Yamaha X-Max 400

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Yamaha X-Max 400
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Numero 109
04 Giugno 2013
105 Pagine
Periodico elettronico di informazione motociclistica
MotoGp Mugello
Lorenzo vince
il GP d’Italia
Articoli, commenti
e pagelle
Nico Cereghini
“Noi Italiani siamo
forti, basta piangersi
addosso!”
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Prova
Honda CB500X
La piccola, grande
tuttofare
| prova SCOOTER |
Yamaha
X-Max 400
da Pag. 2 a Pag. 17
All’Interno
NEWS: Concept Ninety BMW | Husqvarna Giovanni Castiglioni si fa avanti | M. Clarke le moto nella storia di Opel
MOTOGP: Anticipazioni 2014 Honda Production Racer e Suzuki | DAKAR: Cyril Despres alla Yamaha
Yamaha X-Max 400
PREGI
Motore, prestazioni
DIFETTI
Sospensione posteriore
Prezzo 5.990 €
PROVA SCOOTER
Comodo e veloce,
ma un po’ rigido
La famiglia X-Max, nata nel 2005, si amplia
con l’arrivo del nuovo 400. Ottimo il motore, pulita
la guida. L’impostazione sportiva non compromette
il comfort che cala soltanto sullo sconnesso
di Cristina Bacchetti
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N
el 2001 Yamaha lancia il
TMAX: il celeberrimo maxi
scooter sportivo diventa subito un’icona per gli scooteristi metropolitani, e ancora
oggi, 12 anni dopo, vanta
vendite record e una folta schiera di appassionati. Nel 2005, per soddisfare le richieste dei clienti
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prettamente cittadini, viene lanciato sul mercato X-Max 250, (presto affiancato dal gemello da
125 cc presentato a settembre al Salone di Parigi): una sorta di fratellino minore che si ispira
alla sportività del TMAX rendendola accessibile
a tutti, sia per quanto riguarda i costi, sia per la
fruibilità del mezzo, pensato proprio per chi con
lo scooter si muove solo in città. Ma c’era ancora
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Prove
un tassello mancante, e il gap tra i due modelli è
troppo grande, il pubblico di sooteristi Yamaha
chiede di colmarlo. Il che accade dopo otto anni,
durante i quali la “classe 400” degli scooter a
tre diapason viene rappresentata dal pacioccone Majesty. Ed ecco che oggi appare a sorpresa
l’X-Max 400, nelle concessionarie da fine maggio a 5.990 Euro. Abbiamo chiesto a Giovanna
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Camisa, Product Planner Scooter di Yamaha
Motor Europe, di raccontarci se c’è richiesta da
parte dei clienti per questo tipo di scooter. «Certo, ce lo hanno richiesto in moltissimi. Chi ha già
il 250 e vuole qualcosa di più, oppure chi sogna il
TMAX ma non può permetterselo, avendo quindi esigenza di uno scooter da poter utilizzare sia
in città che fuori, ma con costi e prestazioni più
contenuti».
Il Majesty 400 non bastava a
soddisfare queste richieste?
«No, il Majesty è un mezzo totalmente diverso.
È comodo, una poltrona, e con prestazioni più
blande. Abbiamo preso il motore da 400 cc del
Majesty, ci abbiamo lavorato molto per renderlo
più performante, e ci abbiamo costruito intorno
un mezzo compatto che si ispira alle linee del
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Prove
250. Volevamo un mezzo sportivo dalle grandi
prestazioni, ma con un ingombro inferiore». E
infatti questo 400 ha tutta l’aria di un mezzo dalla cubatura inferiore: le linee ricordano naturalmente quelle del 250 ma Cristiano Tasca, Senior
Designer di Yamaha, ha la vorato per renderle
ancora più dinamiche. Il musetto con lo sguardo accigliato, il “boomerang” centrale identico a
quello del TMAX e il codino che ora punta verso
l’alto danno a questo nuovo maxiscooter tutte le carte in regola per piacere al tipico utente
metropolitano. Grande occhio di riguardo per
la capacità di carico: il sottosella può ospitare
una coppia di caschi integrali, e nel retroscudo
sono stati ricavati due comodi portaoggetti. Ridisegnato anche il look del cruscotto rispetto al
250, qui più vicino a quello del TMAX: comunque
sia, abbiamo il tachimetro analogico - con fondo
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leggero - sempre realizzato in tubi di acciaio a
doppia culla sovrapposta - che riportasse all’agilità del 250, ma con un interasse di 1.565 mm,
quindi 20 mm più lungo. La forcella teleidraulica
ha un’escursione di 110 mm, esattamente come
i due ammortizzatori (regolabili in precarico su
4 posizioni) ben visibili nella parte posteriore
dello scooter. Sull’X-Max 250, invece, l’escursione degli ammortizzatori è di 240 mm. Rispetto
a quello del fratello minore, l’impianto frenante
anteriore del nuovo 400 monta due dischi, sempre da 267 mm, misura che ritroviamo anche
dietro, in sostituzione del disco da 240 mm del
250. I cerchi in lega misurano rispettivamente
15” e 13” e calzano pneumatici Michelin City Grip
da 120/70 e 150/70. Da notare che posteriormente l’X-Max 250 monta un cerchio da 14” con
scala a 180 – a sinistra e il contagiri – parimenti
“a lancetta” – a destra, con zona rossa da 8.200
a 9.000. E cambia anche la grafica del display lcd
centrale rettangolare, che indica chilometraggio
totale e parziale, chilometraggio residuo in riserva, orario, temperatura esterna e del motore, e
ovviamente anche il livello della benzina, con piccola spia di avviso della riserva.
Motore e ciclistica
Il propulsore che va a spingere il nuovo X-Max è
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Prove
gomma da 140/70 sul 250. Sempre parlando di
differenze tra i due X-Max, il peso dichiarato per il
nuovo 400 è di 211 kg col pieno di 14 litri, mentre
il 250 è accreditato di 180 kg (184 con l’ABS) col
pieno di 11,8 litri.
La prova su strada
Città
Una volta in sella al nuovo X-Max 400 ci si rende conto che la ricerca della sportività non ha
compromesso il comfort: la sella infatti è larga,
spaziosa sia per il pilota – che gode anche di un
elegante supporto lombare - che per il passeggero, ed è imbottita come una poltrona Frau. Si
siede a soli 785 mm da terra (792 mm, sul 250)
ma la seduta molto larga, anche nella parte anteriore, potrebbe mettere in crisi gli utenti meno
un monocilindrico a 4 tempi da 400 cc, bialbero a 4 valvole per cilindro e raffreddato a liquido,
evoluzione dell’unità adottata dal Majesty. Con i
suoi 31,5 cv (23,2 kW) a 7.500 giri, segna un +
54% di potenza rispetto al 250, mentre il picco
di coppia massima di circa 3,5 kgm (33,9 Nm)
a 6.000 giri rappresenta un aumento del 60%.
Proprio per rispondere alla richiesta di un mezzo prestazionale ma con dimensioni compatte
e carattere sportivo, i tecnici Yamaha si sono
adoperati per realizzare un telaio compatto e
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alti, costretti a portarsi molto in avanti per appoggiare bene i piedi a terra. Quella della sella
larga è però una scelta obbligata per poter offrire
una così importante capacità di carico nel vano
sottosella: 37 litri. Sono 211 i chili dichiarati (col
serbatoio pieno, che peraltro salgono e scendono con facilità dal cavalletto centrale - tuttavia
per i più pigri ovviamente c’è anche il laterale!
- e sono ben distribuiti: non si sentono né nelle
manovre a bassa velocità né tantomeno in marcia. Nel pieno del traffico di un lunedì mattina
milanese riusciamo a sgusciare con facilità tra
le auto in coda: certo, l’X-Max non ha l’agilità di
un cinquantino, ma nell’ambito della sua categoria si porta a casa una bella lode in quanto a
manovrabilità. Unica pecca a cui prestare attenzione, e per la quale è necessario avere un po’
di occhio, è la seconda metà del veicolo: il motorone da 400 cc che sporge sul lato sinistro, e
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l’importante terminale sul lato destro, rendono
infatti piuttosto larga la sezione posteriore dello
scooter, e c’è il rischio, se “si prendono le misure” agli specchietti, e in particolare sfiorando
i marciapiedi, di urtare le suddette parti meccaniche, non proprio di poco conto. L’impianto frenante si comporta egregiamente, è sicuramente il punto forte del mezzo, insieme all’ottimo
propulsore. Tanto X-Max scatta velocemente ai
semafori, quanto celermente si arresta senza
bisogno di strizzare eccessivamente le leve anche in caso di frenata di emergenza. Entro la fine
dell’anno, poi, arriverà la sempre gradita versione con ABS, che costerà 6.490 Euro. Il discorso
sull’efficienza delle sospensioni va spaccato in
due: se davanti la forcella incassa bene gli avallamenti e le sconnessioni, il posteriore (seppur
regolabile) è piuttosto rigido, e sia sul pavè che
- soprattutto – sullo sconnesso pesante, scarica
tutto sulle schiene dei passeggeri, per le quali
nulla può fare nemmeno la sella super imbottita. Abbiamo segnalato questo non trascurabile
difetto ai tecnici della Casa di Iwata. Yamaha non
dichiara ufficialmente nulla riguardo ai consumi,
ma durante il nostro test abbiamo stimato una
percorrenza approssimativa di 21 km per litro.
Con il pieno del serbatoio da 14 litri, quindi, si potranno senz’altro percorrere perlomeno 250 km,
riserva esclusa.
Extraurbano
Portando l’X-Max fuori città abbiamo avuto
modo di testare al meglio il grande lavoro fatto
sul propulsore che già equipaggia il Majesty: il
diverso “settaggio” della trasmissione gli dà infatti un carattere molto più sportivo e, oltre allo
spunto da fermo, è decisamente apprezzabile la
ripresa anche a velocità anche superiori ai 100
Prove
km/h. Un bel 10 e lode, quindi, va alle prestazioni
del motore, sempre pronto e con un allungo che
sembra non finire mai. Praticamente nulle le vibrazioni al manubrio e sulle pedane, avvertibili
solo dopo diversi chilometri a velocità costante e
sostenuta. In autostrada la stabilità è ottima così
come la protezione dall’aria, sia grazie al parabrezza ben studiato che alla carenatura disegnata proprio per proteggere al meglio il guidatore.
Visto il sostanzioso peso che il mezzo si porta
dietro, intendendo proprio il succitato massiccio
retrotreno, c’è il rischio che negli ampi curvoni
veloci si arrivi a percepire un po’ di leggerezza
sull’anteriore: un piccolo accorgimento per ovviare al problema è quello di portarsi un pochino
in avanti col corpo, pesando così sul manubrio e
andando a bilanciare meglio i pesi. Nelle curve
più strette invece abbiamo notato un’eccessiva
propensione della stampella laterale nel grattare
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Prove
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Un bel 10 e lode va alle prestazioni del
motore, sempre pronto e con un allungo
che sembra non finire mai
l’asfalto. Altro punto al quale, ci hanno promesso, si vedrà di rimediare in fase di produzione.
Quanto al passeggero, da portare al mare nel
fine settimana, viste le spiccate doti extraurbane
del nuovo maxiscooter Yamaha, gode di pedane
retrattili in alluminio, di un ampio spazio comodo e, nel caso non disponga di poggiaschiena o
bauletto, di due eleganti maniglioni di sicurezza.
Città, autostrada, tratti veloci, lungolago, tornanti. Manca solo un po’ di pioggia e possiamo
dire di aver provato l’X-Max davvero in tutte le
condizioni. Quindi, proprio per non farci mancare nulla, percorriamo un buon quarto d’ora sotto
un bell’acquazzone torrenziale. Inevitabilmente
il feeling con l’asfalto viene a mancare e si chiude
la manopola del gas, ma anche in questo caso,
X-Max si dimostra ineccepibile, con l’ovvia complicità delle” agilissime” Michelin City Grip.
Colori, prezzi, accessori
e pacchetti speciali
Il nuovo Yamaha X-Max 400 sarà disponibile in
Italia a partire da fine maggio al prezzo di 5.990
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euro franco concessionario , naturalmente sempre con la possibilità di usufruire dell’estensione
triennale di garanzia Y.E.S. (Yamaha Extra Security), aggiuntiva alla garanzia originale EuroService. E a fine anno arriverà anche la versione con
ABS, al prezzo di 6.490 euro f.c.
Tre le colorazion disponibilii: bianco opaco, grigio opaco e nero lucido.
Accessori
Gli accessori dedicati a X-Max 400 sono davvero innumerevoli. Tra i principali citiamo il parabrezza basso sportivo, le pedane in alluminio, il
porta targa sportivo omologato, ed il terminale
di scarico dedicato Akrapoviè, e anche lo schienale per il passeggero. Per aumentare capacità
di carico e comfort nel commuting su lunghe distanze e nei viaggi più lunghi, i novelli X-Maxisti
avranno a disposizione il portapacchi, il baule da
50 litri in tinta, lo schermo più alto, il telo copri
gambe e le manopole termiche. Ma sono previsti
anche una sella ancor più rifinita e una custodia
per lo smart-phone da piazzare sul manubrio.
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YamahaX-Max 400 5.990 €
Tempi: 4
Cilindri: 1
Cilindrata: 395 cc
Disposizione cilindri: Orizzontale
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 31.5 cv (23.18 kW) / 7500 giri
Coppia: 33.88 Nm / 6000 giri
Marce: AV
Freni: D-D
Misure freni: 267-267 mm
Misure cerchi (ant./post.): 15’’ / 13’’
Peso: 211 kg
Lunghezza: 2190 mm
Larghezza: 780 mm
Altezza sella: 785 mm
Capacità serbatoio: 14 l
Segmento: Scooter Ruote alte
ABBIGLIAMENTO
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SCHEDA TECNICA
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Prove
Casco Yamaha MomoDesign
Giacca Tucano Urbano Katmai Lady
Guanti Spidi Lady
Scarpe tecniche Forma Urban Touch Hi-Dry
In ogni caso, la lista completa degli accessori per
la gamma X-Max è consultabile qui.
Versioni Touring e Sport
Yamaha propone X-Max anche in due versioni
già accessoriate. Per chi ama viaggiare c’è la
Touring che prevede parabrezza alto, porta pacchi posteriore e baule da 50 litri in tinta, e che
costa 455 euro in più rispetto al prezzo di listino. L’allestimento Sport, che prevede schermo
sportivo, pedane in alluminio e porta targa sportivo omologato, costa invece 237 euro.
Durante il nostro test abbiamo avuto modo di
provare la versione sportiva, dotata anche di
scarico Akrapoviè dedicato: quei 6 chili in meno
si sentono tutti, chiaramente in positivo, e lo
spunto è ancora più incisivo. Attenzione, TMaxisti…
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Honda CB500X
PREGI
Facilità di guida e erogazione
DIFETTI
Protezione dall’aria, qualche finitura
Prezzo 6.100 €
prova naked
Piccola, grande
tuttofare
La nuova 500 crossover di casa Honda
ha dalla sua tanta facilità di guida e un motore
generoso in rapporto alla cilindrata. Posizione
alta per affrontare bene il viaggio come la città.
Si guida anche con la A2
di Alessandro Colombo
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L
e nuvole e la pioggia imperversano sui cieli italiani? Scappiamo
allora nella caliente Barcellona
trovando così… una pioggia torrenziale! Deve essere il modo
con cui la Spagna decide di farci
sentire a casa, chissà, ma facciamo di necessità virtù, e approfittiamo delle sfavorevoli condizioni meteorologiche per verificare la bontà
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del funzionamento dell’ABS della nuova Honda
CB500X, la terza della serie ad arrivare in vendita, dopo le CB500F e CBR500 R. ABS che sulla 500X è compreso nel prezzo, fissato a quota
6.100 euro franco concessionario, contro i 5.500
della naked F e i 6.200 della sportiva R. Pensata
per rivolgersi sia ai neofiti che ai piloti più navigati
in cerca di una moto votata al turismo ma poco
impegnativa, e con il look avventuroso di una
Prove
crossover, la Honda CB500X ammicca anche a
coloro che necessitano di una moto in grado di
coprire agevolmente il tragitto casa-lavoro o per
muoversi con disinvoltura nel traffico.
Motore
Cuore della neonata 500 della Casa di Tokyo
(in comune alle altre due versioni F e R che ne
condividono anche la base ciclistica) è l’unità
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bicilindrica in linea frontemarcia bialbero ad 8
valvole da 471 cc, raffreddata a liquido, e caratterizzata da misure di alesaggio e corsa di 67 x
66,8 mm. Dotato di un rapporto di compressione
di 10,7:1, eroga 48 cv di potenza a 8.500 giri e 43
Nm di coppia a 7.000 giri, ed è incastonato all’interno di un telaio tubolare in acciaio con disegno
a diamante.
posizioni. Le ruote hanno disegno a 12 razze e
sono realizzate in alluminio pressofuso con diametro da 17” per entrambe, oltre che gommati
120/70 all’anteriore e 160/60 al posteriore,
mentre i freni (un solo disco davanti da 320 mm
con pinza a due pistoncini) si caratterizzano per
un disegno a margherita e sono dotati di ABS di
serie.
Ciclistica
Equipaggiamento
La Honda CB500X ha un’altezza da terra della
sella di 810 mm e un peso a secco di 178,4 kg,
che divengono 195 con il pieno di benzina. A copiare le imperfezioni del manto stradale, bene e
in maniera progressiva, sono invece la forcella
con steli da 41 mm, non regolabile e il forcellone in acciaio scatolato dotato di monoammortizzatore Pro-Link regolabile in precarico su 9
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Completamente digitale il quadro strumenti è
minimalistico ma ben leggibile. Lo sfondo è di
colore arancione, e la fascia alta del contagiri
presenta una banda rossa volta ad evidenziare l’approssimarsi dell’ago virtuale verso la sua
corsa al limitatore. Il display mantiene informati
su tutti i parametri fondamentali, oltre a visualizzare anche il consumo di carburante. Manca
invece l’indicatore de rapporto inserito. Essendo
ovviamente una moto particolarmente vocata al
turismo, la Honda CB500X presenta una lunga
lista di accessori a cui attingere per soddisfare
appieno le esigenze dei chilometristi. Tra questi
figurano un parabrezza rialzato - molto utile se
si necessita di effettuare dei lunghi trasferimenti
autostradali - un set di valigie laterali ed un portapacchi posteriore su cui collocare un bauletto.
A quanto elencato si aggiungono i paramani, le
protezioni per il radiatore, le luci fendinebbia, le
manopole riscaldate, il kit di deflettori laterali e
un’appendice aerodinamica anteriore, oltre al
coprisella monoposto e al sottocodone in tinta.
Design
Caratterizzata da linee fluide ed affusolate, senza
spigoli vivi tipici di molti modelli attuali, la Honda
Prove
CB500X mutua dalla Crosstourer gran parte del
suo linguaggio stilistico e presenta una sezione
in cui la sella si raccorda al serbatoio molto compatta e rastremata. Complessivamente ben rifinita, permette comunque di cogliere alcuni particolari migliorabili negli accoppiamenti, come ad
esempio il tappo del serbatoio amovibile che va
a creare una poco graziosa cavità nei confronti
delle plastiche che lo circondano, oppure altri un
pochettino semplicistici come le leve di freno e
frizione che non presentano regolazioni.
Su strada
Una volta alla guida notiamo da subito una triangolazione comoda ed accogliente, con una sella ampia ed un manubrio alto e largo, oltre che
dotato di tutti i comandi necessari a portata di
dita, eccezione fatta per i due pulsanti posti
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sulla strumentazione. Niente di meglio per dominare la strada, solo le manopole risultano quel
tantino di troppo distanziate tra loro quando la
velocità aumenta, e oltre i 120 km/h emergono
i limiti della protezione aerodinamica rastremata, che permette sì una buona visibilità ma
che rende sensibili i vortici e che contribuisce
a generare un pochino di effetto vela una volta
passata questa soglia. Inserita la prima delle sei
marce, di un cambio che funziona con rigore e
precisione, ci avviamo a percorrere le bellissime
strade guidate dell’entroterra catalano: curve e
controcurve immerse in uno stupendo scenario caratterizzato dai più variegati e caldi colori che la natura spagnola è in grado di offrire e
che sembrano quasi disegnati appositamente
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per permettere alle motociclette di percorrerli.
Il manto asfaltato che corre tra una pendenza e
l’altra lungo un toboga fatto di salite e scollinamenti è infatti la condizione migliore per godersi
la piccola crossover di Casa Honda. La CB500X
è una moto pensata per dare il meglio di sé proprio nella situazione appena descritta. Il bello di
questa moto sta appunto nel ricercare la guida
bella e pulita, nel raccordare perfettamente tra
loro in rapida successione le curve, pennellando
la tela del manto stradale con la linea tracciata
dalla matita della ruota anteriore e gestita dalla
mano che controlla la manetta del gas. Il motore
non imbarazza, e non deve farlo. E’ una Honda,
e come tutte le moto del costruttore nipponico
ti fa sentire a casa dopo aver percorso cinque
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Prove
Il bello di questa moto sta appunto nel
ricercare la guida bella e pulita, nel raccordare
perfettamente tra loro in rapida successione le curve
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ZOOM
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HondaCB 500 X ABS 6.100 €
Tempi: 4
Cilindri: 2
Cilindrata: 471 cc
Disposizione cilindri: in linea
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 48 cv (35 kW) / 8500 giri
Coppia: 43 Nm / 7000 giri
Marce: 6
Freni: D-D
Misure freni: 320-240 mm
Misure cerchi (ant./post.): 17’’ / 17’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Peso: 178.4 kg
Lunghezza: 2095 mm
Larghezza: 830 mm
Altezza sella: 810 mm
Capacità serbatoio: 17.3 l
Segmento: Turismo
ABBIGLIAMENTO
metri in sella. Facile da usare e in grado di soddisfare i palati più disparati: dall’utente navigato
che desidera acquistare una moto divertente
e poco impegnativa al neofita che necessita di
qualcosa con cui imparare e che ha lo sguardo già rivolto verso il turismo. L’erogazione è
sempre lineare, senza però mai disdegnare una
buona propensione all’allungo. Non ha picchi di
potenza particolarmente avvertibili nel corso
dell’escursione dalla fascia bassa a quella alta del
contagiri e concorre con la ciclistica ad infondere
quella sensazione di confidenza e bilanciamento
che poche moto sanno trasmettere ai neofiti e
non solo. Il bicilindrico 500 risponde dolcemente
ai richiami del gas e risulta inoltre essere pronto
e pieno sin dai bassi regimi. Scontato per un bicilindrico? Forse, ma se questo è vero lo è altrettanto il fatto di non essere così scontata la pressoché totale assenza di vibrazioni, così come
non è scontata anche l’omogeneità della sostanza, dicasi coppia e potenza, percepita. Certo,
l’architettura dell’unità nipponica è in linea e non
a V, eppure l’erogazione è insieme regolare e di
carattere, una fatto non così frequente in questa classe di cilindrata. Quasi da motore ancora
poiù frazionato. Tanto equilibrio motoristico è
corrisposto da un’altrettanto calibrata ciclistica.
Il retrotreno si dimostra ben tarato e l’avantreno infonde sicurezza. L’unica pecca è costituita
dall’assenza di un secondo disco del freno; non
che l’impianto che equipaggia la CB500X pecchi
di efficacia, dimostra anzi un’elevata modulabilità ed un’accettabile potenza mentre l’ABS non
è invasivo nell’intervento, ma un pochettino di
mordente in più non avrebbe affatto stonato in
certe situazioni, ad esempio a pieno carico.
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SCHEDA TECNICA
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Casco Caberg Ego Kuma
Giacca Dainese
Guanti Dainese Druids
Stivali Dainese
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News
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Concept Ninety
Da Roland Sands per i 90 anni di BMW
di Edoardo Licciardello | Ricorrono i 90 anni di BMW e i 40
anni dalla nascita della famosa R90S. L’interessante Concept
Ninety è nata in collaborazione con lo specialista americano,
ed ex pilota, Roland Sands per festeggiare l’anniversario
I
n occasione del Concorso d’Eleganza Villa
d’Este 2013 BMW Motorrad ha presentato - per la prima volta “in carne ed ossa”
dopo l’anticipazione grafica dello scorso
EICMA - la Concept Ninety, un omaggio a quella
R90S (appena entrata negli “anta”) che aveva
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fruttato alla Casa bavarese il primo titolo AMA
Superbike. Roland Sands, ex pilota nonché titolare e vulcanica mente dell’atelier di customizzazione californiano RSD, ha collaborato con il
marchio dell’elica per realizzare una special a dir
poco spettacolare e spettacolosa.
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R90S, quarant’anni e non li dimostra
Nata nel lontano 1973, la BMW R90S rappresentava il modello di punta della gamma BMW ed era
una delle moto di serie più veloci del mondo. La
colorazione Daytona Orange (nome che richiama la vittoria nella 200 miglia corsa sul catino più
veloce dell’epoca) graziava sovrastrutture aerodinamiche all’avanguardia, prese rapidamente
ad esempio da diversi modelli della concorrenza.
La Concept 90 riprende fedelmente il discorso
estetico e tecnico di quella prima R90S: sportiva
nell’estetica e nella sostanza - che ipotizziamo
ripresa in profondità dalla R1200S recentemente uscita di produzione - ricalca le proporzioni
dell’antenata, con la netta demarcazione fra
la tenica di motore (giustamente ancora nella
versione aria/olio e non in quella, più moderna,
con tecnologia di raffreddamento di precisione)
e telaio neri e la carrozzeria realizzata a mano
in alluminio che fa il verso alla colorazione originaria. Il faro anteriore circolare a LED rappresenta la versione moderna dell’unità alogena
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News
dell’epoca, e fa da “traino” ad un gruppo serbatoio/sella integrato.
Roland Sands Design
Realizzate esclusivamente per la BMW Concept
Ninety le componenti pensate da RSD.
Elementi di spicco comprendono la copertura
anteriore del motore e quelle delle valvole, oggetto di lavorazione scrupolosa, nonché il sistema di scarico.
Tutto è stato realizzato attraverso un processo
di taglio a contrasto che genera un pregevole
“stacco” rispetto alle componenti meccaniche
nere. Sempre opera di Roland Sands i comandi
freni e frizione, forcellone Paralever posteriore e
filtro aria sotto la sella.
Una simile attenzione per le componenti dinamiche anche nascoste (filtro dell’aria...) fa ipotizzare per la Concept Ninety un futuro non necessariamente legato alle sole esposizioni, ma ben più
attivo, magari con un modello di piccola serie da
guidare su strada e pista.
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Mission Motors
arriva la Mission RS
Una supersportiva elettrica direttamente derivata dalla Mission R
capace di disintegrare la concorrenza nell’AMA e-Power con i suoi
160 cavalli
E
ra il 2011 quando Steve Rapp, in sella
alla Mission Motors R, annichilì a Laguna Seca la concorrenza nella categoria
e-Power girando sui tempi delle Supersport. Ci sono voluti due anni ma la versione
stradale, largamente annunciata a suo tempo, è
arrivata. Il nome è cambiato in Mission RS (Race
Special), ma la sostanza è largamente immutata
- uno dei benefit della propulsione elettrica. 160
cavalli (avete letto bene...), pacco batterie da
17KWh che garantisce un’autonomia fra i 200 e
i 200km a seconda dell’utilizzo e purtroppo un
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prezzo da far impallidire una qualsiasi ipersportiva top di gamma attuale: 59.999 dollari! Un prezzo giustificato da una produzione in piccolissima
serie (solo 40 esemplari, a celebrazione del distacco in secondi rifilato al primo degli inseguitori nella storica gara di Laguna Seca) e dalla dotazione di primissimo livello: cerchi BST in fibra di
carbonio, sospensioni Ohlins in specifica racing
e impianto frenante Brembo “da MotoGP”, qualunque cosa possa voler dire. E’ molto probabile
che arrivi però anche una successiva versione,
dal nome di Mission R (esatto, come la versione
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da gara - siamo confusi anche noi) che per “soli”
29.999$ vi offrirà pacchi batterie meno performanti e una dotazione meno prestigiosa. Il che
significa sempre Ohlins, Brembo e quant’altro,
ma nelle versioni meno costose e raffinate. Da
notare che in entrambi i casi il tempo di ricarica
dovrebbe essere in qualche modo compatibile
con un’uso più tipicamente motociclistico rispetto a proposte analoghe: si parla di circa due ore
con una normale presa di corrente. Entrambi i
modelli godranno naturalmente di una dotazione
elettronica estremamente sofisticata: il software è di tale rilevanza nella gestione del mezzo da
meritarsi una denominazione (MissionOS) analoga a quella dei sistemi operativi di computer e
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device mobili. Il cruscotto non si limiterà a dare
le classiche informazioni a cui siamo abituati, ma
grazie all’integrazione con Google e alla connessione internet iperveloce fungerà anche da navigatore, retrovisore e sarà in grado di connettersi
con dispositivi Bluetooth (casco con strumentazione sovrimpressa alla visiera stile HUD aeronautico, cellulari, palmari, nonché la telecamera
installata di serie sul cupolino che potrà registrare le prodezze del pilota con sovrimpressione dei
dati del GPS).
La Mission RS dovrebbe arrivare nell’estate
2014, con la meno ambiziosa Mission R che entrerà in produzione al termine delle consegne
della RS.
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determinando la conseguente chiusura dell’unità produttiva varesina. Il rapporto fra MV e
Husqvarna, precedentemente alla crisi avvenuta
durante la gestione BMW, ha avuto una durata
ventennale. Fu infatti la Cagiva dei fratelli Castiglioni, Claudio e Gianfranco, ad acquistare il
marchio Husqvarna nel 1987. Lo stesso anno nel
quale venne rilevata anche la Ducati che navigava in cattive acque. La Cagiva aveva appena vinto due campionati del mondo di motocross, nel
1985 e 1986, e avrebbe poi conquistato anche la
Paris Dakar nel 1990 e 1994. Dal nulla la Cagiva
creò la nuova gamma di moto Husqvarna, che
da molto tempo era inesistente. In questo periodo le Husky nate sotto la proprietà Cagiva, e
successivamente MV Agusta, hanno saputo conquistare venti titoli mondiali nell’enduro, tre nel
motocross e due nel supermotard. Tanto che nel
2007 la BMW, che voleva allargare la sua azione, comperò da MV la Husqvarna per una cifra
prossima ai cento milioni di euro. «Ho riflettuto
molto sul caso Husqvarna – dice Giovanni Castiglioni dalle colonne de La Provincia di Varese - e
se ci fosse un pacchetto percorribile con tutte le
condizioni sostenibili, economiche, finanziarie,
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sindacali e ministeriali, potrei essere interessato
al sito di Cassinetta. Premesso che non ho parlato con nessuno di nulla, a determinate condizioni
questa possibilità potrebbe essere esplorata».
«Se mi chiedono se ho bisogno adesso di 200
dipendenti in più o di uno stabilimento la mia risposta è negativa – ha proseguito Giovanni Castiglioni - ma se c’è un piano industriale ampio,
con il supporto dei vari enti, dello Stato e naturalmente con l’attuale proprietà, che deve fare
la sua parte, potrei valutare di prendermi questo
rischio».
L’amministratore delegato di MV risponde quindi prontamente alla possibilità offerta dal verbale
d’incontro al Ministero dello Sviluppo Economico, nella fattispecie all’Unità di Gestione Vertenze, del 29 maggio scorso. Incontro al quale
erano presenti anche i rappresentanti di Regione
Lombardia, sindacati confederali e Confindustria
di Varese e nel quale la Pierer Industrie ha dato
disponibilità a “facilitare l’eventuale ingresso di
soggetti imprenditoriali interessati”. Mentre Ministero e isituzioni territoriali, da parte loro, si
sono detti disponibili “a sostenere l’azienda nella
ricerca di nuove soluzioni produttive”.
Stabilimento Husqvarna
Giovanni Castiglioni si fa avanti
Giovanni Castiglioni, alla guida di MV Agusta, si è detto interessato
allo stabilimento Husqvarna di Cassinetta di Biandronno. Una nuova
speranza per 200 e più addetti di Husqvarna ora in cassa integrazione
D
a due anni è alla guida di MV Agusta. Giovanni Castiglioni, figlio del
compianto Claudio, ha dichiarato il
suo interessamento allo stabilimento Husqvarna di Cassinetta di Biandronno (che
peraltro apparteneva già alla sua famiglia prima della cessione a BMW) . Lo ha fatto durante
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un’intervista su La Provincia di Varese. Com’è
noto alla Husqvarna è appena scattata la cassa
integrazione, che durerà tre mesi, per oltre 200
dipendenti su un totale di 240. La nuova proprietà Pierer Industrie ha già deciso lo spostamento della produzione Husqvarna in Austria
a ottobre, creando una nuova società, e quindi
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così bello, e naturalmente è lì che dobbiamo investire. Dieci anni, e il futuro è roseo. Mi ci voleva,
una iniezione di ottimismo. E non di quell’ottimismo da pubblicità, ma di quest’altro ben saldo
sulle conoscenze e i fatti. La verità è che dobbiamo ricordare chi siamo e di cosa siamo stati
capaci. Guardate nel nostro piccolo mondo. Va
bene, la Ducati ora è in difficoltà nelle corse più
importanti, non si può vincere sempre, però vende molto bene la moto sportiva italiana in tutto
il mondo, alla faccia della crisi; e in SBK l’Aprilia
guida la classifica mondiale, la MV va sul podio in
Supersport, la Ducati stessa è vincente in Superstock. Ce la giochiamo, nonostante le difficoltà.
E non ci sono soltanto le moto, perché nell’abbigliamento e nei caschi siamo maestri, Dainese è il leader mondiale degli investimenti nella
C
sicurezza, Givi è il numero Uno dei bauletti sul
pianeta, Piaggio ha inventato lo scooter ed è ancora lì a insegnare come si fa. E potrei proseguire
per mezza giornata, sicuramente dimenticando
grandi nomi. Nessuno è mai riuscito a fondere
creatività e produzione, artigianato e impresa,
come abbiamo fatto noi italiani. Per rendersene
conto basta guardare le fotografie delle Guzzi
degli anni Trenta e Quaranta: le più belle moto
del mondo.
Dunque, ottimismo. Stiamo toccando il fondo?
Ora si tratta di ritrovare l’entusiasmo e di costruire gli strumenti della ripartenza. Arriverà pure
qualche politico di spessore.
Questa uscita di Farinetti me la tengo stretta: tra
dieci anni l’Italia sarà il Paese in maggior crescita
in Europa.
Nico Cereghini
Siamo forti,
basta piangersi addosso!
iao a tutti! Sentite
qua cosa
ho sentito
dire in televisione:
“Tra dieci anni l’Italia sarà il
C’è crisi, non facciamo che parlarne: economica,
Paese in maggior crescita in
Europa”. L’avesse dichiara- finanziaria e anche politica. Eppure ne verremo
to uno dei tanti “esperti” che fuori a testa alta, perché siamo bravi. Parola di
conosciamo, da un mago un imprenditore di grande successo
della finanza o da un politico qualsiasi, la notizia mi sarebbe entrata da un anni fa; Farinetti che ha fondato la sua impresa
orecchio e uscita immediatamente dall’altro, in- nel 2004, ha recuperato aziende in crisi, ha asvece il protagonista è una persona più che affida- sunto 1.800 collaboratori e continua a crescere.
bile: Oscar Farinetti, fondatore della catena Ea- Dunque ho drizzato le orecchie. E vi riporto il retaly, dodici filiali in Italia, nove in Giappone, una a sto. L’Italia è il Paese delle tante eccellenze –ha
New York, a Istambul e a Dubai, una di ottomila continuato Farinetti- che vanno dalla cultura al
metri quadrati in apertura a Chicago. Farinetti design, dalla creatività alla moda, dall’arte alla
che investe nel filone culturale dell’enogastro- bellezza, dai cibi ai paesaggi, dalla montagna al
nomia di qualità, inaugurato da Slow Food tanti mare. Non esiste al mondo un Paese così ricco e
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Editoriale
La verità è che dobbiamo ricordare chi siamo e di
cosa siamo stati capaci. Guardate nel nostro piccolo
mondo
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Nella storia di Opel, le moto compaiono
ben prima della coppia Valentino Rossi e
Opel Adam
di Massimo Clarke | Probabilmente sono in pochi a sapere che una
delle più grandi case automobilistiche, la tedesca Opel, a suo tempo
ha anche prodotto delle ottime moto, tra le quali una assolutamente
unica…a razzo
L
a storia della azienda di Rüsselsheim
è cominciata nel 1862, quando Adam
Opel ha dato inizio alla fabbricazione di
macchine da cucire, ed è sempre stata
legata alla meccanica di precisione. Il notevole
successo ottenuto dai suoi prodotti ha portato a
una rapida crescita e nel 1887 la casa ha cominciato a costruire anche biciclette. Attorno al 1900
aveva circa 1.500 dipendenti e aveva fabbricato
più di 500.000 macchine da cucire.
Nel 1901 Opel inzia a dedicarsi anche
alle moto
La produzione automobilistica è iniziata nel 1899
ed è stata affiancata da quella motociclistica due
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Storia
anni dopo. Il legame della Opel con il mondo della
moto, durato fino al 1930, non è stato continuo
ma si è articolato in tre distinti periodi. Il primo,
durato fino al 1907, ha visto la realizzazione di
modelli quasi tutti monocilindrici, a valvole laterali e con potenze comprese tra 1,75 e 3,5 cavalli.
La trasmissione finale era a cinghia. Queste moto
sono state costruite in numeri interessanti e si
sono fatte valere per le loro ottime caratteristiche, ma in quel periodo la crescita del mercato
automobilistico è divenuta tale da assorbire in
misura sempre maggiore le risorse produttive
della azienda, che tra l’altro era ancora impegnata nella fabbricazione delle macchine da cucire
(terminata nel 1911) e delle biciclette. Alle moto
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Storia
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la Opel sarebbe tornata nel 1914, ma lo scoppio
della prima guerra mondiale ha fatto rimandare
la fabbricazione su grande scala del nuovo motore ausiliario a valvole laterali di 140 cm3, da collocare a lato della ruota posteriore, al 1918. In questo caso l’azienda di Rüsselsheim forniva anche
un veicolo completo, oltre al motore sciolto, che
è stato impiegato anche in alcune competizioni.
Anche moto da corsa
Nel corso dei primi anni Venti la casa ha ottenuto
una serie di importanti successi sportivi grazie
anche a un modello da corsa appositamente studiato e realizzato. Si trattava di un monocilindrico a quattro valvole, comandate mediante aste e
bilancieri, dotato di varie caratteristiche di grande interesse, a cominciare dal raffreddamento
ad acqua e dalla disposizione posteriore dello
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scarico. Per ridurre al minimo il peso, il basamento era realizzato in lega di magnesio (e secondo
alcune fonti pare che anche il pistone fosse in
questo stesso materiale!). Il motore aveva una cilindrata di 204 cm3, ottenuta abbinando un alesaggio di 60 mm con una corsa di 72 mm, ed era
dotato di un grosso volano esterno, collocato sul
lato sinistro. Le gare alle quali questa moto prendeva parte si svolgevano su piste ovali in terra
battuta, ippodromi e velodromi. Questa monocilindrica, apparsa nel 1922, è stata pilotata anche
dallo stesso Fritz von Opel, nipote di Adam e per
diverso tempo grande protagonista della scena
motoristica (il cognome Opel è stato preceduto
da von a partire dal 1918). Nel 1923 è entrata in
produzione una interessante moto, azionata da
un monocilindrico di 148 cm3 direttamente derivato dal motore ausiliario, che è stata ben presto
dotata di valvola di aspirazione in testa (quella di
scarico rimaneva laterale). Questa motoleggera
(il peso era contenuto in una sessantina di chili)
erogava due cavalli. Il cambio era a due marce. La
fabbricazione è continuata fino al 1925, quando
la Opel ha sospeso l’attività in campo moto.
Nel 1928 arrivano le monocilindriche
500
Si è trattata però di una assenza dalla scena di
breve durata perché solo tre anni dopo la casa
ha ripreso la produzione motociclistica nelle officine Elite-Diamant, in Sassonia, recentemente acquisite. I modelli erano analoghi a quelli in
precedenza prodotti con il marchio Neander (dal
nome del progettista). Si trattava di robuste monocilindriche di 500 cm3 realizzate tanto in versione a valvole laterali quanto con distribuzione
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Storia
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ad aste e bilancieri. Erano note come Motoclub
e il modello più sportivo, dotato di due tubi di
scarico, erogava 22 cavalli, una potenza davvero
ragguardevole all’epoca per un motore di quella
cilindrata. Il cambio era a tre marce. Nella parte
ciclistica spiccavano il telaio, costituito da profilati in acciaio uniti mediante chiodatura, e la forcella elastica di insolito disegno. La produzione
di queste moto è terminata nel 1930, quando la
Opel ha definitivamente abbandonato la scena
motociclistica.
“Il mostro”: ecco la moto a razzo
Un posto a sé nella storia merita la straordinaria moto a razzo realizzata da Fritz von Opel nel
1928 e da lui stesso provato sul circuito dell’Avus.
Si trattava di una Motoclub, nella versione più
sportiva, alla quale erano stati aggiunti sei razzi
a propellente solido. In fabbrica la soprannominarono “il Mostro”.
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L’uscita di scena di Fritz von Opel e l’arrivo di GM
Il coraggioso Fritz era noto all’epoca come “uomo
razzo”, in quanto aveva realizzato due vetture e
due aerei dotati appunto di questo sistema di
propulsione. Con la RAK 2, spinta da ben 24 razzi,
all’Avus raggiunse i 238 km/h. Un altro importante record lo ottenne per i veicoli su rotaie, a 254
km/h, con la RAK 3. Alla fine del 1929 Fritz von
Opel lasciò l’azienda e andò a vivere in Svizzera.
Sempre nel 1929, l’80 per cento delle azioni Opel
furono vendute alla statunitense General Motors,
che due anni dopo ne completò l’acquisizione.
Corsi e ricorsi storici hanno visto per la recente
campagna pubblicitaria di Opel Adam, in vendita
dall’inizio del 2013 e con il nome del fondatore
dell’azienda tedesca, il nove volte campione del
mondo di motociclismo Valentino Rossi nel ruolo
di testimonial. Due e quattro ruote si sono incrociate nuovamente.
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I Racconti di Moto.it
“La dinamica”
di Antonio Privitera | Porca noia. Percorrere in automobile
l’autostrada per ore e ore, alternando entrambi i sensi di marcia,
senza mai uscirne se non a fine servizio: è un’asfissia...
I
l racconto che segue è di pura fantasia e
proprio per questo l’autore desidera chiarire che i personaggi coinvolti nulla hanno
a che fare con la realtà per le cui categorie
l’autore nutre il massimo rispetto.
Porca noia. Percorrere in automobile l’autostrada per ore e ore, alternando entrambi i sensi di
marcia, senza mai uscirne se non a fine servizio:
è un’asfissia.
Il fatto è che non succede niente, in autostrada.
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La gente va, la gente viene, al massimo ogni tanto nei servizi notturni tocca fare la buoncostume all’interno delle aree di sosta, quest’ultime
rivalutate come giardini d’amore per automobili
tremolanti. L’acme dell’entusiasmo lo raggiungiamo fermi per due ore con l’autovelox montato
sulla vettura di servizio, magari sotto il sole; fate
un po’ voi.
Quella volta ero con Giulio Pini, ci conosciamo bene perché eravamo insieme al corso per
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agenti. Siamo due poliziotti molto complici, dopo
vent’anni di servizio lui sperava di andare all’anticrimine, io alla scientifica: invece siamo finiti alla
stradale per un gioco di fattori come la destinazione, la disponibilità, l’attitudine e il categorico
rifiuto di chiudersi in un ufficio o, peggio, in una
mensa. Avevo pure chiesto di fare l’agente motociclista perché amo le moto e ne ho persino due,
una d’epoca e un enduro 1200 che uso ogni giorno ma, dopo l’istanza, nessuna risposta.
Eravamo seduti l’uno di fianco all’altro nell’autovettura con i colori d’istituto, in uno di quei rari
pomeriggi piovigginosi e placidi di un’estate sul
punto di iniziare per tutti tranne per chi come me
e Pini avrebbe visto le ferie da lontano, forse a
settembre; ma era, ed è, il mio lavoro e non mi lamento nemmeno quando qualcosa di brutto accade e la porto a casa nascosta nell’animo senza
svelarla a nessuno dei miei cari; lì, ringrazio il cielo di fare un mestiere che posso lasciare dietro la
porta d’ingresso e vorrei gridare che sono fortunato; e lo dico, ma sottovoce.
Pini guardava fisso davanti, io guidavo nell’autostrada poco trafficata attendendo di arrivare
presto alla prossima stazione di servizio perché
avevo una certa urgenza di andare al bagno e
non volevo deliziare il mio caro collega con flatulenze potenzialmente mortali.
La lettura
La radio gracchiava concise comunicazioni di
servizio.
Pini urlò: - Guarda qui! Rallenta! – ancora intontito dai miei pensieri piantai un frenatone che
manco alla Source.
- Cos’è? – chiesi al collega.
- Accosta!- ubbidii e mi fermai a pochi metri da
una moto adagiata su un fianco in corsia d’emergenza, eravamo su di un breve ponte sopra un
fiume. La moto era in fiamme, per terra si vedevano i segni di una lunga frenata e poi di un impatto sulle barriere che aveva certamente causato
la caduta, la fuoriuscita della benzina e il conseguente incendio. Peccato, perché seppure non
nuovissima era sempre una moto e quando vedo
delle motociclette distrutte mi prende male, ci
soffro. Penso a quante emozioni andranno perse
e non vissute, a tutto quello che si sarebbe ancora potuto fare con quella motocicletta; solo dopo
penso anche al conducente e un po’ me ne vergogno. Io penso alla moto, anche quando cado
con la mia. Posso anche non farmi nulla ma se la
moto è danneggiata è una tragedia epocale, non
solo per il costo assurdo dei ricambi ma anche
per lo sfregio indelebile che rimarrà segnato sul
serbatoio, sul telaio, sullo scarico.
- Ale, ci sei? Pronto? C’è nessuno? – mi accorsi
di essere rimasto imbambolato.
- Eh?? Sì!
- Che bordello! Secondo te dov’è il conducente?
- Secondo me… minchia, vuoi vedere che è caduto di sotto?
Ci sporgemmo istintivamente dalle barriere per
guardare il fiume almeno trenta metri sotto di noi
e ci guardammo in volto, pensando alla rottura
di scatole di dovere redigere un verbale per un
incidente probabilmente mortale. Però c’era la
possibilità che il motociclista fosse già andato via
a piedi in cerca di soccorsi, per esempio.
Beh, preso dall’incontenibile voglia di catarsi
che questo fuoco mi ispirava, decisi di fare pochi
metri, uscire dal ponte e addentrarmi nella vegetazione oltre la carreggiata per fare un urgente
check alle parti nobili, dato che avremmo dovuto
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impiegare molto tempo fermi lì per i rilievi e non
avrei certo potuto approfittare del bagno di una
stazione di servizio. Chiesi a Giulio un paio di minuti di pazienza, scavalcai la rete e feci, il verbo
cade a fagiolo, una decina di metri tra alberi di
eucalipto e vegetazione incolta; aveva smesso di
piovere e faceva caldo.
Poi vidi una cosa che mi lasciò di stucco.
A dire la verità credo che anche lui rimase piuttosto sorpreso dal vedere un poliziotto con le
braghe giù e non credo fosse per la visione disdicevole di un tutore dell’ordine sorpreso in posa
non consona alla dignità del suo ruolo.
Insomma, poco oltre nella vegetazione c’era
una splendente Kawasaki Z 900 degli anni ’70 e
a fianco un signore ben vestito, sbarbato, sulla
trentina, alto e aitante, visibilmente sereno, con
uno zaino in spalla. Tutto il mio contrario, che ero
già sudato, oltre i quaranta, altezza media, corporatura esile e nervoso. Molto nervoso, ma dovete capirmi, la posizione non mi aiutava e, per
soprammercato, quando la tieni da un paio d’ore
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inizia a diventare pesante sia l’aria, sia l’umore...
ma siccome io sono sempre operativo, massiccio e incazzato, avvertii che qualcosa puzzava; in
senso metaforico, intendo.
Senza nemmeno rialzarmi i pantaloni, estrassi la
Beretta e gridai:
-Fermo! – e nel frattempo balzellavo verso lo
sconosciuto con i pantaloni della divisa alle caviglie, la pistola in una mano e l’altra che tirava su
le mutande.
L’uomo si girò, alzò le mani e sorrise, chissà poi
perché.
- Non spari, per favore. Uccidere è peccato.
- Che cosa stai combinando?
- Niente e lei, invece? Si dia un contegno. – il tizio
si permise di redarguirmi.
- Poco spirito, dove vai? – chiesi abbassando
l’arma e alzando le braghe.
- A casa, con la mia moto.
- Ah, una Z 900! Che ci fa una moto come quella
nei campi accanto l’autostrada?
- Facevo una passeggiata, magari cercavo un
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luogo appartato dove ritirami e ritrovare me
stesso, proprio come lei… - a me l’ironia piace,
ma quando la faccio io. Quando la fanno gli altri
la rubrico come insolenza.
Gli chiesi i documenti, il tizio disse che non li
aveva d’appresso. A quel punto fui obbligato a
portarlo alla macchina per fargli il terzo grado
assieme a Pini: la cosa puzzava sempre più, nonostante i miei tentativi di serrare le natiche.
- Giulio, guarda che cosa ho trovato lì dietro! –
dissi spingendo il tizio, che avevo pure ammanettato, dentro la macchina di servizio.
- Eh? Ma non eri andato lì per una c… controllata
del territorio circostante e trovare utili indizi per
capire la dinamica dell’incidente?
- Già, e ho trovato questo str… strano signore.
– Misi a parte Giulio di quello che era accaduto
e decidemmo di perquisire quel signore ben vestito: il tizio non fece resistenza, ostentando una
irritante tranquillità. Nelle tasche della giacca
aveva soltanto una lettera sigillata indirizzata a
“Maria”, nient’altro.
Da quel momento e nonostante le nostre insistenze non spiccicò più una parola e mostrò di
essere insensibile persino alla minaccia di passare la notte in gattabuia. Lo lasciammo ammanettato in macchina e andammo a consultarci fuori
dalla volante.
- Mi pare che possiamo passare la palla alla centrale. – disse Giulio allargando le braccia sconfitto.
- No. – risposi.
- Che vuol dire “no”?
- Ma a te uno che in mezzo al nulla parcheggia
una Z 900, è vestito come un damerino nonostante la pioggia, senza un documento addosso,
con uno sguardo così sereno che sembra il Dalai
Lama, con una lettera non affrancata indirizzata
ad una certa Maria e che non risponde alle nostre
domande manco fossimo a Guantanamo, un po’
di curiosità te la smuove o no? Ma che cazzo lo
facciamo a fare questo mestiere?
- Ale, io non mi ci metto in questi ragionamenti. Chiamiamo la centrale, facciamo venire qui
La lettura
un’altra volante, portiamolo in questura e che se
la sbrighino loro.
- Eddai, per una volta che possiamo fare qualcosa di più che avanti e indietro per l’autostrada!
Vediamoci chiaro! Qui c’è un incidente strano, il
corpo del motociclista non si trova, questo non
parla! Ci scappa l’encomio solenne se risolviamo
tutto da noi!
- Va bene, e che vorresti fare?
- Secondo me, dovremmo aprire quella lettera.
- Sei scemo? Non si può fare, c’è la privacy.
- Dai Giulio, magari la lettera ci aiuta a capire meglio quello che sta accadendo qui e chi è il tipo
dentro la macchina!
- Quello non c’è con la testa, Ale! Guardalo: non
parla, fissa il vuoto col suo sguardo da asceta,
non ha un euro, gira senza documenti…
- …ah! Ma glielo abbiamo chiesto come si chiama? Che mestiere fa? Dove abita?
- No, io no. Tu?
- Manco.
- Minchia.
- Vabbè Giulio, ma se anche sapessimo il nome,
cosa cambierebbe?
- Avremmo un punto di inizio, perlomeno.
- Ahhh! Allora ti stai incuriosendo pure tu! Facciamo così, diamoci quindici minuti: se in quindici minuti non abbiamo scoperto niente chiamiamo la centrale e portiamo in questura il tizio, ok?
- Affare fatto. Un quarto d’ora, poi facciamo i bravi poliziotti.
Il motociclista continuò a tacere, nonostante
blandizie e intimazioni. Mancavano cinque minuti allo scadere dei quindici che ci eravamo concessi per sentirci dei grandi investigatori americani capaci di magiche congetture risolutive e
come extrema ratio minacciammo di aprire la
lettera, solo allora lui disse:
- Non importa. So già come andrà a finire.
Con un gesto plateale, Giulio prese la busta e
ne strappò un margine, poi ne spiegò il foglio
contenuto all’interno e iniziò a leggere, dopo
avere gettato un’occhiata al prigioniero, seduto
nel divanetto posteriore della macchina con gli
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sportelli spalancati.
- Senti qui, Ale: “Dolce amore, innanzitutto niente fiori. Detesto l’odore dei fiori marcidi ai funerali, soprattutto al mio; avrò il piacere di vedere
la gente avvicinarsi alla mia bara vuota, sussurrare parole di circostanza e magari scoprirò chi
mi era amico veramente e chi no. Se tutto va
bene farò ritorno da te appena il clamore della
mia scomparsa si sarà placato, credo un paio di
mesi. Ho inscenato tutto; se stai leggendo questa lettera vuol dire che il mio proposito di simulare un incidente in motocicletta dandole fuoco
e facendo credere di essere stato sbalzato dalla sella e caduto nel fiume sottostante ha avuto
successo: il mio corpo non verrà mai trovato e si
penserà che sia stato trasportato nel mare poco
distante e disperso nei flutti. Perdonami se non
ti ho detto nulla dei miei propositi, ma non avevo
altre soluzioni.
Non sai alcune cose: la prima è che la nostra relazione stava per essere scoperta e tu capisci
benissimo che un prete innamorato di una giovane parrocchiana ha le ore contate; questi sono
tempi difficili per la Chiesa e mi avrebbero immediatamente trasferito in una missione in Congo.
I sussurri delle vecchiette nel confessionale mi
hanno avvertito dell’urgenza di fare perdere le
mie tracce, anche per il bene della tua onorabilità.
La seconda è che con i soldi della questua ho
comprato una motocicletta d’epoca, una Z 900
degli anni settanta, che ho sempre tenuto ben
nascosta a tutti. L’inseguivo da un paio d’anni
come una chimera e non appena ne ho trovata
una su internet non me la sono fatta sfuggire.
Miserevolmente, non possedevo denaro a sufficienza per acquistarla (la sai anche tu quella
vecchia storia della castità, povertà, obbedienza… vabbè, cose che si dicono) e ho dovuto ricorrere ai soldi che i fedeli mettevano nel cestino
che passa durante la messa. La nostra parrocchia è in un quartiere ricco e sono bastati un paio
di mesi per accumulare la somma necessaria a
soddisfare la mia passione per le motociclette
54
Periodico elettronico di informazione motociclistica
d’epoca. Alla faccia della crisi, aggiungo.
Credo, però, che qualcuno si sia reso conto della
cosa, perché la perpetua nelle ultime settimane
ha preteso di tenere presso di sé la questua rifiutando di versarla nel conto corrente della parrocchia, tra l’altro guardandomi in tralice. Di quella
vecchia c’è poco da fidarsi e temo che abbia scoperto qualcosa o di noi, o della motocicletta e ho
pensato che non ci fosse altra soluzione che sparire, simulare la mia morte e ricominciare d’accapo. Io non sono come i politici, cui tutto può essere perdonato col passare del tempo: il Vaticano
ha dichiarato tolleranza zero verso quelle piccole
debolezze un tempo tollerate (anche perché altrimenti sai che palle la vita da prete!), specialmente a causa dei numerosi scandali oramai di
dominio pubblico. Insomma, l’atmosfera intorno
a me, e a noi, era diventata rovente.
Amore mio, tornerò presto da te, insieme alla
motocicletta. Distruggi questa lettera e non fidarti di nessuno, non rivelare niente nemmeno a
tua mamma (poi ti racconto cosa ha confessato
manco un mese fa a padre Ignazio!). Tuo, Pancrazio.”
Fu come rivelare ad un bambino che Babbo Natale si era appena scopato la sorella nel giorno
del suo matrimonio: l’iconoclastia più perversa e
disarmante; non rimaneva che dirmi che Valentino Rossi se la intendeva con Biaggi a lume di
candela con la benedizione di Burgess e poi avrei
puntato la Beretta verso di me. Certe cose turbano. Mi scappò pure una flatulenza, ma almeno
ebbe il merito di smuovere un po’ l’aria che era
diventata di ghiaccio. Nel frattempo aveva ripreso a piovere.
- Pancrazio… tu sei il padre Pancrazio della parrocchia di Santa Maria della Guardia, vero?
Ovviamente il tizio tacque ma si vedeva chiaramente che era scioccato, e non dalla puzza. Controllammo il suo zaino, dentro c’era un casco jet,
una tunica da prete, biancheria e venti biglietti da
cinquecento euro. Sarebbe stato più logico e più
professionale dare prima un’occhiata alla zaino,
ma c’eravamo fatti affascinare dalla situazione e
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avevamo perso un po’ di vista la correttezza delle procedure.
- Ale, non ci resta che chiamare la Centrale.
- Giusto. Chiamo io.
- No, ci penso io, Ale.
- No, preferisco parlarci io, perché…
Quest’indecisione fu il nostro ultimo errore: Pancrazio approfittò del momento di esitazione ed
ebbe un guizzo improvviso: uscì fuori dalla volante e corse in mezzo alla carreggiata, dove venne
travolto da una macchina che giungeva a forte
velocità. Sbalzato in aria, fece una capriola strana; forse le mani ammanettate dietro la schiena
influirono sulla dinamica della caduta perché ricadde sull’asfalto praticamente seduto.
Io e Giulio ci intendemmo all’istante e facemmo ricorso a tutto il sangue freddo e alla nostra
esperienza di poliziotti navigati.
Attesi che la macchina si fermasse un centinaio
di metri dopo e ne scendesse un ragazzino bianco come un cadavere e tremante; gli andai incontro, mentre Pini si occupava del prete. Dissi al
ragazzo che aveva combinato un bel guaio, che
quello era morto ma che non doveva preoccuparsi, ci avremmo pensato noi. Lui doveva solo
La lettura
andarsene, lasciarmi i suoi documenti e non fare
mai parola con nessuno di quello che aveva fatto
altrimenti sarebbe andato in galera. Il ragazzino
mi lasciò la patente, disse cento volte sì e mille
grazie e scappò con la macchina ammaccata.
Pini, invece, trascinò il cadavere del prete vicino
alla motocicletta e gli tolse le manette, bruciò la
lettera a Maria e depose il casco jet accanto al
corpo. Tornammo entrambi in macchina, Pini si
mise le mani sulla faccia e mormorò qualcosa,
sconvolto.
Poi fece per prendere la radio ma io gli chiesi di
aspettare un paio di minuti, il tempo di nascondere la Z 900 per bene nella vegetazione: la sarei
venuto a prendere di notte, al riparo da sguardi
indiscreti. Tornai in auto, poi gli dissi:
- Questi sono tuoi. – erano metà dei diecimila
euro che il prete aveva nello zaino. Giulio si mise
i soldi in tasca, quindi prese la radio:
- Centrale, qui Savona/Como 12: incidente sulla A19, motociclista deceduto nell’impatto con
il guardrail a seguito di perdita del controllo del
mezzo per eccessiva velocità. Non ci sono altri
mezzi coinvolti, rimaniamo sul posto in attesa di
ambulanza e per i rilievi.
55
SPECIALE MOTOGP
GP d’Italia
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GARA SOLITARIA
Dovizioso non è riuscito a ripetere lo strepitoso
terzo posto conquistato in qualifica, ma è comunque il primo pilota Ducati al traguardo, quinto, dopo aver perso la quarta posizione all’uscita
dalle Biondetti, superato di slancio da Stefan
Bradl. Come avveniva anche nel 2012, comunque, il potenziale Ducati è questo, con Hayden
sesto a 6”7 dal compagno di squadra e l’ottimo
collaudatore Michele Pirro settimo.
MARQUEZ BRAVO E… ESAGERATO
Lorenzo: “Non era una gara facile, perché con
le alte temperature la Yamaha soffre di più della
Honda, in particolare alla massima inclinazione.
Invece è andato tutto bene: ho subito spinto fortissimo, poi ho dato un altro strappo e Pedrosa
ha detto basta”.
Pedrosa: “Avevo difficoltà a tenere la moto sulla
linea ideale, la moto si muoveva tanto. Lorenzo
mi è andato via, poi mi ha passato anche Marquez, ma ha sbagliato ed è caduto. Meglio per
me, il secondo posto è ok”.
Crutchlow: “Ci fossero stati altri tre giri avrei battuto Pedrosa: è un dato positivo, perché significa
che sono andato in crescendo: sono contento di
aver “rovinato” il podio tutto spagnolo”.
Fuori Rossi, il GP d’Italia è vissuto sulla sfida Yamaha/Honda, con Lorenzo sempre al comando
a dettare il ritmo e le due RC213V HRC in scia
fino al 12esimo giro, quando Jorge ha dato l’ennesimo strappo, lasciando i due rivali spagnoli
a contendersi il secondo posto. Per Lorenzo la
seconda vittoria stagionale, che gli permette di
conquistare il secondo posto in classifica generale a 12 punti da Pedrosa.
Jorge Lorenzo vince al Mugello
di Giovanni Zamagni | Rossi fuori al primo giro e Marquez scivola a
tre giri dalla fine. Lorenzo martella tempi impossibili per gli inseguitori.
Completano il podio Pedrosa e Crutchlow
C
apolovaro di Jorge Lorenzo, con
Dani Pedrosa secondo e Cal Crutchlow terzo. Quinto Andrea Dovizioso,
primo delle Ducati, fuori alla terza
curva – al cambio della direzione della LucoPoggio Secco – Valentino Rossi dopo un contatto con Alvaro Bautista. A terra, a due giri dalla
fine, anche Marc Marquez mentre era in seconda
posizione.
Il sogno di Rossi di tornare sul podio al Mugello
è durato poche centinaia di metri: scattato male
dalla terza fila, Rossi si è trovato, nelle concitate
fasi iniziali, in mezzo al gruppo e dopo aver infilato Alvaro Bautista, si è ritrovato nel cambio di
58
MotoGP
Mentre Lorenzo se ne andava, Pedrosa era sempre più in difficoltà, tanto da essere infilato al
19esimo giro da Marquez alla Casanova-Savelli:
a quel punto, Marc ha preso un po’ di vantaggio,
ma Jorge era troppo lontano per andarlo a prendere. Insomma, poteva controllare la situazione,
ma al 21esimo giro, sempre alla Casanova-Savelli, ha perso il controllo della sua RC213V, finendo
a terra per la quarta volta in tre giorni. Come dire:
Marquez è un pilota fenomenale, ma deve anche
imparare a controllarsi.
DOVIZIOSO PRIMA DUCATI
Come aveva previsto dopo le prove, Andrea
I PRIMI COMMENTI
direzione della prima variante all’interno, davanti, ma comunque sulla traiettoria di Bautista. “Ho
fatto la curva a sinistra, ma nel cambio di direzione mi sono trovato Rossi, ho preso una botta
dalla sua moto: stavo facendo la mia linea, quando ho cambiato inclinazione mi sono trovato lui
sulla traiettoria” spiega Bautista. La sua analisi
è corretta, ma Valentino era avanti, anche se Alvaro non lo poteva vedere. Insomma un classico
incidente di gara, molto differente da quello che
vide coinvolto sempre Bautista nel 2011 a Valencia, quando alla prima curva buttò a terra Rossi,
Hayden, e De Puniet, e nel 2012 ad Assen, quando abbatté Lorenzo.
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Incidente Bautista e Rossi
Vale: “Non mi ha visto, può succedere”
di Giovanni Zamagni | Bautista ha sbagliato, ma è un incidente di gara
- taglia corto Valentino -. Avevo il passo per salire sul podio,
dobbiamo migliorare in qualifica
L’
attesa gara
del
riscatto
di Valentino
Rossi si è tramutata in una non gara, con
Rossi fuori alla prima variante,
la “Luco-Poggio Secco” dopo
un duro contatto con Alvaro
Bautista. “Incidente di gara” ha
sentenziato la direzione corsa,
“incidente di gara” ha confermato Rossi, “incidente di gara”
ha ribadito Bautista. In pratica,
uno di quei classici contatti che
possono accadere poco dopo
la partenza: Valentino era già
davanti e quindi non ha sicuramente nessuna colpa, ma Alvaro non lo poteva vedere e la sua
manovra non è stata quindi né
spericolata né tantomeno volontaria.
“Abbiamo guardato bene le immagini: lui era a sinistra, tutto
all’interno, ha chiuso un po’ la
traiettoria e ha accelerato violentemente per non farsi superare anche da Iannone: io ero
davanti almeno di mezza moto,
ma lui ha detto che non mi ha
visto, pensava che io fossi più
indietro. E’ una spiegazione
plausibile, ci può stare”.
60
E’ ovviamente deluso Valentino, ma non arrabbiato: Bautista non ha colpe, anche se,
obiettivamente, ha sbagliato.
“In partenza mi si è gonfiata la
frizione e quando ho lasciato la
leva ho perso tempo: mi hanno passato Hayden e Bautista.
Alla seconda curva (la Luco,
NDA) ho superato all’esterno
Bautista, lui ha dato gas violentemente e mi ha centrato sul
piede sinistro. E’ stato un brutto botto, in un punto pericoloso, perché io avevo già cambiato direzione: sono andato fuori
pista e per evitare l’impatto
con le protezioni mi sono buttato. Considerando la dinamica
dell’incidente sono anche stato
fortunato. E’ chiaro che Alvaro
ha fatto un errore, ma è un incidente di gara, può succedere”.
Archiviato il contatto con
Bautista, rimane il rammarico
per un’occasione sprecata.
“Sì, poteva essere una gara positiva: a parte in qualifica, dove
comunque ero a due decimi
dalla prima fila, sono sempre
stato veloce in tutti i turni e nel
warm up avevamo migliorato
la messa a punto della moto.
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MotoGP
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Potevo tenere un buon ritmo,
giocarmi il podio. E’ chiaro che
bisogna essere più efficaci in
qualifica, perché più avanti sei
e meno rischi ti prendi: nei 15
minuti del sabato dovrò essere
più veloce e più furbo”.
Riponevi grandi speranze in
questo GP: temi un contraccolpo psicologico?
“No, anche se è chiaro che bisogna metabolizzare la delusione, che è stata grande. Se
non altro, ci sono due aspetti
positivi: fra due settimane si
corre a Barcellona, un’altra pista che mi piace e non mi sono
fatto male”.
Sei sesto in classifica a 56
punti da Pedrosa: dopo cinque gare si può già dire che
sei fuori dalla lotta per il titolo?
“I punti da recuperare sono
molti e davanti ho tanti piloti
che vanno forte: in particolare,
Lorenzo e Pedrosa sono sempre veloci, in ogni condizione.
E’ chiaro che è molto difficile
recuperare, ma il campionato è
lungo: dobbiamo però migliorare su tanti aspetti”.
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Gp d’Italia, l’analisi dei protagonisti
di Giovanni Zamagni | Non è stato un GP troppo esaltante, per la
netta superiorità di Lorenzo e per l’immediata uscita di scena di Rossi.
Come al solito, a regalare un po’ di spettacolo è stato Marc Marquez
N
on è stato un GP troppo esaltante, per la netta superiorità di Jorge
Lorenzo e per l’immediata uscita di
scena di Valentino Rossi.
Come al solito, a regalare un po’ di spettacolo è
stato Marc Marquez, caduto mentre era secondo: se fosse salito sul podio per la quinta volta
consecutiva sarebbe stato un primato assoluto.
Vediamo di capire meglio cosa è successo nel GP
d’Italia.
62
Questo è il terzo successo consecutivo di Jorge Lorenzo al Mugello: come mai è così forte in
questo tracciato?
I continui cambi di direzione, i curvoni veloci
da percorrere in appoggio esaltano le qualità
di guida del pilota spagnolo e le caratteristiche
della Yamaha. Lorenzo sapeva di avere qui una
buona possibilità di successo e l’ha sfruttata al
meglio, superando anche in maniera piuttosto
decisa Pedrosa alla prima curva, come spiega lo
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stesso campione del mondo. “Sapevo che dovevo provare a passare Pedrosa il prima possibile,
per questo sono stato molto aggressivo alla San
Donato. Chiedo scusa a Dani, ho preso qualche
rischio, ma lo dovevo fare, perché volevo stare
davanti a imporre il mio ritmo: era la mia strategia. Più merito mio o della Yamaha questo successo? Non lo so, ma è chiaro che senza una
moto competitiva non puoi vincere: questo è un
tracciato favorevole alla M1”.
Come mai Dani Pedrosa è andato in crisi dal
13esimo giro in poi?
Risponde Pedrosa: “Fin da venerdì, la mia moto
scivolava tanto, non so bene perché, forse per il
tipo di gomme scelte dalla Bridgestone. All’inizio
ero molto motivato, sapevo che Lorenzo sarebbe
stato velocissimo, ho forzato tanto sull’anteriore
MotoGP
per tenere il suo passo, ma quando la gomma posteriore ha cominciato a perdere grip non riuscivo più a controllare la moto: perdevo in entrata e
nei cambi di direzione. Credo che in queste gare
bisogna essere intelligenti e accontentarsi di un
piazzamento”.
Perché Marc Marquez è caduto al 21esimo giro
all’uscita della Casanova-Savelli?
Risponde Marquez: “Guardando i dati dell’acquisizione, sembra che io abbia fatto tutto come nel
giro precedente. Sinceramente ero stato molto
più aggressivo quando avevo superato Pedrosa
(sempre alla Casanova-Savelli, due giri prima,
NDA), mentre quando sono caduto non mi sembra di aver fatto niente di anomalo, stavo solo
cercando di conservare il margine acquisito (circa un secondo, NDA) su Pedrosa”.
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MotoGP
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La quarta caduta in tre giorni, può avere ripercussioni psicologiche su Marquez?
Io dico di no e lo dimostra il nuovo primato della
pista ottenuto da Marc al secondo giro: dopo le
“bastonate” prese in prova, lo spagnolo non ha
avuto nessun timore a spingere fortissimo fin
dai primi secondi. Piuttosto, ancora una volta,
Marquez ha stupito per la sua capacità di apprendimento e se fosse salito sul podio sarebbe stato veramente qualcosa di eccezionale.
“E’ vero - conferma – sono caduto 4 volte, ma
ho imparato tanto per i prossimi GP. E poi sono
scivolato mentre ero secondo, non mentre stavo
lottando per la quinta o sesta posizione. Non dimentichiamo che sono un debuttante: non avrei
mai creduto di poter essere a questo punto del
campionato terzo in classifica generale”.
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Come mai Andrea Dovizioso non è riuscito a
battere Bradl?
Risponde Dovizioso: “Nell’ultimo giro ci siamo
superati quattro volte: è stato divertente. Purtroppo, ero troppo al limite, appeso alla moto per
girare in 1’49”1 e tenere il passo di Bradl: nelle
Biondetti non potevo tenere la linea ideale e lui è
riuscito a superarmi facilmente”.
Come mai Andrea Iannone ha faticato
così tanto sia in prova sia in gara?
Venerdì, Andrea era stato abbastanza rapido,
ma poi non è più riuscito a trovare una messa a
punto che lo soddisfacesse.
Inoltre, dopo gli infortuni, Iannone è a corto di
preparazione fisica.
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Le pagelle del Mugello
di Giovanni Zamagni | Lorenzo 10! Otto per Pedrosa e Crutchlow,
entrambi sul podio. Otto anche per i ducatisti Dovizioso e Pirro.
Non vanno oltre al 5 Rossi e Marquez
DANI PEDROSA
JORGE LORENZO
10
Soltanto Pedrosa è riuscito a stargli da- 8Sembrava che sabato pomeriggio fosse riuvanti in qualifica – per un solo giro e per appena scito a risolvere i problemi della Honda, invece in
69 millesimi -, per il resto il campione del mondo ha sempre dettato il ritmo, sia in prova sia in
gara, dimostrando una forza impressionante. Al
Mugello è imbattuto da tre anni: solo Valentino
Rossi ha un primato (sette successi consecutivi)
migliore del suo. Su questo tracciato la M1 era
competitiva, ma lui ci ha messo tanto del suo.
66
gara ha faticato più del previsto. Il suo obiettivo
è il titolo mondiale e corre di conseguenza: sapendosi accontentare di un piazzamento quando
non è in grado di vincere. Giusto così.
CAL CRUTCHLOW
8
Non gli si può chiedere di più, sta ottenendo
il massimo con la moto che ha a disposizione.
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Se fosse stato più aggressivo nei primi giri,
avrebbe potuto anche arrivare davanti a Pedrosa, ma, sinceramente, non gli si può rimproverare nulla. Inconcepibile che la Yamaha gli preferisca Pol Espargaro.
STEFAN BRADL
6
Il piazzamento è buono, ma favorito anche
dalle cadute altrui. In ogni caso, di questo non lo
si può colpevolizzare, ma i 19”321 subiti dal primo sono tutti colpa sua: non riesce a fare il salto
di qualità, non entusiasma mai.
MotoGP
possibile: per la quarta volta, su cinque GP, è il
primo al traguardo in sella alla GP13.
NICKY HAYDEN
6,5
Arriva alle spalle del compagno di squadra, dopo essergli stato anche davanti in gara:
in prova è sempre inferiore a Dovi, ma in gara è
più o meno sempre al suo livello, anche se, comunque, si è “beccato” quasi sette secondi. E’
commovente per la dedizione che ci mette: da
tre anni i problemi della Ducati sono sempre gli
stessi, ma lui prova comunque a dare il massimo.
Professionista.
ANDREA DOVIZIOSO
8
Entusiasma in prova, conquistando una priMICHELE PIRRO
ma fila che fa sognare i ducatisti, nonostante 8Fa il collaudatore, ma è al terzo GP consecucondizioni fisiche non certo ottimali. In gara, tivo e dalla prossima gara sostituirà (definitivapurtroppo, può solo difendersi, ma lo fa nel migliore dei modi, ottenendo il massimo risultato
mente) Spies. Va veloce e non fa danni: non gli si
può chiedere di più.
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MotoGP
YAMAHA M1
In grande difficoltà fino al GP scorso, al Mu9
gello la Yamaha è tornata a volare, “perché non
ci sono curve lente da prima marcia”, ha spiegato Lorenzo. Su questo tracciato non c’era alcuna
differenza con la Honda, anzi.
HONDA RC213V
Anche quando fatica, rimane una moto più
8
che competitiva: al Mugello ha sofferto per le
gomme, ma la differenza più grande la fatta il pilota (Lorenzo), più che la moto (Yamaha).
DUCATI GP13
Non cambia niente: efficace per un giro, in
5
affanno sulla distanza. Ci vogliono delle novità,
forse una rivoluzione: non è semplice, ma così è
deprimente.
ALEIX ESPARGARO
8
Costantemente il migliore tra le CRT in prova
e in gara: guida bene e sbaglia raramente. E’ lui
quello forte della famiglia Espargaro.
apprendimento. A mio modo di vedere, è impressionante che dopo tutto quello che gli è successo
in prova, sia stato in grado di realizzare il primato
della pista e di lottare per il secondo posto fino a
tre giri dalla fine.
BRADLEY SMITH
VALENTINO ROSSI
5
D’accordo, era messo male fisicamente,
con il mignolo sinistro che dovrà essere operato 5La sua colpa – grande – è quella di non essere andato oltre il settimo posto in prova e di aver
(probabilmente oggi) e una micro frattura a uno
scafoide. Prendere due secondi al giro con una
Yamaha competitiva è comunque troppo.
ANDREA IANNONE
4
Un fine settimana da dimenticare: forse Andrea è arrivato al Mugello con troppa aspettati-
va. La pressione gli ha giocato un brutto scherzo.
MARC MARQUEZ
E’ vero, è caduto troppe volte e avreb5
be potuto farsi parecchio male, ma continua
a sorprendere per la capacità e la velocità di
68
sbagliato la partenza: quando scatti così indietro, le possibilità di un incidente, di un contatto
crescono esponenzialmente. Per il resto, in prova ha dimostrato che il podio era ampiamente
alla sua portata.
ALVARO BAUTISTA
4
Non ha commesso un errore clamoroso ed
è vero che non poteva vedere Rossi, ma è stato
comunque Alvaro a sbagliare.
Anche in prova era indietro, solo nono: fa troppa
fatica.
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MotoGP
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MotoGP Mugello
Classifica
70
Classifica Generale
Pos.
Pilota
Punti
Pos.
Pilota
Punti
1
Jorge LORENZO
25
1
Dani PEDROSA
103
2
Dani PEDROSA
20
2
Jorge LORENZO
91
3
Cal CRUTCHLOW
16
3
Marc MARQUEZ
77
4
Stefan BRADL
13
4
Cal CRUTCHLOW
71
5
Andrea DOVIZIOSO
11
5
Andrea DOVIZIOSO
50
6
Nicky HAYDEN
10
6
Valentino ROSSI
47
7
Michele PIRRO
9
7
Nicky HAYDEN
45
8
Aleix ESPARGARO
8
8
Alvaro BAUTISTA
38
9
Bradley SMITH
7
9
Stefan BRADL
38
10
Hector BARBERA
6
10
Aleix ESPARGARO
28
11
Randy DE PUNIET
5
11
Bradley SMITH
24
12
Danilo PETRUCCI
4
12
Michele PIRRO
22
13
Andrea IANNONE
3
13
Andrea IANNONE
21
71
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MotoGP
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Prima immagine ufficiale
per la Honda Production Racer GP
di Edoardo Licciardello | La Casa di Tokyo ci regala
un’anticipazione della MotoGP per i privati. Leggermente
in ritardo rispetto ai programmi, arriverà comunque in tempo
per i test in vista del prossimo anno
S
olo qualche giorno fa Shuhei Nakamoto aveva rilasciato qualche informazione molto generica riguardo
all’attesissima Honda Production
Racer, ovvero la MotoGP che la Casa di Tokyo
metterà a disposizione dei team privati di seconda fascia ad un prezzo calmierato di un milione
di euro, ed ecco qui anche una foto. Il dettaglio
è abbastanza scarso, e non permette di capire
granché sul mezzo - ci limitiamo a notare che il
collaudatore dovrebbe essere Tadayuki Okada,
almeno a giudicare dalla tuta, e che la pista è Motegi, ipotesi confermata dal comunicato stampa.
La carenatura assomiglia molto a quella della
RC213V, ed in generale la moto sembra staccarsi decisamente dalla CRT messa in pista a partire
dallo scorso anno dal Team Gresini. Non abbiamo molte informazioni a riguardo se non quanto
dichiarato da Nakamoto la scorsa settimana: la
moto, per contenere i costi, sarà priva di cambio
seamless e comando distribuzione pneumatico
(con il passaggio alle 990 ad alesaggio fisso i
72
regimi di rotazione sono calati, rendendo nuovamente percorribile la strada dei comandi tradizionali), e pur non avendo indicazioni a riguardo
è facile ipotizzare una gestione elettronica demandata alla centralina unica Marelli attualmente in fase di sviluppo. Le componenti accessorie
- freni e sospensioni - saranno Nissin e Showa,
attualmente in fase di sviluppo nei team Gresini
ed LCR ad opera di Stefan Bradl ed Alvaro Bautista. Il debutto della Production Racer era inizialmente previsto per i test di Barcellona (dove sarà
presente, almeno stando ai programmi dichiarati, la nuova Suzuki) ma è stato rimandato a data
successiva a causa di ritardi nello sviluppo. La
foto che vedete si riferisce ad un test svolto, naturalmente a porte chiuse, giovedì e venerdì della
scorsa settimana. «I risultati sono stati superiori
alle aspettative, soprattutto per quanto riguarda
il comportamento dinamico» ha commentato
entusiasta Nakamoto stesso. «Siamo molto soddisfatti in questo momento, e vi daremo altri dettagli in un prossimo futuro».
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dopo pochi giorni. La giornata ha visto De Puniet
inanellare diverse tornate grazie ad un clima più
che favorevole (i presenti hanno parlato di 28°)
sotto l’occhio di Davide Brivio, ormai ufficialmente alla guida della squadra Suzuki. Non sono
stati comunicati riscontri cronologici ufficiali, ma
gli astanti parlando di un miglior tempo attorno
all’1’47, prestazione più che onorevole per un debutto, allineata ai riscontri avuti dai collaudatori
e ai tempi delle CRT in attesa del primo confronto diretto con le concorrenti nei test ufficiali di
Barcellona, che si terranno il lunedì successivo
alla gara del prossimo 16 giugno. Non si hanno
ancora informazioni precise in merito alla moto,
anche se pare ormai accertato che la nuova Suzuki sia una quattro cilindri in linea con fasatura
a croce (schema portato al debutto dalla Yamaha nel lontano 2004 sulla sua M1 e successivamente adottato dalla Kawasaki ZX-RR sulla moto
MotoGP
portata in gara dal team Hayate dopo il ritiro della Casa di Akashi) che potrebbe semplificare la
vita ai tecnici di Hamamatsu quando dovessero
realizzare motori o moto complete destinate ai
Team privati.
Più complicato ipotizzare ricadute sulla produzione di serie, anche se Suzuki ha una lunga tradizione in termini di stradali “rapite dalle corse”
- si pensi solo alle gloriose RG ed RGV Gamma a
due tempi degli anni 80, o alla stessa GSX-R750
SRAD del 1996 il cui telaio ricalcava fedelmente
le misure della RGV campionessa del mondo con
Kevin Schwantz nel 1993. Non si hanno indicazioni ufficiali in merito ai piloti che potrebbero salire sulla Suzuki l’anno prossimo, anche se come
già detto la scelta di Randy De Puniet per questo
test lascia ipotizzare che il francese sia candidato ormai certo per una delle due moto che verranno schierate nel 2014.
De Puniet in pista con la Suzuki 2014
di Edoardo Licciardello | Il francese ha effettuato il primo test
in sella alla MotoGP con cui la Casa di Hamamatsu tornerà in
MotoGP nel 2014. Lo rivedremo in sella alla Suzuki a Barcellona
L
a pista di Motegi è molto impegnata, di
recente: dopo il debutto quasi pubblico della Honda Production Racer della settimana scorsa stavolta è il turno
della Suzuki, protagonista di un primo shakedown con un pilota “vero” in sella grazie alla gentile ospitalità di Honda, padrona del tracciato. E’
consuetudine infatti dividere le piste durante test
privati per dividere le spese (ultimo esempio le
prove effettuate ad Austin nel precampionato),
meno comune invece vedere case concorrenti
provare sui tracciati di proprietà di una delle rivali. Grande quindi la dimostrazione di sportività
da parte di Honda, ufficializzata da Enrico Borghi
su Motosprint di oggi. E’ stato Randy De Puniet,
74
attualmente impegnato sulla CRT ART del team
di Aspar Martinez a mettere alla frusta la nuova
quadricilindrica con cui la Casa di Hamamatsu
ha già annunciato il rientro nel Mondiale dell’anno prossimo. Randy ha già... mezzo sedere sulla
sella per l’anno prossimo, grazie ad una velocità
pura fuori discussione (la regolarità può essere
considerata un altro discorso) e alla notevole
esperienza nella massima categoria. Il francese,
cinque vittorie in 250, ha infatti corso con Kawasaki, Honda e Ducati oltre ad essere stato l’ultimo
pilota a salire in sella alla Suzuki GSV-R durante
i test di Valencia del 2011, quando il ritiro della
squadra guidata da Paul Denning non era ancora
stato deciso ufficialmente. L’avventura naufragò
75
Dietro le
quinte della
MotoGP:
Francesco
Guidotti
di Giovanni Zamagni | E’ giovane, ma ha già
una grande esperienza avendo lavorato per tre
Case motociclistiche importantissime come KTM,
Aprilia e adesso Ducati. Francesco ha frequentato
il Motocross e lavorato in SBK, 125, 250, e MotoGP
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E’
giovane, ma
ha già una
grande esperienza avendo lavorato, tra gli altri, per tre
Case motociclistiche importantissime come KTM, Aprilia
e adesso Ducati. Del resto, a
soli quattro mesi Francesco
Guidotti era già in un campo da
cross assieme a papà Fabrizio,
per anni punto di riferimento
dell’Aprilia e scopritore di tanti campioni della velocità. Una
eredità che Francesco porta
avanti nel migliore dei modi,
grazie a una passione profonda e a conoscenze invidiabili in
tutti i settori del motociclismo.
Perché Francesco, a differenza
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di molti suoi colleghi team manager, ha frequentato o lavorato nel motocross, in SBK, in
125, in 250, in MotoGP.
Nome e cognome?
«Francesco Guidotti».
Nato dove e quando?
«Firenze, 25 novembre 1972».
Prima gara di moto che hai
visto?
«Non me la ricordo perché
avevo circa 4 mesi: mio babbo
lavorava nel motocross e mi
portò a marzo alla prima gara
di campionato».
Qual è invece la prima gara
che ti ricordi?
«Avrò avuto 5-6 anni, sempre
di motocross “nazionale”: può
essere Montevarchi, Maggiora,
Fermo, Faenza…».
Insomma, la passione per le
moto è nel DNA familiare.
«Sì, è così».
Che scuola hai fatto?
«Istituto Tecnico Industriale,
al Meucci di Firenze. Poi sono
andato a lavorare nell’azienda
di famiglia: era troppo grande
la passione per continuare a
studiare».
Hai iniziato facendo cosa?
«Il meccanico. Per la verità,
allora si faceva un po’ di tutto:
le strutture erano piccole e non
si faceva un lavoro solo. A quei
tempi, a fine degli anni Ottanta,
mio babbo aveva già inizi ato la
collaborazione con l’Aprilia per
la velocità – era il riferimento
per i piloti privati che usavano
le RSW replica “Reggiani” - e
le moto si preparavano a casa
e non in pista, come invece
avviene adesso. Durante l’inverno montavamo le moto, che
poi venivano vendute, quindi
facevamo assistenza tecnica
in pista. Poi ho cominciato la
gestione di piccoli team, poi
il team Italia 250 e così via:
progressivamente ho smesso di occuparmi della parte
manuale, anche perché se ne
occupavano persone più brave
di me. C’è stata una evoluzione gestionale all’interno della
squadra, ci voleva una persona
che stesse dietro alla parte organizzativa, perché le esigenze
crescevano con l’aumentare
del gruppo: così, quasi senza
accorgermene mi sono trovato
a fare più un lavoro di gestione,
organizzazione e amministrazione, che non la parte tecnica,
meccanica».
Adesso qual è il tuo ruolo
esatto?
«La dicitura è “Team Manager”
Ducati-Pramac, ma è un lavoro che negli ultimi 10-15 anni è
MotoGP
cambiato moltissimo. E’ anche
differente se fai il team manager per una Casa ufficiale o
per una squadra satellite come
questa, anche se lavoriamo in
stretto contatto con la Ducati».
Proviamo a specificare meglio: tu hai fatto il team manager di squadre ufficiali come
KTM (in 125 e 250) e Aprilia
SBK, mentre adesso lavori per una squadra satellite.
Puoi dire esattamente cosa fa
un team manager e qual è la
differenza tra squadra ufficiale e satellite?
«Intanto, la preparazione della
stagione è molto differente. Il
team manager di una squadra
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o meno di un problema sulla
moto. Il team manager deve
anche aiutare il capo-tecnico,
l’ingegnere di pista, il pilota nella strategia gara e prove, come
per esempio la scelta della
gomma».
ufficiale deve proporre, è lui che
deve cercare di dare un indirizzo al team, ma alle spalle ha una
Azienda che deve dare una giustificazione alle corse, secondo
una strategia ben precisa che
dipende da fattori come il marketing e la comunicazione. C’è
anche un ufficio legale, che segue tutta la parte contrattuale,
delle sponsorizzazioni, con una
struttura complessa ed articolata: ogni reparto ha le sue
esigenze, le sue difficoltà e il
team manager deve cercare di
mettere insieme tutti i “pezzi”.
Inoltre, in una squadra ufficiale,
solitamente ci sono piloti di
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un certo livello, con determinate caratteristiche, con una
forte personalità: insomma, la
gestione è abbastanza complessa, ma hai anche tanti
strumenti da utilizzare, hai un
supporto alle spalle. In una
squadra privata, devi fare un
po’ tutto da solo: dalla parte
legale alla comunicazione e alla
logistica. Le necessità sono più
modeste, ma anche le disponibilità e ti devi confrontare con
le squadre ufficiali: insomma è
piuttosto difficile».
In pista cosa fa un team manager?
«Deve essere il riferimento per
tutto le persone che lavorano all’interno della squadra, a
partire dai piloti. Devi tenere i
rapporti con la Casa “madre”,
nel nostro caso la Ducati, devi
soddisfare gli ospiti che vengono in circuito, devi tenere i
rapporti con la stampa: è molto
articolato».
E dentro al box cosa fai?
«Dentro al box sono soprattutto i tecnici a lavorare: personalmente, ho piacere di sapere,
anzi devo sapere cosa succede:
grazie al mio passato “tecnico”
ho la percezione della gravità
Ma il team manager è una figura assolutamente indispensabile o potrebbe esistere
una squadra senza team manager?
«Chiamalo come vuoi – proprietario della squadra, team
coordinator, team manager,
team principal – ma ci vuole
una figura che tiene insieme 30
persone. Deve essere una figura con un certo carisma, una
persona della quale le altre 29
si fidano, uno che quando dice
una cosa, 9 volte su 10 riesce
a realizzarla. Deve cercare di
prevenire i problemi: quando
arrivi in pista, deve funzionare tutto, non ci devono essere
particolari problemi. Qualche
anno fa era meno importante,
perché per un pilota c’erano al
massimo quattro persone ed
era il capo meccanico a fare
da riferimento per la squadra.
Adesso non è più possibile e c’è
anche l’hospitality da gestire,
una parte importante che si è
evoluta negli anni: è uno strumento che serve ad attirare
interesse, ospiti, persone che
magari non hanno mai visto
una corsa o una moto. Li devi
accogliere in un ambiente che
li faccia sentire a proprio agio,
perché nel box, più di tanto non
ci possono stare. Insomma, il
mio lavoro si è tanto evoluto
e diversificato. Per quanto mi
riguarda, ho avuto la fortuna
di vivere due epoche piuttosto
importanti del motociclismo
moderno: quella dei primi anni
Novanta, con il passaggio dalle
moto artigianali a quelle ufficiali con l’intervento diretto di
Honda, Yamaha, Aprilia e della
altre Case, che hanno dato una
grande accelerazione all’evoluzione delle moto; poi i primi
anni 2000, con la fine dei motori 2T, sostituiti dai 4T».
Hai lavorato, tra gli altri, con
Max Biaggi e con Marc Marquez, proprio all’inizio della
carriera di Marc: prova a descriverli.
«In Marquez ho creduto da subito, da quando ha debuttato
nel motomondiale 125. Dissi
subito: “questo ha una marcia in più”. Mi ricordava Biaggi
all’esordio, di cui io avevo fatto
il meccanico nell’europeo, mi
ricordava Roberto Locatelli,
tutti quei piloti che non solo
andavano forte, ma avevano
una predisposizione ad assimilare velocemente gli aspetti
importanti delle gare, di essere
pilota. Marquez in gara si esalta: una parte del mio lavoro, è
quella di accompagnare il pilota nella maggior parte delle
fasi quotidiane e capisci tante
cose già da come si vestono,
da come sono gelosi del casco,
della tuta, da come trattano
questi indumenti con rispetto.
MotoGP
Marquez mutava espressione
già quando si cambiava per le
prove. Io l’ho conosciuto che
aveva 15 anni, con la faccia da
bambino, perché ha sempre
dimostrato meno della sua
età, ma quando saliva in moto
era completamente diverso: la
sera a cena era un ragazzino,
nel box era già un pilota, uno
che ascoltava attentamente
quello che gli dicevi, qual era il
programma di lavoro. Lo sguardo era sempre concentrato,
proiettato al turno e quando si
cambiava per la gara aveva –
immagino che abbia ancora, è
un po’ che non lavoro più con
lui – negli occhi la gioia di andare a correre».
Quindi per te non è una sorpresa quello che sta facendo
in MotoGP.
«No, non lo è. Nel 2010, quando in 125 fece quattro “zeri”
nelle prime quattro gare, perché è sempre stato uno molto irruento, gli dissi: “se ti dai
una calmata, le puoi vincere
tutte”. Ci credevo, nonostante
tutto. Quell’anno, Marc conquistò il primo GP al Mugello e
da lì cambiò passo, vincendo
poi il titolo: per me non fu una
sorpresa, ci avevo sempre creduto. A maggior ragione, non
sono meravigliato oggi per i
suoi risultati in MotoGP: mia
moglie dice che parlo di Marquez come di mio figlio! Del
resto, con lui ho iniziato a lavorare nel 2008, quando era un
pilota KTM “satellite”, mentre
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MotoGP
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbb
nel 2009 era nella mia squadra:
gli ho voluto bene al di là del
pilota, delle sue prestazioni. Si
fa voler bene: è un ragazzo rispettoso, educato. Ci distrusse
un po’ troppe moto, ma andava
bene così… Nel 2010, al Mugello, quando vinse la sua prima
gara iridata, nell’intervista al
parco chiuso con Italia1, si ricordò, nonostante l’adrenalina
del momento, di ringraziare me
e Mario Galeotti (grande tecnico, morto purtroppo qualche
anno fa per una malattia incurabile, NDA), perché avevamo
lavorato con lui in passato».
Biaggi, al contrario, non è certo famoso per essere un carattere facile…
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«Tutt’altro! Ho avuto modo di
conoscere Biaggi quando faceva la Sport Production, nel
1989-1990, perché noi (nel
senso dell’azienda Guidotti, NDA) facevamo servizio di
assistenza per l’Aprilia anche
nella SP: già lì si capiva che era
un ragazzo sveglio. Nel 1991 ha
fatto l’europeo 250 con il Team
Italia e io, pur andando ancora
a scuola, mi liberavo abbastanza spesso per andare alle gare
e facevo da aiuto meccanico.
Eravamo entrambi ragazzini e
siamo tornati a lavorare insieme a distanza di quasi vent’anni: per me non è stato così
difficile con lui. Max tende a
mettere molta pressione, a volte anche arroganza nel modo
di chiedere le cose, nei modi di
fare, ma grazie al rapporto che
si era instaurato nel tempo, ho
sempre avuto modo di dirgli le
cose giuste al momento giusto.
Non ci sono stati momenti di
grandi tensioni: la difficoltà più
grande era trasformare per l’Azienda in positivo quello che lui
diceva di negativo, ammorbidire le sue maniere poco ortodosse.
Con Max ho ancora un buonissimo rapporto, però è chiaro
che lavorare con lui è difficile.
Ma in due anni abbiamo portato a casa un mondiale: alla fine
è quello che conta. In quegli
anni, in Aprilia c’era tanta pressione, perché era stato fatto un
investimento importante in un
momento difficile, perché c’era
uno sponsor di prestigio come
Alitalia, per Max era una sfida
nuova, era ammesso un solo
risultato: vincere.
Abbiamo fatto un buon lavoro,
mentre l’anno dopo, stranamente, lui l’aveva presa un po’
sottogamba, sono accaduti un
po’ di episodi particolari, fatto
sta che non siamo riusciti a ripeterci».
Hai un ricordo particolare del
Mugello?
«La prima gara di motomondiale che ho visto è stata al Mugello nel 1985, quando Freddie
Spencer correva sia in 250 sia
in 500: è decisamente un bel
ricordo».
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Genesio Bevilacqua
“Biaggi sembra prevenuto
nei confronti di Giugliano”
di Carlo Baldi | Ecco il pensiero di Genesio Bevilacqua, proprietario
del team Althea. Il telecronista Biaggi rischia di sembrare prevenuto
nei confronti di Davide Giugliano. In Ducati mancano le persone,
non i mezzi e stanno rovinando Checa
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I
Il team Althea ha vissuto a Donington una tappa importante
sulla strada che può riportare
la squadra italiana ai vertici
del mondiale Superbike. Dopo
alcune più che comprensibili difficoltà iniziali e dopo un
periodo di apprendistato, ora
il team Althea e il suo pilota si
stanno confermando costantemente nelle posizioni che contano. Dopo le gare di domenica
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abbiamo incontrato Genesio
Bevilacqua, l’uomo che questa
squadra l’ha creata e la gestisce. Come sempre ha espresso
il suo pensiero in modo chiaro e
deciso parlandoci di Giugliano,
di Biaggi e della Ducati.
A Donington avete vissuto il
miglior weekend da quando
siete passati ad Aprilia.
«Quando si inizia un nuovo
Superbike
percorso ci sono certamente
dei meccanismi da mettere a
punto. Noi abbiamo pagato lo
scotto del noviziato ad inizio
stagione, ma siamo stati sempre sereni e motivati, consapevoli di avere a disposizione un
pacchetto molto competitivo,
formato da un pilota giovane e
di talento e da tecnici competenti ed affiatati».
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Giugliano sta dimostrando
una maturità in costante crescita.
«Stiamo parlando di un ragazzo di ventitre anni con il quale
abbiamo impostato un programma di tre anni, iniziato nel
2011 quando Davide vinse la
Superstock 1000 FIM Cup. Per
far crescere un giovane occorre pazienza e fiducia, ma ora
stiamo iniziando a raccogliere i
frutti del nostro lavoro. Il talen-
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
to di Davide è sempre stato evidente, ma in queste ultime gare
il nostro pilota sta mostrando
dei netti miglioramenti anche
dal punto di vista della mentalità. Si sta adattando molto
bene ad una moto per lui nuova
come la RSV4 e in gara corre a
stretto contatto con i piloti ufficiali senza timori reverenziali,
dimostrando talento, abilità e
carattere».
Se ne sono accorti tutti e forse il solo Biaggi nelle sue telecronache resta un poco critico nei confronti di Davide.
«Io purtroppo, seguendo le
gare dal mio box, non ascolto
le sue telecronache, ma in molti mi dicono che spesso Max è
critico nei confronti di Davide.
Parliamo di un ex pilota che
ora fa il telecronista e che certamente imposta i suoi commenti secondo la sua mentalità
e le sue idee. Però mi dispiace
che un ex pilota romano tratti
a volte con sufficienza e scarsa
considerazione un altro pilota romano come lui, anche se
molto più giovane. Un poco di
sano campanilismo in questo
caso forse non guasterebbe.
Ma a parte questo aspetto,
penso che comunque quando
ci si trova davanti ad un giovane emergente che dimostra di
avere del talento, questo vada
incoraggiato. Le critiche quando sono giuste sono sempre
ben accette, ma una parola di
incoraggiamento farebbe bene
sia a Davide che a Biaggi, che
rischia invece di sembrare prevenuto nei confronti del nostro
pilota».
E visto che parliamo di ex,
cosa ne pensi della tua ex
moto, della Ducati e del suo
momento difficile?
Superbike
«Dovreste riascoltare alcune interviste che io rilasciai
proprio a voi di Moto.it alcuni
mesi or sono (leggi l’intervista). Il mio pensiero nei confronti della Ducati è rimasto lo
stesso. Quello che mi dispiace
maggiormente è vedere quante difficoltà sta incontrando
Carlos (Checa, ndr) sia come
uomo che come pilota. Mi spiace vederlo sconfitto dal dolore,
proprio lui che lo scorso anno
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a Phillip Island dopo essere
caduto ad oltre 200 km orari
andò poi a vincere gara due pur
se dolorante. Vederlo ora che
rinuncia a scendere in pista per
un dolore ad una spalla mi fa
pensare che Checa sia demotivato e questo mi spiace davvero tanto, perché conosco il suo
carattere fiero e combattivo».
Tu conosci la Panigale avendone iniziato lo sviluppo
assieme a Ducati. Pensi che
prima o poi riuscirà ad essere competitiva in Superbike
oppure non credi che quello
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
della 1199 sia un progetto
vincente?
«Io credo agli uomini più che ai
progetti ed alle moto. Moto e
progetti si possono facilmente
modificare, ma le persone no.
Penso che in Ducati ci siano
delle componenti umane che
ritardino il processo di crescita
della Panigale. Abbiamo appena parlato di Checa ed è emblematico il fatto che io lo abbia
lasciato da campione e che ora
invece lui venga messo in discussione come fosse un novellino. Io ho sempre sostenuto
che i risultati si ottengono con
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Superbike
gli uomini giusti e che gli uomini
giusti vadano valorizzati. Mettere in discussione Checa dopo
poche gare, pensando di utilizzare Biaggi come collaudatore,
quasi come se Max potesse
lavorare meglio di Carlos sulla
Panigale, mi sembra un segnale di sfiducia nei confronti di
una pedina determinante come
potrebbe essere lo spagnolo
per la Ducati. Dico questo a
prescindere dal valore o meno
della moto, ma faccio notare
che tutti continuano a definirla
come nuova, ma sono due anni
che gareggia in pista».
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Motocross
Giorgio Faraldi
Il regista del Motocross
di Massimo Zanzani | Da sette anni è il regista del Mondiale cross,
una pedina fondamentale della Youthstream per trasmettere in
diretta TV le fasi più accattivanti di tutti i GP
G
iorgio
Faraldi,
come si diventa
registi del motocross?
«Facendo la gavetta: il primo anno sono arrivato in
Youthstream come produttore,
poi ho preso a mano la regia
della Supermoto e poi anche
quella del Mondiale cross. Prima di allora ho fatto esperienza con la regia in studio, con
tre o quattro camere per i talk
show e nel pugilato, cose semplici rispetto a quelle di adesso,
ma soprattutto ho avuto una
solida formazione tecnica frequentando una scuola di perito elettronico e facendo sia il
cameraman che il montatore,
professioni che hanno permesso di crearmi un’esperienza a
360°. Quando mi è stato proposto di passare alla regia conoscevo quindi tutti gli aspetti
del lavoro e mi sono sentito di
prendere questa responsabilità, anche perché oltre a
telegiornali e programmi di intrattenimento per il 90% della
mia carriera ho sempre curato
sport motoristici tra cui Rally e
Formula 1».
90
Come è strutturato
il tuo lavoro?
«Se la pista è nuova arrivo in
circuito già il mercoledì, diversamente il giovedì, perché devo
decidere la posizione esatta di
ogni telecamera, l’altezza a cui
devono andare, il tipo di trabattello, il modello di supporto, se
vanno abbinate al cavalletto o
se debbono essere munite di
piattina rotante dove è seduto
il cameraman, il tipo di ottica da
utilizzare e dove piazzare l’operatore per le interviste e quando l’abbiamo a disposizione
anche la posizione della Jimmy
Gib che è una sorta di giraffa
che di solito segue dall’alto il
pilota in una curva».
Una volta preparato tutto si
fanno le prove il sabato e poi
arriva il fatidico giorno della
diretta. Quanto tempo prima
ti prepari?
«Se iniziamo alle dieci con l’Europeo entro nel camion regia
alle otto e mezza per fare delle prove perché ci vuole abbastanza tempo per mettere a
punto tutto: vedo comparire
una camera alla volta, devo
cercare di spiegare ai cameraman cosa devono fare e dare
le priorità a cui attenersi, è un
lavoro lungo. A livello televisivo
infatti abbiamo delle tranche
standard di un’ora, dove devi
cercare di far entrare tutto e
non è semplice perché abbiamo tanti obblighi e materiale da
trasmettere già prima che inizi
la gara. Poco prima del via so
già più o meno come inizierò,
faccio il piano di massima con
le ultime istruzioni per gli operatori TV spiegando che dopo
la sigla andremo con la camera
tre, poi con la cinque e di seguito con la Post Card. Due minuti
prima che si abbassi il cancello
comincio ad urlare: due minuti
alla partenza, un minuto, poi
inizio a fare il conto alla rovescia, quindici secondi, poi da
dieci a uno e play: è a quel punto che parte la sigla e inizia la
gara».
Perché urli?
«Perché tutti mi devono sentire forte e chiaro, quando alzi la
voce tutti stanno zitti e si concentrano bene. Io ho la cuffia
e parlo nel microfono, ma per
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chi sta nel van è più immediato sentire direttamente la mia
voce, perciò urlo, per richiamare l’attenzione. Poi cominci ad
essere talmente concentrato
che non senti più niente, però
quando ci sono delle belle lotte, una caduta, si fa il tifo, senti
proprio che ti penetra l’adrenalina».
In quanti siete nel camion regia?
«Oltre a me c’è un assistente che mi dà le dritte quando
succedono certe battaglie che
non riesco a vedere, poi c’è il
grafico, il mixer video che mi
sta di fianco e che cambia la
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sequenza delle telecamere in
base all’ordine che gli do, il tecnico audio con l’assistente che
si occupa dei suoni e dei microfoni, due operatori che si occupano del controllo delle camere, dalla scelta dei diaframmi
alla colorimetria delle immagini
perché i cameraman che sono
in posta mettono solo a fuoco
e segue i piloti ed un altro paio
dedicati alle scene rallentate e
agli high lights che utilizzano la
nuova K2 Dyno della Grass Valley, una grossa società americana che fabbrica anche i mixer
ad alti livelli, così versatile che
la usano anche nella MotoGP».
Davanti a te hai un bel po’ di
schermi che devi seguire.
«Nelle gare che si corrono in
Europa ho sei plasma di una
cinquantina di pollici gestiti da
un software che permette di
personalizzare l’interno degli
schermi così da poterli dividere come si vuole. Puoi dividerli
in sei parti, farne uno grosso e
uno piccolo, o in qualsiasi altro
modo, io me lo personalizzo
in modo da avere un grosso
schermo per il programma che
va in onda, uno per la preview
che è quello che andrà in onda
nel cambio successivo, poi tutte le camere sono in riquadri un
po’ più piccoli».
Quante sono?
«In gente sono undici, che possono filmare anche due parti
del circuito se non addirittura
tre, per cui in totale abbiamo
circa sedici fonti o sorgenti,
le chiamiamo così, più le On
Board piazzate sui caschi dei
piloti, le RF per la trasmissione
senza cavo e le Minicam che
piazziamo a terra lungo il circuito. Inoltre ci sono le tre pagine
coi tempi dei piloti, i monitor
delle quattro sorgenti dedicate
alle immagini rallentate, uno
per le grafiche che andranno
in onda e uno per segnale che
viene mandato al paddock. In
totale ho quindi di fronte a me
una trentina di schermi, senza
contare quello che il responsabile software ha personalizzato
per me dove ho una freccetta
verde che mi fa capire quando
un pilota sta guadagnando terreno rispetto a quello davanti,
un quadratino rosa che compare quando il distacco è diventato solo di un secondo facendomi capire che sta recuperando
forte e che forse vale la pena
seguire l’azione, un segno giallo che mi identifica in che punto della pista è il pilota con l’on
board, ed un altro di colore diverso per i piloti locali che di solito non è semplice localizzare.
Questo sistema mi ha dato una
Motocross
grande sicurezza nella gestione
della gara».
Altro che quattro, di occhi ce
ne vorrebbero almeno cinque
o sei! Qual è il momento più
bello?
«Quando c’è una bella lotta o
quando mancano magari tre
giri alla fine e un pilota importante supera un altro; senti proprio il boato, tu ti stai divertendo a filmarla e sei consapevole
che a casa si divertono a vederla. Oppure quando riusciamo a prendere in diretta una
caduta spettacolare, come ci
è successo ad esempio in Portogallo quando Cairoli è finito a
93
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esperienza. In quel momento
cerco di prepararmi in anticipo,
magari dico a un cameraman
che è nel rettilineo a tre o quattro camere prima della fine che
quando arriva chi vince la gara
di prendermelo così posso
stare sicuro che lo mando in
onda».
terra. L’abbiamo filmato proprio bene, e c’è stata un’esplosione di adrenalina ma
ovviamente non perché eravamo contenti che fosse caduto,
bensì perché siamo riusciti a
far vedere benissimo le immagini. In quel momento io senza
perdere tempo parto a dare comandi e a dire: voglio il rallenty,
ce l’avete da un’altra parte? E
si comincia subito a mettersi
in moto per trovare la camera
che aveva le riprese, praticamente mentre stiamo filmando
la caduta prima che sia finita
ci stiamo già preparando per
proporre le fasi al rallentatore.
94
E così io non guardo mai quello che va in onda, sono già a
quello che viene dopo, anche
quando mando la sigla, sto già
lavorando a quello che viene
successivamente».
Il momento più brutto, invece?
«Quando ci sono degli elementi esterni che ti disturbano e ti
fanno perdere la concentrazione. A volte passo qualche
giro senza sapere che cosa sto
riprendendo, le possibilità di errore sono tante e quello che è
andato è andato, la diretta non
perdona».
Qual è stato il più grosso errore che hai fatto?
«La cosa frustrante è quando
non prendi l’arrivo, purtroppo
mi è capitato nel 2006 in Irlanda quando per una serie di
cose stavo seguendo un’altra
situazione e ho perso il finale.
Adesso con l’esperienza che ho
mi permetto di fare delle cose
un po’ più rischiose. Ad esempio seguo il primo ma all’ultimo
giro mi posso permettere se
c’è una battaglia importante
più dietro di andare a tenerla
d’occhio senza perdere di vista
il vincitore, non è facile e nessuno lo fa per me perché ci vuole
Per quale motivo non dovresti
seguire il vincitore all’ultimo
giro?
«Perché cerchi di dare più
spettacolo con qualcosa di più
interessante, magari Cairoli da
qualche giro è davanti con trenta secondi di vantaggio mentre
dietro si stanno scannando per
superarsi. Nella MotoGP è più
semplice perché ogni curva ha
la sua telecamera per cui sai
esattamente in ogni istante
dove sono i piloti, mentre io se
vado a cercare una battaglia
non ho la visione di dov’è il primo in quel momento in quanto
le camere non sono tutte libere
perché magari quella che mi
filmerebbe il primo in realtà è
girata dietro che riprende la
battaglia e quindi il ritornare sul
primo comporta una ricerca.
Per questo il rischio c’è sempre, perdendo un po’ di tempo
devo essere sicuro di quello
che faccio, non posso permettermi di filmare una battaglia
e poi non tornare in tempo sul
primo».
Il momento che ti ha dato più
soddisfazione in questi anni?
«Al Nazioni l’anno scorso abbiamo utilizzato la Cable Camera, una telecamera che
scorre su cavo che ha fornito
delle sequenze nuove e spettacolari offrendo una visione
d’alto come dall’elicottero ma a
soli 15 metri di altezza. E’ stato
fantastico averla sul traguardo,
alla partenza, sul podio dove
avevi la visione di tutta la gente davanti: davvero magnifica.
Altri momenti indimenticabili
se riesci a coprirli bene sono
quando c’è la festa per il vincitore del Mondiale, c’è una forte
adrenalina che spero di trasmettere anche ai cameraman,
di incitarli, di istruirli bene per la
gioia degli spettatori che sono a
casa».
Motocross
Certo che dopo ogni gara
perderai un paio di chili….
«Magari, andrebbe bene per la
mia dieta! In realtà a volte fatico un po’ con la voce, bisogna
cercare di risparmiarsi, ci sono
gare dove sei un po’ più tranquillo, altre dove sei un po’ più
stressato, però l’importante
è conservarsi perché queste
giornate sono lunghissime».
Ultimamente sono arrivate
alcune importanti novità.
«Sì, la più significativa è la diffusione in alta definizione che
ha portato immagini più belle
e dettagliate, lo percepisco
immediatamente perché vedo
meglio i numeri e quando usiamo le immagini in post produzione per fare altri video la
qualità è veramente molto più
elevata. Inoltre usiamo spesso
il drone, un piccolo elicottero
che ti offre la possibilità di avere in diretta le riprese dall’alto».
In Qatar si è corso per la
prima volta in notturna,
come hai vissuto il GP?
«E’
stata
un’esperienza
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nuova, e considerando tutto direi che è andata bene. C’erano
due grossi camion con pali da
trenta metri che illuminavano
due zone principali, il resto è
stato fatto con pali alti sette
metri dislocati tutto intorno al
circuito che hanno fornito una
buona illuminazione. Abbiamo
visto come rendere più uniforme tutto il circuito, e dalla prossima edizione probabilmente
avremo un impianto fisso che
offrirà le condizioni ideali. A me
comunque è piaciuto, preferisco quando si corre di giorno
ma una ogni tanto è carina. E’
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Motocross
un po’ come la MotoGP: crea
quell’evento speciale che può
essere attraente per la gente
considerando anche che gli
orari di messa in onda possono essere un motivo in più per
guardarlo in TV».
Un sogno?
«Dirigere la regia di concerti
perché la musica mi piace da
morire. Magari quello dei Depeche Mode che fanno il 18 luglio a San Siro. Andrò a vederli,
ma invece di stare in mezzo al
pubblico mi piacerebbe proprio
stare nel camion regia».
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Rally
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Dakar & Mondiale Cross-Country Rally
Cyril Despres con Yamaha
di Piero Batini | Va al suo posto il primo tassello, in ordine cronologico,
del complicato “affaire” Cross-Country Rally. Cyril Despres è con
Yamaha. Il giovane Mickael Metge sarà il suo “portatore d’acqua”
L
a lunga gestazione di uno dei più complicati momenti della storia dei RallyRaid produce uno dei suoi effetti più,
per molti versi, sensazionale. Cyril Despres, cinque volte vincitore della Dakar, l’ultima
edizione compresa, passa a Yamaha Motor France, e diventa Pilota ufficiale e punta di diamante
della Squadra nippo-francese. Conseguenza, ma
anche motore, di questa decisione che ha del
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clamoroso, è che la Marca giapponese esce così
finalmente allo scoperto impegnandosi di nuovo
a pieno regime nel difficile, e oneroso, programma della Dakar. Cronologicamente gli eventi
sono maturati negli ultimi giorni, ma le basi di
quella che è una vera e propria rivoluzione degli
equilibri che hanno caratterizzato l’assetto della
disciplina nell’ultimo decennio, sono “precipitati”
lentamente. Di questo parleremo più avanti, tra
poche ore. Cyril Despres si unisce a Yamaha, e
parteciperà alla Dakar 2014 in sella alla YZF 450,
la moto che è stata sviluppata in chiave Dakar già
negli ultimi tre anni e che è stata portata in gara,
tra gli altri, da David Casteu e Olivier Pain. Il fatto che Despres, per oltre dieci anni “Arancione”
diventi “Uomo Blù” non deve stupire, anche se
in molti, e per un certo periodo anche noi, credevano che la storia sarebbe finita in “Rosso”. La
storia è ben più complessa, e comunque è un fatto rilevante, soprattutto per la specialità, che la
nuova onda di eventi abbia favorito un importante incremento della partecipazione e dell’impegno delle Case, notoriamente riluttanti in tempi
di crisi ad imbarcarsi in una delle avventure più
delicate del motorismo agonistico. Cyril Despres
è contento, naturalmente. Adesso può concentrarsi su un nuovo progetto senza limiti di ambizioni. Di questo progetto il fuoriclasse francese è
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il fulcro e il centro delle motivazioni. L’esperienza e il talento del Pilota, mai discusse da alcuno,
diventano la spoletta di una straordinaria carica
agonistica, che non potrà che far bene non solo
alla Dakar sulla quale è stata focalizzata. Che la
storia sia completamente nuova, anche se affonda le sue radici nel lontano 1979, anno della
prima Dakar e del primo impegno Yamaha ad
opera dell’indimenticabile Jean-Claude Olivier, è
dimostrato anche dal fatto che per assistere Despres durante la Dakar e lo sviluppo ulteriore della moto, è stato scelto un giovane di talento per
ricoprire il ruolo di “portatore d’acqua”, Mickael
Metge. Metge ha partecipato quest’anno alla sua
prima Dakar, e il Sardegna Rally Race del 2012 è
stato il suo primo Rally. Idealmente, ma non praticamente, l’ingresso di Cyril Despres tra le file
Yamaha è accompagnato dalla benedizione di
Stephane Peterhansel, l’asso degli assi della Dakar che ha vinto per undici volte la maratona ex
africama ed ora sudamericana, sei volte in sella
alla guida di una Yamaha.
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Honda alla Dakar 2014
Nuovo team e nuova moto
di Piero Batini | Altro tassello, fondamentale, del puzzle Dakar 2014.
Il passato storico della Dakar e il futuro della specialità s’incontrano al
Mugello per annunciare il passaggio di Joan Barreda alla Honda
A
lghero, 30 maggio 2013. Non a Parigi, non al Mugello, ma ad Alghero
decentrati sul terreno neutro della
mossa del Sardegna Rally Race,
per monitorare l’evoluzione dei momenti chiave di un passaggio storico. Poche ore fa abbiamo “svelato” la notizia della migrazione di Cyril
Despres da KTM a Yamaha. Adesso è la volta
della notizia che riguarda Honda e il Pilota che
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più di ogni altro rappresenta la nouvelle vague
del sogno dakariano: Joan Barreda. Lo tsunami
Honda, innescato quasi a sorpresa nella seconda
metà dell’anno scorso, “travolge” adesso il fortissimo Pilota spagnolo, rivelando il potenziale
completo di uno dei progetti più appassionanti
dell’ultimo scorcio della storia della Dakar. È una
storia nata dall’immaginazione più fantasiosa e
appassionata, incubata per lunghe settimane di
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trattative delicate e difficili ma sempre equilibrate e con il pensiero alla realizzazione dell’operazione “impossibile”. Joan Barreda passa al
Team HRC, stiamo parlando dell’emanazione
agonistica della Honda, e con lui trasmigra anche
il suo compagno di Squadra Paulo Gonçalves. Lo
annunciano i “pilastri” dell’operazione solo fino
a ieri fantascientifica, Katsumi Yamazaki, Direttore del Team, e Martino Bianchi, General Manager, sotto la tenda Honda in un cuneo di matrice
Rally-Raid inserito nella già elevata eccitazione
del Gran Premio d’Italia del Mugello. È una di
quelle notizie che si possono definire “bomba”.
Del tutto inaspettata, solo da taluni sognata, e
per pochissimi realizzabile. Joan Barreda aveva
ancora un contratto in essere con il Team tedesco SpeedBrain, doppia ex emanazione di BMW
e Husqvarna, e il Team HRC aveva già una struttura avviata dall’edizione 2012 del Rally del Marocco. Si è parlato di rotture di accordi, di fughe e
di ribellioni. Sono le illazioni di un Mondo avvelenato dalla curiosità, non è così. La realizzazione
del Progetto è stata resa possibile dal basilare e
raffinato lavoro di tessitura che ha ricucito situazioni diverse e legato i rappresentanti delle tre
entità coinvolte nel programma, sotto la guida
di quella che, ad oggi, definiremmo l’”Eminenza
Grigia” del sogno impossibile. È soprattutto una
bellissima vicenda di grande passione, che regala alle pagine della Storia di uno dei co-Marchi
Rally
più importanti della Dakar un capitolo quasi d’altri tempi, costellato di Gentlemen Agreement e
di subordinazione degli interessi personali a un
obiettivo molto più grande. Saranno due le formazioni “implicate” nel progetto Dakar 2012.
La prima espressa dalla firma del binomio Joan
Barreda-Paulo Gonçalves. La seconda, ma senza
un ordine di priorità, è quella della nuova origine
datata fine 2012: Helder Rodrigues, Javier Pizzolito, Sam Sunderland. Il trait d’union dell’intero
piano agonistico ha il suo perno fondamentale
nello sviluppo della nuova Honda CRF 450 Rally,
la Moto il cui distintivo progettuale è il rinnovo dei
fasti della Storia di Marchio attraverso l’affermazione in quella che è la maratona per definizione,
la Dakar. La marcia di avvicinamento è già iniziata. In Giappone, dove la moto è originata e sviluppata, e nel resto del mondo dove si muovono
le pedine dei Rally che portano alla Dakar 2014.
La “prima” virtuale dell’operazione va in scena
al Sardegna Rally Race, a cui partecipa Helder
Rodrigues. Successivamente i flag geografici
verranno apposti sulle mappe dell’Argentina,
dell’Egitto, del Marocco. L’obiettivo di Honda,
Barreda & Co. è quello di vincere, e quando un
obiettivo è così precisamente non negoziabile
è “inevitabile” che produca effetti collaterali di
non secondari livello e portata. Sono “progetti”
che non hanno scadenza, e che sfornano prodotti di elevato livello i cui beneficiari sono quegli
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Rally
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Editore:
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Responsabile editoriale
Ippolito Fassati
Capo Redattore
Andrea Perfetti
Redazione
Maurizio Tanca
Cristina Bacchetti
Marco Berti
Francesco Paolillo
Aimone dal Pozzo
Edoardo Licciardello
Grafica
Thomas Bressani
appassionati che diventano clienti privilegiati. Di
questo e di altro torneremo a parlare, certamente perché la “bomba” che deflagra è la notizia,
ma il raggio dei suoi effetti non può essere limitato ai fatti più sensazionali e immediati. Restano
da spiegare i ruoli che hanno avuto e che sono
destinati ad avere le altre entità chiave trascinate
in quella che è una vera e propria “operazione”,
ovvero di largo coinvolgimento. Il ruolo di Wolfgang Fischer e di SpeedBrain, per esempio, o
quello del potenziale Alessandro Botturi per ora
disatteso, delle Esperienze imprescindibili scese in campo e dei collegamenti tra “operazioni”
solo apparentemente slegate ma riunite in questo Triangolo delle Bermuda cronologico degli
eventi che sintetizzano la rivoluzione ambientata
nell’affascinante Pianeta del Rally-Raid. La spoletta che innesca la “rivoluzione” ha un nome ed
un cognome, quelli di Joan Barreda, 29 anni, di
Castellon de la Plana, Spagna, attitudini da fuoriclasse e un futuro già fulgido, ed un Marchio,
quello di Honda, che è l’imprinting di quel futuro
oggi annunciato al Mugello.
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Collaboratori
Nico Cereghini
Massimo Clarke
Giovanni Zamagni
Carlo Baldi
Massimo Zanzani
Lorenzo Boldrini
Enrico De Vita
Ottorino Piccinato
Antonio Privitera
Antonio Gola
Alfonso Rago
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Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003
Capitale Sociale Euro 10.000 i.v.
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