La redazione di Campo de` fiori si associa agli auguri

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La redazione di Campo de` fiori si associa agli auguri
Campo de’ fiori
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SOMMARIO
Editoriale:
Foglie d’autunno................................... 3
Collezionismo:
Il Presepe fra religiosità, artigianato e
collezionismo..................................... 6-7
Roma che se n’è andata:
C’era una volta il ghetto.................... 8-9
Suonare Suonare:
Roberto Ciotti............................10-11-12
Cinema News:
Funeral Party...................................... 14
Monumenti: vita, vicende, restauri:
Il Tempio di Venere..............................19
Vita Cittadina.................................... 60
Fabrica di Roma Teatro d’Autunno .....54
Attualità:
Festival della canzone romana..........4-5
Istituto Superiore di Scienze Religiose
“Alberto
Trocchi”....................................16
CAP in memoria di Ivan Rossi..............21
Motoclub Arditi Racing...........................52
Marcia per la pace.................................53
Salviamo l’Andosilla...............................56
I Girasoli ..............................................17
La Rubrica dei Perchè.........................61
Ecologia e ambiente:
La politica, l’economia e un ambiente
dimenticato............................................50
Neuropsichiatria, Psicologia,
Logopedia, Psicopedagogia:
Di dislessia non se ne parla mai abbastanza....................................................30
Le guide di Campo de’ fiori:
Filacciano.........................................22-23
Come eravamo:
Quando il bullo si chiamava “Giggi”......28
Civitonici illustri:
Il Preside Alfredo Crestoni..............32-33
Arte:
Ercole Ercoli.........................................18
Miniature in legno di Mariangeli...........49
Ugo Levita e Civita Castellana............51
Messaggi:............................34-35-36-37
Una “Fabrica” di ricordi:
Cinema Smeraldo................................27
Il Fumetto:
Pinocchio ............................................42
L’angolo CIN CIN:
La conservazione ...............................45
Album dei ricordi..........................46-47
Le storie di Max:
Mina.......................40
Noel.....................................................48
Annunci Gratuiti...........................58-59
Selezione offerte immobiliari............62
Nel cuore............................................63
In copertina: Veduta autunnale del Lago
di Vico. Foto M. Topini
Le pagine di Campo de’ fiori sono sempre più al servizio del sociale e sono la voce di moltissime associazioni che, attraverso esse,
comunicano il loro impegno e le loro iniziative. La scelta non è solo dovuta alla nostra indiscussa disponibilità, ma anche al fatto che
Campo de’ fiori, arrivato ormai al suo quinto anno, ha saputo restare libero da vincoli politici e fuori da qualsiasi schieramento. Le
associazioni amiche sono aumentate con il tempo. Vanno ricordate quelle di volontariato, quali, ad esempio, l’Anffas, la Croce Rossa
Italiana, l’Unicef, l’Avis, l’Atamo, l’Unitalsi, Una mano al tuo ospedale, Semi di pace, il Pungiglione, Viterbo con Amore, gli Scouts…;
le associazioni artistiche, come Iuna, Omniarts, I nunseponnoguardà, Teatro Bianconi, Teatro Tenda Palarte, ’Associazione Musicale
Muzio Clementi, le bande musicali…; le varie associazioni sportive, quali Treja cup, Club Moto ed Auto d’epoca, Civita Cavalli, Forre
del Treja, Forti e Veloci, Motoclub Arditi Racing Quality Life, le diverse squadre di calcio…; le Pro-loco e molte altre ancora.
Tutto questo è stato possibile grazie al prezioso contributo dei nostri sponsors, che hanno creduto e credono nei contenuti di queste pagine. Da qui nasce lo slogan “Campo de’ fiori arriva e porta bene”.
www.campodefiori.biz
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Campo de’ fiori
Foglie d’Autunno
di Sandro Anselmi
S
ono arrivate le prime piogge a salutare l’estate appena
finita ed un sole, ora più pallido, dipinge dolcemente i
nuovi giorni.
Lontano dai rumori, lontano da tutto, ripenso alle cose
passate, specialmente a quelle più belle.
Vorrei che i miei occhi guardassero dentro di me, giù in
fondo all’anima e vorrei re-imparare, riappropriarmi del
mio destino e raccogliere il pianto intenso, mai disperato, dentro una lacrima, per aspettare un sorriso.
Anche adesso, nonostante, la speranza mi chiama sempre
e mi accompagna, giorno dopo giorno, passando sopra il
tempo e le distanze, per dare un senso alla mia vita.
Vorrei che questa mia personale riflessione potesse divenire una riflessione comune per poter dire a noi stessi
che dopo la notte c’è sempre il giorno.
Perciò il male imperante, il malcostume, il malcontento,
che tanto tediano e fanno star male, andrebbero forse
esorcizzati, minimizzati, per poter dire…domani.
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Campo de’ fiori
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Una serata indimenticabile al Teatro Olimpico di Roma, in platea tutto
esaurito per assistere alla 17° edizione del Festival
della
Canzone
Romana ideato ed
organizzato da Lidi Sandro Alessi
no Fabrizi, presidente dell’associazione culturale Roman Millennium e patrocinato dal Comune di Roma, dalla
Provincia di Roma, dalla Regione Lazio e
dall’ I.M.A.I.E.. Un’occasione per riascoltare nuove e vecchie canzoni romane e
soprattutto nata dalla voglia di rivedersi
ogni anno, dopo tanti successi passati
insieme a cantare le storie di Roma e ,
soprattutto, quest’anno dal desiderio di
dedicare la serata ad un amico scomparso
prematuramente: il grande Gigi Sabani.
In prima fila la sorella Isabella e tanti
amici…
Il Festival, nato nel 1991 nella suggestiva
cornice di S. Maria in Trastevere, ripercorre la tradizione musicale romana, attraverso interpreti famosi e giovani con tanta
voglia di interpretare canzoni inedite, scritte da grandi autori romani. Quando l’Italia
si misurava ancora a piedi, la canzone
popolare, in quanto concepita sotto l’inevi-
tabile influenza del vernacolo, oltre che
una missione evasiva, svolgeva soprattutto una funzione sociale. Dalla canzone del
“Pellegrino”, scritta intorno al Trecento, ai
tempi di Gabriella Ferri, dei Vianella e di
Califano, passando per “La cena della
sposa” del Cinquecento, la canzone romana ha subito l’evoluzione sociale della
città, divenuta crocevia di diverse forme di
comunicazione artistica. Saranno proprio i
cantautori, in un periodo politicamente
particolare, a ridare l’ossigeno a una città
storicamente ignorata. Da Roma capoccia
di Antonello Venditti, a Lella dellla Schola
Chantorum, a Ninna nanna nanna ninna di
Claudio Baglioni, Roma torna ad imporsi
grazie al fascino esercitato nei confronti di
molti artisti a livello nazionale. Durante la
serata sono stati premiati i due finalisti di
questa edizione: Francesca Pani, con il
brano C’era una volta Roma, di Silvestro
Longo, ed il gruppo Radioclockmania,
con il brano Roma Bella, di Ivano Michetti,
attorniati da un cast di interpreti d’eccezione. Lando Fiorini, popolare attore e
cantante romano, ci ha deliziato con il
meglio del suo repertorio, fra gag e pezzi
dell’antica tradizione romana e ricordando,
con una canzone la grande, Gabriella Ferri.
La Schola Cantorum, capeggiata da
Aldo Donati ed Alberto Cheli, ci ha regalato emozioni con Lella e Le tre campane, ed
insieme a loro Luciano Rossi, autore
Consegna della targa in memoria di Gigi Sabani, alla sorella Isabella
della celebre Ammazzate oh, Edoardo
Vianello e Wilma Goich, che, riunitisi
per questa fantastica serata, hanno riproposto alcuni dei loro cavalli di battaglia di
anni passati. Per l’occasione abbiamo
incontrato di nuovo I Cugini di
Campagna, i quali hanno proposto Villa
Borghese, bellissima canzone dedicata a
Roma, e la loro richiestissima Anima Mia,
ormai facente parte della storia della musica italiana. La serata, presentata da
Francesco Vergovich, nota voce radiofonica, e da Pamela Prati, che si è esibita in un
balletto insieme alla Crazy Gang, ha visto
la partecipazione di una voce storica di
Roma, Giorgio Onorato, che, nonostante l’età, ancora riesce ad emozionarci con
la sua inconfondibile bellissima voce ed i
suoi stornelli. Un capitolo a parte merita
Alberto Laurenti, cantante e chitarrista
studioso della musica mediterranea, autore di alcune delle più belle canzoni di
Franco Califano, Gabriella Ferri, Renato
Zero, che ha presentato Le Serenate, il
primo cd di un opera divisa in dieci temi
frutto di una ricerca storica interamente
dedicata alla città eterna. Con la Piccola
Orchestra Romana, vuole cercare di ricollocare Roma al centro del Mediterraneo e
restituirle quella dignità culturale già in
atto per la musica napoletana. E questo è
anche l’intento di Lino Fabrizi, dichiarato in
diretta ai microfoni di Radio Roma, augurandosi che la prossima edizione, la 18°,
con la maggiore età del Festival, possa collocare in Italia e nel mondo la canzone
romana al posto che giustamente merita.
Isabella mostra la targa
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Alberto Laurenti e la Piccola Orchestra Romana
I Cugini di Campagna
Lando Fiorini
I Vianella
FM 103.900
Luciano Rossi
Angelo Blasetti, narratore di
Giuseppe Gioachino Belli
Giogio Onorato
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Il Presepe fra religiosità,
A Capaccio-Paestum
Con l’approssimarsi delle festività natalizie è
inevitabile per i
cattolici che il
pensiero vada al
presepe intorno
al quale la tradizione vuole raccolta la famiglia
per qualche attimo di riflessione
e di preghiera.
di Alfonso Tozzi
Ancora oggi, pur
nella convulsa civiltà della fretta, sono
moltissimi coloro che si dedicano con fervore all’allestimento scenico dell’avvenimento, nelle case e nelle chiese, ma forse
non tutti sanno che il presepe è anche
oggetto di appassionato lavoro artigianale
e di grande collezionismo.
Il presepe o presepio (dal latino prae,
davanti e saepire, chiudere con una siepe,
quindi per traslato: stalla, mangiatoia,
greppia) ricorda al mondo cristiano la
nascita di Gesù Cristo e rende attuale e
reale l’avvenimento, remoto nel tempo e
nello spazio, mediante una finzione di
natura spettacolare: l’enciclopedia dello
spettacolo lo definisce, infatti, come la
“rappresentazione plastica, tridimensionale dell’evento, realizzata con figure mobili
spostabili secondo il senso artistico del
costruttore”. L’origine storica del presepe
va ricercata nelle narrazioni della natività
di Gesù contenute nel vangelo di S. Matteo
e di S. Luca, con riferimento al testo di
Isaia e Abacuc dell’Antico Testamento.
Le prime notizie risalirebbero a Papa
La collezione Grippo
Liberio, il quale, durante un Natale del
suo breve pontificato (352-355), realizzò, davanti all’altare
dell’attuale basilica
romana di Santa Maria Maggiore, una
tettoia retta da tronchi di albero, costituenti quasi l’immagine di una grotta.
Negli anni successivi
altre “tettoie” furono
erette in chiese di
diverse città: a Roma Gregorio II, nel
periodo del suo papato (731-734), arIl collezionista-artigiano Pasquale Grippo nel suo “Laboratorio”
ricchì la “tettoia” di
Santa Maria Maggiore facendovi collocare una statua d’oro
Onorio, ricordato anche per aver diffuso in
della Madonna col Bambino. Una versione,
tutto il mondo l’osservanza delle Leggi
comunemente accettata, anche dalla chieDivine, era figlio del senatore Luca Savelli
sa, attribuisce la nascita del presepe a San
cui apparteneva il territorio di Civita
Francesco d’Assis, il quale celebrò il Natale
Castellana.
del 1223 allestendo nel piccolo centro di
La consuetudine di allestire presepi nelle
Greccio (RI), dove si era ritirato, una rapchiese d’Italia si sviluppò nel 1400, ma
presentazione vivente della notte
ebbe un decisivo impulso un secolo dopo,
dell’Avvento: l’episodio destò grande scala Napoli, dove il vicentino San Gaetano da
pore e può aver certamente stimolato in
Thiene realizzò il primo presepe con permolti il desiderio di solennizzare in qualche
sonaggi di legno, abbigliati secondo la fogmodo il Natale.
gia del tempo.
Il primo presepe con personaggi, consideL’evento riscosse ampia risonanza e di
rato il più antico d’Italia, si ebbe comunfatto creò una tradizione diventata famosa
que col Natale del 1283, scolpito da
nel mondo anche per merito degli artigiaArnolfo di Cambio su commissione di Papa
ni campani, i quali riuscirono a produrre
Onorio IV e collocato, anche questo, in
delle opere di notevole fattura. Diversi
Santa Maria Maggiore; per incidens Papa
materiali vennero via via impiegati nella
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artigianato e collezionismo
un geniale creatore
fabbricazione delle figure del presepio,
oltre al legno, stucco, terracotta, cera e, in
tempi più recenti, cartone, materie plastiche, lana, stoppa e filo di ferro.
L’impianto scenico presepiale, che documenta spesso l’evolversi e talvolta anche il
decadere del gusto e delle tecniche degli
artigiani nelle varie epoche, è in genere
costituito da montagne, speroni di roccia
con al centro la grotta sormontata da
angeli, castello di Erode, pozzo, fontana,
ponte, mulino, osteria, lavandaia, zingara,
pescatore, cacciatore, pastore con pecore
ed una folla di: popolani, mendicanti, suonatori, venditori ambulanti, contadini, bottai, negozianti e gli immancabili Re Magi.
La realizzazione della scenografia presepiale è affidata, ovviamente, al gusto dell’artista e nel nostro Paese esistono tradizioni artigianali di alto livello legate alla
natività: in questa foltissima schiera di
presepisti va sicuramente collocato Pasquale Grippo da Capaccio Paestum (SA),
virtuoso e collezionista del presepe con
creazioni originali, degno dei progenitori
partenopei.
Il Grippo, nonostante l’evidente difficoltà
che incontra per costruire i suoi presepi, a
causa di un ictus da cui fu colpito anni or
sono, dedica quasi tutta la sua giornata
alla creazione di veri e propri gioielli servendosi di sughero, truciolato, cannucce,
pietra, muschio, cartongesso, legno.
Il Nostro si dedica a quest’hobby da molti
anni, da quando cioè, giovanissimo, si recò
a Salerno per acquistare un presepe che lo
affascinò tanto da indurlo a costruirne lui
stesso, cosa che fece, e continua a fare,
con tenacia, gusto ed intelligenza. Da quel
momento molte sono state le creazioni del
Grippo. Lo scorso anno, volle donarne una
alla parrocchia della sua città, Santa Rita al
Rettifilo: era un presepe dalle dimensioni
notevoli 2,20 x 1,80 x 1,10, che fu ammirato da numerosi visitatori e segnalato con
enfasi dalla stampa locale, la quale non
esitò a definire l’elaborato una vera e propria opera d’arte, uno stupendo spettacolo da vedere.
Il Grippo, in questa sua attività, si giova
della fattiva collaborazione della figlia
Francesca, degna erede del papà e deliziosa interprete della canzone italo-napoletana conosciuta come “Fenny Griff”.
L’idea di collezionare presepi si perde nel
tempo ed è certamente da mettersi in
relazione alle possibilità ed allo spazio di
cui il cultore può disporre; a parte quindi i
musei, le gallerie d’arte, le chiese, i palazzi nobiliari, esiste in Italia e nel mondo un
collezionismo di notevole importanza,
molto variegato, perché la collezione deve
tenere anzitutto conto del materiale con
cui viene allestito il presepe : carta, legno,
gesso, sughero, plastica, pittura su tela, su
legno, graffiti, metallo e via dicendo.
In questo policromo ed affascinante
mondo presepiale, destano tanto interesse, stupore, curiosità e sono molto richiesti i piccoli presepi in terracotta dipinti a
mano e quelli ancora più piccoli o piccolissimi, come è possibile ammirare ad
Osnago (Lecco), presso il museo del presepe sito nel Santuario della Beata Vergine
di Loreto, costruiti addirittura all’interno di
un uovo! E per finire, ultimi arrivati, i presepi kinder, prodotti dalla nota fabbrica di
cioccolata verso la fine degli anni Novanta,
collezionati e scambiati da ragazzi di tutto
il mondo e regolarmente “quotati”.
E’ appena il caso di segnalare che un posto
notevole nel collezionismo presepiale è
occupato da quelli di carta, di carta fustellata, tridimensionale, grandi, in miniatura,
diorami e anche su film e diapositive d’epoca.
Molti sono i musei del presepe esistenti in
Italia e nel mondo, ma quello creato trent’anni fa a Brembo di Dalmine (BG) è fra i
più grandi; si estende, infatti, per 1200
mq. e mostra oltre 800 presepi di ogni
materiale, dimensione e provenienza: il
più grande si estende per 80 mq., mentre
il più piccolo è contenuto in un seme di
pistacchio ed ha soppiantato quello inserito dentro mezzo guscio di noce, opera di
una religiosa francese, la “piccola sorella”
Annette de Jesus, che fino a qualche anno
fa deteneva il “titolo”.
Collezionano presepi: Massimiliano Balestri di Milano (di carta), Orazio Di Mauro di
Torino (di plastica), Mauro Fruggeri di
Castelfranco Emilia (piccoli), Gianni
Salomoni di Bologna (gesso, terracotta,
cartapesta) e tanti, tantissimi altri.
E’ opportuno chiudere queste note segnalando che, come in tutti i paesi del mondo,
si sono costituite associazioni per la difesa
e la valorizzazione della tradizione del presepe. Anche in Italia esiste da tempo, con
sede a Roma, l’ Associazione Italiana Amici
del Presepe (A.I.A.P.), sodalizio con oltre
tremila iscritti. L’A.I.A.P., oltre ad una
intensa, specifica e meritoria attività, pubblica, con cadenza trimestrale, la rivista Il
Presepe, destinata ai soci.
La collezione Grippo
La collezione Grippo
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Roma che se n’è andata: luoghi
C’era una volta
La comunità ebraica di Roma è considerata
la più antica al mondo. Se ne conosce l’esistenza fin dal II secolo a.C., quando giungevano dalla Palestina, allora sotto il dominio romano, in condizioni di schiavitù.
In tempi lontani gli ebrei di Roma si erano
attestati sulla sponda destra del Tevere, in
prossimità del luogo dove sarebbe sorto il
Porto di Ripa Grande e qui erano vissuti per
più di un millennio, luogo questo abbandonato all’inizio del XV secolo allorquando, a
causa della decadenza del commercio fluviale, si trasferirono sulla sponda sinistra
del fiume, prevalentemente in Sant’Angelo,
dove convissero, del tutto serenamente,
con gli altri abitanti, scambiandosi, con questi, prodotti, idee e cultura. A riprova di ciò
il cronista annotava che nel XII secolo,
quando il viaggiatore spagnolo Beniamino
da Tudela passa per Roma vi trova circa
duecento famiglie di ebrei, che vivono in
buoni rapporti con il papato, senza che fossero assoggettati ad alcuna particolare
imposizione fiscale.
Il Rinascimento arrivò in Sant’Angelo a
metà del XV secolo e molte nobili famiglie
romane fecero qui costruire le loro lussuose
dimore, tra queste i Manili, i Savelli, gli
Orsini, i Mattei, dei quali ci occuperemo in
altra sede. Ma mentre il vento del
Rinascimento iniziava a soffiare per Roma,
un altro evento cambiò profondamente il
destino del Rione: la creazione del Ghetto di
Roma. Correva il 14 giugno dell’anno 1555
quando Paolo IV, Gian Pietro Carafa, 1555 1559, seguendo l’esempio di Venezia, con la
Bolla “cum nimis absurdum” - quando il
troppo è inopportuno, stabilì che gli ebrei
dovessero vivere in un luogo ristretto e
chiuso a loro, riservato, il Ghetto appunto,
termine derivato dal caldeo “geth”, il cui
significato letterale era “segregazione”. I
lavori di costruzione ebbero inizio il 13 settembre di quello stesso anno e a dirigerli fu
chiamato tale Silvestro de’ Petruzzis “architetto pro fabbrica praeclaudendo Judaeus”,
molte le case abbattute “per sarare li
Giudei” . Alla fine il “serraglio” fu ultimato
e i circa tremila ebrei che vivevano a Roma
in quel periodo dovettero andare ad abitarvi. Un alto muro circondava la zona loro
riservata ed era interrotto soltanto da due
porte che, tra novembre e Pasqua, venivano chiuse ogni sera un’ora dopo il tramonto, due ore dopo negli altri periodi dell’anno. L’area di forma trapezoidale non comprendeva alcun edificio degno di nota, la
sola piazza importante, Piazza Giudea, era
divisa dal muro in due parti; le tre chiese
esistenti all’interno furono sconsacrate e
demolite. Numerose
le restrizioni imposte a carico della
comunità: potevano
uscire di casa soltanto in determinate
ore del giorno e,
fuori dal Ghetto, per
poter essere facilmente identificati,
gli ebrei maschi
erano costretti ad
indossare un panno
giallo, il cosiddetto
“sciamanno”,
le
donne
dovevano
portare uno scialle
dello stesso colore,
era loro consentito
di giocare al “lotto”,
ma puntando solamente sui numeri
bassi e tutti compresi nella medesima diecina, allo scopo, sembrerebbe, di evitare presunte cabale e, conseguentemente, cospicue vincite dovevano sottostare ad ogni
sorta di umiliazioni ogni qual volta si celebrava una festa cristiana, potevano però
esercitare prestiti “a pegno”, ma questa
redditizia attività non fece che incrementare l’odio dei romani verso di loro.
Ogni anno, in Campidoglio, il Rabbino capo
doveva rendere omaggio al Caporione - il
capo dei Conservatori - ricevendone in cambio un calcio nel sedere e, con questa particolare “cerimonia”, la comunità ebraica
riceveva il permesso di rimanere un altro
anno nella città eterna mentre Gregorio
XIII, Ugo Boncompagni, 1572 - 1585, ordinava per gli ebrei le cosiddetto “prediche
coatte” settimanali da tenersi il sabato, il
cui scopo precipuo era quello di convincerli
a convertirsi al cristianesimo.
Sede delle prediche la chiesa di S. Angelo in
Pescheria, eretta fra le colonne del Portico
di Ottavia, innalzato nel 146 a.C. da Quinto
Cecilio Metello e fatto restaurare da
Augusto nel 23 a.C. in nome della sorella.
Nell’anno 203 d.C. il Portico venne ricostruito dagli imperatori Settimio Severo e
Caracalla, ma in tale circostanza l’originaria
funzione di contenitore di opere d’arte fu
sostituita con quella di mercato del pesce,
attività protrattasi dal medioevo fino all’abbattimento delle mura del Ghetto. Le suddette “prediche” si tenevano pure nella piccola chiesa di San Gregorio a Ponte Quattro
Capi, ubicata appena fuori dal “recinto”,
dedicata a San Gregorio I Magno, 590 –
604, poichè nella zona sorgevano le case
della famiglia degli Anici, che diede i natali
a quel pontefice.
Nell’anno 1858 sulla facciata di questa chiesa fu posto il cosiddetto “cartiglio”, precedentemente ubicato in altro luogo del
Ghetto, una lapide con scritte in ebraico e
latino che ripropone i versetti 65, 2 - 4 del
profeta Isaia: “ … distesi le mie mani tutto il
giorno verso un popolo ribelle, che procede
su una via non buona, dietro i suoi disegni,
/ un popolo che mi provoca in faccia,
costantemente, sacrificando nei giardini e
offrendo incenso sui mattoni, / abitando nei
sepolcri, passando la notte nei luoghi nascosti, mangiando carne di porco e cibi immondi nei loro piatti. … “.
Solo all’interno del “recinto” agli ebrei era
consentito di professare la loro religione,
perciò era presente un edificio che ospitava
cinque scuole, una per ciascuna confessione. Agli ebrei non era permesso possedere
beni immobili, le case da loro abitate venivano prese in affitto da proprietari non
ebrei, che le concedevano in uso ai membri
della comunità a prezzi calmierati in forza di
contratti di affitto che passavano in eredità,
questo il motivo per cui molte di quelle case
furono occupate dalle medesime famiglie
per diverse generazioni; ciò malgrado la
popolazione ebraica continuava a crescere,
anche perché gli ebrei di altre città dello
Stato pontificio venivano costretti a emigrare a Roma. Così, nella seconda metà del
XVII secolo, gli abitanti del Ghetto erano
divenuti circa novemila, con la conseguenza
che l’originario “recinto” dovette essere
allargato con l’aggiunta di nuove porte.
Molte le leggi speciali emanate, che cambiavano con il succedersi dei pontefici e che
limitavano le attività che i membri della
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i, figure, personaggi
il Ghetto
comunità potevano ufficialmente svolgere,
in alcuni periodi l’unico lavoro loro permesso era la vendita degli stracci. La verità storica impone, però, di precisare che
non tutti i papi e i maggiori esponenti del
potere pontificio si mostrarono duri con gli
ebrei, oltre al già ricordato San Gregorio I
Magno, il Vescovo Governatore Generale
di Roma Annibale Rucellai, con un bando
del 15 gennaio 1595, proibì qualsiasi maltrattamento nei confronti i componenti la
comunità: “ … per ordine espresso de la
Santità di N:S. per il presente Bando ordina, proibisce et commanda, che nessuna
persona, di qualsivoglia stato, grado, conditione et preminentia, ardisca, ne presuma in modo alcuno diretto, o indiretto, dar
fastidio o impedimento di nessuna sorte
ad alcun’hebreo, maschio, o femina, putti,
o putte, ne schernirli, toccarli, o offenderli
in qual si sia modo, in parole, o fatti di
giorno ne di notte, occultamente, ne palesemente, sotto pena a gl’huomini cristiani
di tre tratti di corda, et alle donne, e putti
della frusta, et di più alla pena, alle quali
sarebbero tenuti, se havessero offeso un
cristiano … “.
Ma vediamo di capire meglio quella che
era la conformazione fisica del Ghetto. Il
centro era costituito da Piazza Giudea,
nella quale operava e “faceva giustizia” il
Tribunale di Campidoglio, ovviamente nei
confronti dei reati commessi dagli israeliti,
a tale scopo qui risiedeva permanentemente una “guardia di birri” e, quale
suprema ammonizione, restava permanentemente eretto il cosiddetto “palo”,
destinato al supplizio della corda onde
“castigar prontamente ogni insolenza degli
ebrei” ; nel medesimo luogo era ubicata
una fontana, unica risorsa di acqua potabile del Ghetto, le cui condizioni igieniche
erano spaventose; il Tevere poi costituiva
una ulteriore costante minaccia, a causa
del continuo pericolo di straripamento.
Dal Portico di Ottavia è agevole costatare
quanto fosse limitato lo spazio del Ghetto
di Roma; esso si estendeva per appena tre
ettari e aveva, grosso modo, forma trapezoidale, come detto, con uno dei lati maggiori disposto in linea con le case prospicienti il Tevere, lungo la “Riva Giudea. Da
questo “recinto”, menzionato nei testi dell’epoca come “recinto degli ebrei”, i membri della comunità potevano uscire solo di
giorno; infatti, dal tramonto all’alba successiva, gli accessi al quartiere venivano
serrati a mezzo di grosse porte e, per chi
si attardava e rimaneva al di fuori del
recinto, la giustizia papalina non aveva
davvero riguardi. Le strade del Ghetto, o
meglio i suoi meandri, erano caratterizzate
da segmenti articolati dall’andamento del
tutto irregolare; in corrispondenza degli
incroci, piccole piazzette di forma non ben
definita, voglio qui citare, una per tutte,
Via delle Azimelle (nome derivato dalle
“azimelle”, ossia le piccole focacce di pane
non lievitato in forma di gallette rotonde pane azimo - usate dagli ebrei durante
l’Ottavario pasquale), con il suo caratteristico arco, e la omonima piazzetta, oggi
scomparse; questa strada venne chiamata
anche “forno delle azimelle” per l’esistenza
di un forno dove si cuocevano quelle speciali gallette che, fin dall’anno 1598, fu
gestito in esclusiva dall’Istituto Ebraico
Ghemillud Hasadim.
Nel Seicento Giuseppe Berneri, nel suo
“Meo Patacca”, così descriveva il Ghetto di
Roma con la sua cinta di mura, le sue
porte, le sue schiere di case: “ … il Ghetto
è un loco al Tevere vicino da una parte, e
dall’altra a Pescaria; è un recinto di strade
assai meschino, ch’è ombroso, e renne
ancor malinconia, ... ha quattro gran portoni, e un portoncino, il di s’apre, acciò el
traffico ce sia, ma dalla sera, inzino a giorno ciaro, lo tiè inserrato un sbirro portinaio
… “. Questa la vita nel Ghetto, un quartiere dove si sviluppò e si diffuse anche un
particolare dialetto, il “giudaico - romanesco” parlato dall’intera comunità, non
molto dissimile da quello classico romanesco per la verità, ma arricchito con molte
parole di origine ebraica. Nel 1798 la
Marsigliese aveva acceso le speranze di
veder cessare la reclusione degli ebrei ma,
nuovamente insediato, Pio VII, Barnaba
Chiaramonti, 1800 - 1923, fece in modo
che tutto ritornasse come prima; soltanto
nel 1825 si avvertì
un
piccolo
segno di cambiamento, allorquando Leone XII,
Annibale
della
Genga, 1823 1829, fece includere nel perimetro recintato altre
strade, portando
a otto le porte
d’ingresso, talchè
Pasquino poteva
commentare: “ …
fiore daglietto,
papa Leone è
di Riccardo Consoli
diventato matto, chè restringe i cristiani e
allarga il ghetto … “. Tutto rimase così fino
al 1870, anno in cui cadde il Governo
papale. In quell’occasione le porte dell’odioso “recinto” vennero definitivamente
abbattute, solo allora gli ebrei romani furono liberi di lasciare quel luogo ottenendo
gli stessi diritti della popolazione cristiana.
Dopo l’unificazione italiana grandi trasformazioni alterarono Sant’Angelo, enormi
muraglioni, i lungotevere, furono costruiti
in modo da evitare gli effetti rovinosi delle
piene, ma tutto ciò causò la demolizione
della pittoresca quinta di case che si specchiavano nel Tevere. Nel 1885, poi, esattamente 330 anni dopo l’editto di Papa Paolo
IV, la Giunta Comunale di Roma prese la
storica decisione di radere al suolo quell’insalubre quartiere, pur tuttavia i vicoli
superstiti conservano ancora oggi un’atmosfera magica, una miscela molto particolare, forse unica, di storia, architettura e
tradizioni per quanto la sola parte di
Sant’Angelo che possa ancora dare un’idea
esatta di quello che fu il Ghetto di Roma è
quella lungo Via della Reginella.
Oggi sono molti i membri della comunità
che non vivono più in questo luogo, ma
sono ancora molti quelli che qui risiedono,
tutti però considerano il Ghetto e non
poteva essere diversamente, il comune
punto d’incontro nelle occasioni speciali
oltre che per celebrare le festività religiose,
peraltro, la memoria dell’ebraismo romano
resta strettamente legata a questo luogo
fisico, il luogo dove gli ebrei romani hanno
vissuto dal 1555 al 1870, ammassati nello
spazio ristrettissimo di pochi isolati; un
luogo piuttosto ristretto il Ghetto di Roma,
ma raramente riuscirai a trovare in uno
spazio così piccolo tanta memoria, tanto
dolore, tanta speranza.
10
Campo de’ fiori
ROBERTO CIOTTI
vestito di blues….…si
in un libro/cd, Roberto Ciotti, musicista d’
Se fosse stato un quadro avrei detto:<
autoritratto “a nudo e con chitarra” dell’autore > …. ma ciò che da qualche giorno sfoglio e risfoglio…ed ascolto, è un libro
ed un cd, “unplugged – una vita senza fili”,
l’autobiografia del “ChitarrAutore in blues”
Roberto Ciotti, recentemente pubblicata
per l’editore Castelvecchi.
“Il più antico e testardo dei bluesman
italiani”, così Renzo Arbore, estensore
della sintetica quanto profonda prefazione a questo libro, definisce Roberto Ciotti,
riconoscendo al musicista romano, veterano di gran spessore della scena blues
italiana, coerenza, passione, creatività …
ed Arbore è persona attendibilissima,
direi…“D.O.C.” per rilasciare tali giudizi,
tanto da volerlo più e più volte in suoi
diversi programmi di successo per il giusto
“soundtrack”! Forzando il titolo di un brano
di Roberto dal 2° album del 1979 “BLUES
MAN”, potremmo “tagliare” tutti i discorsi
legati alla sua filosofia di
vita: “Nobody can change
my face”…che, dal racconto di una vita, quella di
Roberto Ciotti, può prestarsi ad una traduzione
“larga” del tipo “nessuno
mi cambia”! Ecco ciò che
risulta da questa appassionata, “sudata”, coinvolgente autobiografia: un
personaggio che, nella
vita come nell’arte, va,
non
senza
problemi,
“dove lo porta il cuore”! Il
libro ripercorre, nella narrazione in otto capitoli,
momenti cardine della vita
di Ciotti, nato nel 1953 nel
quartiere della Garbatella
a Roma; un racconto a
cuore aperto, senza schemi, che si legge di getto,
quasi fosse la chiacchiera
confidenziale di un amico,
con slanci e malinconie a
contrappuntare gli andamenti dei momenti di “vita
vita” e di vita artistica
rievocati. Una carriera
ultratrentennale, caratterizzata da
tanta attività dal vivo in Italia e all’estero, continente americano e Russia
compresi, ripetute collaborazioni di
studio e dal vivo, tra le quali spiccano
quelle con Edoardo Bennato per la
realizzazione di album storici della
musica italiana, quali La Torre di
Babele/1976 e Burattino senza
fili/1977; presente con la sua chitarra
anche nel progetto acustico di
Bennato Edo rinnegato/1990 e con
Francesco De Gregori per il brano
Saigon, dall’ lp Alice non lo sa/1974;
realizza undici dischi a proprio nome
(includendo il cd acustico di rivisitazione di alcuni “classici” di Ciotti allegato al libro) e pone la sua firma
autorale per sei colonne sonore cinematografiche, su tutte quella del cult
movie Marrakech Express/1989 e di
Turnè/1990 opere del regista Gabriele
Salvatores. Da quanto apprendiamo leggendo questo volumetto, piacevole anche
per la sua generale veste grafica ed iconografica (molte foto “vintage”), la vita
“on the road” di Roberto inizia precocissima, intorno ai 15 anni: <nel ’68…investito dalla passione per la chitarra e la voglia
di fare esperienze di vita concreta..sapevo
che non sarebbe stata una strada facile
ma quello era il mio obiettivo>…con
“mille lire al mese”, Ciotti inizia il suo
lungo viaggio nella musica, dandosi da
fare, inizialmente, su e giù per la tastiera
di una chitarra Ariston, acquistata a rate
dal papà “impiegato del gas”, coinvolgendo nei suoi primi esperimenti musicali i
ragazzetti residenti nel condominio di edilizia popolare sulle, sponde del Tevere a
Porta Portese, che, ancora oggi, è la sua
“home sweet home”…un fiume, una sponda…in un’altra parte del mondo erano
state la culla del blues cosiddetto “rurale”: il Mississipi…noi, in Italia, a Roma,
stavamo “cullando” il nostro “BLUESMAN”,
Roberto Ciotti! I ricordi di Roberto si rincorrono tra “palchi e realtà”, ritornando sui
tanti viaggi e i prolungati soggiorni in quel
di Patmos (Grecia), di Ketama (Marocco),
di New York, non risparmiando considera-
Campo de’ fiori
11
di Carlo Cattani
sfoglia! “unplugged”:
eccellenza del blues italiano, si racconta!
zioni sugli incontri “angolari” della sua
lunga carriera artistica e di quelli della sua
vita sentimentale…di breve e lunga durata.
L’esordio discografico avviene nel 1973 con
il progetto “fondamentalmente jazz” dei
BLUE MORNING accanto a validissimi compagni di avventura, tra i quali cito Maurizio
Giammarco, sassofonista-compositore di
rilievo della scena jazz internazionale. Ma
non sarebbe stato il jazz “l’alimento musicale” di Roberto, così come non lo era
stato la musica pop italiana imperante alla
fine degli anni ‘60 <…così piccolo ero già
piuttosto strano: non riuscivo a fare quello che facevano gli altri…non mi divertivo
per niente a rifare le canzoni dei Giganti, o
dei Rokes,…fui cacciato dal mio
gruppo…tanto meglio abituarmi subito a
non essere compreso>. I suoi “fondamentali” si chiamano Jimi Hendrix, Rolling
Stones, Led Zeppelin, Cream, John Mayall,
Peter Green, Canned Heat, Ten Years After,
Rory Gallagher e i grandi “neri” del blues.
<…Sapevo di essere soltanto in cerca delle
mie note>: ecco, con questo preciso intendimento Roberto continua ad illuminare la
sua attività artistica sempre tesa alla ricerca della sua “onda blues perfetta”! Fra le
sonorità di una chitarra acustica MARTIN
D41 <…tanti armonici dovuti all’età che
come le rughe sono il segno tangibile di
tutto il suo vissuto…> e quelle di una elettrica Fender Stratocaster del ‘62 <strumento straordinario, con un suono illimita-
to> scorre il “fiume
blues” di Roberto
Ciotti, agli esordi
degli anni ‘70 fluente nell’alveo della
tradizione
del
“DELTA BLUES” per
poi svilupparsi e
personalizzarsi sotto
il segno della contaminazione mediterranea e della melodia in quello che più
autorevoli
critici
musicali definiscono
il
“Blues
Mediterraneo
di
Roberto Ciotti”.
Il coinvolgimento
suscitatomi
dalla
lettura di questa autobiografia mi porterebbe a parlarvene a josa, ma mi fermo
qui, lasciandovi al piacere di sfogliare
“tutto il blues, pagina per pagina, di
Ciotti…Roberto”! Roberto Ciotti sarà
apprezzabile dal vivo con la sua band ( Elio
Buselli/Basso - Andrea Pagani/Piano e
Organo - Walter Detond/Batteria Flavinho Vargas/Percussioni) venerdi 7
dicembre a Stazione Birra (Morena),
nell’ambito della seconda edizione della
rassegna internazionale “Kind of blues
festival”; il concerto sarà filmato per la
realizzazione di un dvd.
Lunga vita al “KING OF NOTHING…
....T H E T H R I L L I S S T I L L
HERE!”
Visitate il sito ufficiale: www.robertociotti.com
Per prenotazione concerto visitate:
www.stazionebirra.it
continua a pag 12...
12
“12 domande per…12 battute: breve
intervista a Roberto Ciotti”
1) Carlo: Avendo notizia della tua riservatezza, ti chiedo come hai superato l’ostacolo di questo elemento caratteriale, per la
scrittura di UNPLUGGED, un racconto
davvero intimo della tua vita/carriera artistica?
Roberto: E’ stato come scrivere una lettera ad un amico e penso che i pochi che mi
ascoltano diventano miei amici.
2) Carlo: Quanto tempo ci hai lavorato?
Roberto: Un anno e mezzo.
3) Carlo: Hai avuto facilità nel ricordare
tutto quello che “hai combinato“?
Roberto: No, per questo ci ho messo
tanto.
4) Carlo: Quello che sfogliamo è quello
che hai scritto o il manoscritto originale era
più corposo (un più ampio numero di
eventi, viagg, episodi, incontri...)?
Roberto: No, l’originale comprendeva
più materiale, poi è stato selezionato
incontrando la mia piena soddisfazione.
5) Carlo: ....qualcosa rimasto fuori che ti
sta a cuore ?
Roberto: Niente di particolare: le cose
riportate sono efficaci per il ritmo, i tempi
del narrato.
6) Carlo: Mi puoi dare un breve ricordo
del tuo approdo alla CRAMPS e dell’incontro (immagino ci sia stato ) con il direttore
artistico, il grande Demetrio Stratos?
Roberto: Demetrio è quello che approvò
il contratto e Gianni Sassi era il capo della
Cramps; con loro mi sono trovato bene
perchè volevano fare cose di qualità.
7) Carlo: Torneresti in campo con
Edoardo Bennato per un “progetto fuori
del tempo” dal sapore vintage, con i
“ragazzi della Torre e di Burattino senza
fili”?
Roberto: Penso che erano altri tempi…
anche la mia musica è molto cambiata.
8) Carlo: Il ogetto “MARRAKECH
Campo de’ fiori
EXPRESS”: il tuo vissuto on the
road degli anni ‘70 e ‘80 si è
meravigliosamente incontrato
con la sceneggiatura del film
...qualche battuta in relazione
ad un incontro con Salvatores ...
Roberto:
Con
Gabriele
Salvatores è andato tutto facile,
c’era la giusta atmosfera tra la
mia musica e il suo film.
9) Carlo: Chi è/sono gli artisti
italiani od esteri che apprezzi, al
di là del genere musicale e chi,
in Italia, consideri possa nel
futuro costruire una carriera
“valorosa” come la tua?
Roberto: Io seguo i grandi che
hanno suonato fino alla morte
come B B King e riguardo alla
mia
carriera
non
è
stata molto gloriosa perchè sto
ai margini del mondo musicale
…i giovani non seguono il mio
esempio perchè vogliono sfondare subito...
10) Carlo: Ti piacerebbe esprimerti in
altre forme artistiche, eventualmente,
quali?
Roberto: Mi piace contaminare la musica
con elementi che hanno lo stesso significato.
11) Carlo: Dopo “UNPLUGGED”, a cosa
stai lavorando, che tempi di realizzazione
prevedi,quali musicisti coinvolgi, con chi
pubblicherai?
Roberto: Sto preparando le nuove canzoni con la mia band per cd nel 2008…per il
resto non so niente.
12) Carlo: Il tuo sogno nel cassetto: con
chi desidereresti suonare e/o collaborare
in Italia e all’estero?
Roberto: Non ci ho mai pensato…scrivo
da solo a casa e ascolto quello che mi esce
per migliorarlo.
Un contributo dal tastierista “in BLUES”
L u c k y L e s l i e G a r g i u lo *
(www.myspace.com/luckygargiulo)
)
Ciao Carlo, io ho seguito Roberto Ciotti dal
1989 al 2005 ed è stata per me un’ottima
scuola di blues, oltre che di vita…penso
che sia stato il periodo PIU’ BELLO, più
produttivo dal punto di vista dei concerti
live, abbiamo suonato veramente tanto in
tutta Italia. E comunque “convivere” con
un personaggio come Roberto non era e
non è facile, con il suo carattere riservato,
specialmente con gli altri musicisti famosi
e non...ricordo un bellissimo concerto in
Svizzera: in quell’occasione si apriva il concerto di Zucchero...noi eravamo molto
emozionati, avere il camerino vicino a
quello di Zucchero e dividere lo stesso
palco non capita tutti i giorni e quella sera,
prima del concerto, eravamo tutti dietro le
quinte del tendone e dicevamo a Roberto
<a Robe’ vai a saluta’ Zucchero, vacci a
parlare e poi ci facciamo una foto...> e lui
invece abbastanza scocciato della nostra
richiesta: <macchè…nun me rompete...se
viene lui va bene…a me nun me va...>. E
comunque fu un concerto grandioso, con
Zucchero di lato al palco che saltava e
cantava, e infatti al termine del concerto
si avvicinò a noi per farci i complimenti e
così ci facemmo anche delle foto...e
Roberto ci parlò...
Ma in ogni concerto di Roberto succedeva
sempre qualcosa di strano, anche perchè
il popolo del blues non è fatto di gente
tanto normale...a Verona stavamo cenando prima del concerto ed eravamo tutti
seduti intorno al tavolo a mangiare...si
presentò un giornalista locale che insisteva per avere un’intervista e per fare delle
foto e Roberto:
<ahò...nun me rompe li….....non vedi che
stamo a magnà?? >.
“…come al solito mi disinteressavo al
business…una vera fregatura ma io
sono fatto così” (da UNPLUGGED-una
vita senza fili- di Roberto Ciotti).
* con Alex Britti Band ed incide il cd: “3”.
con Blues Machine , versione Europea
della band del grande Louisiana Red
con Roberto Ciotti dal vivo e per le incisioni
di 3 suoi cd: “King of nothing” , “Road’n’rail” ,
“Changes” .
con Noel Redding , fu bassista di Jimi
Hendrix Experience
con la cantante / chitarrista Francesca De
Fazi
Lucky Leslie Gargiulo
14
Campo de’ fiori
FUNERAL PARTY
Death at a funeral. Germania,
Gran Bre-tagna, USA 2007.
Genere: commedia; regia:Frank
Oz; interpreti: Matthew MacFadyen, Rupert Gra-ves, Peter
Dinklage, Daisy Donovan, Alan
Tudyk, Kris Marshall, Andy
Nyman, Ewen Bremner, Keeley
Ha-wes, Jane Asher, Peter Egan,
Peter Vaughan; sceneggiatura:
Daniel Craig; fotografia: Oliver
Curtis; montaggio: Beverley Mills;
musica: Murray Gold; scenografia:
Judy Farrell; costumi: Natalie
Ward; distribuzione: Mikado;
durata: 90 minuti.
Funeral Party ovvero come le esequie possono farvi morire…dal
ridere! E per ridacchiare di gusto
non è necessario attendere molto;
sin dai buffi titoli di testa, aventi
come soggetto una bara (citazione colta del surrealistico Entr’acte
di René Clair?), si comprende qualcosa del
carnevale cinico ed
silarante che, di lì a
poco, seguirà. Una
black comedy, incentrata sulle onoranze
funebri, poteva venire
in mente solo ad un
regista come Frank
Oz (classe 1944), da
sempre affine al genere farsa-pochade. Da
un artista come Oz, in
grado sia di doppiare il
maestro Yoda di Star
Wars e Miss Piggy dei
Muppets, sia di realizzare film come La piccola bottega degli
orrori o In & Out, possiamo
veramente
aspettarci di tutto.
E così avviene puntualmente con Funeral
Party.
Per rendere omaggio
al tocco di sana follia
che aleggia in quest’opera, il festival svizzero
di Locarno ha pensato
bene, lo scorso agosto,
di tributare al regista
l’autorevole Prix du
Public.
Ma, in cosa consiste,
Funeral
di
fatto,
Party? Tale testo filmico è tratto dal copione
Death at a funeral,
sapientemente
reimbastito per trasporlo sul grande schermo, il giovane e promettente
Dean di
Craig. Nella seguente M. Cristina Caponi
pellicola si avvicendano a rotta di collo un
caleindoscopio di situazioni borderline,
aventi come unico set il salotto borghese di
una famiglia della upper class britannica.
E, di fronte alla cassa da morto del patriarca ne avvengono, è proprio il caso di dirlo,
di tutti i colori; come se la dipartita di un
familiare avesse avuto il ruolo di detonatore di conflitti psicologici e passate acredini.
Si aprono gli armadi e vi si trovano solo
vecchi scheletri ammuffiti da tempo immemore. La fauna di grotteschi personaggi
che si raccolgono intorno all’amato defunto
comprende: fratelli invidiosi l’uno dell’altro,
ipocondriaci seccanti ed inopportuni, mogli
invadenti, ex corteggiatori con spirito di
rivalsa, anziani collerici e con impellenti
bisogni fisiologici, avvocati in carriera che si
ergono nudi sui tetti a causa di cocktail
allucinogeni e, soprattutto, nani omosessuali e ricattatori. Ce n’è per tutti i gusti!
Ma il classico (moralistico nei toni) happy
end è in agguato, subito dietro l’angolo.
L’ultima opera dell’autore di Tutte le manie
di Bob, ha goduto in fase di produzione di
una gran libertà, dovuta al piccolo budget a
disposizione e dall’aver potuto disporre dei
set britannici degli studi Ealing.
Una piccola organizzazione produttiva, ma
con un cast di tutto rispetto con grandi artisti (seppur poco o nulla conosciuti in
Italia), fra cui spicca il piccolo di statura,
ma dotato di grande talento, Peter
Dinklage; unico yankee in un una compagnia di attori all british.
Sicuramente, è da apprezzare come questi
interpreti abbiano lavorato in gruppo, al
pari di una jam session musicale, evitando
di avere l’obbiettivo della macchina da
presa tutta per sé.
Tuttavia, è da ammettere che in questo film
all’insegna del paradosso e del nonsenso,
oltre ad uno humor tipicamente inglese e
allo spirito della slapstick comedy americana, vi è una dose eccessiva di volgarità.
Ideale, comunque, per chi voglia passare
un weekend al cinema…con il morto.
Campo de’ fiori
16
DIOCESI DI CIVITA CASTELLANA
L’ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “ALBERTO TROCCHI”
APRE L’ANNO ACCADEMICO
di Sandro Anselmi
Il 22 ottobre, presso la Sala Trocchi di
Civita Castellana, si è aperto l’anno accademico dell’Istituto Faleritano di Cultura
“Alberto Trocchi”, alla presenza di S. E.
Mons. Divo Zadi, S. E. Mons. Lorenzo
Chiarinelli e S. E. Mons. Lino Fumagalli.
L’Istituto, nato nel 1978, ha diplomato 256
allievi in Scienze Religiose, con 106 insegnanti, di cui 71 di ruolo.
La Congregazione per l’Educazione
Cattolica, con decreto del 6 ottobre scorso,
lo ha eretto ad Istituto Superiore di
Scienze religiose, l’unico del Lazio, dopo
quello di Roma, collegandolo accademicamente alla Facoltà di Teologia della
Pontificia Università Lateranense. Si potrà
perciò conseguire, presso l’Istituto, la laurea triennale in Scienze religiose, per una
formazione teologica di base, oppure la
laurea specialistica, con il corso quinquennale, negli indirizzi pedagogico-didattico e
pastorale-ministeriale, che dà accesso
all’insegnamento della religione cattolica
nelle scuole pubbliche di ogni ordine e
grado. “L’Istituto si configura come finalizzato alla formazione teologica accademica
di religiosi e laici, per una loro più cosciente e attiva partecipazione ai compiti di
evangelizzazione, favorendo l’assunzione
di compiti professionali nella vita ecclesiale e nella animazione cristiana della società. Propone l’approfondimento e la trattazione sistematica, con metodo scientifico,
della dottrina cattolica, attinta dalla divina
Rivelazione, e promuove la ricerca delle
risposte agli interrogativi umani, alla luce
della stessa Rivelazione, con l’ausilio delle
scienze filosofiche, delle scienze umane e
delle scienze delle religioni.
foto Mauro Topini
Da sx Don Carlo Crucianelli, S.E. Mons. Lino Fumagalli, S.E. Mons.Lorenzo Chiarinelli,
S.E. Mons. Divo Zadi e il Prof. Erasmo di Giuseppe
S.E. Mons. Divi Zadi, il Prof. Erasmo di Giuseppe e il Dr Augusto Borzone
In particolare, l’Istituto cura la preparazione dei ministeri ecclesiali, fino al diaconato permanente, la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti di religione
cattolica, la formazione di religiosi non
sacerdoti e di religiose.” Alla cerimonia di
inaugurazione Mons.
Chiarinelli, Vescovo
di Viterbo e Mons.
Fumagalli, Vescovo di
Sabina e Poggio
Mirteto, hanno evidenziato l’importanza
interprovinciale
dell’ISSR, che, per
questo, sarà aperto a
Autorità e pubblico presenti alla conferenza
tutti gli studenti dell’Alto Lazio, e non solo.
Il professor Erasmo Di Giuseppe, Direttore
dell’Ufficio
Scuola
Diocesano
e
Responsabile Generale dell’ISSR, ha
espresso grande soddisfazione per lo
scopo raggiunto, al quale ha lavorato con
forte convinzione fin dall’inizio, sostenendone la validità con ogni mezzo a sua
disposizione.
Ha voluto, inoltre, ringraziare il nostro
Vescovo Mons. Divo Zadi, anche lui fermo
sostenitore di questo disegno, per il
costante impegno profuso durante tutti
questi anni. Un ringraziamento particolare
è stato rivolto a Monsignor Carlo
Crucianelli, che non ha mai distratto energie alla realizzazione di questo progetto.
Le lezioni hanno avuto inizio lunedì 5
novembre .
Campo de’ fiori
il diario dei
Giras
questa pagina è dei ragazzi speciali
CENTRO ANCHE IO!
Walter Toschi
Si è svolto, con questo titolo, il 19 ottobre,
un giorno di festa al C.S.E. di Civita
Castellana, sito in via Palmiro Togliatti, che
abbiamo condiviso con amici e parenti, colleghi e cittadini tutti. Ognuna di queste persone è vicina a ciò che il Centro socio-educativo rappresenta, con le proprie modalità
e nel rispetto del ruolo specifico.
La manifestazione ha celebrato i dieci anni
di gestione del servizio da parte della
cooperativa “Il Pungiglione”. Naturalmente
le persone che hanno animato questa festa
17
li
Daniela Pelosi
I ragazzi speciali
Isabella Bonetti
D.ssa
Giovanna Chiarini
e Claudia Bonfini
Gruppo musicale
“Palco Aperto” di Tarquinia
Pubblico presente alla manifestazione
Claudia Bonfini e
la D.ssa Gilda Rush
sono state: Nico, Roberta, Giuliana,
Giuseppe, Nazzareno, Daniele, Marco,
Arianna, Giampiero, Federico, Loredana D.,
Giancarlo, Giuseppina, Loredana B.,
Francesca, Fabio e Sergio, che attualmente
frequentano il Centro, i loro genitori, e tutte
le persone che hanno dato il loro contributo
nel passato e che rappresentano il significato e il frutto del nostro lavoro a Civita
Castellana. Le differenti testimonianze, che
sono state riportate durante la giornata,
spero abbiano offerto a tutti la possibilità di
prendere coscienza del lavoro che ogni gior-
Alessia Lazzari e
Claudia Bonfini
no si svolge al C.S.E., con l’auspicio che
qualcuno si lasci coinvolgere e che le
opportunità sul territorio aumentino. Ma in
particolare abbiamo voluto testimoniare la
ricchezza di accogliere la diversità come
momento di crescita umana e sociale, di
andare al di là delle apparenze, scoprendo
così che l’apparenza, spesso, nasconde
persone profondamente ferite, ma ancor
più profondamente capaci di amare e di
farsi amare.
Riccardo Cardini - Centro socio-educativo
“Rosa Merlini Frezza”
18
Campo de’ fiori
Associazione Artistica Ivna
Artisti di Vignanello, Vallerano, Corchiano, Civita Castellana
condividono l’arte
IL VERDE DEI BOSCHI, IL MOVIMENTO ONDULATO NEI DIPINTI DI ERCOLE ERCOLI
La prima scintilla della
pittura intimistica di
Ercole Ercoli, nativo di
Vallerano, si è accesa
fin dai tempi delle
scuole medie. “Un giorno”, ci racconta lo stesso artista, “facendo
uno studio dal vero,con
della Proff.ssa
il prof. Ammannato,
M. Cristina
dipinsi un viale alberaBigarelli
to di Vignanello in
pochissimi minuti e fui gratificato dal mio
insegnante che mi incoraggiò a coltivare
questa mia dote”. Si susseguirono ulteriori
riconoscimenti ed incoraggiamenti: “la mia
spontaneità e la mia abilità furono evidenziate e guidate.” Da quel momento in poi
Ercole Ercoli non ha più potuto fare a
meno di seguire la sua Musa ispiratrice che
lo consigliava e che sentiva come vigoroso
impulso irrefrenabile nel percorrere la sua
via artistica. Ercole Ercoli, non si forma
nelle scuole d’arte o in ambiti accademici
propriamente detti, ha, però, l’opportunità
di incontrare abili maestri dell’arte che lo
formano e lo aiutano ad assumere la sua
identità di pittore d’eccellenza. I tentativi,
peraltro geniali, nell’uso di varie tecniche
pittoriche lo inducono a prediligere l’olio su
tela e su carta, dando soddisfazione all’idea, gratificandola. Il sistema antico dell’abbozzo permette a Ercole Ercoli di iniziare la sua composizione con un disegno
istintivo, quasi violento, cogliendo l’essenziale dell’ immagine che vuole dipingere.
Violento, poco definito, linee che conducono a uno scarno disegno: la base per l’abbozzo. Dopo alcuni giorni che il colore si è
“riposato”, va a riprendere le parti che
interessano, ad evidenziarle, a definirle, a
creare le linee direzionali dove lo spettatore possa vedere quello che vuole che egli
veda. Un sistema la cui fase embrionale
sono i segni della matita, per poi procedere all’ abbozzo. L’uso dei colori è unicamente riconducibile ai primari, perché i
suoi dipinti sono, prevalentemente, di
colori puri, poche “mescole”, essenziali.
Ercoli ci rivela che i derivati li trova nei
verdi, nei viola, ed i colori secondari li
ritrova con i colori primari. Quella dell’artista valleranese è una tavolozza molto
ristretta con colori primari, pochi secondari, poche terre perché la sua intenzione
pittorica é quella di creare l’ effetto della
purezza, in particolare la purezza nella
vegetazione che ancora oggi esiste nella
natura mite ed aggraziata dei Monti
Cimini. Tratta la materia alla maniera degli
impressionisti francesi. “Un contatto veloce,” ci spiega l’artista Ercoli, “quasi violento specialmente negli abbozzi, in sintonia
con la realtà circostante”. I nostri colloqui
con lui ci confermano che la fonte artistica
è quella di alcuni pittori impressionisti
francesi. Courbet è la sua guida
nell’uso dei verdi; Sisley per
quanto riguarda i paesaggi e
Pissarro per le vedute più aperte. Le vedute di Ercoli sono paesaggi in primo piano, con sfondi
più ampi, alla Pissarro, ingentilite e aggraziate alla Sisley. E’
così che appaiono i suoi dipinti:
veri, vissuti intimamente, dal
tocco impressionista marcato,
con cenni a sfumature infarcite
di colori, che scaturiscono dalla
volontà dell’artista di rivestirle di
verde e derivati. Boschi e sottoboschi ricoperti di verde, quindi
identità rigogliosa e orgogliosa
della materia proposta, soffice e nel contempo pastosa, intrisa di luce sfumata,
solo apparentemente malleabile! I suoi
boschi con i felci, i rami e le foglie verdi
sembrano uscir fuori dalla
tela per dirci quanto indocile, nel contempo accogliente, sia tutto quel folto verde
che avanza e che sembra
parlarci del tepore esistente
e possibile, che, però, va
conquistato e assaporato.
Ci parla di un mondo visibile come i boschi, che esteriorizzano la forza, la bellezza e l’equilibrio del creato, e
di un mondo nascosto,
come il sottobosco, che
interiorizza, che nutre tutto,
che va, però, protetto poi-
ché un solo passo
scomposto comprometterebbe
quel
vaporoso equilibrio
che attraverso l’occhio proiettiamo fino
all’intimo, lasciando
tutto
informe
e
ammassato sotto il
peso di chi “cammina
Ercole Ercoli
indifferente” su quel
tappeto
ondulato,
alla Turner, senza essere, però, ostile, anzi
disponibile e ricco di nutrimento… Ritrae i
felci, i castagneti, la natura dei Cimini perché li conosce bene, e perché vorrebbe
che chi li guarda potesse riconoscere in
essi degli esseri viventi come noi, esseri
che nascono, crescono, muoiono.
Le nature morte di Ercoli si ispirano a
Cezanne: “i piani in diagonale e i volumi,
la pesantezza delle cose, i pesi, i contrappesi, la sensazione del movimento, dello
scendere dei panni di lino, la gentilezza e
la grazia dei panneggi, oggetti del passato, come brocche vecchie, elementi umili
semplici, non arricchiti, non elaborati al
fine di far risaltare i valori passati, la semplicità, l’umiltà:
valori importanti che
vanno tramandati nel tempo! Mi piace”,
dice Ercoli, “nelle nature morte e nel paesaggio creare questo equilibrio, in maniera
evidente affinché chi guarda possa riflettere sul fatto che noi siamo il risultato di
quello che eravamo”. La pittura di Ercoli
evidenzia un equilibrio della natura, perché crede fermamente nella simbiosi tra
uomo-natura in un ecosistema dove l’equilibrio è essenziale, in una danza ritmica di
suoni, di flebili rumori, di impercettibili fruscii, di profumi, di odori che essa emana
con un movimento ondulato vivo, che produce nell’animo il crescente tepore dello
spirito nella potenza generatrice eterna!
Campo de’ fiori
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IL TEMPIO DI VENERE E ROMA
Sulle alture della Velia,
verso la valle del Colosseo
e ad est della Basilica di
Massenzio, in fondo al
Foro Romano, l’imperatore
Adriano fece innalzare, tra
il 121 ed il 135 d.C.,
secondo un progetto da lui
di
stesso redatto, il più granCristina
de edificio di culto di Roma
Collettini
antica. Il tempio di Venere
e Roma (templum Veneris
et Romae) è un doppio santuario, dedicato
a Venus Felix, ovvero Venere portatrice di
buona sorte, dea dell’amore e genitrice di
Enea e della Gente Giulia, e Roma Aeterna,
la dea che personificava lo stato romano.
Inaugurato nel 135, non ancora completo,
venne ultimato nel 140-141 da Antonino
Pio, sulle cui monete è rappresentato, e,
danneggiato dall’incendio del 283, fu fatto
ricostruire nel 307 da Massenzio. Il “doppio
tempio” di dimensioni colossali, sul modello
di quelli greci, fu costruito su una terrazza
parzialmente artificiale, alta circa 9 metri,
per bilanciare il dislivello tra il Foro e la
parte più bassa del Colosseo, su un’area
precedentemente occupata dal vestibolo
della Domus Aurea neroniana, al centro del
quale era collocato il colosso del Sole, una
statua bronzea di 36 metri che ritraeva
Nerone con i raggi solari attorno al capo. Su
ordine di Adriano, la statua fu spostata
verso la valle dell’anfiteatro e l’architetto
Decriano, che ne eseguì la rimozione, si
servì di ben ventiquattro elefanti!! La terrazza rettangolare, su cui insisteva il tempio
(100x145 m), presentava, su ognuno dei
lati lunghi, un portico con un propileo centrale, 44 colonne di granito grigio, che delimitavano lo spazio sacro sui lati settentrionale e meridionale. Il luogo di culto vero e
proprio sorgeva su uno stilobate a gradini
(lo stilobate nel tempio greco è il piano su
cui poggia il colonnato del tempio) ed era
circondato da una peristasi di colonne (portico) in marmo bianco con capitelli corinzi,
20 sui lati maggiori e 10 sui minori.
Caratteristica principale di questo tempio è
la disposizione perfettamente simmetrica
delle due celle di culto, orientate in senso
Ricostruzione a cura di G. Cariou e J. Pesnel (2002)
opposto e con le
pareti di fondo adiacenti, precedute da
portici con quattro
colonne.
L’accesso
principale al tempio
era quello ovest,
verso il Foro, con la
cella dedicata alla dea
Roma, rivolta verso il
Campidoglio, che è
quella meglio conservata e che è stata poi
inglobata nella chiesa
dei santi Pietro e
Paolo,
rinominata
Santa Maria Nuova e
in seguito convento di
Santa
Francesca
Romana, e che, oggi, è l’Antiquarium del
Foro. Del tempio originario rimangono solo
la platea e i portici laterali, mentre le absidi
in fondo alle celle e le coperture voltate a
botte, ornate con cassettoni romboidali a
stucco, ancora visibili, risalgono al restauro
di Massenzio. In epoca adrianea le celle
erano molto ampie, con due ambulacri laterali chiusi da un colonnato a tre ordini di
colonne sovrapposti. Si presume che originariamente il tempio avesse un’altezza di
circa 30 metri, per avere un’idea delle
immense proporzioni, si pensi che le calotte
rifatte da Massenzio, i cui resti sono oggi
visibili, sono alte 19 metri!! In realtà nelle
strutture adrianee superstiti, perlopiù di
fondazione, non sono state trovate tracce di
incendi, ma interessante è il fatto che molti
dei materiali di epoca adrianea, che costituivano la decorazione marmorea, sono
stati riutilizzati da Massenzio non solo per
questo edificio di culto, ma anche per la sua
omonima basilica, come dire, da un monumento ne sono stati decorati due!! I paramenti esterni originari delle celle erano
spessi circa 180 cm, uno spessore minimo
per una struttura in muratura di simili
dimensioni, ed erano costituite di blocchi di
travertino nella parte fondale e di blocchi di
peperino ricoperti di lastre marmoree nell’alzato. Sotto Massezio, le pareti furono rinforzate con “fodere” di calcestruzzo e cortina, addossate direttamente
alle
strutture
originali,
restringendo in tal modo lo
spazio delle celle. Come si
evince da un rilievo conservato al museo delle Terme
che lo rappresenta, il timpano della facciata della cella
occidentale, dedicato alla
dea Roma, rappresentava
Marte e la Rea Silvia, la lupa
con i gemelli, Romolo e
Remo, a raffigurare probabilmente la fondazione della
città. All’interno, le pareti
laterali delle celle erano
scandite da colonne in porfido e da nicchie
per statue, inquadrate da colonnine,
anch’esse in porfido, poste su mensole di
marmo bianco; nell’abside sul fondo della
cella, preceduta da due colonne di porfido,
era situata la grande statua di culto: di quella, raffigurante la dea Roma, rimane il basamento in mattoni. Il pavimento in lastre di
marmi policromi doveva presentare bellissimi disegni geometrici.
Il progetto, concepito dall’imperatore
Adriano ,risente fortemente dei modelli e
della cultura greca, da cui l’imperatore traeva le fondamenta del suo progetto politico e
religioso e della sua stessa immagine di
sovrano. Fiero della sua opera, l’imperatorearchitetto mostrò i disegni del possente edificio di culto all‘architetto Apollodoro di
Damasco, ideatore sotto Traiano dei Mercati
Traianei, il quale però criticò il progetto
innovativo sostenendo la sproporzione delle
statue di culto che, se si fossero alzate,
avrebbero rotto la copertura. Osservazione
che offese l’imperatore e costò la vita al
famoso architetto, esiliato prima e messo a
morte poi dallo stesso Adriano!! L’area del
tempio venne scavata durante il periodo
dell’ Amministrazione Francese (18101814), ma solo negli anni 1827-1829 fu
sistemata con reinterri e con il rialzamento
di alcune colonne.
Antonio Munoz curò, invece ,(1934-1935) la
sistemazione a giardino che ripropone in
pianta l’assetto originario del tempio, con
essenze diversificate ad indicare i gradini e
la peristasi di colonne. Intorno agli anni 80,
venne curata dalla Soprintendenza la pulizia
di tutte le superfici, ma la sistemazione
attuale si deve ad una grande restauro realizzato in occasione del Giubileo, sempre ad
opera della Soprintendenza. Le piante
disposte da Munoz, che dovevano simulare i
colonnati, crescendo erano venute meno al
loro scopo; per segnalare la caduta del
colonnato, senza cancellare le tracce del
precedente restauro, la basi delle colonne
sono state riproposte in negativo, scavandone a terra le relative “impronte”.
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Centro Provinciale di Formazione Professionale
Civita
in memoria di Ivan Rossi
ana
Castell
L’ amministrazione provinciale, su proposta del consigliere Massimo Miccini (PRC),
ha intitolato alla memoria di Ivan Rossi il
Centro
Provinciale
di
Formazione
Professionale. La cerimonia si è svolta il 29
ottobre scorso, durante una mattinata
insolitamente calda quale testimonianza
che il buon Dio ha voluto dare all’ avvenimento, con la partecipazione dei genitori
del giovane, del presidente della provincia
Mazzoli e l’ assessore alle politiche sociali,
Picchiarelli, che hanno fatto gli onori di
casa. Sono intervenuti il presidente della
regione Lazio, Marrazzo, i senatori Allegrini
e Marini, il prefetto di Viterbo, Giacchetti,
il vescovo della Diocesi, mons. Zadi, il sindaco Giampieri, i consiglieri regionali
Parroncini e Peduzzi, autorità militari, alcuni consiglieri provinciali, assessori e consiglieri comunali, e numerose altre personalità, oltre ad alcuni parenti del giovane,
semplici
cittadini e studenti del CAP
accompagnati dai loro docenti. Nei vari
interventi, ad iniziare da quello di
Picchiarelli, a
cui
hanno
fatto seguito
Giampieri,
Mazzoli
e
quindi Marrazzo, è stata
messa in evidenza la figura ed il valore
civile e morale del gesto
compiuto dal
giovane Ivan
Rossi, animatore di un villaggio turistico, che si è
sacrificato
sulla spiaggia
di Noto (SR)
da sx il Presidente Piero Marrazzo, il Sindaco di Civita Castellana Massimo Giampieri
nel tentativo di
e i genitori di Ivan Rossi
portare in salvo
alcuni giovani che si erano trovati in diffiessere un luogo di crescita per i giovani e
coltà, tra i flutti
la figura di Ivan deve rimanere un esemdel mare mosso.
pio che rappresenta la speranza per un
Un atto eroico
futuro migliore. Marrazzo ha evidenziato
che ha indotto il
come in quel dolore c’è la volontà del
sen. Marini a
riscatto che ha trovato tutti uniti in una
chiedere al Capo
filiera comune. Una targa, quella affissa
dello Stato l’
all’ ingresso dell’ istituto scolastico, che
assegnazione di
non deve rimanere anonima ma essere di
una medaglia d’
esempio ai giovani per superare le loro diforo, sostenuto
ficoltà. Picchiarelli ha anche annunciato
da tutti gli altri
che presso il CAP di Civita Castellana verrà
colleghi senatoavviato il 1° Corso per Operatori Turistici.
ri. La targa, scoIl vescovo, mons. Divo Zadi, durante l’
perta dai genitoincontro avuto dai genitori con le autorità,
ri di Ivan, deve
in cui la sig.ra Rita, madre di Ivan, ha
rimanere a testiricordato momenti particolari del proprio
monianza di un
figlio, ha detto che nelle omelie rivolte ai
eroe, è stato
ragazzi unisce sempre il nome di Ivan, un
detto, che ha
eroe che con il suo gesto ha fatto onore
compiuto
un
alla vita.
Mario Sardi
gesto di grande
foto M. Topini
solidarietà. La
Le autorità e i genitori davanti alla targa commemorativa
scuola
deve
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Campo de’ fiori
o
n
a
i
c
c
a
l
i
F
Questo mese ci
spostiamo in provincia di Roma,
precisamente a
Filacciano, un piccolo paese di 5,7
km quadrati, con
543 abitanti, che
si erge sopra un
colle, a 197 m,
di Ermelinda Benedetti circa, sul livello del
foto Mauro Topini
mare, da cui è possibile godere di un bellissimo panorama, che ha come sfondo la
valle del Tevere e i monti sabini. Partendo
da Roma, si può raggiungere percorrendo
l’autostrada A1 in direzione Firenze, fino al
casello di Fiano Romano, da dove proseguire per Nazzano Romano, che dista tre
chilometri da Filacciano, attraverso la Via
Tiberina. In alternativa, si può arrivare a
Prima Porta percorrendo la SS Flaminia e
poi proseguire per Nazzano Romano, tramite la Via Tiberina; oppure è possibile
prendere la strada statale Salaria fino al
Ponte del Grillo a Monterotondo e immettersi sulla Tiberina, nei pressi di Capena.
STORIA L’origine di Filacciano è da far
risalire al periodo romano, tanto che il
nome stesso sembra possa essere una
derivazione di Faliscanum o Faliscianum,
dalla popolazione dei Falisci, stanziatisi
prima nell’attuale zona di Civita Castellana
Oratorio
Le guide di C
Il Borgo
e confinata, poi, dai Romani, in questo territorio, poco distante. Secondo un’altra
teoria il nome potrebbe essere ricollegato
a quello dell’imperatore Felicianus, che ne
sarebbe stato il fondatore. Ma l’ipotesi più
plausibile sembra quella per la quale la
denominazione attuale del paese deriverebbe dal possidente Flacco, il cui fondo fu
detto, per l’appunto, Flaccianus, tanto più
che, in un documento dell’VIII secolo, è
riportata la donazione all’Abbazia di Farfa
del fondo cosiddetto Flacciano, da parte di
un certo Zaro. Per di più, solo qualche
decennio dopo, nell’817, Papa
Stefano IV attesta la presenza
dei Monaci di Farfa, con una
bolla, nella quale ribadisce il
pieno possesso del Casalis
Flacciano a tale ordine monastico. A partire dal XIV secolo il
fondo passa nelle mani della
famiglia Orsini, che lo governò
per circa due secoli, fino al
1544,
quando
Giovanni
Francesco Orsini lo cedette ad
Antimo Savelli. Dagli inizi del
secolo successivo, invece, si
susseguirono diverse nobili
famiglie: i Baroni Naldi della
Bordissiera, Muti Papazzurri,
monsignor Carlo Mauri e i suoi
eredi, i Franci, il Marchese
Ferraioli e nel 1853 i Principi
Del Drago, fino a che non
divenne comune, ma che
rimangono comunque gli attua-
li proprietari dell’omonimo palazzo.
ITINERARIO TURISTICO Per le sue
dimensioni ridotte, visitare Filacciano è
“semplice e veloce”, ma ne vale senz’altro
la pena, non solo per la singolarità del
borgo medievale, ma anche per la bellezza delle vedute e la tranquillità. Due sono
gli edifici monumentali di maggior rilievo,
sui quali soffermarsi mentre si ammira la
particolare struttura urbana e la solennità
medievale e rinascimentale dei palazzi tutt’ora abitati. L’attuale Palazzo Del Drago
Santa Maria Assunta
Campo de’ fiori
Campo de ’ fiori
fu eretto nella seconda metà dell’Ottocento dall’omonima famiglia, sulle fondamenta del più antico castello feudale.
La chiesa di Sant’Egidio Abate, patrono
di Filacciano, risale probabilmente alla fine
del X secolo, mentre il suo campanile
venne innalzato nel secolo successivo. In
stile romanico, fu costruita dai monaci
Benedettini di Farfa.
Pregevoli sono i suoi affreschi risalenti al
XIII secolo, ma danneggiati dall’incuria.
TRADIZIONI E FESTE Carnevale a
Filacciano Sfilata di carri allegorici per le
vie del centro.
Corpus Domini Infiorata in occasione
della solennità del Corpo di Cristo.
Festa
di
Sant’Egidio
Abate
Festeggiamenti in onore del Santo patrono
del paese, il Primo di Settembre.
CURIOSITA’: Ma lo sapevate che…
Filacciano è ed è stato il set cinematografico di moltissimi film. Tra gli ultimi
Grande, grosso e Verdone, del noto
attore e regista italiano Carlo Verdone,
che uscirà nelle sale cinematografiche il
7 marzo 2008, e Orgoglio, la fortunata
fiction di Raiuno, nella quale la Banca di
proprietà della famiglia Obrofari era il
Palazzo Del Drago di Filacciano.
Carlo Verdone sul set del suo film
“Grande, gorsso e Verdone”
I protagonisti di Orgoglio
Daniele Pecci, Elena Sofia Ricci e
con Paolo Ferroni
Palazzo del Drago
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Campo de’ fiori
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Una “Fabrica” di ricordi
Personaggi, storie e immagini di Fabrica di Roma
Cinema Smeraldo
Il cinema portava un
netto cambiamento in
un paese agricolo,
chiuso nelle sue vecchie abitudini che, fino
a
quel
momento,
aveva assistito soltanto
a qualche proiezione
all’aperto, durante le
di Sandro Anselmi
feste patronali, o nella
piccola sala di Romoletto, che era nel locale sottostante l’attuale Carivit. Arrivavano,
con esso, nuovi modi di esprimersi, di
comportarsi e tutto un mondo nuovo veniva catapultato su una comunità fino allora
assonnata, ferma. L’assimilazione di tutto
ciò avveniva gradualmente ed allora le
acconciature dei capelli, il modo di vestirsi, perfino di parlare, di atteggiarsi e di
camminare, ricalcavano fedelmente questo o quel protagonista del film del
momento.
Prima della proiezione del film venivano
trasmessi i successi discografici più in
voga. Poi le luci, già fioche, si spegnevano
e sullo schermo apparivano le immagini
delle notizie della settimana Incom, che
raccontavano gli avvenimenti nazionali.
Quella era l’unica fonte di informazione,
poiché nessuno, o quasi, leggeva i giornali, pochi avevano la radio, e la tv, tra l’altro
appena nata, si trovava, a malapena, in
due o tre case del paese. Si arrivava finalmente alla tanto attesa proiezione del film
e ci si predisponeva a goderselo tutto.
Ricordo ancora le immagini forti e tenebrose del più classico dei film dell’horror:
Dracula il vampiro. L’insuperabile interpretazione di Cristopher Lee, nei panni del
protagonista, traumatizzò letteralmente il
pubblico di ogni età che, ancor oggi, resta
scosso al ricordo della sua faccia pallida,
emaciata, mentre succhia il sangue delle
vittime. Fu l’epoca poi del western all’italiana del maestro Sergio Leone, come Per
un pugno di dollari, con le musiche indimenticabili di Ennio Morricone. La fortunata serie dei film di Angelica, come Angelica
alla corte del re o Angelica alla corte dei
miracoli, con Michele Mercier, Robert
Houssein e Giuliano Gemma, fece sognare
l’amore romantico a tutti gli adolescenti,
che avrebbero desiderato una ragazza
come la protagonista. Le azioni incredibili,
quasi paradossali, della infinita serie di
007, con il superbo Sean Connery in
Licenza di uccidere, Dalla Russia con
amore, Goldfinger… rappresentavano quel
modello più evoluto, americano, che i
ragazzi del momento avrebbero voluto imitare. Spesso si restava al cinema anche
per il secondo spettacolo per arrivare a
rivedere la scena che ci aveva più colpito
e, poi, a malincuore, si lasciava la sala per
tornare a casa. All’uscita, quand’era ormai
notte, visto che al cinema ci si andava prevalentemente le domeniche d’inverno, mi
voltavo a guardare un’ultima volta il manifesto del film, che era stato affisso fuori
per tutta la settimana, per imprimere nella
mia mente l’immagine più rappresentativa.
Alla fine degli anni ’60, vennero organizzati dei grandi veglioni nei locali del cinema,
ed allora tutte le poltrone venivano rimosse e, mentre in platea si ballava, nella galleria veniva allestito un buffet e ci si poteva sedere attorno a dei tavoli. Io partecipai col mio gruppo Max e i Grandi
Naufraghi alla prima stagione carnevalesca, e vivo ancora l’emozione di essere
salito sul palco, a ridosso del grande
Cristopher Lee
in Dracula il Vampiro
Michele Mercier in Angelic
schermo. Ci avvicendavamo all’Orchestra
Brazil e ricordo che Romolo Malatesta, che
amava collaborare con la tipografia di
Memmo Ceccarelli, aveva scritto di noi, sui
manifesti, Grandi serate con gli astri
nascenti Max e i Grandi Naufraghi.
Quando, successivamente, tornai a vedere
i film, era come se avessi scoperto il mistero di quello schermo per averlo visto così
da vicino, la sua magia era stata svelata,
violata, ed aveva perduto, oramai, irreparabilmente, quel suo fascino irraggiungibile.
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Campo de’ fiori
Come eravamo
Quando il bullo si chiamava “Giggi”
Prendo spunto dagli
avvenimenti che hanno riempito recentemente le prime pagine dei giornali, e hanno messo la nostra
società di fronte ad
un fenomeno ormai
dilagante, per parlare
del cosiddetto “bullismo”.
di
Può sembrare una
Alessandro Soli
parola nuova, in effetti
lo è, ma se ci pensiamo bene, è l’erede
diretta o indiretta, di “bullo”, termine che
ha ben altro significato.
Ogni generazione ha avuto i suoi bulli.
Basta ricordare quelle figure così caratteristiche, descritte dai poeti romaneschi di
fine ottocento, e magistralmente dipinte
dal Pinelli, per convincersi che tutto ruotava intorno a una singola persona: allo
spaccone arrogante del quartiere (allora
borgo), prepotente e vendicativo, che se
ne infischiava della legge, insomma era “er
più”, era “Giggi”, (con due G) era “Giggi er
Bullo”. Vestiva elegantemente, si credeva
un Adone, ma era sempre lui, e solo lui, il
“re” incontrastato della zona; e come per
gli antichi cavalieri, la sua successione era
decisa dal classico duello.
Se penso alla mia generazione, quella post
bellica: anche noi avevamo il “bullo”, così
etichettato per le sue piccole spacconate.
Quando si vantava di amori impossibili,
quando vestiva alla moda con gli stivaletti
e i capelli alla “Beatles” e i pantaloni a
“zampa d’elefante”.
Il tutto condito da una sana voglia di vivere, lontana dalla noia, respirando l’aria dell’imminente rivoluzione dei costumi, figlia
degli anni ’60. Provo perciò un senso di
nausea e di rabbia nello stesso tempo,
quando vedo scene registrate (a bella
posta per emergere sul gruppo di amici e
coetanei) dal bullo di turno, che sale sulla
cattedra col professore presente in classe,
o quando si permette di palpeggiare la
giovane insegnante. Cosa vuol dimostrare
il bullo di oggi?
Che è forte?
Che è libero di fare ciò che vuole?
Che è lui il prototipo dell’uomo tutto
sesso?
Penso che se interpellati, questi fautori del
“bullismo a tutti i costi”, che si fanno scudo
del cosiddetto “branco”, spalleggiati a volte
anche dalle istituzioni, non saprebbero
darmi una risposta valida o convincente.
A loro voglio solo ricordare una cosa:
“Giggi er bullo”, quello di cui sopra, era
figlio di una società povera, che lo costringeva ad emergere, mettendo a frutto la
sua inventiva e il suo carattere forte, mentre purtroppo il bullo di oggi, è figlio di una
società minata dal consumismo, che gli ha
tolto il gusto di una vita fatta di conquiste
di valori e di speranze.
Non è certo chiudendo in bagno un compagno di classe (semplice ragazzata) e poi
immettere le immagini su internet (grande
cavolata), che si creano i presupposti per
avere una valida classe dirigente per il
nostro domani.
Campo de’ fiori
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Di dislessia non se ne parla mai abbastanza
E’ sicuramente aumentata la sensibilità sul tema della
dislessia e degli
altri disturbi specifici di apprendimento (disgrafia, discalculia e disortoDott.ssa
grafia) tuttavia anFalzone Sandra
cora troppo spesso
arrivano presso di
noi bambini e ragazzi non diagnosticati le
cui difficoltà sono state ignorate da insegnanti, genitori, pediatri.
Il comportamento del bambino con dislessia assomiglia infatti a quello del bambino
svogliato, pigro, capriccioso, riluttante
all’impegno e questa sua somiglianza fa sì
che per il suo problema si scelgano le spiegazioni più semplici e banali.
Il fatto che sia intelligente e che al di fuori
della scuola sia un bambino allegro, vivace, “senza problemi”, sembra costituire per
il bambino dislessico uno svantaggio anziché un vantaggio perché al contrario di
altre disabilità il suo problema si evidenzia
solo a scuola o al momento del compito a
casa.
Di fronte al compito scritto, il bambino
dimostra tutte le sue difficoltà che invece
di essere considerate un campanello d’allarme, un indicatore che accende un’ipotesi, vengono valutate come una conferma
del suo disimpegno e rinfacciate ripetutamente al bambino.
E’ cosi che da una difficoltà ne nasceranno
altre che andranno ad influire sullo stato
emotivo del bambino.
PROBLEMI SOCIALI ED EMOTIVI
COLLEGATI AD ALUNNI CON
DISTURBO SPECIFICO DI APPRENDIMENTO (Vademecum Dislessia)
Frustrazione: è determinata dall’incapacità di tali alunni (che sottolineiamo hanno
un’intelligenza nella norma) a soddisfare le
aspettative. I loro genitori e gli insegnanti
vedono un bambino intelligente ed entusiasta che non riesce ad imparare a leggere e a scrivere. Sempre più spesso i dislessici e i loro genitori si sentono ripetere:
“eppure è così intelligente, se solo si impegnasse di più”. Ironicamente nessuno sa
quanto duramente i bambini dislessici ci
provino.
Ansia: spesso la costante frustrazione e
confusione a scuola rende questi bambini
ansiosi. L’ansia è esacerbata dalla disomogeneità che caratterizza il quadro della dislessia. L’ansia fa sì che i bambini evitano
tutto ciò che li spaventa e spesso insegnanti e genitori interpretano questo comportamento come pigrizia.
Rabbia: la frustrazione può provocare
rabbia. Il bersaglio della rabbia può essere
costituito dalla scuola, dagli insegnanti,
ma anche dai genitori e dalla madre in
particolare.
Mentre per un genitore può essere difficile gestire queste situazioni, spesso, il tutoraggio da parte di coetanei o di ragazzi
poco più grandi può rivelarsi uno strumento efficace di intervento e di aiuto.
Immagine di sé: durante i primi anni di
scuola ogni bambino deve risolvere i conflitti tra un’immagine di sé positiva e i sentimenti di inferiorità, provocati dalle diffi-
coltà nell’apprendimento. I bambini dislessici, infatti, andando incontro ad insuccessi e frustrazioni, si fanno l’idea di essere
inferiori agli altri bambini e che i loro sforzi facciano poca differenza; spesso si sentono inadeguati ed incompetenti.
Depressione: i bambini dislessici sono ad
alto rischio di provare intensi sentimenti di
dolore e sofferenza. Forse a causa della
loro bassa autostima, i dislessici temono di
sfogare la loro rabbia verso l’esterno e
quindi la rivolgono verso se stessi. Il bambino depresso può diventare più attivo e
comportarsi male per mascherare i sentimenti di dolore.
L angolo Misterioso
Nella foto a fianco è riportata una Via di Civita Castellana. Sapreste dirci di quale
via si tratta? I primi tre che, telefonando in redazione, daranno la risposta esatta,
riceveranno un simpatico omaggio offerto da: Civita Bevande.
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Civitonici Illustri
Il preside Alfredo Crestoni
di Enea Cisbanii
Civita Castellana 1947 - I° Biaennale Arte Ceramica - da sinistra: Il Preside Alfredo Crestoni, il Ministro Alberto Folchi, il sig. Ottorino Zenoni e
ultimo a destra il Prof. Nello Nelli
Roma. 3 Ottobre 1947. Il Ministro della
Pubblica Istruzione Gonella, così scrive al
Preside Crestoni: “in occasione dell’avvenuta inaugurazione della Mostra Annuale
dell’Arte della Ceramica, questo Ministero
tiene ad esprimere il più vivo compiacimento alla S.V. per aver assicurato, dopo
gli ultimi eventi bellici, una pronta ripresa
di codesta scuola nei rinnovati locali, e per
aver saputo riportare la produzione della
Scuola stessa alle sue migliori tradizioni. Il
plauso di questo ministero si rivolge anche
a quanti insegnanti ed allievi hanno contribuito alla riuscita della mostra. Il Ministro
Gonella.”.
Città del Vaticano. 12 Giugno 1959. “Al
Preside Crestoni. Ho il piacere di riferirmi
alla sua pregiata lettera dell’8 corrente
mese circa l’omaggio presentato al Santo
Padre dagli allievi ed insegnanti della
Scuola d’Arte Ceramica di Civita
Castellana. Al riguardo posso assicurare
che l’artistica ceramica è già stata collocata in una sala dello stesso appartamento
privato del Santo Padre. Mons. Angelo
Dell’Acqua Segretario di Stato”.
Civita Castellana. 18 Luglio 1960. Il
Preside Crestoni così scrive al Ministro
della Pubblica Istruzione: “Gentile
Eccellenza, ho appreso con piacere della
sua cortese comunicazione che è stato
assegnato alla nostra scuola il piatto d’argento messo in palio dal C.O.N.I. quale
riconoscimento alle opere in ceramica presentate dai nostri alunni al concorso dell’
E.n.a.l.. Con altrettanto piacere la informo
che il C.O.N.I. ha assegnato alla scuola un
contributo di £.150.000 per i due esemplari della Targa Olimpica eseguita dalla
scuola. Con l’occasione mi pregio di farle
presente che ho fatto eseguire n.40 esemplari di dette targhe olimpiche che la scuola mette a sua disposizione per disporne
come meglio V.E. crederà.
Le targhe sono già pronte e non resta che
mandarle a ritirare. La prego gradire i
migliori saluti da parte di tutto il personale. Mi creda suo devotissimo Alfredo
Crestoni Direttore.”.
Il nome e la figura di Alfredo CRESTONI,
sono indissolubilmente legati all’Istituto
Statale d’Arte per la Ceramica di Civita
Castellana, quale artefice unico ed instancabile della rinascita fisica e morale dell’istituto dopo i disastri della Seconda
Guerra Mondiale.
Alfredo Crestoni, pittore e ceramista di
rara abilità, appartiene ad una delle fami-
glie più importanti del nostro centro: il
Padre Girolamo, agli inizi del ‘900, è sindaco di Civita Castellana e il fratello
Leonida un valente pittore, di cui troviamo alcuni riferimenti critici nelle riviste
d’arte del tempo.
Il Preside Crestoni è dapprima allievo della
scuola; tra il 1930 e ’40 decoratore presso
alcune manifatture locali e successivamente, nel 1940, nominato dal Preside Renzo
Dazzi docente di decorazione ceramica
nel Regio Istituto d’Arte per la Ceramica.
Alfredo Crestoni non fu soltanto un celebrato docente, ma anche un pregevole pittore nonché un ceramista di rara abilità: la
sua opera più conosciuta le Tre Grazie
del 1946, fonde la materia ceramica dorata con il vetro lavorato e cesellato secondo
antiche tecniche vetraie.
Alfredo Crestoni diventa Direttore
dell’Istituto nel 1945 e resterà in carica per
diciotto anni.
La guerra aveva profondamente devastato
la scuola, provocando la distruzione di
macchinari, mura, oggetti e documenti.
Le vecchie immagini del tempo mostrano i
locali distrutti dai bombardamenti e i
momenti, laboriosi e pazienti, della ricostruzione e creazione delle nuove aule per
Campo de’ fiori
33
la didattica e di più moderni laboratori per la ceramica.
Nei diciotto anni della gestione
Crestoni, la scuola modifica profondamente il proprio aspetto
esterno e organizzativo: il giardino esterno viene restaurato, realizzato il blocco a due piani con
nuove aule per la didattica, gli
uffici di direzione e segreteria e il
laboratorio ceramico dotato di
nuove strumentazioni.
Nella scuola chiama ad operare
tre valenti Ceramisti locali: Alfio
De Angelis, Fernando Piergentili e Olindo Percossi.
I forni per la cottura dei pezzi
ceramici prodotti dagli studenti
furono rinnovati e il vecchio forno
a muffola funzionante con la
legna sostituito da quello elettrico, meno affascinante, ma certamente più preciso e all’avanguardia.
Il paziente lavoro di ricostruzione
del Preside Crestoni è supportato
da quello non meno instancabile
dei diretti collaboratori: i professori Civita Castellana 1955 - III°Biennale Arte Ceramica - da sinistra Avvocato Scola, il Conte Carosi,il Preside Alfredo
Plinio Zenoni, Nello Nelli e
Crestoni, la Contessa Carosi e il Prof. Antonio Dottorini Provveditore agli studi della Provincia di Viterbo
Remo Crestoni.
meglio, sotto ogni aspetto, questa iniziativita civitonica, la storia della laborioIl Preside Crestoni inaugura nel 1947 la
va, sintesi dello spirito, delle idee, dei carsa, millenaria gente Falisca, il lavoro
“Biennale d’Arte Ceramica”, che con
dini programmatici dell’insegnamento.
che ha determinato l’appellativo di
cadenza biennale espone le migliori opere
Nelle varia aule ove brillano gli
città delle ceramiche; ove in essa si
in ceramica prodotte dagli studenti: un
oggetti….s’innalza il mito falisco del “gran
aggrovigliano le fitte complessità dei
successo formativo e didattico senza prefuoco” che accende il rogo del genio e pervalori artistici e culturali dei suoi figli
cedenti che fino al 1963 segnerà la vita
petua l’orgoglio di Civita Castellana induche attraverso i banchi della valorosa
della scuola attraverso delle esposizioni
striale, artistica e dinamica”.
Scuola Statale d’Arte Ceramica illuche saranno recensite anche a livello
Nel 1956 è l’artefice di una profonda traminano il faro che addice la specifica
nazionale.
sformazione didattica: viene incorporata
tendenza dell’attività locale”.
Un noto giornale del tempo così descrive
nell’Istituto la scuola media, tuttora esila biennale del 1947: “nell’assillo che alegstente, attivando un iter didattico comgia intorno al Direttore, il mago della cenplessivo di cinque anni con il rilascio del
tenaria scuola, vi è quella tormentosa
diploma di licenza media inferiore e nei
amorevole aspirazione di vedere sempre in
due anni successivi del diploma di
media superiore.
Nel 1962, grazie al
suo intuito didattico e formativo, la
scuola viene definitivamente trasformata in Istituto Statale d’Arte
per la Ceramica e
istituito il corso di
tre anni di specializzazione al termine del quale viene
rilasciato il diploma di maestro
d’arte della ceramica.
Nel 1963, il Preside Crestoni lascia l’insegnamento. Un giornale del
tempo così descrive l’Istituto d’Arte:
“nella scuola vi Civita Castellana 1955 - III° Biennale Arte Ceramica - il Conte Carosi a colloquio
Civita Castellana 1947 - I° Biennale Arte Ceramica
il Ministro Alberto Folchi visita la mostra con il
è il cortomecon il Prof. Remo Crestoni
Preside Alfredo Crestoni
traggio
della
34
Campo de’ fiori
Tanti auguri a
Simona che il
23 Ottobre
ha compiuto 18
anni, auguri da
mamma e papà.
Tantissimi auguri alla piccola
Valentina Paggi che il 28
Novembre compirà 1 anno.
Auguri da mamma Natascia,
papà Andrea, dai bisnonni,
dai nonni e dagli zii.
Ti vogliamo tanto bene!!!
Tanti auguri a Marco e
Daniela che compiono
29 anni rispettivamente il 1° e il 3 Dicembre,
da mamma Anna Maria,
papà Sandro, Laura,
Massimo e il nipotino
Riccardo.
Abbracci e
baci da zia
Marilena e zio
Bruno, a
Manuel di
Menfi.
Tanti auguri a
Mezzanotte
Roberta che il
18 Ottobre ha
compiuto 42
anni.
Auguri da papà,
Mariella,
Marina e da
tutto lo staff
del “Gusto”.
…Che quel giorno per te sia …
IL MASSIMO!!!
Tua sorella Ale!
3.12.2007. A Nicole e Massimo, per il
vostro anniversario vi auguriamo un lungo
cammino insieme. Gli amici.
Tanti auguri a Mario
Sardi che ha compiuto 70
anni il 3 Novembre, dalla
moglie, le figlie Caterina e
Monica, i nipotini Edoardo
e Elettra e da tutta la
redazione di Campo de’
fiori.
Daniele Migliorati, ti facciamo le nostre congratulazioni
per la tua laurea in economia
aziendale… è solo il primo
dei traguardi che ti porteranno alla tua realizzazione
professionale.
Gli amici dell’università.
La redazione di Campo de’
Campo de’ fiori
35
A Giulia, il
nostro tesoro,
che il 30
Novembre
compie 2 anni.
Gli auguri
più cari da
nonna ‘Etta,
zio Andrea, zia Stefania
e Luca.
Tanti Auguri a Giulia Di
Niccola per la sua nascita,
da mamma, papà e la sorellina
Aurora.
Buon compleanno a
Chiara Dell’Isola di
Roma che il
Tanti auguri
27
novembre
compie
a
Biancamaria 23 anni. Tanti auguri
da parte di Maria
Vaselli
Cristina e
che compie il
Massimiliano
suo primo
anno di vita
il 20
Tanti auguri a Luca Fallini
Novembre,
che il 2 Novembre ha
dai nonni,
compiuto 2 anni. Auguri da
gli zii e i
mamma e papà.
cuginetti.
Tanti Auguri a Cristian
Mechelli che il 10
Novembre ha compiuto
1 anno. Buon Compleanno
da mamma Giusy, papà
Diego e i tuoi nonni.
Tanti auguri a Beatrice per il suo
decimo compleanno. I più sinceri auguri
da mamma, papà, Luigi e tutti i tuoi
parenti.
fiori si associa agli auguri
Tanti auguri a
Alessandro Pulcinelli
che il 4 Novembre ha
compiuto tre anni.
Auguri da mamma
Manuela, papà Angelo e
dai nonni.
36
Campo de’ fiori
Tanti auguri ai “ragazzi” della classe del 1937 di Corchiano.
Tanti auguri a
Loredana di
Corchiano che
il 13
Novembre
compie gli
anni, dalla
mamma, il
papà e il
fidanzato
Moreno.
Congratulazioni
alla dottoressa Silvia
Roscioli che si è laureata in giurisprudenza con
110 e lode!
Auguri da papà, mamma,
sorella e cognato.
Tantissimi auguri
a Irene Roschini
per i suoi splendidi 18 anni
festeggiati
il 4 Novembre
da tutti noi:
mamma, Lella,
Francesca, i
Buon Compleanno a Gaia
nonni, gli zii e
Biancini che il 16
la piccola
Ottobre ha compiuto
Beatrice.
gli anni. Tanti auguri da
Martina
Tantissimi auguri a Matteo
Paduano che il 30 Novembre
compie 1 anno, da zia Patrizia,
zio Mauro, Serena e Riccardo
Tanti auguri a Simone
Caporossi che compie 2
anni il 24 Novembre, dalla
mamma Faustina, il papà
Giorgio, i nonni Carlo e
Ivana, Pia e Umberto, i
bisnonni Ettora e Giustino,
Fiora e Aldo
e da tutti gli zii.
La redazione di Campo de’ fiori si associa agli auguri
Campo de’ fiori
Tanti auguri a
Beatrice Spitoni
che compie 3 anni
il 15 Novembre, dalla
mamma Vanessa
e il papà Nico.
Ti vogliamo tanto
bene.
Tanti auguri a
Daniele Francola
di Fabrica di Roma
che il 23 Novembre
compie 13 anni.
Auguri da mamma
Giorgia,
papà Alessandro,
il fratellino Alessio,
i nonni e la zia Lele.
Tanti auguri a
Jessica
Baldassarre che
il 4 Novembre
ha compiuto
11 anni.
Auguri da
papà Alessandro
e mamma Lucy.
Congratulazioni fatte in rima alla neo
laureata in medicina da parte di mamma
e papà, zio Amedeo, zia Lucia, Irene,
Pierpaolo.
Congratulazioni con orgoglio fatti valere
Dottoressa e riempi il portafoglio.
Tuo fratello Giorgio
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Tanti auguri
a Sara Filippi
che il
23 Novembre
compie
7 anni.
Auguri
piccolina
da mamma
e papà.
Tanti Auguri a
Andrea e Luna
che hanno compiuto
gli anni.
Auguri da tutti i
famigliari e i nipotini
Alessio e Nicole.
Tantissimi auguri
a Simone Papini che il
30 Novembre compie
2 anni, dalla mamma, il
papà, i nonni, gli zii
e la cuginetta Asia.
Tanti auguri a Alessia
Russo che l’ 11 Dicembre
compie 6 anni.
Auguri da mamma, papà,
il fratellino Federico,
i nonni e gli zii.
38
Campo de’ fiori
.
Associazione Artistica Ivna
IL PETROLIO, QUALE FUTURO?
L'Associazione Artistica IVNA di Vignanello ha
il piacere di annunciare che il giorno 24
novembre 2007 alle ore 09.30 si terrà, presso l'ex-cinema comunale di Vignanello (Vt), la
Conferenza dal titolo "IL PETROLIO,QUALE
FUTURO ?" nella quale interverranno il dott.
Mattia SELLA, il dott. Bruno VELANI e il dott.
Rosario D'AGATA.
Cocktail-party di chiusura.
Verranno esposte foto storiche e proiettati filmati forniti dall'Archivio Storico ENI. La
Mostra potrà essere visitata anche nei giorni
25 - 26 - 27 - 28 novembre dalle ore 10.00
alle ore 12.30.
Campo de’ fiori
39
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R
Domenica 28 ottobre, presso il Teatro Comunale “Ettore Petrolini” di
Ronciglione, si è tenuta la presentazione del libro di Bruno Fiato, una raccolta di 45 poesie, con la prefazione del Prof. Francesco Pelegi, intitolato Lo
Sguardo dell’Animo. Durante la cerimonia, patrocinata dalla Regione Lazio,
dalla Provincia di Viterbo, dal Centro Ricerche e Studi-Ronciò d’oro Città di
Ronciglione e dal Comune di Ronciglione, sono intervenuti il Prof. Quirino
Galli, l’Assessore provinciale alla Cultura Dott. Renzo Trappolini, Silvano
Boldrini e Maria Cangani. Alcune delle poesie, accompagnate da inframezzi
musicali dei Professori Fernando De Santis, Cristina Maci e Luca Billoni, sono
state lette dai ragazzi del Collegio e da Mario Palazzi. Ha presentato Francesco
Laurenti. La manifestazione inserita all’interno di “Ottobre piovono libri”, evento culturale organizzato dalla Provincia di Viterbo, ha riscosso grande successo e grande è stata la commozione dell’autore del libro. Sempre al Teatro
Petrolini di Ronciglione l’11 novembre, in occasione dell’inaugurazione della
Cineteca Comunale “Gillo Pontecorvo”, è stato proiettato il film L’armata
Brancaleone, di Monicelli.
Orari treni CO.TRA.L.
Orari autobus CO.TRA.L.
Civita Castellana - Viterbo
6:33 - 7:00 - 8:30 - 14:53 - 15:50 - 17:40 - 18:58 - 20:28
Civita Castellana - Viterbo
6:35 - 7:10 - 10:45 - 12:20 - 14:05
Viterbo - Civita Castellana
6:40 - 8:50 - 13:45 - 18:00
Civita Castellana - Roma Lepanto
4:10 - 4:40 - 4:55* - 5:20 - 5:35* - 5:50 - 6:00 - 6:05* - 6:25 - 7:40 9:05 - 10:30 - 14:45 - 16:10 - 17:40 - 18:45
Civita Castellana - Roma Saxa Rubra
4:55 - 5:10* - 5:45 - 6:20 - 6:30 - 8:00 - 9:25 - 10:35 - 13:30 - 13:45 14:20 - 14:25 - 16:35
Roma Lepanto - Civita Castellana
6:00 - 6:45* - 7:05 - 7:25 - 8:10 - 9:00 - 9:15* - 9:45 - 11:00 - 13:00 13:15 - 13:50 - 14:10* - 14:30* - 14:45 - 17:05* - 17:35 - 17:50* 18:55 - 20:30 - 21:45
Roma Saxa Rubra - Civita Castellana
6:45 - 7:50 - 9:35 - 10:40 - 11:25 - 12:15 - 14:25 - 15:20 - 20:30 - 21:35
Viterbo - Civita Castellana
5:00 - 6:00 - 11:20 - 13:45 - 14:20 - 16:30 - 19:20 - 20:25
Civita Castellana - Roma
4:50 - 5:15 - 5:40 - 6:07 - 6:40 - 7:07 - 7:35 - 12:28 - 14:53
- 16:20 - 17:40 - 20:28
Roma - Civita Castellana
12:25 - 12:55 - 13:25 - 13:50 - 14:18 - 16:10 - 17:30 - 18:12
- 19:00 - 19:55 - 20:30
Orari autobus VITERTUR
Linea 1 Borghetto - P.za Liberazione - P.za
Matteotti - Fabbrece - Via Masci - P.za
Liberazione - Borghetto
Borghetto 6:00 - 6:15 - 7:05 - 7:50 - 9:15 10:05 - 11:10 - 11:55 - 12:55 - 13:50 - 14:10 15:00 - 16:10 - 17:00 - 17:55 - 19:10 - 20:00
P.za Liberazione 6:05 - 6:25 - 7:15 - 8:00 - 9:25
- 10:15 . 11:20 - 12:05 - 13:05 - 14:00 - 14:20
- 15:10 - 16:20 - 17:10 - 18:05 - 19:20 - 20:05
P.za Matteotti 6:30 - 7:20 . 8:05 - 9:30 - 10:20
- 11:25 - 12:10 - 13:10 - 14:25 - 15:15 - 16:25
- 17:15 - 18:10 - 19:25
Fabbrece 6:35 - 7:25 - 8:20 - 9:40 - 10:30 11:30 - 12:25 - 13:25 - 14:35 - 15:25 - 16:35 17:30 - 18:20 - 19:35
Via Masci 6:40 - 7:30 - 8:25 - 9:45 - 10:35 11:35 - 12:30 - 13:30 - 14:40 - 15:30 - 16:45 17:35 - 18:45 - 19:40
P.za Liberazione 6:05 - 6:45 - 7:35 - 8:30 - 9:50
- 10:40 - 11:40 - 12:35 - 13:35 - 14:45 - 15:35
- 16:50 - 17:40 - 18:50 - 19:45
Borghetto 6:15 - 7:05 - 7:45 - 8:45 - 10:05 10:55 - 11:55 - 12:55 - 13:50 - 15:00 - 15:45 17:00 - 17:55 - 19:10 - 20:00
Linea 2 Capati - P.za Liberazione - P.za
Matteotti - Fontana Quaiola - Via Masci P.za Liberazione - Capati
Capati 7:25 - 8:15 - 9:05 - 9:50 - 10:20 - 11:10
- 12:10 - 13:05 - 13:50 - 14:40 - 15:20 - 16:00
- 17:00 - 17:50 - 18:55 - 19:45
P.za Liberazione 7:30 - 8:20 - 9:10 - 9:55 10:25 - 11:15 - 12:15 - 13:10 - 14:10 - 14:45
- 15:25 - 16:10 - 17:05 - 17:55 - 19:00 - 19:50
P.za Matteotti 7:35 - 8:25 - 9:15 - 10:30 - 11:20
- 12:25 - 13:15 - 14:05 - 14:50 - 15:30 - 16:15
- 17:10 - 18:00 - 19:05 - 19:55
Fontana Quaiola 7:55 - 8:40 - 9:30 - 10:45 11:30 - 12:40 - 13:30 - 14:10 - 15:00 - 15:40 16:25 - 17:25 - 18:15 - 19:20 - 20:05
Via Masci 7:55 - 8:45 - 9:35 - 10:50 - 11:40 12:45 - 13:35 - 14:15 - 15:05 - 15:45 - 16:30 17:30 - 18:35 - 19:25 - 20:10
P.za Liberazione 8:00 - 8:50 - 9:40 - 10:15 10:55 - 11:45 - 12:50 - 13:45 - 14:20 - 15:10 10:50 - 16:35 - 17:35 - 18:40 - 19:30 - 20:15
Capati 8:15 - 9:05 - 9:50 - 10:20 - 11:10 12:00 - 13:05 - 13:50 - 14:40 - 15:20 - 16:00 16:50 - 17:50 - 18:55 - 19:45 - 20:30
Linea 3 Quartaccio - Via Mazzini Ospedale - Via Mazzini - Quartaccio
Quartaccio 8:05 - 8:55 - 9:40 - 12:25 -13:05 13:50 - 16:00 - 18:10 - 18:50
Via Mazzini 8:15 - 9:05 - 9:50 - 12:35 - 13.15 14:00 - 16:10 - 18:20 - 19:00
Ospedale 8:25 - 9:20 - 10:00 - 12:40 - 13:30 14:10 - 16:20 -18:30 -19:10
Via Mazzini 8:40 - 9:30 - 10:10 - 12:50 - 13:40
- 14:20 -16:30 - 18:40 - 19:20
Quartaccio 8:55 - 9:40 - 10:20 - 13:05 -13:50 14:30 - 16:45 - 18:50 - 19:30
40
Mina
Campo de’ fiori
di
e
i
stor
e
x
L
Ma
Origini artistiche dei nostri cantautori e cantanti più famosi
(terza parte)
Molti dubitano che
Mina possa continuare sulla scia di
questo successo,
perché, oltre all’abbandono della Italdisc, un altro fatto
sconvolge la sua
immagine: aspetta
un figlio dal compadi
gno, l’attore CorSandro Anselmi
rado Pani, sposato
e separato. Questo le costa l’allontanamento dagli schermi da parte della Rai e le
prime pagine delle riviste scandalistiche
descrivono dettagliatamente la vicenda,
non risparmiando commenti a volte anche
pesanti. Il pubblico tuttavia non si lascia
condizionare e aspetta impaziente il ritorno dell’artista, che segna anche un grande
passo avanti per l’emancipazione femminile. In questo momento, però, non sono le
grandi case discografiche a volerla, così la
Ri-Fi Record, nata nel 1959 per opera dell’industriale Giovanni Battista Ansoldi, i cui
artisti migliori sono Cocki Mazzetti e Fred
Buongusto, decide di puntare tutto su
Mina. Nel dicembre del ‘63, debutta con la
sua nuova casa discografica, con la quale
rimane fino al ‘67, pubblicando un 45
giri-tris, che comprende la versione italiana di It’s a Lonely Twon di Gene
McDaniel, intitolato Città vuota, un twist
di Ricky Gianco e Gian Pieretti, E’ inutile, e un ironico tango di Vittorio Buffoni
e Vito Pallavicini, Valentino Vale. Il disco
entra subito nella classifica dei più venduti, guadagnandosi un
buon terzo
posto. Neanche i 45 giri del Festival di
Sanremo del ‘64, con brani come Una
lacrima sul viso, di Bobby Solo, Non ho
l’età, di Gigliola Cinquetti, Ogni volta, di
Paul Anka e Quando vedrai la mia ragazza
di Little Tony, che fanno registrare il record
storico di vendite, riescono a smuoverlo.
Solo un nuovo successo della stessa Mina,
E’ l’uomo per me, subito al primo posto
nelle vendite, per ben sei settimane, scalza Città vuota. Il sodalizio con la Ri-Fi
Record è molto fruttuoso e i successi sono
ininterrotti: Un anno d’amore contiene
anche E se domani, ultima classificata nel
Sanremo ‘64, Ora o mai più, sigla della trasmissione di Corrado La prova del nove,
Ta-ra-ta-tà e Se telefonando, lanciate nel
‘64, nello show televisivo Studio Uno e,
quest’ultima,
composta
da
Ennio
Morricone, con il testo di Maurizio
Costanzo e Ghigo De Chiara, Sono come tu
mi vuoi, sigla della trasmissione radiofonica Gran
varietà e la cover di un successo brasiliano, La banda.
Mina torna anche sugli
schermi televisivi, guadagnando altrettanto successo, con una puntata unica
intitolata Alla ribalta 2Speciale per Mina, a cui
seguono poi tanti show televisivi in prima serata, da
Studio Uno nel ‘65 e ‘66, a
Sabato sera nel ‘67, a
Canzonissima nel ‘68, a
Teatro 10 nel ‘72 e Milleluci,
al fianco di Raffaella Carrà,
nel ‘74. Tra tutti i dischi da
lei incisi ce n’è uno del tutto
singolare e introvabile, visto
che la Ri-Fi ne stampò in
una
tiratura
limitatissima,
del 1964, Cappuccetto rosso/ Cenerentola,
dove l’artista, per l’appunto, racconta le
due celebri fiabe, con l’accompagnamento
orchestrale di Bruno Martelli e sulla copertina del quale scrive e firma questa dedica: “Cari bambini, questo disco è solo per
voi. Cappuccetto rosso e Cenerentola sono
le fiabe che più mi piacevano quando ero
piccolina. Eccovele, spero che piacciano
anche a voi”. Mina poi, pian piano, si ritira
dalla scena musicale e televisiva, rimanendo sempre la “la tigre di Cremona”.
42
Campo de’ fiori
Il Fumetto
LETTERATURA PER IMMAGINI CHE EMOZIONA
PINOCCHIO – STORIA DI UN BAMBINO di Ausonia
Questo fumetto non
leggetelo, fa paura,
a partire dalla copertina. Una piccola
perla cattiva, che ti
prende dentro e fa
male, perché ti insegna a crescere in un
modo spietato e crudi
dele. Qui non ci
Daniele Vessella
sono genitori pronti
ad addolcire una scena, né eroi pronti a
salvare il protagonista. Nessun zuccherino,
quindi… e ausonia (non ho dimenticato la
maiuscola, è lui che non la vuole) non fa
sconti per nessuno, rivisitando la favola di
Collodi in maniera cupa e angosciante,
facendola diventare nera come la notte.
Un’opera poetica, disturbante senza voler
essere provocante o spregiudicata ad ogni
costo. Un fumetto capace di farti fermare
e riflettere, in una società frenetica che
non ti concede nemmeno il tempo per
pensare. L’autore si chiede, nel suo sito,
perché Geppetto abbia dato proprio un
nome come Pinocchio al suo figlio/fantoccio, invece di Fabio o Alessio. La risposta,
secondo ausonia, è semplice: i nomi propri sono come degli auspici, dei portafortuna che i genitori regalano ai figli... esiste
il nome Gioia, non tristezza. Speranza,
non vanasperanza. Esiste Vittorio, non
sconfitto… E se Geppetto ha battezzato
Pinocchio suo figlio significa che sa che
niente lo potrà salvare dal suo essere
schiavo, appeso per i fili. Secondo ausonia, non c’è un personaggio positivo.
Neanche i bambini che vanno a scuola e
studiano sodo sono dei bravi ragazzi.
Sono dei disgraziati che in un caso (poco
conosciuto) uccidono un compagno di
classe. E allora perché Geppetto vuole che
il figlio vada a scuola se neanche la cultura ti può salvare dalle bassezze umane? Le
bugie di Pinocchio sono niente rispetto
agli orrori commessi dalle persone che
popolano il suo mondo. E allora perché la
Fata Turchina si accanisce tanto contro di
lui? Perché non usa i suoi poteri per mettere ordine nella sua società di assassini?
Perché sono tutti di carne quando sono
loro i veri burattini di legno incapaci di
essere umani? Pinocchio è una vittima del
mondo in cui vive. Con questi pensieri
(ripresi dal sito dell’autore), il mondo di
Collodi viene completamente ribaltato: in
questo fumetto, Pinocchio è fatto di carne
e tutti gli altri sono dei burattini che non
sopportano le verità dette da Pinocchio e
sono manovrati dall’alto, dai fili invisibili
della corruzione, della menzogna e della
violenza. Ogni aspetto del libro, qui viene
analizzato, inglobato e trasformato in una
chiave rivolta alla nostra quotidianità,
dopo essere passato attraverso il pianto
surreale di urla agghiaccianti. Per questo
fa paura e vi consiglio di non leggerlo,
perché l’attenzione di ausonia verso i personaggi con la sporcizia e il marciume che
li circonda, verso le loro espressioni tese e
nervose, verso un Pinocchio “vivo” ma
decadente, verso la Fata Turchina dominata dalla lussuria in un corpo sciupato dalla
mezza età, verso un Lucignolo che vuole
tagliare i suoi fili per sentirsi libero, rendono i dialoghi che si instaurano tra le parti
davvero tormentati. Non leggetelo.
L’atmosfera fiabesca, ma senza illusioni e
immobile, diventa lo sfondo per un teatro
dove gli attori intrecciano relazioni distaccate e fredde, fatte di sole menzogne. E il
tutto sembra portare a un finale davvero
poco confortante, come la parabola della
vita in cui alla fine della curva tutto si
spezza e si frantuma…
44
Campo de’ fiori
Album dei ricordi
Civita Castellana
anni ‘40
da sx: Vilma Valeriani,
Bruna Rossi,
Elvira Leprini,
Luisa De Angelis
foto di
Luisa De Angelis
Fabrica di Roma 17.08.1952
Carro allegorico in occasione della Sagra delle Pesche
foto della signora Verena Baldassi
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Campo de’ fiori
L’angolo ... cin cin
di Letizia Chilelli
La conservazione
Come abbiamo visto negli scorsi numeri, la
conservazione del vino in bottiglia in
ambiente adatto, non crea problemi.
Spesso mi capita che molti cantinieri per
hobby, mi chiedano il perché è necessario
tener le bottiglie conservate in posizione
orizzontale, e spesso mi dicono, hanno
paura che questa potrebbe essere la causa
del vino che “sa di tappo”.
A questo proposito, senza addentrarmi in
spiegazioni tecniche e troppo noiose,
rispondo che il sughero di prima qualità,
per sua stessa natura è inodore e insapore, quindi non può cedere al vino “sapori”
supplementari.
Solo se il sughero è di bassa o pessima
qualità o ha assunto gusti estranei li cede
a sua volta al vino.
In questo caso avremo il “sapore di tappo”
sia nelle bottiglie coricate, sia in quelle in
piedi!!!
E qui non ci resta purtroppo che gettare
tutto, anche perché questo difetto è irreversibile.
Alcune volte, però, può capitare che questo fastidioso problema, sia solo all’inizio,
e quindi il “sentore di tappo” si
avverta solo al naso e pochissimo o per nulla al gusto, in questo caso, lo si può eliminare
lasciando il vino a contatto con
l’ossigeno per il tempo sufficiente a liberarlo dall’inconveniente.
L’operazione da compiere è
molto semplice, basta travasare il vino in una caraffa.
C’è un’ ultima cosa da dire
riguardo questo argomento.
La posizione orizzontale delle
bottiglie è il sistema più adatto
per limitare il “sentore di
tappo”, poiché l’alcol etilico
contenuto nella bottiglia ha il
potere di “bruciare”, nel vero
senso del termine, le eventuali
muffe che potrebbero trovarsi
all’interno del sughero e che potrebbero
rovinare per sempre la nostra bottiglia.
Occupiamoci ora della conservazione del
vino “sfuso”.
Molto spesso a livello famigliare, il vino si
acquista in damigiane, damigianette o
addirittura nelle ghirbe!
Fate attenzione, in questi recipienti il vino
può resistere per un periodo di tempo che
va da una settimana fino ad un massimo di
un mese.
Le damigiane devono essere chiuse con un
buon turacciolo, ben pressato, per evitare
processi di acetificazione o l’insorgere
della “fioretta”( malattia che si sviluppa al
contatto del vino con l’aria e che forma la
caratteristica membrana bianca che poi si
sbriciola) che si forma molto spesso a
causa della quantità di aria che entra dal
collo della damigiana e che è maggiore
rispetto a quella che entra dal collo di una
normale bottiglia.
Il mio consiglio, è quello di utilizzare tappi
di plastica anche se però la soluzione
migliore è quella di imbottigliare al più presto il vino.
Se, però, per qualsiasi motivo, si decidesse di rimandare questa operazione avanti
nel tempo, è consigliabile versare sulla
superficie del vino un leggero strato di olio
enologico, per poterlo isolare dal contatto
con l’aria, all’occorrenza si può asportare
l’olio usando una cannula o anche un “succhiarolo”, attrezzo che si vende nei negozi
specializzati.
Lo so a cosa state pensando!
Ma come, non si usa l’olio di oliva?
Si, ma fino a qualche anno fa!
A dire il vero, qualcuno lo usa ancora oggi,
ma l’olio di oliva presenta un inconveniente, si irrancidisce facilmente al contatto
con l’aria e la luce e spesso è veicolo di
muffe e batteri; inoltre si asporta in
maniera molto meno agevole dalla superficie del vino.
Quando si decide di effettuare il travaso,
bisogna farlo in maniera completa, evitando di lasciare la damigiana scolma o del
vino all’interno di essa.
È sconsigliato spillare dalla damigiana il
vino all’occorrenza perché come ho già
detto si favorisce la formazione della “fioretta”, di cui ho già parlato.
Il travaso è un’ operazione complessa e
credo sia il caso di suggerirla a coloro che
hanno una certa preparazione e sono
dotati di pazienza e costanza!
I recipienti che dovranno “accogliere” il
vino, siano essi bottiglie, bottiglioni o fiaschi, vanno lavati accuratamente e lasciati ben scolare, fino alla loro completa e
perfetta asciugatura (l’acqua presente
all’interno può favorire la fioretta).
Dopo di ciò vanno “avvinati”, sciacquati
cioè con piccole quantità di vino, infine si
da inizio all’imbottigliamento vero e proprio.
È chiaro, a questo punto, che le bottiglie,
i fiaschi o i bottiglioni appena riempiti,
vanno a loro volta sigillati con tappi di ottima qualità, preferibilmente paraffinati e
sterili.
Protegge i tuoi valori
Silvia Malatesta - Via S. Felicissima, 25
01033 Civita Castellana (VT)
Tel.0761.599444 Fax 0761.599369
[email protected]
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Campo de’ fiori
Albu
Fabrica di Roma 31.5.1955 Processione del Corpus Domini
Anno 1960 - ‘61 Fabrica di Roma
Nascita della scuola media.
Se vi riconoscete in queste foto, venite in redazione e riceverete un simpatico omaggio. Se desiderate vedere
Campo de’ fiori
um dei ricordi
Civita Castellana 5 Maggio 1936
Prima Comunione - foto della Sig.ra Doriana Gai
Civita Castellana anni ‘60
Serata danzante alla Sala Cicuti
e pubblicate le vostre foto, portatele presso la redazione di Campo de’ fiori, esse vi verranno subito restituite.
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Campo de’ fiori
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Campo de’ fiori
Miniature in legno di Quinto Mariangeli
Non potevano essere che di un
esperto falegname
le mani che hanno
realizzato queste
splendide miniature, perfettamente
identiche alla realtà.
Appartengono infatti al signor Quindi Ermelinda Benedetti
to Mariangeli di
Caprarola, falegname da quando aveva sette anni, e che,
nonostante sia oramai in pensione, non ha
completamente abbandonato il legno, suo
grande compagno di tutta una vita.
L’idea di riprodurre importanti opere d’arte
in miniatura nasce in lui circa un
anno fa, in seguito ad una gita a
Greccio, dove, dopo aver visto
dei manufatti simili, decide di
cimentarsi e sperimentare questo tipo di lavori, mettendo a
frutto le sue conoscenze e capacità di forgiare il legno.
Ora è diventata non solo una
passione ma un vero e proprio
passatempo. Tra i suoi lavori
migliori si distinguono il Palazzo
Farnese (foto a dx), simbolo del
suo paese d’origine, e la
Palazzina del Piacere (foto a sx),
che fa parte del complesso fatto
costruire dalla nobile famiglia,
come residenza estiva, utilizzata
anche dall’ex
presidente della Repubblica
Einauidi e che
recentemente
ha ospitato per
ben due volte il Principe
Carlo d’Inghilterra.
Volendo riprodurli fedelissimamente, si è recato
più volte a visitarli, per
coglierne e fotografarne
tutti gli innumerevoli particolari decorativi, che
ammettono di diritto queste opere architettoniche
nel patrimonio artistico e
culturale italiano.
Per la realizzazione del
Palazzo Farnese ha impiegato ben otto mesi, lavorandovi a tempo pieno,
come se fosse veramente
il suo mestiere.
Il signor Quinto non si
limita a tagliare e mettere
insieme i pezzettini di
legno e compensato, ma
si diletta anche a colorarli, tutto con la
massima precisione, tanto che nella
Palazzina del piacere sono stati riprodotti
anche gli affreschi che decorano i porticati dell’edificio originale.
Un vero e proprio artista, che, però, a differenza della maggior parte degli artisti,
non vende le sue meravigliose creazioni,
perché ne è molto geloso, e si limita ad
accettare i complimenti, ininterrotti e meritati, dei visitatori che hanno l’opportunità
di apprezzarli durante le esposizioni, in
occasione di festività locali.
Per chi non avesse la possibilità di ammirare quei monumenti dal vero, questi
modellini rendono assolutamente l’idea,
per il loro realismo.
Sono veramente perfetti in tutto e incredibili da vedere.
Lasciano davvero a bocca aperta.
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Campo de’ fiori
Ecologia e Ambiente
La politica, l’economia e un ambiente dimenticato
di Giovanni Francola
Non c’è dubbio che se in Italia c’è un clima
antipolitica, è altrettanto vero il proverbio:
“quello che si semina si raccoglie”, ma
questo concetto spesso e volentieri sfugge
ai nostri politici. Comprendo che le difficoltà per amministrare un’ intera società sono
enormi, come enormi sono le responsabili-
tà di chi ha il potere di decidere.
Tra il malessere diffuso nel tessuto sociale
e chi fa politica occorre che si ripristini il
dialogo, prendere ogniuno le proprie
responsabilità e affrontare i veri problemi
della gente, per avvicinarsi sempre più al
valore del “bene comune”.
Certamente la politica deve dare un chiaro
messaggio, trasformando il dire nel fare,
ma chi la rappresenta deve avere un’etica
delle cose e della gente al di sopra dei propri interessi, se questo rinnovamento o
cambiamento non accadrà, la politica si
ritroverà ad affrontare un periodo buio e
privo di profitti.
Anche l’economia che si vede non rappresentata da scelte politiche coraggiose e
soprattutto direzionali, ha tutto da perdere.
Il lavoro che è fondamentale per la
Nazione, quando l’economia e i mercati di
altri Stati fanno forza, assieme all’immobilismo politico danno origine a situazioni
precarie e instabili non certo utili e vicini a
valori morali.
Così prevalgono i propri profitti calpestando le più banali leggi naturali che appartengono all’uomo.
In questo caos di cose chi ne fa le spese
è, non solo la povera gente che giorno
dopo giorno si ritrova sempre più immersa
in un consumismo sfrenato, ma anche il
nostro ambiente che non fa altro che subire perdite in termini di risorse, manifestando continui cambiamenti climatici.
Se da una parte c’è l’accordo di rispettare
trattati importanti come quello di Kyoto,
dagli Stati Uniti vengono messaggi assurdi
come quello di pochi giorni fa, dopo una
conferenza sul clima, si apprende che la
chiave migliore è che ogni singola Nazione
attui dei piani senza un impegno unitario.
Se la crescita economica è il solo indice di
ricchezza per una Nazione, sicuramente
occorre immaginare quali scenari futuri
dovrà affrontare l’uomo, in un ambiente
sempre più inquinato e insostituibile.
Siamo lieti di presentare il nuovo libro
scritto dal nostro collaboratore Giovanni
Francola, Sunny un pieno di sole, edito
dalla Ennepilibri, dove, nel suo piccolo,
tenta di gettare le basi per una nuova
coscienza planetaria, che utilizzi la natura
rispettandola, già dalle più piccole azioni
quotidiane, magari anche grazie al Sunny,
un veicolo solare, ideato proprio nel rispetto di quanto ci circonda. “In fondo il libro
più bello sull’ambiente l’ha scritto proprio
Madre Natura, ma l’uomo in tutti questi
anni non ha fatto altro che sfogliarlo”,
afferma Francola …e sfruttarlo, aggiungo
io.
Giovanni, oltre che grande sostenitore dell’ambiente, come del resto dovremmo
essere tutti, è anche dotato di grande fantasia ed inventiva, tanto che nel corso
della sua vita ha sviluppato e depositato
diversi brevetti. Nel 1987, per esempio, ha
realizzato Quo vadis, una piccola guida
turistica con la particolare forma di cappellino. Si è dedicato, inoltre, per qualche
tempo, alla progettazione di giochi, che ha
presentato a varie aziende del settore, fino
a quando non sono stati soppiantati dai
videogiochi.
Nel 2005, poi, dopo tanto impegno, è
riuscito ad organizzare un gruppo di ricerca per la realizzazione del prototipo del
Sunny, che sta riscuotendo successo e che
ci auguriamo di vedere presto in circolazione.
Il libro sarà presente alla manifestazione
nazionale Più libri più liberi, che si terrà al
Palazzo dei Congressi, all’Eur (Roma), dal
6 al 9 dicembre. Intanto è possibile acquistarlo direttamente sul sito www.ennepilibri.it o tramite e-mail all’indirizzo [email protected], al costo di 13,00 Euro.
Ermelinda Benedetti
Campo de’ fiori
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Ugo Levita e Civita Castellana
di Enea Cisbani
L’Istituto d’Arte per la Ceramica in via
Gramsci, dalla sua fondazione nel 1893 ad
oggi è stato la meta indiscussa di importanti artisti italiani: Luigi MONTANARINI,
Giuseppe SBRANA, Renato GUTTUSO e
Luciano VINARDI, in tempi recenti, per
citare i nomi certamente più illustri.
Per tutti questi grandi artisti la scuola civitonica ha rappresentato un importante
tassello nella loro formazione artistica e
culturale, nonché il trampolino di lancio
per la loro affermazione nel mondo dell’arte e della cultura in genere.
Ugo LEVITA, importante pittore italiano
ed esponente celebrato in numerose rassegne della pittura surrealista, dal 2000 al
2002 è, infatti, prestigioso docente di
discipline pittoriche nella scuola d’arte.
Una presenza fondamentale per la stessa
istituzione scolastica e per la vita artistica,
in genere, di Civita Castellana, da sempre
meta prediletta di artisti ingiustamente
dimenticati, ma che invece sono parte
integrante e attiva del suo bagaglio culturale e storico.
Un patrimonio da analizzare e rivalutare.
Ugo Antonio Levita, nasce ad Acerra, in
provincia di Napoli, il 1 Aprile del 1958.
Frequenta gli studi artistici prima a Napoli
e all’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Agli inizi degli anni ’70 resta impressiona-
to da un libro sugli artisti surrealisti in tal
misura che così ci racconta egli stesso:
“avevo quattordici anni e le prime idee elaborate dalle intuizioni che quel libro offriva, suscitarono un forte interessamento
del Professore Carlo Alfano, allora mio
insegnante al Liceo Artistico di Napoli, il
quale intuì che stavo maturando un diverso grado di coscienza”.
I surrealisti lo portano in un mondo pittorico diverso dagli usuali e attraverso il De
Chirico delle piazze italiane approda ad
una visione mitteleuropea, pervasa di continui condizionamenti dell’arte visionaria e
simbolista in genere, ma con un accento
tipicamente partenopeo.
Nel 1980 a Napoli in una situazione artistica dominata dalle tendenze, insieme con
altri pittori dà vita ad un gruppo denominato “Ascendente e Discendente”, un
nuovo e concreto tributo alla pittura dell’immaginario.
Segue un lungo periodo formativo dedicato alla pittura murale, alla grafica, insieme
alla pittura ad olio altro suo campo di ricerca e all’insegnamento.
Realizza numerose opere per enti pubblici
e privati.
Nel 1996 lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi
ha modo di visionare le sue opere per poi
presentarlo al critico d’arte Renzo
Margonari, da sempre figura
eclettica e studioso delle tematiche artistiche legate alla pittura
surrealista.
Così il pittore napoletano, descrive la sua pittura: “ non immagino futuri perché il mio viaggio
fantastico è percorso sopra un
muro di cielo nero illuminato da
una luce al neon.
Percorso chiuso verso il centro di
un presistente mondo bambino,
oltre anche il sogno, dove le
acque si calmano, dove logico e
illogico, ragione e fantasia smettono di contrapporsi, dove smarrita la parola il linguaggio si nutre
degli impulsi che attraverso i corridoi della memoria indagano l’esistenza.
Neanche il mondo di Breton e
neanche il mondo ovattato delle
belle immagini, ma il viaggio
nella sofferenza senza dimenticare che l’artista può creare mondi
inattesi e fantastici”. Numerose le
sue esposizioni: 1977 Napoli,
1990 Milano, 1993 Sorrento, 1998 Carpi e
2000 Padova e Mantova.
Ugo Levita è, dunque, il celebrato artista
che tanto ha dato a Civita Castellana e al
suo cammino artistico e culturale.
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Campo de’ fiori
Il Motoclub Arditi Racingaccendeimotori
di Ermelinda Benedetti
Nato per volontà di alcuni appassionati di
Civita Castellana e Fabrica di Roma, nel
giugno 2007, il Motoclub Arditi Racing
Quality Life è già primatista regionale in
tutte le categorie nel campionato laziale
enduro 2007. L’Associazione, affiliata
all’U.I.S.T. (Unione Italiana Sport per
Tutti), un ente di promozione sportiva riconosciuta dal CONI, si propone di promuovere e sviluppare attività sportive dilettantistiche, gestire impianti sportivi propri o di
terzi, preparare squadre sportive per la
partecipazione a campionati, gare, concorsi, manifestazioni ed iniziative in diverse
discipline sportive e, in particolar modo, di
organizzare gare regionali e/o nazionali
nei settori dell’enduro, del motocross, del
trial e dei quad. Si impegna, inoltre, attraverso attività creative e culturali, a migliorare l’utilizzo del tempo libero dei suoi soci,
il cui numero è illimitato e costituito non
solo da persone fisiche, ma anche da
società e enti che ne vogliano condividere
le finalità e si impegnino a
realizzarle.
Fanno già parte dell’Associazione diversi piloti
attualmente impegnati in
campionati
regionali
e
nazionali di enduro, che già
dopo i primi appuntamenti
stagionali, veleggiano nelle
posizioni di testa, nelle
rispettive
categorie
di
appartenenza e nelle classifiche assolute.
L’Associazione dispone, per di più, di un
proprio percorso di enduro, disegnato da
piloti di levatura europea, per “prova speciale”, con un settore “extreme”, dove si
possono allenare tutti gli iscritti e dove
verranno svolte gare e test preliminari.
Il Motoclub organizza corsi per l’ avviamento alla pratica della specialità di enduro, per i ragazzi al di sopra dei 14 anni,
patrocinati ed autorizzati dalla U.I.S.T. e
dalla
F.I.M.
(Federazione
Italiana
Motociclisti), tenuti da tecnici federali riconosciuti.
Info
pubblicità
0761.513117
Campo de’ fiori
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Il mondo del
Riccardo Consoli, firma storica di Campo de’ fiori, con la rubrica Roma che se n’è
andata, ha in attivo diversi pregevoli lavori, che testimoniano la sua poliedrica cultura.
Ho avuto il privilegio di essere stato fra i primi, insieme forse a qualche familiare,
a “gustare” le sue opere e, così, conoscere meglio la sua innata dote di scrittore.
La dovizia nella ricerca delle notizie storiche per la stesura dei due testi Ricordando
Civita Castellana, l’amore per la sua città di adozione in Roma che se n’è andata,
l’animo infuso nelle descrizioni in Sicilia, la Terra del mito, un Luogo dove è protagonista la Storia, nella quale si identifica, mi hanno fatto trascorrere delle piacevoli serate immerso nella loro lettura.
Da ultimo, la volontà di lasciare una testimonianza della sua passione musicale con
Il mondo del jazz, mi ha convinto ad aprire una rubrica su questo particolare genere, da lui curata, e che vorrebbe cedere in eredità al nipote Filippo Maria Fortuna,
anche lui validissimo cultore di questa musica virtuosistica.
Auguro buona fortuna a questa nuova rubrica e spero, attraverso essa, di fare cosa
gradita a tutti i numerosi appassionati del Mondo del jazz.
Il Direttore Sandro Anselmi
LA MARCIA PER LA PACE PERUGIA-ASSISI DEGLI SCOUTS
Tanti, tantissimi Scout alla Marcia per la
Pace Perugia Assisi e, fra loro, anche
quelli dei Gruppi Agesci Viterbo 4 – da
anni tra le associazioni che aderiscono
ufficialmente all’evento -,
Civita
Castellana e Tuscania. Partiti da Viterbo
con l’autobus organizzato dall’ARCI –
con la collaborazione di vari Enti ed
Associazioni – il drappello dei viterbesi si
è unito alle oltre duecentomila persone
che hanno marciato sull’ormai tradizionale percorso francescano per rivendicare uguali diritti umani per tutti. È stata la
marcia della gente comune, con pochissime – pressoché inesistenti – bandiere
di partiti politici e pochi slogan; una marcia, tutto sommato, anche silenziosa e
che ha avuto il suo momento di maggior
commozione al passaggio dei Monaci
Tibetani in preghiera, da tutti applauditi
per solidarietà ai loro coraggiosi confratelli birmani. Tanti comuni cittadini,
insomma, che – alla faccia del silenzio (o
quasi) dei media nazionali – hanno voluto dimostrare il loro attaccamento a
quello che è, probabilmente, il valore
universale più importante di tutti: la
Pace.
Gruppo Scout AGESCI “Viterbo 4”
Il Capo Gruppo
Paolo Moricoli
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A Fabrica di Roma, non scherzano. Al teatro Tenda Palarte, nell’ambito
della rassegna Teatro d’autunno, vanno in scena 4 pièces teatrali a partire da Domenica 18 novembre, consecutivamente fino a Domenica 16
Dicembre p.v.
Sono quattro commedie gradevoli, come evidenziato nella locandina, e
precisamente “Uomo e Galantuomo” di E. De Filippo a cura della compagnia teatrale “ Le voci di dentro” di Assisi, “Questi fantasmi” di
E. De Filippo, con la compagnia teatrale “ Luna Nuova” di Latina, “Due
dozzine di rose scarlatte” di A. Benedetti con la compagnia “Teatro
Tempo” di Fabrica di Roma, e il “Don Chisciotte” di G. Gherardi tratto dall’opera di Cervantes curato dalla compagnia “Il Castello”, di Città
di Castello. L’appuntamento domenicale è per le ore 17,30. Siamo sicuri
che gli amanti del teatro, memori del successo di pubblico e di critica
riscosso nella I^ Edizione del premio Anchise Marcelli, affolleranno la
splendida struttura del Palarte, per trascorrere un pomeriggio diverso e
importante.
Alessandro Soli
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“Il Parco degli Angeli”
Riscopriamo l’oratorio
Nella Parrocchia S. Giuseppe Operaio di Civita Castellana, il parroco Don Mario Valeri sta riportando in auge, concretamente, il
concetto di “oratorio parrocchiale”. In questi tempi, così difficili per la formazione dei nostri giovani, avere come riferimento una
parrocchia, ricca di strutture che vanno dai campi di calcetto in erba sintetica, al campo in terra frequentato dalla Scuola Calcio
Giovanile, significa porre le basi per plasmare il carattere di coloro che saranno gli uomini di domani. Don Mario ha pensato anche
per i più piccoli: ecco perciò l’area giochi, antistante la chiesa, denominata “ Il parco degli Angeli “, dove mamme e bambini trascorrono sani pomeriggi tra altalene e scivoli, facendo amicizie e piacevoli aggregazioni.
Alessandro Soli
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KARATE: “ Trofeo Delle Quattro Nazioni”
Finite le vacanze, si riparte con la
nuova stagione agonistica che si riaccende subito con un appuntamento di
livello internazionale: Il “2° Trofeo
Delle Quattro Nazioni”.
Svoltosi il 22 settembre 2007.nella
citta’ di Ostia, il torneo vedeva impegnato a difendere i colori azzurri,l’atleta civitonico FABIO MERCURI.
Partecipavano alla gara le seguenti
rappresentative: INGHILTERRA,IRLANDA,SERBIA e ITALIA
La squadra italiana con una prestazione eccelente domina tutti gli
incontri,aggiudicandosi l’ambito trofeo.
Da evidenziare l’ottima prestazione
dell’atleta cvitonico apparso in grande
forma.
Nella Foto da sx:
Augusto Sambucioni,
Fabio Mercuri,
Ivan Gilardi e
Andrea Grifoni.
Info Pubb.
0761.513117
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Salviamo l’Andosilla
Non si sfugge: arriva per tutti il giorno
in cui si deve avere
a che fare con un
ospedale. Può capitare per una medicazione al pronto
soccorso, e allora
poco male. Oppure
per qualcosa di
serio, e allora la
faccenda si fa più
complicata, sopratdi Debora Attanasio
tutto se il malato è
una persona di
famiglia. I telegiornali sono saturati dagli
episodi di malasanità che infettano il
paese da Nord a Sud, e quando senti storie di reni asportati sul paziente sbagliato,
anidride somministrata al posto dell’ossigeno e aborti terapeutici sul gemello sbagliato, anche chi non è credente si mette a
pregare che non capiti mai a lui.
La mia famiglia è originaria di
Roma, viviamo nella provincia di
Viterbo per il piacere di vedere le
stelle quando siamo in giardino e
per sentire il garrire delle rondini
fra i tetti. Spesso, chi è nato qui
non si accorge più di cosa vuol
dire vivere a misura d’uomo. La
provincia che ci sta dando tanto,
però, poteva essere in grado di
salvare la vita di una persona
cara e malata? Il consiglio di
famiglia si è riunito in trasferta,
nella faggeta di Soriano del
Cimino, proprio per ragionare nell’atmosfera più quieta che si poteva ottenere nel giro di pochi chilometri. Operare
qui, o a Roma? Era pieno agosto, c’è venuto in mente subito il fotogramma desolante di un ospedale caotico dove il primario
in vacanza in Costa Smeralda era stato
sostituito dal “dottorino” e i parenti degli
altri malati si presentavano in visita preoccupati, sì, per le sorti dei loro parenti, ma
anche un po’ incarogniti per le vacanze
rovinate, biglietti di aerei e di traghetti
buttati via, fiumi di soldi di prenotazioni in
fumo perché lo stramaledetto male di un
padre-madre-nonno-nonna- fratello-sorella aveva deciso di manifestarsi quando ci si
dovrebbe solo preoccupare del fattore di
protezione dei solari. E poi, i pazienti come
numeri anonimi, gli infermieri divisi tra
quantità di malati superiori alle loro possibilità... Non faceva per noi. Poi c’era l’alternativa con una passato non proprio
convincente: il San Giovanni Decollato
Andosilla di Civita Castellana, l’ospedale
vicino casa. Di storie brutte se n’erano
sentite tante, ma se nel frattempo fosse
cambiato qualcosa? Ognuno dei membri di
famiglia si è dato da fare per raccogliere
più informazioni possibili ed aggiungerle
ad un mosaico: “Il nuovo primario di chirurgia è scrupoloso e pignolo”, ci diceva
uno. “Per me è come un secondo padre.
Dopo una tragica battuta di caccia, mi ha
ricostruito pezzo per pezzo quando mi
avevo già dato l’estrema unzione”, ci diceva un altro. “Ha salvato la vita a mio
padre”, mi rivelava la ragazza dell’agenzia
di viaggi, “Ed ha salvato la mia”, confermava la parente di un amico. Si dice che
bastano tre indizi per fare una certezza e
noi ne stavamo raccogliendo molti di più.
Decidemmo di ricoverarci (perché quando
si ammala una persona, è come se si ricoverasse tutta la famiglia) proprio lì. Il confronto con le esperienze vissute a Roma,
prima della nostra “emigrazione”, è stato
evidente già dal primo giorno. Gli infermieri, qui, ti guardano negli occhi, quando
ci parli. Dopo un giorno di ricovero sanno
già il tuo nome di battesimo e tu ne impari subito il carattere, la personalità. C’è
quello burbero che poi si rivela un pacioccone, c’è la rossa Barbara dal sorriso aperto, la tenera Silvia tanto premurosa, il laureato in filosofia che esamina interessato i
libri che ti sei portato per ammazzare il
tempo, il caposala Mauro sveglio e con la
battuta pronta, e tutti gli altri, nessuno
escluso. In un grande ospedale di città si
sarebbero confusi anche loro nell’anonimato, si sarebbero sentiti dei numeri aridi,
come i pazienti: forse è questo è il segreto che gli permette di conservare la loro
umanità. E finalmente incontriamo il dottor Gino Pasquini, questo primario di chirurgia di cui abbiamo tracciato la storia
prima ancora di vederlo in faccia, e tutta la
sua validissima equipe medica . Che puoi
dire a qualcuno che metterà le mani dentro il corpo di una persona cara per salvargli la vita? Ti chiedi solo se potrai fare
un giorno qualcosa per rendergli il favore,
ma tanto lui lo farà lo stesso senza aspet-
tarsi nulla da te. È il suo lavoro, e intuisco
per un momento il sottile piacere che
prova un vero medico nel vedere in piedi e
in salute qualcuno per merito suo, forse
l’unico modo per avvicinarsi appena un po’
a quello che prova il Creatore. E così, accade quello che mai avrei pensato che potesse succedere: assistere un familiare malato riesce a diventare quasi piacevole.
Piacevole perché ti fidi di chi si prende cura
di lui, piacevole per l’unità fra i membri
della famiglia intorno al capezzale, in una
stanza che grazie al cielo è pulitissima, ben
imbiancata di fresco, silenziosa. Piacevole
per il buon vitto che passa a mezzogiorno,
quella minestrina un po’ scotta che perdoni al cuoco appena assaggi l’ottimo secondo piatto (non dimenticherò mai la prima,
prelibata trota al forno che ho spinato per
il mio malato dopo un lungo digiuno).
Piacevole per quel bel cappuccino caldo al
latte di soia che il piccolo bar dell’Andosilla
ti serve dopo una nottata di
veglia e che io, intollerante al
latte vaccino, non riesco ad avere
nemmeno ai Parioli, dove c’è la
mia redazione. E diventa piacevole perché scopri quanto sia bello
quel punto dove è posato questo
povero ospedale bistrattato, su
un tronco di cono di tufo con una
vista panoramica da 5 stelle e il
sole tutto il giorno, i pini che
ondeggiano davanti alle finestre
dei malati che non sanno nemmeno quanta energia sono in
grado di mandargli a loro insaputa. Tutto va bene, nel reparto di
chirurgia, tutto è sereno; diventa un avvenimento atteso persino l’arrivo regolare del
pacioso sacerdote polacco che dà la benedizione due volte al dì, e che ti prendi
anche se non sei credente perché ti sembra che ti faccia bene. Si trova anche il
tempo e il modo di creare una combriccola di pazienti per prendersi gioco di un
malato immaginario, un noto antipatico di
Civita che non vuole essere dimesso ed è
diventato lo zimbello di tutti, sospettato di
essere lì per spilorceria. Ma che vergogna
che ho provato quando chiacchierando con
il meticoloso dr. Savio l’ho sentito dire “Ce
la stiamo mettendo tutta per tirare su l’ospedale intero, ma com’è frustrante quando fai la diagnosi e ti senti dire dai parenti
‘Allora, se è una cosa seria lo portiamo ad
operare a Roma o a Viterbo’. Noi, qui,
siamo perfettamente all’altezza!”. Ed ho
pensato che anch’io aveva avuto lo stesso
dubbio, e stavo per prendere la decisione
sbagliata. Sbagliata perché nel modo
meno traumatico che era possibile, quel
familiare malato alla fine l’ho riportato a
Campo de’ fiori
casa tutto intero. Anzi, con un pezzetto in
meno, ma era il pezzetto malato, ed è finito nella spazzatura, tanto facciamo anche
senza. E quando ora ci torniamo, per le
terapie nella piccola ed efficiente unità
operativa di oncologia diretta dal dr. Khalil,
coadiuvato dalla vispa dr.ssa Ceccarelli (e
dalle infermiere Gianna e Roberta e l’ausiliaria Rita) il farmaco più importante che
viene somministrato, oltre quelli di prassi,
è il coraggio, elargito in un’atmosfera di
solidarietà sincera. In un mese ho imparato ad accettare che le malattie capitano,
ma che la differenza la fa il modo con cui
le si affronta, noi stessi e chi ci circonda, e
l’ambiente è l’elemento più importante
dopo la bravura dei dottori. Per questo
non mi sono intristita tanto nel dover stare
in ospedale ad assistere un malato tra i
malati, quanto di scoprire che molti dei
bravi medici
che ho conosciuto
all’Andosilla provengono dall’ospedale di
Montefiascone dove, qualche anno fa,
avevano ricoverato mia madre che si era
poi trovata altrettanto bene, come se
fosse stata in beauty farm, ed è tornata a
casa sana come un pesce. Quell’ospedale
ora è chiuso, e la notizia mi ha dato la
stessa brutta sensazione che proverei nell’apprendere - che so - l’estinzione totale
57
delle tigri bianche. Se vi ho raccontato
tutto questo è perché anche l’ospedale
Andosilla rischia di chiudere; la voce gira
sempre più insistente e sarebbe un errore
colossale. Ma buona parte della colpa è di
noi abitanti della zona, che ce lo stiamo
vedendo levare dalle mani senza reagire,
senza pretendere ad alta voce che tutti i
reparti funzionino. Non lasciate che un
bene così grande vada perso: vorrei che
chiunque si trovi nelle stessa mia situazione, nella stessa situazione del mio familiare malato, possa finire nelle stesse buone
mani in cui siamo finiti noi. Perché esiste
anche la buona sanità.
S. Anna protettrice delle partorienti
di Mario Sardi
Il 31 ottobre scorso l’artista e restauratore Franco Cirioni ha donato al reparto di
ginecologia dell’ ospedale Andosilla di Civita Castellana, una targa devozionale di S.
Anna ( protettrice delle partorienti), ripresa dal modello in terracotta ingobbiata
senese risalente al ‘400, portata come “culto” a Civita Castellana dal Cardinale
Rodrìgo Borgia, podestà della città e futuro Papa Alessandro VI.
Restaurata dallo stesso Cirioni e riportata alla sua origine, ora è esposta in una edicola situata in via di Corte. Alla seconda metà dell’ ‘800 la scultura venne restaurata dal pittore viterbese Pietro Vanni, dimenticando il significato dell’immagine della
Santa e confondendolo con l’immagine della Madonna. Alla cerimonia erano presenti il primario del reparto, dott. Nicolanti, altri medici e ostetriche ed i rappresentanti
dell’Associazione “Una mano al tuo ospedale”, che ne hanno curato l’ avvenimento.
Sotto l’immagine è presente una targa esplicativa in cui vengono descritte le origini
e la storia del ritrovamento su ricerche effettuate dallo stesso Franco Cirioni. Il supporto ligneo della scultura e la targa esplicativa in ceramica sono state donate da
Ulisse Frezza.
Da sx il Dott. Nicolanti, Franco Cirioni, Dott. Donato
Di Donato, Gaspare Milazzo e due ostetriche
L’agenzia delle Entrate ha reso noto, tramite il sito internet, l’elenco delle Associazioni Onlus che hanno
beneficiato del 5 per mille nella denuncia dei redditti dell’anno 2006 (anno riferimento 2005).
L’Associazione “Una mano al tuo ospedale” ha riscosso un lusinghiero successo, arrivando ad ottenere 885
adesioni, per un totale di oltre 19 mila euro, risultando una delle oiù gettonate della provincia di Viterbo.
Con l’occasione ringraziamo i cittadini che hanno creduto nel nostro progetto, e che invitiamo a sostenerci
anche per il prossimo anno, con l’auspicio di superare le adesioni fin qui ricevute.
Associazione ONLUS
Una mano al tuo
Ospedale
Martedi 6 Novembre u.s. si è svolta presso la sede dell’Ospedale Andosilla, la cerimonia di presentazione
del nuovo apparecchio Ergometrico, donato al Reparto di Cardiologia dalla Ceramica Galassia. Erano presenti
il Direttore Generale della ASL Dr. Aloisio, le autorità cittadine, i medici e il personale del nosocomio.
Il Presidente Prof. Luciano Caregnato
Farmacie Civita Castellana aperte nei giorni festivi di Novembre 2007
01/04 Novembre - Farmacia Municipale Via Ferretti
11 Novembre - Farmacia Municipale Via Santa Felicissima
18 Novembre - Farmacia Filizzola - Farmacia Versace Sassacci
25 Novembre - Farmacia Municipale Via Ferretti
Farmacie Corchiano e Fabrica aperte nei giorni festivi di Novembre 2007
11 Novembre - Farmacia Liberati di Fabrica di Roma
18 Novembre - Farmacia Sangiorgi di Corchiano
Benzinai Civita Castellana aperti nei giorni festivi di Novembre 2007
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04 Novembre - Schell Via Flaminia - Api Via Terni
11 Novembre - Esso Via Flaminia - Erg Via Nepisina - Q8 Via Terni
18 Novembre - Esso Via Flaminia - Total Via Terni
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Repetita Iuvant
Segnaliamo di nuovo, a chi di dovere, lo
stato di abbandono e pericolosità in cui
versa Via Giorgio La Pira a Civita
Castellana.
Vita Cittadina
Tarquinia
Inaugurato il nuovo
parco giochi presso
la “Cittadella dei
Giovani”
dell’Associazione
Semi di Pace.
INDOVINELLO
Cosa fa la cassiera con due
automobiline?
Vignanello
VIII Festa del
Vino Novello
10-11 17-18
Novembre
Avete risolto l’indovinello ??
Il primo che indovinerà e ne darà comunicazione
in redazione, riceverà un simpatico omaggio
offerto dalla GIOIELLERIA SPERANDIO
Campo de’ fiori
a
m
Ro
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2° Conferenza Nazionale della Donazione:
Comunicare la trasparenza. Oggi si può
L’Istituto Nazionale della Donazione ha organizzato, per il secondo anno consecutivo, una Conferenza Nazionale della
Donazione, che si è tenuta martedì 30 ottobre, presso la Sala delle Conferenze, in Piazza Montecitorio, a Roma. L’Istituto, nato
per volontà del Forum Permanente del Terzo Settore, della Sodalitas e del Summit della Solidarietà, tre autorevoli enti del No
profit, si ispira a valori quali la fiducia, la trasparenza, la correttezza, l’equità, l’affidabilità, l’indipendenza e l’imparzialità. Proprio
il tema della trasparenza è quello che si è voluto approfondire quest’anno, perchè chi dona ha il diritto di sapere che la propria
generosità è ben riposta, e chi riceve ha il dovere di confermare con una comunicazione puntuale la fiducia. Altro argomento
affrontato è stato quello relativo a trasparenza e 5 per mille.
L’Istituto Nazionale della Donazione si prefigge, inoltre, di contribuire a diffondere tra le organizzazioni no profit comportamenti
d’eccellenza etica, di aiutarle a qualificare la propria attività e di rassicurare il donatore nelle sue scelte di destinazione delle
risorse.
La rubrica
dei perchè
Perchè si dice: essere al verde?
Perché anticamente si usava delimitare la parte inferiore
delle candele con il colore verde.
Quando questa era quasi interamente consumata
restava l’ultima parte verde che segnalava il momento di
doverla sostituire.
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Campo de’ fiori
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Nel cuore
Ad un anno dalla scomparsa dell’amico Mauro Anselmi, fratello del
nostro Direttore, ricordiamo con affettuosa nostalgia i suoi modi
semplici e la sua infinita bontà.
Ricordiamo con affetto l’amica Giuseppa (Giuseppina) Berto, scomparsa recentemente, che tanto è stata vicina ai disabili, ben oltre l’impegno professionale.
Campo de’ fiori
Periodico Sociale di
Arte, Cultura
ed Attualità edito
dall’Associazione
Accademia
Internazionale
D’Italia
(A.I.D.I.)
senza fini di lucro
Presidente
Fondatore:
Sandro Anselmi
Il giorno 20 Dicembre, alle ore 17:30, nella Chiesa del Carmine a
Civita Castellana, verrà celebrata una messa in suffraggio di Pietro
Fasoli, del quale abbiamo parlato sul n. 33 di Campo de’ fiori
Direttore Editoriale:
Sandro Anselmi
Direttore
Responsabile:
Stefano De Santis
Con la morte di Enzo Biagi, scompare uno dei decani del giornalismo italiano. Abbiamo ammirato in lui l’innata signorilità e
la sua singolare maniera di intraprendere questa meravigliosa
professione.
Dobbiamo ricordarlo con riconoscenza per aver tratto, anche
se inconsciamente, profitto dalla sua figura.
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settore commerciale. Per informazioni 0761.513117
oppure [email protected]
oppure Piazza della Liberazione 2 Civita Castellana
Lo Studio Legale dell’ Avv. Aldo Piras
Patrocinante in Cassazione, ha stipulato una convenzione con
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a n. 3 consulenze gratuite.
Per informazioni rivolgersi in redazione
Campo de’ fiori è distribuito a Civita Castellana, Corchiano, Fabrica di Roma, Vignanello, Vallerano, Canepina,
Vasanello, Soriano Nel Cimino, Vitorchiano, Bagnaia, Viterbo, Montefiascone, Carbognano, Caprarola, Ronciglione,
Sutri, Capranica, Cura di Vetralla, Blera, Monte Romano, Tarquinia, Civitavecchia, Orte, Gallese, Magliano Sabina,
Collevecchio, Tarano, Torri in Sabina, Calvi nell’Umbria, Stimigliano, Poggio Mirteto, Otricoli, Narni, Terni, Amelia,
Nepi, Castel Sant’Elia, Monterosi, Anguillara, Trevignano, Bracciano, Canale Monterano, Mazzano, Campagnano,
Sacrofano, Olgiata, Faleria, Calcata, S.Oreste, Nazzano, Civitella San Paolo, Torrita Tiberina, Rignano Flaminio,
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straniere, a personaggi politici, della cultura, dello sport e dello spettacolo.
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