti internet delle università in cui volete essere accolti cosi da confermare le vostre opinioni o eventualmente
rivedere le vostre priorità; a tale proposito
si può smentire la falsa voce che si abbia
diritto solo alle borse dei docenti del nostro
corso: le borse erasmus infatti sono gestite
da un docente di materie affini alla facoltà
in cui si vuole essere ricevuti, ma le domande possono essere presentati da tutti a tutti i
docenti (di solito si cerca una attinenza col
piano di studi. Il professore vi convocherà
quindi in una riunione in cui vaglierà il numero di posti e fisserà una data di selezione
e i criteri della stessa, di solito essi sono:
media dei voti, conoscenza della lingua veicolare e motivazione del candidato anche se
poi i paramentri vengono personalizzati. Superato lo scoglio della selezione, quasi sempre orale, inizia la trafinal burocratica, che
vi vedra impegnati con l’ufficio relazioni
internazionali dell’Università e con il contratto da riempire e firmare, in esso ci sono
i doveri dello studente (il numero di crediti,
il numero minimo di mesi di permanenza,
le modalità di prolungamento), per la compilazione dei piani di studio vi consiglio di
visionare i siti internet dell’università ricevente e cercare le materie piu affine possibili per contenuti e numero di crediti ECTS.
Allo stesso tempo cercatew di capire se avete diritto ad un alloggio pubblico per studen-
ti universitari o dovete cercarvi da voi un alloggio. Adesso siete pronti…. fate le valigie
e via…. vi consiglio di recarvi con un certo
anticipo (3 o 4 giorni) in modo da ambientarvi nella realtà in cui vivrete per almeno
qualche mese e cercare un alloggio se non
lo avete già fatto dopo l’assegnazione della
borsa. Al vostro arrivo all’università ospitante vi consiglio di trovare subito l’ufficio
internazionale e utilizzarlo come tramite per
ogni evenienza; controllate inoltre che il
programma che avete concordato su internet sia lo stesso che realmente l’università
offre cioè che non siano stati esclusi alcuni
corsi o il numero di ECTS non sia quello indicato a tale scopo vi consiglio sempre di far
presente all’insegnate la vostra posizione di
studente in scambio in modo da evitare inconvenienti di riconoscimento al ritorno. La
lista delle discipline di cui si vuole sostenere
l’esame può essere modificata entro termini
prefissati (a costo però di moltissimi fax tra
le due università!).
A questo punto inizierà in tranquillità quella
che per me è stata una delle esperienze più
formative della mia vita fatta di crescita culturale, mentale ed umana; fatta di amicizie
indissolubili, esperienze indimenticabili e a
volte, perchè no, grandi amori. Si inizierà a
frequentare i ritrovi erasmus in cui di solito
si scambiano le informazioni più proficue
ed utili. Usando chiaramente la maturità di
uno studente medio vi assicuro che non si
finirà “ sulla cattiva strada” come qualcu-
La P2 vista da dentro: intervista
al professore Augusto Sinagra
Incontro all’università con l’ex avvocato di Licio Gelli
dei Carabinieri. Come potevo non fidarmi?
… Firmai il modulo.
-Come avvenne l’iniziazione?
In pratica non fui mai iniziato. Il rituale sarebbe dovuto avvenire tra il 18 e il 19 Marzo 1981 (non ricordo di preciso il giorno),
ma il 17 ci fu il sequestro della lista. Inoltre,
nel giorno in cui avrei dovuto “iniziarmi”
mi trovavo a Santiago del Cile. In seguito
al sequestro Gelli mi chiese di difenderlo.
Io accettai e rimasi suo avvocato fin quando egli non aggiunse nella sua schiera di
avvocati anche l’avvocato Vitalone (metà
1982).
-Adesso potrebbe fare un breve accenno
al “Piano R” (Rinascita)?
Posso dirle che esso non fu scritto da Gelli…
mi pare da un magistrato. Era comunque un
progetto riformatore, così come erano riformatori gli intenti della P2. La Loggia non
era reazionaria, ma riformatrice. Nessuna
intenzione di organizzare golpe, sebbene
alcuni degli adepti fossero coinvolti nel fallito golpe di Junio Valerio Borghese.
-Ho visto che molti punti contenuti nel
“Piano R” “coincidono” con i punti programmatici dell’attuale Governo (ricordiamo che Silvio Berlusconi è stato piduista)…
Si, come ad esempio la riforma della Magistratura. Ma Berlusconi non è assolutamente
in grado di portare avanti un così ambizioso
progetto. Lui, come tutti noi, aveva i suoi
interessi da tutelare. La Loggia P2 costituiva l’élite delle classi professionali.
-Quindi nessun principio ispiratore,
ideale…?
Assolutamente no! Non vi erano principi
ispiratori, non c’erano ideologie. All’interno
della Loggia vi era un mélange politico
incredibile. Quello che accomunava tutti era
“fare i propri interessi” e sviluppare magari
le proprie carriere ancora agli inizi, com’è
stato nel caso del nostro attuale premier. La
P2, per quanto mi riguarda, era una società
di mutua assistenza. Voi “giornalisti”
dovreste accettare certe semplici e banali
verità!
Federica Salvo
[email protected]
7
Università
no vuol farci credere dopo i ben noti fatti
di cronaca. I mesi passeranno in un lampo
e si dovrà tornare al nostro piccolo mondo pre-erasmus, quando questa bolla sarà
scoppiata, allora ragazzi cercate di portare
con voi il meglio che questa esperienza vi
ha dato senza rimorsi e magari con qualche
rimpianto ma si sa non ci si accontenta mai.
In fine per chiudere in bellezza ricordatevi
di andare firmare entro i termini il modulo
di rientro che vi darà diritto alla quota pecuniaria stabilita. Di certo andrete all’ufficio con il passo sicuro di chi è cresciuto e
cambiato, ma anche pesante di chi vorrebbe
tornare indietro: un po’ come nel film “L’appartamento spagnolo”.
Antonio Del Fiacco
[email protected]
Lingua Francese
avviso per gli studenti del 3 anno, 1 e 2
anno di laurea
specialistica, fuori corso, laureandi e/o neolaureati
Il Consolato Onorario di Francia a Trieste offre agli studenti del corso di Laurea
in Scienze Internazionali e Diplomatiche la
possibilità di effettuare degli stages presso
due Istituzioni francesi:
1- Servizio per gli affari sociali dell’ambasciata di Francia a Roma:
stage di 3 mesi,prolungabile a 6 mesi, per
uno/due/tre studenti dell’indirizzo diplomatico;
2- Missione economica dell’ambasciata di
Francia a Milano:
stage di 6 mesi, per uno studente dell’indirizzo internazionale.
N.B. Per gli stages è indispensabile un’ottima conoscenza della lingua francese, scritta
e orale. E’ infatti prevista la totale integrazione del tirocinante nell’équipe di lavoro,
con incarichi di collaborazione effettiva ai
progetti del Servizio.
La domanda di candidatura, corredata da:
- una lettera di motivazione, in francese, con
l’indicazione della preferenza del luogo e
del periodo dello stages;
- un CV con foto;
- la fotocopia di eventuali attestati di lingua straniere o altro dovrà essere spedita
via e-mail alla prof.ssa Leggeri, Console
Onorario di Francia e Trieste ([email protected]) dal 15/01/2009 fino al
25/02/2009.Le candidature saranno vagliate
in base ai titoli e , successivamente, i candidati dovranno sostenere una prova scritta e un colloquio. I risultati saranno esposti in bacheca presso la del SID , dopo il
15/03/2009.
Successivamente, i prescelti dovranno confermare o rifiutare lo stage con un anticipo
di due mesi sull’inizio dello stesso, in modo
da consentire ad altri di subentrare.
Un mese prima dell’inizio dello stage, il
candidato prescelto deve richiedere due
copie della convenzione presso il Centro
Servizi della Facoltà di Scienza Politiche a
Trieste e farle debitamente compilare e firmare dal soggetto promotore dello stage – il
Preside di Facoltà- e dal Soggetto ospitante
(Istituzione francese) .
Per ulteriori informazioni pratiche, gli interessati possono rivolgersi alla prof.ssa
Leggeri e allo studente Edoardo Buonerba:
[email protected]
8
Viaggio
in Italia
Arrivo che è già buio a Matera, dal turbinio
di strade che gira attorno al blocco intagliato dei sassi. La macchina scorre veloce tra
le rotonde e le isole spartitraffico, serpeggia
fra i palazzoni residenziali, sale
e scende, la periferia vista dal finestrino è a metà tra l’autodromo
e le montagne russe. Sono ospite
della famiglia Bruno. Tutto intorno i balconi sono accesi di luci
abbondanti e disordinate, hanno
passato Natale e stanno aspettando il 2009.
Scendendo verso il centro ci s’incaglia nei sassi. Non li avevo mai
visti né immaginati, li conoscevo
solo come sfondo di film che raccontano altre storie. Sono le case
sovrapposte scavate nel tufo dove
i materani hanno vissuto fino agli
anni Cinquanta prima dello sfollamento forzato. Stanzette contorte
che ospitavano famiglie intere con
asino o maiale, arroccate su una
parete del burrone creato nei secoli dal torrente Gravina. Poi ruspe
e palazzinari hanno costruito una
seconda città tutto intorno, cementificata ma ariosa, in simbiosi con
la prima. I sassi regalano poesia al
traffico che scorre vivace in periferia.
Al Keiv bevo il primo amaro lucano. È un posto sciccoso, ricavato in un sasso, tra giochi di luci e
specchi colorati. Un inizio da turista. Un po’ più su, verso la piazza
che raccorda la Matera dei nonni
a quella dei nipoti, sta Il Camera.
È la pancia notturna che si ingoia
i materani, un dedalo di cunicoli
affollato di formichine opulente
che trasportano il loro bicchiere
di birra alla ricerca di un tavolino libero. I giovani sono tornati
dall’esodo che svuota il Meridione per farsi il Natale in famiglia.
«Auguri!» e bacini sulle guance si
mescolano ai «Bentornato, quando torni su?».
«Non c’è lavoro. Che dobbiamo
fare? Tutti a passeggio!». Sembra rassegnazione simpatica, ma
a parlare è gente che fra qualche
giorno si farà 13 ore d’auto per
tornare a lavorare a Milano e che
prima di “scendere” si è fatta un
colloquio di lavoro a Torino. O
che comunque sta per ricominciare a godersi la vita di studente, ma
a 500-800-1000 chilometri da casa, a Roma,
Bologna o Gorizia.
Capodanno ruota attorno al pranzo. La giornata è ormai irrimediabilmente scivolata
in avanti di cinque sei ore; dopo la Notte
dell’anno passata a ballare, la colazione
Sconfinare
Il viaggio continua.
Capodanno nella Matera
dei sassi e dei saldi
BASILICATA
presa in un bar fuorimano e qualche ora di
sonno profondo, non riusciamo a sederci
a tavola prima delle 14. Siamo a mangiare
dalla zia.
Le portate principali arrivano accompagnate
da risa e marcia trionfale (Aida), lo zio chiacchierone copre il ticchettare delle forchette
con i suoi racconti, una televisione accesa
e silenziosa movimenta la scena. Siamo in
tanti, fratelli, zii e amici di famiglia che alla
fine del pranzo sento quasi come miei cugini lontani. Pasta al forno, agnello arrostito,
pizza rustica, pettole (quell’acqua-farinasale fritti che a Ferrara chiamano pinzìn e
che ogni regione
mangia convinta
che siano specialità locale),
dolce alla ricotta. La maratona
si chiude alle
18 col caffè. È
il tempo delle
carte: scopa e
piattino, ho vinto anche qualche
“spiccio”. È il
casinò più bello.
Le notti si spingono fino a mattina alla ludoteca
vicino alla villa.
La gestisce un
vecchio grasso e
taciturno, si vede
che fa il possibile
per tenerla al passo
coi tempi, sembra
non faccia fatica ad
aspettare l’alba per
vedere vuoto il suo
locale. Io mi drogo
di biliardo e, nel soppalco ormai diventato una galleria del
fumo, imparo a giocare a burraco.
Siamo
all’ultimo
giorno. Non so come
ma l’inizio dei saldi
ci fa arrivare al centro commerciale. Al
“senso unico” sembra
si sia trasferito un suq
arabo: la folla si spintona
tra gli scaffali, maglioni
giacche e camice sono
quasi all’aria, la musica è
assordante. Tornati in città
mi accorgo che è piena di
quegli orribili babbi natale
appesi/impiccati ai balconi. Delirio per gli sconti e
buongusto natalizio fanno
dell’Italia2009 un paese
unito.
Ho passato bei giorni
in questo Sud che parla
sempre al passato remoto.
«Matera affonda le sue radici nella notte dei tempi», le piace raccontarsi; vi ospiterà volentieri, fateci un giro.
Conosco un buon indirizzo.
Francesco Marchesano
[email protected]
Febbraio 2009
Scripta Manent
Corrado Augias
Inchiesta sul
cristianesimo:
Come si costruisce
una religione
Il nuovo
libro intervista di
Corrado
Augias,
questa
volta in
collaborazione
con Remo
Cacitti,
docente di
letteratura
cristiana antica e storia del cristianesimo antico presso l’università degli studi
di Milano segue il percorso già tracciato
da “Inchiesta Su Gesù”(Mondadori,2006)
e cerca di ricostruire secondo quelle che
sono ad oggi le fonti storiografiche il cammino evolutivo e di formazione del cristianesimo. E’ una delle poche letture italiane
destinate al grande pubblico che affrontano la religione dal punto di vista storico
e non da quello della fede, tracciando un
quadro accurato sui primi quattro secoli
di vita del cristianesimo, nei quali questa
fede è ancora un cantiere aperto, dove si
possono rintracciare innumerevoli tesi e
pensieri, da quelli che poi sono entrati a
far parte della dottrina ufficiale della chiesa fino a quelli che in seguito sono stati dichiarati eresie, e che molte volte nella fase
aurorale del cattolicesimo, prima che venisse definitivamente stabilito un “canone” erano invece ortodossia. Si scoprono
molte altre cose sorprendenti sui primordi
del cristianesimo, come il fatto che molta parte nella formazione di questo culto
più che Gesù l’hanno avuta San Paolo,
da molti studiosi considerato il vero padre fondatore della chiesa, Costantino e il
concilio di Nicea del 325 per esempio. Al
contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, la distanza fra la ricostruzione storica
dei fatti e quella fideistica dei vangeli e
degli altri testi sacri è sì evidente, ma non
così enorme; le differenze più macroscopiche rispetto alla storia si trovano invece
nell’interpretazione ufficiale che dei testi
viene data. In conclusione, come quasi
tutte le religioni anche il cristianesimo ha
subito evoluzioni e cambiamenti nel corso dei secoli,contaminandosi e prendendo
spunti da altre fedi, cercando di adattarsi
allo spirito di varie epoche storiche fino
ad arrivare ai giorni nostri.
Matteo Sulfaro
[email protected]
2009 Febbraio
Essere immediati, sobri. Esprimersi con
parole semplici, privilegiare un periodo
scorrevole. In una parola: scrivere bene, la
più alta manifestazione di filantropia cui si
possa aspirare. A Beppe Severgnini l’onore
di averlo capito prima degli altri e quello di
aver stilato con buon gusto ed ironia un valido vademecum per il virtuoso della parola,
e dei rapporti sociali. “Ho scritto ‘L’italiano.
Lezioni semiserie’ per denunciare le violenze contro la nostra lingua, ma non chiedo
condanne. Lo scopo è la riabilitazione. Scrivere bene si può. L’importante è capire chi
scrive male, e regolarsi di conseguenza.
Questo è un libro ottimista, e ha un obiettivo dichiarato: aiutarvi a scrivere in maniera
efficace (un’e-mail, una relazione, una tesi o
un breve saggio: la tecnica non cambia)”.
E come promesso, ecco che scorrere le pagine della più completa tra le grammatiche
italiane -se di mera grammatica si può trattare- è come purificarsi dai sette vizi capitali, linguisticamente parlando.
Ira: chi non ha mai provato quella particolare agitazione nervosa che ti assale ogni volta
che, impantanato in un vortice di intricatissime subordinate, ti ritrovi a soffrire di tic,
apnea mentale, perdita di memoria, shock
visivi, nausee improvvise? Ma soprattutto,
potresti essere tu stesso fonte di siffatta irritazione? Se hai anche solo il minimo dubbio
Sconfinare
Se vuoi essere altruista
dimmi cosa pensi in due parole
E per favore, baby, sceglile con cura.
(o peggio, se proprio non ce
l’hai) devi dare un’occhiata al
Decalogo Diabolico, la Lista
delle perversioni verbali più
diffuse.
Accidia: atteggiamento di rinuncia di fronte al dilagare di
forme linguistiche palesemente irragionevoli ma irragionevolmente abusate. Ne soffri se
ti accontenti di usare parole
che hanno conquistato il lustro
della ribalta per l’autunno/
inverno 2009. Nel senso che
il banco di prova dell’opinione pubblica è un’impressione
personale piuttosto che la sincera verità?
Assolutamente sì! Mah…
Lussuria: ne è affetto l’amante dell’erotismo verbale, l’edonista che si perde nella
ricerca di vocaboli pomposi e gustosi, pleonastici ed orgiastici, vanitosi, e per l’appunto lussuriosi . L’effetto sperato non tarda ad
arrivare: impreziosire troppo annoia.
Gola e Avarizia: moti speculari di una medesima distorsione. Il goloso osserva la lingua come fosse il cesto della
merenda: una bella spalmata
di punteggiatura qua, una sorsata di diminutivi là, assaggia
questo panino ben farcito di
che! Occhio alla digestione,
però. L’avaro invece disdegna
il piacere di mettere un punto
chiarificatore, è infastidito dal
respiro della virgola e se può
rimane a digiuno, anche di lettori.
Superbia: potresti rivelarti un
superbo se con quotidiana arroganza violenti la grammatica italiana e ti meravigli di
qualche coraggioso linguista che osa denunciarti. Beneficenza? acquiescenza? mangerò
arance e ciliegie? e allora c’impegniamo?
secondo coscienza! L’importante è dubitare
sempre con il congiuntivo; ma si sa, il superbo vive all’indicativo.
9
Scripta Manent
Invidia: questo vizio è uno dei più diffusi
nella moderna società globale. Completamente vinto dalla concorrenza, l’invidioso
copia spudoratamente le espressioni di matrice inglese e cerca di inserirle con disinvoltura nel discorso; film e computer passino, ma diffidiamo di chiunque abbia una
mission o una vision, Severgnini si raccomanda.
Insomma, siete animi delicati oppressi dal
timore di distruggere con asfittici sillogismi la serenità di chi vi dedica il proprio
tempo? Avete sempre desiderato insorgere
contro chi lesina in magnanimità ed eccede
in sproloqui, sordo ai lamenti della lingua
che si contorce su se stessa? Allora leggetevi quest’altalena di buoni consigli e ferrei
divieti. Vero inno alla pace dei sensi, ‘L’italiano. Lezioni semiserie’ è il libro giusto per
chi vuole migliorare il proprio rapporto con
la parola muta facendosi una sonora risata; è
il regalo giusto per chi desidera aiutare uno
scrittore in erba mitigandolo con la comicità dell’errore maccheronico; ed è la prova
giusta per chi, povero illuso, non dubita mai
del proprio italiano. Il percorso è costellato
di sadoquiz e masotest ma la riabilitazione,
per fortuna, è assicurata.
Valeria Carlot
[email protected]
Se una notte d’inverno un viaggiatore...
Il racconto breve di
Tommaso
Episodio 2
Il sole stava iniziando placidamente a tingere
di rosso la semplice superficie della scrivania.
Sopra vi si trovavano un computer, una lampada, un portapenne ed un paio di foto, bordate
da cornici di metallo.
In una, c’era una famigliola sorridente, circondata dal magnifico panorama del Gran Canyon: Papà, Mamma e 2 fratellini; nell’altra,
una bellissima ragazza dai capelli scuri, la pelle chiara, ed il volto concentrato ad osservare qualcosa di non visibile nell’inquadratura.
Paolo ricordava bene quello che Bianca stava
osservando e si ricordava pure la meraviglia
che si nascondeva dietro quegli occhiali da
sole che le aveva regalato per il suo compleanno: si trovavano a Sidney, in viaggio di nozze. La foto l’aveva scattata lui stesso. Era la
sua preferita, tra le migliaia che aveva scattato
nei suoi viaggi. Lei era così perfetta in quella
espressione, carpita in un istante.
La teneva in ufficio perché lo sosteneva nei
momenti di stanchezza. Lo consolava e gli ridava forza pensare alla fortuna di aver sposato
una donna così bella, sia esteriormente che interiormente. Sorrise, e riprese a lavorare. Doveva fare in fretta: il fioraio chiudeva alle sei
quel giorno, e lui non poteva certo permettersi
di tornare a casa senza fiori il giorno del loro
primo anniversario di matrimonio! Finì di lavorare quando il sole ormai era già tramontato,
ed era rimasta solo la pallida luce del crepuscolo a schiarire il blu cupo del cielo. Sceso in
strada, si affrettò per andare dal fioraio: aveva
ordinato un grande mazzo di rose rosse.
Prese la macchina e cercò di sbrigarsi ad andare a casa, malgrado il traffico – così, pensò,
sarebbe forse riuscito anche a farle trovare la
cena pronta e la tavola apparecchiata. Parcheggiò la macchina in garage al solito posto.
Ottimo, Bianca non era ancora rientrata. La
sorpresa sarebbe riuscita alla perfezione! Aprì
la porta di casa, prese un vaso pieno d’acqua e
mise in bella vista sul tavolino dell’ingresso il
suo prezioso dono per lei. Poi, accese la radio
e si mise a preparare la cena.
Guardò fuori dalla finestra e vide che una candida luna piena irradiava di luce argentea tutto
il cielo.
Aveva un’eccitazione addosso che sembrava
muoversi sotto pelle, come un brivido emozionante. Tutto gli diceva che quella sarebbe
stata una notte speciale!
La musica alla radio fu interrotta dalla voce
dello speaker che annunciava il radiogiornale
delle sette e mezza:
<< Il portavoce della Sintec – Donald Johnson
– società per azioni leader del settore chimico, ha dichiarato il fallimento a seguito della
recente crisi che sta coinvolgendo il paese dal
Settembre scorso. Sono stimati più di 6’000
disoccupati tra operai e manager d’impresa.
Passiamo ora ad altre notizie...>>
Paolo si tagliò mentre puliva il pesce: la sua
mano aveva tentennato.
All’improvviso, quella magnifica sensazione
che correva sotto pelle si congelò, rompendosi
in una nube di ghiacciato smarrimento. C’era
anche lui in mezzo a quei 6’000 operai e manager d’impresa: era rovinato!
No, non poteva... non poteva essere... non a
lui!
Perché? Perché a lui, che aveva abbandonato
amici e famiglia per andare a lavorare in quel
paese lontanissimo e che si era sacrificato in
tutti i modi più umilianti per diventare qualcuno ed arrivare ad ottenere quella posizione di
prestigio all’interno dell’azienda?
L’unica risposta che poté darsi fu una bestemmia soffiata tra i denti.
La rabbia lo assalì d’un tratto. Andò in sog-
disegno di Stefano Facchinetti
giorno e, con un colpo secco, calciò il comodino, facendo cadere la lampada che c’era
appoggiata sopra. Questo però non lo sfogò
minimamente. Fiondatosi sul divano, prese
uno dei cuscini e lo scagliò senza riflettere.
Subito dopo agguantò l’altro e lo stracciò,
strappando via con gusto sadico il suo interno
- quasi come se fossero interiora umane. Lasciò cadere la sua preda e, sconvolto, si avvicinò alla porta finestra.
Doveva assolutamente prendere una boccata
d’aria.
Tutto aveva perso di lucentezza – perfino la
luce della Luna aveva perso il suo colore argentato, sostituito da un onnipresente grigio
pallido. Che mondo infame: fino a qualche attimo prima sentiva di poter toccare il cielo con
la punta delle dita ed ora, si ritrovava completamente immenso nel fango!
Aprì la porta per andare in terrazzo. Respiro
dopo respiro, la rabbia era lentamente scemata
via. Una nuova domanda si affacciò: cosa ne
sarebbe stato di lui?
A questa domanda seppe rispondersi: il giorno
dopo sarebbero stati tutti chiamati dal capo per
ricevere la propria condanna inviata via fax da
Seattle.
Lacrime di disperazione si fecero strada nei
suoi occhi: non voleva... non voleva ricominciare tutto dall’inizio, no!
Scrivere il curriculum e poi, girare tutta la
città più e più volte, senza la benché minima
speranza di trovare un posto buono almeno la
metà di quello che aveva perso. Si sarebbero
dovuti trasferire ma... con che soldi?
Giusto un mese fa avevano deciso di comperare quella casa così bella e costosa, spendendo
tutti i loro risparmi e aprendo un mutuo con
la certezza che, grazie alla promozione di
qualche mese prima, lui sarebbe riuscito facilmente a pagare ed invece... altro che trasferirsi: con i miseri ricavi di Bianca si sarebbero
potuti sì e no permettere una squallida stanza
in un motel!
Di lì a poco un problema ben più grave attirò
la sua attenzione: come avrebbe fatto a dirlo a
Bianca? (fine)
Tommaso Ripani
[email protected]
10
Cultura Glocale
Sconfinare
Febbraio 2009
La danza sul palcoscenico
da “Otango” a “Romeo & Juliet”, il teatro è ancora spazio per il buon spettacolo
Finalmente è il turno della danza. Di
quella danza che piace a me. Mi ricordo
di quando ero piccola, di quando mi arrabbiavo con la televisione italiana per
il poco spazio che riservava alla danza.
Aspettavo con ansia il primo dell’anno per
vedere, assieme con il concerto in diretta
dal Musikverein di Vienna, qualche stralcio di balletto classico. E di stralci proprio
si trattava, perché il cameraman della Rai
amava indugiare prima sul lampadario in
cristallo, sugli scaloni in marmo, sulle decorazioni floreali con fiori provenienti da
San Remo … poi, finalmente, dopo tanta
suspense, una scarpetta! Un braccio in
aria! Un tulle svolazzante! Ma mai che si
vedesse una ballerina tutta intera. Perché per una bambina appassionata di
danza in una città senza teatro, quando
ancora internet non esisteva, e con una
tv totalmente impermeabile a questo
tipo di intrattenimento, le occasioni per
veder ballare erano davvero più uniche
che rare.
Totalmente arresa alla dura realtà dei
fatti, negli ultimi anni ho cominciato
invece ad assistere fiduciosa al nascere di molti programmi televisivi, con
protagonista la danza nelle più svariate
versioni. Per poi rimanere nuovamente
delusa, perché quella danza da competizione spiccia, da show business, tutta
salti e prese, non era, a parte qualche
Lo so, non è un discorso facile cui approcciarsi. Intanto, sgombriamo il campo dagli
equivoci: non intendo fare un discorso tecnico, che è, per la gran parte degli studiosi,
ormai chiuso. Difatti, già dal ’99 è in vigore
una legge per il riconoscimento del Friulano
come lingua (sottolineiamo, lingua) minoritaria, in applicazione del principio dell’art.
6 della Costituzione (‘La Repubblica tutela
con apposite norme le minoranze linguistiche’). Non mi dilungherò di più sulle questioni giuridiche: fatto sta che il Friulano è
stato riconosciuto come lingua dallo Stato
italiano, e non voglio discuterne il merito.
Voglio, piuttosto, discutere l’uso che di questo riconoscimento se ne fa, e che ben possono intendere tutti coloro che hanno del
Friuli un’idea da ‘esterno’, scevro da condizionamenti familiari e/o scolastici. Intendo
dire che in Friuli esiste una sorta di ‘condizionamento ambientale’ per via del quale il
Friulano è percepito come La lingua.
Ma partiamo da un po’ più lontano, e facciamoci una domanda. Quant’è importante
la tradizione, oggi? E’ una questione cui ho
già accennato, tra le righe, su questo giornale, e alla quale sono molto interessato.
La risposta è sì, ovviamente; è, però, un sì
molto condizionato. E’ importante se non
diventa prevaricazione nei confronti del vicino (vicinissimo) ‘compatriota’ –usiamolo
pure, ma è un termine per me obsoleto-,
quale potrebbe essere il triestino o il veneto. E’ importante se non diventa arroccamento; un arrotolarsi su se stessi; una fuga
dalla modernità; un rifiuto di ciò che rappresenta il ‘diverso’. A differenza di quanto
possa sembrare, io non sono nazionalista.
Tutto l’opposto. Non è bello parlare di sé
rara eccezione, la danza che avevo imparato con un po’ di snobismo ad apprezzare
io. La danza che piace a me è quella che si
vede in teatro, con coreografia, scenografia, costumi di scena, con la tensione della “diretta”, ma, soprattutto, con ballerini
veri. Ballerini cioè che svolgono la loro
professione con professionalità. Cosa non
del tutto scontata.
E per fortuna, gli ultimi due spettacoli di
danza presentati al Teatro Verdi di Gorizia non mi hanno delusa. Due spettacoli
completamenti diversi, ma accomunati dalla tematica dell’amore infelice. Il
primo era Otango, The Ultimate Tango
Show (ideazione e direzione di Oliver Til-
kin & Sabrina Gentile Patti), presentato il
21 dicembre 2008 dalla compagnia belga
Artemis Production. Il secondo era invece
Romeo & Juliet (da un’idea di Mauro Bigonzetti e Fabrizio Plessi), andato in scena il 10 gennaio 2009 con la Fondazione
Nazionale della Danza - Reggio Emilia
Aterballetto.
Otango proponeva una storia d’amore perduto in un excursus storico e spaziale che
da Buenos Aires portava a Parigi, dal primo Novecento al secondo dopoguerra. Sul
palco si esibivano non solo i ballerini, ma
anche l’Orquesta Otango, con pianoforte,
due violini, contrabbasso e bandoneón, e
due cantanti argentini: Claudia Pannone e
Sebastian Holz. Classici del tango, come
La Cumparsita, Milonga de mis amores
o Libertango, venivano riproposti in una
partitura originaria e accompagnati o inframmezzati dalle voci dei cantanti. Bellissima quella di Claudia Pannone che,
con grande padronanza scenica, spesso
dominava il palco da sola.
Romeo & Juliet utilizzava invece le musiche del balletto classico omonimo di
S. Prokofiev per riproporre la storia di
Romeo e Giulietta in una versione moderna e astratta. Molte coppie di Romeo
e Giulietta ballavano la tragedia imminente del loro amore: vestiti di corsetti
in pelle nera o costumi color carne, con
un piede infilato in un casco da moto af-
Il friulano non è una lingua!
in un articolo, ma preciso soltanto che il
mio orientamento è per un’unione federale europea, con poteri politici centralizzati
e poteri amministrativi devoluti alle mille
‘piccole patrie’ europee (e quindi i Paesi
Baschi, certo la Sardegna, e così via, sino a,
se lo vorrà, il Friuli). Non mi si può quindi
tacciare di conservatorismo e nazionalismo
glotto-culturale. D’altro canto, stando così
la situazione, con una pessima percentuale di italiani parlanti una seconda lingua
(come Inglese o Francese), mi sembra una
questione ridicola quella dell’insegnamento, per fare un esempio concreto, del Friulano nelle scuole. Si tratta, a mio avviso,
non di una questione di merito: infatti ho
già detto che in quella non voglio entrarci
e che, anzi, la questione si sia più o meno
risolta; bensì di una questione di principi,
direi quasi filosofica se non fosse per la
mia profonda insipienza in questo campo.
L’idea che mi disturba è infatti l’arroccamento culturale. Finché si parla di protezione e rivitalizzazione del Friulano (come
di tutti gli altri dialetti/lingue italiane; su
questo punto ritornerò più avanti), sono del
tutto d’accordo; come del resto sono contro l’abolizione del Greco persino nei licei
classici, idea birichina che è sempre in agguato. Cosa può salvaguardare una cultura
(quella greca come quella friulana), se non
la sua propria lingua? Lo stesso valore di
un termine, il numero dei suoi sinonimi,
la sua presenza/assenza nel vocabolario,
ogni sua lettera, vocali e consonanti, tutto
può parlarci di un popolo, dei suoi costumi, delle sue tradizioni, dei suoi valori. E
questo era il pensiero di un grande cultore
della lingua friulana, Pierpaolo Pasolini, che
da ottimo scrittore qual era amava perfino il
suo suono, il suo ritmo.
Questi sono i motivi per cui una lingua, ma
anche (forse soprattutto) un dialetto, andrebbero salvaguardati. Ma di questo si devono
occupare i linguisti, gli studiosi di etnoantropologia, anche i sociologi. Comunque,
gli studiosi. Non i politici. E il guaio del
Friulano è che i politici se ne sono occupati fin troppo, lo hanno strumentalizzato e lo
hanno distorto; o, meglio, ne hanno distorto il significato. Così, torniamo al principio
del nostro discorso. Quello che ho definito
‘condizionamento ambientale’, che porta
chiunque sia stato educato in provincia di
Udine a pensare al Friulano come La lingua,
finalmente riconosciuta. La lingua, alla pari
dell’italiano, del ladino e del sardo.
Ma qui si sbagliano. Sono lingue riconosciute anche l’Emiliano-Romagnolo, il Ligure, il Lombardo (che risulta parlato anche
in Sicilia!), il Napoletano (detto anche Volgare pugliese), il Piemontese (riconosciuto
lingua già dal 1981, ben prima del Friulano),
il Siciliano…E così via. Nulla di speciale,
quindi. La sua particolarità nasce da questo
grande equivoco, di questa ritenuta unicità
causata dalla politica locale, che ha spinto
su questo aspetto (buono in partenza) così
importante per la comunità, per operare una
disgregazione campanilistica esasperata, e
in buona sostanza anche assurda.
Prendiamo l’insegnamento delle scuole:
perché il Friulano di Udine sì, e quello di
qualunque altra comunità no? Che si fa, si
frontavano impegnativi esercizi di equilibrio, a rappresentare il loro destino perennemente in bilico.
Entrambi i balletti a tratti provocatori, il
primo con un tango lesbo, il secondo con
la sensualità molto esplicita dei due amanti, mettevano in scena non tanto una trama vera e propria, quanto i sentimenti che
accompagnano l’amore di ogni tempo: la
passione, la gelosia, la rivalità, la tragedia
incombente.
I due spettacoli hanno avuto una riposta
diversa dal pubblico. Mentre il primo è
stato accolto con grande entusiasmo, il secondo ha incontrato una buone dose d’incomprensione, probabilmente per il modo
inatteso con cui un tema molto noto era
stato trattato. Ma entrambi sono riusciti
a coniugare assieme tutti quegli elementi
che fanno della danza uno spettacolo: le
coreografie interpretavano la musica; scenografie, luci e costumi andavano d’accordo; i ballerini ballavano. E con un’altissima preparazione. Ma cosa più importante,
sono anche riusciti a comunicare qualcosa: sono riusciti a interpretare sul palco la
complessità dei sentimenti.
Scordatevelo che riesca a farlo anche la
televisione.
Margherita Gianessi
[email protected]
insegna una lingua diversa in ogni paese? E
ci sono abbastanza insegnanti per farlo? Si
capisce che così si finisce nel caos.
Si ritorna al solito discorso dei cartelli in
dialetto, sparsi per il Nord leghista: fuori
da ogni ironia, il significato di quei cartelli mi fa tristezza. Il Friulano sbandierato
come ‘Totem anti-altro’ mi fa tristezza. Non
è un caso che questa del Friulano sia una
questione tanto particolare, perché è stata
indotta dall’esterno, da una politica furba
e disgregatrice. Un fattore così importante,
cioè la lingua/dialetto (la differenza, sul piano politico, per me non esiste: abbiamo visto come anche parlate considerate ‘dialetti’
siano in realtà ‘lingue’), diventa semplice,
ottuso e controproducente particolarismo.
Ed è contro quest’ultimo che mi batto; ed
ecco perché, provocatoriamente e al di fuori
da qualunque discorso tecnico-glottologico,
dico: ‘Il Friulano non è una lingua, ma un
dialetto!’
Permettetemi una piccola postilla. Ho tralasciato volontariamente di parlare della ragione più comune (ma anche, scusatemi, la
più stupida) che viene addotta per giustificare la definizione di ‘lingua’ per il Friulano:
‘Se mi metto a parlarla, tu non mi capiresti!’
Cosa, questa, che avviene in realtà per qualunque altro dialetto (ma questa obiezione
solitamente viene zittita dalla faccia profondamente offesa dell’interlocutore friulano).
E allo stesso modo di quasi tutte le parlate
d’Italia, che però non hanno subito la stessa strumentalizzazione del Friulano, e sono
tutelate senza rumorosi e prepotenti strepiti
di tromba.
Francesco Scatigna
([email protected])
Sconfinare
Febbraio 2009
11
A tutte dimensioni. Arriva il cinema 3D
Sembra lontano il momento in cui sul
grande schermo qualcosa ha iniziato a
muoversi. Poi si sono sentiti i primi rumori, anni dopo timidamente le prime
macchie di colore, e poi via con un crescendo di dolby surround, filtri da cinepresa, effetti speciali, computer grafica...
Il cinema non finisce mai di intrattenerci
e di stupirci con nuove, mirabolanti – e
generalmente costosissime – sorprese.
Oggi anche l’ultima frontiera, quella
dello schermo bidimensionale, è stata
abbattuta e i film stanno letteralmente
entrando nella sala di proiezione.
Sicuramente tutti ricordano con affetto
i vecchi occhiali stroboscopici con le
lenti rosse e blu che permettevano di vedere fotografie, generalmente in bianco
e nero, con un effetto di profondità tridimensionale. In effetti, studi sulla tecnologia 3d esistono fin dagli anni venti.
Sino ad ora i risultati erano stati piuttosto insoddisfacenti: gli occhiali con le
lenti colorate alteravano le cromie delle
immagini e quelli con le lenti trasparenti provocavano forti emicranie e senso
di nausea. Oggi la ricerca ha finalmente
messo a punto una tecnologia che non
distorce la percezione dei colori e non
obbliga a masticare travelgum durante
la proiezione.
Ricordo ancora una visita al museo della Scienza e della Tecnica di Parigi nel
2000, durante la quale alla Géode proiettavano per la prima volta un corto-
Questo mese vi parlo di due film. “Il
giardino di limoni” di Eran Riklis - regista anche de ” La sposa siriana” - racconta di una donna palestinese qualsiasi, Salma, una vedova, che vive nella
sua casa in Cisgiordania da sempre, devota al giardino di limoni che ha coltivato assieme al padre e al marito. Sfortunatamente vive proprio sul confine
con Israele. Il giorno in cui il ministro
degli Esteri israeliano prende casa proprio davanti al suo limoneto, comincia l'
Odissea della donna. Le viene notificata
l' intenzione del governo israeliano di
sradicare i suoi alberi di limoni, perché
questi rappresentano un pericolo per il
ministro e sua moglie, visto che potrebbero nascondere terroristi. Ma il volere
del ministro si scontra con la determinazione di Salma: la questione viene
portata in tribunale. Il giovane avvocato
della donna, richiamando l' attenzione
dei media internazionali, riesce ad impedire l' abbattimento degli alberi.
Film leggermente controverso. Se andrete a vederlo (forse al Kinemax uscirà
tra un po' tra le serate dei film d' autore)
capirete quello che sto per dire. Non è
un caso che il film sia stato finanziato
dalla Israeli Film Commission; i principali personaggi, ovvero Salma e il ministro Avon, che inizialmente incarnano
metraggio sulla storia del cinema tridimensionale. Senza occhiali l’immagine
risultava sfocata e piena di ghost, ma
indossando le lenti l’effetto era davvero straordinario: le figure uscivano realmente dallo schermo percorrendo tutta
la sala e rimanendo sospese a mezz’aria
davanti a una folla incredula che cercava
di acchiapparle con le mani. Ironizzando
sulla storia del cinema, il filmato proponeva la celebre locomotiva dei fratelli
Lumière che fece fuggire dal panico gli
spettatori che credevano di essere investiti. La versione 2000 trasformava la locomotiva in un modello tridimensionale
al computer e lo proiettava, grazie all’effetto degli occhiali, di gran carriera verso il pubblico. Pur conscia della finzione
della proiezione tutta la sala urlava per
lo spavento.
Da allora il cinema tridimensionale ha
iniziato a farsi strada a passi sempre più
decisi. I primi ad adottare questa tecnologia sono stati i grandi parchi divertimento che, approfittando della grande disponibilità di risorse si possono permettere
tecnologie costose e all’avanguardia.
Quando alla Géode la proiezione stroboscopica era presentata come l’ultimo ritrovato della filmografia, Disneyland già
offriva un cinema dinamico con occhiali
3d e seggiolini in movimento. Molti altri parchi tematici, anche in Italia, hanno
seguito questa moda e si sono attrezzarti
con cortometraggi tridimensionali.
Quest’anno finalmente la tecnologia
stroboscopica arriva anche sul grande
schermo con due titoli di nuova uscita
che la redazione di Sconfinare non si è
certo persa. “Bolt”, l’orripilante animazione della Walt Disney che narra le vicende di un cane che si crede superdog
ma scoprirà che non servono super poteri
per essere veri eroi – voto della redazione: inguardabile – e “Viaggio al centro
della Terra”, il primo lungometraggio
integralmente filmato con la doppia telecamera, tratto dall’omonimo romanzo
di Verne. Un divertente Brendan Fraser nei panni del geologo incompreso si ritrova
a viaggiare alla scoperta di
un mondo sepolto a migliaia
di miglia all’interno della superficie terrestre. Molte scene
assolutamente inutili per lo
svolgimento della trama sono
state girate solo per far sfoggio di effetti speciali in tre
dimensioni ma nel complesso la pellicola è gradevole.
E la moda del 3d si sta imponendo in maniera sempre
più ferma: la Pixar ha deciso
di investire massicciamente
in questo settore ed ha già in
forno nuove animazioni stroboscopiche come “Mostri VS
Alieni”. Anche il capolavoro
di Burton “Nightmare Before
Recensioni:
“Il giardino di limoni” e “Delta”
gli archetipi del buono e del cattivo, tendono in modo poco percettibile a cambiare ruolo nell' arco della proiezione.
La palestinese, da povera donna vittima
di un' ingiustizia, finisce per diventare
la "solita araba incontentabile", mentre
il ministro, da animale insensibile, si
umanizza e quasi si prova compassione
per quel personaggio che verso la fine
cerca di redimere la propria colpa di
doversi comportare da israeliano. Dopo
aver tanto lottato da una parte per sradicare gli alberi, dall' altra per difenderli,
sul confine viene calato un muro che
impedisce la vista dei rispettivi territori:
il ministro, guardando il muro, si commuove e sembra scusarsi per le brutalità
commesse a quella donna che oltre il
muro lo guarda in cagnesco. Un' inversione di ruoli che proprio non condivido. Come dice Zulawski, un film è bello
in base alle emozioni che ci trasmette. È
quindi personale, come personali sono
le meditazioni che vi facciamo dopo
averlo visto.
Di ritorno dal Trieste Film Festival, vi
consiglio “Delta” dell' ungherese Kornél Mundruczo. Passato quest' anno al
festival del cinema di Cannes, è transitato al Trieste Film Festival in anteprima italiana. Un giovane fa ritorno al
paese sul delta del Danubio dove aveva
vissuto da bambino. Un luogo isolato e
selvaggio dove gli viene presentata la
sorella di cui ignorava l' esistenza. Il ragazzo si stabilisce nella capanna che un
tempo era stata di suo padre e decide di
costruire una palafitta in mezzo all' acqua dove poter vivere lontano da tutti.
Sua sorella, una ragazza fragile e timida, lo segue e lo aiuta nella costruzione
della loro casa. Tra i due si instaura un
rapporto fatto di estrema naturalezza e
complicità, qualcosa di più che un rapporto tra fratello e sorella. Nella bellezza dei paesaggi del Parco del Delta del
Danubio, i due ragazzi sono così belli
nella loro esistenza, soprattutto in confronto alla bestialità della gente del paese, ubriaconi e molesti, che non vedono
di buon occhio la relazione tra i due.
Quando, un giorno, il giovane pesca una
grossa quantità di pesce, i due decidono
di dare una festa ed invitano gli abitanti del paese. La festa diventa il motivo
scatenante di tutta la rabbia repressa degli invitati; diventa una spedizione pu-
Cinema
Christmas” è stato ‘rimasterizzato’ in tre
dimensioni e perfino gli antipatici bimbi
spia hanno avuto il terzo episodio della
loro saga in tre dimensioni “Spy Kids
3-d. Game Over”. E’ arrivato quindi il
momento di abbandonare il vecchio
schermo ad assi cartesiani e cominciare
a pensare a tutto tondo, il cinema ormai
cammina verso frontiere nuove in cui
l’interazione con la platea non potrebbe
essere più diretta e reale.
Francesco Gallio
[email protected]
nitiva nella quale la ragazza viene violentata (e forse assassinata) e il ragazzo
accoltellato a morte. Dice il regista:
"Piuttosto che parlare di una deviazione
sessuale, quello che mi interessava era
arrivare a capire il genere di libertà che
permette a una persona di trascendere la
regola. Al cuore della storia non c' è l'
incesto, bensì il coraggio che ci vuole
per accettare un' attrazione naturale, anche se questa rompe con le convenzioni.
La cosa veramente intollerabile è che
esistano persone che credono di potersi
arrogare il diritto di condannare chi esce
dalla norma". Un film stupendo, quasi
epico. I due giovani sanno bene che non
vale la pena lottare per il bene all' interno della società; è probabilmente per
questo che si ritagliano il loro angolo
personale lontano da tutti, in un luogo
così sperduto e irraggiungibile. Ma c'è
chi, per invidia e arroganza, a costo di
remare controcorrente, è sempre pronto
a fagocitare ogni fremito di libertà pur
di ottenere il primato. Su cosa?
(Visto che mi firmo e metto la mail: se
avete visto, avete intenzione di vedere
o non vedrete mai questi film ma volete
commentare fatelo pure. Sarà cosa molto gradita)
Alessandro Battiston
[email protected]
12
Cinema
Tarda serata del 28 dicembre, siamo all’ingresso del cinema e osserviamo lo schermo
su cui vengono proposte le varie programmazioni della serata: la scelta è rapida e avviene, come d’abitudine, per via negativa.
Escludiamo a priori tutto quel cinema pseudo-gogliardico e troppo commerciale che ha
il piacere ogni anno di invadere le sale cinematografiche della nostra Italia, soprattutto
durante le feste, soprattutto se sono quelle
natalizie. Tra le poche possibilità rimaste la
nostra scelta cade subito sull’ultimo film di
Salvatores: Come Dio comanda.
Non voglio annoiarvi, lettori, sia che siate
una giovane o un giovane studente universitario immerso nella preparazione degli
esami, sia un simpatico e raro affezionato di
Sconfinare autoctono e residente nella città
di Gorizia, con la trattazione della trama. Per
questo mi affido al vostro livello di cinefilia
e di frequenza delle sale di proiezione.
Vi vorrei piuttosto rendere partecipe di alcune, perdonate la mia presunzione, considerazioni emerse dopo la visione del suddetto.
Due sono gli aspetti che più mi hanno colpito: la descrizione del paesaggio e della
società, pur nei limiti della rappresentazione, del nostro caro e vicino Nord-Est, e le
peculiarità che contraddistinguono ciascuno
dei personaggi.
Una compagine regionale, la nostra, in cui
forte appare la sviluppo, l’impegno e l’operosità dei suoi abitanti, che però non sono
stati altrettanto capaci di accompagnare
questo sviluppo meramente economico ad
Musica
Due anni fa (magari c’è pure chi l’ha letta)
qualcuno tra noi lanciò la proposta d’una
pagina commemorativa per il decennale
della sua morte. Ci mettemmo tutti all’opera entusiasti. L’anniversario, in realtà, non
c’entrava per nulla (tra le altre cose, era pure
maggio). Ma non ci importava poi molto.
Anche perché, a ben vedere, i più furbi siamo stati comunque noi, anticipando di due
anni tutti gli altri. Scusate se è poco.
Perché Bob Dylan, a dieci anni dalla sua
scomparsa, significa davvero tanto per
ognuno di noi. Guardate quanta attenzione
gli hanno dedicato tutti quanti, ultimamente. Domenica sera ho smesso di osservare le
nuvole e mi sono guardato il servizio, tanto
in seconda serata non c’era niente di meglio.
Hanno parlato in tanti, ma nella festa generale nessuno s’è fatto male.
La sua città natale, innanzitutto. Lì in molti
sono convinti di vederlo ancora passeggiare
ogni tanto, è sempre vivo con quei suoi orribili capelli e l’aria triste ed emaciata, e Jim
Morrison ogni tanto gli porta un croissant
da Parigi (nemmeno lui sa ancora se morire
sul serio). L’illustre suo cugino De Andrade, proprietario di un cannone nel cortile di
Piazza Alimonda, indica alle passanti il ritratto di Dylan Thomas appeso da anni alla
Sconfinare
Come Dio
comanda
una viva e decisa crescita sociale e direi anche ad una maturità mentale e relazionale
dei suoi fautori. Con la devastante conseguenza che molti settori e sempre più ampie
fette della nostra società non sono riuscite
e tutt’ora non riescono a prendere parte a
questo lauto e ricco banchetto. Così si viene
a creare una nuova borghesia che, nonostante si senta forte sul piano delle conquiste e
dell’operosità, ha dimenticato di saper vivere e affrontare le più vicine tematiche di povertà affettiva e culturale che la investono.
Emblematiche sono scene come quelle del
funerale della giovane Fabiana o dell’incontro tra Rino e il suo vecchio datore di lavoro,
troppo preoccupato al mero guadagno, tanto da dimenticare di avere alle dipendenza
degli esseri umani e non delle macchine. A
questo mondo, malato al suo interno, ma
limpido, se osservato dal di fuori, si contrappone l’esistenza di Rino, del figlio Cristiano
e del ritardato Quattro Formaggi, splendidamente interpretato da Elio Germano, che
pur apparendo in tutta la loro difficoltà e desolazione di esclusi dal resto della società,
sanno far valere e contemplare gli ideali di
amicizia, di sacrificio e di vero amore che li
unisce, soprattutto tra padre e figlio. Tanto
da poter ottenere, agli occhi dello spettato-
re, quel riscatto e quella riabilitazione che
cancella o se non altro smorza i loro crimini,
che restano sempre atti da condannare, ma
Febbraio 2009
che dimostrano un attaccamento alla vita e
un’autentica vitalità che non si dà mai per
vinta, che sa affrontare le fatiche di ogni
giorno, e che il resto della società ha ormai
irrimediabilmente perso e abbandonato.
Francesco Plazzotta
[email protected]
Dieci anni passano in fretta
(ma non chiedetelo a Penelope)
parete: “entrò un mattino e lo vide, e decise
così di cambiare il suo nome, senza essere
troppo sbronzo del resto”. Crede proprio che
la cittadinanza gli dedicherà un monumento,
giusto all’entrata di Via Della Povertà. Lo
ritrarranno incatenato con la sua armonica
eternata in un ultimo sol di libertà. Nonostante le polemiche, pare che la scelta della
frase per la lapide cadrà sull’immortale “mi cercarono l’anima a
forza di botte”.
Alla TV hanno intervistato tutti
coloro che più gli furono vicini. Il
Ghiro Deziz e Zio Bafri Renedda
ricordano con affetto e un pizzico
di lacrime il piccolo Bob che, stanco dei suoi Lego troppo borghesi,
apprende a suonare la chitarra perché in effetti Mr. Tambourine è già
morto tra i papaveri della guerra,
qualcuno deve pur scriverci una
canzone ed io mi sono stancato di
questa città di minatori e della loro
società-bene dai capelli corti. Anche tutti i suoi amori più celebri lo
hanno pianto, e tra loro lei: Joan
Baez, che non lo ha mai capito, e
che invece avrebbe desiderato tanto dei diamanti, almeno una volta.
I suoi amici sardi hanno intonato un coro sul
motivo di Brigante se more, superbamente
riarrangiato dalla “E No, Mai Carpire Fra
Martino”. Che bella festa gli hanno dedicato, pensavo, ed intanto il Presidente concludeva la celebrazione dicendo che Bob Dylan
tiene ancora alto il nome dell’italianità nel
mondo. La Patria, voi capirete sicuramente.
Se non fosse stato cittadino italiano, l’avrei
naturalizzato immediatamente.
Si fa presto a farne un mito, e lui se l’è
meritato, spegnendo la tele ero quasi sollevato. Anche se Bob Dylan non ascoltava
Bob Dylan. Bob Dylan ha preso quello che
di meglio poteva trovare in giro, poesie e
canzoni e droghe varie, fino a fare qualche
cover di Cohen o di Brassens, lo ha rielaborato ed è
andato un poco più avanti.
Un giorno qualcuno farà altrettanto con lui, perché in
fondo, in-fondo-in-fondo,
i maestri servono solo per
essere uccisi. Però povero
Bob Dylan, mi chiedo se
qualcuno lo consoli in paradiso, dev’essere tutto una
noia pazzesca perché i tipi
più lungimiranti sono finiti
tutti all’inferno, e mi sa che
lassù non c’è una chitarra
nemmeno a dannarsi l’anima.
Rodolfo Toè
rodolfo.toè@sconfinare.net
2009 Febbraio
13
Musica
Sconfinare
Ero molto più curioso di voi
“Amico fragile, in Volume VIII. 1975
l’unica canzone autobiografica di De
Andrè, scritta da solo, in una notte, con
molto alcol tra le vene. Da qui bisogna partire per capire, o almeno parlare seriamente
di Fabrizio De Andrè. Poi pian piano, aggiungere altri tasselli. Le musiche oniriche
di Amico fragile accompagnano tutto quello
che De Andrè ha scritto e cantato nella sua
vita, i temi ricorrenti e quello che sembrava essergli più urgente: svelare l’ipocrisia,
la speranza in una nuova umanità e dunque
il bisogno di cantare e dar voce agli ultimi
della terra, una visione del cristianesimo
depurato dalle sovrastrutture della chiesa,
l’amore e la politica. Tutto questo era Fabrizio De Andrè, morto dieci anni fa lasciando
un tangibile vuoto.
Oggi la nostra Italia - dalla memoria corta,
culturalmente lenta e conservatrice - ha dedicato 88 luoghi, tra piazze, scuole e teatri al
genovese, che credo se la rida quando pensa
che la sua musica è una di quelle poche cose
che tiene assieme noi italiani: fine curiosa
per un anarchico.
La sua vita musicale è stata influenzata
da elementi diversi.
Ha contribuito Genova, il mare e le
mulattiere che lì vi
arrivano(creuza de Evaporato
ma), l’amore per le
in una nudonne, e ovviamente
il caso. A sei esami vola rossa
dalla laurea in legge
abbandona una pos- in una delle
sibile carriera da avvocato, quando trova molte feriil successo musicale
toie della
grazie all’interpretazione di “Marinella” notte con
di Mina, dirà: “Se
una voce miracolo- un bisogno
sa non avesse interpretato nel 1967 La d’attencanzone di Marinella,
zione e
con tutta probabilità
avrei terminato gli d’amore
studi in legge per dedicarmi all’avvoca- troppo,
tura. Ringrazio Mina
per aver truccato le “Se mi vuoi
carte a mio favore e
bene piangi
soprattutto a vantaggio dei miei virtuali “, per esseassistiti”.
Inizia a scrivere e re corrispocomporre, collabora
con Piovani, De Gre- sti...
gori, Bentivoglio e
Cohen, traduce Dylan
e Brassens, mette in
musica “l’antologia
di Spoon River”, arrivata in Italia grazie
alla traduzione della Pivano. Partecipa alla contestazione del
1968, segue il maggio francese, nel 1973
esce “storia di un impiegato”, irride l’ipocrisia borghese e condanna le degenerazioni dei violenti.
Fa ridere leggere oggi le inchieste dei servizi segreti italiani di quegli anni che lo volevano vicino al terrorismo di sinistra, arri-
E’
Fabrizio De Andrè
Come la musica
ti cambia la vita
“
“
”
tri, solo, limitato; in cui venivi sopraffatto
dall’angoscia e dal desiderio di essere altro
rispetto a quello che eri, di essere “come
loro”, almeno una volta; se in tali momenti
di abbandono sei riuscito, forse non a vederti parte di un tutto, quello no, ma se non altro, a sentirti orgoglioso di essere minoranza. Se sei riuscito a rimanere com’eri, a non
cedere, a non lasciarti trascinare dal flusso,
sempre “in direzione ostinata e contraria”;
o se almeno ci hai provato. Se hai avuto le
motivazioni necessarie per non abbatterti, e
se alla fine sei riuscito a conoscerti meglio,
ad accettare i tuoi limiti, a non sopravvalutare i tuoi punti di forza.
Per questo, sei presente anche tu nel momento in cui il porto di Genova saluta il
suo figlio prediletto; ti unisci al grido di
quella sirena, e senti come se l’Italia tutta
si fermasse per un
secondo, trattenendo
il respiro. E allora,
decidi all’improvviso
di scrivere quello che
senti in quel momenOra, ti to, di liberare il flusso
di pensieri che ti acrendi solo compagna da sempre,
che solo ora si è
conto del ma
fatto veramente chiafatto che, ro.
Ti sfiora per un atticome te, mo il dubbio che tutto
ciò sia un po’ troppo
molte altre esagerato, che non
altro che un futile
persone si sia
esercizio di retorica
sono viste dettato dall’emozione e dalla ricorrenza;
stravolgere dopotutto, si tratta
solo di un cantante.
la vita da Ma accantoni questo
per il moFabrizio De dubbio,
mento: ne riparlereAndrè, e mo domani, dopodomani, forse, a mente
che l’Italia più fredda e distaccata. Ora, ti rendi solo
di oggi si è conto del fatto che,
te, molte altre
data un im- come
persone si sono viste
maginario stravolgere la vita da
Fabrizio De Andrè,
collettivo e che forse l’Italia di
oggi, nonostante tutgrazie a lui te le frustrazioni e il
malgoverno, si è data
un immaginario collettivo grazie a lui. E
allora, sorge in te la
speranza che, forse,
nulla è ancora perduto.
Giovanni Collot
[email protected]
vando a sospettare che la tenuta acquistata
in Sardegna sarebbe servita come base per
una comune. Era il 1973 ed erano altri tempi, oggi questa storiella non può che unirsi
alla schiera di barzellette sulle forze dell’ordine. Lui in Sardegna c’era andato per cercare ragioni profonde dell’essere e, neanche
i 117 giorni di sequestro faranno diminuire
il suo amore per quella terra: dei sardi dirà
che come i pellerossa sono un popolo orgoglioso, fiero delle tradizioni e vittima della
“civiltà”.
Qualche sera fa, su Rai3 Fabio Fazio ha presentato un programma(di 3 ore,3!) dedicato
al cantautore genovese-dovrà pur servire a
qualcosa pagare il canone Rai!-, era presente
anche la seconda moglie di De Andrè, Dori
Ghezzi. Sorrideva, ringraziava e canticchiava ma, non ha ceduto ad un’emozione, una
qualunque manifestazione non controllata,
difficile in una serata nella quale tutti avevano gli occhi lucidi. Non credo fosse triste per la perdita del compagno, sembrava
semplicemente assente, distante da quanto
le accadeva intorno. De Andrè prima di tutto non è un rito collettivo, è qualcosa di più
profondo che ognuno segue col proprio pensiero, credo Dori Ghezzi volesse significare
questo l’altra sera.
Non dobbiamo cadere nell’errore di volerne
fare un’icona, cercando di santificarlo, almeno per amore di verità, era estremamente
umano, sapeva godersi la vita, era piuttosto
pigro e per nulla al mondo avrebbe perso una
partita del Genoa calcio. Era un uomo dalla
smisurata sensibilità , ascoltandolo ci si può
riavvicinare all’umanità, alla parte più profonda di essa, sfiorare la verità e ignorare la
meschinità del quotidiano. Questo era Fabrizio De Andrè, grande poeta che oscilla tra
umano e sublime.
Federico Nastasi
[email protected]
… E poi
ti trovi a vent’anni a guardare
rapito uno speciale televisivo su Fabrizio
De Andrè, e ti rendi improvvisamente conto
che forse buona parte di quello che sei oggi
lo devi a lui, alla sua musica. Capisci come
la tua sensibilità si sia modellata come cera
sulla sua; come dagli anni dell’adolescenza interpreti ciò che ti succede attraverso le
sue lenti. Come le sue rime si siano scolpite indelebilmente nel tuo subconscio, o
in qualche altro posto lì in fondo, e come
tu abbia conosciuto e catalogato la tua vita
mediante esse.
E allora, cominci a pensare che forse è anche grazie a lui se sei sempre stato mosso a
pietà e a commozione dai deboli, dagli umili, dagli emarginati, se in fondo senti battere
anche in loro, “Anime Salve”, la luce fioca
della dignità umana; se non li vedi in nessun
caso colpevoli, ma solo vittime.
E forse, è anche grazie a lui se ancora oggi
non puoi evitare di incazzarti quando vedi
un’ingiustizia, se non riesci mai a dire “c’est
la vie, chérie”, se non riesci ad accettare che
il mondo vada diversamente da come credi
esso debba andare, da come senti che potrebbe andare.
Ed è forse anche grazie a lui se, in fondo
in fondo, dopo aver studiato, analizzato a
fondo, compreso e ripetuto tutte le motivazioni che la possono scatenare, quello che
ti rimane, e che vedi in una guerra, è soprattutto il lamento di un padre che piange
la piccola morte del figlio maciullato, e il
grido senza voce di una medaglia al valore
militare. Questa visione può essere distorta e limitata, ma è più forte di te, e sai che
dovrai conviverci sempre; è un tuo limite, e
una tua forza.
E soprattutto, ti trovi a pensare che forse è
anche grazie a lui se nei numerosi momenti
di sconforto avuti negli anni bui dell’adolescenza, in cui ti sentivi diverso dagli al-
”
14
Stile Libero
Sconfinare
Febbraio 2009
Incontro europeo di Taizè a Bruxelles
Un’esperienza di condivisione aperta a tutti
Taizé è una comunità cristiana ecumenica
fondata nel 1944 da un prete svizzero, Frère
Roger. Immagino che a questo punto, per il
75% dei lettori, l'interesse verso quanto sto
per raccontare sia già drasticamente diminuito: se tuttavia ve la sentite di continuare,
spero di potervi dimostrare che ancora una
volta le apparenza ingannano.
Lo spirito che ha sempre animato il fondatore della comunità di Taizé, ucciso da una
squilibrata il 16 Agosto 2005, è stato quello
della condivisione e della comunione, innanzitutto fra le varie confessioni cristiane: proprio l'ecumenismo è la caratteristica principale di questa comunità, ciò che
la rende diversa da tutte le altre comunità
cristiane. Nel minuscolo paesino di Taizé,
dove ha sede la comunità, per tutto l'anno
migliaia di giovani da tutto il mondo si ritrovano per meditare e pregare: infatti l'altra
caratteristica peculiare di questa comunità è
il forte legame con i giovani, interlocutori
privilegiati della logica ecumenica, che dà
molto più peso agli elementi di unione che
non a quelli di divisione. È ovvio quindi che
una visione simile sia più vicina a noi giovani, specie europei.
Proprio ai giovani europei si rivolge l'Incontro europeo dei giovani di Taizé, che si svolge ogni anno, dal 28 Dicembre al 1 Gennaio, in una grande città europea. Quest'anno
si è svolto nella capitale d'Europa, Bruxelles, che ha accolto tutti i 40000 partecipanti
con temperature oscillanti tra -8° e 0° e un
tasso di umidità del 90% (!!!), ma anche con
generosità ed efficienza. Prima di continuare, è meglio ribadire un dato fondamentale:
partecipare agli Incontri Europei comporta
la rinuncia al Capodanno con i soliti amici. So che a molti questo potrebbe sembra-
re una perdita intollerabile, un sacrificio
di enormi proporzioni, ma personalmente,
dopo 7 incontri consecutivi, posso dire tranquillamente di non essermene mai pentito.
Il costo totale è sempre inferiore ai 200€
(viaggio, vitto e alloggio per 5 giorni) e
solitamente il viaggio si fa in corriera ed è
quindi estremamente lungo e scomodo. Una
volta arrivati, si viene smistati nelle varie
parrocchie che hanno dato la loro disponibilità a trovare gli alloggi per i “pellegrini
di fiducia”: la maggior parte delle volte si è
ospitati dalle famiglie, oppure nelle palestre
e nelle scuole (quando la città si presta a una
visita turistica a bassissimo costo e quindi
attira orde di persone non del tutto in linea
con lo spirito dell'incontro). L'accoglienza
nelle famiglie forse limita la possibilità di
fare festa senza limiti, ma è la maniera migliore di conoscere la vita e i popoli degli
altri paesi e può rivelarsi un'esperienza bellissima, e comunque sempre sorprendente.
La giornata-tipo dell'incontro prevede la colazione in famiglia o nella scuola/palestra,
Il 10 dicembre si ricorda la morte del chimico
svedese Alfred Nobel, il Papa San Milziade, la
Madonna di Loreto, la morte di Pirandello ma
la nascita dell’ambigua showgirl Eva Robin’s
e l’uscita del xbox 360 in Giappone. Dovere di
cronaca mi costringe a rimandare tutto ciò ad
ulteriori successivi articoli e approfondire oggi
ciò di più celebre e di maggiore importanza:
l’anniversario della Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo che nel 2008 ha compiuto
i suoi 40 anni. Se l'articolo 2 ricorda che ad ogni
individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà senza distinzioni di razza, di colore, di sesso,
etc allora il quadro è più chiaro e capisco perché
proprio questo ghiotto 10 dicembre la comunità,
col nome tecnico, LGBT (Lesbiche Gay Bisessuali e Transgender) statunitense ha indetto uno
sciopero di cui Wikipedia ancora non ha preso
nota negli eventi del giorno ma che è da segnare
del calendario della lotta per i diritti civili dei
gay.
Il Day without a Gay è stato pensato in reazione al referendum californiano del 4 novembre
che impedisce di fatto nello stato i matrimoni tra
persone dello stesso sesso. E questo è il principio. Le motivazioni che comunque hanno spinto
gli omosessuali d’America a scioperare e quindi a darsi non malati, “call in sick”, ma “gay”
appunto,sono molteplici, slogan che canzona
una legge in realtà in disuso ma tuttora vigente in alcuni stati degli Usa per cui un datore di
lavoro è legittimato a licenziare un dipendente
perché gay.
Così lo sciopero dal lavoro e anche, cosa non
meno importante, dai consumi è iniziato all'alba
di questo freddo mercoledì arcobaleno che ha
visto moltissimi gay disertare il proprio posto
di lavoro per seguire il consiglio, immagino, del
Gay d’America, unitevi e scioperate!
la preghiera del mattino nella parrocchia
e gli incontri in piccoli gruppi con gli altri
giovani della propria parrocchia. In questi
incontri è richiesto di meditare la “Lettera”
dell'incontro (scritta dal capo della comunità, Frère Alois) ma ovviamente la discussione è libera: è un'ottima occasione per esercitare il proprio inglese e conoscere ragazzi di
altre nazionalità.
Finiti gli incontri, ci si dirige alla Fiera della
città, allestita per accogliere le preghiere e
i pasti: pranzo e cena, consumati seduti per
terra nei padiglioni della Fiera, sono seguiti
dalle preghiere sullo stile di Taizé, i momenti centrali del “pellegrinaggio di fiducia”. La
preghiera di Taizé è molto particolare e consiste in canti di ogni confessione cristiana,
ognuno ripetuto a lungo, una meditazione
dei Fréres e 10-15 minuti di silenzio: è un
momento molto bello, anche per chi, come
me, nella vita di tutti i giorni dedica ben
poco tempo alla preghiera e alla meditazione. Non capita tutti i giorni di stare a cantare
e a fare silenzio (quasi perfetto) assieme ad
Stile Libero
altri 10000 ragazzi, e sono momenti preziosi
per pensare a tutto ciò che durante l'anno si
trascura o si nasconde dietro altre preoccupazioni.
L'Incontro di Taizé è un'esperienza che potrebbe non piacere a tutti, ma è sicuramente
unica e originale.
Permette di scoprire da un punto di vista assolutamente inusuale la vita di altri popoli,
di stringere relazioni che sono spesso di una
intensità e autenticità sorprendenti, anche
quando non vanno avanti dopo l'incontro.
Aiuta a vivere in maniera diversa per qualche giorno, lasciandosi temporaneamente
alle spalle i pesi della vita quotidiana per
potersi concentrare meglio su sé stessi e sulle persone intorno a sé.
Ricorda l'importanza della condivisione e
dell'apertura verso gli altri, perché le barriere culturali cadono fin troppo facilmente
quando si condividono ogni giorno le stesse
cose e lo stesso spirito.
Ma soprattutto, ogni volta si ritorna a casa
esausti e felici, con tutti i ricordi di amicizie,
incontri, abbracci e canti ancora freschi, e
con un atteggiamento positivo e prepositivo,
che aiuta a rendere meno traumatico il ritorno al lavoro e allo studio!
Federico Faleschini
[email protected]
Informazioni pratiche: l'iscrizione passa attraverso i gruppi locali che organizzano gli
incontri di preparazione e hanno i contatti
con la Comunità; nel caso del FVG il gruppo di riferimento è il “Gruppo '89” (http://
www.gruppo89.org/); siccome hanno anche
i contatti degli altri gruppi italiani, potete
chiederli a loro.
Lo sciopero in risposta al referendum californiano
pensionato per strada che alla vista di paillettes
dei gaypride gridò “andate a lavurà”, i gai amici
ci sono andati sul serio donando le propria
giornata off ad associazioni di volontariato di
ogni genere che facilmente potevano inserirsi
nella lista del sito www.daywithoutagay.org.
Sì, il movimento era ben organizzato con un
sito web dalla grafica semplice ed accattivante:
sfondo nero con una mano arcobaleno, colore e
marchio del movimento, che impugna la cornetta
del telefono e dice “call in gay”; una mail per
le associazioni di volontariato che rispondevano
all’offerta di aiuto, e poche ed efficaci righe
incentrate su cosa succedeva e perché, nessuna
retorica e vittimismo, poco spazio alla polemica
o all’esagerazione, insomma uno perfetto stile
Armani, per nulla eccessi alla Dolce&Gabbana.
Quando presi coscienza di questa data da un
programma radiofonico la mia mente cominciò
a immaginare cosa significasse economicamente
una cosa del genere: se tutti i gay degli Stati
Uniti di ogni fascia lavorativa, di ogni sesso,
di ogni età scioperassero e non comprassero
nemmeno uno Starbucks per un giorno, quanto
si bloccherebbe il paese?
Il Day Without Immigants nel 2006 non bloccò
il motore statunitense ma sicuramente creò dei
forti rallentamenti… ma per i LGBT è diverso,
continuavo a pensare, in fondo essere gay non
significa appartenere ad una nazione o una
categoria: il capo d’azienda, il rettore, il tassista,
il metalmeccanico e il medico, sono tutte
LIPPI: NON CI SONO GAY NEL CALCIO
vignetta di Stefano Facchinetti
posizioni chiave diverse con ruoli diversi che
possono essere uniti da qualcosa di trasversale,
allora se si mettessero tutti d’accordo insieme
e compattamente, quale shock subirebbe la
vita quotidiana di ogni cittadino?
Ho immaginato risultati apocalittici. Poi in realtà la trasversalità, la diversità di interessi, di
ambienti e di bisogni, ha portato ad un risultato diametralmente opposto. La partecipazione
è stata definita “spotty”. Un flop?
No, gli organizzatori commentano dicendo
“Thank you for not punishing 100% of America with an economic meltdown because of
what just 52% of California did not understand
on November 4th” e sottolineano i due risultati
che volevano ottenere: sensibilizzazione e visibilità da una parte, e rispondere a referendum
antigay con un'iniziativa invece di amore e volontariato dall'altra.
Forse è l'arte di vedere il bicchiere mezzo
pieno, o forse è semplicemente poco realistico pensare che siano una categoria compatta
che possa realmente essere rappresentata da
una sola richiesta, da una sola opinione e una
sola croce nella scheda elettorale (spesso non
sono i diritti civili ciò che spinge un gay a votare chi li promette in campagna elettorale). Ci
sono evidentemente interessi più forti, o solo
esigenze più importanti – infatti molti sono i
blog a parlare di un'iniziativa elitaria, lanciata
solo da e per chi si può permettere di rischiare
un licenziamento per una giornata d'assenza
giustificata da un call in gay.
E in Italia? Solo una manifestazione di fronte
all'ambasciata americana, macché scioperi. In
fondo ricordiamoci che “c'è la crisi”.
Gabriella De Domenico
II
Sconfinare
Pas poln krvi
Težaven poklic orožja
Februar 2009
Beli fosfor, navodila za
uporabo
Gaza City in Khan Yaunusa in se med razvalinami. Letalski izvizačelo delo zaplembe orožja ter di, ki skušajo odkriti tarče ali pa
uničenja predorov pri Rafah.
preprosta telefonska sporočila
Izraela namenjena palestinskim
prebivalcem, ki jih obveščajo naj
zapustijo območja v bližini tarč,
ne morejo popolnoma zagotoviti
‘kirurgizacijo’ vojne. Osebe, ki se
premikajo v 200 metrih v bližini
boja, niso razločne kot civili ali
kot gverilci.
Scenarij vojne je zapletena mestna gverila, katere značilnosti sta
stalna nevarnost pri vsakem vogalu in spopadi od hiše do hiše,
ki ne omogočata uporabo težkega
orožja. Poleg vsega Gaza je gosto obljudeno območje, kjer se
skriva sovražnik, ki večkrat ga
ni lahko razlikovati od civilov in
se ne boji uporabljati civile kot
žive ščite. To je tragedija, ki se ne
doseže samo s tem, da se postavi civile v središče boja, temveč
tudi s tem, da se spremeni verjetna zatekališča (kot so šole UNRWA ali normalna stanovanja,
kajti Hamas ni nikoli potrošil denar za zgradbo skrivališč, temveč
je dal prednost nakupu orožja) v
orožarne. Sredstva, ki so potrebna
za scenarij mestne gverile, so bolj
premična in zaščitena, čeprav na
račun moči ognja, ampak ne stalno ščitijo pehoto pred nevarnimi
pastmi razstreliva, ki so raztrošeni
.
Obstajajo dokazi, ki obtožijo Izrael. To so pričanja zdravnikov, ki
so skušali zdraviti hude pekočine,
zelo nenavadne in, ki jih je težko
zdraviti, ter slika izraelskega vojaka, ki ravna z domnevnim izstrelkom belega fosfora – svetlo modre barve in z napisom M825A1.
Pravzaprav izraelska vojska je že
potrdila uporabo bomb iz belega
fosfora “proti vojaškim tarčam na
odprtem” med lebanonsko vojno
leta 2006. S tem je Izrael zatajil
prejšnje izjave, ko je trdil, da so
vojaki uporabili beli fosfor samo
za dovoljene namene (oz. razsvetljitev tarč).
prevedel Samuele Zeriali
[email protected]
Končno je treba rešiti tudi zadevo o belem fosforu. Značilnost
te kemične snovi, ki so jo prvič
uporabili v vojni leta 1916, je,
da v kontaktu s kisikom pogori
in povrzroči gost dim dokler ena
izmed dveh snovi se ne porabi.
Zaradi tega je uporabljen kot razsvetlitelj ali kot orožje, čeprav je
prepovedano ga uporabljati proti
civilom. Pravzaprav pogodba o
kemičnem orožju Chemical Weapons Convention ne šteje fosfor med kemičnim orožjem, razen v VII ostavku, ki se ukvarja
o požigalcih. To pogodbo jo je
podpisal tudi Izrael, čeprav jo ni
nikoli ratificiral. Vrh
tega
glasnik Mednarodnega
Rdečega
Križa Hornby je potrdil, da Izrael
je uporabil
beli fosfor
samo
kot
razsvetlitelj,
in torej ne
kot orožje in
zaradi tega
tale uporaba
je povsem
legalna.
Februar 2009
Direttrice: Annalisa Turel
BREZPLNCA ŠTEVILKA
Beli fosfor, navodila za
uporabo
Falluja (Irak), 4 november
2004. Ameriška vojska začne
ofenzivo proti skrivališču
iraških upornikov, v eni izmed
največ krvoločnih bitk iraške
vojne. Mesto leži na cesti
med Bagdadom in Jordanijo,
prav v središču t.i. sunitskega trikotnika – območje, ki
največ nasprotuje ameriški
zasedbi. Falluja je tako postala središče hudega bombardiranja, katere značilnosti so
pokazale svetu žalostno stran
kar se tiče izvoza demokracije v tisto mesto, ki je bilo znano za mošeje in za znanost.
Italijanska preiskava, ki jo je
uresničil Sigfrido Ranucci,
novinar Rainews24, je dokazala, da so ameriške sile v
teku spopada uporabile kemično
orožje. Snov v zadevi je beli fosfor, poznan v vojaškem žargonu
kot “Willy Pete”. Tragične slike
teles umrlih civilov in upornikov,
ki so bila praktično stopljena,
uničena do kosti, potrdijo masivno uporabo tega orožja. Potrdijo
uporabo tudi priče in raziskovanja novinarjev celega sveta in celo
izjava angleškega ministrstva za
obrambo. A kaj je beli fosfor?
To je trda molekularna snov, ki v
kontaktu s kisikom, ki je v zraku,
proizvodi fosforski anhidrid. Tako
nastaneta močna toplota (temperatura se dvigne tudi do 1000 stopinj) in bela svetloba. To je pravi
požar, katerega ni mogoče ugasiti
niti če ga damo v vodo, ker izgorevanje se nadaljuje do izčrpanja
snovi. Beli fosfor se lahko legalno uporabi v vojaških operacijah
www.sconfinare.net
Pas poln krvi
Težaven poklic orožja
naj priredi napad na Gazo.
Tako se je ojačila dejavnost
vojaške informacijske organizacije Aman in Shin Bet-a
v nalogi odkritja orožarn
v območju Gaze. Nato je
vlada odločila najvažnješe
cilje: prijetje in odstranitev
teroristov Hamasa; lokalizacija in uničenje skrivnih predorov med Gazo in
Egiptom ter med Gazo in
Izraelom (vsega skupaj med
400 in 1000), ki prekršijo
embargo; lokalizacija in
uničenje orožarn in laboratorijev. Nato je bilo izbrano
ime operacije. ‘Cast Lead’.
samo na odprtem s funkcijo razsvetljenja ali zaščitja, tako da nastane ščit dima. Po drugi strani, če
se uporabi strupene lastnosti belega fosfora kot orožje proti tarčam,
se gre povsem za kemično orožje,
katerega posledice (predvsem, če
se ga uporabi na gosto populirano
mesto kot je Falluja) so lahko res
hude.
Slike ognjenega dežja, ki je padal
iz ameriških helikopterjev nekaj
let od tega nad Fallujo, so kar
precej podobne slikam, ki so jih
analizirali strokovnjaki časopisa
Times pred nekaj dni. To so slike,
ki prikazujejo izraelsko letalstvo,
medtem ko meče posebne bombe
nad Gazo City (eno izmed najbolj gosto populiranih območjih na
svetu), ki padajo v obliki lovke in
to je značilnost belega fosfora
4 november. IAF (izraelsko letalstvo), potem ko je odkril skriven predor med Gazo in Izraelom,
ki ga je teroristična organizacija
Hamas uporabljala, da si priskrbi
orožje, se je odločil da ga bo uničil
z metom raket nad izhodom predora v Gazi. To je bil prvi znak, ki
je zaznamoval zaključek premirja.
Zaključek, ki je prišel 19 decembra, ko je Hamas ponovno začel
Od 27 decembra dalje je
izraelska vojska začela
bombardirati
razmestitve
gverilcev in rampe, ki omogočajo
met raket. To so hiše in vojašnice
onemogle policije, ki je sedaj
izven kontrola Al-Fataha. Odgovor Hamasa je bila intensifikacija
napadov nad izraelskimi mesti in
odstranitev še zadnjih predstavnikov Al-Fataha, tako da je že v
prvih dneh jih umorila 35.
metati rakete iz Gaze nad izrael- Tretjega januarja se je začela
skimi mesti in vasmi, ki ležijo v druga faza napada z zemeljsko
bližini meje. Eno izmed teh mest ofenzivo Južnega Vojaškega Poje Sderot, ki je statistično mesto veljstva Tzahala, ki je opremljen
najdalje bombardirano v zgodo- z oklepnimi četami, pehoto in
vini. To je mesto s hišami, ki so skupino padalcev. Napad poteka
opremljene z malimi skrivališči v dveh smereh: na severu skozi
in kjer je vsakdanjo življenje pre- mejo in ob obali ter na vzhodu z
kinjeno od alarmnih siren.
namenom, da se razdeli območje
Gaze in izolira mesto Gaza City.
Izraelska vlada je torej naročila, Nato v naslednjih dneh so potekapotom Ministra za Obrambo le operacije penetracije v mestnih
Ehuda Barakha, Glavnemu Stanu območjih Jabalaya, Bayt Lahiye,
na strani II
na strani II