Leggi - Dario Ciccarelli

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Leggi - Dario Ciccarelli
“Prospettive evolutive
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
(WTO/OMC)
e ruolo dell’Italia
nel nuovo ciclo di negoziati multilaterali”
1
Indice
Lista degli acronimi
4
Premessa generale
di Giuseppe Schiavone
5
Parte I
Capitolo 1: Evoluzione storica dal GATT alla WTO
di Cristina Gagliarducci
8
- Le origini
- Il GATT ed i cicli di negoziati multilaterali
Capitolo 2: La struttura della WTO ed il sistema degli accordi
di Cristina Gagliarducci
-
15
I membri
La struttura organizzativa
Il processo decisionale e la regola del consenso
La risoluzione delle controversie
Capitolo 3: Le grandi conferenze
di Cristina Gagliarducci
25
- Singapore (1996) e Ginevra (1998)
- Seattle (1999)
- Doha (2001)
- Cancún (2003)
- Il dibattito sulla riforma della WTO: il problema della trasparenza, il ruolo delle
ONG e della società civile, la cooperazione con altre organizzazioni internazionali
Capitolo 4: 1995 – 2006. Bilancio e prospettive
di Giuseppe Schiavone
2
35
Parte II: “Riflessione sul senso complessivo del sistema WTO, sul ruolo dell’UE e
dell’Italia”
di Dario Ciccarelli
1. Premessa
41
2. Il senso complessivo del sistema WTO
48
3. Il diritto universale del mercato
61
4. Il sogno del mercato unico europeo e la realtà del mercato unico mondiale.
Ambiguità e distorsioni
87
5. Il commercio come attuazione concreta degli ideali di pace e giustizia fra le
Nazioni. Interrogativi sulla ragion d’essere dell’Unione europea nel tempo del
mercato globale
107
6. La posizione italiana sul principio fondamentale della pace e giustizia
nel mondo, dopo la sottoscrizione degli Accordi dell’Uruguay Round
135
Bibliografia
a cura di Cristina Gagliarducci
147
Allegati
a cura di Cristina Gagliarducci
Allegato 1: Lista dei membri della WTO
152
Allegato 2: Struttura organizzativa della WTO
156
Allegato 3: Elenco dei Direttori Generali della WTO
157
Allegato 4: Documenti dell’Atto Finale dell’Uruguay Round
158
Allegato 5: “The Dispute Settlement Procedure”
159
3
Lista degli acronimi
ACP: African, Caribbean and Pacific countries
CVA: Customs Valuation Agreement
DSB: Dispute Settlement Body
DSU: Dispute Settlement Understanding
GATS: General Agreement on Trade in Services
GATT: General Agreement on Tariffs and Trade
GPS: Generalised System of Preferences
MFN: Most Favoured Nation treatment
NT: National Treatment
PAC: Politica Agricola della Comunità europea
PVS: Paesi in via di sviluppo
S&D (SDT): Special and Differential treatment provisions
SPS: Sanitary and Phitosanitary measures or regulations
TBT: Technical Barriers to Trade
TPRM: Trade Policy Review Mechanism
TRIMs: Trade Related Investment Measures
TRIPs: Trade Related Intellectual Property Rights
TRTA: Trade Related Technical Assistance
4
Premessa generale
di Giuseppe Schiavone
Dal 1° gennaio 1995 è in vigore l’Accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del
commercio (World Trade Organization - WTO).1 Sulla base degli accordi raggiunti nel
contesto dei negoziati tariffari multilaterali dell’Uruguay Round, la WTO ha sostituito,
ampliandone notevolmente le funzioni e i compiti, l’Accordo generale sulle tariffe doganali
e il commercio (General Agreement on Tariffs and Trade – GATT), il quale ha formalmente
chiuso i battenti, dopo 48 anni di attività, il 31 dicembre 1995. Per tutto il 1995 la WTO ha
quindi coesistito con il GATT. Rientrano nell’ambito della WTO il GATT nella versione
emersa dall’Uruguay Round (denominata “GATT 1994”), gli accordi conclusi sotto gli
auspici dello stesso GATT nonché tutti gli altri accordi e decisioni risultanti dall’Uruguay
Round.
La WTO costituisce pertanto la sede nella quale hanno luogo i negoziati commerciali
multilaterali e trovano soluzione le controversie mediante il sistema integrato di
regolamento. L’attività della WTO è rivolta non soltanto alla riduzione degli ostacoli
tariffari e non-tariffari agli scambi di merci ma anche - e in misura crescente - alla libera
prestazione dei servizi, la tutela della proprietà intellettuale, la protezione dell’ambiente e
la promozione dello sviluppo.
In virtù del suo Accordo istitutivo che la dota di una solida struttura istituzionale, la
WTO appare in grado di affiancarsi, con pari dignità ed autorevolezza, alle organizzazioni
monetarie e finanziarie del sistema delle Nazioni Unite scaturite dagli Accordi di Bretton
Woods, vale a dire il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca internazionale per la
ricostruzione e lo sviluppo (BIRS) e le agenzie ad essa successivamente affiliate; queste
ultime e la stessa BIRS costituiscono il cosiddetto Gruppo della Banca mondiale. Proprio da
un’efficace collaborazione tra le istituzioni suddette potrebbe scaturire quell’auspicata
ristrutturazione delle relazioni economiche e finanziarie internazionali resa necessaria da
un lato dalla fine della contrapposizione tra blocchi ispirati a divergenti ideologie anche in
campo economico e dall’altro dalle spinte inarrestabili della globalizzazione.
1
Le lingue ufficiali dell’Organizzazione sono, oltre all’inglese, il francese e lo spagnolo. Le altre due
denominazioni ufficiali sono pertanto: Organisation mondiale du commerce (OMC) e Organización
mundial del comercio (OMC).
5
Contenuto dell’Accordo e Paesi partecipanti
La creazione della WTO rappresenta il maggiore successo, sotto il profilo istituzionale,
del ciclo di negoziati dell’Uruguay Round, svoltosi con la partecipazione di circa 120 Paesi
tra il settembre 1986 e il dicembre 1993 e formalmente concluso con la firma il 15 aprile
1994 a Marrakech, in Marocco, dell’Atto finale. L’Atto finale include le dichiarazioni e
decisioni ministeriali del 15 aprile 1994 e l’Accordo istitutivo della WTO.
L’Accordo istitutivo della WTO concedeva alle 128 parti contraenti del GATT un periodo
di due anni - fino al 31 dicembre 1996 - per procedere alla ratifica e acquisire in tal modo
la qualità di membri originari. Attualmente la WTO conta 149 membri, tre quarti dei quali
costituiti da paesi in via di sviluppo dalle dimensioni e dagli interessi spesso diversissimi
tra loro. Si va, infatti, da entità gigantesche come la Cina ai micro-stati insulari del Pacifico
meridionale. Nel complesso, i membri della WTO rappresentano oltre il 90% del
commercio mondiale. Particolare rilievo ha rivestito l’ingresso della Cina come membro di
pieno diritto nel dicembre 2001, seguito, a distanza di poche settimane, da quello di
Taiwan (come “territorio doganale separato” sotto il nome di “Chinese Taipei”).
Tra le sfide che la WTO sta affrontando vi è quella dell’ulteriore ampliamento del
numero dei membri per dar vita a un sistema commerciale realmente globale. Una
trentina di paesi stanno negoziando la propria adesione. Tra i paesi che godono
attualmente dello status di osservatore presso la WTO basti citare l’Algeria, la Russia,
l’Ucraina e il Vietnam; ad eccezione della Santa Sede, tutti gli osservatori sono tenuti ad
iniziare i negoziati per accedere alla WTO entro cinque anni dalla concessione dello status
di osservatore. Si sta, quindi, realizzando la vocazione universale della WTO. Occorre,
d’altro canto, procedere con molta cautela per conciliare l’obiettivo dell’ampliamento della
membership con quello, non meno importante, della piena salvaguardia dell’integrità del
sistema scaturito dall’Uruguay Round.
E’ ammesso il recesso dall’Accordo istitutivo della WTO e dagli “Accordi commerciali
multilaterali” facendo pervenire una notifica scritta in tal senso al Direttore generale; per
recedere da un “Accordo commerciale plurilaterale” si fa riferimento alle disposizioni
contenute in detto Accordo.
In virtù dell’Accordo istitutivo, i membri della WTO hanno l’obbligo di rendere le
rispettive legislazioni conformi con quanto prescritto negli accordi allegati; è stata
eliminata, pertanto, quella grandfather clause che nel GATT sottraeva le parti contraenti
all’obbligo di modificare la legislazione preesistente contrastante con le disposizioni dello
6
stesso GATT. L’Italia ha provveduto nel dicembre 1994 alla ratifica degli accordi di
Marrakech.2
Sul piano del collegamento e del coordinamento della WTO con le istituzioni di Bretton
Woods e le altre istituzioni specializzate delle N.U. che trattano materie aventi rilevanza
sul piano degli scambi internazionali - come l’Organizzazione mondiale della proprietà
intellettuale (OMPI) - sono stati compiuti significativi progressi.
Occorre precisare, peraltro, che formalmente
la WTO
non è
una
“istituzione
specializzata” delle N.U., come sono invece il FMI e la Banca mondiale. Un accordo è stato
concluso tra WTO e N.U., sviluppando la collaborazione tra i rispettivi Segretariati ed
approfondendo i rapporti tra WTO e Conferenza delle N.U. sul commercio e lo sviluppo
(UNCTAD).
Notevoli
sviluppi
ha
anche
registrato
la
collaborazione
tra
WTO
e
l’Organizzazione delle N.U. per lo sviluppo industriale (UNIDO).
Crescente rilevanza hanno poi assunto, negli ultimi anni, le relazioni tra WTO e
organizzazioni
non-governative
(ONG),
in
particolare
a
partire
dalla
Conferenza
ministeriale di Seattle. Le perplessità e in molti casi l’aperta ostilità di numerose ONG nei
confronti della graduale liberalizzazione del commercio mondiale perseguita dalla WTO
hanno indotto quest’ultima a intraprendere un articolato e regolare dialogo con le stesse
ONG al fine di approfondire le implicazioni sul piano concreto dei negoziati commerciali
multilaterali attualmente in corso di svolgimento. Ciò è tanto più necessario e opportuno in
quanto il campo d’azione della WTO si estende ormai a una pluralità di settori, quale
quello dei servizi, che vanno ben oltre il tradizionale scambio di merci.
Processo decisionale
La WTO si attiene, in linea di principio, alla prassi del consensus già utilmente seguita in
sede GATT e in larga parte delle organizzazioni internazionali attualmente operanti,
evitando quindi, nella misura del possibile, il ricorso a votazioni formali. Un’apposita nota
al testo dell’Accordo afferma che una decisione si considera adottata mediante consensus
quando nessuno dei membri presenti si sia formalmente opposto alla sua adozione.3 In
caso contrario si procede alla votazione; ogni membro dispone di un voto. L’Unione
2
Legge 29 dicembre 1994, n. 747 - Ratifica ed esecuzione degli atti concernenti i risultati dei
negoziati dell’Uruguay Round adottati a Marrakech il 15 aprile 1994 (GU del 10 gennaio 1995, n. 7,
s.o.)
7
europea (UE), che partecipa alla WTO sotto la denominazione di Comunità europea,
dispone di un numero di voti pari al numero dei membri (attualmente 25) i quali
appartengono tutti alla WTO.
Soluzione delle controversie
L’adozione di un efficiente meccanismo di soluzione delle controversie era uno degli
obiettivi fondamentali dell’Uruguay Round così da assicurare certezza e prevedibilità al
sistema commerciale multilaterale, mantenendo un corretto equilibrio tra diritti e obblighi
dei membri.
Nell’ambito del precedente sistema, la soluzione delle controversie avveniva sulla base
delle regole contenute nel “GATT 1947”, integrate da norme e procedure che erano state
successivamente elaborate, combinando elementi di carattere giuridico con altri di
carattere più propriamente politico.
L’Intesa sulle norme e procedure che regolano la soluzione delle controversie intende
fornire gli strumenti necessari per risolvere tempestivamente quelle situazioni nelle quali
un membro ritiene che un beneficio che gli deriva, direttamente o indirettamente, dagli
accordi contemplati nell’Appendice 1 sia pregiudicato da misure adottate da un altro
membro. Tali accordi comprendono l’Accordo istitutivo della WTO con gli allegati: 1A, 1B,
1C e 2. L’applicabilità dell’Intesa agli “Accordi commerciali plurilaterali”, contenuti
nell’allegato 4, è soggetta all’adozione di un’apposita decisione da parte dei contraenti di
ciascun accordo.
3
In materia di consensus occorre sottolineare che la Dichiarazione ministeriale di Doha ha
introdotto la formula - i cui contorni non sembrano ancora ben precisati - del “consensus esplicito”.
8
PARTE I
Capitolo 1: Evoluzione storica dal GATT alla WTO
di Cristina Gagliarducci
L’Organizzazione Mondiale del Commercio nasce per governare e sviluppare il
commercio internazionale, inglobando e sostituendo il GATT – General Agreement on
Tariffs and Trade, concluso nel 1947 come accordo provvisorio.
L’approccio
base
del
GATT,
che
nonostante
le
premesse
opererà
per
quasi
cinquant’anni, è permettere che i beni, quando vengono esportati, abbiano generalmente
libero accesso nel paese di importazione. Dal momento che è comunque possibile imporre
dei dazi al confine che limitino le importazioni, il GATT provvede al contesto multilaterale
per negoziare i livelli delle misure tariffarie e non tariffarie.
Le origini
Nel luglio del 1944 la Conferenza di Bretton Woods getta le basi per la creazione di un
nuovo ordine economico internazionale. Nascono la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario
Internazionale, nel quadro di un rinnovato apparato istituzionale finanziario volto ad
impedire il ripetersi di quei tragici errori economici commessi negli anni Venti e Trenta,
che furono una delle ragioni che portarono allo scoppio della seconda guerra mondiale4.
Nonostante si riconosca la necessità di completare il mandato delle due istituzioni
finanziarie con una terza organizzazione dedicata al commercio, le questioni relative agli
scambi commerciali restano però fuori dall’agenda della Conferenza, ufficialmente perché
non sono presenti i Ministri competenti.
E’ nell’ambito delle Nazioni Unite5, ed in particolare nel corso della prima riunione del
Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC), nel febbraio 1946, che viene ripreso il tema
degli scambi commerciali internazionali. L’idea è quella di avviare una conferenza per la
creazione di un’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella promozione del commercio
4
PARENTI A., Il WTO: Cos’è e come funziona l’Organizzazione mondiale del commercio, Bologna, Il
Mulino, 2002, p. 29
5
La Carta che istituisce l’Organizzazione delle Nazioni Unite viene firmata a San Francisco il 26
giugno 1945.
9
internazionale. In quest’ottica, dall’aprile al novembre 1947 oltre 50 Paesi prendono parte
a Ginevra ad una prima trattativa, focalizzando l’attenzione su tre grandi temi:
-
la preparazione della Carta dell’International Trade Organization (ITO),
-
l’elaborazione dell’accordo multilaterale commerciale per la riduzione delle tariffe
doganali,
-
la definizione dei principi regolativi.
I risultati dei lavori sulle prime due tematiche portano il 30 ottobre 1947 alla firma di
un Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio, che contiene le clausole
generali relative ai reciproci impegni in materia di tariffe doganali e che segna l’atto di
nascita del GATT – General Agreement on Tariffs and Trade.
Nelle intenzioni dei 23 paesi firmatari,6 il GATT rappresenta dunque un semplice
trattato multilaterale per la riduzione reciproca dei dazi doganali, e riveste un carattere
provvisorio (in vigore dal 1° gennaio 1948), in attesa dell’entrata in vigore di una vera e
propria organizzazione internazionale per il commercio.
L’ITO – International Trade Organization, viene successivamente istituita con la
“Carta dell’Avana” nel marzo 1948, nel corso di una conferenza delle Nazioni Unite su
commercio e occupazione. In realtà il trattato istitutivo dell’ITO non verrà mai ratificato,
principalmente a causa dell’opposizione del Congresso americano che, non essendo in
linea con la presidenza, costringe i propri negoziatori a Ginevra a far cancellare dal testo
del GATT ogni riferimento al fatto che esso potesse istituire un organismo internazionale e
avere poteri di trattativa commerciale. Nell’aprile del 1949 il Presidente Truman sottopone
la Carta dell’Avana all’approvazione formale del Congresso, ma non ottiene alcuna
risposta, dal momento che l’attenzione è rivolta a questioni ben più urgenti come il
Trattato del Nord Atlantico ed il Programma di assistenza e difesa militare.
Alla fine del 1950 è evidente la perdita definitiva di interesse da parte di Washington7 e,
senza la partecipazione del paese che era uscito dalla guerra come la maggiore potenza
economica mondiale, il trattato istitutivo dell’ITO viene di fatto abbandonato.
6
PARENTI A., op.cit., p. 32
Quale nazione uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, l’Italia non fa parte del gruppo di 23
paesi che partecipano alle trattative per la creazione del GATT. Accederà al GATT solo nel 1949, nel
corso del secondo round di negoziati.
7
COHN, Theodore H., Governing Global Trade: International Institutions in Conflict and
Convergence, Aldershot, Ashgate, 2002, p. 13
Le ragioni del rifiuto del Congresso americano sono piuttosto complesse, e peraltro ironiche, visto
che proprio gli USA, insieme al Regno Unito, sono nel 1946 tra i principali sostenitori della creazione
10
Il GATT ed i cicli di negoziati
L’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio nasce con l’obiettivo di negoziare,
mediante trattative multilaterali tra le parti contraenti, una riduzione sostanziale dei dazi
doganali e di tutte quelle misure che falsano il libero gioco della concorrenza commerciale,
nonché di stabilire regole di comportamento applicabili al commercio dei beni agricoli ed
industriali, da tutti accettate e rispettate.
In particolare, riferendosi alla teoria neoclassica del libero commercio, l’Accordo si
propone lo sviluppo di un commercio equo e trasparente, fondato sulla divisione del lavoro
e sui vantaggi comparati possibili grazie alla specializzazione.8
Quattro i criteri principali alla base dell’accordo, che consentono da un lato la
liberalizzazione (“free trade”) e dall’altro l’equità degli scambi (“fair trade”)9:
1) la reciprocità negli scambi, per cui, negli scambi internazionali, gli stati si assicurano
reciproche concessioni dello stesso tipo;
2) la non discriminazione, che implica l’accettazione incondizionata della nazione più
favorita, in base alla quale ogni paese è vincolato ad estendere a tutti gli altri i
benefici di una riduzione delle barriere agli scambi, negoziati con uno o più paesi;
3) il trattamento nazionale, che prevede che una società o un prodotto straniero deve
avere lo stesso trattamento in materia di imposizione fiscale o nell’applicazione delle
leggi e regolamenti di cui godono le società ovvero i prodotti nazionali;
4) l’eliminazione o riduzione delle barriere commerciali non tariffarie, quali, ad
esempio,
il
dumping,
le
sovvenzioni
pubbliche
all’industria
e
le
restrizioni
quantitative agli scambi.
Si tratta sostanzialmente di maggiori certezze giuridiche, che mirano a ristabilire la
crescita e la stabilità economica internazionale, ed a favorire dunque lo sviluppo di una
pace durevole all’indomani del secondo conflitto mondiale.
dell’ITO. Fondamentale per la scelta americana si rivela il ritorno al Congresso nel 1948 di una
maggioranza repubblicana, tradizionalmente più isolazionista.
8
Dal Preambolo dell’Accordo Generale sulle tariffe doganali ed il commercio (GATT 1947):
“…Recognizing that their relations in the field of trade and economic endeavour should be conducted
with a view to raising standards of living, ensuring full employment and a large and steadily growing
volume of real income and effective demand, developing the full use of the resources of the world
and expanding the production and exchange of goods…”
9
Société française pour le droit international, La réorganisation mondiale des échanges: problèmes
juridiques. Colloque de Nice, Paris, Pedone, 1996, p. 6
11
L’Accordo generale del 1947 prevede d’altro canto numerose eccezioni, che ne limitano
in parte la portata: alcuni prodotti restano esclusi, almeno in un primo tempo, dal campo
di applicazione (i prodotti agricoli, i servizi, i tessili); i paesi meno avanzati e quelli in via
di sviluppo beneficiano di regole particolari, così come gli scambi commerciali interni alle
zone di libero scambio ed alle unioni doganali.
Vista la natura “provvisoria” del proprio mandato, il GATT entra in vigore senza disporre
di una vera e propria struttura organizzativa e di organi decisionali. I lavori sono diretti
dalla Sessione annuale delle parti contraenti – che di regola decide a maggioranza
semplice o qualificata, ma di fatto sempre sulla base del consenso – e dal Consiglio GATT,
che si riunisce mensilmente; il Segretariato ha sede a Ginevra ed è composto da circa 500
funzionari, sotto la guida di un Direttore generale che gode di un’ampia stabilità (solo
quattro Direttori generali dal 1948 al 1993).
Le decisioni vengono prese in effetti nell’ambito di lunghe trattative dirette tra gli stessi
membri, ossia attraverso dei “cicli di negoziati” (round), che definiscono nuove regole su
specifici argomenti ed ulteriori riduzioni tariffarie.
Ci sono stati in tutto 8 round nella storia del GATT, dal 1947 al 1995, denominati in
base al luogo dove si sono svolti oppure, più raramente, in base al nome della personalità
politica che li ha particolarmente influenzati.
Tabella 1:
Data
Denominazione del
round
Oggetto
Paesi
partecipanti
1947
Ginevra
Tariffe
23
1949
Annecy
Tariffe
13
1951
Torquay
Tariffe
38
1956
Ginevra
Tariffe
26
1960-1961
Dillon round
Tariffe
26
1964-1967
Kennedy round
Tariffe e antidumping
62
1973-1979
Tokyo round
1986-1994
Uruguay round
2002-2005
Doha development agenda
Tariffe e regole sugli ostacoli
non tariffari
Creazione del WTO, tariffe,
servizi, regole
Tariffe, servizi, regole
12
102
123
I primi cinque negoziati (1947 – 1961), dominati dai paesi sviluppati e soprattutto
dall’egemonia statunitense, sono quasi esclusivamente dedicati all’eliminazione degli
ostacoli tariffari. In questi anni il GATT funziona come una “small club-like organisation”,
priva di prerogative formali e basata sulla regola del consenso di tutti i membri per la
definizione di nuove regole.
In seguito, a partire dal Kennedy Round, aumenta il numero dei partecipanti ai
negoziati, e tra questi il numero dei paesi in via di sviluppo10. Il GATT inizia inoltre a
definire gli strumenti per l’eliminazione di altri ostacoli agli scambi commerciali, non solo
di natura tariffaria ma anche di natura regolamentare (Ntb – Non tariff barriers), quale ad
esempio il rispetto di determinate normative nazionali.
Nel corso degli anni vengono inoltre concordati alcuni codici (nove in tutto, che
spaziano dalla definizione delle modalità di valutazione delle merci alla definizione di
regole in materia di standard tecnici per i prodotti industriali) obbligatori soltanto per i
Paesi firmatari degli stessi, in genere i Paesi industrializzati. Si tratta di codici che
funzioneranno da base per molte delle regole contenute nel futuro accordo dell’WTO.
Tra il 1973 ed il 1979 il Tokyo Round, nel corso del quale la Comunità Economica
Europea comincia ad affermarsi quale leader al fianco degli Stati Uniti, segna il passaggio
dai negoziati solo tariffari ai negoziati anche regolamentari. Il round non riesce però a
portare al commercio internazionale l’impulso necessario per la sua ripresa, rimanendo
quasi esclusivamente dedicato ai problemi del commercio di beni industriali. Resta ancora
escluso il commercio dei servizi, che proprio negli anni Settanta rappresenta un settore in
continua espansione, dove è necessario creare delle regole per facilitare gli scambi
internazionali. Restano fuori anche i prodotti agricoli, che fanno parte del GATT fin
dall’inizio senza che le regole siano mai state loro applicate.
Infine, nel settembre 1986 inizia a Punta del Este l’ottava tornata di negoziati
commerciali multilaterali, l’Uruguay Round, che rappresenta il ciclo più stimolante,
ambizioso e prolungato della storia del GATT destinato a concludersi dopo ben sette anni,
nel 1993. Vengono trattati la proprietà intellettuale, il commercio dei servizi, gli appalti
pubblici e le misure di investimento connesse al commercio, ossia temi d’interesse dei
Paesi industrializzati e soprattutto della cosiddetta “triade”, vale a dire Stati Uniti, Europa
e Giappone; ma anche temi quali il tessile e l’abbigliamento, cari ai Paesi in via di sviluppo
10
La mancanza di un “executive board” all’interno del GATT, unitamente alla crescente
partecipazione ai negoziati da parte dei paesi in via di sviluppo, determinano nel 1961 la nascita
13
che per la prima volta assumono un ruolo più attivo nei negoziati commerciali
multilaterali, partecipando anche ad animate coalizioni Nord-Sud11.
In un documento di oltre ventidue mila pagine, il testo finale dell’Uruguay round
precisa, chiarifica, completa e modifica il sistema del GATT 1947.12 Tra le novità che
riguardano il commercio internazionale:
-
l’accesso al mercato, con tagli tariffari senza precedenti e di vasta portata;
-
l’introduzione di misure per ridurre le barriere non tariffarie, in particolare i
regolamenti tecnici motivati da considerazioni politiche interne;
-
la revisione delle misure in materia di protezione degli scambi, in particolare le misure
anti-dumping e anti-sovvenzione, le misure basate sulla clausola di salvaguardia, la
valutazione in dogana, l’ispezione prima della spedizione via mare e le regole di origine
e le licenze di esportazione.
Vengono inoltre affrontate altre questioni relative al funzionamento del GATT,13 anche
se ancora non si parla della creazione di un’organizzazione mondiale del commercio,
principalmente a causa delle reticenze statunitensi. Il tema verrà riproposto dal governo
canadese solo all’inizio degli anni Novanta.
L’Uruguay Round si conclude nel dicembre 1993, dopo il fallimento di ben due
Conferenze Ministeriali (Montreal, nel 1988 e Bruxelles, nel 1990) ed al termine di un
lungo
contenzioso
sull’agricoltura
tra
(“accordo
Unione
di
europea
Blair
e
14
House” ).
Stati
Uniti
incentrato
Le
sfide
crescenti
principalmente
del
commercio
dell’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, quale forum di ricerca,
discussione e pre-negoziato per i paesi industrializzati.
11
COHN, Theodore H., op.cit., pp. 169 –170
Numerose divisioni fra i partecipanti si presentano prima del lancio del nuovo round negoziale a
Punta del Este. In particolare, la fase preparatoria è dominata da due gruppi contrapposti: da una
parte il Gruppo dei Nove (G9), formato da paesi industrializzati medio-piccoli, fra cui l’Australia, il
Canada e la Nuova Zelanda, oltre ai membri dell’EFTA, l’Associazione europea di libero scambio;
dall’altra il Gruppo dei Dieci (G10), formato da alcuni paesi in via di sviluppo capitanati da India e
Brasile. USA, CE e Giappone preferiscono non schierarsi con nessuno dei due gruppi. Ben 48 paesi in
via di sviluppo scelgono invece di sostenere il G9 – considerando le posizioni del G10 troppo
drastiche ed eccessivamente contrarie all’introduzione di nuovi temi – andando a formare il nuovo
Gruppo dei 48 (G48), anche detto “Gruppo del caffelatte” perché guidato da Colombia e Svizzera.
12
Vedi allegato 3
13
PARENTI A., op.cit., p. 38
Il gruppo di negoziatori incaricati delle questioni relative al funzionamento del GATT prese il nome di
“FOGS”, cioè “Future Of the GATT System”
14
Si tratta in effetti di un “pre-accordo” fra Unione europea e USA, raggiunto nel novembre 1992 sul
tema dell’agricoltura.
14
internazionale vengono riprese il 15 aprile 1994 dai paesi riuniti a Marrakech, per la
costituzione della nuova Organizzazione Mondiale del Commercio.
15
Capitolo 2: La struttura della WTO e il sistema degli accordi
di Cristina Gagliarducci
L’accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio viene firmato il 15
aprile 1994 da 125 paesi riuniti a Marrakech, in Marocco. Entra ufficialmente in vigore il 1°
gennaio 1995.15
Tra i compiti principali della WTO figurano: la gestione degli accordi commerciali, la
funzione di foro per le discussioni ed i negoziati riguardanti la politica commerciale, la
gestione e la composizione delle dispute commerciali, il monitoraggio delle politiche
commerciali nazionali, l’assistenza tecnica e la formazione per i paesi in via di sviluppo, ed
infine la cooperazione con le altre organizzazioni internazionali. L’Organizzazione Mondiale
del Commercio differisce sostanzialmente dal GATT perché coinvolge nel sistema
commerciale multilaterale nuove aree di cooperazione ed introduce una diversa procedura
per la risoluzione delle controversie.
I membri
La WTO conta attualmente 148 membri, pari ad oltre il 90% dell’intero commercio
mondiale, rappresentati perlopiù da stati sovrani e, in piccola parte, da territori doganali
indipendenti. I membri si distinguono in “original members” e “members by accession”:16
•
“Original
members”:
sono
coloro
che
al
1°
gennaio
1995
risultano
membri
(“contracting parties”) del GATT 1947, ovvero coloro che accettano l’Accordo WTO e gli
Accordi di commercio multilaterale (in origine l’Accordo WTO si apre per accettazione
per un periodo di due anni a partire dal 1° gennaio 1995); sono inoltre coloro i cui
programmi di concessioni ed impegni sono allegati al GATT 1994, nonché gli stati con
programmi di impegni specifici allegati all’Accordo generale sul commercio nei servizi.
Per i membri del GATT 1947 è dunque necessario concludere, attraverso negoziati
bilaterali e plurilaterali, tutti i programmi su beni e servizi, ed avviare simultaneamente
le procedure nazionali per recepire gli Accordi.
15
GATT e WTO coesistono per tutto il 1995
16
BHAGIRATH, Lal Das, The World Trade Organization. A Guide to the Framework for International
Trade, London, Zed Books and Third World Network, 1999, pp. 427-428
16
•
“Members by accession”: si tratta di governi o territori doganali con piena autonomia
in materia di commercio, che decidono di entrare a far parte della WTO. Il processo di
adesione è particolarmente lungo e complesso, perché comporta l’accettazione
dell’insieme
delle
regole
nella
loro
totalità
ed
il
conseguente
adeguamento
dell’apparato legislativo nazionale. I paesi che avviano le trattative godono dello status
di osservatori e dispongono, ad eccezione della Santa Sede, di un periodo di cinque
anni per negoziare e portare a termine il processo di adesione. In genere, viene
costituito gruppo di lavoro ad hoc che verifica l’effettiva riduzione delle tariffe e
l’eliminazione delle barriere non tariffarie da parte dei candidati, rispettando i tempi
previsti. La decisione finale spetta alla Conferenza ministeriale della WTO.
Esiste tuttavia la possibilità di ritirarsi dalla WTO: in questo caso lo stato membro deve
inviare un avviso al Direttore Generale ed aspettare un periodo di sei mesi.
Ai 148 membri della WTO si aggiungono poi 31 Stati e numerose organizzazioni
internazionali intergovernative, che hanno lo status di osservatori.17
Gli ultimi ad aderire nel 2004 sono stati il Nepal e la Cambogia, ma il boom delle
accessioni si registra durante gli ultimi anni dell’Uruguay round, quando il crollo dell’URSS
ed
il
processo
di
modernizzazione
di
alcune
economie
asiatiche
determinano
il
riavvicinamento agli scambi commerciali internazionali da parte di molti paesi dell’Europa
dell’est, delle ex-repubbliche sovietiche e dell’Indocina.
L’Unione europea non ha mai fatto domanda di adesione, ma si è nel tempo aggiunta ai
suoi stati membri, in virtù del trasferimento all’Unione di numerose competenze
commerciali nel quadro della politica commerciale comune18.
Da notare, infine, che l’incisività delle norme della WTO è direttamente proporzionale al
numero ed al peso politico-commerciale dei suoi membri. In questo senso l’accessione più
importante è stata indubbiamente quella della Cina, nel dicembre 2001, i cui negoziati
sono durati ben quindici anni e che sono stati da molti paragonati per importanza ad un
round. Ad oggi soltanto la Russia rimane, tra i grandi paesi del mondo, fuori dalla WTO; i
suoi negoziati di accessione sono tuttora in corso, ma è piuttosto difficile prevedere
17
Vedi allegato 1
18
PARENTI A., op.cit., p. 38
L’Unione europea nella WTO viene ancora denominata ufficialmente come Comunità europea.
17
quando si concluderanno. L’UE è comunque attivamente impegnata a collaborare col
governo russo e con numerosi altri paesi, per aiutarli a prepararsi all’adesione.
La struttura istituzionale
A differenza del GATT, la WTO è un’organizzazione internazionale con personalità
giuridica internazionale e con poteri formali. Si distacca però dal modello comune ad altri
organismi quali la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale quanto a struttura
e competenze: manca, infatti, in essa un organo esecutivo e tutte le funzioni sono
accentrate in organi di natura assembleare,19 che sono composti da tutti i membri
dell’organizzazione. In questo senso si afferma che la WTO è un’organizzazione “members
driven”, cioè guidata dai suoi membri.
La struttura prevista per l’attuazione, l’amministrazione e il funzionamento dell’Accordo
di Marrakech si articola su più livelli:20
ƒ
Conferenza ministeriale:21 si trova al vertice dell’organizzazione, è composta dai
rappresentanti di tutti gli stati membri ed ha compiti istituzionali e di indirizzo politico
generale.
ƒ
Consiglio generale: svolge le funzioni della Conferenza ministeriale negli intervalli
biennali tra una conferenza e l’altra, ed è composto dagli ambasciatori di tutti i membri
della WTO. Può prendere decisioni nelle varie materie di competenza dell’organizzazione,
tuttavia con una particolarità: cambia nome, ma non composizione, quando adotta
decisioni relative al meccanismo di soluzione delle controversie o al meccanismo di
riesame delle politiche commerciali, per diventare rispettivamente il Consiglio generale
incaricato della soluzione delle controversie commerciali oppure il Consiglio generale
incaricato dell’accordo TPRM .22
ƒ
Comitati specifici: preparano i lavori del Consiglio generale specializzandosi nelle
materie dei diversi accordi commerciali multilaterali. Ad esempio, il Comitato Commercio e
19
VENTURINI G, “Le proposte di riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio” in Le frontiere
della globalizzazione: i negoziati commerciali e riforma della WTO. II Conferenza nazionale
sull’Organizzazione Mondiale del Commercio a cura di Lelio IAPADRE e Fabrizio PAGANI, Bologna, Il
Mulino, 2001
20
Vedi allegato 2
21
Vedi capitolo 3
22
PARENTI A., op.cit., p. 47
18
sviluppo riesamina periodicamente le disposizioni speciali a favore dei membri meno
sviluppati, e riferisce al Consiglio generale perché siano prese le opportune iniziative.
Questi Comitati sono aperti alla partecipazione di tutti i membri della WTO, rappresentati
da diplomatici o funzionari con una conoscenza specifica del settore.
ƒ
Consiglio commercio beni: sovrintende al funzionamento dell’accordo quadro GATT,
per il commercio dei prodotti agricoli e industriali.
ƒ
Consiglio TRIPS: sovrintende al funzionamento dell’accordo che regola la protezione
dei diritti di proprietà intellettuale.
ƒ
Consiglio commercio servizi: sovrintende al funzionamento dell’accordo quadro GATS.
ƒ
Comitati accordi plurilaterali: sono istituiti dalla Conferenza ministeriale ed hanno
competenza in materie specifiche. Tra i principali possono citarsi il Comitato sul
commercio
e
lo
sviluppo,
il
Comitato
sul
commercio
e
l’ambiente,
il
Comitato
sull’agricoltura ed il Comitato sugli accordi commerciali regionali.
ƒ
Direttore generale: rappresenta l’organo amministrativo-burocratico; è sprovvisto di
poteri significativi e si trova in posizione di svantaggio in rapporto all’insieme dei 148
membri. E’ nominato dal Consiglio generale per un periodo di tre anni, tra personalità
internazionali che abbiano avuto incarichi di governo possibilmente nell’ambito del
commercio. E’ a capo del Segretariato e in base al trattato istitutivo ha l’espresso divieto
di prendere ordini dai governi degli stati membri. L’attuale Direttore generale – carica che
dieci anni fa venne per la prima volta ricoperta dall’italiano Renato Ruggiero23 – è il
tailandese Supachai Panitchpakdi, già Vice Primo Ministro della Thailandia, che ha assunto
la carica nel settembre 2002, per un periodo triennale, divenendo il primo cittadino di un
Paese in via di sviluppo a trovarsi al vertice di un’organizzazione economica internazionale
a vocazione universale. Supachai Panitchpakdi terminerà il proprio mandato ad agosto
2005.24 Gli succederà il francese Pascal Lamy, già responsabile per il commercio nella
Commissione europea presieduta da Romano Prodi e negoziatore in sede WTO.
23
Vedi allegato
24
CRISTALDI S., “WTO, 12 mesi ad alta tensione” in Il Sole 24 ore del 7 gennaio 2005
Il dibattito sulla nomina del nuovo Direttore generale è stato molto acceso. Tra i candidati che hanno
affiancato il francese Pascal Lamy figurano due latino-americani che appartengono al “Cairn Group”,
ossia al gruppo che riunisce i paesi esportatori di prodotti agricoli: Carlos Perez del Castillo, ex
ambasciatore dell’Uruguay presso la WTO e Luis Felipe Seixas Corrêa, attuale ambasciatore del
Brasile presso la WTO, appoggiato dalla Cina. Da citare anche Jay Krishna Cuttaree, ministro degli
esteri di Mauritius, che è stato sostenuto dai paesi africani.
19
ƒ
Segretariato: ha sede a Ginevra ed è molto esiguo rispetto alle risorse umane delle
altre organizzazioni economiche internazionali. Il suo personale è composto infatti da circa
500 funzionari, meno di un ventesimo di quelli della Banca mondiale, mentre il suo
bilancio non raggiunge i 100 milioni di dollari, cioè poco più di quanto il Fondo monetario
internazionale stanzia per le sole spese di viaggio dei propri funzionari. Lo staff del
Segretariato – organizzato in circa venti divisioni responsabili per aree tematiche – svolge
un ruolo assai importante di supporto tecnico ed amministrativo ai presidenti dei vari
comitati e consigli, di supporto giuridico nella preparazione e discussione dei casi
sottoposti al regime di soluzione delle controversie, nonché di contatto permanente con i
vari membri della WTO.
Il processo decisionale e la regola del consenso
La WTO è un’organizzazione complessa, perché conta un alto numero di partecipanti
che rispondono ad un insieme di diversi accordi, ma soprattutto perché i propri organi
mancano di un’autonoma competenza normativa. Di fatto, tutti i processi decisionali
vincolanti in tema di liberalizzazione degli scambi sono avviati per precisa volontà dei
membri ed esclusivamente con il consenso della loro totalità. Le decisioni prese vengono
poi tradotte in impegni di natura pattizia, che vanno ad inserirsi fra gli strumenti che
compongono gli accordi multilaterali.25
In particolare, secondo l’articolo IX, “la WTO mantiene la pratica del processo
decisionale attraverso il consensus, in conformità con lo spirito del GATT 1947”. Questa
regola ha un duplice significato: da una parte si riconosce il diritto di veto di ogni membro,
che può opporsi ad una determinata decisione che non condivide; dall’altra si esorta a
proseguire le trattative fino al raggiungimento dell’unanimità, instaurando una sorta di
negoziato permanente, una “ONU del commercio mondiale”.
Il consenso è dunque ricercato con i negoziati periodici e poi nei negoziati settoriali, che
praticamente sono continui, e viene raggiunto quando nessun membro presente alla
riunione in cui la decisione viene presa si è formalmente opposto alla decisione stessa.
Quando non è possibile ottenere il consenso, le decisioni vengono prese a maggioranza
dei voti espressi (un voto per ogni membro, al di là del suo peso commerciale o
25
VENTURINI G., op.cit., p. 103
20
demografico)26; la maggioranza può essere semplice o “rinforzata” (3/4 dei membri), e più
precisamente:
ƒ
regola generale: unanimità
ƒ
alternativa: votazione a maggioranza (un voto per paese)
ƒ
interpretazione dei testi legali dell’accordo istitutivo:
maggioranza dei 3/4
ƒ
concessione di esenzioni agli obblighi degli accordi multilaterali:
maggioranza dei 3/4
ƒ
emendamento degli accordi: unanimità o maggioranza dei 2/3 a
seconda della natura
ƒ
ammissione di nuovi membri: maggioranza dei 2/3
Nonostante questa possibilità, nella storia del GATT/WTO non si è mai arrivati al voto,
preferendo piuttosto proseguire con le trattative e giungere al consenso.
Esistono inoltre dei meccanismi “informali” per la formazione del consenso, utili
soprattutto in considerazione dell’aumento dei membri della WTO. Fra questi spiccano le
cosiddette “green rooms”, ovvero riunioni presidiate dal Direttore generale, con un
massimo di quaranta partecipanti fra i paesi industrializzati ed i PVS più attivi su una
determinata questione. In ultimo, le trattative si sviluppano anche grazie a numerosi
incontri bilaterali e nel corso di riunioni informali come quelle del “Quad”, tra USA, UE,
Giappone e Canada.
Il sistema degli accordi
Il trattato di Marrakech non regola alcun aspetto del commercio internazionale ma si
limita a definire le regole che riguardano il funzionamento della WTO stesso. I membri del
WTO devono rispettare gli accordi multilaterali allegati al trattato, che contengono le
regole vere e proprie del commercio internazionale. In particolare, il trattato (“Atto
Finale”) si compone di 16 articoli e di numerosi allegati:
•
accordo GATT 1994 (allegato 1A): regola gli scambi internazionali delle
merci. Più precisamente, questo allegato contiene il testo del GATT modificato
26
PARENTI A., op.cit., p. 49
21
dall’Uruguay Round, giuridicamente distinto dal testo originario del GATT del 1947 e
successivi emendamenti, nonché gli accordi sulle seguenti materie: agricoltura;
applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie; prodotti tessili e dell’abbigliamento;
ostacoli tecnici agli scambi; misure relative agli investimenti che incidono sugli scambi
commerciali;
applicazione
dell’Art.
VI
del
GATT
1994
(misure
antidumping);
applicazione dell’art. VII del GATT 1994 (valutazione in dogana); ispezioni preimbarco; regole in materia d’origine; procedure in materia di licenze d’importazione;
sovvenzioni e misure compensative; applicazione di misure di salvaguardia.
•
accordo GATS – General Agreement on Trade in Services (allegato 1B):
regola il commercio internazionale dei servizi;
•
accordo TRIPS – Trade Related aspects of Intellectual Property rights
(allegato 1C), che regola vari aspetti della protezione dei diritti di proprietà
intellettuale, compreso il commercio delle merci contraffatte;
•
accordo per la soluzione delle dispute commerciali che possono insorgere tra
i membri del WTO (allegato 2);
•
accordo TPRM – Trade Policy Review Mechanism (allegato 3), che prevede
che le politiche commerciali dei singoli membri del WTO siano regolarmente esaminate
e discusse da parte degli altri membri dell’organizzazione;
•
accordo sul commercio di aeromobili civili, accordo sugli appalti pubblici,
accordo internazionale sui prodotti lattiero-caseari, accordo internazionale sulle carni
bovine (allegato 4). Gli ultimi due accordi sono stati abrogati alla fine del 1997.
Gli accordi e gli strumenti giuridici contenuti negli allegati da 1 a 3 (denominati “Accordi
commerciali multilaterali”) sono parte integrante del Trattato e sono vincolanti per tutti i
membri. Gli accordi e gli strumenti contenuti nell’allegato 4 (denominati “Accordi
commerciali plurilaterali”) fanno anch’essi parte del Trattato ma comportano diritti ed
obblighi solo per i membri che li hanno accettati.
Fa eccezione a questa regola il voto dell’Unione europea che vale 15 voti, cioè un voto per ogni
membro dell’UE ma nessuno per l’UE stessa, che è comunque un membro dell’organizzazione.
22
La soluzione delle controversie
Strettamente collegato alla procedura decisionale, che riconosce la centralità dello stato
membro, è il meccanismo di soluzione delle controversie, che incoraggia le parti a
superare eventuali divergenze attraverso la consultazione.
Si tratta di uno degli elementi più significativi che segnano il passaggio dal GATT alla
WTO e consiste nella creazione di una sorta di tribunale del commercio internazionale al
quale i membri possono rivolgersi quando ritengono che un altro membro abbia violato
uno degli obblighi previsti dagli accordi, e che ciò abbia avuto conseguenze negative sui
propri settori produttivi. Grazie a tale sistema, applicato al complesso degli accordi
commerciali multilaterali ed in vigore dal 1995,27 tutti i membri hanno lo stesso diritto di
rivalsa.
Le fonti giuridiche del meccanismo di soluzione delle controversie sono gli articoli XXII e
XXIII del GATT 1994, oltre alle norme ed alle procedure elaborate successivamente, che si
basano sui principi di equità, velocità, efficacia e mutua accettazione.
Concretamente, quando una disputa commerciale è notificata alla WTO vengono
attivate tutta una serie di misure automatiche. Innanzitutto si cerca di risolvere la
controversia in maniera amichevole, attraverso le consultazioni tra le parti. Se ciò non è
possibile, nel giro di sessanta giorni si passa alla fase contenziosa della procedura con la
costituzione da parte dell’Organo di regolamentazione delle controversie (il DSB – Dispute
Settlement Body, ovvero una sessione speciale del Consiglio generale della WTO)28 di un
panel, composto da giudici che devono avere una comprovata esperienza in materia di
commercio internazionale.
Dopo aver consultato le parti, il panel presenta una relazione al DSB, che dovrà
adottarla entro sessanta giorni. Da notare l’efficacia vincolante dell’approvazione delle
relazioni dei panel, conseguita mediante il meccanismo del cosiddetto “consensus
negativo”, per cui è necessario il consenso di tutti i membri dell’organizzazione –
compreso quello dello stato che ha vinto la causa – affinché la sentenza non venga
applicata.
27
Un sistema di composizione delle vertenze esisteva anche prima della creazione della WTO, ma
non era molto efficace perché non aveva carattere obbligatorio, o meglio, i risultati dovevano essere
accettati da tutti i membri dell’organizzazione, compreso quello che aveva perso la causa.
28
Il DSB è chiaramente un organo di natura politica, dal momento che la WTO rimane un
organizzazione internazionale composta da stati sovrani.
23
Esiste chiaramente la possibilità di appello, dopo di che lo stato condannato deve
adeguarsi alla sentenza. Il mancato rispetto dei termini di adeguamento comporta
l’applicazione di forme di compensazione e di sanzioni commerciali.
Secondo Renato Ruggiero, Direttore generale fino all’aprile 1999, questo sistema
rappresenta il maggior contributo della WTO alla stabilità dell’economia mondiale, senza
del quale le regole rimarrebbero di fatto inapplicate. Dalla sua costituzione ad oggi oltre
230 controversie sono state portate davanti al Dispute Settlement Body, a dimostrazione
della sua credibilità e della fiducia riposta dai membri nel nuovo sistema. Un ruolo molto
attivo è svolto dai paesi in via di sviluppo, tra cui India, Messico e Tailandia, anche se i
ricorsi più numerosi sono quelli avanzati da Stati Uniti ed Unione europea, che sono a loro
volta anche i più frequentemente accusati dagli altri membri di non rispettare le regole
della WTO.
Il caso delle banane: una disputa esemplare29
L’Unione europea aveva un regime privilegiato con le ex colonie di Africa, Caraibi e
Pacifico (“ACP”) e questo trattamento era considerato un importante contributo
economico alla stabilità politica di tali paesi, che traggono da queste esportazioni gran
parte del loro reddito.
Gli USA, l’11 aprile 1996, per conto della Chiquita Brands International, si appellarono
alla WTO affinché un’apposita giuria si esprimesse sulla legalità di questo regime
commerciale (trade, not aid!); la richiesta di giudizio si tradusse in una sentenza che
invitava l’UE a smantellare il regime di importazione delle banane dai paesi ACP.
Nel gennaio 1998 la Commissione di Bruxelles presentò una proposta di modifica per
adeguarsi alla sentenza, suggerendo una disciplina speciale per l’assistenza agli ACP
fornitori tradizionali di banane per un periodo non superiore ai dieci anni. Scopo di
questa assistenza finanziaria e tecnica sarebbe stato quello di facilitare l’esecuzione di
programmi destinati a promuovere la competitività nel settore della banana, in
particolare mediante l’aumento della produttività nel rispetto dell’ambiente, il
miglioramento della qualità, l’adattamento dei metodi di produzione, di distribuzione e
di commercializzazione alle norme qualitative stabilite dall’articolo 2 del regolamento
(CEE) n.404/93.
La controproposta europea in pratica sosteneva che i paesi ACP in pratica non operano
in condizioni di equa competizione, perché la loro produzione è il frutto di piccole
piantagioni rispetto ai latifondi latino-americani, controllati o direttamente posseduti
dalle grandi società come Chiquita, Dole e Del Monte.
La soluzione europea non è stata ritenuta soddisfacente e la giuria della WTO è stata
nuovamente chiamata a redimere la questione. La sua sentenza del 9 aprile 1999 ha
dato ragione alla tesi americana, autorizzando gli Stati Uniti ad imporre sanzioni
commerciali contro l’UE per 191 milioni di dollari quale risarcimento danni; sanzioni che
29
WTO, “Trading into the Future”: Scheda descrittiva
24
sono entrate subito in vigore attraverso dazi del 100% alle importazioni di numerosi
prodotti europei soprattutto di lusso, che hanno colpito grandi imprese come Gucci e
Louis Vuitton.
La lunga dispute commerciale si è conclusa definitivamente solo negli ultimi mesi del
2001 (gli USA hanno ritirato le sanzioni), quando le parti in causa si sono accordate per
un regime più favorevole, fino al 2006, per le banane latino-americane, ma che
contiene comunque un margine di preferenza per le banane ACP. A partire dal 2006
tutte le banane saranno poi trattate alla stessa maniera.
25
Capitolo 3: Le grandi conferenze
di Cristina Gagliarducci
Le Conferenze Ministeriali rappresentano il principale organo decisionale della WTO,
rafforzano l’impatto comunicativo e dettano le linee guida dell’Organizzazione ai più alti
livelli politici.
Si riuniscono almeno una volta ogni due anni e vi prendono parte i ministri responsabili
per il commercio estero, eventualmente coadiuvati da rappresentanti di altri ministeri
direttamente coinvolti nelle attività della WTO. Le Conferenze ministeriali possono
prendere decisioni in tutte le materie coperte dall’Organizzazione, ma generalmente in
occasione delle conferenze ministeriali vengono prese decisioni che hanno una particolare
rilevanza politica per l’Organizzazione stessa, prima fra tutte quella di lanciare nuovi
negoziati commerciali.
Sono cinque le conferenze ministeriali che si sono riunite a partire dall’istituzione della
WTO:
‰
Singapore, 9-13 dicembre 1996
‰
Ginevra, 18-20 maggio 1998
‰
Seattle, 30 novembre-3 dicembre 1999
‰
Doha, 9-13 novembre 2001
‰
Cancún, 10-14 settembre 2003
La prossima conferenza ministeriale è prevista ad Hong Kong dal 13 al 18 dicembre
2005.
Singapore (1996) e Ginevra (1998)
Obiettivo primario della conferenza di Singapore è quello di definire un programma di
lavoro per la neo-costituita organizzazione internazionale del commercio. Ai due punti
cardine della built-in agenda – ovvero della revisione programmata delle regole ai
mutamenti del quadro commerciale internazionale – che sono l’agricoltura ed i servizi,
cominciano via via ad affiancarsi altri temi negoziali30: la politica della concorrenza, le
30
COHN, Theodore H., op.cit., p. 235
26
facilitazioni commerciali, la politica degli investimenti e gli appalti pubblici, sostenuti da
alcuni paesi industrializzati; il tema degli standard lavorativi e dell’ambiente, richiesti da
un ristretto numero di paesi guidati dagli Stati Uniti e dalla Francia, ma fortemente
avversati dai paesi del Sud. Su concorrenza e investimenti vengono messi in piedi due
gruppi di lavoro che presentano i risultati del proprio lavoro nel dicembre 1998,
consigliando semplicemente di continuare la discussione nel corso dell’anno successivo.31
Infine da molti paesi industrializzati e dell’Est asiatico comincia a manifestarsi la volontà di
un accordo che estenda il commercio internazionale ai prodotti tecnologici. Quest’ultimo
tema, non condiviso dai paesi in via di sviluppo, porterà 40 membri della WTO a firmare
nel marzo del 1997 l’Information Technology Agreement.
Il dibattito sugli argomenti da includere nell’agenda negoziale prosegue nel corso della
seconda conferenza ministeriale, dal 18 al 20 maggio 1998 a Ginevra, quando i membri
della WTO approvano un programma di lavoro per il lancio di un nuovo round negoziale
nel 1999.
Seattle (1999)
L’impegno finale dell’Uruguay Round di riprendere entro tempi brevi i negoziati nei due
settori chiave dell’agricoltura e dei servizi si traduce nella decisione di lanciare un nuovo
round di negoziati in occasione della terza conferenza ministeriale della WTO, a Seattle dal
30 novembre al 3 dicembre 1999. Nelle intenzioni dei membri si tratta di un round
ambizioso, da chiamarsi Millennium Round, comprendente un vasto numero di tematiche
che vanno dalle sfide tradizionali alle non-trade o new-trade issues, quali ad esempio la
protezione dell’ambiente o gli aspetti sociali.
Contemporaneamente a questa iniziativa si riscontrano però due importanti sviluppi.32
Da un lato ci si rende conto del mutato scenario internazionale, caratterizzato da
un’economia sempre più globale e da un’ondata di neo-protezionismo. Gran parte dei
membri della WTO – soprattutto l’Unione europea – cominciano quindi ad avvertire la
necessità di riformare anche dal punto di vista regolamentare i meccanismi definiti a
Marrakech.
Dopo l’Uruguay Round si era stabilito di negoziare le riduzioni delle barriere commerciali nell’ambito
dei servizi e dell’agricoltura entro cinque anni dalla creazione della WTO.
31
HOLMES P: e YOUNG A.R., “Concorrenza, investimenti ed il nuovo Round di negoziati” in Il
Millennium Round, il WTO e l’Italia, a cura di Isabella FALAUTANO e Paolo GUERRIERI, Quaderni IAI,
n.8, ottobre 1999, p. 54
32
PARENTI A., op. cit., p. 102
27
Dall’altro lato cresce sensibilmente l’interesse dell’opinione pubblica mondiale e delle
organizzazioni non governative (ONG) verso la WTO e in generale verso tutte le
organizzazioni internazionali a carattere economico. Questo interesse si trasforma ben
presto in accesa protesta contro le politiche perseguite da tali organismi, dando vita a
quello che verrà denominato “il popolo di Seattle”, dal nome della città dove si svolge
appunto la terza conferenza ministeriale. La critica principale rivolta alla WTO riguarda il
suo funzionamento, in particolare la mancanza di trasparenza ed il ruolo predominante dei
paesi sviluppati a discapito di quelli in via di sviluppo. L’opinione pubblica si mostra inoltre
sempre più attenta a questioni quali l’ambiente, gli investimenti, la tutela dei consumatori,
la salute pubblica e la sicurezza alimentare.
La conferenza di Seattle si risolve dunque in un fallimento. Alle proteste della società
civile contro la globalizzazione si aggiungono infatti le resistenze di Europa e Giappone
verso un’effettiva liberalizzazione del settore agricolo, la mancanza di leadership da parte
degli Stati Uniti – molto cauti a causa di forti vincoli interni – ed infine il nuovo ruolo dei
paesi in via di sviluppo e la loro volontà di essere coinvolti a tutti gli effetti in qualità di full
members. 33
Doha (2001)
La quarta conferenza ministeriale della WTO si svolge dal 9 al 14 novembre 2001, in un
contesto molto particolare: quello della mobilitazione anti-terroristica mondiale seguita ai
tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001.34
Compresa la lezione di Seattle, i 142 paesi riuniti nel Qatar annunciano finalmente la
decisione di avviare il 1° gennaio 2002 un nuovo round triennale di negoziati sugli scambi
internazionali, e ne illustrano gli obiettivi all’interno della “Agenda di Doha per lo sviluppo”.
Si tratta di un documento che nel complesso impegna i membri della WTO ad aiutare i PVS
ad integrarsi nel sistema internazionale degli scambi ed a coinvolgerli maggiormente nel
processo normativo, fornendogli le competenze e l’assistenza tecnica necessaria.
33
FALAUTANO, Isabella, The WTO and its Institutional Future: Evaluating the Lessons of Seattle,
Roma, Istituto Affari Internazionali, 2000
34
MARRE B., Doha: Un essai à transformer: Le bilan de la quatrième conférence ministérielle de la
WTO, 9 – 13 novembre 2001, Rapport d’information déposé par la délégation de l’Assemblée
nationale pour l’Union européenne, Paris, Assemblée Nationale, 2002, p. 10
La situazione a Doha si presenta caratterizzata da una triplice volontà: quella dei paesi occidentali di
scoraggiare qualsiasi correlazione tra islam e terrorismo; quella del mondo arabo-mussulmano di
evitare qualsiasi sospetto di accondiscendenza nei confronti dei terroristi; infine quella del resto del
mondo, ben deciso ad evidenziare il proprio sostegno a questa lotta.
28
All’Agenda per lo sviluppo si affiancano due importanti dichiarazioni: la prima in tema di
applicazione delle regole vigenti, per la creazione di un quadro normativo non
discriminatorio che garantisca la prevedibilità, la stabilità e la trasparenza al fine di evitare
che non siano soltanto i paesi ricchi a trarre dei benefici da un mercato globalizzato. La
seconda sul rapporto tra la tutela della salute e la protezione dei diritti di proprietà
intellettuale (“Declaration on the TRIPS Agreement and Public Health”), per cui gli accordi
WTO possono essere interpretati in maniera tale da consentire ai paesi membri, ove
necessario, di adottare le misure opportune per proteggere la salute pubblica (ad esempio
fornire farmaci essenziali a prezzi accessibili).35
I ministri riuniti a Doha concordano inoltre sulla necessità di affrontare i problemi che
riguardano il commercio e l’ambiente all’interno di un contesto multilaterale, dove sfide
come i cambiamenti climatici o lo smaltimento dei rifiuti tossici vengano trattate in
armonia con quelle relative al sistema internazionale degli scambi, affinché si rafforzino a
vicenda.
Si riconosce, in ultimo, l’interdipendenza tra la promozione degli scambi e lo sviluppo
sociale. La WTO e l’ILO – International Labour Organization stabiliscono di intensificare la
loro collaborazione per compiere progressi in relazione agli aspetti sociali del commercio,
ivi comprese le norme del lavoro.
La globalità e la coerenza dei risultati delle trattative viene garantita dal cosiddetto
single undertaking, ossia il principio che lega tutte le questioni in via di negoziazione. Il
paragrafo 47 della Dichiarazione ministeriale stabilisce infatti che “the conduct, conclusion
and entry into force of the outcome of the negotiations shall be treated as parts of a single
undertaking”. Viene altresì prevista la possibilità di accordi anticipati – “agreements
reached at an early stage may be implemented on a provisional or a definitive basis” –
35
MARRE B., op. cit., pp. 10-11
L’Accordo di Doha comprende l’adozione di cinque testi:
una Decisione sulle questioni e le preoccupazioni legate alla messa in opera degli accordi di
Marrakech da parte dei paesi in via di sviluppo;
una Dichiarazione ministeriale, che fissa il programma di lavoro dei negoziati commerciali
multilaterali da svolgere dal 2002 al 2005
una Dichiarazione sull’Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale che
riguardano il commercio (ADPIC) e la salute pubblica;
una comunicazione delle procedure per le proroghe accordate ai paesi in via di sviluppo al titolo
dell’Accordo sulle sovvenzioni e le misure compensative;
il riconoscimento dell’Accordo di Cotonou, tra l’Unione europea e gli ACP.
A questi documenti si aggiunge la Dichiarazione sul miglioramento e la chiarificazione del
Memorandum d’accordo per il trattamento delle controversie, conclusa il 31 maggio 2003.
29
anche se comunque, nel rispetto del single undertaking, il bilancio globale di tutti i risultati
è programmato alla fine del ciclo.
Un’altra tappa significativa raggiunta nel corso della Conferenza ministeriale di Doha è
l’approvazione, per consenso, dell’ingresso nella WTO della Cina e di Taiwan36, che rinforza
il peso politico dei paesi del Sud del mondo e conferisce all’organizzazione un carattere
ancora più universale.
Nel complesso, il nuovo round che viene lanciato a Doha si apre dunque all’insegna di
un nuovo slancio che assegna all’Organizzazione mondiale del commercio un ruolo più
incisivo in termini di promozione della crescita economica, sviluppo sostenibile e
miglioramento della governance mondiale.
Cancún (2003)
Nonostante le premesse positive di Doha, la quinta conferenza ministeriale della WTO si
rivela un nuovo insuccesso. Il summit si riunisce in Messico dal 10 al 14 settembre 2003 e
vede la partecipazione di ben 148 paesi – ultimi ad aderire la Cambogia ed il Nepal – oltre
ai rappresentanti di associazioni di categoria e ONG, ma si risolve con la chiusura
anticipata dei negoziati
A Cancún emergono infatti due contrasti fondamentali, quello sui sussidi agricoli e
quello sulle cosiddette Singapore issues.
Nel primo caso la contesa è rappresentata dal protezionismo delle superpotenze ai
danni delle piccole aziende africane, asiatiche e latino-americane. USA e UE – quest’ultima
incapace di raggiungere una riforma della sua politica agricola – non concordano
sull’abolizione delle sovvenzioni alla propria produzione agricola a vantaggio delle grandi
multinazionali agroalimentari; applicano cioè dazi doganali sui prodotti concorrenziali
provenienti dal resto del mondo, rendendo i loro prodotti meno cari sul mercato
mondiale.37 Una coalizione eteroclita, detta Gruppo dei 22 (“G22”), rappresentante più
36
Taiwan viene fatta accedere alla WTO quale “membro” e non “stato membro”, per evitare
problemi diplomatici con il governo cinese.
37
MARTINELLI M., Il commercio mondiale nell’era della globalizzazione: dal GATT alla WTO al
contesto attuale, ISE, 2003, p. 84
Da notare che le sovvenzioni all’agricoltura hanno generato grandi quantità di eccedenze alimentari,
per cui i magazzini europei traboccano di grano, latte, burro, carne, e per smaltirli l’Unione europea
concede contributi alle esportazioni affinché siano venduti sul mercato internazionale a prezzi
ribassati. Ciò significa che a Nairobi o a Dakar i pomodori europei costano meno di quelli locali. Ma
se questo può sembrare positivo per gli abitanti delle città, non lo è per i piccoli contadini che
rappresentano la maggioranza della popolazione del sud: per loro, l’arrivo dei prodotti agricoli
30
della metà della popolazione mondiale tra cui la Cina, il Brasile e l’India, si oppone a
questa politica tariffaria selettiva, che ostacola fortemente l’accesso dei prodotti agricoli
provenienti dal Sud ai mercati del Nord, ma le sue richieste non vengono ascoltate.
Nel secondo caso sono proprio i PVS a rifiutarsi di mettere in discussione il pacchetto di
Singapore, cioè i quattro argomenti sui quali la WTO voleva avviare nuovi negoziati:
investimenti, concorrenza, trasparenza degli appalti e facilitazioni al commercio.
A quattro anni di distanza si ripete così lo scenario di Seattle, con lo scontro tra mondo
ricco e mondo povero sui flussi commerciali. “Il Doha Round – afferma il negoziatore
europeo, l’allora Commissario Pascal Lamy – non è morto, ma certo ha bisogno di una
terapia intensiva…ci vorrà molto lavoro…A Cancún ci prefiggevamo di raggiungere almeno
il 50% degli obiettivi fissati a Doha, ci siamo fermati al 30%”.
Probabilmente la vera novità del sesto vertice è proprio il crearsi di alleanze fra paesi
molto diversi, come il G22 o il “G90”, un vasto raggruppamento degli stati più poveri,
soprattutto africani, che per la prima volta riescono a mantenere un “potere contrattuale”
ed una coesione sufficienti, nonostante le pressioni dei Paesi ricchi e i differenti punti di
vista su alcune questioni.
A Cancún, a differenza di Seattle, il Sud del mondo si pone quindi come soggetto
politico forte ed autorevole ed il fallimento del vertice sta soprattutto nel non aver colto
questo dato politico nuovo.
Il dibattito sulla riforma della WTO: il problema della trasparenza, il ruolo
delle ONG e della società civile, la cooperazione con le altre organizzazioni
internazionali
Nonostante la sua creazione sia relativamente recente, la WTO è stata oggetto negli
ultimi anni di accesi dibattiti incentrati sul tema di una sua possibile riforma. Si parla
infatti con insistenza di una “duplice sfida” cui l’organizzazione deve far fronte: la prima
proveniente dal suo interno, da parte della maggioranza dei suoi membri, di natura
soprattutto regolamentare; la seconda proveniente dall’esterno dell’organizzazione, da
parte dell’opinione pubblica mondiale che critica sempre più accesamente le politiche
perseguite in generale dalle organizzazioni internazionali a carattere economico.
sovvenzionati equivale infatti al fallimento, dal momento che sono costretti ad adattarsi a dei prezzi
31
In particolare, le tematiche sui cui oggi i membri si trovano a riflettere sono molteplici e
possono distinguersi in due ampie categorie:38quelle che riguardano la “trasparenza
interna”, ovvero la struttura istituzionale della WTO ed i relativi metodi di lavoro, e quelle
che riguardano la “trasparenza esterna”, riferita all’immagine di sé che l’organizzazione
trasmette sul piano internazionale.
1)
ƒ
La “trasparenza interna”:
il decision making: nonostante l’esperienza sinora maturata mostri l’adeguatezza dei
meccanismi decisionali esistenti ed il valore del principio del consensus – che garantisce
anche ai singoli paesi la concreta possibilità di bloccare l’adozione di decisioni – ci si
interroga sempre più spesso sull’opportunità di optare per una votazione espressa a
maggioranza, introducendo meccanismi di ponderazione analoghi a quelli vigenti nelle
organizzazioni internazionali economiche.
ƒ
il rafforzamento del ruolo del Segretariato e del Direttore Generale: chi lavora
stabilmente a Ginevra necessita di un ruolo più incisivo; in particolare, al Direttore
Generale andrebbero attribuiti da un lato il potere di iniziativa, dall’altro risorse umane e
finanziarie più consistenti. Da valutare, inoltre, l’ipotesi di creare un organo esecutivo
ristretto con una partecipazione a rotazione dei membri, eventualmente sulla base di un
criterio misto di ponderazione economica e di rappresentanza geografica.
ƒ
il deficit democratico: nel sistema della WTO il potere legislativo ha un ruolo
decisamente marginale, dal momento che la consultazione dei rispettivi parlamenti è sì
doverosa ma sempre tardiva. E’ invece essenziale che siano proprio i parlamenti nazionali
ad assegnare ai governi un preciso mandato negoziale, che poi vengano regolarmente
informati sull’andamento delle trattative per esercitare un effettivo controllo democratico
delle attività ed arrivare alla fase della ratifica con una solida base di consenso interno.39
ƒ
il sistema del “rule-oriented”: i processi decisionali ed i meccanismi di risoluzione delle
controversie devono essere resi fruibili per i paesi in via di sviluppo, che hanno spesso
difficoltà concrete nel partecipare attivamente. Compiti quali la raccolta delle informazioni,
che non coprono neanche le spese di produzione.
38
VENTURINI G. op. cit., p. 105
39
VENTURINI G. op. cit., p. 107-108
Nei paesi dell’Unione europea la partecipazione parlamentare al sistema WTO è particolarmente
critica, perché i parlamenti nazionali hanno ceduto all’UE i poteri in materia di politica commerciale
esterna e possono pertanto solo formulare indicazioni, che devono essere recepite dai comitati
comunitari come il “Comitato 113” o il COREPER. Esiste inoltre un apposito comitato del Parlamento
32
l’analisi dei costi e benefici, il monitoraggio degli effetti degli impegni impresi richiedono
infatti costi elevati, sia in termini economici che di risorse umane dedicate.40 Ove questi
costi non siano accessibili, sono necessarie soluzioni nuove, quali ad esempio: l’attivazione
di procedure di assistenza tecnica sia in fase di accessione che di partecipazione; la
cooperazione con altri organismi internazionali di assistenza allo sviluppo; il sostegno ad
iniziative che facilitino una sorta di “rappresentanza comune” tra paesi simili o gruppi di
paesi.
l’aumento del numero dei partecipanti: il sostegno all’adesione del maggior numero di
ƒ
paesi, siano essi potenze commerciali – come la Russia – o piccoli stati, estende i vantaggi
del sistema commerciale globale. In questo senso vanno promosse iniziative analoghe a
quella
lanciata
dall’UE
nel
1999,
“The
WTO
Accessions
Initiative”,
finalizzata
all’alleggerimento dei procedimenti di adesione (che di norma durano cinque anni).
2)
ƒ
La “trasparenza esterna”:
la scarsa accessibilità delle fonti: spesso la divulgazione dei documenti della WTO non
è immediata. Spetta invece agli stati membri informare i propri cittadini sulle questioni in
discussione a Ginevra e rendere pubblica la posizione del governo nazionale organizzando
dibattiti e promuovendo un confronto con i vari attori istituzionali e civili.
ƒ
il ruolo della società civile: nel corso delle ultime negoziazioni commerciali è emersa
con forza la necessità di coinvolgere i “non-state actors”, secondo la definizione che la
WTO da della “società civile”, ovvero le associazioni di categoria (camere di commercio,
sindacati, operatori nei vari settori industriali), i gruppi ambientali o dei consumatori, le
istituzioni accademiche e di ricerca, e le organizzazioni non governative.
Il GATT non aveva mai stabilito rapporti formali con tali soggetti, ed anche l’articolo V.2
dell’Accordo
istitutivo
è
piuttosto
vago.41
Considerato
però
l’aumento
sensibile
dell’interesse della società civile nei confronti della WTO, da più parti viene proposto di
stabilire relazioni ufficiali con le organizzazioni non governative che si occupano di materie
collegate a quelle di competenza dell’Organizzazione, ad esempio attraverso un apposito
ufficio ed una partecipazione stabile alle attività di alcuni Comitati. Il processo di
europeo, il “Comitato REX”, che segue le materie relative alla WTO, elabora rapporti e formula
raccomandazioni in proposito.
40
Il Millennium Round, il WTO e l’Italia, op.cit., p.34-35
41
“Il Consiglio Generale può adottare adeguate disposizioni per tenere consultazioni o per cooperare
con organizzazioni non governative operanti in settori attinenti a quelli contemplati dalla WTO”.
33
consultazione dei non-state actors dovrebbe quindi diventare sistematico, fino a
riconoscere alle ONG lo status di osservatori.
ƒ
la
cooperazione
con
le
altre
organizzazioni
internazionali:
vista
la
crescente
complessità del mercato mondiale, occorre situare la WTO nel quadro della cooperazione
istituzionale fra gli stati, e quindi rilanciare il coordinamento “orizzontale” con le altre
organizzazioni internazionali che si occupano di commercio e, più ampiamente, di
questioni economiche. 42
Per quanto riguarda le Nazioni Unite, la WTO – che non nasce quale agenzia
specializzata dell’ONU – nel 1995 avvia uno scambio di lettere tra i rispettivi esecutivi e
stabilisce forti legami cooperativi, in particolare con l’UNCTAD – United Nations Conference
on Trade and Development, cui riconosce lo status di osservatore presso tutti i principali
organi
della
WTO,
in
ragione
del
potenziale
contributo
in
determinati
settori.
Analogamente, lo status di osservatore è concesso alla World Intellectual Property
Organization (WIPO) nell’ambito delle responsabilità in materia di proprietà intellettuale,
all’International
Telecommunications
Union
(ITU)
nell’area
dei
servizi,
all’Office
International des Epizooties (OIE) ed alla World Customs Organization (WCO). 43
Importanti legami esistono poi con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca
Mondiale sulla base dell’interrelazione fra commercio, tassi di cambio e condizioni
finanziarie. Nel 1996 la WTO conclude infatti con queste due istituzioni un accordo che
stabilisce un obbligo generale di consultazione reciproca ed autorizza i membri del
Segretariato a partecipare in qualità di osservatori ai comitati esecutivi di FMI e BM
quando si trattano questioni relative al commercio.
Rispetto
agli
standard
lavorativi
ed
all’International
Labour
Organization,
la
Dichiarazione Ministeriale di Singapore del 1996 afferma che l’ILO rappresenta “the
competent body to set and deal with the standards” e che “the WTO and ILO Secretariats
will continue their existing collaboration”.
Ci sono poi i rapporti con le organizzazioni che si occupano di ambiente, per cui il
Segretariato della WTO è in contatto con quello dell’UNEP (United Nations Environment
42
World Trade Organization, The Future of the WTO. Addressing Institutional Challenges in the New
Millennium, Report by the Consultative Board to the Director-General, Geneva, 2005, p. 36
Per “coordinamento orizzontale” si intende il potenziale contributo che le varie organizzazioni
internazionali possono apportare alle attività della WTO, che a sua volta gli riconosce lo status di
osservatore. Lo status di osservatore non è quindi automatico, bensì si differenzia sulla base delle
varie responsabilità degli organi della WTO.
43
World Trade Organization, The Future of the WTO, op.cit. pp. 36-37
34
Programme) e con quelli dei vari Multilateral Environmental Agreements (MEAs). Ulteriori
sviluppi in questo settore sono attesi con le conclusioni del Doha Round.
Da citare, inoltre, alcune iniziative di cooperazione multilaterale a livello pratico, come
la creazione nel 2002 da parte della WTO in collaborazione con FAO, WHO (World Health
Organization), OIE (Organisation mondiale de la santé animale) e Codex Alimentarius di
un nuovo fondo denominato “Standards and Trade Development Facility”. Il fondo è
amministrato dalla WTO e fornisce un supporto finanziario a progetti di assistenza tecnica
che migliorano la sicurezza alimentare e la salute di piante e animali.
Un altro esempio interessante di cooperazione orizzontale è infine il “Piano d’Azione”
stabilito in occasione della conferenza ministeriale di Singapore del 1996 allo scopo di
gestire problemi specifici legati al commercio dei paesi meno sviluppati. Questo Piano ha
portato nel 1997 al lancio della “Integrated Framework”, attraverso la quale la WTO, l’FMI,
la BM, l’UNCTAD e l’ITC (International Trade Center) combinano i loro sforzi, ognuno nella
propria area di competenza ed unitamente a quelli dei donatori, per garantire assistenza al
commercio ed ai bisogni di capacity-building dei paesi meno sviluppati. Finora tale
facilitazione è stata applicata ad un numero piuttosto ridotto di membri, ma nel lungo
termine dovrebbe rivelarsi uno strumento vincente nella lotta alla povertà.
35
Capitolo 4: Dal 1995 al 2006. Un primo bilancio
di Giuseppe Schiavone
Gli stessi successi conseguiti, attraverso i negoziati commerciali tenuti nell’ambito del
GATT, nella riduzione delle tradizionali barriere al movimento internazionale delle merci
avevano contribuito a porre ancor più in evidenza altri settori nei quali era ed è urgente
intervenire per rafforzare il sistema commerciale multilaterale come i servizi, la proprietà
intellettuale, la disciplina degli appalti pubblici, la regolamentazione degli investimenti
esteri e della concorrenza.
Nel 1995, il Trade Policy Review Mechanism, definitivamente istituzionalizzato
nell’ambito della WTO quale meccanismo di esame delle politiche commerciali, ha esteso
la propria competenza ai servizi, alla proprietà intellettuale e ad altre politiche previste
dall’Uruguay Round. Si è riconfermato l’elevato grado di liberalizzazione esistente per i
prodotti industriali, mentre ricorrenti tendenze protezionistiche continuano a interessare i
prodotti agricoli. Per i prodotti tessili e dell’abbigliamento sono state progressivamente
eliminate le misure restrittive che avevano caratterizzato gli scambi nel settore per oltre
quattro decenni. Dal 1° gennaio 2005 sono stati aboliti i 210 contingenti all’importazione
di prodotti tessili e dell’abbigliamento mantenuti dall’UE nei confronti di 11 paesi membri
della WTO. Lo spettacolare aumento delle importazioni dei suddetti prodotti, in
provenienza soprattutto dalla Cina, ha portato l’Italia e la Francia a chiedere all’UE di
adottare adeguate misure di salvaguardia per evitare danni probabilmente irrimediabili alle
industrie comunitarie del settore con gravissime ripercussioni sui livelli occupazionali. Un
apposito accordo è stato quindi stipulato tra UE e Cina al fine di limitare le importazioni di
tessili cinesi fino alla fine del 2007.
Il meccanismo di soluzione delle controversie ha cominciato ad operare agli inizi del
1995; a fine 2004, il totale delle controversie sottoposte al DSB aveva raggiunto il numero
di 323, con la creazione di 162 panels. I panels hanno proceduto all’adozione di appositi
rapporti in 115 casi. In pratica, ben più della metà delle controversie sottoposte alla WTO
si sono risolte attraverso consultazioni bilaterali tra le parti interessate, senza che sia stato
necessario ricorrere alla costituzione di un apposito panel. Contro il 75% circa dei rapporti
dei panels è stato presentato ricorso. Se è innegabile che gli Stati Uniti, la Comunità
europea e il Giappone sono stati tra i principali protagonisti delle controversie va rilevato,
peraltro, che anche i paesi in via di sviluppo hanno utilizzato le possibilità offerte
36
dall’organo di risoluzione delle controversie. Può essere interessante sottolineare, inoltre,
che sono state sottoposte più controversie alla WTO nell’arco di un decennio di quante ne
siano state sottoposte al GATT durante mezzo secolo.
La prima Conferenza ministeriale della WTO ebbe luogo a Singapore dal 9 al 13
dicembre 1996; la seconda si svolse a Ginevra dal 18 al 20 maggio 1998; la terza,
organizzata a Seattle, USA, dal 30 novembre al 3 dicembre 1999, si concluse senza alcun
accordo sui temi che dovevano essere trattati per cui si rivelò impossibile lanciare il
cosiddetto Millennium Round di negoziati multilaterali. Oltre all’incapacità delle delegazioni
presenti a Seattle di raggiungere anche un minimo accordo, la riunione era stata
caratterizzata da forti contestazioni da parte di rappresentanti delle ONG e della società
civile.
La quarta Conferenza ministeriale, svoltasi a Doha, Qatar, dal 9 al 13 novembre 2001,
riuscì a mettere a punto in un apposito documento, la cosiddetta agenda di Doha per lo
sviluppo - Doha Development Agenda (DDA) - le maggiori questioni oggetto di dibattito e
a lanciare finalmente un nuovo round di negoziati commerciali multilaterali nei quali i
problemi dello sviluppo dovrebbero avere un ruolo dominante. Il Trade Negotiations
Committee (TNC) istituito a Doha, con il mandato di negoziare su una vasta gamma di
settori, avrebbe dovuto concludere i lavori entro la data del 1° gennaio 2005.44
I notevoli ostacoli obiettivamente incontrati in sede negoziale e i frequenti irrigidimenti
dei maggiori protagonisti su importanti questioni hanno causato ripetuti rinvii delle
scadenze originariamente fissate. L’andamento del processo negoziale fu nuovamente
esaminato in occasione della Conferenza ministeriale (la quinta) tenuta a Cancún, Messico,
dal 10 al 14 settembre 2003 e conclusasi con un sostanziale fallimento, anche a causa dei
radicali contrasti emersi a proposito delle questioni dette di Singapore (Singapore issues).
Entrate nel programma di lavoro della WTO attraverso la Dichiarazione conclusiva della
Conferenza ministeriale di Singapore, le suddette questioni riguardano i rapporti tra
commercio e investimenti, commercio e politica di concorrenza, la trasparenza degli
appalti pubblici e le facilitazioni agli scambi.
Nel luglio 2004 il Consiglio generale della WTO è riuscito a raggiungere, dopo molti
sforzi, un accordo-quadro che stabilisce le scadenze per la formulazione di nuove regole
commerciali in vista della Conferenza ministeriale da tenersi a Hong Kong nel dicembre
44
Era prevista un’eccezione relativa ai negoziati sul sistema di risoluzione delle controversie e
all’istituzione di un registro multilaterale di indicazioni geografiche per vini ed alcolici che dovevano
terminare, in linea di principio, nel 2003.
37
2005. Il cosiddetto “July package”, formalmente adottato dal Consiglio generale il 1°
agosto 2004, aveva per obiettivo di recuperare almeno parzialmente il tempo perduto
attraverso progressi in particolare nei negoziati sull’accesso al mercato e definendo quadri
di riferimento per i prodotti agricoli e non-agricoli. E’ stata deliberata, in linea di principio,
l’eliminazione delle sovvenzioni all’esportazione di prodotti agricoli, pur se non si è riusciti
a fissare una scadenza precisa. Inoltre, si è stabilito di aprire negoziati sulle facilitazioni
agli scambi, una tra le più delicate questioni di “Singapore”.
Sembrava, in effetti, che il July package potesse offrire una base utile e relativamente
solida per far sì che ad Hong Kong si raggiungesse un accordo su determinati punti
fondamentali, così da rendere possibile la conclusione del DDA entro il 2006.45 I suddetti
punti comprendono: le nuove modalità da seguire per il negoziato in materia di agricoltura
e, in particolare, il modo per calcolare il valore dei dazi sui prodotti agricoli; le modalità di
negoziato per i prodotti non-agricoli; offerte consistenti e ben articolate in materia di
servizi; le facilitazioni commerciali; un adeguato ripensamento del ruolo delle politiche di
sviluppo.
La sesta Conferenza ministeriale ha avuto luogo a Hong Kong dal 13 al 18 dicembre
2005. I partecipanti, pur riconfermando l’impegno di massima a concludere positivamente
il negoziato entro il 2006, non sono riusciti a raggiungere l’accordo su un documento
finale. Persistenti difficoltà e vivaci contrasti di interesse tra le maggiori potenze
commerciali – soprattutto in materia di agricoltura e di accesso al mercato dei prodotti
non agricoli – hanno condotto, alla fine di luglio 2006, alla grave (ma non inattesa)
decisione di sospendere formalmente la trattativa multilaterale, con pesanti ripercussioni
sulla credibilità del sistema commerciale internazionale. “ No deal is better than a bad
deal” sembra essere stata la posizione di alcuni negoziatori, in particolare di oltre
Atlantico, i quali hanno categoricamente rifiutato di accettare quello che ai loro occhi
appariva un accordo limitato e di scarsa sostanza, vale a dire un “Doha Lite”.
Le difficoltà d’ogni genere incontrate nei negoziati multilaterali e il conseguente
slittamento delle date di scadenza entro cui pervenire agli accordi sulle materie oggetto di
trattativa si sono poi accompagnate a un aumento, per certi versi preoccupante, della rete
dei rapporti bilaterali e regionali attraverso la costituzione di aree fondate su trattamenti
preferenziali. La proliferazione delle zone di libero scambio e unioni doganali create da
45
E’ importante precisare a questo riguardo che l’autorità negoziale “fast-track” concessa dal
Congresso degli Stati Uniti al Presidente scadrà nel luglio 2007 e molto difficilmente potrà essere
rinnovata, tenuto anche conto del rafforzamento delle tendenze protezioniste in quel paese.
38
organizzazioni regionali e sub-regionali potrebbe rischiare di compromettere non soltanto
il processo di liberalizzazione ma la stessa stabilità economica e politica del mondo.
Su un piano più generale, aspetti controversi si profilano in riferimento alla tendenza soprattutto da parte americana ed europea - a collegare direttamente questioni di
carattere economico e commerciale con problematiche di ordine politico e sociale. Sono
ben noti i tentativi di subordinare la concessione di determinati benefici ai paesi in via di
sviluppo al soddisfacimento da parte di questi ultimi di determinate condizioni minime in
materia di rispetto della democrazia e dei diritti umani. I paesi in via di sviluppo vedono
spesso dietro le preoccupazioni “umanitarie” del mondo industrializzato l’insidiosa
manifestazione di un neo-protezionismo inteso a ridurre i loro margini di competitività
attraverso l’imposizione di gravosi standard nei campi della legislazione sociale, del lavoro
e dell’ambiente.
La partecipazione della Comunità europea
La Comunità europea costituisce il più numeroso e consolidato raggruppamento di stati
presente a pieno titolo nell’ambito della WTO ed è, con il 20% delle esportazioni e
importazioni mondiali, uno dei principali attori dei negoziati multilaterali insieme con gli
Stati Uniti e il Giappone e il G20 e il G90. Quest’ultimo Gruppo comprende i paesi ACP
(Africa, Caraibi e Pacifico), i membri dell’Unione africana e i paesi in via di sviluppo meno
avanzati.
Altre organizzazioni regionali di integrazione riescono in determinati casi a coordinare le
posizioni da assumere in sede WTO e perciò a parlare “con una voce sola” su determinati
argomenti di comune interesse. Esempi a questo riguardo si possono ritrovare
nell’Associazione delle nazioni del sudest asiatico (ASEAN) e nel Mercosur (Mercato
comune del cono sud dell’America latina) che possono ricorrere a un unico portavoce, in
genere scelto a rotazione tra i membri, per presentare specifiche proposte e posizioni
negoziali. Tali organizzazioni, peraltro, non fanno, in quanto tali, direttamente parte della
WTO e devono operare tramite gli stati membri partecipanti.46 Una particolare coalizione di
stati nell’ambito della WTO è costituita dal Gruppo di Cairns che aggrega paesi
(attualmente 18) tra loro a livelli assai diversi di sviluppo economico ma uniti nel comune
intento di liberalizzare il commercio mondiale di prodotti agricoli.
46
Nel caso dell’ASEAN, ad esempio, solo sette stati su un totale di dieci sono membri della WTO.
39
Ben diverso è il caso della Comunità europea, rappresentata dalla Commissione
europea; quest’ultima esprime in sede WTO, nella stragrande maggioranza dei casi, il
punto di vista ufficiale concordato tra i paesi membri attraverso apposite riunioni di
coordinamento tenute a Bruxelles e Ginevra. Ciò deriva dall’esistenza di una competenza
comunitaria esclusiva in materia di politica commerciale, fondata su principi uniformi,
quale componente essenziale dell’unione doganale instaurata tra i membri della Comunità.
Secondo l’art. 133, par. 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, qualora si
debbano negoziare accordi con altri stati o con organizzazioni internazionali, “la
Commissione presenta raccomandazioni al Consiglio che l’autorizza ad aprire i negoziati”
in questione. La Commissione conduce i negoziati “in consultazione con un comitato
speciale designato dal Consiglio per assisterla in questo compito e nel quadro delle
direttive che il Consiglio può impartirle”. Oggetto dei negoziati possono essere non
soltanto le politiche commerciali ma anche gli scambi di servizi e gli aspetti commerciali
della proprietà intellettuale (art. 133, par. 5). Regole diverse sono previste, invece, dal
successivo par. 6 dell’art. 133 relativamente alla negoziazione di accordi “nei settori degli
scambi di servizi culturali e audiovisivi, di servizi didattici nonché di servizi sociali e relativi
alla salute umana” in quanto rientranti nella competenza ripartita della Comunità e degli
stati membri e quindi assoggettati al consenso di questi ultimi.
Sulla base delle disposizioni ora richiamate, la Commissione europea negozia in sede
WTO per conto dei 25 paesi membri, in consultazione con il suddetto comitato speciale,
conosciuto come Comitato 133. Il suddetto Comitato, composto dai rappresentanti dei
paesi membri e della Commissione, si riunisce a Bruxelles, generalmente ogni settimana,
per definire e coordinare le posizioni da assumere sia sulle grandi questioni di politica
commerciale sia in riferimento a specifici problemi e prodotti. Attraverso il Comitato 133,
la Commissione prepara e ottiene l’assenso dei paesi membri sulle questioni all’ordine del
giorno. In pratica, sono i funzionari della Direzione Generale del Commercio della
Commissione europea che partecipano ai negoziati WTO e parlano a nome della Comunità.
E’ interessante sottolineare che la Commissione si sta adoperando per un maggiore
coinvolgimento
del
Parlamento
europeo
nei
negoziati
commerciali
in
corso.
La
Commissione, infatti, consulta e informa regolarmente il Parlamento circa l’andamento dei
negoziati, in vista anche di un eventuale futuro ampliamento dei poteri del Parlamento
medesimo in materia di commercio internazionale.
40
In quanto all’Italia, il processo di formazione della posizione italiana nella fase di
predisposizione
degli
atti
comunitari
e
l’adempimento
degli
obblighi
derivanti
dall’appartenenza all’UE sono stati recentemente ridefiniti e precisati.47
47
Legge 4 febbraio 2005, n. 11 - Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo
normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari (GU del 13
febbraio 2005, n. 37). Cfr. Relazione annuale al Parlamento 2004-2005 sulla partecipazione
dell’Italia all’Unione europea, predisposta in base all’art. 15 della legge sopra citata.
41
PARTE II
Riflessione sul senso complessivo del sistema WTO,
sul ruolo dell’UE e dell’Italia
Relazione di Dario Ciccarelli48
“L'Italia sta chiaramente attraversando un'involuzione culturale drammatica che non le
permette di vedere e capire qual è il suo posto nel mondo. Per cui si assumono
atteggiamenti superficiali e snobistici. E' come se fossimo una vecchia marchesa che
guarda la vita dalla finestra e non la capisce. Stiamo attraversando una grande
rivoluzione: negli ultimi anni sono arrivati sui mercati due miliardi di individui che prima ne
erano tenuti fuori e nei prossimi anni ne entreranno in campo altri due miliardi. E'
qualcosa che cambia tutto e ovunque provoca reazioni, positive e negative … [L'Italia]
rischia di fare tutte le scelte sbagliate: per incomprensione di ciò che succede”.
(Corriere della Sera, 29 dicembre 1996. Intervista a Renato Ruggiero, Direttore
Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio).
1.
Premessa
In questo articolo si tenterà di descrivere, in maniera necessariamente sintetica e
quindi sulla base di una inevitabile valutazione personale circa gli aspetti più importanti da
comunicare, quella rivoluzione copernicana che ha avuto luogo a Marrakesh il 15 aprile
1994 e il cui frutto s’identifica nel sistema giuridico che regola l’organizzazione del
commercio mondiale.
Si tenterà inoltre di argomentare rispetto al fatto che la cd. globalizzazione - come tale
intendendo l’interconnessione cosmica dei processi di qualsiasi natura - è una vicenda che
si caratterizza anzitutto per la sua capacità avvolgente. La globalizzazione, infatti, riguarda
tutto e tutti: chi non se ne rende conto ne resta inevitabilmente travolto.
Si proverà anche ad orientare l’analisi in chiave di propositività per l’Italia, nell’auspicio
che possa conseguirne l’identificazione di nuove praticabili vie, idonee a generare una
diffusa proiezione cosmica in capo ai singoli individui, cioè – per dirla con Ruggiero – a
48
Le opinioni espresse in questo articolo sono strettamente personali. Il testo è aggiornato al 31.5.2005.
42
portare le attenzioni di molti dalla “finestra” alla vita, e ad evitare dunque che possa
consolidarsi il pericoloso schema secondo il quale il mercato-mondo sarebbe una questione
“di competenza” d’altri.
Il sistema giuridico che regola l’organizzazione del commercio mondiale - che
potremmo in avanti denominare “sistema WTO” – costituirà dunque il fulcro della
trattazione. Un sistema che appare configurarsi come figlio, e allo stesso tempo fratello,
del nuovo scenario della cd. globalizzazione. Figlio, in quanto lo stesso concepimento del
sistema WTO, nonché l’entità e la natura dei suoi progressi, sono il risultato di quella
spinta sistemica, autonoma, complessa, inarrestabile, che si suole definire appunto come
"globalizzazione". Fratello, perché tendendo a fornire regole ai nuovi processi del mercato
globale, il sistema WTO appare l’unico in grado di approntare strumenti idonei a coprire le
nuove traiettorie dello sviluppo, della competizione e del commercio - autonome,
complesse, inarrestabili - della rassicurante veste del diritto, in tal modo tendendo a
dotare tali traiettorie dei requisiti della solidità, della sostenibilità, dell’equità.
Per riuscire in questa straordinaria ed essenziale missione, il diritto WTO si fonda su
principi semplici e chiari, ma si giova di meccanismi raffinati ed altamente complessi,
rifuggendo dall’impossibile ambizione di semplicisticamente imporre - con il solo, ormai
debole e perforabile scudo dell’autorità formale - all’energia ed al dinamismo del mercato
mondiale comandi concepiti in ambienti ed in maniera isolati.
Se la società secerne per via endogena un ordine normativo, tutto ciò che non è
riconoscimento di quell’ordine, ma creazione esogena, è una sovrapposizione distruttrice
dell’assetto normativo prodotto dalla libera interazione tra gli attori sociali 49.
Il sistema giuridico WTO si sottrae dunque alla tentazione dell’imposizione autoritativa,
per nutrirsi invece esso stesso dell’energia e del dinamismo del mercato, procedendo esso
stesso sulla cresta della sua onda, riuscendo - tendenzialmente - a far sì che siano gli
stessi interessi privati, coalizzati secondo geometrie variabili, ad assicurare la spinta del
processo di giuridicizzazione del commercio mondiale, comprensivo dell’azione di controllo
dell’effettiva osservanza delle regole.
Nello schema di funzionamento del sistema WTO, le aree progressivamente più
consapevoli della cartografia degli interessi privati trovano conveniente investire per
contribuire all'evoluzione di tale processo di edificazione giuridica. Un investimento che
49
Lorenzo Infantino, “Prefazione” a: F.A. von Hayek, “Liberalismo”, Ideazione, 1997.
43
consiste nell’immettere nel circuito risorse proprie, necessarie per l'acquisizione ed il
trattamento di informazioni nonché per la definizione di analisi e proposte, le quali ultime,
opportunamente vagliate e riviste dai rappresentanti istituzionali - richiesti di altrettanta
consapevolezza - concorrono così a disegnare, progressivamente ed interattivamente, il
diritto del mercato mondiale.
Si tratta di un sistema che è anzitutto intelligente, nel quale i fini si fondono
armoniosamente con i mezzi.
Un sistema che non si accontenta di porre norme astratte - eventualmente inattuabili e di attribuire semplicisticamente alla realtà la responsabilità delle possibili devianze. No, il
diritto WTO è, per sua natura, parte integrante della realtà.
Per poter conseguire risultati in uno scenario ad altissima complessità quale quello di un
circuito cui partecipano oggi imprenditori e consumatori di tutto il mondo (aprile 2005:
148 Membri50), i propositi facenti capo ai sistemi nazionali devono accompagnarsi ad
elevate capacità organizzative e di comunicazione.
Questi elementi - della capacità organizzativa e della comunicazione - vanno
sottolineati, anche perché contrastano con molti degli schemi con cui spesso si guarda al
diritto.
“[…] l’aspirazione dominante era verso la giuridicità pura, il decantamento della materia
da ogni contaminazione […]: costituzionalisti, amministrativisti, internazionalisti, ultimi gli
ecclesiastici, andavano concordi per questa via […]. Oggi non tutti, ma molti di noi,
sentiamo materia preziosa ma vuota questo diritto così decantato, e ci chiediamo se le
belle costruzioni formali, perfette, ineccepibili, ma mai saggiate nella rispondenza alla vita,
servano ad altro che alla gioia dell’intelletto. Da qui il desiderio di molti di noi di ritornare a
saggiare le nostre costruzioni […]” (A. C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, 1954).
Argomenti giuridici oggettivamente anche eccellenti possono, nel sistema WTO, segnare
50
In questo lavoro, si adopererà talora il termine “Stati” come sinonimo di “Membri”. I due termini
sono però ben lungi dall’indicare significati omogenei in ambito WTO (art. XII del Trattato Istitutivo
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: “Ciascuno Stato o territorio doganale a sé stante
dotato di piena autonomia nella gestione delle proprie relazioni commerciali esterne e degli altri
aspetti contemplati dal presente Accordo e dagli Accordi commerciali multilaterali può aderire al
presente Accordo …”): come casi critici, si può fare riferimento alla situazione delle Comunità
Europee, come pure a diverse altre situazioni (es. Taipei. Hong Kong). Si tratta, come si vedrà nel
corso della trattazione, di casi autenticamente problematici sotto molti, importanti profili.
44
pessime performances se si accompagnano ad inefficaci impianti di coordinamento
pubblico-privato e pubblico-pubblico.
Il diritto della globalizzazione non è puro né intende essere puro: la purezza non rientra
fra le sue finalità, ma piuttosto la messa in opera di strumenti azzeccati ed efficaci
d'immediata utilità per gli operatori economici. Qui non è la validità che domina, bensì il
suo contrario, cioè l'effettività” (Paolo Grossi, "Globalizzazione, diritto, scienza giuridica"51,
2002).
Tra gli elementi caratterizzanti del sistema WTO va anche considerata, come accennato,
la fusione della dimensione del “normare” con la dimensione del “controllare”. Il sistema
degli attori che si richiama all’Organizzazione Mondiale del Commercio manca - mancanza
benefica, deve riconoscersi – oltre che di un legislatore (le regole tendono a prendere
forma quasi spontaneamente dalle dinamiche del mercato, di cui gli Stati sono chiamati a
farsi portavoce), anche di un proprio autonomo apparato di controllo che sia formalmente
preposto a verificare che nel mondo vi sia rispetto delle norme degli Accordi. Manca, cioè,
quella che in un tipico schema di civil law, in cui la repressione della violazione del
comando legale è demandata ad organi della Pubblica Amministrazione, potrebbe essere
concepita come una polizia internazionale del commercio. Una tale eventuale ipotesi,
d'altra parte, non sarebbe stata né possibile né seria. Dalla piccola cittadina alla metropoli,
dai villaggi alle borgate, dall’Australia alla Tunisia, dalla Germania all’India, dal Brasile al
Messico, dal Canada alla Tailandia: attribuire la funzione del controllo del rispetto delle
norme WTO ad organi amministrativi ad hoc, magari con sede a Ginevra, avrebbe privato
di credibilità l’intero sistema, oltre che deresponsabilizzato gli individui. Il gigantesco
apparato che avesse ricevuto una tale missione si sarebbe trovato davanti una velleitaria
fatica di Sisifo.
Il sistema WTO ha fatto invece di necessità virtù e l’azione sistematica di controllo
dell’osservanza delle sue regole è affidata in primis agli stessi protagonisti del mercato:
innanzitutto le imprese, per ora, sebbene si possa rilevare, nonché prevedere, un ruolo di
crescente importanza in capo ai consumatori (deve però sottolinearsi che l’entità e la
qualità del contributo che i consumatori di ogni paese possono dare in favore della qualità
del mercato mondiale si lega indefettibilmente, oltre che alle diverse capacità di
organizzazione, anche agli spazi di profittabilità che un ordinamento accorda a questa
filiera d’interessi).
51
Conferenza tenuta alle classi riunite dell'Accademia dei Lincei nella seduta del 7 marzo 2002 (Il
Foro Italiano, V, maggio 2002).
45
La World Trade Law52 aggancia dunque le proprie dinamiche a quelle che agitano gli
interessi imprenditoriali; riesce a corresponsabilizzare le imprese, e quindi gli interessi che
hanno forma imprenditoriale, riuscendo a porre, come parte integrante di essi, anche
l’interesse al controllo dell’altrui rispetto delle norme WTO.
Pur operando in una prospettiva globale - o forse proprio per quello – l’Organizzazione
Mondiale del Commercio sembra aver compreso che non avrebbe avuto alcuna speranza di
successo se avesse tentato di centralizzare funzioni in un apparato burocratico e ha scelto
pertanto di sposare un diritto che vivesse dei comportamenti sociali.
Nel fungere da primo sensore di quest’attività di controllo - più avanti, vedremo meglio
attraverso quali modalità - gli imprenditori vengono pertanto a svolgere, indirettamente ed
inintenzionalmente, una ulteriore funzione d’interesse collettivo, a beneficio dell’intero
sistema WTO, quindi del mercato, quindi della collettività dei consumatori. L'attenzione
reattiva delle imprese infatti a) agisce come strumento deterrente rispetto alle tentazioni
di violazioni sistematiche e deliberate; b) aiuta - gratuitamente - i regolatori nazionali a
sviluppare un'attitudine (qualità della regolazione) ad individuare la modalità legittima più
efficace e ragionevole per conseguire la tutela dell’interesse pubblico nel caso concreto
(es. ambiente, sicurezza, etc.); c) costituisce il presupposto per azionare i meccanismi,
previsti dal diritto WTO, volti ad assicurare, nei casi oggettivamente controversi,
un’interpretazione aggiornata delle regole WTO (si pensi alla crescente rilevanza del
concetto dinamico di sviluppo sostenibile ed agli avanzamenti che vi sono stati assicurati
proprio dalla giurisprudenza WTO) oltre che a ristabilire la legittimità violata.
Il sistema giuridico dell’Organizzazione Mondiale del Commercio è dunque un sistema
“ad intelligenze distribuite”53, nel senso che si nutre del contributo di tutti gli attori della
trade community, offrendo loro un efficace e trasparente circuito volto a favorire la
circolazione ed il trattamento delle informazioni. Vale al riguardo aggiungere che, se nel
mondo ante-WTO contraddistinto dalle separazioni tra Stati, il sapere veniva accreditato
come una variabile di sicuro successo, oggi - nel mondo dell’interconnessione totale – è
l’attitudine al comunicare, che discende dalla sterile limitatezza del proprio sapere, ad
illuminare le traiettorie.
Si tratta di un circuito che tutti sono "interessati" ad utilizzare, ad alimentare e a far
funzionare. L’attitudine a veicolare e processare – attraverso la comunicazione tra le
52
E si consenta precisare che la traduzione corretta di “law” è “diritto”, non “legge”.
53
Si utilizza un’efficace figura linguistica del prof. Stefano Micelli.
46
diverse componenti – una massa di informazioni di elevatissima entità e qualità (accurate,
tempestive, affidabili) sembra peraltro rappresentare una delle principali forze del sistema,
da cui discende un circolo virtuoso (gioco di tipo cooperativo) attraverso il quale l’attore
marginale, attratto dalla possibilità di accedere al
sapere complessivo del processo,
accetta di pagarne la posta d’ingresso, che risiede nel contribuire ad alimentarlo. E’ così
ampio ed accessibile il repertorio delle informazioni complessivamente disponibili che,
rispetto al poterne trarre giovamento, i fattori dirimenti diventano evidentemente, e
semplicemente, l’attitudine e l’abilità ad attingervi e ad conettervicisi. Se rapportato alle
esigenze di conoscenza della world trade community, il livello di conoscenza contenuto nel
"sistema" WTO è di una rilevanza tale da rendere del tutto insufficienti quei "saperi" che,
incardinati in capo a singole entità, ne fossero invece isolati.
Se la prospettiva pratica comune della "globalizzazione" è quella dell’interdipendenza, il
diritto WTO ha il pregio di averne fatto il proprio stesso fondamento.
Il gioco è certamente complesso, perché complessissimo, d'altronde, è lo scenario - il
mercato mondiale - cui esso si rapporta. E tuttavia, esclusa la possibilità di non
parteciparvi, l’opzione che appare più ragionevole per ciascuno è proprio quella di
investirvi con grande energia, avendo come guida la consapevolezza che, per ciascuno, e
per i motivi di cui si è detto e si dirà, la capacità di comunicazione - in termini sociologici,
tecnologici ed organizzativi – assurge, come si è detto, a fattore cruciale.
In questo gioco, non soltanto si abbatte definitivamente il muro tra pubblico e privato
(cessati utopie ed antagonismi valoriali, ridotti i rischi di dualismo assoluto, oggi
l'interesse nazionale nell’arena globale assume anzitutto la forma avvolgente del saper
competere) ma cadono anche i muri tra aree diverse d’interesse pubblico, coagulati
anch’esse da un lato dalla tensione di un’appartenenza comune, dall’altro dal bisogno di
approntare approcci unitari, integrati e strategici ai processi in atto su base mondiale.
Vedremo ad esempio più avanti come, attraverso il circuito degli Enquiry Points
(Accordo sulle barriere tecniche al commercio; Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie),
un
regolatore
canadese
del
Quebec
possa,
e
“debba”
(trovandolo
obbligatorio ed utile al tempo stesso) giovarsi del contributo dell’imprenditore del
Damodar indiano o del Paranà brasiliano, per migliorare la qualità della propria
regolazione, e vedremo anche come, specularmente, il sistema consenta agli imprenditori
indiani e brasiliani (o australiani, o tedeschi) di intervenire, tempestivamente, sull’attività
normativa degli altri Paesi, a tutela dei propri interessi.
47
Il principio fondante è infatti, come si è detto, quello dell’insufficienza dei saperi
parziali: l’interdipendenza (anche tra i regolatori nazionali e gli imprenditori di altri paesi)
che ne discende non altera l’attribuzione di ai rappresentanti nazionali, ma semmai
aggredisce in radice, semplicemente portandola ad emersione, quella finzione di
onniscienza che sembrava associarvisi.
Si tratta, d'altronde, di null'altro se non di un'attuazione pratica, su base mondiale,
delle indicazioni che da tempo le Organizzazioni internazionali (si pensi alle iniziative OCSE
sulla Better Regulation o a quelle UNECE sulla Trade Facilitation) propongono, in merito
alla necessità di migliorare la qualità delle regolazioni nazionali attraverso meccanismi di
tipo partecipativo che coinvolgano le rappresentanze imprenditoriali ed altri attori sociali.
Il sistema rivela la sua intelligenza anche nel modo di giudicare la condotta dei suoi
membri.
Il giudice54 WTO, come meglio si vedrà più avanti, nel giudicare su una controversia (la
quale si genera quando un Membro accusa un altro Membro di avere violato delle regole
WTO), non si limita a verificare la coerenza formale di una singola norma nazionale
rispetto ad una singola norma WTO. No, il giudice WTO si spinge molto oltre, sia sotto il
profilo delle fonti di diritto da considerare per l’identificazione del parametro di legittimità
nel caso concreto, sia sotto il profilo dei fatti che compongono la “condotta” del Membro
convenuto, pervenendo a compiere un’analisi molto ampia, attraverso la quale egli arriva
a valutare se, rispetto al problema rilevato dal Membro attore, il comportamento
complessivo del convenuto (norme, procedure, comportamenti pratici, organizzazione
giudiziaria, etc.) sia coerente o meno con l'insieme delle regole WTO rilevanti,
costantemente aggiornate, queste ultime, sulla base delle progressive interpretazioni
operate dalla stessa giurisprudenza.
Il giudice WTO non ha dunque limiti formali nella propria capacità di osservazione dei
fatti rilevanti55, e può, e deve, quindi considerare tutti gli elementi - di ogni natura (anche
dichiarazioni di attori rilevanti rese in sedi informali, ad esempio) - che gli appaiano utili
per comprendere se, nel suo complesso, la condotta del Membro convenuto sia stata
54
Il termine “giudice” potrebbe essere considerato formalmente non appropriato per definire gli
organi giudicanti del sistema dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Va pertanto chiarito che
qui - in un approccio orientato alla sostanza - come “giudice WTO” verranno ad intendersi i collegi
legittimati a pronunciarsi nei due gradi di giudizio previsti dall’Intesa per la soluzione delle
controversie (DSU): i Panel e l’Organo di Appello.
48
correttamente,
efficacemente,
coerentemente
e
ragionevolmente
orientata
al
perseguimento di un obiettivo meritevole di tutela giuridica (es. tutela ambientale,
protezione del consumatore, tutela della salute, della sicurezza nazionale, etc.) o se,
viceversa, tale condotta - non importa se per scelta o per inavvedutezza - abbia di fatto
concretato, nel complesso, una discriminazione verso uno o più altri Membri. In tale
seconda evenienza, il giudice rileverà una contravvenzione del diritto WTO ed indicherà i
punti su cui intervenire per recuperare la legittimità violata.
Il sistema WTO costituisce dunque la grande, innovativa piattaforma giuridica mondiale
capace di fondere la spinta cosmica dello sviluppo commerciale con l’antico bisogno di
diritto e di giustizia. Anche se la sua reale efficacia è funzione del grado di partecipazione
organizzata dei singoli individui (consumatori, imprenditori), resta chiaro che il sistema
può certamente assicurare una grande opportunità di diritto per il mondo-mercato. Dopo
10 anni, le regole e le modalità del suo funzionamento sembrano aver preso ormai
chiaramente forma, sicché lo spettro delle scelte praticabili, in capo al singolo attore,
appare oggi limitata ad una semplice alternativa: applicarle e giocare oppure non
applicarle e quindi non giocare.
Ammoniva, già nel 1996, Renato Ruggiero: “La globalizzazione non la faccio io né la
inventa nessuno. La fa soprattutto il progresso tecnologico che ha scavalcato le frontiere.
E' una realtà che incontriamo nella vita di tutti i giorni, nelle componenti delle automobili
come nella prima colazione al mattino. Qui alla WTO cerchiamo di dare delle regole ai
mercati”.
2.
Il senso complessivo del sistema WTO
Il commercio, da sempre ed ancor oggi, si sostanzia di uno scambio, di un bene con un
altro bene, tra due soggettività giuridiche.
Su tale semplice relazione, la quale si produce in esito alla convergente volontà dei due
soggetti interessati, l’impatto delle regole contenute negli Accordi allegati al Trattato
istitutivo dell'Organizzazione Mondiale del Commercio è, evidentemente, di scarsa
visibilità.
55
Art. 11 Intesa per la soluzione delle controversie: “… Un Panel deve pertanto procedere a una
valutazione oggettiva della questione sottoposta al suo esame, ivi compresa una valutazione
oggettiva dei fatti in questione …”.
49
Dove incide in maniera significativa il sistema delle regole WTO è infatti un'area,
sempre più ampia, di diritto, molto ampia e complessa, la quale, pur non essendo
confinata allo spazio delle singole relazioni commerciali bilaterali, influisce, oltre che sulla
stessa possibilità che tali relazione abbiano luogo, sulle modalità del loro configurarsi.
Il fine complessivo e la stessa natura delle regole WTO risiedono nel disciplinare il modo
in cui i Membri WTO possono comportarsi in una serie di situazioni, al fine di garantire che
tali comportamenti (anche laddove siano volti a tutelare altri interessi pubblici, che si
richiamino ad esempio - ex art. XX GATT - alla salute umana, animale e vegetale, alla
proprietà intellettuale, all’ambiente, alla protezione del consumatore, alla sicurezza
nazionale, alla morale pubblica, alla tutela dei patrimoni storici, artistici ed archeologici,
etc.) non si traducano, o si traducano il meno possibile, in ostacoli al commercio.
Si può fondatamente affermare che gli Accordi WTO disegnino “le regole del regolare”:
a conferma, vale ricordare che sono le entità pubbliche (Membri) ad essere vincolate al
rispetto degli Accordi WTO e che quindi non è tecnicamente possibile che sia un soggetto
privato a violarli.
Il diritto WTO tende dunque a patrocinare il bisogno, avvertito in linea di principio dagli
stessi membri sottoscrittori, che tutte le tutele di interessi “particolari” vengano assicurate
nel “modo” più aperto possibile o, che è lo stesso, producendo il minor pregiudizio
possibile al fluire del commercio mondiale56. Sottoscrivere gli Accordi WTO equivale ad
interiorizzare, ed alimentare al tempo stesso questa dinamica: il singolo membro sa che il
gioco comporta una limitazione al proprio spazio politico nazionale, ma sa che tale
limitazione è più che compensata dalla possibilità di accedere all’enorme spazio di
opportunità che la sommatoria di tali limitazioni complessivamente garantisce.
Nella parte della vicenda WTO che qui si tratta, la tensione verso il libero commercio
impone dunque “modalità” appropriate nella tutela degli altri interessi collettivi, ferma, e
libera, restando tuttavia - sia chiaro questo - la possibilità in capo a ciascun Membro di
fissare il desiderato livello della tutela per ognuno di tali interessi.
Quest’ultimo aspetto appare davvero centrale e merita di essere approfondito nelle sue
conseguenze. Le regole WTO, si è detto, sono anzitutto una guida per una regolazione
nazionale di qualità. Vi si afferma infatti, e si disciplina, l’esigenza che il diritto nazionale -
56
Si può dire che, sottoscrivendo gli Accordi WTO, i Membri si sono impegnati a ridurre al minimo gli
effetti collaterali, negativi per il sistema, dei propri comportamenti. Con una metafora, si potrebbe
rilevare come l’impegno di tutti consista nel rinunciare ad utilizzare il bazooka per uccidere un
insetto.
50
in qualunque Paese - interiorizzi comunque il bisogno di ciascuno di vivere in armonia con
gli altri. Tale esigenza si traduce, per le Parti che hanno siglato gli Accordi WTO,
nell’obbligo giuridico di circoscrivere le restrizioni alle relazioni, di non provocare quindi
limitazioni non necessarie al commercio.
Il 15 aprile 1994 ha preso dunque forma uno schema giuridico universale che non è
fondato sull’imposizione o sul potere di un soggetto rispetto ad un altro, quanto sulla
vitale attitudine umana allo scambio57, comprensivo dei suoi presupposti e delle sue
implicazioni.
Su queste basi sociologico-giuridiche, agli interrogativi echeggiati dal prof. Cassese58 il
quale si domanda: “Si può utilizzare la liberalizzazione del commercio per spingere la Cina
ad introdurre la rule of law, ossia la preminenza del diritto, nel proprio ordinamento
interno?”, si ritiene di poter rispondere, decisamente e semplicemente, “sì”.
Tale dimensione, dell’armonia tra ordinamenti e tra popoli, appare essenziale, in quanto
essa assicura al sistema degli Accordi WTO una base sufficientemente solida e chiara da
consentire anche che uno Stato possa adottare misure legittime di protezione verso
possibili rischi (per la salute, l’ambiente, la sicurezza, etc.) derivanti dal consumo di
prodotti pericolosi: nell’assicurare tale diritto, gli Accordi WTO, in coerenza con la propria
ragion d’essere, assicurano al tempo stesso che esso si eserciti non contro un altro paese
nel suo insieme, quanto piuttosto a difesa dai pericoli - rilevati e descritti attraverso solidi
e puntuali argomenti - strettamente associabili all’insieme circoscritto di singole produzioni
e alle singole parti di quell’ordinamento che tali produzioni consentano.
57
Sugli effetti, positivi e avvolgenti, dell’orientamento umano allo scambio, alternativo a quello
verso l’isolamento e la contrapposizione, si consenta rinviare a “Bioarchitettura istituzionale. La Via
del Tradere” (D. Ciccarelli, Giannini, Napoli, 2002, con ampi riferimenti alle lezioni di Vincenzo Maria
Romano, www.vincenzoromano.it), da cui si estrae: “Sarebbe forse bene che si trasformassero in
imprenditori tutti coloro i quali si ostinano ad attribuire valore autonomo alle proprie azioni e virtù
(produzione), relegando a vile marginalità l’altrui riconoscimento. Siffatto comportamento genera
non il processo del ‘competere’ (cercare insieme), ma quello del ‘contendere’ (tendere insieme,
ciascuno da una parte, l’unico bene): chi fondi sui dualismi, dovrà mirare ad alimentarne sempre di
nuovi. La competizione determina una crescita continua, inarrestabile, potenzialmente universale. La
contesa esclude la creazione dinamica e presuppone invece un oggetto; la vittoria dell’uno implica
specularmente la sconfitta dell’altro. Nella contesa, l’Io (..) - che tende ad affermarsi come
‘solitudine del sé’, esaltando la propria individualità - sussiste solo se si confronta con un ‘Tu’; ed al
tempo stesso, per affermarsi, deve distruggerlo. Il ‘competere’ è un gioco la cui fine sta
nell’orizzonte: vi si può tendere, ma non lo si può raggiungere. La competizione presuppone la
continuità della libertà plurale propria del Mercato; se ci fosse un unico vincitore, questi sarebbe
anche il perdente”.
58
“La Carta impossibile dei diritti universali”, Il Corriere della sera, 22 marzo 2005.
51
Eloquente in tal senso il testo dell’art. 2.2 dell’ Accordo per le barriere tecniche al
commercio: “Gli Stati Membri assicurano che le regolazioni tecniche non sono elaborate,
adottate o applicate con il proposito, o comunque con l’effetto, di creare ostacoli non
necessari
al
commercio
internazionale.
A
tal
fine,
le
regolazioni
tecniche
non
comporteranno restrizioni al commercio maggiori di quelle necessarie per conseguire un
obiettivo legittimo, tenendo conto dei rischi che il suo mancato conseguimento
comporterebbe. Tali obiettivi legittimi sono, tra gli altri: esigenze di sicurezza nazionale;
prevenzione di pratiche ingannevoli; protezione della salute umana, animale e vegetale, e
dell’ambiente …”.
L'istanza - giuridicizzata - del non creare restrizioni non necessarie al commercio
obbliga quindi il regolatore nazionale a porsi, e soprattutto a porre, molte, molte domande
prima di varare una nuova normativa. Egli dovrà infatti compiere, tra l’altro, un'analisi
accuratissima e raffinatissima - e necessariamente partecipativa - dei fatti del commercio,
in tal senso giovandosi dei meccanismi d'interazione approntati dagli stessi Accordi WTO
(si è in parte già accennato al sistema degli Enquiry Points) grazie ai quali diventa
possibile comprendere quale sia l'impatto reale, e diffuso, di una nuova ipotetica
normativa.
La giurisprudenza WTO ha elaborato su questi punti, chiarendo come i Membri
conservino il pieno diritto di decidere il livello di protezione desiderato, precisando che il
“test di necessità” comprende il bilanciamento di tre variabili (valore in questione,
efficienza della misura utilizzata, effetto restrittivo) sulla base del criterio guida per cui più
alto è il valore, maggiore è la deferenza che va usata alla misura nazionale utilizzata
(controversie “Korea-Beef” e “EC-Asbestos”), specificando che il controllo del giudice si
estende alla valutazione della buona fede del Membro interessato nell’applicazione della
misura introdotta (Gasoline, Shrimps).
Il rispetto di questo principio giuridico effettivo - non creare ostacoli non necessari al
commercio - introdotto dall'impianto WTO, promuove dunque lo sviluppo di una necessaria
visione cosmica in capo ai regolatori nazionali di ogni livello e di ogni settore, i quali,
attraverso l'osservazione dei flussi dell'interscambio commerciale, imparano ad affinare le
modalità attraverso le quali perseguire gli obiettivi cui essi tendono. Se, ad esempio, un
certo prodotto - del quale sono le regole WTO a fissare i riferimenti tecnici minimi volti a
garantirne la non nocività - viene largamente importato in un certo paese, è evidente che
una disciplina nazionale che aggravasse le imprese nazionali produttrici di quel bene di
oneri ulteriori, al fine di conseguire standards superiori rispetto a quelli cui è
52
legittimamente ispirato il prodotto importato, sarebbe una normativa di cattiva qualità, in
quanto tenterebbe di perseguire un interesse pubblico - astrattamente attraente attraverso modalità che sono però, in concreto, inidonee, e tali da generare, come unico
effetto, un danno al sistema produttivo nazionale (da notare che, per effetto dei flussi di
import-export, i benefici di tali eventuali ulteriori oneri - il cui effetto di lungo periodo va
letto in termini di riallocazione degli investimenti tra i sistemi-mercato - tenderebbero
comunque a collocarsi per gran parte presso consumatori che si trovano fuori dal territorio
nazionale).
Se è vero che le misure nazionali di tutela non devono essere “eccessivamente” (cioè,
più di quanto necessario per l’effettivo conseguimento dell’obiettivo dichiarato) restrittive
del commercio, è anche vero che una restrizione al commercio è invece legittima, e quindi
consentita, quando sia giustificata, in termini di "se", di "quanto" e di "come", da obiettivi
elementi di pericolo. In questa prospettiva che, specularmente all’istanza del commercio,
pure accomuna tutti i Membri WTO, si crea una pressione tendenziale per effetto della
quale tutti i paesi sono di fatto indotti ad adottare normative nazionali di prudenza che
siano atte a garantire sufficientemente la sicurezza delle produzioni domestiche: tale
pressione è indotta appunto dal fatto, noto, che il sistema WTO ammette restrizioni verso
l’importazione delle produzioni “a rischio”59. Questo meccanismo preme affinché, alla
comune aspirazione al commercio, si associ, tendenzialmente, anche la comune
convenienza ad adottare adeguate regole di tutela di ulteriori interessi rilevanti (sicurezza,
ambiente, etc.), che possano soddisfare le legittime aspettative degli Stati importatori.
Tale dinamica fa sì che, all'interno dello stesso sistema WTO, la spinta verso il
commercio sia quindi ormai “non più isolata”60 da spinte di altra natura, le quali
promuovono pertanto approdi sempre più avanzati anche nella risposta ad altre istanze
(ambiente, protezione dei consumatori, salute, etc.). E’ dunque evidente come sia lo
stesso evolvere delle dinamiche commerciali ad assicurare il progredire della qualità del
modo di essere del mercato mondiale.
59
I significativi sforzi, svolti in ambito WTO in favore dei paesi in via di sviluppo per favorire il
rispetto degli Accordi, segnalano con eloquenza di questa tendenza: anche paesi economicamente
arretrati desiderano oggi porsi in linea con gli standards WTO, perché vi è coscienza del fatto che
tale coerenza è ormai necessaria perchè le produzioni nazionali possano accedere ai mercati esteri.
60
Si fa riferimento alla storica espressione (“clinical isolation”) utilizzata dall’Organo di Appello, il
quale giudicò sulla controversia Gasoline (maggio 1996), nella quale Venezuela e Brasile accusavano
gli USA di aver imposto alla gasolina d’importazione standard più elevati rispetto alla gasolina
domestica. In tale occasione, l’Organo di Appello chiarì che il WTO non costituisce un sistema
ermeticamente chiuso, impermeabile cioè alle altre regole del diritto internazionale.
53
Il sistema appare in tal senso in grado di poter conciliare, soprattutto attraverso la
dimensione giurisdizionale, le istanze particolari di diversa natura con quella generale, ma
non assoluta, al commercio, mostrando - in quanto sistema - di essere cioè in grado di
assicurare i migliori equilibri possibili all’insieme dei bisogni in campo.
Nel Preambolo al Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, le
Parti riconoscono l’obiettivo comune di “migliorare gli standard di vita” e di “permettere
l’uso ottimale delle risorse mondiali in accordo con l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile”.
Di speciale rilievo, su questa tematica, gli approdi segnati dalla pronuncia sul caso Shrimp
del novembre 1998.
Lo svolgimento dei processi di organizzazione del commercio mondiale
Merita di essere opportunamente chiarito come le opportunità contenute negli Accordi
WTO si trasformino da potenza in atto, per un singolo sistema nazionale, solo attraverso
profondi e decisi sforzi organizzativi che integrino il contributo degli attori pubblici con
quello
dei
privati.
L’utilizzo
dello
strumentario
WTO
presuppone
infatti
il
buon
funzionamento di una complessa filiera di attori, attraverso la quale soltanto può svolgersi
il processo che va dalla rilevazione delle violazioni commesse fino al recupero della piena
legittimità.
Questa premessa sul “come” definisce una categoria cognitiva indispensabile per poter
comprendere appieno il senso delle regole WTO. Non esistendo una polizia mondiale, non
esistendo l’attivazione del procedimento giudiziario d’ufficio da parte di un ipotetico
Organo di controllo, le regole WTO possono diventare efficaci e stringenti soltanto nella
misura in cui efficace e stringente si riveli il processo attraverso il quale si snoda
l’implementazione delle stesse.
Sotto questo profilo, recuperare la distanza culturale tra la nozione di “attuazione” (che
si
riconduce
alla
logica
della
sequenza
lineare
decisione-esecuzione
e
vorrebbe
semplicisticamente esaurire in un istante anche il compimento di processi sociali
ineludibilmente complessi) e quella, di origine americana, di “implementazione” (Pressman
J. – Wildavsky A. Implementation61) - la quale contempla dinamiche di tipo iterativo ed
apprenditivo tra il soggetto agente e la realtà - appare cruciale per chi desideri svolgere
un ruolo attivo ed incisivo nel gioco WTO.
61
University of California Press, Berkeley, 1973.
54
Lo schema su cui si fonda l’impianto WTO mette quindi a valore alcune assenze (1.
legislatore centrale; 2. polizia mondiale; 3. azione giudiziaria d’ufficio) e una presenza
(comunità nazionali afferenti agli Stati membri), ricavandone una modalità di
funzionamento efficace: la funzione dell’organizzazione mondiale dei commerci si svolge
infatti attraverso gli stessi interessi delle comunità imprenditoriali rappresentate dagli Stati
membri, ad esse affidandosi l’esercizio delle azioni di ricognizione, controllo,
approfondimento, denuncia, cui si lega la possibilità di una effettiva garanzia di diritto.
Il controllo del rispetto delle regole WTO configura pertanto una dinamica di natura
essenzialmente orizzontale. Se i “soci” formalmente affiliati al sistema WTO sono gli Stati,
resta tuttavia evidente che l’interesse - e la responsabilità - per il funzionamento del
processo è molto più ampio e diffuso, essendo esso distribuito di fatto tra tutti i
componenti della trade community, a ciascuno dei quali resta demandato un ruolo di
controllo attivo e reattivo sulla corretta condotta degli altri. Naturalmente, per poter avere
luogo, questo controllo presuppone lo svolgimento di un’azione di indagine sistematica,
distribuita e coordinata, che si associ alla capacità di tradurre gli altrui “comportamenti”
nazionali (leggi, prassi amministrative, organizzazione giudiziaria, etc.) in termini di
parametri di legittimità WTO, nonché alla capacità di attingere dallo strumentario WTO al
fine di identificare le diverse reazioni opportunamente attivabili di volta in volta per
rimuovere la presunta illegittimità. Naturalmente ciascuna di queste funzioni (1. indagine;
2. traduzione; 3. reazione) trae senso, valore e stimolo dall’efficacia delle altre funzioni
interne alla filiera facente capo al singolo sottosistema nazionale: il venir meno di un
anello della catena produce l’effetto di ridurre il senso anche delle altre funzioni.
Rispetto
alle
artificiose
“separazioni”
Stato/mercato
o,
se
si
preferisce,
Stato
apparato/Stato comunità, uno dei messaggi forti che proviene dal sistema WTO è proprio
quello della oggettiva riunificazione tra i vari universi.
Costruendo il sistema WTO e ad esso associando il proprio diritto, il mondo ha affidato
alle dinamiche dell’utile lo sviluppo non solo del commercio ma anche del diritto. Nello
schema WTO, ciascuna comunità nazionale, nel tutelare i propri interessi nazionali in una
certa area commerciale (es. sicurezza alimentare), svolgerà infatti, allo stesso tempo e
senza che sia né necessario deliberarlo né possibile evitarlo, anche la funzione, d’interesse
collettivo, di garantire il diritto in tale area.
Attraverso la leva dell’interesse, l’Organizzazione Mondiale del Commercio ha dato
quindi forma ad un sistema giuridico fondato sulla concorrenza e sulla partecipazione. Lo
Stato qui è diretta espressione del mercato nazionale e ciascuno dei suoi componenti può
55
concorrere alla costruzione del diritto mondiale. In quelle aree in cui vi sia un serio
interesse nazionale ad incrementare il livello effettivo di tutela di un interesse parziale ed
ulteriore rispetto a quello generale per il commercio, diventa infatti necessario, per il
sistema-paese di volta in volta interessato, produrre, rispetto agli altri Membri, uno sforzo
addizionale, che significa sostenere costi, investire energie, sviluppare ricerche ed analisi e
che va perciò ben oltre l’operazione, talora addirittura meccanica, di emanare una
normativa su base nazionale. Nello scenario del mercato mondiale, omettere tale sforzo
implicherebbe la sterilizzazione di ogni altra iniziativa che avesse un orizzonte territoriale
più ristretto: one World, one Trade, one Law. che tentasse di perseguire tale interesse
soltanto a livello nazionale. Il più interessato sarà invece richiesto di impegnarsi in un
esercizio più complesso, che però potrà valergli di conseguire su quel punto una regola ciò che può avvenire, come vedremo, per diverse vie lungo il continuum che collega il
negoziale al giurisprudenziale - che sia più alta, solida e stringente per l'intero sistema
mondiale, di modo che la sensibilità del regolatore nazionale, almeno in un siffatto caso,
non sia sopraffatta dalle vicende del commercio mondiale.
Se è vero che, come indicava Adam Smith, riusciamo ad avere pane buono,
“semplicemente” perché, nel gioco concorrenziale, vendere il pane migliore al prezzo più
basso diventa un interesse degli imprenditori che cercano di trarre profitto dalla vendita di
pane, ebbene l’Organizzazione Mondiale del Commercio, facendo leva su questa stessa
dinamica, cavalca in senso giuridico l’onda della concorrenza e vive di un meccanismo che
affida all’azione integrata pubblico-privato la funzione di promuovere un diritto che,
fondandosi sugli interessi umani, tragga da questi la spinta per i propri avanzamenti
parziali e al tempo stesso, in sommatoria, per la propria evoluzione complessiva. I circuiti
WTO sono tali da spingere il panettiere62 più bravo a preoccuparsi di garantire anche
qualità, igiene e sicurezza del pane nel mondo, impegnandosi anche sul piano del diritto
per evitare che panettieri meno bravi riducano il suo reddito proponendo ai consumatori
pane meno costoso, ma anche meno buono, meno sano, meno sicuro.
Quelle comunità nel cui ambito si sia sviluppata una particolare abilità (vantaggio
competitivo) nel settore delle tecnologie saranno quindi interessate a farsi promotrici
attive di un’azione che avrà l’effetto di assicurare un mercato mondiale aperto ed
efficacemente regolato in questo settore; quel sistema socio-imprenditoriale che eccella
nella lavorazione dei congegni elettrici di qualità, analogamente, troverà negli Accordi
WTO, e nel proprio impegno organizzato, la combinazione di strumenti idonea a consentire
62
M. Porter, Il vantaggio competitivo delle nazioni, 1990.
56
che a questo ambito commerciale si associno concorrenzialità come pure garanzie.
E’ dunque lo stesso mercato a premiare gli sforzi integrati che si associano a questa
progressiva fusione, su base territoriale, tra le vocazioni imprenditoriali, storicamente e
geograficamente localizzate, e le specializzazioni nell’impegno di giuridicizzazione. Per
effetto di tale dinamica, la confidenza dei consumatori, tradizionalmente orientata verso
singole imprese e marchi, sembra oggi tendere a riconoscere un nuovo, più alto, valore
all’informazione sull’origine dei prodotti e dei servizi. Nel moltiplicarsi delle opportunità,
dei rischi e delle incertezze del mercato globale, nuovi riferimenti fiduciari sembrano poter
condensarsi proprio intorno alla categoria dei “luoghi-impresa”63 (reputazione), che i
consumatori vengono ragionevolmente a considerare tutori - ciascuno nel proprio settore
di forza - della qualità e della sicurezza (sotto diversi aspetti) al tempo stesso.
Un aspetto, cui si è già fatto cenno, del sistema WTO merita forse ulteriore enfasi. Si
tratta del contributo, importante, alla pace ed alla giustizia nel mondo che il sistema WTO
sembra poter assicurare, grazie anche al coinvolgimento di un numero sempre più ampio
di comunità nazionali nel sistema giuridico multilaterale del commercio mondiale.
“… commercio ed industria hanno gradualmente introdotto ordine e buon governo, e
con essi hanno incrementato la libertà e la sicurezza di quegli individui, tra gli abitanti di
una nazione, che erano prima vissuti in uno stato di perenne conflitto con i loro vicini,
nonché di servile dipendenza dai loro signori” (Adam Smith)64 [la traduzione è di chi
scrive].
In un’osservazione di sintesi del sistema WTO, appare chiaro che la parabola disegnata
nel secolo scorso da alcuni paesi europei poco prima guerreggianti - i quali seppero
rendersi protagonisti dell’esperienza del mercato europeo comune - si sta riproponendo,
dal 15 aprile 1994, a livello universale ed evidentemente con le forme consentite dal
presente, attraverso gli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Entrambe le
traiettorie, si ricorderà, avevano preso forma a partire da un nucleo di regole volte a
63
Sulla nozione di “campo-mercato”, inerente l’identificazione di spazi antropologici caratterizzati da
diversi gradi di competitività, sia consentito rinviare a: D. Ciccarelli, “Bioarchitettura Istituzionale. La
Via del Tradere”, Giannini, Napoli, 2002.
64
Adam Smith, 1776, The Wealth of Nations (Chapter IV “How the Commerce of the Towns
contributed to the Improvement of the Country”): ““… commerce and manufactures gradually
introduced order and good government, and with them, the liberty and security of individuals,
among the inhabitants of the country, who had before lived almost in a continual state of war with
their neighbours, and of servile dependency upon their superiors”.
57
ridurre le più evidenti restrizioni/distorsioni nel commercio poste dalle autorità statali.
Entrambe le traiettorie, attivando l’onda positiva del commercio,
hanno poi ricevuto,
proprio da quest’onda, la spinta che ha portato a dare progressivamente vita ad un ricco
sistema giuridico la cui spontanea evoluzione ha assicurato, tra l'altro, che si riducesse lo
spazio per l’esercizio divisivo dei poteri politici statali e che si estendesse invece ad aree
sempre più ampie lo spazio della condivisione e della cooperazione tra popoli diversi, uniti,
attraverso il commercio e grazie al commercio, da relazioni di diritto e di pace.
“… l’Organizzazione Mondiale del Commercio, come già il GATT, ha esteso la ‘rule of
law’ nel regno del commercio internazionale ed ha contribuito significativamente ad
assicurare relazioni commerciali pacifiche e stabili tra i Membri WTO. Questa è forse la sua
principale funzione”65 (la traduzione è di chi scrive).
La soppressione delle barriere commerciali
Nel gergo industriale, viene definita “barriera commerciale” una situazione di
impedimento, per una o più imprese esportatrici, nell’accesso al mercato di un altro
territorio giuridico.
Sotto il profilo istituzionale, una tale situazione può essere agevolmente trattabile nei
casi in cui il problema derivi da qualche distonia che in un certo mercato-ordinamento si
verifichi tra una prassi (ad es. amministrativa) e il diritto nazionale: in tal caso, trattandosi
di una situazione riconosciuta come patologica anche dal diritto nazionale, l’imprenditore
penalizzato potrà utilizzare gli strumenti che sono disponibili in quel sistema.
Una situazione di impedimento al commercio diventa invece rilevante per il sistema
WTO quando essa costituisca una circostanza fisiologica per un certo impianto giuridico,
quando cioè essa si associ al modo di essere proprio di un ordinamento nazionale.
In tale secondo ambito di questioni, è lo stesso ordinamento nazionale, o quanto meno
gli aspetti che rilevano nella specifica fattispecie, a diventare oggetto di raffronto con le
65
“… the WTO, as the GATT before it, has extended the rule of law into the international trade realm
and has contributed significantly to keeping peaceful and stable trading relations between WTO
Members. This is, perhaps, its most crucial function”. (Intervento introduttivo di Supachai
Panitchpakdi , Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, al Simposio WTO
2005 – Ginevra, 20 aprile 2005 - http://www.wto.org/english/news_e/spsp_e/spsp38_e.htm).
58
regole del commercio mondiale. A seguito di tale raffronto, nel quale le norme WTO
fungono da reagenti, si rileva sovente che la situazione che da un industriale viene
percepita come ‘barriera’ consegua in realtà all’applicazione, in un certo ordinamento
nazionale, di una regolazione che non viola il diritto WTO e che semplicemente è stata
concepita all’interno di uno schema culturale
e giuridico che l’impresa avverte come
estraneo.
Perché una situazione percepita come impedimento all’accesso ad un mercato possa
invece qualificarsi come barriera illegittima, resta necessario anzitutto individuare, caso
per caso, il parametro di legittimità che nella singola fattispecie risulta rilevante e quindi,
se del caso, accertare che esso sia stato violato. Sebbene per gli esportatori molte delle
situazioni di impedimento nell’accesso ai mercati possano apparire nominalmente
classificabili
in
un
insieme
unico
ed
unitario
(barriere
commerciali),
in
realtà
l’individuazione dello specifico profilo di illegittimità resta sempre necessaria al fine di
individuare lo strumento efficacemente azionabile nel singolo caso per procedere alla
rimozione dell’infrazione.
Questa accurata operazione di fusione, anche lessicale, tra l’universo “commercio” e
l’universo “diritto” costituisce certamente una nuova sfida, anche organizzativa ed
istituzionale, su cui in alcuni paesi molto resta ancora da fare in termini di coordinamento
tra esperienze, competenze, professionalità, linguaggio ed anche in termini di nuove
formule di interazione pubblico-privato.
La
difficoltà
dell’operazione
si
lega
anche
al
fatto
che
-
a
differenza
delle
restrizioni/alterazioni esplicite al commercio (quote/dazi/sussidi/imprese di Stato), in
progressiva diminuzione e comunque relativamente facili da identificare e rimuovere,
quando illegittime, in quanto legate ad un’azione pubblica deliberatamente, e talora
evidentemente, orientata al sostegno ad uno specifico settore produttivo nazionale - quelle
che vengono definite come barriere non tariffarie spesso non si associano direttamente al
fine generale cui è dichiaratamente mirato un certo schema giuridico o una certa
normativa o anche un certo impianto istituzionale, ma ne costituiscono invece un “effetto
collaterale”.
Ad
esempio
il
ritardo
nell’emanazione
di
una
certa
autorizzazione
amministrativa può dipendere dal modo in cui è stato concepito a monte il funzionamento
dell’ente che al rilascio di tale autorizzazione è preposto. In questo ambito problematico,
la difficoltà di un’impresa di accedere ad un mercato può pertanto dipendere dall’impianto
generale dell’Amministrazione nazionale (sicché il parametro di legittimità rilevante
potrebbe risiedere nelle norme GATT o nelle norme dell’ Accordo sulle barriere tecniche al
59
commercio) o da una disciplina del settore chimico (parametro di legittimità: Accordo per
le misure sanitarie e fitosanitarie, Accordo sulle barriere tecniche al commercio) o dalla
normativa in tema di proprietà intellettuale (parametro di legittimità: Accordo sulla
proprietà intellettuale) o di valutazione doganale (parametro di legittimità: GATT, Accordo
per la valutazione delle merci in dogana).
Ne consegue che l’area di quelle che oggi, nella percezione della “trade people”,
vengono definite “barriere commerciali”, costituisce lo spazio certamente più interessante
per lo svolgimento della parabola armonizzatrice universale connaturata al sistema
giuridico WTO.
Appare anche importante guardare al precipitato concreto di questa dinamica e rilevare
come, in quei sistemi nazionali nei quali risulti eccessivamente oneroso o complicato
compiere tutto il percorso necessario per approdare alla qualificazione giuridica della
barriera e quindi infine per rimuovere la barriera stessa, possa probabilmente accadere
che le imprese si rassegnino - per dirla con A. O. Hirschmann - a praticare l’opzione
“uscita” piuttosto che l’opzione “voce”, rinunciando cioè del tutto ad investire e ad operare
in quel paese. L’effetto aggregato di tali silenziose uscite, per il paese che ne sia vittima, è
quello di procedere verso uno stato di progressivo isolamento senza averne nessuna
percezione, di perdere quindi ogni pressione esterna verso il cambiamento interno.
Sebbene dunque lo spettro delle fattispecie qualificate in ambito WTO come barriere
commerciali contenga le situazioni più disparate, appare utile provare qui a descrivere in
estrema sintesi il pacchetto degli strumenti che il sistema stesso contempla, al fine di
accertare e, se del caso rimuovere, su base multilaterale, le situazioni di illegittimità in
atto nei sistemi giuridici dei Paesi membri.
Soluzione delle Controversie. Nei casi in cui si ravvisi una violazione specifica, da parte
di un altro Membro, di una o più regole WTO, l’Autorità nazionale di ciascuno Stato
membro può attivare una controversia, attraverso la quale un collegio giudicante presso
l’Organizzazione Mondiale del Commercio (1° grado: Panel; 2° grado: Organo permanente
di appello) verifica l’effettiva sussistenza della violazione e, se del caso, condanna la parte
convenuta a riallinearsi al diritto WTO. In caso di inottemperanza, come si chiarirà avanti,
il sistema di soluzione delle controversie arriva ad autorizzare la parte danneggiata ad
adottare misure di ritorsione, le quali consistono nella sospensione di concessioni o di altri
60
obblighi per un livello che dev’essere equivalente al livello dell’annullamento o del
pregiudizio dei benefici conseguente all’originaria infrazione (art. 22.4 DSU).
Da notare che, sotto il profilo della legittimazione attiva, gli organi contenziosi WTO
hanno accolto un’interpretazione della nozione di interesse ad agire alquanto estensiva,
ritenendo sufficiente la presenza di un danno anche allo stato potenziale. In particolare,
nella controversia “Banane” (DS 27), fu chiarito che tutti i Membri sono interessati a che
gli altri Membri rispettino i propri impegni.
Comitati WTO competenti per l’amministrazione dei singoli Accordi. Oltre alla
dimensione contenziosa, gli Accordi contemplano formule di tipo cooperativo e dialogico
per la rimozione delle barriere non tariffarie. Molte delle situazioni classificate come
“barriere commerciali” possono infatti essere trattate nei diversi comitati competenti (ad
es. Comitato per le barriere tecniche al commercio, Comitato per le misure sanitarie e
fitosanitarie), nel cui ambito, ai sensi dei corrispondenti accordi, sono previsti strumenti
azionabili sia per acquisire informazioni puntuali sulla conformità dei singoli Membri alle
regole WTO, sia per tentare una rimozione concertata delle situazioni di impedimento al
commercio. L’Accordo per le barriere tecniche al commercio (TBT) e l’Accordo per le
misure sanitarie e fitosanitarie (SPS), ad esempio, non soltanto disciplinano il modo in cui
a livello nazionale possono legittimamente tutelarsi alcuni primari interessi esorbitanti
rispetto al commercio (sicurezza nazionale, informazione del consumatore, salute umana
animale e vegetale, ambiente) senza provocare eccessive restrizioni agli scambi, ma
contemplano anche le modalità (Enquiry Points) attraverso cui trasmettere e veicolare le
informazioni rilevanti a tal fine, sia tra i 148 Membri WTO, sia, all’interno di ciascuno di
essi, tra l’apparato pubblico e le imprese. Oltre alla dimensione informativa, i comitati
competenti per l’amministrazione di tali Accordi contengono specifiche sessioni riservate
all’esame delle questioni critiche che singoli Membri avvertano come barriere commerciali
(“specific trade concerns”). Tale esame tende a costituire una via dialogica efficacemente
esplorabile sia per evitare in origine che la barriera si formi (attraverso gli Enquiry Points è
infatti consentito intervenire sul processo di formazione della norma, prima dunque che
questa sia adottata), sia per procedere alla sua successiva rimozione.
Via politico-negoziale. (Negoziato per l’accesso al mercato dei prodotti non agricoli). Il
sistema WTO, oltre ad amministrare gli accordi sottoscritti nell’aprile 1994, ospita,
61
evidentemente, anche i negoziati (Round) attraverso i quali maturano le decisioni
politiche, basate sull’unanimità dei consensi, che comportano modifiche o chiarimenti
interpretativi degli accordi stessi. Coerentemente con il mandato che ha dato vita al round
negoziale in corso (Doha Round), la questione delle “barriere non tariffarie” è oggetto di
discussioni presso il Gruppo negoziale per l’accesso ai mercati dei prodotti non agricoli
(“Non-agricultural market access”: in sigla, “Nama”). Al par. 16 della Dichiarazione di
Doha (novembre 2001), i Ministri concordavano infatti sulla necessità che i negoziati
portassero alla riduzione o, quando possibile, all’eliminazione delle barriere non tariffarie.
Miglioramento del sistema di soluzione delle controversie. Si è detto che la possibilità di
procedere alla rimozione delle barriere non tariffarie conosce un percorso naturale - quello
contenzioso - nei casi in cui tali barriere configurino situazioni di difformità tra le regole
nazionali e le esistenti regole WTO. Sotto questo profilo, appare necessario menzionare il
lavoro in corso presso il Gruppo negoziale competente per la revisione dell’Intesa per la
soluzione delle controversie, incaricato (par. 30 Dichiarazione di Doha) appunto di
migliorare ulteriormente la disciplina che regola la soluzione delle dispute tra i Membri.
3.
Il Diritto universale del mercato
Premessa di filosofia del diritto
“Chi parla in un certo modo idoneo e corretto, non lo fa per obbedire a una regola ma
per la convinzione di instaurare in tal guisa un efficace rapporto comunicativo con i suoi
simili. E’ lo stesso identico atteggiamento dei membri della fila, che osservano non per
obbedienza ma perché convinti del valore insito nella proposta organizzativa, e si autoordinano.
L’uso
del
termine
‘osservanza’,
anziché
‘obbedienza’,
vuol
sottolineare
un’accettazione non interamente passiva della regola ma venata da nervature psicologiche
di convinzione e, quindi, anche di consapevolezza. Nell’osservanza linguistica e giuridica il
singolo si inserisce in una sorta di cooperazione collettiva in cui il gesto della sottomissione
si colora di spontaneità ma anche si oggettivizza. Su di un piano fisiologico ciò non è
smentibile. E’ a un livello patologico che si avvertono differenziazioni: nell’ordine giuridico
le sanzioni sono talvolta energiche e perentorie, arrivando a comminare la nullità di un
atto penalizzando una persona. Ma ciò attiene – è il caso di ribadirlo – alla patologia del
giuridico […]. La cosiddetta ‘sanzione’, definibile come la misura messa in atto per
62
assicurare l’osservanza o, il che è lo stesso, per castigare l’inosservanza, è soltanto un
espediente estraneo alla struttura del diritto, alla sua dimensione fisiologica. Noi siamo
troppo spesso abbacinati da quel che avviene nello Stato […] dove il diritto si deforma in
comando e dove l’evento terribile della sanzione è una sorta di appendice normale del
comando, tanto normale da farla ritenere sua parte integrante.
... Il diritto medievale si origina, prende forma e si caratterizza in seno a due vuoti e in
grazia a due vuoti: il vuoto statuale seguito al crollo dell’edificio politico romano e quello
della raffinata cultura giuridica strettamente connessa alle strutture dell’edificio. Ciò che
potrebbe, a prima vista, sembrare un arretramento o, comunque, una circostanza
negativa, e cioè due vuoti che restano incolmati, costituisce - al contrario - la nicchia
storica conveniente per lo sviluppo d’una esperienza giuridica profondamente nuova e
anche profondamente originale. L’assenza, nell’età nascente sulle vecchie rovine, di un
soggetto politico ingombrante e totalizzante, l’assenza dello Stato, toglie al diritto il suo
legame col potere e la sua funzione di controllo sociale, lo rende libero di riaccostarsi ai
fatti primordiali - naturali, sociali, economici -, di tentar di ordinarli in un pieno rispetto
della loro natura. Il nuovo diritto è disegnato assai poco da legislatori - rari, incauti,
disorganici -, ma piuttosto da un assestarsi spontaneo dell’esperienza quotidiana,
varissima da tempo a tempo e da luogo a luogo per il variare delle esigenze, che trova in
un pullulare di consuetudini la sua manifestazione e consolidazione più vitali.
… Io credo che la complessità della società moderna imponga un grande ritorno al buon
senso, all’equità, alla ragionevolezza. Il diritto non è mai una nuvola che galleggia sopra
un paesaggio storico. E’ esso stesso paesaggio, o, se vogliamo, sua componente
fondamentale e tipizzante”66.
“Nell’immediato, primo dopoguerra - anno 1918, la stessa data di pubblicazione del
libello di Santi Romano - un filosofo italiano del diritto qualificò lo Stato come un ‘povero
gigante scoronato’67. Tanto più possiamo ripeterlo noi ottantacinque anni dopo; oggi
vediamo lucidamente che la corona sottratta al gigante e fatta a pezzi è proprio la legge,
tanto impreziosita e venerata nell’età precedente.
… la perfetta unitarietà del processo di produzione del diritto, processo che si perfeziona
66
Paolo Grossi, “Prima lezione di diritto” (Laterza, 2003).
67
G. Capograssi , Saggio sullo Stato (la nota è in originale), ora in Id., Opere, Giuffrè, Milano 1959,
vol. I.
63
solo col momento interpretativo, momento assolutamente interno a quel processo. Il
risultato, che può sembrare paradossale a chi è avvezzo a canoni vecchi e invecchiati, è
che il vero diritto positivo non è quello posto da un’autorità legittima, bensì quello che
l’interpretazione/applicazione
immerge
nella
sostanzialmente e non solo formalmente
positività
positivo.
della
società
e
rende
Si valorizza l’interprete come
intermediatore ma in quanto voce della comunità; è pertanto la comunità a essere
valorizzata, non più gregge passivo di destinatari di comandi repressivi; è valorizzata
l’effettività del consenso presente dei consociati che l’interprete esprime.
… La storia giuridica moderna si caratterizza per una scelta innovatrice: la statualità del
diritto. L’intelligentissima classe borghese, conquistato che ebbe il potere, capì quale
solido cemento fosse il diritto per il compiuto esercizio di quello e ne decise il controllo. Di
più: ne sancì il monopolio nelle mani dello Stato, facendone l’unico creatore di diritto … Il
complesso scenario giuridico dell’antico regime fu sottoposto dalla rivoluzione (e dallo
Stato che ne derivò) a una rivoluzione drastica: l’unico attore fu lo Stato e unica voce la
sua, cioè la legge. Identificandosi il diritto in una norma non autorevole ma autoritaria che
pioveva dall’alto sulla comunità dei cittadini ed avendo il diritto una funzione rigorosissima
di controllo sociale, l’ordine giuridico ne risultò come ingabbiato. Era diritto solo ciò che lo
Stato voleva che fosse il diritto: le forme in cui questo si manifesta nell’esperienza …
erano immobilizzate in una sorta di piramide, cioè in una scala gerarchica dove una
funzione attiva era riserbata unicamente alla fonte di grado superiore, la legge, restando
le fonti subalterne (per esempio, la vecchia matrice dell’ordine giuridico prerivoluzionario,
la consuetudine) relegate in posizione ancillare senza nessun ruolo incisivo; il diritto,
proprio perché voluto dall’alto e in base a un progetto disegnato in alto dai detentori del
potere, era inevitabilmente destinato a formalizzarsi separandosi dai fatti sociali ed
economici in continuo divenire. Non v’è dubbio che il cd. diritto borghese è una rete a
maglie strettissime; il filtraggio è rigoroso; nettissimo il confine tra i fatti, i fatti economici
e sociali, e il diritto. Al mondo dei fatti è legittimato a guardare solo il legislatore, che
s’identifica sempre con il detentore del potere; è lui e unicamente lui che, maneggiando
cultura morale giustizia politica economia, trasformerà tutto in diritto … E il diritto,
divenuto una dimensione rigida e formale, si scosta e si separa dal sociale e dalla sua
insopprimibile storicità … Il diritto
dello Stato esige la scrittura, deve diventare testo:
perché è autoritario, perché si concreta in un comando … L’acme di questo processo
testualizzante, che progredisce e si ingigantisce per tutto l’itinerario del diritto moderno, è
il codice, il grande movimento di codificazione generale che si matura e si consolida per
tutto il secolo XIX e di cui prima e compiutissima manifestazione è la codificazione
64
napoleonica in Francia. Codice significa la grande utopia e la grande presunzione di un
legislatore (un legislatore reso presuntuoso dalla legolatria illuministica) di poter
racchiudere l’universo giuridico in un testo … Le norme trovavano il loro modello ma –
ancor più – il loro modo efficace di manifestarsi nella legge (norma di ogni norma), e si
bandiva con decisione ogni sorta di flessibilità. Non insegniamo forse noi, ancora oggi, ai
nostri studenti novizi che astrattezza, generalità, rigidità sono i caratteri della legge? E
non insegniamo che il civis, questo povero interlocutore, vera vittima immolata del potere,
ne è il destinatario passivo?
C’è una dimensione squisitamente culturale (cioè di cultura giuridica) che la
globalizzazione investe, e di cui non si deve tacere. Concerne una ragguardevole
immissione di valori culturali propri del mondo di common law nel nostro mondo di civil
law … Con l’indicazione mondo di civil law si intende contrassegnare il diritto dell’Europa
continentale e delle sue colonie, marcato nella sua storia giuridica dal solco profondissimo
della rivoluzione francese, un solco in forza del quale si relegano in soffitta tutti i valori
giuridici del medioevo e dell’antico regime, si sposa pienamente la statualità del diritto,
l’identificazione di questo nella legge, la codificazione. E’ il mondo cui ancor oggi l’Italia
giuridicamente appartiene.
Accanto, pianeta distaccato con una storia appartata, il mondo di common law, che ha
per proiezione la grande area geografica dell’Inghilterra e delle sue colonie, che non ha
vissuto sulla sua pelle la vicenda sconvolgente e innovativa della rivoluzione, che vive
ancora una perfetta continuità con i vecchi valori giuridici del medioevo inglese, che
avverte come innaturale la statualità del diritto e la sua identificazione in un complesso di
leggi, che ignora la grande avventura della codificazione, che affida – al contrario – il
divenire del diritto ai tecnici competenti, ai giuristi, e tra questi soprattutto ai giudici che il
sano empirismo anglosassone valorizza perché immersi nell’esperienza.
Tutto questo viene precisato per far capire che, ancor oggi, … common law e civil law
costituiscono pianeti giuridici piantati su fondazioni diverse e potatori di diverse mentalità:
due costumi giuridici, se non opposti, certamente assai diversificati … Globalizzazione è un
vento invadente originato soprattutto dal Nordamerica angloide, che non porta solo
barbarismi e invenzioni nuove ma porta soprattutto in seno alla nostra realtà un tessuto
giuridico impregnato di mentalità, costume, valori giuridici propri e naturali al pianeta
d’origine ma estranei e dissonanti per il nostro.
Nel canale parallelo del diritto della globalizzazione circola una cultura giuridica che, in
prevalenza, non è la nostra …
65
Da un punto di vista culturale, il vecchio legalismo formalista massicciamente osservato
e accuratamente mitizzato nel pianeta di civil law riceve dal contatto coi filoni
globalizzatori un respiro più aperto e uno stimolo a parecchi ripensamenti essenziali”68.
“L’idea madre di una lex che non è mera volontà o atto d’imperio, ma lettura delle
regole ragionevoli scritte nella natura delle cose non lascerà più la filosofia politica del
medioevo sapienziale; poco dopo Graziano, Giovanni di Salisbury, nel suo Policraticus, la
qualificherà ‘aequitatis interpres’ … aequitas è quel complesso ordinato e armonico di
principii regole e istituti che, al di là delle forme giuridiche, si può con occhi umili e attenti
rinvenire nelle stesse cose”. “… perché la volontà del detentore del potere possa dirsi lex
occorre che sia indirizzata e governata dalla ragione, ossia che quella volontà abbia un
contenuto razionale; in caso contrario, non è lex, ma iniquitas”. “… Possono produrre lex
una pluralità di soggetti politici …; si parlerà tranquillamente di lex scripta o non scripta
relativizzando
ulteriormente
la
nozione,
ma sempre si pretenderà che essa sia
caratterizzata da un determinato contenuto. I suoi redattori non possono agire a
piacimento, ma debbono attingere a quel serbatoio sottostante e preesistente che è
l’ordine giuridico, a un complesso cioè di regole relazionali; come tali, conformi e
congeniali alla natura …”. “… E’ presto detto: la interpretatio dei medievali non è riducibile
a un processo meramente ricognitivo, cioè meramente conoscitivo della norma.
L’interpretatio dei medievali è anche un atto di volontà e di libertà dell’interprete”. “… Al di
sotto del mare perennemente agitato degli avvenimenti quotidiani, stanno le acque
profonde ma calme, calme perché profonde, della tranquillità giuridica. E’ la piattaforma
costituzionale della consuetudine, fatto primordiale, secondo natura, talora – ma in
minima parte – redatta per iscritto e divenuta lex ad opera di un principe zelante, più
spesso rimasta allo stato originario di trama invisibile ma onnipresente e imperiosa nella
quale
sono
immersi
uomini
e
cose”.
“…
tutto
discende
beneficamente
dall’alto
impregnando di sé l’universo cosmico e storico, e tutto è aequitas. E’ aequitas Dio (…), è
aequitas la natura (…), è aequitas la giustizia, è aequitas il diritto quando sia veramente
tale, e cioè ordine. E’ qui una delle cifre più originali e riposte dell’intero diritto medioevale
e ha avuto ragione il Calasso, questo grande storico italiano del diritto, di insistervi, di
ravvisarvi il principio portante di un intero edificio, una realtà che il termine italiano
‘equità’ non può che immiserire. Accingiamoci pertanto a capire il significato di questa
68
Paolo Grossi, “Globalizzazione, diritto, scienza giuridica” (Il Foro italiano, maggio 2002, V, 151) Conferenza alle classi riunite dell’Accademia dei Lincei, 7 marzo 2002.
66
realtà, riproponendo il solito avvertimento linguistico: parliamo di aequitas e non di equità
per evitare equivoci con la sovrapposizione dei nostri schemi mentali odierni che fanno
della equità uno spazio interpretativo libero nelle mani del giudice, aborrito e rifiutato –
salve ipotesi marginali e irrisorie nell’economia dell’ordinamento – dal nostro esasperato
legalismo”. “…l’equità canonica .. è vera fonte di diritto, la prima fonte di diritto in quanto
voce stessa della divinità. Infatti <nihil aliud est aequitas quam Deus>”.
“Non v’ha dubbio alcuno che il diritto appaia oggi al non-giurista – o al giurista
relativamente consapevole – in una dimensione squisitamente autoritaria, e cioè quale
strumento dell’autorità dello Stato esprimentesi nelle manifestazioni normali della legge,
dell’atto amministrativo, della sentenza giudiziale; manifestazioni che segnano tutte una
superiorità e un distacco tra l’ente produttore e la comunità dei destinatarii”69.
Il sistema WTO come sistema giuridico
L’affresco storico-giuridico di Paolo Grossi offre chiavi di lettura interessanti per
un’esplorazione, che sia consapevole, di un ordine giuridico - quello del nuovo diritto
disegnato dalle istituzioni del mercato unico mondiale - che appare molto più affine, nella
sua struttura filosofica e nelle sue dinamiche di funzionamento, ad altre esperienze
giuridiche (ordine giuridico medioevale; Rule of law anglosassone) che non a quella
legalista dell’Europa continentale degli ultimi secoli.
“Gli Stati sono chiamati ad adempiere70 agli accordi sottoscritti a Marrakesh in base al
principio di buona fede (US – Sections 301-310 …; Canada – Patent Protection of
Pharmaceutical Products, WT/DS114/R), esplicitamente sancito dalla Convenzione di
Vienna sui trattati agli art. 31 (…) e 26 (…) e richiamato in numerosi report71. La buona
69
P. Grossi, “L’ordine giuridico medioevale”, Laterza, 2001.
70
Claudia Marcolungo, “Gli effetti degli atti del WTO sugli Operatori economici privati”, Rivista
Trimestrale di Diritto Pubblico n. 4/2003.
71
In US – Import Prohibition of certain Srimp and Srimp Products (WT/DS58/AB/R, par. 158)
leggiamo: “This principle, at once a general principle of law and a general principle of international
law, controls the exercise of rights by states … whenever the assertion of a right “impinges on the
field covered by [a] treaty obligation, it must be exercised bona fide, that is to say reasonably …”
(nota Marcolungo cit.).
67
fede, quindi, è un principio portante del sistema72”.
Tra i capisaldi del sistema WTO rientra la nozione cardine (ex art. 11 DSU) secondo la
quale l’organo giudicante deve “procedere ad una valutazione oggettiva della questione
sottoposta al suo esame, ivi compresa una valutazione oggettiva dei fatti in questione …”.
Lo schema interpretativo disegnato dal sistema giuridico WTO per consentire di
individuare il diritto applicabile alla fattispecie concreta richiede dunque l’osservazione di
tutti
gli
elementi
disponibili,
ciascuno
dei
quali
concorrerà
alla
formazione
dell’orientamento del collegio giudicante.
In
questo
complesso
procedimento
interpretativo,
impossibile
a
codificarsi
astrattamente, il principio di ragionevolezza (si vedano, tra l’altro, i casi Gasoline e
Shrimp) si erge a principio guida.
Valga al riguardo ricordare ad esempio come, nella giurisprudenza WTO, sia emerso con
chiarezza il fatto che il carattere discriminatorio o meno di una misura restrittiva adottata
da un Membro (applicata ai prodotti d’importazione) nel perseguimento di uno degli
obiettivi non commerciali di cui alle eccezioni contenute nell’art. XX GATT, sia rilevabile
solo in parte attraverso l’analisi della misura medesima, essendo gran parte delle
valutazioni riconducibili invece al rigore con cui il Paese abbia perseguito quel medesimo
obiettivo a livello nazionale, attraverso comportamenti cioè che abbiano eventualmente
implicato restrizioni e penalizzazioni anche per i produttori nazionali. In una situazione di
tale natura, il Panel verrà di fatto a valutare della ragionevolezza dei regolatori nazionali,
osservata nel corso del tempo e nella sinossi delle varie fonti normative domestiche,
sicché
altre
misure
adottate
sul
territorio
dello
stesso
Membro
“sotto
accusa”
concorreranno anch’esse a definire la condotta complessiva sulla base della quale si
formerà il giudizio.
Chi non avesse avuto l’opportunità di approfondire natura e contenuti degli Accordi
WTO potrebbe essere gravemente fuorviato dal nome dell’Organizzazione che di questi
accordi cura l’amministrazione e le modifiche. La sua caratterizzazione nominale, quale
Organizzazione “del commercio”, rischia infatti di indurre alcuni a fraintenderne l’oggetto e
quindi a sottovalutarne la rilevanza giuridica sistemica.
Allo scopo di evitare questo malinteso - che avrebbe tra l’altro il pernicioso effetto di
72
US-Transitional Safeguard Measure on Combed Cotton yarn from Pakistan, WT/DS192/AB/R par.
81, dove esplicitamente si afferma che “the pervasive general principle of good faith underlies all
treaties”.
68
allontanare definitivamente dalla questione le legal minds, e con esse quelle sensibilità che
possono essere capaci di afferrarne, e comunicarne, le reali novità - sembra indispensabile
accompagnare al proposito di una descrizione relativamente approfondita anche una
prospettiva ed uno sforzo ulteriori, che potremmo definire di revisionismo linguistico.
In
questo
senso,
dopo
aver
ricordato,
risalendo
il
corso
dell’etimologia,
che
“commercio” e “mercato” esprimono storicamente un’identità di significati, è bene chiarire
che i 25 Accordi di cui si compone il sistema WTO non contengono certo le regole delle
relazioni commerciali private, ma bensì regole necessarie per contemperare il diritto di
ciascun Membro WTO a tutelare efficacemente interessi collettivi estranei al commercio
(salute, ambiente, sicurezza, etc.) con l’impegno, sistemico, avvertito condiviso e
sottoscritto ancora una volta da ciascun Membro, che tali tutele vengano assicurate nel
modo più aperto possibile, cioè producendo il minor pregiudizio possibile al libero
commercio mondiale.
“E’ stato sostenuto, fino alla nausea secondo il Professor Weiler, che il sistema di
risoluzione delle controversie dell’Organizzazione Mondiale del Commercio è stato segnato
da un processo di ‘giuridificazione’ che ha portato dal precedente sistema dell’Accordo
Generale sulle Tariffe ed il Commercio (GATT), basato sulla diplomazia, ad un sistema
basato sul diritto (sulla <<rule of law>>)”73.
Il sistema di soluzione delle controversie WTO costituisce, secondo P. Nicholls, “la più
importante novità nel diritto dell’economia globale nella seconda metà del ventesimo
secolo”74.
L’introduzione, il 15 aprile 1994, di un meccanismo efficace di soluzione delle
controversie ha dunque prodotto il risultato di mutare la natura stessa del sistema GATT,
contribuendo, con altri elementi, a trasformarlo in un sistema giuridico tendenzialmente
completo. La dinamica di giuridicizzazione del sistema si è peraltro rivelata tale da saper
estendere, come già accennato, tale propria maggior forza, discendente anzitutto da un
efficace sistema giudiziario, anche ad altre fonti del diritto internazionale (si pensi, tra
l’altro, alle norme ISO e alle norme del Codex Alimentarius, richiamate in alcuni Accordi
WTO), tendendo a promuovere, anche sotto questo profilo, una rivisitazione profonda di
73
D. Steger, “Peace Through Trade. Building the WTO”, Cameron May, 2004 [10. The Rule of Law or
the Rule of Lawyers? – Introduction – “It has been said, ad nauseam according to Professor Weiler,
that the World Trade Organization’s dispute settlement system has been marked by a “juridification”
from the predecessor system of the General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), which was
based on diplomacy, to a system based on the rule of law”].
74
P. Nicholls, GATT doctrine, 2 Virginia J. Int’l L. (1996).
69
molte categorie del diritto.
“Although a WTO Panel has jurisdiction only over WTO claims, it should be recalled
that some WTO rules (.. ) explicitly confirm and incorporate pre-existing non-WTO treaty
rules. These non-WTO rules have thereby become WTO rules that can be judicially
enforced by a Panel (..). Other WTO rules do not incorporate non-WTO rules but do refer
to them explicitly. In this way these non-WTO rules can become part of a WTO claim
(though not having been incorporated, they cannot be judicially enforced independently of
other WTO rules). An example of “incorporation” is the TRIPS Agreement, which
assimilates, inter alia, provisions of the Bern, Paris, and Rome Conventions.
Examples of “explicit reference” are the SPS Agreement, the Agreement on Technical
Barriers to Trade (TBT Agreement), and the Agreement on Subsidies and Countervailing
Measures (SCM Agreement ..), which mention international standards adopted in the
Codex Alimentarius Commission (SPS Agreement), the International Agency for Research
on Cancer (..) (TBT Agreement), and the Arrangement on Guidelines for Officially
Supported Export Credits of the Organisation for Economic Co-operation and Development
(SCM Agreement). The incorporated rules in the TRIPS Agreement are legally binding as
such in the WTO (..). The non-WTO rules in the other WTO Agreements serve only as a
benchmark or basis for the assessment of a distinct WTO-specific obligation. Thus, the
international standards referred to in the SPS Agreement (say, codex standards) cannot
serve as the basis for an independent claim of breach before a WTO Panel, but when WTO
members base their sanitary measures on such standards, they will be presumed to
conform with the SPS Agreement as well”75.
Tre possono dirsi i principali elementi, tutti relativi al sistema di soluzione delle
controversie WTO, la cui combinazione ha prodotto le maggiori novità negli schemi del
diritto mondiale:
1.
il riconoscimento (art. 6.1 dell’Intesa per la soluzione delle controversie, d’ora in
avanti: DSU76) di un diritto all’azione giudiziaria, in capo a ciascun Membro WTO. A
differenza del sistema GATT (antecedente agli Accordi di Marrakesh), che subordinava
all’unanimità dei consensi dei Membri - quindi, anche del Membro controinteressato l’azionabilità di un procedimento giudiziario per la verifica della legittimità della condotta di
75
“The Role of Public International Law in the Wto: How far can we go?”, Joost Pauwelyn.
76
Dispute Settlement Understanding.
70
un qualsiasi Membro WTO, a partire dall’entrata in vigore degli accordi siglati al termine
dell’Uruguay Round è consentita l’apertura di una controversia anche su richiesta di un
solo Membro.
2.
la possibilità che, dopo la pronuncia del “giudice” (1° grado: Panel; 2° grado:
Organo di Appello), un organo terzo (arbitro, art. 22.6 DSU) imponga al Membro che
manchi di ottemperare al disposto del collegio giudicante delle sanzioni, eseguite per il
tramite “unilaterale”77 della parte ingiustamente danneggiata - la quale viene infatti
autorizzata alla “sospensione delle concessioni o di altri obblighi” - e volte quindi ad
assicurare giustizia concreta, così conferendosi effettività alle valutazioni contenute nella
pronuncia del giudice.
3.
il riconoscimento (art. 3.2 DSU) delle regole consuetudinarie d’interpretazione del
diritto internazionale generale, come utili a chiarire l’interpretazione delle disposizioni
contenute
negli
dell’“isolamento
Accordi
clinico”
WTO
del
(giurisprudenza
sistema
WTO
e
dottrina
rispetto
alle
hanno
altre
parlato
regole
del
di
fine
diritto
internazionale). In occasione di alcune pronunce (in particolare, Gasoline, Japan-Alcoholic
Beverages, Poultry e Computer Equipment), i giudici WTO hanno espressamente affermato
che gli artt. 31 e 32 della Convenzione di Vienna78 sono rilevanti nell'interpretazione degli
77
Si badi bene: l’”unilateralità” è del tutto apparente, in quanto le ritorsioni sono rese “multilaterali”
dal fatto di essere previste da un Accordo (Intesa per la soluzione delle controversie) liberamente
sottoscritto da tutti i Membri WTO, nonché dal fatto di essere oggetto di autorizzazione e disciplina
da parte di un arbitro che esiste ed opera sulla base di una regola condivisa (art. 21.5 DSU).
78
Articolo 31, Regola generale di Interpretazione
1.Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai
termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo ogetto e del suo scopo.
2. Ai fini dell’interpretazione di un trattato, il contesto comprende oltre al testo, inclusi il preambolo
e gli allegati:
a) ogni accordo in rapporto col trattato concluso tra tutte le parti in occasione della
conclusione del trattato;
b) ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del
trattato e accettato dale altre parti come strumento in connessione col trattato.
3. Si terrà conto, oltre che del contesto:
a) di ogni accordo ulteriore intervenuto fra le parti in materia di interpretazione del trattato
o di applicazione delle sue disposizioni;
b) di qualsiasi prassi successivamente seguita nell’applicazione del trattato attraverso la
quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo;
c) di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti tra le parti.
4. Un termine verrà inteso in senso particolare se risulta che tale era l’intenzione delle parti.
Articolo 32 mezzi complementari di interpretazione
Si può fare ricorso a mezzi complementari di interpretazione, e in particolare ai lavori preparatori e
alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo, si di confermare il senso che risulta
dall’applicazione dell’articolo 31, sia di determinare il senso quando l’interpretazione data in
conformità all’art. 31:
a)lascia il senso ambiguo o oscuro; oppure
b) conduce ad un risultato manifestamente assurdo o irragionevole.
71
Accordi WTO. Questa apertura si è rivelata - e, verosimilmente, ancor di più si rivelerà in
futuro - cruciale rispetto al conseguimento di equilibri progressivamente più avanzati nella
conciliazione delle regole del commercio con quelle relative ad interessi collettivi ulteriori
(ambiente, salute, etc.) protetti da altri trattati internazionali. I Panel e l’Organo di Appello
hanno inoltre fatto riferimento ad alcuni principi interpretativi generali del diritto, come il
principio dell’effetto utile e il principio dell’ in dubio mitius.
La forza del sistema WTO è dunque anzitutto la forza della sua dimensione
giurisdizionale (connotata, si è detto, di socialità) e tutte le dinamiche che nel mondo si
associano al commercio ed alla competizione sviluppano un vitale bisogno di adeguarsi a
tale nuovo scenario.
Dal 15 aprile 1994, la chiarezza di una solida e ricca piattaforma giuridica, aggiornata
grazie alla saggezza dell’interprete, garantisce pertanto che il diritto avvolga e governi il
processo di sviluppo del commercio globale. Un ruolo, nuovo e cruciale, viene
inevitabilmente ad associarsi alla figura del giurista, chiamato ad attingere non da un testo
legale
formalizzato,
astrattamente
completo
e
meccanicamente
applicabile
al
frastagliatissimo panorama delle singole fattispecie, ma bensì da un ricco sistema di
principi, mutevolmente adattabile alla complessissima realtà attraverso un consapevole e
saggio ricorso alla ragionevolezza (es. Gasoline, Shrimp) e all’equità. La vicenda potrebbe
leggersi secondo uno schema del tipo “equilibrio di Nash”: il 15 aprile 1994 a Marrakesh,
ciascuno degli Stati firmatari mostrò di comprendere la necessità di cedere al sistema una
quota della propria razionalità e del proprio benessere teorico, nella consapevolezza che
tale strategia avrebbe consentito di conseguire in avanti il massimo benessere reale.
Il precipitato concreto di questo cambiamento appare esemplarmente scolpito nei
rapporti dei Panel e dell’Organo di Appello, i quali, facendo propria la forza del diritto79,
possono esprimersi senza alcun riguardo per il diverso potere delle parti in causa, così
accrescendo la forza e la credibilità del sistema.
“L’Organo di Appello raccomanda che l’Organo per la soluzione delle Controversie
richieda agli Stati Uniti di portare le sue misure, riconosciute in questo Rapporto e nel
79
“Lo Stato non crea diritto, lo Stato crea leggi, e Stato e leggi stanno sotto il diritto” (Erich
Kaufmann, Die Gleichneit vor dem Gesetz, citato in: P. Grossi, Prima lezione di diritto, Laterza
2003).
72
Rapporto del Panel come modificato da questo Rapporto essere incompatibili con l’Accordo
Generale sul Commercio nel settore dei Servizi, in conformità con gli impegni assunti sulla
base di tale Accordo”80.
La chiara connotazione giuridica dell’Organizzazione Mondiale del Commercio viene
espressa con efficacia da una ulteriore chiave di lettura: tra le componenti dell’impianto
istituzionale WTO, l’unica dimensione autenticamente sopranazionale è appunto quella
giurisdizionale.
In quanto “guidata dai Membri” (member-driven Organization), l’Organizzazione infatti,
sotto il profilo delle dinamiche decisionali, altro non è che la somma delle volontà dei suoi
membri, supportate dall’assistenza tecnica di una qualificatissima segreteria (Segretariato
WTO).
Interessante notare come l’originale combinazione delle due dimensioni – negoziale
(basata
sul
principio
dell’unanimità)
e
giurisdizionale
(basata
sull’equità
e
la
ragionevolezza) - tenda di fatto a configurare una traiettoria nella quale - soprattutto
grazie alla crescente consapevolezza di molti paesi in via di sviluppo - le deviazioni e i
particolarismi tendono a diluirsi in favore di una tensione olistica, quasi come se l’intera
membership si trasformasse in un’unica entità, onnisciente, dotata di equilibrio e buon
senso, comunque orientata in ogni sua componente alla relazione, al cambiamento, al
competere.
Esposte al vaglio di tutti e di ciascuno, le posizioni negoziali che siano eccentriche o
forzate
vengono
inevitabilmente
emarginate
dalle
dinamiche
decisionali
WTO,
analogamente - potrebbe rilevarsi – a quanto accadrebbe se il decisore fosse uno solo, che
conoscesse e considerasse, con equilibrio, le preoccupazioni, le aspettative e gli interessi
di tutti: un uomo dotato di sapienza, di visione e di sensibilità cosmiche. La leva
giudiziaria, dal canto suo, promuove una dinamica di natura diversa ma convergente. Le
corti, in particolare quella di secondo grado, di carattere stabile, costituita dall’ Organo di
Appello, si compongono di eminenti giuristi immersi nell’esperienza, legittimato a dire il
80
Conclusioni del Rapporto dell’Organo di Appello (WT/DS285/AB/R - 7 Aprile 2005, Antigua &
Barbuda vs USA): “The Appellate Body recommends that the Dispute Settlement Body request the
United States to bring its measures, found in this Report and in the Panel Report as modified by this
Report to be inconsistent with the General Agreement on Trade in Services, into conformity with its
obligations under that Agreement”.
73
diritto in ultima istanza nel caso concreto81, responsabile verso il tutto e verso la giustizia,
ma non verso ciascuno degli Stati.
Si è accennato a come anche la dimensione lessicale esprima la densità delle novità
insite nel sistema giuridico WTO.
Vale in tal senso tenere alta l’attenzione su come vengono tradotte in lingua italiana le
espressioni-chiave di questa “rivoluzione” giuridica, visto che ad esempio, l’espressione
inglese “Dispute Settlement Body” (“Organo di soluzione delle Controversie”) risulta
riportata, nella versione in italiano degli accordi, come “Organo di conciliazione”:
“Il precedente sistema GATT rifletteva le sue origini diplomatiche. Infatti il processo
veniva inizialmente definito come ‘conciliazione’ e non come ‘risoluzione di controversie’ ...
I rapporti dei Panel sporadicamente contenevano riferimenti alla dottrina ed agli scritti di
autori altamente specializzati in materia di diritto GATT, ma questi riferimenti erano rari
(..). Per la maggior parte dei casi, questa reticenza discendeva dall’eredità diplomatica del
sistema GATT. Quello che ora è essenzialmente un sistema giudiziario di risoluzione delle
dispute ebbe origine come un sistema diplomatico di ‘conciliazione’. I diplomatici non solo
erano meno consapevoli, oltre che meno influenzati, dei giuristi rispetto alle opere degli
studiosi di diritto, ma inoltre essi per molti anni hanno decisamente avversato l’idea di
trasformare la conciliazione in un procedimento giuridico”
82
.
mentre, analogamente, l’espressione “customary rules” (art. 3.2 DSU), anziché con
“regole consuetudinarie”, risulta diluito nella formula “norme abituali”.
Su questo ultimo punto, vale riportare quanto scrive M. G. Losano (“I grandi sistemi
81
La facoltà di adottare interpretazioni degli Accordi con valore erga omnes sarebbe formalmente
attribuita alla Conferenza dei Ministri ed al Consiglio Generale (art. IX: II del Trattato istitutivo
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio). Tuttavia, come si è detto, nella sostanza dei processi,
la funzione interpretativa sembra essere diventata ormai una prerogativa saldamente incardinata
nella dimensione giudiziale.
82
Palmeter D., Mavroidis P. C., “Dispute Settlement in the World Trade Organization” (Kluwer Law
International, 1999): “Early dispute settlement in GATT reflected its diplomatic roots. In fact, the
process initially was referred to as ‘conciliation’, not as dispute settlement … Sporadic references can
be found in Panel reports to the teachings and writings of highly qualified publicists in GATT law, but
these references were rare (..). In large part, this reticence may stem from GATT’s diplomatic
heritage. What is now essentially a juridical system of dispute settlement began as a diplomatic
system of “conciliation”. Not only were diplomats less likely than lawyers even to be aware of, let
alone to be influenced by, the writings of legal scholars, GATT diplomats for many years were
74
giuridici”): “In campo pratico, il giurista europeo continentale usa ormai in misura
pressoché esclusiva disposizioni scritte che in generale negano ogni rilevanza giuridica
degli usi ad esse non conformi: di conseguenza, lo studio della consuetudine diviene per
lui irrilevante, perché privo di sbocchi concreti. In campo teorico, invece, il silenzio sulla
consuetudine è un silenzio imbarazzato, perché la teoria giuridica dominante in Europa è
ancora quella positivistica: per essa, è diritto soltanto quello positivo, quello cioè statuito
dallo Stato. Ora, la consuetudine è norma giuridica di origine non statale e, in quanto tale,
incompatibile con le costruzioni teoriche del positivismo giuridico. Si preferisce perciò
relegarla ai margini di ogni trattazione o addirittura passarla sotto silenzio: la
consuetudine è lo scheletro nell’armadio del positivismo giuridico”.
Attingiamo da autorevole dottrina83 per esprimere più compiutamente il senso
complessivo delle trasformazioni intervenute a seguito delle novità introdotte nel 1994.
“Questo articolo tratta dello sviluppo del diritto; cioè l’evoluzione di un regime giuridico
in un campo che precedentemente non era soggetto al diritto … L’accordo raggiunto
durante l’Uruguay Round [si fa riferimento al citato art. 6.1 DSU e quindi al
riconoscimento a ciascun Membro di un diritto all’azione giudiziaria] sorprese molti, anche
tra i commentatori, in quanto, all’inizio dei negoziati, diffusamente ci si era opposti
all’eliminazione del requisito dell’unanimità e del potere di veto di fatto riconosciuto ad
ogni Stato. Si addivenne infine all’opinione che, in ogni caso, le regole GATT non fossero
sufficientemente forti per costringere gli Stati dissenzienti ad obbedire … Senza ignorare
l’importanza di altri fattori, sembra che la causa più importante del processo di
giuridicizzazione nel commercio internazionale sia la crescente interdipendenza economica
tra gli Stati … Finora questo articolo ha trattato del processo di formazione di un sistema
giuridico sostanziale e formale che regola reciproci diritti e obblighi di Stato sovrani nel
campo delle relazioni commerciali internzionali. Nondimeno, è naturale cercare analogie
tra questo processo e le sue possibili cause e quello che sappiamo della formazione dei
sistemi giuridici in generale e, in particolare, dei sistemi che regolano le relazioni
reciproche tra gli individui … Questo paragone è particolarmente appropriato nell’ambito
della teoria hobbesiana dell’origine del diritto, una teoria il cui punto di partenza è lo stato
‘naturale’ di anarchia dell’ ‘uomo mangia uomo’ che trova rimedio attraverso la ‘carta
sociale’ … Rispetto a questo sfondo, il conseguimento di una ‘carta sociale’, nella forma
decidedly averse to the very notion of turning conciliation into a legal proceeding” (la traduzione è di
chi scrive).
83
“From Diplomacy to Law: the Juridicization of International Trade Relations” (Northwestern
Journal of International Law & Business, 1996-97), di Arie Rich.
75
dell’Accordo WTO, ha prevenuto l’esplosione dell’anarchia. Agli Stati si potrebbe dire di
aver creato un nuovo regime giuridico mondiale che possiede radici e caratteristiche simili
ad OGNI sistema giuridico nella società umana, in coerenza con le posizioni di grandi
pensatori come Hobbes, Rousseau e Grotius … Dall’analisi condotta, è evidente che
recentemente una ‘società mondiale’, una società caratterizzata da una crescente
interazione intersettoriale (cioè, tra Stati, imprese ed individui) e dalla costruzione di un
regime giuridico-organizzativo regolante questa interazione, ha cominciato a formarsi
nell’arena dell’economia internazionale … Il prossimo stadio di questo processo sarà
probabilmente la maggiore integrazione del diritto pubblico del commercio internazionale
nei sistemi giuridici statali e il riconoscimento ai privati del diritto all’azione contro altri
individui. In pratica, questo processo è già cominciato e, se continuerà, esso contiene le
potenzialità per abbattere la ‘muraglia cinese’, concepita dalla teoria dualistica, tra
il diritto pubblico internazionale ed il diritto nazionale. Sembra infatti che le
relazioni commerciali internazionali possano continuare a servire come il nuovo ed
eccitante obiettivo da conseguirsi da parte della rule of law” (la traduzione è di chi scrive)
(l’enfasi è di chi scrive).
I sani processi del dis-putare e dell’interpretare
Si è detto dunque dell’efficacia del sistema di soluzione delle controversie come
meccanismo atto a garantire una pressione per la conformità delle condotte degli Stati
rispetto al diritto WTO.
Ma la questione della discrasia tra i comportamenti degli Stati e le regole WTO merita di
essere osservata anche da un altro angolo di visuale. Cosa accade se uno Stato viola
sistematicamente le regole WTO, operando secondo schemi tutti concepiti in ottica
nazionale, senza alcuna attenzione all’esigenza di porsi in compatibilità con il quadro del
diritto mondiale? Lasciando per un attimo i sentieri dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio, si ritiene sarebbe utile ascoltare la risposta che a questa domanda verrebbe
dall’economista o dal sociologo. Quella comunità che non adegui le proprie regole interne
al quadro complessivo del diritto vigente nel sistema di cui pure farebbe formalmente
parte, tenderà, di fatto, progressivamente, a sviluppare comportamenti incompatibili con
quelli delle altre e quindi ad essere emarginata da quello stesso sistema. Se può servire la
metafora, è come se gli Accordi WTO “spingessero” tutti gli aderenti - le fonti di
76
regolazione di qualsiasi livello - a relazionarsi. Una relazione di cui ciascuno necessita, in
quanto – in un sistema fatto di interdipendenza - l’”altro” è vitale per la propria
sopravvivenza. Questa spinta all’interazione ricorda quella a cui talora si sottraggono
coloro che, rispetto alla prospettiva dell’interazione con l’”altro”, preferiscono, per miopia,
per diffidenza o per un senso di inferiorità, quella di una chiusura totale al prossimo, senza
però poter poi evitare che questa chiusura li renda poi sgradevoli, impacciati, spesso
arroganti, certamente poco attraenti e poco socievoli.
Calando nel vissuto economico di un paese queste dinamiche, l’indice relativo alla
capacità di attrazione degli investimenti sembra essere il riferimento più chiaro di un tale
distacco.
La scelta di sottoscrivere gli Accordi WTO è quindi, potremmo dire, anzitutto una scelta
totale di apertura, un aderire all’invito ad imparare a difendersi dai rischi del commercio
senza poter essere tentati dalla soluzione dell’isolamento. Partecipare al sistema WTO
implica fare di questa attitudine uno stile di vita.
Nel gioco WTO, le soluzioni ai problemi vanno obbligatoriamente ricercate con cura, in
maniera raffinata, comunque sempre “con” gli altri, mai “contro” o “senza” di loro.
Quando si forma una controversia in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio, e
in particolare quando, nell’evolvere della stessa, un collegio arbitrale autorizza un Membro
ad adottare un certo livello di sanzioni economiche (sostanzialmente dazi) nei confronti di
alcune produzioni provenienti da un altro paese che non abbia tempestivamente
adempiuto alla pronuncia del giudice, si tende talora a definire la vicenda attraverso la
parola “guerra” (es: guerra delle banane, guerra dell’acciaio, guerra commerciale). Ancora
una volta, le parole sono pietre ed appare opportuno rilevare quanto grave e fuorviante
sia, per le percezioni che diffusamente ne discendono, l’utilizzo di questo termine nel
contesto WTO.
La sottoscrizione degli Accordi WTO determina, per ciascuno degli Stati che hanno
deciso spontaneamente di aderirvi, la partecipazione ad un gioco84. Il gioco è quello del
commercio e alle sue regole, dettate negli Accordi, le normative nazionali hanno l’obbligo
di conformarsi. Può accadere, ed accade sovente, che un Paese asserisca, e chieda sia
77
sancita, la difformità della condotta di un altro Paese rispetto alle regole del sistema. In
questi casi, si è detto, gli stessi Accordi WTO prevedono una complessa e rigorosa
procedura che dapprima consente la valutazione del caso da parte di un Organo terzo ed
autonomo (Panel, Organo di Appello) e, successivamente, qualora lo Stato condannato
manchi di dare esecuzione alla sentenza, disciplina il modo attraverso il quale le parti
danneggiate possono adottare ritorsioni e quindi ottenere giustizia.
Deve chiarirsi: non c’è proprio nulla in tutto questo che richiami le dinamiche della
guerra. La guerra non conosce regole. In guerra ciascuno dei contendenti persegue
l’eliminazione definitiva dell’altro e l’antagonismo, assoluto, riguarda tutte le dimensioni
della relazione - o meglio, della non-relazione - tra le due entità.
La controversia WTO, viceversa, disegna uno scenario che è l’esatto contrario della
guerra, proponendo semmai le dinamiche di una gara sportiva, un gioco appunto. Viene
da pensare alle gare olimpiche, per l’ordine in cui i giochi si svolgono, per la diversità dei
colori, delle razze, delle lingue, per il fatto che l’altro è non un nemico, ma un avversario.
Si gareggia con l’altro ed è necessario che l’altro ci sia perché la gara continui. Un arbitro,
che entrambi i contendenti rispettano, controlla, nello sport come nelle controversie
commerciali, che la gara sia leale e che vinca il migliore.
Si osservi esemplificativamente il seguente confronto tra la delegazione di Cuba:
“Her delegation noted with concern the US lack of interest in observing WTO rules and
disciplines, as demonstrated by its unjustified, excessive and offensive delaying tactics,
which impaired the rights of Members and undermined the international credibility of the
DSB; one of the most sensitive institutions of the multilateral trading system.
Cuba
considered that the most recent extension was another deplorable action, which affected
the balance of rights and obligations under the TRIPS Agreements and the basic WTO
principles.
Consequently, Cuba again urged the United States to desist from violating
international law and to repeal Section 211, which was the only solution to this dispute”
e degli USA
84
La Teoria dei Giochi è la disciplina che studia le situazioni in cui gli agenti interagiscono tra loro e
nel fare le proprie scelte devono quindi tenere in considerazione le scelte e strategie altrui.
78
“… A new Congress had convened in January 2005 and the US administration was
working with that Congress with respect to appropriate statutory measures to resolve this
matter”
rispetto al controllo del rispetto da parte USA di una pronuncia dei giudici WTO
(Resoconto WT/DSB/M/182 della riunione del 25 gennaio 2005 dell’Organo per la
soluzione
delle
controversie,
integralmente
http://www.wto.org/english/tratop_e/dispu_e/dispu_e.htm),
disponibile
nella
on
line
controversia
United
States – Section 211 Omnibus Appropriations Act of 1998.
La controversia WTO è un aspetto sano, ordinato, corretto, della competizione mondiale
e si pone in armoniosa simbiosi con il suo spirito e le sue regole, costituendone il volto
giuridico e la dimensione istituzionale, di cui gli stessi concorrenti hanno espresso il
bisogno per garantire che fiducia ed efficacia permangano quali virtù fondanti del sistema.
Lo stesso svolgersi della controversia è informato ai principi meritocratici della
competizione.
Importante anche notare come le pronunce degli organi giudicanti WTO rilevino in
maniera significativa, non soltanto per le loro conclusioni, quanto - si direbbe, soprattutto
- per l’iter logico-giuridico attraverso il quale esse si snodano, spesso dovendosi affrontare
e superare complesse questioni interpretative, sulle quali viene a farsi luce attraverso
raffinati procedimenti che, in quanto tali, vengono di fatto a segnare nuovi approdi lungo
la strada del diritto mondiale. Il Panel e l’Organo di Appello, infatti, oltre a rapportare le
condotte nazionali alle regole WTO, si trovano spesso a dover anche identificare un
equilibrio possibile tra i valori protetti nelle diverse disposizioni contenute negli Accordi.
Dalla ragionevole ponderazione degli interessi in campo, i giudici WTO ricavano indicazioni
che diventano direttrici preziose per i regolatori di ogni nazione, a prescindere dal
coinvolgimento nella controversia in esame.
Può accadere così, ed accade, che una controversia sui gamberetti si consegni alla
storia del diritto per aver fornito parametri in materia di interpretazione evolutiva, o che
da una controversia avente ad oggetto il cocco essiccato scaturiscano chiarimenti in tema
di irretroattività dei trattati, o che una controversia che tratti di tonni disegni nuove
prospettive circa le regole per l’interpretazione dell’intero sistema degli Accordi WTO.
79
Pur non aderendovi esplicitamente, in quanto le interpretazioni prodotte dagli organi
giudicanti non configurerebbero formalmente “precedente vincolante”, l’ordinamento
giuridico WTO sembra in realtà subire un’ineluttabile attrazione85 verso il magnete della
Common law,
notoriamente “caratterizzato dal principio dello stare decisis e dalla
vincolarità del precedente giudiziario”86, in entrambi i casi riconoscendosi valore
sostanziale di guida sociale agli orientamenti espressi dall’autorevole interprete nel caso
concreto.
Vale qui riprendere l’ammonimento del maestro Paolo Grossi:
“C’è una dimensione squisitamente culturale (cioè di cultura giuridica) che la
globalizzazione investe, e di cui non si deve tacere. Concerne una ragguardevole
immissione di valori culturali propri del mondo di common law nel nostro mondo di civil
law … Con l’indicazione mondo di civil law si intende contrassegnare il diritto dell’Europa
continentale e delle sue colonie, marcato nella sua storia giuridica dal solco profondissimo
della rivoluzione francese, un solco in forza del quale si relegano in soffitta tutti i valori
giuridici del medioevo e dell’antico regime, si sposa pienamente la statualità del diritto,
l’identificazione di questo nella legge, la codificazione. E’ il mondo cui ancor oggi l’Italia
giuridicamente appartiene.
Accanto, pianeta distaccato con una storia appartata, il mondo di common law, che ha
per proiezione la grande area geografica dell’Inghilterra e delle sue colonie, che non ha
vissuto sulla sua pelle la vicenda sconvolgente e innovativa della rivoluzione, che vive
ancora una perfetta continuità con i vecchi valori giuridici del medioevo inglese, che
avverte come innaturale la statualità del diritto e la sua identificazione in un complesso di
leggi, che ignora la grande avventura della codificazione, che affida – al contrario – il
divenire del diritto ai tecnici competenti, ai giuristi, e tra questi soprattutto ai giudici che il
85
Il dibattito in materia è molto ricco di contributi. Si vedano, tra gli altri, John Ragosta:
“Unmasking the WTO: Access To the DSB System: Can The WTO DSB Live Up To The Moniker ‘World
Trade Court’ ”?; Alan Wm. Wolff e John A. Ragosta, “Will the WTO Result in International Trade
Common Law? The Problem for U.S. Lawyers,” in The World Trade Organization: Multilateral Trade
Framework for the 21st Century and U.S. Implementing Legislation, (T. Stewart ed.) 695 et seq.
(1996) (“Wolff & Ragosta, ‘Will the WTO Result in International Trade Common Law?’”). Sempre
sull’ampiezza delle potenzialità del diritto WTO, R. Ruggiero: “Il mio sospetto è che né i governi né
le industrie si siano ancora resi conto della effettiva estensione di queste garanzie” [la traduzione è
di chi scrive] in: “The World Trade Battle Heats Up,” The Vancouver Sun, A15 (Nov. 30, 1999).
86
Marino Bin, Il precedente giudiziario, Cedam, Padova, 1995.
80
sano empirismo anglosassone valorizza perché immersi nell’esperienza.
Tutto questo viene precisato per far capire che, ancor oggi, … common law e civil law
costituiscono pianeti giuridici piantati su fondazioni diverse e potatori di diverse mentalità:
due costumi giuridici, se non opposti, certamente assai diversificati … Globalizzazione è un
vento invadente originato soprattutto dal Nordamerica angloide, che non porta solo
barbarismi e invenzioni nuove ma porta soprattutto in seno alla nostra realtà un tessuto
giuridico impregnato di mentalità, costume, valori giuridici propri e naturali al pianeta
d’origine ma estranei e dissonanti per il nostro.
Nel canale parallelo del diritto della globalizzazione circola una cultura giuridica che, in
prevalenza, non è la nostra …
Da un punto di vista culturale, il vecchio legalismo formalista massicciamente osservato
e accuratamente mitizzato nel pianeta di civil law riceve dal contatto coi filoni
globalizzatori un respiro più aperto e uno stimolo a parecchi ripensamenti essenziali”87.
Il diritto espande dunque la propria area d’influenza per effetto di una forza spontanea:
la naturale aspirazione umana alla competizione comprende infatti, come irrinunciabile
corollario, l’esigenza di regole ed istituzioni capaci di premiare i meriti e sanzionare gli
abusi. A fronte di tale espansione, viene corrispondentemente a perdere di senso
l’esercizio
del
potere
politico
formalmente
incardinato
negli
apparati
statali,
complessivamente fondati d’altronde su un edificio, quello della legge nazionale, reso
ormai anacronistico dal terremoto infinito dell’interconnessione globale dei processi sociali.
“L’attuale movimento ermeneutico corona (e definisce con provvedutezza teorica)
perplessità, intuizioni, timidissime proposte che lo storico vede affacciarsi, per tutto il
corso del Novecento giuridico, fra i giuristi più aperti e più coraggiosi. Si òpera un cospicuo
spostamento di attenzione dal momento di produzione e dalla volontà consegnata e
sigillata nel testo – momento, volontà, testo che avevano monopolizzato tutto l’ingenuo
zelo dei vecchi giuristi plagiati da una ideologia coartante – alla vita della norma nel tempo
e nello spazio; si coglie il processo normativo come non esaurèntesi nel momento di
produzione ma inglobante al suo interno l’interpretazione/applicazione; si rèlegano
finalmente in soffitta le crocifissioni di tanti giudici inchiodati alla tirannide di un testo
invecchiato e forse anche iniquo rispetto alla mutata realtà sociale; si dà finalmente
87
Paolo Grossi, “Globalizzazione, diritto, scienza giuridica” (Il Foro italiano, maggio 2002, V, 151) Conferenza alle classi riunite dell’Accademia dei Lincei, 7 marzo 2002.
81
all’interprete/applicatore un ruolo attivo ben diverso dalla supina esegesi e si attenua la
durezza della norma che la rapidità del mutamento (quella rapidità che constatiamo
quotidianamente) rivela insopportabile. L’interpretazione giuridica lascia l’esilio degli
esercizii logici, dei sillogismi di illuministica memoria e diventa coinvolgimento (e quindi
concreazione) nel complesso procedimento normativo. Poiché parlo a dei pratici (o ad
allievi destinati ad essere in futuro giudici avvocati notai), mi piace qui ricordare che il
filosofo Gadamer, quando ha guardato con attenzione scrupolosa alla interpretazione
giuridica, non ha pensato unicamente a quella dei sapienti (esiliando sdegnosamente in un
cantuccio il contributo dei pratici); egli, al contrario, ha tenuto a insegnare che
‘l’applicazione costituisce, come la comprensione e la spiegazione, un aspetto costitutivo
dell’atto interpretativo inteso come unità’ (..). Rivalutazione massima del momento
applicativo in seno a quell’unità complessa che è l’itinerario normativo”88.
“Certamente in parte a causa del fatto che i precedenti rapporti dei Panel non sono
vincolanti, ma forse anche a causa dell’eredità diplomatica, le parti ed i Panel adoperano
un linguaggio particolare per fare riferimento alle precedenti pronunce. Essi ‘notano’ i
precedenti rapporti; (..) essi li ‘richiamano’ (..). Essi ‘ concordano’ con il ragionamento del
precedente Panel. (..) In uno dei primi rapporti dei Panel WTO, il Panel citò testualmente
un lungo brano da un altro rapporto, dicendo ‘Riteniamo questo argomento molto forte’.
(..) Qualunque sia il linguaggio adoperato, in ogni caso, i Panel tendono a ‘seguire’ i
rapporti ed i precedenti Panel, a meno che quei rapporti non possano essere chiaramente
distinti dalla controversia sottoposta al loro esame o a meno che i Panel non maturino la
convinzione che i precedenti Panel fossero in errore (..)”
89
.
La sostanza dei processi WTO configura pertanto un approccio al diritto che è
qualitativamente distante dagli schemi della civil law, nei quali la funzione del giudice
88
Prolusione del Prof. Paolo Grossi, ordinario di Storia del Diritto Italiano nella Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Firenze, tenuta nella cerimonia inaugurale della Scuola di
Specializzazione per le professioni legali.
89
Palmeter D., Mavroidis P. C., cit: “No doubt in part because prior Panel reports are not legally
binding, and perhaps in part because of GATT’s diplomatic heritage, parties and Panels use
particular language in referring to earlier decisions. They “note” prior reports; (..) they “recall”
them. (..) They “concur” with the reasoning of the prior Panel. (..) In one of the early WTO Panel
reports, the Panel quoted at length from another report and said, “We see great force in this
argument”. (..) Whatever word or words they use, however, Panels are likely to “follow” the reports
and previous Panels unless those reports can be distinguished from the cases before them or unless
the Panels can be convinced that the previous Panels were in error (..)”.
82
appare sempre più compressa dalla gabbia della forma, con conseguente frustrazione
dell’aspettativa sociale di giustizia sostanziale.
“Ai giuristi è riservata soltanto l'esegesi, e di una 'école de l'exégèse' si parla
precisamente per quella Francia post-napoleonica che vive in tutto il suo spessore
ideologico il panlegalismo dei moderni. Esegesi è nozione presa a prestito dai teologi e ben
si addice a chi maneggia un testo ritenuto sacro e perciò oggetto di venerazione e non di
alterazione” (Paolo Grossi, "Globalizzazione, diritto, scienza giuridica"90, 2002).
L’interprete WTO dispone certamente di uno strumentario più ricco, ciò che gli
restituisce peraltro la piena responsabilità di dire uno ius che sia ius iustum e non ius
iussum.
Nel caso Shrimp, così statuì l’Organo d’Appello WTO, nell’interpretare il termine “risorse
naturali esauribili” contenuto nell’Art. XX (g) GATT: “L’espressione ′risorse naturali
esauribili′ contenuta nell’Art. XX (g) è stata elaborata più di 50 anni fa. Essa perciò dovrà
essere interpretata alla luce delle preoccupazioni contemporanee circa la protezione e la
conservazione dell’ambiente che la comunità delle nazioni è chiamata oggi a fronteggiare”
(la traduzione è di chi scrive).
“L’interpretazione evolutiva è spesso accusata di essere in contraddizione con il
principio del pacta sunt servanda e con la regola generale che l’intenzione delle parti al
tempo della conclusione del trattato deve costituire la sola base di interpretazione.
Tuttavia, le stesse disposizioni della Convenzione di Vienna riconoscono che gli eventi
successivi alla conclusione di un trattato possono rilevare e influenzare il principio di
interpretazione in buona fede delle disposizioni.
Nonostante il significato ordinario di un termine contenuto in un trattato debba essere
ritenuto l’agente rivelatore per eccellenza della comune intenzione delle parti al tempo
della conclusione del trattato, il par. 3 dell’art. 31 dispone che siano presi in
considerazione anche i fatti successivi alla conclusione del trattato stesso, i quali possono
90
Conferenza tenuta alle classi riunite dell'Accademia dei Lincei nella seduta del 7 marzo 2002, cit.
83
essere considerati come autentici elementi di interpretazione”91 (la traduzione è di chi
scrive).
Nella giurisdizione WTO il meccanismo dell’elusione - che si sostanzia di un’aderenza al
dato formale e della violazione dell’intenzione sostanziale del legislatore - è inoperante per
definizione, visto che il giudice ha mandato e strumenti idonei a verificare la liceità della
condotta, intesa nella sua sostanza complessiva. Nessun tipo di comportamento
dell’Autorità pubblica è d’altronde esclusa dall’area di copertura e di sanzione delle regole
WTO. L’art. 16.4 dell’Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio recita
infatti: “Ciascun Membro garantisce la conformità delle proprie leggi, dei propri
regolamenti e delle proprie procedure amministrative con gli obblighi che gli incombono
conformemente a quanto previsto negli Accordi allegati”92.
Lo svolgimento di una controversia WTO costituisce quindi un processo nobile ed
elegante, che si nutre del contributo dei più grandi giuristi del pianeta e che spinge, tutti,
ad affinare pensieri ed argomenti, ad ascoltare le ragioni dell’altro e a cercare di superarle
con ragioni migliori. I giudici WTO non guardano le firme in calce ai documenti, ma ne
analizzano rigorosamente i contenuti. All’Organizzazione Mondiale del Commercio può
certamente accadere, ed accade, che due Paesi che si confrontano in una certa sala da
avversari in una controversia, presentino, nello stesso istante, in un’altra sala e su un’altra
questione, una posizione congiunta.
Anche l’autorizzazione all’adozione di ritorsioni “unilaterali” è un momento di alta
civiltà: la pronuncia del collegio arbitrale rende infatti anche quelle contromisure unilaterali solo nell’esecuzione materiale (ma ciò è in linea con l’assenza di una polizia
mondiale del commercio) - parte essenziale di un gioco che resta comune. Si deve anzi
aggiungere che quelle misure punitive e compensative - sospensione delle concessioni o di
altri obblighi - sono concepibili ed efficaci proprio perché una solida relazione tra i
concorrenti esiste e persiste, certamente sopravvivendo alla controversia, sicché su tale
relazione (commerciale) diventa possibile intervenire, costruendovici sopra un atto di
giustizia.
91
Gabrielle Marceau, “A Call for coherence in International Law – Praises for the prohibition against
“Clinical Isolation” in WTO Dispute Settlement System” (Journal of World Trade, Kluwer Law
International, vol. 33, No 5 October 1999).
92
“Each Member shall censure the conformità of its laws, regulations and administrative procedures
with its obligations as provided in the annexed Agreements” (art. 16.4 - Trattato istitutivo
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio).
84
Cenni sul merito di alcune pronunce della giurisprudenza WTO
La certezza e la prevedibilità sono requisiti essenziali di un sistema di regole.
Con riferimento all’impianto WTO, rassicurazioni chiare e definitive provengono in tal
senso da alcune dichiarazioni di senso generale rese dall’Organo di Appello
“Le regole WTO sono affidabili, chiare ed esecutive. Esse non sono così rigide o
inflessibili da non lasciare spazio per ragionevoli valutazioni necessarie per trattare il
flusso mutevole ed incessante delle situazioni reali nel mondo reale. Esse potranno servire
al meglio il sistema commerciale multilaterale se saranno interpretate in questa
prospettiva. In tal modo, sarà possibile conseguire la ‘certezza e prevedibilità’ che i
Membri WTO vollero assicurare al sistema commerciale multilaterale con l’istituzione del
sistema di soluzione delle controversie” 93
e dai Panel
“Tra le aree giuridiche WTO, l’Intesa per la soluzione delle Controversie costituisce uno
degli strumenti più importanti per tutelare la certezza e la prevedibilità del sistema
commerciale multilaterale e attraverso questo del mercato e dei suoi operatori”94.
Nel caso USA-Gasoline l’Organo di Appello affermava che la regola generale
d’interpretazione dei trattati contenuta nell’art. 31 della Convenzione di Vienna aveva
conseguito lo status di diritto consuetudinario di interpretazione dei trattati. L’Organo di
Appello approdava inoltre, nella stessa disputa, alla storica risoluzione secondo la quale il
diritto WTO non va letto “in isolamento clinico” dal diritto internazionale generale,
chiarendo poi in altre circostanze95 che quest’apertura attiene all’interpretazione dei
principi già contenuti negli Accordi e che dunque essa non potrà consentire l’importazione
di regole o concetti che non siano presenti negli Accordi stessi.
93
Controversia Japan – Alcoholic Beverages II (Rapporto dell’Organo di Appello).
94
Controversia US – Section 301 Trade Act (Rapporto del Panel).
95
Controversia India – Patents (US) (Rapporto dell’Organo di Appello).
85
In un’altra controversia96, si è poi sancito che gli elementi di cui all’Articolo 31 della
Convenzione di Vienna - testo, contesto, oggetto-e-fine e buona fede – vanno visti come
un’unica regola olistica di interpretazione piuttosto che come una sequenza di riferimenti
separati da applicarsi in ordine gerarchico.
Riguardo al ruolo degli strumenti supplementari di interpretazione, l’Organo di Appello,
nel richiamare l’art. 32 della Convenzione di Vienna, ha altresì affermato97 che, ai fini
dell’interpretazione di una disposizione di un accordo, è ammissibile prendere in
considerazione il “background storico nel quale l’accordo era stato negoziato”. Da ricordare
che l’art. 3298 della Convenzione di Vienna contempla, tra gli strumenti interpretativi
supplementari, i lavori preparatori dell’accordo nonché le circostanze in cui ebbe luogo la
sua stipulazione.
Anche il principio “in dubio mitius” è stato accolto dall’Organo di Appello99 come
strumento
interpretativo
supplementare
“comunemente
riconosciuto
nel
diritto
internazionale”.
Analogamente, i principi di buona fede e di ragionevolezza, insieme alla dottrina
dell’abuso di diritto, sono stati riconosciuti dall’Organo di Appello100 come presenti anche
negli Accordi WTO .
Nel caso US – Gasoline, l’Organo di Appello ha inoltre riconosciuto rilevanza al principio
di effettività (ut res magis valeat quam pereat), come uno dei corollari della regola
generale d’interpretazione dei trattati contenuta nella Convenzione di Vienna. In
particolare, l’Organo di Appello affermò: “Uno dei corollari della regola generale
d’interpretazione dei trattati nella Convenzione di Vienna è che l’interpretazione deve
attribuire significato ed efficacia a tutti i termini del trattato. Un interprete non è libero di
adottare una lettura che porti a rendere intere clausole o paragrafi di un trattato
ridondanti o inutili” … “L’esercizio di un diritto in una maniera tale da pregiudicare
l’interesse al trattato da parte di un’altra parte contraente è irragionevole ed è da
96
Controversia US – Section 301 Trade Act (Rapporto del Panel).
97
Controversia EC – Computer Equipment.
98
L’art. 32 della Convenzione di Vienna prevede che il ricorso a strumenti interpretativi
supplementari possa avere luogo per confermare il significato risultante dall’applicazione dell’art. 31,
o per determinare il significato nei casi in cui l’art. 31 porti ad un significato ambiguo od oscuro,
oppure ad un risultato manifestamente assurdo o irragionevole.
99
Controversia EC – Hormones.
100
Controversia US – Shrimp.
86
considerarsi incompatibile con l’esecuzione in buona fede degli obblighi del trattato, ed
una violazione del trattato stesso”.
L’Organo di Appello ha altresì riconosciuto101 essere dovere dell’interprete “leggere tutte
le disposizioni di un trattato in una maniera che dia significato armonioso all’insieme di
esse”. Un importante corollario di questo principio è che un trattato dev’essere
interpretato nell’insieme ed in particolare ciascuna sua parte dev’essere interpretata
congiuntamente alle altre (“un inseparabile pacchetto di diritti e regole che devono essere
considerati congiuntamente)”102.
Nel caso Indonesia – Autos, l’Organo di Appello respingeva l’argomentare indonesiano
fondato su un’ipotesi di conflitto tra norme GATT (art. III) e alcune disposizioni
dell’Accordo sui Sussidi, riconoscendo il principio di presunzione di assenza di conflitto tra
norme.
Nell’ambito della controversia Brazil – Dessicated Coconut, l’Organo di Appello,
richiamandosi all’art. 28 della Convenzione di Vienna, riconosceva altresì rilevanza al
principio generale di non retroattività dei trattati, a meno che non sia chiara un’intenzione
in tal senso nel testo del trattato stesso. Sempre con riferimento al principio di
irretraoattività, in un altro caso103 l’Organo di Appello ha precisato che l’art. 28 della
Convenzione di Vienna riguarda non soltanto gli “atti”, ma anche ogni “fatto” o
“situazione” la cui esistenza sia cessata prima dell’entrata in vigore del trattato.
Un importante richiamo al principio della responsabilità statale veniva operata dal Panel
nel caso Turkey – Textiles, nel quale si veniva a considerare la Turchia responsabile per le
misure adottate nell’ambito dell’unione doganale tra Turchia e Comunità Europee. Nella
fattispecie il Panel interiorizzava testualmente la pronuncia del Giudice Shahabuddeen's
nel caso Nauru presso la Corte Internazionale di Giustizia: “quando gli Stati operano
attraverso un organo comune, ciascuno Stato è autonomamente responsabile per gli atti
illegittimi dell’organo comune”. “Una simile conclusione deve considerarsi in quei casi di
parallela attribuzione di una singola condotta di un organo comune a diversi Stati … la
condotta dell’organo comune non può che considerarsi diversamente che come un atto di
ciascuno Stato cui appartiene l’organo comune. Se la condotta è in violazione del diritto
internazionale, allora i due o più Stati avranno entrambi commesso un separato, anche se
101
Controversia Korea – Dairy.
102
Controversia Argentina – Footwear (EC).
103
Controversia Canada – Patent Term.
87
identico, atto illegittimo a livello internazionale”.
4.
Il sogno del mercato unico europeo e la realtà del mercato unico mondiale.
Ambiguità e distorsioni
Una premessa sull’eterogenesi dei fini
Per eterogenesi dei fini – un principio intuito da Giovanbattista Vico e trattato, tra gli
altri, da William Max Wundt, Joseph De Maistre, Karl Popper – s’intende quella dinamica
che spiega i comportamenti controintuitivi dei sistemi complessi, in particolare dei sistemi
sociali. I comportamenti razionali dei singoli componenti di un sistema sociale - ad
esempio, di un’organizzazione pubblica - azionano frequentemente processi che, in
concreto, non soltanto non coincidono, ma spesso addirittura contraddicono, gli obiettivi e
le aspettative che di quel sistema avevano informato, in astratto, la pianificazione.
In questo senso l’eterogenesi dei fini risulta essere la parte, riconducibile agli interessi
ed alle volontà degli attori organizzativi, di quel più ampio ed eterogeneo insieme di
“frizioni” tra l’originario progetto organizzativo ed il reale evolversi dei processi, di cui ha
parlato von Clausewitz104 e di cui si tratterà più avanti. Il segno di tali frizioni, va chiarito,
non è necessariamente negativo, come bene spiega Francois Julienne105 quando espone,
nel suo Trattato, una visione dell’efficacia che si richiama al pensiero orientale, nella quale
104
Carl von Clausewitz, Della Guerra, traduz. di P. Paret con introduzione di M. Howard (New York,
A. Knopf, 1993), Cap. VII.
105
Julienne F., Trattato dell'efficacia, Einaudi, 1998, estesamente richiamato in D. Ciccarelli
“Bioarchitettura istituzionale. La Via del Tradere”, cit. (“Piuttosto che ad erigere un modello che gli
serva da norma all'azione, il saggio cinese è portato a concentrare l'attenzione sul corso delle cose
nel quale si trova coinvolto, per coglierne la coerenza e trarre profitto dalla loro evoluzione. Da
questa differenza, sembra potersi trarre una chiara alternativa per la condotta: invece di costruire
una forma ideale che si proietta sulle cose, bisognerebbe "dedicarsi a rintracciare i fattori favorevoli
operanti nella loro configurazione"; invece di imporre il proprio piano al mondo, appare proficuo "far
leva sul potenziale della situazione". Due nozioni si trovano al cuore dell'antica strategia cinese e
fanno coppia. Da un lato, quella di situazione o di configurazione, come rapporto di forze; dall'altro,
e in corrispondenza con la prima, quella di potenziale, che risulta implicato in questa situazione e si
può far giocare a proprio favore. Negli antichi trattati militari (Suntzi), il potenziale è illustrato
dall'immagine del torrente che, nel suo slancio, è in grado di trascinare pietre: la situazione è
sempre, di per sé, fonte di effetto. Individuato questo potenziale, i pensatori cinesi della strategia
hanno avuto cura di trarne le conseguenze. Contrariamente a quanto avviene nella concezione
umanistica dell'efficacia, nella prospettiva orientale l’investimento personale conta meno del
condizionamento oggettivo risultante dalla situazione: la propensione, immagine dinamica del
88
si riconosce la primazìa non al progetto - cui lega invece invariabilmente la propria misura
l’efficacia di matrice occidentale - ma a quello che in corso d’opera si rivela essere il
potenziale situazionale, con tale espressione rappresentandosi le novità proposte
dall’”ambiente di lavoro”.
Caratteristiche e segno dei processi di eterogenesi dei fini vanno dunque esplorati di
volta in volta. Ciò che resta vero comunque è che, quale che sia il fine astratto per il quale
era stata concepita, ogni organizzazione, quale che ne sia la natura, tende - per effetto
della progressiva prevalenza delle dinamiche interne - a porre in cima alle proprie priorità
la propria sopravvivenza, la propria espansione, il proprio potenziamento. Questa
“supermissione”, ulteriore ed inintenzionale rispetto ai fini originari del progetto, tende a
divenire l’interesse convergente tra i suoi membri e quindi l’autentico collante del sistema
organizzativo, capace di superare le differenze di vedute, di sensibilità e di valori,
sussistenti tra i singoli componenti del sistema. Altri obiettivi saranno accettati e
perseguiti dall’organizzazione solo, e nella misura in cui, essi siano non in contrasto, e
semmai funzionali, con quelli della supermissione.
In questo quadro di questioni, si pone, con specifico riferimento all’evoluzione
dell’Organizzazione
Mondiale
del
Commercio,
il
recente
lavoro
di
Tomer
Brode
“International Governance in the WTO: Judicial Boundaries and Political Capitulation”106.
Attrezzato delle chiavi di lettura cui si è fatto cenno, Brode esprime una valutazione
storica decisamente positiva dell’inatteso impatto sulla configurazione del rapporto
politica-diritto che si è generato in esito all’interazione tra la realtà e l’impianto
istituzionale WTO che era stato definito a Marrakesh nell’aprile 1994. Gli argomenti
presentati da Brode, ancorchè concepiti con riferimento alle frizioni attraverso le quali si è
evoluto il sistema dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e quindi al progressivo,
inintenzionale prevalere della dimensione giurisdizionale su quella politica, si prestano ad
essere utilizzati come chiave interpretativa generale del rapporto tra le Organizzazioni
pubbliche ed i fatti della vita:
“Molto spesso le organizzazioni internazionali non sono quello che i loro membri considerati sia individualmente, che come collettivo - desideravano veramente che esse
potenziale, risulta dal rapporto di forze che lo stratega sa impiegare a suo vantaggio; l'effetto ne
deriva sponte sua”).
89
fossero … Il fenomeno della “frizione”, quale concepito da Clausewitz, è quasi endemico
alla politica delle organizzazioni internazionali come alla sua immagine della guerra. I
pericoli possono essere di tipo differente; gli sforzi richiesti non di natura fisica; le cause
della ‘foschia’ delle informazioni poco chiare sono diverse, ma alla fine, in entrambi i casi,
le cose non andranno come ci si aspettava: da vicino le cose sono diverse da come le si
vede da lontano, e la pratica seguirà una strada sempre diversa, talora significativamente
diversa, da quella disegnata anche dal più accurato dei piani originari (..). Anche se il
trattato su cui si fonda un’organizzazione internazionale - quello che era cioè il piano
ispiratore - era condiviso come indicazione obiettiva di ciò che, in un certo fugace
momento, i membri desideravano che l’organizzazione fosse, una volta che un’istituzione
internazionale sia stata fondata ed attivata, essa viene a fare i conti con le avversità e le
sorprese della realtà, sviluppa l’imprevedibile vibrazione della cultura organizzativa107 e la
progressiva esperienza di campo realizzata attraverso il confronto con problemi imprevisti,
che comporta un’espansione e uno sviluppo che vanno ben oltre l’originaria e magari
attuale intenzione dei membri, ponendosi talvolta anche in contrasto con essa, nonché la
struttura formale dell’organizzazione … Questo studio costituisce anzitutto ‘un’anatomia
dell’influenza giudiziaria’ (..) nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), volta ad
offrire un’analisi giuridico-istituzionale della distribuzione di potere e di influenza
normativa tra gli elementi giudiziari e quelli politici nel processo di decision-making WTO
… Esso concerne sia il disegno – se non la volontà – dei membri WTO riguardo alla
relazione intraorganizzativa ‘giurisdizione-politica’ come inserita nella norma scritta degli
Accordi WTO (..), il progetto organizzativo quindi, sia la forma dinamica che questa
relazione ha assunto nella pratica”.
La rappresentanza dei cittadini degli Stati europei presso l’Organizzazione Mondiale del
Commercio
Parere n. 1 CGCE, del 15 novembre 1994, relativo alla competenza della Comunità a
stipulare accordi internazionali in materia di servizi e di tutela della proprietà intellettuale.
106
Cameron May, 2004.
107
Vedi e.g. J.H.H. Weiler, “The Rule of Lawyers and the Ethos of Diplomats: Reflections on the
Internal and External Legitimacy of WTO Dispute Settlement Dispute”, (2001) 35 (2), J. World T.
191 at 197-98, “sostenendo, tra l’altro, che la giudiziarizzazione ha introdotto una nuova “cultura
giuridica” nel WTO che è dissonante dalla pre-esistente cultura organizzativa diplomatica del GATT
…” [nota in originale] (la traduzione è di chi scrive).
90
L’organizzazione della rappresentanza istituzionale, in sede WTO, dei cittadini residenti
sul territorio degli stati aderenti all’Unione Europea non avviene in maniera trasparente
come in altre aree del mondo. L’”unicità” della vicenda comunitaria, già manifestatasi con
chiarezza, nel corso del secolo scorso, nei processi di evoluzione all’interno del territorio
comunitario, propone nuove grandi criticità nell’interlocuzione istituzionale con gli altri
membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tali criticità traggono origine dal
fatto che, mentre altri casi particolari di Membri non-Stati (es. Taipei, Hong Kong) fondano
la base giuridica della loro autonoma rappresentatività nell’art. XII del Trattato Istitutivo
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (“Ciascuno Stato o territorio doganale a sé
stante dotato di piena autonomia nella gestione delle proprie relazioni commerciali esterne
e degli altri aspetti contemplati dal presente Accordo e dagli Accordi commerciali
multilaterali può aderire al presente Accordo …”), l’unicità del caso comunitario è stata
interiorizzata in quanto tale, senza dunque alcuna problematizzazione giuridica, nel
Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. L’art. XI del Trattato recita
infatti: “Le Parti contraenti del GATT 1947 alla data di entrata in vigore del presente
Accordo e le Comunità europee … diventano Membri originari dell’OMC”. Nel 1994, a
Marrakesh, le Comunità Europee venivano dunque ad essere considerate, in quanto tali e
con
questa
denominazione
(European
Communities),
come
Membro
originario
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, condividendo però tale status con ciascuno
dei singoli dieci Stati membri delle Comunità Europee, anch’essi, come le Comunità
Europee, Membri WTO originari108. A differenza degli Stati (anche europei), le Comunità
Europee non sono invece Membri a pieno titolo, nella misura in cui esse, in caso di
votazione, non hanno diritto, in quanto tali, al voto109.
Dei dieci nuovi Stati entrati poi nell’UE il 1 maggio 2004, non tutti avevano invece
avuto accesso all’Organizzazione Mondiale del Commercio alla data della sua istituzione (1
gennaio 1995). In particolare, la Polonia è divenuta Membro WTO il 1 luglio 1995, Cipro e
108
“… con l’art. XI i redattori dell’Accordo WTO hanno definitivamente riconosciuto, sul piano del
diritto positivo, la posizione di parte contraente che la Comunità aveva acquisito nel quadro
dell’Accordo generale del 1947, in quella sede accettata come mera situazione di fatto che non è mai
stata oggetto di formalizzazione giuridica” (G. Adinolfi, “L’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Profili istituzionali e normativi” – Cedam, 2001).
109
Art. IX:II Trattato istitutivo WTO: “… Nelle riunioni della Conferenza dei Ministri e del Consiglio
Generale, ogni Membro della WTO ha diritto a un voto. Qualora le Comunità europee esercitino il
loro diritto di voto, esse hanno un numero di voti pari al numero dei loro Stati membri (nota: In
nessun caso il numero dei voti delle Comunità europee e dei loro Stati Membri può superare il
numero degli Stati membri delle Comunità europee ) Membri della WTO”.
91
Slovenia il 30 luglio 1995, la Lituania il 10 febbraio 1999, l’Estonia il 13 novembre 1999, la
Lituania il 31 maggio 2001.
Da notare che il rapporto tra l’Unione Europea e gli accordi WTO presenta una
interessante rilevanza giuridica anche nell’ambito dell’art. XXIV GATT, che tratta delle
unioni doganali e delle zone di libero scambio.
“Tale disposizione consente a certe condizioni la creazione tra le parti contraenti di
unioni doganali e zone di libero scambio, in cui per definizione i vantaggi che le parti si
accordano restano limitati alle medesime, e non si estendono agli Stati terzi”110.
“… va comunque più in dettaglio ricordato che già la CECA (la Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio), istituita col Trattato del 18 aprile 1951, essendo una unione
doganale limitata solo a certi prodotti, che non rispettava la regola della liberalizzazione
per l’essenziale degli scambi commerciali, non poteva in nessun caso essere ritenuta
compatibile con l’art. XXIV. La sua esistenza venne perciò sanata attraverso una deroga,
ex art. XXV, par. 5, accordata alle Parti Contraenti del GATT a larga maggioranza il 10
novembre 1952 (..). Le questioni si sono poste invece diversamente dal primo momento
con riguardo alla Comunità economica europea, che sulla base dell’art. 234 del Trattato
istitutivo di Roma, prevedeva il rispetto da parte dei sei Stati membri originari degli
obblighi derivanti da convenzioni stipulate in precedenza, e venne quindi sottoposta per la
sua approvazione all’esame, ai sensi dell’art. XXIV, da parte del GATT ... Tale dibattito ..
non giunse ad alcun risultato definitivo, data la manifesta impossibilità di una condanna da
parte del GATT, che avrebbe potuto condurre i sei Stati membri originari ad una denuncia
dell’Accordo generale …”111.
Sui dubbi di illegittimità relativi a molti accordi regionali in essere, James Bacchus, già
membro dell’Organo di Appello, ha parlato di “bomba ad orologeria”112.
110
P. Picone, A. Ligustro “Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio”, Cedam 2002.
111
P. Picone, A. Ligustro op. cit.
112
“When former international trade judge James Bacchus speaks of a ‘legal time bomb’ ticking
away inside the World Trade Organization, he is not warning of an explosion at the WTO’s Geneva
headquarters. Bacchus – a former Florida lawmaker who served eight years as a judge in the WTO
tribunal known as the Appellate Body – is talking about a contradiction within the rules of the WTO
that could develop into one of the world’s largest trade fights if any country decides to lob the first
volley. Most of the several hundred regional free trade agreements negotiated in the last decade
have not actually received the WTO’s stamp of approval, certifying they are in compliance with
92
Con riferimento al quadro disegnato dalla Corte di Giustizia delle C.E. in ordine al modo
in cui gli Stati aderenti all’UE e le European Communities debbano rapportarsi
all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Parere 1/94), Pierre Pescatore assume una
posizione (“Inappropriate questions of the Commission, followed by incoherent answers of
the Court”) che non difetta certo di chiarezza: “… la posizione della Corte non ha speranze
di essere accolta a livello WTO laddove dovessero insorgere conflitti tra la Comunità e i
singoli Stati Membri”113.
In effetti la sofisticata impalcatura dei processi decisionali e la complessa distribuzione
delle responsabilità istituzionali - tra gli enti del governo locale, centrale e comunitario formalizzate sul territorio degli Stati comunitari appaiono dunque esposte a nuove sfide e
a nuovi schemi, entrambi esogeni, in uno scenario, quello di Ginevra - il quale riflette
quello della competizione globale – nel quale i rappresentanti australiani e canadesi,
tailandesi e cubani, marocchini e neozelandesi, cinesi e nigeriani, pretendono certezza
circa la piena rappresentatività degli altri interlocutori.
Una certezza che proprio nel caso dei cittadini degli Stati aderenti all’UE presenta
inevitabilmente ampi profili di debolezza, come peraltro manifestato dalla mutevolezza del
lessico
istituzionale114
oltre
che
dalle
chiare
asimmetrie
nella
distribuzione
delle
responsabilità e delle prerogative della rappresentanza.
Le ripartizioni di competenze, orizzontali (tra aree di governo) e verticali (tra livelli di
governo), richiedono, nella struttura dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (“What
Artiche XXIV – a provision that allows countries to form regional trade blocs, such as the European
Union or the North American Free Trade Agreement, and grant better status to selected trade
partners. Potentially, a third party country could file a complaint with the WTO, charging that
regional trade agreements discriminate against the goods of countries outside the bloc … ‘This is a
legal time bomb waiting to happen’, Bacchus said recently. ‘I am very glad it did not come to the
WTO Appellate Body when I was a member’ …”. (“Contradiction in WTO rules could develop into
trade fight”, The Miami Herald, 1 nov 2004. http://www.miami.com/mld/miamiherald/business...).
113
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “… the
Court’s position has no chance of being received at WTO level whenever it would bring out conflicts
between the Community and individual Member States” (la traduzione è di chi scrive).
114
Nelle riunioni dei Comitati WTO dell’area “Servizi” e “Proprietà Intellettuale”, la Commissione
europea si dichiara come rappresentante delle “European Communities and its Member States”.
Nell’area “Beni” la definizione utilizzata è invece quella di European Communities. Nell’area delle
controversie, lo spettro delle possibilità contempla, accanto al caso più ricorrente in cui come parte
delle dispute vengono considerate esclusivamente le “European Communities”, situazioni in cui gli
Stati comunitari risultano coinvolti a titolo individuale (DS 210, DS 173, DS 131, DS 130, DS 129,
DS 128, DS 127, DS 125), e, recentemente, situazioni in cui si parla di “European Communities and
certain Member States” (DS 316 - Measures affecting trade in large civil aircraft).
93
does commercial policy” really means?”115 si chiede P. Pescatore), necessariamente
integrazione e composizione, che siano univoche e stabili. Mancare di adempiere a tale
necessità rischia di comportare la replica di quelle diluizioni di responsabilità sui fatti reali
che sono tipiche dei sistemi burocratici.
Mentre si dirà più avanti della questione sotto il profilo della partecipazione ai round
negoziali, sembra opportuno qui almeno accennare alle criticità che si associano alla
dinamica trasversale della soluzione delle controversie. Nel caso dell’attivazione, da parte
di un altro Membro, di una disputa formale nei confronti di uno o alcuni singoli Stati
comunitari, la prassi è che tali Stati siano rappresentati dalla Commissione Europea116. A
differenza di quanto accaduto per altri accordi regionali pur dotati di un proprio foro, come
il NAFTA (Accordo di Libero Scambio dell’America del Nord, composto da USA, Canada e
Messico), i cui Membri hanno spesso usufruito del sistema WTO per la soluzione delle
controversie anche per la composizione di divergenze tra loro, ad oggi controversie tra
Stati UE non sono mai state sollevate a livello WTO.
L’attitudine
intracomunitaria
al
dis-putare
(ma
il
rischio
è
evidentemente
la
deresponsabilizzazione, e quindi la disconnessione dalla World Trade Law, delle intere
filiere nazionali: imprese, università, amministrazioni, avvocati, consulenti, media) sulle
regole
della
competizione
globale,
oggi
sedata
grazie
all’assistenza
fornita
dalla
Commissione europea, aveva invece avuto precedentemente espressione a livello GATT.
Si cita, a titolo meramente esemplificativo, il caso “Belgian Family Allowances
(Allocations Familiales)”, nel quale Norvegia e Danimarca avevano contestato alcune
misure adottate dal Belgio (Rapporto adottato il 7 novembre 1952), o la disputa “Italian
Discrimination Against Imported Agricultural Machinery”, nella quale il Regno Unito
asseriva l’incompatibilità della strumentazione italiana a sostegno di alcune categorie di
agricoltori con l’art. III GATT (Rapporto adottato il 23 ottobre 1958), o infine la
115
“what do the words ‘commercial policy’ and ‘trade agreement’ in Artiche 113 mean? Surely not
what today’s interpreters, quite gratuitosly, suppose to have been the understanding of the authors
of the EC Treaty. Surely not what GATT signified at that time, because GATT, which is no more than
a fragment detached from the Havana Charter, did not exhaust what could be understood by
commercial o trade policy …” (Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO
Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36,
1999 Kluwer Law International).
116
In questi frangenti, si creano comunque situazioni di pesante incertezza giuridica, sia sulla natura
delle Comunità Europee, che sono Membro originario dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e
che in tali casi entrano in una controversia senza essere state formalmente coinvolte, sia sulla
natura dei delegati degli Stati comunitari, di quelli direttamente coinvolti come pure degli altri.
94
controversia (DS 259, del 1999) sorta tra Ungheria e Repubblica Ceka in materia di misure
di salvaguardia.
Sul tema generale della competenza a stipulare gli accordi multilaterali sul commercio,
e a conferma delle incertezze cui sopra si è accennato, la Commissione Europea giudicò
opportuno, nel 1994, richiedere un parere della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
La Corte di Giustizia venne dunque chiamata a dirimere il conflitto generatosi in
occasione della sottoscrizione degli atti dell’Uruguay Round, essendo insorte pesanti
ambiguità nella stessa decisione - richiamata poi dalla CGCE in premessa al Parere (punto
III) - con cui, in occasione della dichiarazione ministeriale di Punta del Este (20 settembre
1986) che aveva aperto ufficialmente l’Uruguay Round, il Consiglio e gli Stati membri da
un lato avevano deciso “onde garantire il massimo di coerenza nello svolgimento dei
negoziati”, che “la Commissione avrebbe agito come negoziatore unico della Comunità e
degli Stati Membri”, e dall’altro puntualizzato, nel verbale della stessa riunione, che detta
decisione “non avrebbe pregiudicato la questione della competenza della Comunità e degli
Stati membri su punti particolari”.
I dubbi si riproposero al termine dell’Uruguay Round, quando, nella sua sessione del 78 marzo 1994 (a soli 37 giorni, quindi, dalla riunione di Marrakesh che avrebbe concluso
l’Uruguay Round), il Consiglio UE pervenne alla decisione di procedere, nella propria
capacità, alla firma dell'Atto finale che avrebbe recepito i risultati dei negoziati commerciali
multilaterali dell'Uruguay Round e dell'Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio. Il Consiglio autorizzò il presidente del Consiglio e Sir Leon Brittan, membro
della Commissione, a firmare il 15 aprile 1994 a Marrakesh, in nome del Consiglio
dell'Unione europea, l'Atto finale e l'Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio, ritenendo che gli atti riguardassero anche «questioni di competenza
nazionale». Dal canto suo, la Commissione fece inserire nel verbale della stessa riunione
comunitaria che «l'Atto finale (...) nonché gli accordi ad esso allegati rientrano
nell'esclusiva competenza della Comunità».
Da notare che poi l’Atto finale e l’Accordo WTO furono poi sottoscritti, oltre che dalla
Comunità, anche dai rappresentanti dei singoli Stati membri dell’UE
117
117
.
L’Italia, dal canto suo, provvedette a ratificare gli accordi dell’Uruguay Round con legge dello
Stato (legge n. 747 del 29 dicembre 1994). “La ratifica supera di fatto la diatriba di carattere
giuridico-formale su quale fosse l’organo istituzionale competente all’approvazione” (1994,
dichiarazione del Ministro del Commercio con l’estero, Giorgio Bernini).
95
Rispetto a tale incertezza sulla distribuzione delle responsabilità all’interno del sistema
comunitario, vale subito osservare che, in generale, le norme di diritto comunitario
relative alla divisione della competenza a stipulare non producono effetti giuridici nei
confronti degli Stati non comunitari a meno che esse non siano esplicitamente richiamate
nell’Accordo. Nel caso dell’Organizzazione Mondiale del Commercio non è stato adottato
l’approccio seguito in altri contesti internazionali - es. Codex Alimentarius - in cui, per ogni
singola decisione da prendersi, avviene una previa definizione a Bruxelles della titolarità
delle competenze sul punto (tra CE e Stati Membri), la quale trova poi evidenza e
traslazione formalizzata nello stesso processo decisionale dell’Istituzione internazionale
(nel caso delle riunioni del Codex Alimentarius - i cui standards, si ricorderà, sono peraltro
richiamati negli Accordi WTO - per ogni decisione da adottarsi muta la titolarità
dell’interlocuzione comunitaria).
“Se questo è il quadro sul versante interno comunitario, resta di rilievo la circostanza
che, in fatto, sia la Comunità che gli Stati membri hanno sottoscritto l’intero pacchetto
degli accordi OMC e che, pertanto, nei confronti degli Stati terzi contraenti sia l’una che gli
altri sono allo stesso titolo ed in egual misura parti contraenti. Se è vero, poi, che
l’approvazione degli stessi accordi a nome della Comunità è limitata ‘alla parte di sua
competenza’, è altresì vero che l’Atto finale e l’accordo OMC non contengono alcuna
clausola sulla ripartizione di competenze tra la Comunità e i suoi Stati Membri”118.
Questa premessa serve anche a precisare che, in punto di diritto, per gli Stati
comunitari la questione del proprio rapporto con il sistema giuridico del commercio
mondiale è inevitabilmente disciplinata, al massimo grado, dagli stessi Accordi WTO:
quando si firma un accordo, ci si lega al suo contenuto.
“Il vero significato della situazione creata dalla sottoscrizione e dell’Accordo WTO può
derivare esclusivamente dallo stesso Accordo WTO. I termini della partecipazione non
possono essere alterati unilateralmente dalla Corte mediante le categorie del Trattato EC”.
119
118
Tesauro G., “I rapporti tra la Comunità europea e la WTO”, in “Diritto e Organizzazione del
commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio” (Società
Italiana di Diritto Internazionale, II Convegno, Milano, 5-7 giugno 1997) (Editoriale Scientifica).
119
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “The
96
Sebbene quindi quella comunitaria non sia la giurisdizione idonea ad individuare il
diritto applicabile, la Commissione chiese alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla
vicenda. La Corte di Giustizia perimetrò (15 novembre 1994) nei seguenti termini la
questione sottopostale (punto XIV):
“… il problema consiste nel determinare se la competenza della Comunità a stipulare
l’Accordo OMC e i suoi allegati sia esclusiva o meno”.
Le conclusioni cui approdò la Corte di Giustizia, al termine di un ragionamento
certamente denso e meritevole di ulteriori analisi, sono note120.
La Corte … emette il seguente parere:
1.
La Comunità è esclusivamente competente, in forza dell’art. 113 del Trattato CE, a
concludere gli Accordi multilaterali relativi al commercio dei prodotti.
2.
La competenza a concludere il GATS [accordo sui servizi ndr] è ripartita fra la
Comunità e i suoi Stati membri.
3.
La competenza a concludere il TRIP [accordo sulla proprietà intellettuale] è ripartita
fra la Comunità e i suoi Stati membri.
Se però si fonde la posizione espressa dalla CGCE con la effettiva realtà del sistema
WTO, si rileva agevolmente che la pronuncia della Corte è semplicemente inattuabile. Il
modo in cui la Corte vorrebbe che fosse organizzata la partecipazione degli Stati membri
true significance of the situation created by the signature and the acceptance of the WTO Agreement
can be deduced only from the WTO Agreement itself. The terms of acceptance could not be altered
unilaterally by the Court through the categories of the EC Treaty” (la traduzione è di chi scrive).
120
“L’articolo XI dell’Accordo WTO prevede la partecipazione all’Organizzazione delle ‘Comunità
europee’; tuttavia, in adesione al Parere 1/94 reso dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee
nel novembre 1994 (..), solo la CE, e non anche la CECA (Comunità europea del carbone e
dell’acciaio) e la CEEA (Comunità europea dell’energia atomica), è divenuta membro della WTO: la
Corte ha infatti stabilito che l’ambito di applicazione degli Accordi allegati si estende anche agli
scambi internazionali dei prodotti carbosiderurgici e nucleari. Del resto, il problema dell’adesione
della CECA e della CEEA alla WTO non aveva modo di porsi: il Trattato CECA non prevede la
conduzione da parte della Comunità di una politica esterna comune, ma all’articolo 71 riconosce
piuttosto l’esistenza di una competenza esclusiva degli Stati Membri … La questione si è posta
piuttosto in termini di rapporti tra la CE e i suoi Stati membri, i quali hanno invocato, in particolare
per i prodotti CECA, la loro competenza esclusiva ad aderire all’Accordo WTO nella misura in cui gli
Accordi allegati si riferiscono anche al loro commercio. La Corte di Giustizia non ha accolto questa
97
dell’Unione Europea (e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio)121, e della stessa
Unione Europea ai processi WTO non tiene infatti in alcun conto
funzionamento
del
sistema
WTO
ed
appare
pertanto
fondato
le regole di
su
una
errata
rappresentazione della realtà.
La CGCE sembra aver infatti trascurato l’esigenza, prioritaria in democrazia, di
assicurare una legittima, efficace e responsabile rappresentanza degli interessi dei cittadini
degli Stati comunitari nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, per privilegiare invece
l’esigenza di definire una ripartizione di competenze che risultasse accettabile per i diversi
apparati amministrativi interessati. In questo senso, la CGCE, nell’esaminare la fattispecie
sottoposta al suo vaglio, mostra di aderire ad uno schema di impostazione dei problemi
tutto ripiegato all’interno.
Così, candidamente, si esprimeva ancora la Corte di Giustizia, nel parere 1/94: “ … il
problema della ripartizione della competenza non può essere risolto in funzione delle
difficoltà che potrebbero sorgere al momento di applicare gli accordi”.
“Il punto di partenza del mio ragionamento consiste nel fatto che tutti gli attori che
hanno preso parte al processo che ha portato al parere 1/94 sono stati accomunati da una
cruciale
incomprensione
del
problema
derivante
dai
risultati
dell’Uruguay
Round.
L’incomprensione consistette nel valutare i risultati del negoziato esclusivamente dal punto
di vista della disciplina del mercato interno della CE, anziché porsi nella prospettiva dei
requisiti di un significativo concetto di ‘politica commerciale’ come essa veniva ad essere
utilizzata nel contesto internazionale … L’errore di partenza di coloro che ispirarono il
Parere 1/94 fu pertanto quello di ridurre l’oggetto della discussione ad alcuni aspetti
secondari del vasto campo commerciale coperto dal WTO e di cercare una soluzione dei
problemi sollevati dagli Accordi di Marrakesh alla luce delle regole sulla competenza che
erano state definite quasi 40 anni prima allo scopo di disegnare il quadro del mercato
interno della CE”122.
argomentazione …” (G. Adinolfi, “L’Organizzazione Mondiale del Commercio. Profili istituzionali e
normativi” – Cedam, 2001).
121
Si sarà notato che le diverse espressioni “Unione Europea”, “Comunità Europea”, “Comunità
Europee” etc. vengono adoperate in questo lavoro senza un assoluto rigore, in coerenza con
l’incertezza delle prassi e delle percezioni ginevrine.
122
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “The
98
“E’ preoccupante che la Corte non abbia mostrato alcuna consapevolezza della
realtà e dell’evoluzione del diritto internazionale, giudicando l’intera materia secondo la
distribuzione della competenza, reale o immaginaria, ai fini del mercato interno” (l’enfasi è
di chi scrive)123.
La Corte, ancora affezionata al sogno europeo, sembra essersi cioè cimentata nel
tentativo, impossibile, di ripartire l’unità inscindibile e multidimensionale di dinamiche
obiettivamente ed intrinsecamente integrate, la cui configurazione fattuale inevitabilmente
esorbita dalle capacità di determinazione della Corte stessa.
Chi osservasse la vicenda WTO attraverso il vetro deformante della finestra percettiva
del Parere 1/94 rischierebbe pertanto di smarrire la stessa essenza della vicenda WTO, di
fraintenderne clamorosamente il senso e la portata.
I processi di assunzione delle decisioni nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio sono infatti fondati su un principio cardine, quello del “single undertaking”,
sulla base del quale ogni Membro di fatto negozia - in quanto infine dovrà formalmente
accettare o rifiutare - il pacchetto nel suo insieme, non essendo ammissibile accettare una
sezione dell’accordo e rifiutarne un’altra parte.
“Quasi tutti i commentatori considerano che la Corte, separando alcune disposizioni
GATT e quasi l’intero accordo TRIPs dal loro contesto, disattende l’Art. II:2 dell’Accordo
WTO, secondo il quale l’intero sistema di accordi siglato a Marrakesh deve essere
necessariamente
visto
come
un
insieme
non
scomponibile
–
una
caratteristica
starting point of my own reasoning is that all the actors who have taken part in the proceedings
leading up to opinion 1/94 shared a fundamental misapprehension of the problem raised by the
outcome of the Uruguay Round. The misapprehension consisted in assessing the results of this
negotiation exclusively under the angle of the rules governing the functioning of the internal market
of the EC, instead of placing themselves in the perspective of the requirements of a meaningful
concept of ‘trade policy’ as it is used in the international context … The initial error of those who
inspired Opinion 1/94 was therefore to reduce the scope of the discussion to some fringe aspects of
the vast field of trade covered by the WTO and to seek a solution of the problems raised by the
Marrakesh Agreements in the light of the rules of competence which had been defined almost 40
years earlier with a view to establish the framework of the EC’s internal market” (la traduzione è di
scrive).
123
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “It is
distressing that the Court did not display any awareness of the realities and evolutions of
international law, judging the whole matter according to the allocation of competence, real or
imaginary, for the purpose of the internal market” (la traduzione è di chi scrive).
99
diffusamente nota come ‘single undertaking’ ”124.
Per effetto di questo principio, è evidente che il Rappresentante che negozia una regola
relativa all’Accordo sulla proprietà intellettuale sta, di fatto, negoziando, in quello stesso
momento,
anche
sull’area
“Servizi”
e
sull’area
“Prodotti”;
la
circostanza
che
il
Rappresentante non sia cosciente di queste interrelazioni non è sufficiente ad impedire che
esse abbiano luogo. Il negoziato si sviluppa infatti attraverso un processo del tipo “crediti
e debiti”, in virtù del quale una conquista - o anche un’aspirazione - negoziale in un’area
del pacchetto tende a generare la necessità di cessioni da realizzarsi in altre aree. E’
quindi impossibile condurre in maniera sensata un negoziato WTO, senza che il Soggetto
negoziatore, rappresentativo di una parte, sia unico, e sia cioè nella condizione di valutare
all’interno
e gestire,
all’esterno,
le partite di compensazione tra
i vari settori,
rappresentando unitariamente posizioni e proposte (si ricorderà come l’art. XII del
Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio parli dei Membri WTO come
dotati di “piena autonomia nella gestione delle proprie relazioni commerciali esterne e
degli altri aspetti contemplati dal presente Accordo e dagli Accordi commerciali
multilaterali …”) nell’interesse della propria comunità nazionale.
La situazione è efficacemente sintetizzata da Georges Friden: “E’ deludente ed è illogico
che proprio quando il sistema commerciale multilaterale stava compiendo il suo maggiore
avanzamento dal 1947, fondendo in un insieme coerente le regole relative ai servizi con
quelle relative alle merci, così dimostrando il forte legame tra i due settori ed evidenziando
il fatto che oggi non è possibile concepire il diritto del commercio internazionale senza
tener conto delle regole applicabili si servizi, la Corte ha portato la Comunità a fare un
passo nella direzione esattamente opposta” 125.
124
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “Almost
all of the commentators consider that the Court, by separating from their context certain provisions
of the GATS and almost the whole of the TRIPS, has come short of Article II:2 of the WTO
Agreement, according to which the whole complex of the agreements convened at Marrakesh can be
visualized only as inseparable whole – a propriety popularized under the words of a ‘single
undertaking’ ” (la traduzione in italiano è di chi scrive).
125
Friden, “Cour de Justice des Communautés Européen”, Annales du Droit Luxemburgeois, 4
(1994), citato in: Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an
Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law
International: “The situation has been pertinently summed up in this phrase of Georges Friden: “It is
particularly regrettable and illogical that at a time when the multilateral trade system was
accomplishing its most important advance since 1947, by merging into a coherent whole the rules
relating to services and the rules relating to goods, demonstrating thus the close link between both
fields and making clear the fact that one could not conceive at present international trade law
without taking account of the rules applicable to services, the Court made the Community take a
step in exactly the opposite direction.” (la traduzione in italiano è di chi scrive).
100
“Gli autori
hanno evidenziato la debolezza degli argomenti della Corte, che
alimenta l’ipotesi che questo Parere sia ispirato da ragioni politiche piuttosto che
valutazioni giuridiche”126. (l’enfasi è di chi scrive).
Si badi, le complessità e i collegamenti cui qui si fa riferimento sono tutti interni alle
dinamiche
dell’Organizzazione
Mondiale
del
Commercio,
omettendosi
pertanto
di
considerare le fondamentali falde politiche di collegamento tra le decisioni che i Membri
sono chiamati ad assumere, secondo l’usuale schema crediti-debiti, nelle diverse
Organizzazioni Internazionali e nelle relazionii bilaterali e plurilaterali.
Restando nel quadro degli accordi WTO, ampie perplessità si legano d’altronde alla
stessa operazione attraverso la quale la Corte di Giustizia identifica il contenuto di accordi
articolati e complessi semplicemente sulla base della nominalistica (“prodotti”, “servizi”,
“proprietà intellettuale”).
A titolo esemplificativo, può notarsi come l’Accordo WTO sui prodotti (goods) abbia
certamente impatto, in Italia, sul diritto penale (si pensi all’art. 517 del codice penale, che
punisce coloro che violano le regole sull’origine dei prodotti e al fatto che il modo in cui è
attribuita l’origine ai prodotti è definito, tra l’altro, nell’Accordo WTO sulle “regole
d’origine”) e sulla giustizia (si pensi all’art. X GATT, che impone ai Membri di adottare
determinati procedimenti giudiziari idonei a garantire la tempestiva revisione delle
decisioni assunte dalle Autorità doganali).
L’Accordo sulle barriere tecniche al commercio - le cui disposizioni, nel Parere 1/94
(punto IX), sono ridotte dalla Corte di Giustizia a “disposizioni … semplicemente destinate
ad evitare che i regolamenti tecnici e le norme, nonché le procedure di valutazione della
conformità ai regolamenti tecnici e alle norme, creino indebiti ostacoli al commercio
internazionale, di modo che detto accordo deve essere considerato facente parte della
politica commerciale comune e per questo motivo può essere stipulato solo dalla
Comunità” - contiene ad esempio disposizioni che certamente richiedono, per molti paesi,
una modifica significativa del funzionamento delle assemblee parlamentari (art. 2.9
dell’Accordo), al fine di ottemperare all’obbligo per effetto del quale alcune categorie di
progetti normativi nazionali devono essere tempestivamente sottoposte al vaglio degli altri
Membri WTO, i quali provvederanno a farle circolare tra gli operatori nazionali (sistema
126
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “Critical
commentators single out the deficiency of the Court’s arguments, which nourishes the supposition
that this Opinion is inspired by political rather than by legal consideration” (la traduzione in italiano è
di chi scrive).
101
degli Enquiry Points) in maniera tale da poter rendere un riscontro, interessato, di cui gli
estensori del testo finale della nuova normativa devono “tenere conto”.
L’intera struttura dell’Accordo sulle barriere tecniche, d’altronde, nel cercare di evitare
ostacoli non necessari al commercio, tende a conseguire il miglior equilibrio tra l’istanza
“libero commercio” e (art. 2.2) altri legittimi obiettivi nazionali (tra cui: sicurezza
nazionale, protezione della salute umana, animale e vegetale, ambiente). Su ciascuna
delle fonti di diritto che negli ordinamenti nazionali sono legittimate a porre regole in tali
complessi ambiti hanno dunque impatto le disposizioni contenute nell’Accordo.
Su queste premesse, ci si può pertanto chiedere, può ancora considerarsi pienamente
corretta la posizione della Corte di Giustizia quando afferma, a proposito delle norme
dell’Accordo WTO sulle barriere tecniche, che si tratta di “disposizioni … semplicemente
destinate ad evitare che i regolamenti tecnici e le norme, nonché le procedure di
valutazione della conformità ai regolamenti tecnici e alle norme, creino indebiti ostacoli al
commercio internazionale, di modo che detto accordo deve essere considerato facente
parte della politica commerciale comune”?
Considerazioni
di
taglio
analogo
emergono
anche
con
riferimento
all’Accordo
sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie, trattato dalla CGCE in maniera simile
all’Accordo sulle barriere tecniche (“si limita ad istituire un quadro multilaterale di regole e
norme intese a orientare l’elaborazione, l’adozione e l’applicazione di misure sanitarie e
fitosanitarie …”).
Il “si limita” della Corte non può non provocare qualche imbarazzo rispetto
all’importanza di un accordo, che si rivolge al mondo intero e che disciplina (art. 2 - “Diritti
e obblighi fondamentali”) le modalità di adozione delle misure nazionali volte “ad
assicurare la tutela della vita e della salute dell’uomo, degli animali o dei vegetali”.
Sarà sufficiente osservare l’agenda, pubblica, di una delle riunioni del Comitato WTO
che amministra l’accordo per le misure sanitarie e fitosanitarie (organismi geneticamente
modificati, tracciabilità degli alimenti, BSE, afta epizootica, influenza aviaria, peste suina,
etc.),
o
anche
(www.wto.org)
la
lista
delle
controversie
(Ormoni,
Organismi
geneticamente modificati, US Sezione 301, etc.) che hanno per oggetto la presunta
violazione di queste regole, per comprendere quanto ampio ed importante sia lo spettro
delle situazioni su cui l’Accordo ha impatto e quanto incisivo sia pertanto il suo contenuto
sull’organizzazione
delle
strutture
e
delle
102
funzioni
nazionali
idonee
a
garantirne
l’applicazione127.
Valutazioni simili possono farsi per tutti gli altri Accordi WTO, i quali - deve ribadirsi –
pongono obblighi di risultati e non si spingono esplicitamente a promuovere rivisitazioni
puntuali degli impianti nazionali. Di fatto, tuttavia, quelle parti dei singoli ordinamenti che,
a ritroso, richiedono una modifica per assicurare il rispetto di tali obblighi di risultato,
finiscono
per
essere
anch’esse
ineludibilmente
oggetto
dell’Accordo,
anche
se
apparentemente distanti dalla natura dell’obiettivo primario definito dall’Accordo stesso
(ad es. è evidente l’impatto degli obblighi prescritti dalle norme in materia di Trade
Facilitation - art. V, VIII e X GATT - sulle norme nazionali che disciplinano orario e
modalità di funzionamento degli uffici pubblici le cui funzioni siano capaci di un impatto
sulla fluidità dei traffici commerciali).
In simmetria con il processo di progressiva espansione dello spazio giuridico coperto dal
diritto comunitario, l’Organizzazione Mondiale del Commercio è venuta dunque a regolare
una gamma di situazioni sempre più ampia (che va ben oltre la nozione restrittiva di
commercio), sicché la stessa definizione di base “organizzazione del commercio”, se non
aggiornata sulla base dei fatti della vita, rischia di essere una veste troppo stretta rispetto
agli scopi e agli strumenti dell’Organizzazione. Ciò vale soprattutto - si consenta ripetere dopo che, con la storica sentenza “Gasoline” (1995), l’Organo di Appello ha esplicitamente
dichiarato che il diritto WTO non costituisce un sistema isolato dal resto delle regole del
diritto internazionale (si pensi ai trattati in materia ambientale o a tutela della
bidoversità), le quali vanno invece utilizzate come parametro per l’interpretazione degli
Accordi stessi. L’area del diritto WTO, si è già detto, si estende cioè progressivamente, in
congiunzione con l’estensione dell’area della vita interessata al commercio mondiale.
Un altro aspetto merita di essere considerato e questo attiene alle modalità attraverso
cui i processi negoziali evolvono nella realtà.
Vertici, conferenze, interviste, forum, convegni, lettere, telefonate, videoconferenze,
incontri bilaterali e plurilaterali: è così che la vicenda politica della World Trade Law
progredisce, sicché la univoca categorizzazione formale degli accordi, su cui si era
concentrata
la
CGCE,
tende
ulteriormente
127
ed
inevitabilmente
a
sfumare
nella
Per un corretto inquadramento della tematica si rimanda a G. Marceau – J. P. Tracthman, “The
Technical Barriers to Trade Agreement, the Sanitary and Phytosanitary Measures Agreement, and
the General Agreement on Tariffs and Trade” (Journal of World Trade, 2002, Kluwer Law
International).
103
complessissima realtà delle dinamiche e delle interazioni tra gli attori.
Non è peraltro infrequente che una questione, pur oggetto di confronto in una certa
area disciplinare, riceva poi un importante sussulto in una diversa area di lavoro. Si pensi
alla recente conclusione della controversia tra Brasile e Usa, in materia di sussidi
americani
ai
produttori
di
cotone,
così
sintetizzata
sul
sito
web
WTO
http://www.wto.org/english/news_e/news05_e/dsb_21march05_e.htm:
DS 267 US — Subsidies on upland cotton
The US first noted that negotiation, rather than litigation, was the most effective way to
address distortions in agricultural trade. The US then expressed disappointment in the
Panel and Appellate Body reports. It highlighted certain interpretations and approaches in
these reports which, according to the US, should be of concern to Members no matter
their view on the merits of Brazil's claims.
Brazil welcomed the adoption of the reports, noting that both found that various
subsidies granted by the US on the production, use and exports of cotton were
inconsistent with US obligations under the Agriculture and Subsidies WTO Agreements.
Brazil made detailed comments on the following issues: the relationship between the
Agreements on Agriculture and on Subsidies; the green box; the analysis in the context of
serious prejudice claims; and the disciplines on export credit guarantees for agricultural
exports.
Rispetto alle asimmetrie, concettuali prima che giuridiche, tra gli schemi comunitari e
quelli WTO, un’attenzione ulteriore va dedicata alla dimensione giurisdizionale.
“…basta qui sottolineare che, ove la Comunità sia autorizzata, in base all’articolo 22
dell’Intesa, alla sospensione di obblighi o di altre concessioni nei rapporti con un terzo
Stato, le misure cui ricorrere potrebbero riguardare il medesimo accordo dalla cui
esecuzione è sorta la controversia oppure, qualora ciò si riveli impossibile o inefficace, un
altro accordo allegato. Di conseguenza, la Comunità potrebbe essere autorizzata a
104
sospendere l’applicazione di obblighi che si riferiscono a materie che non rientrano nella
sua competenza esclusiva”.128
Ancora lungo il versante negoziale (certamente il meno rilevante nella vicenda WTO), i
Membri WTO - in quanto presunti dotati di piena rappresentatività e legittimazione dialogano, quindi, si confrontano, si scambiano aperture, proposte, segnali e concessioni,
maturano crediti e debiti negoziali, formano coalizioni, l’uno rispetto all’altro, giocando un
gioco in cui però, si ricordi, i venticinque Stati aderenti all’UE costiuiscono meno del 20%
della membership.
Un gioco che ha le sue regole, che nessuno dei singoli giocatori potrà mai avere la forza
di autonomamente alterare e che - nel fondarsi su decisioni unanimi e sugli avanzamenti
interpretativi assicurati dal ragionevole adeguamento alle istanze della realtà da parte
della giurisprudenza - sembrano essere riuscita nell’intento di disegnare un ordinamento
accettabile per gli attuali 148 membri ciascuno dei quali gode (per effetto della regola
dell’unanimità)
- con esclusione
dei venticinque Stati UE, i cui interessi sono affidati,
attraverso le procedure decisionali comunitarie, alla previa sintesi della Commissione,
arrivando quindi al confronto con gli altri Membri WTO essendo già stati accorpati in un
“interesse europeo” - dell’opportunità di tenere in scacco il mondo fino a che i propri
irrinunciabili interessi nazionali non siano accolti nel pacchetto negoziale del single
undertaking.
Rispetto alla complessità della vicenda giuridica, perde di dignità la ricorrente,
superficiale ed indimostrata assunzione retorica inerente la presunta necessità di “parlare
ad una sola voce”. Un’assunzione la cui forza peraltro, proprio in sede WTO, viene ad
essere messa a dura prova proprio dal principio del consensus, in vigore a Ginevra ma non
a Bruxelles e tale da rendere quanto meno legittima qualche libera valutazione circa le
modalità più efficaci per la tutela degli interessi nazionali, tenendo anche conto della
necessità che il vento della competizione, gravido di informazioni e stimoli, attraversi e
vivifichi molti ambienti e non rischi di fermarsi in pochi luoghi129.
128
G. Adinolfi, “L’Organizzazione Mondiale del Commercio. Profili istituzionali e normativi” – Cedam,
2001.
129
Si pensi ad esempio alla questione della lingua: mentre i mercati comunicano pressoché ovunque
in inglese (la lingua correntemente usata al WTO), a Bruxelles sembra essersi sviluppata la
convinzione che la sfida possa essere gestita per via politica o possa essere elusa con le traduzioni.
105
Introduzione, a livello di singoli Stati UE, dell’obbligo di indicazione dell’origine delle
merci provenienti da paesi extraeuropei
Il diritto WTO contiene una esplicita disposizione (art. IX GATT) per effetto della quale è
concesso ai Membri WTO di introdurre a livello nazionale regole che impongano l’obbligo
d’indicazione della provenienza geografica alle merci provenienti da altri territori.
Di tale facoltà si avvalgono oggi moltissimi paesi Membri WTO ed anche i prodotti
esportati dai singoli paesi UE (Italia, Germania, Regno Unito, etc.) devono contenere in tali
casi l’informazione richiesta (“made in Italy”, “made in Germany”, etc.).
La Corte di Giustizia, dal canto suo, ha invece sinora negato agli Stati UE la possibilità
di introdurre, attraverso misure nazionali, quest’obbligo, per i prodotti (intracomunitari ed
extracomunitari) d’importazione, sostenendo a più riprese che esso indebolirebbe il
mercato unico europeo. La questione è complessa e importante, soprattutto se calata nella
più ampia osservazione delle dinamiche evolutive della cd. globalizzazione e dei rischi,
paventati da alcuni, di omologazione negli stili di consumo - e quindi delle produzioni, le
quali necessariamente sui consumi devono modellarsi - con conseguente progressivo
annullamento delle originalità, delle identità, delle storie, delle culture e delle tradizioni.
Pur senza entrare nel merito della ricchissima letteratura, delle molte norme
(Convenzione di Parigi, Convenzione di Madrid, Accordo WTO in materia di proprietà
intellettuale, Accordo WTO sulle barriere tecniche al commercio, Accordo WTO sulle regole
d’origine, etc.) e della vasta giurisprudenza esistenti sul tema dell’”origine”, appare
necessario introdurre alcune chiavi di lettura inerenti il tema delle indicazioni d’origine e
del “made in”130.
Al riguardo, vale sinteticamente notare, con Bernard O’Connor131, come “paragonando
la protezione assicurata dall’Unione Europea con quella garantita in molti paesi extraUE,
130
B. O’Connor, “The Law of Geographical Indications”, Cameron May, 2004,: “Geographical
Indications of source (‘indicazioni di provenienza’) are names wich indicate a specific place of origin
of the product which may or may not be connected with certain techniques or methods of production
(the name of the product itself, for example, ‘France’, ‘Rome’, ‘Ardennes’; an adjective connected
with a place, for example, ‘German beer’; or a label, for example, ‘fabriqué en France’, ‘printed in
the UK’, ‘made in Portugal’, and so on (..)”.
131
B. O’Connor, cit: “ … When comparing EU protection and the protection in many non-EU countries
it becomes clear that the European Union is in some ways quite restrictive in its laws. The EU rules
only cover agricultural products and certain foods and foodstuffs but not all. Other countries area
rightly more ambitious and have allowed for the protection of industrial goods as well as agricultural
106
risulta chiaro che l’Unione Europea è in certo modo abbastanza restrittiva nella propria
copertura normativa. Le regole UE proteggono esclusivamente prodotti agricoli ed alcuni,
ma non tutti, prodotti alimentari. Altri paesi sono invece giustamente più ambiziosi ed
hanno consentito la protezione non soltanto dei prodotti agricoli ma anche di quelli
industriali. Questo sembra essere un approccio più corretto. Alcuni dei più famosi esempi
di antiche indicazioni geografiche, come il vetro di Murano o il cristallo di Waterford, non
sono certamente prodotti alimentari” (la traduzione è di chi scrive).
Le
ragioni
addotte
dalla
Corte
di
Giustizia
giurisprudenziale sul divieto dell’obbligo del ‘made in’
a)
a
132
supporto
del
proprio
indirizzo
si associano a tre ordini di fattori:
l’introduzione di quest’obbligo configurerebbe - a dire della Corte133 - una misura
equivalente ad una restrizione alle importazioni ed indebolirebbe il completamento del
mercato unico europeo;
b) l’indicazione dell’origine sarebbe meritevole di tutela esclusivamente quando vi si
associano specifiche qualità o caratteristiche del prodotto (“specific quality and specific
characteristics”134).
c)
un simile obbligo darebbe ai consumatori “la possibilità di far valere i loro eventuali
pregiudizi nei confronti delle merci straniere”135.
Gli argomenti della Corte di Giustizia generano più di una riserva.
Con riferimento alla seconda delle proprie argomentazioni, nel considerare l’obbligo
d’indicazione dell’origine come giuridicamente accettabile esclusivamente nei casi in cui a
quelle
indicazioni
si
associno
qualità
“oggettive”
(“specific
quality
and
specific
characteristics”), la Corte di Giustizia sembra cedere alla tentazione di sostituire il proprio
giudizio a quello dei consumatori, aderendo ad una teoria della formazione del prezzo
products. This seems a better approach. Some of the most famous examples of long-standing
geographical indications, such as Murano glasses or Waterford crystal, are not foods at all …”.
132
Si vedano ad es. le disposizioni introdotte in tal senso dal Regno Unito e contenute nel “Sale of
Goods Act” del 1979, nel “Trade Descriptions Act” del 1968, nel “Consumer Protection Act” del 1987
e nel “Trade Decriptions Order” del 1981, che inserivano l’obbligo di indicazione dell’origine per una
serie di prodotti e che la Corte di Giustizia delle C.E. - ECJ 25 aprile 1985, Caso 207/83,
Commissione Europea vs Regno Unito – giudicò come illegittime restrizioni agli scambi commerciali.
La CGCE ha condannato in diverse altre occasioni (e.g. caso 113/80) le norme nazionali volte ad
introdurre obblighi d’indicazione dell’origine per i prodotti d’importazione.
133
Caso 207/83.
134
Caso 12/74, Commissione Europea vs Germania.
107
fondata sul valore intrinseco che non è quella propria dei mercati concorrenziali, basata
invece, come noto, sulle percezioni soggettive e sulle sensibilità dei singoli consumatori.
Ulteriori preoccupazioni si associano alla terza delle ragioni addotte dalla Corte.
Guardando al tema nell’ottica del consumatore, sovrano di ogni mercato concorrenziale,
l’obbligo d’indicazione dell’origine delle merci sembra infatti non conseguire altro risultato
che quello di assicurare un’informazione aggiuntiva. Il fatto che, sulla base di tale
informazione, il consumatore possa adottare comportamenti d’acquisto sgraditi all’Autorità
centrale comunitaria (punto “c”) sembra veramente insufficiente per sottrargli questa
informazione-libertà e trasferire la materia alla valutazione degli organi comunitari. Tanto
più, deve ricordarsi, che la possibilità di imporre tale obbligo è stata invece chiaramente
accolta nelle regole del diritto del mercato mondiale (art. IX GATT) e quindi nella sua
pratica.
Il timore è che la prima delle ragioni addotte dalla Corte (rafforzamento del mercato
unico europeo) contenga in realtà anche le altre e che, adoperando un’espressione che
troveremo più avanti utilizzata da Giuseppe Tesauro a proposito di altre pronunce della
Corte di Giustizia, si tratti pertanto di “un dato non tanto giuridico quanto soprattutto di
opportunità o di politica istituzionale, se si preferisce. In sostanza, si vuole lasciare alle
istituzioni politiche, cioè alla Commissione ed al Consiglio, la interpretazione e più in
generale la ‘gestione’ delle norme convenzionali che ci occupano, ieri GATT ed oggi OMC”.
Appare d’altronde ben comprensibile il bisogno dei poteri comunitari di evitare che nello
scenario del mercato mondiale la policromia del paesaggio antropologico delle nazioni
aderenti all’UE venga ad emersione.
5.
Il commercio come attuazione concreta degli ideali di pace e giustizia fra
le Nazioni (art. 11 della Costituzione italiana). Interrogativi sulla ragion d’essere
dell’Unione Europea nel tempo del mercato globale.
Al 9 maggio 1950 - data in cui il Ministro degli Esteri francese, Robert Schuman,
dichiarò che un’Europa unita sarebbe stata essenziale per la pace mondiale - può
135
Caso 207/83 e Caso C-325/00 (Commissione Europea vs Rep. Federale di Germania).
108
simbolicamente e storicamente associarsi l’avvio di quel processo di costruzione del futuro
mercato unico europeo, al quale si cominciò quindi a guardare come ad una concreta
prospettiva di interazione, di commercio e di pace tra popoli che solo pochi anni prima percependosi reciprocamente come realtà distinte, autonome ed antagonistiche, sotto
l’insegna dei diversi Stati - avevano ingaggiato conflitti armati, cruenti e dolorosi.
I progressivi approdi del processo di edificazione comunitaria sono noti ma, di fronte
alle sfide economiche ed istituzionali della globalizzazione, vale probabilmente la pena
soffermarsi sul significato storico-filosofico originario di questo percorso e soprattutto
indagare la natura dei principi che lo hanno ispirato, il tipo di energia che ne ha assicurato
l’evoluzione, la qualità della tensione che ne ha costituito la spinta, identificarne cioè il
senso profondo ed autentico, al fine di trarne lezione per le istanze presenti e future.
Nonostante la ricorrente enfasi sulla parola Europa - ma diventa difficile adoperare la
medesima denominazione geografica per un’organizzazione che nel 1957 raggruppava sei
comunità nazionali, per un territorio di 1.276.964 kmq, e che nel 2005 riunisce
venticinque nazioni, con un’estensione territoriale di 3.974.649 - non può esservi dubbio
circa il fatto che principi, natura e ragion d’essere del processo azionato negli anni ’50 del
secolo scorso si riconducevano, complessivamente, ad un’importante discontinuità, che
metteva in discussione valori, dinamiche, contenuti di quel fascio avvolgente di poteri che
va sotto il nome di Stato, per abbracciare quei valori, quelle dinamiche, quei contenuti,
quella tensione meritocratica che sono tipici del mercato concorrenziale.
Quello su cui alcuni uomini seppero coraggiosamente investire, a partire dal 1950, in
“Europa”, fu dunque l’azionamento di un antico, chiaro e noto, meccanismo di
interdipendenza tra gli uomini e tra i popoli. Il mercato - la cui caratteristica identificativa
ed indefettibile risiede proprio nel rendere ciascuno indispensabile per gli altri e gli altri
indispensabili per ciascuno, nel far diventare cioè fondamentale, per ognuno, l’altrui
“apprezzamento” ai fini del proprio stesso benessere e nel rimuovere così, in radice, le
tentazioni della separazione e dell’antagonismo conflittuale136 - una volta azionato,
136
Per un affaccio su una visione densa e concreta (quindi comprensiva della dimensione materiale
come di quella spirituale) delle dinamiche del commercio, sia consentito rinviare, oltre che ai Maestri
(A. Smith, F. von Hayek, L. Sturzo, J. Schumpeter, I. Kirzner, M. Novak), al mio “Bioarchitettura
Istituzionale. La Via del Tradere” (Giannini ed., Napoli, 2002): “… l’orientamento allo scambio
obbliga il grande genio, il politico, a ricercare il consenso, a farsi ‘compreso’, a ricercare la
relazionalità. E’ l’altrui apprezzamento a fare ordine e premio; nessun altro riscontro avrà altrettanta
forza e valore. Quella verso o contro la relazionalità è veramente una scelta di campo: essa è, nei
due sensi, capace di effetti moltiplicatori. Imboccata una delle due strade, l’allenamento porterà ad
109
avrebbe spontaneamente assicurato una tensione collettiva che né gli uomini, né tanto
meno gli Stati, avrebbero avuto individualmente la forza altrimenti di “decidere” di
coltivare:
una
tensione
che
avrebbe
spinto,
che
ha
spinto,
verso
l’irreversibile
interdipendenza, verso la pace e la concordia.
All’indomani della seconda guerra mondiale, rispetto all’impianto delle relazioni tra
popoli fondato prevalentemente sull’autorità centrale dello Stato, in quanto tale rivelatosi
divisivo e conflittuale, il magnete del commercio avrebbe generato forze di attrazione
umana capaci di dinamicizzare le identità, inducendole alla relazione, alla conciliazione ed
alla complementarità, promuovendo la percezione dell’altro come di un’entità cui tendere,
con cui necessariamente interagire, con cui quindi “scambiare”, progressivamente
improponibile risultando l’approccio antagonistico della prima metà del secolo, sulla base
del quale infinite complessità umane si erano ridotte nell’entità Stato e come tali erano
arrivate ad auto-percepirsi e rapportarsi come nemici da eliminare137.
Il mercato (CECA, CEE, CEEA), liberando ed istituzionalizzando una naturale energia
connettiva tra le singole persone, seppe ridimensionare la rilevanza dell’autorità formale
centrale ed esaltare le opportunità di proiezione delle personalità, in tal modo
comprimendo in radice il potenziale divisivo della dimensione statuale e riconoscendo
invece spazio espansivo ad una molteplicità ulteriore di appartenenze e di bisogni
espressivi, in tal modo avvolgendo milioni di persone - diverse sì l’una dall’altra ma ora
per una serie infinita di ragioni (gusti, talenti, tradizioni, progetti, vocazioni, attitudini,
accelerare, ad aumentare le dosi: attivando energie ulteriori in un caso (fiducia negli altri e in sé
stessi; coraggio ed intraprendenza; desiderio e soddisfazione – in mutuo sostegno –
dell’apprendimento continuo; piacere di interagire con le persone; propensione al cambiamento;
capacità di socializzazione; sensibilità alle aspettative altrui; simpatia) o viceversa smorzando
sempre piu’ ogni apertura (autoreferenzialità; alterigia; prepotenza; antipatia), nell’altro. In questa
seconda ipotesi vi è qualcosa di diabolico, perché l’orientamento relazionale tende,
progressivamente ed inesorabilmente, a venir meno, fisiologicamente, e senza che chi ne sia vittima
possa rendersene conto, ove si manchi di nutrirlo costantemente delle sollecitazioni provenienti da
altri mondi, ove si affievolisca la disponibilità, umile e tenace, di apprendere da quanto accade
intorno. Questo è per noi il Mercato: da sempre luogo vivo di scambio tra culture e civiltà, occasione
di arricchimento di tutti e di ciascuno … L’imprenditore guarda sempre agli altri, ed in funzione del
loro apprezzamento accetta di cambiare continuamente sé stesso; egli insegue i clienti (..), li
corteggia, ricerca la propria vocazione e capacità distintiva (‘vantaggio competitivo’), è
intraprendente. Tutto è in funzione dello scambio: l’impresa disegna la dinamica della vita”, “Il
saltatore-imprenditore dedica la propria vita al continuo divenire emozionale, un orgasmo
energetico, la liberazione di un potenziale, tenacia e risolutezza nell’operare: questa è la sua faticosa
e meravigliosa missione”.
137
D. Ciccarelli, cit: “E’ la divisione, l’isolamento, la dualità in sé a generare odio, contrapposizione,
morte. Al contrario, lo scambio e la compenetrazione concepiscono la Vita. In ‘campo’ due squadre
110
etc.) e certamente non più per la semplicistica ragione della cittadinanza - nel fascio di
una sola trade community.
Non si comprenderebbe il senso dell’intero processo “europeo” se non si tenesse
presente che il suo motore è stato proprio questo: la promozione della pace attraverso il
mercato. L’integrazione di popoli, lingue, religioni e culture in una trade community: tutto
ciò - è storia nota - è stato possibile distruggendo potere attraverso la competizione, non
trasferendo potere da un livello (lo Stato nazionale, nelle sue articolazioni politiche e
giurisdizionali) ad un altro. Il nuovo livello istituzionale si qualificava proprio come agente
di
corrosione
del
potere,
svolgendo
una
funzione
-
nella
quale
la
dimensione
giurisdizionale faceva parte integrante di quella regolatoria, fino ad indurre molti a parlare
della Corte di Giustizia come di un giudice con una missione - che doveva ricondursi
principalmente alla progressiva eliminazione delle distorsioni derivanti dalle forzature delle
autorità formali (aiuti di Stato, imprese di Stato, divieti, dazi, contingentamenti,
finanziamenti pubblici, etc.) e quindi all’acquisizione di nuovi spazi di propagazione per
l’onda della concorrenza.
Con il mercato europeo, in molte aree alla legge veniva a sostituirsi il diritto.
“Il diritto non è necessariamente collegato ad una entità socialmente e politicamente
autorevole, non ha per referente necessario quel formidabile apparato di potere che è lo
Stato moderno, anche se la realtà storica che ci ha fino ad oggi circondato ostenta il
monopolio del diritto operato dagli Stati. Il referente necessario del diritto è soltanto la
società, la società come realtà complessa, articolatissima, con la possibilità che ciascuna
delle sue articolazioni produca diritto, anche la fila di fronte all’ufficio pubblico. Non è una
precisazione banale; al contrario, essa sottrae il diritto all’ombra condizionante e
mortificante del potere e lo restituisce al grembo materno della società, che il diritto è così
chiamato ad esprimere … Il principio di strettissima legalità, cioè della necessaria
corrispondenza di ogni manifestazione giuridica alla legge, è al cuore della società ed è
propugnato come suprema garanzia del cittadino contro gli arbitrii della pubblica
amministrazione e di cittadini socialmente ed economicamente forti. Resta invece
impensabile l’idea dell’arbitrio e degli abusi del legislatore, il quale subisce un processo di
s’incontrano, diventano ‘una’ partita e giocano; sugli spalti, le ‘due’ tifoserie restano divise e si
scontrano …”.
111
stucchevole idealizzazione ed è proposto come l’interprete e il realizzatore del bene
comune grazie alla sua onniscienza e onnipotenza”138.
La rivitalizzazione su una base territoriale più ampia, quella del mercato unico, delle
responsabilità e delle intraprendenze personali, produsse l’effetto – sano, indiretto,
spontaneo e tuttavia travolgente - di ridurre l’attitudine antagonistica insita della
dimensione statuale, obbligando le persone a costruire fuori dal proprio paese nuove
relazioni umane (investimenti, acquisti, vendite, etc.) tese a conseguire le efficienze rese
indispensabili dalla concorrenza.
Il mercato, attraverso la voce “senza potere” degli organi comunitari (Commissione,
Corte di Giustizia), poté quindi assicurare un nuovo modo di formarsi delle regole sociali,
sulla base del quale vennero ad essere progressivamente declassati ad illegittimità le
protezioni e i privilegi discendenti dalle legislazioni nazionali.
Il rafforzamento del mercato comportò anzitutto il ridimensionamento della legge. Con
la Comunità Europea, il commercio, può dirsi, ha acquisito giurisdizione sugli Stati
d’Europa lungo le direttrici degli antichi, semplici principi della competizione ed attraverso
le istituzioni del diritto del mercato comunitario.
“.. precisiamo subito che la nostra attenzione verte sullo ‘Stato di diritto’ continentale
così come si viene definendo nel corso dell’Ottocento sul continente europeo, avendo il
cosiddetto Rule of Law anglosassone, malgrado la analogia lessicale, diversità sostanziali
scaturenti dalle diverse matrici storiche. … [lo Stato continentale] è uno Stato sovrano,
cioè munito di ogni latitudine potestativa che la sovranità conferisce; è uno Stato
parlamentare, che assume il Parlamento come organo centrale e centralizzante, giacché
ciò gli consente un ammantamento democratico, anche se la rappresentanza popolare rappresentanza di pochi, di pochissimi – si risolve in una arrogante finzione; è uno Stato in
cui il Parlamento, in grazia di questa finzione, si propone come onnisciente e onnipotente,
e perciò insindacabile; è uno Stato che, col supporto del principio della divisione dei poteri,
stabilisce
il
monopolio
parlamentare
della
produzione
del
diritto
e
si
esprime
giuridicamente con la voce del Parlamento, cioè con la legge …”. “… si potrebbe concludere
che tutto si risolve in un castello di finzioni. Da qui la ipervalutazione della legge, il culto
della legge, l’ordinamento giuridico ridotto a un insieme di leggi: leggi intese quali
138
Paolo Grossi, “Prima lezione di diritto”, Editori Laterza, 2003.
112
comandi autorevoli meritevoli di ossequio prescindendo dal loro contenuto”. “La nostra
abitudine mentale è di pensare il diritto con una sue ben definita proiezione geografica,
quella che giustappone (se non contrappone) il diritto italiano a quello francese, svizzero,
austriaco, sloveno, per restringere il nostro sguardo alla Repubblica italiana e alle nazioni
confinanti. E’ un’abitudine che ci deriva dall’avere immedesimato il diritto nello Stato e dal
vederlo in strettissima connessione con il potere politico; ci deriva dall’essere noi ancora
immersi nel moderno e dal non arrivare ancora a percepire le profonde novità che
costellano la nostra attuale vita associata. Dimostriamo, insomma, di essere più immersi
nello ieri che nell’oggi … Lo statalismo giuridico, nella coscienza di giuristi plagiati dalla
bisecolare sottile propaganda post-illuministica, è vizio duro a morire. La legge ordinaria
oggi … è visibilmente in crisi per la sua incapacità a ordinare giuridicamente la società
civile e soprattutto a governare il mutamento socio-economico che stiamo vivendo e che
ancor più vivremo domani” 139.
La grande novità del progetto comunitario era dunque consistita nella subordinazione
dell’intero impianto di potere proprio degli stati nazionali alla giurisdizione del mercato.
Il suggello istituzionale di questa straordinaria vicenda risiedette nel riconoscimento alle
norme comunitarie di uno spazio giuridico che veniva sottratto alle leggi degli stati. Le
norme comunitarie sarebbero rimaste relegate alla sfera, separata, dell’”internazionalità”
se l’ordinamento italiano non avesse loro aperto un varco, se cioè il sistema dei poteri
nazionali non avesse acconsentito a quest’ampia cessione di ‘sovranità’ in favore di quegli
organi (Commissione, Corte di Giustizia) la cui ragion d’essere era proprio quella di
elevare a regole esplicite e cogenti i principi della concorrenza.
Ancora una volta l’esercizio di ricostruzione storica appare fruttuoso di fronte alle nuove
istanze del mercato globale. Quale fu dunque questo varco? Com’è accaduto che, in un
ordinamento come quello italiano, a Costituzione rigida, formalmente incentrato sui
principi della civil law, sullo Stato, sul Parlamento e sulla legge, una trasformazione
istituzionale così profonda fosse considerata legittima, sebbene a tale possibilità non
facesse alcun espresso riferimento il testo della Carta costituzionale?
139
Paolo Grossi, “Prima lezione di diritto”, cit.
113
E’ noto che il varco attraverso il quale il sistema istituzionale del mercato europeo ha
potuto ricevere accoglimento e riconoscimento in Italia è costituito dall’art. 11 della
Costituzione (“l’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;
promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”).
La forza autonoma delle fonti di diritto comunitario rispetto alle fonti del diritto italiano
trova dunque ancor oggi il suo fondamento giuridico, e quindi il suo limite, non in una
decisione politica puntuale, ma nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana.
E’ d’altronde proprio della funzione di un vero giudice doversi fare carico di “dire il
diritto” nel caso concreto, stabilire cioè, in un dato momento, quale sia il diritto da
applicarsi ad una certa vicenda, come questa gli si prospetta nella controversia sottoposta
alla sua valutazione. Essendo l’incessante variare dei fatti della vita la ragione, primordiale
ed ineludibile, all’origine della funzione giurisprudenziale, i mutamenti d’indirizzo della
giurisprudenza costituiscono l’anello, necessariamente mobile, di raccordo che assicura
dinamismo vitale al diritto, arricchendolo degli impulsi provenienti dalla realtà, e assicura
al tempo stesso diritto ai fatti della vita. Lo stesso mutare dei fatti della vita costituisce il
presupposto sulla base del quale viene aggiornata la configurazione concreta dei fini di
una comunità ordinata nel diritto.
In questa linea, rileva, e rilevò nelle considerazioni della Corte Costituzionale italiana, la
ragione ispiratrice delle disposizioni contenute nell’art. 11 Cost,, attraverso le quali, in
seno all’Assemblea costituente, all’indomani del conflitto mondiale, si volle guardare con
favore alla possibilità che prendessero successivamente forma sistemi istituzionali capaci
di assicurare la pace e la giustizia nel mondo.
“Come è ben noto, la formulazione dell’art. 11 da parte del Costituente aveva un
obiettivo specifico: quello di favorire un rapido rientro dell’Italia repubblicana e
democratica post-bellica nel consesso delle Nazioni e in particolare l’ammissione nella
nuova organizzazione mondiale delle Nazioni Unite, della quale già il 25 giugno 1945 era
stato adottato lo Statuto. In funzione di ciò, si afferma il ripudio della guerra come
strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali; si afferma la disponibilità dell’Italia a dare il consenso, in condizioni di
parità con gli altri Stati, a limitazioni di sovranità
114
necessarie alla realizzazione di un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; si afferma la volontà
dell’Italia di promuovere e incoraggiare le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo”140.
“Come è ben noto, il piano originario alla fine della Seconda Guerra Mondiale era stato
quello di creare un’Organizzazione Internazionale del Commercio a fianco alle
molte altre agenzie specializzate delle Nazioni Unite”141 (l’enfasi è di chi scrive).
Attraverso l’art. 11, la Costituzione italiana faceva dunque dell’auspicio alla pace e alla
giustizia mondiali un orizzonte politico e quindi un obbligo per le stesse Istituzioni
democratiche nazionali (Parlamento, Governo, Magistratura, Presidente della Repubblica,
etc.), traendone un principio fondamentale per l’intero ordinamento repubblicano.
Nella Carta costituzionale del 1948, non veniva invece riconosciuta dignità autonoma ad
eventuali dimensioni territoriali/istituzionali intermedie tra l’Italia ed il mondo. La parola
Europa non era in alcun modo menzionata142 nella Carta e tale dimensione era in effetti
del tutto assente dalle fondamenta politico-giuridiche su cui si fondava l’edificio
istituzionale della Repubblica disegnato dalla Costituzione.
“La mens legislatoris non immaginava – e non poteva immaginare –, allora, l’emergere
e il crescere del fenomeno ‘comunitario’ ... Pertanto si potrebbe dire che, se per un verso
lo specifico disegno CE/UE non poteva essere nella mente dei costituenti, la possibilità che
la disposizione dell’art. 11 potesse trovare una qualche applicazione in ambito europeo pur
rientrava nella sua ratio. Ma rimane comunque una opinione generalizzata che l’art. 11
140
Relazione Finale in Tema di forme e condizioni di partecipazione dell’Italia alle Organizzazioni
Internazionali e al processo di integrazione europea (Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Dipartimento per le riforme istituzionali e la devoluzione, Comitato di studio in materia
costituzionale, 2004).
141
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “As is
well known, the original plan at the end of World War Two had been to create an International Trade
Organization alongside with several other specialized agencies of the United Nations. The
constitutive instrument of this organization was signed at Havana on 24 March 1948” (la traduzione
è di chi scrive).
142
Nel testo costituzionale attualmente in vigore, frutto della riforma costituzionale del 2001, sono
presenti alcuni riferimenti espliciti alla dimensione europea, ma soltanto nel Titolo V (“Le Regioni, le
Province, i Comuni”).
115
intendesse limitarsi alla problematica nascente dalla presenza della nuova organizzazione
mondiale Nazioni Unite, la quale pure, tuttavia, non trova menzione espressa nello stesso
art. 11, rientrando essa, in via di interpretazione, nel concetto di ‘organizzazioni
internazionali’ rivolte allo scopo di assicurare ‘la pace e la giustizia fra le Nazioni’143”.
Vale la pena esplorare con attenzione, entrare “dentro” la posizione della Corte. Il modo
in cui, in un certo contesto storico e in un certo tempo, il processo comunitario ha ricevuto
legittimazione e validazione in Italia, per il tramite del vaglio più alto ed autorevole di cui il
nostro ordinamento è capace - quello della Corte Costituzionale - non può, infatti, e non
deve, essere considerato come un varco vuoto, un passaggio neutro, una concessione
incondizionata.
La Corte Costituzionale ha talora esercitato effettivamente il suo controllo sulla legge di
ratifica del Trattato CEE e sulla conformità delle sue disposizioni (come interpretate dalla
Corte di Giustizia delle CE) con i princìpi fondamentali dell’ordinamento italiano. Nella
sentenza n. 232 del 1989 (caso Fragd), la Corte fu molto vicina ad una pronuncia
scandalo144 :
“…Devesi a questo punto valutare se l'ipotesi configurata dal giudice
remittente possa effettivamente integrare una violazione dell'art. 24 della Costituzione, in
quanto venga ad incidere su quel principio supremo del nostro ordinamento costituzionale
consistente … nell'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un
giudizio …
… la Corte di Giustizia ritiene con giurisprudenza costante che, anche quando dichiara in
via pregiudiziale ex art. 177 l'invalidità di un atto comunitario (generalmente un
143
Relazione Finale in Tema di forme e condizioni di partecipazione dell’Italia alle Organizzazioni
Internazionali e al processo di integrazione europea (Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Dipartimento per le riforme istituzionali e la devoluzione, Comitato di studio in materia
costituzionale, 2004).
144
“La Corte ha eluso in tale fattispecie la domanda dichiarando la questione irrilevante, essendo la
controversia dinanzi giudice a quo ‘non (…) quella che ha provocato la declaratoria del regolamento
contestato’ e non ponendosi ‘pertanto, con essa nella relazione necessaria che intercorre tra giudizio
principale e giudizio incidentale’ (..). Fatto sta che … la Corte Costituzionale prima nella sentenza n.
183/1973 (..) e poi nella sentenza n. 170/1984 (..) aveva chiarito che gli atti comunitari non
potessero violare i principi fondamentali del nostro ordinamento …” (Rossella Miceli - Giuseppe
Melis: “Le sentenze interpretative della Corte di Giustizia delle Comunità europee nel diritto
tributario: spunti dalla giurisprudenza relativa alle direttive sulla “imposta sui conferimenti” e
sull’IVA”
in:
http://www.judicium.it/news/ins_11_02_04/ArticoloMelisMiceli.html#sdfootnote132anc).
116
regolamento), essa possa, in forza della disposizione contenuta nell'art. 174, secondo
comma, precisare quali effetti della norma invalidata debbano essere considerati come
definitivi … Ove però la sentenza arrivi ad escludere dalla efficacia della dichiarazione di
invalidità l'atto o gli atti stessi oggetto della controversia che ha provocato il ricorso
pregiudiziale alla Corte da parte del giudice nazionale, non si può nascondere che sorgono
gravi perplessità in ordine alla compatibilità con il contenuto essenziale del diritto alla
tutela giurisdizionale della norma che consente una pronuncia siffatta.
… Alla stregua delle suesposte argomentazioni, la questione dovrebbe ritenersi
ammissibile; prima però di procedere oltre ad esaminarne l'eventuale fondatezza nei limiti
e nei termini sopra precisati, questa Corte deve compiere due ulteriori verifiche, dalle quali
emergono risultanze che la inducono a pervenire a diverse conclusioni”.
Fu evidentemente sulla base di precise ragioni storico-politiche che la Corte
Costituzionale italiana potè fondere, attraverso l’art. 11, i principi generali del nostro
ordinamento con i fatti concreti della storia del dopoguerra, giungendo a ritenere
sussistenti, nell’istante in cui venne a pronunciarsi sulla questione, ragioni giuridiche tali
da consentire che un sistema di diritto, quello del mercato unico europeo, del tutto
estraneo all’intero sistema dei poteri disegnato dalla Costituzione, venisse ad acquisire
un’area di svolgimento dal cui ambito (concretamente puntualizzato nel Trattato di Roma)
l’ordinamento italiano acconsentiva a ritrarsi145.
Su quali basi storiche146 e giuridiche - vale la pena oggi domandarsi e ricordare - la
145
“Le norme da essa derivanti vengono, in forza dell'art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione
nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: e se così é, esse non
possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti
tra le norme del nostro ordinamento. In questo senso va quindi spiegata l'affermazione, fatta nella
sentenza n. 232/75, che la norma interna non cede, di fronte a quella comunitaria, sulla base del
rispettivo grado di resistenza. I principi stabiliti dalla Corte in relazione al diritto - nel caso in esame,
al regolamento - comunitario, traggono significato, invece, precisamente da ciò: che l'ordinamento
della CEE e quello dello Stato, pur distinti ed autonomi, sono, come esige il Trattato di Roma,
necessariamente coordinati; il coordinamento discende, a sua volta, dall'avere la legge di esecuzione
del Trattato trasferito agli organi comunitari, in conformità dell'art. 11 Cost., le competenze che
questi esercitano, beninteso nelle materie loro riservate” (Sentenza della Corte Costituzionale n. 170
del 1984).
146
Tra i principali elementi di quel contesto storico, si può pensare al ricordo ancora molto vivo delle
divisioni risalenti al secondo conflitto mondiale (come noto nella dichiarazione Schuman si affermava
esplicitamente che al cuore dell’Europa unita doveva esserci la riconciliazione franco-tedesca), alla
netta contrapposizione politico-culturale tra i sistemi fondati sulla concorrenza (area d’influenza
USA) e quelli fondati sul potere dell’Autorità centrale (area d’influenza URSS), all’esistenza di grandi
117
Corte Costituzionale italiana potè superare le riserve ad Essa sottoposte da alcuni tribunali
italiani (Tribunale di Torino, Tribunale di Genova) nel 1973147 e arrivare a riconoscere la
legittimità della legge statale di esecuzione del Trattato CEE, nella quale si acconsentiva
all’istituzione di una nuova fonte di produzione giuridica, esterna a quelle dello Stato,
generalmente sottratta al sindacato di costituzionalità e capace di diretta applicabilità nei
confronti dei cittadini italiani?
Alle contestazioni mosse dal Tribunale di Torino
“la stessa previsione di un’attività normativa comunitaria, di contenuto così ampio,
quale quella contemplata dall’art. 189 del Trattato di Roma, introdurrebbe una amplissima
deroga alla disciplina dettata dagli artt. 70 e segg. della Costituzione in tema di
formazione delle leggi, riconoscendo alla Comunità il potere di legiferare praticamente su
qualsiasi materia essa ritenga utile per l’assolvimento dei suoi compiti, senza che nei
confronti dei regolamenti sussistano le guarentigie che la Costituzione italiana dà nei
confronti delle leggi ordinarie dello Stato: il rispetto delle forme di promulgazione e di
pubblicazione, la possibilità di promuovere il referendum abrogativo, la possibilità di
sollecitare il controllo della Corte Costituzionale”
e dal Tribunale di Genova
“Nelle ordinanze, premesso che i regolamenti comunitari hanno portata generale e sono
obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri,
si osserva che l’introduzione nel nostro ordinamento di una nuova fonte di normazione
primaria, estranea al meccanismo di produzione legislativa previsto dagli artt. 70, 76, 77
della Costituzione, attuata con legge ordinaria anziché con legge costituzionale, potrebbe
implicare una non consentita sottrazione di competenza legislativa ai normali organi
costituzionali dello Stato”
barriere (commerciali, giuridiche, linguistiche, culturali, tecnologiche, infrastrutturali, etc.) per la
circolazione nel mondo di merci, servizi, persone, investimenti, informazioni e infine all’assenza di
un quadro istituzionale capace di assicurare la costruzione giuridica di un mercato concorrenziale su
base mondiale.
147
Sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 183 del 1973.
118
la
Corte
Costituzionale
ribatté
recependo
il
senso
degli
argomenti
esposti
dall’Avvocatura generale dello Stato italiano
“l’Avvocatura dello Stato afferma che non contrasta con i principi della Carta
costituzionale la istituzione, o il ricoscimento, con legge ordinaria di una nuova fonte di
produzione giuridica, potendo il fenomeno rientrare tra le limitazioni della sovranità
nazionale previste e consentite, a determinate condizioni, dall’art. 11 della Costituzione,
significativamente collocato nella sezione della Carta costituzionale nella quale sono
enunciati i principi fondamentali, a conferma della importanza capitale della disposizione,
posta su un piano diverso rispetto alle disposizioni che concretamente disciplinano i poteri
degli organi dello Stato”.
Così statuì infatti la Corte nel 1973:
“La questione non è fondata. La legge 14 ottobre 1957, n. 1203, con cui il Parlamento
italiano ha dato piena ed intera esecuzione al Trattato istitutivo della CEE, trova sicuro
fondamento di legittimità nella disposizione dell’art. 11 della Costituzione, in base al quale
‘l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni’, e quindi
‘promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’. Questa
disposizione, che non a caso venne collocata tra i ‘principi fondamentali’ della
Costituzione, segna un chiaro e preciso indirizzo politico: il costituente si riferiva, nel
porla, all’adesione dell’Italia alla Organizzazione delle Nazioni Unite, ma si ispirava a
principi programmatici di valore generale, di cui la Comunità economica e le altre
Organizzazioni regionali europee costituiscono concreta attuazione” (l’enfasi è di chi
scrive).
Il mercato - e non lo Stato - venne dunque giudicato, nel 1973, dalla Corte
Costituzionale come ciò che poteva “costituire concreta attuazione” degli ideali di pace e
giustizia che nel 1948 il legislatore costituente aveva espresso e inserito nell’art. 11 della
Carta.
Su questa base, la Corte Costituzionale poté affermare, nel 1973, che non vi era nulla
119
di
illegittimo
nel
fatto
che
alle
norme
CEE
fosse
riconosciuto
effetto
diretto
nell’ordinamento interno, che fosse cioè
“attribuito al Consiglio e alla Commissione della Comunità il potere di emanare
regolamenti
con
portata
generale,
ossia
–
secondo
l’interpretazione
data
dalla
giurisprudenza comunitaria e da quella ormai concorde dei diversi Stati membri, nonché
dalla dominante dottrina – atti aventi contenuto normativo generale al pari delle legge
statuali, forniti di efficacia obbligatoria in tutti i loro elementi, e direttamente applicabili in
ciascuno degli Stati membri, cioè immediatamente vincolanti per gli Stati e per i loro
cittadini, senza la necessità di norme interne di adattamento o recezione”.
La Corte Costituzionale conservò tuttavia per sé il compito di vigilare, per conto della
nazione italiana, a che i fini - in primis evidentemente proprio quelli dell’art. 11 Cost.,
fonte del mandato - sulla base dei quali tale attribuzione di funzioni veniva operata,
informassero sempre l’azione degli organi comunitari:
“E’ appena il caso di aggiungere che in base all’art. 11 della Costituzione sono state
consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi
indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel
Trattato di Roma - sottoscritta da Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato
di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini -, possano comunque comportare
per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali
del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. Ed è
ovvio che qualora dovesse mai darsi all’art. 189 una sì aberrante interpretazione, in tale
ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di
questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi
fondamentali …” (l’enfasi è di scrive).
Sulla base dell’iter logico-giuridico seguito dalla Corte Costituzionale nel 1973, il
riconoscimento interno dell’effetto diretto alle norme CEE rispondeva dunque ad un
principio fondamentale del nostro ordinamento costituzionale. Nell’interpretazione della
Corte, la forza riconosciuta ai principi posti dall’art. 11 appare travolgente: l’ammissione
120
dell’effetto diretto delle norme CEE non soltanto veniva considerata legittima, ma veniva a
configurarsi – si direbbe – come un obbligo per le Istituzioni nazionali, in ossequio ad un
principio fondamentale - pace e giustizia nel mondo - che rappresentava il portato
giuridico cogente di una tensione complessiva, cui ogni altro elemento dell’ordinamento, e
l’intero Stato, aveva l’obbligo di piegarsi.
Con la sentenza n. 183 del 1973, la Corte Costituzionale diceva dunque qualcosa di
ulteriore e di diverso, rispetto alla “semplice” dichiarazione di legittimità del Trattato CEE.
Essa affermava infatti che ogni componente del sistema nazionale dei poteri pubblici comprensivo delle prerogative del Parlamento, del Governo, del Presidente della
Repubblica, nonché della stessa Corte Costituzionale - doveva soggiacere a quell’orizzonte
superiore - pace e giustizia nel mondo - posto dall’art. 11.
Di assoluto rilievo, inoltre, che la Corte Costituzionale italiana venisse a sancire - fatto
per niente scontato e per niente pacifico a quel tempo - la convergenza tra le dinamiche
del mercato (competizione, commercio, progressiva riduzione dell’intervento diretto degli
Stati nell’economia) e gli ideali di “pace e giustizia”.
Il commercio, si sancì, e non lo Stato, avrebbe assicurato la concreta attuazione degli
ideali di pace e giustizia nel mondo. Il progetto di costituire una comunità di mercato tra i
sei Stati fondatori della CEE poté ottenere - su questa base, chiarissima - l’approvazione
della Corte.
Non vi è dubbio che numerosi e significativi siano stati i mutamenti di varia natura
intervenuti, nel corso dei decenni, dopo il 1973.
Tra questi mutamenti, un valore importante, di nuovo relativo alla formazione di aree di
diritto governate dai princìpi del commercio, va certamente riconosciuto agli atti che
incorporarono i risultati dei negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay Round e che
furono siglati in occasione della Conferenza ministeriale di Marrakesh il 15 aprile 1994.
Osservato - nel terzo millennio - nel contesto dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio, il processo di consolidamento dell’impianto comunitario pone nuove grandi
domande.
Nel sistema WTO, si è detto, le Comunità Europee sono membro dell’Organizzazione.
121
Allo stesso tempo, Comunità Europee ed Unione Europea configurano però un Accordo
commerciale regionale (“Regional Trade Agreement”), in quanto tale oggetto di specifici
controlli di legittimità (coerenza con le regole WTO) presso l’apposito Comitato per gli
Accordi Commerciali Regionali, istituito dal Consiglio Generale WTO il 6 febbraio 1996.
Il dibattito148 circa il rapporto tra accordi regionali e l’accordo globale (WTO) è molto
vivo a Ginevra e sono molti a considerare che gli accordi regionali siano il più grande
ostacolo al consolidamento di un unico quadro giuridico del commercio, condiviso su base
mondiale.
Sui
rischi
di
“deglobalizzazione”
legati
all’esasperazione
del
regionalismo,
inequivocabile, oltre che autorevolissimo, il monito lanciato da Renato Ruggiero nel corso
del Simposio pubblico 2005149 dell’Organizzazione Mondiale del Commercio:
“Let us be clear: the multilateral trade system is based on the most favourite
nation clause, on non-discrimination. It is also based on rules negotiated
multilaterally and agreed by all. We are now changing the system, or at least the
balance between the multilateral trade system based on non-discrimination, and
the preferential agreements both on a bilateral or regional framework, based on
discrimination.
We have to restore the undisputed primacy of the multilateral trade system …
At the beginning of the GATT system, preferential agreements were the
exception. The main source of preferential agreements was the European
Community. The answer to the European preferential initiatives was at that time
the right one: the launch of multilateral rounds … The risk is an international
trade system with no more rules agreed by everyone, where the poor and the
weak will have to fear ‘a return to the law of the jungle’ ... Are we
“deglobalizing” the international trade system? The rigidities of the system will
increase and the disputes between these vast regional preferential areas could
become very dangerous.
148
Nel sito internet dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, nella sezione dedicata ai Regional
Trade Agreements (intitolata: “Regionalism: friends or rivals?”), si può leggere: “One of the most
frequently asked questions is whether these regional groups help or hinder the WTO’s multilateral
trading system” (“Una delle domande poste più frequentemente attiene a se questi gruppi regionali
aiutino o impediscano il sistema multilaterale WTO” – la traduzione è di chi scrive).
149
Intervento di Renato Ruggiero al Simposio WTO 2005 – Ginevra,
http://www.wto.org/english/news_e/events_e/symp05_e/ruggiero_e.doc.
122
20
aprile
2005)
This is, I believe, the most important challenge in today’s international trading
system.
… Let us work together to save the future of the WTO and the primacy of
multilateral system”.
Nel corso della stessa conferenza, si è già detto, il Direttore Generale WTO, Supachai
Panitchpakdi aveva dichiarato:
“… l’Organizzazione Mondiale del Commercio, come già il GATT, ha esteso la ‘rule of
law’ nel regno del commercio internazionale ed ha contribuito significativamente ad
assicurare relazioni commerciali pacifiche e stabili tra i Membri WTO. Questa è forse la sua
principale funzione”150 (la traduzione è di chi scrive).
Sullo status giuridico delle norme WTO
“Il GATT non è la caricatura di un accordo internazionale, ma è obbligatorio per la
Comunità ed i suoi Stati Membri. Esso va quindi preso sul serio dalle istituzioni e dalla
Corte”151 (U. Everling).
“Nonostante il differente orientamento della giurisprudenza comunitaria, i protocolli di
cui all’accordo GATT, grazie alle leggi di ratifica ed esecuzione, attribuiscono ai singoli
diritti pienamente tutelabili dinanzi alla giurisdizione nazionale” (Tribunale di Napoli, 12
novembre 1984, Soc. Montedison C. Min. fin.).
“L’art. 11 dell’accordo GATT sulle tariffe doganali, concluso a Ginevra il 30 ottobre 1947
e reso esecutivo con l. 5 aprile 1950, n. 295, il quale prevede il divieto di aggravamento
150
“… the WTO, as the GATT before it, has extended the rule of law into the international trade
realm and has contributed significantly to keeping peaceful and stable trading relations between
WTO Members. This is, perhaps, its most crucial function”. (Intervento introduttivo di Supachai
Panitchpakdi , Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, al Simposio WTO
2005 – Ginevra, 20 aprile 2005 - http://www.wto.org/english/news_e/spsp_e/spsp38_e.htm).
151
“The Gatt is not a caricature of an international agreement, but is obligatory on the Community
and on the Member States. It must be taken seriously by the institutions and the Court” (Everling
123
dei diritti doganali e degli altri diritti percepiti all’importazione od in occasione
dell’importazione, riguarda le sole merci incluse nelle liste allegate all’accordo medesimo
(per l’Italia, la lista XXVII approvata con il protocollo di Annecy del 10 ottobre 1949, posto
in vigore con la citata l. n. 295 del 1950); pertanto, i diritti per servizi amministrativi,
istituiti con la l. 15 giugno 1950, n. 330, devono ritenersi legittimamente riscossi con
riferimenti a merci non comprese in dette liste originarie …” (Cass. Civ., 07/11/1985, n.
5412).
“L’art. 2 dell’accordo GATT sulle tariffe doganali, reso esecutivo con l. 5 aprile 1950, n.
295, che prevede il divieto di aggravamento dei diritti doganali e degli altri diritti od
imposte percepite all’importazione od in occasione dell’importazione, riguarda le sole
merci incluse nelle liste allegate all’accordo medesimo, e, cioè, per l’Italia, la lista XXVII
approvata con il protocollo di Annecy del 10 ottobre 1949; ne consegue, con riguardo al
carbon fossile, il quale non risulta contemplato in detta lista XXVII (..), che legittimamente
vengono riscossi i diritti per servizi amministrativi istituiti con la l. 15 giugno 1950, n.330
…” (Cass. civ., 14/10/1985, n. 4971).
“Nel sistema dell’accordo Gatt (reso esecutivo con l. 5 aprile 1950, n. 295) non esiste
un divieto generalizzato di introduzione di nuovi tributi all’importazione ma è previsto il
divieto di aggravamento dei diritti doganali, e degli altri diritti od imposte percepite
all’importazione o in occasione di essa, con riguardo alle sole merci incluse nelle liste
allegate all’accordo medesimo, e cioè, per l’Italia, nella lista XXVII approvata con il
protocollo di Annecy del 10 ottobre 1949; ne consegue che, sulle altre merci, pur
provenienti
dall’area
Gatt,
legittimamente
vengono
riscossi
i
diritti
per
servizi
amministrativi …” (Cass. civ., n. 6368 del 16/12/1985).
In favore dell’applicabilità diretta delle norme GATT, e contro l’orientamento indicato
dalla Corte di Giustizia delle CE, si veda anche la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 20
ottobre 1975, n. 3403.
U., “Will Europe slip on bananas? The bananas judgment of the Court of Justice and National
Courts”, in Comm. Mark. Law Rev., 1996).
124
Autorevolissimi giuristi152 ritengono che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee
non disponga di solidi argomenti giuridici a supporto del proprio sistematico rifiuto di
riconoscere l’effetto diretto delle norme WTO e quindi l’attitudine di queste a configurare
posizioni giuridiche soggettive in capo ai singoli cittadini.
“The European Court of Justice has long been criticized for consistently holding that the
General Agreement on Trade and Tariffs (GATT) does not have direct effect. The end of
the GATT Uruguay Round prompted a renewed analysis of direct effect by Kees Jan
Kuilwijk. In his book, The European Court of Justice and the GATT Dilemma, Kuilwijk
argues that the continued denial of direct effect to the GATT 94 not only proves that the
ECJ has protectionist motives but also that it is concerned with individual rights. In
addition to updating the traditional critique of the Court’s doctrine, Kuilwijk book
illustrates the tendency of that critique to fail to acknowledge the full complexity of the
direct effect question”153
La divergenza di opinioni è emersa anche nel cuore degli stessi procedimenti su cui più
volte la Corte è venuta a pronunciarsi.
Nel procedimento di impugnazione C-93/02 P e C94/02 (P Biret International SA e
Etablissements Biret et Cie. SA/Consiglio dell'Unione europea), l'avvocato generale Alber
ha sostenuto che le norme dell'Organizzazione mondiale del commercio sono direttamente
applicabili,
quando
l'organo
di
composizione
delle
controversie
dell'OMC
accerti
l'incompatibilità di un provvedimento comunitario con il diritto dell'OMC e la Comunità non
provveda a dare esecuzione alle relative raccomandazioni o decisioni entro un ragionevole
termine fissato dall'OMC stessa.
Analogamente, l’avvocato generale Tizzano154 nel procedimento C-377/02 (Lèon Van
152
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “The
Italian Court had made reference to Art. V of GATT which, unlike the EC Treaty, contains a complete
and clear provision on this problem”.
153
Judson Osterhoudt Berkey, “The European Court of Justice and Direct Effect for the GATT: A
Question Worth Revisiting”, European Journal of International of International Law 9 (1998).
154
Di A. Tizzano, si veda anche: "Pretesa diversità di effetti del G.A.T.T. e dei Trattati comunitari
nell'ordinamento italiano", in "Il Foro Italiano", 1973, n. 9, I, p. 2443-2452
125
Parys NV) aveva ravvisato le condizioni per il riconoscimento della diretta applicabilità
delle norme WTO nell’ordinamento comunitario. In tale circostanza, la Comunità europea
aveva mancato di ottemperare alle indicazioni dell’Organo di risoluzione delle controversie
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il quale aveva sancito (25 settembre 1997)
la violazione degli artt. I e XIII Gatt da parte di un regolamento comunitario (reg. 404/93)
che introduceva un regime comune per l’importazione delle banane. Per quanto qui rileva,
la Corte di Giustizia, nel giudicare sul caso (1 marzo 2005) ha ribadito che “è
giurisprudenza costante che, tenuto conto della loro natura e della loro economia, gli
accordi OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte
controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie (sentenza 23 novembre 1999,
causa C-149/96, Portogallo/Consiglio …; ordinanza 2 maggio 2001, causa C-307/99 …;
sentenze 12 marzo 2002, cause riunite C-27/00 e C-122/00 …; 9 gennaio 2003, causa C76/00 …; e 30 settembre 2003, causa C-93/02 …)”.
Giuseppe Tesauro mostra di condividere le osservazioni di Everling a proposito del
mancato riconoscimento dell’effetto diretto delle norme WTO da parte della Corte di
Giustizia delle Comunità Europee, definendole come una “giusta critica”. Il dissenso di
Tesauro rispetto all’orientamento della Corte di Giustizia delle C.E su questo punto è fermo
e profondo.
“Né mi sembra possa ragionevolmente dubitarsi del fatto che le norme internazionali
vincolanti per la Comunità e gli Stati membri, pertanto parte integrante del complessivo
sistema giuridico comunitario, costituiscano un parametro della legittimità e della
congruità delle norme rispetto alle quali hanno la prevalenza. Francamente, non riesco a
sottoscrivere soluzioni di tipo diverso, in particolare non riesco ad immaginare come una
norma degli accordi OMC o già del GATT, che sia vincolante per la Comunità e per gli Stati
membri e per ciò stesso parte integrante del sistema comunitario , possa non determinare
l’invalidità di un atto comunitario configgente o di una normativa nazionale altrettanto
configgente, a meno che non se ne voglia ridurre il rango ad un livello inferiore, ciò che è
sicuramente
inammissibile
sotto
il
profilo
già
della
teoria
generale
del
diritto
internazionale.
La giurisprudenza della Corte relativa al GATT 1947 è tuttavia decisamente diversa, per
non dire di segno opposto. Ritengo pertanto utile ricordarne i passaggi più significativi.
126
La prima e fondamentale tappa di questo percorso è indubbiamente costituita dalla
sentenza International, in cui la Corte, affermata la sua competenza ad esaminare anche i
motivi di invalidità tratti dal diritto internazionale (punti 4/6), ha poi precisato che, perché
la validità di un atto comunitario possa essere inficiata a motivo di una sua incompatibilità
con una norma di diritto internazionale, occorre che quest’ultima sia vincolante per la
Comunità e che, inoltre, attribuisca al singolo il diritto di far valere in giudizio le sue
disposizioni avverso un atto comunitario, sia cioè una norma provvista di effetto diretto
(punto 7/9). La Corte, premesso che nessun dubbio può nutrirsi quanto alla vincolatività
delle norme GATT , ha poi rivelato, rispetto al requisito dell’effetto diretto, che “a tale
scopo, si deve aver riguardo allo
spirito, alla struttura ed alla lettera del GATT stesso”
(punto 19/20).
…
Dopo aver ricordato le peculiarità del sistema GATT, su cui si è da sempre fondata per
negare l’effetto diretto delle sue norme, la Corte ha affermato che tali caratteristiche
“ostano parimenti a che la Corte prenda in considerazione le disposizioni dell’Accordo
generale per valutare la legittimità di un regolamento nell’ambito di un ricorso proposto da
uno Stato membro ai sensi dell’art. 173, primo comma, del Trattato.” (punto 109). La
Corte ha pertanto concluso nel senso che, in assenza di espresso rinvio ai sensi della
giurisprudenza Fediol e Nakajima, essa non è tenuta a verificare le legittimità di un atto
comunitario alla luce delle norme GATT (punto 11).
Indubbiamente si tratta di una giurisprudenza che, al di là del dato relativo
all’affermata assenza di effetto diretto delle norme GATT, pone notevoli problemi e rischia
di condurre a risultati criticabili e comunque contraddittori, come ben dimostra un
successivo caso, in cui, con un ricorso promosso dalla Commissione contro la Germania
ex art. 169 del Trattato, veniva contestato a quest’ultima di aver violato alcune
disposizioni di un accordo adottato in ambito GATT. In tale occasione, infatti, la Corte è
stata chiamata a stabilire se la Commissione possa iniziare una procedura d’infrazione
contro uno Stato membro per
violazione di norme GATT, allorché, peraltro, il
comportamento contestato sia consentito da un regolamento comunitario. La Corte ha
trovato una via d’uscita facendo valere una possibilità, invero molto dubbia, di
interpretazione conforme tra regolamento CEE e accordo GATT. Conseguentemente, essa
ha accertato la violazione, da parte della Germania, di talune disposizioni di un accordo
adottato in ambito GATT.
Ora, non è tanto rilevante se la Germania avesse violato o no l’accordo: importante è
127
che la Corte ha utilizzato il GATT come parametro di legittimità relativamente ad una
normativa nazionale, peraltro conforme ad un regolamento comunitario. Ciò era
precisamente quanto aveva escluso nell’ipotesi inversa, quando, nella causa banane, la
stessa Germania aveva, con un ricorso diretto ex art. 173, chiesto che fosse utilizzata una
norma GATT come parametro di validità di un atto comunitario.
…
Con tale approccio la Corte ha dunque sottoscritto la posizione della Commissione,
secondo cui gli Stati membri non possono invocare la loro interpretazione degli obblighi
GATT e decidere se rispettarli o meno; e neppure possono invocare la loro interpretazione
per far valere l’invalidità di una posizione comunitaria di diritto derivato. In entrambi i
casi, infatti, la Commissione rivendica il diritto di decidere essa stessa al riguardo, con
l’argomento e sul presupposto che la sola Comunità è responsabile verso l’esterno, quale
che sia la corretta interpretazione comunitaria degli obblighi assunti in sede GATT. Questa
posizione, all’evidenza, implica che il controllo del rispetto di un accordo, che vincola sia
gli Stati Membri che la Comunità, può essere operato dalla Corte solo nell’ipotesi in cui la
violazione è dello Stato membro e non anche quando la violazione è dovuta a un
comportamento delle stesse istituzioni. In quest’ultimo caso, infatti, l’eventuale violazione
di obblighi GATT potrà essere sanzionata solo con gli strumenti previsti dal diritto
internazionale e non anche attraverso il controllo giurisdizionale della Corte.
Questa soluzione, che sottrae al giudice comunitario una parte del controllo
giurisdizionale degli atti comunitari rispetto al parametro delle norme GATT e OMC, che
pure si qualificano come parte del sistema giuridico comunitario, io non riesco a
sottoscrivere. Almeno non riesco a cogliere il corretto fondamento giuridico di tale
soluzione.
D’altra parte, l’orientamento in questione finisce col rappresentare in fatto le norme
convenzionali in discorso come di valenza ridotta rispetto a “normali” norme internazionali
convenzionali, persino rispetto al principio fondamentale pacta sunt servanda. E’
un’ipotesi, pertanto, che anche sotto tale profilo non è condivisibile ad una valutazione
appena meno rapida e più rigorosa.
…
emerge con chiarezza che l’effetto diretto è stato subordinato dalla Corte alla verifica di
due elementi, individuati nelle caratteristiche del sistema GATT (obiettivi, struttura,
128
caratteri delle norme, rimedi in caso di violazione) e nel tenore della norma.
Vero è, come risulta dalla stessa giurisprudenza, che non c’è mai stata una verifica del
tenore della norma, nel senso che la Corte non ha mai proceduto ad una verifica volta a
stabilire se la norma invocata fosse chiara, precisa ed incondizionata, secondo i tradizionali
criteri che hanno portato la Corte ad attribuire o no l’effetto diretto alle norme
comunitarie. Ciò è dovuto alla circostanza che la Corte si è sempre fermata, con esiti
negativi, alla prima verifica, quella sulle caratteristiche salienti del sistema GATT nel suo
insieme. Al riguardo, osservo nondimeno che non mi pare che le norme GATT portate
all’attenzione della Corte fossero meno chiare, precise ed incondizionate di altre norme
convenzionali cui la stessa Corte ha invece attribuito peraltro con voluta generosità,
l’effetto diretto.
…
Una svolta altrettanto importate si è avuta nel capitolo della soluzione delle
controversie, da sempre considerato uno dei punti più deboli del sistema GATT, sotto il
profilo sia formale che sostanziale. La caratteristica fondamentale del vecchio sistema era
stata individuata nella circostanza che la ‘resistenza’ della parte soccombente poteva
bloccare il meccanismo dal momento che il Panel incaricato di occuparsi della controversia
poteva solo suggerire la soluzione al Consiglio, cioè all’insieme delle parti contraenti; il
Consiglio poteva poi a sua volta approvarla solo se non c’erano opposizioni. L’attuale
Intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie ha
sensibilmente mutato la situazione. In particolare, per quanto qui rileva, non può non
sottolinearsi che il rapporto del Panel, che prima era approvato dal Consiglio solo con il
consenso generale, oggi è respinto solo in caso di consenso negativo, ciò che rappresenta
un’innovazione copernicana: prima la parte soccombente poteva in ipotesi bloccare
l’adozione, oggi non più. A ciò si aggiunga che può essere proposto appello, con la
conseguenza che si avrà un nuovo rapporto, anch’esso adottato salvo consenso negativo.
In sostanza, il principio del consenso negativo fa sì che il rapporto sia sempre adottato e
che la parte soccombente è tenuta ad adempiere.
Più in generale, poi, rileva il carattere obbligatorio del meccanismo, che si traduce nella
possibilità di ricorso unilaterale e dunque nel connotato tipico di un controllo di tipo
giurisdizionale.”155.
155
Tesauro G., “I rapporti tra la Comunità europea e la WTO”, in “Diritto e Organizzazione del
commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio” (Società
Italiana di Diritto Internazionale, II Convegno, Milano, 5-7 giugno 1997) (Editoriale Scientifica).
129
“Possono queste sostanziali modifiche influenzare l’atteggiamento della Corte, in
particolare possono indurla ad affermare l’effetto diretto delle norme OMC? A rigore
potrebbero, anzi dovrebbero” (Tesauro).
Nella sua critica, Tesauro non si limita alla rigorosa analisi descrittiva delle debolezze
della giurisprudenza comunitaria. Egli propone anche una spiegazione di questo
comportamento, ciò che richiama le osservazioni cui si è fatto cenno sopra a proposito
dell’eterogenesi dei fini.
“… sulle differenze tra GATT e OMC possiamo esaurirci in un lungo ed approfondito
esercizio dialettico, dicendo tutto o il contrario di tutto sui miglioramenti intervenuti nella
‘giuridicità’ del sistema e sulla idoneità delle norme, ora o allora, a fungere da parametro
di legittimità ad essere invocate dai singoli. La soluzione non c’è, per il semplice motivo
che le ragioni dell’orientamento della Corte, se guardato in trasparenza, sono altrove. Ciò
che si ricava con sufficiente chiarezza, soprattutto dalla lettura congiunta della sentenza
banane (sent. 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania c. Consiglio ..) e della sentenza
del latte (Sent. 10 settembre 1996, causa C-61/94, Commissione c. Germania ..), è un
dato non tanto giuridico quanto soprattutto di opportunità o di politica istituzionale, se si
preferisce. In sostanza, si vuole lasciare alle istituzioni politiche, cioè alla Commissione ed
al Consiglio, la interpretazione e più in generale la ‘gestione’ delle norme convenzionali
che ci occupano, ieri GATT ed oggi OMC (..) In tali condizioni, auspico pertanto che la
Corte riveda almeno parzialmente tale giurisprudenza, in primo luogo, evitando di
escludere in modo assoluto e preliminare ogni possibilità di attribuire l’effetto diretto alle
norme OMC che lo consentano … In secondo luogo, si dovrebbe, anche indipendentemente
dall’effetto diretto, fare in modo da consentire agli Stati membri di contestare la legittimità
di atti comunitari rispetto al parametro delle norme OMC. Ritengo invero inaccettabile,
questo sì, l’idea che l’idoneità delle norme OMC, e già del GATT, a fungere da parametro
della legittimità della norma comunitaria nazionale configgente sia condizionata all’effetto
diretto della norma stessa, così come la Corte di Giustizia ha fino ad oggi affermato”156.
156
Tesauro G., cit.
130
Sul punto, con la più alta autorevolezza, anche Giorgio Sacerdoti (1997)157: “Le autorità
negoziali dell’Unione Europea e degli USA si sono espresse peraltro nel senso di non volere
attribuire carattere self-executing o comunque efficacia interna diretta agli Accordi
dell’Uruguay Round … Si tratta di una scelta criticabile, in quanto in contrasto con lo scopo
e il risultato del negoziato … [aggiunge in nota l’Autore: ‘ .. L’esclusione della diretta
applicabilità, dichiarata unilateralmente nell’ambito delle restrizioni consentite all’efficacia
degli impegni ci sembra di dubbia validità in presenza di norme obiettivamente selfexecuting’]”.
Lungo questa linea di osservazione e di ricerca, molto interessanti anche le due
pronunce CGCE (C-300/98 e C-392/98) in cui la Corte afferma che in un campo in cui la
Comunità non ha legiferato, è in capo agli Stati Membri la facoltà di riconoscere o meno
effetto diretto alle disposizioni TRIPs.
“Si tratta di una conclusione interessante, che contrasta con il ragionamento generale
secondo il quale le norme GATT-WTO non sono sufficientemente precise e pertanto sono
inadatte a godere dell’effetto diretto”158.
Il rapporto che in Europa si è andato sviluppando rispetto al quadro istituzionale globale
appare aver diffusamente interiorizzato ambiguità, incertezze e distorsioni della CGCE. Ciò
appare tanto più grave oggi che la competizione mondiale diventa sempre più forte e che
il sistema WTO è in grado di disegnare traiettorie nuove e nitide per la sua regolazione.
Indiretto, ma altissimo, è inoltre l’impatto delle suddette ambiguità - insieme al senso di
deresponsabilizzazione individuale che vi si associa – su una serie di ambienti (scuole,
università, studiosi, professionisti, enti regolatori, media) che nei paesi d’Europa tendono
a vivere il mondo attraverso lo schermo comunitario.
Nel provvedimento n. 8539 del 20 luglio 2000 (“Latte Reggiano”), l’Autorità Garante del
mercato e della concorrenza si è pronunciata su un caso inerente il rapporto tra i diritti dei
consumatori ad una comunicazione corretta ed i diritti dei titolari dei marchi. Interessante
il fatto che l’Autorità, pur mostrando di prescindere dalle regole dell’Accordo WTO sulla
157
G. Sacerdoti, “Profili istituzionali …” cit.
158
Questo il commento di T. Cottier e M. Oesch (T. Cottier e M. Oesch, “The paradox of judicial
review in International Trade Regulation: Towards a Comprehensive Framework”, in: “The Role of
the Judge in International Trade Regulation” a cura di T. Cottier e P.C. Mavroidis – Michigan , 2000)
131
proprietà intellettuale (TRIPs), abbia tuttavia seguito una linea di ragionamento e sia
pervenuta a delle conclusioni
159
che presentano significativi punti di contatto con l’iter
logico-giuridico nel quale si è dovuto impegnare il Panel WTO chiamato nel 2005 a
giudicare sulla controversia (DS 174 – DS 290160) inerente il rapporto tra marchi ed
indicazioni geografiche.
La posizione della CGCE nell’approccio alle norme WTO sembra dunque rivelare chiari
profili di censurabilità. Si tratta peraltro di un comportamento che - come nota Tesauro ha spiegazioni profonde, che sembrano attenere all’attuale configurazione dell’intero
impianto comunitario, originariamente concepito – come si sa e come si è ricordato – per
sottrarre aree della vita al potere delle Autorità per trasferirle alle dinamiche della
concorrenza.
Nel rapportarsi ad un mercato più ampio di quello comunitario, quello mondiale
regolato dagli Accordi WTO, appare lecito chiedersi se e come gli organi comunitari Commissione e Corte di Giustizia - possano restare fedeli alla propria originaria missione
(quale affidatagli dalla Corte Costituzionale italiana, strumentalmente al perseguimento
concreto dei fondamentali ideali espressi nell’art. 11), o se non sia quasi inevitabile che la
159
“A questo proposito si ricorda come, sulla base della normativa vigente a livello sia nazionale che
comunitario, nonché della più recente giurisprudenza amministrativa, debba ritenersi che "gli scopi
perseguiti con la legislazione marchi e con quella sulla pubblicità ingannevole non soltanto non sono
confliggenti, ma anzi convergono, ..., sull'obiettivo dichiarato in entrambe le fonti di evitare ogni
possibile inganno per il pubblico nell'utilizzazione del marchio in genere e, specialmente, nel caso in
cui sia inserito in un contesto pubblicitario. Diversamente opinando si consentirebbe, da un lato, una
sostanziale disapplicazione della già citata specifica garanzia sull'uso corretto del marchio, con
riferimento alla natura, provenienza e qualità del prodotto e, dall'altro, il concreto aggiramento della
legislazione sulla pubblicità ingannevole la quale ha di mira, invece, l'eliminazione di ogni eventuale
forma di detta pubblicità, in qualunque modo sia stata posta in essere, e cioè anche mediante
l'omissione di elementi informativi che servano a mettere il consumatore nella condizione essenziale
per potersi liberamente determinare nel proprio comportamento economico. " (cfr. Sentenza TAR
Lazio n. 2077/99).
Va inoltre rilevato come sia un dato di comune esperienza quello per cui l'attenzione del
consumatore è prevalentemente catturata, per quanto attiene ai prodotti confezionati, dall'etichetta
o dalla confezione del prodotto che, in assenza delle dovute specificazioni, è suscettibile di assorbire
ogni capacità di indagine del consumatore, in particolare, in relazione alla provenienza geografica
delle materie prime” … “RITENUTO, pertanto, che il messaggio in esame, in quanto non specifica la
provenienza geografica del latte utilizzato, è idoneo ad indurre in errore i destinatari circa le
caratteristiche del prodotto con particolare riguardo all'origine geografica dello stesso, potendo per
tale
motivo
pregiudicarne
il
comportamento
economico;
DELIBERA
che il messaggio pubblicitario, descritto al punto 2 del presente provvedimento, diffuso dalla società
Cooperlat S.c.a r.l., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una fattispecie di
pubblicità ingannevole ai sensi degli artt. 1, 2, e 3 del Decreto Legislativo n. 74/92, e ne vieta
l'ulteriore diffusione” [provv. 8539 AGCM].
160
Si veda http://www.wto.org/english/tratop_e/dispu_e/dispu_status_e.htm
132
sopravvivenza di questa dimensione intermedia tenda a caratterizzarsi come nuovo potere
politico, che, in assenza di un’identità autonoma, debba cercare di costruirsene una “per
differenza”, così però ostacolando e ritardando l’affermazione di un efficace sistema
giuridico globale orientato alla equa competizione.
Non può d’altronde sfuggire l’enorme impatto che avrebbe il riconoscimento di un
effetto diretto alle norme WTO avrebbe, con ampie aree della vita che verrebbero ad
essere assorbite dalla giurisdizione del mercato universale, con un’inevitabile erosione
della stessa ragion d’essere degli organi comunitari.
A proposito della freddezza comunitaria rispetto al diritto WTO, anche C. Marcolungo:
“… Tale linea di condotta non è del tutto coerente con le esigenze di certezza del diritto e
di sistema rule-oriented che caratterizzano l’ordinamento del WTO, e pertanto rappresenta
un residuo degli aspetti power-oriented considerati dal Dsb con una certa diffidenza …
L’Organizzazione Mondiale del Commercio svolge ora un ruolo di regolatore su scala
mondiale del mercato degli scambi commerciali. La regolazione si attua specialmente
attraverso gli strumenti tipici del contraddittorio in giudizio, in base ai principi del due
process of law, della ragionevolezza e proporzionalità, della trasparenza ed effettività”161.
Rispetto al recente orientamento al potere del sistema comunitario, va pure annotato il
caustico commento di T. Cottier e M. Oesch162, i quali osservano come la Corte di Giustizia
sia effettivamente generosa nel riconoscere effetto diretto alle norme contenute in quegli
accordi bilaterali che, discendendo evidentemente da una situazione di potere della
Comunità rispetto agli altri contraenti, nascono di per sé già in aderenza agli schemi
comunitari e quindi comportano eventualmente obblighi di adeguamento per gli Stati
membri e per le altre parti contraenti, ma non implicano alterazioni per le strutture del
potere centrale della Comunità. Un legame chiaro e diretto tra l’orientamento al potere,
161
C. Marcolungo, cit.
162
T. Cottier e M. Oesch, “The paradox of judicial review in International Trade Regulation: Towards
a Comprehensive Framework”, in: “The Role of the Judge in International Trade Regulation” (a cura
di T. Cottier e P.C. Mavroidis – Michigan , 2000): “it is interesting to observe that direct effect of
agreements is much less controversial where such effects on internal power structures are not likely
to occur. The European Court of Justice directly applies regional FTAs (..) or the Lomè Convention
(..), both of which are essentially shaped in accordance with EC law. Moreover, direct effect is likely
to where obligations are imposed on Member States or foreign countries, but not the bodies of the
EC, properly speaking. The problem of direct effect therefore has to be analyzed and further studied
133
piuttosto che al diritto ed al mercato, della Comunità Europea e la negazione dell’effetto
diretto delle norme WTO viene confermato dagli stessi autori, quando163 ricordano che la
esplicita negazione dell’effetto diretto, da parte degli USA, riflette un trasparente
approccio mercantilista orientato al potere. Una differenza, che va però ricordata, discende
però dal fatto che l’esistenza in vita degli USA non si lega alla necessaria sopravvivenza di
un siffatto orientamento al potere, perché essa può fondarsi sulla solidità di una nazione
americana.
Molte le riflessioni che derivano dall’osservazione di questa parabola. La più cupa di
queste si lega al rischio di un atteggiamento, da parte degli organi comunitari, che sia
dettato da nuove proprie ragioni di necessità esistenziale piuttosto che da quelle, orientate
al diritto e al mercato, dei propri “mandanti” e che dunque ricerchi vie di fuga rispetto a
quel declassamento che, nello schema dell’art. 11 Cost., era connaturato allo stesso atto
costitutivo del mercato unico europeo, riletto oggi alla luce dello sviluppo di un sistema
istituzionale finalmente condiviso (WTO) su scala globale, capace di poter conseguire una
nuova unità, nel commercio e nella pace.
Sulla perfetta complementarità tra l’esperienza, spirituale ed istituzionale, della Nazione
e la prospettiva globale, attualissima risulta oggi la lezione offerta da Meuccio Ruini,
presidente della Commissione Costituente (cd. Commissione dei 75), nella discussione che
si sviluppò in seno all’Assemblea Costituente164 a proposito della stesura dell’art. 11 della
Costituzione
italiana.
La
consapevolezza
di
Ruini
circa
i
rischi
che
l’eventuale
istituzionalizzazione di una dimensione regionale sovranazionale, in sé definitiva ed
autonoma, avrebbe potuto generare rispetto agli auspici che la dinamica della pace e la
giustizia potesse invece avere una gioiosa proiezione globale, è così diventata una
fondamentale consapevolezza, giuridicamente stringente, del popolo e dell’ordinamento
italiano:
in the context of such effects which are ultimately limked to power allocation and, in particular, to
democratic legitimacy of treaty-making”.
163
T. Cottier e M. Oesch, cit.: “As US law bars direct effect, this argument is honest, but essentially
reflects a power-oriented mercantilist approach”.
164
La discussione ebbe luogo nella seduta dell’Assemblea Costituente del 24 marzo 1947, durante la
quale fu discusso e approvato l’attuale art.11, che era allora l’art. 4 del progetto di Costituzione
presentato dalla Commissione dei Settantacinque (G. Busia, “Più democrazia nel processo di ratifica
dei trattati comunitari: un rischio da correre”, in “Appunti Europei”, a cura di F. Arcelli, Quaderni
Thesmos, Rubbettino 2002).
134
“In verità,
però,
nei dibattiti in
Assemblea costituente era stata prospettata
l’opportunità di inserire nella disposizione uno specifico riferimento anche a eventuali
organizzazioni di carattere europeo (proposta Bastianetto). Sul punto, il Presidente della
Commissione per la Costituzione, Ruini, nel replicare che questo specifico riferimento non
sembrava riscuotere nei costituenti sufficiente appoggio, in quanto limitarsi ai confini
europei ‘non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l’America, che desiderano di
partecipare all’organizzazione internazionale’, concludeva però il suo intervento precisando
che il testo della Commissione, ‘mentre non esclude la formazione di più stretti rapporti
nell’ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la
giustizia fra tutti i popoli’ ”165.
Dotando il Paese del proprio orizzonte, Ruini creava i presupposti perché oggi l’Italia
possa coerentemente e legittimamente proporsi come forza capace di sviluppare, anche in
Europa, una nuova e sana tensione cosmica verso il cum-petere, che sia concretamente,
personalmente e quotidianamente operante.
Chiosa Tesauro: “Osservo anzitutto che ove fosse pacifico che vi sono settori di
disciplina oggetto di competenza riservata ai soli Stati membri, potrebbe anche convenirsi
sulla non assoluta necessità di una perfetta sintonia di applicazione, e quindi di
interpretazione, delle differenti norme di un accordo misto; meglio, una interpretazione
centralizzata nella Corte di Giustizia relativamente a tutti i settori della disciplina che
interessa ben potrebbe non essere considerata indispensabile. Tanto più non lo sarebbe se
si pensasse alle distonie che conseguirebbero all’attribuzione alla Corte dell’ultima parola
sull’interpretazione degli accordi misti nel loro insieme. Ad esempio, vi sarebbe da
chiedersi se sia corretto che il giudice o anche l’amministrazione nazionali siano vincolati nell’applicazione di norme convenzionali di cui sostanzialmente sia parte esclusivamente lo
Stato (e non anche la Comunità) - a seguire l’interpretazione della Corte e non, faccio
un’ipotesi, l’interpretazione sua ovvero di un Panel OMC, espressa nell’ambito del
meccanismo di soluzione delle controversie, tenuto conto peraltro delle inevitabili
conseguenze sotto il profilo della responsabilità …”.
165
Relazione finale in tema di forme e condizioni di partecipazione dell’Italia alle organizzazioni
internazionali e al processo di integrazione europea, cit. (2004).
135
6
La posizione italiana sul principio fondamentale della pace e giustizia nel
mondo, dopo la sottoscrizione degli Accordi dell'Uruguay Round
Il piano originario al termine della Seconda Guerra Mondiale era quello di istituire, tra le
Agenzie specializzate delle Nazioni Unite, anche un’Organizzazione Internazionale del
Commercio.
“Nelle intenzioni delle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, la gestione del
commercio internazionale doveva essere affidata ad un sistema normativo e istituzionale
ben più complesso (non limitato, come era invece originariamente il GATT, alla materia
delle tariffe doganali e a poche altre forme di restrizioni agli scambi di merci) e situato
all’interno di un quadro globale di ricostruzione dell’economia mondiale. Un intento siffatto
era stato manifestato già prima della fine della guerra e risaliva ad un progetto di
rifondazione dell’economia internazionale imperniato sulla libertà degli scambi, la non
discriminazione e la reciprocità … Su queste basi prese corpo, cessate le ostilità belliche,
una proposta organica (la Suggested Charter fora n International Trade Organization of
the United Nations) che fu oggetto di negoziati multilaterali nel quadro della Conferenza
delle Nazioni Unite sul commercio e l’occupazione, convocata nel febbraio del 1946 e
conclusasi a L’Avana il 24 marzo 1948”166.
“As is well known, the original plan at the end of World War Two had been to create an
International Trade Organization alongside with several other specialized agencies of the
United Nations. The constitutive instrument of this organization was signed at Havana on
24 March 1948”167.
La fusione della prospettiva Ruini dell’art. 11 Cost. con le posizioni autorevolmente
espresse sul tema del riconoscimento dell’effetto diretto delle norme WTO, sembrano
costituire la premessa per una possibile nuova esplorazione del rapporto tra l’ordinamento
italiano e quello WTO, che si fondi sulla rinuncia alle posizioni pregiudiziali o retoriche e
sulla ricerca del diritto attraverso i fatti.
166
P. Picone – A. Ligustro, “Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio”, Cedam 2002.
167
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International:
136
Grazie alle chiavi di lettura che sono venute emergendo, sembrerebbero sussistere oggi
ragioni sufficienti per rendere almeno legittima una lettura critica della dinamica in atto a
livello comunitario (“lasciare alle istituzioni politiche, cioè alla Commissione ed al
Consiglio, la interpretazione e più in generale la ‘gestione’ delle norme convenzionali che ci
occupano, ieri GATT ed oggi OMC”, Tesauro), rapportandola a quella che era la ragion
d’essere originaria di “quella” Comunità che aveva ricevuto - pur nello schema “globale” di
Meucci - il placet della Corte Costituzionale italiana nel 1973 e tenendo nel contempo
presenti le novità intervenute nello scenario mondiale, tra cui la nascita, nel 1995, del
sistema WTO: un sistema giuridico che, su base mondiale, sopprimendo quote di potere in
capo alle Autorità centrali e diluendone altre in un complesso di regole basato sui principi
della concorrenza, sembra in grado di poter credibilmente promuovere la concreta
attuazione degli ideali della pace e della giustizia168 tra le Nazioni di tutto il mondo.
Come si esprimerebbe la nostra Corte Costituzionale se fosse chiamata ad assolvere al
ruolo169
inerente
la
verifica
di
conformità
dell’azione
comunitaria
con
i
principi
168
Tra i tanti in tal senso: David Palmeter “The WTO as a legal system”; Arie Reich, “From
Diplomacy to Law: The Juridicization of International Trade Relations”; Michael K. Young, “Dispute
Resolution in the Uruguay Round: Lawyers Triumph over Diplomats”; Tomer Brode “International
Governance in the WTO: Judicial Bounderies, Political Capitulation”; Debra Steger “Peace Through
Trade: Building the World Trade Organization” (Cameron May). Si ascolti anche l’autorevole voce del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Commercio, sviluppo e lotta alla povertà, 18
novembre 1999): “il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace desidera esprimere il proprio
apprezzamento per l’opera della WTO, tesa a liberalizzare il commercio internazionale nel contesto di
un sistema basato su regole certe”. Non deve spaventare riconoscere l’ampiezza della prospettiva su
cui la propensione alla relazione umana che si esercita attraverso il commercio mondiale svolge la
propria benefica tensione: “La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve
aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze … Noi, continuamente,
chiudiamo le nostre porte; continuamente, vogliamo metterci al sicuro e non essere disturbati dagli
altri e da Dio. Perciò possiamo continuamente supplicare il Signore soltanto per questo, perché egli
venga a noi superando le nostre chiusure e ci porti il suo saluto” (Omelia di Sua Santità Benedetto
XVI, Basilica di San Pietro, Domenica di Pentecoste, 15 maggio 2005).
169
“Nell'escludere la sindacabilità dei regolamenti in quanto atti di un altro ordinamento, che
possiede propri strumenti di controllo giurisdizionale e politico, la Corte si è posta anche il problema
di una loro eventuale violazione di principi fondamentali del diritto italiano o di diritti inalienabili delle
persone: in tal caso verrebbero meno i presupposti indicati dall'art.11 Cost. per legittimare
l'adesione italiana alla CEE e di conseguenza la Corte potrebbe sindacare la legge di esecuzione del
Trattato stesso. Tale ipotesi è stata considerata peraltro sommamente improbabile, stanti le limitate
competenze normative attribuite alle Comunità , ma è interessante rilevare che, adita su una
questione simile, la Corte Costituzionale tedesca, che pure poteva fondarsi su un art.24 di contenuto
analogo al nostro art.11, ha dato una soluzione opposta, accettando bensì la natura di norma
eterooma dei regolamenti, ma considerandosi competente a sindacarne la compatibilità con i diritti
fondamentali e a ritenerli inapplicabili sul territorio germanico, sintanto che le garanzie in materia di
democraticità e di tutela dell'individuo offerte dall'ordinamento comunitario non siano equiparabili a
quelle dettate dalla legge fondamentale (sentenza del 29.5.74). Questa attenzione della Corte
Costituzionale per la tutela dei diritti del cittadino tedesco - considerati intangibili anche da parte di
137
fondamentali della Costituzione italiana? In particolare, come la Corte valuterebbe il
mancato riconoscimento, da parte degli organi comunitari, dell’applicabilità diretta della
normativa WTO, rispetto ai principi fondamentali di pace e giustizia fra le Nazioni,
enunciati all’art. 11 dell’ordinamento costituzionale italiano?
Si tratterebbe, ricordiamolo, di null’altro che dell’esercizio di quella funzione di
vigilanza, che la Corte Costituzionale italiana si era espressamente riservata nel 1973,
quando accordò e perimetrò un mandato alla Comunità Economica Europea.
“E’ appena il caso di aggiungere che in base all’art. 11 della Costituzione sono state
consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi
indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel
Trattato di Roma – sottoscritta da Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato
di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini -, possano comunque comportare
per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali
del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. Ed è
ovvio che qualora dovesse mai darsi all’art. 189 una sì aberrante interpretazione, in tale
ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di
questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi
fondamentali …” (l’enfasi è di scrive). (Sentenza 183 del 1973).
Chiamata ad un tale compito, la Corte Costituzionale certamente non potrebbe ignorare
le novità insite negli Accordi finali dell'Uruguay Round, approvati nel 1994.
“Se, come alcuni ipotizzano, la competizione economica e commerciale sostituirà in
norme comunitarie, se pure a prezzo di una ricostruzione dei rapporti tra ordinamenti meno elegante
e formalmente inattaccabile di quella adottata dalla Corte italiana - così come i frequenti rinvii in via
pregiudiziale da parte di giudici di merito che chiedevano alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in
ordine all'invalidità di atti comunitari di cui si asseriva la violazione di diritti tutelati in Germania,
hanno avuto l'effetto di influenzare profondamente la Corte di Giustizia CEE, inducendola ad adottare
una giurisprudenza in materia di diritti dell'uomo più aperta e garantista di quanto affermato quasi a
titolo eccezionale in un primo tempo , e ad affermare l'illegittimità ‘di provvedimenti incompatibili
con i diritti fondamentali riconosciuti dalle costituzioni’ degli Stati membri e con i trattati sui diritti
dell'uomo da questi ratificati . E' questo un valido esempio di quella collaborazione e interazione
reciproca tra ordinamenti comunitario e interni, e soprattutto tra i rispettivi apparati giurisdizionali,
cui si faceva sopra cenno e al quale non sempre l'Italia ha saputo dare un apporto significativo”
(Claudia Morviducci, “Costituzione italiana e istituzioni europee”, Seminario sul tema “Costituzione e
Repubblica” - aprile/ottobre 1997).
138
importanza e in potenzialità di conflitti quella politico-militare tradizionale e l’OMC quindi
fosse destinata a diventare l’ONU del XXI secolo …”170.
“… il risultato fondamentale dell’Uruguay Round, sotto il profilo giuridico, fu quello di
trasformare il GATT in un trattato internazionale debitamente negoziato e sottoscritto, in
accordo con gli standards della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, e di
tramutare
in
tal
modo
l’accordo
GATT
in
un’Organizzazione
Internazionale,
con
un’appropriata struttura costituzionale, avente una propria personalità, una capacità
decisionale ed un genuino sistema di risoluzione delle controversie”171.
La più importante di queste novità - si riconosce pressoché unanimemente - consiste
non tanto nella pur storica istituzione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio
“A cinquant'anni dal tentativo fallito con il progetto della Carta dell'Avana per
l'istituzione dell'ITO, è stato così completato e sviluppato in sintonia con i tempi il vecchio
disegno di organizzazione ...”172.
“The World Trade Organization officially was established on January 1, 1995, as the
successor to GATT and as the legal and institutional foundation of the international trading
system”173
quanto nel potenziamento di una sua dimensione, quella giudiziaria, nella quale può
identificarsi l'introduzione di una funzione impersonale di sopranazionalità, che trae dal
170
Sacerdoti G., “Profili istituzionali della WTO e principi base degli Accordi di settore”, in “Diritto e
Organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del
Commercio” (Società Italiana di Diritto Internazionale, II Convegno, Milano, 5-7 giugno 1997)
(Editoriale Scientifica).
171
Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from
a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “… the
fundamental result of the Uruguay Round, legally speaking, was to transform the General
Agreement into an international treaty duly negotiated and put into force, according to the
standards of the Vienna Convention on Treaty Law, and to transmute by this the General Agreement
into an international organization, with an appropriate constitutional structure, having its own
personality, a decisional capacity and a system of genuine dispute settlement” (la traduzione è di chi
scrive).
172
P. Picone, A. Ligustro, cit.
139
diritto la propria legittimazione ed il proprio fine, e che sa fondere commercio ed equità
attraverso l’istanza della giurisdizione.
“L'Intesa
sulle
norme
e
sulle
procedure
che
disciplinano
la
risoluzione
delle
controversie, inclusa nell'Allegato 2 all'Accordo OMC, costituisce una delle più importanti
innovazioni
apportate
al
termine
dell'Uruguay
Round
[1994]
all'ordinamento
del
commercio internazionale.
La principale funzione dell'OMC consiste nel garantire il funzionamento della procedura
contenziosa prevista dall'Intesa. Se su un piano strettamente istituzionale il maggior
risultato ottenuto al termine dell'Uruguay Round consiste nell'istituzione di una nuova
organizzazione competente nel settore delle relazioni commerciali internazionali, su un
piano procedurale l'innovazione più importante concerne la revisione del meccanismo di
soluzione delle controversie applicato nei rapporti tra le parti contraenti del GATT 1947.
Uno dei principali elementi di novità contenuti nell'Intesa è dato dalla disciplina del
processo decisionale in seno all'Organo di soluzione delle controversie. L'art. 2, paragrafo
4 prescrive che il DSB, ogniqualvolta sia chiamato ad adottare una decisione, è tenuto a
seguire la procedura del consensus. Tuttavia, in tre circostanze particolari viene posta una
deroga a tale regola di carattere generale. Una di queste concerne, per l'appunto, l'avvio
della procedura del Panel: in base all'art. 6, paragrafo 1 la costituzione del gruppo di
esperti viene approvata dal DSB al più tardi nel corso della riunione successiva a quella in
cui la relativa richiesta è stata inclusa per la prima volta nell'ordine del giorno, a meno che
l'organo stesso non decida per consensus in senso contrario ... Si è in tal modo invertita la
prassi precedentemente applicata in seno al GATT, la quale di fatto conferiva alla parte
contro cui il reclamo era presentato un vero e proprio diritto di veto. Nel sistema attuale
sussiste piuttosto un diritto al Panel a beneficio del membro che ricorre al meccanismo
contenzioso, e ciò sulla base dell'automaticità con cui la decisione di costituzione è
adottata”174.
173
Palmeter D., Mavroidis P. C., cit.
174
G. Adinolfi, L'Organizzazione Mondiale del Commercio, Cedam, 2001.
140
Nella medesima prospettiva, va altresì opportunamente rimarcato il fatto che “con
l’istituzione di un Organo di Appello, il sistema giuridico dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio ha acquisito un’importante caratteristica propria di tutti i sistemi giuridici
maturi: la separazione del potere giudiziario dagli altri organi di governance (o, in questo
caso, dell’organizzazione)”175.
Il sistema GATT è stato dunque trasformato nella sua essenza dagli elementi di novità
introdotti alla fine dell'Uruguay Round. Elementi la cui altissima portata può peraltro
evincersi, a contrario, anche dalla pertinente giurisprudenza della Corte Costituzionale
italiana antecedente al 1994, in cui di tali elementi si lamentava l’assenza.
In particolare, la Corte Costituzionale era stata invitata a pronunciarsi sulla questione
dell'effetto diretto delle norme GATT in Italia, ritenendo alcuni Tribunali ("giudice a quo")
che esso (l'effetto diretto) potesse e dovesse considerarsi operante, in forza dell'art. 11
Costituzione, in quanto - si sosteneva - gli ideali costituzionale di pace e giustizia fra le
Nazioni avevano con le norme GATT il medesimo rapporto precedentemente riconosciuto
alle norme CEE.
Si estrae testualmente dalla sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 96 del 1982,
nella quale le parti attrici chiedevano l’applicabilità diretta delle norme GATT:
“Ritenuto in fatto:
… Si osserva, poi, che con sentenza 183/73 questa Corte ha posto taluni fondamentali
principi. Le limitazioni di sovranità - e così di tutte le tradizionali funzioni dello Stato:
legislativa, esecutiva, giurisdizionale - opererebbero in forza dell'art. 11 Cost., anche con il
mezzo della legge ordinaria, che serve ad autorizzare la ratifica del Trattato e rendere
interamente efficaci le norme in esso poste ... Da ciò segue, continua la difesa di parte
privata, che le norme prodotte dagli organi sovranazionali hanno diretta efficacia in Italia,
senza peraltro sottostare al regime costituzionale dettato per le leggi nazionali,
segnatamente negli artt. 23, 75, 81 e 134 del testo fondamentale.
... Dalla suddetta pronunzia della Corte deriverebbe altresì, che la limitazione della
sovranità statuale, ex art. 11 Cost., può valere, a maggior ragione, per il contenuto delle
175
Palmeter D., Mavroidis P. C., cit. [la traduzione è di chi scrive].
141
singole leggi, nel senso che le manifestazioni di volontà del legislatore statuale devono
cedere di fronte alle statuizioni incompatibili di alcun Trattato, coperto dal disposto
costituzionale in esame. Precisamente, si assume che il sistema del GATT sia analogo a
quello dell'ordinamento delle Comunità Europee, sebbene abbia finalità e strutture più
ridotte di quelle comunitarie. Si tratterebbe pur sempre di una organizzazione investita di
proprie competenze, che si pone come autonoma rispetto agli Stati membri”.
Interessanti, in ottica non solo retrospettiva, le ragioni addotte in quella circostanza
(caso n. 96 del 1982) dall'Avvocatura di Stato, in difesa della Presidenza del Consiglio, per
negare la legittimazione delle norme GATT ex art. 11 Cost.
“Del pari, ad avviso dell'Avvocatura, resta esclusa la prospettata lesione dell'art. 11
Cost.. A quest'altra statuizione costituzionale l'Avvocatura annette il significato d'una
norma, che consente, tutt'al più, limitazioni della sovranità statuale, ma dalla quale non
discende automaticamente la prevalenza delle norme contenute nel Trattato rispetto alle
confliggenti norme interne. In riferimento al parametro ora considerato, la subordinazione
della legge al Trattato si prospetterebbe solamente là dove la limitazione della sovranità
nazionale statuale si connette, in conformità della previsione costituzionale, con
l'instaurazione di tali enti analoghi alla CEE ed il perseguimento dei fini ad essi
istituzionalmente devoluti. Il GATT, semplice accordo tariffario e commerciale,
rimarrebbe tuttavia fuori da questa prospettiva, essendo d'altra parte rimasto inattuato
l'originario disegno di un'International Trade Organization, diretto a superare gli
schemi protezionistici su base sopranazionale” (Premessa. Sentenza 96/82 della Corte
cost.). [l’enfasi è di chi scrive]”.
“Di fronte ad un tale orientamento giurisprudenziale il Tribunale di Milano ritiene di
dover prospettare alla Corte la seguente questione di costituzionalità: … Con ciò, sarebbe
violato anche l'art. 11 della Costituzione, sull'assunto che il GATT possa assimilarsi
all'accordo istitutivo delle Comunità Europee e godere di analoga copertura costituzionale”
(Premessa. Sentenza 96/82 della Corte cost.).
“In prossimità dell'udienza, la difesa delle Società Castoldi ed altre produce una
memoria aggiuntiva. Ivi si osserva che l'unico rimedio nei confronti dell'errore del
legislatore o dell'eccesso di potere legislativo - dove non si abbia alcun intervento
correttivo da parte dello stesso organo legiferante - è offerto dal sindacato di
costituzionalità. La presente questione, del resto, si atteggerebbe sostanzialmente negli
142
stessi termini di quella concernente i cosiddetti diritti di visita sanitaria, decisa dalla Corte
con la sentenza n. 163 del 1977. La norma nazionale istitutiva di tale diritto, allora
censurata, per asserita violazione dell'art. 11 Cost., in quanto incompatibile con il divieto
del dazio doganale sancito nella normativa CEE, è stata a tal titolo dichiarata
incostituzionale dalla Corte” (Premessa. Sentenza 96/82 della Corte Cost.).
“Ad avviso del Tribunale di Milano, il trattamento fiscale così configurato discrimina
ingiustificatamente il prodotto importato da quello interno. Di qui la presente questione,
così proposta all'attenzione della Corte: … Con ciò si deduce che l'una e l'altra delle
disposizioni in esame sono costituzionalmente illegittime, o per immediato contrasto con
l'art. 11 della Costituzione, in relazione alle norme che hanno autorizzato la ratifica del
GATT e lo hanno reso internamente efficace, e sull'assunto che detto Accordo vada,
quanto ai rapporti con le fonti interne, assimilato al Trattato istitutivo della CEE”
(Premessa. Sentenza Corte Cost. 96/82).
Nel giudicare sulla questione, la Corte Costituzionale italiana non si spinse nel 1982 ad
accogliere o negare, in radice e in generale, l'applicabilità diretta del sistema di norme
GATT, ma ritenne che una posizione dovesse essere subordinata alle valutazioni da
compiersi in ragione della natura delle singole norme e quindi della loro effettiva chiarezza
e precisione.
“La documentazione fatta pervenire dal Ministero degli Affari Esteri in ottemperanza a
detto provvedimento dimostra che in seno al GATT sussiste divergenza di vedute sul modo
come, nell'ordinamento interno di ciascun contraente, deve operare il divieto di peggiorare
il trattamento tributario del prodotto importato rispetto a quello del similare prodotto
nazionale: al punto che, nelle sedi competenti, non si è inteso, né potuto, adottare alcuna
statuizione interpretativa dell'Accordo, in forza della quale la tesi della parità delle singole
aliquote del tributo possa, come si vorrebbe dalle parti private, ritenersi preferita a quella
del carico complessivo fiscale sui prodotti in considerazione. (Cfr. il citato Analytical Index,
sub art. III, 2, alla voce 5 (c), che fa specifico riferimento alle tasse interne incidenti su
più stadi del ciclo di produzione: 3 s/210211 para. 10)” (sent. Corte cost. 96/82).
La Corte Costituzionale, già nel 1982, mostrava comunque di riconoscere una chiara
analogia di missione tra l'ordinamento CEE e l'ordinamento GATT.
“Il criterio del complessivo carico fiscale, opera già, nel nostro ordinamento, con
riguardo alla clausola di parità tributaria del Trattato di Roma (art. 95), la quale è fuor di
143
dubbio analoga a quella in esame, dal momento che la CEE promuove e tutela - non
diversamente dal GATT: anzi, con tutte le istituzionali risorse di un ente sovranazionale la libertà di scambio e commercio dei rapporti fra gli Stati membri”.
Nel caso in esame, la Corte negò la sussistenza di un rapporto diretto tra l'art. 11 Cost.
e le specifiche norme GATT richiamate: ciò accadeva, si badi, nel 1982, ben prima delle
novità che sarebbero state introdotte con l’Uruguay Round nonché degli straordinari
avanzamenti
che
la
giurisprudenza
WTO
avrebbe
poi
concretamente
assicurato
all’ampiezza ed alla forza del sistema.
Un nuovo caso, relativo al rapporto tra le norme GATT e l’art. 11 della Costituzione,
veniva sottoposto alla Corte Costituzionale italiana nel 1985.
Si estrae dal testo della sentenza della Corte Cost. n. 219 del 1985: “Secondo il giudice
a quo la pretesa violazione dell'art. III del Trattato GATT determinerebbe il contrasto con
l'art. 11 Cost., secondo un ordine di idee parallelo a quello espresso da questa Corte con
riguardo al Trattato della CEE”.
Rispetto alla posizione dell’Avvocatura
L'art. III del Trattato GATT non può ritenersi una norma self-executing, e come tale
idonea ad inserirsi nell'ordinamento, ma va considerata solo espressione di un impegno da
perseguire attraverso la normativa interna.
e a quella del Giudice a quo
… L'asserita infrazione all'art. III del GATT implicherebbe l'illegittimità costituzionale
della norma istitutiva dell'imposta di conguaglio, per contrasto con l'art. 11 Cost.. Tale
disposto del testo fondamentale, ritiene il giudice a quo, garantisce l'osservanza del GATT
da parte del legislatore, non diversamente da come, secondo la giurisprudenza della Corte
richiamata dall'ordinanza di rinvio (cfr. sent. n. 183/73), accade per il Trattato di Roma,
riguardante l'istituzione della CEE
così concluse la Corte, ancora una volta ancorando la propria pronuncia ad un certo
modo di essere, in un certo tempo (1985), del sistema GATT:
5.1 - Dalla sentenza n. 96/82 discende, anzitutto, che la questione proposta in
relazione all'art. 11 Cost. non è fondata. A tacer d'altro, la legge di esecuzione del GATT
non deve, né può essere assimilata, sul piano delle fonti interne, a quella emanata per
conferire efficacia interna al Trattato di Roma: la quale ultima, in conformità ed
adempimento di tale precetto costituzionale, ha autorizzato la limitazione dei poteri
144
sovrani dello Stato e il relativo trasferimento ad un ente del tipo sovrannazionale, come
esigeva l'ingresso dell'Italia nell'ordinamento del Mercato Comune. Il GATT, per
parte sua, è solo un accordo tariffario e commerciale. (l’enfasi è di chi scrive).
Rispetto agli argomenti della Corte Costituzionale, diventa opportuno qui nuovamente
ricordare che, a partire dal 15 aprile 1994, il sistema GATT si è trasformato in un sistema,
amministrato da un’Organizzazione ad hoc (Organizzazione Mondiale del Commercio),
basato sui seguenti accordi:
1.
Accordo generale sulle tariffe e il commercio (cd. Accordo GATT) 1994;
2.
Accordo sull’Agricoltura;
3.
Accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie;
4.
Accordo sui tessili e l’abbigliamento;
5.
Accordo sulle barriere tecniche agli scambi;
6.
Accordo
sulle
misure
relative
agli
investimenti
che
incidono
sugli
scambi
commerciali;
7.
Accordo
sull’applicazione
dell’art.
VI
dell’Accordo
GATT
1994 (cd.
Accordo
Antidumping);
8.
Accordo relativo all’applicazione dell’art. VII dell’Accordo GATT 1994 (cd. Accordo
per la
valutazione delle merci in dogana);
9.
Accordo sulle ispezioni pre-imbarco;
10. Accordo sulle regole d’origine;
11. Accordo relativo alle procedure in materia di licenze d’importazione;
12. Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative;
13. Accordo sulle misure di salvaguardia;
14. Accordo generale sugli scambi di servizi;
15. Accordo sugli aspetti di dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio;
16. Intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle
controversie;
17. Meccanismo di esame delle politiche commerciali;
145
18. 4 Accordi commerciali plurilaterali.
Se si tiene inoltre conto che alcune delle più delicate controversie (US-Gasoline, USShrimp, EC-Asbestos), sorte nel primo decennio di vita dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio, hanno riguardato l’art. XX GATT, nel quale si prescrive che il modo in cui le
regolazioni nazionali proteggono diversi interessi pubblici fondamentali - quali, ad
esempio,
la
morale
pubblica,
il
patrimonio
conservazione delle risorse naturali esauribili
artistico,
storico
o
archeologico,
la
- non devono comunque configurare
discriminazioni arbitrarie o ingiustificate, può forse risultare più agevole comprendere
attraverso quali dinamiche le regole coperte dall’Organizzazione Mondiale del Commercio
tendano ormai inarrestabilmente ad espandersi a tutti i settori che sono oggetto di scambi
commerciali176.
“Una teoria che renderebbe assai più incisivo e plausibile il riconoscimento dei diritti del
singolo operatore economico è senza dubbio quella dell’effetto diretto delle norme WTO …
Ciò nonostante, in altri paesi, ad esempio in Argentina, viene riconosciuto l’effetto diretto
delle norme WTO: in tale paese, quindi, i giudici nazionali possono pronunciarsi
sull’eventuale incompatibilità di atti interni con le norme dell’ordinamento mondiale del
commercio, che costituiscono il parametro della loro legittimità … La Corte di Giustizia …
ha affermato più volte la sua contrarietà a riconoscere effetto diretto alle norme Gatt …
Tale posizione è stata criticata da parte di vari studiosi (..) poiché riduce le potenzialità
applicative del sistema WTO, offre minor tutela ai privati, ed infine non è, allo stato delle
cose, giustificabile sulla base della flessibilità dell’accordo Gatt, ormai chiaramente
improntato ad un legalistic approach… Indiscutibilmente i singoli godrebbero di tutela più
adeguata ed effettiva in caso di riconoscimento dell’effetto diretto delle norme WTO (…).
Dato il deciso rifiuto di tale soluzione da parte della Corte di Giustizia delle Comunità
Europee, alcuni autorevoli studiosi hanno cercato una via alternativa e posto la questione
in termini di effettiva tutela dei singoli e dei loro diritti fondamentali (..)”.177
Anche se gli occhi di molti sembrano non essere pronti a vederlo, a noi sembra chiaro
176
Si è già detto di altre regole di analogo tenore contenute negli Accordi WTO (ad es. l’Accordo
sulle barriere tecniche al commercio - art. 2.2 - tratta della legittimità delle modalità di tutela degli
obiettivi di sicurezza nazionale, salute, protezione della vita umana, animale e vegetale;
interessante anche l’art. X:3 b GATT, in cui si pongono regole inerenti il funzionamento dei sistemi
giudiziari nazionali).
146
che il 15 aprile 1994 a Marrakesh ha preso luce il sistema istituzionale capace di
promuovere una tensione universale178 verso l’unità, nel commercio, nel diritto, nella pace
e nella giustizia. Quel giorno, la parabola auspicata da Meuccio Ruini poteva dirsi
completata.
“The GATT 1994 is a constitutional agreement like the EC Treaty” 179
180
.
“Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla” (Lao
Tze).
177
C. Marcolungo, cit.
178
Al 31 maggio 2005, i Membri WTO sono 148 e per molti altri importanti Paesi - tra cui
Afghanistan, Algeria, Andorra, Azerbaijan, Bahamas, Bielorussia, Etiopia, Iran, Iraq, Libano, Libia,
Russia, Arabia Saudita, Serbia, Sudan, Vietnam – il processo negoziale per l’accesso
all’Organizzazione Mondiale del Commercio è in corso.
179
Judson Osterhoudt Berkey, cit.
180
“The true problem: transition from GATT to the new WTO constitution”, P. Pescatore, cit.
147
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Allegato 1: Lista dei membri dell’OMC
Albania: 8 settembre 2000
Angola: 23 novembre 1996
Antigua e Barbuda: 1° gennaio 1995
Antille olandesi: 1° gennaio 1995
Argentina: 1° gennaio 1995
Armenia: 5 febbraio 2003
Australia: 1° gennaio 1995
Austria: 1° gennaio 1995
Bahrein, Regno del: 1° gennaio 1995
Bangladesh: 1° gennaio 1995
Barbados: 1° gennaio 1995
Belgio: 1° gennaio 1995
Belize: 1° gennaio 1995
Benin: 22 febbraio 1996
Bolivia: 12 settembre 1995
Botswana: 31 maggio 1995
Brasile: 1° gennaio 1995
Brunei: 1° gennaio 1995
Bulgaria: 1° dicembre 1996
Burkina Faso: 3 giugno 1995
Burundi: 23 luglio 1995
Cambogia: 13 ottobre 2004
Camerun: 13 dicembre 1995
Canada: 1° gennaio 1995
Ciad: 19 ottobre 1996
Cile: 1° gennaio 1995
Cina: 11 dicembre 2001
Cipro: 30 luglio 1995
Colombia: 30 aprile 1995
Congo: 27 marzo 1997
Corea del Sud: 1° gennaio 1995
Costa d’Avorio: 1° gennaio 1995
Costa Rica: 1° gennaio 1995
Croazia: 30 novembre 2000
Cuba: 20 aprile 1995
Danimarca: 1° gennaio 1995
Dominica: 1° gennaio 1995
Ecuador: 21 gennaio 1996
Egitto: 30 giugno 1995
El Salvador: 7 maggio 1995
Emirati Arabi Uniti: 10 aprile 1996
Estonia: 13 novembre 1999
Ex Repubblica jugoslava di Macedonia (FYROM): 4 aprile 2003
Fiji: 14 gennaio 1996
Filippine: 1° gennaio 1995
Finlandia: 1° gennaio 1995
Francia: 1° gennaio 1995
152
Gabon: 1° gennaio 1995
Gambia: 23 ottobre 1996
Georgia: 14 giugno 2000
Germania: 1° gennaio 1995
Ghana: 1° gennaio 1995
Giamaica: 9 marzo 1995
Giappone: 1° gennaio 1995
Gibuti: 31 maggio 1995
Giordania: 11 aprile 2000
Grecia: 1° gennaio 1995
Grenada: 22 febbraio 1996
Guatemala: 21 luglio 1996
Guinea Bissau: 31 maggio 1995
Guinea: 25 ottobre 1995
Guyana: 1° gennaio 1995
Haiti: 30 gennaio 1996
Honduras: 1° gennaio 1995
Hong Kong: 1° gennaio 1995
India: 1° gennaio 1995
Indonesia: 1° gennaio 1995
Irlanda: 1° gennaio 1995
Islanda: 1° gennaio 1995
Isole Salomone: 26 luglio 1996
Israele: 21 aprile 1995
Italia: 1° gennaio 1995
Kenya: 1° gennaio 1995
Kuwait: 1° gennaio 1995
Kyrgyzstan: 20 dicembre 1998
Lesotho: 31 maggio 1995
Lettonia: 10 febbraio 1999
Liechtenstein: 1 settembre 1995
Lituania: 31 maggio 2001
Lussemburgo: 1° gennaio 1995
Macao: 1° gennaio 1995
Madagascar: 17 novembre 1995
Malawi: 31 maggio 1995
Maldive: 31 maggio 1995
Malaysia: 1° gennaio 1995
Mali: 31 maggio 1995
Malta: 1° gennaio 1995
Marocco: 1° gennaio 1995
Mauritania: 31 maggio 1995
Mauritius: 1° gennaio 1995
Messico: 1° gennaio 1995
Moldova: 26 luglio 2001
Mongolia: 29 gennaio 1997
Mozambico: 26 agosto 1995
Myanmar: 1° gennaio 1995
Namibia: 1° gennaio 1995
Nepal: 23 aprile 2004
Nicaragua: 3 settembre 1995
Niger: 13 dicembre 1996
153
Nigeria: 1° gennaio 1995
Norvegia: 1° gennaio 1995
Nuova Zelanda: 1° gennaio 1995
Olanda: 1° gennaio 1995
Oman: 9 novembre 2000
Pakistan: 1° gennaio 1995
Panama: 6 settembre 1997
Papua Nuova Guinea: 9 giugno 1996
Paraguay: 1° gennaio 1995
Perù: 1° gennaio 1995
Polonia: 1° gennaio 1995
Portogallo: 1° gennaio 1995
Qatar: 13 gennaio 1996
Regno Unito: 1° gennaio 1995
Repubblica Ceca: 1° gennaio 1995
Repubblica Centroafricana: 31 maggio 1995
Repubblica Democratica del Congo: 1° gennaio 1997:
Repubblica Dominicana: 9 marzo 1995
Repubblica Slovacca: 1° gennaio 1995
Romania: 1° gennaio 1995
Ruanda: 22 maggio 1996
Saint Kitts and Nevis: 21 febbraio 1996
Saint Vincent and the Grenadines: 1° gennaio 1995
Santa Lucia: 1° gennaio 1995
Senegal: 1° gennaio 1995
Sierra Leone: 23 luglio 1995
Singapore: 1° gennaio 1995
Slovenia: 30 luglio 1995
Spagna: 1° gennaio 1995
Sri Lanka: 1° gennaio 1995
Stati Uniti d’America: 1° gennaio 1995
Sudafrica: 1° gennaio 1995
Suriname: 1° gennaio 1995
Svezia: 1° gennaio 1995
Svizzera: 1° gennaio 1995
Swaziland: 1° gennaio 1995
Thailandia: 1° gennaio 1995
Taipei, Cina: 1° gennaio 2002
Tanzania: 1° gennaio 1995
Togo: 31 maggio 1995
Trinidad e Tobago: 1° marzo 1995
Tunisia: 29 marzo 1995
Turchia: 26 marzo 1995
Uganda: 1° gennaio 1995
Ungheria: 1° gennaio 1995
Unione europea: 1° gennaio 1995
Uruguay: 1° gennaio 1995
Venezuela: 1° gennaio 1995
Zambia: 1° gennaio 1995
Zimbabwe: 5 marzo 1995
154
Osservatori:
Paesi meno sviluppati:
Afganistan
Algeria
Andorra
Arabia Saudita
Azerbaigian
Bahamas
Bielorussia
Bhutan
Bosnia Erzegovina
Capo Verde
Etiopia
Federazione Russa
Guinea Equatoriale
Iraq
Kazakistan
Laos
Libano
Libia
Samoa
Santa Sede
Sao Tomé e Principe
Serbia e Montenegro
Seychelles
Sudan
Tagikistan
Tonga
Ucraina
Uzbekistan
Vanuatu
Vietnam
Yemen
Afganistan
Bangladesh
Benin
Butan
Burkina Faso
Burundi
Cambogia
Capo Verde
Ciad
Comores
Gambia
Gibuti
Guinea
Guinea Bissau
Guinea equatoriale
Eritrea
Etiopia
Haiti
Kiribati
Isole Salomone
Laos
Lesotho
Liberia
Madagascar
Malawi
Maldive
Mali
Mauritania
Mozambico
Myanmar
Nepal
Niger
Repubblica centroafricana
Repubblica democratica del Congo
Ruanda
Samoa
Sao Tomé & Principe
Senegal
Sierra Leone
Somalia
Sudan
Togo
Tuvalu
Tanzania
Uganda
Vanuatu
Yemen
Zambia
155
Allegato 2: Struttura organizzativa dell’OMC
Conferenza ministeriale
Consiglio generale incaricato
dell’esame delle politiche commerciali
Comitati specifici
Commercio e ambiente
Commercio e sviluppo
Accordi regionali
Restrizioni bilancia
pagamenti
Bilancio e amministrazione
Gruppi di lavoro accessioni
Gruppi di lavoro commercio
e investimenti
Gruppi di lavoro commercio
e concorrenza
Gruppi di lavoro
trasparenza degli appalti
pubblici
Consiglio generale
Consiglio
commercio beni
Consiglio TRIPS
Comitato tessile
Consiglio generale incaricato della
soluzione delle controversie
Consiglio
commercio servizi
Comitato impegni
specifici
Gruppo di lavoro imprese a
commercio di stato
Gruppo di lavoro ispezione
prima dell’imbarco
Comitato servizi
finanziari
Gruppo di lavoro
servizi professionali
Comitati relativi a:
Gruppo di lavoro
regole GATTS
Tariffe
Agricoltura
Misure sanitarie
Barriere tecniche
Sovvenzioni e
contromisure
Antidumping
Valutazione doganale
Regole di origine
Licenze di importazione
TRIMS
Misure di salvaguardia
156
Comitati accordi
plurilaterali
Accordo
aviazione
civile
Accordo
appalti
pubblici
Allegato 3: Elenco dei Direttori Generali dell’OMC
1999 – 2002: Mike Moore (USA)
1995 – 1999: Renato Ruggiero (Italia)
1993 – 1995: Peter Sutherland (Irlanda)
1980 – 1993: Arthur Dunkel (Svizzera)
1968 – 1980: Olivier Long (Svizzera)
1948 – 1968: Eric Wyndham-White (Regno Unito)
157
Allegato 4: Documenti dell’Atto Finale dell’Uruguay Round
‰
Agreement Establishing the WTO
‰
General Agreement on Tariffs and Trade 1994
‰
Uruguay Round Protocol GATT 1994
‰
Agreement on Agriculture
‰
Agreement on Sanitary and Phytosanitary Measures
Decision on Measures Concerning the Possible Negative Effects of the
Reform Programme on Least-Developed and Net Food-Importing Developing
Countries
‰
‰
Agreement on Textiles and Clothing
‰
Agreement on Technical Barriers to Trade
‰
Agreement non Trade-Related Investment Measures
‰
Agreement on Implementation of Article VI (Anti-dumping)
‰
Agreement on Implementation of Article VII (Customs Valuation)
‰
Agreement on Preshipment Inspection
‰
Agreement on Rules of Origin
‰
Agreement on Import Licensing Procedures
‰
Agreement on Subsidies and Countervailing Measures
‰
Agreement on Safeguards
‰
General Agreement on Trade in Services
Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights,
Including Trade in Counterfeit Goods
‰
Understanding on Rules and Procedures Governing the Settlement of
Disputes
‰
‰
Decision of Achieving Greater Coherence in Global Economic Policy-
Making
158
Allegato 5: “The Dispute Settlement Procedure”
Consultations fails
Panel requested
Panel Proceedings
DRAFT REPORT
sent to parties
Comments of the parties
in writing
INTERIM REPORT
last chance to request a further
meeting or to submit comments
Panel finds that mutually
satisfactory agreement has been
reached: informs the DSB
FINAL PANEL REPORT
to the DSB
ADOPTED BY DSB within 60
days
unless
NOT ADOPTED
APPEALED BY ONE OF THE
PARTIES
unless
NOT ADOPTED
matter goes to
STANDING APPELLATE BODY
(7 members of which 3 serve on any one
APPELLATE BODY
within 60 (max 90) days
may uphold modify or reverse Panel
ADOPTED BY DSB
within 30 days
NOT ADOPTED BY DSB
by consensus
must be unconditionally accepted
and complied with by the parties
SURVEILLANCE PROCEDURE
NORMAL CONSEQUENCE:
WITHDRAWAL OF THE
MEASURE
COMPENSATION
under certain circumstances and
conditions
159
SUSPENSION OF
CONCESSIONS
if authorised by DSB