allegato della pubblicazione - Associazione Legali Italiani

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allegato della pubblicazione - Associazione Legali Italiani
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Coordinamento scientifico:
Prof. Avv. Damiano Marinelli
TEMI DI MEDIAZIONE, ARBITRATO
E RISOLUZIONE ALTERNATIVA
DELLE CONTROVERSIE (A.D.R.)
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QUADERNI DI GIURISPRUDENZA
Facoltà di Giurisprudenza
Università degli studi e-Campus
Via Isimbardi 10, 22060 Novedrate (CO)
Coordinamento scientifico: Prof. Avv. Damiano Marinelli
Temi di Mediazione, Arbitrato e Risoluzione Alternativa
delle Controversie (A.D.R.)
Tutti i diritti sono riservati
Editore CESD S.r.l.
Prima edizione Ottobre 2010
Stampato da Edizioni Nuova Prhomos
Città di Castello (PG), Italia
ISSN 2036-9190
Quaderni di Giurisprudenza
Questa opera è protetta dalla legge n. 633/1941 sul diritto d’autore
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Università e-Campus
Temi di Mediazione, Arbitrato e Risoluzione Alternativa
delle Controversie (A.D.R.)
Numero I°
Coordinamento scientifico
Prof. Avv. Damiano Marinelli
Contributi di
On. Anna Maria Bernini Bovicelli, parlamentare italiana
On. Tiziano Motti, parlamentare europeo
Dott. Marcello Guadalupi, consigliere delegato alla conciliazione dell’ODCEC di Milano
Dott.sa Liliana Ciccarelli, Cittadinanzattiva - Consumers’ Forum
Dott. Marco Pasian, Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
Dott.sa Anna Maria Iacovelli, responsabile Commissione Conciliazione Toscana - Umbria
Poste Italiane S.p.a.
Prof. Francesco Simonetti, Università di Siena, Coordinatore del Centro Studi e Ricerche
di Etica applicata e Responsabilità sociale
Dott. Sergio Ciccarello, Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani, cultore di diritto
della conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato dell’Università e-Campus
Avv. Maria Rita Iorio, Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
Cav. Avv. Pierluigi Gilli - Università e-Campus
Avv. Anna Laura Tocco e Avv. Giuseppe M. Valenti, avvocati Mediatori Centro Kairos
Formia, avvocati senza Frontiere ONLUS
Dott. Valerio Sale, consulente di direzione aziendale, Associazione Mediatori e Conciliatori
Italiani
Avv. Giuseppe Briganti, avvocato e conciliatore, Associazione Mediatori e Conciliatori
Italiani
Avv. Marco Tullio, formatore ed ex Presidente dell’AIDP Umbria
Dott. Claudio Salusso, sociologo, Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
Prof. Bernardo Venturi, Università di Bologna, direttore Centro Studi Difesa Civile (CSDC)
Prof. Avv. Giuseppe Russo, Università e-Campus e Avv. Giusi Marabello, Associazioni Mediatori e Conciliatori Italiani
Prof. Avv. Damiano Marinelli, Università e-Campus
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INDICE
Premessa
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1. Le A.D.R.: strumento per risolvere la crisi della giustizia?
1.1 Diffusione ed efficacia degli Alternative Dispute Resolution Methods
1.2 A.D.R. e imprese
1.3 Una nuova cultura della giustizia
1.4 Il passato della conciliazione in Italia: un ricco e disarmonico panorama legislativo
1.5 La conciliazione e il d.lgs. n.28 del 4 marzo 2010
1.6 Conclusioni
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2. Metodi di risoluzione alternativa delle controversie civili e commerciali: La
mediazione in Europa e La direttiva Europea 2008/52/EC, che sarà recepita in
Italia nel 2011
2.1 Cronistoria dell’iter di approvazione della direttiva
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3. La lentezza della giustizia ordinaria, i costi per le imprese italiane e la mediazione Civile
3.1 I dati della giustizia italiana
3.2 I costi della giustizia
3.3 Le imprese e la giustizia
3.4 La mediazione per le imprese
3.5 Un aiuto per la crisi finanziaria nazionale e internazionale
3.6 Conclusioni
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4. I° Rapporto sulle negoziazioni paritetiche - Breve sintesi
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5. La conciliazione paritetica: lo stato attuale e i prossimi sviluppi
5.1 Perché la conciliazione è così importante?
5.1.1 Uno sguardo all’Europa
5.2 Fonti: normativa e uso comune
5.3 Cos’è la conciliazione paritetica
5.3.1 La diffusione di un progetto sperimentale
5.3.2 L’importanza degli accordi tra le parti
5.3.3 Un paio di dati
5.3.4 Analisi veloce dei problemi più ricorrenti
5.4 Metodologia. Analizziamo il caso Telecom Italia
5.4.1 Il caso Trenitalia
5.5 Il regolamento
5.5.1 Il Regolamento stipulato da ANIA
5.6 I vantaggi
5.6.1 I vantaggi per l’Azienda
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5.6.2 I vantaggi per il consumatore
5.7 Gli Sviluppi
5.7.1 Il lavoro del CNCU
5.8 Bibliografia
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6. Il percorso della procedura di conciliazione paritetica in Poste Italiane S.p.A.
6.1 Poste Italiane e le Associazioni dei Consumatori
6.2 Le tappe della conciliazione e i prodotti
6.3 Le caratteristiche
6.4 I risultati
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7. Le A.D.R. nel quadro normativo europeo
7.1 Introduzione
7.2 La raccomandazione n. 98/257/CE
7.2.1 Principio di indipendenza
7.2.2 Principio di trasparenza
7.2.3 Principio del contraddittorio
7.2.4 Principio di efficacia
7.2.5 Principio di legalità
7.2.6 Principio di libertà
7.2.7 Principio di rappresentanza
7.3 La raccomandazione 01/310/CE
7.3.1 Principio di imparzialità
7.3.2 Principio di trasparenza
7.3.3 Principio dell’efficacia
7.3.4 principio di equità
7.4 Il libro verde sui modi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali
7.5 Esperienze comunitarie in tema di A.D.R.
7.6 La direttiva 2008/52/CE sulla conciliazione stragiudiziale
7.7 Bibliografia
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8. La Conciliazione delle Camere di Commercio, Iindustria, Artigianato e Agricoltura d’Italia
8.1 Introduzione
8.2 La conciliazione nell’ordinamento italiano
8.3 La natura della conciliazione amministrativa dalle camere
8.4 Rassegna del recente percorso normativo
8.4.1 La legge 580 del 1993 e il ruolo delle Camere di Commercio quale organo
di regolamentazione del mercato
8.4.2 L’animus della riforma
8.4.3 La legge 481/95 relativa alle controversie in materia di fornitura di servizi
di energia e gas
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8.4.4 la legge 249/97 e delibera 173/07/2007 relativa alle controversie in materia
di telecomunicazioni
8.4.5 la legge 192/98 relativa alle controversie in materia di subfornitura
8.4.6 la legge 135/2001 relativa alle controversie in materia di turismo
8.4.7 Il d.lgs. 5/2003 relativo alle controversie in materia societaria
8.4.8 La legge n. 129/2004 relativa alle controversie in materia di franchising
8.4.9 La legge 55/2006 relativa alle controversie in materia di patto di famiglia
8.4.10 Camere di Commercio e mediazione in materia di condominio
8.5 Il regolamento unioncamere
8.5.1 L’avvio del procedimento
8.5.2 Il funzionamento della conciliazione delle Camere di Commercio
8.5.3 Conciliatori: le norme adottate dalle Camere di Commercio
8.6 La conciliazione telematica
8.6.1 L’ODR e le Camere di Commercio
8.7 Bibliografia
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9. Alternative Dispute Resolution: l’istituto della conciliazione tra antiche diffidenze e prospettive evolutive
9.1 Posizione del Problema
9.2 Il conflitto e le regole
9.3 A.D.R. e processo: cenni comparati
9.4 Prospettive evolutive
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10. Il requisito dell’imparzialità nel mediatore civile
10.1 La mediazione civile di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 come completamento della tendenza alla composizione stragiudiziale di controversie fondata
sull’imparzialità
10.2 Il termine mediatore nella tradizione giuridica e sue figure tipiche
10.3 Il mediatore ex art. 1754 cod. civ. nella giurisprudenza: l’imparzialità
10.4 Terzietà ed imparzialità del giuduce e dell’arbitro
10.5 Caratteristiche delle figure tipiche di conciliazione extragiudiziale
10.6 La conciliazione societaria, precedente della mediazione civile
10.7 Esempi di disciplina dell’imparzialità nei Regolamenti degli Organismi di
conciliazione
10.8 Il mediatore civile ex d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28
10.9 L’imparzialità come requisito di garanzia della mediazione
10.10 L’imparzialità come presupposto di successo della mediazione
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11. Conciliazione: una nuova frontiera
11.1 Dall’ordine dato all’ordine negoziato
11.2 Ricostruire le relazioni intorno ad obiettivi condivisi
11.3 Più conciliazione per avere più giustizia
11.4 Bibliografia
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12. Media-conciliazione e Piccole e Medie Imprese: Strumenti e soluzioni per
lo sviluppo
12.1 Premessa
12.2 A.D.R. tra innovazione e sviluppo
12.3 Negoziazione, un approccio strategico
12.4 Transazione
12.5 Un breve accenno all’arbitrato
12.6 Mediazione, la terza via
12.7 Mediazione come creazione di valore
12.7.1 Volontà (strategica)
12.7.2 Riservatezza, tra reputazione e tatticismi
12.7.3 Mediatore professionista, figura neutrale esperta o non esperta della materia?
12.8 Conclusioni
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13. Composizione extragiudiziale delle controversie nel commercio elettronico
B2C, con particolare riferimento alla mediazione on-line
13.1 L’attuazione in Italia della direttiva europea sul commercio elettronico e la
composizione extragiudiziale delle controversie in materia di e-commerce
13.2 La Rete europea di composizione extragiudiziale delle controversie (EEJNet) e la Rete dei Centri europei per i consumatori (ECC-Net)
13.3 Il Libro Verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in
materia civile e commerciale
13.4 La direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in
materia civile e commerciale
13.4.1 Obiettivo e ambito di applicazione della direttiva
13.4.2 Le controversie transfrontaliere
13.4.3 Definizioni
13.4.4 Qualità della mediazione
13.4.5 Il Codice europeo di condotta per mediatori
13.5 Ricorso alla mediazione
13.6 Esecutività degli accordi risultanti dalla mediazione
13.7 Riservatezza della mediazione
13.8 Effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza
13.9 Attuazione e limiti della direttiva
13.10 La composizione extragiudiziale delle controversie nel Codice del Consumo
13.10.1 La raccomandazione 98/257/CE riguardante i principi applicabili agli
organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo
13.10.2 La raccomandazione 2001/310/CE sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo
13.10.3 Non vessatorietà delle clausole di ricorso a organi di composizione extragiudiziale delle controversie e diritto dei consumatori di rivolgersi al giudice
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13.10.4 Camere di Commercio e composizione extragiudiziale delle controversie
in materia di consumo
13.11 Il d.lgs. 28/2010 sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali
13.12 On-line Dispute Resolution (ODR)
13.12.1 RisolviOnline della Camera di Commercio di Milano
13.13 Bibliografia
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14. Una tecnica per la mediazione di ispirazione costruttiva
14.1 Premessa
14.2 conciliazione, mediazione, negoziazione
14.3 Negoziazione e problem solving: controversie e conflitti
14.4 Dal problema alla soluzione
14.5 Le modalità di negoziazione e l’ampliamento del piano negoziale
14.6 Negoziazione e pregiudizio
14.7 La figura e il compito del mediatore
14.8 Una tecnica di mediazione basata sul superamento del pregiudizio
14.9 Conclusioni
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15. Aspetti fondamentali dell’interazione comunicativa per il mediatore civile
15.1 Introduzione
15.2 L’espressione del volto
15.3 Lo sguardo
15.4 I movimenti del corpo
15.5 La postura
15.6 Lo spazio
15.7 Il tempo
15.8 L’ascolto (Efficace)
15.9 La formazione alla competenza relazionale
15.10 Comunicare e influenzare
15.11 La mediazione e l’espressione
15.12 Verso una nuova teoria sociale dell’emozione
15.13 Le barriere della comunicazione
15.14 Conclusioni
15.15 Bibliografia
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16. L’approccio multilivello alla mediazione internazionale
16.1 Introduzione
16.2 Mediazione, negoziazione, facilitazione
16.3 Diplomazia multilivello
16.4 Le nove piste e i dodici principi della diplomazia multilivello
16.5 La concretezza della mediazione multilivello
16.6 Bibliografia
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17. La conciliazione e il d.lgs. n. 28/2010
17.1 I sette principi della CE
17.1.1 Il d.lgs. N. 28 del 4 marzo 2010
17.2 La conciliazione in materia bancaria
17.2.1 La mediazione delle controversie bancarie e finanziarie in ambito comunitario
17.2.2 La Banca d’Italia
17.2.3 I destinatari della disciplina
17.2.4 Il ruolo dell’ABF
17.2.5 Il procedimento di mediazione
17.2.6 Il verbale di mancata conciliazione
17.2.7. Il verbale di accordo
17.2.8 Gli aspetti processuali
17.2.9 La tassazione della procedura conciliativa
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18. Il ruolo del mediatore civile in Italia: ovvero il dilemma dell’uovo e della
gallina
18.1 Lo scenario attuale: la normativa di riferimento della mediazione civile
18.2 Il vecchio Organismo di Conciliazione ed il nuovo Organismo Abilitato:
verso un Organismo di Mediazione?
18.3 Il “conciliatore” professionista all’interno del Organismo di conciliazione
18.4 L’esperienza delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura
18.5 La linea di contatto tra Organismi di conciliazione e CCIAA
18.6 Nuove conoscenze ed abilità per una nuova professione?
18.7 Brevissime osservazioni finali
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19. Biografie Autori
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Premessa
In Italia, i numeri delle sole conciliazioni svolte presso le Camere di Commercio, Industria,
Agricoltura ed Artigianato si moltiplicano di anno in anno. Si parte, è vero, ancora da
una tangibile e (ahimè) generalizzata ignoranza della materia, in specie fra quelli che
potrebbero essere proprio i suoi utenti finali, ma anche questo contesto sta mutando,
grazie ad interventi promozionali mirati ed alla spinta ed agli spunti di normative europee
e nazionali sull’argomento particolarmente lungimiranti. Invero i metodi di Alternative
Dispute Resolution non costituiscono certo una novità, ma da qualche anno sono investiti
da uno sviluppo accelerato ed attirano l’attenzione crescente di un numero sempre maggiore
di osservatori. In effetti, i vantaggi propri di questi metodi (in primis) e la crisi di efficacia
della Giustizia Ordinaria hanno suscitato un rinnovato interesse per simili “procedimenti”
di composizione delle controversie. A livello comunitario sono stati prodotti sforzi
notevoli per accompagnare il loro sviluppo anche con azioni mirate di informazione e di
sensibilizzazione, partendo dal presupposto che l’accesso alla giustizia per tutti è un diritto
fondamentale consacrato dall’articolo 6 della convenzione europea per la Salvaguardia
dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Ed i metodi A.D.R. si collocano
pienamente nel contesto delle misure volte al miglioramento dell’accesso alla giustizia.
Inoltre, la lentezza dei procedimenti lede anche le possibilità competitive del nostro Paese.
Nel rapporto “Doing Business”, che riporta la classifica dei paesi nei quali è più vantaggioso
investire, il nostro paese si posiziona al 156esimo posto su 181 posti (dopo il Sudan, il
Ruanda, il Nicaragua e l’Uganda), questo perché in Italia, secondo il rapporto sarebbe più
difficile, visti i tempi dei processi civili, recuperare un credito che derivi da una disputa di
tipo commerciale: 1.210 giorni in Italia, contro, ad esempio i 331 giorni in Francia e 394
in Giappone. Il costo per le imprese dei ritardi della giustizia è di 2,3 miliardi di euro: 371
euro per azienda.
Le statistiche dunque si esprimono in maniera inconfutabile, il “tasso di litigiosità”,
ovvero il rapporto tra il numero di cause civili di primo grado sopravvenute nell’anno
e la popolazione media residente, ci colloca, in maniera non invidiabile, ai primi posti
della graduatoria comunitaria con circa 9 milioni di cause (5.425.000 nei tribunali civili e
3.262.000 davanti alle corti penali con un tasso di incremento, il primo rispetto agli altri
Stati, del 3,5% rispetto all’anno precedente). Si litiga in azienda, in famiglia, tra colleghi, per
la strada: il “43° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese redatto dal CENSIS”
fotografa un’Italia che vede un’escalation delle dispute private (ed in particolare di quelle
condominiali). Inoltre, l’ultimo rapporto del Cepej (Commissione europea per l’efficienza
della giustizia) mette in luce l’ampio divario rispetto agli altri paesi comunitari collocando
l’Italia agli ultimi posti, distanziata in maniera rilevante da Germania e dal Regno Unito.
L’intento con cui è stato ideato questo quaderno universitario della mediazione è quello di
dare vita ad una agorà aperta ad ogni contributo al fine di poter esaminare ed analizzare la
materia della mediazione civile e “dintorni”, quindi anche gli altri strumenti di Alternative
Dispute Resolution. Abbiamo così deciso, in fase redazionale, di non “obbligare” gli autori
ad “imbrigliare” i propri pensieri ed i propri contenuti in determinati format o a presentare
delle relazioni su di un argomento specifico. I nostri “venticinque lettori” potranno quindi
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apprezzare la particolarità e l’unicità di ogni singolo contributo. Il fine, come in una Libera
Piazza delle Idee, è quello di mettere a disposizione uno spazio comune per la libera
discussione, per l’argomentazione di tesi e di posizioni, per lo scambio di “impressioni,
sensazioni ed idee”, per l’analisi ed il commento di normative, prassi e giurisprudenza, tutto
in una ottica ed in modalità “pluri” ed “inter” disciplinare. La cattedra di Diritto della
conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato dell’Università e-Campus rimane aperta
ad ogni contributo scientifico, così da poter strutturare, nel tempo, questo pioneristico
intervento come un punto di riferimento periodico per chi voglia approfondire gli
argomenti di comune interesse. Ulteriore passo sarà poi quello di creare un Istituto di
Ricerca Universitario (facoltà di Giurisprudenza, Economia e Psicologia) per lo Studio e la
Ricerca delle Alternative Dispute Resolution, così da aggregare idee e contributi scientifici e
dare origine ad un network funzionale fra ricercatori e docenti di diverse Università italiane
e straniere.
Ringraziamo quindi l’Università e-Campus che ci ha permesso di dare forma alle nostre
idee, gli associati dell’Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani, che ci supportano con
i loro sempre interessanti stimoli e tutti gli Autorevoli Autori di questo numero, che hanno
voluto condividere con noi lo spirito pioneristico della nostra iniziativa.
I contributi di questo volume sono stati editati prima della pubblicazione del d.m.
180/2010, del quale si discuterà in maniera esaustiva nel prossimo numero dei quaderni
universitari e-Campus.
Prof. Avv. Damiano Marinelli
[email protected]
“Per ogni nonnulla, anche per una pietruzza caduta dal murello di cinta, anche per una festuca
di paglia, gridava che gli sellassero la mula per correre in città a fare gli atti. Cosi, a furia di
carta bollata e di onorari agli avvocati, citando questo, citando quello e pagando sempre le spese
per tutti, s’era mezzo rovinato” (Luigi Pirandello - “La giara”)
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1. LE A.D.R.: STRUMENTO PER RISOLVERE LA CRISI DELLA GIUSTIZIA?
A cura dell’On. Anna Maria Bernini Bovicelli
1.1 Diffusione ed efficacia degli Alternative Dispute Resolution Methods
L’acronimo A.D.R. (Alternative Dispute Resolution Methods)1 non rappresenta più un’oscura
abbreviazione: termini quali conciliazione e arbitrato si richiamano, infatti, a concetti atavicamente radicati nella nostra tradizione domestica, sociologica prima ancora che giuridica,
di amministrazione dei conflitti familiari, sociali, economici e commerciali, che appartengono anche, seppur solo in parte, all’armamentario pre ed endoprocessuale del nostro
giudice togato.
Inoltre, non solo la dottrina e la qualificata enclave degli studiosi del diritto internazionale e
comparato, ma anche la communis opinio si è impadronita della conoscenza e dei contenuti
di tali tecniche. Ciò, grazie ad una multiformità di fattori che fanno capo sia alle ormai
conclamate potenzialità operative sottese all’impiego degli strumenti A.D.R., sia ad alcune
croniche, ed apparentemente insanabili nel medio-breve periodo, patologie dell’offerta ordinaria di giustizia.
Il punto di forza delle tecniche A.D.R., in particolare della conciliazione, si fonda sul rilievo
che per mezzo di tali strumenti, indipendentemente dall’alleggerimento del carico giudiziario, si perviene ad esiti compositivi al di fuori del laborioso contesto istituzionale tipico
della giustizia togata, con risultati più soddisfacenti e remunerativi per le parti. Attraverso i
metodi A.D.R. si giunge, infatti, alla soluzione di controversie che, sotto il profilo tecnico,
sono tanto semplici o, paradossalmente, tanto complesse, da rendere inaccettabili i tempi e
proibitivi i costi del contenzioso giudiziario, dando così vita ad oneri ritenuti insopportabili
non solo per il singolo ma anche per la società nel suo insieme.
Tramite il corretto utilizzo delle procedure A.D.R. si superano, inoltre, le secche restrittive tipiche del negozio transattivo: pervenendo in tal modo a nuove sistemazioni degli
assetti in contestazione capaci, addirittura, di accrescere sia l’entità degli interessi facenti
capo a ciascuna parte, sia le dimensioni della soddisfazione finalmente condivisa, per usare
un’espressione tipica della manualistica statunitense di settore.
Accanto alle potenzialità operative di tali strumenti alternativi bisogna, poi, tenere conto di
un leit-motiv di ricorrente interesse mediatico: la giurisdizione statuale ansima, nel tentativo
di soddisfare, o quanto meno di rispondere, alla montante richiesta, da parte della società
civile, di una giustizia giusta (e questa affermazione, sia consentito di affermarlo per inciso,
è nient’affatto tautologica), rapida, specializzata e non eccessivamente onerosa.
Ciononostante, i metodi alternativi di composizione dei conflitti non devono essere considerati soltanto uno strumento deflattivo di una richiesta di tutela giurisdizionale, cui l’apparato pubblico non riesce a far fronte, quasi che la loro esistenza dipendesse unicamente
dall’inefficienza della giustizia statale (anche se, di riflesso, ogni conciliazione significa una
1 Come noto, l’utilizzo professionale delle tecniche A.D.R., intendendosi come tali non solo le espressioni più
tipiche, quali la conciliazione e l’arbitrato, ma anche formule contaminate o miste elaborate dagli stessi utilizzatori
sulle specifiche esigenze dei singoli settori di applicazione, poggia per larghi tratti sulla sistematica di tradizione
anglo-americana. L’alveo ordinamentale di common law appare, infatti, particolarmente propizio alla strutturazione, produzione innovativa e promozione di formule compositive out - of - Court.
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controversia giurisdizionale in meno). Al contrario, conciliazione e arbitrato sono essenziali anche quando la giurisdizione statale offre un “servizio” di buon livello: sia perché
l’intervento pubblico è opportuno solo ove si renda necessario, sia perché tali strumenti
perseguono un risultato diverso.
Nonostante si tratti delle formule A.D.R. maggiormente diffuse nel nostro ordinamento,
tuttora nel nostro Paese si stenta a demarcare nettamente la conciliazione e l’arbitrato.
È indubbio che in termini sistematici la distinzione esista: basti pensare alla differenza tra
decisioni adjudicative o non adjudicative, binding o non binding, rispetto alle quali la diversità tra determinazione vincolante e non vincolante non lascia adito a perplessità. Semplificando, può affermarsi che le principali differenze fra i due strumenti, siano le seguenti:
l’arbitrato è un procedimento condotto secondo regole processuali ove un organo, terzo ed
imparziale, risolve la controversia pronunciando una decisione che esprime il proprio convincimento giuridico, vincolante per le parti compromettenti; la conciliazione, invece, è
caratterizzata dall’intervento di un soggetto terzo, imparziale, il quale tenta di contemperare le opposte pretese delle parti seguendo un iter informale costituito per lo più da colloqui
con le parti (congiuntamente e/o separatamente) suggerendo loro un nuovo assetto degli
interessi sostanziali in conflitto, giungendo alla redazione di un atto negoziale che sarà - per
sua stessa natura - frutto della volontà espressa dalle parti. Se, da un lato, l’uso dello strumento arbitrale consente di sommare ai vantaggi tradizionalmente riconosciuti all’arbitrato
ad hoc (quali la rapidità, la riservatezza, la definitività e l’efficacia preventiva) quelli legati
all’arbitrato istituzionale; dall’altro, con la conciliazione si fornisce una valida risposta alla
consistente mole di controversie minori sinora affidate (con insufficienti ed insoddisfacenti
risultati, soprattutto in termini di dilazione temporale) alla giustizia ordinaria.
1.2 A.D.R. e imprese
Per comprendere il legame, prima facie oscuro, tra professioni, imprese e mezzi alternativi
di risoluzione delle controversie, è opportuno partire dalla considerazione che la lentezza
dei processi costituisce uno dei principali ostacoli allo sviluppo produttivo dell’Italia,
in quanto genera incertezza negli scambi e demotiva gli investitori. I dati che emergono annualmente dal rapporto Doing Business2 della World Bank sono sconfortanti: nel rapporto
del 2010 il nostro Paese risulta al 156° posto su 181 casi analizzati3.
Tale dato si pone in contrapposizione con l’esigenza di decisioni rapide, efficaci e poco
costose, propria della società dell’informazione e del commercio elettronico: esigenza che la
nostra struttura giudiziaria non è, ormai da molto tempo, in grado di assicurare. Basti pensare che dal 1975 al 2004 la durata delle cause civili è aumentata del 90%. L’ultima relazione sull’amministrazione della giustizia in Italia, presentata dal ministero della Giustizia al
Parlamento il 20 gennaio 2010, ha, infatti, evidenziato un progressivo aumento del numero
2 La ricerca, per elaborare il dato relativo alla voce “Esecuzione dei contratti”, prende in considerazione tre indicatori: il tempo necessario per risolvere una controversia commerciale (contratto di vendita), il costo complessivo
(per l’esercizio dell’azione, la procedura e l’assistenza legale) e il procedimento (steps necessari per ottenere un’esecuzione giudiziale).
3 Nel Doing Business 2008 su 178 casi analizzati, il nostro Paese risultava al 155° posto; nel Doing Business 2009
su 180 casi analizzati, il nostro Paese risultava al 158° posto;
18
di procedimenti civili pendenti, saliti nel 2009 a 5.625.057, il 3% in più rispetto al 2008.
Deve, inoltre, tenersi conto della mole delle spese che l’Italia ha dovuto erogare, a titolo di
risarcimento per la legge-Pinto: l’incremento dei costi per lo Stato derivanti dall’applicazione
giurisprudenziale della citata legge continua ad essere esponenziale e allarmante e il trend è in
preoccupante aumento, per un totale - fra erogazioni passate e debiti maturati - ammontante
alla cifra di 267 milioni di Euro.
Pur in presenza di una popolazione italiana sostanzialmente stabile, è costante l’incremento
delle richieste rivolte all’apparato giudiziario: se si assume come pressoché invariabile il dato
“socio-culturale” inerente alla propensione al litigio delle persone, devono individuarsi le
ragioni che giustifichino i tassi di incremento della litigiosità in sede civile.
Accanto alle ben note cause, evidenziate nelle relazioni che accompagnano l’apertura dell’anno giudiziario, è necessario sottolineare il riconoscimento, da parte del nostro ordinamento,
di nuovi soggetti4 ed interessi giuridicamente rilevanti, che contribuiscono alla lievitazione
della conflittualità. All’incremento della litigiosità si affianca - paradossalmente - un fenomeno dal segno opposto: la rinuncia ad accedere alla giustizia5 per ragioni essenzialmente
ascrivibili ai tempi ed a costi del giudizio civile ordinario.
Vi è, inoltre, come è evidente, il rischio di dover sostenere, in tutto o in parte, le spese del
giudizio e, soprattutto, la certezza che molto tempo dovrà trascorrere prima di pervenire ad
una sentenza; ciò è causa di non pochi problemi, specie per le imprese, anche sul piano della
redazione dei bilanci negli anni di pendenza del giudizio medesimo.
Non possono, infine, sottovalutarsi le barriere di ordine psicologico che si associano alle
complessità che caratterizzano i procedimenti giudiziari: l’utente è sovente perplesso di
fronte ai riti che si celebrano nei tribunali ed all’ermetico linguaggio giuridico. Troppo
spesso il limitato valore economico della controversia rende, poi, sproporzionati i costi del
giudizio.
1.3 Una nuova cultura della giustizia
I dati ufficiali sull’amministrazione della giustizia civile evidenziano, dunque, le palesi difficoltà nel garantire in modo consono ai cittadini ed alle imprese la tutela dei propri diritti,
affinché tutti possano avere accesso, nel caso di loro violazione, a procedimenti efficaci e,
qualora si tratti di controversie di minore entità, semplici, rapidi e poco costosi.
4 Così, ad esempio, la progressiva emersione della figura del consumatore, destinataria delle norme speciali in
tema di credito al consumo, responsabilità del produttore, sicurezza intrinseca dei prodotti, contratti a distanza,
garanzie sui beni di consumo, contratti di viaggio e turismo, multiproprietà immobiliare, in qualche misura influisce sulla domanda di giustizia rivolta al sistema giudiziario: sebbene grande ancora sia la distanza dai livelli nordamericani di litigiosità, la crescente consapevolezza dei diritti del consumatore e lo sviluppo di un apparato normativo ad hoc, contribuiscono ad alimentare azioni volte a salvaguardare diritti lesi o, semplicemente, minacciati.
5 Gli ostacoli frapposti alla possibilità di far valere i propri diritti innanzi agli organi giudiziari sono assai noti:
si tratta, innanzitutto, dei costi del procedimento e, specialmente, della rappresentanza, spese destinate ad
amplificarsi notevolmente qualora dovesse rendersi necessario il ricorso ad esperti e consulenti in ragione della
sempre maggiore complessità non soltanto dei prodotti e servizi oggetto della controversia, ma altresì degli stessi
rapporti contrattuali, che superano non di rado - come in materia finanziaria (si pensi ai cosiddetti prodotti
derivati) - le tradizionali competenze del giurista.
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In Italia esiste un problema-giustizia6, avvertito sia nel mondo politico sia nella società civile, derivante dalla eccessiva durata dei processi. Tale problema risulta, inoltre, acuito dal
diffondersi di un senso di incertezza e insoddisfazione nel sistema-giustizia.
A ciò si aggiunga che la disciplina processuale è rimasta complessa e articolata nonostante gli interventi legislativi7 degli ultimi anni abbiano privilegiato l’oralità, la concentrazione
e l’immediatezza.
Esiste, infine, un problema di domanda e di offerta di giustizia. Sotto il profilo della domanda, il tema è strettamente collegato a quello dei diritti e della loro evoluzione: i diritti
che si ritiene di dover far valere non sono più generali e sono diversamente strutturati. Il
cittadino ha bisogno di affermare le proprie ragioni, che sono sempre più individuali, cosicché i diritti si presentano sempre più frammentati e hanno, perciò, bisogno di specifiche
tutele. Sotto il profilo dell’offerta, occorre continuare ad intervenire sul sistema giustizia ma
certamente è necessario aprire ad altri sistemi.
In realtà, tutti8, direttamente o indirettamente, subiamo le conseguenze di questa distorsione tra domanda e offerta di giustizia.
Tale rilievo pone all’attenzione del legislatore e delle istituzioni la necessità di promuovere
l’adozione di forme diverse, esterne al campo giudiziale, di risoluzione dei conflitti, che
permettano alle parti in causa di pervenire a soluzioni condivise e proprio per questo vantaggiose. L’offerta può, anzi deve, differenziarsi, perché di fronte a forme sempre più ampie
e diverse di conflitto è necessario dare spazio e diffondere modalità alternative ed extragiudiziali di risoluzione delle controversie, che contribuiscono ad alleggerire le strutture della
giustizia.
È necessario, dunque, promuovere la cultura delle A.D.R., non intese quale sottrazione
di giustizia, ma come utili strumenti per affiancare alla giustizia strutturata e incardinata
nel procedimento giudiziario anche la giustizia volontaria e non coercitiva, che ha quale sua
caratteristica peculiare quella di favorire la continuità dei rapporti: infatti, questi strumenti si basano su una particolare concezione della vertenza, concepita come una occasione di
evoluzione e cambiamento, di crescita per valutare altre idee, di superamento del proprio
particolare punto di vista per trovare una soluzione condivisa.
È un approccio dinamico dove il conflitto e la contrapposizione non sono disordine, ma
fatti positivi, e costituiscono elementi di novità, con l’effetto di favorire il confronto e la
6 La crisi della giustizia civile italiana dipende da molteplici fattori: la facilità con cui si possono instaurare giudizi
ordinari per il riconoscimento dei propri diritti; il corpus normativo applicabile (le leggi non solo sono corpose ma
spesso sono anche di difficile comprensione); la grande quantità di documenti che in ogni processo viene prodotta,
costituita da, sempre più numerosi e ponderosi atti difensivi, risultanze probatorie e perizie tecniche; la cronica
carenza di strutture; le manovre dilatorie, ancora oggi largamente utilizzate; una gestione del contenzioso civile
scarsamente informatizzato; il conseguente arretrato che ingolfa le sedi giudiziarie.
7 Si pensi, solo per citarne alcune, alle riforme al Codice di Procedura Civile intervenute per introdurre la monocraticità del giuduce, la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, il divieto dei nova in appello, con
l’obiettivo di ridurre il numero dei procedimenti e di razionalizzare il processo.
8 Per l’impresa produttrice del bene o prestatrice del servizio è spesso infatti insostenibile l’onere economico e di
personale addetto per far fronte ad una miriade di controversie trascinate per anni nei vari uffici giudiziari. Ciò,
inoltre, le impedisce non solo di elevare la qualità dei servizi, ma anche di rafforzare la fiducia dei consumatori. Per
i cittadini, consumatori dei beni o utenti del servizio, è diseconomico avviare una azione ordinaria, spesso per liti
di modesta entità economica, con costi certi e benefici futuri incerti.
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crescita delle relazioni. Da questo diverso modo di considerare la lite deriva l’esigenza di
individuare modalità nuove per risolverlo, come gli strumenti di giustizia alternativa, che
possono essere la base di una nuova educazione alla giustizia.
La cultura giuridica dei paesi di diritto codificato ci induce, infatti, a considerare la giurisdizione come la sede naturale di risoluzione delle controversie e ciò in forza di una storica
assunzione di responsabilità della comunità civile che ha portato a contemplare la soluzione
dei conflitti alla stregua di una funzione pubblicistica che lo Stato deve necessariamente
assolvere, se non in via esclusiva, quanto meno in via decisamente prevalente. In aggiunta
a ciò, la formazione accademica e pratica del professionista forense privilegia il confronto e
la dialettica giudiziale.
In ogni caso, è bene tenere conto che non tutte le epoche storiche e non tutti gli ordinamenti testimoniano una così netta supremazia della funzione pubblica giudiziale (in
materia di diritti disponibili) sulle composizioni consensuali e sulle procedure di stampo
privatistico. La prevalenza della giurisdizione statale nella risoluzione dei conflitti non può,
quindi, ritenersi scontata e inevitabile, ma deriva certamente da un’attitudine culturale,
formativa e poi normativa.
La prospettiva da seguire si fonda sulla considerazione che - differentemente da quella per
cui il sistema delle A.D.R. è utilizzato quale strumento emergenziale per risolvere la crisi
della giustizia - la diffusione degli strumenti alternativi è direttamente proporzionale al
livello di efficienza del sistema giudiziario, poiché nessuna delle parti deve sentirsi maggiormente protetta, nel suo inadempimento, da una conclamata lentezza del procedimento
contenzioso.
Alla base di questa impostazione, vi è un nuovo approccio che tende a considerare le soluzioni consensuali alla stregua di una risposta adeguata al conflitto e, quindi, uno dei possibili metodi di risoluzione delle controversie, non secondario e neanche alternativo, ma più
propriamente da intendersi come parallelo.
Si profila in questo modo un sistema pluralista di tutela dei diritti, all’interno del quale
il cittadino deve poter scegliere liberamente, in base al tipo di controversia che gli si presenta, tra diversi metodi di risoluzione tutti parimenti efficienti e garantiti, ma diversi nel
loro fondamento, con alcune opportune riserve di giurisdizione pubblica. Secondo tale
impostazione, infatti, l’intervento autoritativo giurisdizionale è considerato l’extrema ratio a disposizione dei soggetti in lite: qualora insorga una controversia, le parti hanno a
disposizione differenti strade successive dalla risoluzione negoziale diretta tra le parti, alla
mediazione, all’arbitrato e, solo come ultima istanza, il giudizio ordinario.
A fronte di questo stato di fatto, le strade da percorrere appaiono essenzialmente due,
correlate e complementari: da un lato, una maggiore razionalizzazione dei procedimenti
giudiziari e, dall’altro, lo sviluppo delle procedure extragiudiziali.
Mentre la prima traiettoria inerisce al contesto proprio della tradizione giudiziaria mirando
al miglioramento della sua efficacia e della sua efficienza - e su questa via il legislatore si è
proficuamente avviato, in particolare con la riforma del processo civile varata dal Parlamento
nel 2009 - la seconda si pone, invece, l’obiettivo di sottrarre al sistema giudiziario i procedimenti che ad esso devono rimanere estranei in ragione, innanzitutto - ma non solo - del
loro esiguo valore economico.
21
Il miglioramento delle procedure giudiziarie deve portare a delineare riti semplificati per le
controversie di minor valore - così detti small claims - caratterizzate dalla riduzione del formalismo procedurale al minimo indispensabile per comunque garantire una efficace tutela
dei diritti di azione e difensivi delle parti. Al contempo deve porsi un freno alla eccessiva
frammentazione dei riti che si aggiungono al processo civile ordinario, causa anch’essa di
molteplici disservizi e ritardi. Su questo punto il Parlamento è intervenuto recentemente
con la l. n. 69/2009 che ha previsto, da un lato, l’introduzione del procedimento sommario
di cognizione e, dall’altro, una delega per la semplificazione dei riti, che attualmente sono
all’incirca trenta!
La riforma del processo civile non è di per sé sufficiente a garantire effetti concreti davvero
significativi qualora resti avulsa da un’organica revisione dell’intero sistema: accanto alla
razionalizzazione dei procedimenti giudiziari è necessario, quindi, sviluppare procedure
extragiudiziali che, intese quali filtri pre-contenziosi, si dimostreranno un utile strumento
deflattivo.
Proprio sulla base di tale considerazione, il legislatore è, da ultimo, intervenuto con il d.lgs.,
4 marzo 2010, n. 289, in materia di “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”. La peculiarità della mediazione è costituita dalla semplificazione
dell’accesso degli utenti alla risoluzione dei conflitti. L’obiettivo è quello di indirizzare un
numero significativo di controversie verso un canale extragiudiziale non aggiudicativo prima di adire gli organi togati o, comunque, prima che la causa venga istruita.
Un meccanismo di conciliazione efficiente è indubitabilmente una grande risorsa per la
giustizia civile e non è neppure escluso che la conciliazione possa talora essere obbligatoria
e non puramente facoltativa se efficiente, snella e poco - o per nulla - costosa (pur se il favor
per una libera scelta dovrebbe essere privilegiato).
1.4 Il passato della conciliazione in Italia10: un ricco e disarmonico panorama legislativo
L’innovazione legislativa, della quale si esamineranno soltanto alcuni aspetti qualificanti,
prevede, infatti, l’introduzione per la prima volta nel sistema italiano di una disciplina
organica e generale della “mediazione delle liti civili e commerciali”. La mediazione quale
attività finalizzata ad una conciliazione delle controversie viene così disciplinata quale istituto destinato ad operare in via stragiudiziale (e cioè al di fuori del processo civile) e amministrata (affidata alla gestione di organismi pubblici o privati all’uopo abilitati).
La novità è di rilievo in quanto il legislatore aveva sinora operato introducendo singole previsioni normative in specifiche discipline di settore (subfornitura, telecomunicazioni, turismo, lavoro, franchising, e più di recente, patti di famiglia, per non citare che alcuni esempi)
pervenendo al più ad istituzionalizzare procedure e attività nelle controversie in materia
societaria nel 2003. Le molteplici previsioni legislative non hanno contribuito a chiarire le
finalità, le garanzie ed il funzionamento dell’istituto, manifestando diverse contraddizioni;
9 Il decreto, pubblicato in G.U. 5 marzo 2010, n. 53, si pone quale attuazione della delega contenuta nell’art. 60
della l. n. 69/2009 (ossia dell’ultima riforma del processo civile).
10 In ambito europeo è utile ricordare che, dopo il libro Verde del 2002, il 21 maggio 2008 è stata approvata la
direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio Ue “relativa a determinati aspetti della mediazione
in materia civile e commerciale” che impone agli Stati membri di conformarsi entro il 21 maggio 2011.
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si è resa, pertanto, necessaria l’introduzione di una disciplina organica ed essenziale in
materia di conciliazione.
Troppo spesso si parla di mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in un contesto
disomogeneo nell’ambito del quale le A.D.R. vengono a perdere la loro connotazione specifica e professionale. Anche alla luce delle considerazioni preliminari, or ora svolte, tracceremo alcune linee direttrici sintetiche per punti, pur senza la pretesa di dar vita a certezze
categoriche.
1) Nell’ambito degli strumenti alternativi di composizione delle controversie si manifesta
una progressiva tendenza ad attenuare la differenza fra mezzi non aggiudicativi e
mezzi aggiudicativi di soluzione della disputa in via stragiudiziale. Questa tendenza ha
una duplice spiegazione in chiave evolutiva. Innanzitutto, le controversie contemporanee nascono da situazioni negoziali complesse11. In tali casi, le possibilità di composizione stragiudiziale saranno maggiori se orientate verso la conciliazione mentre l’arbitrato
presenterà troppe difficoltà dal punto di vista tecnico-giuridico. Per non citarne che
una (e pregiudiziale), basterà por mente all’arbitrato cosiddetto multi-parti, che racchiude nella sua definizione la pluralità delle parti in contesa ma anche il fenomeno
della connessione tra diversi procedimenti arbitrali.
2) Nella definizione dei rapporti di interazione tra conciliazione e arbitrato, gioca un ruolo
predominante il mutato ambito della arbitrabilità. L’impiego della conciliazione rispetto all’arbitrato è stato, in prospettiva tradizionale, favorito dalla limitazione per cui
all’arbitrato è possibile ricorrere quando i diritti in contesa abbiano natura disponibile.
Questo limite tende oggi ad attenuarsi, come dimostrato, in sede giurisprudenziale e
dottrinale, dalle controversie in tema di concorrenza/antitrust, proprietà intellettuale
e industriale, e, più di recente, dalla riforma del diritto societario. Infatti, risulta chiaro
- nei settori suddetti - l’ampliamento della sfera dell’arbitrabilità, seppur limitatamente
alla cognizione incidentale nelle fattispecie ove non sia prevista la presenza obbligatoria
del Pubblico ministero. Nei rapporti tra conciliazione ed arbitrato, quest’ultimo istituto
sembra, così, acquistare nuovo vigore competitivo.
3) Una tendenza opposta sembra caratterizzare, in particolare, il campo della conciliazione:
tendenza che muove in senso contrario rispetto alla evoluzione espansiva della nozione
di arbitrabilità. Il legislatore, infatti, si è impadronito della conciliazione, facendone
oggetto di ampia regolamentazione, dapprima in diversi settori di applicazione - così
determinando un considerevole allargamento del suo ambito ratione materiae -, poi
introducendo una disciplina organica e generale della fattispecie.
11 Si pensi, ad esempio, alla trasposizione sul piano giuridico di una negoziazione intesa alla realizzazione di grandi opere. Innanzitutto, i rapporti contrattuali risulteranno molti, complessi sotto il profilo soggettivo ed oggettivo,
e, pertanto, difficilmente riconducibili nell’ambito di una sola fattispecie contrattuale. Il passaggio dalla fase della
trattativa a quella della stipulazione del contratto non sarà facilmente identificabile. Si pensi alla tipica situazione
in cui da un’iniziale lettera di intenti si passi ad una serie di verifiche successive, culminanti nella firma del contratto. Dove finisce la fase pre-negoziale ed inizia quella contrattuale? Difficile dirlo con chiarezza.
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1.5 La conciliazione e il d.lgs. n.28 del 4 marzo 2010
La conciliazione può definirsi come una procedura alternativa di risoluzione delle controversie civili e commerciali, volontaria e riservata nella quale un terzo neutrale (privo di poteri decisori) aiuta le parti a gestire la controversia in conflitto guidandole nella negoziazione
e orientandole verso la ricerca di un accordo soddisfacente per entrambe.
La conciliazione non origina un processo: la procedura è assolutamente deformalizzata e
plasmata dal conciliatore sulla base delle peculiarità e criticità che emergono dal caso specifico; inoltre, ogni accordo viene modellato sulla base degli interessi e dei bisogni delle parti.
Il ruolo del conciliatore consiste nel valutare le contrapposte posizioni delle parti, individuarne la giusta composizione e, su tale base, offrire alle parti il suo consilium, così provocando il concilium e, cioè, l’aggregazione e l’incontro della volontà delle parti che costituisce
l’unico vero modo di estinzione delle controversie, perciò idonea a ristabilire la pace sociale
e consentire la prosecuzione dei rapporti tra le parti.
Il comune denominatore tra vertenze predisposte ad un utile e proficuo impiego della
giustizia conciliativa, è rappresentato dalla interdisciplinarietà che caratterizza oggi una
gran parte delle controversie, magnificando gli aspetti extragiuridici delle stesse. Siamo,
dunque, di fronte a settori in cui l’inevitabile formalismo giudiziario non giova alla concreta
soluzione di dispute ove, in termini di importanza e di interesse concreto per le parti, la
decisione del quesito legale perde di rilievo rispetto al venir meno di una situazione di stallo
che paralizza tutte le parti. Le procedure conciliative risultano particolarmente adatte12 per
la composizione delle cosiddette small claims, ed in particolare delle piccole controversie di
taglio consumeristico; anche se le stesse ben si attagliano anche alla risoluzione di medie e
grandi controversie, come dimostra l’attenzione con cui negli anni sono stati disciplinati
i procedimenti di mediazione e conciliazione nei regolamenti delle principali istituzioni
erogatrici di servizi extragiudiziali del mondo occidentale quali, per non citare che alcuni
esempi, la International Chamber of Commerce di Parigi (ICC), la London Court of International Arbitration (LCIA), la American Arbitration Association di New York (AAA), l’Associazione Italiana per l’arbitrato di Roma (AIA) e la Camera Arbitrale di Milano (CAM).
Come anticipato, fino all’introduzione del d.lgs. n. 28/2010, non esisteva nell’ordinamento
italiano una disciplina generale della mediazione, ma solo singole previsioni normative in
specifiche discipline di settore (subfornitura, telecomunicazioni, turismo, lavoro, franchising, e più di recente, patti di famiglia, per non citare che alcuni esempi).
La scelta opzionata dal legislatore è la procedura di conciliazione amministrata. Per attribuire, dunque, alla conciliazione gli effetti stabiliti dal citato decreto, e perché possano
invocarsi i vantaggi fiscali dell’accordo, le parti non potranno rivolgersi a conciliatori liberi
professionisti o ad enti che non siano organismi di conciliazione iscritti nell’apposito registro ministeriale, ma dovranno necessariamente esperire la procedura presso un organismo
12 La conciliazione può essere la scelta giusta quando: le parti mirano ad avere un rapporto che duri nel tempo;
i costi diretti e indiretti superano i benefici che può portare una vittoria in tribunale o in arbitrato; la rapidità
rappresenta un fattore essenziale; i precedenti negoziati sono falliti per mancanza di comunicazione, per questioni
di principio, o per le posizioni dei consulenti delle parti; la controversia è transnazionale; la parti coinvolte sono
molteplici.
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accreditato di mediazione13 ed avanti un mediatore professionale che eserciti la propria
attività presso tale organismo.
Chiunque può accedere senza particolari formalità, anche senza l’assistenza di un difensore abilitato, alla procedura di mediazione di una controversia civile o commerciale ai
sensi del d.lgs. n. 28/2010, purché si tratti di diritti disponibili.
Con norma che ha destato varie critiche negli ambienti professionali, il decreto ha, inoltre,
stabilito all’art. 4, comma 3, che gli avvocati sono deontologicamente tenuti ad informare
i loro clienti, all’atto del conferimento dell’incarico giudiziale, della possibilità di esperire
la procedura di mediazione e di informarli degli effetti dell’accordo e delle agevolazioni
fiscali previste dal decreto. La violazione dell’obbligo di informazione da parte del legale
comporta l’annullabilità del contratto di incarico professionale.
Si è cercato, così, di intervenire sulla cultura e sulla formazione della classe forense italiana,
portata, per formazione accademica e professionale, a privilegiare il confronto e la dialettica
giudiziale; evitando nel contempo che avvocati, scarsamente dotati di sensibilità deontologica, siano tentati di manipolare il vantaggio informativo nei confronti del cliente, inducendolo, talvolta, ad adire la giustizia ordinaria anche nei casi in cui il ricorso alla giustizia
civile non sarebbe necessario od efficace.
1.6 Conclusioni
La crisi della giustizia e la pressante necessità di ricercare nuove soluzioni per una più
rapida ed efficace tutela dei diritti hanno indotto operatori ed esperti ad avvicinarsi con
sempre maggiore interesse agli Alternative Dispute Resolution Methods, ossia a tutte quelle
procedure, caratterizzate da semplicità, rapidità e sostenibilità economica, che permettono
di ridurre attraverso efficienti ed efficaci soluzioni negoziali, i tempi del giudizio, le spese
processuali e la litigiosità tra le parti.
Un impiego costante e differenziato degli A.D.R. ha rappresentato, e rappresenta, nella
esperienza straniera di settore (non solo di Paesi a tradizione giuridica anglosassone ma anche a diritto codificato) un fattore di sviluppo del sistema economico ed un elemento di
attrattività e sicurezza per gli investimenti stranieri, oggi, troppo spesso rallentati dalle
incertezze delle situazioni giuridiche e degli scambi commerciali, prodotte dell’inefficienza
del sistema giudiziario.
Il contenzioso tradizionale, infatti, oltre a rischiare di compromettere in maniera irreparabile l’immagine pubblica e la reputazione di un’impresa sul mercato, si riflette, spesso
negativamente, sulla competitività dell’impresa stessa e, più in generale, sull’economia del
sistema-Paese, imponendo agli utenti del servizio giustizia un costo aggiuntivo sconosciuto
ad altri ordinamenti “competitors”.
Negli ultimi anni, il ricorso a questo tipo di procedure è in costante crescita. Ed è in questo
solco che si inserisce la normativa che ha recentemente introdotto la disciplina generale della mediazione finalizzata alla conciliazione delle liti civili e commerciali che, non più
relegata ad aspetti marginali del contenzioso civile, diviene ora uno strumento generale
13 Il registro degli organismi di mediazione è stato istituito con il decreto del ministero della Giustizia del 23
luglio 2004, n. 222 e l’art. 16 del d.lgs. n. 28/2010 ne rinvia la disciplina ad un successivo decreto ministeriale al
momento in via di elaborazione da parte del ministero.
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destinato a deflazionare l’imponente carico giudiziario dei tribunali civili.
Da quanto esposto emerge chiaramente come sia necessario puntare al recupero di efficienza della macchina giudiziaria, tenuto conto che i sistemi di A.D.R. non costituiscono
un’alternativa alla giurisdizione ordinaria, ma assumono rispetto ad essa un ruolo parallelo
ed autonomo.
Verrebbe così a profilarsi un sistema di tutela dei diritti per così dire “multi porte” (multi
door), all’interno del quale il cittadino può scegliere liberamente, in base al tipo di controversia in oggetto, tra metodi di risoluzione tutti efficienti e garantiti, ma diversi nel
loro fondamento. In tal modo, la diffusione delle procedere extragiudiziali non sarebbe
conseguenza automatica della crisi della giustizia ordinaria ma, al contrario, si fonderebbe
sull’esistenza di un sistema giudiziario ben funzionante, che garantisce la pluriopzione tra
un procedimento dinnanzi al giudice togato (da rendere sufficientemente rapido), ed un
ventaglio di modelli compositivi basati sul consenso (da rendere sufficientemente sicuri).
Senza con ciò porre l’incongrua ed antieconomica alternativa tra giurisdizione pubblica,
elefantiaca ed intempestiva, e procedure non contenziose, efficienti e “sartoriali”.
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2. METODI DI RISOLUZIONE ALTERNATIVA DELLE CONTROVERSIE CIVILI E COMMERCIALI:
LA MEDIAZIONE IN EUROPA E LA DIRETTIVA EUROPEA 2008/52/EC, CHE SARÀ RECEPITA
IN ITALIA NEL 2011
A cura dell’On. Tiziano Motti
Ho avuto l’onore di essere nominato “relatore ombra” per il gruppo politico di cui sono
membro al Parlamento Europeo (Gruppo del Partito Popolare europeo) sulla relazione
“Protezione dei consumatori”, approvata dal Parlamento in seduta plenaria a Strasburgo il
9 marzo 2010.14
La relazione si basa sui dati contenuti nella cosiddetta “Consumer market scoreboard”,
una sorta di “pagella dei consumatori”, redatta dalla Commissione europea sulla base delle
statistiche ed indagini fornite dagli Istituti/agenzie nazionali/e per i consumatori, laddove
esistenti, e tenendo in considerazione i dati raccolti dalle organizzazioni dei consumatori in
materia di reclami e lamentele.
La “pagella” illustra gli indici di gradimento dei consumatori europei su un paniere di beni e
servizi selezionato. Forse non sorprenderà l’affermazione secondo la quale, le banche e le società di fornitura di servizi di primaria importanza quali energia, ed i trasporti pubblici, risultano essere fra le prime voci di doglianza nelle statistiche. Ma anche il commercio transfrontaliero non gode di buona salute, venendo relegato a solo il 25% di gradimento dei cittadini
europei, rispetto al 75% di questi che preferisce fare i propri acquisti in zona di residenza.
Nell’ambito di questa iniziativa del Parlamento Europeo, ho sostenuto con forza, all’interno dei negoziati fra gruppi politici attraverso la figura dei loro “relatori ombra”, l’istituzione e la promozione dei Metodi Alternativi di Risoluzione delle Dispute, con l’obiettivo
di facilitare la risoluzione delle controversie transfrontaliere e di garantire alle imprese
un mercato interno competitivo, sicuro, nel quale i cittadini possano riporre fiducia.
La situazione attuale, al contrario, vede ancora un livello troppo basso di utilizzo dei sistemi di acquisto online, proprio a causa del timore, da una parte, dei cittadini di non essere
adeguatamente tutelati in caso di controversie transfrontaliere (dal momento che Internet
abolisce di fatto le frontiere, ma le controversie le ergono), dall’altra dei produttori/venditori di beni ed i fornitori di servizi, che temono la lunghezza delle procedure giudiziali per
far valere il loro diritto di essere pagati in tempo.
Secondo i dati in nostro possesso, quasi un cittadino su due (46%) si scoraggia dalla mancata risposta alle proprie doglianze da parte del produttore o venditore di beni o prestatore
di servizi e non intraprende alcuna azione successiva alla prima contestazione infruttuosa.
Questo dimostra quanto importante è il ruolo di organismi di gestione delle controversie (Autorità dei consumatori, organizzazioni dei consumatori, organi di regolazione, etc)
poiché riesce ad ottenere un riscontro positivo nella misura statistica di un successo ogni
tre ricorsi presentati. L’11% dei cittadini preferisce invece farsi assistere da un avvocato ed
adire il tribunale.
Nell’Unione europea il numero dei casi di risoluzioni alternative delle dispute è aumentato
14 http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P7-TA-2010-0046&language=IT&rin
g=A7-2010-0024.
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negli ultimi anni: nel 2006 erano stati riportati circa 410.000 casi, nel 2007 circa 473.000
e nel 2008 sono stati 530.000. Questo trend “positivo” riflette una maggior consapevolezza
della possibilità di risolvere le dispute per le vie stragiudiziali, per quanto non sia equamente
distribuita negli Stati membri dell’Unione europea: il Belgio, la Spagna, il Regno Unito, la
Svezia, l’Austria, l’Irlanda, l’Olanda, la Danimarca, e Malta rivestono il ruolo di Paesi capolista con il maggior numero di casi per ogni migliaio di abitanti. Belgio e Regno Unito hanno
registrato nel 2008 il record, rispettivamente con 4,7 e 2,5 casi di affidamento alla risoluzione
alternativa delle dispute per ogni 1000 abitanti. La media Ue, nettamente inferiore, si assetsa
su un caso ogni 1000 abitanti. Alcuni stati, tra l’altro, sono ben al di sotto di questa media.
I dati mostrano anche una variazione importante del “gradimento popolare” nei confronti
della risoluzione alternativa delle dispute nell’ambito dei diversi Stati membri: il Regno
unito è il paese in cui i consumatori sono più favorevoli, con il quorum del 55% delle
persone intervistate. Ma il trend è in crescita anche tra i professionisti del settore legale.
Molti tribunali ora richiedono, loro stessi, alcune forme di A.D.R. (Alternative Dispute Resolution methods, nella definizione in lingua inglese utilizzata in ambito EU) da applicare
prima che il caso sia portato dinanzi alla Corte. Questa popolarità in aumento della mediazione può essere spiegata, almeno parzialmente, dal maggior carico di lavoro in capo alle
Corti. La percezione dei cittadini, inoltre, è che le A.D.R. impongano minori costi rispetto
ad una causa civile (oltre che, naturalmente, tempi nettamente inferiori), una maggior confidenzialità delle informazioni relative al caso trattato e un maggiore controllo in merito alla
selezione delle persone a cui sarà affidato l’iter decisionale sulla disputa.
L’Unione europea, attraverso la “direttiva sulla mediazione” 2008/52/CE intende prevederne l’obbligatorietà, nel tentativo di promuoverla come una valida alternativa per i costibenefici, in particolare nei casi di dispute transfrontaliere. L’obiettivo per gli Stati membri
è quello di incrementare la fiducia nei cittadini verso il mercato interno, grazie anche a
maggiori garanzie di risoluzione dei conflitti con modalità agevoli. Una sintetica analisi
dei contenuti: L’art. 1 della direttiva prevede un equilibrio fra metodi “tradizionali” e la
mediazione. L’art. 4 chiede agli Stati membri di formare propriamente mediatori ed implementare un codice di condotta. L’Articolo 5 dà ad ogni Tribunale dell’Unione europea, in
ogni fase della procedura, il diritto di invitare le parti a ricorrere alla mediazione. L’articolo
7 protegge la confidenzialità e difende il mediatore dal dovere di fornire le prove e le testimonianze in futuro davanti alla Corte. La direttiva, entrata in vigore nel giugno 2008, riconosce 3 anni di tempo agli Stati membri per il suo recepimento, garantendo al contempo la
discrezionalità sulla scelta in materia d’applicazione limitatamente ai soli conflitti interni o
estendendone il campo d’azione ai conflitti transfrontalieri civili e commerciali. La successiva revisione della direttiva non avrà luogo prima del 21 maggio 2016.
La sua trasposizione in legge nazionale dovrà avvenire entro il 21/05/2011, fatta eccezione
per l’art. 10 (Informazione sulle competenti corti ed Autorità) per il quale la data ultima è
il 21/11/2011.
2.1 Cronistoria dell’iter di approvazione della direttiva
La posizione comune del Consiglio, per la maggior parte, corrisponde al testo dell’accordo politico raggiunto nel novembre del 2007 fra Consiglio, Commissione e Parlamento.
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Gli emendamenti del Parlamento furono largamente accettati.
Il Consiglio negoziò quindi la posizione comune:
• accettando un nuovo articolo sulla natura transfrontaliera della direttiva;
• accordando la specifica menzione che il processo di mediazione è di natura volontaria;
• decidendo di mantenere il testo dell’accordo comune circa i requisiti del mediatore;
• decidendo di non accettare un emendamento che avrebbe reso impossibile per le parti
ricorrenti alla mediazione di rivelare informazioni relative al processo di mediazione e
che il divieto di rivelazione dovrebbe anche coprire il divieto alle parti terze;
• decidendo di non pubblicare il “Codice europeo di condotta per i Mediatori” nella
Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee dato che il codice non è un testo adottato
ufficialmente;
• decidendo di accettare una clausola di revisione, sebbene formulata con termini diversi,
ma rendendosi indisponibile ad accettare il suggerimento relativo alla limitazione armonizzata ed ai periodi di prescrizione;
• decidendo di proporre date differenti per l’implementazione della direttiva. Gli stati
membri avranno un massimo di 36 mesi per il recepimento.
Il Parlamento europeo continuerà a monitorare il livello di soddisfazione dei cittadini europei, siano essi consumatori, produttori, venditori, in occasione delle prossime relazioni
sulla “protezione dei consumatori”. Il Parlamento europeo ha già chiesto alla Commissione
europea, di unificare il periodo di pubblicazione delle relazioni sulla “protezione dei consumatori” (Consumers Scoreboard) e sul “mercato interno” (Internal Market Scoreboard), in
modo da poter analizzare contestualmente dati integrati e di esprimersi con tempistiche più
adeguate in merito alle necessità di intervento sui fattori critici delle relazioni.
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3. LA LENTEZZA DELLA GIUSTIZIA ORDINARIA, I COSTI PER LE IMPRESE ITALIANE E LA
MEDIAZIONE CIVILE
A cura del Dott. Marcello Guadalupi
Consigliere delegato alla conciliazione dell’ODCEC di Milano
La lentezza della giustizia ordinaria produce per le imprese italiane costi molto elevati tali
da comprometterne la competitività. Il presente elaborato si prefigge di valutare la capacità
dei metodi A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) - ed in particolare della mediazione
così come prevista dal d.lgs. n. 28 del 04.03.2010 - di concorrere a una maggiore competitività delle imprese italiane. Competitività che ad oggi è ridotta a causa della lentezza dei
procedimenti giudiziali e dei loro costi, tramutandosi in un enorme dispendio di risorse
soprattutto per il recupero dei crediti. Il nuovo intervento legislativo offre alle imprese italiane un’opportunità per risolvere il problema che può essere addirittura a costo zero. Molto
importante sarà l’intervento dei commercialisti che operano a fianco delle imprese e che,
attraverso validi percorsi formativi, dovranno approfondire la materia, impadronirsi delle
tecniche di gestione dei conflitti e consigliare la mediazione alle imprese clienti.
3.1 I dati della giustizia italiana
La relazione di apertura dell’anno giudiziario 2010 ha rappresentato una situazione allarmante per la giustizia civile italiana:
977 giorni per una causa civile di cognizione ordinaria di primo grado davanti ai tribunali
837 giorni per le cause di previdenza
628 giorni per le cause di lavoro non pubblico
740 giorni per il lavoro pubblico
270 giorni per i procedimenti esecutivi mobiliari
1.213 giorni per i procedimenti esecutivi immobiliari
Esistono poi delle differenze quantitative e di composizione della domanda di giustizia tra
Nord, Centro e Sud che disegnano un profilo di litigiosità del Sud non solo quantitativamente superiore ma anche sistematico per tutti i tipi di controversia analizzati.
Siamo passati da 10 milioni di fascicoli, depositati nelle cancellerie di corti e tribunali
italiani, a circa 11 milioni di fascicoli con una media di un cittadino su cinque in attesa
di giudizio. Più della metà riguarda cause civili, che insieme a quelle di lavoro, superano
quota 5 milioni e mezzo (incremento del 6% rispetto allo scorso anno).
Il confronto di questi dati in campo internazionale ci viene offerto dalla Banca Mondiale
che ha elaborato una classifica attraverso il Rapporto Doing Business per il 2010.
Per completare una procedura di recupero crediti sono necessari:
1.210 giorni in Italia
515 giorni in Spagna
406 giorni in Cina
399 giorni in Inghilterra
394 giorni in Germania
331 giorni in Francia
300 giorni in USA
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I ritardi sono poi destinati ad aumentare perché nel confronto con paesi omogenei per
dimensioni, livello di sviluppo economico e caratteristiche dei sistemi legali, l’Italia ha un
tasso di litigiosità maggiore. Secondo i dati del Rapporto Cepej 2009, i conflitti sono tre
volte e mezzo quelli della Germania e 2 volte e mezzo quelli di Francia e Spagna.
3.2 I costi della giustizia
Nonostante i dati sulla durata del processo siano molto negativi, non sono da meno i dati
relativi ai costi della giustizia. Spendiamo molto di più rispetto ad altri paesi europei che
in cambio hanno tempi molto minori e vengono annoverati a livelli più alti nella classifica.
I dati provengono da rapporti come il Doing Business della Banca Mondiale e il Cepej,
della speciale commissione costituita in seno alla Ue che deve valutare e mettere a confronto
il livello di efficienza della giustizia nei paesi europei.
Costo annuo della giustizia:
Italia € 4.088.000.0000
Francia € 3.350.000.000
Spagna € 2.983.000.000
Olanda € 1.613.000.000
Il risultato è che ogni italiano spende 70 euro all’anno per l’amministrazione giudiziaria,
contro i 53 dei francesi, i 68 degli spagnoli, i 106 euro dei tedeschi e 99 degli inglesi.
Con la differenza che una controversia commerciale in Italia si conclude in 1.210 giorni
mentre Francia e Spagna sono nella media europea di 472 giorni.
3.3 Le imprese e la giustizia
Secondo una classificazione fatta dalla Banca Mondiale nel rapporto Doing Business l’Italia
figura quest’anno al 78esimo posto per durata del procedimento nelle controversie commerciali risultando in calo rispetto allo scorso anno e molto distante dagli altri paesi più
sviluppati.
La Banca d’Italia, riprendendo questo rapporto, ha appurato che un’impresa in Italia per
avere giustizia di una controversia commerciale deve aspettare in media 1.995 giorni (5
anni 4 mesi e 8 giorni) scoprendo poi che tra Nord e Sud la media sale a 2.226 giorni (oltre
6 anni) e che nel Nord Ovest i tempi si riducono a 1.826 giorni.
Il dato preoccupante è che alla fine di questo calvario l’impresa, in una procedura d’insolvenza, recupererà poco più del 50% (51,60%).
Altro dato molto importante, fornito sempre da un’indagine della Banca d’Italia, riguarda
la pratica del ritardo dei pagamenti che tra le imprese italiane è molto diffusa interessando
il 40% delle imprese campione della ricerca.
Tutto questo crea notevoli difficoltà alla gestione aziendale e alla stessa sopravvivenza
dell’impresa. Prova ne sia il fatto che nei primi mesi del 2010 i fallimenti sono aumentati
del 46% con circa 3.226 società.
Con uno scenario del genere è difficile poter pensare all’impresa italiana in termini di competitività, alla crescita economica e allo sviluppo del paese. Crescita e sviluppo che possono
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avvenire solo attraverso gli investimenti e la capacità dello Stato di attrarre investimenti esteri.
Ma per rendere interessante il nostro mercato occorre salvaguardare la competitività delle
imprese e questo passa anche attraverso i tempi della giustizia.
Stando ai dati World Bank un altro triste primato per l’Italia (insieme alla Svezia) riguarda
la più alta incidenza percentuale dei costi processuali sul valore della controversia (29.9%)
che le imprese sostengono per tutelare i propri diritti.
Mentre uno studio di Confartigianato stima che il costo per le imprese dei ritardi della
giustizia è di 2,3 miliardi di euro e cioè 371 euro per azienda.
Vi è poi da aggiungere tutta la mole di attività stragiudiziale che sfugge al controllo di
queste ricerche ma che non di meno incide profondamente sulla finanza aziendale determinandone perdite anche consistenti. Così come anche tutte le rinunce al contenzioso che
l’imprenditore è costretto a fare per l’antieconomicità di alcune azioni che comporterebbero
solo dei costi aggiuntivi alla perdita già subita.
3.4 La mediazione per le imprese
La mediazione, aldilà dell’obbligo previsto dal legislatore, diventa un valido strumento alternativo per le imprese per abbattere i costi ed i tempi lunghi della giustizia.
La partecipazione alla soluzione della controversia, l’attenzione ai rapporti tra le parti in
conflitto e la riservatezza sono tutti importanti fattori che fanno della mediazione uno
strumento utile alla gestione delle imprese.
Il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 è andato oltre abbattendo i seguenti costi:
• imposta di bollo relativa a tutta la documentazione relativa alla mediazione;
• ogni spesa, tassa o tributo di qualsiasi natura;
• imposta di registro del verbale di accordo entro il limite di valore di € 50.000;
e riconoscendo, in caso di successo della mediazione, un credito d’imposta commisurato
all’indennità stessa, fino alla concorrenza di € 500, ridotto alla metà in caso di insuccesso.
Considerando, poi, che un tariffario medio degli organismi di conciliazione operanti sul
territorio dello Stato prevede l’applicazione della seguente tabella si giunge alla conclusione
che un’impresa che chiederà l’intervento di un mediatore in una controversia di valore fino
ad € 50.000 riceverà un servizio a costo zero.
Valore della lite
Spesa
fino ad euro 5.000
€ 150
da € 5.001 a € 10.000
€ 250
da € 10.001 a € 25.000
€ 350
da € 25.001 a € 50.000
€ 500
E soprattutto in un termine massimo, più che ragionevole, di 4 mesi.
3.5 Un aiuto per la crisi finanziaria nazionale e internazionale
In un periodo di crisi finanziaria come quello che l’economia mondiale sta vivendo, questi
problemi vengono amplificati portando così a veri e propri disastri.
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Continuano ad aprirsi scenari di crisi come quello europeo che in questi ultimi tempi riguardano la Grecia e la Spagna e che inevitabilmente si ripercuotono sulle imprese italiane
che operano in questi paesi.
Secondo fonti ufficiali ICE nel mese di marzo le condizioni del credito in Grecia sono peggiorate. Sono stati emessi assegni scoperti per un valore pari a 150 milioni di euro con un
incremento del 285% rispetto al mese precedente.
Inoltre su un totale di 36.704 assegni emessi circa il 41% è risultato inesigibile.
Infine, le forniture che lamentano un ritardo dei pagamenti è aumentato del 150% rispetto
al mese precedente.
Stesso scenario, forse anche più pesante, potrebbe a breve presentarsi per la Spagna dove
operano molte più imprese italiane che ne potrebbero essere coinvolte.
Anche in questi casi l’impresa italiana potrà utilizzare il tentativo di mediazione transfrontaliera previsto dalla direttiva comunitaria 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 e richiamato dall’articolo 12 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
3.6 Conclusioni
In uno scenario in cui il 40% delle imprese ritarda i pagamenti ai propri fornitori e utilizza
strumentalmente la strada della giustizia per ritardare di oltre 5 anni i pagamenti è difficile
poter parlare di sviluppo economico.
Né tantomeno si può pensare che il sistema possa sostenere a lungo un costo che si aggira
intorno al 30% del valore della controversia per poi, pur di chiudere il contenzioso, vedere
accordarsi le parti in una transazione che si aggira intorno al 50% del dovuto.
Tutto ciò sta portando al collasso le imprese italiane con un aumento considerevole dei
fallimenti, circa il 46%, nel primo trimestre del 2010.
La mediazione, così come prevista dal legislatore, può essere un valido aiuto alle imprese,
così come anche ai privati cittadini, in tutta una serie di controversie che vanno oltre il
semplice recupero del credito.
Il vantaggio di questo strumento è di tipo economico - perché sono previste agevolazioni
in termini di risparmio di imposte e di tasse che altrimenti sarebbero dovute in un giudizio
ordinario - e in termini di rimborso, sotto forma di credito di imposta, di quanto dovuto
al conciliatore.
Ma non solo. Oltre ai risparmi e agli incentivi c’è da considerare che in una mediazione le
parti diventano attive nella decisione sulla controversia, non subendo la decisione del giudice, esse possono contare sulla riservatezza dei fatti emersi durante i loro incontri e, cosa
molto importante, lavorano in maniera cooperativa alla soluzione, salvaguardando i loro
rapporti interpersonali. Il tutto in un tempo massimo che si aggira intorno al 10% degli
attuali tempi della giustizia ordinaria e a costi in alcuni casi pari a zero o quantomeno
molto lontani da quel 30% del valore della controversia.
Tutto questo potrà funzionare solo con il lavoro di quei professionisti che, come i commercialisti, affrontano insieme agli imprenditori i problemi dell’azienda.
E la professionalità passa attraverso una formazione specifica che permette di acquisire le
corrette tecniche di negoziazione cooperativa e gestione dei conflitti.
I commercialisti rappresentano una figura molto importante, per cultura e preparazione
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di base, per dare un forte impulso alla mediazione, non a caso sono stati tra i primi ad
aver costituito gli organismi di conciliazione previsti dal d.lgs. n. 5/2003 in materia di rito
societario.
Oggi con l’introduzione del tentativo obbligatorio di mediazione in materie nelle quali il
commercialista offre quotidianamente la propria consulenza, l’impegno sarà più forte e più
specifico.
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4. I° RAPPORTO SULLE NEGOZIAZIONI PARITETICHE - BREVE SINTESI
A cura della Dott.sa Liliana Ciccarelli
Cittadinanzattiva, Consumers’ Forum
Tra i 750 modelli di risoluzione extragiudiziale delle controversie censite dalla Commissione europea rientra la “conciliazione paritetica” per la definizione di small claims in materia di consumo. Ha 19 anni la conciliazione paritetica ed ha gestito nel solo 2009 ben
29.9381 (i dati si riferiscono a 17 protocolli nazionali) domande di conciliazione avanzate
da consumatori; 23 i protocolli nazionali di conciliazione paritetica attualmente sottoscritti
(con diverso livello di implementazione) nei settori della telecomunicazioni, banche, somministrazione energia elettrica e gas, servizi postali, assicurazioni e trasporti. Importante
lo sviluppo anche a livello locale con accordi regionali tra imprese e associazioni di consumatori, almeno 18 i protocolli locali censiti dal I Rapporto sulle negoziazioni paritetiche
in 9 diverse regioni. Si conferma una significativa presenza di tale modello all’interno delle
Alternative dispute resolution. Nell’anno precedente infatti si sono svolte in conciliazione
paritetica il 41% di tutte le domande di conciliazione registrate nel 2008 in Italia (fonte
Unioncamere III Rapporto sulla giustizia alternativa).
Gli esiti. Il 77% dei procedimenti aperti si è concluso con esito positivo a favore del consumatore.
I settori maggiormente interessati: le telecomunicazioni 55%, servizi bancari 38% a seguire
servizi postali, energia e trasporti. Si consideri che nel settore delle tlc il tentativo di conciliazione è obbligatorio ed inoltre una importante delibera dell’AGCOM equipara il tentativo
di conciliazione svolto presso le commissioni di paritetiche a quello svolto presso i Corecom
o Camera di Commercio. In tale settore inoltre operano ben 7 protocolli di cui 4 a pieno
regime da diversi anni. L’alta percentuale delle domande di conciliazione nel settore bancario è relativo ai titoli Parmalat in virtù di uno specifico protocollo di conciliazione già sperimentato con successo e soddisfazione da decine di migliaia di consumatori negli anni scorsi.
I conciliatori. Impegnati nelle varie commissioni paritetiche oltre 1.000 conciliatori formati nel corso degli anni dal Consumers’Forum attraverso appositi corsi dal modulo formativo
efficace e anch’esso paritetico in quanto destinato alla formazione in compresenza di esponenti delle associazioni di consumatori e di aziende. Al fine di ridurre possibili asimmetrie
informative tra componenti delle commissioni paritetiche, l’Autorità per l’energia elettrica
e il gas sostiene i corsi di formazione per sportellisti e per conciliatori che operano nelle
procedure del settore di competenza, curando inoltre direttamente un importante spazio
all’interno del modulo formativo dedicato alla regolamentazione.
I tempi. In media 60 giorni per risolvere una controversia. Nello specifico ad esempio circa
45 giorni per risolvere una controversia nel settore della telefonia fissa, 80 per una controversia nel settore bancario, meno di 30 nel settore dei trasporti.
I valori delle controversie. Ad esclusione del settore bancario dove gli importi sono più elevati in ragione dell’operatività di uno specifico protocollo per la gestione di titoli Parmalat,
nel 62% dei casi i valori delle controversie si attestano nella fascia delle small claims (entro
1000 euro). Si può arrivare anche a 700 euro, in particolare nel settore della telefonia mobile, ma sono frequenti le casistiche che riguardano importi di 25 o 50 euro.
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Oggetto delle controversie. Tra le questioni più ricorrenti: TLC - Disconoscimento traffico
(foniainternet), ritardo nell’attivazione o disattivazione di un servizio, attivazione servizi
non richiesti, ritardo riparazione guasti, rimborso anticipo di conversazione, tariffazione
applicata. Poste: disservizi riguardanti consegna pacchi o raccomandate. EN: doppia fatturazione, ricostruzione consumi, gestione delle morosità, contestazione fatture.
Le garanzie ed i vantaggi per il consumatore che accede alla conciliazione paritetica:
1. Conciliatori formati e costantemente aggiornati riguardo le tematiche della tutela del
consumatore, procedura di conciliazione e A.D.R., regolamentazione e normativa di
settore.
2. Gratuità e semplicità della procedura.
3. Tempi rapidi per la definizione della controversia.
4. Presenza di contraddittorio: il consumatore ha la possibilità di poter rappresentare il
proprio punto di vista e di essere ascoltato dalla commissione di conciliazione.
5. Trasparenza e informazione riguardo il funzionamento della procedura.
6. Libertà di scelta: il consumatore in ogni momento ha diritto di rifiutare di partecipare
alla procedura, può inoltre rifiutare la proposta conciliativa individuata dalla commissione senza alcuna conseguenza negativa.
7. Riservatezza delle informazioni rese relative alla controversia e tutela della privacy.
8. Efficacia giuridica dell’accordo ai sensi del 1965 del codice civile e monitoraggio
dell’associazione di consumatori sul rispetto da parte dell’azienda di quanto previsto
dal verbale conciliativo.
9. Possibilità di una penale a carico dell’azienda per ritardo nell’adempimento di quanto
previsto dal verbale.
10.Sospensione dei provvedimenti di autotutela da parte dell’azienda durante la procedura
di conciliazione.
Dal Libro Verde della commissione Europea del 2008 risulta che “un consumatore europeo
su cinque non è disposto ad adire un tribunale per meno di 1.000 euro, mentre la metà dichiara
che non intende rivolgersi a un tribunale per meno di 200 euro; i costi elevati e il rischio di
vertenze giudiziarie rendono antieconomico per il consumatore pagare spese di giustizia, avvocati ed esperti per un importo che può risultare superiore al risarcimento richiesto”. Il risultato
è una “zona grigia” all’interno della quale il consumatore rinuncia ai propri diritti senza far
emergere disservizi o problemi nell’erogazione o fruizione di un servizio. A colmare questo
gap di tutela e di analisi delle criticità di settore, contribuiscono le conciliazioni paritetiche.
I tempi rapidi, la gratuità e la presenza di validi strumenti di equità e garanzie per il consumatore, la formazione dei conciliatori sono tra i principali punti di forza di questa procedura di risoluzione delle smalls claims in grado di offrire tutela a situazioni che difficilmente
arriverebbero all’attenzione di uno studio legale o di un tribunale.
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5. LA CONCILIAZIONE PARITETICA: LO STATO ATTUALE E I PROSSIMI SVILUPPI
A cura del Dott. Marco Pasian
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
Negli ultimi anni assistiamo all’espandersi di nuove procedure extragiudiziali per la risoluzione delle controversie tra gli utenti e le imprese.
La loro fonte normativa è individuata nella legge nr. 69 del 2009, nel suo decreto attuativo, nell’art. 141 del Codice del Consumo e nelle Raccomandazioni 1998/257/CE e
2001/310/CE.
Tra le varie forme di conciliazione, quella più utilizzata è la conciliazione paritetica, dove
la trattativa e il tentativo di composizione della lite avviene tra due conciliatori posti sullo
stesso piano che rappresentano le parti, senza l’intervento di un terzo soggetto super partes.
Essa viene introdotta in Italia nei primi anni Novanta da SIP e dalle principali Associazioni
dei Consumatori; da progetto sperimentale diventa ben presto strumento di uso comune e
si diffonde in vari settori merceologici.
A regolamentare la conciliazione ci sono specifici accordi fra singole imprese e le Associazioni dei Consumatori. Le sue caratteristiche prinicipali sono: rapidità ed economicità.
La conciliazione paritetica è in continua espansione e si stanno ideando nuove metodologia
come ad esempio la trattativa on line.
Parole chiave: conciliazione paritetica, consumatore, Associazioni dei Consumatori, imprese telecomunicazioni, assicurazioni, accordo.
5.1 Perché la conciliazione è così importante?
Le procedure di conciliazione sono state introdotte in un contesto socio-economico particolare: nella società contemporaneo l’individuo si trova a dover interagire per ogni sua necessità con soggetti terzi che gli prestano servizi di vario genere. È corretto e indispensabile
riconoscergli lo status di consumatore, cliente e utente.
Al contempo la giustizia ordinaria presenta delle caratteristiche (tempi lunghi, costi elevati
ed esito incerto) che spesso scoraggiano il consumatore ad affidarsi ad essa per il riconoscimento di un suo diritto. Il valore di causa esiguo in molti casi è un deterrente ad intraprendere un’azione giudiziaria per il consumatore. Ad esempio nel 62% delle domande di
conciliazione presentate nel 2009 il valore della controversia è inferiore ai 1000 euro.
Risulta perciò necessario creare delle procedure che permettano, facilmente e velocemente,
di far valere i propri diritti di cliente e ottenere il risarcimento per un ingiusto danno derivante da prodotti o servizi non adeguati; per questo motivo si sono sviluppati dei metodi di
risoluzione alternativi: i c.d. A.D.R. (Alternative Dispute Resolution).
Tra le varie forme di conciliazione, quella paritetica rappresenta oggi in Italia il modello più
utilizzato. Infatti, nel 2008 il 41% di tutte le domande per una trattazione extragiudiziale
registrate in Italia hanno riguardato la conciliazione paritetica.
5.1.1 Uno sguardo all’Europa
Le A.D.R. vengono introdotte in Europa nella seconda metà degli anni Novanta e se ne
registrano oggi in ambito Ue circa 750 tipi diversi.
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Le procedure variano da paese a paese a seconda delle caratteristiche e delle peculiarità delle
popolazioni; comune a tutti gli Stati è però la crescita esponenziale che si registra nel loro
utilizzo quale metodo di risoluzione alternativo al procedimento giudiziale: si è passati infatti da circa 400.000 domande del 2006 alle 530.000 registrate nel 2008.
5.2 Fonti: normativa e uso comune
I meccanismi conciliativi, alternativi alla giustizia ordinaria, hanno fonte normativa primaria nella legge delega n. 69 del 2009, è poi il decreto legislativo di attuazione a riconoscere
più nello specifico la possibilità di negoziazioni volontarie e partitiche (art. 2 comma 2).
Ma è nella sua relazione illustrativa che viene esplicitata la possibilità di utilizzare procedure
di mediazione che non sono espressamente disciplinate dal decreto ma che sono già ampliamente utilizzate nella pratica.
È proprio il caso della conciliazione paritetica che nasce in Italia già nel 1991 come progetto
sperimentale di SIP (oggi Telecom Italia) in accordo con le principali Associazioni di Consumatori attive in quel periodo sul territorio nazionale. Quindi la conciliazione paritetica
trova la sua disciplina nell’uso comune, ancor prima di averla in una norma espressa che,
comunque, ancora manca nell’ordinamento italiano.
Il CNCU (Consiglio Nazionale dei Consumatori e Utenti) ha riconosciuto espressamente
le formule conciliative paritetiche nella previsione dell’art. 141 del Codice del Consumo
che disciplina la “Composizione extragiudiziale della controversia”.
Infine, il modello cosiddetto paritario rientra nelle procedure extragiudiziarie riconosciute
dalla raccomandazione 1998/257/CE e dalla raccomandazione 2001/310/CE.
5.3 Cos’è la conciliazione paritetica
La conciliazione paritetica è una particolare forma di A.D.R. caratterizzata dalla presenza di
una Commissione di conciliazione in cui i soggetti agenti sono posti sullo stesso piano. È
composta da un esponente delle Associazioni dei Consumatori, che ha ricevuto il mandato
dal consumatore, e da un delegato dell’Impresa “incriminata”.
La soluzione nasce quindi dal contraddittorio di due parti con uguali competenze che rappresentano i due interessi in gioco in modo paritario.
Come si può constatare, manca un terzo super partes che svolga la funzione di mediatore/
arbitro come nel procedimento ordinario.
A disciplinare la procedura c’è un regolamento sottoscritto e applicato dalle parti. Ogni
Associazione o Impresa ha un proprio regolamento, ci sono però alcuni principi cardine
comuni a tutti (imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità). Verranno analizzate più avanti
il contenuto specifico del regolamento.
5.3.1 La diffusione di un progetto sperimentale
Abbiamo già accennato al fatto che la conciliazione paritetica sia nata in Italia come esperimento ideato da SIP e dalle principali Associazioni dei Consumatori italiane: ogni controversia tra consumatori e azienda sarebbe stata risolta attraverso l’istituzione di un organo
conciliativo composto da un rappresentante dell’azienda e da un rappresentante delle associazioni dei consumatori.
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Questo progetto pilota, partito dapprima in Sicilia e Lombardia, dal 1996 venne sostenuto
anche dalla Commissione europea.
In seguito ai risultati positivi che la procedura stava registrando, l’esperienza assunse un
carattere permanente: è stata applicata a tutt’Italia ed ora un’apposita clausola è inserita nei
contratti d’utenza di Telecom Italia.
Ma ancora più significativo è il fatto che da subito altre numerose aziende, operanti in
svariati settori, hanno seguito l’esempio di SIP. E l’utilizzo della conciliazione paritetica è
destinato ad aumentare. Alcune imprese indicano già nei loro contratti la possibilità per il
consumatore di accedere alla procedura conciliativa. Ma addirittura troviamo il riferimento
nelle bollette e nei documenti di fatturazione.
5.3.2 L’importanza degli accordi tra le parti
La diffusione delle procedure conciliative, non soltanto di quella paritetica, trova grande
spinta grazie agli accordi stipulati tra organizzazioni portatrici di contrapposti interessi: da
una parte i soggetti utenti e dall’altra i diversi settori merceologici.
Lo scopo finale è di permettere l’accesso alla procedura conciliativa per tutte le possibili
controversie fra i rispettivi aderenti.
L’intervento delle Associazioni di Consumatori ha un significato particolare. Il potere negoziale del consumatore è praticamente assente nel momento della sottoscrizione del contratto per adesione poiché si tratta, nella maggioranza dei casi, di rapporti non personalizzabili.
La presenza dell’Associazione nel momento della stipula dell’accordo che disciplina la fase
di reclamo e la procedura conciliativa, riequilibra in qualche modo il potere negoziale del
consumatore perché lo recupera.
La forte collaborazione tra le due parti, che rappresentano sicuramente interessi contrapposti, si spiega ricordando che “il fine non è la conciliazione, ma la soluzione dei problemi che
emergono nel rapporto tra azienda e consumatore”.
Rientra nell’accordo tra associazioni ed imprese anche il momento della formazione del
conciliatore: infatti, i corsi di preparazione sono organizzati in comune. Ricordiamo che per
svolgere la sua funzione il conciliatore deve aver frequentato uno di questi corsi riconosciuti
ed essere iscritto all’apposito elenco. È poi previsto un aggiornamento periodico. In questo
modo è assicurata al consumatore l’assistenza da parte di personale qualificato.
I nominativi sono indicati rispettivamente da aziende e associazioni e possono essere revocati secondo modalità e cause previste dai rispettivi regolamenti.
5.3.3 Un paio di dati
Dalla telefonia la conciliazione paritetica si è diffusa nei seguenti settori: telecomunicazioni,
banche, poste, trasporti, energia ed assicurazioni. Il settore più interessato rimane quello
delle telecomunicazioni (54%) a seguire quello bancario (38%) e i servizi postali, energia
(entrambi sul 3 %), trasporti (1%) e a chiudere le assicurazioni.
Questa ripartizione è anche dovuta al fatto che per i settori trasporti la procedura è ancora
in fase di sperimentazione, inoltre per alcuni settori la conciliazione è applicata solo per
alcune controversie.
Nel 2009 sono state avanzate quasi 30.000 domande di conciliazione paritetica.
39
Il 77% dei procedimenti si è concluso a favore del consumatore con una durata media delle
controversie di 60 giorni. I tempi di risoluzione variano da circa 30 giorni (settore trasporti)
a circa 100 giorni (poste).
La durata ridotta del procedimento è uno degli aspetti più positivi della conciliazione paritetica. Basti pensare che la media italiana per ottenere un qualsiasi recupero credito è di
circa 1200 giorni.
domande pervenute
60%
domande pervenute
50%
40%
30%
20%
10%
te
le
co
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un
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ba
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0%
Percentuale domande di conciliazione pervenute ai diversi settori interessati.
5.3.4 Analisi veloce dei problemi più ricorrenti
Analizziamo ora brevemente le controversie oggetto di risoluzione attraverso la conciliazione paritetica.
Per le telecomunicazioni la casistica registra il disconoscimento del traffico (fonia e internet), il ritardo nell’attivazione e disattivazione di un servizio o l’attivazione di servizi non
richiesti, il ritardo per la riparazione dei guasti, il rimborso per l’anticipo di conversazione
e la tariffazione applicata.
Le controversie più frequenti nel settore delle poste riguardano la mancata o lenta consegna
di pacchi, corrispondenza e raccomandate.
Nel comparto energetico i problemi sono relativi alla doppia tariffazione, alla ricostruzione
dei consumi, alla gestione delle morosità e alla contestazione fatture.
Per il settore bancario la maggior parte delle conciliazioni recenti ha riguardato la gestione
dei titoli Parmalat, le altre controversie sono relative ai conti correnti e le carte (credito,
bancomat, ecc).
Infine nel ramo assicurativo la procedura conciliativa si occupa delle problematiche relative all’Assicurazione RC Auto. È stata adottata successivamente al Tavolo di concertazione sull’Assicurazione RC Auto, promosso dal ministero dell’Industria, del Commercio
e dell’Artigianato con la partecipazione dei rappresentanti dell’ISVAP, dell’ANIA e delle
Associazioni dei Consumatori.
40
5.4 Metodologia. Analizziamo il caso Telecom Italia
Andiamo ora a descrivere in concreto la procedura, prenderemo come esempio concreto
Telecom Italia S.p.a. essendo stata la prima azienda italiana ad utilizzare la conciliazione
paritetica, ma lo schema operativo è praticamente lo stesso in tutti i casi.
Precisiamo inizialmente che la conciliazione paritetica può essere avviata solo dopo aver
proposto un reclamo seguendo la procedura prevista dall’impresa a cui si rivolge. Se
quest’ultima non risponde entro il termine previsto o lo faccia in modo insoddisfacente, il
cliente ha facoltà di affidarsi, gratuitamente, ad un conciliatore appartenente alle Associazioni dei Consumatori.
È sempre specificato poi come è composta la commissione conciliatrice. Il rappresentante
delle associazioni riceve dal consumatore il mandato a risolvere il conflitto e si confronta
con lui per esaminare le varie circostanze. Egli ha la facoltà di analizzare tutta la documentazione tecnico-amministrativa relativa al caso analizzato. Il cliente può chiedere di essere
ascoltato dalla commissione ed esporre personalmente le proprie motivazioni.
La Commissione riunita prende una decisione basandosi sia su quanto è emerso in sede
di trattazione del reclamo sia sui dati, informazioni e altre particolarità espresse dal consumatore. Durante il procedimento di conciliazione i termini di prescrizione e di autotutela
sono sospesi.
La conciliazione si conclude con la redazione di un verbale con un’ipotesi di accordo che
viene presentata al cliente da parte della segreteria della Commissione.
Se la proposta viene accettata, il verbale ha valore di accordo transattivo ai sensi del codice
civile (art. 1965). In caso contrario viene redatto un verbale di mancato accordo.
Le conciliazioni possono concludersi con le più varie soluzioni come la restituzione di somme, lo storno degli importi a favore del cliente, la rateizzazione dei costi oppure la conferma
degli addebiti con esenzione di mora.
L’esito potrebbe essere però anche negativo: la procedura si chiude senza il riconoscimento
di rimborso/indennizzo o cmq di un benefit per il consumatore. I motivi sono per lo più
i seguenti: mancata individuazione di un accordo da parte della commissione, mancata
adesione del consumatore o ancora abbandono della procedura da parte del consumatore.
Infatti, in qualsiasi momento il consumatore è libero di abbandonare e di non accettare la
proposta che gli viene fatta.
In caso di tentativo fallito il cittadino può rivolgersi alla magistratura ordinaria, oppure
scegliere la procedura definitiva di arbitrato e le Associazioni dei Consumatori rinunciando
di adire alle vie normali giudiziarie.
Il compito di vigilare sull’effettivo rispetto dell’accordo da parte dell’Azienda spetta all’Associazione che ha rappresentato il consumatore. In alcuni casi sono anche previste delle
penali in caso di inadempimento.
5.4.1 Il caso Trenitalia
Di seguito, come esempio concreto, la domanda di conciliazione di Trenitalia S.p.A predisposta con il protocollo stipulato tra Associazione dei Consumatori e Trenitalia S.p.A.
scaricabile dal sito internet di Trenitalia. L’obiettivo dell’azienda è quello di accrescere la
qualità dei servizi e fidelizzare la clientela attraverso strumenti conciliativi per raggiungere
41
un’amichevole composizione della controversia. Vediamo di seguito la domanda di conciliazione di Trenitalia.
DOMANDA DI CONCILIAZIONE
All’ufficio Conciliazioni
Trenitalia S.p.A. - Associazioni dei Consumatori
Piazza della Croce Rossa n. 1 - 00161 Roma
Il sottoscritto……………………….......nato a……………...……..……….…. prov….....
il …………............... residente a………....….………….….……………..……..…………
prov……....... cap……..…… in via/piazza……………………………………………….
C.F. __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __
Precisa di voler essere contattato presso il seguente indirizzo (se diverso dalla residenza):
via/piazza…………………………………………città……………...…..……………
prov….... cap……....tel…….………..fax*.……….….…e-mail* ……………………...…
Il verbale contenente il risultato della conciliazione sarà inviato all’indirizzo sopra indicato.
PREMESSO CHE
in data………………………………. ha presentato a Trenitalia S.p.A. un reclamo:
☐ a mezzo di……………………..……………..…….…….. (fax, raccomandata AR, etc)
☐ relativo ad un viaggio sul treno ………………..…del giorno ……....…..….. (indicare
tipologia e numero del treno,data del viaggio)
☐ relativo al seguente collegamento ferroviario……………….…….……………….……
☐ avente ad oggetto la seguente fattispecie (descrivere brevemente l’oggetto del reclamo in
forma chiara e con calligrafia leggibile): ……………………………………………………
…………………………………………………………..………………………………
………………………………………..............................………………………………
☐ avendo ricevuto risposta ritenuta non soddisfacente (in data…….....…. prot……..…..)
☐ non avendo ricevuto risposta entro il termine di 60 gg.
_____________________________________________________________________
* dato non obbligatorio
ALLEGATO “B”
DOMANDA DI CONCILIAZIONE
CHIEDE
alla Commissione Paritetica di conciliazione di comporre la controversia a norma della vigente Procedura di conciliazione stabilita di comune accordo fra Trenitalia e Associazioni dei Consumatori (Protocollo d’Intesa del 04 marzo 2010)
Il sottoscritto dichiara di conoscere ed accetta il contenuto della Procedura di conciliazione
e si impegna a non intraprendere o proseguire iniziative di natura giudiziale o stragiudiziale
in attesa della discussione del proprio caso da parte della Commissione di conciliazione e
del relativo esito.
Conferisce mandato a negoziare la definizione della controversia all’Associazione dei
Consumatori............................................................., rappresentativa a livello nazionale
e iscritta nell’elenco presso il ministero dello Sviluppo Economico, per il tramite di un
42
rappresentante da questa designato Si impegna a comunicare, mediante invio con raccomandata AR all’Ufficio di conciliazione, l’accettazione o il rifiuto dell’eventuale proposta di
conciliazione individuata dalla Commissione entro 15 giorni dalla relativa comunicazione.
Oppure se si vuole conferire all’Associazione anche il mandato alla transazione conclusiva
dell’accordo:
Conferisce mandato a negoziare e a definire la controversia all’Associazione dei Consumatori......................................................................., rappresentativa a livello nazionale
e iscritta nell’elenco presso il ministero dello Sviluppo Economico, per il tramite di un
rappresentante da questa designato, approvando fin d’ora l’eventuale accordo da questi
sottoscritto
Chiede:
☐ di non essere sentito dalla Commissione di Conciliazione
☐ di essere sentito dalla Commissione di Conciliazione
Alla presente il sottoscritto allega copia della seguente documentazione riguardante l’oggetto della controversia:
1) titolo di viaggio
2) copia reclamo
3) copia risposta reclamo
4) altra documentazione (eventuale): ….………..................…..…………………….....…
…………..........................................................................................................................
..........................................................................................................................................
......................................(specificare documenti allegati)
ALLEGATO “B”
DOMANDA DI CONCILIAZIONE
Avvertenze:
Il sottoscritto dichiara di essere pienamente informato del fatto che:
- in ogni momento ha diritto di rifiutare di partecipare alla Procedura di conciliazione o
di recedere dalla stessa e di adire il sistema giudiziario ordinario o altri meccanismi di risoluzione stragiudiziale della controversia, previa dichiarazione da comunicarsi all’Ufficio di
conciliazione;
- qualora, prima della presentazione della domanda di conciliazione, avesse già intrapreso iniziative di natura giudiziale o stragiudiziale sul medesimo evento, deve comunicarlo
all’Ufficio di conciliazione;
- il risultato della conciliazione può essere meno favorevole del risultato che potrebbe ottenere con il ricorso ad una procedura giudiziale;
- ha la scelta se accettare o meno la proposta conciliativa eventualmente formulata dalla
Commissione;
- il verbale di conciliazione ha efficacia di accordo transattivo ai sensi dell’art. 1965 Cod.
Civ.;
- le argomentazioni, le informazioni e le proposte relative alla controversia sono liberamente
presentate, dal cliente e da Trenitalia, su base confidenziale.
Data……………. Firma ……………………
43
Informativa ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 196/03
Il cliente acconsente che i propri dati personali siano trattati da Trenitalia S.p.A. in qualità
di Titolare del trattamento,ai sensi del d.lgs. 30 giugno 2003, n.196 (Codice in materia di
protezione dei dati personali), per le finalità di cui al Protocollo d’Intesa del 30- 09-2008
e con le modalità ivi indicate. Il cliente inoltre autorizza a comunicare (anche mediante la
messa a disposizione di documenti), al rappresentante dell’Associazione di Consumatori
partecipante alla Commissione di conciliazione incaricata di esaminare il proprio caso, le
informazioni e i dati personali che lo riguardano e che sono pertinenti o utili all’esame del
suddetto caso. Il mancato rilascio dell’autorizzazione non consente l’ammissione alla Procedura di conciliazione. I dati non saranno in alcun modo oggetto di diffusione e ne verranno
a conoscenza, il/i Responsabile/i, nonché, in qualità di incaricati, i soggetti designati dal/i
predetto/i Responsabile/i.
Il Titolare e Responsabile del trattamento è Trenitalia S.p.A. con sede in Piazza della Croce
Rossa,1 00161 Roma.
Responsabile del trattamento dei dati è la struttura Vendita e Assistenza N/I di Trenitalia con
sede in Piazza della Croce Rossa,1 00161 Roma. Al suddetto Responsabile il cliente potrà
rivolgersi per esercitare i diritti previsti dall’art. 7 del d.lgs. 196/2003, tra i quali, ad esempio,
la conferma dell’esistenza o meno dei dati che lo riguardano, l’aggiornamento, la rettificazione, l’integrazione o la cancellazione dei dati per motivi legittimi. Allo stesso Responsabile
potrà rivolgersi per conoscere i nominativi degli ulteriori Responsabili del trattamento.
Firma…………………………………...
5.5 Il regolamento
Abbiamo sopra accennato che la procedura della conciliazione paritetica è disciplinata da
un regolamento.
Sebbene vari a seconda dei soggetti stipulanti l’accordo, sono comunque individuabili dei
punti e dei principi comuni.
Il Regolamento indica sempre l’ambito di applicazione, cioè i casi che possono essere risolti
attraverso la conciliazione paritetica, le determinate tipologie di controversie, di specifici
prodotti/servizi e/o di massimo valore economico della lite.
Di solito l’individuazione di questi limiti nasce dall’analisi delle tipologie di reclami che
l’azienda riceve. Al contempo le associazioni studiano le segnalazioni ricevute dai consumatori presso i propri sportelli o servizi di assistenza.
Si tratta di un lavoro svolto congiuntamente dalle aziende e dalle associazioni, spesso con la
previsione di tavoli di lavoro bilaterali come quello attivato in ambito assicurativo (Tavolo
di concertazione sull’Assicurazione RC Auto).
Vengono indicate le modalità d’invio della domanda di conciliazione. La domanda è reperibile sui siti delle Imprese, presso le associazioni ed è di solito allegata al regolamento stesso.
Sono specificati i termini di discussione e la durata complessiva del procedimento.
Il regolamento specifica poi la composizione della commissione paritetica. Il rappresentante
dell’associazione viene scelto direttamente dal cliente oppure, in caso di mancata indicazione, viene individuato secondo un criterio ternario fra le varie associazioni aderenti.
Sono inoltre specificati: la tempistica della procedura, la sua gratuità, le modalità d’invio e l’ac-
44
cettazione della proposta transattivi (attraverso l’invio del verbale redatto dalla Commissione).
5.5.1 Il Regolamento stipulato da ANIA
Molto attiva in campo di conciliazione è ANIA, l’Associazione che rappresenta in Italia le
Compagnie Assicurative. Gli accordi con le rappresentanze dei Consumatori non sono stati
stipulati dalle singole Imprese, ma in modo comune dalla stessa ANIA.
Di seguito il Regolamento ANIA.
ART. 1 - OPERATIVITÀ E CONDIZIONI DI UTILIZZO DELLA PROCEDURA DI
CONCILIAZIONE
Oggetto della procedura di conciliazione sono le controversie inerenti alla gestione di sinistri del ramo RCA, la cui richiesta di risarcimento non sia superiore a 15.000 Euro.
Può accedere alla procedura di conciliazione il consumatore:
- che abbia già presentato reclamo direttamente o tramite un’Associazione dei Consumatori
aderente alla procedura presso le strutture a ciò deputate dell’impresa di assicurazione aderente alla procedura e ne abbia ricevuto una risposta ritenuta insoddisfacente oppure non
abbia ottenuto alcuna risposta dall’invio del reclamo trascorsi 30 giorni, ovvero 15 giorni
nel caso di reclamo presentato per il tramite di una Associazione dei Consumatori;
- che, in relazione all’oggetto della conciliazione, non si sia già rivolto alla magistratura e
non incarichi altri soggetti a rappresentarlo verso la compagnia.
Per accedere alla procedura di conciliazione il consumatore si rivolge ad una delle associazioni dei consumatori aderenti alla procedura, a cui indirizza la richiesta di conciliazione
comprensiva di mandato a transigere utilizzando il modulo di cui all’art. 6.
ART. 2 - ISTRUZIONE DELLA RICHIESTA DI CONCILIAZIONE
L’Associazione dei Consumatori, ricevuto il “modulo di richiesta di conciliazione”,
- verifica la presenza delle condizioni di ammissibilità di cui all’art.1;
- analizza il caso valutando la documentazione presentata dal consumatore, ed in particolare
la risposta dell’impresa al reclamo;
- verifica se esistono i presupposti per dare seguito alla richiesta di conciliazione ed in
particolare se sullo stesso caso sia già intervenuto un tentativo di conciliazione o sia stata
interessata altra associazione.
L’associazione richiede in qualsiasi momento informazioni e ragguagli sul caso in esame
presso l’apposita struttura dell’impresa, ovvero al consumatore.
ART. 3 - COMMISSIONE DI CONCILIAZIONE
La commissione di conciliazione è formata da un rappresentante dell’impresa di assicurazione e da un rappresentante dell’Associazione dei Consumatori che ha ricevuto la domanda di conciliazione.
ART. 4 - LA PROCEDURA DI CONCILIAZIONE
Il rappresentante dell’impresa ed il rappresentante dell’Associazione dei Consumatori possono decidere di discutere e risolvere il caso per le vie brevi ed in via informale, preliminarmente alla formalizzazione della domanda di conciliazione.
Qualora il caso non venga risolto in tale maniera a causa della sua complessità, la procedura
deve essere formalizzata.
45
La procedura di conciliazione si intende formalmente instaurata nella data in cui all’impresa perviene la domanda di conciliazione, redatta in conformità di quanto disposto all’art. 6,
ad essa inviata dall’Associazione dei Consumatori che la ha ricevuta ed ha svolto le attività
di cui all’art. 2.
Dopo la presentazione della domanda di conciliazione, i componenti della commissione di
conciliazione hanno accesso, nei limiti di legge, alle informazioni e dati contrattuali in possesso dell’impresa e pertinenti al tentativo di conciliazione in corso, con congruo anticipo
rispetto alle riunioni della commissione.
Con la sottoscrizione della domanda di conciliazione il consumatore si impegna ad accettare integralmente il contenuto dell’eventuale verbale di conciliazione quale espressione
della propria volontà contrattuale. Prima della sottoscrizione del verbale di conciliazione il
rappresentante del consumatore informa il proprio assistito dei termini della conciliazione
e non procede a sottoscrizione senza preventivo accordo.
La commissione di conciliazione esperisce il tentativo di conciliazione della controversia
entro 30 giorni dalla data di ricezione della domanda da parte dell’impresa. A tal fine la
commissione si riunisce anche a distanza.
Nell’esperire il tentativo di conciliazione, i componenti della commissione rappresentano,
ciascuno sulla base di un pieno ed esclusivo mandato a transigere, rispettivamente la posizione del consumatore parte nella controversia e la posizione dell’impresa.
Le riunioni della commissione di conciliazione non sono pubbliche. Compatibilmente con
il sistema di contatto utilizzato, il consumatore potrà essere ascoltato dalla commissione
stessa prima dell’inizio delle riunioni.
Qualora il tentativo di conciliazione abbia esito positivo, il procedimento si conclude con
la sottoscrizione, da parte dei componenti la commissione, di un verbale di conciliazione
avente l’efficacia di un accordo transattivo.
Nel caso il tentativo di conciliazione fallisca, i componenti della commissione ne daranno
atto, sottoscrivendo a conclusione del procedimento il modulo di mancato accordo di cui
all’art. 7.
L’associazione di consumatori dovrà inviare al consumatore copia del verbale di conciliazione o del modulo di mancato accordo al recapito indicato dal consumatore sulla domanda
di conciliazione.
Tutte le informazioni di cui i componenti della commissione di conciliazione vengono in
possesso nel corso della procedura devono considerarsi riservate.
Alla conclusione del processo conciliativo, sia nel caso di discussione informale che in quello di discussione formale, l’Associazione dei Consumatori e l’impresa completano la catalogazione del caso secondo lo schema di catalogazione.
ART. 5 - COSTO DEL TENTATIVO DI CONCILIAZIONE
La procedura di conciliazione non comporta oneri per il consumatore, fatta salva l’eventuale iscrizione all’associazione a cui conferisce il proprio mandato.
ART. 6 - IL CONTENUTO DEL MODULO DI RICHIESTA DI CONCILIAZIONE
A tergo viene riprodotto il modulo di richiesta di conciliazione.
ART. 7 - IL CONTENUTO DEL MODULO DI MANCATO ACCORDO
Si dà atto che in data ……………..........…. la commissione di conciliazione non ha trova-
46
to una soluzione consensuale al caso da essa sottoposto dal signor.....................................
con richiesta presentata in data …….………….., nei confronti dell’impresa assicuratrice
…………...............……, avente ad oggetto il sinistro n. ………....………….. .
5.6 I vantaggi
Da quanto finora detto, si possono già constatare che i vantaggi della conciliazione paritetica sono innegabili e palesi. E sono ben distribuiti tra consumatori e aziende.
5.6.1 I vantaggi per l’Azienda
Grazie alla conciliazione un grande numero di controversie viene gestito e risolto in maniera efficiente ed economicamente vantaggiosa. Al contempo il cliente viene fidelizzato. Si
evitano inoltre sentenze di condanna e pubblicità negativa sui mezzi d’informazione.
5.6.2 I vantaggi per il consumatore
Molteplici sono le positività per il consumatore. Innanzitutto la conciliazione paritetica è
gratuita, anche se è possibile però che l’Associazione dei Consumatori richieda, per beneficiare della propria assistenza, di affiliarsi.
L’accesso alla procedura è poi molto semplice: la conciliazione è attivabile dallo stesso consumatore attraverso la compilazione della domanda che è reperibile sul sito dell’Impresa
interessata o presso le Associazioni di consumatori.
Il procedimento ha tempi molto brevi e il consumatore ha il diritto di contraddittorio, ha
cioè la facoltà di chiedere di essere ascoltato direttamente dalla commissione per portare il
proprio contributo.
La procedura è caratterizzata dalla chiarezza dell’informazione e dalla trasparenza grazie
alla presenza del regolamento. Al contempo ogni argomentazione, informazione e proposta
conciliativa sono regolate secondo la normativa privacy (come si può vedere sopra nella
documentazione di Trenitalia).
Anche la composizione della commissione da parte di personale qualificato è per il consumatore una garanzia. Inoltre il consumatore non si rivolge all’impresa da solo, ma viene
supportato da un’associazione che ha carattere e rilevanza nazionali.
L’accordo, che si ribadisce ha valore transattivo tra le parti, può essere accolto o meno dal
consumatore che pertanto ha piena libertà di scelta, potendo scegliere di abbandonare in
qualsiasi momento la trattativa.
Bisogna ricordare infine l’alta percentuale di conciliazioni paritetiche chiuse a favore del
consumatore (77% nel 2009).
5.7 Gli Sviluppi
L’utilizzo della conciliazione paritetica è destinato, per i vari vantaggi appena illustrati, ad
ampliarsi sempre di più.
Il 2009 ha visto un ampliamento della conciliazione paritetica che ha portato alla firma di
nuovi accordi di conciliazione (soprattutto nel settore energetico), un maggior sostegno
delle autorità e la creazione di apposite piattaforme on line.
Nel 2010 andranno a regime numerosi nuovi protocolli che sono ora in fase di sperimen-
47
tazione. Si tratta di grandi aziende, in vari settori, operanti a livello nazionale (ad esempio
Fasteweb, Trenitalia, PosteVita ed altre…). Altre imprese estenderanno invece il campo di
applicazione della procedura.
Come si diceva, alcune aziende hanno già delle piattaforme on line o siti dedicati (ad esempio www. enel.it/conciliazione).
Una dimostrazione dell’importanza di questo strumento è riscontrabile dallo svilupparsi di
accordi a livello locale e non più solo nazionale. Numerosissime sono le Associazioni che
stanno creando nuovi progetti di conciliazione, citiamo ad esempio: il Comitato Difesa
Consumatori per l’accesso alla giustizia e le controversie transfrontaliere, il progetto “Sportello di conciliazione”e “Sportello di conciliazione on line” della Camera di Commercio
di Milano, l’Ombudsman bancario, il centro di conciliazione e di arbitrato dell’Agenzia
Europea di informazione dei consumatori di Torino (Associazione transfrontaliera italofrancese “Consummateurs sans frontieres”) ed infine la regolazione delle controversie con
le tinto-lavanderie amministrata dalla Camera di Commercio di Firenze.
Si pensi ancora al lavoro svolto negli ultimi tempi dalle Camere di Commercio.
Il fenomeno è forse spiegabile per il fatto che queste associazioni hanno effettiva evidenza
di determinate necessità dei consumatori nello specifico territorio.
5.7.1 Il lavoro del CNCU
Tanto si è fatto e tanto è ancora da fare: il CNCU ha redatto un documento che da un lato
illustra le potenzialità della conciliazione paritaria e dall’altro getta le basi per un lavoro di
superamento delle criticità e delle debolezza.
Gli obiettivi che il Consiglio si pone sono fondamentalmente quattro:
1) riconoscimento espresso da parte dell’Ordinamento della conciliazione paritetica
tra le procedure di gestione extragiudiziale;
2) poter affrontare con la conciliazione anche le cause delle controversie in modo che
questo strumento sono sia solo un rimedio del singolo problema;
3) introduzione dei comitati di garanzia che si occupino anche di report annuali e
monitoraggi;
4) creazione di un Fondo Conciliazione alimentato con le multe comminate dalle autorità indipendenti e con le risorse stanziate conseguentemente a protocolli
d’intesa tra Associazioni - Imprese - Autorità - ministero. Il fondo potrebbe essere
alimentato anche dalle stesse imprese.
Il problema del finanziamento della conciliazione è spiegato considerando che la procedura,
gratuita per il consumatore, rappresenta comunque un costo per l’associazione e l’impresa.
Tale costo, tuttavia, non può essere sostenuto solo dall’impresa perché verrebbe meno il
principio d’indipendenza. Invece tale principio, unito a quello di trasparenza e imparzialità,
non verrebbe leso se le aziende finanziassero un Fondo Conciliativo.
5.8 Bibliografia
-- AA.VV., Codice del Consumo. Le nuove leggi amministrative, Commento all’art. 141,
Giuffrè, 2006.
-- Caspani V., I consumatori e la giustizia conciliazione ed arbitrato: l’evoluzione europea e
48
l’esperienza nazionale, Casa Editrice LaTribuna, 2002.
-- Cicarelli l., documentazione dal Primo Rapporto sulle negoziazioni paritetiche, Roma
02/03/2010.
-- Praderi P., Lega Consumatori, Conciliazione delle controversie: il ruolo delle associazioni
dei consumatori, Consumatori, diritti e mercato n. 3, 2009.
-- Consumers’ Forum, Rapporti Consumerism, 2008-2009.
-- ISDACI, Terzo rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, 2009.
-- Consumatori Diritti e mercato n. 3/2009.
-- www.adiconsum.it
-- www.adusbef.lombardia.it
-- www.altroconsumo.it
-- www.ania.it
-- www.bancagenerali.it
-- www.consumersforum.it
-- www.enel.it/conciliazione
-- www.sportelloconsumatore.it
-- www.trenitalia.it
-- www.tuttoconsumatori.it
49
6. IL PERCORSO DELLA PROCEDURA DI CONCILIAZIONE PARITETICA IN POSTE ITALIANE S.P.A.
A cura della Dott.sa Anna Maria Iacovelli
Responsabile Commissione Conciliazione Toscana - Umbria Poste Italiane S.p.a.
6.1 Poste Italiane e le Associazioni dei Consumatori
Il rapporto tra Poste Italiane e Associazioni dei Consumatori comincia a strutturarsi nel
2000, quando l’allora AD, Corrado Passera presentò alle associazioni dei consumatori il
piano straordinario di riforma dell’Azienda.
Il piano puntava su un processo di trasformazione aziendale di portata strategica, per il
quale alle associazioni dei consumatori venivano assicurati due obiettivi:
1. il mantenimento della rete degli sportelli postali, al netto dei necessari interventi di
razionalizzazione;
2. il mantenimento del livello di occupazione e la riqualificazione del personale da attuarsi
con un progetto straordinario di formazione.
Le Associazioni dei Consumatori espressero un giudizio favorevole motivandolo, con accenti diversi, con il carattere di bene pubblico popolare che Poste Italiane storicamente
aveva assunto.
L’impegno dell’amministratore delegato, peraltro, era quello di ripresentarsi in capo ad un
biennio per dare conto dei risultati e del mantenimento dei patti. Appuntamento che venne
mantenuto nel luglio 2003 dal nuovo (ed attuale) AD, Ing. Massimo Sarmi, che comunicò alle associazioni il dato delle ore di formazione del personale, la situazione di bilancio
dell’Azienda, ormai in grado di reggersi sulle proprie gambe, il mantenimento del livello
occupazionale e della rete degli sportelli.
Si era trattato di un’azione di concertazione importante e dell’acquisizione del ruolo ufficiale degli organi rappresentativi dei consumatori.
6.2 Le tappe della conciliazione e i prodotti
Nell’ottica di tale concertazione si inserisce l’accordo per procedura di conciliazione dei
prodotti postali, siglata il 16 dicembre 2002. Dieci commissioni a livello regionale, formate
da un rappresentante dell’azienda e da uno delle associazioni, analizzano i ricorsi presentati
dai clienti e cercano di raggiungere una soluzione concordata, che soddisfi entrambe le
parti.
Dall’aprile 2006 la conciliazione è stata estesa anche al Conto Corrente BancoPosta; competente per quest’ambito è un’unica commissione nazionale.
Nel maggio 2009 è stata attivata la procedura nell’ambito del Gruppo assicurativo Postevita, infine, ultima nata, la procedura partita nel luglio del 2010, dedicata agli intestari di
una SIM PosteMobile.
6.3 Le caratteristiche
Parlando di conciliazione si deve pensare all’Azienda Poste Italiane che, se anche fosse perfetta, avrebbe comunque bisogno di uno strumento snello ed efficace per risolvere le controversie.
Poste Italiane infatti movimenta qualcosa come 6 miliardi e mezzo di pezzi di corrispon-
50
denza all’anno (posta ordinaria, prioritaria, raccomandata, periodici). A livello nazionale
sono 18 milioni di pezzi al giorno, 750 mila pezzi l’ora, 12.500 al minuto.
Basterebbe l’1% di errore per creare danni consistenti; uno strumento per risolvere le controversie, basato sulla giustizia coesistenziale, diventa quindi essenziale.
Da qui divengono imprescindibili l’impegno alla trasparenza nei confronti della clientela e,
più in generale, la correttezza dei rapporti.
La nostra conciliazione è tarata specificamente sulla microconflittualità che può generarsi
con la clientela. Queste le principali caratteristiche:
1. La soluzione del caso individuata dalla commissione di conciliazione viene sempre sottoposta al cliente prima che sia redatto il verbale di accordo. La facilità d’accesso è un’altra
caratteristica importante: la procedura, che non prevede alcun onere a carico del cliente,
può essere attivata successivamente all’iter del reclamo, da tutti gli uffici postali d’Italia oltre
che dalle sedi delle Associazioni dei Consumatori.
2. Il tetto di competenza delle commissioni va a coprire quella “zona grigia” che esiste tra
quanto previsto dai rimborsi stabiliti dalla Carta della Qualità e quanto il buon senso spesso
consiglierebbe di garantire con un’assicurazione.
3. I tempi di risoluzione sono stabiliti con chiarezza nel regolamento e non superano complessivamente i 120 giorni dalla presentazione della a quella del verbale.
6.4 I risultati
L’analisi dell’esperienza pratica di questi anni evidenzia la reale efficacia del percorso paritetico extragiudiziale. Ad oggi le domande esaminate sono state concluse positivamente nel
97% dei casi.
L’azienda ha consolidato lo scambio informativo con le associazioni e la clientela tramite il
sito www.poste.it, dove è presente una sezione interamente dedicata al consumerismo ed
in particolare ai temi della conciliazione; Carta della Qualità; Reclami; Iniziative e Area
Associazioni.
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7. LE A.D.R. NEL QUADRO NORMATIVO EUROPEO
A cura del Prof. Francesco Simonetti
Coordinatore del Centro Studi e Ricerche di Etica applicata e Responsabilità sociale,
Università di Siena
Il presente contributo intende delineare i principali elementi del quadro normativo di riferimento in Europa delle A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) al fine di fornire una
più ampia prospettiva alle novità legislative in tema di conciliazione stragiudiziale che dovrebbero presto entrare in vigore nell’ordinamento interno. In particolare, verranno prese
in considerazione la raccomandazione n. 98/257/CE, la raccomandazione n. 01/310/CE
ed il Libro Verde 2002 sui modi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali. Si farà quindi cenno alle esperienze comunitarie in materia di A.D.R. ed alla
direttiva 2008/52/CE sulla mediazione nelle controversie transfrontaliere con particolare
riferimento alla possibilità di utilizzare i procedimenti di mediazione anche all’interno degli
Stati membri dell’Unione. Proprio da tale possibilità, infatti, il legislatore italiano ha tratto
ispirazione per introdurre nel quadro normativo nazionale la disciplina della conciliazione
stragiudiziale.
7.1 Introduzione
Il tema della risoluzione alternativa delle controversie si presenta con una connotazione
tipicamente giuridica, tuttavia, alcuni aspetti dei principi e delle procedure danno luogo a
problematicità particolari che rendono la normazione piuttosto complicata. Ad esempio,
nelle procedure A.D.R. facilitative il ruolo del mediatore si svolge in un contesto in cui le
relazioni umane sono complesse e l’obbligo di adottare codici deontologici per gli organismi e per i mediatori pone problemi di principio e difficoltà sanzionatorie. I procedimenti
di conciliazione dovrebbero essere avviati sulla base di atti volontari e liberi delle parti e
pertanto è necessario affiancare alla normativa vigente anche iniziative atte a promuovere
una cultura della conciliazione in senso ampio. Non ultimo, la normativa europea è una
“legislazione per principi”, la cui trascrizione in norme lascia spazio ad orizzonti interpretativi non sempre ben definiti. Ciò premesso, si può affermare che il tema della conciliazione
e mediazione contiene delle specifiche implicazioni etiche, che, se tenute nella debita considerazione, possono fornire un utile contributo sia alla definizione del quadro normativo
generale sia al miglioramento degli strumenti adottati. In tale prospettiva, lo scopo del presente contributo è quello di illustrare, seppur in modo non esaustivo, il percorso comune
compiuto in ambito europeo per definire e promuovere strumenti efficienti ed efficaci di
risoluzione alternativa delle controversie finalizzati a comporre amichevolmente i conflitti
più ricorrenti; ciò anche in vista delle novità che saranno introdotte nell’ordinamento giuridico italiano, in particolare con l’entrata in vigore del d.l. 4 marzo 2010 n. 28, in attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali.
In Europa, il tema della risoluzione alternativa delle controversie ha preso le mosse negli
anni Settanta nell’ambito della politica di tutela dei consumatori. Tra le varie problematiche
consumeristiche, riordinate e formalizzate nella risoluzione del Consiglio della CE del 14
52
aprile 1975 riguardanti le iniziative e le priorità in materia di tutela del consumatore, la
garanzia di accesso alla giustizia da parte dei consumatori assumeva particolare rilevanza.
L’obiettivo principale dell’accesso alle A.D.R. doveva essere quello di individuare strumenti
idonei a garantire un celere risarcimento dei danni ad un costo equo e comunque commisurato al valore della controversia. Il costo da sostenere per ottenere un risarcimento
mediante un procedimento civile, infatti, non sempre rende conveniente adire il giudice,
specialmente nelle controversie di basso valore economico. In un primo momento si ritenne
possibile conseguire tale obiettivo mediante la rappresentanza delle associazioni di consumatori, che potevano avere la facoltà di agire anche in via collettiva. Dalle esperienze che si
andavano man mano estendendo e consolidando in alcuni Stati membri, in particolare nel
Regno Unito, in Danimarca, in Francia, in Svezia ed in Germania, emergeva che il meccanismo della rappresentanza era adeguato, ad esempio, nel caso di protocolli d’intesa tra
associazioni di consumatori e grandi aziende per promuovere accordi vincolanti finalizzati
alla definizione di procedure di risoluzione negoziata dei conflitti, ma inadeguato nel caso
della tutela delle controversie specifiche non generalizzabili. Ha iniziato così a farsi strada
l’idea della necessità di affiancare agli strumenti collettivi degli strumenti individuali. In tale
prospettiva, per garantire un reale accesso alla giustizia, dovevano essere individuati percorsi
alternativi alla giustizia ordinaria, strumenti facilmente gestibili, economici ed in grado di
assicurare soluzioni efficaci. Tali considerazioni si sono esplicitate dapprima nel Libro Verde
del 16 novembre 1993 (COM (93) 576 def.): “L’accesso dei consumatori alla giustizia e la
risoluzione delle controversie in materia di consumo nel mercato unico” e, successivamente,
nella comunicazione della Commissione del 14 febbraio 1996 (COM (96) 13 def.) “Piano
d’azione sull’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia
di consumo nel mercato interno” a cui ha fatto seguito una risoluzione del Parlamento Europeo del 14 novembre 1996. In sostanza, le riflessioni politico-programmatiche contenute
nei predetti documenti evidenziavano l’esigenza di fissare dei principi comuni atti a garantire un corretto svolgimento delle procedure A.D.R. a salvaguardia dei diritti fondamentali
dei consumatori europei. La Commissione ha così emanato prima la raccomandazione
98/257/CE del 30 marzo 1998 e successivamente la raccomandazione 01/310/CE del 4
aprile 2001 che nel proseguo andremo ad esporre nelle loro principali linee di sviluppo.
7.2 La raccomandazione n. 98/257/CE
La raccomandazione 98/257/CE scaturisce dal dibattito introdotto dal Libro Verde del
1993 ed in particolare dalla rilevata necessità di garantire imparzialità ed equità alle procedure A.D.R., in quanto esse si svolgono mediante il coinvolgimento di un terzo che subentra tra le parti per la risoluzione della controversia. L’obiettivo in tal senso definito è esplicitato nel considerando n. 9 dove si precisa che: “la presente raccomandazione deve limitarsi
alle procedure che, indipendentemente dalla loro denominazione, portano ad una risoluzione
della controversia tramite l’intervento attivo di un terzo che propone o impone una soluzione;
che, di conseguenza, non sono comprese le procedure che si limitano ad un semplice tentativo di
ravvicinare le parti per convincerle a trovare una soluzione di comune accordo”. L’esito della
procedura è dunque dato da un terzo che decide a prescindere dal fatto che tale decisione
sia vincolante o meno. La normativa non entra nel merito degli organi o dei soggetti che
53
gestiscono la procedura, ma prende in esame la procedura stessa e ad essa sono dirette le
norme oggetto di raccomandazione. In tale prospettiva, la raccomandazione indica quali
devono essere i principi generali applicabili alle procedure: indipendenza, trasparenza, contraddittorio, efficacia, legalità, libertà e rappresentanza.
7.2.1 Principio di indipendenza
La raccomandazione individua nell’indipendenza dell’organo preposto all’adozione della
decisione anche l’assicurazione dell’imparzialità della sua azione. L’indipendenza è dunque
garantita quando vi sia imparzialità dell’organo. Si ritiene opportuno evidenziare che la raccomandazione fa riferimento ad un “organo responsabile”, individuando in esso il soggetto
o i soggetti implicati nell’emissione della decisione indipendentemente dal fatto che questi
siano nominati direttamente dalle parti o che siano designati da una struttura che provvede
ad incaricare i responsabili per ciascuna controversia. La garanzia di indipendenza è fornita
direttamente dalla persona designata che, oltre a non aver avuto rapporti di lavoro nel
precedente triennio con i soggetti in conflitto, deve possedere capacità, esperienza e competenza giuridica, poter contare su un “mandato irrevocabile di durata sufficiente a garantire
l’indipendenza della sua azione e non può essere destituita senza giustifciato motivo”. Qualora
l’adozione della decisione sia collegiale, la raccomandazione individua nella rappresentanza
paritaria la garanzia di indipendenza.
7.2.2 Principio di trasparenza
Nel dettato della raccomandazione, la trasparenza della procedura viene garantita dall’efficacia dell’informazione. In tale prospettiva, la Commissione individua una serie di elementi
rispetto ai quali deve essere fornita una informazione completa, chiara ed efficace: la natura
delle controversie che possono essere sottoposte all’organo, il valore del loro oggetto e gli
eventuali limiti di competenza territoriale; le regole della procedura e le modalità di reclamo; il costo della procedura e la ripartizione delle spese; il tipo di regole che fondano le decisioni dell’organo nonché le modalità di adozione delle decisioni; il valore giuridico delle
decisioni con la precisazione del valore vincolante o meno per le parti. Infine, la trasparenza
è garantita anche dalla rendicontazione annuale delle attività svolte dagli organi responsabili. Tale attività è finalizzata alla valutazione dei risultati ottenuti ed all’identificazione della
natura delle controversie che sono state oggetto di intervento. Giova osservare che il valore
assegnato alla trasparenza ed all’informazione in base al principio di trasparenza rappresenta
un tema significativo nello sviluppo della politica comunitaria sia nell’ambito delle iniziative orientate alla protezione dei consumatori sia nella disciplina della materia contrattuale.
7.2.3 Principio del contraddittorio
Il principio del contraddittorio esplicita, testualmente, che la procedura “comporta la possibilità, per tutte le parti interessate, di far conoscere il proprio punto di vista all’organo competente e di prendere conoscenza di tutte le posizioni e di tutti i fatti avanzati dall’altra parte
nonché, eventualmente, delle dichiarazioni degli esperti”. Il contenuto del principio, da un
lato, risponde alla necessità di fornire elementi attendibili e diretti al terzo designato a prendere una decisione equa, dall’altro precisa meglio le affermazioni esplicitate nel considerando
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n. 16, il quale afferma che il diritto di far valere il punto di vista delle parti, di conoscere
la posizione della controparte e le dichiarazioni degli esperti non implica necessariamente
un’audizione delle parti.
7.2.4 Principio di efficacia
L’efficacia di una procedura stragiudiziale è direttamente correlata alla possibilità di accedere alla procedura stessa senza essere obbligati a ricorrere all’assistenza di un legale, alla
garanzia di un costo sostenibile ed in linea con il reale valore della controversia, alla brevità
del procedimento ed al ruolo attivo svolto dall’organo responsabile della procedura nella
valutazione e nelle conseguenti decisioni. I predetti elementi, oltre a garantire l’accesso alla
giustizia, conferiscono alla procedura una reale utilità derivante dalla effettiva usufruibilità
dello strumento.
7.2.5 Principio di legalità
Tale principio è conforme agli orientamenti comunitari generali secondo i quali non si può
essere privati di diritti garantiti dalle norme imperative dello Stato ove si risiede. Anche nel
caso delle A.D.R. di consumo si prevede, dunque, che le deliberazioni dell’organo preposto
non debbano confliggere con i diritti sanciti dai singoli stati. Il principio di legalità si applica anche alle controversie transfrontaliere, in attuazione di quanto previsto dall’art. 5 della
Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Il secondo comma del principio di legalità è particolarmente significativo, in quanto
prevede che la decisione dell’organo debba essere motivata e comunicata quanto prima per
iscritto o in qualunque altra forma adeguata alle parti interessate; la motivazione, infatti,
riveste il precipuo scopo di garantire il pieno rispetto del principio di legalità, affermando
solo le decisioni eque e conformi ai principi generali.
7.2.6 Principio di libertà
Il principio di libertà tiene conto di quanto espresso nel considerando n. 10, nel quale si
precisa che “le decisioni degli organi extragiudiziali possono essere ad effetto vincolante per le
parti, limitarsi a semplici raccomandazioni o a proposte di transazione che devono essere accettate dalle parti; che ai fini della presente raccomandazione tali vari casi sono definiti come
«decisioni»”. Si precisa, dunque, che le regole espresse dalla raccomandazione si applicano a tutte le procedure aggiudicative indipendentemente dalla natura delle decisioni che
vengono assunte dall’organo responsabile. Le decisioni dell’organo preposto possono avere
carattere vincolante o non vincolante ed in ragione di ciò, il principio di libertà prevede che
la natura vincolante della decisione derivi dalla libera ed espressa scelta effettuata dalle parti.
Nel secondo comma del principio di libertà si precisa che “L’adesione del consumatore alla
procedura extragiudiziale non può derivare da un impegno che precede l’origine della vertenza,
quando questo impegno ha come effetto di privare il consumatore del suo diritto di adire le giurisdizioni competenti per la risoluzione giudiziaria della controversia”. È interessante notare
che il principio espresso in questa norma non trova, ad oggi, piena applicazione nell’ordinamento italiano. Esso, infatti, si scontra con la previsione che sancisce la vessatorietà delle
clausole contenute nei contratti dei consumatori con la quale si deroghi alla competenza
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dell’Autorità giudiziaria (Codice del Consumo, art. 33, comma 2, lett. t). Per tale motivo,
in Italia l’arbitrato di consumo non ha fatto ingresso anche se previsto dalla presente raccomandazione. L’adesione ad una procedura arbitrale non potrebbe dunque avvenire sulla
base di una clausola compromissoria contenuta nel contratto ma, eventualmente, in seguito
ad un accordo intercorso con il professionista. In tal caso il percorso sarebbe conforme
anche alle norme del codice di procedura civile italiano in tema di arbitrato, che parla in
generale di “patto compromissorio”, essendo stata eliminata la differenza formale tra clausola
compromissoria e compromesso.
7.2.7 Principio di rappresentanza
La procedura, per quanto consenta che il consumatore possa rappresentarsi in proprio senza
l’assistenza di un legale, non può “privare le parti del diritto di farsi rappresentare o accompagnare da un terzo in qualunque fase della procedura stessa”. La necessità di introdurre la
possibilità di ricorrere alla rappresentanza in qualsiasi momento è data dal fatto che il consumatore costituisce quasi sempre la parte debole del contratto: le asimmetrie contrattuali
ed economiche che hanno dato origine alla controversia, infatti, si potrebbero ripresentare
nel corso della procedura extragiudiziale ed incidere anche sull’esito del procedimento stesso.
7.3 La raccomandazione 01/310/CE
La raccomandazione segue di pochi anni la precedente in tema di A.D.R. e si è resa necessaria in considerazione del fatto che negli ordinamenti di molti Stati membri si stavano
affermando modelli facilitativi e/o non aggiudicativi di procedure stragiudiziali diversi da
quelli proposti dalla raccomandazione del 1998. Dalla seconda metà degli anni Novanta,
infatti, hanno iniziato a diffondersi anche nuove forme di commercializzazione di beni e
servizi quali, ad esempio, il commercio elettronico. L’introduzione dell’euro, inoltre, avrebbe prodotto un ulteriore incremento delle transazioni transfrontaliere e perciò la necessità
di individuare degli strumenti condivisi efficaci per la risoluzione delle controversie. Indicazioni in tal senso vengono formalizzate nella risoluzione del Consiglio del 25 maggio 2000
(2000/C 155/01) relativa ad una rete comunitaria di organi nazionali per la risoluzione
extragiudiziale delle controversie in materia di consumo. In tale risoluzione, il Consiglio
affermava la grande utilità del lavoro svolto dagli organi stragiudiziali che non erano previsti
nella raccomandazione 98/257/CE del 1998. Nei vari considerando riportati nella raccomandazione 01/310/CE, la Commissione informa che il documento tiene conto anche
delle linee politiche delineate dal Parlamento europeo sui metodi alternativi di risoluzione
delle controversie. La raccomandazione tiene conto, inoltre, della legislazione riguardante
le controversie sorte nell’ambito del commercio elettronico e della normazione in materia
di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Nella raccomandazione si precisa (considerando n. 9) che i principi enunciati “non tangono i principi
fissati nella raccomandazione 98/257/CE della Commissione che dovrebbero essere rispettati
dalle procedure extragiudiziali che, indipendentemente dalla loro denominazione, portano alla
composizione di una controversia mediante l’intervento attivo di terzi che propongono o impongono una soluzione, generalmente attraverso una decisione di natura vincolante o non vincolante nei confronti delle parti”. Pertanto, la raccomandazione non riguarda le procedure già
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esplicitate nel 1998 ma i principi che “devono essere rispettati da qualsiasi procedura basata
sull’intervento di terzi, indipendemente dalla sua denominazione, che agevoli la risoluzione di
una controversia di consumo facendo incontrare le parti e assistendole, ad esempio formulando suggerimenti informali sulle opzioni di composizione, nel raggiungimento di una soluzione
di comune accordo”. Il campo di applicazione della raccomandazione sono gli organi terzi
responsabili delle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie con espressa
esclusione dei meccanismi di reclamo dei consumatori gestiti da un’azienda. I principi contenuti nella presente raccomandazione, anche se appaiono riferiti agli organi responsabili
delle procedure, di fatto incidono sulle procedure essendo largamente riconducibili alle
varie fasi procedurali.
7.3.1 Principio di imparzialità
L’imparzialità viene garantita da una serie di elementi, primo tra tutti l’esistenza di un
mandato che consenta ai responsabili della procedura di espletare le proprie funzioni. L’imparzialità è inoltre garantita se il terzo non si trova “in situazioni di conflitto di interessi
apparente o reale con nessuna delle parti”. A tale riguardo, è opportuno sottolineare il fatto
che il conflitto di interessi esiste non solo quando questo è reale, ma anche quando si ha
solo l’impressione che possa esistere. Il responsabile della procedura è tenuto ad informare
le parti sulla propria imparzialità prima dell’inizio della procedura.
7.3.2 Principio di trasparenza
La trasparenza, così come nella raccomandazione del 1998, è correlata alla disponibilità di
tutte le informazioni inerenti la procedura, in particolare alle modalità di svolgimento della
stessa ed alla natura giuridica delle decisioni. Parimenti, la garanzia di trasparenza è fornita
anche dalla pubblicazione periodica di un report specifico sull’attività svolta dall’organo
responsabile.
7.3.3 Principio dell’efficacia
Come per il principio di trasparenza, anche il principio di efficacia ricalca quello contenuto
nella raccomandazione del 1998: accessibilità alle procedure, gratuità o modestia dei costi,
celerità del procedimento, partecipazione delle parti senza la necessità di doversi dotare di
una rappresentanza legale. Il principio introduce un ulteriore elemento di garanzia, rappresentato dall’esame della condotta delle parti. Infatti, al comma n. 6, si afferma che “se la
condotta di una parte è insoddisfacente, entrambe le parti ne sono informate onde consentire loro
di valutare se continuare la procedura di risoluzione della controversia”.
7.3.4 principio di equità
La raccomandazione 98/257/CE fa riferimento al principio del contraddittorio che qui
viene integrato nel principio di equità. Tale passaggio trova la sua giustificazione su aspetti
di carattere funzionale legati allo svolgimento delle procedure. Avendo le procedure per
lo più carattere facilitativo, qualora non vi sia la presenza di un terzo che decide, il contraddittorio non si rivela funzionale al corretto espletamento delle varie fasi procedurali;
in tal caso, infatti, per il buon esito della procedura sono richiesti, ad esempio, riservatezza
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e colloqui separati e tali necessità mal si conciliano con il principio del contraddittorio.
L’equità delle procedure si sostanzia nella informazione relativa alla possibilità di: non partecipare o abbandonare la procedura in qualsiasi momento e senza alcuna conseguenza di
carattere giuridico e/o processuale; partecipare agli incontri con la massima flessibilità e
confidenzialità; poter esporre le proprie opinioni in relazione a pareri eventualmente esposti
dal terzo responsabile della procedura. Oltre a tali aspetti, è prevista la necessità di concedere alle parti un lasso di tempo ragionevole per valutare la proposta di soluzione della
controversia, essendo la sua natura giuridica essenzialmente contrattuale. La Commissione,
nel sancire tali principi, tiene conto che, trattandosi di controversie di consumo - nella fattispecie di procedure facilitative - in cui non è presente un terzo che decide ma dove sono
le parti che, con l’aiuto di un terzo, condividono una soluzione di loro iniziativa, appare
fondamentale concedere un certo lasso di tempo prima di sottoscrivere il proprio consenso. Prevalentemente, tale orientamento deriva dalla necessità di evitare la sottoscrizione di
contratti squilibrati che possano avvantaggiare il professionista. Concedendo alle parti un
tempo ragionevole, infatti, si dà la possibilità a queste di poter verificare i termini dell’accordo eventualmente anche attraverso la consultazione di un esperto di propria fiducia. In
tal senso sono dirette anche le ulteriori previsioni relative al principio di equità: le parti
devono essere informate sulla possibilità di accettare o meno la proposta di soluzione, sulla
possibilità di esperire ulteriori procedure stragiudiziali e sulla natura giuridica dell’accordo.
7.4 Il Libro Verde sui modi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali
Il tema della giustizia alternativa si è ulteriormente sviluppato in ambito comunitario fino
alla pubblicazione del Libro Verde del 2002, interamente dedicato agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (A.D.R.) nella prospettiva di una loro attuazione
ampia e non più limitata alle problematiche legate alla tutela dei consumatori. L’ambito di
applicazione delle A.D.R. viene così esteso alla risoluzione di una vasta gamma di conflitti
in materia sia civile sia commerciale, con esclusione delle controversie afferenti al diritto
di famiglia ed al diritto del lavoro. Gli orientamenti comunitari si sono indirizzati verso la
scelta di modelli non obbligatori poiché per il buon esito delle procedure è necessario il
libero consenso delle parti, una adesione volontaria per cui l’obbligatorietà di ricorrere alla
giustizia alterntiva costituirebbe una palese contraddizione di principio. Per promuovere
ulteriormente il ricorso alle procedure A.D.R., il Libro Verde introduce poi la questione dell’opportunità di assegnare un’efficacia vincolante della clausola posta all’interno del
contratto in modo che le parti, in caso di controversia, si obblighino a ricorre a procedure
A.D.R. Tali procedure devono costituire, in un’accezione forte, la via preferenziale di risoluzione delle controversie. La Commissione, infatti, giunge ad affermare che “il ricorso agli
organi giurisdizionali, indicativo del rifiuto a partecipare ad una procedura di A.D.R. prevista
dal contratto, potrebbe pertanto essere sanzionato in quanto costituirebbe la violazione di un
obbligo contrattuale. Un simile rifiuto potrebbe avere come conseguenza che il giudice investito
di una richiesta relativa all’esecuzione di altre disposizioni del contratto la dichiari irricevibile.
Allo stesso modo, il fatto di non accettare di partecipare alla procedura di A.D.R. potrebbe essere
considerato come una violazione dell’obbligo di buona fede”. Un altro aspetto rilevante trattato nel Libro Verde riguarda l’interruzione dei termini di prescrizione. A tal proposito si
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afferma che “il ricorso all’A.D.R. è suscettibile di incidere sul diritto di accesso alla giustizia in
quanto non interrompe il decorrere dei termini di prescrizione fissati per adire il giudice. Nelle
more della procedura conciliativa il ricorso all’A.D.R. potrebbe comportare la decorrenza del
termine fissato dalla legge per proporre la domanda giudiziale e - quindi - far valere il proprio
diritto”. Questo aspetto potrebbe comportare una violazione del diritto di accesso alla giustizia, che rappresenta un diritto fondamentale sancito dall’Unione e presente nella Carta
europea dei diritti dell’uomo. Il Libro Verde introduce anche il problema della disciplina
delle A.D.R.; la Commissione, infatti, da un lato rileva che la peculiarità delle A.D.R. è
quella di non avere regole che irrigidiscono la procedura, tuttavia, dall’altro, afferma anche
che le procedure devono sottostare a principi minimi che le regolino. Per quanto attiene
alla riservatezza, in quanto elemento in grado di aumentare la fiducia delle parti sia nei
confronti del terzo incaricato della procedura sia della procedura stessa, essa rappresenta
un principio sicuramente utile a favorire la scelta delle A.D.R. in caso di controversia. Il
Libro Verde prende in considerazione anche la validità del consenso, che può determinarsi
solo se la procedura si conclude con un accordo garantito da un “formalismo protettore per
quanto riguarda la conclusione e la firma dell’accordo”. Si prendono poi in considerazione
anche alcune problematiche che investono il soggetto terzo che partecipa alla procedura.
A tale riguardo, si ribadisce che il terzo viene nominato comunque dalle parti, sia nel caso
che la nomina sia diretta, sia nel caso in cui venga incaricato un organismo di procedere
alla sua nomina. Il terzo, inoltre, deve essere un soggetto adeguatamente formato anche al
fine del suo accreditamento. In merito ad alcuni aspetti legati alla responsabilità dei terzi,
che coinvolge sia il terzo sia l’eventuale organismo di appartenenza, la sollecitazione della
Commissione opta per il ricorso ad un codice deontologico piuttosto che ad una specifica
normazione di tipo giuridico.
Alla pubblicazione del Libro Verde ha fatto seguito un ampio dibattito in cui i Paesi membri hanno potuto confrontarsi sulle esperienze degli organismi operanti nei singoli stati.
Da tale disamina è emersa la necessità di predisporre delle iniziative a livello comunitario
atte a favorire lo sviluppo delle procedure A.D.R. in ambito europeo. La Commissione ha
così dato seguito a tale richiesta attraverso due iniziative della direzione generale Giustizia
e Affari Interni: la realizzazione di un codice di condotta per tutti i conciliatori europei e la
direttiva comunitaria sulla conciliazione stragiudiziale. A questo riguardo è utile sottolineare che, diversamente da quanto avvenuto nel 1998 e nel 2001 quando le iniziative per promuovere le A.D.R. si erano concretizzate nell’emanazione di raccomandazioni, per quanto
concerne la conciliazione stragiudiziale si è ricorso alla legislazione diretta: ogni legislazione
nazionale, pertanto, è obbligata ad adottare principi minimi essenziali. Inoltre, diversamente da quanto individuato nel Libro Verde, in cui venivano presi in considerazione vari
modelli volontari di risoluzione alternativa delle controversie, il modello della conciliazione
stragiudiziale è stato identificato come lo strumento maggiormente idoneo.
7.5 Esperienze comunitarie in tema di A.D.R.
Parallelamente alle iniziative legislative, tendenti ad ampliare l’orizzonte applicativo delle
A.D.R., si sono registrate iniziative anche sul fronte operativo. Il Consiglio europeo, infatti, ha adottato la risoluzione del 25 maggio 2000 relativa alla costituzione di una rete
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comunitaria di organi nazionali per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo: la EEJ-Net (European Extra Judicial Network) costituita con l’obiettivo
primario di facilitare la risoluzione alternativa delle controversie transfrontaliere. Membri
del network, i soggetti che gestiscono le A.D.R. nei vari paesi. Le camere di compensazione
(Clearing House) istituite presso ogni Stato membro, sono i soggetti che hanno il compito
di informare ed assistere il consumatore al fine di portarlo a conoscenza degli organismi esistenti nello Stato membro in cui ha sede la controparte, della legislazione di riferimento in
tale Stato e di tutte le informazioni necessarie all’espletamento delle procedure. La camera,
inoltre, può anche occuparsi di gestire materialmente la pratica fornendo i servizi necessari. La Clearing House ha anche la possibilità di relazionarsi con le Clearing Houses degli
altri Stati membri non solo per condividere informazioni e scambiarsi dati, ma anche per
individuare gli organismi competenti e le modalità di accesso alle procedure necessarie per
ogni singolo caso. Gli Stati membri hanno l’obbligo di notificare alla Commissione europea
quali sono gli organismi deputati a gestire le A.D.R. onde consentire il corretto funzionamento della rete. Dal 1 gennaio 2005 è diventata operativa la rete ECC-Net (European
Consumer Centres Network) costituitasi mediante la fusione della EEJ-Net con il network
dei centri europei dei consumatori, noti anche come Eurosportelli o Euroguichets. A tale
iniziativa ha aderito anche l’Italia. La funzione della rete ECC-Net, tramite la cooperazione
tra i centri ECC-Net dei Paesi aderenti, è quella assistere i consumatori in caso di controversie che possono sorgere nell’ambito delle transazioni transfrontaliere. A tal fine, fornisce
informazioni sulla legislazione nazionale e comunitaria, opera per agevolare l’accesso delle
parti ad un adeguato organismo A.D.R., provvede al monitoraggio della controversia e
ne segue gli sviluppi. Il Centro ECC-Net viene designato annualmente dallo Stato ed è
soggetto all’approvazione della Commissione europea. Tra le varie problematiche legate alle
controversie nell’ambito del consumo, la Commissione ha individuato una particolare criticità nella risoluzione delle dispute che possono sorgere, all’interno dei mercati finanziari,
nel rapporto tra il consumatore-risparmiatore e l’operatore economico. Al fine di far fronte
a tale criticità, il 1 febbraio 2001 è stata istituita una specifica rete: la FIN-Net. L’azione
della FIN-Net si concentra a perseguire tre obiettivi principali nell’ambito della risoluzione
delle dispute transfrontaliere:
1. facile accesso alle procedure A.D.R. e chiarezza delle stesse;
2. efficace ed efficiente scambio di informazione tra gli organismi;
3. assicurazione dell’applicazione di regole minime comuni.
La rete FIN-Net riunisce oltre 35 organismi nazionali del settore e l’Italia è presente con
l’Ombudsman bancario, la Sezione Reclami dell’ISVAP (Istituto di Vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo) e l’ANIA (Associazione Nazionale delle Imprese
di Assicurazione) ai quali si è aggiunto, dal 2009, l’Arbitro Bancario Finanziario presso la
Banca d’Italia.
L’adesione alla FIN-Net comporta la sottoscrizione di un Memorandum che impegna i sottoscrittori al rispetto di alcuni principi generali, ferma restando la libertà di ogni organismo
nello stabilire le proprie regole di procedura. Il Memorandum specifica (cfr. punto 2) che per
“risoluzione extragiudiziale”, indipendentemente dalle specifiche modalità di svolgimento
e/o dalle denominazioni del procedimento adottato, si intende che l’accordo viene raggiun-
60
to dalle parti mediante l’intervento di un terzo che impone o propone una soluzione. La
procedura di riferimento è dunque valutativa e non facilitativa. Tale impostazione, deriva
probabilmente dall’esigenza di evitare che le asimmetrie, cioè la differenza dei rapporti di
forza contrattuale ed informativa tra consumatore e soggetto commerciale, possano eventualmente incidere anche negli esiti di una procedura facilitativa. Il punto 2 del Memorandum definisce anche il significato di “lite transfrontaliera”: con tale termine ci si riferisce ad
una controversia sorta tra un consumatore che risiede in uno Stato membro ed un fornitore
di servizi finanziari stabilito in uno Stato membro diverso. Ulteriori definizioni vengono
fornite nel punto 2 per quanto concerne il “sistema competente”, corrispondente all’organismo di risoluzione alternativa delle controversie nel settore finanziario e di “sistema più
vicino” che viene identificato nell’organismo che ha la propria sede nel Paese membro in
cui risiede il consumatore. Il Memorandum, in riferimento alle definizioni sopra citate, nel
punto 6 stabilisce le funzioni da svolgere all’interno della rete FIN-Net. Tali funzioni sono
individuate in: coordinamento ed informazione, istruzione dei procedimenti e gestione
delle controversie. Tramite la funzione di coordinamento ed informazione si forniscono al
consumatore indicazioni sul funzionamento della rete e sui requisiti dei vari sistemi competenti, sulle modalità di formulazione del reclamo e del suo destinatario, sull’esistenza
di eventuali termini per il ricorso alla procedura stragiudiziale o, in caso di fallimento
della stessa, per la proposizione dell’azione giudiziaria. Per quanto riguarda l’istruzione dei
procedimenti, il sistema più vicino si occupa di trasmettere la domanda al sistema competente o di indirizzare direttamente ad esso il consumatore. Il sistema più vicino può anche
risolvere direttamente la lite, se ciò rappresenta un obbligo di legge, oppure se il fornitore
di servizi finanziari ne riconosce preventivamente la giurisdizione. Il “sistema competente”
che gestisce la controversia è tenuto a rispettare i principi esplicitati nella raccomandazione
98/257/CE. La lingua applicabile alla procedura è a scelta del consumatore. La peculiarità
delle rete risiede nello scambio di informazioni, dunque tutti i firmatari del Memorandum si
obbligano a scambiarsi tutte le informazioni utili alla soluzione dei singoli casi, soprattutto
quelle inerenti le norme sulla tutela del consumatore applicabili nello Stato membro in cui
questi risiede. La tutela del trattamento dei dati personali avviene in conformità a quanto
disposto dall’art. 10 della direttiva 95/46/CE. Lo stato di attuazione del Memorandum viene rendicontato annualmente nel rispetto della trasparenza nei confronti dei consumatori.
7.6 La direttiva 2008/52/CE sulla conciliazione stragiudiziale
La direttiva costituisce l’attuazione del Libro Verde del 2002 dedicato alle A.D.R. in materia civile e commerciale. Emanata il 21 maggio 2008, la direttiva è rivolta espressamente alla disciplina della conciliazione stragiudiziale, intesa come procedura di mediazione
nell’ambito delle controversie transfrontaliere. In riferimento a tale obiettivo primario, la
direttiva si propone di garantire un migliore accesso dei cittadini europei alla giustizia e, nel
contempo, di aumentare la fiducia nel mercato unico. Se, da un lato, la direttiva individua
nelle controversie transfrontaliere il suo ambito di applicazione dall’altro rilancia, di fatto,
l’idea di utilizzare la conciliazione stragiudiziale in modo più ampio anche in ambiti interni.
Testualmente si afferma: “Le disposizione della presente direttiva dovrebbero applicarsi soltanto
alla mediazione nelle controversie transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri
61
di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni” (cfr. considerando n.
8). Tale esplicita affermazione non è di secondaria importamza, infatti il legislatore italiano
si è ispirato ad essa per definire la disciplina interna sulla conciliazione stragiudiziale.
Riguardo agli organi di conciliazione ed ai conciliatori, la direttiva dispone che gli Stati
membri debbano sviluppare tutti i meccanismi utili ad assicurare la qualità del servizio ed
in particolare devono adoperarsi per l’adozione di codici deontologici per i mediatori e per
le organizzazioni che svolgono servizi di mediazione. Gli Stati membri devono, inoltre, promuovere la formazione iniziale e successiva di tutti i soggetti che operano nei procedimenti
di mediazione (cfr. art. 4). La direttiva prende anche in considerazione la conciliazione
delegata, cioè la conciliazione esperita su invito o su ordine del giudice che ha la facoltà,
qualora lo ritenga opportuno, di rinviare le parti alla conciliazione. In tal caso, la direttiva
“lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio
oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario,
purchè tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario” (cfr. art. 5). In altri termini, il ricorso alla conciliazione può essere reso obbligatorio
dagli Stati membri ma, in osservanza del principio di accesso alla giustizia, tale obbligo non
può pregiudicare il fatto che in qualsiasi momento il procedimento di conciliazione possa
interrompersi e pertanto si possa demandare la risoluzione della controversia ad un procedimento giudiziario. Nel successivo art. 6 si stabilisce che l’esecutività degli accordi derivanti
dalla mediazione viene rimessa alle singole norme nazionali, tuttavia, il considerando n. 20
stabilisce un importante principio: “Il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione
reso esecutivo in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuto e dichiarato esecutivo negli
altri Stati membri in conformità alla normativa comunitaria o nazionale applicabile”. A tal
fine vengono richiamati il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre
2000, concernente la competenze giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e il regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio,
del 27 novembre 2003, relativa alla competenza, al riconoscimento ed all’esecuzione delle
decisioni in materia matrimoniale ed in materia di responsabilità genitoriale. La direttiva
conferisce rilevanza anche alla riservatezza della mediazione, in quanto elemento in grado
di ampliare il consenso, la fiducia ed il buon andamento della procedura di conciliazione.
La riservatezza è intesa nella sua accezione esterna, cioè nei suoi rapporti con il processo:
l’art. 7, comma 1, specifica che “né i mediatori né i soggetti coinvolti nell’amministrazione
del procedimento di mediazione siano obbligati a testimoniare nel procedimento giudiziario o
di arbitrato in materia civile e commerciale riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o connesse con lo stesso”. Appare, invero, piuttosto criticabile il fatto
che il tema della riservatezza si esaurisca nel rapporto tra il procedimento di conciliazione,
in caso di suo fallimento, ed il conseguente procedimento giudiziario poiché una garanzia
più ampia di riservatezza potrebbe giocare un ruolo determinante anche nello svolgimento
della conciliazione stessa. Riguardo all’effetto della mediazione sui termini di prescrizione
e decadenza, la direttiva dispone che: “alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di
dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di
mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza”. In tale prospettiva, dunque,
62
si dispone che il ricorso alla conciliazione possa valere ai fini interruttivi del decorso dei
termini di prescrizione o decadenza ai fini dell’introduzione di un giudizio civile o abitrale.
La direttiva, infine, mira ad incoraggiare la diffusione delle procedure conciliative e la loro
divulgazione; particolarmente attraverso Internet è infatti possibile offrire a livello comunitario informazioni adeguate sui soggetti che gestiscono le procedure e sulle modalità per
contattare mediatori ed organizzazioni.
Il legislatore italiano ha già dato corso ad iniziative in attuazione delle norme della direttiva
attraverso l’inserimento della conciliazione stragiudiziale nella risoluzione delle controversie
in materia di diritto societario (d.lgs. 5/2003). A tale riguardo è possibile rilevare che sia la
normativa primaria sia quella secondaria, di natura regolamentare, disciplinano gli aspetti
presi in considerazione dalla direttiva 2008/52/CE assumendone anche i principi. Ulteriori
sviluppi si potranno determinare con la piena attuazione del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 sulla
nuova disciplina della mediazione per le controversie civili e commerciali.
7.7 Bibliografia
-- Bartolomucci P., AA.VV., I diritti dei consumatori, tomo II. Giappichelli, 2009.
-- Castagnola A., Delfini F., La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Cedam,
2010.
-- Commissione delle comunità europee (1998), raccomandazione 98/257/CE.
-- Commissione delle comunità europee (2001), raccomandazione 01/310/CE.
-- Commissione europea, Libro Verde sui modi alternativi di risoluzione delle controversie
civili e commerciali, 2002.
-- Cuomo Ulloa F., La conciliazione - Modelli di composizione dei conflitti, Cedam, 2008.
-- Di Paola N., Carneglia F., Guida alla nuova conciliazione, Maggioli, 2010.
-- Minervini E., Dei contratti dei consumatori, Giappichelli, 2006.
-- Parlamento europeo e Consiglio (2008), direttiva 2008/52/CE.
-- Rolli R., Codice del consumo, Tribuna, 2010.
63
8. LA CONCILIAZIONE DELLE CAMERE DI COMMERCIO, INDUSTRIA, ARTIGIANATO E AGRICOLTURA D’ITALIA
A cura del Dott. Sergio Ciccarello
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
Cultore di diritto della conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato dell’Università e-Campus
8.1 Introduzione
Sino ai primi anni ‘90, in Italia, se si esclude l’arbitrato, non esistevano alternative che
offrissero una soluzione complementare al giudizio ordinario.
Per le sue caratteristiche di elasticità, confidenzialità ed informalità, e per la peculiare prerogativa di poter esitare nella redazione di un accordo il cui verbale ha efficacia esecutiva, la
mediazione si pone, infatti, come il più innovativo ed efficiente metodo di risoluzione delle
controversie, di natura extraprocessuale, adottato nel nostro paese.
Ed invero il tentativo di conciliazione, introdotto dal legislatore del 1990 all’art. 183 del
codice di procedura civile (attuale art.185 comma 1), può abbreviare i tempi di risoluzione
della controversia ma di certo non offre alle parti una reale alternativa che possa garantire
totale indipendenza ed autonomia quali criteri base di composizione della controversia,
essendo esse soggette ad una “supervisione” da parte del giudice, dal momento che questi ha
facoltà di indagare a fondo sui fatti costitutivi della controversia attraverso l’interrogatorio
libero.
Stesso discorso sulla mancanza di un tale modus operandi che trovi nella elasticità la sua
principale caratteristica di attuazione, va fatto per la transazione, come disciplinata dagli
artt. 1965 e ss. c.c., la quale prevede il riconoscimento di reciproche concessioni, a differenza del metodo preso in esame in questa trattazione, che può contemplare nel novero degli
esiti possibili anche la rinunzia unilaterale alle pretese vantate.
Solitamente la premessa che consente di addivenire alla volontà di giungere ad un compromesso è costituita dal timore di veder svanire la ragione economica sottostante alla lite
a causa dei tempi e dei costi del processo. È conseguenziale dunque che in l’ambito commerciale si sia sentita più impellente l’esigenza di una promozione del metodo ed una sua
migliore delineazione.
Sembra opportuno dunque considerare di fatto l’ambiente camerale quale “officina” di sperimentazione del nuovo sistema di risoluzione alternativa delle controversie, luogo d’elezione ove ha trovato al fine attuazione in ambito nazionale quel principio che invece oltremare
veniva già considerato da lungo tempo quale democratica attuazione di un principio di
libera scelta ed autodeterminazione.
Tale scelta del legislatore è inoltre dovuta al fatto che le camere, data anche la composizione
paritetica di dette istituzioni formata da rappresentanti delle imprese e delle associazioni
consumieristiche, offrono adeguate garanzie di terzietà, serietà ed efficacia nella gestione
dei procedimenti stragiudiziali.
Prima di entrare nel merito dell’oggetto di tale rassegna, occorre fare una breve premessa
sulla produzione normativa nazionale in materia di conciliazione.
64
8.2 La conciliazione nell’ordinamento italiano
Nel nostro ordinamento, esistono varie ipotesi di conciliazione. Alcune di questa sono
previste come obbligatorie, altre come volontarie.
1. conciliazione volontaria: art. 185 cpc: comparizione parti; 320 cpc conciliazione
GDP; 322 conciliazione GDP sede non contenziosa; art. 198 cpc: conciliazione delegata ad un consulente tecnico; 696 bis cpc: tentativo di conciliazione ATP; conciliazione presso Camere Commercio in materia di controversie riguardanti contratti turistici;
conciliazione presso Camere Commercio riguardo a controversie sui diritti dei consumatori; conciliazione concernenti liti sui lavori pubblici e appalti; conciliazione presso
CONSOB riguardo a liti sui contratti sottoscritti tra risparmiatori e investitori; conciliazione presso Camere Commercio a liti sui contratti di affiliazione commerciale; conciliazione presso Camere Commercio riguardo a liti sui servizi di tintorie e lavanderie;
2. conciliazione obbligatoria: 410 e seg. cpc: conciliazione controversie lavoro; d.lgs.
80/1998 e d. leg. 165/2001: conciliazione controversie lavoro pubblico; d.lgs.
124/2004 conciliazione lavoro e previdenza sociale; conciliazione nella separazione e
divorzio; conciliazione nelle lite della subfornitura delle attività produttive; conciliazione nelle lite sulla concorrenza e la regolamentazione dei servizi di pubblica utilità; patti
di famiglia; conciliazione riguardo a controversie tra utenti e un soggetto autorizzato a
fornire prodotti radiotelevisivi o di comunicazioni.
Questa tecnica di A.D.R. può ancora essere distinta nelle due branche della conciliazione
giudiziale, ovvero quella preposta alla definizione delle controversie di fronte ad organi di
giustizia dello stato, e stragiudiziale, ossia quella affidata dalle parti ad un terzo imparziale,
sia esso un arbitro, che ne condiziona l’esito attraverso una decisione vincolante, oppure
un conciliatore, il quale agevola la comunicazione tra i litiganti al fine di permettere loro di
addivenire ad un accordo che si confaccia alle rispettive esigenze.
Tra le forme di conciliazione giudiziaria, in sede non contenziosa, rileva quella rimessa
all’art. 322 c.p.c. al giudice di pace; forma di conciliazione che era già stata attribuita al
giudice conciliatore dall’abrogato art. 321 c.p.c. e ravvisabile nella disciplina dettata dal
non più vigente art. 44 l.n. 392/1978 in materia di locazioni.
Ispirate, poi, a un certo favore per la la conciliazione giudiziale, in sede contenziosa, appaiono le riforme del sistema processuale, laddove l’originario disposto dell’art. 183, comma
1, c.p.c.(attuale art. 185 comma 1), prevedeva, ai fini del tentativo di conciliazione, la
comparizione personale delle parti, ovvero dei loro procuratori.
Indubbia è poi la natura giuridica contenziosa delle due ipotesi di conciliazione amministrata dal presidente del tribunale nei procedimenti di separazione personale dei coniugi e
di scioglimento del matrimonio.
Il secondo tipo di conciliazione, ossia quella stragiudiziale, è quella che rileva maggiormente in tale sede poiché amministrata dalle Camere di Commercio, si caratterizza per il suo
svolgersi alla presenza del terzo, il conciliatore, che aiuta le parti a raggiungere un accordo
in cui comporre la controversia senza imporre la soluzione della lite.
In uno schema ideale, la conciliazione può collocarsi a metà strada tra le procedure aggiudicative, come l’arbitrato in cui la soluzione della lite è rimessa alla decisione di un terzo e
strumenti come la transazione, in cui la controversia è risolta direttamente dalle parti.
65
Il conciliatore, generalmente un professionista esperto nella materia del contendere oltre
che in tecniche di conciliazione, guida le parti nella negoziazione, le aiuta a riprendere la
comunicazione interrotta e ad affrontare e gestire il conflitto in maniera costruttiva nella
più completa riservatezza.
Le parti partecipano alla procedura personalmente: il buon esito della conciliazione dipende in gran parte dal rapporto di fiducia che si crea tra le parti ed il conciliatore il quale deve
essere neutrale, imparziale ed indipendente rispetto alle parti ed ai loro interessi. Prerogative
queste che maggiormente sono state garantite dalle Camere di Commercio nell’adozione
dei Regolamenti da loro preposti.
La predilezione del legislatore per la conciliazione stragiudiziale (dapprima affidata essenzialmente a commissioni conciliative paritetiche di natura amministrativa) è stata inizialmente riscontrabile in determinati settori ad alto tasso di litigiosità e comunque connotati
dalla presenza di una parte contrattualmente più debole (come in materia di lavoro e agraria); qui il legislatore, attraverso il disposto della legge 203/82, ha imposto la obbligatorietà
della conciliazione per il componimento delle controversie agrarie dinnanzi all’ispettorato
provinciale dell’agricoltura e di quelle relative ai rapporti di lavoro per cui, ai sensi del
d.lgs. 80 del 31 marzo 98, che ha uniformato il sistema conciliativo lavoristico, è stato
introdotto un tentativo obbligatorio di conciliazione da esperirsi dinanzi alle commissioni
già disciplinate dall’art. 440 c.p.c., per tutte le controversie ordinarie relative ai rapporti
previsti dall’art. 409 c.p.c.
8.3 La natura della conciliazione amministrativa dalle camere
Le Camere di Commercio, Artigianato e Agricoltura, sono enti autonomi di diritto
pubblico che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza funzioni
di interesse generale per il sistema delle imprese curandone lo sviluppo nell’ambito delle
economie locali.
La conciliazione è amministrata quando le parti accettano la proposta di una determinata
istituzione che offre al pubblico un’organizzazione e un regolamento per lo svolgimento
della procedura conciliativa, e per questa via si distingue dalla c.d. conciliazione ad hoc in
cui - similmente a quanto avviene nel c.d. arbitrato ad hoc - la procedura è sorretta da una
struttura elementare creata volta per volta.
Il servizio di conciliazione è prestato dall’ente o dall’istituzione sulla base di un rapporto
giuridico che può definirsi contratto di amministrazione di conciliazione la cui conclusione è promossa dalla stessa istituzione attraverso la pubblicità del regolamento sul servizio
che, contenendo tutti gli elementi per la conclusione del contratto, vale come offerta al
pubblico. Pertanto, il rapporto tra le parti ed istituzione si perfeziona nel momento in cui
l’istituzione viene a conoscenza che la proposta è stata accettata da entrambe le parti (art.
1326 c.c.), cioè dopo che la parte chiamata in conciliazione ha depositato l’atto di accettazione della procedura. Il contratto di amministrazione presenta elementi dell’appalto di
servizi (art. 1655 c.c.) e dell’opera intellettuale (art. 2230 c.c.): l’istituzione segue una serie
di servizi inerenti al procedimento di conciliazione (deposito di documenti, comunicazioni
alle parti e al conciliatore, predisposizione di locali idonei per l’incontro di conciliazione
ecc.) e presta un’opera intellettuale nel tentare la conciliazione tra le parti avvalendosi di un
66
ausiliario, il conciliatore (cfr. l’art. 2232 c.c.), con il quale l’istituzione conclude a sua volta
un contratto di prestazione d’opera intellettuale che, nell’assumere l’incarico si impegna
altresì al rispetto di un codice di condotta ispirato ai principi di imparzialità, indipendenza,
terzietà e riservatezza.
Nell’ipotesi - piuttosto remota nella conciliazione amministrata - in cui siano le parti ad
individuare e nominare esse stesse il conciliatore, al rapporto tra le parti ed istituzione viene
ad affiancarsi quello tra parti e conciliatore.
8.4 Rassegna del recente percorso normativo
Le principali tappe che hanno segnato il processo evolutivo della materia in questione, presso le Camere di Commercio, sono state segnate da altrettante norme che ne hanno tracciato
il percorso di affermazione nel nostro ordinamento:
-- la legge 580/93 e d.lgs. n. 206 del 2005 in materia di controversie tra imprese e consumatori;
-- la legge 481/95 relativa alle controversie in materia di fornitura di servizi di energia
e gas;
-- la legge 249/97 e delibera 173/07/2007 relativa alle controversie in materia di telecomunicazioni;
-- la legge192/98 relativa alle controversie in materia di subfornitura;
-- la legge 135/2001 relativa alle controversie in materia di turismo;
-- il d.lgs. 5/2003 relativo alle controversie in materia societaria;
-- la legge n. 129/2004 relativa alle controversie in materia di franchising;
-- la legge 55/2006 relativa alle controversie in materia di patto di famiglia;
-- la legge 84/2006 relativa alle controversie in materia di tintolavanderia;
8.4.1 La legge 580 del 1993 e il ruolo delle Camere di Commercio quale organo di regolamentazione del mercato
È opportuno iniziare il percorso di analisi di tale copiosa normativa, con la rassegna dei
principi e delle attribuzioni disposti dalla legge 580/1993 sul Riordinamento delle Camere
di Commercio. Questa norma costituisce infatti il principale riferimento normativo attribuente esplicite assegnazioni a tali enti.
All’art.2 lettera a), sollecita le camere ad istituire commissioni conciliative “per la risoluzione
delle controversie insorte tra imprese e tra queste ultime e consumatori ed utenti”.
Di fatto le Camere di Commercio sono state considerate dal legislatore quale luogo di
elezione ideale per la risoluzione delle liti in tale particolare ambito dato che la predetta
norma, all’art. 10 comma 6, nel riordinare l’assetto di tali enti, ha previsto che all’interno
del Consiglio camerale fossero presenti, accanto ai rappresentanti delle imprese, esponenti
delle associazioni dei consumatori e sindacali e che quindi l’insorgenza di problematiche
fosse rappresentata in maniera più chiara ed immediata vista la potenziale possibilità di
espressione delle parti in gioco in via paritaria.
Occorre però, attraverso un breve excursus, tracciare il percorso evolutivo che ha portato
alla promanazione di tale norma.
Il legislatore ha infatti scelto le camere come organismo deputato a gestire questa forma
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di giustizia alternativa anche in virtù delle precedenti esperienze acquisite dalle stesse in
materia di conciliazione ed arbitrato.
Già nel 1863, l’allora Camera di Commercio ed Arti di Bergamo predispose un giudizio
arbitrale non rituale al fine di favorire il commercio e l’industria. Da allora molte camere
arbitrali sono state istituite presso le varie Camere di Commercio italiane.
Il dettato della legge 580/93, però è andata oltre la previsione di collegi arbitrali costituiti
ad hoc, caso per caso, ed ha statuito la formazione di commissioni arbitrali e conciliative
da istituirsi in via permanente, quindi organi precostituiti ai quali tanto le imprese che i
consumatori possano rivolgersi in qualsiasi momento. Ne consegue che rispetto a prima
le decisioni arbitrali hanno acquisito più precisi caratteri di cogenza ed inderogabilità in
quanto tale sistema ha attribuito ad un organo imparziale funzioni garantiste, dell’adozione
di tale sistema hanno quindi beneficiato piccole e medie imprese che spesso subivano arbitri
voluti da altri.
La portata innovativa di tale norma consiste quindi non solo nell’aver attribuito una maggior garanzia di giustizia dei procedimenti arbitrali o conciliativi ma anche una loro maggior praticabilità a tutte le parti commerciali, anche le più deboli, per la brevità dei tempi
necessari e la convenienza dei costi.
Per quanto concerne la sola conciliazione, già prima della riforma apportata dalla legge
580/93 i regolamenti delle principali camere arbitrali istituite presso le Camere di Commercio prevedevano e disciplinavano in maniera più o meno dettagliata la conciliazione:
questa si presentava ora come filtro obbligatorio, e quindi come condizione di ammissibilità al giudizio di arbitrato amministrato; ora come filtro volontario, poiché veniva lasciata
alla volontà delle parti la scelta di intraprendere o meno la via arbitrale in caso di fallimento
del tentativo di conciliazione.
Numerosi regolamenti arbitrali (fra tutti quello di Milano) incentravano invece la propria
attenzione sulla conciliazione infra-arbitrale. Mentre tra le ipotesi di conciliazione pre-arbitrale, assumeva particolare interesse il tentativo obbligatorio di conciliazione, da esperire
prima di accedere alla fase arbitrale, previsto in passato dal Regolamento semplificato di
conciliazione ed arbitrato Unioncamere.
A seguito della riforma operata dalla legge quadro del ‘93, con il sorgere dei primi sportelli
di conciliazione, si è profilato un diverso modello conciliativo, quale mezzo facoltativo per
definire le controversie senza ricorso al mezzo arbitrale: infatti, in caso di fallimento del
tentativo di conciliazione, i regolamenti non prevedevano e non prevedono tutt’ora una
successiva fase arbitrale per la risoluzione della controversia.
8.4.2 L’animus della riforma
Il tutto rientra nell’ottica, adottata allo scopo di investire le camere di una specifica funzione. La già accennata legge 580/93 ha infatti iniziato un processo di attribuzione di particolari competenze che è stato poi integrato ed ampliato dalla legge 52 del 1996. Quest’ultima,
ha recepito la direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie che già prevedeva, nella sua stesura originaria, l’attribuzione alle camere di nuove funzioni nell’ambito della regolazione
del mercato. Essa ha stabilito che le Camere di Commercio possano convenire in giudizio
il professionista e l’associazione dei professionisti che utilizzano condizioni generali di con-
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tratto o possono chiedere al giudice che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia accertata
l’abusività.
Una particolare disciplina, riguardante le clausole vessatorie, è stata introdotta nel codice
civile dalla predetta legge, contiene aspetti sostanziali e processuali. In particolare l’art.
1469-sexies prevede l’azione per ottenere l’inibitoria dall’utilizzo delle clausole vessatorie.
Il meccanismo individuato da detto articolo somiglia molto ad una class action: si tratta
di una specie di azione collettiva che legittima organismi rappresentativi e con possibili
effetti benefici per tutti gli appartenenti a una categoria di soggetti deboli. Con riferimento
alla legittimazione attiva, l’articolo citato chiama in causa le associazioni rappresentative
dei consumatori e dei professionisti e le Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed
Agricoltura.
Di particolare significato è la legittimazione attiva delle Camere di Commercio che non
sono organismi rappresentativi di categoria ma una sorta di pubblico ministero tutore della
regolamentazione del mercato.
Il potere dei legittimati attivi è quello di convenire in giudizio il professionista o l’associazione di professionisti che utilizzano o raccomandano l’utilizzo di condizioni generali
di contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l’uso elle condizioni di cui si
accerta l’abusività.
L’azione inibitoria non appartiene alla categoria delle conciliazioni, piuttosto è vicina alla
categoria della class action. Tuttavia la finalità della class action è anche quella comune ai
metodi di A.D.R. e cioè quella di deflazionare il contenzioso civile.
L’emanazione di tali disposizione ha presentato l’occasione di integrare quanto stabilito
dalla legge 580.
Appare così più chiara l’intenzione del legislatore di attribuire all’istituzione Camera di
Commercio un ruolo fondamentale nella regolazione dei diversi interessi presenti sul mercato. Da organo portatore degli interessi delle imprese davanti alla pubblica amministrazione, la Camera di Commercio è diventato organo super partes, regolatore degli interessi di
tutte le parti commerciali, anche delle più deboli a garanzia della sua imparzialità.
In generale la controversia tipica in materia di consumo si caratterizza per proporzione tra
valore economico del contenzioso e costo della sua risoluzione giudiziaria.
Numerose sono le difficoltà che il singolo consumatore-utente incontra nel percorrere le
vie della giustizia ordinaria. Nella generalità dei casi il consumatore non conosce il linguaggio giuridico e non è a conoscenza degli strumenti di tutela a sua disposizione, inoltre le
spese necessarie per le consulenze e rappresentanza legale, eventualmente unite, in caso di
soccombenza a quelle di giudizio, superano di gran lunga il valore stesso della controversia.
Infine le udienze si svolgono durante i giorni feriali e sono quasi sempre sottoposte a notevoli rinvii, provocando una ulteriore perdita di tempo e di denaro per chi vi partecipa. Tutti
questi elementi conducono il consumatore a vedere con sfiducia il ricorso alle vie ordinarie
di giustizia e, nella quasi totalità dei casi, a rinunciarvi essendo il rischi troppo elevato.
Dall’utilizzazione di queste procedure è emerso che le imprese vi aderiscono in quanto
riducono il rischio di gravose condanne ed escludono eventuali pubblicità negative conseguenti all’evidenziazione che la controversia potrebbe ricevere dal risalto dato dai massmedia. D’altra parte le aziende che vi aderiscono finiscono con il goderne a pieno anche
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per la conquistata fama di aziende più attente alle esigenze dei consumatori. I consumatori,
invece possono essere indotti all’utilizzo di queste procedure alternative dalla gratuità dei
costi e dalla celerità del giudizio.
8.4.3 la legge 481/95 relativa alle controversie in materia di fornitura di servizi di energia
e gas
Il legislatore, con la legge 14 novembre 1995, n. 481, ha disciplinato la Istituzione delle
Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, ma ad oggi il solo settore per il quale è
stata istituita un’Autorità è quello dell’energia elettrica ed il gas.
La direttiva n. 2003/54 del 26 giugno 2003 (art. 23) ha poi stabilito a livello europeo i
criteri per l’adozione di schemi organizzativi e procedurali per la gestione dei reclami e
dei conseguenti provvedimenti sanzionatori: in questo contesto si collocano le attribuzioni
dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas che, secondo quanto disposto dal ventiquattresimo comma dell’art. 2 della legge 14 novembre 1995, n. 481, adotta “i criteri, le condizioni,
i termini e le modalità per l’esperimento di procedure di conciliazione o di arbitrato in contraddittorio [...] nei casi di controversie insorte tra utenti e soggetti esercenti il servizio”.
Alcune perplessità sono sorte però in merito alla corretta interpretazione di tale norma e
conseguente sua applicazione. Il medesimo comma ha infatti disposto che i regolamenti devono prevedere «altresì i casi in cui tali procedure di conciliazione o di arbitrato possano essere
rimesse in prima istanza alle Commissioni arbitrali e conciliative istituite presso le Camere di
Commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’art. 2, comma 4, lett. a) della legge
29 dicembre 1993, n. 580».
Tale disposto risulta quantomeno enigmatico in quanto sembrerebbe prospettare una duplicità di gradi del giudizio che, relativamente al giudizio arbitrale, contrasta con l’art. 827
c.p.c., a norma del quale «il lodo è soggetto soltanto all’impugnazione per nullità, per revocazione o per opposizione di terzo».
Parimenti è poco agevole l’interpretazione della disposizione in merito all’implicita, ma non
espressamente formulata, obbligatorietà del tentativo di conciliazione: «Fino alla scadenza
del termine fissato per la presentazione delle istanze di conciliazione o di deferimento agli arbitri, sono sospesi i termini per il ricorso in sede giurisdizionale che, se proposto, è improcedibile».
Resta di fatto l’indubbia possibilità di attribuire alle camere l’espletamento delle rispettive
procedure di A.D.R..
8.4.4 la legge 249/97 e delibera 173/07/2007 relativa alle controversie in materia di telecomunicazioni
Nelle controversie in materia di telecomunicazioni, la legge n. 249/1997, istitutiva della
relativa Autorità garante, ha previsto che questa disciplini un tentativo obbligatorio di conciliazione, da esperirsi dinanzi a se stessa prima dell’eventuale ricorso all’Autorità giudiziaria
ordinaria.
Nelle controversie tra operatori, il tentativo di conciliazione va espletato davanti all’Autorità (art. 7 e ss., delibera n.148/01/cons), mentre nelle controversie tra operatori ed utenti
il tentativo di conciliazione deve proporsi davanti ai Comitati regionali per i servizi radiotelevisivi (Corecom) della propria regione (art. 3, delibera n. 182/02/cons). È interessante
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notare come in quest’ultimo caso, la previsione dell’obbligatorietà del tentativo è sembrata
porsi in contrasto con la raccomandazione dell’Unione europea 310/2001, laddove si prevede che il ricorso a procedure di risoluzione delle controversie non deve privare i consumatori del loro diritto di adire immediatamente il giudice ordinario.
In alternativa ai Corecom, gli utenti possono esperire il tentativo di conciliazione dinanzi
ad organismi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo
che rispettino i principi della raccomandazione 310/2001/CE (art. 12 delibera 182/02/
cons) e tra questi, in primis le Camere di Commercio.
L’identità degli organismi altrimenti deputati a gestire le procedure conciliative in via alternativa ai Co.Re.Com. è precisata, anche nell’art. 13 del successivo Regolamento approvato
con delibera 173/07/CONS, il quale, al comma 1, attraverso un complicato rinvio all’art.
141, commi 2 e 3, del Codice del Consumo, fa riferimento alle Camere di Commercio
territorialmente competenti.
8.4.5 la legge 192/98 relativa alle controversie in materia di subfornitura
L’impianto normativo descritto nella legge rivela un’immagine del subfornitore che, pur
non assimilabile concettualmente a quella del consumatore, si presta comunque ad assumere il ruolo di parte debole del rapporto e, come efficacemente precisato, «potenzialmente alla
mercè della grande committenza privata capace di imporgli, con il proprio peso economico, le
regole del contratto». Di qui la necessità di proteggere la posizione di debolezza in cui versa di
regola il subfornitore attraverso la predisposizione di adeguata normativa capace di assicurare una efficace tutela non solo dal punto di vista della disciplina di carattere marcatamente
sostanziale, ma anche di quella di natura più squisitamente processuale. In questi termini,
l’intervento di eteroregolamentazione del rapporto, affiora con evidenza anche nella disposizione legislativa di carattere processuale (art. 10) destinata ad introdurre e disciplinare gli
istituti della conciliazione e dell’arbitrato. Sotto tale profilo, proprio allo scopo di prevenire
ed evitare l’insorgenza di una lite giudiziaria - dove palese appare il vantaggio della grande
impresa, in grado non solo di affrontare un lungo quanto costoso iter processuale, ma anche
di allestire una più agguerrita e qualificata difesa tecnica - il legislatore ha imposto alle parti
un tentativo obbligatorio di conciliazione, da esperirsi presso la Camera di Commercio
territorialmente competente in ragione della sede dell’impresa del subfornitore. Qualora
«entro trenta giorni» non si pervenga ad una conciliazione tra le parti in lite, «su richiesta di
entrambi i contraenti la controversia è rimessa alla commissione arbitrale istituita presso la
Camera di Commercio del luogo ove ha sede il subfornitore o, in mancanza, alla commissione arbitrale istituita presso la Camera di Commercio scelta dai contraenti».
Il procedimento arbitrale previsto dalla norma infine - da svolgersi dinanzi alle commissioni
arbitrali istituite presso le Camere di Commercio e rimesso alla libera scelta delle parti - è
disciplinato dagli articoli del codice di rito (artt. 806 e ss. c.p.c.) e deve concludersi, salvo
che le parti si accordino per un termine inferiore (art. 10, comma 3), entro il termine massimo di sessanta giorni a decorrere dal primo tentativo di conciliazione.
8.4.6 la legge 135/2001 relativa alle controversie in materia di turismo
La legge 29 marzo 2001, n. 135, recante la Riforma della legislazione nazionale del turismo,
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richiama (art. 4, terzo comma) le «commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle
controversie tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti inerenti la fornitura di servizi
turistici», anch’esse istituite presso le Camere di Commercio. Il legislatore con la legge 29
marzo 2001 n. 135 ha voluto accordare particolare attenzione nel normare le procedure che
riguardano vertenze aventi ad oggetto il settore turistico.
I vantaggi si possono ottenere da una dettagliata regolamentazione dell’A.D.R. in questo
settore sono di grandissima rilevanza.
Le Camere di Commercio, di concerto con le associazioni di categoria si sono adoperate per
istituire nell’ambito della loro funzione di regolazione del mercato all’interno del già esistente Sportello di conciliazione, un servizio di conciliazione specializzato nella risoluzione
delle controversie inerenti al settore turismo. L’iniziativa rappresenta un valore aggiunto per
le imprese turistico-ricettive, perché si configura come un marchio di qualità e di garanzia
nei confronti dell’utenza.
Nel settore turistico, i conflitti giungono fino alle aule dei tribunali, tanto nei rapporti tra
imprenditori, quanto tra imprenditori e consumatori, in numero decisamente limitato se
paragonato al volume d’affari tipico dell’industria di settore.
Negli ultimi tempi, ad ogni modo, si registra un aumento di contenzioso dovuto all’innalzamento del livello di tutela dei fruitori dei servizi turistici. Le cause di tale cambiamento
sono infatti, da ricercare nella circostanza che, il legislatore italiano con la legge n. 135 del
29 marzo 2001 ha provveduto a disciplinare in modo dettagliato, il settore turistico, rafforzando sensibilmente la posizione dei turisti-consumatori, i quali hanno preso sempre più
coscienza dei propri diritti in ordine a qualità, efficienza e sicurezza del diritto offerto dai
fornitori dei servizi turistici.
La legge quadro sul turismo del 2001 opera una radicale svolta rispetto alla precedente legge
quadro sul turismo del 1983, la n. 217, che dedicava alcuna considerazione al problema
della tutela del turista, né tanto meno si occupava della istituzione di organismi, alternativi
al giudice ordinario, ai quali demandare il contenzioso derivante dai rapporti inerenti il
settore turistico.
Con la legge quadro del 2001 il legislatore ha predisposto un sistema alternativo della risoluzione delle controversie diverso dal tradizionale ricorso all’Autorità giudiziaria prevedendo, dunque, lo strumento della conciliazione. La legge 29 marzo 2001, n. 135 ha, altresì,
avuto un ruolo di primaria importanza presso le Camere di Commercio nella gestione e
risoluzione delle controversie mediante il ricorso alla conciliazione, recante la riforma della
legislazione nazionale del turismo. All’interno di questa disciplina è stata prevista mediante
l’art. 4 rubricato «Promozione dei diritti del turista», l’istituzione di una Carta dei diritti del
turista.
Normalmente, il consumatore-turista era portato a ritenere che non valesse la pena iniziare
un procedimento contenzioso per tentare di recuperare un basso valore economico, mentre
il costo delle spese processuali da affrontare risultava spropositato rispetto allo scarso rilievo
della questione affrontata. Consapevole di tale situazione, il legislatore italiano, nell’emanare la legge quadro sul turismo (legge 29 marzo 2001, n. 135) ha previsto al terzo comma dell’art. 4, la predisposizione di procedure di conciliazione per la composizione delle
controversie tra imprese e consumatori ed utenti in materia di fornitura di servizi turistici
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con il chiaro intento di semplificare le regole del contenzioso e, di conseguenza, di portare
in superficie quella parte di conflitti rimasta fino a quel momento sommersa. Attraverso lo
strumento della procedura di conciliazione il legislatore ha voluto ottenere anche un significativo effetto deflattivo del contenzioso gravante sulla giustizia ordinaria, dal momento
che essa può rappresentare un rimedio efficace per risolvere le lungaggini e l’intasamento
della macchina giudiziaria.
Un punto particolarmente importante e qualificante è dato dal contenuto del primo comma dell’art. 4 della Carta contenente diverse tipologie di informazioni sui diritti del turista,
sia per quanto riguarda la fruizione dei servizi turistico-ricettivi, nonché sulle procedure di
ricorso, anche mediante conciliazione ed arbitrato, nei casi di inadempimento contrattuale
dei fornitori dell’offerta turistica. Sulla base del tenore letterale della norma, molte Camere
di Commercio, industria, artigianato e agricoltura, singolarmente o in forma associata, ai
sensi delle legge 29 dicembre 1993, n. 580, come ricordato in precedenza, hanno costituito
commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra
imprese e consumatori ed utenti proprio in relazione alla fornitura di servizi turistici. Gli
utenti inoltre, hanno anche la possibilità di farsi rappresentare, nello svolgimento della
procedura, dalle associazioni di consumatori. Ne consegue che, laddove i consumatori abbiano subito un inadempimento in conseguenza del comportamento scorretto dell’impresa
turistica con la quale avevano stipulato un contratto per la prestazione di servizi, in caso di
conciliazione innanzi alle apposite strutture operanti presso le Camere di Commercio, possono avvalersi delle associazioni dei consumatori per tutelare i loro diritti. Tale possibilità
può poi, realizzarsi in vari modi. Innanzitutto, si può richiedere che nel collegio costituito
per addivenire alla conciliazione sia presente anche un rappresentante delle associazioni di
tutela dei consumatori, oppure si può pretendere che tra i soggetti chiamati a scegliere il
conciliatore sia presente anche un rappresentante dei consumatori oppure può ancora ammettersi che il turista possa richiedere l’assistenza di un rappresentante delle associazioni di
difesa dei consumatori durante la procedura di conciliazione.
8.4.7 Il d.lgs. 5/2003 relativo alle controversie in materia societaria
La più importante novità in materia di conciliazione societaria è stata regolata dagli artt. 38
e ss. del d.lgs. n. 5/2003 sui procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione societaria nonché in materia bancaria e creditizia. Il legislatore ha infatti previsto lo
svolgimento del tentativo di conciliazione davanti ad organismi istituiti presso enti pubblici
o privati che abbiano ottenuto l’iscrizione nel registro tenuto dal ministero della Giustizia.
Una posizione privilegiata è riconosciuta agli organismi di conciliazione delle Camere di
Commercio che vengono iscritti nel registro su semplice richiesta.
Il tentativo dei conciliazione per le controversie societarie può essere gestito da organismi
che non abbiano richiesto ed ottenuto l’iscrizione nel suddetto registro, così come nulla
vieta che possano svolgersi conciliazioni ad hoc in materia societaria: in tutti questi casi
avremo però procedure di conciliazione c.d. di diritto comune che, come tali, non potranno godere degli incentivi e degli effetti che la legge riconosce alle conciliazioni di diritto
speciale gestite da organismi riconosciuti.
Il d.lgs. n.5/2003 prevede infatti tutta una serie di misure volte ad incentivare il ricorso alla
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conciliazione societaria amministrata (tra i quali l’esenzione di tutti gli atti, documenti e
provvedimenti del procedimento dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, nonché l’esenzione dall’imposta di registro del verbale di conciliazione entro il valore di 25.000 euro)
riconoscendo altresì gli effetti della domanda giudiziale alla comunicazione della istanza di
conciliazione, portata a conoscenza della controparte con qualsiasi mezzo idoneo a dimostrare l’avvenuta ricezione; la rilevanza processuale della clausola di conciliazione inserita
nel contratto o nello statuto della società; nonché l’efficacia di titolo esecutivo per l’espropriazione forzata e per l’esecuzione in forma specifica, al verbale di conciliazione omologato
dal Presidente del Tribunale, e l’idoneità dello stesso per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
8.4.8 La legge n. 129/2004 relativa alle controversie in materia di franchising
La legge 6 maggio 2004, n. 129 ha esteso l’applicazione della conciliazione stragiudiziale anche alle controversie nascenti dai contratti di affiliazione commerciale (franchising).
All’uopo, l’art. 7 della legge prevede espressamente che «per le controversie relative ai contratti di affiliazione commerciale le parti possono convenire che, prima di adire l’Autorità giudiziaria o ricorrere all’arbitrato, dovrà essere fatto un tentativo di conciliazione presso la Camera di
Commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui territorio ha sede l’affiliato. Al procedimento di conciliazione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 38,
39 e 40 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, e successive modificazioni».
8.4.9 La legge 55/2006 relativa alle controversie in materia di patto di famiglia
La disciplina del patto di famiglia introdotta nel codice con la legge 55/2006, impone, attraverso l’art. 768-octies, sia alle parti che hanno stipulato il contratto, sia agli altri soggetti
(legittimari) che non abbiano partecipato al patto, di devolvere preliminarmente le controversie di cui al capo V-bis agli Organismi di conciliazione previsti dall’art. 38 del d.lgs. n.
5/2003 e dunque alle Camere di Commercio.
Il legislatore dunque nel disciplinare in maniera specifica le vicende relative al passaggio generazionale dell’azienda di famiglia, considerato l’alto tasso di litigiosità tra eredi generato
da siffatti accordi ereditari, con l’obiettivo di preservare il valore produttivo dell’impresa
familiare, ha previsto un tentativo di conciliazione obbligatorio.
La scelta per la speciale conciliazione amministrata delle società peraltro resta giustificata
dal fatto che il patto di famiglia presuppone la necessaria qualità di imprenditore del capo
dell’azienda familiare e può avere ad oggetto partecipazioni sociali che rappresentino il
pacchetto di riferimento di controllo dell’azienda familiare.
8.4.10 Camere di Commercio e mediazione in materia di condominio
Le recentissime norme sulla cd. mediazione civile obbligatoria hanno inserito d’imperio
l’obbligo di effettuare un tentativo di conciliazione, prodromico alla causa civile. In particolare, il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (in G.U. del 5 marzo 2010, n. 53 - attuativo della riforma
del processo civile di cui alla legge n. 69/2009), ha prescritto al suo art. 5 l’obbligatorio
esperimento di un preventivo «procedimento di mediazione» per chi «intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio...», prevedendo, al contempo, che «l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della
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domanda giudiziale». È opportuno sottolineare come le predette esigenze di conciliazione
della conflittualità condominiale, nonché le possibilità offerte dall’istituto in tal senso, siano state già avvertite dalle Camere di Commercio che, com’è noto, costituiscono l’organismo istituzionalmente deputato alla promozione della conciliazione ed alla predisposizione
dei relativi strumenti operativi/attuativi. Non è un caso, infatti, che, sul territorio nazionale, più d’una Camera abbia organizzato servizi di consulenza in ambito condominiale
i quali costituiscono il miglior mezzo possibile a favore dell’utilizzazione degli strumenti
di risoluzione alternativa delle controversie. È il caso delle Camere di Commercio di La
Spezia, Napoli, Pistoia, Prato, Teramo e Torino tra le quali molte hanno organizzato, in
affiancamento all’usuale funzione di A.D.R., anche un servizio di consulenza condominiale
(cd. «sportello del condominio») che costituisce un primo argine al ricorso indiscriminato
all’Autorità Giudiziaria. Tali iniziative non di rado sono realizzate in collaborazione con le
Associazioni del settore (quelle degli amministratori di condominio, soprattutto, che sono
il più immediato collettore delle lamentele dei condomini) e prevedono la sottoscrizione di
convenzioni agevolative che, contemplando una sensibile riduzione dei costi del servizio,
rendono il ricorso alla conciliazione pienamente accessibile ad ogni tipologia di utenza.
8.5 Il regolamento unioncamere
Il nuovo impianto ispirato alla finalità generale di creare i poli di una giustizia rapida, efficace e soddisfacente, e a quella, più particolare di tutelare le parti più deboli, appare privo
di sistematicità.
Infatti, la previsione di varie forme di conciliazione ratione materiae fa pensare a più servizi
di conciliazione, a più regolamenti e a più commissioni differenziate che potrebbero creare
una estrema disarticolazione nello svolgimento della funzione paragiurisdizionale. Di qui
l’iniziativa di Unioncamere volta a ricomporre l’istituto attraverso la predisposizione di
linee-guida contenenti i principi fondamentali sui quali fondare i regolamenti, con gli opportuni adattamenti a seconda delle peculiarità settoriali ed economico-territoriali.
Nel mese di maggio 2005 Unioncamere ha adottato un regolamento uniforme di conciliazione, a modifica di quello precedentemente emanato nel 2002, allo scopo di adeguarsi
alle prescrizioni delle riforme legislative sopravvenute e di dare risposta alle necessità emerse dagli operatori camerali durante il triennio di applicazione del primo regolamento. Il
Regolamento non è specifico in materia societaria ed è applicabile anche agli altri tipi di
controversie.
8.5.1 L’avvio del procedimento
Si stabilisce anzitutto l’ambito di applicazione: Le Camere di Commercio italiane hanno
una competenza istituzionale per i servizi di conciliazione in ambito economico, ma non ci
sono preclusioni alla loro possibilità di intervenire anche in controversie tra privati.
Il Regolamento prevede che la qualificazione della natura della controversia spetta alla parte
che ha depositato la domanda, anche se nel corso del procedimento le parti hanno la possibilità di concordare una diversa qualificazione.
È disciplinata la modalità di avvio del servizio di conciliazione, la presentazione della domanda e della risposta, la nomina del conciliatore, la fissazione della data dell’incontro,
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la conciliazione multiparte ed i termini entro cui gli adempimenti relativi alle procedure
devono svolgersi.
È altresì contemplata una parte ove vengono descritte le modalità attraverso cui le parti
possono giungere alla conciliazione:
-- per previsione contenuta in clausola contrattuale;
-- per decisione congiunta a controversia insorta;
-- su proposta effettuata da una delle parti e accettazione dell’altra;
-- come adempimento all’obbligo stabilito dall’ordinamento giuridico come condizione
di procedibilità della domanda.
La conciliazione inizia quando una delle parti si rivolge al Centro il quale è deputato a contattare l’altra perchè l’incontro abbia luogo. Da qui l’importanza dell’adeguata formazione
degli operatori amministrativi che dovrebbero ricevere la stessa formazione di base dei conciliatori per poter utilizzare un approccio imparziale ed un linguaggio neutrale con le parti.
Si stabilisce inoltre che la segreteria debba informare la controparte, nel più breve tempo
possibile, dell’avvenuto deposito della domanda con mezzi idonei a dimostrarne la ricezione e con l’invito a rispondere entro il termine di 15 gg. dal ricevimento della comunicazione. Tali termini sono però intesi quali ordinatori in mancanza di decadenze espressamente
previste.
Il tentativo di conciliazione è stato di recente stabilito dal d.lgs. 28/2010 come obbligatorio
per le materie di cui all’art. 5. Questo tentativo è condizione sine qua non per la procedibilità dell’eventuale successiva domanda giudiziale.
Quando si parla di obbligatorietà della conciliazione, si allude all’obbligo di presentarsi alla
sessione conciliativa. Tanto la permanenza delle parti nella procedura, come la decisione sul
raggiungimento di un accordo rappresentano una scelta riservata alle stesse.
Il tentativo dovrà considerarsi espletato con la sola presentazione delle parti e la manifestazione, di una o di entrambe di non volere proseguire la conciliazione.
Attualmente in Italia il sistema più utilizzato per accedere alla conciliazione consiste nella
richiesta del servizio formulata da una delle parti. Di conseguenza, una volta ricevuta la
domanda, il servizio dovrà stabilire la data della sessione, nominare il conciliatore e trasmettere la proposta del tentativo all’altra parte.
L’operatore che contatterà le parti telefonicamente e che redigerà le lettere dovrà analizzare
con accuratezza il miglior modo per trasmettere le informazioni e dovrà spiegare le caratteristiche della conciliazione evitando di entrare nel merito della controversia.
È tutelata altresì la riservatezza del procedimento e di tutte le informazioni rilevate dalle
parti, obbligo imposto si al conciliatore che ai soggetti della controversia e per tutti coloro
che abbiano preso parte all’incontro.
8.5.2 Il funzionamento della conciliazione delle Camere di Commercio
Agli utenti del servizio di conciliazione (nella maggior parte delle Camere di Commercio
identificato come Sportello di conciliazione) il funzionario preposto offre una serie di indicazioni pratiche per illustrare il funzionamento del tentativo di conciliazione, i vantaggi del
suo utilizzo e le modalità con cui il procedimento si svolge. Il primo obiettivo è quello di
informare sulle modalità attraverso cui si snoda il tentativo di definizione bonaria.
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La conciliazione inizia attraverso la domanda del privato o dell’impresa che decide di aderire alla procedura.
La parte interessata può depositare una domanda in cui, riassunti i motivi delle proprie
lamentele, chiede di tentare una conciliazione. Al momento del deposito la parte dichiara di
conoscere le condizioni di offerta del servizio, che già sono state illustrate verbalmente, riassunte in un testo (denominato, a seconda dei casi, come “Linee guida” o “Regolamento”).
Da qui parte il procedimento dell’ufficio: nessun onere di notificazione o comunicazione,
in quanto è lo Sportello di conciliazione che si incarica di far incontrare i soggetti aventi
interessi contrapposti. Il funzionario informa la controparte, attraverso una comunicazione
scritta, seguita da un contatto telefonico, dell’avvenuto deposito. Non c’è alcun obbligo
di accettare tale invito: anche per questo motivo è necessario che il funzionario illustri lo
scopo della richiesta di conciliazione e i possibili risultati positivi che potrebbero derivare
da un incontro.
Se la controparte rifiuta, il funzionario invia una comunicazione in tal senso a colui che ha
depositato la domanda e questi sarà libero di decidere quali passi compiere, restando intatto
il suo diritto a tutelare i propri interessi anche in sede giudiziale.
Lo schema della conciliazione prevede incontri unilaterali e incontri bilaterali: il conciliatore con ciascuna parte separatamente ed il conciliatore con entrambe le parti.
Questa tecnica consente di selezionare i modi del contendere ed individuare i punti d’accordo.
Il conciliatore deve chiedere di discutere separatamente con ciascuna parte in modo da evidenziare alcuni punti poco chiari, egli cercherà di evitare che si crei un’atmosfera conflittuale,
eviterà di evidenziare gli elementi che separano le parti mettendo in risalto quanto le unisce.
L’incontro tra le parti ed il conciliatore può durare anche diverse ore, ove opportuno è possibile fissare una nuova riunione di comune accordo.
Le parti hanno facoltà di discutere ogni elemento ritenuto utile a mettere chiarezza nella
discussione.
Terminato l’incontro, qualora si sia raggiunto un accordo, le parti sottoscrivono un verbale
di conciliazione con il quale definiscono la controversia anche nella prospettiva di eventuali
rapporti futuri. Secondo la recente disciplina dettata dal d.lgs. 28/2010, al verbale deve
essere allegato il testo dell’accordo a pena di nullità radicale dello stesso. Tale accordo, il cui
contenuto non sia contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, una volta omologato
dal tribunale, costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in
forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Nel caso in cui l’accordo non sia stato raggiunto viene redatto un verbale in cui le parti sottoscrivono di essersi incontrate e di avere cercato, senza successo, di trovare una soluzione.
Anche tale esito negativo può sortire effetti sulla al processo di regolazione di futuri rapporti
tra le parti. Poiché dotato di efficacia esterna al processo di mediazione, il verbale di mancato accordo può incidere sulla regolamentazione delle spese di lite del processo celebrato
dinnanzi all’Autorità giudiziaria. La legge n. 69/2009, modificativa dell’art. 91 c.p.c., ha
infatti stabilito che ove la parte che abbia rifiutato l’accordo senza giustificazione, vinca il
susseguente giudizio con sentenza che nel suo contenuto coincida con la proposta precedentemente formulata dal conciliatore, questa debba rifondere le spese riferibili al periodo
successivo alla formulazione del mancato accordo.
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8.5.3 Conciliatori: le norme adottate dalle Camere di Commercio
Dal gennaio 2003 le Camere di Commercio hanno adottato delle norme comportamentali
destinate ai conciliatori. Suddette norme consistono in una serie di previsioni aventi ad
oggetto la definizione degli obblighi del conciliatore nei confronti delle parti. Per la prima
volta in Italia è stato definito il rapporto tra deontologia e conciliazione attraverso un metodo operativo di facile interpretazione.
Definite nel corso del 2002 sulla base del lavoro, di poco antecedente realizzato dal forum
dei centri di mediazione dell’Unione Internazionale degli Avvocati, le norme di comportamento consistono in una serie di previsioni concise che mirano soprattutto a dare una
definizione degli obblighi del conciliatore nei confronti delle parti.
Il primo punto di suddetto regolamento sottolinea l’importanza della formazione del conciliatore, aggiornata nel tempo.
I mediatori inoltre hanno l’obbligo di migliorare le loro capacità tecniche, essi hanno il
dovere di offrire un servizio sempre migliore e quindi devono, all’esperienza assunta nei
procedimenti conciliativi svolti, la capacità di perfezionarsi seguendo corsi di formazione
specifici ed avanzati, come già previsto dagli standard Unioncamere;
Il d.lgs. n.28/2010 prevede l’adozione di un codice etico degli organismi di conciliazione.
La terzietà del conciliatore è specificata attraverso l’enunciazione del significato di indipendenza, imparzialità e neutralità.
“Indipendenza, significa assenza di qualsiasi legame oggettivo (rapporti personali o lavorativi)
tra il conciliatore ed una delle parti.
Imparzialità, indica un’attitudine soggettiva del conciliatore, il quale non deve favorire una
parte a discapito dell’altra.
Neutralità, si riferisce alla posizione del conciliatore, il quale non deve avere un diretto interesse
all’esito del procedimento di conciliazione.”
Il conciliatore deve manifestare ogni possibile ragione di ostacolo a un sereno svolgimento
dell’incontro di conciliazione riferendo di: “qualsiasi circostanza che possa influenzare la propria indipendenza, imparzialità e neutralità, anche se questa possa, di fatto, non influire sulla
correttezza nei confronti delle parti”.
Si evidenzia così la necessità che il conciliatore sia effettivamente terzo rispetto alla controversia.
Questi tre principi testè accennati sono concetti che appaiono difficilmente raggiungibili
poiché, in concreto, non dipendono solamente da situazioni oggettive, inerenti la sola persona del mediatore, ma altresì dalla percezione che le parti hanno del soggetto deputato a
moderare il loro incontro.
Dunque nel caso in cui queste abbiano di tale soggetto una percezione negativa, per esempio dovuta ad un’errata gestione dei tempi dedicati all’altra parte durante le sessioni private,
nonostante il mediatore sia totalmente indipendente, imparziale e neutrale rispetto alla
questione oggetto della lite, potrebbe comunque non essere considerato idoneo.
L’art. 14 comma 3 del d.lgs. n. 28/2010 ha previsto espressamente la possibilità di sostituzione del conciliatore, senza tuttavia delineare con precisione le ragioni che possono
giustificare un provvedimento di sostituzione. È dunque lasciata facoltà agli organismi di
conciliazione di regolamentare le possibili ipotesi di sostituzione.
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Secondo l’art. 3 di detto regolamento inoltre il conciliatore sarà il tramite necessario affinchè le parti, che spesso non sono sufficientemente edotte riguardo alle dinamiche proprie
del procedimento nonché della specifica terminologia, possano prendere coscienza della
vera natura della mediazione affinchè questa sia catalogata per quello che effettivamente
rappresenta: ossia un iter ben distinto da quello tipico del procedimento che si svolge innanzi ai giudici dello stato; caratterizzato dalla sua informalità, speditezza ed economicità,
nel quale egli mediatore non può e non vuole essere portatore di interessi specifici ma
non per questo è paragonabile ad un giudice (chè anzi a lui le parti possono liberamente
confidare dettagli che normalmente non rivelerebbero mai in giudizio); ha il dovere di tenere segreta qualsiasi informazione acquisita nel corso della procedura. Il mediatore, per il
particolare ruolo da lui svolto, potrebbe infatti portare a conoscere informazioni riservate e
sensibili, e per questo deve garantire alle parti il suo silenzio. Questo faciliterà l’instaurarsi
di un rapporto confidenziale con le parti, che si apriranno senza timori in maniera differente che se avessero di fronte un giudice o un arbitro.
Inutile poi soffermarsi sul dovere di diligenza che il mediatore deve rispettare indipendentemente dalla natura più o meno complessa della procedura e del compenso che da essa
potrà ottenere.
Secondo l’art. 5 “il conciliatore non deve esercitare alcuna pressione sulle parti”.
La determinazione del conciliatore ad aiutare le parti non deve essere confusa con la pressione psicologica che lo stesso potrebbe esercitare nei confronti dei litiganti.
Il mediatore può sondare discretamente le opinioni delle parti facendo emergere opportune
conclusioni dalle loro affermazioni ma non dovrebbe di certo sottolineare, ad esempio, i
rischi connessi all’instaurarsi di un processo o forzare le parti a siglare un accordo in realtà
non voluto.
Certi atteggiamenti potrebbero essere di fatto controproducenti, se si considera poi che le
premesse che il conciliatore deve esporre alle parti offrono loro garanzie di autocomposizione, un suo intervento attivo apparirebbe chiaramente in contrasto con lo spirito della
procedura. Tanto più che di solito gli accordi conclusi sotto la spinta di soggetti esterni
(non dotati di potere di emanare decisione vincolante nei confronti delle parti) risultano,
anche nel breve periodo, poco duraturi e fonte di nuovi conflitti.
L’art. 6 ribadisce il principio di riservatezza stabilendo che il mantenimento di tale obbligo
si esplica sia all’esterno per evitare che quanto detto trapeli al di fuori dell’ambito conciliativo sia nei confronti delle stesse parti per impedire che il conciliatore riveli informazioni
confidenziali ad una di esse, senza essere stato autorizzato.
Si presume però che la riservatezza esterna possa essere derogata dalle parti di comune
accordo se raggiunta un’intesa le parti decidono di darne notizia attraverso i media, il conciliatore potrebbe essere autorizzato a rendere noto il suo ruolo.
Ulteriore deroga al principio della riservatezza esterna è indicato dalle stesse norme di comportamento nell’espressione “salvo che non sia altrimenti previsto dalla legge o da motivi di
ordine pubblico”.
L’altro limite alla tenuta della riservatezza è dato dalla possibilità, ancora oggi attuale per
le conciliazioni svolte al di fuori dell’ambito di applicazione del d.lgs. 28/2010, di essere
chiamati come testimoni in un’eventuale causa che segua una conciliazione non riuscita
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infatti il conciliatore non ha facoltà di astensione ai sensi del c.p.p.
Un importante passo verso la tutela della riservatezza è stato compiuto nell’ambito della
riforma operata da citato d.lgs. 28/2010 che ha introdotto un principio generale di riservatezza nell’ambito della conciliazione, prevedendo l’inutilizzabilità nel successivo giudizio
delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di formazione.
Anche per quanto riguarda la riservatezza interna, in caso di “patti contrari alla legge” il dovere di riservatezza del conciliatore viene a cadere e questi sarà libero di denunciare illeciti
di cui venga a conoscenza.
8.6 La conciliazione telematica
L’applicazione degli strumenti alternativi di giustizia è entrata nel novero dei temi di legge.
Per collegarsi agli obiettivi delineati nella direttiva comunitaria di disciplina del commercio
elettronico, la 31/2000/CE, il legislatore ha fatto esplicito riferimento alla gestione informatizzata delle tecniche risolutive dei conflitti.
L’art. 19 del d.lgs. 70/2003, che ha recepito in Italia la menzionata direttiva, è rubricato “Composizione delle controversie”, il legislatore, riconoscendo l’evoluzione delle relazioni
giuridicamente rilevanti, ha previsto l’utilizzo di strumenti risolutivi proporzionati alle caratteristiche del rapporto esistente tra le parti. Si sono così legittimate forme alternative di
composizione delle controversie, se ne è riconosciuta l’adeguatezza soprattutto nei riguardi
della tutela delle relazioni che sorgono in un ambiente virtuale.
La conciliazione tradizionale è indubbiamente lo strumento risolutivo. Tale strumento si
caratterizza per essere fondato sul negoziato diretto fra i litiganti, a carattere collaborativo,
facilitato da un terzo neutrale, il conciliatore, che interviene per agevolare la comunicazione
tra le parti.
Quanto detto vale anche nell’ipotesi in cui la procedura si svolga in un contesto virtuale.
Nella conciliazione online l’incontro tra le parti ed il conciliatore non ha luogo in un ambiente fisico: contendenti e terzo neutrale dialogano attraverso strumenti offerti dalla tecnologia quali chatroom ed e-mail. Le parti ed il terzo accedono ad un’area virtuale riservata
in cui comunicano scambiandosi reciprocamente punti di vista sulla questione controversa;
il conciliatore potrà sentirli tanto in sessioni comuni che private per espletare il tentativo
di conciliazione.
8.6.1 L’ODR e le Camere di Commercio
Il primo esperimento di ODR (Online Dispute Resolution) italiana, il progetto di conciliazione Risolvi Online, è stato quello della Camera arbitrale di Milano ed è attivo dalla fine
del 2001. Tale modello operativo viene utilizzato, con caratteristiche simili dalle diverse
Camere di Commercio italiane.
Tale progetto è finalizzato allo studio e allo sviluppo delle modalità di risoluzione delle
controversie commerciali. Nella progettazione di Risolvi Online si è attinto dall’esperienza
maturata del Servizio di conciliazione della Camera Arbitrale che offre conciliazione facoltativa tradizionale, cercando di trasporre in chat un incontro di conciliazione.
Il metodo di accesso alla procedura è analogo a quello usato per gli incontri che si svolgono
80
in via tradizionale, il tutto però viene svolto attraverso la compilazione di appositi form
elettronici.
Se la richiesta va a buon fine, una volta stabilita la data e l’ora, l’incontro si svolge tramite
l’accesso ad una chatroom ove la discussione potrà svolgersi attraverso la partecipazione
contemporanea di tutti i soggetti collegati alla chat, oppure attraverso sessioni separate, per
ovvie questioni di riservatezza che sono state già accennate.
Lo svolgimento dell’incontro virtuale non si discosta da quello tradizionale se non per il
fatto di poter prevedere lo svolgimento tramite scambio di email, con ovvio pregiudizio alla
speditezza della procedura.
Un indubbio vantaggio consiste nel fatto che le parti, utilizzando le loro chiavi di accesso,
possono accedere alla pagina del verbale, per poterlo stampare, sottoscrivere ed infine inviarlo tramite posta o fax all’ente perchè ne controlli la validità.
Il ruolo del conciliatore resta dunque immutato, così come il metodo di comunicazione
adottato, che dev’essere volto alla moderazione dell’incontro, alla trasmissione di un’immagine autorevole e degna di fiducia, attraverso l’utilizzo di messaggi brevi e chiari, frequenti
riepiloghi al fine di facilitare la comprensione ed un possibile esito positivo del procedura.
Il metodo informatico si rivela essenziale nelle ipotesi in cui le parti, lontane geograficamente, dovrebbero sostenere dei costi ulteriori rispetto a quelli richiesti da una conciliazione tradizionale.
Inoltre l’utenza ha dimostrato di preferire alla comunicazione in tempo reale, la comunicazione tramite e-mail, che tuttavia ha dilatato i tempi di risoluzione.
Tra le altre esperienze nazionali in materia di ODR ricordiamo quelle delle Camere di
Commercio di:
-- Ancona, specializzata in controversie relative a beni e servizi online, fornitura di servizi
internet ecc. dotata di servizi di videoconferenza;
-- delle regioni Toscana, Piemonte, Lazio ed il relativo sistema “Concilia on line”;
-- Treviso ed il servizio denominato WebCuria, sviluppato per Curia Mercatorum. Caratteristiche distintive di tale servizio sono: la facoltà di scelta del conciliatore tra tre diversi
nominativi con allegati curricula, la presenza di un’area riservata in cui sono raccolti
tutti i documenti relativi alla controversia e la possibilità di controllare online lo status
della procedura.
8.7 Bibliografia
-- A. Buonfrate, C. Giovannucci Orlandi, Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre
ADR, UTET, 2006, pp. 300-301, 329.
-- A. Buonfrate, A. Leogrande, La giustizia alternativa in Italia tra A.D.R. e conciliazione,
in Rivista dell’arbitrato 1999, F.2, pp.375-388.
-- G. Romualdi, La conciliazione amministrata: esperienze e tendenze in Italia, in Rivista
dell’arbitrato, 2005, F.2, pp. 401-429.
-- M. De Rita, L’arbitrato tra pubblico e privato. Le nuove commissioni arbitrali e conciliative
delle Camere di Commercio, in Rivista Amministrativa della Repubblica italiana, 1997,
F. 2-3, p.t.2, pp. 213-220.
-- D. Marinelli, A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) Guida operativa per Conciliatori ed
81
Arbitri, Simone, 2006, pp. 55- 66, 82-88.
-- A. Maggipinto, Sistemi alternativi di risoluzione delle controversie nella società dell’informazione, Nyberg, 2006, pp. 269-279.
-- G. Di Rago, M. Cicogna, G. N. Giudice, Manuale delle tecniche di mediazione nella
nuova conciliazione, Maggioli, 2010, pp. 269-399.
-- A. Ciccia, La conciliazione delle controversie. Procedura, normativa e modulistica, Halley,
2005, pp. 15-27.
-- N. Soldati, La nuova mediazione e conciliazione, Gruppo24ore, 2010, pp. 223-237,
243-255, 339-364.
-- Avv. Luigi Modaffari, La disciplina della conciliazione, in Filodiritto (http://www.filodoritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=1804).
82
9. ALTERNATIVE DISPUTE RESOLUTION: L’ISTITUTO DELLA CONCILIAZIONE TRA ANTICHE
DIFFIDENZE E PROSPETTIVE EVOLUTIVE
A cura dell’Avv. Maria Rita Iorio
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
L’Autore nel testo che segue esamina l’istituto della conciliazione nel nostro ordinamento
partendo da riferimenti storici, descrivendo l’istituto negli ordinamenti preunitari per poi
esaminare le sue evoluzioni e la sua configurazione nel codice di procedura civile attualmente vigente. Particolare attenzione dedica l’autore all’esame del la conflittualità nel nostro
sistema di relazioni industriali-sindacali e all’analisi del processo del lavoro per passare poi
ad illustrare come alcune regole processuali potrebbero essere migliorate per consentire un
minore ricorso al processo ed al contempo una maggiore specializzazione del magistrato
all’utilizzo di tecniche conciliative. L’ultima parte del lavoro, dopo alcuni cenni all’istituto
di “common law”denominato court-annexed arbitration, è volto all’esame del recente decreto 4 marzo 2010, n. 28, che introduce e disciplina l’istituto della mediazione civile e
commerciale, nel processo ordinario civile. Secondo l’autore questo strumento legislativo
potrebbe costituire un valida occasione per incominciare ad essere parti attive del profondo
mutamento del modo di pensare l’accesso alla giustizia nel nostro Paese in quanto si ritiene
urgente dare vita ad un sistema alternativo al ricorso al processo per addivenire alla risoluzione delle liti tra le parti.
9.1 Posizione del Problema
Nel nostro Ordinamento è sempre più pressante il bisogno di dare vita ad un sistema alternativo efficiente per addivenire alla risoluzione delle controversie tra le parti. Un sistema
che si ponga come alternativa efficace all’intervento del giudice e quindi che scongiuri
l’attivazione della macchina giudiziaria. L’accesso alla giustizia per tutti i cittadini è un
diritto fondamentale riconosciuto dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali all’art. 6 ed il diritto ad un ricorso che sia effettivo è
un principio di carattere generale dell’ordinamento comunitario presente nell’art. 47 della
Carta dei diritti fondamentali della Unione europea. Molti degli sforzi della Unione europea sono volti a cercare di facilitare l’accesso alla giustizia attraverso un sistema di semplice
informazione sui metodi di giustizia alternativa ed ad accelerare e semplificare la risoluzione
delle controversie.
L’istituto della conciliazione può costituire in quest’ottica, un valido strumento di alternativa al processo. Esso era d’altro canto conosciuto già nell’ordinamento romano, presente
nelle XII Tavole. I magistrati erano infatti tenuti a ratificare in sentenza l’accordo che le
parti avessero eventualmente raggiunto prima di intraprendere la via giudiziaria. Sappiamo,
inoltre, che nel Medioevo il Vescovo nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali ecclesiastiche utilizzava il tentativo di conciliazione in funzione di consiglio e mediazione. Si deve
tuttavia agli ordinamenti preunitari di metà del 1800 uno sviluppo significativo di questo
istituto specie nell’Italia meridionale dove l’esistenza di giudici conciliatori aveva sensibilmente migliorato non soltanto la qualità delle risoluzioni delle controversie ma la stessa fiducia del cittadino nei confronti dell’apparato giustizia. Il codice di procedura civile entrato
83
in vigore nel 1886, contemplava infatti la figura del giudice conciliatore. I giudizi innanzi
al conciliatore erano privi di formalità, le domande e le difese erano espresse verbalmente se
l’oggetto della controversia era inferiore a 30 lire il verbale era titolo esecutivo; se l’oggetto
era di valore maggiore aveva forza di scrittura privata tra le parti da utilizzare in giudizio. Si
deve ad una legge del 1892, n. 261, l’allargamento delle competenze del giudice conciliatore, che si estese a tutte le azioni commerciali, civili e personali con valore che non eccedesse
le 100 lire. La legge 295 del 1893, introdusse poi, nelle controversie di lavoro il tentativo di
conciliazione obbligatorio davanti ad appositi collegi di probiviri costituiti nelle fabbriche.
Questa particolare figura di giudice svolgeva due funzioni, quella di composizione delle
controversie quando veniva richiesto dalle parti, con una esplicita funzione conciliativa e
quella di giudicare le controversie con funzione dunque giurisdizionale. Tali caratteristiche lo distinguevano dalle altre figure di giudice ed inoltre era presente capillarmente sul
territorio essendo prevista la sua figura in ciascun Comune. Con l’avvento del codice di
procedura civile del 1940 ancora in vigore, al giudice conciliatore in funzione contenziosa e
non contenziosa di cui agli artt. 320 e 322 c.p.c., si affianca il tentativo di conciliazione nel
corso del giudizio svolto dal giudice ordinario o da un soggetto da questo delegato. Diviene
così un episodio, un intervento preliminare alla trattazione della causa. Alla fine del secondo conflitto mondiale la figura del conciliatore muta ulteriormente; da parte del legislatore
non si ravvede più una fiducia nei confronti dell’istituto della conciliazione. La convinzione
era che questo istituto e il ruolo del giudice chiamato ad impersonarlo fosse ormai legato
ad una cultura e società agricola dalla quale ci si voleva affrancare in quanto non poteva più
soddisfare la società pluralista e neo-industriale che si andava delineando. La conciliazione
si trasforma così in un episodio preliminare alla pressante domanda di giustizia. La figura
del giudice di pace istituita con legge n.374 del 21 novembre 1991 ha perduto la funzione
di conciliazione delle controversie per divenire una figura di giudice cui è devoluta una
fetta della giurisdizione di competenza del giudice ordinario. L’istituto della conciliazione
giudiziale svolta prima del giudizio è così tramontato in quanto è venuta meno la cultura
della conciliazione non ritenuta più soddisfacente per le nuove esigenze del contenzioso
industriale e per il prepotente avvento di una nuova concezione di conflitto.
9.2 Il conflitto e le regole
Il decadimento dell’istituto della conciliazione si deve dunque ad una concezione dell’ordinamento e delle regole che lo compongono di forte accentramento statale dove la certezza
del diritto si ritiene essere garantita da strumenti formali e dettagliatamente disciplinati
della decisione delle controversie. Il conflitto è inteso come un evento patologico ma allo
stesso tempo tutta l’impostazione delle nostre regole porta verso una esasperazione della
conflittualità che va risolta in sede tecnica da soggetti professionalmente addetti a farlo
nell’ambito di una procedura formalizzata che è rappresentata dal giudizio. La logica della
prevenzione è poco sviluppata, non si ritiene in grado di garantire la composizione delle
controversie sebbene ve ne siano diversi esempi. Si pensi a quanto accade nelle controversie di lavoro. L’art. 410 c.pc., prevede che prima di adire il giudice è necessario esperire un tentativo di conciliazione pena l’improcedibilità dell’azione giudiziale. Il tentativo
obbligatorio di conciliazione è esperibile sia in sede sindacale che in sede amministrativa
84
presso le Direzioni Provinciali del Lavoro. Si tratta di tentativi di conciliazione gratuiti.
Se il tentativo di conciliazione si svolge in sede sindacale il processo verbale di avvenuta
conciliazione è depositato presso la direzione provinciale del lavoro a cura delle parti o per
il tramite del sindacato. La DPL accertatane l’autenticità lo deposita presso la cancelleria
del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice dopo avere accertato la regolarità formale del verbale di conciliazione lo dichiara esecutivo con decreto. Il tentativo
di conciliazione in sede amministrativa si svolge presso la direzione provinciale del lavoro
nella cui circoscrizione è sorto il rapporto o dove si trova l’azienda o la dipendenza alla quale
il lavoratore è addetto. Con le nuove riforme in materia di diritto del lavoro, il d.lgs. n.
276/2003, noto anche come riforma Biagi del mercato del lavoro, ha incentivato l’attività
di consulenza degli organismi ispettivi delle direzioni provinciali del lavoro. Nell’art.11 del
d.lgs. n. 124/2004, di riforma delle funzioni ispettive, troviamo disciplinata la conciliazione monocratica che costituisce uno strumento per la risoluzione di controversie tra le
parti del rapporto di lavoro, compresi i rapporti che si basano su contratti di collaborazioni
a progetto o di prestazioni coordinate e continuative. Tale conciliazione può essere svolta
direttamente dall’ispettore del lavoro in sede di accesso ispettivo dietro consenso delle parti
o può essere preventiva quando la DPL competente a seguito di richiesta di intervento di
un sindacato o di un lavoratore convoca le parti ed effettua un tentativo di conciliazione
tra prestatore e datore di lavoro. Le parti possono farsi assistere anche da un legale. Questo
tipo di conciliazione non può avere ad oggetto questioni riguardanti diritti patrimoniali di
rilevanza penale. Anche attraverso l’istituto della Certificazione dei contratti di lavoro se
sorgono controversie in ordine ad un dato contratto che è stato certificato la stessa Commissione che ha proceduto alla certificazione assume il ruolo di conciliatore. Il tentativo di
conciliazione può portare ad un accordo che va verbalizzato e sottoscritto da un funzionario
della D.P.L. che sarà pienamente valido ed efficace nei confronti del datore di lavoro e nei
confronti dell’INPS per il pagamento dei crediti contributivi.
Al di fuori delle logiche prettamente processuali troviamo la l. n. 146/1990 e succ. mod.,
che regolamenta l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, quali per
citarne solo alcuni, tutte le forme di trasporti (ferroviario, marittimo, aereo, urbano ed extraurbano), scuola, università, sanità, farmacie private e pubbliche, Camere di Commercio,
enti pubblici non economici, magistrati, avvocati, autotrasporto in conto terzi, gestori di
carburanti quindi anche i lavoratori autonomi, etc. prevede che datore e rappresentanti dei
lavoratori (sindacati o associazioni professionali), concludano degli accordi che disciplinano ogni fase della proclamazione di sciopero e della effettuazione. In essi è previsto, altresì,
che le stesse parti fissino delle regole, dette procedure di raffreddamento e conciliazione,
da esperirsi prima della proclamazione dello sciopero, per scongiurare l’effettuazione dello
stesso, scandite da precise fasi temporali in cui le stesse parti sono tenute ad incontrarsi per
cercare di addivenire consensualmente ad una soluzione del contenzioso su specifici profili
di applicazione del contratto o su eventi come fusioni aziendali, esuberi, etc.. Le seconde
fasi delle procedure in sede nazionale, sono di regole svolte innanzi agli uffici del ministero
del lavoro.
Va osservato tuttavia che sia le procedure di raffreddamento e conciliazione sullo sciopero
nei servizi pubblici essenziali che il tentativo di conciliazione in materia di controversie di
85
lavoro di cui si è detto sopra, non hanno sortito l’effetto sperato, quello di deflazionare il
ricorso allo sciopero o la conciliazione giudiziale della lite. Gli ostacoli sono rappresentati,
per quanto riguarda il ricorso allo sciopero e agli istituti della riforma Biagi, da un sistema di relazioni industriali improntato a modelli di contrapposizione netta tra datore e
sindacato rappresentante dei lavoratori che se dovevano servire a tutelare il lavoratore nel
dopoguerra con un sistema industriale incerto in cui occorreva individuare delle precise
tutele per il soggetto debole (lavoratore), non sono più adatti ad affrontare i cambiamenti
del sistema post-industriale in cui il cosiddetto terziario avanzato rappresenta una grossa
parte del sistema produttivo e dove il modello di contrapposizione datore-prestatore di
lavoro non è più utile alla composizione delle controversie occorrendo invece dei modelli
di reciproca concessione, per arrivare alla composizione della lite e una maggiore attenzione
alle necessità aziendali.
Per quel che riguarda la conciliazione giudiziale il fallimento della stessa si deve anche ad
una scarsa propensione del giudice alla conciliazione, ad una scarsa preparazione in tal
senso. Il giudice spesso è poco incline a trovare una mediazione tra le parti che sia soddisfacente per entrambe. Sarebbe forse opportuno prevedere dei corsi di formazione ed
aggiornamento del magistrato che ne formassero l’educazione alla vera conciliazione e ad
esempio si potrebbe introdurre una clausola normativa che vincolasse alla verbalizzazione
obbligatoria (cosa che attualmente non accade o acade troppo poco), di quanto avviene in
sede di tentativo di conciliazione ai fini della determinazione e attribuzione successiva delle
spese di lite. Questo per rafforzare l’art. 416 c.pc. che disciplina il tentativo di conciliazione
innanzi al giudice, il quale potrebbe diventare uno strumento efficace ed equo se ben gestito. A tal fine un istituto del diritto processuale civile inglese, legato proprio al regime delle
spese di lite, pensato per deflazionare l’accesso al giudice denominato payment into court,
potrebbe essere trasposto nel nostro ordinamento opportunamente adattato al rito del lavoro. Come rafforzativo della fase conciliativa l’istituto si articolerebbe nel modo seguente:
una volta che il lavoratore deposita in cancelleria il proprio ricorso introduttivo, con ciò
avviando la fase processuale, il datore di lavoro sarebbe tenuto a formulare una ragionevole
offerta transattiva comprensiva delle spese del giudizio. Offerta questa da comunicare al
lavoratore per iscritto in busta chiusa e al contempo da depositare in cancelleria unitamente
al fascicolo di parte opportunamente vidimata. In sede di tentativo di conciliazione ex art.
416 c.p.c. innanzi al giudice, se il lavoratore accetta l’offerta il giudizio si estingue. Sia che
l’offerta venga accettata, sia che venga rifiutata il giudice è tenuto a verbalizzare l’accaduto.
Qualora l’offerta non venga accettata e si prosegua l’azione, nel casi un cui la sentenza
stabilisca una somma totale inferiore a quella depositata il lavoratore che ha rifiutato l’offerta sarà tenuto al pagamento di tutte le spese del giudizio. Il giudice non deve conoscere
l’ammontare dell’offerta contenuto nella busta che aprirà solo dopo la sentenza ai soli fini
della liquidazione delle spese nel caso in cui in sede conciliativa non sia stata accettata. Il
fine dell’istituto è anche quello di deflazionare e scoraggiare temerarie ed eccessive richieste
di somme. Il legislatore tuttavia, non soltanto lavorista, sembra si stia muovendo verso il
potenziamento - laddove esistenti - o verso l’individuazione di tecniche deflattive preprocessuali o comunque preventive alla controversia.
Infatti, con la XV Legislatura sono stati presentati in Parlamento alcuni progetti di leg-
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ge di riforma del processo del lavoro. Due in particolare discussi in Senato, il disegno di
legge n.1047 (c.d. ddl Salvi-Treu) e il disegno di legge n. 1163 (c.d. ddl Sacconi). Entrambi puntano sul tentativo preventivo di conciliazione (riformulando l’art. 410 c.pc.)
e sull’arbitrato rituale ed irrituale. In entrambi si punta sulla conciliazione preventiva mediante agevolazione fiscali e contributive ed esclusione di sanzioni civili e amministrative. Nel progetto c.d. Sacconi l’arbitrato irrituale è particolarmente evidenziato
come mezzo di deflazione processuale, mentre il progetto Salvi-Treu prevede una conciliazione endoprocessuale con un conciliatore diverso dal giudice. Anche per quel che
riguarda lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Il Consiglio dei Ministri del 27 febbraio 2009, ha approvato un Disegno di legge per il conferimento al Governo di una
delega diretta a realizzare «un migliore e più effettivo contemperamento tra esercizio
del diritto di sciopero e il diritto alla mobilità e alla libera circolazione delle persone».
L’obiettivo dichiarato del provvedimento è quello di favorire il funzionamento di un libero
e responsabile sistema di relazioni industriali.
Il Disegno di legge non riguarda, infatti, soltanto la regolamentazione dello sciopero in settori e ambiti di attività che incidano sul diritto alla mobilità e alla libertà di circolazione, ma
anche, in linea con il recente accordo del 22 gennaio 2009 sulla riforma degli assetti contrattuali, le condizioni di contesto per lo sviluppo di un sistema di relazioni industriali e di lavoro
più partecipative e meno conflittuali. Tanto è vero che si propone la sostituzione della attuale
Commissione di Garanzia con una «Commissione per le relazioni di lavoro» a cui vengono
attribuite nuove competenze in materia di conciliazione e arbitrato tra le parti in conflitto.
9.3 A.D.R. e processo: cenni comparati
L’attuale tendenza ad un ritorno seppure lento e difficoltoso verso tecniche di composizione delle controversie preprocessuali nel nostro ordinamento non può che portarci ad osservare con occhio critico quanto accade oltralpe ed oltreoceano dove, specie
nei Paesi di Common Law, le A.D.R. sono tradizionalmente più sviluppate. Anzi in
questi Paesi vi è una varietà di tecniche e metodologie di risoluzione delle controversie
alternative al processo che implica tuttavia anche una serie di aspetti negativi o discutibili. Primo fra tutti la tendenza alla creazione di numerosi organi e procedimenti che
nei modi più vari vengono usati al fine di risolvere controversie al di fuori delle corti.
Il rischio è che ci si rivolga ad organi che non offrono sufficienti garanzie di neutralità e che seguano delle procedure poco verificabili a tutto danno del soggetto più debole. In molti casi, tuttavia, organi credibili vengono posti a disposizione dei soggetti che
per le ragioni più varie non vogliono o non possono servirsi della tutela giurisdizionale. L’esperienza dei metodi di A.D.R. nei vari ordinamenti è dunque un fenomeno complesso
nel quale rimedi di grande interesse e di rilevante utilità sociale si mescolano ad abusi. Negli USA per quanto riguarda i rapporti tra A.D.R. e processo troviamo particolarmente
diffusa la court-annexed arbitration. Essa consiste nel potere, di cui viene a disporre il giudice presso il quale il processo è già stato iniziato, di rimettere le parti di fronte ad un organo
di conciliazione per un tentativo stragiudiziale di soluzione concordata della controversia, o
di fronte ad un organo arbitrale per la pronuncia di un lodo. Le parti sono tenute ad effettuare tale esperimento in ottemperanza all’ordine del giudice. Esse dispongono di opportu-
87
ni rimedi: il tentativo di conciliazione può fallire per decisione delle parti, nel qual caso esse
torneranno di fronte al giudice della causa per la prosecuzione del processo; nell’ipotesi di
arbitrato le parti possono non accettare il lodo pronunciato dall’arbitro, ed anche in questo
caso torneranno di fronte al giudice per la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie.
Nell’esperienza degli ordinamenti che adottano questi strumenti, essi danno esito positivo
e rappresentano rimedi efficaci per ridurre il carico di lavoro dei giudici ordinari. Ne riceve beneficio l’amministrazione della giustizia, ma ne ricevono benefici anche le parti che
sperimentano concrete possibilità di soluzioni più semplici e rapide della loro controversia.
9.4 Prospettive evolutive
Nel nostro ordinamento il recente d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che introduce e disciplina
l’istituto della mediazione civile, nel processo civile, potrebbe costituire un valida occasione per incominciare ad essere parti attive del profondo mutamento del modo di pensare
l’accesso alla giustizia nel nostro Paese di cui non è più possibile procrastinare l’avvio.Vai
a: Navigazione, cerca La mediazione civile o secondo la definizione data dalla Comunità
Europea mediazione civile e commerciale, che ne ha richiesto l’adozione sin dal 2008
è un istituto giuridico che, come noto, è stato introdotto con il d.lgs. n. 28 del 4 marzo
2010, (Gazzetta Ufficiale 5 marzo 2010, n. 53) che si prefigge l’obiettivo di comporre i
conflitti tra soggetti privati relativi a diritti disponibili. L’istituto è finalizzato alla deflazione del sistema giudiziario italiano rispetto al carico degli arretrati e al rischio di accumulare nuovo ritardo. Esso, infatti, rappresenta uno dei pilastri fondamentali della riforma del
nostro processo civile. Va detto che è definita mediazione civile l’attività, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti:nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia (c.d. mediazione compositiva) ma anche
nella formulazione di una proposta per la risoluzione della controversia (c.d. mediazione
propositiva). Essa costituisce quindi lo strumento che conduce alla conciliazione. Deputati alla conciliazione saranno degli organismi, enti pubblici o privati, abilitati a svolgere
il procedimento di mediazione senza l’Autorità per imporre una soluzione, iscritti in un
registro istituito con decreto del ministro della Giustizia. Potrà accedere alla mediazione
chiunque, purchè si pongano questioni inerenti diritti disponibili. Non sono previste
formalità particolari ed è possibile utilizzare anche modalità telematiche. È necessario
presentare un’istanza presso l’organismo scelto dalle parti, indicando,l’organismo; le parti;
l’oggetto; le ragioni della pretesa. In caso di più domande relative alla stessa controversia,
la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima
domanda. Il termine temporale di presentazione della domanda si individua dalla data
della ricezione della comunicazione. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al
procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa
o diritto di qualsiasi specie e natura. L’avvocato dalla data di entrata in vigore del decreto
citato è obbligato ad informare l’assistito in modo chiaro e per iscritto, della possibilità
di avvalersi del procedimento di mediazione. il documento così formato e sottoscritto dal
cliente dovrà essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. In mancanza il
giudice dovrà informare la parte della facoltà di intraprendere un procedimento di mediazione. Il decreto prevede, tre tipi di mediazione:
88
1) facoltativa, quando viene liberamente scelta dalle parti;
2) obbligatoria che entrerà in vigore decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore
del decreto, di cui sopra art. 5. Questa mediazione dovrà essere esperita, a pena di
improcedibilità da eccepire nel primo atto difensivo dal convenuto, oppure dal giudice
non oltre la prima udienza, nei casi di controversie relative a:
• condominio;
• diritti reali;
• divisione;
• successioni ereditarie;
• patti di famiglia;
• locazione;
• comodato;
• affitto di azienda;
• risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti;
• risarcimento del danno derivante da responsabilità medica;
• risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o altro
mezzo di pubblicità;
• contratti assicurativi, bancari e finanziari;
3) giudiziale, quando è il giudice ad invitare le parte ad intraprendere un percorso di
mediazione attraverso ordinanza; l’invito potrà essere fatto in qualunque momento,
purchè prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza
non è prevista, prima della discussione della causa. L’istituto della mediazione non può
comunque riguardare:
• i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle
istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
• i procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento di rito di cui
all’art. 667 c.p.c.;
• i procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 703
c.p.c., comma 3, c.p.c.;
• i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione, relativi all’esecuzione
forzata;
• i procedimenti in camera di consiglio;
• l’azione civile esercitata nel processo penale. Il procedimento di mediazione ha una
durata di quattro mesi e si svolge secondo le seguenti modalità:
1. viene presentata la domanda di mediazione;
2. il responsabile dell’organismo designa un mediatore fissando il primo incontro
tra le parti non oltre 15 giorni dal deposito della domanda;
3. viene data comunicazione all’altra parte;
4. il mediatore cerca di comporre la vertenza, se la controversia lo richiede l’organismo potrà nominare più mediatori;
5. se si raggiunge l’accordo il mediatore redige processo verbale sottoscritto dalle
parti l’accordo (non contrario all’ordine pubblico o a norme imperative), che
può prevedere il pagamento di somme di denaro per ogni violazione ulteriore o
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inosservanza, viene omologato con decreto del Presidente del Tribunale, nel cui
circondario ha sede l’organismo, previo accertamento della regolarità formale; il
verbale omologato è titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale;
6. se non si raggiunge l’accordo il mediatore redige comunque processo verbale nel
quale da atto del mancato raggiungimento dell’accordo. Le parti adiranno così
il giudice competente ed avrà inizio un regolare procedimento giudiziale. Se il
provvedimento che definisce il giudizio corrisponderà interamente al contenuto
della proposta conciliativa, il giudice potrà:
a) escludere la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la
proposta, relativamente al periodo successivo alla stessa;
b) condannare al pagamento delle spese processuali di controparte;
c) condannare al versamento di un’ulteriore somma, di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.
Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo come mediatore è
tenuto all’obbligo di riservatezza, rispetto alle dichiarazioni rese ed alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione, ex art. 9. Salvo diverso accordo delle parti,
le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono
essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato o riassunto
a seguito dell’insuccesso della mediazione. Il mediatore non può essere tenuto a deporre
sulle dichiarazioni delle parti, conosciute nel procedimento di mediazione, fruendo delle
garanzie di libertà del difensore, ex art. 103 c.p.p., nonché della disciplina sul segreto professionale, ex art. 200 c.p.p. Gli organismi deputati alla mediazione saranno enti pubblici
o privati, che diano garanzia di serietà ed efficienza, iscritti in un registro i quali dovranno formare elenchi di conciliatori, un proprio regolamento dal quale dovranno risultare
chiaramente le tariffe che le parti dovranno versare per accedere alla conciliazione. Tariffe
comunque regolamentate nel minimo e massimo. I Consigli dell’ordine degli avvocati, ma
anche di altri ordini professionali, potranno istituire organismi, avvalendosi del proprio
personale e dei propri locali. Sarà istituito presso il ministero della Giustizia l’albo dei
formatori per la mediazione che dovranno rispondere a determinati requisiti previsti dal
decreto dirigenziale 24 luglio 2006.
Da questo breve escursus sui principali contenuti del decreto è possibile evincere che la
scommessa sulla concreta effettività di questo strumento normativo dipenderà da diversi fattori. Innanzitutto l’entrata in vigore della mediazione obbligatoria art. 5 comma 1,
che secondo l’art. 24 del decreto citato, acquista efficacia decorsi dodici mesi dalla data
di entrata in vigore del decreto stesso, rende attualmente tutta la disciplina rimessa alla
libera iniziativa delle parti che spesso si mostrano diffidenti verso questo strumento. Molti
organismi sono attualmente in formazione ed è possibile prevedere che vi saranno sul mercato nel prossimo futuro organismi di conciliazione sia pubblici che privati. Lo sviluppo
di una sana concorrenza sarà senza dubbio positivo perché dovrebbe portare allo sviluppo
di una professionalità accurata e ad una multiforme offerta al cittadino, il quale dovrà tuttavia imparare ad orientarsi verso quegli organismi di conciliazione che offrano maggiori
garanzia di serietà e di professionalità con un rapporto qualità-prezzo ragionevole, cosa
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che potrebbe rivelarsi non semplice. Sappiamo poi, per quanto sopra specificato, come nel
nostro processo del lavoro l’istituto della conciliazione obbligatoria di cui all’art. 410 c.p.c.,
si sia rivelato un sostanziale fallimento e non serva a deflazionare il processo del lavoro. Il
rischio che la mediazione civile si infranga contro cavilli normativi e preconcetti culturali è
sempre presente. Tutto è dunque rimesso alla concreta volontà di attivare questo strumento
di deflazione processuale da parte non soltanto del legislatore ma dei professionisti chiamati
dalla legge ad operare in questo settore con la speranza che si riescano a vincere le diffidenze
che ancora permangono.
91
10. IL REQUISITO DELL’IMPARZIALITÀ NEL MEDIATORE CIVILE
A cura del Cav. Avv. Pierluigi Gilli
Università degli Studi e-Campus
10.1 La mediazione civile di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 come completamento della
tendenza alla composizione stragiudiziale di controversie fondata sull’imparzialità
Il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 segna il compimento - per l’ordinamento italiano - della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, relativa
a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, e dell’articolo 60
della legge 19 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo in materia di mediazione e
di conciliazione delle controversie civili e commerciali, dando una disciplina organica alla
mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, così
definita (mediazione): l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale
e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole
per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la
risoluzione della stessa.
Rapportato allo stato della giustizia civile italiana, lo scopo dichiarato e primario della
mediazione è lo di snellimento del lavoro delle Curie civili per aumentarne l’efficienza
tramite l’offerta alle parti contendenti di una possibilità alternativa di scelta per risolvere
rapidamente le loro controversie davanti ad un terzo mediatore, con la facoltà di successiva
convalida giurisdizionale dell’accordo raggiunto: un rinnovato sistema giudiziario pubblico, di cui entra a fare parte integrante l’istituto della mediazione, con le sue caratteristiche
prodromiche di semplicità e rapidità per il miglioramento della vita dei cittadini, della pace
sociale, della libertà personale e della tranquillità di affari ed interessi.
È innegabile che la figura del mediatore costituisca uno degli elementi essenziali affinché il
nuovo rito alternativo abbia successo; il mediatore, secondo una corretta ed attuale definizione comunitaria, è “qualunque terzo a cui si chiede di gestire la mediazione in modo imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo
nello Stato membro interessato e dalle modalità con cui è stato nominato o invitato a gestire la
mediazione”.
La direttiva comunitaria cit. osserva acutamente al paragrafo (6) della premessa che gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti, sicché sia la
normativa comunitaria, sia quella nazionale insistono coerentemente sia sull’imparzialità
e terzietà dei mediatori, sia sull’obbligo di riservatezza su di loro incombente, sia sulla
formazione dei mediatori e sull’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione; meccanismi che dovrebbero essere vòlti a
preservare la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti e a garantire
che la mediazione sia condotta in un modo efficace, imparziale e competente.
La mediazione civile e commerciale si distingue per definitionem dall’arbitrato e da qualsiavoglia altra procedura stragiudiziale conciliativa finalizzata alla decisione di un terzo,
perché il mediatore ha un’essenza facilitativa di un accordo delle parti per la composizione
di una controversia, rimanendo privo in ogni caso - come recita l’art. 1., lett. b) del d.lgs.
92
28/2010 - del potere di rendere giudzi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio di
mediazione.
In questa cornice, appare paradossalmente più pregnante per il mediatore, massime se appartenente ad un Organismo privato, la caratteristica della terzietà-imparzialità: si tratta,
infatti, di una sensazione che deve sorgere negli utenti, ancor più che davanti ad un giudice
(che gode già per riflesso istintivo dell’autorevolezza del suo status e della maiestas iurisdictionis tradizionale); una sensazione di cui il mediatore ha necessità per corroborare con la sua
auctoritas personale, che è la risultante di competenza professionale, di doti ed esperienze
umane, di conoscenza di tecniche psicologiche applicate al mondo del diritto, di affidabilità
e comprensione, di senso dell’equità (l’ars boni et aequi), di equilibrio e di equidistanza.
Il mediatore, indirizzato a facilitare ed a guidare l’evoluzione di una lite in un accordo
conciliativo satisfattivo per tutte le parti, da una posizione di assoluta imparzialità, ha
un delicato còmpito psicagògico, munito delle capacità della retorica, cioè della facoltà
(τέχνη = téchne) di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto per il
reperimento di una soluzione (εἰκός = eikós) possibile, verosimile, plausibile, ossia di ciò
che è valido nella maggior parte dei casi, relativamente a tutto ciò che ammette una situazione
differente dalla tesi sostenuta .
Il mediatore effettivamente terzo ed imparziale e come tale riconosciuto dai destinatari
dei suoi servizi sarebbe, quindi, un efficace strumento non solo deflattivo del carico giurisdizionale (obiettivo minimo), ma soprattutto di ricupero del senso della giustizia reale
(obiettivo massimo), al di là di formalismi e di bizantinismi di cui l’opinione pubblica
generale (non solo nazionale) considera affetta la giustizia civile.
10.2 Il termine mediatore nella tradizione giuridica e sue figure tipiche
Il termine mediatore è usato da tempo immemorabile nel linguaggio giuridico, con una
pluralità di accezioni e di significati, costituenti la declinazione specialistica di un unico
concetto.
Per mediatore, infatti, s’intendeva già nella storia post-romana “chi s’intromette fra due o più
persone o stati, per fare pace, trattar negozi, ottener grazia e simili”, come sinonimo di sensale,
bastrozzo, malossero, marossero, prossenètico.
Si tratta, dunque, di un’antica professione, consistente nell’intermediazione di un soggetto
terzo che pone in contatto due o più parti per agevolare e promuovere - dietro corrispettivo la conclusione di un negozio giuridico.
Il codice civile disciplina tale figura all’art. 1754, secondo cui “è mediatore colui che mette in
relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da
rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza” .
Dalla lettura della definizione, emerge anzitutto che il mediatore deve essere privo di legami con le parti, requisito essenziale per l’esistenza giuridica del contratto di mediazione:
una posizione di terzietà che implica neutralità ed imparzialità ed esclude ogni forma di
subordinazione o di parasubordinazione nei confronti anche di uno solo dei soggetti cui il
mediatore si rivolge: ciò a tutela della correttezza della contrattazione.
La caratteristica dell’imparzialità - ritenuta capacità di mantenersi estraneo ad interessi
di parte e di valutazione fattuale obiettiva - è dunque imprescindibile dall’attività me-
93
diatoria, sicché la si ritrova in tutte le varie forme di mediazione che sono state introdotte
via via nell’ordinamento, per dare una specifica normativa a fattispecie caratteristiche.
Invero, la legge 3 febbraio 1989, n. 39, ha disciplinato generalmente la professione di
mediazione, ad eccezione (ex art. 1) degli agenti di cambio (che operano in borsa e/o
nell’intermediazione finanziaria), dei mediatori pubblici e dei mediatori marittimi per i
quali vigono norme speciali, istituendo un vero e proprio ruolo in cui si può essere iscritti
previa frequentazione di corsi abilitanti e stabilendo sanzioni per chi eserciti abusivamente
la professione.
L’effervescenza sociale dei tempi e la necessità di ulteriori specializzazioni ha comportato
l’affermarsi di altre figure peculiari e settoriali della mediazione, che non hanno ancora
una normativa unica o speciale, se non di carattere regionale o indiretto o percorsi formativi
ed universitari ad hoc:
• il mediatore familiare, deputato all’assistenza delle coppie e delle famiglie nelle problematiche relazionali, con particolare riguardo ai momenti di crisi della separazione e del
divorzio e dell’affidamento della prole;
• il mediatore linguistico-culturale, che, tramite l’accurata traduzione delle lingue straniere, favorisce l’integrazione dei migranti, nell’àmbito di un’ampia attività connessa alla
conoscenza di tradizioni, culture, usanze e religioni;
• il mediatore territoriale per il turismo, per la promozione del turismo territoriale e culturale e la valorizzazione del patrimonio turistico.
Va osservato, comunque, che in questi ultimi casi il termine mediatore appare distinto (se
non improprio) dal significato originario e spesso allude ad attività in cui la funzione di terzietà è compromessa in favore di aspetti più commerciali ed imprenditoriali, ovvero implica
una funzione assistenziale psico-sociale di valenza pubblica e metagiuridica.
L’esigenza di composizione preventiva delle controversie e della trasparenza amministrativa come sintomo di democrazia compiuta e diffusa ha spinto pure alla creazione di
soggetti che assumono una funzione mediatoria atipica per il miglioramento delle relazioni
tra i cittadini e le Pubbliche Amministrazioni e per il reperimento di soluzione concertate
in caso di insoddisfazione dell’utenza: sulla scorta dell’esempio dell’Ombudsman di origine svedese (istituito nel 1802!) e del Médiateur de la Republique francese (1973), si è così
previsto nella P.A. il difensore civico, che è stato organizzato soprattutto in numerosi Enti
Locali territoriali (Regioni, Province e Comuni).
Anche il Difensore Civico, per dettato normativo (cfr. nota n. 5), dev’essere caratterizzato, nell’esercizio delle sue funzioni garantistiche pubbliche e di tutela della partecipazione
dei cittadini all’attività dell’amministrazione, dall’imparzialità, come requisito essenziale e
prodromico rispetto all’attuazione del principio costituzionale dell’imparzialità della P.A.,
avente quale obiettivo la sburocratizzazione del sistema pubblico, l’economicità, l’efficacia
e l’efficienza dell’apparato amministrativo.
10.3 Il mediatore ex art. 1754 cod. civ. nella giurisprudenza: l’imparzialità
La figura del mediatore comune descritta dall’art. 1754 cod. civ., come si è avvertito, è ben
diversa da quella del mediatore civile introdotto dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sicché il
termine mediatore può essere fonte di fraintendimenti.
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Tuttavia, anche il mediatore codicistico, come preannunciato, è contrassegnato dall’obbligo
di imparzialità, sul quale si è costantemente pronunciata la giurisprudenza. La Suprema
Corte, infatti, afferma che “l’elemento distintivo consiste nel fatto che il mediatore è un soggetto
imparziale”, poiché la mediazione è “incompatibile con qualsiasi vincolo tra il mediatore e le
parti” e “l’imparzialità del mediatore caratterizza siffatto contratto”.
Ribadisce il Supremo Collegio che “ai sensi dell’art. 1754 c.c., carattere essenziale della
figura giuridica del mediatore è la sua imparzialità, intesa come assenza di ogni vincolo di
mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che
renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario”, anzi “il requisito dell’imparzialità
[è] richiesto dall’art. 1754 c.c. per la giuridica esistenza del contratto di mediazione”, poiché
“chi si rivolge al mediatore per concludere un affare fa legittimo affidamento sul suo dovere di
imparzialità”.
Dunque, affinché la parte possa affidarsi con fiducia ed in buona fede al mediatore occorre
che costui rimanga ben fermo, nello svolgimento del suo delicato incarico (spesso determinato dall’intuitus personæ), nella sua posizione di terzietà; per definitionem, appunto, la Cassazione statuisce che “l’imparzialità del mediatore non consiste in una generica ed astratta
equidistanza dalle parti, né può escludersi per il solo fatto che il mediatore prospetti a taluna
di queste la convenienza dell’affare, ma va intesa, conformemente al dettato dell’art. 1754 c.c.,
come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e
di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario”, di tal
che il mediatore, “in ossequio al suo dovere di imparzialità nei confronti dei possibili contraenti”, è tenuto a comportarsi in tal senso, con diligenza specifica, e risponde personalmente
di ogni violazione di tale obbligo per dolo e anche per colpa.
L’imparzialità distingue il mediatore da altre figure, in particolare dal procacciatore d’affari;
l’assenza di questa “fa venir meno il requisito dell’imparzialità che deve contraddistinguere
l’attività del mediatore (rispetto al procacciatore d’affari) giacché la prima attività è tipica e
la seconda atipica - e si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto al
procacciatore”.
L’obbligo di imparzialità, quantunque vincolante, non è incompatibile con alcune situazioni apparentemente ambigue o sospette, come il Supremo Collegio insegna:
• “In tema di mediazione, non è sufficiente a configurare un conflitto di interessi tra il mediatore e una delle parti (con conseguente difetto del requisiti di imparzialità e neutralità di cui
all’art. 1754 c.c.) il rapporto di parentela o di affinità fra il mediatore ed una delle parti che
hanno concluso l’affare”; e ancora: “il requisito dell’imparzialità, essenziale nell’attività del
mediatore, non può ritenersi escluso per il solo fatto dell’esistenza di un rapporto di parentela
fra il mediatore ed una delle parti messa in relazione per la conclusione dell’affare”.
• Ipotesi che, invece, può rientrare tra le cause di incompatibilità previste per il mediatore civile dall’art. 14, comma 2. del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in relazione sia alle
formule procedurali, sia agli ulteriori impegni eventualmente stabiliti dal regolamento
dell’Organismo di mediazione in versione restrittiva.
• “Nell’ambito di un rapporto di intermediazione finanziaria, l’assunzione di compiti di
consulenza non pregiudica la neutralità e l’imparzialità che contraddistinguono l’attività
del mediatore”.
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• Anche qui il d.lgs. 28/2010, all’art. 14., co. 1., dètta una disciplina molto più rigorosa
e tesa a garantire al massimo l’imparzialità del mediatore civile: al mediatore, infatti, e
ai suoi ausiliari è espressamente vietato dalla legge di assumere diritti o obblighi connessi,
direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente
inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio; a conferma dell’assoluta indipendenza
- che la cit. decisione della Suprema Corte valuta diversamente - la stessa norma vieta
esplicitamente di percepire compensi direttamente dalle parti; ciò perché è anche esclusa la
possibilità di svolgere alcuna forma di consulenza a favore delle parti stesse;
• per contro: “ai sensi dell’art. 1754 c.c., carattere essenziale della figura giuridica del mediatore è la sua imparzialità, intesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione
d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario, sicché non è configurabile mediazione nel caso di soggetto
munito di mandato con rappresentanza per la stipulazione di un contratto con un terzo, a
nulla rilevando l’eventuale predeterminazione, da parte del rappresentato, delle condizioni
di tale contratto”.
La massima in commento correttamente enuclea tra le circostanze naturaliter impedienti
l’imparzialità il rapporto contrattuale tra mandante e mandatario con rappresentanza,
che rende necessariamente tale mandatario portatore palese degl’interessi del suo dante causa, massime nel caso di mandato vincolato a condizioni prestabilite, così escludendo l’obiettiva valutazione e comparazione degl’interessi contrapposti delle parti messe in contatto.
Non va omesso neppure il richiamo al significativo dettato del comma 1. dell’art. 1759
cod. civ., che impone al mediatore comune il dovere d’informazione, ossia di comunicare
alle parti le circostanze a lui note relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono
influire sulla conclusione di esso, con l’insorgenza della responsabilità del mediatore nel caso
di violazione di tale dovere; peraltro, il mandatario con rappresentanza è legato altresì al
mandante dall’obbligo di riservatezza, per certo collidente con l’art. 1759 cod. civ.
Appare evidente che un mandatario, all’incontro, come nella fattispecie di cui alla cit. massima, non sia sottoposto a questo stringente obbligo specifico e tipico, se non al generale
principio della buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, di cui agli artt. 1347 e 1348 cod. civ.
10.4 Terzietà ed imparzialità del giuduce e dell’arbitro
Il principio della terzietà e dell’imparzialità è stato al centro dell’attenzione delle Supreme
Magistrature dello Stato con particolare riguardo alla funzione giurisdizionale comunque
esercitata.
La Corte di Cassazione, sottolinea che “la recente giurisprudenza costituzionale s’è mossa per
garantire ad ogni cittadino la tutela dei propri diritti davanti ad un giudice terzo ed imparziale nell’àmbito del giusto processo” e che tale garanzia va estesa ad ogni soggetto
legittimamente giudicante (Magistratura ordinaria ed ogni altro organo avente natura giurisdizionale).
Su questa premessa, annota la Cassazione, “è stato osservato (e va qui ribadito) che il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha pieno valore costituzionale in relazione a
qualunque tipo di processo (cfr. Corte Cost. 21 marzo 2002 n. 78; Corte Cost. 3 luglio 2002 n.
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305; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262) e che l’esigenza di proteggere l’imparzialità del giudice
impedisce - in particolare - che quest’ultimo possa pronunciarsi due volte sulla medesima res
iudicanda, in quanto dal primo giudizio potrebbero derivare convinzioni precostituite sulla materia controversa, determinandosi così, propriamente, un pregiudizio contrastante con l’esigenza
costituzionale che la funzione del giudicare sia svolta da un soggetto terzo, non solo scevro di
interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da
convinzioni formatasi in occasione dell’esercizio di funzioni giudicanti in altre fasi del giudizio”
(Corte Cost. 12 luglio 2002 n. 335; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
Negli Stati moderni, sorti con l’impronta democratica classica della suddivisione dei poteri, è quindi percepita con il rango di obbligo primario e costituzionale l’esigenza di
congegnare gli ordinamenti processuali affinché vi siano contemplati meccanismi idonei
ad assicurare che il giudice non sia affetto da o non subisca condizionamenti psicologici o
metaprocessuali che possano direttamente o indirettamente, anche per condizioni personali
o ambientali, vanificare la sua serenità di giudizio e l’equanimità delle sue decisioni.
Tra questi meccanismi in sede civile: l’astensione, la ricusazione, il divieto di pronunciarsi più volte sullo stesso thema decidendum, il regime delle incompatibilità di cui
agli artt. 51 e 52 del codice di procedura civile, con i connessi rimedi sostitutivi di cui agli
artt. 53 e 54 ibidem.
Il principio dell’imparzialità è ovviamente applicabile anche all’arbitrato, divenuto negli
ultimi anni sempre più importante strumento sussidiario ed alternativa ausiliaria della giurisdizione ordinaria, in correlazione con l’incipiente crisi della giustizia civile, sicché è stato
oggetto di ripetuti interventi del legislatore per fornirlo di una collocazione di maggiore
equiparazione rispetto al processo civile e per favorire le esigenze del commercio internazionale.
Il principio d’imparzialità del giudice ordinario, dunque, si estende naturaliter agli àrbitri, dappoiché essi ricoprono la medesima funzione del giudice ordinario allorquando
“giudicano una controversia”: l’art. 1 del codice di rito, infatti, prevede che la giurisdizione
civile, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del
presente codice, che appunto al capo VIII (“Dell’arbitrato”), agli artt. 806 e seguenti novellati, disciplina l’arbitrato come rito speciale e alternativo, scelto dalle parti, equiparato alla
giurisdizione ordinaria.
La Corte Costituzionale ha abilitato l’arbitro rituale alla rimessione diretta alla Consulta delle questioni di legittimità costituzionale che possano insorgere durante il processo
arbitrale, considerando l’arbitro rituale giudice nel senso previsto dall’art. 1 della legge
costituzionale n. 1 del 9 febbraio 1948: l’arbitrato rituale, infatti, si legge nella cit. sentenza,
“costituisce un procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile” ai fini della
“risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche
della giurisdizione civile ordinaria”.
La giurisprudenza del giuduce delle leggi, condivisa dalla dottrina, ha pertanto definito
che il principio di imparzialità è collegato alla funzione del giudicare, sia pure in sede
arbitrale: invero, in ogni giudizio - incluso quello arbitrale - è presente l’aspettativa di ogni
parte che il giudicante, tra cui l’arbitro, sia dotato della capacità di astrazione/estraneità
emotiva nei confronti di tutti i coinvolti nel processo, nonché del non coinvolgimento eco-
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nomico con gli interessi dedotti ed oggetto di decisione; la conduzione del procedimento
ed il suo atto finale (lodo) devono riflettere siffatto principio, che è eticamente e deontologicamente intrinseco alla devoluzione a terzi del còmpito di decidere una controversia.
A maggior ragione l’imparzialità de facto et de iure dev’essere rigorosamente assicurata e
verificata nel rito arbitrale, proprio perché esso ha una natura volontaria (il compromesso
o la clausola compromissoria, frutto di un positivo atto di volontà dispositiva delle parti),
che comporta, attraverso la nomina degli arbitri ad impulso generalmente delle parti stesse,
un maggiore rischio che l’arbitro o il collegio arbitrale possa versare in una situazione di
conflitto di interessi.
10.5 Caratteristiche delle figure tipiche di conciliazione extragiudiziale
Sempre alla ricerca di nuovi istituti per deflazionare l’inquietante numero di procedimenti
civili contenzioni pendenti, il legislatore italiano ha introdotto nell’ordinamento nuove
forme di conciliazione, anche obbligatoria, nel segno di una tendenza non solo nazionale,
ma di più ampio respiro internazionale.
• Nell’àmbito delle controversie individuali di lavoro (settore quanto mai socialmente
importante e reattivo), il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, modificando l’art. 410 cod.
proc. civ., ha reso obbligatorio, a pena di improcedibilità, il tentativo di conciliazione davanti alle Commissioni Provinciali di conciliazione, formate presso le Direzioni
Provinciali del Lavoro: si tratta di un’ipotesi che ha molti elementi di somiglianza con
la mediazione civile ex d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in quanto la Commissione non ha
una funzione decisoria, ma solamente facilitativa di una soluzione della vicenda che
soddisfi le aspettative di tutte le parti, tanto che - in caso positivo - il verbale di conciliazione viene depositato presso la cancelleria del Tribunale entro la cui giurisdizione è
stato sottoscritto; tale verbale, controllatane la regolarità formale, può essere dichiarato
esecutivo dal giuduce su istanza della parte interessata.
• Sebbene nulla si prescriva espressamente nei confronti dei componenti la Commissione
Provinciale di conciliazione, è da ritenersi che la terzietà e l’imparzialià costituiscano
requisiti imprescindibili per un ordinato e proficuo andamento del tentativo conciliatorio, in cui i terzi nominati dalla direzione provinciale del lavoro, dotati di autorevolezza
pubblica, verrebbero meno alla loro funzione di agevolatori di un accordo se si dimostrassero prevenuti o palesemente proclivi all’una, piuttosto che all’altra parte.
• A simili considerazioni si giunge anche per il tentativo obbligatorio di conciliazione
in materia di pubblico impiego (in sede sia sindacale, sia amministrativa). In particolare, si segnala - nel caso di mancato successo del tentativo - che il Collegio di
conciliazione deve formulare deve formulare una proposta per la bonaria definizione
della controversia e che il giuduce, nel successivo giudizio contenzioso, valuta il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai fini del regolamento delle spese
(si cfr. la previsione di cui all’art. 13 “spese processuali” del cit. d.lgs. 28/2010). La terzietà e l’imparzialità sono assicurate, nelle intenzioni del Legislatore, dalla composizione
paritetica del Collegio di conciliazione: una rappresentante nominato dal lavoratore;
un rappresentante nominato dalla Pubblica Amministrazione coinvolta; il Direttore
Provinciale del Lavoro o suo delegato, che funge da Presidente. La connotazione di par-
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te dei rappresentanti delle parti è comunque compensata dal vero terzo, il Presidente,
al quale è effettivamente affidata la delicata funzione di facilitare la composizione della
controversia, influendo positivamente sugli altri componenti del Collegio (come accade
nel caso del Presidente di un Collegio arbitrale trino o pentuplo).
• Altre forme di tentativo obbligatorio di conciliazione sono previste da leggi speciali in
tema di subfornitura con il coinvolgimento delle C.C.I.A.A. (legge 18 giugno 1998,
n. 192, art. 10), di telecomunicazioni, di consumo, di turismo, caratterizzate generalmente da notevole emotività dell’opinione pubblica e da limitato valore unitario delle
controversie, soprattutto in materia di somministrazione di servizi.
• Forme non obbligatorie di tentativo di conciliazione, come alternativa al giudizio,
sono proposte dalla legge 6 maggio 2004, n. 129 per il contratto di franchising e in
materia di diritto d’autore.
10.6 La conciliazione societaria, precedente della mediazione civile
Di particolare rilevanza, almeno a livello dottrinario e come precedente, la conciliazione
nel diritto societario, coerente tentativo del legislatore italiano di muoversi concretamente
verso un valido procedimento alternativo per la risoluzione delle controversie. Introdotto
dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 con gli artt. da 38 a 40, è stato abrogato dall’art. 23 del
d.lgs. 28/2010 (inclusi i rinvii operati dalla legge a tali articoli); tuttavia, rimane il più compiuto ed articolato precedente della nuova mediazione civile, su cui conviene diffondersi.
Per la gestione di questa forma di conciliazione molto simile alle esperienze di A.D.R., la
legge disponeva il ricorso ad appòsiti organismi, controllati ed autorizzati dal ministero
della Giustizia secondo il regolamento esecutivo di cui al decreto ministeriale 23 luglio
2004, n. 222.
Di natura volontaria e non obbligatoria, era caratterizzata dai princìpi di terzietà, imparzialità e riservatezza nella figura del conciliatore, nonché dalla rapidità, economicità, potenzialità esecutiva ed incentivazione del procedimento stesso ed era così definito dall’art. 1,
co. 1, lett. b) del d.m. 222/2003: “conciliazione: il servizio reso da uno o più soggetti, diversi
dal giudice o dall’arbitro, in condizioni di imparzialità rispetto agli interessi in conflitto e
avente lo scopo di dirimere una lite già insorta o che può insorgere tra le parti, attraverso modalità che comunque ne favoriscono la composizione autonoma”.
Circa il conciliatore, l’art. 40 del d.lgs. 5/2003 disponeva: (Procedimento di conciliazione)
I regolamenti di procedura debbono prevedere la riservatezza del procedimento e modalità di
nomina del conciliatore che ne garantiscano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito
espletamento dell’incarico, mentre l’art. 1, co. 1, lett. d) del d.m. 222/2004 cit. lo definiva:
«conciliatore»: le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la prestazione
del servizio di conciliazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo.
Come si vede, sia il decreto legislativo istitutivo, sia il decreto ministeriale attuativo richiamavano, senza particolari approfondimenti, il requisito dell’imparzialità del conciliatore
quale garanzia da assicurare costantemente per l’andamento del procedimento e per le parti;
il rinvio ai regolamenti di procedura semplificava il dettato normativo, lasciando ampia
discrezionalità agli Organismi di conciliazione per l’individuazione dei criteri paradigmatici
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ai fini della terzietà-imparzialità, inquadrati nelle regole di procedura.
Conviene, pertanto, esaminare con alcuni esempi specifici in quale modo tali Organismi,
sia pubblici, sia privati, abbiano affrontato e disciplinato il requisito dell’imparzialità, sul
presupposto che, in un’ottica trasparente e con ragionamento a ritroso re melius perpensa, risulta evidente come l’imparzialità sia il presupposto essenziale ed ontologico della
«mediazione» (come pure della conciliazione), attinente alla sua struttura immutabile ed
originaria, molto più che un mero requisito di qualità.
10.7 Esempi di disciplina dell’imparzialità nei Regolamenti degli Organismi di conciliazione
Il Regolamento di Curia Mercatorum - Centro di mediazione ed arbitrato promosso dalla C.C.I.A.A. di Treviso, insieme alle C.C.I.A.A. di Pordenone, Belluno, Trieste e Gorizia
contempla in modo dettagliato le cautele necessarie per la garanzia di imparzialità di mediatori ed arbitri: all’art. 3, comma 5. del Regolamento si legge: “Mediatori ed arbitri debbono
essere e rimanere indipendenti dalle parti, neutrali ed imparziali. Essi non agiscono in alcun
modo per conto o a nome di Curia o della Corte. Contestualmente all’accettazione dell’incarico
di mediatore o arbitro, l’interessato deve dichiarare per iscritto alla Corte qualsiasi circostanza che possa mettere in dubbio la sua indipendenza, neutralità o imparzialità. Parimenti,egli
deve comunicare alla Corte qualsiasi circostanza intervenuta successivamente che possa avere il
medesimo effetto o gli impedisca di svolgere adeguatamente le proprie funzioni”; il mediatore,
inoltre, “si impegna a rispettare le norme di comportamento approvate da Curia Mercatorum”.
Non è omesso neppure il caso di necessità di sostituzione del mediatore che sia stato ricusato: “Un arbitro può essere sostituito su decisione insindacabile della Corte in seguito a ricusazione di una parte per mancanza di indipendenza o imparzialità o per altri gravi, specificati e
comprovati motivi” (art. 3. comma 7 Reg.): previsione molto ampia di stampo garantistico,
che allarga notevolmente la possibilità di ricusazione, al limite della discrezionalità della
parte che sollevi (anche strumentalmente) gravi, specificati, comprovati motivi, in cui la
soggettività può rivestire un ruolo preponderante. In ogni caso, “La ricusazione deve essere
fatta con comunicazione scritta alla Corte, entro 10 giorni dalla designazione ovvero dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione”.
La già precisa disposizione, tramite le “Norme di comportamento per i mediatori”, al § II.
fornisce ulteriori precetti per la condotta del mediatore, che “deve comunicare qualsiasi
circostanza che possa inficiare la propria indipendenza e imparzialità o che possa ingenerare la
sensazione di parzialità o mancanza di neutralità. Il mediatore deve sempre agire, e dare l’impressione di agire, in maniera completamente imparziale nei confronti delle parti e rimanere
neutrale rispetto alla lite. Il mediatore ha il dovere di rifiutare la designazione e di interrompere
l’espletamento delle proprie funzioni, in seguito all’incapacità a mantenere un atteggiamento
imparziale e/o neutrale”; indubbiamente, la norma tiene ben presenti le circostanze anche
metagiuridiche, di convenienza, di opportunità e di carattere psicologico che siano in grado di condizionare il procedimento, così da sgombrare il campo da ogni dubbio e favorire
l’opera facilitatoria del mediatore.
Di notevole interesse e di precisione terminologica le note esplicative della cit. Norma II.,
che forniscono definizioni accurate e condivisibili ed una nomenclatura chiara, riempiendo
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di contenuto plausibile e concreto il concetto di terzietà del mediatore, sebbene con qualche estensione opinabile e troppo valutativa:
• la nota 1.: “il mediatore deve rendere edotte le parti riguardo qualsiasi circostanza che
possa influenzare la propria indipendenza, imparzialità e neutralità, anche se questa possa,
di fatto, non influire sulla correttezza nei confronti delle parti. L’esistenza delle suddette
circostanze non implica automaticamente l’inadeguatezza a svolgere il ruolo di mediatore”:
quindi anche circostanze soggettive od istintive, non superabili, percepite dal mediatore
come disturbanti od impedienti per la sua attività possono avere rilevanza nel singolo
caso e comportano un dovere di informativa;
• la nota 2.: “Indipendenza significa assenza di qualsiasi legame oggettivo (rapporti personali
o lavorativi) tra il mediatore ed una delle parti”: anche la sfera personale del mediatore
dev’essere libera;
• la nota 3.: “Imparzialità indica un’attitudine soggettiva del mediatore, il quale non deve
favorire una parte a discapito dell’altra”: definizione problematica, poiché conduce ad
una valutazione del carattere del mediatore, di sottile elaborazione, sino alle attitudini,
contrassegnate da variatissima casistica personale;
• la nota 4.: “Neutralità si riferisce alla posizione del mediatore, il quale non deve avere un
diretto interesse all’esito del procedimento di mediazione”: definizione di tutta evidenza.
Analogamente, il regolamento di conciliazione e norme di comportamento per i conciliatori della Camera Arbitrale / Azienda Speciale della Camera di Commercio di Roma e
della Camera Arbitrale di Milano (CAM) presso la C.C.I.A.A. ambrosiana stabiliscono
che (art. 2.) “il conciliatore deve comunicare qualsiasi circostanza che possa inficiare la propria
indipendenza e imparzialità o che possa ingenerare la sensazione di parzialità o mancanza di
neutralità” e riprendono lo stesso glossario delle note appena citate, con la precisazione che
le norme comportamentali per conciliatori e mediatori sono ispirate al codice deontologico approvato dall’U.I.A. (Union Internationale des Avocats) nella sessione 2 aprile
2002, adattate alla conciliazione amministrata dalle C.C.I.A.A. italiane.
In particolare, le norme di comportamento della C.A.M. Milano dapprima, in premessa,
definiscono n modo sintetico la figura del conciliatore-facilitatore anche in tema di approccio al contenzioso: “Il conciliatore, soggetto neutrale, indipendente e imparziale,non decide per
le parti, ma le aiuta a trovare un accordo, facilitando lo svolgimento di un dialogo costruttivo
durante l’incontro. In questo senso, la conciliazione può essere considerata un percorso grazie
al quale le parti stesse, opportunamente aiutate dal conciliatore, costruiscono in modo attivo
l’accordo”.
All’art. 3., invece, ribadito che “il conciliatore non decide la controversia, ma aiuta le parti a trovare un accordo soddisfacente”, si dettano le regole di scelta del conciliatore stesso:
“il conciliatore è individuato dalla Segreteria tra i nominativi inseriti in un’apposita lista,
formata sulla base di standard definiti dall’Unione Italiana delle Camere di Commercio nel
rispetto della normativa vigente. Il conciliatore, qualora se ne ravvisi l’opportunità, può essere
individuato dalla Segreteria, con decisione motivata, anche in liste di altre Camere di Commercio”: sono, quindi, fissati criteri oggettivi per l’affidamento dell’incarico a soggetti che - in
quanto appartenenti ad una lista formata in modo standardizzato - devono avere requisiti di
competenza e di esperienza; prosegue l’art. 3.: “le parti possono individuare congiuntamente
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il conciliatore tra i nominativi inseriti nella lista”, con ciò esaltando la professionalità del
conciliatore e la probabilità di successo della mediazione, diretta da persona in cui evidentemente le parti riconoscono doti di capacità e di fiducia. Infine, come norma di chiusura,
lo stesso articolo dichiara che “il conciliatore non deve trovarsi in alcuna delle situazioni di
incompatibilità previste da specifiche norme di legge”.
Il Regolamento di Aequitas A.D.R. determina nei dettagli, all’art. 5, la scelta del terzo:
“5.1 Se le parti hanno di comune accordo scelto un Conciliatore tra i professionisti aderenti a
AEQUITAS A.D.R., il professionista così indicato condurrà la procedura di conciliazione. 5.2
In caso contrario AEQUITAS A.D.R. sottoporrà alla parti l’elenco dei professionisti aderenti a
AEQUITAS A.D.R., fornendo alle parti tutta l’assistenza necessaria al fine di scegliere fra di essi
il loro Conciliatore. Qualora le parti non si accordino entro breve termine, e comunque entro tre
giorni dall’invito loro formulato al riguardo da AEQUITAS A.D.R., quest’ultima provvederà a
nominare alle parti il loro Conciliatore”: la facoltà di scelta della parti è limitata all’elenco dei
conciliatori aderenti all’Organismo, com’è peraltro di intuitiva comprensione in considerazione del carattere privatistico dell’Organismo stesso; in ogni caso, qualora la scelta, per disaccordo o inerzia delle parti, sia demandata all’Organismo, il Regolamento dètta i criteri di
individuazione, non discrezionali ma logico-cronologici: “5.3 AEQUITAS A.D.R. sceglierà
il nominativo del Conciliatore seguendo i seguenti criteri: competenza specifica del Conciliatore;
turnazione all’interno dell’elenco dei Conciliatori AEQUITAS A.D.R.”.
Individuato il soggetto, scattano le norme a presidio dell’imparzialità: “Il Conciliatore nominato deve fare al più presto pervenire a AEQUITAS A.D.R. l’accettazione scritta dell’incarico, accompagnata da una dichiarazione da lui sottoscritta in cui attesti la sua assoluta indipendenza ed
imparzialità rispetto alle parti nonché la sua neutralità ed assenza di qualsiasi interesse attuale o
passato rispetto alla controversia assegnatagli”, a tutto beneficio delle parti (art. 6., comma 1.).
L’art. 7. chiarisce le cause di incompatibilità nello svolgimento dell’incarico di Conciliatore:
“1. Ferma restando la dichiarazione di indipendenza e imparzialità e neutralità del Conciliatore, risulterà incompatibile in ogni modo con l’assunzione dell’incarico il Conciliatore che versi
in una delle condizioni previste dall’art. 51 numeri 1, 2, 3, 4, 5 c.p.c., così come richiamato
dall’art. 815 c.p.c.”, con rinvio alle norme codicistiche consimili in materia di arbitrato; “2.
In ogni caso risulterà incompatibile con lo svolgimento della funzione il Conciliatore chi rivesta
la qualità di giuduce di pace, ai sensi dell’art. 7 n. 3 d.m. 23/7/2004 n. 222, fino a quando duri
il mandato in qualità di giuduce di pace”, ad ulteriore specificazione di un divieto di legge,
fondato sull’inammissibilità della confusione temporanea di ruoli giurisdizionali pubblici e
di funzioni conciliative private.
Il Regolamento della Camera di conciliazione e arbitrato A.D.R. Network, all’art. 3
precisa che “il conciliatore svolge l’incarico con neutralità, indipendenza ed imparzialità e rispettando le “Norme di comportamento” dei conciliatori della Camera. Il conciliatore accetta
l’incarico e garantisce i suoi impegni sottoscrivendo una apposita “Dichiarazione di imparzialità”, senza cui la procedura di conciliazione non può avere inizio”, condizionando sospensivamente l’inizio del procedimento alla sottoscrizione dell’impegno all’imparzialità da parte
del conciliatore che, a rafforzamento della sua terzietà, “non percepisce il proprio compenso
direttamente dalle parti, né svolge funzioni di difensore o di arbitro per la stessa controversia. Il
conciliatore e la Camera si astengono dall’assumere diritti ed obblighi connessi agli affari trattati
102
durante il tentativo di conciliazione”, così da evitare ogni incompatibile legame ambiguo a
detrimento dell’immagine e dell’attendibilità sia del conciliatore, sia dell’Organismo.
La presenza di un codice etico (pure altrimenti denominato), che indichi le regole comportamentali accettabili e necessarie per i conciliatori, è sintomo di serietà: ad es., il codice
etico per i conciliatori accreditati presso l’Organismo per la conciliazione presso l’Ordine
degli Avvocati di Monza indugia sull’imparzialità, cui dedica il proprio art. 4: “Il conciliatore dovrà essere imparziale nei confronti delle parti, agendo per tutta la durata della procedura
con lealtà, astenendosi dal compiere atti discriminatori e dall’esercitare influenza a favore di una
di esse”: di grande momento il divieto di discriminazione (concetto largamente applicabile)
e dell’uso di pressioni, tali da influenzare aliunde e suggestivamente una o tutte le parti, a
discàpito dell’equilibrio e dell’equità.
Per conseguenza, prosegue il cit. art. 4: “qualsiasi questione che emerga prima o durante la
procedura, che determini un coinvolgimento del conciliatore a titolo personale e/o faccia insorgere un conflitto di interessi, sia esso apparente, potenziale od attuale e di qualsivoglia natura (economica, personale, collaterale ecc.), dovrà essere resa nota per iscritto alle parti e alla
Commissione per la conciliazione dell’Ordine”; il possibile conflitto viene risolto nella piena
trasparenza e consapevolezza delle parti, nello spirito di gestione autonoma ed informale
della conciliazione: “in tal caso la procedura non potrà iniziare né proseguire, salvo che tutte
le parti concordino, sempre per iscritto, sul fatto che il conciliatore possa continuare a gestirla”
(ibid.): spetta, dunque, agli utenti (purché concordi), non ad un soggetto terzo, valutare la
sussistenza o meno di condizioni ostative dell’imparzialità.
Molti Organismi di conciliazione dichiarano di aderire al Codice Europeo di condotta per Mediatore, predisposto dall’European Judicial Network in civil and commercial
matters - EJN con l’assistenza della Commissione Europea, risalente al 2 luglio 2004, costituente una solida base di possibile normativa standard estensibile agevolmente ad ogni
forma di mediazione contemplata dai singoli ordinamenti dei Paesi aderenti all’Unione
europea, compatibile con le tradizioni giuridiche statuali.
In punto indipendenza ed imparzialità, l’art. 2.1. di esso prescrive: “Indipendenza. Qualora esistano circostanze che possano (o possano sembrare) intaccare l’indipendenza del mediatore
o determinare un conflitto di interessi, il mediatore deve informarne le parti prima di agire o di
proseguire la propria opera. Le suddette circostanze includono: qualsiasi relazione di tipo personale o professionale con una delle parti; qualsiasi interesse di tipo economico o di altro genere,
diretto o indiretto, in relazione all’esito della mediazione; il fatto che il mediatore, o un membro
della sua organizzazione, abbia agito in qualità diversa da quella di mediatore per una o più
parti”.
La soluzione offerta dal Codice Europeo è di rigorosa garanzia e richiede la presenza di una
duplice condizione affinché la procedura abbia inizio o continui:
a) l’elemento psicologico soggettivo certo nel mediatore, che deve autovalutare la propria
condizione di compatibilità;
b) l’accordo esplicito di entrambe (tutte) le parti sull’affidabilità del mediatore: “ in tali
casi il mediatore può accettare l’ incarico o proseguire la mediazione solo se sia certo di poter
condurre la mediazione con piena indipendenza, assicurando piena imparzialità, e con il
consenso espresso delle parti” (ibid.).
103
Il requisito dell’indipendenza dev’essere presente costantemente, sicché il Codice Europeo
si preoccupa affinché sia mantenuto in ogni fase della mediazione e sempre reso noto alle
parti: “il dovere di informazione costituisce un obbligo che persiste per tutta la durata del procedimento” (ibid.).
Quanto all’imparzialità, l’art. 2.2. cit. afferma che “il mediatore deve in ogni momento agire
nei confronti delle parti in modo imparziale, cercando altresì di apparire come tale, e deve impegnarsi ad assistere equamente tutte le parti nel procedimento di mediazione”(ibid.).
La prescrizione è duplice e coinvolge:
a) il comportamento del mediatore anche nelle sue manifestazioni esterne (apparentia aequitatis), quelle direttamente percepibili dalle parti, le quali non devono essere indotte
nel sospetto o nella sfiducia da atteggiamenti anche in buona fede del terzo, potenzialmente apprezzabili come favorevoli più all’una che all’altra parte;
b) l’attività tipica del mediatore, che dev’essere di tipo assistenziale equo per tutte le parti,
aiutate nell’esposizione delle loro esigenze per favorire la conciliazione, senza interventi
impositivi e lenitiva delle asprezze.
10.8 Il mediatore civile ex d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28
Il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 è destinato - almeno nelle intenzioni del legislatore - ad
incidere profondamente nel nostro ordinamento e nel sistema giuridico-economico
nazionale; la nuova mediazione civile, introdotta come obbligatoria in un grande numero
di casi, presuppone il condiviso cambiamento di mentalità e di cultura nell’approccio al
contenzioso.
Nelle cause normali, l’obiettivo di ciascuna parte è di farsi riconoscere da una decisione
imperativa di avere ragione o torto, mediante l’iter rigido e formale di un procedimento
giurisdizionale; con la mediazione, invece, l’aspetto emotivo litigioso e formale viene sostituito dal tentativo, facilitato dal mediatore, di consentire a ciascuna parte di ottenere un
obiettivo positivo, conforme ai suoi interessi e alle sue aspettative, valutati oggettivamente
e con equità sul piano della convenienza e della rapidità, anziché della mera e rigida applicazione della legge.
“La mediazione - si legge in un comunicato del ministero della Giustizia - mira a indurre la
parti al ripristino in funzione dei loro interessi: non punta a trovare il colpevole e l’innocente
e non valuta la situazione solo in riferimento al passato, come invece accade nella controversia
giudiziaria, ma punta al risolvere il presente con uno sguardo al futuro: a mediare, appunto, tra
le parti che possono avere ancora degli interessi in comune”.
Per questo, nella c.d. facilitative mediation (mediazione facilitativa) scelta come tipus dalla
legge, al mediatore è interdetto somministrare alle parti un qualsiasi schema di soluzione
che derivi da una sua personale elaborazione: emerso, infatti, con l’assistenza del terzo, il
comune interesse delle parti, il mediatore deve improntare la discussione con e tra le parti
medesime al reperimento di piste di ragionamento aperte e praticabili, così da accompagnare gli stessi contendenti verso l’individuazione della soluzione satisfattiva per tutti del
loro conflitto.
Privo, dunque, dell’Autorità imperativa derivante dal potere di decidere, il mediatore tanto
più avrà successo nella sua opera di agevolazione e promozione di un accordo, quanto più
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risulterà affidabile, confidente, competente, indipendente e realmente terzo per le parti: ne
consegue che l’imparzialità costituisca il requisito principe per il mediatore, che non solo
deve essere imparziale, ma lo deve anche apparire agli occhi dei contendenti, naturaliter
più sensibili in momenti di tensione emozionale, quali sono le controversie: la psicologia
spicciola dell’esperienza comune, invero, insegna a chiunque come anche il solo sospetto
di parzialità del terzo chiamato a mediare possa avere effetti rovinosi sull’andamento delle
trattative, destinate a naufragare nelle secche della mala fede, delle riserve mentali e della
méfiance.
10.9 L’imparzialità come requisito di garanzia della mediazione
Si è già riflettuto che l’imparzialità sia il presupposto essenziale ed ontologico della mediazione, attinente alla sua struttura immutabile ed originaria, molto più che un mero requisito di qualità; occorre ora esaminare come questo imprescindibile obiettivo sia considerato
dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, l’organica disciplina dell’istituto.
Di imparzialità trattano, direttamente e/o indirettamente, gli articoli:
• 1., co. 1., lett. a) e b);
• 3., comma 2.;
• 8., comma 3.;
• 9., 10., comma 2. e 14.,
che conviene esaminare partitamente per trarne la configurazione generale e sistematica
voluta dal legislatore.
L’art. 1., co. 1., lett. a) definisce la mediazione come l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un
accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una
proposta per la risoluzione della stessa; la lett. b) definisce mediatore la persona o le persone
fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni
caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo.
La mediazione è dunque svolta da un terzo imparziale, senza poteri decisionali vincolanti,
con funzione ausiliaria per il raggiungimento di un accordo amichevole o di una proposta
per la risoluzione di una contesa. Il lèssico usato dal legislatore è basato su forme espressive
gentili ed accattivanti, quasi informali e per certo non paludate, per esaltare il clima amichevole in cui le parti si devono confrontare da coprotagoniste, agevolate dall’assistenza
del terzo, di natura sussidiaria, che con la sua competenza professionale, tecnica ed umana
favorisce la ricerca di un accordo compositivo.
In questo àmbito, l’imparzialità giuoca un ruolo determinante: è molto probabile e prevedibile che, almeno nei primi anni di attuazione di questo istituto giuridico, nato nell’ostilità
e nella sottovalutazione delle categorie professionali, i singoli utenti equivochino sul significato e sui còmpiti del mediatore e credano che lo stesso sia una sorta di “giudice privato”“arbitro”, da cui si attendono una decisione secondo gli schemi tradizionali, soprattutto nei
casi numerosissimi di obbligatorietà preventiva della mediazione.
Di fronte ad aspettative scorrette e disinformate, quindi, il mediatore dovrà ritagliarsi un
ruolo specifico di facilitatore utile, con l’autorevolezza che gli deriverà dalle capacità dimostrate e, soprattutto, dalla posizione di vera terzietà, che rassicura gli utenti e li convince a
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partecipare in modo propositivo al tentativo di mediazione, comprendendone la validità e
la convenienza, in alternativa all’ordinario giudizio contenzioso.
Ai fini della terzietà-garante del procedimento, opera l’art. 3, co. 2 secondo cui il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9,
nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al
corretto e sollecito espletamento dell’incarico.
La legge rinvia ai regolamenti degli Organismi di mediazione per la disciplina dettagliata
riguardante la nomina, l’idoneità e l’imparzialità del mediatore: le soluzioni regolamentari
saranno svariate, ma per l’approvazione da parte del ministero della Giustizia dovranno
comunque tenere conto del principio rigoroso di imparzialità stabilito dall’ordinamento
nello specifico e nella generalità.
Infatti, l’art. 8., comma 3. laddove prescrive che il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia (in modo sollecito e corretto)
evidenzia il rapporto obbligatorio che si stabilisce tra il mediatore (rectius: l’organismo di
mediazione, con cui le parti hanno rapporto diretto) e gli utenti: un’obbligazione non di
risultato, ma di mezzi, in cui il terzo ha dei doveri che, se non adempiuti, lo espongono a
responsabilità da sanzionare in via risarcitoria.
Sebbene, come avvertito, è da ritenersi che siano gli Organismi i primi responsabili nei
confronti degli utenti per l’imparzialità e l’idoneità dei mediatori, è pure da ritenersi che
comportamenti personali errati, incompatibili con la funzione o contrari al rispetto dei limiti dell’ordine pubblico e delle norme imperative da parte del mediatore implichino anche la sua propria responsabilità, per dolo o per colpa grave, unitamente all’Organismo.
L’imparzialità è connessa anche alla sicurezza per gli utenti che ogni loro dichiarazione
sia confidenziale e, come tale, non divulgabile (principio di riservatezza); in punto, l’art.
9 - Dovere di riservatezza - così si esprime: “1. chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto
all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite
durante il procedimento medesimo. 2. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale
provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle
altre parti”.
La legge, dunque, dispone una tutela rigida e severa della riservatezza, che copre ogni aspetto della procedura mediatoria e salvaguarda le parti dalla propalazione di notizie comunicate al mediatore con libertà solo per la confidenza e l’informalità della procedura; tutela
ancor più accentuata per le dichiarazioni rese in sede di audizione separata. Il mediatore che
utilizzasse quanto saputo allo scopo (anche inconsapevole) di favorire una parte o una certa
soluzione da lui già intravista ed elaborata violerebbe gravemente il principio dell’imparzialità e la sua terzietà ne risulterebbe del tutto demolita.
Un’ulteriore tutela del riserbo, che incide sull’imparzialità in quanto ovviamente bilaterale,
è data dalla guarentigia dell’esenzione dal dovere di testimoniare connessa al mediatore
che “non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni
acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’Autorità giudiziaria né davanti ad
altra Autorità”, come precisa l’art. 10, comma 2.
106
Nell’art. 14., infine, si ha il compendio dedicato degli obblighi del mediatore:
“1. Al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi,
direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente
inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire compensi
direttamente dalle parti”; la norma si rivela ab origine il primo presidio dell’imparzialità:
il mediatore, per essere indipendente, dev’essere neutrale ed indifferente, non essere legato,
cioè, ad alcuna della parti da diritti od obblighi, che minerebbero ab intrinseco la posizione
di astrazione oggettiva e soggettiva di cui le parti hanno la legittima aspettativa; anche la
previsione che i costi del procedimento siano determinati preventivamente con tabella e pagati direttamente all’Organismo (cfr. art. 16., comma 3 e regolamenti emanandi) concorre
all’affermazione dell’imparzialità del mediatore, che è dispensato da qualsiasi rapporto con
il denaro in quanto il suo giusto compenso è a càrico dell’Organismo; pertanto, a maggior
ragione, non può percepire compensi direttamente dalle parti, che nel maneggio di somme
potrebbero intravvedere inammissibili modalità di furbesca influenza o peggio. Prosegue il comma 2.: “al mediatore è fatto, altresì, obbligo di:
a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di imparzialità
secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori
impegni eventualmente previsti dal medesimo regolament”; si tratta di una formalità (una
delle pochissime richieste per la procedura, che è semplificata al massimo) che riveste
grande significato di impegno giuridico e morale per il mediatore, come l’impegno di
cui all’art. 251, 2° co. cod. proc. civ. per i testimoni; inoltre, la mancanza della dichiarazione di imparzialità costituisce, secondo molti regolamenti di Organismi, motivo di
impossibilità a dar corso al procedimento;
b) “informare immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio
all’imparzialità nello svolgimento della mediazione”; è un dovere correlato al principio
dell’imparzialità, che deve sussistere durante tutto lo svolgimento del procedimento,
di tal che l’insorgenza medio tempore di cause ostative inficia l’intero iter e fa nascere
responsabilità contestabili, qualora il mediatore non ne dia avviso sia all’Organismo, sia
alle parti (le quali, tuttavia, in alcuni regolamenti di Organismi, potrebbero anche decidere espressamente e di concerto tra di loro di continuare la procedura, con valutazione
discrezionale di irrilevanza degli elementi di possibile riduzione dell’imparzialità di cui
siano state informate dal mediatore, all’interno dell’autonomia loro riconosciuta);
c) “formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle
norme imperative”; in tal caso, l’obbligo discende dalla necessità di competenza e di professionalità nel mediatore, la cui violazione potrebbe tramutarsi surrettiziamente in una
forma di parzialità o discriminazione a danno di una delle parti, che abbia confidato
nella regolarità della procedura e della proposta di conciliazione;
Il comma 3. contempla l’eventualità patologica della carenza nel mediatore dei requisiti
di imparzialità e terzietà (ma anche di competenza tecnica): “su istanza di parte, il responsabile dell’organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore”. I regolamenti degli
organismi, in questa circostanza, devono esporre dettagliatamente sia le cause ostative e/o
di incompatibilità, sia le modalità di sostituzione del mediatore, che siano il più possibile
oggettive e sottratte alla mera discrezionalità del Responsabile. La delicatezza della materia
107
e l’esigenza di trasparenza spigano il dettato della seconda parte del cit. co. 3 dell’art. in
disamina: “il regolamento individua la diversa competenza a decidere sull’istanza, quando la
mediazione è svolta dal responsabile dell’organismo”: è di tutta evidenza, infatti, che il mediatore designato che sia contemporaneamente responsabile dell’Organismo non possa far
coesistere in sé le funzioni di controllore e di controllato, sicché è ragionevole l’imposizione
ai regolamenti di introdurre un meccanismo atto ad assicurare imparzialità e terzietà anche
in questa non remota ipotesi.
10.10 L’imparzialità come presupposto di successo della mediazione
Da quanto sinora esposto, emerge che il mediatore civile si appresta a divenire una figura
altamente specializzata, previa seria formazione continua, capace di gestire efficacemente il
contenzioso attraverso le più moderne tecniche di negoziazione e di facilitare giuridicamente e psicologicamente l’accordo tra le parti accompagnandole alla soluzione più utile e
soddisfacente, in una necessaria posizione di imparzialità e neutralità, quale prerequisito
essenziale.
L’equidistanza del mediatore dai contendenti è ancor più delicata, poiché il legislatore pressato da notorie esigenze contenitive del contenzioso - ha scelto l’obbligatorietà della
mediazione per la gran parte della possibile e più frequente res litigiosa.
Il mediatore, peraltro, è investito di una funzione più lata di quella del giuduce, poiché
il procedimento mediatorio è contrassegnato dal principio della libertà delle forme e della
disponibilità senza limiti delle parti; il terzo “non è a differenza del giudice, vincolato strettamente al principio della domanda e può trovare soluzioni della controversia che guardano
al complessivo rapporto tra le parti. Il mediatore non si limita a regolare questioni passate,
guardando, piuttosto, a una ridefinizione della relazione intersoggettiva in prospettiva futura”.
Perciò, “il tentativo di conciliazione può avere successo solo se è sostenuto da una reale volontà
conciliativa e non se è svolto per ottemperare ad un obbligo. In questo caso si trasforma in un
mero adempimento formale, che ingolfa gli uffici preposti, ritardando la definizione della controversia e sottraendo energie allo svolgimento dei tentativi di conciliazione seriamente intenzionati”; ne scaturisce la necessità di metabolizzazione parte degli utenti e degli operatori della
peculiare natura extragiudiziale della mediazione, che non costituisce “un’ipotesi di soluzione
della lite attraverso l’applicazione delle norme; il mediatore, per quanto doverosamente terzo
ed imparziale, non si sostituisce mai al giudice, anticipandone la giurisdizione, ma ricerca,
d’accordo con le parti che ad esso si sono rivolte, una composizione amichevole della vicenda, la
quale tenga conto degli interessi perseguiti dalle stesse. Nella mediazione non c’è (e non ci
può essere, per ovvi motivi desumibili pure dal nomen iuris) un vincitore o un soccombente; se
essa ha effetto e si raggiunge la conciliazione stragiudiziale della querelle, questa non avviene
alla stregua del paradigma normativo, bensì alla luce della regola elaborata hic et nunc per quel
caso di specie e solo per quello”.
Stante, dunque, l’innovazione dell’imposizione normativa della mediazione, è auspicabile
che in tempi brevi, dopo l’opportuna fase iniziale di carattere comprensibilmente sperimentale ed organizzativo, il nuovo istituto dia risposta adeguata alle aspettative di giustizia,
grazie al consolidarsi del prestigio e dell’autorevolezza che i mediatori dovranno costruirsi
giorno per giorno, senza il riparo istituzionale della giurisdizione, ma con la dimostrazione
108
di essere in grado di indirizzare i contendenti a soluzioni bonarie delle controversie, in cui
il saggio contemperamento degli interessi contrapposti, la terzietà neutrale del facilitatore
percepita dalle parti come garanzia di serietà e di concretezza, l’assenza di rigidi formalismi
e di trappole procedurali permettano il superamento del noto (ed amaro) principio secondo
cui summum ius equivale a summa iniuria, per una giustizia più sostanziale, pratica, rapida, satisfattiva, vantaggiosa e recuperativa dei rapporti sociali e di affari.
L’imparzialità riconosciuta e condivisa dei mediatori, unita alla rigorosa preparazione
tecnica ed umana, sarà quindi il viatico indispensabile per il successo della risoluzione
alternativa del contenzioso, dell’intento deflattivo e della diminuzione della congenita
litigiosità.
109
11. CONCILIAZIONE: UNA NUOVA FRONTIERA
A cura dell’Avv. Anna Laura Tocco e dell’Avv. Giuseppe M. Valenti
Avvocati Mediatori Centro Kairos Formia
Avvocati senza Frontiere ONLUS
Nella tradizione giuspositivista continentale, l’ordine giuridico è un complesso di norme
emesse secondo un determinato procedimento, secondo una determinata gerarchia.
Di fronte alla patologia del rapporto giuridico, il giudice è chiamato a verificare la conformità di fatti e condotte delle parti a regole astratte preesistenti, invece che indagare e
risolvere i motivi che hanno indotto quella patologia.
La consapevolezza di ciò nonché i nuovi termini di riferimento della tutela giurisdizionale,
a fronte del mutamento del rapporto tra stato nazionale e diritto ed il ricorso a fonti e corti
di natura extrastatale stanno inducendo a ricercare scoprire e rivalutare strumenti per la
risoluzione alternativa delle controversie, i cosiddetti A.D.R..
L’Associazione Kairos, ormai da diversi anni ha assunto il compito di promuovere e gestire
la mediazione dei conflitti. L’esigenza è stata dapprima avvertita nell’ambito delle controversie familiari nelle quali si rileva una elevata potenzialità distruttiva dei rapporti affettivi.
In tale ambito la mediazione conduce alla autoresponsabilizzazione dei coniugi e restituisce loro la capacità di autogestione del conflitto in senso costruttivo.
In tal modo si esce dalla logica processuale del vincitore-soccombente, che tenacemente nel
nostro paese resiste, che viene sostituita con quella della vittoria bilaterale.
Alla luce della esperienza positiva maturata e della introduzione della nuova normativa sulla
conciliazione civile e commerciale, si auspica una presa di coscienza da parte dell’avvocatura che l’arte del negoziare e conciliare i conflitti sia ritenuto uno strumento utile con
cui il giurista del terzo millennio possa avviarsi a ritornare giureconsulto.
11.1 Dall’ordine dato all’ordine negoziato
Siamo abituati, in virtù della tradizione giuridica giuspositivista continentale, a considerare il diritto, cioè l’ordine giuridico, come il complesso di norme emesse seguendo un
determinato procedimento, secondo una determinata gerarchia e vigenti in un determinato
territorio.
In tale concezione, l’autonomia privata o negoziale sembrerebbe essere poco più di uno
spazio bianco residuale su cui il legislatore, nella sua infinita saggezza, non abbia ritenuto
di prevedere la giusta regola, ovvero in cui consenta che la regola data sia derogata dalla
volontà consensuale delle parti.
Corollario di ciò è che, in tali sistemi, di fronte a una patologia del rapporto giuridico, il
giudice è chiamato a verificare la conformità di fatti e condotte delle parti a regole astratte
preesistenti, piuttosto che a indagare e risolvere i motivi che quella patologia hanno indotto.
Il rimedio giurisdizionale, quindi, è l’anatomia patologica del rapporto giuridico, poiché
in genere tende a stabilire per colpa di chi quel rapporto è venuto meno alla sua funzione,
piuttosto che a risanarlo o a renderlo effettivo.
Perciò il processo è rimedio meno o poco efficace rispetto ad alcune categorie di rapporti,
come quelli di tipo cooperativo o continuativo (p.es. contratti con comunione di scopo,
110
di subfornitura) o quelli in concreto non suscettibili di esecuzione coattiva, come spesso
avviene in ambito familiare.
Non potendo il giudizio indagare i motivi effettivi di una determinata condotta, perché
questi ultimi sono il più delle volte metagiuridici, cioè irrilevanti in quanto estranei al
meccanismo di verifica della conformità del fatto alla previsione astratta cui il processo è finalizzato, la decisione non pacifica le relazioni tra le parti, i cui interessi effettivi o prevalenti
non sono quelli dedotti, ma altri, non deducibili nel processo.
Il conflitto, invece, per essere definitivamente superato, deve poter affrontare proprio i motivi, cioè le cause profonde che lo hanno generato: questo, a meno di assegnare al giudice
un ruolo creativo del tutto incompatibile con l’attuale assetto costituzionale, non può essere
ottenuto con un atto giurisdizionale, anche perché presuppone una confidenza che è il
contrario del potere/dovere di giudicare, anzi una confidenza che è possibile soltanto se non
si sarà giudicati da chi la riceve.
La consapevolezza di ciò sta inducendo a ricercare, riscoprire e rivalutare strumenti per la
risoluzione alternativa delle controversie, i cosiddetti A.D.R.. Ma la crisi del pangiurisdizionalismo viene da lontano.
Stanno infatti cambiando, i termini di riferimento della funzione giurisdizionale, a fronte del mutamento del rapporto stesso fronte del mutamento del rapporto stesso tra Stato
nazionale e diritto e col ricorso sempre maggiore a giustizie private di natura specialistica e
negoziale o a fonti e corti di natura extrastatale (come la legislazione comunitaria, l’Unidroit
o le corti arbitrali internazionali, o da ultimo, il processo di formazione volontaristica e
negoziale di corpi normativi elementari del c.d. internet Law).
D’altronde le stesse istituzioni europee, pur affermando con forza il valore del giudizio,
sembrano mirare a valorizzare e promuovere strumenti alternativi ad esso.
L’espansione di diritti generata dall’evoluzione sociale può essere compiutamente tutelata
solo col processo? Ed è sicuro che sia il processo statale lo strumento più adatto per la regolazione di tutti i conflitti? Ammesso che ciò sia, abbiamo le risorse per assicurare una tutela
in tempi ragionevoli senza limitare il diritto di difesa? E come ciò è concretamente possibile
in un mercato transnazionale di 27 stati membri?
Porsi queste domande significa chiedersi responsabilmente quale sia il nuovo modello di
tutela di diritti necessario e possibile, mentre ipotizzare riforme della giustizia senza porsele
vuol dire essere inconsapevoli di ciò che è accaduto in Europa nell’ultimo decennio, e soprattutto ignorare le tendenze evolutive.
A fianco all’ordine dato, rigido verticale e gerarchizzato, si apre oggi uno spazio per il mondo dell’ordine negoziato, flessibile, orizzontale e consensuale: nell’ordine negoziato si valorizza l’autonomia, anzi, l’ordine negoziato è l’espressione tipica dell’autonomia delle parti.
Un’autonomia che a una lettura più attenta appare non come uno spazio giuridico residuale, ma come una diversa manifestazione della sovranità popolare.
Secondo una teoria generalmente accettata, la sovranità popolare si esprime attraverso un
moto convettivo prima ascendente e poi discendente: il popolo elegge assemblee legislative
che producono norme generali ed astratte seguendo un determinato procedimento e aventi
una determinata gerarchia.
La volontà popolare prima ascende con l’espressione del voto e poi ridiscende sotto forma
111
di leggi e norme derivate, di cui l’organizzazione statale garantisce l’osservanza. Ma l’obbligazione consensuale non abbisogna di ascendere nell’empireo della volontà generale per poi ricadere a regolare i rapporti tra i contraenti: essa dispone di specifiche esigenze
e trova la sua fonte non nella legge, ma nella comune volontà dei contraenti.
Quando si dice che il contratto ha forza di legge tra le parti che lo hanno concluso si dice
in realtà che la sovranità giuridica si può esprimere tanto nella direzione di una norma generale ed astratta quanto in quella di una specifica e concreta determinazione: lex e jus. Agli
albori del diritto la sponsio, la promessa reciproca, precede la sanctio, la chiamata dell’Autorità divina a suggello e garanzia di quel patto. Il diritto convenzionale e consensuale precede
la legge data, così come la società precede lo Stato.
Il pensiero giuspositivista, epigono paradossale del giusnaturalismo illuminista, ha preteso
di comprimere e comprendere tutto il diritto nella legislazione statale nazionale, racchiudendolo nel trittico un popolo, uno stato, un ordinamento.
Il superamento dello stato nazionale sovrano, come abbiamo visto, restaurando la pluralità delle fonti del mondo pre-moderno, ha privato di ragionevolezza, cioè di legittimità
logico-sistematica, la pretesa statale di monopolio giuridico e giurisdizionale, e di senso la
concezione del giudizio come strumento restauratore di un astratto ordine giuridico violato. Allo Stato, in questa nuova lettura, profeticamente annunciata quasi un secolo fa dal genio di Santi Romano, resta il monopolio della forza, dell’attuazione di un ordine giuridico
sempre più spesso sancito aliunde.
In tale ottica il concetto di giustizia si allontana sempre più dalla vecchia definizione di potere sovrano per assumere quello ben più ampia di ordine sociale di collettività organizzate,
ordinamenti concorrenti che coesistono e talvolta si sovrappongono, un arcipelago il cui
parametro di efficacia è la capacità di comporre gli interessi in conflitto, piuttosto che la
conformità a un astratto principio di legalità.
Ordine dato e ordine negoziato sono teleologicamente uniti dalla e nella funzione di assicurare l’ordine sociale attraverso l’equo contemperamento degli interessi delle parti destinatarie della regolazione.
Perciò non può esservi alcuna ancillarità tra processo statale e strumenti alternativi ad esso,
né può guardarsi al negoziato e alla conciliazione come alla rinunzia a una giustizia alta, ma
lenta per una minore, purché rapida.
Si tratta invece di prendere coscienza che l’arte del negoziare e del conciliare i conflitti,
come quella della difesa in giudizio, sono tutti strumenti di tutela di cui il giurista, che nel
terzo millennio si avvia a ritornare giureconsulto, deve essere padrone.
11.2 Ricostruire le relazioni intorno ad obiettivi condivisi
Gandhi ci ha rammentato che ogni legge contiene un quid di ingiusto, che non è un dogma, ma l’extrema ratio laddove i cittadini non siano in grado di autoregolamentare i reciproci diritti e doveri e che la norma giusta è fonte di libertà e non di costrizioni.
Tale prospettiva è perfettamente in linea con gli scopi istituzionali dell’avvocatura, che ha il
dovere primario di interrogarsi sulla legittimità etica delle leggi e valutare la opportunità e la
convenienza di una lite rispetto agli obiettivi concreti che le parti si prefiggono, separandoli
dalle astiosità e dalle incomprensioni.
112
In perfetta sintonia con i principi fondamentali delle moderne tecniche mediative, Gandhi
sosteneva che i “litiganti” devono immaginare soluzioni in grado di dar vita ad un “gioco a
somma maggiore di zero” nel quale entrambi i contendenti vincono.
La legislazione, invece, ha finito per invadere tutti gli ambiti della esistenza umana, “persino
i più privati e per lungo tempo refrattari a norme esteriori, come quelli delle relazioni affettive tra le persone: la famiglia, la convivenza, i rapporti tra genitori e figli”.
È con queste premesse culturali che ormai da diversi anni l’associazione Kairos ha assunto
il compito di promuovere e gestire la mediazione dei conflitti.
L’esigenza è stata avvertita dapprima nell’ambito delle controversie familiari, poiché come
è noto gli avvocati incontrano serie difficoltà nella gestione delle separazioni e dei divorzi e
ciò non per incapacità professionale - molto spesso sono preparatissimi per quanto concerne la normativa e l’ultimo orientamento giurisprudenziale - ma per la obiettiva impossibilità di risolvere la crisi con i soli strumenti del diritto.
La stessa sensibilità impiegata dal legale nel trattare tali controversie sembra non bastare
più, in quanto la complessità delle dinamiche, accompagnata dalla trasformazione del modello di famiglia, necessita la utilizzazione di tecniche nuove, sia per analizzare i bisogni
emotivi dei confliggenti, sia per gestire le richieste di aiuto di ciascuno di essi.
Spesso capita che l’avvocato, nel lodevole intento di evitare una guerra giudiziaria, giunga
ad un accordo consensuale scoraggiando il cliente con la prospettiva di tempi lunghi, costi
ingenti e risultati aleatori: succede allora che l’ansia di definire la situazione al più presto
induce i soggetti ad accettare di rinunciare a qualcosa purché l’altro faccia altrettanto e
nessuno si preoccupa di valutarne l’opportunità o la congruità a tutela dei figli prima che
nell’interesse di se stesso.
Accade quindi che dopo qualche mese sono tutti scontenti e si ricorre inopinatamente
alla richiesta di modifica delle condizioni, il più delle volte rigettata per la mancanza del
presupposto indispensabile per l’accoglimento e cioè il verificarsi, nelle more, di un fatto
nuovo che la giustifichi.
È per questo che il modello di formazione del nostro centro è stato appositamente studiato
per trasmettere una serie di informazioni sul fenomeno “separazione” nonché sulla pratica
della mediazione ed offre uno spazio in cui l’avvocato può sperimentare le qualità mediative per acquisire strumenti di accompagnamento alla mediazione che gli consentano, da
un lato, di potenziare le sue capacità professionali, dall’altro di aiutare i propri assistiti,
in collaborazione con altri tipi di intervento, a scegliere ed a decidere, responsabilmente,
nell’interesse dei propri figli.
Con il legale si instaura un rapporto fiduciario ed egli, pertanto, deve avere la capacità di
stornare da sé il pericolo di alleanze e di giochi vendicativi per la cui realizzazione il cliente,
non di rado, tenta di strumentalizzarlo.
Solo così si può conseguire l’effettivo interesse del soggetto, che non è vincere a tutti i
costi la causa con il negare alla controparte il quadro di valore o la villa al mare, o ottenere
un assegno di mantenimento stratosferico, bensì aiutarlo a comprendere cosa è veramente
bene per lui, il che presuppone quel recupero relazionale in mancanza del quale l’avvocato
conseguirà una vittoria senza vincitore nella quale sarà innanzitutto sconfitta la sua professionalità.
113
La mediazione, inserita in un paradigma sistemico-relazionale, abbraccia un approccio di
tipo trasformativo e non di problem solving.
Il percorso mediativo ha precisi intenti educativi, gettando il “seme del cambiamento”, non
lascia mai “le cose” così come stavano.
Diventa una filosofia sociale che opta per la negoziazione ragionata, offre un set/setting
in grado di far incontrare i contrari e di farli convivere, non di ignorarli o addirittura di
sopprimerli, consentendo la sfida del divenire, il passaggio da una condizione all’altra, la
trasformazione continua che è simbolo della vita, l’uscita dalla sofferenza non perché la
espelle magicamente o la nega virtualmente, ma perché le offre un senso più complessivo.
Uno degli aspetti più importanti della mediazione familiare è proprio quello di far emergere
l’autoresponsabilizzazione di ognuno dei coniugi e con essa la capacità di auto-gestione.
Una separazione consensuale vera, pertanto, nasce dal consenso tra le parti, nel senso etimologico dei termini cum e sensum, cui si addiviene alla fine di un percorso nel quale le
parti sono aiutate a gestire il conflitto tra loro insorto in senso costruttivo e non distruttivo,
unica strada percorribile se si vuole conseguire il risultato della tutela dei minori, vittime
inconsapevoli della stupidità umana, che è la causa principale di ogni guerra.
In questo contesto sicuramente la legge sull’affido condiviso ha rappresentato una importante innovazione, dal momento che sancisce il diritto del minore alla bigenitorialità, in
linea con quanto stabilito dalle varie convenzioni europee e mondiali.
Tuttavia bisogna prestare particolare attenzione in quanto si rischiano ulteriori guai se non
ci si attiva per responsabilizzare le persone su quelli che sono i loro doveri, prima di affannarsi a spada tratta a tutelare i loro diritti, come fanno ad esempio le varie associazioni di
padri separati!!!
In caso contrario, in presenza di gravi situazioni di conflitto non risolte o non gestite opportunamente, l’affidamento condiviso non può che avere effetti devastanti sulla psiche
dei figli minori, ragion per cui è assolutamente necessario, prima di stabilirlo, l’invio dei
coniugi ad un Centro di mediazione familiare.
In sostanza per addivenire ad una tutela reale dei minori bisogna assolutamente uscire dalla
logica processuale del vincitore-soccombente, che tenacemente nel nostro paese resiste e
sostituirla con quella della vittoria bilaterale, che si verifica quando entrambi i contendenti
raggiungono un risultato soddisfacente, coadiuvati nel percorso da professionisti esperti.
Siamo stati molto coraggiosi ad imboccare una strada nuova, tra ostacoli vari e la diffidenza
di tutti, ma abbiamo subito compreso che era l’unica percorribile: ci sono risposte che non
possono essere date con i soli strumenti del diritto, specie in una materia così delicata, come
quella dei legami familiari.
La separazione è un momento di grave conflitto, con alta potenzialità distruttiva dei rapporti
affettivi: è la disgregazione della famiglia, il fallimento di un progetto di vita e le problematiche che accompagnano tale evento sono inevitabilmente complesse e delicate, perché
coinvolgono l’individuo, la sua storia, cioè i suoi bisogni, le sue emozioni, i suoi sentimenti.
11.3 Più conciliazione per avere più giustizia
La nostra è un’esperienza positiva, ma è frutto di un impegno costante e di un lavoro molto
duro e, principalmente, di un lavoro svolto da una equipe multidisciplinare, nella quale,
114
con il passare degli anni, le varie figure professionali si sono arricchite con lo scambio reciproco e con la passione che le accomuna, è su questo che si deve puntare, tenendo ben
presente che, come diceva Einstein, non si possono risolvere i problemi con la stessa mentalità
che li ha generati.
Il lavoro più lungo e più duro, ma che ha dato sul territorio i risultati migliori, è stato però
quello di dissodamento culturale.
Ciò ha fatto si che quando è arrivata la nuova normativa sulla conciliazione civile e commerciale, essa sia caduta in un terreno già arato, il che spiega le massicce richieste di formazione in materia ricevute ed evase, in collaborazione con Bridge Mediation Italia, pur
in un ambiente che per caratteristiche socioeconomiche sarebbe tra i meno favorevoli alle
soluzioni negoziali.
Negli ultimi anni, del resto, si è fatta strada nel mondo una nuova “coscienza biosferica” che
ci sta portando dal depredare i beni della natura, cercando di accaparrare tutto in maniera
competitiva al comprendere l’importanza della cooperazione e della sostenibilità ambientale che trova la sua espressione nella cosiddetta “civiltà dell’empatia”.
In buona sostanza l’uomo del terzo millennio, se vuole arrestare il degrado che lo circonda deve “far scoppiare la pace”, prima di tutto intorno a sé, poi man mano allargando la
cerchia fino a comprendere la Terra e lo Spazio che lo circonda e può farlo proprio con
un “uso intensivo della conciliazione, dalla piccole controversie di quartiere su su fino alle
querelles internazionali che impongono una ri-conciliazione delle popolazioni in conflitto”
Tutto ciò ovviamente presuppone che, così come sta accadendo in molti campi del vivere
sociale, l’etica torni ad essere protagonista anche nella sfera del diritto e delle professioni
legali, che necessariamente vanno ad incidere su interessi pubblici della generalità dei cittadini.
Significativo ci è apparso in proposito che il Consiglio degli Ordini Forensi e delle law
societies dell’Unione europea (C.C.B.E.) abbia di recente raccomandato agli avvocati consulenti delle imprese comportamenti diretti ad orientare scelte conformi a principi di responsabilità sociale in tema di diritti umani e sviluppo sostenibile.
Forse, prendendo proprio ad esempio il Mahatma Gandhi, l’avvocatura, che ha una importanza così grande per la tutela dei diritti, di cui si avverte un forte bisogno nell’attuale momento storico, può riscattarsi dalla profonda crisi in cui versa e ritrovare dignità e prestigio.
11.4 Bibliografia
-- Carbone F. (2003). Che fa, concilia?. Ed. Progetto Cultura, Collana LiberaMente, p. 12.
-- Grossi P.(2007). Mitologie giuridiche della Modernità. Giuffré.
-- Picardi (2008). Extrastatualità della giurisdizione in Studi in Memoria di A. Attardi.
-- Rifkin J.(2010). La civiltà dell’empatia. Mondadori Editore, Milano.
-- Scaparro F.(2001). Il Coraggio di mediare. Guerini e Associati.
-- Schettini B., Dentro il conflitto-oltre il conflitto: la funzione educativa della mediazione
sociale e culturale, in Iavarone M.C., Sarracino V., Striano M., Questioni di pedagogia
sociale, Franco Angeli, Milano 2000, p. 97.
-- Zagrebelsky G., Antigone e la legge che smarrisce il diritto, in La Repubblica, 25 giugno
2003.
115
12. MEDIA-CONCILIAZIONE E PICCOLE E MEDIE IMPRESE: STRUMENTI E SOLUZIONI PER
LO SVILUPPO
A cura del Dott. Valerio Sale
Consulente di Direzione Aziendale
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
La realtà produttiva e commerciale italiana è rappresentata dalle Piccole e Medie Imprese
(PMI) che da anni richiedono politiche di semplificazione e di snellimento dell’apparato
amministrativo e burocratico che ne regola il funzionamento societario e gestionale. Oggi,
il d.lgs. 28/2010 si pone come fattore propulsivo nella soluzione delle controversie commerciali rendendo accessibile al sistema imprenditoriale un mercato dei servizi legali aperto
e inserendo così a pieno titolo la legislazione nel contesto delle politiche di modernizzazione e di agevolazione del fare impresa in conformità alla direttiva europea 2008/52/CE.
La cultura imprenditoriale è fondata sul problem solving ed è in questo senso che le PMI
sono pronte a recepire modelli alternativi di risoluzione delle controversie allorché questi
si dimostrino efficienti rispetto a quelli tradizionali. Il trend di crescita delle procedure di
A.D.R., quali l’arbitrato e la conciliazione, presso le Camere di Commercio ha dimostrato
sia la ricettività da parte del sistema delle imprese, sia la necessità dello stesso di ricercare soluzioni efficaci (risultati a costi contenuti) ed efficienti (tempi rapidi). Gli strumenti messi
a disposizione dalla nuova legge sulla media-conciliazione si trovano al crocevia tra la cultura d’impresa e l’intento del legislatore di rispondere alle domande di semplificazione ed
efficienza per un sistema competitivo, quello della PMI italiana, orientato all’innovazione e
sospinto dal cambiamento. In questo contributo vengono illustrati alcuni aspetti relazionali
e gestionali che, come la negoziazione e la transazione, appartengono tipicamente ai sistemi
commerciali e che trovano nella media-conciliazione una prospettiva ed uno sbocco concreto di risoluzione del problema laddove il mediatore/conciliatore si pone con ruolo attivo
nella creazione di valore dell’accordo. Tuttavia, il mondo dell’impresa è ancora scarsamente
informato sulle caratteristiche ed i vantaggi della media-conciliazione e con questa breve
ricognizione è nostro intento ed augurio contribuire a diffondere l’argomento e stimolare
il dibattito.
Parole chiave: media-conciliazione, PMI, controversia commerciale, A.D.R., problem solving, strategia, win-win, negoziazione, transazione.
12.1 Premessa
In Italia le Piccole e Media Imprese (PMI) rappresentano più del 99 per cento delle imprese
del settore manifatturiero e di numerosi settori dei servizi mercantili. Le piccole imprese
con meno di 50 addetti rappresentano più del 98 per cento delle imprese del settore manifatturiero15. L’attenzione tradizionalmente dedicata dal legislatore a un’economia che si
appoggia essenzialmente su un tessuto di piccole e medie imprese, si sta accrescendo con
la decisa intenzione di portare a termine operazioni di snellimento amministrativo di cui
15 Overview OECD (2002) “Small Medium Entreprises” Outlook.
116
potranno beneficiare le imprese sia nella fase di avviamento che durante l’esercizio. A titolo
esemplificativo, secondo alcune stime, le formalità amministrative da adempiere per creare
un’impresa sono state ridotte da 25 nel 1998 a 5 e i tempi per l’iter sono stati portati da
22 a 10 settimane con una conseguente riduzione dei costi di apertura. Tuttavia, notevoli
restano i ritardi e necessaria la spinta per rendere più efficiente e quindi rapido l’impianto
amministrativo in cui si colloca l’attività d’impresa, allineando il sistema italiano a quello
dei paesi industriali più avanzati. La riforma della giustizia inserisce a pieno titolo il mondo
dell’impresa in questo contesto di sviluppo e di modernizzazione della società civile.
Secondo la Camera di Commercio di Milano litigare costa alle aziende circa 73 milioni
di euro all’anno.16 La Banca d’Italia stima in 5 anni e mezzo il tempo medio necessario
ad un’azienda per ottenere l’esito del giudizio ordinario. Nel rapporto “Doing Business
2009” della Banca Mondiale ai fini di valutare l’attrattività economico-commerciale per
gli investitori mondiali, si comparano 181 sistemi economici ed, in particolare, la durata
stimata di un procedimento di recupero di un credito originato da una disputa di carattere
commerciale. Il confronto è impietoso per l’Italia: tale durata è stimata in 1.210 giorni, in
Francia 331, in Germania 394, in Giappone 316, in Spagna 515. Dal rapporto risulta che,
in tema di processo civile, i Paesi europei sono tra i primi 50 (Germania 9° posto, Francia
10°, Belgio 22°, Regno Unito 24°, Svizzera 32°). Solo la Spagna è ultima, al 54°posto. L’Italia è la 156° su un totale di 181.17 Il dato, riferito alla realtà economica del Paese, si legge
ancor meglio se inserito nel contesto generale dei procedimenti civili: 5.425.000 cause civili
pendenti, con una giacenza media dei procedimenti ordinari di 960 giorni (quasi 3 anni)
per il primo grado e di 1509 per l’appello. Numeri ancora più evidenti se si considera che
un paese come la Francia, nostro concorrente sui mercati internazionali, spende per la Giustizia 1 miliardo in meno dell’Italia (6,66 miliardi con 7,56) per produrre una durata media
dei procedimenti di 15 mesi per un processo civile in Cassazione, 4 mesi per il penale, 12
mesi per l’appello.
In materia di conciliazione delle controversie commerciali le PMI conoscono ed utilizzano
l’istituto fornito dalle Camere di Commercio in riferimento sia all’arbitrato sia alla conciliazione con riferimento al d.lgs. 5/2003. La Camera arbitrale permette di risolvere controversie di carattere civile e commerciale utilizzando l‘arbitrato come strumento di giustizia
stragiudiziale, alternativa a quella ordinaria (Tribunale e giuduce di pace). Il Servizio di
conciliazione ha permesso sino ad oggi di risolvere controversie tra imprese o tra imprese
e consumatori con riferimento alla legge sopracitata. Nel 2008 è stata superata la quota di
20mila per le conciliazioni gestite dalle Camere di Commercio. Infatti, le 14.051 dell’anno
precedente sono divenute 20.246 nel 2008, con un incremento del 45% rispetto al 2007.18
Oggi, il d.lgs. n. 28 del 4 Marzo 2010 si pone come fattore propulsivo alla soluzione delle
controversie commerciali rendendo, inoltre, accessibile alle imprese un più ampio spettro di
Organismi di conciliazione e inserendo così a pieno titolo la legislazione nel contesto delle
politiche di modernizzazione e di agevolazione del sistema imprenditoriale in conformità
alla direttiva europea direttiva 2008/52/CE.
16 B. Millucci “Corriere Economia” 12.07.2010.
17 Atti del 1° Forum di A.D.R. Network. Roma 22 ottobre 2009, vedi anche www.doingbusiness.org.
18 Unioncamere “Dati 200”.
117
12.2 A.D.R. tra innovazione e sviluppo
Oggi una PMI che intenda risolvere una contenzioso in via stragiudiziale può disporre dei
seguenti istituti: negoziazione, arbitrato, mediazione.
La cultura imprenditoriale è fondata su problem solving e decision making ed in questo senso
il mondo dell’impresa in generale è sempre pronto a recepire modelli alternativi di risoluzione delle controversie allorché questi si dimostrino efficienti rispetto a quelli tradizionali.
Il trend di crescita delle procedure di A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) presso le
Camere di Commercio dimostrano sia l’immediata ricettività del sistema delle PMI, sia la
necessità di ricercare soluzioni efficaci (risultati a bassi costi) ed efficienti (tempi rapidi).
Dalle schede di rilevazione della Camera di Commercio di Padova si rileva come il Servizio
di conciliazione gestisca un numero di controversie più elevato alla Camera Arbitrale: nel
2009 un totale di 123 contro 9 arbitrati. Dato certamente da collegare al valore medio delle
controversie (arbitrato 190.000 euro - conciliazione 2.870 euro), ma anche all’approccio
semplificativo del procedimento soprattutto in termini di durata: 100 giorni per la conciliazione contro i 356 dell’arbitrato.19
La necessità di competere globalmente che in questi anni ha coinvolto tutto il sistema
produttivo italiano ha portato la classe dirigente a diffondere la cultura dell’innovazione
e dell’eccellenza che per il singolo imprenditore corrisponde a concentrare i propri sforzi
economici e personali su prodotto e sistemi organizzativi. La necessità di liberare energie e risorse organizzative dell’impresa per concentrare l’attività sugli aspetti produttivi e
commerciali diventa vitale quando uomini, mezzi e costi si spostano verso la soluzioni di
problematiche che li costringe nelle maglie della burocrazia e dei processi di materia legale.
La risoluzione delle controversie, se da un lato diventa una primaria necessità di gestione,
dall’altro impegna risorse vitali allo sviluppo dell’impresa stessa e talora alla sua sopravvivenza. Ci riferiamo in modo principale alle controversie nell’ambito dei rapporti business
to business (B2B) che assumono una rilevanza strategica per la questione dei costi, ma soprattutto per quella dei tempi. In un mercato competitivo e globalizzato in cui vince chi
anticipa sul mercato il concorrente, l’impasse creato da controversie commerciali non solo
limita l’azione dell’impresa, ma ne compromette il risultato. Pensiamo, per es., ai conflitti
in materia di distribuzione in cui le parti possono contribuire ad inibire/ingessare l’azione
commerciale di una delle due durante lo svolgimento del giudizio e quindi per periodi di
tempo che vanno da mesi ad anni. E non ci riferiamo unicamente ai casi di inadempimento
contrattuale o scorretta applicazione degli obblighi assunti, ma anche a tutti quei casi di
quotidiana gestione del rapporto cliente-fornitore che, se trasformati in lite, diventano di
fatto un rallentamento o un blocco produttivo e commerciale. L’incremento dei pagamenti
insoluti, causato e favorito dall’inasprimento della crisi economica, è oggi un’altra diffusa
fonte di lite che rimane spesso pendente nel tempo per una mancanza di alternative legali
efficaci per la piccola e media azienda.
Innovazione ed eccellenza sono il mantra dell’associazionismo imprenditoriale che la singola azienda può far suo solo quando sistemi organizzativi e direzione possono concentrarsi e
dedicarsi anima e corpo alla missione aziendale. In caso contrario il costo e l’incertezza del
19 CCIAA, Padova, “Schede di rilevazione strutture e servizi camerali nel 2009”.
118
giudizio diventano un ostacolo talora fatale sulla strada della crescita di una PMI.
Gli strumenti messi a disposizione dalla nuova legge per la media-conciliazione si pongono
al crocevia tra la cultura d’impresa e l’intento del legislatore, in risposta alla domanda di
problem solving ed alla necessità di sviluppo di un sistema competitivo sospinto dal cambiamento e orientato all’innovazione.
12.3 Negoziazione, un approccio strategico
È oramai diffusa la cultura e la tecnica della negoziazione nel mondo dell’impresa: “In
business you never get what you deserve, you just get what you negotiate” recita il motto di uno
dei guru delle tecniche di negoziazione per il business.20 Potremmo fare nostro l’adagio
parafrasando che non si ha mai ciò che si merita senza negoziare, ma solo ciò che si riesce
a mediare. Nelle aziende la negoziazione fa parte di quel bagaglio strategico e tecnico che
l’imprenditore ed i suoi dirigenti ha fatto proprio e che si ritrova con caratteristiche comuni, sebbene distinte, nella mediazione delle controversie civili e commerciali.
In questo caso ci interessa soffermarci sulla valenza commerciale delle tecniche di negoziazione e non sui più ampi risvolti che la negoziazione assume nella vita di un’azienda sia in
ambito organizzativo che in quello prettamente societario all’interno delle compagini. Le
trattative commerciali e le conseguenti relazioni cliente-fornitore si basano sulla capacità di
soddisfare i reciproci bisogni economici e di mercato, capacità questa regolata dal sistema
competitivo dei mercati, ma rappresentata e valorizzata dalle capacità negoziali delle parti.
La determinazione del prezzo resta il punto centrale per la redditività, ma anche servizio,
tempi di consegna, termini di pagamento e condizioni di vendita in generale assumono
una rilevanza fondamentale nella trattativa tra le parti che deve avere come obbiettivo la
reciproca soddisfazione commerciale.
Nella letteratura di management e in quella specifica in materia di risoluzione delle controversie commerciali si ritrova sempre più spesso il termine Win-Win. Riteniamo importante
fare qui un breve ritorno ai fondamentali, back to basic, per andare a definire con maggior
chiarezza l’importanza di questa tecnica negoziale, faro e talora chimera di tutte le mediazioni nelle liti commerciali. Possiamo rappresentare sinteticamente gli scenari prodotti dalle
diverse strategie negoziali applicabili alla risoluzione delle controversie commerciali con 4
risultati finali di un negoziato: 1. Win-Win, 2.Win/Loose, 3. Loose/Win, 4. Loose/Loose.
Il primo scenario, Win/Win, rappresenta la reciproca soddisfazione per il raggiungimento
dell’obbiettivo nella risoluzione della controversia: vincono entrambe le parti. Probabilmente vengono effettuate delle concessioni, ma al tempo stesso sono fortemente preservati
interessi di vario tipo che proclamano ognuno vincitore. È il successo della trattativa e, nel
nostro caso, del processo di mediazione.
Il secondo sancisce per il negoziatore una situazione io vinco e tu perdi, Win/Loose, massimizzando così il profitto in un’ottica di risultato raggiunto nell’immediato. Non ci sono
altri obbiettivi da raggiungere se non la sconfitta dell’avversario.
Il terzo scenario rappresenta una situazione completamente opposta. Io perdo tu vinci,
Loose/Win, che può avere una variante in: io ti lascio vincere, abbandono, mollo, accetto di
20 Chester L. Karrass.
119
perdere per esagerata indulgenza, per timore di conseguenze peggiori, etc.
Infine, l’ultimo scenario è quello in cui entrambe le parti, non ottenendo alcunché dal negoziato, ne pagano le immediate e future conseguenze perdendo entrambe, Loose/Loose, su
tutto il fronte della negoziazione.
L’elevato livello competitivo degli ultimi anni ha notevolmente contribuito ad accrescere
l’attenzione delle direzioni aziendali e del management verso il perfezionamento delle tecniche Win-Win perché è aumentata la consapevolezza della complessità delle implicazioni
nella vita dell’azienda e dell’importanza quindi delle strategie di lungo termine. Nell’attuale
arena competitiva, chi ha come obbiettivo la prosperità nel lungo periodo, elabora progetti
articolati che necessitano un approccio mentale alternativo allo schema più comune che
induce a pensare per dicotomie (Win/Loose). Alla visione concorrenziale del “à la guerre
comme à la guerre” viene contrapposta una terza via. Non è la mia, non è la tua, è la “migliore”, intesa come la più elevata. Questo non per una sorta di buonismo commerciale, ma per
una visione strategica che ha come obbiettivo lo sviluppo ed il profitto durevole nel tempo.
Vivendo in una società iper-competitiva, l’impostazione aggressiva che conduce allo scenario Win/Loose produce di per sé maggiore litigiosità commerciale. Questo le aziende lo
hanno capito, avendo sperimentato i danni di costi e ritardi delle cause legali. Potremmo
quindi affermare che la “scoperta” delle tecniche di negoziazione Win-Win si sono diffuse
non tanto per spirito di fratellanza, ma per l’opportunità strategica di prevenire la litigiosità
ricercando soluzioni mediate, ma soddisfacenti. Infatti, è proprio quando s’incontrano due
aziende dirette con un approccio Win/Loose, io vinco e tu perdi, che spesso si verifica lo scenario seguente Loose/Loose. Nel lungo termine “l’ossessione del nemico” porta alla sconfitta,
togliendo la creatività necessaria per risolvere i problemi.
12.4 Transazione
È proprio la diffusa consapevolezza dei rischi rappresentati dalle situazioni Loose/Loose,
che ha accresciuto in direzioni e management aziendali la disponibilità, volens nolens, alla
transazione per risolvere una controversia. La negoziazione che avviene principalmente in
ambiti di trattativa commerciale, trova una sua espressione nella negoziazione per transare
su controversie molto spesso relative a reclami nelle forniture ed al relativo aspetto economico. Le aziende transano di frequente anche su mandati di agenzia di rappresentanza e su
contratti di distribuzione, laddove i vincoli reciproci impediscono una veloce ripresa delle
attività commerciali e di vendita. Ed anche in questo caso “il tempo è denaro”.
La transazione è un contratto tipico, espressamente regolato dal codice civile, che nell’art.
1965 lo definisce come “il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere fra loro”. Parti della
transazione possono essere, oltre alle persone fisiche, persone giuridiche o altri enti.
Tecnicamente, e non giuridicamente, la transazione diventa una sorte di propaggine della negoziazione, in cui l’abilità dei rappresentanti-negoziatori delle parti si evidenzia non
tanto nell’ottenere il massimo, bensì nel non concedere troppo, talora nell’uscire alla meno
peggio. La transazione diventa allora una sorta di compromesso che risiede al confine di
quello scenario Loose/Loose sopradescritto. Ricordiamo che il nostro soggetto è la PMI e
non la grande azienda che può impiegare esperti negoziatori. Nella realtà a cui ci riferia-
120
mo, la gestione del negoziato transattivo è spesso attribuita direttamente dall’imprenditore
o ad un suo dirigente che ricevono assistenza e indicazioni dai propri legali. La transazione viene rimessa completamente agli avvocati delle parti solo quando la complessità
della problematica e il valore della controversia assumono dimensioni significative. Nulla
togliendo alle competenze negoziali ed all’esperienza di chi guida e dirige queste aziende,
è ineluttabile che la componente emotiva data dall’appartenenza rappresenti il più delle
volte un limite alle modalità ed ai risultati della transazione. Motivo per cui viene ribadita
la natura di compromesso della transazione. Infine, si negozia tra le parti per “chiudere”
in fretta e senza clamori, né strascichi la controversia. Ci preme evidenziare che in Italia
le piccole e le medie aziende si confrontano fisiologicamente sul campo della lite anche di
valori contenuti (small claims) e che queste rappresentano oltre ad un rischio incombente di
avvio in giudizio, anche una zavorra in termini di operatività e di risorse dell’imprenditore.
Per questo la disponibilità alla transazione viene vista come soluzione di compromesso “
meno peggio” perché rapida, snella nella contrattualistica e “tombale”. E, perché no, nelle
imprese più destrutturate, anche come assistenza legale fai da te; non a caso anche internet
offre templates per scritture private di accordi transattivi che recitano il classico: “…tanto
premesso e considerato essendo intenzione comune delle parti quella di prevenire l’insorgere di un
contenzioso - certamente dannoso per entrambe - e promuovere anzi le migliori condizioni …le
parti epigrafate convengono e stipulano quanto segue...”.
Il modo tradizionale della negoziazione di affrontare e risolvere una controversia commerciale finisce spesso per portare il contenzioso fuori dal controllo delle parti, soprattutto
quando c’è, come sopra indicato, un coinvolgimento emotivo che si sovrappone alla conduzione diretta delle parti nella risoluzione della controversia. È il caso appunto di imprenditori o dirigenti che conducono le trattative, seppure affiancati dal proprio consulente
e con il legale dietro le quinte, pronto ai blocchi di partenza. Il raggiungimento di un
accordo transattivo non esclude quindi la delusione delle aspettative iniziali, apportando
poca soddisfazione concreta, anche in caso di vittoria. Tuttavia, la presenza di sfavorevoli
condizioni generali di contratto dovute ad errori che si possono individuare a monte del
contenzioso, lo scarso formalismo dei rapporti, l’inadeguatezza delle strutture giudiziarie, la
sproporzione dei costi e dei tempi del processo ordinario, restano il motivo che scoraggia in
partenza il ricorso alla giustizia ordinaria, favorendo la ricerca e l’aspettativa nei confronti
di metodi alternativi di risoluzione delle controversie, poco costosi e facilmente accessibili
alla maggior parte delle imprese. La mediazione si differenzia dalla Transazione sia per la
presenza di un terzo neutrale sia perché l’accordo tra le parti è regolato da un Organismo
Pubblico o Privato di conciliazione iscritto al Roc (Registro Organismi di conciliazione) in
ottemperanza all’art. 16 d.lgs. 28/2010. Ci riferiamo qui sempre a situazioni conflittuali
in cui l’azienda si presenti come soggetto operativo nella persona dei suoi originari legali
rappresentanti. Va da sé che in casi straordinari, hanno il potere di concludere transazioni
il curatore fallimentare (art. 35 l.f.), il sequestratario d’azienda, il commissario giudiziale
nella fattispecie dell’amministrazione controllata (art. 191 l.f.), il commissario liquidatore
nel caso di liquidazione coatta amministrativa (art. 206 l.f.) ed il commissario nell’ipotesi
di amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi.
121
12.5 Un breve accenno all’arbitrato
Nell’avvicinarsi al cuore del nostro argomento relativo alla mediazione riteniamo doveroso
soffermarci sull’arbitrato quale istituto forse più conosciuto al mondo dell’impresa per la
risoluzione stragiudiziale delle controversie. L’azienda considera l’arbitrato come un istituto
autorevole e quindi efficace, tant’è che la decisione di assegnare l’esito della lite ad un collegio arbitrale e spesso fatto dalle parti direttamente alla scrittura del contratto con l’inserimento di una apposita clausola compromissoria. Molti contratti internazionali prevedono
una clausola arbitrale compromissoria Le sentenze arbitrali sono infatti riconosciute da
144 paesi che hanno firmato la convenzione di New York; in questo senso è un istituto
particolarmente utile anche e soprattutto a quelle PMI che hanno imboccato la via dell’internazionalizzazione. Tuttavia le controversie commerciali che qui ci interessa analizzare,
si riferiscono a liti insorte, spesso in contesti B2B, tra PMI sul territorio italiano. Queste
sono le controversie che per motivi di carattere quantitativo e di valore economico della
lite stessa hanno un bisogno vitale di contenimento dei costi e riduzione dei tempi. Mentre
nell’arbitrato internazionale il valore degli importi è generalmente elevato, le Camere di
Commercio e gli Organismi di conciliazione esercitano un arbitrato di tipo rituale anche
per controversie di importo limitato.
L’arbitrato è una procedura stragiudiziale poiché non è richiesta la presenza di nessun giudice ordinario ed è realizzata tramite l’assegnamento di un apposito incarico ad uno o più
soggetti terzi rispetto alla controversia, detti arbitratori, normalmente in numero di 3, di
cui 2 nominati da ciascuna delle parti ed il terzo scelto da parte di una persona al di sopra
delle parti, i quali forniscono una loro decisione, definita lodo arbitrale. Specifichiamo che
arbitrato rituale è quello in cui la decisione adottata è immediatamente esecutiva e vincola
le parti (alla pari di una ordinaria sentenza). Tuttavia, se le parti si accordano tra loro, può
essere esercitato un arbitrato di tipo irrituale o libero, dove la decisione adottata vincola le
parti come se avessero sottoscritto un contratto. In caso di inadempimento o mancata esecuzione della decisione occorrerà quindi rivolgersi al giudice ordinario. A completamento
delle informazioni sull’arbitrato aggiungiamo che non può essere chiesto per le controversie
che coinvolgono diritti indisponibili:
-- in materia di lavoro (indicate nell’art. 409 del Codice di procedura civile);
-- in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie;
-- relative a questioni di stato e di separazione personale tra coniugi;
-- in generale, tutte quelle materie che non possono formare oggetto di transazione (diritto alla vita, all’immagine, al nome, controversie in materia di fallimento, ecc.).
I vantaggi dell’arbitrato eseguito presso le Camere arbitrali sono rappresentati da tempi
prefissati per arrivare alla decisione (in generale, al massimo 360 giorni) e quindi sempre
vantaggiosi in rapporto ai tempi prospettati dalla giustizia ordinaria. I costi sono preventivabili e comunque contenuti rispetto alle più generali procedure di giudizio. Sul piano
operativo, la commissione arbitrale risponde a delle garanzie di competenza tecnica stabilite
da un ente pubblico e le parti ed i loro legali ricevono un livello base di assistenza durante
l’intera procedura da parte dei funzionari della Camera di Commercio.
Ritornando alle soluzioni alternative a disposizione delle PMI per affrontare il contenzioso,
esse guardano all’arbitrato come alla “meno stragiudiziale” delle procedure a disposizione,
122
mentre vedono nella negoziazione transattiva una sorta di scappatoia alla lite e sono scarsamente informati sulla procedura di mediazione e conciliazione della controversia. Questo
nonostante, nell’ambito della riforma del contenzioso societario (d.lgs. 5 /2003), il legislatore ha inserito norme di assoluto rilievo (articoli da 34 al 40), sia per arbitrato, ma anche
per la conciliazione, disciplinando, con specifica attenzione, la valenza ed il contenuto delle
clausole compromissorie e conciliative inserite all’interno degli atti costitutivi societari.
12.6 Mediazione, la terza via
In sintesi, le 3 procedure stragiudiziali primarie, negoziazione - arbitrato - mediazione, si
distinguono principalmente su due criteri:
a) la presenza o meno di un terzo neutrale;
b) il conferimento o meno del potere allo stesso di emanare una decisione per le parti in
lite al fine di risolvere la controversia commerciale.
La nuova media-conciliazione del d.lgs. 28 riguarda anch’essa l’ambito negoziale, ma, mentre la negoziazione che porta alla transazione si svolge in uno scontro diretto tra i litiganti
e mentre l’arbitrato prevede la pronuncia del lodo, che è vincolante e determina un soccombente ed un vincitore rispetto alla controversia, con la presenza di un terzo neutrale si
offre la possibilità di una negoziazione assistita con caratteristiche anche valutative (d.lgs.
28/2010 art.11, comma 4).
Prima però di addentrarci nella descrizione di caratteristiche e vantaggi di questa procedura, facciamo un po’di chiarezza terminologica anche in riferimento al termine Mediaconciliazione che talora si preferisce per praticità comprensiva della comunicazione. Nei
d.m. 222-223/2004 che, ancora vigenti mentre scriviamo, regolano la legge, si parla di
conciliazione, mentre nella legge n. 28 si afferma il termine di mediazione e di mediatore
(art.1 comma a, b). Se da un lato la dottrina può giustamente criticare l’utilizzo del termine
mediatore perché uguale ad altre definizioni professionali regolate dal Codice Civile all’art.
1754 (mediatore creditizio, mediatore d’affari), la novità rilevante contenuta nella nuova
legge è la distinzione tra mediazione, definito come il tentativo, e la conciliazione, definita
come “la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione”
(art.1, comma c). A questa distinzione che riteniamo faccia chiarezza sulla dinamica della
procedura, non corrisponde una descrizione soddisfacente fintanto che non saranno emanati i nuovi regolamenti che sostituiranno i d.m. 222-223/2004. Ergo, al fine pratico, si
ritiene di utilizzare in questa sede il termine media-conciliazione per comprendere con esso
l’intero percorso che inizia per la risoluzione della controversia indicandone la soluzione
(mediazione) e l’auspicato risultato finale (conciliazione).
L’approccio dell’azienda ai problemi è sistemico e soprattutto per una PMI quasi ogni problema genera a cascata una serie di conseguenze che vanno dalla produzione ai sistemi
organizzativi. La dinamica della lite nel business è quindi la stessa ed anch’essa genera un
percorso: problema - soluzione - risultati. La controversia commerciale s’inserisce in questa
dinamica gestionale e potremmo configurarne il percorso così come nella fig. 1, evidenziando la corrispondenza tra contenuti della legge e sostanza di esigenze/bisogni che l’azienda
esprime in una tale...
123
Controversia
Problema
➧
Mediazione
Soluzione
➧
Conciliazione
Risultati
Fig. 1
Ritornando quindi ai bisogni del protagonista della nostra analisi e quindi alla PMI, la
media-conciliazione del d.lgs. 28/2010 si presenta come u nuovo strumento problem solving per la risoluzione ancora più rapida (comma 1, art.6: durata non superiore a 4 mesi)
e ancora più trasparente nei costi (comma 3, art. 16 - comma 4, art. 8) delle controversie
commerciali. Ed è questo il crocevia dove si possono incontrare con successo la domanda
di semplificazione e di efficienza delle PMI in materia legale e la risposta del legislatore. Per
cultura, per metodo e per esigenza competitiva l’azienda è abituata a pensare per obbiettivi,
a misurare risultati e soprattutto a rispondere con soluzioni per liberare risorse utili alla
redditività. Mentre come abbiamo ribadito, transare su una controversia è spesso sinonimo
di compromesso che scontenta entrambe le parti, ed allorché l’arbitrato esclude ogni ulteriore possibilità di decisione, ecco che la media-conciliazione presenta un’opportunità di
ottenere risultato in termini di snellimento di tempi e costi e incremento del valore di quel
compromesso con buone possibilità di configurare uno scenario Win/Win.
12.7 Mediazione come creazione di valore
In tribunale e con l’arbitrato l’esito della controversia è quello di distinguere tra un vincente
ed un perdente. In queste liti tra aziende le parti rappresentate dall’amministratore e/o i
soci dell’azienda, non hanno più controllo degli accadimenti essendo questi demandati
alle procedure del giudizio. Alla fine uno uscirà vincente, magari insoddisfatto dai tempi
lunghi trascorsi e dai costi sostenuti, e l’altro uscirà perdente, frustrato dalla sconfitta. Il
denominatore comune di queste condizioni espresse dai contendenti è l’annullamento della
relazione commerciale. Ora, premesso che certune liti, assumono una gravità non tanto nel
valore, ma nella pratica commerciale che di per sé giustificano le ragioni dell’interruzioni di
un rapporto, molti altri contenziosi sono connaturati o da limitate dimensioni della controversia o da componenti emotive dei singoli rappresentanti dell’impresa che conducono
irragionevolmente la lite su una strada di non ritorno.
L’impossibilità di controllo della situazione da parte dell’imprenditore nel corso del giudizio
e la sua paralisi decisionale, se da un lato sono le condizioni intrinseche del procedimento,
dall’altro diventano elementi turbativi di non poco conto nella psicologia dell’imprenditore, decision maker per antonomasia. Chi scrive, ricorda l’aneddoto di vita aziendale vissuta,
di quel capitano d’industria il quale, alla vigilia di un dibattimento importante che lo vedeva come attore di una causa contro un fornitore, discutendo di legge e di legali, affermò
che “i migliori avvocati sono quelli che fanno quello che dico io”. Al di là del caso limite
e degli aspetti caricaturali di questo atteggiamento, è innegabile che chi dirige un’azienda
124
ha un rapporto organico con il processo decisionale, con le sorti del proprio destino. Ecco
un altro elemento fondamentale per cui la negoziazione assistita tipica della mediazione e,
quantunque “super-assistita” in caso di perizie tecniche e valutazione del mediatore, concede sempre e comunque alle parti di decidere e di scegliere, rispondendo così, nel caso del
mondo del business, alla necessità di preservare la libertà decisionale connaturata a chi vive
e possiede l’azienda. L’obbiettivo centrale della mediazione è comporre la controversia in
un ambito che soddisfi entrambi con una soluzione Win/Win, di cui il valore strategico è
rappresentato dalla prosecuzione dei rapporti tra le parti e/o dalla fidelizzazione del cliente
che reclama. Come scrive la Prof.ssa Lucarelli, straordinario di Diritto Commerciale presso l’Università di Firenze: “La conciliazione delle controversie si alimenta dell’interesse delle
imprese alla conservazione del rapporto e dell’adozione di soluzioni creative ed efficienti per
l’attività economica”.21
Tre sono le pre-condizioni sostanziali ed aggiungiamo, strategiche per l’azienda, per avviare
e convenire alla procedura di mediazione della controversia commerciale:
1. Volontà
2. Riservatezza
3. Scelta del mediatore
12.7.1 Volontà (strategica)
Certamente la mediazione civile e commerciale è un tentativo, seppur reso obbligatorio
dalla nuova legge per diverse materie, al fine di evitare l’apertura di un conflitto di più vaste
proporzioni, ma si presenta in primo luogo come la volontà di accesso al confronto diretto.
Diretto, ma non contrapposto come nella trattativa negoziale che porta alla transazione.
Le parti qui possono misurarsi rimettendo in gioco la partita, ma soprattutto possono decidere. Decidere non solo sulla scelta di non conciliare e passare quindi in giudizio, assumendosi liberamente responsabilità delle conseguenze, ma soprattutto decidere se ricercare
ed intraprendere nuove strade nella relazione con la controparte. La volontà è una scelta
strategica di avviare e partecipare al procedimento di mediazione, e quindi la premessa per
il raggiungimento degli obbiettivi.
Per es., l’azienda A, fornitore, può accettare di rimborsare una quota pattuita e relativa al valore corrispondente alla merce reclamata dall’azienda B, cliente. Se ci si ferma a questo punto, ciò potrebbe corrispondere al risultato di un negoziato transattivo che preserva le parti
dall’avvio in giudizio e che come valore tutela la buona reputazione di A e limita il danno di
B. Ma se il fornitore A, accetta di rimborsare, con maggiore importo, il cliente B, a fronte di
un processo di mediazione che induce B a decidere, a fronte, per l’appunto, di un rimborso
più sostanzioso, di proseguire un programma di fornitura da A o un’ordinazione singola o
un nuovo incarico specifico, allora la conciliazione finale ha prodotto “quell’ingrandimento
della torta” che rappresenta l’effettivo valore della mediazione. La creazione di questo valore
è prodotta da una miscela di ingredienti relazionali in cui, mi si passi la colorata metafora,
il cuoco è il mediatore-conciliazione.
Le relazioni sono create, dirette e gestite da entrambe le parti (attive) nella procedura; sono
21 Prof.ssa Paola Lucarelli (2010) “Contratti internazionali e conciliazione commerciale” in www.unaltromodo.it.
125
il risultato della loro volontà di aver iniziato la procedura, il loro orientamento al problem
solving, l’attitudine creativa ed infine la visione strategica di un negoziato Win/Win.
12.7.2 Riservatezza, tra reputazione e tatticismi
Agli art. 9 e 10 della nuova legge, dovere di riservatezza e segreto professionale, fondano i
presupposti per rendere il procedimento impermeabile a fattori esterni che ne diano evidenza. La riservatezza della trattativa, l’assenza di luci e clamori, incontrano una delle esigenze
principali delle aziende per:
1) tutelare la reputazione aziendale;
2) non diffondere informazioni all’esterno e/o al proprio interno.
Questo è un altro aspetto di rilevanza strategica nella conduzione delle relazioni aziendali
con tutte le parti cointeressate alla vita dell’azienda (fornitori, banche, personale, istituzioni
del territorio, etc.). Sono infatti obbligati alla riservatezza rispetto alle dichiarazioni e informazioni acquisite gli Organismi e “chiunque presta la propria opera o il proprio servizio” ed
inoltre le dichiarazioni rese dalle parti durante il procedimento di mediazione non possono
essere utilizzate in giudizio, salvo consenso, in caso di mancata conciliazione e di avvio di
giudizio. I cardini posti dalla legge sul principio di riservatezza blindano i contenuti del
contendere permettendo così all’azienda, se necessario, di “lavare i panni sporchi in famiglia”. Trovarsi a negoziare in un ambiente privato, ma giuridicamente autorevole, crea la
motivazione ad affrontare il problema ed a ricercarne le soluzioni. Certamente i “padroni di
casa”, Organismo e mediatore, faranno la differenza in termini di affidabilità e competenza
per favorire il giusto spirito con il quale affrontare la procedura.
12.7.3 Mediatore professionista, figura neutrale esperta o non esperta della materia?
All’art. 8 comma 1. la legge recita che “all’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore…” È infatti la scelta del professionista, del suo profilo, della sua esperienza e competenza che concorrono pienamente al
buon esito della mediazione.
Non ci soffermiamo sulle rinnovate caratteristiche giuridiche del ruolo del mediatore così
come descritte nel d.lgs. 28/2010, lasciando l’approfondimento delle stesse così come lo si
può ritrovare in numerosi altri esaurienti contributi sull’analisi della legge. Ci preme invece
fornire un punto di vista sul dibattito in corso sui compiti del mediatore. Mai come in questo momento è acceso il dibattito tra le figure professionali che reclamano la propria genesi di
Mediatori/Conciliatori22: giuristi, economisti, amministrativi, psicologi, sociologi. Il mediatore infatti deve conoscere bene il procedimento ed in questo fornisce il primo vero aiuto alle
parti, facilita la comunicazione e promuove il dialogo; ne capisce anche di psicologia dei contendenti, comunicazione verbale e non verbale, forme e strategie negoziali. Ma deve essere
anche competente nella materia del contendere? Nel caso specifico, le PMI possono risolvere
meglio le loro controversie con mediatori che conoscono il business della piccola impresa,
con i suoi modelli, le sue forme organizzative, i suoi bisogni, le psicologie degli imprenditori?
22 Avv. Damiano Marinelli (2010) “conciliazione e mediazione…ovvero la storia di un cammello” A.D.R. esperienze a confronto - ANPA Perugia.
126
C’è chi dice che la competenza sulla questione specifica potrebbe sortire addirittura un
handicap che esporrebbe il mediatore al rischio di schierarsi, diremmo noi, istintivamente,
per una delle parti.23 Oltre a questo, seppur discutibile, vizio di forma professionale, il limite che segnaliamo è invece legato alla massiccia produzione normativa che coinvolge tutti
i settori di attività, creando un livello tale di tecnicismi giuridici da rendere davvero non
facile la conoscenza di talune normative.24 In materia societaria e commerciale, le norme
abbondano settore per settore ed un esperto di problematiche societarie e commerciali
potrebbe trovarsi dinnanzi a regolamenti in materia di ICT (internet, etc.) e al tempo
stesso in un procedimento con due parti in lite nel settore edile. Si ricorda che la garanzia
di validità dell’accordo finale è regolamentata dall’art. 12 del d.lgs. 28/2010 dove si precisa
che l’accordo - creato o agevolato dal mediatore - è omologato se “non è contrario all’ordine pubblico o a norme imperative”. Nei casi limite sopra descritti, il mediatore sarebbe in
grado di individuare le pattuizioni contrarie all’ordine pubblico o le norme imperative? In
caso contrario, e quindi di errori, questa incompetenza sarebbe fatale ai fini di:
a) responsabilità civile dell’organismo
b) reputazione dell’organismo e ricadute commerciali sull’attività dello stesso.25
Tuttavia, è importante ricordare che la nuova normativa permette di escludere aspetti “tuttologici” del professionista, dando al mediatore facoltà di avvalersi della collaborazione
di un tecnico (art. 8 comma 4) e che infine un ruolo fondamentale è rappresentato dalla
struttura in cui è inserito il mediatore, ovvero dall’efficienza e l’autorevolezza dell’Organismo che all’art. 8 comma 1 può “nelle controversie che richiedono specifiche competenze
tecniche, nominare uno o più mediatori ausiliari”.
Infine, crediamo che la professionalità del mediatore corrisponda ad un mix di capacità,
skills, che se calate in una materia prossima alla propria esperienza professionale non possa
altro che apportare beneficio a quel “capire la situazione” che però non è il risultato di una
specializzazione, ma è il valore della competenza di chi su questa base deve disporre alle
parti il suo consilium e indurre il concilium, cioè l’aggregazione e l’incontro della volontà
delle parti che costituisce l’unico vero modo di estinzione delle controversie, perciò idonea
a ristabilire e consentire la prosecuzione dei rapporti tra le parti.26 In questo senso parlare e
far parlare tra loro le PMI conoscendo il mondo della piccola impresa potrà apportare valore al processo negoziale, al suo contenuto intrinseco ed alle possibilità di risoluzione della
controversia. L’expertise è valore aggiunto, ma non pre-condizione di esecuzione di un procedimento, la media-conciliazione, complesso e quindi necessariamente interdisciplinare.
12.8 Conclusioni
Le procedure di A.D.R. in generale e la media-conciliazione in particolare sono strumenti
giuridici a disposizione delle Piccole e Medie Imprese per risolvere problematiche che, a
secondo della loro intensità, rischiano altrimenti di minare il proprio sistema economico ed
23 Avv. Andrea Buti 18/06/2010 “Mediatore (in)competente?” in Articoli mondoadr.it.
24 Ibid.
25 Ibid.
26 Consulta Giustizia, www.popolodellaliberta.it “Il fenomeno dell’A.D.R. tradizionale: conciliazione e arbitrato”.
127
organizzativo. La rapidità dello sviluppo economico globale e la capacità delle PMI di adattarsi al cambiamento hanno contribuito a trovare risposte da parte del legislatore in materia
di controversie commerciali, nel tentativo di allineare il sistema giudiziario alle democrazie
occidentali più avanzate. La crescita del sistema competitivo italiano dipenderà anche dalla
capacità di armonizzare esigenze di sviluppo e strumenti legislativi al servizio del cittadino e
delle imprese. La cultura delle PMI, crescendo nella formazione dei passaggi generazionali
e nell’ammodernamento dei propri sistemi organizzativi, acquisisce orientamenti strategici
sempre più centrati alla soluzione dei problemi a medio-lungo termine ed in questo senso
la “scoperta” di nuovi strumenti come la media-conciliazione offrirà soluzioni in cui l’attitudine problem solving delle PMI non potrà che portare benefici.
Tuttavia, l’informazione e la corretta conoscenza da parte delle PMI dei contenuti della
nuova legge sulla media-conciliazione restano ancora lacunosi ed insufficienti. Troppe sono
ancora le realtà imprenditoriali all’oscuro delle possibilità offerte dalla media-conciliazione,
dal suo effettivo funzionamento giuridico e molto potranno fare in questo senso le associazioni di categoria in collaborazione con le associazioni e gli ordini di professionisti che
operano nel sistema delle procedure A.D.R.. In tutti gli schieramenti politici è diffusa la
consapevolezza che il fardello delle cause civili rappresenta una vera e propria ipoteca sulla
competitività del Paese, causa della difficoltà ad investire nel nostro paese e della tutela
stessa del credito.27 Certo è che gli attori in gioco sono ancora vari e variegati, le questioni
giuridiche e strutturali dell’istituto che sono sul tappeto vanno affrontate con tempismo,
ma c’è una logica di pragmatico buonsenso da rispettare, contraddistinta dalla capacità di
fare impresa e sviluppo economico nel nostro Paese.
27 Giustizia www.partitodemocratico.it “Le emergenze A) La giustizia civile”.
128
13. COMPOSIZIONE EXTRAGIUDIZIALE DELLE CONTROVERSIE NEL COMMERCIO ELETTRONICO B2C, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA MEDIAZIONE ON-LINE
A cura dell’Avv. Giuseppe Briganti
Avvocato e conciliatore, Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
Le liti del commercio elettronico, specialmente allorché coinvolgono il consumatore, presentano caratteristiche, quali per esempio il modesto valore economico ed elementi di internazionalità, che le rendono particolarmente idonee ad essere risolte avvalendosi di metodi
alternativi di risoluzione delle controversie, e specificamente di procedure di mediazione
on-line, che si svolgono nel medesimo ciberspazio nel quale hanno origine le liti stesse.
Saranno dunque brevemente esaminati quei provvedimenti, in ambito europeo ed italiano, che contengono disposizioni rilevanti per la composizione extragiudiziale delle controversie nel commercio elettronico business to consumer tramite procedure telematiche. Si
partirà dalla direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, attuata in Italia con il d.lgs.
70/2003, per arrivare al recente e discusso d.lgs. 28/2010, che introduce il nuovo istituto
della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie in materia civile e commerciale, il quale costituisce altresì attuazione nel nostro Paese della nota direttiva 2008/52/CE,
della quale ugualmente si tratterà.
Sarà infine fornito un esempio di procedura di ODR italiana, quello di RisolviOnline della
Camera di Commercio di Milano, attivo dal 2002.
Parole chiave: commercio elettronico, consumatori, A.D.R., ODR, mediazione, conciliazione, civile, commerciale, Italia, Europa.
13.1 L’attuazione in Italia della direttiva europea sul commercio elettronico e la composizione extragiudiziale delle controversie in materia di e-commerce
Con il d.lgs. n. 70 del 9 aprile 200328, l’Italia, com’è noto, ha dato attuazione alla direttiva
2000/31/CE dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società
dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno29.
Il decreto sul commercio elettronico si compone di ventidue articoli e pone una disciplina
relativa, in particolare, al principio dell’assenza di autorizzazione preventiva (art. 6), alle
informazioni generali obbligatorie da fornire ai destinatari dei servizi (art. 7), alle comunicazioni commerciali e allo spamming (artt. 8, 9 e 10), alle informazioni dirette alla conclusione del contratto on-line e all’inoltro dell’ordine (artt. 12 e 13), alla responsabilità dei
provider (artt. 14-17).
28 d.lgs.. 9 aprile 2003, n. 70, Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi
della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico, G.U. Serie
gen. 87 del 14 aprile 2003, Suppl. ord..
29 G.U.C.E. L 178 del 17 luglio 2000 (successiva rettifica in G.U.C.E. L 285 del 23 ottobre 2002). Sulla direttiva
europea e la sua attuazione in Italia sia consentito rinviare a Briganti, 2003, La disciplina del commercio elettronico.
La direttiva 2000/31/CE e la sua attuazione in Italia, in <www.iusreporter.it>. V. altresì Tripodi, 2003, Commercio elettronico e contratti. Tre variazioni sul tema, in <www.altalex.com>; AA.VV., 2002, Commento organico alla
direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”), in Boll. LUISS Ceradi. In generale, sul commercio
elettronico, v. Sirotti Gaudenzi, 2003, Il commercio elettronico nella Società dell’Informazione, SE.
129
Le disposizioni da esso dettate si vanno ad aggiungere al già complesso quadro normativo
italiano in materia e hanno sollevato accese critiche tra i primi commentatori30.
Obiettivo fondamentale del provvedimento è quello di promuovere la libera circolazione
dei servizi della società dell’informazione, fra i quali il commercio elettronico, garantendo
così il buon funzionamento del mercato (art. 1). Per servizi della società dell’informazione,
ai sensi del provvedimento (art. 2), devono intendersi le attività economiche svolte in linea
(on-line) nonché i servizi definiti dall’art. 1, comma 1, lett. b), della legge 21 giugno 1986,
n. 317, e successive modificazioni31.
Con specifico riguardo alla composizione delle controversie nel commercio elettronico, l’art. 19
del decreto in parola stabilisce che, in caso di lite, al prestatore e al destinatario del servizio
della società dell’informazione32 è riconosciuto il potere di adire anche organi di composizione extragiudiziale, operanti anche per via telematica33.
L’art. 19 del d.lgs. 70/2003, è bene evidenziare, si limita a sancire la sola possibilità per
le parti, con riferimento naturalmente ai servizi della società dell’informazione rientranti
nell’ambito di applicazione del provvedimento, di rivolgersi anche a già esistenti organi
di composizione extragiudiziale delle controversie, eventualmente operanti on-line, senza
pertanto prevedere l’istituzione di organi e procedure ad hoc34.
L’art. 19 del decreto sul commercio elettronico in esame prevede inoltre l’obbligo per gli
organi di composizione extragiudiziale delle controversie di comunicare alla Commissione
europea e al ministero delle attività produttive (oggi ministero dello sviluppo economico),
30 Come efficacemente osserva Tripodi, op. cit., “Le farraginosità del testo della direttiva, frutto dei numerosi
compromessi in sede di stesura definitiva, costituiscono un vizio genetico che il nostro decreto ha finito necessariamente per ritrovarsi nel proprio DNA, con, in più, qualche ulteriore motivo di perplessità che forse poteva essere
evitato, con riferimento, in particolare, al regime di responsabilità dei provider […] Il recepimento della direttiva
2000/31/CE da parte del nostro legislatore altro non è stato che una ‘ricopiatura’del testo della direttiva medesima.
In sostanza, il d.lgs. n. 70/2003 più che un atto normativo appare più similare ad un atto amministrativo”.
31 Detta disposizione stabilisce che per servizio della società dell’informazione deve intendersi qualsiasi servizio
prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi. La disposizione citata specifica inoltre che per servizio a distanza deve intendersi “un servizio
fornito senza la presenza simultanea delle parti”; per servizio per via elettronica “un servizio inviato all’origine e
ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento, compresa la compressione digitale e di
memorizzazione di dati e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od
altri mezzi elettromagnetici”; per servizio a richiesta individuale di un destinatario di servizi “un servizio fornito
mediante trasmissione di dati su richiesta individuale”. Alcune materie sono espressamente escluse dal campo di
applicazione del provvedimento dall’art. 1, comma 2, e dall’art. 11 d.lgs. 70/2003. Tra queste, le questioni relative
al diritto alla riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle telecomunicazioni, di cui
al Codice della Privacy (d.lgs. 196/2003).
32 Prestatore, ai fini del decreto sul commercio elettronico, è la persona fisica o giuridica che presta un servizio
della società dell’informazione; destinatario del servizio è invece il soggetto che, a scopi professionali e non, utilizza
un servizio della società dell’informazione, in particolare per ricercare o rendere accessibili informazioni (art. 2).
33 Per un quadro generale delle procedure di A.D.R. in Europa, con particolare riferimento a Italia, Spagna e
Francia, in epoca precedente all’emanazione della direttiva 2008/52/CE di cui si dirà, si veda il sito web <www.
adreurope.info>. Per una rassegna della normativa italiana in materia, aggiornata al d.lgs. 28/2010 di cui ugualmente si dirà, si veda il sito web <www.adrplus.info>.
34 V. Del Ninno, conciliazione ed arbitrato on-line, in <www.leggiweb.it>. In generale, sui sistemi alternativi per la
risoluzione delle controversie nel diritto italiano e comunitario, con riferimento a mediazione e conciliazione, v.
Cabras et al., 2003, Mediazione e conciliazione per le imprese. Sistemi alternativi per la risoluzione delle controversie
nel diritto italiano e comunitario, Giappichelli.
130
che provvede a sua volta a darne comunicazione alle Amministrazioni competenti per materia, le decisioni significative che adottano sui servizi della società dell’informazione, nonché
ogni altra informazione su pratiche, consuetudini o usi relativi al commercio elettronico.
L’art. 19 in parola costituisce attuazione in Italia della corrispondente disposizione della
direttiva 2000/31/CE (art. 17), secondo cui:
“1. Gli Stati membri provvedono affinché, in caso di dissenso tra prestatore e destinatario
del servizio della società dell’informazione, la loro legislazione non ostacoli l’uso, anche per
vie elettroniche adeguate, degli strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie previsti dal diritto nazionale.
2. Gli Stati membri incoraggiano gli organi di composizione extragiudiziale delle controversie, in particolare di quelle relative ai consumatori, ad operare con adeguate garanzie
procedurali per le parti coinvolte.
3. Gli Stati membri incoraggiano gli organi di composizione extragiudiziale delle controversie a comunicare alla Commissione le decisioni significative che adottano sui servizi della
società dell’informazione nonché ogni altra informazione su pratiche, consuetudini od usi
relativi al commercio elettronico”.
13.2 La Rete europea di composizione extragiudiziale delle controversie (EEJ-Net) e la
Rete dei Centri europei per i consumatori (ECC-Net)
Gli organi di composizione extragiudiziale delle controversie di cui all’art. 19 d.lgs. 70/2003,
prevede detta disposizione, ove operino in conformità ai principi previsti dall’ordinamento comunitario e da quello nazionale, sono notificati, su loro richiesta, alla Commissione dell’Unione europea per l’inserimento nella Rete europea di composizione extragiudiziale delle controversie
(EEJ-Net, “The European Extra-Judicial Network for cross-border dispute resolution”).
Come poteva leggersi nel relativo sito web, oggi non più attivo, “EEJ-Net is [o meglio, come
si vedrà, era] a network of out-of-court redress mechanisms operating in the EU/EEA countries.
This network is a communication and support structure available to all EU/EEA consumers
citizens that they can use to settle their commercial disputes with traders in any member states”35.
Dalla fusione tra la preesistente rete EEJ-Net di cui si è detto e il network dei Centri europei dei consumatori (CEC, chiamati anche Eurosportelli o Euroguichets) è, successivamente
all’emanazione del d.lgs. 70/2003, sorta ECC-Net (European Consumer Centres Network)36,
rete di Centri europei presenti nei Paesi dell’Unione europea e del SEE.
Compito della nuova rete ECC-Net, operativa dal primo gennaio 2005, è quello di offrire
al consumatore un servizio completo di informazione e assistenza nel caso di problematiche
originate da transazioni aventi carattere transfrontaliero, in particolare fornendo al consumatore medesimo informazioni in ordine alla legislazione nazionale e comunitaria vigente
in materia e facilitando, anche attraverso la cooperazione tra i Centri ECC-Net dei vari
Paesi aderenti, il primo contatto tra consumatore e fornitore nonché, laddove opportuno,
agevolando l’accesso delle parti all’organismo di risoluzione extragiudiziale della controversia
più adeguato al caso concreto e monitorando gli sviluppi della controversia.
35 Il sito web era raggiungibile all’indirizzo <www.eejnet.org>.
36 V. <http://ec.europa.eu/consumers/ecc/index_en.htm>.
131
Per l’Italia è attualmente attivo, come Centro nazionale della Rete, ECC-Net Italy, con sede
a Roma37.
13.3 Il Libro Verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia
civile e commerciale
In ambito europeo, occorre ricordare altresì il Libro Verde relativo ai modi alternativi di
risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale del 200238, successivo dunque
alla direttiva 2000/31/CE.
L’obiettivo del Libro Verde è quello di fare il punto sulla situazione per quanto riguarda i
modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale nonché
di lanciare un’ampia consultazione negli ambienti interessati su una serie di domande di
ordine giuridico che si pongono in questo campo, allo scopo di preparare le misure concrete
da adottare.
Nel documento, la Commissione ricorda che lo sviluppo di queste nuove forme di composizione delle controversie non deve essere percepito come un modo per rimediare alle
difficoltà di funzionamento del sistema giudiziario, ma come una forma di pacificazione
sociale più consensuale e, in molti casi, più appropriata del ricorso al giudice o a un arbitro.
I modi alternativi di risoluzione delle controversie, come per esempio la mediazione, consentono infatti alle parti di riallacciare il dialogo per trovare una soluzione al loro conflitto,
anziché rinchiudersi in una logica di scontro da cui di solito escono un vincitore e un vinto.
Il Libro Verde mira essenzialmente a trovare delle risposte in merito al delicato equilibrio tra
la necessità di salvaguardare la flessibilità di questo tipo di procedure e al contempo garantirne la qualità nonché un rapporto armonioso con i procedimenti giudiziari.
Il documento consente altresì di garantire una migliore visibilità alle iniziative che sono già
state adottate in questo campo dagli Stati membri e a livello comunitario.
Le domande poste nel Libro Verde vertono sugli elementi determinanti dei vari modi alternativi di risoluzione delle controversie, quali la questione delle clausole di ricorso a tali
procedure, il problema dei termini di prescrizione, l’esigenza di riservatezza, la validità dei
consensi, l’efficacia degli accordi scaturiti dalle procedure, la formazione dei terzi, il loro
riconoscimento, il regime di responsabilità applicabile39.
13.4 La direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia
civile e commerciale
La direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, si
occupa, come noto, di determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale40.
37 Il cui sito web, al quale si rimanda per maggiori informazioni, è raggiungibile all’indirizzo <www.ecc-netitalia.
it>. ECC-Net riguarda le controversie transfrontaliere relative a beni e servizi. FIN-NET (Financial Dispute Resolution Network) tratta invece specificamente le controversie transfrontaliere inerenti ai servizi finanziari. Su FINNET, si veda il relativo sito web raggiungibile all’indirizzo <http://ec.europa.eu/internal_market/fin-net>.
38 COM(2002)196.
39 La sintesi del Libro Verde è tratta, sostanzialmente, da <http://europa.eu>.
40 G.U.U.E. L 136 del 24 maggio 2008. In argomento, v. Appiano, 2009, I sistemi A.D.R. nell’ottica del legislatore
comunitario, in Contratto e Impresa / Europa, 1, pp. 59 ss.; Federici, a cura di, 2004, conciliazione: prospettive a con-
132
La mediazione, secondo la direttiva, può fornire infatti una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, attraverso procedure
concepite in base alle esigenze delle parti (considerando 6 della direttiva).
Ciò in quanto gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere
rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti.
Tali benefici diventano anche più evidenti nelle situazioni, frequenti in particolare proprio
nel commercio elettronico, che mostrano elementi di portata transfrontaliera.
In tale ottica, la mediazione si presenta quindi come un modo più veloce, più semplice
ed economicamente più efficiente di risolvere le controversie, che consente di prendere in
considerazione una gamma più ampia di interessi delle parti.
La Commissione europea sottolinea in proposito, nella relazione che accompagnava la proposta di direttiva, come la mediazione abbia un potenziale inutilizzato come metodo di
risoluzione delle controversie e come mezzo di accesso alla giustizia per privati e imprese.
La mediation rappresenta dunque un valido strumento per risolvere, specificamente, le liti
del commercio elettronico, spesso caratterizzate, almeno nell’ambito dell’e-commerce business to consumer (B2C), dalla modesta entità del loro valore oltre che, come già accennato,
dalla presenza di elementi di portata transfrontaliera.
Strumento ancor più consono ove si consideri il progressivo affermarsi anche di forme di
mediazione che si svolgono, per intero o parzialmente, on-line, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo41.
13.4.1 Obiettivo e ambito di applicazione della direttiva
Obiettivo della direttiva è quello di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento
giudiziario (art. 1 del provvedimento).
La direttiva si applica, nelle controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale
tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa né
alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure
imperii).
fronto, Unioncamere Lombardia - Il Sole 24 ore; Giudice, 2005, Dalla Commissione europea una scelta “flessibile”
per il futuro della mediation, in <www.camera-arbitrale.it> nonché in Contratti, pp. 102 ss.
41 “Il commercio elettronico si caratterizza, oltre che per il luogo nel quale esso si svolge, anche per il tipo di rapporti che pone in essere. Nel commercio business to consumer, che è quello su cui si incentra il commercio elettronico su larga scala, elementi essenziali sono la celerità degli scambi ed il loro valore economico, generalmente limitato. Per cui anche le O.D.R., per non scoraggiare gli utenti, si devono differenziare dai normali sistemi di A.D.R.
per essere procedure poco costose e di facile accesso, consentendo agli utenti di adire, senza molti problemi, un
soggetto che possa utilmente dirimere una controversia che ha origine da rapporti contrattuali in rete. Inoltre, le
procedure O.D.R., così come il commercio elettronico, si svolge in ambito trasnazionale. Come tale, deve adottare
regole e procedure che non siano in contrasto con nessuna delle legislazioni nazionali cui appartengano le parti, e
che, al contempo, assolvano a pieno la loro funzione, giungendo a creare un diritto suo proprio, il cyberlaw, una
nuova forma di produzione giurisprudenziale, che forse in futuro caratterizzerà i tradizionali istituti giuridici”.
Così Tarì, 2003, Ruolo delle alternative dispute resolution on line nel commercio elettronico, in <www.altalex.com>.
133
13.4.2 Le controversie transfrontaliere
L’art. 2, par. 1, della direttiva stabilisce che, ai fini del provvedimento, per controversia transfrontaliera si intende una controversia in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede
abitualmente in uno Stato membro diverso da quello di qualsiasi altra parte alla data in cui:
a) le parti concordano di ricorrere alla mediazione dopo il sorgere della controversia;
b) il ricorso alla mediazione è ordinato da un organo giurisdizionale;
c) l’obbligo di ricorrere alla mediazione sorge a norma del diritto nazionale; o
d) ai fini dell’articolo 5 della direttiva, un invito è rivolto alle parti42.
13.4.3 Definizioni
Ai fini della direttiva (art. 3), per “mediazione” si intende un procedimento strutturato,
indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano
esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima
con l’assistenza di un mediatore.
Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro.
Esso include la mediazione condotta da un giudice che non è responsabile di alcun procedimento giudiziario concernente la controversia in questione. Esso esclude i tentativi messi
in atto dall’organo giurisdizionale o dal giudice aditi al fine di giungere ad una composizione della controversia in questione nell’ambito del procedimento giudiziario oggetto della
medesima.
Per “mediatore” si intende, ai fini della direttiva, qualunque terzo cui è chiesto di condurre
la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato e dalle modalità con cui è stato nominato o invitato a condurre la mediazione.
Considerate le definizioni accolte, dall’ambito di applicazione della direttiva restano quindi
esclusi le trattative precontrattuali, i procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di
conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e
la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una
raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della
controversia (considerando 11 della direttiva).
13.4.4 Qualità della mediazione
Nell’ambito della protezione dei consumatori, la Commissione europea ha adottato nel
2001 una raccomandazione che stabilisce i criteri minimi di qualità che gli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di
consumo dovrebbero offrire agli utenti. Si tratta della raccomandazione della Commissione
2001/310/CE del 4 aprile 2001.
42 L’art. 2, par. 2, stabilisce inoltre che, in deroga al paragrafo 1, ai fini degli articoli 7 e 8 della direttiva per
controversia transfrontaliera si intende altresì una controversia in cui un procedimento giudiziario o di arbitrato
risultante da una mediazione tra le parti è avviato in uno Stato membro diverso da quello in cui le parti erano
domiciliate o risiedevano abitualmente alla data di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c). Ai fini dei paragrafi 1 e 2
dell’art. 2 della direttiva, il domicilio è stabilito in conformità degli articoli 59 e 60 del regolamento 44/2001/CE.
134
I principi fondamentali posti dalla raccomandazione, che sarà meglio esaminata nel prosieguo, sono quelli dell’imparzialità, trasparenza, efficacia e equità.
Secondo il considerando 18 della direttiva ora in commento, qualunque mediatore o organizzazione che rientri nell’ambito di applicazione di tale raccomandazione dovrebbe essere
incoraggiato a rispettare i principi in essa contenuti.
Allo scopo di agevolare la diffusione delle informazioni relative a tali organi, inoltre, la
Commissione dovrebbe predisporre una banca dati di modelli extragiudiziali di composizione
delle controversie che secondo gli Stati membri rispettano i principi di tale raccomandazione.
In base all’art. 4 della direttiva, agli Stati membri viene affidato il compito di incoraggiare
in qualsiasi modo da essi ritenuto appropriato l’elaborazione di codici volontari di condotta
da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono servizi di mediazione nonché l’ottemperanza ai medesimi, così come qualunque altro efficace meccanismo di controllo della
qualità riguardante la fornitura di servizi di mediazione.
In proposito, si ricorda che nel 2004 è stato sviluppato un Codice europeo di condotta per
mediatori, di cui si tratterà meglio subito dopo. Il Codice, applicabile a ogni genere di
mediazione in materia civile e commerciale, pone dei principi ai quali i singoli mediatori o
gli enti che prestano servizi di conciliazione possono decidere volontariamente di aderire,
sotto la loro responsabilità. L’adesione al Codice non può d’altronde essere di pregiudizio
alla normativa nazionale o alla disciplina di singole professioni. All’ente che offre servizi
di mediazione è lasciata in ogni caso la facoltà di sviluppare codici più particolareggiati,
adattati allo specifico contesto e ai tipi di servizi di mediazione offerti.
Gli Stati membri, si legge nel considerando 17 della direttiva, dovrebbero definire efficaci
meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione,
meccanismi che possono includere il ricorso a soluzioni basate sul mercato, e non dovrebbero essere tenuti a fornire alcun finanziamento al riguardo.
I meccanismi dovrebbero essere volti a preservare la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti e a garantire che la mediazione sia condotta in un modo
efficace, imparziale e competente. I mediatori dovrebbero inoltre essere a conoscenza
dell’esistenza del Codice europeo di condotta dei mediatori sopra menzionato, che dovrebbe anche essere disponibile su Internet per il pubblico.
Agli Stati membri è attribuito infine dall’art. 4 della direttiva il compito di incoraggiare la
formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia
gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti.
13.4.5 Il Codice europeo di condotta per mediatori
In base al Codice europeo di condotta per mediatori43, i mediatori devono essere innanzitutto competenti e conoscere a fondo il procedimento di mediazione. Elementi rilevanti
comprendono una formazione adeguata e un continuo aggiornamento della propria istruzione e pratica nelle capacità di mediazione, avuto riguardo alle norme pertinenti e ai sistemi di accesso alla professione.
43 Consultabile sul Web all’indirizzo <http://ec.europa.eu/civiljustice/adr/adr_ec_code_conduct_it.pdf>. Per un
elenco delle organizzazioni che hanno sottoscritto il Codice, tra le quali alcune italiane, si veda: <http://ec.europa.
eu/civiljustice/adr/adr_ec_list_org_en.pdf>.
135
Prima di accettare l’incarico, inoltre, il mediatore deve verificare di essere dotato della preparazione e competenza necessarie a condurre la mediazione del caso proposto e, su richiesta, dovrà fornire alle parti informazioni in merito.
Ove non sia stato già previsto, il mediatore deve altresì sempre fornire alle parti informazioni complete sulle modalità di remunerazione che intende applicare. Il mediatore non dovrà
accettare una mediazione prima che le condizioni della propria remunerazione siano state
approvate da tutte le parti interessate.
Il Codice prevede che i mediatori possano promuovere la propria attività, purché in modo
professionale, veritiero e dignitoso.
Con riguardo all’indipendenza del mediatore, il Codice afferma che qualora esistano circostanze che possano (o possano sembrare) intaccare l’indipendenza del mediatore o determinare un conflitto di interessi, il mediatore deve informarne le parti prima di agire o di
proseguire la propria opera.
Le suddette circostanze includono:
• qualsiasi relazione di tipo personale o professionale con una delle parti;
• qualsiasi interesse di tipo economico o di altro genere, diretto o indiretto, in relazione
• all’esito della mediazione;
• il fatto che il mediatore, o un membro della sua organizzazione, abbia agito in qualità
• diversa da quella di mediatore per una o più parti.
In tali casi il mediatore può accettare l’incarico o proseguire la mediazione solo se sia certo
di poter condurre la mediazione con piena indipendenza, assicurando piena imparzialità,
e con il consenso espresso delle parti. Il dovere di informazione costituisce un obbligo che
persiste per tutta la durata del procedimento.
Con riferimento invece all’imparzialità del mediatore, il Codice afferma che il mediatore
deve in ogni momento agire nei confronti delle parti in modo imparziale, cercando altresì
di apparire come tale, e deve impegnarsi ad assistere equamente tutte le parti nel procedimento di mediazione.
Il mediatore deve sincerarsi che le parti coinvolte nella mediazione comprendano le caratteristiche del procedimento di mediazione e il ruolo del mediatore e delle parti nell’ambito dello stesso. Il mediatore deve, in particolare, fare in modo che prima dell’avvio della
mediazione le parti abbiano compreso ed espressamente accettato i termini e le condizioni
dell’accordo di mediazione, incluse le disposizioni applicabili in tema di obblighi di riservatezza in capo al mediatore e alle parti.
Il Codice prevede che, su richiesta delle parti, l’accordo di mediazione possa essere redatto
per iscritto.
Il mediatore deve condurre il procedimento in modo appropriato, tenendo conto delle circostanze del caso, inclusi possibili squilibri nei rapporti di forza, eventuali desideri espressi
dalle parti e particolari disposizioni normative, nonché l’esigenza di una rapida risoluzione
della controversia. Le parti possono concordare con il mediatore il modo in cui la mediazione dovrà essere condotta, con riferimento a un insieme di regole o altrimenti. Se lo reputa
opportuno, il mediatore può ascoltare le parti separatamente.
Il mediatore deve assicurarsi che tutte le parti possano intervenire adeguatamente nel procedimento. Egli deve informare le parti, e può porre fine alla mediazione, nel caso in cui:
136
• sia raggiunto un accordo che al mediatore appaia non azionabile o illegale, avuto
riguardo alle circostanze del caso e alla competenza del mediatore per raggiungere tale
valutazione; o
• il mediatore concluda che la prosecuzione della mediazione difficilmente condurrà a
una risoluzione della controversia.
Il mediatore deve adottare tutte le misure appropriate affinché l’eventuale accordo raggiunto tra le parti si fondi su un consenso informato e tutte le parti ne comprendano i termini.
Le parti possono ritirarsi dalla mediazione in qualsiasi momento senza fornire alcuna giustificazione.
Il mediatore deve, su richiesta delle parti e nei limiti della propria competenza, informare
le parti delle modalità in cui le stesse possono formalizzare l’accordo e delle possibilità di
rendere l’accordo esecutivo.
In tema di riservatezza, il Codice afferma che il mediatore deve mantenere la riservatezza su
tutte le informazioni derivanti dalla mediazione o relative ad essa, compresa la circostanza
che la mediazione è in corso o si è svolta, ad eccezione dei casi in cui sia obbligato dalla legge
o da ragioni di ordine pubblico. Qualsiasi informazione riservata comunicata al mediatore
da una delle parti non dovrà essere rivelata all’altra senza il consenso della parte o a meno
che ciò sia imposto dalla legge.
13.5 Ricorso alla mediazione
Uno dei vantaggi più spesso citati della mediazione è che il suo accresciuto utilizzo possa
diminuire la pressione sul sistema giudiziario, con ciò riducendo le lunghe attese nella trattazione delle cause e la possibilità di un risparmio per le finanze pubbliche.
Come sottolinea la relazione della Commissione europea che accompagnava la proposta
di direttiva, ciò non viene tuttavia perseguito quale obiettivo indipendente, per diverse
ragioni. In primo luogo, in quanto l’organizzazione del sistema giudiziario è di esclusiva
competenza degli Stati membri. In secondo luogo, e cosa più importante, in quanto alla
mediazione deve riconoscersi un valore intrinseco quale metodo di risoluzione delle controversie,
cui i cittadini e le imprese dovrebbero avere facile accesso e che quindi merita di essere promosso indipendentemente dalla caratteristica di potere alleggerire la pressione sul sistema
giudiziario.
La Commissione non vede dunque la mediazione come alternativa ai procedimenti giudiziari, bensì come uno dei diversi mezzi di risoluzione delle controversie disponibili in una
società moderna. Mezzo che può essere il più idoneo per alcuni tipi di controversie, ma
certamente non per tutte.
Ai sensi dell’art. 5 della direttiva, pertanto, l’organo giurisdizionale investito di una causa
può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti
a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia.
Si prevede altresì che l’organo giurisdizionale possa invitare le parti a partecipare ad una
sessione informativa sul ricorso alla mediazione, se tali sessioni abbiano luogo e siano facilmente accessibili.
La direttiva lascia d’altra parte impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso
alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo
137
l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di
esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario (art. 5, par. 2). Del pari, la direttiva non
pregiudica gli attuali sistemi di mediazione autoregolatori nella misura in cui essi trattano
aspetti non coperti dal provvedimento (cons. 14).
In un siffatto contesto, risulterà determinante la sensibilità e la preparazione dei giudici in
ordine alla promozione della conciliazione44.
Le disposizioni della direttiva in parola potrebbero d’altro canto favorire l’affermazione in ambito europeo di programmi di court annexed mediation, sull’esempio dei paesi anglosassoni45.
13.6 Esecutività degli accordi risultanti dalla mediazione
La mediazione, afferma il considerando 19 della direttiva, non dovrebbe essere ritenuta
un’alternativa deteriore al procedimento giudiziario nel senso che il rispetto degli accordi
derivanti dalla mediazione dipenda dalla buona volontà delle parti.
Gli Stati membri dovrebbero pertanto garantire che le parti di un accordo scritto risultante
dalla mediazione possano chiedere che il contenuto dell’accordo sia reso esecutivo. Dovrebbe essere consentito a uno Stato membro di rifiutare di rendere esecutivo un accordo
soltanto se il contenuto è in contrasto con il diritto del suddetto Stato membro, compreso il
diritto internazionale privato, o se tale diritto non prevede la possibilità di rendere esecutivo
il contenuto dell’accordo in questione. Ciò potrebbe verificarsi qualora l’obbligo contemplato nell’accordo non possa per sua natura essere reso esecutivo.
Il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione reso esecutivo in uno Stato membro
dovrebbe essere riconosciuto e dichiarato esecutivo negli altri Stati membri in conformità
della normativa comunitaria o nazionale applicabile, ad esempio in base al regolamento
44/2001/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale46, o al
regolamento 2201/2003/CE del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia
di responsabilità genitoriale (così il cons. 20 della direttiva).
L’art. 6, par. 1, della direttiva stabilisce dunque che gli Stati membri assicurino che le parti,
o una di esse con l’esplicito consenso delle altre, abbiano la possibilità di chiedere che il
contenuto di un accordo scritto risultante da una mediazione sia reso esecutivo. Il contenuto di
tale accordo è reso esecutivo, prosegue la disposizione citata, salvo se, nel caso in questione,
il contenuto dell’accordo è contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata
la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l’esecutività.
Il contenuto dell’accordo può essere reso esecutivo in una sentenza, in una decisione o in un
atto autentico da un organo giurisdizionale o da un’altra Autorità competente in conformi44 Giudice, op. cit..
45 Giudice, op. cit., il quale ricorda anche l’esperienza italiana maturata, nel corso del 2004, presso la CCIAA di
Teramo, d’intesa con il locale Tribunale.
46 Regolamento 44/2001/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, G.U.C.E. L 12 del 16 gennaio 2001,
richiamato anche dall’art. 3, comma 3, del d.lgs. 70/2003 sul commercio elettronico per quanto concerne le controversie che vedono coinvolto il prestatore stabilito.
138
tà del diritto dello Stato membro in cui è presentata la richiesta (art. 6, par. 2).
Gli Stati membri devono indicare alla Commissione gli organi giurisdizionali o le altre
Autorità competenti a ricevere le richieste conformemente ai paragrafi 1 e 2 dell’art. 6 sopra
illustrati (art. 6, par. 3).
Nessuna disposizione dell’articolo 6 ora in commento pregiudica d’altra parte le norme
applicabili al riconoscimento e all’esecuzione in un altro Stato membro di un accordo reso
esecutivo in conformità del paragrafo 1 del medesimo art. 6 (art. 6, par. 4).
13.7 Riservatezza della mediazione
Nel perseguire lo scopo della realizzazione di una relazione efficace tra mediazione e procedimenti giudiziari, la direttiva si occupa anche della fase giudiziale successiva alla tentata
conciliazione, dettando norme sulla riservatezza.
La questione della riservatezza è infatti, com’è noto, di rilievo capitale per la mediation:
tutto quanto emerge durante l’incontro di mediazione deve essere assistito dalla garanzia
della piena confidenzialità.
L’art. 7 della direttiva afferma dunque che, poiché la mediazione deve avere luogo in modo
da rispettare la riservatezza, gli Stati membri devono garantire che, a meno che le parti non
decidano diversamente, né i mediatori né i soggetti coinvolti nell’amministrazione del procedimento di mediazione siano obbligati a testimoniare nel procedimento giudiziario o di arbitrato
in materia civile e commerciale riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di
mediazione o connesse con lo stesso, tranne nei casi in cui:
a) ciò sia necessario per superiori considerazioni di ordine pubblico dello Stato membro interessato, in particolare sia necessario per assicurare la protezione degli interessi superiori dei
minori o per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una persona; oppure
b) la comunicazione del contenuto dell’accordo risultante dalla mediazione sia necessaria ai
fini dell’applicazione o dell’esecuzione di tale accordo.
Quanto sopra non impedisce d’altra parte in alcun modo agli Stati membri di adottare
misure più restrittive per tutelare la riservatezza della mediazione (art. 7, par. 2).
13.8 Effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza
Gli Stati membri devono provvedere affinché alle parti che scelgono la mediazione nel
tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante
il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza (art. 8
della direttiva).
Quanto sopra lascia impregiudicate le disposizioni relative ai termini di prescrizione o decadenza previste dagli accordi internazionali di cui gli Stati membri sono parte.
13.9 Attuazione e limiti della direttiva
Queste dunque, in estrema sintesi, le disposizioni contenute nella direttiva europea sulla
mediazione in materia civile e commerciale. La direttiva (art. 12) prevede che gli Stati
membri mettano in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi ad essa anteriormente al 21 maggio 2011 (fatta eccezione per l’artico-
139
lo 10, per il quale tale data è fissata al più tardi al 21 novembre 2010). Essi ne informano
immediatamente la Commissione47.
47 La Commissione europea è recentemente intervenuta sollecitando l’attuazione negli Stati membri della direttiva
2008/52/CE con un comunicato stampa del 20 agosto 2010: “La Commissione europea invita a risparmiare tempo
e denaro nella risoluzione delle controversie transfrontaliere grazie alla mediazione. La Commissione europea ha
ribadito oggi il potenziale delle norme Ue vigenti in materia di mediazione nelle controversie transfrontaliere e ha
ricordato agli Stati membri che l’efficacia di tali disposizioni dipende esclusivamente dalla loro attuazione a livello
nazionale. Risolvere le controversie ricorrendo al giudice non solo è lungo e costoso, ma può anche rovinare proficui
rapporti commerciali. Nelle controversie transfrontaliere la situazione è complicata dalla diversità delle legislazioni
e giurisdizioni nazionali e da aspetti pratici come i costi e la lingua. La risoluzione alternativa delle controversie attraverso mediatori imparziali può far fronte a tali problemi e contribuire a soluzioni costruttive. Sono però necessari
mediatori qualificati e norme chiare su cui entrambe le parti possano fare affidamento. La mediazione transfrontaliera è più delicata, in quanto deve tenere conto di culture imprenditoriali diverse e le parti devono poter contare su
norme comuni. Per questo motivo le norme Ue sulla mediazione sono entrate in vigore nel maggio 2008 e vanno
attuate entro maggio 2011. Esse creano garanzie giuridiche per la mediazione e ne assicurano la qualità tramite
codici di condotta e la formazione dei mediatori. Ad oggi quattro paesi (Estonia, Francia, Italia e Portogallo) hanno
comunicato alla Commissione l’attuazione nel diritto interno delle norme Ue sulla mediazione. ‘Queste misure Ue
sono molto importanti perché promuovono un accesso alternativo e aggiuntivo alla giustizia nella vita quotidiana.
I sistemi giudiziari consentono ai cittadini di far valere i loro diritti. L’accesso effettivo alla giustizia è tutelato dalla
Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. I cittadini e le imprese non dovrebbero rinunciare ai loro diritti semplicemente perché per loro è difficile ricorrere alla giustizia o perché i procedimenti giudiziari costano troppo, sono
troppo lenti o richiedono troppa burocrazia’, ha dichiarato Viviane Reding, Commissaria europea per la Giustizia.
‘Esorto gli Stati membri ad essere ambiziosi nell’attuare rapidamente le norme Ue sulla mediazione: il minimo
richiesto è consentire che le controversie transfrontaliere possano essere composte in via amichevole. Ma perché fermarsi qui? Perché non prevedere le stesse misure a livello nazionale? Alla fine sono i cittadini e le imprese, le società
e le economie e lo stesso sistema giuridico a trarne vantaggi’. La direttiva Ue sulla mediazione si applica quando due
parti coinvolte in una controversia transfrontaliera concordano volontariamente di risolvere la lite ricorrendo ad un
mediatore imparziale. Gli Stati membri devono garantire che gli accordi risultanti dalla mediazione possano essere
resi esecutivi. Stando a un recente studio finanziato dall’Ue, non usare la mediazione fa aumentare i tempi medi di
331 - 446 giorni nell’Ue, con spese legali aggiuntive che vanno dai 12 471 ai 13 738 euro per causa. La mediazione
può risolvere i problemi che sorgono tra imprese, datori di lavoro e dipendenti, locatori e locatari o tra familiari,
consentendo al loro rapporto di continuare e perfino di rafforzarsi costruttivamente, risultato questo non sempre
raggiungibile in via giudiziale. La risoluzione stragiudiziale permette ai sistemi giudiziari di risparmiare risorse e
può potenzialmente ridurre le spese legali. Grazie alla possibilità di comporre le controversie online la mediazione a
distanza diventa sempre più accessibile. Quello che manca sono norme transfrontaliere che diano alle parti certezza
quanto al processo di mediazione e all’esecutività dell’accordo raggiunto. Un elemento fondamentale della mediazione è la fiducia nel processo, soprattutto quando le parti vengono da paesi diversi. Le norme Ue incoraggiano
quindi gli Stati membri a prevedere controlli della qualità, a elaborare codici di condotta e a fornire formazioni
ai mediatori, in modo da garantire un sistema di mediazione efficace. Un gruppo di parti interessate ha elaborato
con l’assistenza della Commissione europea un codice europeo di condotta per mediatori che è stato presentato il 2
luglio 2004. Tale codice stabilisce una serie di principi ai quali i singoli mediatori possono spontaneamente aderire.
Si tratta di principi in materia di competenza, nomina e onorari dei mediatori, promozione dei loro servizi, indipendenza e imparzialità dei mediatori, accordo e riservatezza. [...] Se la mediazione risulta infruttuosa, le parti possono
sempre adire un organo giurisdizionale. La Commissione si aspetta che entro maggio 2011 ventisei Stati membri
abbiano attuato tali norme Ue (la Danimarca ha scelto di non applicarle in virtù di una prerogativa prevista da un
protocollo allegato ai trattati). Ad oggi quattro paesi (Estonia, Francia, Italia e Portogallo) hanno comunicato alla
Commissione di aver attuato tali norme. Inoltre, la Lituania e la Slovacchia hanno notificato i nomi degli organi
giurisdizionali competenti a rendere esecutivi gli accordi transfrontalieri risultanti dalla mediazione. Sebbene nella
maggior parte degli Stati membri fossero in vigore norme analoghe già prima dell’adozione della direttiva sulla
mediazione, gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione entro il 21 maggio 2011 le disposizioni
adottate per attuarla (che devono specificamente menzionare la direttiva). Alcuni paesi dispongono già di norme
sulla mediazione in determinati settori; ad esempio l’Irlanda e la Danimarca per i rapporti di lavoro, la Finlandia per
140
Come noto, l’Italia ha dato recentemente attuazione alla direttiva con il d.lgs. 28/201048.
Dal quadro che emerge, come sopra brevemente illustrato, il ruolo dell’Unione europea nel
promuovere la mediazione si presenta necessariamente limitato.
La sola misura concreta a tal fine contenuta nella direttiva è infatti l’obbligo per gli Stati
membri di consentire ai tribunali di suggerire la mediazione alle parti.
Secondo la Commissione, garantire una relazione efficace tra la mediazione e i procedimenti giudiziari contribuirà comunque indirettamente a promuovere anche la mediazione.
Un quadro giuridico stabile e prevedibile potrebbe infatti contribuire a porre la mediazione
su un piede di parità con i procedimenti giudiziari quando i fattori connessi alla specifica
controversia giocano il ruolo più significativo per le parti nella determinazione della scelta
del mezzo di risoluzione di essa.
Si tratta, in conclusione, di una direttiva “a maglie larghe”, che lascia prive di risposte
precise alcune questioni delicate e che quindi potrebbe lasciare un margine d’azione
troppo ampio agli Stati membri49.
13.10 La composizione extragiudiziale delle controversie nel Codice del Consumo
Con riguardo alla composizione extragiudiziale delle controversie nel commercio elettronico B2C, occorre brevemente esaminare altresì le disposizioni in materia di risoluzione
extragiudiziale delle controversie contenute nel Codice del Consumo, intervenute successivamente al d.lgs. 70/2003.
Il Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005)50 prevede infatti espressamente che nei rapporti
tra consumatore e professionista le parti possono avviare procedure di composizione extragiudiziale per la risoluzione delle controversie in materia di consumo, anche in via telematica
(art. 141)51.
Tale disposizione ottempera a quanto stabilito dai criteri di delega52 circa appunto la possibilità di attivare forme di composizione extragiudiziale delle controversie, favorite - afferma
la relazione illustrativa - allo scopo di deflazionare il carico di contenzioso pendente e agevolare la rapida soluzione delle liti.
A questo proposito, si prevede che il ministro dello Sviluppo economico, d’intesa con il
ministro della Giustizia, con decreto di natura non regolamentare, detti le disposizioni
le controversie dei consumatori, la Svezia per gli incidenti stradali e la Francia e l’Irlanda per il diritto di famiglia.
Il Portogallo prevede programmi di formazione per i mediatori dal 2001. Gli Stati membri sono tenuti a fornire le
informazioni sugli organi giurisdizionali competenti a rendere esecutivi gli accordi risultanti dalla mediazione in
una data anteriore (21 novembre 2010), in modo che la Commissione possa pubblicarle e aiutare così i cittadini e
le imprese ad usare la mediazione”.
48 Sul quale si veda quanto si dirà infra.
49 Così Giudice, op. cit..
50 d.lgs.. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229,
G.U. 235 dell’8 ottobre 2005, Suppl. ord.. Sul Codice del Consumo sia consentito rinviare a Briganti, 2006,
Guida al Codice del Consumo. La tutela del consumatore tra nuove frontiere e vecchi confini, Ed. CieRre.
51 Dell’analoga disposizione contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 70/2003 sul commercio elettronico si è già detto
sopra. Si veda altresì quanto oggi previsto in materia di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai
consumatori dall’art. 67vicies del Codice del Consumo. Segnala la “scarsissima utilità concreta” dell’art. 141 del
Codice del Consumo Dona, 2005, Il codice del consumo. Regole e significati, Giappichelli, p. 203.
52 Di cui all’art. 7 l. 229/2003.
141
per la formazione dell’elenco degli organi di composizione extragiudiziale delle controversie in
materia di consumo che si conformano ai principi della raccomandazione 98/257/CE della
Commissione, del 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili
per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo53, e della raccomandazione 2001/310/CE della Commissione, del 4 aprile 2001, concernente i principi
applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione extragiudiziale delle
controversie in materia di consumo54.
In virtù dell’art. 141 del Codice del Consumo ora in commento, inoltre, il ministero dello
sviluppo economico, d’intesa con il ministero della Giustizia, è tenuto a comunicare alla
Commissione europea gli organismi di cui al predetto elenco ed assicura, altresì, gli ulteriori
adempimenti connessi all’attuazione della risoluzione del Consiglio dell’Unione europea
del 25 maggio 2000, 2000/C 155/01, relativa ad una rete comunitaria di organi nazionali
per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo55.
13.10.1 La raccomandazione 98/257/CE riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo
La richiamata raccomandazione 98/257/CE intende stabilire una serie di principi applicabili al funzionamento delle procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie a fini
di garanzia, principi quali trasparenza, indipendenza e rispetto del diritto.
53 G.U.C.E. L 115 del 17 aprile 1998. Giova richiamare altresì la comunicazione della Commissione, del 30 marzo
1998, sulla risoluzione extragiudiziaria delle controversie in materia di consumo. Detta comunicazione della Commissione ricorda i problemi d’accesso dei singoli consumatori alla giustizia. Questi ultimi incontrano ostacoli di
ordine materiale quali: i costi elevati della consulenza giuridica e della rappresentanza; la lunghezza dei termini prima che si pervenga a un giudizio. I consumatori debbono inoltre affrontare ostacoli di ordine psicologico dovuti
al formalismo delle procedure giudiziarie e alla complessità di tali procedure, in particolare nel contesto di controversie transnazionali. Ne deriva che nella maggior parte delle controversie in materia di consumo, il limitato valore
economico dell’oggetto della controversia rende eccessiva la durata del procedimento giudiziale e sproporzionati i
suoi costi. Numerosi consumatori rinunciano pertanto a far valere i loro diritti. Per ovviare a tali difficoltà, esistono
secondo la Comunicazione tre vie complementari. La prima riguarda la semplificazione e il miglioramento delle
procedure giudiziarie, prevedendo per esempio la possibilità di presentare l’istanza secondo modalità semplificate,
rendendo facoltativo l’intervento di un avvocato e incoraggiando i tentativi di conciliazione dinnanzi a un giudice.
Tuttavia, la Comunicazione della Commissione non ha a oggetto tali procedure giudiziarie e non contiene proposte in questo fondamentale settore. Occorre poi migliorare la comunicazione tra i consumatori e i professionisti, al
fine di aiutare il consumatore a trovare una soluzione amichevole della controversia che l’oppone al professionista.
È necessario superare numerosi ostacoli: mancanza d’informazione dei consumatori, difficoltà a esporre chiaramente le loro richieste e problemi di lingua nel caso di controversie transfrontaliere. La Comunicazione della
Commissione intende promuovere la risoluzione amichevole dei problemi in materia di consumo e presenta al tal
fine, come progetto pilota, un formulario europeo di reclamo per il consumatore disponibile su Internet in tutte le
lingue dell’Unione europea (<http://ec.europa.eu/consumers/redress/compl/cons_compl/acce_just03_it.htm>).
Tale formulario, che può essere utilizzato ai livelli nazionale o transfrontaliero indipendentemente dal valore e dal
tipo della controversia, si propone di guidare e orientare il consumatore nella formulazione della sua richiesta. La
terza via per ovviare alle difficoltà esistenti nella regolazione delle controversie in materia di consumo è, infine,
nell’opinione della Commissione, proprio la creazione di procedure extragiudiziali per la risoluzione delle liti. Sulla
Comunicazione e sulla raccomandazione del 1998, v. anche <http://europa.eu>.
54 G.U.C.E. L 109 del 19 aprile 2001.
55 G.U.C.E. C 155 del 6 giugno 2000. Su EEJ-Net e ECC-Net v. supra, par. 2.
142
La raccomandazione fa seguito alle conclusioni del Libro Verde56 sull’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia di consumo nel mercato
unico. Essa disciplina le procedure che, indipendentemente dalla loro denominazione, sono
volte a risolvere la controversia tramite l’intervento attivo di un terzo che propone o impone
una soluzione. Essa non contempla invece le procedure che si limitano a un semplice tentativo di ravvicinare le parti per convincerle a trovare una soluzione di comune accordo.
La raccomandazione è indirizzata agli organismi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, alle persone fisiche o giuridiche responsabili della creazione o del funzionamento di tali organismi nonché agli Stati membri, nella
misura in cui essi vi partecipano. Con essa la Commissione raccomanda che qualunque
organismo competente per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di
consumo rispetti i seguenti sette principi:
a) l’indipendenza dell’organo responsabile dell’adozione della decisione è garantita in
modo tale da assicurare l’imparzialità della sua azione. Quando la decisione è adottata
individualmente, l’indipendenza è garantita in particolare allorché la persona designata:
possieda la capacità, l’esperienza e la competenza necessarie allo svolgimento delle sue
funzioni, specificamente in materia giuridica; goda di un mandato irrevocabile di durata sufficiente a garantire l’indipendenza della sua azione e non possa essere destituita
senza giustificato motivo; non abbia svolto attività lavorative, nel corso dei tre anni
precedenti la sua entrata in funzione, per l’associazione professionale o l’impresa che
la retribuisce o che l’ha nominata per questa funzione. Quando la decisione è invece
presa collegialmente, il principio d’indipendenza è garantito attraverso la rappresentanza paritaria dei consumatori e dei professionisti o attraverso il rispetto dei criteri sopra
enunciati;
b) il principio di trasparenza della procedura è garantito da varie misure, comprendenti:
- la comunicazione scritta a qualunque soggetto che lo richieda: di una descrizione dei
tipi di controversie che possono essere sottoposte all’organo; delle norme relative alla
presentazione del reclamo all’organo; del costo eventuale della procedura per le parti;
delle regole sulle quali si fondano le decisioni dell’organo (codici di condotta, disposizioni di legge...); delle modalità di adozione delle decisioni; del valore giuridico della
decisione;
- la pubblicazione da parte dell’organo di una relazione annuale relativa alle decisioni
adottate;
c) il principio d’efficacia della procedura comporta: l’accesso del consumatore alla procedura senza essere obbligato a ricorrere a un “rappresentante legale”; la gratuità della
procedura o la determinazione di costi moderati; la fissazione di termini brevi tra la
presentazione del reclamo all’organo e l’adozione della decisione; l’attribuzione di un
ruolo attivo all’organo competente;
d) il principio di legalità comporta che l’organo extragiudiziale non può adottare una decisione che abbia come risultato di privare il consumatore della protezione che gli garan56 Libro Verde L’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia di consumo nell’ambito del mercato unico, COM(93) 576 def. del 16 novembre 1993.
143
tiscono le disposizioni imperative della legge dello Stato sul territorio del quale l’organo
medesimo è stabilito. Nel caso di controversie transfrontaliere, la decisione non può avere
per risultato di privare il consumatore della protezione che gli garantiscono le disposizioni imperative della legge dello Stato membro in cui il consumatore risiede abitualmente,
nei casi previsti dall’articolo 5 della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali57. Inoltre, le decisioni debbono essere motivate e
comunicate quanto prima nella forma più adeguata alle parti interessate;
e) devono inoltre essere rispettati i principi del contraddittorio - possibilità per tutte le
parti interessate di far conoscere il proprio punto di vista e di prendere conoscenza di
quello della parte avversa nonché, eventualmente, delle dichiarazioni degli esperti; di
libertà - scelta delle parti di aderire o meno alla procedura extragiudiziale senza pregiudizio per i rimedi giudiziali nei confronti del consumatore; e di rappresentanza - diritto
di farsi rappresentare o accompagnare da un terzo nel corso della procedura.
13.10.2 La raccomandazione 2001/310/CE sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di
consumo
La citata raccomandazione 2001/310/CE concerne invece gli organi responsabili delle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo i quali si
adoperano per risolvere la lite facendo incontrare le parti per convincerle a trovare una soluzione
di comune accordo. Essa non si applica ai meccanismi di reclamo dei consumatori gestiti da
un’azienda e espletati direttamente con il consumatore o ai meccanismi che assicurano tali
servizi gestiti da o per conto di un’azienda. La raccomandazione stabilisce i criteri minimi
di qualità che gli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle
controversie in materia di consumo devono offrire agli utenti. I principi fondamentali da
essa posti sono quelli dell’imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità.
L’imparzialità è garantita assicurando che i responsabili della procedura:
a) siano designati a tempo determinato e che non possano essere rimossi dalle loro
mansioni senza giusta causa;
b) non si trovino in situazione di conflitto d’interessi apparente o reale con nessuna delle parti;
c) forniscano informazioni sulla loro imparzialità e competenza a entrambe le parti prima
dell’inizio della procedura.
Come si diceva, è inoltre garantita la trasparenza. Le informazioni relative alle modalità di
contatto, al funzionamento e alla disponibilità della procedura dovrebbero infatti essere
facilmente disponibili per le parti in termini semplici, di modo che esse possano accedervi
e prenderne conoscenza prima di sottoporre una “querela”. In particolare andranno rese
disponibili informazioni su:
a) il modo in cui funziona la procedura, i tipi di controversie che può trattare e eventuali
restrizioni al suo funzionamento;
b) le regole in merito e eventuali condizioni preliminari che le parti devono soddisfare,
57 Si veda oggi il regolamento 593/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), G.U.U.E. L 177 del 4 luglio 2009.
144
nonché altre regole procedurali, in particolare quelle relative al funzionamento della
procedura e alle lingue in cui detta procedura sarà condotta;
c) i costi, sempre che ve ne siano, che le parti dovranno sostenere;
d) il calendario applicabile alla procedura, in particolare per quanto concerne il tipo di
controversia in questione;
e) le norme sostanziali applicabili (norme giuridiche, buone prassi industriali, considerazioni di equità, codici di comportamento);
f ) il ruolo della procedura nel far emergere la composizione di una controversia;
g) lo status di ogni soluzione concordata a risoluzione di una controversia.
Qualsiasi soluzione a risoluzione della controversia concordata dalle parti deve essere messa
a registro su supporto duraturo e deve indicare chiaramente i termini e i motivi su cui si
basa. Il registro deve essere messo a disposizione di entrambe le parti. Devono altresì essere
rese pubblicamente disponibili informazioni sull’efficacia della procedura, comprendenti:
a) il numero e i tipi di “querele” sottoposte e i loro risultati;
b) il tempo necessario a risolvere le controversie;
c) gli eventuali problemi che emergano sistematicamente dalle controversie;
d) il grado di conformità, se noto, delle soluzioni concordate.
Deve essere altresì assicurata l’efficacia della procedura. A tal fine, la procedura deve essere
facilmente accessibile e disponibile per entrambe le parti, per esempio tramite mezzi elettronici, indipendentemente dal luogo in cui le parti si trovano.
La raccomandazione afferma inoltre che la procedura è gratuita per i consumatori o, qualora
vi siano costi, essi devono essere modici e proporzionati all’importo oggetto della controversia.
Le parti hanno accesso alla procedura senza essere obbligate a ricorrere a un “professionista
legale”. Tuttavia non potrà essere loro impedito di farsi rappresentare o assistere da terzi in
qualsiasi fase. Una volta sottoposta, la controversia è trattata nel più breve tempo possibile,
commisuratamente alla natura della controversia stessa. Il suo iter è esaminato periodicamente a opera dell’organo responsabile della procedura per assicurare che essa venga trattata
celermente e in modo appropriato. La condotta delle parti è oggetto di esame da parte
dell’organo responsabile per assicurare che esse siano impegnate a cercare una risoluzione
adeguata, equa e tempestiva della controversia. Se la condotta di una parte è insoddisfacente, entrambe le parti ne sono informate, onde consentire loro di valutare se continuare la
procedura di risoluzione della controversia.
Infine, in base al principio dell’equità, in particolare:
a) le parti sono informate del loro diritto di rifiutare di partecipare alla procedura o di
recedere da essa in qualsiasi momento e di adire il sistema giudiziario o eventuali altri
meccanismi di risoluzione extragiudiziale in qualsiasi fase se esse sono scontente dell’andamento o del funzionamento della procedura;
b) entrambe le parti debbono essere in grado di presentare liberamente e agevolmente gli
argomenti, le informazioni e le prove attinenti al caso, su base confidenziale, nell’ambito della procedura, a meno che le parti stesse abbiano espresso il loro accordo che
tali informazioni siano trasmesse alla controparte. Se, in qualsiasi fase, il terzo propone
delle possibili soluzioni per la risoluzione della controversia, entrambe le parti devono
essere in grado di esporre il loro punto di vista e di presentare osservazioni su qualsiasi
145
argomentazione, informazione o prova presentata dall’altra parte;
c) entrambe le parti sono incoraggiate a cooperare pienamente con lo svolgimento della
procedura, in particolare fornendo tutte le informazioni necessarie per un’equa risoluzione della controversia;
d) prima che le parti si mettano d’accordo su una proposta di risoluzione della controversia,
deve essere loro concesso un periodo di tempo ragionevole per esaminare tale soluzione.
Prima di accettare una proposta di soluzione, il consumatore deve essere informato in linguaggio chiaro e comprensibile del fatto che:
a) ha la scelta se accettare o meno la soluzione proposta;
b) la soluzione proposta può essere meno favorevole del risultato che potrebbe essere ottenuto in caso di procedura giudiziale che faccia applicazione di norme giuridiche;
c) prima di accogliere o di respingere la soluzione proposta, ha il diritto di ricorrere all’avviso di una fonte indipendente;
d) l’uso della procedura non preclude l’opzione di deferire la “querela” a un altro meccanismo extragiudiziale di risoluzione delle controversie rientrante nel campo di applicazione della raccomandazione 98/257/CE o di cercare riparazione legale attraverso
l’ordinamento giuridico del paese a cui il consumatore appartiene;
e) lo status giuridico di una soluzione consensuale.
Con specifico riferimento all’e-commerce, il considerando 6 della raccomandazione afferma quanto segue: “Il commercio elettronico facilita le transazioni transfrontaliere tra le aziende
e i consumatori. Tali transazioni hanno spesso un valore esiguo e che quindi la risoluzione di
qualsiasi controversia deve essere semplice, rapida e poco onerosa. Le nuove tecnologie possono
contribuire allo sviluppo di sistemi elettronici di composizione delle controversie costituendo un
organismo volto a risolvere efficacemente le controversie che interessano diverse giurisdizioni senza il bisogno di una comparizione fisica delle parti e andrebbero quindi incoraggiati mediante
principi volti ad assicurare standard coerenti e affidabili atti a suscitare la fiducia degli utenti.”
13.10.3 Non vessatorietà delle clausole di ricorso a organi di composizione extragiudiziale delle controversie e diritto dei consumatori di rivolgersi al giudice
Ai sensi dell’art. 141, comma 4, del Codice del Consumo, non sono considerate vessatorie le clausole inserite nei contratti dei consumatori aventi a oggetto il ricorso a organi
di composizione extragiudiziale delle controversie che si conformano alle disposizioni del
medesimo articolo.
Sempre secondo l’art. 141 del testo legislativo, il consumatore non può inoltre essere privato, in nessun caso, del diritto di adire il giudice competente, qualunque sia l’esito della
procedura di composizione extragiudiziale.
13.10.4 Camere di Commercio e composizione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo
L’art. 141, comma 3, del d.lgs. 206/2005 espressamente afferma che, in ogni caso, si considerano organi di composizione extragiudiziale delle controversie quelli costituiti ai sensi
dell’articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle Camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura.
146
Giova ricordare altresì che, ai sensi dell’art. 140 del Codice del Consumo, prima del ricorso
al giudice, i soggetti legittimati alle azioni inibitorie secondo le disposizioni del Codice possono attivare la procedura di conciliazione dinanzi alla Camera di Commercio, industria,
artigianato e agricoltura competente per territorio, nonché agli altri organismi di composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo a norma
dell’articolo 141 del testo legislativo. La procedura è, in ogni caso, definita entro sessanta
giorni. Sempre in base all’art. 140 del Codice del Consumo, il processo verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell’organismo di composizione extragiudiziale adito, è depositato per l’omologazione nella cancelleria del tribunale del luogo nel
quale si è svolto il procedimento di conciliazione. Il verbale di conciliazione omologato dal
tribunale costituisce titolo esecutivo58.
13.11 Il d.lgs. 28/2010 sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie
civili e commerciali
Nel quadro sin qui tracciato s’inserisce oggi il celeberrimo d.lgs. 28/2010. Come ben noto,
detto provvedimento regola in Italia il nuovo istituto della mediazione in materia civile e
commerciale, dando altresì attuazione nel nostro ordinamento, nelle intenzioni del legislatore, alla direttiva 2008/52/CE sopra brevemente illustrata59.
In questa sede, ci si limiterà a formulare solo alcune brevi osservazioni sul provvedimento,
ai fini del tema oggetto del presente contributo.
Le controversie del commercio elettronico, e in particolare del commercio elettronico
B2C, ricadono senz’altro nell’ambito di applicazione del provvedimento. L’art. 2 del d.lgs.
28/2010 prevede infatti che chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di
una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del
medesimo decreto.
Sempre l’art. 2 specifica d’altra parte che la nuova disciplina non preclude le negoziazioni
volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di
reclamo previste dalle carte dei servizi.
L’art. 3 del d.lgs. 28/2010, in linea con l’art. 19 del d.lgs. 70/2003 sul commercio elettronico sopra esaminato, prevede che la procedura di composizione extragiudiziale possa
svolgersi anche secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo. Tale
disposizione sarà particolarmente rilevante in materia di e-commerce, per le ragioni già in
precedenza illustrate. In ogni caso, il regolamento dell’organismo di mediazione dovrà garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’art. 9 del decreto. Specifica l’art. 16 del
d.lgs. 28/2010 che nel regolamento dell’organismo di mediazione devono essere previste,
fermo quanto stabilito dal medesimo provvedimento, le procedure telematiche eventual58 L’art. 140, comma 12, d.lgs. 206/2005 fa in ogni caso salve le procedure conciliative di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui all’articolo 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249.
59 d.lgs.. 4 marzo 2010, n. 28, Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, G.U. 53 del 5 marzo 2010. In generale, sul
provvedimento, sia consentito rinviare a Briganti, 2010, Guida breve alla mediazione in materia civile e commerciale, in <www.mediatoriconciliatori.it>. Per un commento del provvedimento v. Castagnola e Delfini, a cura di,
2010, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Cedam.
147
mente utilizzate dall’organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il
rispetto della riservatezza dei dati.
Con riguardo agli organismi di mediazione, l’art. 16 d.lgs. 28/2010 prevede, in particolare,
che la formazione del registro degli organismi di mediazione, l’iscrizione, la sospensione e la
cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli
affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi
decreti del ministro della Giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con
il ministro dello Sviluppo economico.
Il medesimo art. 16 aggiunge che anche gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall’art. 141 del Codice del Consumo, di cui si è detto, debbano attualmente conformarsi - sino all’emanazione dei previsti decreti del ministro della Giustizia - alle disposizioni
di cui ai decreti del ministro della Giustizia 23 luglio 2004, n. 222 (regolamento recante la
determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli
organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5) e 23 luglio
2004, n. 223 (regolamento recante la approvazione delle indennità spettanti agli organismi
di conciliazione a norma dell’articolo 39 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5)60.
Il d.lgs. 28/2010 (art. 19) stabilisce inoltre che gli organismi istituiti dalle Camere di Commercio ai sensi della legge 580/1993, richiamati anche dall’art. 141 del Codice del Consumo, sono iscritti nel registro degli organismi di mediazione a semplice domanda, nel
rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’art. 16 del provvedimento.
L’art. 23 del decreto sulla mediazione civile e commerciale mantiene ferme le disposizioni che
prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione comunque denominati, i
quali continueranno a essere esperiti in luogo di quelli previsti dal d.lgs. 28/2010.
Tra essi, in particolare, si ricorda la procedura di conciliazione nelle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti ex legge 249/1997, di cui al regolamento in
materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti approvato con delibera AGCOM 173/07/CONS61 e succ. modifiche.
Ai sensi dell’art. 1, lett. l), del regolamento, e ai fini di esso, s’intende per servizio di comunicazione elettronica “i servizi, forniti di norma a pagamento, consistenti esclusivamente o
prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica, compresi
i servizi di telecomunicazioni e i servizi di trasmissione nelle reti utilizzate per la diffusione
circolare radiotelevisiva, ad esclusione dei servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica o che esercitano un controllo editoriale su
tali contenuti; sono inoltre esclusi i servizi della società dell’informazione di cui all’articolo
2, comma 1, lettera a), del d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, non consistenti interamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica”.
Si ricorda infine che in base all’art. 12 d.lgs. 28/2010, nelle controversie transfrontaliere di
cui all’art. 2 della direttiva 2008/52/CE, di cui si è detto, il verbale di accordo è omologato
dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione.
60 Entrambi in G.U. 197 del 23 agosto 2004.
61 G.U. 120 del 25 maggio 2007.
148
13.12 On-line Dispute Resolution (ODR)
Con l’avvento di Internet sono andate come noto sviluppandosi procedure di A.D.R. che
si svolgono, per intero o almeno parzialmente, on-line, indicate con l’acronimo ODR (Online Dispute Resolution)62.
Le procedure di ODR vengono solitamente gestite da apposite organizzazioni, gli on-line
A.D.R. provider. Con riferimento alle procedure di tipo conciliativo, quelle tra esse che si
svolgono interamente on-line prevedono l’utilizzo, in linea generale, di sistemi di videoconferenza o di chat-room dedicate, tali da consentire l’incontro virtuale dei soggetti coinvolti
in modo sicuro e riservato. L’identità delle parti viene assicurata dall’assegnazione di uno
username e di una password.
Siffatte procedure on-line, come già si è più volte avuto modo di evidenziare, sono destinate ad assumere una posizione di preminenza con riferimento alle controversie dell’ecommerce, in quanto operanti nel medesimo ciberspazio in cui si svolgono le contrattazioni
telematiche e da cui, pertanto, originano le liti stesse.
Come esempio di ODR in Italia si analizzerà brevemente nel prosieguo il servizio
RisolviOnline della Camera di Commercio di Milano.
13.12.1 RisolviOnline della Camera di Commercio di Milano
La Camera Arbitrale di Milano, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Milano,
fin dal 1996 ha dato avvio al Servizio di conciliazione, che si rivolge alle imprese e ai
consumatori. Il Servizio è nato per rispondere alla richiesta sempre crescente di soluzioni
rapide e soddisfacenti alle controversie di natura economica.
La Camera Arbitrale di Milano è iscritta nel registro degli organismi di conciliazione di cui
al d.m. 222/2004 dal 22/07/2008.
Accanto al servizio “tradizionale” di conciliazione, che prevede incontri delle parti
con il conciliatore, è attiva anche una procedura che si svolge on-line, denominata
RisolviOnline63. Questo servizio della Camera Arbitrale di Milano consente di risolvere
le liti commerciali tramite il semplice collegamento ad Internet.
RisolviOnline, si legge sul relativo sito web, può essere utilizzato sia dal singolo con-sumatore/
utente, sia dall’impresa. L’avvocato può inviare la domanda di conciliazione o partecipare al
tentativo di conciliazione in rappresentanza di un consumatore o di un’impresa.
62 Sulla composizione extragiudiziale delle controversie con particolare riferimento all’A.D.R. on-line, v. Pierani,
2009, Online dispute resolution, in Cassano e Cimino, a cura di, Diritto dell’Internet e delle nuove tecnologie telematiche, Wolters Kluwer Italia; Maggipinto, a cura di, 2006, Sistemi alternativi di risoluzione delle controversie nella
Società dell’Informazione. Internet per la gestione della conflittualità nel mercato virtuale, Nyberg; Tripodi, 2005, I
sistemi di conciliazione on line: dalla soluzione delle controversie alla gestione dei rapporti tra imprese e tra imprese e
consumatori, in Diritto dell’Internet, 2, pp. 205 ss.; Lisi, 2002, Passaggio dall’A.D.R. internazionale all’A.D.R. on line
nel commercio elettronico, in <www.notiziariogiuridico.it>; Fasano, 2002, La risoluzione alternativa delle controversie nel mondo virtuale, in Lisi, a cura di, Internet: profili giuridici e opportunità di mercato, Maggioli Editore; Micera,
2002, A.D.R. in Internet. La risoluzione alternativa delle controversie, in Sirotti Gaudenzi, a cura di, Trattato breve
di Diritto della Rete, Maggioli Editore; Pierani e Ruggiero, 2002, L’Adr on line, in Cassano, a cura di, Diritto delle
nuove tecnologie informatiche e dell’INTERNET, Ipsoa; Tarì, op. cit.; Del Ninno, op. cit..
63 Il sito web di RisolviOnline è raggiungibile all’indirizzo <www.risolvionline.com>. Altri esempi di ODR nelle
Camere di Commercio sono quelli della CCIAA di Ancona (<http://conciliazione.an.camcom.it>) e della CCIAA
di Treviso (<www.curiamercatorum.com/webcuria>).
149
Tutte le controversie di carattere commerciale possono essere sottoposte a RisolviOnline
indipendentemente dal loro valore economico o dalla nazionalità dei soggetti coinvolti.
RisolviOnline consente di raggiungere un accordo soddisfacente, con l’aiuto di un
conciliatore neutrale ed esperto in gestione del conflitto in un ambiente informale e
riservato. Il tentativo di conciliazione si svolge discutendo in tempo reale del problema
tramite chat oppure tramite forum di discussione utilizzando un’area riservata del sito
internet a cui possono accedere solo le parti, il conciliatore ed il funzionario della Camera
Arbitrale preposto al servizio.
Nell’area a loro riservata le parti possono dialogare con l’assistenza del conciliatore, spiegando
esaurientemente le proprie ragioni, esponendo le proprie richieste e valutando le posizioni
reciproche; tentando di trovare, attraverso il confronto, una soluzione soddisfacente per
entrambe.
La scelta del conciliatore viene fatta da RisolviOnline, caso per caso, in base a criteri di
competenza, di professionalità, di indipendenza ed imparzialità, all’interno della sua lista
dei conciliatori.
Le fasi fondamentali della procedura on-line, attualmente in corso di adeguamento al d.lgs.
28/2010, come illustrato nelle regole di RisolviOnline ad oggi pubblicate sul relativo sito
web, possono essere schematizzate come segue:
- Avvio. Per attivare il procedimento, la parte interessata deve compilare e trasmettere
via web l’apposito modulo presente sul sito web del servizio. Successivamente la
segreteria contatta l’altra parte nel più breve tempo possibile, invitandola a aderire al
procedimento entro 15 giorni dal ricevimento dell’e-mail. Nel caso in cui l’altra parte
accetti di partecipare al procedimento, la segreteria ne dà comunicazione alla parte
proponente e individua il conciliatore on-line. Nel caso in cui l’altra parte non accetti di
partecipare al procedimento, il procedimento si conclude. In assenza di comunicazione
contraria della parte proponente, trascorsi 60 giorni dal contatto dell’altra parte senza
che l’adesione sia pervenuta alla segreteria, il procedimento viene archiviato.
- Svolgimento. Il procedimento può svilupparsi, sin dall’inizio, tramite uno dei sistemi di
comunicazione messi a disposizione dal servizio o anche, qualora il conciliatore on-line
lo ritenga possibile e opportuno, con l’utilizzo combinato di tali strumenti. Le parti
partecipano di persona al procedimento. Possono farsi assistere da consulenti, legali o
persone di fiducia. Nel caso in cui decidano di farsi rappresentare dovranno far pervenire
alla segreteria un documento che attesti i poteri di conciliare del rappresentante e la sua
identità. Le parti sono tenute al rispetto delle istruzioni fornite dal conciliatore on-line
relative alla tempistica e in generale alla gestione del procedimento. Il conciliatore online ha la facoltà di comunicare singolarmente ed in via riservata con ciascuna delle
parti. Se le parti lo richiedono espressamente il conciliatore può fornire ipotesi di
accordo non vincolanti.
- Conclusione. Il procedimento si conclude in ognuna delle seguenti ipotesi:
a) quando le parti o il conciliatore o la segreteria ritengano che non sussistono gli
estremi per proseguire;
b) quando le parti raggiungono un accordo. In caso di accordo viene redatto un documento
che le parti sottoscrivono e trasmettono alla segreteria via fax o servizio postale.
150
Viene altresì proposta dall’organismo una clausola standard che può essere inserita nelle
condizioni generali di contratto, al fine di prevedere l’utilizzo della procedura di RisolviOnline
come strumento di composizione delle liti: “In caso di disservizio o controversia tra [nome
dell’azienda] e un nostro utente/cliente, garantiamo sin d’ora la nostra partecipazione ad un
tentativo di conciliazione amichevole che l’utente potrà promuovere davanti a RisolviOnline, un
servizio indipendente e istituzionale fornito dalla Camera Arbitrale della Camera di Commercio
di Milano, che consente di raggiungere un accordo soddisfacente, con l’aiuto di un conciliatore
neutrale e competente, in un modo amichevole e sicuro”.
Secondo le statistiche pubblicate nel sito web di RisolviOnline, nel 2009 si sono avute 188
domande di conciliazione on-line, di cui 174 nell’ambito del B2C. Delle 188 domande, 49
riguardavano il settore del commercio elettronico.
13.13 Bibliografia
-- AA.VV. (2002), Commento organico alla direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio
elettronico”), in Boll. LUISS Ceradi.
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Impresa / Europa, 1, pp. 59 ss..
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sua attuazione in Italia, in <www.iusreporter.it>.
-- Briganti G. (2006), Guida al Codice del Consumo. La tutela del consumatore tra nuove
frontiere e vecchi confini, Ed. CieRre.
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-- Cabras G. et al. (2003), Mediazione e conciliazione per le imprese. Sistemi alternativi per
la risoluzione delle controversie nel diritto italiano e comunitario, Giappichelli.
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commerciali, Cedam.
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mediation, in <www.camera-arbitrale.it> nonché in Contratti, pp. 102 ss..
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Società dell’Informazione. Internet per la gestione della conflittualità nel mercato virtuale,
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151
nuove tecnologie informatiche e dell’INTERNET, Ipsoa.
-- Pierani M. (2009), Online dispute resolution, in Cassano G. e Cimino I.P., a cura di,
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-- Sirotti Gaudenzi A. (2003), Il commercio elettronico nella Società dell’Informazione, SE.
-- Tarì M.F. (2003), Ruolo delle alternative dispute resolution on line nel commercio elettronico, in <www.altalex.com>.
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altalex.com>.
-- Tripodi E.M. (2005), I sistemi di conciliazione on line: dalla soluzione delle controversie
alla gestione dei rapporti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Diritto dell’Internet,
2, pp. 205 ss..
152
14. UNA TECNICA PER LA MEDIAZIONE DI ISPIRAZIONE COSTRUTTIVISTA
A cura dell’Avv. Marco Tullio
Formatore ed ex Presidente dell’AIDP Umbria
Il presente contributo, dopo alcuni cenni introduttivi sul tema della mediazione e della nuova legislazione introdotta dal d.lgs. 28/2010, si propone l’obiettivo di introdurre i
fondamentali di una nuova tecnica di mediazione, basata sui principi della teoria nota
in Psicologia come “Costruttivismo”. Particolare importanza verrà data alla distinzione tra
i concetti di negoziazione e di mediazione, attribuendo al primo il significato di attività
posta in essere dalle parti contendenti per disegnare ed attuare una “propria” soluzione
stragiudiziale alla controversia; al secondo il significato di un’attività di facilitazione della
negoziazione, svolta in posizione di ortogonalità da un terzo “esperto”. Punto centrale del
presente contributo è l’introduzione delle teorie sul pregiudizio per mostrare la possibilità
di ampliare il piano negoziale tra le parti e facilitare un superamento delle posizioni più anguste e impermeabili, insormontabili ostacoli al buon fine dell’attività negoziale. Dal punto
di vista della tecnica di mediazione vera e propria, vengono distinte quattro fondamentali
fasi/principi di cui il mediatore deve tener conto, che qui di seguito vengono riportate.
Circolarità (multiversialità della realtà): creare nelle parti la consapevolezza dell’esistenza
di molteplici punti d’osservazione, da nessuno dei quali si può affermare di poter conoscere “tutta la verità”. Mettere tra parentesi: far concentrare le parti nell’operazione del
distinguere il “proprio sapere” dal “sapere assoluto”, introducendo la legittimità del “sapere
dell’altro”. Circolazione: portare le parti a “legittimare” tutte le differenti posizioni, senza
il timore di dover per questo abbandonare la propria. Ortogonalità: capacità del mediatore
- esplicita e confermata dal proprio modo di fare e di agire - di mostrare alle parti che ogni
prospettiva ha diritto di cittadinanza, evitando di far risultare una posizione “evidentemente corretta”, o un’altra “evidentemente scorretta”.
Parole chiave: Dlgs 28/2901, Conciliazione, Conciliatore, Mediazione, Mediatore, Negoziazione, Costruttivismo, problem solving, Problema, Soluzione, Negoziazione di posizione,
Rapporto di mezzo a fine, Negoziazione di Obiettivo, Negoziazione sugli Interessi, MAAN,
Pregiudizio, Apprendimento a livello “zero”, Apprendimento a livello “uno”, Circolarità,
Mettere tra parentesi, Circolazione, Ortogonalità.
14.1 Premessa
Il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 introduce nel sistema giudiziario italiano
un nuovo istituto, destinato ad avere, nel futuro, un ruolo chiave nel processo di gestione/
risoluzione delle controversie tra privati.
Con la nuova disciplina si rafforza un tendenza già da tempo presente nella volontà del legislatore ed orientata a ricercare un accordo stragiudiziale ed “amichevole” tra le parti (questa
la dizione della legge) prima che sia adita la giustizia civile.
Ciò sia in chiave di riduzione del carico di lavoro degli Uffici giudiziari, sia di diminuzione
del clima conflittuale che angustia (storicamente) il contenzioso civile.
Il ricorso alla mediazione è un’arma sperimentata con successo in molti altri contesti delle
153
relazioni umane nell’ambito dei rapporti individuali, delle realzioni commerciali (non necessariamente contenziose), delle relazioni industriali, nel campo sportivo, nella gestione
dei gruppi di lavoro e di ricerca sociale.
Ovunque sia ipotizzabile una situazione di contrapposizione di interessi e di punti di vista,
di fatto si è sperimentato lo strumento della mediazione.
Anche nello stesso campo giuridico, la mediazione è sicuramente un istituto di antichissima tradizione, essendo interesse di qualsiasi Ordinamento (e in buona sostanza anche dei
singoli individui) la riduzione delle controversie effettivamente “incomponibili” (e quindi
destinate al confronto innanzi all’autorità del giuduce) al minimo possibile.
Le novità che la normativa in oggetto introduce sono comunque più che rilevanti. Da un
lato rende la mediazione addirittura “obbligatoria”, richiedendo agli operatori uno sforzo
organizzativo e logistico di non lieve entità.
Dall’altro - ed è forse questo l’aspetto più rilevante - appare voler introdurre nel sistema giudiziario una vera e propria “professionalità” nella mediazione, superando l’impostazione basata esclusivamente sul buon senso (che rimane comunque uno strumento indispensabile),
sulle esclusive capacità degli operatori, sulla buona volontà delle parti, sulle doti innate degli avvocati delle parti (che da sempre operano anche in questo senso), sulla comunicazione
persuasiva (che comunque rimane una dote di massima importanza per un mediatore).
Così come la mediazione diviene “scientifica”, così quella del mediatore diviene una vera
e propria professionalità, non certo in contrasto, ma certamente “additiva” a quella tipica
dell’avvocato e dell’esperto di diritto.
In Italia è davvero il momento propizio per questa svolta: in primis per l’esigenza di ricorrere a
quanti più mezzi possibili per risolvere la questione del contenzioso civile; in secundis, perché
l’oggettiva difficoltà di “ottenere giustizia” può paradossalmente assumere un aspetto di catalizzatore nel confronti della mediazione ed agevolare l’affermarsi di questo nuovo orizzonte culturale.
In questo contesto, il presente lavoro si pone l’obiettivo di riportare al mondo della mediazione giudiziale alcune esperienze ed alcune tecniche maturate in contesti differenti, ma perfettamente traslabili in ambito giuridico.
Le persone infatti - che sono i veri attori della mediazione, molto più che nel contesto curiale - sono comunque le stesse e pensano, agiscono e decidono delle loro azioni in modo
estremamente simile in tutti i contesti della loro esistenza.
L’augurio è che la nuova normativa porti la nostra realtà sociale (tutti noi, in buona sostanza) ad un “recupero del buon senso” e della giusta dimensione in cui vivere i fenomeni
di contrapposizione con i nostri simili; inevitabili certo, ma gestibili in modo molto più
“maturo” e “sereno” di quanto non avvenga attualmente.
Tutti noi avvocati sappiamo quanto sia difficile indirizzare i nostri clienti verso un accordo
stragiudiziale, ma sappiamo anche che, più spesso di quanto si creda, le parti - se aiutate riescono a trovare un accordo duraturo ed effettivamente satisfativo.
14.2 conciliazione, mediazione, negoziazione
È necessario partire da una doverosa chiarificazione sul significato dei termini più ricorrenti
nella subiecta materia e sull’identificazione delle relazioni che intercorrono tra le grandezze
che questi rappresentano.
154
a) “Conciliazione” è un termine giuridico con importanti trascorsi storici e con una sua
consolidata dignità.
Dall’opera del “Conciliatore” (quel giudice che nel precedente Ordinamento giudiziario
rivestiva un ruolo simile all’attuale giudice di pace), la conciliazione diviene oggi: “La
composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione”64.
Una definizione sicuramente in linea con la tradizione, dal momento che, sia nel passato che nel presente, il conciliatore ed il giuduce di pace devono mirare, in modo
privilegiato, alla composizione non conflittuale degli interessi delle parti, alternativa alla
pronuncia della sentenza.
b) La mediazione è definita dal nostro legislatore come: “L’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia
nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia
nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.
La definizione è tutto sommato esaustiva. Ciò che rileva maggiormente sono i termini
“accordo amichevole”, “controversia”, “proposta di risoluzione”. Saranno oggetto di attenzione nel prosieguo del presente lavoro.
Di pari importanza è anche la forma verbale “assistere”, che sottolinea come la mediazione si differenzi dall’opera del giuduce, descrivendo una tipologia di imparzialità
(altro termine fondamentale) più “vicina” alle parti, maggiormente sensibile alle loro
posizioni e ispirata al concetto di facilitazione nella ricerca dell’accordo, piuttosto che a
quello di “decisione autarchica super partes”.
Al contrario della “conciliazione”, la “mediazione” prevede un’ontologizzazione dell’azione nella figura del mediatore. Anche in questa definizione, il legislatore insiste sulla
differenza di posizione e, tutto sommato, di “mentalità” e finalità fra il giuduce e il
mediatore, accomunati solamente dal concetto di terzietà.
Sembra persino che il Legislatore abbia voluto sottolineare più di ogni cosa il dato pregiuridico (se non addirittura ultragiuridico) della necessità di una nuova cultura e di un nuovo “modo di vedere le controversie” che il ricorso alla mediazione prevede e presuppone.
Un punto di vista con cui si può assolutamente concordare.
c) Il termine “negoziazione”, al contrario, non rientra tra quelli a cui il legislatore ha fatto
ricorso ma che, tuttavia, è assolutamente indispensabile introdurre per identificare con
maggior chiarezza l’attività di conciliazione e distinguere efficacemente, all’interno della
mediazione, tra “ruolo delle parti” e “ruolo del mediatore”.
Quello che la legge chiama “conciliazione” può essere definito come una sommatoria
tra due attività ben distinte: quella di negoziazione e quella di mediazione.
La negoziazione è attività delle e tra le parti; la mediazione è attività di un terzo imparziale (detto appunto mediatore) “a favore” della negoziazione.
La dizione più corretta da un punto di vista scientifico è la seguente: “La negoziazione
è un’attività delle parti per giungere a soluzioni concordate della controversia tra
loro in essere; la mediazione è l’opera di un terzo esperto ed equidistante che facilita le parti nella ricerca di tale soluzione”.
64 Art. 1 d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010
155
Poste in sinergia, l’attività di negoziazione e quella di mediazione danno vita all’attività
di conciliazione.
14.3 Negoziazione e problem solving: controversie e conflitti
In questo lavoro la negoziazione verrà considerata come un aspetto delle teorie sul problem
solving.
Non è difficile infatti accorgersi che le parti coinvolte in una controversia, di fatto devono
confrontarsi con un ostacolo che impedisce loro di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Ed è questa esattamente la definizione del Problema all’interno delle teorie di problem solving.
La controversia è una questione di problem solving caratterizzata da due particolari condizioni: le parti ritengono entrambe di avere la soluzione ottimale al problema, ma verificano
che tale soluzione non è identica ed è sovente anche incompatibile con quella della controparte.
È probabile che le parti attribuiscano tale diversità/incompatibilità non tanto al sussistere
di punti di vista differenti, quanto al fatto che l’altra parte “mira ai propri interessi”, sacrificando a questi gli interessi della controparte.
Ciò anche ammettendo la buona fede di controparte, e attribuendo tale “cecità” a un fenomeno di cattiva comprensione della vicenda, di ignoranza, persino di una posizione che il
Diritto, in genere, suole definire dolus bonus.
Fin quando tutto accade all’interno di questi parametri, si può parlare di controversia, potendosi confidare sulla possibilità che le parti, con un minimo aiuto o anche in autonomia,
riescano a comporre amichevolmente i propri interessi.
La questione si pone in modo differente se, ai due elementi anzidetti, se ne viene ad aggiungere un terzo, costituito dalla convinzione (in una sola delle due parti o anche in entrambe)
che l’altra parte sia addirittura in malafede; vale a dire che sia perfettamente consapevole
di sostenere una posizione di esclusiva tutela dei propri interessi a discapito di quelli di controparte e voglia “lucrare” sulla situazione per massimizzare il proprio tornaconto.
In presenza di questa terza componente la situazione diviene quanto mai problematica:
dalla controversia si passa al conflitto.
Si può dire che alla questione di problem solving sui contenuti, se ne aggiunge un’altra, che
l’esperienza ci indica come ben più difficile da affrontare: una questione che potremo definire di problem solving relazionale.
La soluzione del conflitto è ben più complessa rispetto a quella della controversia.
Il fenomeno acquista il più delle volte un andamento a spirale (c.d. escalation), per cui ogni
tentativo di composizione e ogni (minima) apertura dell’una parte verso l’altra vengono
ignorati o fraintesi e spesso non fanno che peggiorare la situazione.
Non si tratta di una situazione che sia necessario descrivere con maggior dettaglio, dal momento che è purtroppo ben nota a chiunque (specie a chi eserciti la professione forense). Ed
ognuno sa quanto sia difficile da gestire.
14.4 Dal problema alla soluzione
Se le parti non riescono ad uscire da questa spirale di contrapposizione, causata da una rappresentazione univoca e monolitica delle circostanze, la risoluzione del problema “con-
156
flitto” rimane impossibile o, al massimo, può essere ridotta alla ricerca del cosiddetto
“compromesso”.65
La teoria del problem solving, al contrario, sostiene che esiste (sempre) una differente ricostruzione dell’intorno problematico, tale per cui il problema può essere risolto con
piena soddisfazione di tutte le parti coinvolte.
Con un’iperbole, si potrebbe giungere a dire che, nelle teorie di problem solving, dalle circostanze che sembrano averlo generato, il problema si “sposta” al modo in cui le parti ricostruiscono ed affrontano la situazione.
Si tratta dunque di facilitare i soggetti coinvolti a “cambiare il proprio punto di vista” e
superare le posizioni aprioristiche e convenzionali che non permettono di “vedere oltre” e
cercare la soluzione in altre direzioni o, per meglio dire, su piani differenti.
Dunque, daremo della negoziazione la definizione di: “Metodo per la risoluzione di una
controversia mediante il ricorso ad un processo di problem solving”.
Non si ritiene di dover dire molto di più sul problem solving, dal momento in cui la metodologia che verrà adottata riesce a mostrare con in modo piuttosto chiaro come sia possibile
facilitare le parti nella “ricostruzione” e “riqualificazione” del problema (nel nostro caso la
controversia), fino a permettere loro di averne una “visione nuova”, all’interno della quale
la soluzione (l’accordo negoziale) diviene possibile.
Appare opportuno aggiungere che sussistono due differenti livelli di complessità a cui un
problema (anche qualora sia rappresentato da una controversia) può essere riportato: problema di ripristino e problema generato da situazioni “nuove”.
La parte comune ad ambo i livelli è la maggiore importanza che le parti riservano alle loro
convinzioni, rispetto alla considerazione dei fatti oggettivi.
Il primo obiettivo, nella direzione di una soluzione “condivisa”, è dunque quello cercare di
facilitare nelle parti l’individuazione dei fatti, separati dalla qualificazione che a questi è
possibile attribuire e dalle posizioni che intorno a questi possono essere assunte.
Da questo punto di vista, è necessario far porre alle parti le classiche “cinque domande” e
consentire che le due differenti “mappature” della realtà, di cui le parti sono portatrici (spesso molto distanti fra loro), possano essere confrontate e gradatamente riportate ad unità:
• quantificazione dei fatti: cosa è “davvero” successo?
• temporizzazione dei fatti: quando “davvero” successo?
• descrizione delle circostanze e dell’ambiente: dove è successo?
• elenco dei soggetti: chi è coinvolto e cosa ha fatto?
• descrizione dei nessi eziologici: come è potuto accadere?
Si noterà che la qualificazione dei fatti (la proposizione della domanda “perché è successo”
e “di chi è la colpa”) non viene al momento proposta.
65 Il cosiddetto “compromesso” può essere definito come una soluzione negoziale “al ribasso”. Mentre, come si
vedrà, la negoziazione si pone l’obiettivo di cercare una soluzione alla controversia, tale per cui le parti non rinuncino a nessuno dei propri interessi “genuini”, il compromesso si basa esattamente sul presupposto che queste, per
trovare un accordo, debbano rinunciare a qualcosa che “oggettivamente” gli spetta. È immediato dedurne che le
parti non possono che rivolgersi alla negoziazione/compromesso con grande ritrosia, senza entusiasmo e con il
timore di “perdere troppo” di quel che loro spetta. La vera negoziazione, al contrario, permette alle parti (ad ambo
le parti) di “vincere” e di lasciare il tavolo della trattativa perfettamente soddisfatti.
157
Concentrarsi sui fatti aiuta le parti in due differenti direzioni: da un lato le porta a descrivere una mappatura comune della realtà (almeno dal punto di vista fattuale), descrivendo un
“intorno oggettivo” su cui vi può essere accordo; dall’altra aiuta le parti a distaccarsi dalle
proprie posizioni (cariche di pregiudizi e di apoftegmi) per concentrarsi su qualcosa che
“non è il conflitto”.
a) Problema a cui si può dare una soluzione di ripristino. Se la soluzione è il ripristino
di una situazione quo ante, in un certo senso il compito negoziale è più semplice. In termini tecnici (non solo nell’ambito delle controversie), in questo caso il problema viene
detto “varianza”.
Ad una varianza si può dare soluzione semplicemente verificando quali siano le modalità più “convenienti” per il ripristino.
La fase più complessa da affrontare sarà quella di portare le parti a convenire sul fatto
che si tratti solamente ed unicamente di un problema di ripristino e non di questioni
personali, di malafede, di cocciutaggine dell’altra parte, di stupidità e di ogni altra qualificazione “non basata sui fatti”66.
b) Problema per cui è necessario elaborare “qualcosa di nuovo”. Se la soluzione consiste in qualcosa che le parti devono decidere ex novo per reagire ad una situazione che
precedentemente non esisteva, la possibilità che la controversia sia lunga e laboriosa e
che possa trasformarsi in un conflitto aumentano seriamente.
La formazione di una mappatura comune diviene assai più complessa e viene alla luce
un’esigenza che in genere gli individui non riescono a gestire con facilità: l’accettazione
che qualcosa deve necessariamente cambiare rispetto al passato e che “quel che era
precedentemente da ora non sarà più”67.
Sono questi i casi in cui, con più frequenza, si può passare dalla controversia al conflitto.
In tutti i casi, tale trasformazione avviene sempre gradatamente; se il fenomeno è preso
per tempo si può comunque evitare che la spirale dell’escalation si avvii, prima che
tutto divenga più difficile, peraltro in modo direttamente proporzionale al passare del
tempo68.
66 I casi di problemi con soluzioni di ripristino sono rappresentati, in campo giuridico, innanzi tutto dalla problematica del danno, in cui la questione di maggiore rilevanza - una volta accertata l’effettiva responsabilità - si
concentra sulle modalità di ripristino dello stesso, sia questa legata alla restituzione della situazione quo ante (che
infatti la legge in via astratta privilegia), sia questa legata al problema della quantificazione del risarcimento, inteso
come tentativo di “monetizzare” la restituzione della situazione precedente, quando questa sia divenuta impossibile o troppo onerosa. Anche le situazioni di inadempimento sono riportabili alla problematica del ripristino. In
genere, le situazioni di ripristino sono riportabili alle sentenze di condanna.
67 Sull’argomento il fondamentale libro: P. Watzlawick, J.H. Weakland, R. Fisch,“Change”, Astrolabio 1974.
68 Casistiche di problemi con soluzioni basate su decisioni innovative sono quelle in cui siano coinvolti diritti
della persona (in particolare diritto di famiglia, diritto del lavoro, diritto d’autore) o diritti reali. In genere si tratta
di situazioni riportabili alle sentenze costitutive o sull’accertamento di uno status, o di un presupposto che innova
la situazione (es.: giusta causa, incompatibilità tra i coniugi, incapacità). Non per nulla è proprio su queste che
maggiormente insiste la nuova normativa sulla mediazione. Chi scrive deve ammettere che la distinzione effettuata in questa nota e nella precedente è un abbozzo ancora incerto e sicuramente migliorabile. Il contributo di
altri esperti potrebbe essere in questo caso molto utile, dal momento che la distinzione ha comunque una propria
rilevanza sul piano della scelta delle tecniche per ottimizzare la negoziazione.
158
14.5 Le modalità di negoziazione e l’ampliamento del piano negoziale
In questo paragrafo si cercherà di indicare una via per ampliare il piano negoziale e riuscire
ad individuare soluzioni anche nei casi in cui, inizialmente, le parti non riescano a trovare
nessuna via d’uscita.
Innanzi tutto, è necessario esaminare con maggior cura come avviene una negoziazione e
quali siano di fatto le basi da cui questa prende le mosse.
Esistono molteplici forme di negoziazione e queste si basano su differenti piani negoziali,
gradatamente più ampi. In particolare, in questo lavoro si individueranno quattro differenti
tipologie di negoziazione, basate su tre differenti piani negoziali (piano delle posizioni, piano
degli obiettivi, piano degli interessi) e sulla capacità di saper ancor più allargare l’ultimo dei
piani negoziali (piano degli interessi primari).
a) Negoziazione di posizione. Si tratta della forma più diffusa e, purtroppo, difficile di
negoziazione. Si potrebbe addirittura parlare di “ negoziazione apparente”.
Quando si collocano sul piano della posizione, le parti restringono l’area di negoziazione a pochissimi elementi e, in genere, più che nel trovare una soluzione “comune”,
concentrano le proprie energie nel tentativo di far cambiare opinione all’interlocutore, per “portarlo” dalla propria parte e “convincerlo” di avere ragione o, quantomeno,
più “ragione di lui”.
In genere, tutta l’energia negoziale viene concentrata nel dosare il linguaggio, nel
descrivere argomentazioni convincenti se non “aggiranti”, con una spiccata tendenza
verso un atteggiamento di dolus bonus, che possa in qualche modo “confondere” l’avversario, così da farlo cadere nella propria rete comunicazionale.
Estrema importanza è data infatti alla cosiddetta “comunicazione persuasiva”.
Il punto centrale di tale tipologia di negoziazione, la strategia su cui si basa, rimane
comunque il far valere la forza obiettiva contenuta nella propria posizione, cercando di portare la controparte a più miti consigli, facendo pesare le conseguenze del
mancato accordo.
La parte “debole” ha comunque molte ed efficaci armi per resistere alla spinta coercitiva dell’avversario. Si tratta di strumenti che anche noi avvocati, in alcune circostanze, non disdegniamo: la ricerca di ogni eccezione possibile, la contestazione dei
fatti totale e ripetuta, l’atteggiamento dilatorio, lo sfruttamento di ogni circostanza
formale e materiale, l’allungamento dei tempi, la risposta sul piano dei contenuti con
argomenti deboli ma complessi e, infine, l’ostruzionismo.
Una “difesa” che può portare a sfinire l’avversario e a confondere gli scenari di modo
che, alla fine, questi finisca con il concedere qualcosa, spesso molto più di quanto
sarebbe “equo”.
Aldilà di ogni considerazione sul piano etico di tale forma di negoziazione, è palese
che questa può funzionare solamente nel caso in cui gli antagonisti si trovino su
piani effettivi di forza ben distinti fra loro, con una parte molto forte (dal punto di
vista della personalità e/o della “ragione”) ed una parte molto debole.
159
Se i piani della ragione (o della forza)69 “grosso modo” coincidono, o sono poco distanti
fra loro (e questo, come ogni avvocato sa, accade con estrema frequenza, per non dire
nella quasi maggioranza dei casi), i contendenti intraprendono una battaglia sterile,
inutile e spesso infinita. L’accordo sarà possibile solamente se una delle due “cede di
schianto”.
Una domanda sorge dunque in questa circostanza: è possibile in qualche modo ampliare il piano negoziale e invitare le parti ad una negoziazione differente da quella di
posizione?
La risposta può essere positiva, se si considera con attenzione da cosa è costituita una
“posizione”.
b) Negoziazione di obiettivo. Dobbiamo assumere il piano della negoziazione di posizione come sommatoria di tre distinti elementi:
• un interesse che le parti perseguono;
• una serie di mezzi per raggiungerlo;
• una serie di “convinzioni aprioristiche” che le parti hanno sulla negoziazione, sulla
controparte, sulla loro posizione e su altri punti salienti della questione.
L’ampliamento del piano negoziale si ottiene iniziando a sgombrare il campo da un elemento assolutamente fuorviante: le convinzioni aprioristiche, che in genere “coprono”
circa il 70% del piano negoziale.
Sul superamento delle convinzioni aprioristiche (che rappresenterà uno dei maggiori
impegni per il mediatore) si dirà con dovizia nel prosieguo di questo lavoro, quando si
parlerà di pregiudizio.
Per il momento può essere utile comporre un elenco di tali convinzioni:
• è bene non scoprirsi troppo, altrimenti l’avversario ha gioco facile;
• la verità non va mai detta;
• non è bene rivelare quali siano i veri obiettivi che si perseguono;
• non è bene fidarsi di quanto afferma la controparte;
• la negoziazione è in fondo una ricerca di compromesso;
• non bisogna spiegare la propria posizione, per non renderla più vulnerabile;
• l’avversario è per definizione in malafede e vuole “incastrarmi”;
• l’avversario non sa ascoltare: non vale nemmeno la pena di provare a spiegarsi;
• l’avversario è chiuso nella sua rigidità;
Come si vede, i pregiudizi di tipo “ideologico” coesistono e si sommano a quelli di tipo
“accidentale”, fino a descrivere una barriera che impedisce qualsiasi serio tentativo di
relazionarsi e di “scambiarsi dati”.
Una delle caratteristiche del pregiudizio è che finisce con lo scaricare la colpa
dell’impossibilità di negoziare sulla controparte, nella convinzione che le storture
69 In ogni controversia, oltre che alla “ragione in sé” (data dalla sommatoria delle circostanze di fatto e della
specifica disciplina di legge), è innegabile che sussista anche una questione di “forza”, data da una sommatoria di
elementi eterogenei, ma ugualmente significativi: il materiale probatorio a disposizione, le possibilità economiche
della parte, l’orientamento della giurisprudenza “locale”, la possibilità di interpellare professionisti e mezzi maggiormente significativi (consulenze tecniche, consulenti maggiormente qualificati), e molti altri ancora che qui
non si enumerano per brevità.
160
e le incapacità dipendano tutte da questa, con una implicita “autoassoluzione”70.
Dal momento che il muro dei pregiudizi rende impossibile un contatto effettivo, tutta l’energia negoziale viene solitamente impiegata nel difendersi dall’avversario e nel
mostrare (non si sa bene a chi, dal momento che non c’è nessun giudice) quanto la
posizione di quest’ultimo sia “sbagliata”.
Un’attenzione “polarizzata” farà poi sì che anche il più insignificante dei comportamenti
di controparte verrà preso a conferma dei pregiudizi anzidetti, rendendo il muro sempre
più invalicabile.
Resta da trattare l’ultimo e più rilevante pregiudizio: il torto e la ragione. Quando una
parte è certa di “avere tutta la ragione” (o anche “tutto il torto”) - situazione che viene a
verificarsi con estrema frequenza - ogni negoziazione diviene impossibile.
Tratteremo in seguito i modi in cui è possibile “neutralizzare” il gioco della ragione e
del torto; in questa sede va detto che, comunque, un primo valido passo in avanti può
essere effettuato facendo passare l’idea che il “torto” e la “ragione” non sono concetti
monolitici e possono anche essere distribuiti pro quota tra le parti (senza negare, almeno
all’inizio, che sicuramente vi sarà una parte con più ragione e una parte con più torto).
La negoziazione di obiettivo viene definita come quella in cui gli antagonisti superano
(almeno in parte) i pregiudizi e si concentrano sul raggiungimento dei propri interessi
e degli specifici mezzi per raggiungerlo.
Per obiettivo va dunque intesa la sommatoria tra un interesse ed un mezzo per
raggiungerlo.
In caso di capacità delle parti di negoziare sugli obiettivi, le possibilità di esito positivo
della trattativa aumentano di circa tre volte.
Giunti a questa conclusione, si pone una fondamentale domanda: possono davvero le
parti “da sole” superare le proprie posizioni apodittiche e i propri pregiudizi? È davvero
molto difficile se non interviene un terzo soggetto “neutralizzante”: il mediatore.
c) Negoziazione sugli interessi. Più difficile “convincere” il lettore (e le parti) che la negoziazione per obiettivi sia ulteriormente scomponibile.
Per operare in tal senso, è necessario prima di tutto ricordare che un obiettivo è composto da due distinti elementi: un interesse e la prospettazione dei mezzi per raggiungere
tale interesse.
La difficoltà anzidetta sta nel riuscire a mostrare con sufficiente chiarezza che il proporre
accanto all’enunciazione dei propri interessi anche quella dei mezzi che si ritengono
idonei per raggiungerli sia davvero così inutile e ingombrante. Infatti, tale proposizione
viene spesso percepita come un passaggio indispensabile e come fonte di chiarezza della
propria proposta negoziale71.
In effetti non è così.
70 Si tratta della cosiddetta “posizione della parte-giudice”, a cui si può cercare di ovviare sottolineando la differenza tra questi due ruoli, di cui il secondo è e deve rimanere assente nella negoziazione.
71 Ciò vale in particolar modo per l’avvocato, assolutamente certo nel ritenere che questo sia indispensabile, dal
momento che la stesura di tutti gli atti (giudiziali) che egli confeziona si basa sull’obbligo di dover indicare al
giuduce non solo il diritto che intende tutelare (la causa petendi), ma anche le modalità con cui questo va tutelato
(il petitum).
161
Il primo passo per comprenderne le ragioni sta nel rilevare che, nel modo comune di
pensare, l’obiettivo (il fine) e i mezzi per raggiungerlo vengono spesso accomunati
o addirittura confusi.
Per brevità, si cercherà di dar ragione di questo concetto con un esempio.
Poniamo che io decida di andare in bicicletta per due ore tutte le sere con l’obiettivo di
dimagrire. Se la bicicletta si rompe, non è affatto detto che non possa continuare il mio
piano di dimagrimento in altro modo, perché il dimagrimento è il fine e la bicicletta
è il mezzo. Posso andare in palestra, andare a correre, fare ginnastica in casa, addirittura
“cambiare strategia” e decidere di mangiare di meno piuttosto che “bruciare più calorie”.
Ma c’è di più: se non voglio proprio rinunciare alla bicicletta, nel frattempo che il meccanico non ripara la mia, posso farmene prestare un’altra, oppure decidere di adottare
una differente strategia di dimagrimento solo per pochi giorni.
Ma ecco che interviene il pregiudizio (tanto da poter dire che, tutto sommato, il secondo e il terzo punto dell’elenco precedente sono strettamente collegati): o quella
bicicletta, o non se ne fa nulla72.
A chi faccia notare la possibilità di una differente “soluzione”, si risponde comunemente
con una precisa obiezione: “Ma io preferisco andare in bicicletta rispetto ad ogni altro
metodo di dimagrimento!”.
La risposta efficace a tale pregiudiziale potrebbe essere: “Non c’è dubbio! Ma intanto, se
ti concentri troppo sulla bicicletta, finisci con il dover abbandonare il tuo obiettivo
senza nemmeno provare a raggiungerlo in un modo differente”.
E, in seconda battuta, qualora la parte non riesca a convincersi: “Sei sicuro che il tuo
obiettivo fosse dimagrire? Forse era semplicemente “andare in bicicletta”. Dunque,
chiarisci con te stesso qual è il tuo “vero” obiettivo e vedrai che sarà più semplice
raggiungerlo”.
Se quanto precede appare chiaro e condivisibile, la ragione per cui “mettere sullo stesso
piano” interessi e mezzi per ottenerli finisca con il complicare la negoziazione è presto
detto: il pacchetto delle richieste si amplia a dismisura e spesso, a tale ampliamento,
non corrisponde affatto una prospettiva di maggior risultato, dal momento che ciò di
cui si ha veramente necessità è solo una parte di questo.
Inoltre, qualsiasi individuo, al livello emotivo, avverte come “non stimolante” (o addirittura “non accettabile”) il fatto che un obiettivo (addirittura anche qualora sia comune) venga realizzato senza il suo apporto di idee e di esperienza.
Lasciamo che questi “contribuisca” a dar vita alla soluzione. La negoziazione sui mezzi
per raggiungere un interesse sarà estremamente più facile ed immediata, perché ciò che
conta è l’effettivo raggiungimento dell’interesse, mentre il mezzo è al massimo garanzia
di efficienza ed efficacia nel raggiungerlo.
72 Un tale fenomeno, del resto molto comune in tutti noi, spesso trova le proprie basi in questioni “non dette”,
se non “indicibili”, se non addirittura “ignote” allo stesso soggetto agente. Ad esempio, tornando all’esempio
corrente, è probabile che la “voglia” e/o la “convinzione” di voler dimagrire non fosse poi così forte e determinata,
talché la prima difficoltà ci è servita come “scusa” per abbandonare un progetto di cui non eravamo convinti fino
in fondo. Magari quel “dimagrire” di fatto era una scelta di nostra moglie e non nostra… In merito il libro: J. Luft,
“Dinamica delle relazioni interpersonali. La finestra di Johari”, ISEDI 1985.
162
Ciò che va fatto, in ogni caso, è dividere concettualmente e temporalmente i due
momenti:
• prima si raggiunge l’accordo sulla composizione degli interessi;
• poi si individua insieme “il come”, anche con l’intervento di un esperto.
Anzi, la migliore soluzione è proprio quella di affidare ad un terzo “esperto e competente” il compito di individuare i migliori mezzi per raggiungere i propri interessi
oramai composti.
La terziarizzazione della “soluzione pratica” è garanzia del fatto che gli interessi dedotti
saranno effettivamente raggiunti nel modo più efficiente ed efficace e che la controversia
non rischierà di riaprirsi su questo secondo punto.
È del tutto plausibile - ed anzi auspicabile - che tale “esperto” sia proprio il mediatore.
d) Negoziazione su interessi “graduati”. La confusione tra obiettivi e mezzi per raggiungerlo, dunque, è di fatto una delle ragioni per cui la negoziazione può divenire
inefficace.
Possiamo decantare da queste notazioni una prima regola generale sulla negoziazione:
quanto più la parte ha chiara l’effettiva identità dei propri interessi, tanto più la
negoziazione sarà possibile e realmente satisfativa.
Ci poniamo ora la domanda se non sia ulteriormente possibile ampliare il piano di
negoziazione delle parti. La risposta è affermativa.
Nel momento in cui la parte è riuscita a identificare e distinguere tra tutti gli elementi
della negoziazione i propri veri interessi, è possibile, sulla stessa scia e con la stessa tecnica, procedere ad una gradazione di questi.
In genere, gli interessi che una parte persegue nella negoziazione sono molteplici. Essi si
troveranno quasi certamente su differenti livelli di interesse ed appetibilità e potranno
essere graduati in base al suddetto criterio.
Si può addirittura dire che gli interessi della parte possono dividersi in interessi primari
(o centrali) e interessi secondari (o corollari), che fungono da supporto e da completamento degli interessi primari.
Va da sé che il grado di appetibilità e di necessarietà di tali interessi è differente; è anzi
corretto dire che qualora il raggiungimento degli interessi secondari ponesse a rischio il raggiungimento degli interessi primari, il perseguimento di questi dovrebbe slittare in secondo piano o addirittura essere abbandonato73.
La capacità di graduare e suddividere in due differenti gruppi gli interessi, porta dunque
ad un ulteriore ampliamento del piano negoziale.
Un ampliamento che, tuttavia, non può spingersi all’infinito ed è corretto arrestare
qualora determini la compromissione dei propri interessi primari e ineliminabili.
Interessi a cui la parte non vorrà e non dovrà in alcun modo rinunciare.
73 Esiste inoltre una particolare relazione per cui, con sorprendente ricorrenza, gli interessi secondari di una parte
rappresentano gli interessi primari dell’altra. Cosicché il concentrasi sui propri interessi primari, sapendo alla bisogna abbandonare quelli secondari, è una pratica che agevola la negoziazione anche da un secondo punto di vista,
dal momento che concede spazio alla controparte, determinando il passaggio da una logica “a somma zero” a una
logica “a somma maggiore di zero”. Sull’argomento cfr. anche la nota successiva.
163
Si arriva così alla determinazione dei cosiddetti interessi incomprimibili74.
Qualora la negoziazione giunga a considerare gli interessi incomprimibili e pur in questo caso risultasse impossibile, è legittimo per la parte abbandonare il tavolo delle
trattative ed orientarsi verso altre soluzioni.
Tuttavia è ancora necessario verificare se qualche incidente di percorso non abbia inficiato la trattativa. Tra i tanti, quello rappresentato dal fatto che una parte abbia sinceramente optato per la posizione negoziale, mentre l’altra sia rimasta ferma “sulle sue
posizioni”.
Un corretto uso del metodo, nel caso che entrambe le parti siano disposte ad attuarlo,
porta a raggiungere una percentuale di successo nella negoziazione pari a circa il 75%
dei casi. Sempre che le parti siano assistite da un buon mediatore.
Un’importante conseguenza di quanto sinora esposto è che, in realtà, la negoziazione inizia molto prima dell’avvio di quella parte “pubblica” e duale a cui in genere si dà il
nome di “trattativa”.
La fase duale è sempre preceduta da una fase individuale, all’interno della quale ognuna
delle due parti, prima di recarsi al tavolo delle trattative, individua e definisce “con se stesso”
alcuni elementi base per la trattativa: quali sono i suoi veri obiettivi, quali sono gli interessi
che tali obiettivi sottendono e quanti di tali interessi possono essere definiti “principali”
e quanti “eventuali” e - difficile ad accettarsi - “secondari”. A ben vedere, il perseguire un
interesse secondario anche a rischio di compromettere l’interesse principale è già di per sé
un tornare alla negoziazione di posizione.
La fase individuale, prodromica a quella negoziale in senso stretto, rappresenta un passaggio
di assoluta importanza, anche considerando che questa è sempre e comunque presente,
anche qualora resti criptica e inconsapevole agli stessi negoziatori.
In altre parole, si può dire che un momento delle scelte individuali esiste sempre: se questo viene affrontato in modo inconsapevole, emotivamente orientato e magari rimandato
al momento stesso in cui si la negoziazione è in atto (perché solo allora si pone in modo
indilazionabile la domanda: come mi devo comportare? Cosa voglio ottenere?) l’efficacia
della negoziazione ne risulta fortemente inficiata.
Andare al tavolo delle trattative senza essersi posti le domande fondamentali può essere
un errore: se il fenomeno della decisione individuale avviene comunque, allora conviene
74 In realtà, sussiste un ulteriore stadio di ampliamento del piano negoziale che, a ben vedere, non dipende tanto
dalla gradazione degli interessi quanto dalla considerazione della situazione reale e contingente. Esiste infatti una
grandezza che viene definita “Migliore Alternativa Alla Negoziazione” (in genere indicata con l’acronimo MAAN)
che influenza profondamente la determinazione dell’interesse incomprimibile (dove “incomprimibile” è comunque una grandezza mobile e soggettiva). Per meglio spiegarsi, si farà un esempio. In una situazione di perfetto funzionamento della macchina giudiziaria la MAAN potrebbe risultare “più alta”, nella certezza che i propri interessi
“primari” troveranno adeguato e rapido riconoscimento in Tribunale. In una situazione come quella italiana la
MAAN risulta sicuramente di gran lunga “più bassa”, dal momento che la parte è (o dovrebbe essere) consapevole
del fatto che, affidati alla giustizia, i propri interessi - pur sacrosanti - rischiano di svilirsi a causa dei tempi “biblici”
necessari per la sentenza definitiva. Si può approfondire questo argomento (e in genere quello sulla negoziazione)
con la lettura del libro: R. Fisher, W. Ury, B. Patton, “L’Arte del Negoziato”, Mondadori 1995.
164
affrontarlo lucidamente, consapevolmente, con i giusti modi e i giusti strumenti75.
Le domande principali sono:
• Quali sono i miei obiettivi?
• Quale parte degli obiettivi è in realtà un mezzo per raggiungerli, di cui fare a meno?
• Quali sono i miei effettivi interessi sottesi all’obiettivo?
• Si può operare una gradazione degli interessi?
• Quali sono indispensabili? Di quali posso alla fin fine fare a meno?
• Qual è la migliore alternativa alla negoziazione?
Se si cercherà di dare una genuina ed oggettiva risposta a queste domande (rifacendosi continuamente ai fatti, ai dati a disposizione e non alle impressioni o alle sensazioni emotive,
quasi certamente verranno a galla anche gli atteggiamenti apodittici (che in seguito chiameremo “pregiudizi”) da cui troppo spesso è afflitta la posizione individuale.
Le parti, anche se non riusciranno a fare il “lavoro perfetto”, andranno comunque al tavolo
delle trattative in modo più leggero, con un fardello di “cose da ottenere” assolutamente
meno pesante e, con tutta probabilità, sapranno individuare la via più semplice, il “rasoio
di Occam”, su cui far correre l’attività negoziale76.
Non si tratta di un lavoro facile e a volte un aiuto esterno diviene indispensabile. Stiamo
così lasciando il campo della negoziazione per entrare in quello della mediazione.
A volte si ha la fortuna di incontrare contendenti (intendendo come tali le parti di una controversia) in grado di operare in piena autonomia tali ragionamenti e di avviare una spirale
virtuosa che porta ad una negoziazione efficace.
A volte, addirittura, si assiste al fenomeno di una delle due parti che, buona negoziatrice,
spinta dall’interesse e in parte da questioni di natura etica, “aiuta” e “guida” l’altra, permettendole di entrare a propria volta nello spirito della negoziazione.
75 In definitiva è questa la ragione per cui il mediatore (come vedremo in seguito), nel proprio ruolo di “supporto
alle parti” nella negoziazione, prima di passare alla facilitazione della fase duale, intrattiene una relazione individuale ed assiste separatamente i due contendenti. L’obiettivo è esattamente quello di “ridurre il pregiudizio” e
portare la parte a ragionare oggettivamente e causalmente sui propri obiettivi, sui propri interessi, individuando
tutti i concetti apodittici che lo portano a descrivere una “posizione granitica” di fatto non negoziabile. Induce
altresì uno stato relazionale tra le parti libero da posizioni emotive e di giudizio aprioristico, facilitando la reciproca
apertura.
76 A questo punto, va fatto doveroso cenno (purtroppo molto brevemente per la complessità dell’argomento,
che ci porterebbe lontani dall’obiettivo) alla cosiddetta questione dei “giochi a somma maggiore di zero”. Un
serio lavoro su se stessi prima di passare alla fase di negoziazione in senso stretto, porterà a percepire la propria
posizione e quella dell’antagonista come naturali tentativi di massimizzare il profitto individuale e a trovare un
nuovo senso alla negoziazione: dall’arte di convincere l’altro che “io ho ragione”, all’arte di comporre gli interessi
reciproci secondo il cosiddetto “ottimo paretiano”. Ricerche sicuramente attendibili dimostrano che in questo caso
i contendenti divengono “buoni negoziatori” e si rendono conto che il loro obiettivo non è tanto quello di “vincere sull’avversario”, quanto quello di “soddisfare il proprio interesse”. Il passo successivo è quello di collaborare
affinché entrambe le parti lascino il tavolo delle trattative con in mano il massimo profitto possibile in quella data
situazione oggettiva (ottimo paretiano). Ecco da cosa deriva la definizione “somma maggiore di zero”: sommando
il profitto ottenuto dai due contendenti si otterrà una grandezza maggiore di zero, mentre, in caso di conflitto e
di ricerca della vittoria piuttosto che dell’interesse, al massimo si potrà ottenere una grandezza pari a zero (una
parte ottiene il punto che cercava, ma l’altra lo perde), se non addirittura negativa (nel non raro caso che le parti,
nel farsi guerra, finiscano entrambe col non ottenere un bel niente). Ma se non si hanno le idee chiare: come si fa
a stabilire a quali interessi dare maggiore importanza per lasciar spazio anche alla controparte e a quali invece non
è possibile assolutamente rinunciare?
165
Il più delle volte, in particolare nel caso in cui necessitino “nuove soluzioni” e specialmente
“soluzioni creative” (cfr. paragrafo 4), le parti finiscono col perdersi.
Al primo sentore dei classici prodromi del passaggio dalla situazione di controversia a quella
di conflitto77, le parti dovrebbero essere talmente oculate e “preparate” da avere l’intelligenza di interrompere ogni attività di relazione ed ogni tentativo di negoziato, per
rivolgersi ad un mediatore.
14.6 Negoziazione e pregiudizio
Non sarà sfuggita l’implicazione diretta che sussiste tra le ragioni che impediscono una
corretta negoziazione tra le parti e un particolare atteggiamento, a cui normalmente si
attribuisce il nome di pregiudizio.
Come del resto suggerisce l’etimo stesso della parola - composta dal prefisso “pre” e dalla
radice “giudizio” - il pregiudizio può essere definito (in modo accettabile sia per il comune
sentire che sul piano scientifico), come l’atteggiamento (esteriore e/o interiore) di colui che
“prenda posizione” su una qualsiasi questione senza aver avuto modo o intenzione di considerare, in modo oggettivo e causalmente orientato, le ipotesi di partenza, i fattori critici, gli
interessi in gioco, le condizioni e gli effettivi effetti di un fenomeno che viene ad interferire
con la propria sfera esistenziale ed i propri interessi.
In altre parole, seguendo la terminologia adottata in precedenza, è esattamente il “pregiudizio” che porta a “prendere posizione”, vale a dire ad orientare le decisioni del soggetto
agente in base ad elementi differenti dai propri effettivi interessi.
A questo punto, quel che davvero appare utile è individuare un metodo per sconfiggere
il pregiudizio e permettere alle parti di passare da una negoziazione di posizione ad una
basata sugli interessi e, al mediatore, di massimizzare l’efficacia e l’efficienza (in termini di
tempo necessario per giungere ad un accordo negoziale) della propria azione.
Sconfiggere il pregiudizio è questione assai delicata e compito oltremodo difficile: da soli
non sempre è possibile. Da qui, come vedremo nei prossimi paragrafi, la convinzione che
l’opera di mediazione debba partire dal tentativo di facilitare le parti nel superare i propri
pregiudizi.
Sconfiggere il pregiudizio è un’opera che inizia e si concretizza per buona parte proprio nella fase individuale della negoziazione, dove deve intervenire quella che potremmo chiamare
“l’arte di convincere se stessi” prima ancora di voler convincere gli altri (se non proprio
alternativamente al volerli convincere)78.
È altrettanto importante saper sconfiggere i pregiudizi che le parti nutrono reciprocamente;
compito che viene per lo più eseguito durante la fase duale.
In questa ricerca del concreto e delle soluzioni percorribili, rivolgere l’attenzione al pregiudizio ha un senso ben preciso, perché riporta le considerazioni che precedono nell’alveo di
una scuola di pensiero all’interno delle scienze psicosociali, che ha analizzato il fenomeno in
profondità, suggerendo valide metodologie per sconfiggerne gli effetti nocivi.
77 Questi segnali sono (per citare i più significativi ed evidenti): astio, ripicche, toni di voce in crescendo, accuse al
di fuori dell’intorno proprio della controversia, evocazione di fatti e controversie lontane nel tempo ecc.
78 Si consiglia in merito la lettura di un preziosissimo contributo: R. Boudon, “L’Arte di Convincere Se Stessi”,
Rusconi 1993.
166
Tale scuola prende il nome di Costruttivismo e sarà oggetto di approfondimento nell’ultima parte di questo lavoro.
14.7 La figura e il compito del mediatore
Il mediatore è un professionista che sa facilitare la negoziazione fra le parti.
Ovviamente, il gradiente di successo della mediazione è inversamente proporzionale al grado conflittuale che la relazione tra le parti ha raggiunto, ma anche nei casi più difficili,
quando il passaggio dalla controversia al conflitto si sia spinto molto in avanti, il buon
mediatore può ancora riuscire a sbloccare la situazione.
Si diceva nel paragrafo precedente che le parti dovrebbero essere tanto oculate e preparate
da accorgersi di essere in procinto di passare dalla controversia al conflitto.
Su quel “preparate” c’è molto da dire, perché oggi in Italia manca una cultura della negoziazione e le parti si lasciano andare volentieri al conflitto, nella certezza - ad esempio - che
“un buon avvocato” dalla nostra parte possa e debba rappresentare sempre la sicurezza di
ottenere ragione.
Oppure non hanno consapevolezza che “aver ragione”, ma dover attendere anni per vedersela riconosciuta in sede giudiziale, equivale a non averne affatto.
Da questo punto di vista, la cosa più difficile è combattere la piaga dell’assolutismo posizionale, per cui le parti possono percepire di aver torto o ragione, ma difficilmente riescono a
considerare l’idea che si può avere ragione “solo in parte”, così come l’altro contendente può avere torto “solo in parte”; e che quindi, per massimizzare il proprio tornaconto,
può essere conveniente far valere non tutta, ma solo la “giusta parte” di ragione79.
Lo strumento della formazione (professionale o meno) in questo caso non appare adatto a
risolvere il problema. È necessaria un’opera di sensibilizzazione a livello sociale che richiede
un impegno notevole da parte delle Istituzioni ed in particolare da parte di noi Avvocati
nell’esercizio del nostro mestiere80.
L’impegno del mediatore è dunque quello di portare le parti a negoziare. Da questo punto
di vista, sussistono due differenti ambiti di mediazione:
• mediazione relazionale: serve conoscere l’uomo e le dinamiche delle relazioni umane;
• mediazione tecnica: serve conoscere la legge e soprattutto il Diritto vivente (quello che
si frequenta ogni giorno in tribunale e non quello scritto sui libri).
Una volta assistite le parti nel facilitare l’individuazione dell’accordo “a livello di interessi”
(cfr. paragrafo precedente), è necessario cambiare in parte il proprio abito ed aiutare le
parti (che possono oramai essere rappresentate anche come un’unica parte complessa) a
79 Ecco l’utilità di facilitare le parti a “scomporre” la propria posizione in una sommatoria di interessi graduabili e
di agevolare il superamento della mentalità del confronto come “campo di gioco”, dove “sconfiggere” l’avversario
e vincere una partita.
80 Noi Avvocati dovremo impegnarci per imparare a farci portatori di una cultura della negoziazione e a convincere prima di tutto noi stessi dell’efficacia e della convenienza di questa scelta, specie nell’attuale panorama
socioculturale e nella considerazione dell’attuale stato della Giustizia italiana. Il Cliente - che ne siamo consapevoli
o meno - respira l’aria del nostro Studio e spesso si orienta, involontariamente, sulla base delle nostre convinzioni
e delle nostre scelte, anche “non dette”, addirittura in contraddizione con quanto affermiamo a parole. Si tratta
di argomenti molto impegnativi, che non rientrano nell’oggetto di questo lavoro, ed è quindi bene abbandonare
dopo questi brevi cenni.
167
concretizzare i propri interessi in una forma giuridica valida e percorribile nel nostro Ordinamento.
Altrimenti, si rischia di riaprire la ferita ancora fresca e non certo rimarginata di una vittoria
“a metà” e di gettare al vento ore ed ore (se non giorni e giorni o addirittura mesi e mesi)
di lavoro e di impegno.
Il caso del mediatore che fa sottoscrivere alle parti un accordo contrario a norme imperative o di ordine pubblico ne è l’esempio più lampante. Non si tratta di ipotesi di scuola, in
quanto risulta che in moltissime occasioni ciò sia accaduto, specie in presenza di mediatori
non esperti di diritto.
Quando la parte “svantaggiata” si accorge che quella si cui si è formato l’accordo è una soluzione giuridicamente impercorribile e che tale accordo non ha praticamente alcun valore
si torna senz’altro al punto di partenza, se non ancora più indietro.
L’atto di conciliazione (che poi è a tutti gli effetti un negozio transattivo e dunque sottoposto a tutte le norme a garanzia dei contratti - compresi la nullità e l’annullabilità), oltre a
saper tradurre perfettamente la composizione degli interessi che le parti hanno negoziato e
individuato, deve essere sostenibile dal punto di vista giuridico.
L’optimum sembrerebbe la presenza di due soggetti che collaborino nell’opera di mediazione, ad esempio uno psicologo e un giurista: ma - sembra un paradosso e non lo è - può accadere che, in questo caso, i due entrino loro stessi in conflitto: infatti, gli “interessi” di cui si
fanno portatori e le loro “posizioni” (cfr. paragrafo precedente) sono spesso molto distanti.
Il giurista rischia di percepire lo psicologo come un’entità vaga e facilona; lo psicologo può
vedere nel giurista un tecnico rigido ed insensibile, tutto preso dai suoi formalismi e dalla
sua scienza esatta. E ognuno dei due potrebbe accusare l’altro di “non capire la situazione”
e di “mettere i bastoni fra le ruote”.
In questo caso la frittata è fatta ed è gigantesca. A meno di non voler ricorrere ad un mediatore - mettendola a burla - che si occupi di aiutare i mediatori…
Dunque, è assolutamente più conveniente che mediatore tecnico e mediatore relazionale
siano la stessa persona. La regola aurea condivisa da tutte le scuole è che il mediatore è una
persona fisica ed è unico.
Per questi motivi, l’avvocato è il personaggio più adatto per la gestione del processo mediativo in ambito legale81.
81 Ciò non significa che l’avvocato, solo in quanto tale, sia un buon mediatore. Necessitano comunque predisposizione e preparazione specifica. Per la seconda ben dispone la legge; per la prima è necessario che ognuno di noi
si interroghi con sincerità e decida se intraprendere o meno il percorso del conciliatore.
168
14.8 Una tecnica di mediazione basata sul superamento del pregiudizio82
Si accennava in precedenza (cfr. par. 6) all’importanza di individuare una tecnica che possa
facilitare le parti nel superare il pregiudizio, sia sulle proprie posizioni, sia sulle posizioni
dell’interlocutore, sulla di lui persona, sulla sua stessa “buonafede”83.
Un metodo che può in effetti agevolare nel raggiungimento di tale obiettivo è la posizione
costruttivista84 sul pregiudizio.
Tale impostazione è in grado di facilitare sia la parte di negoziazione relativa ai contenuti,
sia la negoziazione relativa alla relazione fra le parti (cfr. par. 3).
La domanda principale da cui tale posizione prende le mosse è la seguente: cosa genera in un
individuo una posizione pregiudiziale e cosa la mantiene spesso così viva e inattaccabile,
impedendo a qualsiasi tentativo per quanto forte, razionale e in sé convincente di scalfirla?
L’esperienza ci insegna anzi che, sovente, un tentativo di scalfire il pregiudizio produce
l’effetto opposto e questo diviene ancor più radicato.
Comprendere che questo ultimo aspetto non è affatto casuale e non è nemmeno riportabile a deficienze di carattere morale nella controparte85, è il primo passo per giungere
82 La teoria che verrà esposta è stata ricavata da una serie di lezioni che chi scrive tiene in occasione di master e
corsi per l’impresa sul tema della negoziazione e della mediazione. I destinatari di tali interventi formativi sono in
genere giovani imprenditori e operatori qualificati nel settore dell’impresa pubblica e privata. Il medesimo strumento è stato peraltro sperimentato in più occasioni come strumento di Coaching, per facilitare negoziazioni ed
accordi negoziali nell’ambito delle vicende infra-aziendali, dei rapporti tra Manager, tra Manager e collaboratori,
all’interno di gruppi di lavoro. È stato sperimentato anche all’interno di gruppi giovanili in formazione ed affiancamento per l’orientamento professionale e la risoluzione delle controversie legate ai primi approcci con il mondo
del lavoro. Quello effettuato con questo elaborato è il primo tentativo di adattare queste tecniche all’ambito
giuridico, stimolati dal buon successo in altri settori.
83 Un avversario è genericamente considerato in “mala fede” per definizione. E, difatti, generalmente Dio (che
legge nel profondo) “è dalla nostra parte” e lo “maledirà”; l’avversario è “brutto” oltre che “cattivo”, “spietato”,
“arrogante” ed ogni suo tentativo di spiegare la propria posizione non è altro che “propaganda”, “blandizie”, se non
“furberia e raggiro”. “Ma noi non ci facciamo prendere in giro, lo conosciamo bene e continueremo imperterriti
per la nostra strada”, dirà la controparte. Il dubbio di non conoscere bene il nostro avversario e l’idea che Russians
love their children too (per dirla con le parole di Sting) potrebbe essere il primo passo per domandarsi se poi davvero
si possegga un’idea sufficientemente chiara della situazione (compresa la propria) e, alla fine, arrivare a negoziare.
84 Il Costruttivismo pone in discussione la possibilità di una conoscenza “oggettiva”, in quanto sapere totale che
rappresenti in modo fedele un ordine esterno indipendente dall’osservatore. Per questa teoria, non esistono fatti
“in sé”. Ogni osservazione è ritenuta possibile solo alla luce di teorie e la conoscenza è sempre sviluppo di una conoscenza precedente. Il sapere non può essere ricevuto in modo passivo dal soggetto, ma risulta dalla relazione fra
un soggetto attivo e la realtà. La realtà in quanto oggetto della nostra conoscenza sarebbe dunque creata dal nostro
continuo “fare esperienza” di essa e si forma nei processi d’interazione ed attraverso l’attribuzione di significati alla
nostra esperienza. In questi processi il linguaggio ha certamente un ruolo fondamentale. La “costruzione” si poggia
quindi su mappe cognitive che servono agli individui per orientarsi e costruire le proprie interpretazioni. In sostanza
ciascun individuo costruisce una sua “mappa di significati” personali, che gli consentano di vivere in quello che ciascuno sperimenta come il suo mondo. Il “proprio” mondo, tuttavia, viene percepito come universale ed oggettivo.
85 La prima cosa che viene alla mente, quando si nota del pregiudizio negli altri, è che la persona afflitta dal pregiudizio sia moralmente biasimabile, che questa “potrebbe metterci un po’più di impegno” per stare a sentire anche
gli altri e cercare di mettere in discussione le proprie idee. In realtà, come dimostreremo, molto spesso la reazione
di maggior radicamento nel pregiudizio in risposta al tentativo di sconfiggerlo non deriva da questioni di etica;
anzi, all’interno dell’individuo si forma la convinzione che sia giusto ed etico proprio l’atteggiamento di rigidità e
intransigenza che sta ponendo in essere e che sia sommamente morale (spesso eroico) combattere ogni tentativo di
“prevaricare” la propria idea e/o posizione da parte di altri. Non c’è cosa maggiormente pericolosa di due persone,
certe entrambe di aver ragione, che tentino di convincersi a vicenda. Si può arrivare alle estreme conseguenze.
169
ad elaborare una tecnica per facilitare la negoziazione.
Per il pensiero costruttivista, ogni individuo “costruisce” le proprie idee rispetto a ciò che è
(oggettivamente) normale, giusto, etico, sbagliato, accettabile, inaccettabile ecc. (la propria
realtà, in termini più generali) sulla base delle esperienze che ha modo di fare durante la
propria vita, con particolare riferimento ad alcuni momenti cruciali dell’esistenza.
Il problema è che l’individuo generalmente non avverte tale “soggettività” ed anzi tende a
percepire tale costruzione come “oggettiva”, come quell’id quod plerumque accidit di cui
parliamo spesso noi giuristi.
Da qui la convinzione che chiunque proponga una differente versione o una differente
costruzione, negando di fatto la Verità oggettiva, dimostra una profonda malafede,
perché l’oggettività è e non può essere, per definizione, che la stessa per tutti.
Se l’altro non si rende conto di quanto io vedo così chiaramente (perché “oggettivo”) e
sostiene qualcosa di diverso, delle due l’una: o è una persona ignorante, da poco, poco
intelligente (e di lui nemmeno mi curo); oppure è in malafede (ed è giusto e moralmente
accettabile combatterlo).
Ovviamente, la controparte la pensa esattamente allo stesso modo, ma a parti rovesciate. E il
pregiudizio, per così dire, si autoalimenta e si avvia a percorrere una spirale perversa di
escalation.
Un simile fenomeno avviene a vari livelli di complessità86 di cui, ai fini del presente lavoro
e per brevità, conviene prendere in considerazione solamente i primi due.
Il primo livello viene detto “apprendimento zero”: è il fenomeno per cui ogni individuo
impara ad apprendere le caratteristiche della realtà attraverso i propri sensi e a immagazzinarli nel proprio sistema cognitivo: caldo, freddo, buono, disgustoso, rosso, giallo, lungo,
corto, europeo, asiatico, bianco, di colore ecc. ecc. Così come le azioni: lavarsi, vestirsi,
camminare, correre ecc.
Il secondo livello viene detto “apprendimento uno”: ogni individuo impara a classificare
le percezioni che ha avuto in categorie di giudizio. Ad esempio: il freddo è male, il caldo è
bene; i bianchi sono intelligenti, gli uomini di colore sono dei sempliciotti buoni solo per
compiti operativi; il digiuno è una sofferenza e rende deboli; lavarsi serve ad essere “puliti”
(questo in verità sarebbe un livello di apprendimento “tre”) ecc.
Come si noterà, più cresce il livello di apprendimento, più la componente soggettiva si fa
forte ed evidente.
Infatti, non sarebbe difficile trovare una classe di individui per cui il freddo è bene e il
caldo è male; per cui i bianchi sono spietati e gli uomini di colore hanno diritto di rifarsi
sui bianchi; il digiuno nobilita l’animo e dona vigore fisico e morale; lavarsi non assicura
affatto di essere “puliti”.
Eppure, generalmente, l’individuo continua a percepire anche tale livello di apprendimento
come perfettamente oggettivo e quindi “universale”. Ciò che egli “ritiene” viene “scambiato” con ciò che “avviene naturalmente” in tutti e dappertutto.
In merito a questa distinzione - utile anche da molti altri punti di vista - le teorie costruttivi86 G. Bateson, “Verso un’ecologia della Mente”, Adelphi 2000 (in particolare pag. 312 ss.). I cultori della materia
vorranno scusare alcune semplificazioni divulgative (ci auguriamo mai scadute nella banalizzazione) che è stato
necessario apportare al pensiero di questo autore.
170
ste aggiungono un successivo particolare che, ai nostri fini, risulta fondamentale: un individuo ha una discreta disposizione ad ammettere di aver “sbagliato” nell’apprendimento
di livello “zero” (l’acqua non era poi così fredda; quella donna non era bionda, ma castana;
non si trattava di un uomo che correva, ma di un uomo che camminava molto svelto).
Egli al contrario non tollera (o almeno ritiene difficilmente accettabile, fastidioso, irritante,
irrispettoso, fuori luogo) che venga messo in discussione il proprio apprendimento a
livello “uno”.
Al livello “uno”, infatti, sono legati i concetti di identità del sé, di fiducia e sicurezza nel
proprio mondo, di identità con il proprio modello esistenziale: rinunciarvi diviene difficilissimo e non lo si fa se non in seguito ad un lento e difficile cammino, che viene detto in
genere “di conversione”87.
Da qui la spiegazione del perché, molto spesso, i tentativi di far cambiare punto di vista
ad un individuo non fanno che radicarlo nelle proprie convinzioni; sia a livello ideologico, sia a livelli di pensiero e di prassi molto più bassi. Il fenomeno è praticamente lo stesso.
Per il mediatore queste due notazioni sono di un’importanza fondamentale: la sua opera
di facilitazione dovrà tener conto di questi corollari alle teorie anzidette:
• ogni volta che tenteremo di portare un individuo verso un cambiamento “uno”,
troveremo forte resistenza;
• quando invece cercheremo di portare un individuo verso un cambiamento “zero”
troveremo, se uniamo a ciò anche altri fattori facilitanti, una certa disponibilità da
parte sua.
La base della tecnica di mediazione che considereremo è quella di portare l’individuo a rendersi conto ed accettare la possibilità di cambiare alcune sue percezioni a livello “zero”, per
poi, successivamente e gradatamente, indurre da queste un cambiamento a livello “uno”.
Non chiederemo mai all’individuo di “cambiare opinione”, ma al più di accorgersi che
qualcosa della realtà “funziona”, si struttura, in altre parole sussiste, “è” in modo differente
da quanto egli ha precedentemente appreso a livello zero.
Inoltre, tale nuova consapevolezza dovrebbe provenire da una libera scoperta del soggetto
e non dalla decisione di aderire alle idee di qualcun altro, né in seguito ad un consiglio, né
tantomeno “su richiesta” del mediatore.
In seguito, si cercherà poi di facilitare il fenomeno che porta a “ragionare” su queste possibili diversità della realtà per scoprire che gli stessi fatti di cui egli ha avuto notizia possono
essere classificati in modo differente.
Non che egli prima sbagliasse nel classificarli, ma sussiste e coesiste un altro modo di
classificarli, differente dal suo eppure del tutto possibile a livello cognitivo “zero”.
E, soprattutto, ancora una volta il passaggio di cognizione a livello “uno” non dovrà essere
87 La conversione è un fenomeno raro, complesso e soprattutto estremamente dispendioso dal punto di vista
energetico. La persona deve mettere in gioco se stessa e i risultati a volte sono di una tale profondità che possono
generare problemi di identità. Tant’è che spesso i convertiti parlano della loro “vita passata” con disprezzo, dicendo
di loro che “non capivano un bel niente”, “erano fuori di sé”, “erano ciechi” e rinnegando completamente il loro
passato. Si porta in genere l’esempio degli alcolisti, o ancor più spesso quello di S. Paolo, colpito dalla divinazione
celeste sulla via di Damasco. In argomento, può risultare illuminante la lettura del libro: P. L. Berger - T. Luckmann, “La Realtà come Costruzione Sociale”, Il Mulino 1982.
171
in alcun modo suggerito, proposto, individuato dal mediatore, ma dovrà essere nuovamente frutto di una libera scoperta e successiva scelta dell’individuo.
L’opera che il mediatore potrà e dovrà fare è quella di facilitare tale fenomeno, creando
l’ambiente e le condizioni adatte ad un “ragionamento ulteriore” da parte dell’individuo,
che lo porti alla scoperta di un nuovo modo di vedere il mondo e non di un nuovo
mondo88.
Dall’impostazione teorica, ora è necessario passare al metodo vero e proprio, che possa
tradurre in “passi concreti” le linee metodologiche anzidette.
I quattro passi per il superamento del pregiudizio che vengono proposti dal metodo sono i
seguenti: circolarità, mettere tra parentesi, circolazione, ortogonalità.
• Circolarità è creare nelle parti la consapevolezza dell’esistenza di punti d’osservazione
differenziati, da nessuno dei quali si può affermare di poter conoscere “tutta la storia”
o “tutta la verità”.
• Mettere tra parentesi significa escludere la possibilità per le parti di rifugiarsi in qualche
“risorsa privilegiata” o “Autorità esterna” per avvalorare la propria posizione, così da
focalizzare l’attenzione degli interlocutori sull’operazione del distinguere il “proprio
sapere” dal “sapere assoluto”, introducendo la legittimità del “sapere dell’altro”.
• Circolazione significa portare le parti a “legittimare” le reciproche posizioni, nella
consapevolezza che nessuna di queste può giungere a possedere oggettiva ed univoca
validità. In questo modo ogni contendente impara a considerare “tesi differenti in
tempi differenti”, senza aver timore che questo significhi dover “rinunciare” alla
propria posizione, o vederla “svilita” dalla coesistenza delle altre.
• Ortogonalità è la consapevolezza del mediatore - esplicita e confermata dal proprio
modo di fare e di agire - che ogni prospettiva ha diritto di cittadinanza; consapevolezza
che lo porta ad evitare di trovarsi “allineato” con una delle posizioni in gioco, così da
farla risultare “evidentemente corretta”, o di negarne un’altra, così da farla risultare
“evidentemente scorretta”.
Appare utile fornire qualche elemento in più su ognuno dei quattro passaggi, da non intendersi necessariamente in ordine temporale.
a) Circolarità: l’introduzione di osservatori alternativi. Un modo per facilitare l’abbandono della Verità (chiamando con questo nome la percezione soggettiva “oggettivata” di
cui ai paragrafi precedenti) da parte di ogni singolo contendente è quello di mostrare la
sussistenza di “alternative praticabili”. Alternative che il mediatore si deve guardare bene
dal valorizzare, o anche semplicemente dal suggerire come “accettabili”. Devono essere
semplicemente indicate, enumerate, persino lasciando nel dubbio sulla loro “oggettiva”
validità.
Ciò che deve emergere è l’esistenza di angolature differenti, dalle quali si possono vedere
88 Come appare chiaramente, i sostenitori di questa teoria non ritengono necessaria e non richiedono all’individuo nessuna conversione; si può perfettamente rimanere delle proprie idee, pur rendendosi conto che ne esistono
delle altre altrettanto valide ed accettabili. Ovviamente, nel caso di specie, il passo successivo sarà quello di portare
le parti a scoprire quali tra le idee e le posizioni possibili sono le più “convenienti” per risolvere la controversia hic
et nunc, giustificando in modo razionale e non ideologico alcuni “passi indietro” che le parti possono compiere
l’una a favore dell’altra.
172
cose che da un’altra angolazione non si vedono. Come si noterà, si tratta semplicemente
di indurre ad un cambiamento nell’apprendimento di livello “zero”.
Il mediatore non dovrebbe contestare i fatti e gli oggetti rientranti nell’apprendimento
“zero” dell’individuo, ma mostrare che questi non sono esaustivi, che alcuni fatti possono essere sfuggiti ed essere invece noti alla controparte.
In questo caso, è lecito al mediatore (esperto) far incontrare le parti perché la circolarità emerga grazie al confronto “guidato” tra di queste.
Per facilitare questo passaggio, è importante che il processo individuale di “focalizzazione sugli obiettivi e gli interessi” sia già, almeno in parte, avvenuto in separata sede.
Ascoltando in modo “non conflittuale” la versione della verità di qualcun altro, la parte è costretta a mettere in discussione “l’ovvietà” della propria posizione. Si faccia attenzione: non la “giustezza”, né la “preferibilità”; per il momento è sufficiente che
l’individuo abbia un primo dubbio sul fatto che “ad una persona di giudizio le cose
possano apparire esclusivamente come appaiono a me”. È proprio questo concetto
che va inteso per “ovvietà” (voce particolarmente vicina a “pregiudizio”).
Da qui, gradatamente, si può iniziare a far spostare l’attenzione (nuovamente individualmente) sul fatto che risulta quantomeno plausibile “interpretare” la stessa realtà
in modo differente alla propria Verità, dal momento che sussistono “fatti” (non idee o
posizioni) diversi ed ulteriori rispetto a quelli che hanno “generato” la posizione dell’individuo.
Il principio di circolarità facilita l’apertura ad un quadro di riferimento più ampio. In
termini più scientifici, facilita la decontestualizzazione attraverso l’introduzione di un
dominio più ampio (Dominio dilatato). Da qui, in modo graduale e privo di soluzioni
di continuità, si può condurre l’individuo verso opinioni e osservatori di nuovo tipo,
senza fare l’errore di chiedergli di accettarli come “veri” e senza, ovviamente, chiedergli
di abbandonare i propri.
Questo modo di agire prende anche il nome di “disunivocazione dei punti di ancoraggio”, in quanto facilita la scoperta che, accanto ai propri punti di ancoraggio per l’interpretazione della realtà, se ne possono annoverare anche altri. Si può tollerare addirittura
che, inizialmente, l’individuo ritenga i nuovi ancoraggi sbagliati o “peggiori” dei propri.
È sufficiente che abbia ammesso di dover modificare “quantitativamente” il suo apprendimento a livello “zero”.
Corollario importantissimo di tale ammissione, la cui valorizzazione è lasciata alle capacità del mediatore, è che il “centro del discorso” passa dalla semplice enumerazione
degli oggetti della propria conoscenza e della propria posizione alla consapevolezza
dell’importanza da attribuire alla relazione tra le parti, considerate come “osservatori particolari” e coniteragenti.
Con una buona dose di pazienza, possono così abbattersi i due presupposti al pregiudizio: l’uniformità (tutti non possono che vedere le stesse cose nello stesso, unico modo);
l’omogeneità (ognuno condivide un’identità comune così come è definita dagli orientamenti preconcetti).
Una delle cose sulle quali deve lavorare il mediatore è la componente emozionale contenuta nella presunzione di omogeneità, fortemente legata al mantenimento dell’identità
173
personale e, molto spesso, all’appartenenza ad un gruppo di riferimento che dà significato e valore alla persona.
Abbandonare un orientamento preconcetto significa, in buona sostanza, trovarsi “diversi” e “staccati” dal gruppo di persone che condividono tale orientamento (e che anzi ne
fanno un elemento di identità). Si tratta di un possibile trauma personale, che non può
essere affrontato senza un valido aiuto anche dal punto di vista psicologico.
Per tale ragione, si tratta di una fase che va affrontata con gradualità e senza voler accelerare i tempi; intenzione che, paradossalmente, potrebbe portare ad allungarli drasticamente se non addirittura ad allontanare l’esito finale positivo.
b) Mettere tra parentesi: introduzione alla multiversialità. Dopo aver introdotto con
la Circolarità un angolo di visuale differente, con il mettere tra parentesi si introduce
l’Osservazione alternativa.
Il termine (Parentesising) è mutuato dalle teorie di Maturana89, sebbene venga qui utilizzato in maniera più estesa.
In questa fase della mediazione, il disaccordo sussistente tra le parti deve essere disancorato dal livello “realtà oggettiva”. In altri termini, deve essere stimolato l’abbandono
di ogni tentativo di raccontare la propria posizione dimostrando che questa è la più
corretta, è dalla parte della ragione.
Ciò che va stimolato è il racconto dei fatti e delle circostanze, in modo disancorato
dal tentativo di farli percepire “giusti” o “corretti” e, contemporaneamente, l’abbandono di ogni tentativo di spiegare la posizione di controparte, con conseguente (e
spesso inconsapevole) enunciazione di questa in modo da farla apparire “ingiusta” o
“scorretta”90.
Le parti (e ancor più evidentemente i loro patrocinatori) hanno il medesimo proposito
di dimostrare che la loro è la posizione “oggettivamente giusta”. Vi è differenza tra “giusto” e “oggettivamente giusto”. L’oggettivamente giusto non tollera alternative.
La posizione dell’altro è “assurda”, “capziosa”, “insostenibile”, “illegittima”. Spesso noi
avvocati aggiungiamo l’allocuzione icto oculi (oppure “con tutta evidenza”, oppure “non
vi è chi non veda”), quasi a confermare il fatto che “la realtà è una, e non ci si venga a
raccontare che qualcuno la può vedere diversamente”.
Quando si agisce in tal modo, la controparte si sente minacciata, negata, spesso disconfermata91.
89 H.R. Maturana, “Autocoscienza e Realtà”, Raffaello Cortina Editore, Milano 1993. Maturana è del resto lo studioso che ha introdotto nel lessico corrente il termine Autopoiesi, intesa come la capacità di adattamento continuo degli
“esseri viventi” (ma anche dei sistemi cibernetici), in un fenomeno di reciproca influenza tra individualità e realtà.
90 È forse la fase più difficile per un avvocato, abituato a ricostruire i fatti in modo da convincere un terzo (il
giuduce) della ragione del suo assistito e, per tale motivo, sovente incapace di narrare senza conferire alla propria
narrazione una qualificazione, anche subliminalmente e inconsapevolmente.
91 Per una corretta interpretazione di questi termini si veda: P. Watzlawick, J.H. Beavin, Don D. Jackson, “Pragmatica della Comunicazione Umana”, Astrolabio, 1971, pag. 70 ss. La lettura di questo libro, vero e proprio Manifesto della Scuola di Palo Alto, risulterà estremamente utile per affrontare le problematiche di relazione e comunicazione legati alla mediazione, con particolare riferimento agli aspetti linguistici. Del resto, la parte “mancante”
di questo lavoro (che non può essere affrontata in questa sede per la complessità e la parziale distanza del tema dai
nostri argomenti) è proprio quella inerente il linguaggio del mediatore e la sua capacità di facilitare i contendenti
nella propria opera di negoziazione proprio grazie ad un attento uso delle parole e della comunicazione in genere.
174
Il Mettere Tra Parentesi è esattamente il modo di raccontare senza porre evidenze
sull’oggettività/univocità del proprio dire.
In questa fase è necessario procedere attraverso l’esplorazione implicita dei limiti e delle implicazioni di ogni posizione pregiudiziale, seguita dalla ricerca di interpretazioni
alternative, idee, teorie, possibilità, congetture su come vadano le cose tra persone con
pregiudizi diversi.
Tale obiettivo è raggiunto suggerendo alle parti di “raccontare” ed alternativamente
“stare ad ascoltare” la controparte, non con lo spirito si convincerla, ma solo con
l’intenzione di esporre i fatti dal proprio punto di vista.
Il mediatore è legittimato, durante le narrazioni, a sottolineare:
• che esistono due versioni della realtà;
• che entrambe le versioni sono “dicibili” e “plausibili”.
Spesso, applicando la circolarità, inizia una contesa per il titolo di “colui che conosce
meglio”. Quando ciò accade, il mediatore deve riportare le parti a raccontare ed ascoltare, ribadendo che il racconto dell’altro non inficia il proprio e che - almeno inizialmente
- ogni versione può coesistere con ogni altra.
È necessario portare le parti ad accettare il diritto della controparte di fare affermazioni
e di accettare che queste siano da questa ritenute “giuste”.
Da qui l’espressione: “mettere tra parentesi”. Si suggerisce alle parti di non abbandonare
il proprio punto di vista, ma di metterlo semplicemente via per un attimo, racchiuderlo
tra parentesi, sospendere il giudizio, fare ἐποχή, cercando di spostare l’attenzione
degli interlocutori dal fatto in sé e dalla sua oggettività alla persona che lo osserva.
Ad ogni tentativo di una delle parti di riproporre la propria versione come “unica” ed
“oggettiva” il mediatore dovrebbe rispondere con una frase di questo genere: “Perché
per te è così importante questo fatto che racconti (e di cui nessuno mette in dubbio la
veridicità)?”.
Si sottolinea così la sfumatura di significato tra realtà (oggettiva) dei fatti e rilevanza
(soggettiva) degli stessi, tra verità assoluta e significatività individuale.
Non sussistono due “ragioni”, ma più semplicemente due aspetti della realtà con differente rilevanza per ognuna delle parti.
c) Circolazione: la presentazione di tesi alternative. La circolazione è lo stadio successivo e consequenziale del mettere tra parentesi.
Presupposto forte è il fatto che, a questo stadio del tentativo di mediazione, si sia formata tra le parti una nuova relazione caratterizzata:
• dalla disposizione nelle parti alla narrazione pura e semplice e all’ascolto;
• dall’idea che differenti posizioni possano trovare giustificazione in differenti bagagli
cognitivi (e non nella malafede);
• dalla certezza che qualsiasi posizione verrà espressa, questa troverà cittadinanza
e ascolto, proprio perché a nessuno sarà richiesto di “ritenerla giusta” e di dover
“scegliere” tra questa e la propria;
• dal conseguente passaggio da una situazione di “focalizzazione sui fatti” ad una
situazione di “focalizzazione sulle persone e i loro interessi”.
È quindi giunto il momento di far mettere l’una parte nei panni dell’altra; non solo
175
e non tanto per provarne le stesse sensazioni o addirittura arrivare ad ammettere la
legittimità e il diritto delle posizioni avverse di essere tutelate, ma quanto per cercare di
evidenziare il fatto che, anche “dall’altra parte” è possibile disegnare soluzioni logiche,
coerenti, potenzialmente accettabili.
I modi con cui ciò si può fare sono molteplici. In situazioni in cui si sia raggiunta un
buon livello di confidenzialità è possibile tentare la via del Role Playing, chiedendo alle
parti di scambiarsi direttamente i ruoli e cercare di trovare un accordo fingendo di
“essere la controparte”.
È un esercizio comunque utile, anche qualora non dia (almeno in prima battuta) risultati soddisfacenti.
Il mediatore noterà che in alcune occasioni, una volta accettato il gioco, ogni parte sfrutterà l’occasione per trarne vantaggi personali e cercare di disegnare una situazione favorevole alla sua “vera” posizione (sovente facendo anche notare la sua capacità di gestire la
situazione avversa “molto meglio” di quanto non sappia fare la stessa controparte).
Con tatto e cautela, il mediatore deve allora smascherare l’atteggiamento “furbesco” e
ricordare che non si tratta ancora di trovare l’accordo, ma di tentare semplicemente di
capire un differente punto di vista e che qualsiasi cosa venga detta, questa non inciderà sulla trattativa finale.
Vedere all’opera la controparte, potrà sicuramente aprire gli orizzonti di ciascuna delle
parti e far emergere una terza via da percorrere per il raggiungimento dell’obiettivo.
Se non si ritiene opportuno ricorrere al Role Playing, valida alternativa può essere rappresentata dalla richiesta, fatta ad ognuna delle parti, di ipotizzare gli obiettivi e gli
interessi di controparte (privilegiando la forma scritta, pur senza dover necessariamente
venire in possesso del foglio) e di spiegare il perché. Ciò prima in sede individuale e poi
in fase duale, cercando di stigmatizzare, con tatto e cautela, ogni tentativo di “barare” e
tirare acqua al proprio mulino.
La parte focale sta nella successiva discussione, in cui ognuna delle parti spiega
dove e perché l’altra parte ha o non ha ben interpretato la posizione avversa.
Se le capacità del mediatore (in questo caso non più nella veste di facilitatore ma di moderatore) riescono a indirizzare l’esperimento in un clima di collaborazione e a prevenire
le sempre possibili riprese dell’atteggiamento conflittuale, le parti si troveranno alla fine
con una nuova convinzione di legittimità delle posizioni di parte avversa.
Una legittimità che differirà dalla prima in quanto non sarà più considerata “alternativa” alla propria, ma “in grado di convivere” con questa.
d) Ortogonalità: non istituzionalizzare alcuna posizione. Creare una cornice ortogonale (Bias nel linguaggio di Bateson) significa creare un ambiente d’interazione nel quale
il mediatore possa efficacemente relazionarsi con le parti, pur conservando la propria
“neutralità” e senza interagire come componente costitutiva del sistema di valori “condivisi” che le queste andranno man mano a costituire.
Uno degli aspetti più importanti per il posizionamento ortogonale del mediatore è
quello di sapersi disimpegnare dai continui tentativi delle parti, più o meno espliciti, di
portarlo ad essere d’accordo, fiancheggiare, approvare o comunque convalidare, anche
parzialmente, la propria posizione.
176
Ognuna delle parti tenterà approcci del genere: “Almeno su questo punto Lei ammetterà che è inequivocabile e che non può essere confutato”, oppure “Almeno in questo caso
Lei converrà con me che non mi si può negare di aver ragione”. E così via.
Si può cadere nella trappola in molti modi. Il più comune è la comunicazione non
verbale di accordo o disaccordo con le posizioni dei diversi osservatori.
Il mediatore spesso manifesta il proprio consenso inconsapevolmente, in maniera non
verbale. Su questo punto è essenziale fare esercizio ed allenarsi mentalmente all’idea che
il rischio di “cadere” nei pregiudizi di una delle parti è sempre possibile.
Ciò dovrebbe portare il mediatore a monitorarsi continuamente e a ponderare ogni
proprio atteggiamento verbale, non verbale, posturale e persino successivo e/o esterno al
momento della mediazione vera e propria, in tutte le occasioni di incontro con le parti,
anche “non ufficiali”.
L’antidoto più forte, in ogni caso, è allenarsi all’idea che il nostro compito non sia in
alcun modo quello di “verificare” la giustezza delle posizioni delle due parti; che non
dobbiamo in alcun caso operare un giudizio e che ogni posizione, anche apparentemente insensata e fuori dalla norma, va preservata e annoverata tra quelle possibili.
Non si tratta di “mascherare” il proprio tentativo di influenzamento (come molti credono) in modo che non traspaia (così da essere subliminalmente convincente), ma cercare
radicalmente di non assumere alcuna posizione, anche qualora si intravveda una possibile e auspicabile soluzione negoziale. Principio fondamentale della mediazione
è che la soluzione “appartiene” alle parti.
Un altro rischio che il mediatore può correre è quello di confondere la propria posizione
con quella di chi debba rappresentare “il giusto mezzo”, oppure “la saggezza convenzionale”, o la “posizione politicamente corretta” sull’argomento in questione e persino la
“posizione giuridicamente possibile”. Non è ancora questa la fase in cui si disegnano le
vere soluzioni e, dunque, anche la competenza giuridica può rappresentare un ostacolo
al graduale e libero processo di “adeguamento” del modello cognitivo delle parti alla
situazione contingente.
È giunto quindi il momento di tentare l’accordo.
Se il metodo è stato ben applicato, quando ognuna delle due parti sarà chiamata ad elaborare la propria proposta, si noterà un’immediata e nuova apertura verso le posizioni di
controparte e questa risulterà più facilmente negoziabile, “aperta” alla controparte e alle sue
proposte.
La nuova apertura, se il metodo anzidetto ha funzionato, deriva esattamente dal fatto che,
in modo graduale e non intrusivo, si sono facilitati il cambiamento e la mutua influenza
dei livelli di apprendimento delle due controparti: a livello cognitivo “zero” sono emersi e
sono stati “accettati” nuovi fatti; al livello cognitivo “uno” sono state ritenute “accettabili” e
“verosimili” nuove interpretazioni e nuovi interessi.
Ogni parte considera ormai gli interessi di controparte come “degni di considerazione”,
non più per “concessione” o per “dovere morale”, ma perché questo sarà considerato “il
nuovo giusto”, che sostituisce “il giusto individuale” precedente.
Ciò, ovviamente, non significa che la composizione degli interessi sarà necessariamente
177
raggiunta (o raggiunta con facilità): comunque ogni parte cercherà ancora di massimizzare
il proprio interesse e potrà ricadere nella tentazione di “avere più del dovuto”.
La novità sta nel fatto che il pregiudizio dovrebbe risultare oramai sconfitto e tutti gli
impedimenti alla negoziazione derivanti da questo fattore - di certo i più ostici da superare dovrebbero essere caduti, riducendo la complessità dell’opera di negoziazione alla sola
composizione degli interessi.
Una serie di confronti e di aggiustamenti successivi, mai suggeriti dal mediatore (che deve
limitarsi a rilevare il raggiunto accordo anche parziale o a stimolare un nuovo tentativo),
ma da questi sempre monitorati, è in genere sufficiente, entro un tempo ragionevole, al
raggiungimento di un accordo condiviso.
14.9 Conclusioni
Lo strumento della mediazione è certamente un nuovo e potente alleato del sistema giuridico e, se verrà ben gestito e proposto con le modalità più opportune, porterà alla rapida e
satisfativa soluzione di una consistente parte del futuro contenzioso civile.
L’impressione è che, comunque, da parte di non pochi operatori, vi sia al momento un
atteggiamento piuttosto scettico - se non proprio negativo - intorno a questa figura e non si
ha certo la sensazione che l’idea di un’effettiva possibilità di risolvere le controversie in via
conciliativa sia particolarmente condivisa.
Sarebbe una grave iattura se ciò corrispondesse al vero e se non si reagisse a quest’atteggiamento cercando di capovolgere rapidamente lo stato delle cose.
Il buon esito del ricorso alla mediazione dipende in modo considerevole dallo spirito e
dalla convinzione con cui quest’istituto sarà approcciato in questo momento di esordio. Qualora si dovesse partire con il piede sbagliato, sarebbe molto difficile recuperare, in
quanto si rischierebbe di dare l’abbrivo ad un spirale perversa, tale per cui ad una scarsa
convinzione seguirebbero scarsi risultati, che indurrebbero a loro volta scarsa convinzione
e così via di seguito. Non si dimentichi che la mediazione coinvolge fortemente la parte
emotiva degli individui e, per così dire, dello stesso sistema.
Potrebbe parlarsi della più classica tra le Self-fulfilling Prophecies, dal momento che lo scetticismo sulla figura da parte degli operatori, così come la convinzione con cui verrà vissuta e
proposta da questi, ne determineranno in buona parte il fallimento o il successo.
Analogamente, un atteggiamento che vedesse nella mediazione giudiziale solamente l’occasione per un nuovo business - sensazione che a volte capita di avvertire - ne segnerebbe
inequivocabilmente la precoce decadenza.
La mediazione, infatti, è prima di tutto un nuovo modello cognitivo che dovrà affermarsi
a livello sociale grazie all’azione degli operatori e delle Istituzioni, che dovranno cercare di
avvalersi di tutte le possibili opportunità per promuovere una nuova cultura della negoziazione e della non conflittualità.
Molto di questo successo dipenderà dal modo in cui noi avvocati (anche e soprattutto qualora non intendessimo cimentarsi nei panni del mediatore) sapremo proporre e divulgare la
fiducia nella mediazione nei nostri clienti.
D’altro canto, l’obbligatorietà del ricorso alla mediazione in tanti degli ambiti del diritto
civile significherà anche un tremendo sforzo logistico ed organizzativo che l’intero siste-
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ma dovrà profondere nei prossimi mesi; dal punto di vista qualitativo, ma soprattutto
quantitativo.
Un altro dei rischi di insuccesso dell’intero progetto sta proprio nella possibilità di arrivare
alla fatidica data di Marzo 2011 non completamente preparati ed attrezzati, cosicché un
istituto per la contrazione dei tempi della giustizia e per una riduzione delle controversie
potrebbe trasformarsi in un’ulteriore causa di inefficienza e di interminabili attese.
Si vuole concludere questo lavoro con un’ultima osservazione.
L’aver reso obbligatorio il tentativo di mediazione può aumentare la fortuna di questo istituto e portare a nuove e importanti opportunità. Esiste tuttavia un “rovescio della medaglia”:
qualsiasi comportamento “imposto” rischia di indurre - sia nell’opinione pubblica che
nei singoli individui - una risposta negativa se non addirittura un rifiuto.
Consapevoli di tale rischio (reso evidente da tante esperienze precedenti, non ultima quella
relativa alla fase stragiudiziale obbligatoria nel processo del lavoro), è auspicabile che gli
operatori pongano estrema attenzione e professionalità nell’attuare la nuova disciplina e
nel proporre alle parti la mediazione ancora e comunque nella direzione di una “libera
scelta”, se non nell’an, quantomeno nel modo di gestirla e nell’effettivo affidamento da
riporre nell’Istituto.
Porre troppa enfasi sull’obbligatorietà della mediazione e sui benefici fiscali legati a questa figura potrebbe paradossalmente portare ad ottenere risultati diametralmente opposti a
quanto desiderato.
179
15. ASPETTI FONDAMENTALI DELL’INTERAZIONE COMUNICATIVA PER IL MEDIATORE CIVILE
A cura del Dott. Claudio Salusso
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
Le società, ovvero un insieme di persone che vivono in determinati contesti, entro territori
geografici ben delineati, con dei valori che le accomunano e che interagiscono tra loro
attraverso la comunicazione, sono diventate sempre più complesse nel tempo, anche e soprattutto grazie allo sviluppo costante dei modi e dei media utilizzati a tale scopo.
Questo saggio vuole ripercorrere, in sintesi, i modelli di interazione (comunicazione) sviluppatisi nel tempo, e soffermarsi, in particolare, sull’importanza della “comunicazione non
verbale”, poiché profondamente incisiva nelle relazioni che si instaurano tra i membri di
una o più società complesse (come dimostrato dalla Sociologia e dalla Psicologia), dove le
diverse etnie e le diverse culture rendono più complicato quello che è il fondamento per il
vivere “insieme”, ovvero l’interagire con se stessi e gli altri.
Con le suddette premesse, in questo saggio si sono voluti sviluppare: in primis, la struttura
psichica dell’uomo singolo, per ricalcarne l’unicità; poi, passando attraverso numerosi studi
Sociologici e psicologici, i modi di comunicare, prestando particolare attenzione alla comunicazione non verbale, al contesto, alle motivazioni che ogni individuo possiede come
motore d’azione per il vivere quotidiano.
Si valuteranno quindi i fattori principali, che sono il “nucleo fondamentale della comunicazione”, importantissimi per la figura del mediatore civile quale “persona” che deve sapersi
adattare agli altri per poter interpretare il proprio ruolo nel miglior modo possibile, ricordando che il suo compito consiste nel far sentire gli altri a proprio “agio”, trasmettendo
sicurezza, fiducia e anche speranza, in modo da raggiungere una conciliazione favorevole
da entrambe le parti.
Per ottenere ciò si sono esaminati tutti i fattori che costituiscono la cornice dell’interagire
e che possono influenzare l’intero processo di mediazione. Secondo Fraser C., tali fattori
possono essere classificati in base a quattro “sistemi di comunicazione”:
-- sistema verbale, che corrisponde, grosso modo, a quegli aspetti del discorso che sono
inclusi in maniera convenzionale, nella forma scritta;
-- sistema intonazionale, che si riferisce alle sottolineature, all’uso dell’enfasi e dell’inflessione di voce per specificare, come, per esempio, quando una frase è dichiarativa o
interrogativa;
-- sistema paralinguistico, che comprende fenomeni come le risa, i gridolini, gli sbadigli,
le pause e le accelerazioni del parlare, ecc.;
-- sistema cinestico, che comprende i movimenti del corpo in generale e, più in particolare, il movimento degli occhi, delle mani, dei piedi, ecc., ed aggiunge a questi,
altri elementi importanti come lo spazio (inteso come distanza tra gli interlocutori) e
l’ascolto dell’altra persona.
Tutti questi fattori insieme sono fondamentali per la figura del mediatore civile che voglia
compiere questa professione nel miglior modo possibile, ottenendo il massimo dei risultati,
in modo efficace ed efficiente.
180
Parole chiave: mediatore civile, mediatore, mediazione, conciliatore, conciliazione, emozioni,
emozione, importanza del comportamento non verbale, spazio, mimica, tempo, comunicare,
comunicazione, gestualità, tono muscolare, postura, movimento, ascolto, ascoltare, ascolto
efficace, persona, identità, corpo, fiducia, agio, contesto, sociologia, psicologia, società, legge,
ministero della Giustizia, governo, tribunale, camere, organi, organismi, enti, università.
15.1 Introduzione
Ogni uomo, alla nascita, è privo di qualsiasi informazione: si potrebbe immaginare la sua
psiche come una scatola vuota, che successivamente, nel corso della vita, si riempie di
un’infinità di immagini.
Queste ultime, vengono fornite all’uomo da tutte le persone che gli stanno vicino e da ogni
mezzo col quale viene a contatto (comprese le esperienze vissute in prima persona). Per
ogni immagine acquisita, esiste il cosiddetto “investimento affettivo” o “parte affettiva”, che
dipende dal modo in cui l’immagine stessa viene fatta propria.
Ogni persona, dunque, formerà un proprio sistema rappresentativo chiamato RR o identità, costituito da una parte detta cognitiva/razionale (o immagine) a cui legherà un investimento affettivo.
L’identità sarà quindi formata da tantissime immagini ed investimenti affettivi ad esse legate che riempiranno la scatola vuota accennata sopra. Per comprendere meglio, immaginiamo di dividere in due parti la scatola vuota: da una parte ci saranno tutte le immagini (parte
razionale/cognitiva) e dall’altra tutti gli investimenti affettivi (parte affettiva od istintiva)
legati alle immagini stesse.
Per esempio: una persona che vede una bottiglia d’acqua e la prende per bere, sa che quella
è una bottiglia perché qualcuno gli ha detto in precedenza cosa fosse quell’oggetto: infatti,
se non lo avesse appreso, quell’oggetto costituirebbe un’immagine non identificata.
Allo stesso modo, se uno apprende che quell’oggetto è una bottiglia perché il padre o la
madre gliel’hanno rotta in testa, ecco che cambia completamente la visione dello stesso
oggetto. Quindi: per colui che ha sete (quindi ha un investimento affettivo positivo verso la
bottiglia), essa sarà un’immagine positiva da vedere; al contrario, per colui che ha appreso
il significato di quell’immagine vedendola rompere in testa a se stesso o ad altri, la bottiglia
sarà un’immagine inquietante (investimento affettivo negativo).
Quanto detto può sembrare insignificante, ma è importantissimo per capire che quasi mai
ciò che una persona vede in un certo modo è uguale per tutti: infatti, anche se per piccoli
dettagli, essa è vista in modo differente da ciascuno, ed è per questo che diventa essenziale
la fase empatica per poter comunicare con gli altri.
È proprio in questa fase che ogni mediatore dovrebbe comportarsi come se non conoscesse
nulla, lasciare parlare molto l’altra persona per capire nel miglior modo possibile come questa si sia formata la propria immagine della materia trattata, gli investimenti affettivi che vi
ha legato, ecc.; solo successivamente, il mediatore dovrebbe rientrare nella sua parte, con
le sue conoscenze (continuando a tenere ben presente quelle delle altre persone coinvolte).
Altra caratteristica importante è il tipo di cultura con la quale le parti si sono formate.
Nel corso del tempo, si è passati dalla cultura pre-orale a quella orale, a quella amanuense,
per poi passare a quella a caratteri mobili, tipografica ed infine a quella odierna, detta Neo-
181
Orale (per l’utilizzo dei nuovi media, come Internet). Conoscere e capire il tipo di cultura
con la quale si è “formato” il proprio interlocutore, è indispensabile per comprendere il suo
comportamento: se si ha di fronte una persona cresciuta in una cultura orale (per esempio
in campagna, con pochissimi studi nel proprio bagaglio), sarà quasi immediato dedurre che
ella sarà abituata ad essere autoritaria come lo è stato il padre con lei, e sarà altrettanto probabile che ogni cosa appresa sia stata acquisita non dai libri, ma da altre persone (il padre,
la madre, il parroco, ecc).
Se, al contrario, una persona è nata in un contesto culturale tipografico, con un titolo di
studio elevato, con buone probabilità ella farà valere la sua soggettività ed autoreferenza,
poiché avrà imparato molte cose da sé, attraverso i testi, ecc. Tutto questo è indispensabile
per capire su quale livello portare la comunicazione, perché se si lascia alle parti, con pochissime probabilità queste riusciranno a comunicare tra di loro, essendo già di partenza
su livelli comunicativi e culturali completamente differenti tra di loro. Ecco perché risulta
importante per un mediatore, non solo saper interpretare i messaggi verbali, ma anche
riconoscere in quelli non verbali, il vero motivo della disputa tra le parti.
Certi comportamenti talora risultano inspiegabili e folli finchè il campo d’osservazione non
è sufficientemente vasto da includere il contesto in cui esso si manifesta; in altri casi gli
stessi comportamenti, una volta mutato il contesto, risultano del tutto normali. La comunicazione come scambio di messaggi tra due o più persone, avviene tramite l’attivazione e
l’interazione di molteplici canali comunicativi:
• l’uditivo-verbale-fonatorio,
• il visivo-grafico-plastico,
• il tonico-mimico-gestuale.
Il processo comunicativo si costituisce come interazione simultanea di più linee di codici
diversi che interagiscono tra di loro su differenti livelli, cooperando nella produzione globale di un enunciato. Ogni segnale non verbale, pertanto, non si limita ad un ruolo di pura
ridondanza alla parola, ma il tono della voce, lo sguardo, il movimento delle mani possono
confermarla, rafforzarla o smentirla.
La gestualità sembrerebbe così collegata ad un’attività generativa del pensiero; infatti, tramite alcune ricerche, si dimostrerebbe che la recitazione di un testo appreso a memoria
non verrebbe accompagnata in modo spontaneo da un’attività gestuale, mentre un lavoro
locutorio creativo solleciterebbe una gestualità molto espressiva (Sheflen, 1973; Cosnier,
Nanetti F. 1989, M. Gori, 1994).
Si deve quindi ritenere che, quando una persona parla, lo faccia con tutto il corpo e che non
vi sia attività cognitiva od emotiva che possa escludere il linguaggio del corpo.
Di seguito andremo ad analizzare proprio questi aspetti del comportamento, meglio noti
come “comunicazione trascurata” o “comportamento non verbale”, ed i principali segnali
non verbali usati dall’uomo. In seguito passeremo alla valutazione di altri aspetti importanti, come l’ascolto dell’interlocutore, altri concetti e/o tecniche di comunicazione/ascolto e
controllo delle emozioni, che risultano utili per chi svolge professioni dove la comunicazione è uno dei mezzi principali per arrivare ad ottenere risultati positivi.
182
15.2 L’espressione del volto
L’uomo può assumere diverse espressioni del volto, ma secondi B. Valli, sono almeno tre
quelle che possono essere usate dall’uomo e che andremo quindi di seguito ad analizzare.
Nel primo, il volto evidenzia le caratteristiche del comportamento ed il carattere della persona, dato che questa è la parte del corpo più in vista e quella che viene maggiormente
presa in considerazione. Attraverso le modificazioni del volto, è abbastanza facile conoscere
le persone, anche se, talvolta, ciò che traspare è frutto della presentazione voluta del sé o
identità (il gioco di ruolo).
Nel secondo, il volto lascia trasparire le emozioni, anche se nell’uomo, le espressioni
dell’emozione e gli atteggiamenti interpersonali sono modificati e controllati da regole culturali e in parte regolati da fattori cognitivi.
Nel terzo, il volto produce molti segnali Interattivi che di solito accompagnano la conversazione attraverso movimenti molto rapidi.
Con lo sviluppo del discorso, le espressioni del volto sono state assunte per uno scopo
completamente nuovo, come completamento e sostegno del discorso stesso (ad esempio per
mezzo dell’informazione retroattiva - feedback - e dei segnali di sincronizzazione).
Queste espressioni sono abbastanza differenti da quelle emotive: esse includono solo parti
del volto ed hanno una complessa struttura sintattica.
Lo sviluppo del discorso ha anche comportato la nascita di un elaborato sistema di comunicazione, composto da un canale vocale-uditivo collegato al canale visivo-facciale-gestuale.
C’è una differenza prevalente di velocità tra i vari canali: il primo infatti è statico, il secondo
lento, il terzo rapido.
Tuttavia, è da tenere presente che la psiche può far esprimere il soggetto anche con reazioni
veloci ripetute, come, per esempio, la manifestazione di una tendenza a ridere costantemente o a mostrare collera improvvisa e/o sorpresa.
Un riferimento particolare va fatto all’area superiore del viso: la fronte con le sopracciglia
e le sue rughe risulta la sede di movimenti muscolari difficili da falsificare, in quanto tali
produzioni mimiche sono l’effetto di segnali molto veloci e pertanto poco controllabili
(P.R. Bitti, 1978). Preoccupazione, apprensione, terrore compaiono immediatamente attraverso il ravvicinarsi e sollevarsi delle sopracciglia. Possiamo celare con altri parti del volto
la tristezza o il dolore, ma non con il dispiegarsi delle nostre sopracciglia. Darwin (1872)
chiamava il muscolo che abbassa e avvicina le sopracciglia “il muscolo della difficoltà”; di
fatto, sia il sollevare un oggetto pesante che la soluzione di un complicato problema, o
l’essere perplessi su qualche cosa, comporta un abbassamento e un ravvicinamento delle
sopracciglia.
Condon e Ogston (1966) hanno riscontrato una forte sincronia fra i movimenti mimici
della fronte ed il linguaggio concomitante, dove l’espressione dell’area superiore del volto
fornisce un commento costante alla produzione verbale in corso.
Le pieghe orizzontali, che in alcune circostanze compaiono sulla fronte insieme ad una
semichiusura degli occhi, starebbero ad indicare una forte concentrazione su qualche cosa,
mentre le pieghe verticali sarebbero funzionali a segnalare la nostra attenzione al discorso
in atto. Altra parte del volto molto importante è data l’area mediana del viso: gli occhi (più
precisamente lo sguardo).
183
15.3 Lo sguardo
Che gli occhi siano di fondamentale importanza per lanciare messaggi sia in senso positivo
che in senso negativo, è un dato provato.
Attraverso lo sguardo si possono far arrivare all’interlocutore informazioni senza bisogno
di altri segnali, ma, allo stesso tempo, spesso si può essere ingannati dall’interpretazione di
queste informazioni (per esempio: non è detto che se una ragazza sorride, lo faccia con uno
scopo ben preciso; a volte, più frequentemente di quanto si immagini, è semplicemente un
modo di fare e nulla di più!).
Quello che però ci interessa di più sottolineare, poiché molto importante nella comunicazione non verbale, è che ogni movimento oculare corrisponde all’accesso diretto di immagini, suoni o sensazioni.
Quando dobbiamo concentrarci su qualcosa, i nostri occhi non si fissano forse in una certa
direzione alla ricerca delle informazioni a cui vogliamo avere accesso? In particolare: occhi
in alto significano accesso visivo, dunque alle immagini; occhi di lato significano accesso
auditivo, quindi rumori, suoni, parole, o intere conversazioni ricordate o solo immaginate;
occhi in basso significano accesso alle sensazioni, con l’ulteriore precisazione che sguardo
in basso a sinistra implica l’accesso al dialogo interiore, ovvero quella vocina che sentiamo
con cui parliamo abitualmente.
A cosa ci servono queste informazioni?
Ebbene, esse ci consentono di capire quale sia il sistema comunicativo primario utilizzato
dalla persona con cui vogliamo interloquire, sistema mediante il quale si sente “a proprio
agio”.
Se il ricalco si basa sul rispecchiamento di termini visivi, uditivi o legati alle sensazioni, gli
accessi oculari sono semplicemente uno strumento in più per rendersi conto di quale sia la
modalità di espressione di quella persona in quel momento.
Quindi, se i suoi occhi cercheranno le informazioni prevalentemente in alto, i termini che
utilizzerà saranno prettamente visivi ed il suo modo di gesticolare sarà molto descrittivo,
come se ci volesse effettivamente rappresentare le immagini che vede all’interno della sua
mente: allora sarà più facile per noi entrare in sintonia con questa persona ricalcando le sue
modalità visive.
Lo stesso dicasi per persone che prevalentemente si rappresentano la realtà attraverso suoni
o sensazioni.
È importante sottolineare l’avverbio “prevalentemente”, in quanto nessuno di noi utilizza
in modo esclusivo una delle tre modalità: le utilizziamo tutte, ma in percentuali diverse,
in base alle nostre esperienze di vita, alla nostra educazione ed anche al preciso contesto in
cui ci troviamo.
Quindi, non tentiamo di schematizzare le persone, cerchiamo invece di rimanere flessibili
e di adeguarci istante per istante a colui che abbiamo di fronte, così da entrare in sintonia
con lui guidandolo poi verso di noi.
15.4 I movimenti del corpo
Tra gli studiosi più importanti di questa materia si trovano sicuramente P. Ekman e W.V.
Friesen (in semiotica), i quali per primi hanno capito e dimostrato come il comportamento
184
motorio di una persona dipenda da un’unica espressività, anche se il ricercatore può analizzare separatamente i movimenti specifici che interessano le singole parti del corpo.
I movimenti del capo, fatti da chi ascolta una conversazione, assumono una grande importanza nell’interazione stessa, infatti possono essere recepiti da chi parla come segnali di
attenzione o di assenso e/o dissenso, come segnali che rafforzano o integrano i comportamenti antecedenti.
Ekman e Friesen enumerano cinque categorie di segnali non verbali:
1. Gesti illustratori
2. Gesti simbolici o emblemi
3. Gesti che esprimono stati emotivi
4. Gesti regolatori dell’interazione
5. Gesti d’adattamento
I gesti illustratori:
sono tutti quei movimenti che accompagnano la comunicazione verbale illustrando ciò che
si sta dicendo. Questi ampliano, completano o punteggiano la comunicazione descrivendo volumi, disegnando il contorno degli oggetti, oppure illustrando movimenti ed intere
situazioni spaziali. Questo tipo di gesti sono solitamente emessi volontariamente e consapevolmente e dipendono da fattori culturali ed etnici in senso lato.
I gesti simbolici o emblemi:
hanno la capacità di sostituire la comunicazione verbale e possono essere utilizzati quando
la comunicazione verbale non è possibile, oppure per sottolineare e rafforzare gli scambi
interattivi. Tali gesti sono molto diffusi in Italia, dove, particolarmente al sud, si può trovare
una tradizione radicata ed un repertorio vasto ed articolato.
I gesti che esprimono stati emotivi:
sono tutti i segnali non verbali che un individuo lancia, esempio per manifestare stati di
tensione psicologica attraverso “movimenti tipo” (ad esempio lo stringere i pugni per evidenziare uno stato di rabbia). Questi gesti integrano, di solito, l’attività del volto, che rimane comunque l’organo che meglio esprime gli stati d’animo delle persone.
I gesti regolatori dell’interazione:
sono destinati a sincronizzare l’ordine degli interventi di ciascuna persona che interviene
nel dialogo. Con opportuni e codificati gesti delle mani, inarcamento delle sopracciglia,
cenni del capo, ecc, i partecipanti ad una conversazione indicano in questo modo se desiderano parlare, interrompere, disturbare una conversazione: si potrebbe dire che tendono ad
orientare il flusso della conversazione stessa.
I gesti di adattamento:
sono tutti quei movimenti non intenzionali ma abituali che le persone usano automaticamente per manifestare un dato messaggio.
Ekman e Friesen individuano tre differenti tipologie per questa categoria di gesti: la prima
comprende tutti i segnali non verbali del tipo auto-adattivo che riguardano i movimenti
del corpo degli individui durante l’interazione comunicativa, la seconda riguarda i gesti di
adattamento incentrati sull’altro ed infine, i terzi comprendono tutti i gesti di adattamento
orientati verso oggetti.
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15.5 La postura
Anche le posture hanno una forte rilevanza per capire lo stato d’animo delle persone, anche
se qui di seguito ci limiteremo ad analizzare in sintesi, poiché sufficientemente esaustivo per
il mediatore civile, lo schema di Argyle (in ibidem), il quale descrive le interpretazioni psicoanalitiche che sembrano far concordare varie analisi effettuate da diversi studiosi:
POSTURA
BRACCIA
INTERPRETAZIONI
Braccia chiuse ed incrociate
Autoprotezione, soprattutto dei seni;
ritirata
Tenere stretto un lembo del vestito
Timori di incidenti al corpo
Alzata di spalle, palmi delle mani in fuori Debolezza passiva
GAMBE
TRONCO
Molto incrociate (donne)
Autoprotezione, ritiro
Non incrociate
Civetteria
Gambe incrociate (donne) o accavallate Civetteria
in modo esibizionistico
Nessun movimento del bacino
Inibizione sessuale
Rigido, portamento marziale (uomini)
Composto ed eretto (donne)
Ansia nascosta
Comportamento vanitoso
Conflitto tra desiderio di inviare segnali
sessuali e timidezza
Abbassato, indolente, immobile
Debolezza, richiesta di aiuto
Rannicchiato nella sedia in modo
languido, erotico
Esprime impulsi sessuali
15.6 Lo spazio
Lo spazio o prosemica, come la disciplina che studia le distanze fisiche, diventa molto rilevante per un mediatore civile. Per esempio: l’avvicinare troppo una persona a noi, potrebbe
farle credere che siamo dalla sua parte, come l’allontanarla troppo, porterebbe farle pensare
l’opposto; risulta quindi importante mantenere una distanza simile con tutti gli interlocutori: non si deve dare adito a sospetti che potrebbero irreversibilmente danneggiare una
mediazione in atto.
Hall distingue quattro diverse zone, ognuna delle quali a sua volta può essere suddivisa in
due fasi:
• Distanza intima
• Distanza personale
• Distanza sociale
• Distanza pubblica
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- Distanza intima: fase di vicinanza.
Il contatto fisico è imminente, è presente il più alto grado di coinvolgimento delle due
persone. L’uso dei loro abituali strumenti di ricezione della distanza è molto ridotto,
con l’eccezione dell’olfatto e della sensazione del calore emanato dai corpi che è per
entrambi acuito.
- Distanza intima: fase di lontananza (distanza: da 15 cm a 45 cm).
Il capo, le cosce e le parti pelviche non si toccano facilmente, ma le mani possono raggiungere e afferrare le estremità. La testa appare di dimensioni maggiori e con i tratti
fisionomici deformati. La possibilità di mettere agevolmente a fuoco gli occhi è per gli
americani una caratteristica rilevante a questa distanza. Può essere colto il colore e l’odore del respiro dell’altro anche se è diretto fuori dal nostro viso. Il mantenere una distanza
in pubblico è considerato scorretto dagli americani adulti della classe media, anche se
si possono vedere dei giovani distrattamente abbracciati in automobile o in spiaggia.
Metrò ed autobus affollati possono costringere persone estranee ad entrare in rapporti
che ordinariamente si classificherebbero come relazioni spaziali intime, ma i viaggiatori
posseggono degli espedienti difensivi che servono ad abolire questa intimità.
- Distanza personale: fase di vicinanza (distanza: da 45 cm a 75 cm).
Si può trattenere o afferrare l’altro, la distorsione della percezione della fisionomia altrui
non è più avvertita. La posizione che le persone assumono nella loro relazione spaziale
è indice dei loro rapporti sociali o dei sentimenti reciproci o di entrambe le cose. Così
una moglie potrà impunemente stare entro il cerchio della zona personale ristretta di
suo marito, mentre un’altra donna è tutto un altro discorso.
- Distanza personale: fase di lontananza (distanza: da 75 cm a 120 cm).
Tenere qualcuno a distanza è un modo per indicare la fase di lontananza della distanza
personale, che si estende da una soglia appena oltre l’intervallo che consente di toccare
facilmente l’altro a un limite in cui due persone possono toccarsi le dita allungando
ciascuno il braccio. Questo è il confine del dominio fisico inteso nel suo pensiero più
proprio. Al di là di esso, non si può facilmente mettere le mani su qualcun altro.
A questa distanza si discutono argomenti di interesse personale.
- Distanza sociale: fase di vicinanza (distanza: da 120 cm a 210 cm).
A questa distanza si trattano gli affari impersonali e nella fase di vicinanza c’è maggiore
coinvolgimento che nella fase di lontananza. Le persone che lavorano insieme tendono
a usare la distanza sociale più prossima. Questa è anche la distanza abitualmente mantenuta negli incontri convenevoli e /o occasionali.
- Distanza sociale: fase di lontananza (distanza: da 210 cm a 360 cm).
Da qui si trattano gli affari più formali. Le scrivanie negli uffici delle persone importanti
sono di dimensione tale da tenere i visitatori alla fase di lontananza. Alcuni dettagli del
viso più minuti non si distinguono da tale distanza; la pelle, i capelli, l’aspetto dentale e
gli abiti sono invece visibili a occhio.
- Distanza pubblica: fase di vicinanza (distanza: da 360 cm a 750 cm).
A questa distanza una persona può assumere comportamenti evasivi o difensivi se si
sente minacciata. Può anche indicare una forma residuale seppure sublimale di reazione
e di fuga.
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- Distanza pubblica: fase di lontananza (distanza: da 750 cm in poi).
È la distanza adottata solitamente dai personaggi pubblici, ma può essere utilizzata da
chiunque si trovi in contesti pubblici.
15.7 Il tempo
Il tempo è direttamente collegato allo spazio, per questo motivo è indispensabile fare un
accenno anche a questo aspetto: tempo e spazio sono infatti dimensioni fenomenologicamente universali e sempre co-presenti nel sensibile (K. Jasper, 1926); esse implicano un
sistema di rapporti tra di loro costanti.
Ogni corpo è dato per l’azione ed ogni azione concreta, presentata e vissuta, prescinde da
entità spazio-temporali. Lo spazio presuppone il tempo, in quanto la nozione di spostamento è dipendente dal “prima” e dal “poi”; il tempo presuppone lo spazio in quanto esso
si collega ad eventi che lo riempiono e pertanto lo definiscono.
Scrive Umberto Galimberti (1983): “L’ambivalenza del corpo si diffonde nello spazio e ne
percorre il senso che risulta così affidato alla forza dei progetti rispetto a cui è ostacolo e veicolo.
Siccome poi il progetto ha nel tempo il luogo della sua realizzazione, la domanda circa il senso
dello spazio attende la sua risposta dalla distensione del tempo”.
Se il tempo è connesso con il cambiamento e con il movimento, esso è inseparabile dallo
spazio. Ogni percezione nello spazio è anche una percezione nel tempo. Ogni nozione di
tempo possiede marche di spazialità.
Sia il passato che il futuro si legano infatti a connotati di lontananza, avanti e indietro,
situati idealmente lungo un itinerario, mentre il presente si collega ad una condizione spaziale di vicinanza (Berti, Cumunello, Nicolodi, 1988).
Avere più tempo significa avere più spazio per dispiegare le proprie azioni e i propri progetti, significa trovare il senso della propria identità, il cui costituirsi rimanda ad una coscienza
temporale, nella quale presente, passato e futuro si vincolano nel loro perenne susseguirsi.
C’è chi lotta costantemente perché il tempo di cui dispone non è mai abbastanza, chi invece
non sa come riempirlo, “ammazzarlo”, farlo passare.
Per ciascuno il tempo ha un diverso significato, poiché oltre il tempo scandito dagli orologi
(tempo quantitativo), esiste un tempo (qualitativo) che riflette la soggettività dell’uomo
proteso verso il futuro, nei suoi infiniti modi di declinarsi.
Seppur è difficile costruire una semiologia del tempo, resta il di fatto che esso è la misura e
specchio delle vicende umane.
Nel “Tempo interno” (H. Bergson, 1889) si riflettono vissuti, desideri, emozioni e intenzioni.
Il tempo, che possiamo definire come la nozione che organizza la modalità continua di stati
in cui si identificano le vicende umane e naturali in collegamento all’idea di successione ed
evoluzione, comprende sempre due dimensioni: quella “oggettiva e quantificabile” e quella
“soggettiva ed individuale”.
Il tempo, scrive Galimberti (1983): “non appartiene al rapporto tra le cose, ma al mio rapporto
con esse”, cosicché passato, presente e futuro vengono sostanziati “dalle mie rughe, dai miei
pensieri, dalle mie abitudini, dai miei desideri”.
Le mie affermazioni sul tempo raccontano la coscienza del mio vivere quotidiano. Ogni
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cognizione temporale s’innesta e si elabora nel vissuto personale a partire da ciò che ricordo
e spero. Ma il ricordo, quale elemento di successione di una realtà vissuta, non si colloca
esclusivamente nel passato.
“Finché vivo, il passato non è passato”, afferma Galimberti (1983), “ma sostanzia il presente
fino a decidere le modalità con cui ogni giorno mi rapporto al mondo”. La sua rappresentazione
varia a seconda dello sguardo che ho sul presente e del modo in cui mi proietto nel futuro,
futuro che esiste solo in relazione ai progetti che formulo e alle scelte che compio. Il flusso
temporale non è percepito come una serie di atti presenti ed indipendenti, ma come progetto e storia che definisce il costituirsi della mia individualità.
15.8 L’ascolto (Efficace)
Principi e regole per un ascolto efficace. L’ascolto è un atto intenzionale che impegna la
nostra attenzione a cogliere quanto l’altro ci riferisce, sia in modo esplicito che implicito, sia
con le parole che con il corpo. Chi ascolta “con tutto se stesso” è proteso ad accogliere anche
il “non dichiarato” del proprio interlocutore, le sue finalità sottese, i suoi turbamenti celati.
Ciò è possibile in quanto chi si pone in un atteggiamento di ascolto autentico non si limita
a “registrare” le parole dell’altro, ma per effetto di un atto di riflessione cerca di intravedere
in esse un’intenzionalità, sovente oscura sia all’emittente che al ricevente.
Riflettere su ciò che si ascolta non significa tuttavia lasciarsi trascinare in una iperanalisi
delle altrui sequenze comunicative, ma, senza cadere dentro facili e sommarie interpretazioni, consiste nel cogliere il senso incompiuto del discorso dell’altro nella sua globalità,
tramite un consapevole sforzo metacomunicativo; tale senso incompiuto può esserci soltanto parzialmente svelato da un’attenzione pensante, che sa correttamente scegliere il giusto
equilibrio tra un eccesso di ascolto, che ci porterebbe a perderci tra le pieghe delle altrui
parole, ed una carenza di ascolto, che è sempre ingannevole in quanto non ci avvicina mai
a nulla di significativo.
Nell’ascolto attivo, sono coinvolti tre processi (A.R. Colasanti, R. Mastromarino, 1991):
• La ricezione del messaggio
• L’elaborazione del messaggio
• La risposta al messaggio
-- La ricezione del messaggio implica da parte di chi ascolta una concentrazione non strutturata sia su quanto l’altro dice con le parole, sia su ciò che esprime con la mimica, la
gestualità, il movimento, ecc. Tale concentrazione non strutturata può essere fortemente ostacolata da problemi emotivi, paure, angosce, pregiudizi, mentre è facilitata da una
autentica disponibilità affettiva nei confronti dell’altro.
-- L’elaborazione del messaggio avviene allorché chi ascolta attribuisce uno o più significati
al messaggio ricevuto. Nella fase di elaborazione del messaggio l’ascolto si concentra su
cinque dimensioni:
1) contenuto, in cui si tiene conto di che cosa l’altro ci vuole informare e di che cosa
pensa in relazione all’oggetto della comunicazione. Qui si cerca di rispondere alle
domande: “Di che cosa sta parlando? Di che cosa ci vuole informare? Quali sono le
sue idee ed opinioni in merito a quanto sta dicendo?”;
2) autopresentazione, nella quale si tiene conto del modo in cui l’altro implicitamente
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ed esplicitamente si mostra e desidera essere riconosciuto da chi ascolta. Qui si cerca
di rispondere alle domande: “Che cosa sta dicendo di sé, mentre comunica? Che
cosa vuole che io pensi di lui? Vuole che lo valuti positivamente o negativamente?
Vuol mostrarsi una persona onesta, colta,…oppure…?”;
3) appello, in cui si tiene conto di che cosa l’altro ci appella a pensare, credere, fare o
non fare. Qui si cerca di rispondere alle domande: “Che cosa l’altro mi chiede? Di
che cosa mi vuole convincere? Che cosa vuole ottenere da me?”;
4) relazione, nella quale si tiene conto di come l’altro percepisce chi l’ascolta in relazione a se stesso e che tipo di relazione intende stabilire. Nella supposizione che l’ascoltatore venga percepito come una persona autoritaria, il parlante potrà assumere un
atteggiamento di passività o di sfida e provocazione. Qui si cerca di rispondere alle
domande: “In che modo l’altro mi percepisce? Che tipo di relazione ha instaurato
con me e come vorrebbe modificarla?”;
5) espressione, nella quale si tiene conto dei vissuti relativi a ciò che viene detto, ossia
dei sentimenti, delle emozioni, degli stati d’animo che il parlante prova ed esprime.
Qui si cerca di rispondere alle domande: “Che cosa l’altro sente (in termini vissuti)
dentro di sé? Quali stati d’animo esprime?”
-- La risposta al messaggio viene data da parte di chi ascolta il proprio interlocutore, dopo
che il messaggio stesso è stato interpretato, allo scopo o di informarlo di qualcosa, o di
aiutarlo a risolvere il problema che sta affrontando, o di ampliare la comprensione di se
stesso. Il comportamento di supporto verbale comprende forme direttive, non direttive,
valutative o di sostegno, a seconda delle necessità dell’interlocutore. Sono da evitare
quelle risposte volte a moralizzare, etichettare, diagnosticare, assolutizzare e disconfermare attraverso messaggi svalutanti o forme di denegazione della realtà esistenziale
dell’altro mediante un inutile ed ostinato silenzio. Un ascolto silente, dove il ricevente si
disimpegna all’offerta di una qualsiasi forma di “riconoscimento”, non è ascolto attivo.
La risposta, secondo A. R. Colasanti e R. Mastromarino (1991), può avvenire in forma non
direttiva per:
-- chiarificazione: quando la domanda si fa per chiedere chiarimenti su un argomento non
chiaro e ritenuto ancora ambiguo, confuso, contraddittorio o con parti mancanti dal
ricevente;
-- parafrasi: serve come supporto verbale al ricevente per ampliare contenuti essenziali
della comunicazione e offrirgli la consapevolezza di essere stato capito;
-- verbalizzazione: sono messaggi verbali di supporto che, attraverso sinonimi, antinomie, optativi, aiutano l’emittente a mettersi in contatto con gli aspetti emozionali del
suo discorso e a porre in risalto il significato soggettivo che attribuisce alle proprie
esperienze, in modo che egli possa acquisire una maggiore consapevolezza dei propri
stati interiori.
Esempio: Emittente: non mi sento considerato; Ricevente: Lei mi rammarica di non
essere considerato da Me. Occorre fare attenzione affinché la risposta per timore del ricevente di farsi carico della sofferenza altrui non venga formulata in modo da alterare
l’intensità delle sue emozioni;
-- sommario o tematizzazione riassuntiva: qui vengono riformulate due o più parti del
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messaggio al fine di riportare l’interlocutore al focus del discorso o individuare collegamenti e connessioni.
Oppure, la risposta può avvenire in forma semi direttiva per:
-- domande esplorative: sono supporti verbali utilizzati per indagare aspetti significativi
dell’altrui discorso espressi però in modo troppo generico, o per identificare i parametri
di un problema con la richiesta di ulteriori informazioni. Queste domande si possono
fare in modo diretto (esempio: “Come trascorre il suo tempo libero?”) o in modo indiretto (esempio: “Vuole dire qualche cosa di più in merito…?”). Le domande iniziate
con “che cosa” sollecitano la richiesta di informazioni e fatti; con il “come”, la richiesta
di processi ed emozioni; con il “perché”, la richiesta di motivazioni e spiegazioni. Vanno
evitate domande che tendono a rafforzare le difese nevrotiche dell’altro, quelle troppo
INVADENTI o che usano in modo eccessivo il “perché”, soprattutto con chi tende ad
intellettualizzare o a colpevolizzarsi, oppure ancora domande suggestivo-manipolatorie
(esempio: “Tu sai che…?”), domande che non chiedono nulla, in quanto hanno già
inclusa la risposta;
-- confronto: è una forma di supporto verbale che rivela al locatore eventuali incoerenze,
discrepanze, conflitti, messaggi di doppio legame. Esempio: “Lei sostiene che desidera
incontrarmi, ma è da molto tempo non mi telefona”;
-- interpretazione: sono ipotesi di significato circa episodi, comportamenti, sentimenti,
idee dell’emittente al fine di ampliare la consapevolezza del problema che affronta; vanno fatte solo al momento opportuno e vanno formulate sempre in termini probabilistici
come degli itinerari di possibile significazione. Esempio: “Si può ritenere che…”;
-- dare informazioni: è una forma di supporto verbale che cerca di fornire all’altro informazioni al fine di aiutarlo a trovare alternative ai suoi comportamenti. Non si tratta
di consigli o prescrizioni, ma di offerte di possibili indicazioni, tra le quali scegliere.
Esempio: “Ogni evento doloroso può essere superato anche…”. (A.R. Colasanti, R.
Mastromarino, 1991).
Per migliorare la nostra arte di ascoltare non basta avere una buona conoscenza di tecniche
e strategie, ma occorre possedere alcune qualità “umane” senza le quali l’ascolto diverrebbe
artificioso e non autentico. Se ad esempio chi ascolta è orientato ad vere potere sugli altri, di
fatto tenderà ad interpretare, guidare e consigliare anche quando ciò è inopportuno.
Le qualità che possiamo descrivere sono: la maturità, la concentrazione, l’amore, il coraggio, il rispetto e la stima dell’altro, la pazienza, il giusto senso del potere, l’equilibrio,
l’empatia, l’immediatezza.
L’ascolto attivo, essendo un ascolto pensante, non può avvenire in uno stato di torpore,
sonnolenza, o in uno stato nel quale non si è interiormente attivi.
Chi ascolta autenticamente è colui che, pur nell’intento di accordare all’altro la libertà di
essere se stesso, al momento opportuno e nel modo più corretto e rispettoso possibile, sa
prendersi la responsabilità di dissentire. Chi vuole invece troppo compiacere l’altro, o per
viltà, o per masochismo, o per paura di coinvolgersi, o per nascondere la propria crudeltà,
in realtà non gli offre nessun ascolto.
L’ascolto necessita, quindi, sia uno spazio di sintonia che di uno spazio di differenza, senza il
quale non è possibile portare all’altro nessun elemento di confronto e di verifica costruttiva.
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Il sentimento di nullità che molte persone provano, o che inducono negli altri, è conseguenza della mancanza di coraggio.
Non si può incontrare l’altro e riconoscerlo nella sua dignità finchè non si osa; ovviamente
il coraggio non basta. Senza la nostra capacità di coinvolgerci in termini affettivi, non è
possibile nessuna forma di ascolto. Solo chi ha acquisito una chiara identità personale è in
grado di esprimere la persona che è e di entrare in intimità con l’altro, pur mantenendo
quella corretta distanza che supera ogni divisione e coniuga l’amore con il rispetto.
Il rispetto è accoglienza, riconoscimento, apprezzamento del valore dell’unicità e della dignità dell’altro.
Chi rispetta l’altro non esercita su di lui alcuna prevaricazione, non gli chiede a tutti i costi
di cambiare, pur offrendogli possibilità ed alternative per essere diverso da ciò che non
vuole più essere.
Chi rispetta non indaga in modo intrusivo, nella speranza che l’altro superi la barriera del
silenzio solo quando se la sente. Chi rispetta sa attendere pazientemente che l’altro si sveli
quando è in grado di incontrare un’adeguata fiducia in se stesso.
Rispettare l’altro significa non costringerlo alla diversità, non oltrepassare il suo volto per
cancellarlo, non diffidare, non controllarlo, non manipolarlo con messaggi quali la disconferma, l’ingiunzione paradossale, la risposta tangenziale che negano la sua realtà esistenziale.
L’ascolto autentico presuppone anche un determinato comportamento corporeo. È il corpo
a rendere vero il nostro ascolto. Ascoltare l’altro guardando altrove è un modo per dichiarare il nostro disinteresse. La nostra disponibilità ad incontrare l’altro si rende visibile in un
“abbraccio simbolico”, dove gesti, posture, mimica, indicano un atteggiamento di accettazione e sono congruenti con quanto dichiariamo.
Ascoltare quindi comporta anche mantenere un “discreto” contatto oculare, una postura
avvolgente ma non invadente, un’espressione facciale armonizzata con le emozioni dell’altro, una voce udibile, che comunica energia ma non sopraffazione.
Mettersi faccia a faccia, porsi all’altezza dell’altro, inclinarsi verso di lui, sono modi molto
evidenti per dimostrare totale attenzione verso chi parla.
Non inventiamoci un prontuario dell’ascolto “non verbale” da applicare in modo “generalizzante”, ma attestiamo che il nostro corpo dia voce alle nostre più autentiche intenzioni,
con sapienza, discrezione e naturalezza.
15.9 La formazione alla competenza relazionale
Interagire comunicando non è per nulla semplice a causa delle peculiarità di ogni individuo.
La comunicazione (che etimologicamente significa “mettere in comune”) è sempre non
chiara e ambigua, poiché tra noi e gli altri possono in qualsiasi momento emergere delle
difficoltà e/o incomprensioni, dal momento che essa non coincide con la semplice informazione che viene “detta”, ma si collega al come questo qualcosa viene veicolato, i suoi effetti
variano a seconda del modo in cui una persona si esprime.
C’è chi mente continuamente, eppure tutti gli credono, e chi dice sempre la verità ma non
viene mai creduto.
Non serve informare l’altro di qualcosa, poiché questo qualcosa sortisca determinati effetti.
Si prenda come esempio l’informazione antidroga alcol o fumo: per anni si è creduto che
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per ostacolare il diffondersi della dipendenza da sostanze fosse sufficiente informare i giovani sul rischio e sui danni provocati da queste sostanze, ma, al contrario, si è potuto osservare che l’informazione spesso veicolata da operatori sociali con toni allarmistico-esortativi,
anziché sollecitare il disinteresse, ne ha incrementato la diffusione, enfatizzando in alcune
persone morbose curiosità e spinte masochistiche (F. Nanetti, 1990).
Non è affatto la consapevolezza che qualcosa è dannoso che ci spinge ad evitarlo.
Molti sanno che il bere, il fumare, ecc., fa male, eppure continuano a farlo.
L’esortazione del partner sano al compagno etilista a non bere “perché fa male”, di solito
sortisce effetti contrari e non fa altro che indurlo ad una maggiore assunzione di bevande
alcoliche; dal momento che tale messaggio, pur veritiero, tende ad enfatizzare l’altro (sei
il “bambino” che neppure sa prendersi cura di sé), il messaggio di “contenuto” perde ogni
efficacia. Poiché noi comunichiamo non solo per informare ma anche per convincere, far
credere, far fare, affinché la nostra comunicazione sia “efficace”, occorre imparare a “riflettere” sul nostro modo abituale di esprimerci e relazionarci.
La competenza relazionale si apprende sia per un cambiamento deliberato del nostro agire
comunicativo sia per un atto di “comprensione” degli effetti che produce il mondo interno
sul nostro abituale modo di rapportarci agli altri.
Non c’è atteggiamento comunicativo che non sia influenzato dalle nostre intenzioni e dalle
Rappresentazioni che abbiamo di noi stessi, dalle emozioni che ci allietano o che ci affliggono.
Certi aspetti della nostra psiche possono ostacolare la comunicazione, altri possono facilitarla. Una persona egocentrica, ad esempio, tenderà ad usare un codice comunicativo
rigido e mai adeguato alla comprensione dell’altro; contrariamente, una persona con tratti
affiliativi, tenderà ad inviare messaggi che inibiscono l’aggressività assertiva, mentre chi è
competitivo sarà invece incline ad inviare messaggi freddi ed oppositivi.
Non si può accedere ad un’autentica competenza relazionale senza che diveniamo prima
“consapevoli di ciò che siamo”.
La formazione alla competenza relazionale si attua attraverso due forme di monitoraggio:
una centrata sulla “comunicazione interpersonale” ed una centrata sulla “comunicazione
intrapsichica”.
Il monitoraggio sulla “comunicazione interpersonale” comporta la conoscenza e il cambiamento dei comportamenti comunicativi verbali e non verbali osservabili tra emittente e ricevente. Con il monitoraggio sulla comunicazione interpersonale, individuati i diversi segni
verbali e non verbali all’interno della dinamica relazionale, se ne interpretano i significati,
le congruenze e le incongruenze, le ridondanze e le paradossalità, le rilevanze pragmatiche
sia positive che negative.
In tale processo ci si può avvalere anche di alcuni strumenti che facilitano l’osservazione,
come videotape, mappe semistrutturate di indagine selettiva e lo specchio unidirezionale.
Il monitoraggio sulla “comunicazione intrapsichica” comporta la conoscenza e l’eventuale
cambiamento di intenzioni, emozioni, sentimenti, idee, rappresentazioni, valori, che in
modo diretto o indiretto possono influenzare il processo comunicativo.
Spesso la maggior parte delle difficoltà che incontriamo non dipende dai fatti accaduti, ma
da come noi li interpretiamo. Di fronte ad un insuccesso possiamo o deprimerci, oppure
trovare in noi stessi le risorse per poter reagire con maggior forza ed efficacia.
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Il fallimento è sempre l’effetto di una rappresentazione interna, ciò che è positivo o negativo
dipende dall’angolo in cui lo si osserva: un bicchiere può essere mezzo pieno o mezzo vuoto.
Il nostro modo di comunicare è costantemente influenzato dall’immagine che abbiamo
costruito di noi stessi. Se ci percepiamo inferiori, diventiamo sospettosi e gelosi e tendiamo
per questo ad aggredire l’altro; se ci percepiamo invece sicuri, ci fideremo dell’altro e l’altro
ci ripagherà della fiducia non ingannandoci.
Una persona assertiva vede il mondo come il luogo dove le difficoltà sono un’occasione per
fare qualcosa in più, per migliorarsi; una persona depressa, percependosi incapace e bisognosa di protezione, tenderà a cogliere l’impedimento come una sconfitta e reagirà all’idea del
fallimento, privandosi, nel suo modo di relazionarsi, di ogni forma di assertività costruttiva.
Per essere capaci di comunicare in modo efficace occorre quindi essere consapevoli delle
nostre rappresentazioni interne, cosi come dei nostri sentimenti e stati d’animo.
Il buon comunicatore sa coglierei propri vissuti, sa riconoscere se è felice o infelice, se è
fiducioso, disponibile verso gli altri, oppure se è sospettoso e dominato dall’invidia.
Non possiamo diventare dei buoni comunicatori se non siamo orientati alla comprensione
di noi stessi, poiché solo se siamo in contatto con noi stessi, coerenti con ciò che pensiamo
e solidi nelle nostre convinzioni, siamo in grado di evitare una comunicazione ambigua
e confusa. Se invece il nostro costituirci sarà vago, se tenderemo a vagabondare attorno
a noi stessi, se i nostri comportamenti saranno in contrasto con le nostre intenzioni, non
potremo mai incontrare l’altro nel dialogo autentico, in quanto solo il riconoscimento della
nostra presenza ci consente di sottrarci alla viltà di dovere essere come gli altri ci vogliono e
di rivelarci pienamente per quello che siamo.
Per comunicare in modo efficace non basta il “buon senso”, occorre essere in grado di possedere anche conoscenze tecniche, tuttavia con la consapevolezza che queste di per sé non
bastano, come accennato prima.
Perché una tecnica funzioni occorre venga interiorizzata, fatta propria, incarnata nel nostro
abituale agire comunicativo, ossia diventi tecnicità.
Avere tecnicità significa usare delle tecniche, ma in modo automatico, senza pensarci troppo.
Quando invece per comunicare dobbiamo ricordare le tecniche, rischiamo di avere una
reazione simile alla “sindrome del millepiedi”, che per cercare di capire i meccanismi del suo
procedere dopo un po’non riesce più a camminare.
Spesso il voler analizzare la comunicazione parcellizzandola in una miriade di elementi differenziati può portare la persona a comunicare in modo inautentico e non naturale.
Se le nostre conoscenze strumentali non si integrano al nostro modo più autentico di relazionarci, esse diventano puri e semplici artifizi o, ancora peggio, mezzi che possono rendere
più confuso il nostro agire comunicativo.
È lecito domandarsi se sia giusto o meno “imparare a comunicare”, quando oggi osserviamo
che sono sempre più le persone che la utilizzano per scopi immorali.
Come scrive F. Nanetti: “Le conoscenze strumentali sono amorali; è l’intenzionalità sottesa
che può renderle morali o immorali”. Se l’intento di chi comunica è quello di manipolare
l’altro per ottenere vantaggi personali, il saper comunicare diventa immorale. Se il fine invece è quello di aiutare l’altro al superamento di proprie difficoltà, tale competenza diventa
“morale”.
194
Le conoscenze tecniche possono renderci più efficienti ma non per questo migliori.
Se con la modernità ci siamo abituati ad attribuire valore alle cose a seconda degli effetti che
producono, oggi s’impone sempre più la necessità di trovare percorsi orientati alla verità,
indipendenti dalle combinazioni pragmatiche delle nostre azioni.
Per migliorare la nostra competenza relazionale è necessario che ci interroghiamo non solo
su che cosa comunichiamo, ma per chi e per quale fine.
Alcuni vogliono imparare a comunicare meglio per avere successo, o per farsi più amici, o
per sedurre nuovi partner, ma in realtà ciò che dovrebbero chiedersi è di che successo hanno
bisogno, o di che tipo di amicizia o partner desiderano.
Imparare qualche cosa non può essere finalizzato esclusivamente ad una maggiore conquista
personale, o potere sugli altri, ma ad una ricerca di verità senza la quale rischiamo di perdere
noi stessi.
Non si possono dissociare le conoscenze tecniche dai valori, poiché sono i valori che orientano le nostre conoscenze tecniche affinché esse siano al servizio dell’uomo e non viceversa.
Ciò non significa che le conoscenze tecniche siano inutili: in alcuni casi, senza un adeguato
patrimonio di conoscenze strumentali, non riusciamo a raggiungere l’obiettivo che ci siamo proposti. Può capitare per esempio di voler aiutare qualcuno, ma non lo possiamo fare
perché privi di capacità e conoscenze.
Mediatori, avvocati, sociologi, psicologi, giudici, educatori, terapeuti, ecc., dovrebbero possedere un’adeguata competenza relazionale, in quanto essi, avendo il compito di indurre
cambiamenti positivi e/o aiutare qualcuno nella risoluzione di un problema, sono responsabili del proprio agire comunicativo.
Solo con il costituirsi della capacità soggettiva di elaborare risposte adeguate alle richieste,
diventiamo capaci di riconoscere i nostri limiti ed imparare dai nostri errori, senza più alibi,
ma con umiltà e coraggio (F. Nanetti, 1996).
15.10 Comunicare e influenzare
In I. Matteucci. (1995, Agire comunicativo e contenuto di senso, pp. 83-86), è ben spiegato
come “Habermas fa propria la distinzione operata da Austin tra atti illocutivi (informare,
ordinare, avvertire, ecc.), cioè enunciati che posseggono una certa forza convenzionale, e
atti perlocutivi: ciò che otteniamo o riusciamo a fare con il “dire” qualche cosa, come convincere, persuadere, trattenere e anche sorprendere e/o ingannare.
Con questa distinzione, egli intende delimitare le azioni orientate verso l’intesa da quelle
orientate verso il successo, facendo dell’analisi del concetto di forza illocutoria, il punto di
passaggio dal paradigma coscienzialistico al paradigma linguistico.
L’ampliamento della problematica degli atti linguistici in direzione della Teoria dell’azione
praticata da Habermas, comporta la sostituzione del concetto di convenzionalità usato da
Austin, con una concezione di tipo operativo, in cui gli effetti perlocutivi rappresentano il
risultato dell’utilizzazione di atti linguistici in un contesto di agire strategico.
Il superamento del concetto di forza illocutoria in uso presso Austin, è reso possibile dalla
considerazione che le azioni linguistiche funzionano come meccanismo di coordinamento
per altre azioni.
Gli effetti perlocutivi indicano l’integrazione di azioni linguistiche in nessi di interazione
195
strategica, come risultato di azioni teleologiche che l’attore intraprende nell’intento di influenzare l’uditorio nel modo voluto. Questo obiettivo, cui possono servire le azioni linguistiche, è conseguibile soltanto in seguito a successi illocutivi, cioè di comprensione; di
qui il carattere “parassitario” delle azioni perlocutive nei confronti delle illocuzioni che esse
presuppongono ed usano come mezzi.
Habermas aggiunge, infine, che il concetto di intesa e l’atteggiamento ad essa orientato,
possono essere chiariti soltanto sulla base di atti illocutivi: le perlocuzioni non sono infatti
costitutive dell’intesa e non servono alla riuscita della comunicazione.
Al contrario, le interazioni mediate linguisticamente in cui tutti i partecipanti con le loro
azioni linguistiche reciproche, perseguono senza riserve i propri fini illocutivi, sono le sole
annoverabili nell’ambito dell’agire comunicativo.
E così, mentre gli effetti perlocutivi possono essere descritti come situazioni create da un
intervento nel mondo, i successi illocutivi sono conseguiti sul piano delle relazioni interpersonali dove i partecipanti si intendono sul mondo; inoltre, essi si manifestano entro il
mondo vitale a cui appartengono i partecipanti alla comunicazione e che fa da sfondo ai
loro processi di comprensione. Lo spunto della distinzione tra illocuzioni e perlocuzioni
che Habermas attinge dalla pragmatica formale e sviluppa in senso empirico, lo conduce
a sostenere che bisogna abbandonare l’idealizzazione di una rappresentazione completa e
letterale del significato delle proposizioni espressive, il quale coinciderebbe esattamente con
ciò che il parlante intende con il proprio atto linguistico.
Il concetto di agire comunicativo come agire orientato all’intesa, ci permette invece di prendere visione dello sfondo del sapere implicito che entra alle spalle dei partecipanti alla comunicazione, determinando ampliamente l’interpretazione delle loro espressioni esplicite.
Tale sapere, oltre ad essere implicito, è strutturato olisticamente in rimandi reciproci; inoltre è un sapere di cui non possiamo disporre a nostro piacimento, infatti è a-problematico
e non giunge alla sfera delle espressioni comunicative.
Quello del mondo vitale è insomma un sapere fatto di certezze di senso comune fortemente
ancorate, in qualità di sfondo pre-riflessivo.
Ora siamo in grado di osservare come in questo sistema di pensiero e, in particolare, con
il concetto di mondo vitale, ci si riproponga di oltrepassare l’alternativa tra determinismo
e indeterminismo. Perciò si segue il cammino dell’azione partendo dall’ammissione di inestricabilità dei moventi e accompagnando il momento unico della scelta, per sfociare in
una necessità situata al di là di ogni libertà. Infine si rischia di erigere il metodo del senso
comune a metodo di pensiero rigoroso.
Habermas idealizza il mondo della vita come luogo dell’agire comunicativo, in quanto con
esso viene designato il modello della situazione linguistica ideale.
Tale ambito fonda la razionalità sostanziale e non funzionale, ed è sede di una logica irriducibile a quella dei meccanismi funzionali (potere e denaro), dal momento che in essa
agiscono forze che operano verso l’intesa e il consenso.
Il consenso viene prodotto in modo argomentativo, con la partecipazione di tutti in una
posizione di uguaglianza delle competenze e delle changes, cioè di ripartizione simmetrica
delle possibilità di scelta degli atti linguistici.
Secondo Franco Crespi, il concetto di situazione ideale della comunicazione non solo è
196
impossibile da realizzarsi a livello empirico, ma appare anche logicamente contraddittorio
per via del carattere necessariamente deterministico e riduttivo di qualsiasi forma di mediazione.
Il principio della comprensione e la pretesa socialmente partecipata della validità comunicativa, appartengono infatti alla legge della costituzione delle forme di determinazione,
necessarie all’ordine sociale, ma non per ciò assolute.
Ogni mediazione, in quanto determinata come forma selettiva di riduzione dell’esperienza,
non può che essere in realtà produttiva di disuguaglianza tra soggetti.
Le forme del discorso appaiono perciò come un relativo inganno e il consenso intersoggettivo come un compromesso. Solo affermando l’irrealizzabilità logica della situazione
linguistica ideale e mostrando che ogni verità consensuale comporta l’occultamento della
differenza, si elimina il pericolo che una forma di verità venga assolutizzata.
Il discorso che si svolge sempre come se fosse vero è, in realtà, sempre in certa misura un
“inganno”, in quanto mediato simbolicamente, e il consenso non è mai, nei termini di Habermas, vero consenso, ma sempre compromesso pratico, necessario ma limitato.
Ne deriva che ogni determinazione è in un certo modo connessa alla violenza che è implicita nella riduzione dell’esperienza, e il grado di violenza è tanto minore quanto più viene
riconosciuta a livello individuale e collettivo, l’inevitabilità di tale connessione.
15.11 La mediazione e l’espressione
Sempre in I. Matteucci (1995, Agire comunicativo e contenuto di senso, pp. 116-121), si può
leggere che secondo Crespi, la funzione della mediazione consiste nell’assicurare una base di
prevedibilità e di certezza, in assenza delle quali non potrebbero esistere né rapporti sociali
né identità.
La mediazione, per sua essenza (in quanto sistema di rappresentazioni determinate), non
può comprendere la dimensione che essa esclude mediando, cioè la differenza; allora essa
occulta il proprio carattere di mediazione e nell’atto in cui si pone, pone anche la sua negazione, ovvero si costituisce come rinvio all’altro da sé.
Tuttavia, anche questa negazione con rinvio, essendo sempre interna al suo sistema, risulta
in un nuovo “occultamento” della differenza.
L’occultamento della differenza può anche sfociare nella scelta per l’indeterminato contro
la determinatezza, ma il rifiuto del determinato non può che esprimersi attraverso l’identificazione con un principio di determinatezza, cioè con una nuova forma determinata
di mediazione simbolica. Praticamente, dalla mediazione (ovvero dall’occultamento della
differenza) non si esce: sia che se ne riconosca la necessità, sia che se ne accolga il limite.
Per questo, si sostiene che la differenza possa essere affrontata adeguatamente soltanto accettando allo stesso tempo il determinato (la necessità della mediazione) e l’indeterminato
(il limite della mediazione).
In questa posizione espressa da Crespi, è ben desta la consapevolezza dell’inevitabile perdita
di autenticità che ogni mediazione necessariamente comporta e della limitazione d’esistenza
che essa rappresenta. Perciò la sua assunzione, ritenuta comunque inevitabile, avviene attraverso il compromesso rappresentato dall’accettazione del suo carattere riduttivo, attenuato
dal riconoscimento della possibilità di resistenza da parte dell’ente.
197
Ma la problematica dell’altro assolutamente “altro”, legata alla dinamica dell’esteriorità,
richiede una trascendenza del tutto differente da quella dell’oggetto.
In realtà l’espressione dell’alterità come tale, può avvenire soltanto nell’immediatezza del
faccia a faccia. Lévinas direbbe che il “volto” è il luogo dell’alterità ove si scompagina l’ordine dell’essere: in effetti, dove la presenza umana si scopre come volto, ogni rimando ad un
orizzonte, ogni interpretazione concettuale risulta impossibile.
In questa relazione del faccia a faccia, un essere è in rapporto con ciò che non potrebbe
assorbire, con ciò che non potrebbe comprendere; ma nel concreto essa equivale al discorso
che si precisa come relazione di accoglienza dell’altro da parte mia.
Il discorso rappresenta l’esperienza originariamente interpersonale e decisiva per il porsi
della persona in relazione con l’alterità soggettiva. Infatti la vicinanza verbale annuncia una
società, ma allo stesso tempo permette il mantenimento di un io differente.
Dunque l’essere trascendente e l’essere separato non possono partecipare del medesimo
concetto, eppure li nominiamo insieme; tuttavia, la sintesi formale dei termini che usiamo
fa già parte di un discorso, cioè di una congiuntura di trascendenza che non è totalità.
Effettivamente, come abbiamo già affermato, la collettività nella quale dico: “tu” o “noi”,
non è un semplice plurale di io. Il noi non è neppure co-esistenza ed anteriorità, non è
un’intersoggettività neutra sullo sfondo di un essere come orizzonte in cui sorge l’ente,
orizzonte come idea di limite che include.
Già Durkheim aveva superato un’interpretazione del rapporto con l’altro, di tipo meramente oggettivizzante, lasciando intravedere anche una nuova trascendenza.
Per Durkheim l’individuo entra in rapporto con gli altri soltanto attraverso la società, la
quale non è né una molteplicità di individui, né una semplice parte di un tutto, né la singolarità di un concetto. Raggiungere l’altro attraverso il sociale significa raggiungerlo in una
trascendenza che non è quella dell’oggetto. Il sociale è il piano delle “Rappresentazioni collettive” dove l’individuo viene soltanto riconosciuto e colto; questo piano dell’essere è dello
stesso ordine dello spirituale: più precisamente, per Durkheim il religioso è riconducibile
alla Rappresentazione collettiva.
Tornando a noi, dunque, la presenza dell’altro in quanto tale o espressione, è sorgente di
ogni significazione e va intesa esteriormente come linguaggio.
L’espressione linguistica non è una manifestazione sensata tra le altre opere: nel linguaggio,
infatti, io assisto alla mia manifestazione, mi auto-presento, sono insostituibile e perciò non
cado nel possesso, non divento inglobale. Nell’espressione come non-reciprocità e non-anonimato, la persona è presente nella sua unicità, non è interscambiabile; così, nel linguaggio,
l’altro non è termine di una relazione di reciprocità ma è inizio di discorso”.
15.12 Verso una nuova teoria sociale dell’emozione
Molti teorici sociali tendono a sottovalutare, ignorare o bollare come irrilevanti le emozioni
delle persone. Per questi studiosi i sentimenti individuali non hanno alcun rapporto con
l’ordine sociale. Tuttavia, poiché gli interazionisti simbolici si concentrano sul significato
soggettivo, ci si dovrebbe aspettare un loro maggiore interesse nei confronti delle emozioni
rispetto a quello manifestato dagli altri pensatori, e una loro offerta maggiore di contributi
per una vera e propria teoria sociale delle emozioni.
198
Indirettamente, la discussione di Weber sull’importanza del significato soggettivo nella sua
definizione di sociologia, apre uno spiraglio sulla relazione che intercorre tra le emozioni
individuali e l’interazione sociale.
Si potrebbe arguire, a questo punto, che il significato soggettivo che un individuo ascrive ad
una precisa situazione include un elemento di emotività.
I sentimenti delle persone nei confronti di coloro con cui sono in contatto sono un fattore
che può entrare nella definizione individuale della situazione, e quindi influenzare le decisioni relative alle possibilità di interagire, abbandonare o, come suggerisce Weber, accettare
passivamente la situazione stessa.
Con un secondo sguardo alla descrizione dei legami umani operata da Simmel, si può
scoprire che sono incluse due emozioni, la gelosia e la gratitudine, come esempi di quelle
“infinite piccole sintesi” che legano continuamente le persone.
In maniera simile, Cooley, nella sua definizione di sé speculare, fa un esplicito riferimento
alle sensazioni di sé, come l’orgoglio e la mortificazione, che derivano da come noi ci immaginiamo che gli altri giudichino il nostro apparire.
Anche la dissertazione di Blumer sul ruolo dell’auto-indicazione nel processo interpretativo
include un accenno chiaro alle emozioni. Chi manifesta le proprie ansie e preoccupazioni
personali, sta cercando di interpretare cosa lo disturba.
Gli esempi di autointerazione emozionale vanno dal bambino che dice di avere paura quando sente un tuono per la prima volta, fino alla donna che pensa fra sé di non essere in grado
di aspettare di vedere il suo compagno quando il suo treno entra in stazione.
Preoccupazioni, ansie, gelosia, orgoglio, amore, disprezzo: una vasta schiera di emozioni
sono contenute nei dialoghi interiori delle persone. In questo modo, ciò che le persone
provano e le auto-indicazioni su questi sentimenti le aiutano a tracciare la loro condotta.
In breve, spesso gli esseri umani scelgono un comportamento invece di un altro perché lo
percepiscono emotivamente positivo.
Due altri teorici che includono elementi emozionali nelle loro riflessioni sono Goffman e
Collins. Il controllo delle impressioni di Goffman è essenzialmente una strategia per evitare
l’imbarazzo o la vergogna ed è ispirato dall’orgoglio, il desiderio di apparire bene.
Quando Goffman si chiede se, in fin dei conti, non siamo tutti degli attori, indica una delle
ragioni per cui cerchiamo di indirizzare le impressioni altrui: evitare l’imbarazzo.
Collins disserta su come i rituali siano in grado di intensificare il coinvolgimento emotivo
e unire in maniera più intensa i partecipanti a certe visioni e, come conseguenza, questi
rituali tendano a rafforzare e legittimare un determinato ordine sociale.
Sotto l’influenza di Goffman e di Durkheim, Collins ha inserito l’energia emotiva come
una parte essenziale nel suo modello di interazione rituale a catena, sostenendo che la base
di ogni interazione è un sentimento minimo di positività nei confronti degli altri.
Così un individuo accettato all’interno di una conversazione, riceve da quell’esperienza
non solo un aumento di energia emozionale positiva, ma anche risorse emotive aggiuntive
(confidenza, calore, entusiasmo) con le quali negoziare nella prossima interazione.
Queste catene, per Collins, si estendono attraverso la vita di ogni persona.
Arlie Russell Hochschild nell’attività emotiva, scrive: “Quando l’attenzione si è spostata sulle
differenze sessuali e le preoccupazioni delle donne, il movimento delle donne ha aiutato i Socio-
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logi a scoprire nuove aree di ricerca e nuovi concetti, allargando in questo modo l’orizzonte della
Teoria Sociologica.” Fra le femministe che hanno svolto un serio lavoro teoretico sulle emozioni, Arlie Russell Hochschild risulta una figura dominante e il suo libro “The Managed
Heart: Commercializator of Human Feeling” è un’indagine pionieristica.
Sebbene né Mead né Blumer avessero sviluppato una riflessione intorno alle emozioni,
questa nuova teoria sociologica è in parte un’estensione dell’interazionismo simbolico. La
Hochchild prende spunto da numerosi studiosi, fra cui Dewey, Goffman e Freud. Per la
Hochschild sia Goffman sia Freud hanno offerto una prospettiva limitata riguardo alle
emozioni, poiché il primo si è specializzato nello studio dell’imbarazzo e della vergogna e
il secondo su quello dell’ansia. All’opposto, la teoria della Hochchild comprende un’intera
gamma di emozioni che include: angoscia, depressione, frustrazione, rabbia, paura, disprezzo, colpa e ansia.
La Hochchild si è concentrata sulla nozione di “lavoro emozionale” che ha definito in questi
termini: “Uso il termine lavoro emozionale per alludere al controllo dei sentimenti teso a impostare un’espressione pubblicamente osservabile; il lavoro emozionale è venduto in cambio di un salario ed è quindi dotato di un valore di scambio; uso allo stesso modo i termini di attività e controllo
emozionale riferendomi a quelle azioni condotte in privato dove hanno sempre un valore d‘uso”.
La Hochchild ha compiuto una ricerca sul lavoro emozionale all’interno di due occupazioni: le assistenti di volo (per lo più donne) e i controllori di biglietti (per lo più uomini).
La ricerca ha evidenziato che alle assistenti di volo viene richiesto di “provare simpatia,
confidenza e buona volontà”, mentre ai controllori “di provare diffidenza e in alcuni casi
anche avversità”.
Ecco un estratto da un’intervista con una assistente di volo: “Seppure mi consideri una persona sincera, ho allenato la mia faccia a non tradire alcun segno di allarme o di paura. Mi sento
molto protettiva nei confronti dei miei passeggeri. Soprattutto non voglio che si spaventino. Se
precipitiamo o se stiamo per fare un atterraggio in acqua, non abbiamo molte possibilità di
sopravvivere, anche se noi assistenti di volo sappiamo perfettamente cosa fare. Tuttavia io penso
di essere in grado, e penso che questo valga per molti dei miei colleghi, di impedire ai passeggeri
di preoccuparsi. La mia voce potrebbe tremare leggermente durante gli annunci, ma credo che
siamo in grado di fare sperare la gente... per il meglio”.
La Hochchild ha scoperto che la lotta che si combatte per mantenere la differenza fra ciò
che si prova e ciò che si finge di provare, porta ad una tensione nelle persone che sono impegnate in occupazioni che richiedono un lavoro emozionale; una tensione che ha etichettato come “dissonanza emotiva”. A suo giudizio, noi cerchiamo di ridurre questa tensione
cambiando ciò che proviamo o ciò che fingiamo di provare.
La dissonanza emotiva presente nel controllo delle emozioni scoperta dalla Hochchild è
risultata essere quello che Merton chiama la “Riformulazione della Teoria della Dissonanza
Cognitiva”, estendendone i suoi confini.
Un’altra femminista importante per la Sociologia delle emozioni è Nancy Chodorow. Nel
suo libro “The Reproduction of Mothering”, la Chodorow amplia le teorie freudiane fino
ad affermare che i bambini maschi si percepiscono diversi dalle madri con le quali hanno
avuto la loro prima relazione emotiva ed imparano a sopprimere le loro qualità femminili
per compiere pienamente la loro identità maschile.
200
In questo modo i maschi crescono con una capacità di relazione in qualche modo sottosviluppata e tendono a considerare inferiore il lato femminile.
Le bambine, invece, si continuano ad identificare saldamente con la madre, accettano le
loro emozioni e sviluppano un’alta capacità relazionale.
Nella sua ricerca condotta presso i ragazzi e le ragazze di una scuola secondaria attraverso
lo strumento dell’osservazione partecipata, Raphaela Best ha trovato molti esempi di come
i figli apprendano il significato dei generi attraverso l’interazione. L’autrice ha notato che
le ragazze si muovono attivamente nella classe e sono impegnate nei lavori di casa, mentre
i ragazzi rimangono passivi. Talora i ragazzi sfidano l’insegnante (una donna), insistendo
nell’andare in bagno o con altri comportamenti. Sia in classe sia fuori, le ragazze manifestano apertamente le loro emozioni urlando, abbracciandosi o consolandosi l’un l’altra,
quando invece i ragazzi cercano di tenere sotto controllo le loro emozioni e di esprimere
partecipazione solo nel gioco. I ragazzi più giovani sono spesso impegnati nel mettere in
piedi “Club” dai quali sono esclusi tutti coloro che sono percepiti come effeminati, piagnoni, mammoni e secchioni. Perché i sociologi maschi fino a poco tempo fa hanno taciuto sul
tema dell’emotività? Ci si dovrebbe aspettare che la Sociologia delle emozioni sia un argomento appropriato per gli interazionisti simbolici che considerano molto importanti l’interazione del sé e l’interpretazione soggettiva, o per i teorici del conflitto che si occupano delle
relazioni fra personalità e struttura sociale e che spesso si appoggiano alla teoria di Freud.
Il recente studio di Meisenshelder su Habermas e il femminismo, possono offrire un contributo su questo problema. Sebbene Habermas, al pari di altri teorici della critica, consideri
come caratteristica centrale dell’essere umano la ragione, non ritiene necessario l’investigare
su esperienze emozionali come la preoccupazione, l’affetto e la solidarietà all’interno della
sfera familiare. Per Meisenhelder: “Habermas accetta all’interno della ragione i valori estetici
e quelli morali, ma non i sentimenti. Alla fine non riesce mai a liberarsi dalla dualità del pensiero patriarcale... La sua concezione della ragione rimane formale e non riesce a rappresentare
adeguatamente l’esperienza degli uomini e delle donne reali”.
In uno studio sulle famiglie della classe lavoratrice, Lillian Rubin riporta un’intervista nella
quale si rivela il rifiuto maschile dei sentimenti e la visione del marito circa l’emotività della
moglie. “Certe volte è come una bambina, così emotiva. Io cerco sempre di ragionare con lei, di
spigarle le cose. Se non fosse per me, non ci sarebbe nulla di razionale in giro”.
Per la Rubin, quindi: “l’equazione fra emozionale ed irrazionale, l’incapacità di apprendere la
logica delle emozioni, è alla radice dell’incomprensione fra i sessi e aiuta a fare del matrimonio
la relazione più difficile di tutte.
Lei si prepara a convivere con il lato affettivo, espressivo delle cose umane, mentre lui con quello
non-affettivo, strumentale. A lui hanno insegnato che le lacrime sono per le femminucce, i sentimenti per le donne. Un vero uomo è forte, silenzioso, non ha bisogno di nulla da nessuno, ignora
i sentimenti ed il dolore, può trovarsi con l’acqua alla gola senza emettere un lamento. Per una
vita intera gran parte delle sue energie è stata spesa nel modellare se stesso su quell’immagine,
nel negare i propri sentimenti, nel rifiutare che esistano. Senza avvertimenti o preparazione si
trova a fronteggiare una moglie che gli chiede “Parlami dei tuoi sentimenti”. E lui risponde con
stupore: “Che c’è da dire?”.”
Il lavoro della Hochschild e degli altri hanno enormi implicazioni per quello che Goffman
201
ha chiamato l’ordine dell’interazione, perché quando due o più individui si trovano a contatto, i sentimenti reciproci condizionano inevitabilmente i loro comportamenti. Rimane
tuttavia ancora da verificare quale siano le implicazioni sull’ordine macrosociologico di
questo tipo di ricerca. Non sempre però la comunicazione/interazione può riuscire come si
vorrebbe, perché avendo a che fare con persone differenti, possono intervenire degli ostacoli, incomprensioni ecc, ovvero delle “barriere comunicative” che è importante conoscere e
che andremo quindi ad approfondire nel prossimo paragrafo.
15.13 Le barriere della comunicazione
Già Parry nel (1967) si è avvicinato allo studio della comunicazione in modo differente; egli
infatti ha cercato di spiegare perché in molti casi la comunicazione tra individui può fallire. Ciò di cui si preoccupa è identificare quelle che egli considera essere le sette principali
barriere della comunicazione, non pretendo che questa lista sia esauriente, ma mettendola a
disposizione come un trampolino per studi ulteriori. Le sue sette barriere tuttavia indubbiamente spiegano, come vedremo, molti esempi di interruzione nella comunicazione.
1. Limitazioni delle capacità del ricevente. Si riferisce a situazioni dove l’informazione
presentata può essere sensata e logica, ma è presentata a velocità troppo elevata o in
quantità troppo grande perché il ricevente riesca ad afferrarla, es: un docente che espone troppe informazioni velocemente, nelle sue lezioni egli deve tenere conto dei limiti
dei loro studenti, la loro età, la loro intelligenza ed il livello di profondità teorica, con
riguardo all’argomento delle lezioni.
2. Distrazione. Ci si riferisce a fattori estranei che interferiscono con la ricezione dei messaggi, di cui esistono quattro tipi principali. Il primo è lo stimolo competitivo, a causa
del quale la ricezione è ostacolata dalla presenza di stimoli estranei, non voluti, che
agiscono sullo stesso senso. Un esempio di ciò è quando uno cerca di parlare a qualcuno
quando la televisione è accesa, i suoi occhi e le sue orecchie, tendono a essere distolti
verso lo schermo della TV. La situazione è ancora peggiore quando lo stimolo competitivo è molto simile al messaggio che si sta trasmettendo. È già abbastanza difficile
cercare di tenere una conversazione ad un party nella migliore situazione, ma diventa
caotico quando il gruppo vicino a noi sta tenendo una conversazione simile sullo stesso argomento. Lo stress ambientale agisce anch’esso come un elemento di distrazione.
Estremi della temperatura, umidità, ventilazione vibrazione, rumore e luce abbagliante,
intaccano tutti grandemente la capacità di una persona a prestare attenzione ad un messaggio. Analogamente, stress interni come l’ansia, gli effetti della droga o dell’alcool e
della cattiva salute, rendono difficile la concentrazione. L’ignoranza del mezzo di comunicazione, può essere una tale distrazione da rendere la comunicazione quasi totalmente
impossibile. Difficilmente uno potrà studiare ed imparare alla sorbona se non conosce
la lingua francese.
3. Gli assunti taciti. Questa è una forma molto comune di fraintendimento causato dal
fatto che colui che parla fa un assunto tacito, per esempio sul significato di una parola
o concetto. Questo è vero particolarmente nella psicologia ove vengono assunti termini
dal linguaggio quotidiano e ad essi vengono dati dei significati scientifici altamente
specifici.
202
4. Incompatibilità di schemi. Parry cita la definizione di Vernon di schemi come “classificazioni di persistenti ben radicate e ben organizzate di modi di percepire, pensare e comportarsi”.
Delle persone con schemi radicalmente differenti assimileranno e interpreteranno dei
dati in modi differenti. Gli schemi possono essere denominati incompatibili quando
presentano relazioni inconciliabili degli stessi dati. Così non possiamo aspettarci che
una reale comunicazione abbia luogo fra un comunista e un conservatore che discutono
della disoccupazione o fra un ateo e un cattolico praticante che dibattono le origini
dell’universo. Analogamente all’interno della psicologia; solo in un secondo tempo i
comportamentismi ed i cognitivisti hanno considerato cosa degna parlarsi l’uno con
l’altro. Rimane da vedere quanta reale comunicazione ci può essere.
5. L’influenza di meccanismi involontari e parzialmente volontari. Si riferisce alla barriera
causata da aspettative e pregiudizi che riguardano gli altri a vari livelli di controllo psichico. Se si sospettano le motivazioni di un’altra persona o se uno si sente non a proprio
agio in sua presenza, la comunicazione sarà impedita. Qualche volta noi proviamo una
istantanea antipatia per qualcuno e ci troviamo totalmente ostili nei confronti dei suoi
argomenti. Spesso comprendiamo più tardi che ciò è perché egli ci ricorda qualcuno
che ci è antipatico e in cui non abbiamo fiducia, un esempio di generalizzazione dello stimolo. I Freudiani sosterrebbero che il fenomeno di proiezione è un esempio di
questo tipo di barriera a causa della quale una persona interpreta il comportamento di
un’altra in termini dei suoi bisogni ed impulsi inconsci. La sua ricezione del messaggio
probabilmente muterà secondo i suoi desideri o paure private. Parry ricorda anche i
tabù sociali come attori che impediscono di parlarsi francamente. Il sesso, il tabù sociale
delle generazioni precedenti, è stato ora probabilmente superato e sostituito dalla morte
poiché la gente tende a essere molto riluttante a discuterne.
6. Presentazione confusa. È un evidente ostacolo a una comunicazione soddisfacente, poiché ne riduce l’efficacia. Non importa quanto sia importante l’argomento, il messaggio
può facilmente fallire se è presentato in malo modo. Analogamente, un argomento
potenzialmente insulso o dubbio, può essere ben recepito se è presentato in uno stile
chiaro e preferibilmente in un tono da intrattenimento. Fra gli sbagli di chi comunica
male e confusamente ci sono una povera scelta di vocaboli, divagare senza riuscire ad
arrivare al punto, un’enfasi sbagliata e una dizione non corretta. Altri esempi possono
essere i gerghi utilizzati nei formulari delle mutue, i moduli delle tasse e le lettere di
alcuni avvocati.
7. Assenza di canali di comunicazione. Questa barriera può sembrare troppo ovvia da
includere l’assenza di ogni mezzo per portare a contatto un potenziale emittente e un
potenziale ricevente: significa ovviamente che nessuna comunicazione può avere luogo.
Tuttavia, l’importanza di questa barriera sta nel fatto che qualche volta un canale esistente è più apparente che reale. Un annuncio di guerra presentato solo su una stazione
radio che trasmette su alta frequenza, informerebbe una piccola parte della popolazione
sull’andamento nazionale degli avvenimenti. Analogamente, poche persone riceverebbero il messaggio trasmesso dal bollettino ufficiale universitario. I soldati sanno bene
che la frase dell’ufficiale comandante “ci sono reclami?” è certamente un offerta più
apparente che reale di canali di comunicazione. Analogamente, gli studenti sanno bene
203
che la frase del docente “ci sono domande?” alla fine di una lezione, magari all’ora di
pranzo, funziona soprattutto come segnale per dire che la lezione è finita.
15.14 Conclusioni
Come si è potuto evincere, per effettuare nel migliore dei modi una mediazione, è importantissimo non trascurare nulla riguardo alla comunicazione verbale e non verbale, alle tecniche di controllo delle emozioni e all’ascolto. Se per il mediatore civile è importante saper
comunicare, non lo è da meno saper ascoltare quello che gli altri ci comunicano.
Ciò non significa solo sentire, ma ascoltare nel modo più attivo ed empatico possibile,
ovvero ascoltare con l’intento di capire senza giudicare.
Riuscire a vedere le cose con gli occhi dell’altra persona, “capire” il suo sistema rappresentativo e ricalcare il suo comportamento come se fosse il nostro: questo tipo di ascolto presuppone l’essere attenti e presenti, l’osservare l’intero linguaggio (verbale e non verbale) ed
ogni piccolo dettaglio, poiché ciò fa la differenza. Per raggiungere tale obiettivo è necessario
essere aperti nel capire i sentimenti ed i pensieri dell’interlocutore ed utilizzare modalità di
pensiero assolutamente non rigide, ma, al contrario, molto flessibili.
Un ascolto di questo tipo è molto efficiente perché fornisce dati precisi sulla persona che
si ha davanti, invece che proiettare sugli altri le proprie convinzioni, giudizi, esperienze
passate.
Solo agendo in questo modo vi troverete di fronte alla realtà dell’altra persona, al suo modo
di “vedere” e di saper rappresentare le cose.
Arrivati al termine di questo saggio, è un atto dovuto dare una sintetica, ma sufficientemente esaustiva spiegazione, di cosa sia la “sociologia”, in modo tale da fare capire meglio le
tecniche e le metodologie usate per lo svolgimento di questo lavoro/articolo.
La Sociologia è lo studio scientifico dei rapporti sociali, delle istituzioni e della società;
(Smelser).
Che cosa intendiamo per studio scientifico?
• Il sociologo formula le ipotesi sulla base dello stato delle conoscenze esistenti e facendo
riferimento ad un preciso quadro teorico (per esempio, alla teoria delle classi sociali).
• Queste ipotesi si riferiscono ad un oggetto di ricerca intorno al quale sia possibile
condurre un’indagine empirica: cioè raccogliere dati in maniera rigorosa e sistematica.
• Sulla base delle ipotesi di partenza (approccio deduttivo) la ricerca viene strutturata in
modo da essere organizzata e ottenere dati analizzabili.
• Deve permettere di formulare una spiegazione dei fenomeni osservati. Per esempio,
l’influenza dello status sociale del padre sui risultati scolastici dei figli.
• La spiegazione deve essere confrontata con le ipotesi di partenza, che possono essere
verificate, falsificate, o modificate. Chiarezza dei presupposti e rigore metodologico…
• Definire il quadro teorico di riferimento.
• Chiarire i concetti che si intendono utilizzare.
• Definire le ipotesi di partenza.
• Utilizzare la metodologia adatta all’oggetto di ricerca prescelto.
• Diversificare i metodi e utilizzare un approccio comparativo.
204
In sociologia troviamo due diversi approcci: l’approccio deduttivo e quello induttivo. Nella
concreta prassi della ricerca questa distinzione sfuma: non esiste un approccio deduttivo
puro, che non sia corrotto dal materiale empirico che deve trattare, così come non esiste
ricerca che non sia guidata da ipotesi di ricerca, anche molto grezze, che guidino la raccolta
dei dati.
Il problema dei valori.
• Un ricercatore è un uomo inserito in una società, in cui ricopre diversi ruoli, e in cui
segue delle traiettorie biologiche, biografiche, di carriera… e delle traiettorie morali.
• Egli dunque ricopre una posizione (da cui scorge un avvenire e che contiene la memoria
di un passato): a questa sono legate delle disposizioni e dei punti di vista sul mondo;
• Noi scegliamo il nostro oggetto di ricerca sulla base di preferenze, gusti, e spesso di
valori.
Come evitare la confusione tra la ricerca e le proprie opzioni ideologiche e valoriali?
• Max Weber distingue concettualmente tra rapporto ai valori e scelte di valore.
• I giudizi di valore riguardano le opzioni morali dell’individuo e devono essere banditi
dalla ricerca scientifica.
• Il rapporto ai valori si riferisce all’atteggiamento dello scienziato: che consiste nell’avalutabilità.
• Il ricercatore può scegliere in base ai propri valori, ma si astiene da giudizi di valore.
• L’unico antidoto serio è il rigore metodologico.
Cos’è un’ipotesi di ricerca.
• Il punto di partenza di ogni ricerca è un’idea sulla causa di un evento o su un modello
di comportamento.
• Il ricercatore dunque ipotizza che una serie di fenomeni sia correlata ad un’altra;
Per esempio: esiste una correlazione tra classe sociale e voto politico, o tra fede religiosa
e voto politico?
• Un’ipotesi va enunciata in modo tale che se ne possa provare la verità o la falsità.
• Le ipotesi non sono idee isolate: sono sempre radicate in una o più teorie (teorie del
conflitto, teoria funzionalista, ecc).
I metodi della ricerca sociologica.
• Sono regole e procedure con cui il ricercatore cerca di produrre conoscenza valida della
società: il presupposto è che i fenomeni sociali abbiano una causa.
• Il sociologo interroga i dati: quali sono i fattori portano alla devianza?
Quali alla decisione di sposarsi, di votare, di entrare a far parte di un partito o di un sindacato, di andare al mare o di trasferirsi all’estero?
• Secondo Smelser, se non ci fossero cause di questo genere, dovremmo per forza
concludere che il comportamento sociale si verifica a caso e che non può esser compreso.
Variabili.
• I rapporti di causa ed effetto vengono cercati dimostrando la relazione tra due variabili.
• Una variabile è un concetto che assume valori differenti: l'età (può avere una gamma
di valori).
• Quando i sociologi avanzano una congettura sul rapporto tra una variabile indipendente
e una dipendente, stanno formulando un’ipotesi (adattato da Smelser).
205
L’indagine campionaria.
• Noi acquisiamo dati sul comportamento, gli atteggiamenti o le opinioni degli individui, interrogando un gruppo rappresentativo di essi.
• Il sociologo definisce attentamente il gruppo di persone o le altre unità (p.e. i nuclei
familiari) che si desidera studiare.
• Il termine popolazione si riferisce a tutti i membri di una data categoria sociale; la
popolazione è dunque un insieme di persone definite in base a una o più caratteristiche
comuni.
• Il sociologo seleziona un campione, ossia una parte della popolazione da studiare; un
campione selezionato a regola d’arte permette di raggiungere conclusioni valide per
l’intera popolazione.
• Al campione viene somministrato un questionario preparato a seconda degli obiettivi
stabiliti.
La ricerca etnografica.
• La ricerca etnografica è detta ricerca sul campo (praticata sistematicamente dai sociologi
della scuola di Chicago e in generale dagli antropologi).
-- Osservazione diretta.
-- Osservazione partecipante.
• Intervista approfondita.
La ricerca storica.
• Max Weber usa la ricerca storica per far luce sui legami tra religione e cambiamento
sociale.
• Weber mostra che il protestantesimo, in particolare nella versione sviluppata da Calvino,
contiene alcuni elementi (autodisciplina, ascesi intramondana) che rappresentano delle
componenti fondamentali del successo nel mondo degli affari.
La ricerca sperimentale.
• Metodi elaborati dagli psicologi sono applicati anche alla sociologia.
-- Obiettivo: l’osservazione di piccoli gruppi di persone in un ambiente controllato.
-- Metodo usato per studiare fenomeni come la leadership, i modelli di cooperazione
e di competizione.
• Procedura.
-- Si utilizzano due gruppi di persone praticamente identici, di cui uno riceve uno
stimolo che l’altro non ha;
-- Confrontando i risultati ottenuti, i sociologi possono valutare scientificamente gli
effetti dello stimolo.
-- Il gruppo sperimentale è quello che riceve lo stimolo.
-- Il gruppo di controllo è quello che non riceve lo stimolo.
Diversi punti di vista sull’oggetto.
• Ogni oggetto di ricerca può essere studiato a diversi livelli di generalità. Possiamo
distinguere tre livelli:
1. Macrosociologico: es. i fenomeni di scolarizzazione a livello nazionale.
2. Meso-istuzionale: es. la ricerca storica sull’evoluzione delle forme di organizzazione
scolastica.
206
3. Micro-sociologico: es. gli studi di caso, analisi d’istituto. L’osservazione di gruppi.
L’interazione in classe.
• Ogni livello di ricerca predilige particolari metodi.
• Il questionario è indispensabile al livello macrosociologico.
• L’osservazione diretta è imprescindibile a livello microsociologico.
Il dato è una costruzione.
• I metodi di ricerca sono gli strumenti di costruzione dei dati utilizzati nei differenti
approcci e nei diversi punti di vista.
• I diversi metodi servono per raccogliere i dati empirici sui fenomeni studiati.
• Il dato non esiste in natura quale oggetto che deve essere semplicemente raccolto.
• La raccolta dei dati viene effettuata con dei metodi che determinano la qualità stessa
del dato raccolto.
• Ogni metodo di ricerca porta un punto di vista diverso sull’oggetto.
La sociologia si riferisce a uomini in società.
• Il punto di vista sugli individui e le loro azioni cambia se si tratta di ricerca quantitativa
o qualitativa.
• La ricerca quantitativa ci permette di definire la dimensione dei fenomeni studiati.
Per esempio: quanti bambini abbandonano la scuola ad una certa età, e in riferimento
a certe variabili indipendenti (professione del padre, zona di abitazione, ecc…).
• L’individuo di cui parla la sociologia (quantitativa) non è un individuo concreto, ma è
un individuo teorico, di cui analizza le diverse caratteristiche al fine di osservare in che
modo alcune di queste possono influenzare certi comportamenti, opinioni, rapporti
sociali.
• In questo senso si distingue tra variabile indipendente e variabile dipendente.
• La variabile dipendente spiega i valori della variabile indipendente.
• La professione del padre è una buona variabile indipendente per spiegare il successo,
l’insuccesso o l’orientamento scolastico dei figli.
Livello microsociologico.
• A questo livello l’oggetto dell’osservazione è rappresentato dalle interazioni quotidiane
delle persone. Essa permette di analizzare i processi sociali, cioè di rispondere alla
domanda come accadono le cose.
• Per comprendere i fenomeni sociali occorre assumere il punto di vista degli attori.
Occorre conoscere il significato che gli individui attribuiscono alle loro interazioni.
• L’accento viene posto sugli individui, sulle azioni, le motivazioni e i significati che
danno forma alle loro interazioni sociali.
• Le strutture della società sono sostenute e continuamente cambiate dal lavorio
incessante delle interazioni. Interazionismo simbolico (Scuola di Chicago, adattato
da Smelser).
• Il comportamento umano non è una reazione immediata ad uno stimolo esterno.
• Gli uomini attribuiscono un significato agli stimoli che ricevono e rispondono a questi
significati, o simboli, piuttosto che agli stimoli stessi.
• L’esperienza è una conoscenza condivisa del significato di questi simboli, nella maggior
parte dei casi questo permette un’interazione senza problemi.
207
Stimoli dal significato ambiguo.
• Questi rendono più difficile alle persone capire che cosa voglia dire il comportamento.
• Rivolgere la parola ad un estraneo in un luogo pubblico è un caso problematico
d’interazione: occorre valutare il significato: chi è? cosa vuole?
• Dal momento che non la si conosce, la si osserva attentamente alla ricerca di elementi
e di indizi sul significato delle sue parole e delle sue azioni per rispondere in modo
adeguato.
• La Scuola di Chicago ha studiato: i fenomeni di immigrazione negli Stati Uniti; la
sociologia urbana; le professioni: i medici, gli infermieri, gli insegnanti, i musicisti, le
prostitute; la devianza.
Livello macrosociologico (adattato da Smelser).
• Oggetto di studio sono i modelli di comportamento che caratterizzano intere società.
• Questi modelli o strutture comprendono la famiglia, istruzione, la religione e
l’ordinamento politico ed economico.
• Le persone nascono all’interno di una serie di strutture sociali e ne sono profondamente
influenzate.
• Il principale interesse dei sociologi che optano per una prospettiva macro è costituito
dallo studio dei rapporti tra le varie parti della società e dai processi con i quali questi
modelli cambiano.
• In questo approccio osserviamo due teorie dominanti: il funzionalismo (Durkheim,
Parsons, Merton), e la teoria del conflitto (Marxismo, approccio neo-weberiano).
15.15 Bibliografia
-- B. Valli. (1998). L’interazione comunicativa. Quattroventi pp. 89-105.
-- F. Nanetti. (1996). La comunicazione trascurata. Armando editore. pp. 67-72, 127-136,
151-155.
-- L. Benvenuti. (2008). Lezioni di socioterapia. Baskerville.
-- L. Benvenuti. (2002). Malattie Mediali, Elementi di socioterapia. Baskerville.
-- I. Matteucci. (1995). Agire comunicativo e contenuto di senso. Quattroventi. pp. 83-86,
116-118.
-- F. Crespi. (1989). Azione e potere. Cfr. pp. 53-69, Bologna.
-- F. Crespi. Le vie della Sociologia, problemi teorie, metodi. (1985). Bologna. pp. 300-301.
-- F. Crespi. La mediazione simbolica e società. (1982). Milano. p. 20-21.
-- E. Lévinas. Totalità e infinito. op. cit. p. 15.
-- L. Austin. Come fare cose con le parole. op. cit. p. 82
-- Ruth A. fallace & Alison Wolf. (1997). La teoria sociologica contemporanea. Il mulino.
-- J. habermas. Teoria dell’agire comunicativo, I, razionalità nell’azione e razionalizzazione
sociale, op. cit. pp. 444-456.
-- L. Wittgenstein. Della certezza. Tradotto in italiano da M. Trinchero, (1978). Torino.
-- C. Salusso. (ed. 2004- rev. 2008). Verso una nuova teoria sociale dell’emozione. Ricerca
effettuata per l’ASC (Associazione di sociologia clinica).
-- P. Paolo Giglioli e G. Fele. (2000). Linguaggio e contesto sociale. Il mulino.
-- F. Manattini. (1996). Neutralizzazione del conflitto e disagio individuale. QuattroVenti.
208
-------
A. Marcarino. (1997). Etnometodologia e analisi della conversazione. QuattroVenti.
A. Palmonari. (1998). Processi simbolici e dinamiche sociali. Il mulino.
W. James. (1999). L’uomo come esperienza. L’ancora.
G. Jervis. (1998). La conquista dell’identità. Feltrinelli.
M. Rizzardi. (1998). Psicologia sociale e sviluppo della personalità. QuattroVenti.
W. Levati e M. V. Sarao. (2002). Psicologia e sviluppo delle risorse umane nelle organizzazioni. FrancoAngeli.
-- R. Aron. (2000). Le tappe del pensiero Sociologico. Oscar Mondatori.
-- R. A. Fallace - A. Wolf. (1997). La teoria sociologica contemporanea. Il Mulino.
209
16. L’APPROCCIO MULTILIVELLO ALLA MEDIAZIONE INTERNAZIONALE
A cura del Prof. Bernardo Venturi
Direttore Centro Studi Difesa Civile (CSDC)
Università di Bologna
L’articolo si prefigge di fornire una visione d’insieme dell’approccio multilivello alla mediaizone internazionale che è analizzata ripercorrendone la storia nei suoi passaggi più importanti e nelle elaborazioni concettuali che ne hanno permesso lo sviluppo e la sistematizzazione. Sono poi approfonditi i principali strumenti, principi e risvolti operativi anche
attraverso la presentazione di molteplici studi di caso in cui diverse tipologie di attori hanno
operato in varie aree di conflitto.
Parole chiave: mediazione, facilitazione, diplomazia multilivello, peacekeeping, peacebuilding.
16.1 Introduzione
I sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (Alternative Dispute Resolutioni, A.D.R.), grazie anche alle prime risposte legislative, cominciano a occupare un ruolo rilevante dentro e fuori dalle università e si propongono come un’innovazione nel panorama
giuridico e sociale italiano a cui prestare particolare attenzione. L’articolo analizza il livello
internazionale, dove pratiche di mediazione, di facilitazione o di altro tipo sono presenti a
vario livello e con differenti approcci dalle quali anche il contesto italiano può trarre “lesson
learned” interessanti, sia a livello interno, sia per accrescere e migliorare il contributo di
attori italiani fuori dai propri confini.
I conflitti macro rappresentano certamente una sfida molto complessa, di non facile lettura,
interpretazione, risoluzione o trasformazione. Esistono però molte tecniche e orientamenti
che permettono di applicare l’approccio della gestione costruttiva dei conflitti in situazioni
differenti e che hanno portato in molti casi a risultati apprezzabili.
L’articolo è suddiviso in tre parti. Nella prima sono chiariti alcuni concetti - in primis
“mediazione”, “negoziazione” e “facilitazione” - e la loro versatile applicabilità a livello internazionale. La seconda parte si focalizza sulla diplomazia multilivello e, in particolare,
viene considerato il lavoro teorico e pratico svolto dall’Institute for Multi-Track Diplomacy
(IMDT). L’articolo si chiude con l’attenzione rivolta ad alcuni studi di caso storici e alle
prospettive future della mediazione multilivello internazionale.
16.2 Mediazione, negoziazione, facilitazione
È importante innanzitutto approfondire anche i principali concetti che useremo nell’articolo. Questo perché, per di più, per concetti come quello di mediazione, non esiste una
definizione univoca.
Un primo chiarimento riguarda gli aggettivi “macro”, “internazionale” e “globale” che saranno usati nell’articolo in modo simile. “Macro” rende l’idea del livello più ampio dei rapporti interpersonali (“meso”) e di quelli sociali (“meso”). “Internazionale”, che deriva dalla
tradizione di realista di politica tra stati-nazione, non verrà utilizzato in questo stretto senso
210
in quanto la politica oltre lo Stato non è soltanto rapporto tra Stati. Sarà invece utilizzato
nel più ampio e comune senso di “mondiale”, o, appunto, “globale”.
La mediazione costituisce un metodo alternativo di risoluzione delle controversie, nel quale il mediatore (un attore terzo neutrale e imparziale) facilita il dialogo in un processo
organizzato per aiutare le parti a raggiungere un accordo finale soddisfacente92. Possiamo
anche dire, in accordo con Castelli, cosa non è la mediazione: non è un negoziato, una
procedura arbitrare o legale, non ha legami con la psicoterapia93. La definizione di Bercovitch riportata da Scotto e Arielli chiarisce bene cosa sia la mediazione: “La mediazione
è un processo di assunzione di decisioni e di gestione del conflitto. Essa viene attivata quando
le parti non sono in grado di risolvere il conflitto”94. Questo significa, a livello di macroconflittualità, che due o più parti possono richiedere l’aiuto di una terza parte (o può essere la terza parte stessa a offrirsi) quando l’escalation del conflitto ha preso una direzione
che potrebbe generare, o sta già creando, situazioni di violenza più o meno organizzata.
Continua la definizione: “[la mediazione] è essenzialmente un negoziato con l’aggiunta di un
altro attore. La mediazione è una forma non coercitiva, nonviolenta e in ultima analisi non
vincolante per assumere decisioni”95. Proprio questa dimensione non vincolante e informale
favorisce sul piano internazionale il ruolo di attori non governativi, come avremo modo
vedere più avanti.
Conclude Bercovitch: “I mediatori non hanno l’Autorità di costringere le parti a superare le
loro divergenze. I mediatori si inseriscono in un conflitto per risolverlo o modificarlo. Essi portano con sé le proprie idee, conoscenze, risorse, interessi. Il loro intervento per la soluzione del
conflitto è temporaneo”96. Ciò è fondamentale per ribadire sia che il mediatore ha un “bagaglio” personale e culturale di cui bisogna tenere sempre presente, sia che la sua presenza
deve essere limitata nel tempo, oltre a essere contrassegnata, aggiungiamo, da modalità non
invasive. Il mediatore, inoltre, assiste le parti a identificare e ad articolare i loro bisogni,
interessi e priorità, oltre alle tensioni che sentono reciprocamente.
Il mediatore può inoltre lavorare sulla questione specifica che ha generato il conflitto, sul
problema concreto da “risolvere”, oppure sulla trasformazione più profonda delle relazioni
tra le parti per una soluzione che possa essere più solida e duratura nel tempo. Chiaramente
le due tipologie di lavoro non sono da considerare come completamente separati, ma il
processo di mediazione può includere elementi di lunga durata su un problema concreto
o viceversa.
L’accordo alla fine del processo di mediazione è realmente il prodotto finale delle discussioni e delle decisioni delle parti. L’obiettivo della mediazione è trovare un’intesa comune: quando entrambe le parti raggiungono quello che ritengono essere soddisfacente e
vantaggioso per loro stesse. Tale accordo serve come punto di riferimento e ricorda alle
92 Sgubini A., Marighetto A., Preditis M., (2004). Arbitrato, mediazione e conciliazione: differenze e somiglianze alla luce di una prospettiva internazionale ed italiana, in http://www.bridge-mediation.com/main/italia/documents/arbitrato.pdf.
93 Castelli, S. (1996). La mediazione. Teorie e tecniche. Raffaello Cortina, Milano.
94 Arielli, E., Scotto G., (2003), Conflitti e mediazione, Bruno Mondadori, Milano, p. 170.
95 Ibid, p. 171.
96 Ibid, p. 171.
211
stesse il loro trascorso storico, il periodo di confronto, e, eventualmente, le aiuta a prevenire le potenziali liti future97.
Un altro spettro di possibilità nella mediazione è il ruolo del mediatore stesso che può andare
da un approccio facilitativo a uno più direttivo, anche se negli ultimi anni lo stile gandhiano
di mediazione, basato sulla figura carismatica del mediatore, è meno presente98. Nella mediazione a livello macro, il mediatore svolge un lavoro principalmente “politico”, cercando però
di tenere insieme e coerenti una serie di fattori (sociali, economici, culturali, ecc.) che altri
approcci o altre tipologie di mediazione possono, intenzionalmente, tenere distinti.
Anche a livello internazionale la mediazione non va confusa con la negoziazione e con
l’arbitrato. Il negoziato, come abbiamo già visto, si differenzia dalla mediazione fondamentalmente per la presenza di una parte terza. Due stati o fazioni, quindi, negoziano quando
cercano di trovare un accordo senza coinvolgere attori internazionali che non siano direttamente implicati nelle questioni conflittuali.
L’arbitrato, invece, è un metodo in cui le parti coinvolte in una controversia presentano il
loro punto di vista a uno o a più soggetti privati, indipendenti e qualificati come parte terza,
gli arbitri, al posto di regolari giudici, per risolvere il conflitto con una decisione vincolante99. Le parti coinvolte, quindi, spesso non ritengono possibile una mediazione e decidono
di non svolgere un ruolo attivo e da diretti protagonisti del processo di risoluzione, ma si
affidano a una parte con una delega totale e - altra differenza dalla mediazione - vincolante
per entrambi.
L’arbitrato è presente a livello internazionale, ma poco utilizzato. Difficilmente le parti scelgono di delegare il proprio potere decisionale in modo vincolante a una parte esterna. Nei
casi in cui è stato utilizzato, però, ha tendenzialmente dato risultati più che apprezzabili e
duraturi. Già la scelta dell’arbitrato internazionale mostra chiaramente una cultura politica
improntata a una genuina volontà di arrivare a una risoluzione del conflitto, o, almeno, a
un calcolo dei costi e benefici che le diverse opzioni possono comportare.
Una conferma in questo senso arriva dai paesi nordici, dove l’arbitrato è stato utilizzato
rivolgendosi a organizzazioni internazionali. Per esempio, le tensioni tra Islanda e Regno
Unito negli anni cinquanta e settanta sulle acque territoriali di pesca sfociata in accordi
diplomatici, così come i dissensi mostrati dal Regno Unito nei confronti della Norvegia
nel 1951, sempre in ambito di pesca, sono stati risolti attraverso il ricorso alla Corte di
Giustizia Internazionale.
Nella regione l’aspetto della cultura politica è sicuramente rilevante, tanto che l’area viene
definita come “regione di pace”. Va infatti considerato che nell’intera regione (che comprende i paesi rappresentati nel Consiglio Nordico: Finlandia, incluse le Isole Åland, Danimarca, inclusa la Groenlandia e le Isole Færoe, Islanda, Norvegia e Svezia) dall’inizio
97 Sgubini A., Marighetto A., Preditis M., (2004). Arbitrato, mediazione e conciliazione: differenze e somiglianze
alla luce di una prospettiva internazionale e italiana, in http://www.bridge-mediation.com/main/italia/documents/
arbitrato.pdf.
98 Arielli, E., Scotto G., (2003), Conflitti e mediazione. Milano, Bruno Mondadori.
99 Sgubini A., Marighetto A., Preditis M. (2004). Arbitrato, mediazione e conciliazione: differenze e somiglianze
alla luce di una prospettiva internazionale e italiana, in http://www.bridge-mediation.com/main/italia/documents/
arbitrato.pdf.
212
del novecento - ma probabilmente in senso lato si può includere anche il XIX secolo100 - le
conflittualità internazionali (oltre che interne ai singoli paesi) siano state risolte senza ricorrere al confronto armato. In questi decenni le guerre nella regione sono state per invasioni
di superpotenze (l’invasione sovietica della Finlandia del 1939 e quella tedesca della Danimarca nel 1940).
16.3 Diplomazia multilivello
La multi-track diplomacy - tradotta comunemente in italiano con l’espressione “diplomazia
multilivello” - può essere definita come un modo concettuale per “vedere” il processo del
peacemaking internazionale in quanto un sistema “vivo”. Va intanto specificato che l’espressione peacemaking è un processo negoziale ad alto livello che, in caso di successo, si conclude con un accordo tra le parti. La principale peculiarità della diplomazia multilivello è
come presta attenzione alla rete di attività interconnesse, di persone, istituzioni e comunità
che operano insieme per raggiungere la pace101.
La diplomazia multilivello nasce dalla distinzione concettuale tra “Track One e Track Two”,
ampiamente utilizzata nell’ambito della mediazione internazionale. Track One è la diplomazia ufficiale delle cancellerie, mentre Track Two comporta l’intervento di attori non ufficiali e non-governativi professionisti della mediazione internazionale e della risoluzione
dei conflitti.
Track Two nasce non solo per l’inefficienza in molti contesti storici della diplomazia ufficiale, ma come completamento della stessa, in quanto può essere più efficientemente impiegata in determinati scenari. Inoltre, l’incremento dei conflitti all’interno degli stati e non
fra stati ha aumentato, dagli anni novanta, l’importanza di possibilità di mediazione che
battessero piste diverse dalla diplomazia ufficiale.
Già nel 1981, però, Joseph Montville, allora impiegato al Dipartimento di Stato degli USA,
utilizzò per la prima volta il concetto di Trach One e Track Two in un articolo pubblicato su
Foreign Policy insieme a Davidson102. Montville e Davidson definiscono così Track Two (si
noti, in particolare, la spiegazione sulla complementarietà con Trach One):
Track two diplomacy is unofficial, non-structured interaction. It is always open minded,
often altruistic, and […] strategically optimistic, based on best case analysis. Its underlying
assumption is that actual or potential conflict can be resolved or eased by appealing to common human capabilities to respond to good will and reasonableness. Scientific and cultural
exchanges are examples of track two diplomacy. The problem most political liberals fail to
recognize is that reasonable and altruistic interaction with foreign countries cannot be an
alternative to traditional track one diplomacy, with its official posturing and its underlying
threat of the use of force. Both tracks are necessary for psychological reasons and both need
each other103.
100 Joenniemi, Pertti, Archer, Clive. (cur.i), The Nordic Peace, Ahgate, London, 2003, p. 1.
101 ���������������������������������
Diamond L. e McDonald J. (1996). Multi-Track Diplomacy: A Systems Approach to Peace, Kumarian Press.
102 Montville,
��������������������������������������������
J. V., & Davidson, W. D. (1981). Foreign Policy According to Freud. Foreign Policy, Winter 198182, 145-157.
103 Ibid, p. 155.
213
Un ulteriore aspetto d’interesse sottolineato da Montville e Davidson è la presenza di due
aspetti di fondo all’interno di e Track Two. Da un lato, infatti, vi sono seminari organizzati
per favorire l’incontro e il dialogo tra le parti in conflitto, dall’altro un lavoro sull’opinione
pubblica per ridurre il senso di vittimismo e ri-umanizzare l’immagine dell’avversario.
Nonostante questa distinzione, Louise Diamond - che diverrà cofondatore dell’Institute
for Multi-Track Diplomacy (IMDT)104 - constata come il concetto di Track Two raccogliesse insieme troppi elementi della mediazione non ufficiale. Per questo, coniò l’espressione
“multi-track diplomacy” per metterne in luce le diverse possibilità e piste percorribili.
In seguito, l’ambasciatore John McDonald - anch’esso fondatore dell’IMDT - divide inizialmente la Track Two in quattro diverse piste: professionisti del conflict resolution, business,
cittadini privati e media.
Un ulteriore salto in avanti che va a caratterizzale la diplomazia multilivello così come oggi
conosciuta avviene nel 1991, quando Diamond e McDonald allargano il numero di track
a nove. Le quattro nuove sono: religione, attivismo, ricerca, formazione e educazione e,
infine, filantropia. Allo stesso tempo, Diamond e McDonald ribadiscono l’importanza in
un’ottica di complementarietà dell’interazione e contaminazione tra mediazione ufficiale e
non105. Proprio per questo, il diagramma - rappresentato qui di seguito - non è rappresentato con la diplomazia ufficiale al vertice di un rapporto gerarchico, ma con un cerchio con
tutte le piste interconnesse tra loro. Nessuna di esse è più importante delle altre o indipendente dalle altre. Ciascuna ha le proprie peculiarità, risorse e approcci, ma, proprio per la
loro stretta interconnessione, rendono pienamente quando riescono a essere coordinate.
In questo modo, la diplomazia multilivello - in particolare il modello proposto e utilizzato
dall’IMDT - si pone come un approccio fondato su sistemi che partono dalla constatazione
di come la trasformazione profonda delle radici conflittuali non può essere lasciate soltanto
al piano governativo, ma deve essere affrontata da una pluralità di altri attori (società civili, università, soggetti non-governativi, ecc.). La mediazione su più livelli, per giungere a
una pace sostenibile nel lungo periodo, arriva così a interagire anche con il peacebuilding.
Come peacebuilding viene definita la “costruzione della pace” nel medio - lungo periodo,
processo complesso che non serve a gestire le crisi, ma a prevenire violenze o a giungere a
una descalazione di un conflitto proprio nella prospettiva di una soluzione sostenibile. Attraverso questo approccio allargato, la diplomazia multilivello è volta a lavorare attraverso
un approccio olistico e inclusivo alla trasformazione dei conflitti.
16.4 Le nove piste e i dodici principi della diplomazia multilivello
Il diagramma della multi-track diplomacy illustrato qui sotto (in forma stilizzata è anche il
simbolo dell’IMDT) ben rappresenta l’idea di fondo di questo approccio. Gli otto punti del
diagramma stanno per ciascuna delle piste di mediazione e facilitazione, con il cerchio più
interno che rappresenta l’opinione pubblica, che, attraverso il potere della comunicazione,
aiuta a integrare la società.
104 Per maggiori informazioni sulle attività e per ulteriori articoli di approfondimento si veda anche il sito dell’Institute dor Multitrack Diplomacy (IMTD): http://www.imtd.org.
105 ������������������������������������������������������������������������������������������������������
McDonald, J. W. (1991). “Further Exploration of Track Two Diplomacy”. In Kriesberg & Thorson (cur.i),
Timing the De-escalation of International Conflicts. Syracuse: Syracuse Press.
214
Vediamo ora più da vicino ogni singola track.
Track 1 - Governi o peacemaking attraverso la diplomazia. Questo è il livello della diplomazia ufficiale, del policymaking.
Track 2 - Piano non-governamentale professionale atraverso la conflict resolution per prevenire, risolvere o gestire conflitti internazionali.
Track 3 - Business, o peacemaking attraverso i rapporti commerciali. Su questo piano il
business può offrire possibilità di peacebuilding attraverso opportunità economiche, relazioni internazionali, canali informali di comunicazione e supporto per le altre attività di
peacemaking.
Track 4 - Cittadini privati, o peacemaking attraverso il coinvolgimento personale. Questo
livello comprende le diverse attività attraverso le quali i cittadini possono essere protagonisti
in azioni di pace attraverso la diplomazia cittadina, le ambasciate di pace, programmi di
scambio, gruppi di volontariato, ecc.
Track 5 - Ricerca, formazione, educazione o peacemaking attraverso l’apprendimento. Questa quinta pista comprende tre dimensioni tra loro collegate: la ricerca (universitaria, i
centri di ricerca privati o pubblici); i programmi di formazione che cercano di fornire agli
operatori capacità di negoziazione, mediazione, risoluzione dei conflitti, facilitazione di
215
terze parti; e l’educazione, che include tutti i livelli dai bambini ai programmi di dottorato
in modo interdisciplinare.
Track 6 - Attivismo, o peacemaking attraverso l’advocacy (promozione politica). Questo
ramo riguarda l’attivismo policy-oriented su alcune questioni specifiche (disarmo, diritti
umani, interventi civili di pace, ecc.) per migliorare le politiche dei governi.
Track 7 - Religione, or peacemaking attraverso la fede in azione. Questo canale riguarda le
azioni per la pace delle comunità religiose o spirituali o movimenti pacifisti e/o nonviolenti
improntati su una base morale.
Track 8 - Fondi, or peacemaking attraverso la provvigione di risorse. L’ottava pista riguarda
i finanziatori, dalle fondazioni ai filantropi, che supportano le altre piste. Proprio per la
natura di sostegno agli altri canali, questo canale sarebbe, a nostro avviso, potuto essere
rappresentato come l’anello esterno del diagramma.
Track 9 - Comunicazione e media, o peacekeeping attraverso l’informazione. L’attenzione è
qui posta su come i mezzi di comunicazione posso promuovere o sostenere i processi di pace
e la descalazione dei conflitti violenti106.
Concludiamo questo capitolo analizzando i dodici principi proposti dall’IMTD a sostegno
della multi-track diplomacy.
1. Costruzione di forti relazioni interpersonali e tra gruppi.
2. Impegno di lungo periodo - I processi e le relazioni possono avere bisogno di anni per
portare a risultati valutabili concretamente.
3. Sinergia culturale - Rispettando i bisogni culturali di tutte le parti e accogliendo le
interazioni creative di diversi approcci culturali.
4. Partnership - Processi di collaborazione modellati da tutte le parti coinvolte, in particolare con gli attori locali.
5. Tecnologie multiple - Utilizzando diverse tecnologie, in modo appropriato, e creando
nuovi metodi per venire incontro ai bisogni di ogni singola situazione e attore.
6. Facilitazione - Assegnando alle parti responsabilità che coinvolgano i loro sogni e i loro
percorsi futuri.
7. Empowerment - Aiutando le persone a essere attori “potenziati” della capacità di cambiare e trasformare dall’interno le loro società.
8. Ricerca-azione - Apprendendo attraverso tutte le azioni e i processi e condividendo poi
questi processi di apprendimento con altri.
9. Invito - Entrando nel sistema quando c’è un invito e una porta aperta.
10. Fiducia - Costruendo relazioni e fiducia reciproca.
11. Impegno - Imparando che quando entriamo in un sistema diventiamo una sola parte
con esso, un partner impegnato e responsabile.
12. Trasformazione - Catalizzando i cambiamenti nel più profondo livello di credo, valoriale, di presupposti così come a livello strutturale e di comportamenti107.
106 ��������������������������������������������
Institute for Multi-Track Diplomacy (2004). Principles of Multi-Track Diplomacy. Da www.imtd.org.
107 Ibid.
216
Queste piste e principi forniscono un’idea complessiva, benché non dettagliata, della complessità e delle potenzialità della mediazione multilivello sul piano dei conflitti internazionali.
In italiano è diffusa l’espressione “diplomazia popolare”108. Un’espressione sicuramente efficace per mettere in luce il ruolo che giocano persone e popoli nel limitare la violenza su
ampia scala e nel costruire percorsi di pace. Allo stesso tempo, va tenuto presente come
questo concetto esprima soltanto una parte del più ampio spettro rappresentato dalla diplomazia multilivello.
16.5 La concretezza della mediazione multilivello
Vi sono molti casi concreti in cui il processo di mediazione e negoziazione è avvenuto su
più canali o su più livelli vedendo come protagonisti soggetti non istituzionali. In Italia è
particolarmente conosciuto a chi opera nel settore della pace l’opera della Comunità di
Sant’Egidio e, in particolare, la mediazione sull’annosa guerra in Mozambico, dove le diplomazie ufficiali avevano più volte fallito. Nel 1990, infatti, rappresentanti della la comunità
aprono i negoziati tra i contendenti della guerra civile in Mozambico, e due anni più tardi
vengono siglati gli “Accordi di Roma”. Un chiaro esempio della complementarietà e pari
importanza dei diversi canali diplomatici. La Comunità, detta anche “l’ONU di Trastevere”, ha favorito altresì diverse trattative, alcune con conclusione positiva, come l’accordo
di pace per il Guatemala nel 1996, l’Accordo di Garanzia con il quale i politici albanesi si
impegnavano a rispettare il risultato delle elezioni che posero fine all’Anarchia albanese del
1997 e la liberazione del leader kosovaro Ibrahim Rugova. Altre con esito negativo, come le
trattative tra i leader algerini tra il 1994 e il 1999 o il tentativo di raggiungere un accordo
per la pace nel nord dell’Uganda, fallito a causa del rifiuto all’ultimo momento da parte del
LRA di Joseph Kony109.
Varie organizzazioni internazionali hanno realizzato mediazioni che meritano, oltre che
attenzione, studi specifici per imparare “lesson learned” replicabili, almeno parzialmente, in
futuro. Per esempio, l’Humanitarian Dialogue (CHD)110, un’organizzazione nata nel 1999,
nel 2007 ha aiutato l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan a mediare
il raggiungimento di un accordo in Kenia dopo le violenze post-elettorali. Gli accordi portarono in poche settimane a un governo di unità nazionale, mentre la situazione sembrava
completamente fuori controllo111.
Il primo celebre intervento del CHD ha riguardato lo scontro tra il gruppo irredentista della provincia indonesiana di Aceh e il governo nazionale, che non era disposto ad accettare
la mediazione dell’ONU a causa dell’intervento a Timor Est. Anche in Nepal, il CHD è
riuscito a instaurare i primi contatti tra i ribelli maoisti e il governo nepalese: entrambe le
parti erano disposte a negoziare, ma non volevano ammetterlo pubblicamente davanti ai
108 Si veda, per esempio, l’ampio lavoro fatto a partire dagli anni novanta dalla “Campagna Kosovo” in L’Abate,
A. (1999). Una guerra annunciata. Edizione la Meridiana.
109 Per ulteriori approfondimenti si veda il sito della Comunità di Sant’Egidio (http://www.santegidio.org) alla
sezione “Pace”.
110 http://www.hdcentre.org.
111 Si veda anche l’articolo apparso su l’Economist il 3 luglio 2008 “The discrete charms of the International gobetween”, http://www.economist.com/node/11670918.
217
propri sostenitori112. Nel 2008 in Tibet si sono tenute regolari elezioni. Altri interventi del
CHD sono in Darfur, Myanmar, Filippine, Somalia113, tutti teatri molti complessi in cui le
istituzioni internazionali hanno raccolto molti fallimenti. I mediatori del CHD riescono a
operare in modo rapido ed elastica, senza essere portatori di interessi o di ostacoli politici,
come accade invece con le organizzazioni internazionali di tipo istituzionale.
Valido e ricco di intuizioni è anche il lavoro svolto dall’organizzazione “Conflict Forum”
e, in particolare, la sua capacità di collegare i governi occidentali con i gruppi islamici
estremisti (ad esempio Hamas e gli Hezbollah)114. Vi sono poi organizzazioni specializzare
nel peacebuilding e nel peacekeeping civile che, grazie al loro ampio lavoro di costruzione
della fiducia e di spazi di dialogo per la pace dal basso, sono riusciti a facilitare e mediare
situazioni potenzialmente molto esplosive. Si veda, per esempio, il lavoro svolto dall’ONG
internazionale Nonviolent Peaceforce in Sri Lanka o nelle Filippine115.
Molti altri esempi possono essere riportati, dai Balcani al Caucaso116, dal Sud America
all’Asia. Va tenuto in considerazione che il lavoro di questi mediatori è nella maggior parte
dei casi logorante molto faticoso. I conflitti possono trascinarsi per anni, e trasformare il
negoziato in un susseguirsi di tattiche di logoramento. Anche questo lavoro comunque è
utile, perché costruisce un insieme di conoscenze e di fiducia tra le parti in conflitto che
sono difficilmente replicabili.
La peculiarità dei contesti e la singolarità dei rapporti creati, inoltre, rende impossibile
l’universalità di un modello e la sua replicabilità in toto. Certamente, però, alcuni principi
hanno una valenza trasversale, come: l’importanza di coinvolgere attori locali anche nel
processo di mediazione; operare tenendo presente che le parti sono i veri protagonisti della
mediazione e da esse può arrivare una soluzione sostenibile; la complementarietà dei livelli
e l’importanza del loro coordinamento.
I vari casi di successo e la natura dei conflitti internazionali negli ultimi anni inducono
complessivamente a pensare che la diplomazia, la mediazione e la facilitazione multilivello
possano avere sempre più opportunità di sviluppo nei prossimi anni. In Italia è un ambito
in cui operano da poche realtà e, soprattutto, su cui c’è poca letteratura, ricerca e quasi
nessun riconoscimento a livello istituzionale. Università e centri di ricerca possono quindi
fornire un ottimo contributo per ampliare e migliorare la qualità degli interventi esistenti.
Allo stesso tempo, le istituzioni politiche, in primis il ministero degli Affari esteri, possono
trarre vantaggi operativi nel riconoscere e interagire con le varie piste della mediazione
multilivello.
112 Cominelli, L. (2008). Mediazione internazionale nei conflitti umanitari. In: http://www.mondoadr.it/
cms/?p=289 (4 ottobre 2010).
113 ����������������������������������
http://www.hdcentre.org/mediation.
114 ��������������������������
http://conflictsforum.org.
115 ���������������������������������������������������������������
http://www.nonviolentpeaceforce.org/fieldwork/current-projects.
116 Negli anni novanta una mediazione multilivello ha portato ad alcuni accordi tra la Moldavia e l’area separatista della Transnistria. Per approfondimenti si veda: Fisher, Ronald J., 2007. “Assessing the Contingency Model
of Third-Party Intervention in Successful Cases of Prenegotiation”, Journal of Peace Research, 44(3): 311-329. Un
ulteriore studio di caso di diplomazia multilivello riguarda il Nagorno Karabach, si veda l’articolo Matveeva, A.
(2002). Nagorno Karabach: A Straightforward Territorial Conflict, Searching for Peace in Europe and Eurasia. In:
http://www.conflict-prevention.net/page.php?id=40&formid=73&action=show&surveyid=41 (ottobre 2010).
218
16.6 Bibliografia
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Crisi Internazionali. Analisi, Esperienze, Prospettive. Roma, Editrice Internazionale.
220
17 LA CONCILIAZIONE E IL D.LGS. N. 28/2010
A cura del Prof. Avv. Giuseppe Russo e dell’Avv. Giusi Marabello
La conciliazione, prima e principale forma di A.D.R. (Alternative Dispute Resolution), è
un procedimento nuovo se pensiamo al periodo della sua comparsa nel diritto e al tempo
stesso antico, se si considera l’universalità senza tempo di questo istituto.
L’istituto della conciliazione così come modernamente intesa, conciliazione stragiudiziale
professionale, nasce da quei movimenti che hanno avuto inizio negli anni 70’ negli stati
Uniti, negli anni 80’ in Australia e nel Regno Unito e negli anni 90’ in gran parte dei sistemi di civil law europei.
Dalla sua moderna rinascita avvenuta nel mondo occidentale, la conciliazione ha compiuto un percorso tortuoso prima attraverso i paesi di common law e poi attraverso quelli di
civil law.
Oggi nonostante la tesi contraria di alcuni studiosi di diritto comparato, che ritengono che
le differenze tra i due sistemi giuridici, sono talmente profonde da non poter considerare
l’esperienza degli uni di qualche utilità per gli altri, la conciliazione stragiudiziale professionale è da considerare come un procedimento universale, che trascende dalle norme giuridiche e dalle differenze tra i sistemi.
La conciliazione stragiudiziale, così come disciplinata e modernamente intesa, si caratterizza e si differenzia dalle forme di conciliazione ordinaria che caratterizzano il processo di
cognizione per la presenza di un elemento negativo, “l’estraneità della conciliazione all’esercizio del potere giurisdizionale da parte dello Stato”.
In realtà quando si incominciò a parlare della procedura di A.D.R. come modalità di risoluzione alternativa della disputa o della lite, numerosi ed interminabili furono i dibattiti
dottrinali che si aprirono in Italia all’indomani della sua comparsa nel panorama nazionale,
sull’interpretazione e focalizzazione dell’aggettivo “alternativo”.
In realtà per poter pienamente carpire il significato e la funzionalità di questo strumento di
mediazione è bene sottolineare che le procedure di A.D.R., così come volute e codificate
dal legislatore, non si pongono come procedure “reciprocamente esclusive” rispetto alle
principali forme statali di soluzione della lite, ma come procedure alternative.
Titolare dell’alternativa e soggetto attivo è il fruitore della Giustizia e il suo consulente legale, al quale viene offerta una varietà di forme il più ampia possibile per risolvere le eventuali
liti in cui si trova coinvolto.
Le A.D.R. e il procedimento giurisdizionale sono dunque procedimenti che non si escludono vicendevolmente ma si integrano.
Bellissima e per certi versi esplicativa fu la definizione di A.D.R. che venne data dal professor Frank Sander durante “la Conferenza nazionale sulle cause dell’insoddisfazione popolare nei confronti dell’amministrazione della giustizia”, tenutasi a Minneapolis nel 1976.
Nel corso della conferenza, il professor Sander introdusse il concetto ormai divenuto celebre della multi-door court house.
Secondo Sander, vi sarebbero numerose porte (le multi-door), attraverso le quali i fruitori
della giustizia, hanno la possibilità di accedere alla court house.
Le porte rappresentano metaforicamente le varie opzioni di trattamento della lite verso cui
221
le parti che entrano in Tribunale possono essere indirizzate.
In realtà tale idea del Tribunale a più porte rappresentò per Sander un approccio istituzionalizzato alle A.D.R., all’interno delle quali tali procedure venivano promosse e in ultima
analisi gestite dagli stessi organi giudiziari.
All’altro estremo di questa visone, vi è l’approccio privatistico alle A.D.R., che prevede
organismi di A.D.R. autonomi rispetto alle istituzioni giuridiche.
È proprio a tale figura di A.D.R. che il legislatore nazionale ha fatto riferimento, introducendo il d.lgs. n. 28 del 4/03/2010, attuativo in Italia della direttiva del Parlamento europeo n. 2008/52/CE e che sarà oggetto di successiva trattazione.
Prima di analizzare il testo del d.lgs. n. 28/2010, la cui introduzione ha costituito per il
nostro ordinamento giuridico una vera e propria rivoluzione copernicana, è necessario da
ultimo individuare le motivazioni che hanno indotto il legislatore europeo e successivamente il legislatore nazionale a dar vita a tali forme di conciliazione stragiudiziale professionale.
I motivi che hanno portato alla creazione di una figura privatistica di A.D.R. possono essere
riassunti come segue:
-- La necessità di ridurre i tempi e i costi della giustizia per i litiganti: su tale punto
è bene osservare che mentre in alcuni paesi europei (vedi i paesi anglosassoni), finalità
principale perseguita dalle A.D.R. è stata e continua ad essere la riduzione dei costi legali per accedere alla giustizia, in Italia, dove i costi della giustizia sono tra i più bassi tra
i paesi occidentali, le procedure di A.D.R. hanno l’obiettivo fondamentale di contenere
i tempi biblici della giustizia ordinaria.
-- Il miglioramento della qualità degli accordi: le A.D.R., rispetto alle transazioni giudiziarie, sarebbero secondo alcuni, strumenti qualitativamente superiori. L’accordo conciliativo, in certi casi, lascerebbe infatti entrambe le parti vincitrici. L’esperienza insegna
che la stragrande maggioranza delle liti civili si chiude con transazioni cattive a lite
molto avanzata e quando ormai la maggior parte delle spese legali sono state sostenute
dalle parti e le parti stesse sono esauste ed incerte sull’esito del giudizio. Nei sistemi di
A.D.R. le parti hanno invece a disposizione molteplici eventi per giungere alla possibile
soluzione della controversia.
-- Aumento dell’efficienzadei tribunali statali: le A.D.R. costituiscono un importante
filtro nell’accesso alla giustizia ordinaria. La sottrazione alla giurisdizione ordinaria di
fette consistenti di contenzioso, non può che migliorare l’efficienza della giustizia italiana.
-- Offerta di uno strumento valido internazionalmente: nel contesto del commercio
internazionale, l’esistenza di un sistema di A.D.R., costituisce strumento fondamentale
per superare quelle barriere giudiziarie costituite dalla diversità dei sistemi giuridici sostanziali e processuali. Con legge 18/06/2009 n. 69, l’Italia ha dato dunque attuazione
a quanto stabilito dall’Unione europea con la direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio del 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE. Obiettivo di tale direttiva è stato quello di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie, incoraggiando il
ricorso alla mediazione.
222
17.1 I sette principi della CE
La commissione delle CE ha raccomandato che tutti gli organismi esistenti o che saranno
creati in futuro e che avranno come competenza la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, rispettino i seguenti principi:
1. Principio di indipendenza.
L’ indipendenza dell’organo responsabile dell’adozione della decisione è garantito in
modo tale da assicurare l’imparzialità della sua azione
2. Principio di trasparenza.
Devono essere adottai mezzi adeguati a garantire la trasparenza della procedura.
Tali mezzi comprendono in particolar modo: la comunicazione scritta relativamente
alla descrizione precisa dei tipi di controversie che possono essere sottoposti all’organo;
le norme relative alla presentazione del reclamo all’organo competente; il costo eventuale della procedura per le parti; il tipo di regole sulle quali si fondano le decisioni
dell’organo; il valore giuridico della decisione.
Infine viene richiesta la pubblicazione da parte dell’organo competente di una relazione
annuale relativa alle decisioni adottate.
3. Principio del contraddittorio.
Le parti interessate, possono far conoscere il proprio punto di vista all’organo competente e possono prendere conoscenza di tutte le posizioni e di tutti i fatti avanzati
dall’altra parte, nonché delle dichiarazioni degli esperti.
4. Principio di efficacia.
La procedura deve garantire: l’accesso del consumatore alla procedura senza essere obbligato a ricorrere ad un rappresentante legale; la gratuità della procedura o la determinazione di costi moderati; la fissazione di termini brevi tra la presentazione del reclamo
e l’adozione della decisione; l’attribuzione di un ruolo attivo all’organo competente.
5. Principio di libertà.
La decisone dell’organo può essere vincolante nei confronti delle parti, solo se esse ne
sono state precedentemente informate e le hanno esplicitamente accettate.
6. Principio di legalità.
La decisone dell’organo non può privare il consumatore della protezione che gli garantiscono le disposizioni imperative della legge dello stato sul territorio del quale l’organo
è stabilito.
7. Principio di rappresentanza.
La parte non può essere privata del diritto di farsi rappresentare o accompagnare da un
terzo in qualunque fase della procedura stessa.
17.1.1 Il d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010
Il 4 marzo del 2010 è stato emanato il d.lgs. n. 28, in attuazione della legge delega n. 69
del 2009, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e
commerciali.
Tale decreto composto da 234 articoli è suddiviso in IV capi:
il I capo (artt. 1-2) che disciplina le disposizioni generali, il capo II (artt. 3-15) rubricato
del procedimento di mediazione, infine il capo III (artt-16-19) intitolato “degli organismi
223
di mediazione” e il capo IV (artt. 20-24) contenete disposizioni in materia fiscale e informativa.
Nella disposizione iniziale e di apertura del predetto decreto, art. 1 lett a, il legislatore introduce la definizione dell’attività di mediazione.
Secondo la disposizione normativa in esame è tale “quell’attività comunque denominata,
svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di
un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una
proposta per la risoluzione della stessa”.
La legge prevede tre tipi diversi di mediazione:
a) la mediazione facoltativa, che è quella che viene liberamente scelta dalle parti;
b) la mediazione obbligatoria, quando è imposta dalla legge (dal 20 marzo 2011, il
tentativo di conciliazione presso gli organismi accreditati costituisce condizione di
procedibilità nelle materie elencate all’art. 5 comma I);
c) la mediazione giudiziale, quando è il giudice ad invitare la parte ad intraprendere il
ricorso alla mediazione.
Con riferimento alla mediazione obbligatoria, l’art. 5 comma I del d.lgs. n. 28/2010, contiene un elenco dettagliato delle materie per le quali è obbligatorio esperire il tentativo di
conciliazione.
Dal 20/03/2011, il tentativo di conciliazione presso gli organismi accreditati costituirà
condizione di procedibilità nelle seguenti materie: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazioni, comodato, affitto di aziende, risarcimento
del danno derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, da responsabilità medica,
da diffamazione con mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, per i contratti
assicurativi, bancari e finanziari.
Il legislatore nel suddetto decreto individua anche le materie per le quali non è obbligatorio
esperire il tentativo di conciliazione.
Ex art. 5 comma IV, il tentativo obbligatorio di conciliazione e su invito del giudice non si
applica infatti: all’azione civile nel processo penale, ai procedimenti per ingiunzione (fino
alla pronuncia delle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione), nei
procedimenti per convalida di licenza o sfratto ( fino al mutamento del rito ex artt. 667
c.p.c.), nei procedimenti possessori (fino alla pronuncia dei provvedimenti ex art. 703 co.
III c.p.c.), nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione nell’esecuzione forzata, nei procedimenti in camera di consiglio.
Dopo aver definito la mediazione come attività finalizzata ad assistere due o più soggetti sia
nella ricerca di un accordo amichevole, il legislatore da una completa definizione anche della figura del mediatore, dell’ organismo di conciliazione, della conciliazione e del registro.
Ai sensi dell’art. 1 lett a, si definisce per mediatore quella “persona o le persone fisiche che
individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione, rimanendo prive, in ogni caso
del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”;
- per organismo di conciliazione ex art. 1 lett b “quell’Ente pubblico o privato, presso il quale
può svolgersi il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto”;
- per conciliazione (art. 1 lett c), “la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione”;
224
- per registro (art. 1 lett c), il registro degli organismi istituito con decreto del ministero
della Giustizia ai sensi dell’art. 16 del presente decreto, nonché, sino all’emanazione di
tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del ministro della Giustizia
23/07/2004 n. 222.
All’art. 2 vengono individuati i soggetti che possono accedere alla mediazione.
Tale facoltà viene riconosciuta a tutti i soggetti che ne facciano richiesta e che vi abbiano
interesse purché si pongano questioni inerenti diritti disponibili, senza escludere aprioristicamente forme di negoziazione.
Gli organismi di conciliazione sono competenti in tutte le controversie civili e commerciali
vertenti su diritti disponibili e nelle controversie transfrontaliere.
In linea di principio, dunque, chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione
di una controversia civile e commerciale, purché essa verta su diritti disponibili.
Lo sbarramento ai diritti indisponibili, non è una novità introdotta dal d.lgs. n. 28/2010,
essendo la stessa già presente nel nostro sistema giuridico.
Il riferimento che viene fatto è alle disposizioni normative di cui all’art. 806 c.p.c. che esclude che le parti possano far decidere ad arbitri le controversie tra di loro insorte se queste
hanno ad oggetto diritti indisponibili, e ancora l’art. 1966 c.c., che decreta la nullità della
transazione se caduta su diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sottratti
alla disciplina delle parti.
Il capo II del d.lgs. n. 28/2010 disciplina invece il procedimento di mediazione.
La procedura di mediazione si avvia tramite il deposito di una istanza presso un organismo
di mediazione accreditato (artt. 4 comma I e 4 comma II).
È prevista una sorta di litispendenza nel caso in cui vengano presentate più domande relativamente alla stessa controversia, la mediazione ex art. 4 comma I si svolgerà in tal caso
“davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda”.
Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, ex
art. 17.
L’introduzione della mediazione nel nostro ordinamento giuridico ha costituito per certi
versi e come già detto una vera e propria rivoluzione copernicana.
Soggetti attivi di tale procedimento, sono il fruitore della giustizia da un lato e l’avvocato
dall’altro.
A quest’ultimo il decreto (art. 4 comma III), impone un obbligo di informazione del
cliente.
La disposizione normativa prevede infatti che: “all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto ad informare per iscritto l’assistito della possibilità di avvalersi della procedura
di mediazione”.
La mancata informazione, secondo la norma, determina l’annullabilità del contratto di
patrocinio.
Il legislatore prevede inoltre che di tale informazione si debba addirittura fornire prova in
sede di giudizio.
Il documento contenete l’informazione e sottoscritto dall’assistito, deve essere allegato
all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio.
225
Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento se non provvede ai sensi
dell’art. 5 comma I, “assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la
presentazione della domanda di mediazione”, avrà l’obbligo di informare la parte della facoltà
di chiedere la mediazione, nell’ipotesi in cui la mediazione è iniziata e non conclusa il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di quattro mesi.
L’art. 5 oltre a disciplinare le condizioni di procedibilità, si occupa anche dei rapporti che il
procedimento di mediazione ha con il processo.
Su tale punto l’art. 5 comma III, prevede che la mediazione non preclude la concessione di
provvedimenti urgenti e cautelari.
Ex art. 5 comma VI°, a decorrere dalla comunicazione alle parti la domanda di mediazione
produce gli stessi effetti della domanda giudiziale e per una sola volta impedisce la decadenza.
L’art. 8 del presente decreto è rubricato “il procedimento”.
Tale disposizione normativa individua nel dettaglio le fasi processuali che caratterizzano il
procedimento di conciliazione.
Ai sensi del I° comma dell’art. VIII il responsabile dell’organismo all’atto della presentazione della domanda, ha l’obbligo di designare un mediatore e di fissare l’incontro non oltre
quindici giorni dal deposito della domanda.
La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo
idoneo ad assicurare la ricezione. Tale comunicazione può avvenire anche a cura della parte
istante. L’organismo di mediazione può essere scelto dalla parte istante o può essere determinato nel contratto.
La scelta dell’organismo comporta l’accettazione del regolamento delle indennità e della
nomina del mediatore, tra quelli anch’essi iscritti negli appositi albi.
Il mediatore e chiunque opera all’interno dell’organismo sono tenuti agli obblighi di riservatezza e non possono essere chiamati a testimoniare (art. 9).
Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono
essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale (art. 10 comma I).
Il mediatore non può infine essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e
delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione (art. 10 comma II).
Al mediatore viene attribuito il compito di adoperarsi affinché le parti raggiungano un
accordo amichevole di definizione della controversia.
A seguito dell’intervento del mediatore potranno verificarsi due diverse ipotesi: l’accordo
viene raggiunto, con sottoscrizione del processo verbale dalle parti, l’accordo non viene
raggiunto e inizierà l’azione civile.
È bene soffermarci attentamente sul verificarsi dell’una piuttosto che dell’altra delle possibilità.
A tal proposito l’art. 11 del presente decreto prevede che:
- Se si raggiunge l’accordo, il mediatore redige processo verbale sottoscritto dalle parti.
L’accordo, non deve essere contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, può prevedere il pagamento di somme di denaro per ogni violazione ulteriore o inosservanza.
L’accordo deve in ogni caso essere omologato, con decreto del Presidente del Tribunale, nel
cui circondario ha sede l’organismo, previo accertamento delle regolarità formali.
Il verbale omologato costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzio-
226
ne in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
- Se invece non si raggiunge l’accordo, il mediatore forma processo verbale con l’indicazione
della proposta e delle ragioni del mancato accordo. Conseguentemente potrà avere inizio
il processo civile.
Rilevanza fondamentale nella successiva fase processuale avranno per il giudice del procedimento, i motivi del mancato raggiungimento dell’accordo in fase di conciliazione.
È previsto infatti che il giudice, possa addossare alla parte che ha rifiutato la proposta del
mediatore, anche se vittoriosa, talune conseguenze economiche del processo (art. 13).
In particolar modo, laddove il provvedimento che definisce il giudizio, corrisponda interamente al contenuto della proposta conciliativa il giudice potrà:
a) escludere la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta,
relativamente al periodo successivo alla stessa;
b) condannare la parte al pagamento delle spese processuali di controparte;
c) condannare la parte al versamento di un’ulteriore somma di importo corrispondente al
contributo unificato dovuto.
Il d.lgs. n. 28/2010 contiene infine due capi di chiusura, il III capo rubricato “Organismi di
mediazione” e il IV capo, contenente disposizioni in materia fiscale e informativa.
Rilevanza fondamentale viene riconosciuta nel testo del presente decreto agli organismi di
conciliazione.
Il legislatore ha previsto che le procedure di mediazione possano essere gestite da organismi
pubblici e privati, purché siano iscritti in appositi registri presso il ministero della Giustizia.
I requisiti e le modalità di iscrizione sono disciplinati da appositi decreti ministeriali (artt.
16, 18 e 19).
È previsto inoltre che la procedura di mediazione possa essere gestita solo da mediatori
iscritti alle liste degli organismi iscritti nel registro e che abbiano frequentato e superato un
apposito percorso formativo offerto da enti di formazione accreditati dal ministero della
Giustizia (art. 16).
Gli organismi deputati alla mediazione possono essere sia enti pubblici che enti privati,
questi devono in ogni caso, oltre ad essere iscritti in appositi registri, offrire garanzie di
serietà ed efficienza.
Viene riconosciuto anche ai consigli d’ordine degli avvocati e di altri ordini professionali,
la possibilità di istituire organismi, avvalendosi del proprio personale e dei propri locali.
17.2 La conciliazione in materia bancaria
Con la legge 18 giugno 2009 n. 69 recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, il Governo era stato chiamato ad adottare “uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in
ambito civile e commerciale” al fine di “disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa
comunitaria, anche attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003,
n. 5 e in ogni caso attraverso l’istituzione presso il ministero della Giustizia di un Registro degli
organismi di conciliazione”.
Alla luce di tale delega il Governo ha emanato il d.lgs. 5 marzo 2010 n. 28.
Prima che intervenisse la riforma del processo civile di cui alla legge n. 69 del 2009, il Go-
227
verno era stato già chiamato a prevedere forme di conciliazione, soprattutto con riferimento
alla conciliazione nel settore societario, bancario e finanziario.
Tale previsione era contenuta nella legge n. 366 del 2001, con particolare riferimento
all’art. 12 della succitata legge che prevedeva che le forme di conciliazione venissero esperite
dinnanzi a organismi istituiti da enti privati, che dessero garanzie di serietà ed efficienza e
che fossero iscritti in un apposito registro tenuto pressso il ministero della Giustizia.
La prima regolamentazione compiuta della conciliazione stragiudiziale all’interno di una
disciplina processuale si ebbe tuttavia con il d.lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003.
La relazione di accompagnamento al decreto prevedeva infatti “l’accesso a sistemi di A.D.R.
organizzati da enti pubblici e privati, in condizioni di concorrenza paritaria e sotto il controllo
del ministero della Giustizia, presso il quale dovevano essere compiuti gli adempimenti che abilitavano allo svolgimento del servizio la cui promozione avveniva attraverso l’ampliamento dei
canali di accesso al medesimo”.
Il d.lgs. n. 28 del 2010 ha tuttavia abrogato gli artt. da 30 a 40 del d.lgs. n. 5 del 2003.
Conseguentemente a tale abrogazione il termine conciliazione è stato sostituito da quello
di mediazione, termine sicuramente più coerente con la disciplina comunitaria ed internazionale.
Tuttavia, ricorrendo a ritroso, la prima norma che nel nostro ordinamento ha aperto la
strada alla diffusione della conciliazione è stata la legge n. 580 del 1993, la quale ha previsto
all’art. 4 che “le Camere di Commercio, singolarmente o in forma associata possono tra l’altro,
promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese, consumatori ed utenti”.
Tale previsione è rimasta pressoché ignorata fino all’introduzione della l. n. 192 del 1998
che ha imposto alle Camere di Commercio la costituzione al loro interno di sportelli o
camere di conciliazione.
Numerosi sono stati gli interventi legislativi successivi cha hanno demandato a tali sportelli
costituiti presso le Camere di Commercio, la gestione del contenzioso mediante strumenti
di A.D.R., tra questi si ricordano la legge 281/98 abrogata e sostituita dal d.lgs. n. 6 del
2005, la legge n. 135 del 2001, il d.lgs. n. 5 del 2003, la legge n. 129 del 2004, l’art. 768
octies c.c., la legge n. 262 del 2005 e i relativi decreti attuativi che hanno di volta involta,
ampliato l’ambito delle materie la cui cognizione poteva essere devoluta allo strumento
conciliativo.
17.2.1 La mediazione delle controversie bancarie e finanziarie in ambito comunitario
Nell’ambito dell’Unione europea, gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie,
hanno assunto da molti anni un ruolo di primaria importanza per il legislatore.
Con riferimento ai mercati finanziari, l’attenzione deve essere soffermata sulla direttiva
Mifid, (Market in Financial Instruments directive), n. 2004/39/CE del 21 aprile 2004.
Tale direttiva prevede all’art. 53 che “gli Stati membri incoraggino l’istituzione di procedure
efficaci ed effettive di reclamo e di ricorso per la risoluzione extragiudiziale di controversie
in materia di consumo relative a prestazioni di servizi di investimento e di servizi accessori
da parte di imprese di investimento, avvalendosi, se del caso, degli organismi esistenti. Gli
stati membri assicurano che non vi siano disposizioni di legge o regolamentari che impe-
228
discano a tali organismi di collaborare efficacemente nella composizione delle controversie
transfrontaliere”.
La direttiva si colloca dunque in un alveo normativo assai consolidato.
In particolar modo il riferimento ad “organismi esistenti” impone un immediato riferimento alle Camere di Commercio nell’ambito del loro ruolo istituzionale di regolazione
del mercato su tutto il territorio nazionale, attraverso sportelli di conciliazione, organismi
di mediazione e camere arbitrali, nonché attraverso gli organismi di mediazione e camere
arbitrali riconosciuti dal ministero della Giustizia e a cui è andato ad aggiungersi quello
costituito dalla Consob, ai sensi del d.lgs. 8 ottobre 2007 n. 179 con la delibera n. 16763
del 29 dicembre 2008.
Il riferimento ai servizi di investimento, non si esaurisce nell’alveo della disciplina italiana,
ma ha una portata molto più ampia, arrivando ad interessare la Consob, quale autorità di
regolamentazione del mercato finanziario.
Finalità della direttiva Mifid è principalmente quella di disciplinare le imprese la cui abituale attività consiste nel prestare servizi, ovvero effettuare attività di investimento a titolo
professionale nell’ambito di un mercato regolamentato e di un sistema multilaterale di
negoziazione.
Abbiamo già ampiamente analizzato i motivi che hanno spinto il legislatore nazionale ad
emanare il d.lgs. n. 28 del 2010 di recepimento della direttiva 2008/20/CE del 21 maggio
2008.
È necessario tuttavia ricordare che il principio dell’accesso alla giustizia è stato già da tempo
ritenuto fondamentale a livello comunitario, tanto è vero che, al fine di agevolare un migliore accesso alla giustizia, il Consiglio europeo nella riunione Tampere del 15 e 16 ottobre
1999, aveva invitato gli Stati membri ad istituire procedure extragiudiziali alternative.
In Italia, il d.lgs. n. 179 del 2006 ha rappresentato a livello normativo primario, il tassello
finale del riassetto della disciplina del risparmio, che è venuta profondamente ad incidere
in diversi settori, dal Testo Unico in materia bancaria e creditizia (d.lgs. n. 385 del 18 Settembre 1993), al Testo Unico in materia finanziaria (d.lgs. 24 Febbraio 1998 n. 58), fino
ad arrivare al Codice del Consumo (d.lgs. 6/09/2005 n. 206).
17.2.2 La Banca d’Italia
Rilevanza fondamentale nell’ambito della riforma della tutela del risparmio, ha avuto inoltre la legge 28 dicembre 2005 n. 262, con la quale il legislatore italiano ha introdotto specifiche norme dedicate agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie per la tutela
dei diritti dei clienti nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari.
L’art. 29 della l. n. 262/2005, ha introdotto all’interno del T.U.B. (Testo Unico in materia
bancaria), l’art. 128 bis, rubricato “Risoluzione delle controversie”, il quale ha rinviato al
Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR), d’intesa con la Banca
d’Italia, l’emanazione di una delibera per la determinazione dei criteri di svolgimento delle
procedure di risoluzione delle controversie e di composizione dell’organo decidente.
La delibera CICR del 29/07/2008 n. 275, attuativa dell’art. 128 bis del TUB, detta dunque
la disciplina di un nuovo sistema stragiudiziale di settore.
La Banca d’Italia, in attuazione dell’art. 7 della delibera CICR, che aveva affidato alla stessa
229
il compito di regolamentare gli aspetti relativi alla nomina dei membri dell’organo decidente, lo svolgimento delle attività di supporto tecnico ed organizzativo, nonché l’emanazione delle disposizioni applicative, ha emanato in data 18/06/2009 il proprio comunicato
recante “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di
operazioni e servizi bancari e finanziari”.
Con la delibera CICR 29 luglio 2008 e con il comunicato della Banca d’Italia 18 giugno
2009 è stato dunque istituito un nuovo organismo per la risoluzione stragiudiziale delle
controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari denominato Arbitrato
Bancario Finanziario (ABF).
All’indomani della creazione di questo nuovo organo di conciliazione, erano tuttavia sorti numerosi dubbi, soprattutto con riferimento alla possibile concorrenza degli ambiti di
competenza rispettivamente di ABF, della camera di conciliazione e della Consob.
Nel delineare tale linea di confine, la Banca d’Italia sostenne che le competenze dei rispettivi organi dipendessero, principalmente dall’interpretazione che veniva data dell’art. 23,
comma 4, del d.lgs. n. 58 del 1998 (TUF), con particolare riguardo alla nozione di prodotto finanziario e di componenti di prodotti finanziari.
Allo scopo di evitare ogni problematica sul punto, è stata prevsta la stipula di un protocollo
d’intesa tra le autorità, volto a precisare in modo chiaro quali controversie possano essere
sottoposte all’ABF e quali alla Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob.
Alla luce della delibera CICR possono dunque essere gestiti dall’ABF le controversie relative
a operazioni e servizi bancari e finanziari non anteriori al l’01 gennaio 2007 che vertano
sull’accertamento di diritti, obblighi, facoltà e sempre che l’eventuale soma oggetto di contestazione tra le parti non sia superiore a 100.000 euro.
Rimangono invece esclusi i danni che non siano conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento o della violazione dell’intermediario, nonché le questioni relative a beni materiali o servizi diversi da quelli bancari e finanziari oggetto del contratto tra il cliente e
l’intermediario o di contratti ad esso collegati.
L’esclusione si estende anche ai ricorsi inerenti a controversie già sottoposte all’autorità
giudiziaria, rimesse a decisione arbitrale e per le quali sia pendente un tentativo di conciliazione ex art. 2 comma 6.
Se invece il tentativo di conciliazione ha avuto esito negativo, il ricorso può essere proposto entro 6 mesi dal fallimento del tentativo di conciliazione, anche qualora sia decorso il
termine di 12 mesi di cui alla sezione VI, paragrafo II, del comunicato della Banca d’Italia,
per la presentazione del reclamo all’intermediario.
È bene sottolineare che le disposizioni emanate dalla Banca d’Italia non hanno comunque
nessun tipo di incidenza sugli altri sistemi di A.D.R..
Viene infatti liberamente riconosciuto alle parti la possibilità di accedere ad altri strumenti
di risoluzione stragiudiziale delle controversie, indipendentemente dal ricorso all’ABF.
Il legislatore ha tuttavia voluto evitare una proliferazione contemporanea di procedure innanzi a diversi organismi e per questo ha previsto tutta una serie di disposizioni che regolano il caso in cui altre procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie, quali
arbitrato, ovvero conciliazione, siano state attivate prima o contemporaneamente alla presentazione del ricorso all’ABF.
230
17.2.3 I destinatari della disciplina
Soggetti destinatari della disciplina che stiamo analizzando sono dunque il cliente da un
lato e gli “intermediari” dall’altro.
La delibera CICR n. 275 del 2008, fornisce una definizione di cliente e di intermediario.
Il cliente viene definito come il soggetto che ha, o ha avuto con un intermediario un rapporto contrattuale avente ad oggetto la prestazione di servizi bancari e finanziari.
Non rientrano in tale definizione i soggetti che svolgono in via professionale l’attività di
intermediazione nei settori bancario, finanziario, assicurativo e previdenziale.
Vengono invece definiti “intermediari”, le banche, gli intermediari finanziari iscritti
nell’elenco dell’art. 106 TUB e che operano nei confronti del pubblico.
Vi rientrano anche gli istituti di moneta elettronica, le Poste Italiane S.p.A., relativamente
all’attività di Bancoposta, le banche e gli intermediari esteri che svolgono in Italia e nei
confronti del pubblico le operazioni disciplinate dal titolo VI del TUB.
La disciplina trova dunque applicazione nei confronti di tutti quei soggetti che secondo la
disposizione normativa rientrano nella nozione di intermediari.
A questi ultimi la Banca d’Italia, ha imposto l’adesione all’ABF entro tre mesi dalla pubblicazione del provvedimento nella G.U.
L’adesione costituisce condizione per lo svolgimento della attività bancaria e finanziaria.
Questa deve essere comunicata per iscritto alla Banca d’Italia per il tramite delle associazioni degli intermediari, le quali attestano alla Banca d’Italia la partecipazione all’ABF degli
intermediari ad essa aderenti.
Gli intermediari che non aderiscono alle associazioni, devono invece comunicare direttamente alla Banca d’Italia la propria adesione, nonché l’associazione degli intermediari alla
quale fare riferimento.
Lo stesso onere incombe sugli intermediari di nuova costituzione che sono tenuti ad effettuare la comunicazione di adesione all’ABF prima dell’inizio dell’attività.
17.2.4 Il ruolo dell’ABF
Nell’ambito di tutti gli strumenti di risoluzione delle controversie in materia bancaria e
finanziaria un ruolo fondamentale ha l’arbitrato bancario finanziario.
L’ABF è un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie.
La delibera n. 275 del 29/07/2008 del CICR ha definito tale “quell’insieme formato dall’organo decidente, composto in funzione degli interessi degli intermediari e di clienti coinvolti nella
controversia, dal procedimento e dalle relative strutture organizzative regolati dalla presente
delibera”.
L’ABF non ha natura conciliativa ma arbitrale. Il suo compito è quello di assumere una
decisone, comunque inidonea a sostituirsi a quella dell’autorità giudiziaria.
A tutte le parti viene in ogni caso riconosciuto il diritto di ricorrere all’autorità giudiziaria
ordinaria, ovvero ad ogni altro mezzo di risoluzione delle controversie incluso il ricorso alla
mediazione ex d.lgs. n. 28 del 2010.
In assenza di specifici poteri istruttori attribuiti dalla legge all’organo decidente, quest’ultimo non può che pronunciarsi sulla base degli atti e dei documenti scritti che vengono
prodotti dalle parti.
231
Alle parti viene riconosciuta altresì la possibilità di stare in giudizio senza l’assistenza tecnica
di un professionista.
Le decisioni dell’ABF sono garantiti dai requisiti della professionalità, della imparzialità,
dalla esperienza e dall’impegno attivo e costante richiesti ai componenti dei collegi.
L’ABF aderisce inoltre alla rete FIN.NET, che è la rete volta a garantire lo sviluppo e la
cooperazione dei sistemi di A.D.R. nell’ambito dello spazio economico europeo.
La rete Fin.Net è stata promossa dalla Commissione europea a partire dal 2001, in attuazione della Raccomandazione del 30 marzo 1998.
In virtù dell’adesione a tale rete, il cliente italiano che intenda presentare un ricorso stragiudiziale nei confronti di un intermediario estero, può contattare la segreteria tecnica.
Tale segreteria, verificherà se nel Paese in cui opera l’intermediario esiste un sistema equivalente e provvederà a metterlo in contatto.
L’ABF può essere inoltre adito anche relativamente a controversie promosse da clienti residenti o domiciliati in altro stato membro, sempre che la disciplina di tale stato lo preveda.
17.2.5 Il procedimento di mediazione
Nelle materie che vengono elencate all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e in particolar modo
per la materia che a noi interessa, quella derivante dai contratti bancari e finanziari, esistono
tre diverse vie per risolvere la controversia insorta.
La prima soluzione che viene proposta è quella di inserire nei contratti e negli atti costitutivi
degli enti una apposita clausola che preveda il ricorso alla mediazione nel caso di lite.
Tale soluzione costituisce secondo parte della dottrina, una novità interessante dal momento che fino ad oggi i contratti e gli statuti hanno preferito privilegiare il ricorso all’arbitrato
e in assenza di una clausola compromissoria, il ricorso al tribunale.
La seconda e la terza soluzione che vengono concesse alle parti sono date dalla presentazione della domanda di mediazione innanzi ad un organismo di mediazione pubblico o
privato iscritto nel registro tenuto dal ministero della Giustizia.
Tale domanda può essere presentata da una parte solamente o da entrambe congiuntamente.
Gli organismi di mediazione, hanno l’obbligo nella predisposizione dei regolamenti di garantire la riservatezza della procedura e l’imparzialità nella nomina dei mediatori.
Il mediatore è chiamato a svolgere un ruolo delicato e complesso rispetto a quello di qualsivoglia giudice o arbitro.
L’ente avrà l’obbligo di garantire sia nella nomina del mediatore che nel corso della relativa
procedura, la totale neutralità, imparzialità ed indipendenza del mediatore rispetto alle parti.
A tal proposito l’art. 14 comma II del d.lgs. n. 28 del 2010, richiede la sottoscrizione da
parte del mediatore di una apposita dichiarazione denominata “dichiarazione di indipendenza”.
Le modalità di nomina dei mediatori vengono demandate ai singoli regolamenti.
Secondo il regolamento di conciliazione predisposto da Unioncamere nazionale, la nomina
del mediatore viene effettuata dalla Segreteria dell’Organismo, la quale sceglie tra i nominativi che vengono inseriti in un’apposita lista.
L’art. 3 del d.lgs. n. 28 del 2010, richiede inoltre che il mediatore sia idoneo al corretto e
sollecito espletamento dell’incarico.
232
17.2.6 Il verbale di mancata conciliazione
Nel caso di mancato raggiungimento di un accordo tra le parti e laddove queste ultime ne
facciano richiesta, il mediatore effettua una proposta rispetto alla quale le parti indicano la
propria definitiva posizione.
Il mediatore da atto nell’apposito verbale della proposta effettuata e delle posizioni assunte
dalle parti. Successivamente tale verbale viene depositato presso la segreteria dell’organismo, il quale è tenuto a rilasciare copia alle parti che ne facciano istanza.
Nel verbale, il conciliatore indica anche la mancata adesione di una delle parti all’esperimento del tentativo di conciliazione (art. 8 d.lgs. n. 28 del 2010).
Il verbale di conciliazione assume una rilevanza fondamentale in sede di giudizio.
Da questo il giudice può trarne elementi di valutazione nel giudizio promosso innanzi a lui,
anche ai fini della decisione sulle spese processuali.
L’art. 13 che disciplina “le spese processuali”, prevede che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese, quando la parte vincitrice ha rifiutato la proposta.
La parte vincitrice può essere condannata anche al rimborso delle spese sostenute dalla
parte soccombente, nonché al versamento del contributo unificato.
Nella bozza del decreto legislativo n. 28/2010, l’art. 11 al I° comma prevedeva un obbligo
in capo al mediatore di formulare la proposta in tutti i casi in cui le parti non avessero
raggiunto un accordo.
In sede di stesura definitiva tale obbligo è stato dal legislatore mutato in mera facoltà.
Viene dunque rimessa al potere discrezionale delle parti di richiedere al mediatore, la formulazione di una proposta.
Altro interessantissimo aspetto è dato dalla disposizione normativa contenuta al’art. 10,
in base al quale le dichiarazioni rese dalle parti o le informazioni acquisite nel corso del
procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo
oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito a seguito dell’insuccesso del tentativo di mediazione, né possono essere oggetto di prova testimoniale o giuramento decisorio,
salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni.
Prima dell’entrata in vigore del decreto 28/2010, una disposizione simile era contenuta
all’interno dei regolamenti di conciliazione di tutti gli organismi di conciliazione delle Camere di Commercio, iscritte presso il ministero della Giustizia.
Tale previsione, insieme a quella che tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nemmeno nell’ambito del procedimento, al di fuori della fase istruttoria, ha consentito una
blindatura della mediazione.
Alle parti viene riconosciuta, laddove queste siano di comune accordo, di derogare a tale
limite in sede istruttoria, utilizzando i medesimi capitoli di prova e ciò anche in considerazione del fatto che il giudice non può d’ufficio rilevare l’inammissibilità della prova
richiesta, dal momento che l’inammissibilità deve essere eccepita ad opera di parte entro il
termine di cui all’art. 157 co II c.p.c. a seguito dell’escussione del teste o in caso di assenza
del procuratore all’udienza successiva.
L’ultimo comma dell’art. 10 prevede infine che il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di
mediazione né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità.
233
17.2.7. Il verbale di accordo
Se invece viene raggiunto un accordo amichevole ex art. 11 comma I°, il mediatore forma
processo verbale al quale è allegato il verbale dell’accordo che viene sottoscritto dalle parti
e dal mediatore.
Tale verbale può costituire titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in
forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale ex art. 12 del decreto.
La disposizione normativa richiede che il verbale affinché abbia efficacia di titolo esecutivo
debba essere omologato con decreto da parte del Presidente del Tribunale del circondario
ove ha sede l’organismo che ha amministrato la mediazione.
Nelle controversie transfrontaliere di cui all’art. 2 della direttiva 2008/52/CE DEL Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, l’omologa deve essere effettuata da
parte del Presidente del Tribunale del circondario ove l’accordo deve avere esecuzione.
Il Presidente del Tribunale ai fini della concessione dell’omologazione deve accertare la provenienza del verbale da un organismo di mediazione iscritto al registro ministeriale.
Dal verbale dovranno inoltre risultare gli estremi di iscrizione al registro.
Il contenuto del verbale non deve essere contrario all’ordine pubblico o a norme imperative
e deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore.
Se con la sottoscrizione dell’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno
degli atti previsti dall’art. 2643 c.c., per procedere alla trascrizione dello stesso, la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale autorizzato.
In mancanza di omologa il verbale avrà valore meramente contrattuale.
Il procedimento di omologa è un procedimento che si articola nelle seguenti fasi:
-- La parte che ha interesse, deposita nella cancelleria del Tribunale competente, un ricorso, ricorso che può anche essere congiunto. Ai sensi dell’art. 12 la richiesta di omologazione del verbale di accordo deve essere effettuata dalla parte. Viene esclusa ogni forma
di omologazione ex officio con invio del verbale da parte dell’organismo di mediazione.
-- Successivamente al deposito, il presidente del tribunale fissa una udienza innanzi a se
per la comparizione delle parti in camera di consiglio. Il presidente assegna alla parte
un termine per la notifica del ricorso e del decreto a tutte le parti che hanno sottoscritto
il verbale di conciliazione. Il decreto presidenziale di omologa, può essere oggetto di
reclamo innanzi al Tribunale in composizione collegiale.
Dubbi interpretativi sono sorti con riferimento alla disposizione contenuta al II° comma
dell’art. 11, in merito al valore del titolo esecutivo.
Ci si è chiesti in particolar modo se il verbale omologato possa costituire titolo esecutivo
anche per la consegna di cose mobili o il rilascio di immobili, nonché per l’esecuzione di
obblighi di fare e non fare.
La Corte Costituzionale è intervenuta sul punto con sentenza n. 336 del 12 luglio 2002,
riconoscendo l’idoneità del titolo esecutivo ex art. 185 co II c.p.c. per l’esecuzione in forma
specifica.
Fino all’approvazione dei nuovi decreti attuativi il procedimento di omologazione, viene
regolato dal d.m. n. 222 del 2004.
234
17.2.8 Gli aspetti processuali
Ai sensi dell’art. 5 comma 6, dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda
di mediazione proposta innanzi ai competenti organismi, ha gli stessi effetti della domanda
giudiziale e della domanda arbitrale ai fini della interruzione della prescrizione ex artt. 2943
e 2945 c.c. e dell’impedimento della decadenza.
Se il tentativo di conciliazione ha esito negativo, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale presso la
segreteria dell’organismo.
La disposizione normativa in esame, richiama la previsione normativa dell’abrogato art. 40
del d.lgs. n. 5 del 2003.
Anche secondo tale norma, l’istanza di conciliazione proposta innanzi agli organismi competenti portava ai medesimi effetti della domanda giudiziale e della domanda arbitrale ai
fini dell’interruzione della prescrizione (artt. 2943 e 2945 c.c.), nonché dell’impedimento
della decadenza.
La segreteria dell’organismo ricevuta la domanda di mediazione, comunicherà alla parte
tale richiesta unitamente alla comunicazione di fissazione della data dell’incontro, che dovrà tenersi non oltre quindici giorni dal deposito della domanda.
Il procedimento di mediazione, non deve avere una durata superiore a quattro mesi, che
decorrono dalla data di deposito della domanda di mediazione (art. 6 comma I°).
Rilevanza fondamentale ha inoltre la disposizione normativa di cui all’art. 8 comma V°.
Questa, sanziona la parte che regolarmente convocata non compaia per l’espletamento del
tentativo di mediazione.
Il giudice potrà infatti nel successivo giudizio instaurato innanzi a lui, desumere argomenti
di prova dal comportamento della parte.
Ai sensi dell’art. 5 comma V, qualora la clausola di mediazione sia inserita all’interno del
contratto, dello statuto o dell’atto costitutivo di un ente, in mancanza dell’esperimento del
tentativo di mediazione, la parte può soltanto rilevare la relativa eccezione nel primo scritto
difensivo.
Non è infatti prevista la rilevabilità d’ufficio anche laddove il tentativo di conciliazione sia
obbligatorio per legge.
Il giudice o l’arbitro ai sensi dell’art. 6 del predetto decreto assegnerà alle parti un termine
di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fisserà la successiva
udienza dopo la scadenza del termine per l’espletamento del tentativo di mediazione.
Nello stesso modo il giudice procederà, quando la mediazione o il tentativo di conciliazione
sono iniziati ma non ancora conclusi.
Se invece la mediazione è iniziata, ma non si è ancora conclusa, il giudice fissa la successiva
udienza dopo la scadenza del temine di cui all’art. 6, cioè dopo il termine di quattro mesi.
Allo stesso modo provvede, quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di
mediazione innanzi all’organismo di mediazione.
Nel d.lgs. n. 28 del 2010 non è prevista, alcuna sanzione qualora le parti, una volta sospeso il procedimento innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, non provvedano al deposito
dell’istanza di conciliazione.
235
L’art. 5 del decreto n. 28/2010, fornisce infine una disciplina di raccordo tra le disposizioni
in tema di mediazione e quelle in tema di arbitrato, prevedendo che la sospensione del
procedimento, in assenza di esperimento del tentativo di mediazione, possa essere disposta
sia dal giudice che dall’arbitro
17.2.9 La tassazione della procedura conciliativa
Il ricorso alla mediazione, consente alle parti di ottenere vantaggi anche dal punto di vista
fiscale.
L’art. 17 del d.lgs. n. 28 del 2010 prevede infatti che tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti del procedimento siano esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto
di qualsiasi specie e natura.
Disposizioni normative simili e di contenuto equivalente, erano state introdotte in altri
progetti e proposte di legge, primo fra tutti, la proposta di legge Cola del 5 maggio 2002
(art. 13) e la proposta di legge Bonito del 6 giugno 2001 (art. 17).
Il terzo comma dell’articolo 17, prevede che il verbale di accordo vada esente dall’imposta
di registro entro il termine di valore di cinquantamila euro, da calcolarsi sulla base del valore indicato all’interno del verbale di accordo e non della domanda di mediazione o delle
domande formulate dalle parti.
Per quanto attiene ai verbali di accordo di valore superiore, questi scontano l’imposta solo
per la parte eccedente i cinquantamila euro secondo gli ordinari criteri, vale a dire a tassa
fissa nell’ipotesi in cui le prestazioni dedotte nel verbale di conciliazione siano soggette ad
I.V.A., in base al significato dell’art. 40 D.P.R. n. 131 del 1986, ovvero in caso contrario,
verrà applicata l’imposta con l’aliquota proporzionale, variabile in relazione al contenuto
dell’accordo.
L’onere di richiedere la registrazione del verbale di accordo spetta alle parti (art. 12), ovvero
alla parte che ne abbia interesse.
Resta ferma la circostanza dell’esistenza di un vincolo solidale in capo alle parti nel pagamento del tributo.
Tuttavia, poiché il verbale di accordo è reso esecutivo con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo, a seguito di verifica della sua regolarità formale, si potrebbe presupporre anche che la richiesta di registrazione debba essere effettuata
proprio ad opera del cancelliere entro cinque giorni dalla pubblicazione ex art. 13, terzo
comma, del D.P.R. 131/1986.
In mancanza di una espressa disposizione normativa, si ritiene che l’onere di richiedere la
registrazione incombe sulle parti in solido entro 20 giorni dall’omologazione.
236
18. IL RUOLO DEL MEDIATORE CIVILE IN ITALIA: OVVERO IL DILEMMA DELL’UOVO E DELLA
GALLINA
A cura dell’Avv. Damiano Marinelli
Università degli Studi e-Campus
Docente di diritto privato e di diritto della conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato
La normativa Italiana prevede la figura del mediatore civile “in conseguenza” della costituzione dei c.d. Organismi di conciliazione (rectius in futuro Organismi “abilitati” di mediazione). È quindi nato prima l’uovo o la gallina? Potendo trasferire questa domanda senza
risposta alla mediazione civile (cioè, è nato prima l’Organismo di conciliazione o la figura
professionale del conciliatore/mediatore), potremmo provare a dare una risposta: sono nati
nello stesso momento, in quanto l’Organismo di conciliazione presuppone l’esistenza dei
mediatori civili (per poter costituirne uno, infatti, è necessaria la disponibilità di almeno
sette mediatori in esclusiva), ma in qualche modo per la norma attuale l’Organismo di
conciliazione risulta essere la prima figura di riferimento, dal d.lgs. n. 5 del 2003, fino ad
arrivare al d.lgs. n. 28 del 2010, passando per i decreti ministeriali attuativi n. 222 e n. 223
del 2004. È quindi necessario un cambio di prospettiva, cominciando a dare nuova luce
alla figura del mediatore civile? Tutto questo aspettando il famoso (o famigerato) decreto
ministeriale…
Parole chiave: mediatore, conciliatore, mediazione civile, conciliazione, ruolo, funzioni,
albo, lista, organismo di conciliazione, figura professionale, affidabilità, formazione, requisiti.
18.1 Lo scenario attuale: la normativa di riferimento della mediazione civile
Il d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 risulta di estremo interesse, sia per l’osservatore attento
ai nuovi strumenti di risoluzione delle controversie (la mediazione risulta infatti uno degli
strumenti, e non il solo strumento riconducibile all’insieme dei R.A.C., ovvero degli strumenti di risoluzione alternativa dei conflitti), sia per il professionista (avvocato, esperto
contabile, commercialista, consulente del lavoro, ecc.) che si voglia avvicinare alla materia,
per crearsi una autonoma e distinta figura professionale, o anche per integrare le possibilità
consulenziali e di erogazione di servizi alla propria clientela.
Il sopra menzionato decreto è in effetti il primo strumento legislativo in Italia che intende
determinare la materia della mediazione civile tout court e non per singoli settori. È quindi
una normativa che, riprendendo molte intuizioni già precedentemente espresse nel d.lgs.
del 17 gennaio 2003, n. 5 e nei successivi collegati decreti ministeriali n. 222/223 del
2004, si candida a divenire la normativa di riferimento nel campo della mediazione civile e
commerciale, insieme ai decreti ministeriali di attuazione già previsti (ed ancora in fase di
elaborazione al momento della stesura di questo articolo).
Preliminarmente, il decreto definisce la mediazione come quell’attività, avente una durata
non superiore a quattro mesi, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o
più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa. Il mediatore
viene definito conseguentemente come la persona o le persone fisiche che, individualmente
o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di ren-
237
dere giudizi o decisioni vincolanti. Invece la conciliazione risulta essere definita come la
composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione. Già nelle
definizioni si deve sottolineare come si è voluto dare un “valore” aggiuntivo alla mediazione, nel senso che il decreto determina come attività propria della mediazione, non solo
quella di facilitare l’incontro delle parti (conciliazione c.d. facilitativa), ma anche quella
di determinare una proposta, ad opera del mediatore, che potrà liberamente essere fatta
propria dalle parti (conciliazione c.d. valutativa). Tale modello di mediazione è sicuramente
un modello non “puro”, in quanto al mediatore vengono affidate delle funzioni (quelle di
articolare una proposta non vincolante, ma anche altre, ad esempio la facoltà di nominare
un perito) che potrebbero anche avere una certa rilevanza, come vedremo dopo, in caso di
mancata conciliazione e quindi in caso (malaugurato!) di prosecuzione dell’iter giudiziale.
In più, si deve rilevare come l’eterna discussione (in Italia) circa l’utilizzo dei due termini
conciliazione e mediazione venga risolta dal legislatore senza appello (e tutto questo non
era assolutamente scontato), chiarendo che con il termine mediazione si deve intendere l’attività posta in essere dal mediatore, mentre con il termine conciliazione si deve intendere il
risultato finale positivo (sinonimo quindi di accordo) dell’attività di mediazione. Quindi il
primo problema di ordine terminologico: si dovrà parlare (solo) di “mediatore” o anche (ancora) di “conciliatore”? Sappiamo bene, infatti, che i problemi di determinazione terminologica non sono soltanto problemi attinenti alla terminologia, ma spesso nascondono vere e
proprie impostazioni concettuali e di modelli (di approccio, di ricerca e di studio) differenti.
Il ministero della Giustizia ha avuto modo di sottolineare come sono caratteri precipui
della conciliazione societaria, ed oggi della mediazione civile:
-- l’imparzialità: il conciliatore deve essere un terzo imparziale e indipendente rispetto alle
parti. Se esistono ragioni anche remote e indirette di conflitto di interessi, il conciliatore
deve astenersi dall’assumere l’incarico ed è responsabile del mancato assolvimento del
dovere di imparzialità;
-- l’equità: l’accordo conciliativo dovrà sempre tendere a contemperare gli interessi di entrambe le parti, senza disparità e assicurando un reciproco grado di soddisfazione;
-- la salvezza: se le parti non raggiungono l’accordo, mantengono intatti le loro pretese e il
diritto di promuovere l’azione in giudizio o dare avvio a un procedimento arbitrale: tuttavia, la mancata comparizione di una delle parti e le posizioni da esse assunte dinanzi
al conciliatore sono liberamente valutate dal giudice nell’eventuale successivo giudizio
ai fini della decisione sulle spese processuali, anche ai sensi dell’art. 96 c.p.c., potendo il
giudice decidere sulle spese in termini diversi dal criterio della soccombenza, escludendo la ripetizione delle spese da parte della parte vittoriosa o addirittura condannandola
a rimborsare le spese al soccombente;
-- l’autonomia: le parti possono condurre la trattativa nei modi che ritengono più opportuni e decidere il grado di incidenza dell’attività del conciliatore sulla formazione
dell’accordo. Possono determinare liberamente il contenuto dell’accordo, secondo quella che ritengono essere la maggiore rispondenza ai loro interessi;
-- la rapidità: la singola sessione di mediazione non ha tempi minimi di durata. L’accordo
può essere raggiunto anche al primo incontro e l’intero procedimento non può durare
più di quattro mesi;
238
-- l’economicità: le parti saranno tenute a corrispondere soltanto l’onorario del conciliatore, che è fisso e predeterminato in ragione del valore della controversia, nonché le spese
(anch’esse fisse) di segreteria (al riguardo si veda il decreto ministeriale del 23 luglio
2004, n. 223);
-- la riservatezza: il conciliatore ha l’obbligo di non rivelare alcuna informazione relativa
all’incarico ricevuto, sia con riguardo alle parti, sia con riguardo allo svolgimento della
procedura conciliativa, sia con riguardo ai contenuti dell’eventuale accordo. Analogo
vincolo ricade sulle parti, atteso che le dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio promosso a seguito dell’insuccesso
del tentativo di conciliazione, né possono essere oggetto di prova testimoniale;
-- la responsabilità. Il conciliatore abilitato deve essere assicurato dall’organismo di conciliazione di cui fa parte con una polizza conformata a uno standard assicurativo che
fornisce sufficiente garanzia agli utenti in ordine ad eventuali pretese derivanti dallo
svolgimento del servizio.
18.2 Il vecchio Organismo di Conciliazione ed il nuovo Organismo Abilitato: verso un
Organismo di Mediazione?
La “nuova” norma in parola fa riferimento agli “organismi abilitati” (e non più, espressamente, agli Organismi di conciliazione) ed ai mediatori civili, creando però di fatto ancora
un legame con il “vecchio” decreto ministeriale del 23 luglio 2004, n. 222. In questo
decreto infatti risulta regolamentata la disciplina circa l’istituzione presso il ministero della
Giustizia del registro degli Organismi di conciliazione (R.O.C.), che ad oggi, in attesa dei
nuovi decreti ministeriali, risulta recepita in quanto compatibile con il nuovo decreto.
Il direttore generale della giustizia civile è il responsabile del registro, che, per la sua tenuta,
può avvalersi, con compiti consultivi, di un comitato di tre giuristi esperti nella materia della
risoluzione alternativa delle controversie. Il registro è diviso in due macro aree, una per gli
enti pubblici, l’altra per quelli privati. Nel registro sono iscritti, a domanda, gli organismi di
conciliazione costituiti da enti pubblici e privati o che costituiscono autonomi soggetti di
diritto pubblico o di diritto privato. Rimane escluso che l’organismo di conciliazione possa
essere una persona fisica. Gli organismi di conciliazione istituiti presso le Camere di Commercio sono iscritte di diritto su semplice domanda. Per gli altri organismi, la domanda verrà
vagliata per controllare, come indici di professionalità ed efficienza (e quindi di affidabilità):
-- la forma giuridica dell’ente o dell’organismo, il suo grado di autonomia, nonché la
compatibilità della sua attività con l’oggetto sociale o lo scopo associativo;
-- la consistenza dell’organizzazione di persone e mezzi, e il suo grado di adeguatezza,
anche sotto il profilo patrimoniale; l’istante, in ogni caso, dovrà produrre polizza assicurativa di importo non inferiore a 500.000 euro per le conseguenze patrimoniali
comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di conciliazione;
-- i requisiti di onorabilità dei soci, associati, amministratori o rappresentanti dei predetti
enti, non inferiori a quelli richiesti per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso SIM, società di gestione del risparmio e SICAV;
-- la trasparenza amministrativa e contabile dell’ente, ivi compreso il rapporto giuridico ed
economico tra l’ente e i singoli conciliatori;
239
-- le garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio,
nonché la conformità del regolamento di procedura di conciliazione alla legge e della
tabella delle indennità;
-- il numero dei conciliatori, non inferiore a sette, che abbiano dichiarato la disponibilità
a svolgere le funzioni di conciliazione in via esclusiva per il richiedente (ad eccezione dei
soli organismi di conciliazione costituiti dalle CCIAA, che ne sono esonerati);
-- la sede (e le sedi secondarie) dell’organismo di conciliazione.
18.3 Il “conciliatore” professionista all’interno del Organismo di conciliazione
Il costituendo Organismo di conciliazione che intende iscriversi presso il R.O.C. è tenuto
ad allegare alla domanda di iscrizione, l’elenco dei conciliatori che si dichiarano disponibili, mediante distinte dichiarazioni, debitamente sottoscritte dagli interessati, allo svolgimento del servizio avendone i requisiti. Nessun conciliatore può dichiararsi disponibile a
svolgere le funzioni di conciliazione per più di tre organismi.
I conciliatori dovranno necessariamente essere:
-- professori universitari in discipline economiche o giuridiche;
-- professionisti iscritti ad albi professionali in discipline economiche o giuridiche con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni;
-- magistrati in quiescenza;
-- laureati in materia giuridiche o economiche o lauree equipollenti, almeno laurea triennale, ovvero iscritti in albi professionali in materia giuridiche o economiche con anzianità inferiore ai 15 anni purché abbiano seguito con successo un corso specifico di
formazione per conciliatori, che sia stato svolto in conformità a quanto prescritto dalle
norme vigenti.
Ai fini della qualificazione professionale del conciliatore sono presi in considerazione soltanto i professori universitari in materie giuridiche o economiche che siano professori ordinari o professori associati. Inoltre un soggetto in possesso della laurea conseguita all’estero o
dell’iscrizione in albi professionali esteri, che abbia soddisfatto gli altri requisiti richiesti dal
d.m. n. 222/2004 può essere iscritto come conciliatore societario a condizione che la laurea
conseguita all’estero sia stata riconosciuta in Italia con apposito provvedimento (procedura
curata dal ministero della Giustizia), così come l’iscrizione in albi professionali stranieri.
Il riconoscimento, in entrambi i casi, deve essere precedente alla domanda di inserimento
nell’elenco dei conciliatori facente parte dell’Organismo. Infine, per il quarto caso, la laurea
deve essere stata conseguita prima della frequenza del corso base. Quindi il diplomato, il
laureando in materie giuridiche o economiche, e il laureato in materie diverse da quelle
giuridiche o economiche, non equipollenti con quest’ultime, non possono essere ammessi
a partecipare al corso di formazione specialistica.
Il conciliatore dovrà poi possedere i seguenti requisiti di onorabilità:
-- non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, anche per contravvenzione;
-- non avere riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non
inferiore a sei mesi;
-- non essere incorso nell’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici;
240
-- non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza;
-- non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall’avvertimento.
Il conciliatore eventualmente designato per seguire un procedimento di mediazione civile
deve eseguire personalmente la sua prestazione e della sua opera risponde anche l’ente o
l’organismo di appartenenza.
18.4 L’esperienza delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura
Risulta interessante (e fondamentale) dare un rapido sguardo alle norme che regolano l’accesso al servizio di conciliazione camerale. Infatti le CCIAA, dalla normativa di riorganizzazione delle stesse (1993) hanno assunto un ruolo di riferimento per questa materia. Anche
le Associazioni dei Consumatori, con i protocolli d’intesa per la costituzione di servizi
di conciliazione paritetica, hanno avuto un ruolo rilevante in questa materia, ma la stessa
conciliazione paritetica presuppone un modello assolutamente differente dalla mediazione
come da noi intesa, basti pensare che manca… il conciliatore terzo e quindi evidentemente
esula dai fini della nostra breve dissertazione.
Per poter svolgere le funzioni di conciliatore presso le Camere di Commercio (conciliatore camerale), è necessario, in via preliminare, possedere i seguenti requisiti di onorabilità:
-- non aver riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, anche
per contravvenzione;
-- non aver riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non
inferiore a 6 mesi.
Occorre poi seguire un corso base, della durata trentadue ore (di cui almeno sedici ore
di pratica) oltre a quattro ore di valutazione finale. I partecipanti non possono essere un
numero superiore a trenta. Il corso dovrà sistematicamente affrontare le seguenti materie:
-- il ruolo delle Camere di Commercio nella regolazione del mercato;
-- gli strumenti extragiudiziali di risoluzione delle controversie (in generale);
-- le procedure contenziose e le procedure non contenziose;
-- le caratteristiche dei metodi A.D.R. (in particolare le differenze tra conciliazione ed
arbitrato);
-- i principi e la natura della conciliazione;
-- la conciliazione amministrata dalle Camere di Commercio;
-- la conciliazione transfrontaliera e le esperienze internazionali;
-- i compiti, le responsabilità e le caratteristiche del conciliatore;
-- le tecniche di negoziazione e di conciliazione:
a) il conflitto;
b) le tecniche di comunicazione;
c) la fase introduttiva;
d) la fase esplorativa;
e) la fase di negoziazione;
f) la fase dell’accordo;
-- esercitazioni pratiche e simulazioni.
La valutazione consiste in un giudizio sull’apprendimento rispetto alle conoscenze giuridiche e teoriche sulla conciliazione, tramite test a risposta multipla. In più dovrà essere
241
prevista una seconda valutazione di carattere pratico, per stimare le abilità nell’applicazione
delle tecniche e delle strategie di conciliazione, attraverso la partecipazione degli aspiranti
conciliatori a sessioni simulate di conciliazione (tutti i candidati, divisi in gruppi, dovranno
svolgere il ruolo di conciliatore). Sia al test che alla simulazione sarà attribuito un punteggio
da zero a tre, secondo la seguente scala di valori:
• 0 = insufficiente
• 1 = Sufficiente
• 2 = Discreto/buono
• 3 = Ottimo
Oltre al voto numerico, il docente-valutatore dovrà preparare un profilo del corsista, ponderando in particolar modo:
-- la capacità di ascolto attivo: intesa come la capacità di ascoltare con partecipazione sospendendo il giudizio, di individuare ed esplorare valori, convinzioni e logica dell’altra
persona e di verificare la congruenza dei messaggi non verbali, nonché la propria comprensione, parafrasando e riassumendo le informazioni prodotte dall’altra persona;
-- l’empatia: intesa come la capacità di immedesimarsi in un’altra persona e di calarsi nei
suoi pensieri e stati d’animo;
-- l’equilibrio emozionale, inteso come la capacità di non lasciar prevalere la sfera emotiva
su quella razionale e di mantenere le reazioni in misura non esagerata rispetto allo stimolo ricevuto, al fine di evitare comportamenti che possano interferire nel processo di
conciliazione;
-- la creatività: intesa come la capacità di saper trovare soluzioni originali ai problemi, al
di fuori degli schemi collaudati e di produrre nuove idee.
A conclusione del corso, ai candidati sarà rilasciato un attestato, che potrà essere di due
tipi:
-- attestato di superamento: per coloro che hanno frequentato il 75% delle lezioni e hanno superato la valutazione finale, l’attestato riporterà la dicitura “Ha superato il corso
di…”;
-- attestato di frequenza: per coloro che hanno frequentato il 75% delle lezioni ma non
avranno sostenuto o superato la valutazione finale, l’attestato riporterà la dicitura “Ha
frequentato il corso di...”.
Nel caso in cui il candidato non abbia sostenuto o superato la valutazione, sarà sempre
possibile sottoporsi ad un’ulteriore valutazione, dopo aver frequentato un corso integrativo.
È interessante ricordare che l’inserimento di un conciliatore nell’elenco di una Camera di
Commercio è di per sé titolo sufficiente per assumere l’incarico di conciliatore in tutte le
altre Camere di Commercio nel territorio nazionale, anche se l’UNIONCAMERE, in maniera opportuna sta valutando l’idea di rendere unica l’iscrizione a livello nazionale.
Insieme al corso base, che permette, qualora si superi con profitto la valutazione finale, di
iscriversi nelle liste dei conciliatori, si sono progettati altri tre tipi di corsi: il corso avanzato,
il corso integrativo ed il corso di aggiornamento.
Il corso avanzato ha una durata di sedici ore (di cui almeno otto ore di pratica) oltre a due
ore di valutazione. In questa sessione si dovranno approfondire le problematiche connesse
ad aspetti specifici in materia di conciliazione, sia con riferimento alle novità di carattere
242
legislativo, sia con riferimento ad aspetti tecnico-pratici:
-- aspetti normativi e novità;
-- tecniche di negoziazione:
a) la fase esplorativa;
b) a fase di negoziazione;
c) la fase dell’accordo;
-- esercitazioni pratiche e simulazioni.
Il corso integrativo nasce dalla constatazione che alcune Camere di Commercio, antecedentemente alla definizione degli standard elaborati da Unioncamere per la formazione dei
conciliatori, si sono organizzati corsi per aspiranti conciliatori di durata inferiore a quella
prevista dagli standard medesimi (trentasei ore). Con questo corso, i conciliatori precedentemente iscritti, hanno potuto completare il loro percorso formativo. Il corso prevede una
durata di dodici ore (quattro ore per la parte teorica, otto ore per la parte pratica) e quattro
ore destinate alla valutazione finale. I contenuti trattano dell’aggiornamento del quadro
normativo di riferimento, nazionale e comunitario, oltre che delle tecniche di conciliazione.
L’ultimo tipo di corso è quello di aggiornamento, che nasce per colmare l’esigenza di perfezionamento dei conciliatori che hanno già partecipato al corso base. La frequenza di questo
corso risulta obbligatoria, ogni biennio, ma a discrezione della Camera di Commercio
può essere svolto annualmente. La durata è di otto ore oltre quattro ore di valutazione. I
contenuti del corso dovranno essere:
-- un aggiornamento del quadro normativo comunitario e/o nazionale;
-- un approfondimento di un aspetto emerso durante il corso base ovvero l’analisi della
conciliazione in un particolare settore;
-- una esercitazione pratica con analisi approfondita della modulistica (verbali e accordi
scritti);
-- la gestione di una procedura (anche in modo virtuale) con la presenza di un esperto
nazionale o internazionale e/o di uno psicologo;
-- le esercitazioni pratiche e le simulazioni.
Per quanto riguarda l’ammissione ai corsi, così come precedentemente descritti, a seconda
della tipologia di percorso formativo, la Camera di Commercio potrà gestire la selezione
delle domande pervenute ricorrendo ai seguenti criteri, alternativi o cumulabili tra di loro:
- test psico-attitudinale: questo è il criterio più efficace per individuare la capacità comunicativa, l’aspetto relazionale e quello motivazionale degli aspiranti conciliatori, il test dovrà
essere redatto e successivamente valutato da esperti in psicologia;
- anteriorità della domanda di partecipazione al corso: questo risulta il criterio più semplice,
anche tenendo conto della fase organizzativa e dei costi di gestione, in caso di utilizzo di
questo strumento sarà fondamentale l’attenta valutazione della scheda anagrafica;
- titolo di studio, di specializzazione ed esperienze professionali: questo criterio consente di
poter scegliere coloro che hanno qualificati titoli di studio e che hanno frequentato corsi
di specializzazione attinenti la conciliazione e materie affini, o svolgano una determinata
attività professionale in qualche modo pertinente al settore.
243
18.5 La linea di contatto tra Organismi di conciliazione e CCIAA
Si sono poi tracciate le linee guida anche per altri due tipologie di corsi di specializzazione
in materia societaria (rectius oggi mediazione civile). Tali percorsi formativi specifici
sono rivolti a tutti coloro che intendono iscriversi negli elenchi dei conciliatori abilitati alla
gestione delle conciliazioni in materia societaria (rectius oggi mediazione civile). Per poter
essere ammessi alla frequenza del corso gli aspiranti conciliatori dovranno consegnare un
curriculum professionale dettagliato dal quale si evince la conoscenza e l’esperienza professionale acquisita nell’ambito della materia societaria.
Una prima tipologia di corso è rivolta a tutti coloro che intendono richiedere l’iscrizione
alle liste dei conciliatori camerali in materia societaria pur non avendo mai frequentato
alcun percorso formativo, né interno né esterno al sistema camerale. Il corso avrà durata
di trentadue ore (di cui almeno sedici di pratica), secondo gli standard del corso base più
un corso di specializzazione in materia societaria della durata di otto ore. La valutazione,
preferibilmente affidata ad un soggetto esterno al sistema camerale, dovrà avere una durata
di quattro ore.
La seconda tipologia di corso è destinata ai soggetti già iscritti nelle liste dei conciliatori
della Camera di Commercio e quindi a quei soggetti che abbiano già frequentato un corso
base. Per questi sarà sufficiente frequentare il corso di specializzazione in materia societaria
di otto ore, come sopra specificato, che dovrà approfondire essenzialmente la disciplina specifica dettata dagli artt. 38 e seguenti del d.lgs. n. 5/2003 e dal successivo d.m. n. 222/2004.
È stato poi previsto un apposito corso per tutti coloro che vorranno essere iscritti nelle liste
dei conciliatori camerali in materia societaria e che hanno i requisiti individuati all’art. 4,
comma 4 lett. a) del d.m. n. 222/2004. Il corso avrà la medesima struttura del percorso
formativo precedentemente descritto, avendo riguardo soprattutto agli aspetti inerenti le
tecniche di conciliazione, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista strettamente
pratico.
Infine, per tutti coloro che intendono richiedere l’iscrizione alle liste dei conciliatori camerali in materia societaria, avendo frequentato esclusivamente corsi di formazione organizzati
da soggetti diversi dal sistema camerale, i cui requisiti corrispondano a quelli previsti per il
corso base, potrà essere necessaria un’attività di valutazione, effettuata da un soggetto esterno al sistema camerale, oltre alla presentazione di un curriculum professionale dettagliato
dal quale si evinca la conoscenza e l’esperienza professionale acquisita nell’ambito della
materia societaria.
18.6 Nuove conoscenze ed abilità per una nuova professione?
Come si è precedentemente scritto, nel nostro ordinamento giuridico, la figura del mediatore/conciliatore non risulta completamente determinata, se non rispetto a specifiche
norme. Possiamo quindi definire il ruolo del mediatore prendendo in esame soprattutto la
riforma del diritto societario, la normativa inizialmente richiamata del 2010 e l’evoluzione
del ruolo nell’Ente che può essere preso a riferimento in Italia per capillarità geografica,
storia e attività: la Camera di Commercio.
Al conciliatore delle Camere di Commercio è richiesta, come si è dettagliatamente analizzato, una formazione di base che comprende varie materie, da quelle prettamente pratiche,
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relative all’utilizzo delle tecniche di mediazione, a quelle più generali e teoriche. Come
giustamente rileva Giovanni Cosi, il mediatore risulta essere un professionista (poiché
acquisisce un saper-fare tecnico specializzato grazie alla preparazione personale ed all’esperienza) che sceglie professionalmente di violare il dogma del cosiddetto XI comandamento:
“non occuparti dei fatti altrui”. Non ha certo l’Autorità di un arbitro o di un giudice, ma
ha l’autorevolezza acquisita dalla sua posizione. Il mediatore, nel momento in cui assume la
una funzione, rispetto ai terzi in conflitto, riveste una posizione particolare.
Gli studiosi interessati alla struttura dell’Autorità, si sono chiesti da dove derivi il potere o
l’Autorità di porsi di fronte ai terzi come mediatore. Il potere del mediatore deriva senz’altro
da un accordo delle parti stesse, ma anche dalle capacità della persona, qualche volta dalla
tradizione (come accade nelle culture orientali) e qualche volta da un’Autorità più elevata
(come la funzione di mediatore del giudice di pace).
Vi è poi un’altra fonte di potere: il trovarsi in un determinato momento in un determinato luogo fisico: “… i passanti, che di fronte ad un ingorgo inestricabile entrano in mezzo
all’incrocio e si mettono a dirigere il traffico, si vedono attribuito il potere di selezionare
quali macchine sia opportuno fare passare per prime in modo da migliorare l’efficienza della
situazione; la loro Autorità è solo quella di un suggerimento, e tuttavia viene accettata nella
circostanza” (Schelling).
Il mediatore deve essere:
-- realista, per poter osservare le cose come sono, e poterle così farle comprendere alle
parti, in modo da intravedere immediatamente standard oggettivi applicabili alla controversia, essere cioè “agente di realtà”;
-- flessibile e fermo, per essere elastico con le persone e rigido nel far rispettare la procedura;
-- ottimista, perché deve essere il primo ad essere convinto che ci sia una soluzione ottimale
per risolvere il conflitto delle parti, pur rimanendo convinto che il mancato accordo
in una conciliazione non significa il fallimento del mediatore come professionista (la
prestazione rimane di mezzi e non di risultato, anche se la normativa del 2010 prevede
un possibile bonus per il mediatore civile che riesca a raggiungere un accordo tra le
parti…);
-- senza pregiudizi, in quanto dalla sua apertura mentale spesso dipende la soluzione creativa ed innovativa (anche se poi la stessa deve essere generata in collaborazione con le
parti);
-- acuto nelle percezioni, per saper individuare gli interessi e i bisogni delle parti, per far
affiorare le pressioni dei terzi referenti, per prevedere situazioni che in futuro potrebbero
effettivamente crearsi (es. nuovi rapporti commerciali tra le parti);
-- comunicativo, per poter ascoltatore e capire i reali interessi nel conflitto, dotato del c.d.
occhio prensile, attento ai dettagli e capace di ristabilire un canale comunicativo tra le
parti.
Il mediatore deve essere terzo imparziale, ma anche empaticamente interessato alla vicenda,
deve tendere alla conoscenza delle parti e del conflitto, senza prediligerne nessuna (piuttosto che equidistante, dovrebbe essere “equivicino”).
Il mediatore non deve essere necessariamente uno specialista della materia oggetto del conflitto, anche perché, in casi specifici, si potrà far sempre aiutare dalla collaborazione di un
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tecnico chiamato per risolvere determinate questioni rilevanti (anzi, con la nuova normativa del 2010 né ha la piena facoltà). Secondo alcuni è indispensabile che il mediatore abbia
invece un buon livello di competenza tecnica, perché così può sapere come mediare, ma
anche cosa mediare. Per altri il mediatore non può essere uno specialista, ma più in generale
può sempre accompagnarsi ad un terzo tecnico, pena il rischio di trovarsi di fronte ad un
“tuttologo” (o una sorta di perito dei periti). Risulta certo che una buona competenza specifica e una competenza di base di tipo psicologico e comunicativo non potranno che aiutare
il mediatore, anche facendogli acquisire quella autorevolezza indispensabile per dominare il
procedimento conciliativo. Questo punto può comunque trovare una prima soluzione con
l’utilizzo di Collegi di Mediatori (tutti portatori di diverse professionalità).
Al mediatore vene richiesto di saper domandare, deve cioè, senza timore, chiedere ed interrogare le parti, rispetto a tutto quello che non risulta sufficientemente chiaro, formulando
il tutto in maniera chiara e coerente, nel modo meno emotivo possibile. Con le domande si
manifesta interesse verso l’oggetto del conflitto e verso la parte, si può facilitare una riflessione ed accelerare la conclusione del procedimento di mediazione. Ma soprattutto al mediatore è richiesto di saper ascoltare le parole e la cadenza delle parole, ma anche i silenzi e
le eventuali reticenze. Risulta anche importante saper comprendere i gesti, gli sguardi, tutti
i comportamenti del corpo. E sapere interpretare tali movimenti.
Il mediatore, inoltre, dovrebbe avere una conoscenza di base di sei scienze complementari,
e cioè, in ordine sparso: la comunicazione, la psicologia, la sociologia, l’economia, il diritto
e l’etica.
Per quanto riguarda la capacità comunicativa, il mediatore dovrà utilizzarla:
-- per aprire canali comunicazionali tra le parti;
-- per far sviluppare uno scambio di idee ed una discussione ordinata e tendente allo scopo
di una ricerca di un accordo pro futuro;
-- per ascoltare le parti e cercare di capire quali siano gli interessi nascosti che si celano
dietro ogni presa di posizione;
-- per riassumere i risultati della discussione, parafrasando le frasi delle parti;
-- per far notare i miglioramenti raggiunti e smorzare eventuali toni aggressivi;
-- per far presente la propria opinione senza imporla, ma presentandola come un consiglio
qualora venga richiesto da entrambe le parti.
Per quanto riguarda la deontologia del mediatore professionista, oltre a far riferimento agli standard camerali, possiamo prendere in esame gli standard di condotta definiti
congiuntamente dalla American Bar Association (A.B.A.), dalla Society of Professional in
Dispute Resolution (S.P.I.D.R.) e dalla American Arbitration Association (A.A.A.).
Autodeterminazione: il mediatore deve riconoscere che la mediazione è basata sul principio di autodeterminazione delle parti. Le parti mantengono una libertà sia iniziale, nell’accettare di intervenire in conciliazione, sia durante l’iter conciliativo, perché possono sempre
abbandonare la sede di conciliazione, sia alla fine, perché possono sempre decidere di non
firmare la bozza di accordo che si è delineata. Il mediatore invece ha una sua autorevolezza
rispetto alle regole del procedimento, che deve fare rispettare, pena la impossibilità di arrivare ad una soluzione della controversia.
Imparzialità: il mediatore deve condurre la mediazione in maniera imparziale. Il mediatore
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assume infatti una funzione importante, anche se non è investito della capacità di decidere
della questione. Qualora si dovesse accorgere di non poter sostenere l’iter conciliativo in
maniera imparziale dovrebbe abbandonare la conciliazione, comunicandolo alle parti. Il
mediatore dovrebbe comunque evitare qualsiasi atteggiamento che possa ingenerare dubbi
sulla sua imparzialità, anche non fondati (per esempio è buona norma dare alle parti gli
stessi tempi e la stessa attenzione, anche solo per la premura di non apparire neutrali). Il
mediatore deve quindi anche sembrare (=dimostrarsi) imparziale (oltre che esserlo).
Conflitto d’interessi: il mediatore deve ragionevolmente cercare di evitare ogni conflitto
d’interessi, presente e futuro. Se si ingenerano dubbi sulla persona del mediatore, anche
per relazioni economiche o personali con una delle parti, si viene a minare l’autorevolezza
del mediatore e questo non solo rispetto alla singola conciliazione, ma anche come professionista. Il mediatore non dovrebbe mai accettare altri incarichi dalle parti in conflitto, ne
divenire loro consulente in altra separata sede (es. dichiarazione di imparzialità e mancanza
di conflitto d’interessi che il conciliatore professionale deve firmare).
Competenza: il mediatore deve operare solo se ha le competenze necessarie a soddisfare le
aspettative delle parti. In questa visione il mediatore è uno specialista della materia, o almeno sa di che cosa si sta trattando. Questo permette di poter assumere una discussione con
un registro tecnico e permette anche di capire prima di tutto determinati interessi specifici
delle parti e poterli trasfondere in un accordo soddisfacente.
Riservatezza: il mediatore deve soddisfare le parti nelle loro aspettative di riservatezza.
Una delle cause per cui può essere scelta la strada della mediazione è quella che prevede la
riservatezza dell’intero procedimento. Anche un eventuale accordo può essere difeso da una
clausola di riservatezza estesa al mediatore. Di per se il mediatore assume un ruolo che lo
potrebbe portare a conoscere informazioni riservate e sensibili, e per questo deve garantire
alle parti il suo silenzio. Questo permetterà alle parti stesse di potersi aprire senza timori,
in una maniera differente che se avessero di fronte un giudice od un arbitro. Qualsiasi normativa in materia di conciliazione dovrebbe prevedere l’obbligo del segreto professionale
per il conciliatore, dichiarando espressamente il divieto di chiamarlo e di ascoltarlo, quale
testimone, in un’eventuale causa giudiziaria.
Qualità della procedura: il mediatore deve condurre la mediazione con trasparenza, diligenza e nel rispetto del principio di autodeterminazione delle parti. Il mediatore gestisce
il procedimento di mediazione e deve far rispettare alle parti determinati obblighi perché
tale iter possa avere il più alto grado di probabilità di successo. La mediazione, pur essendo
improntata ad un estremo informalismo, ha infatti un suo svolgimento, con regole e doveri
per le parti, nell’ottica di garantire un servizio di ottimo livello. Tra le altre cose, la procedura deve prevedere un tempo limitato, perché la velocità temporale resti uno dei vantaggi
della mediazione.
Pubblicità ed offerta dei servizi (informazione): il mediatore deve essere veritiero nel
pubblicizzare e offrire servizi di mediazione. Per questo può essere presa a riferimento “la
settimana della conciliazione” che ogni anno viene organizzata dalle Camere di Commercio
italiane e che diventa anche un momento di discussione sulla conciliazione in generale, sui
risultati raggiunti e sulla promozione del servizio. Nulla vieterebbe però, in ipotesi, al singolo mediatore professionista di promuovere la propria attività anche da un punto di vista
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pubblicitario (specie considerando anche le ultime aperture circa le attività promozionali
degli iscritti a ordini professionali che si erano sempre dichiarati più che sfavorevoli rispetto
a tale possibilità).
Compensi: il mediatore deve produrre chiare informazioni sui compensi e sui costi del
servizio a carico delle parti. Un fiore all’occhiello della mediazione è la sua economicità, se
paragonata anche ad altri metodi A.D.R. come per esempio l’arbitrato e se, naturalmente,
paragonata alle vie ordinarie di giustizia. Le parti devono essere informate sui costi, anche
prima di iniziare il procedimento mediativo, perché questa informazione potrà essere alla
base della scelta autodeterminata di procedere alla conciliazione.
Obblighi verso il procedimento di mediazione: i mediatori hanno l’obbligo di migliorare
le loro capacità tecniche. Ciò significa che il mediatore, come ogni professionista, deve
offrire un servizio sempre eccellente ed essere aggiornato, seguendo corsi di formazione
specifici ed avanzati, come per esempio in Italia è già previsto per i conciliatori delle Camere
di Commercio, rispetto agli ultimi standard di formazione Unioncamere.
Anche il professionista (avvocato, dottore commercialista, consulente del lavoro, ecc.) può
in qualche modo essere il soggetto propulsore della mediazione. La posizione del professionista rispetto al procedimento mediativo può essere differente:
-- può assistere la parte come rappresentante che si affianca al cliente;
-- può svolgere le funzioni di conciliatore.
Nel secondo caso, il professionista dovrà intervenire come conciliatore, quindi sarà importante far capire alle parti che il suo ruolo è differente da quello abituale. È importante non
confondere il professionista-conciliatore da quello che convoca la parte avversa presso il
proprio studio per tentare un negoziazione. In questo caso, al di là dell’atteggiamento più
o meno spiccatamente conciliativo del professionista, quest’ultimo non agirà come conciliatore, perché rimane comunque e sempre un rappresentante di una sola parte e quindi
non avrebbe tutte le caratteristiche del conciliatore. Dal punto di vista economico, nei paesi
in cui i metodi A.D.R. sono ormai acquisiti anche dalla mentalità dei potenziali clienti, il
professionista risulta avvantaggiato sia come risparmio di “energie” che di tempo impiegato.
Infine, può essere interessante descrivere, a livello internazionale, come la Society of Professionals in Dispute Resolution, ovvero l’associazione di rappresentanza dei mediatori americani, abbia formulato un elenco delle abilità che un mediatore dovrebbe avere, non prima di
aver sottolineato come, specie negli Stati Uniti, il possesso di un titolo accademico non
sia considerato prerequisito per poter svolgere l’attività di mediatore.
L’elenco prevede una elencazione di abilità generali:
-- capacità di ascolto attivo;
-- capacità di identificazione, analisi e separazione dei problemi;
-- capacità comunicative e sensibilità rispetto ai valori delle parti;
-- capacità di separazione del problema oggettivo dai comportamenti soggettivi;
-- capacità nel capire squilibri di potere;
-- capacità di mantenimento del proprio controllo.
Si richiedono poi altre caratteristiche, chiamate “abilità specifiche per la conciliazione”:
-- capacità di capire la procedura di mediazione e il ruolo degli avvocati;
-- capacità di generare fiducia;
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capacità di identificare gli interessi ed i bisogni delle parti dalle loro
posizioni iniziali;
capacità di individuare le questioni non conciliabili;
capacità di trovare standard e criteri oggettivi;
capacità di coadiuvare le parti per la ricerca di soluzioni innovative e creative;
capacità di coadiuvare le parti alla ricerca delle loro migliori alternative fuori dall’accordo;
-- capacità di consigliare le parti sulla esecutività pratica di un accordo.
18.7 Brevissime osservazioni finali
L’evoluzione della normativa e le difficoltà delle “strade ordinarie (giudizio ordinario)” ci
portano ad ipotizzare uno spazio sempre più importante destinato alla figura del mediatore
civile. Probabilmente tale figura ad oggi sconta una visione molto cauta della norma che
prevede prerequisiti rilevanti, ma aspecifici, per gli odierni mediatori. Presumibilmente in
futuro si andrà verso una maggiore specializzazione anche dei percorsi formativi e, forse,
ad una divisione di competenze in base al curriculum vitae et studiorum del mediatore. In
un futuro prossimo potremmo in sostanza assistere alla nascita di Organismi di mediazione che abbiano al loro interno diverse figure di mediatori, divisi in liste differenti, con la
possibilità anche di “dialogare” tramite la formazione di collegi di mediatori per la singola
lite (cosa che avrà una certa conseguenza sui costi del servizio). Verosimilmente la scelta
dell’Organismo da parte degli utenti finali, all’inizio derivata da mere ragioni logistiche o
dalla fumosa affidabilità maggiore da sempre riservata agli enti pubblici o parapubblici, si
muoverà anche verso la scelta dettata dalla concreta affidabilità dei singoli mediatori, che
restano il vero motore della mediazione civile. Infatti l’Organismo abilitato potrà essere valutato per l’affidabilità delle operazioni segretariali e di preparazione alla mediazione civile,
ma la valutazione sul servizio prettamente di mediazione potrà essere effettuato solo avendo
a riguardo al (buon) lavoro dei mediatori. E forse, in un futuro non troppo lontano, anche
il percorso di studio per il mediatore diverrà un percorso universitario interfacoltà (almeno
comprendente le facoltà di giurisprudenza, psicologia ed economia). Ed il mediatore verrà
“sdoganato” dall’Organismo con cui oggi è relegato a vivere in simbiosi. Il mediatore
potrebbe prendersi un proprio spazio di azione autonomo, gestendo l’intero servizio di mediazione (in altre Nazioni è normale). Naturalmente ci vuole una volontà politica che comporti anche un salto di affidabilità verso la figura del mediatore. Ed allora, ma forse anche
prima di questo passo, si dovrà cominciare a parlare di un Ordine dei Mediatori (anche se
l’evoluzione europea desta perplessità) o almeno di una Associazione dei Mediatori Italiani
sottoposta al controllo del ministero della Giustizia. E se il mediatore diventasse una figura
a se stante, un vero professionista, si dovrebbe probabilmente cominciare ad esaminare le
eventuali, ma possibilissime, incompatibilità rispetto allo svolgimento di altre Professioni.
E poi si dovrebbe ipotizzare la costituzione di una Cassa previdenziale autonoma e magari
anche di una posizione riconosciuta anche fiscalmente con una Partita Iva apposita per i
mediatori. Ma molto probabilmente stiamo andando troppo lontano (nei tempi) con queste mie brevi riflessioni.
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19. BIOGRAFIE AUTORI
(in ordine alfabetico)
Bernini Bovicelli Anna Maria, On.
Parlamentare italiana.
Briganti Giuseppe, Avv.
Avvocato e conciliatore. Avvocato del Foro di Urbino dal 2001. Socio AMCI. Si occupa di
diritto civile e penale, con particolare riferimento a privacy, diritto delle nuove tecnologie
e ai modi alternativi di risoluzione delle controversie. Cura, dallo stesso anno, il sito web
giuridico www.iusreporter.it, dedicato alla ricerca giuridica on-line, e, dal 2010, il sito web
www.guidamediazionecivile.it, dedicato al d.lgs. 28/2010. È autore di numerose pubblicazioni e collabora con riviste on-line e cartacee. Dal 2009 è conciliatore.
Ciccarelli Liliana, Dott.sa
Cittadinanzattiva. Consumers’ Forum.
Ciccarello Sergio, Dott.
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani. Cultore di diritto della conciliazione, della
mediazione e dell’arbitrato, Università e-Campus.
Di Tullio Marco, Avv.
Formatore ed ex Presidente dell’AIDP Umbria. Avvocato in Perugia. È stato per quattro
anni Responsabile del Personale in una primaria società informatica e, al termine di tale
esperienza, nel 1997, ha optato per la professione forense. A tale attività continua ad affiancare esperienze di consulenza nell’impresa privata, sia nell’Area Legale, sia in quella
di gestione delle Risorse Umane, con particolare impegno nel campo della formazione
manageriale e post-laurea, curando interventi su temi di Diritto, Comunicazione, Risorse
Umane, problem solving, Negoziazione.
È stato Presidente dell’AIDP Umbria nel biennio 2005-2007.
Gilli Pierluigi, Cav. Avv.
Università degli Studi e-Campus. Laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con la tesi in Diritto Ecclesiastico “Libertà religiosa in età
precostantiniana”, ha perfezionato gli studi in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense di Roma ed ha funto per anni da assistente cultore per gli insegnamenti
di Diritto Ecclesiastico, Diritto Canonico e Storia dei rapporti fra Stato e Chiesa nell’età
moderna presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano. Avvocato abilitato al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione, con specializzazione civilistica e privatistica, Professore
incaricato di Diritto Ecclesiastico nell’Università degli Studi E|Campus, mediatore civile
abilitato, è stato per otto anni Magistrato Onorario ed ha ricoperto incarichi amministrativi in fondazioni ecclesiastiche, enti e società private e pubbliche, tra cui quello elettivo di
Sindaco della città di Saronno per due quinquenni.
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Guadalupi Marcello, Dott.
Ragioniere commercialista. Mediatore civile e commerciale. Mediatore familiare e formatore in corsi di formazione per mediatori. È consigliere dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano con delega alla mediazione e conciliazione.
Iacovelli Anna Maria, Dott.sa
Responsabile Commissione Conciliazione, Toscana. Umbria Poste Italiane S.p.a.
Iorio Maria Rita, Avv.
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani.
Marabello Giusi, Avv.
Associazioni Mediatori e Conciliatori Italiani.
Marinelli Damiano, Prof. Avv.
Università degli Studi e-Campus. Docente di diritto privato e di diritto della conciliazione,
della mediazione e dell’arbitrato. Avvocato presso il foro di Perugia, è docente dell’Università degli Studi e Campus, già docente dell’Università degli studi di Firenze, insegna inoltre
al master universitario “la mediazione come strumento operativo all’interno degli ambiti
familiare, penale e civico”, presso l’Università degli Studi di Padova. Coordinatore dei quaderni della mediazione dell’Università degli Studi e-Campus, nella medesima Università insegna diritto della conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato. Esperto di negoziazione,
mediazione ed arbitrato è conciliatore professionista ed arbitro in Italia e all’estero presso
numerose Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura e presso Organismi
privati accreditati. È formatore accreditato dal ministero della Giustizia ed autore di numerose pubblicazioni sull’argomento.
Motti Tiziano, On.
Deputato al Parlamento europeo. Membro della Commissione Mercato Interno e consumatori al Parlamento europeo.
Pasian Marco, Dott.
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani.
Russo Giuseppe, Prof. Avv.
Università e-Campus, associato AMCI Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani
Simonetti Francesco, Prof.
Laureato con lode in Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena, Master in Business
Ethics, Consulente di Direzione nell’ambito dell’Etica d’impresa e della Responsabilità
sociale. Collabora con l’Università degli Studi di Siena, Sede di Arezzo, dove ha l’incarico
di Coordinatore del Centro Studi e Ricerche di Etica applicata e Responsabilità sociale
istituito presso il Dipartimento di Studi storico-sociali e filosofici. Svolge l’incarico di
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coordinatore didattico e di docente di Business Ethics e di sistemi per la gestione della
Responsabilità Sociale presso il Master in Etica degli affari, del consumo e della responsabilità sociale attivo presso l’Università degli Studi di Siena.
Sale Valerio, Dott.
Consulente di Direzione Aziendale. Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani. Laureato in Scienze Politiche, ha una ventennale esperienza nell’organizzazione e direzione aziendale in Italia e all’Estero. Dapprima come dirigente d’azienda e poi come Consulente di
PMI in collaborazione con uno Studio Commercialista associato. Segue progetti di gestione
straordinaria mediante valutazioni d’azienda, cessioni e acquisizioni; supporta la proprietà
e la direzione di piccole e medie aziende in attività di organizzazione, controllo, gestione e
sviluppo commerciale. Nell’esperienza professionale ha sempre operato in contesti di negoziazione aziendale, gestendo in tale ambito anche controversie commerciali in Italia e
all’Estero. È Conciliatore, socio di AMCI.
Salusso Claudio, Dott.
Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani. Laureato in Sociologia (Equipollenza con
Economia), presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Altre Specializzazioni:
Specializzazione annuale in Sociologia Clinica, associato ASC Onlus (Associazione di Sociologia Clinica); Specializzazione biennale in Socioterapia, Socio Ordinario e Responsabile sede operativa per la regione Piemonte AIST (Associazione Italiana di Socioterapia);
Attestato come “Conciliatore” (d.lgs. 05/2003) ora “Mediatore Civile Professionista” (d.lgs.
28/2010), associato AMCI (Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani). Esperienze
acquisite: Sociologo/Socioterapeuta, selezione, gestione, sviluppo, formazione e addestramento Risorse Umane, mediatore in ambiti aziendali, counseling individuali, familiari e/o
a gruppi; responsabile strategie di marketing, vendita, amministrazione aziendale, sondaggi
e/o ricerche di Mercato, sociali, aziendali e religiose, strategie politiche.
Tocco Anna Laura, Avv.
Avvocati Mediatori Centro Kairos Formia. Avvocati senza Frontiere ONLUS. Avvocato
con patrocinio in Cassazione e magistrature superiori. Consigliere Ordine degli Avvocati di
Latina biennio 1998-1999 e 2000-2001, esperta in diritto di famiglia e Mediatore globale
con regolare iscrizione A.I.M.E.F. dal 2006, presidente Associazione Centro Studi “KAIROS” con sede in Formia e Conciliatore, nonché formatore accreditato ministero Giustizia.
Valenti Giuseppe M., Avv.
Avvocati Mediatori Centro Kairos Formia. Avvocati senza Frontiere ONLUS. Avvocato
con patrocinio in Cassazione e magistrature superiori. Autore di pubblicazioni su periodici
e quotidiani economico-giuridici (sole 24 Ore, Italia Oggi). Formatore per Bridge Mediation Italia in materia di conciliazione civile, commerciale e societaria. Dal 2003 Membro
permanente delle Commissioni O.U.A. sulla riforma del diritto fallimentare, sul processo civile, sull’ordinamento professionale; sull’ordinamento giudiziario; dal 2002 Membro
dell’Ufficio Studi dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura per le materie di diritto com-
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merciale e fallimentare, diritto internazionale privato e diritto delle comunità europee, giustizia arbitrale e A.D.R., diritto dell’informatica e telematica del processo, ordinamento
professionale; dal 1998 Responsabile per il Lazio Sud dell’Unione Italiana Forense.
Venturi Bernardo, Prof.
Università di Bologna. Direttore Centro Studi Difesa Civile (CSDC). È docente a contratto di Sociologia dei Fenomeni Politici presso l’Università di Bologna e Lecturer di A Sociology for Peace e Anthropology of Conflict and Violence presso il Marist College, campus di
Firenze. È inoltre direttore del Centro Studi Difesa Civile (CSDC).
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