Untitled - CERDOMUS

Transcription

Untitled - CERDOMUS
Cerindustries SpA
numero 28
luglio 2012
IL
tepore primaverile non è nulla in confronto
al calore sanguigno di quella gente che allo
scrittore Alfredo Antonaros piacque definire la tribù di
Fellini: i romagnoli. Sangue sulla cui consistenza e
fenomenologia esistono abbondanti prove storiche
documentate. La cui voce è capace di superare
i confini geografici e di ricordare le proprie origini
anche chi è cresciuto lontano dalla Romagna.
Versato attraverso i secoli in molte occasioni per
inseguire un ideale, come quello della patria. Che
può ad un tratto affluire copioso alla testa, rendendo
irascibili i caratteri, ma anche conferendo alla mente
quella forza visionaria indispensabile per saper
osare, per riuscire a leggere il senso di qualcosa
che altri non riescono nemmeno a vedere. Che
lega i “consanguinei”, nel senso più allargato, in
un abbraccio chiamato solidarietà. Che fa scorrere
l’inchiostro della poesia, dirige il pennello del pittore
e guida lo scalpello dello scultore verso le quote
dell’ispirazione. E se è vero che il vino fa buon
sangue, quello romagnolo, confortato dalle tante
espressioni di alta enologia locale che rendono
onore al Sangiovese (considerato l’albero maestro
dei vitigni italiani) non potrà certo essere malvagio.
Se non ci credete, voltate pagina.
EDITORIALE
The mildness of spring is nothing compared with
the warmth of “Fellini’s tribe”, as the writer
Alfredo Antonaros liked to describe the people
of Romagna. Their hot-blooded temperament is
amply attested in many historical episodes, and
not always confined to their own geographic
confines, either. Even for Romagnoli who have
grown up far from their native territory, their
blood calls them back to their roots. Over the
course of history they have even been prepared
to spill this blood on behalf of a higher ideal
– patriotism, for example. When their blood
rises to their heads it can make the Romagnoli
irascible, but it also seems to fuel that visionary
passion that every daring spirit needs if he or
she is to pursue a goal that others seem not
even to see. It’s this blood that makes them
“consanguine” in the literal sense of the term,
that binds them together in an embrace we call
solidarity. It drives the ink in the writer’s pen,
guides the painter’s brush and the sculptor’s
chisel in their shared quest for inspiration.
And while everyone knows wine is good for the
blood, the wine of Romagna is made from that
oldest Italian grape variety, Sangiovese – and
that makes it better than most. If you don’t
believe us, read on.
1]
ea r th e lem e nt
Montefeltro romagnolo
C ome i confini amministrativi possono
adattarsi alla geografia culturale
valentina santandrea
immagini: archivio comune di san leo, archivio comune di sant’agata feltria,
archivio comune di talamello
[4
Se è vero che un forestiero capisce di essere “approdato” in Romagna
grazie all’abitudine degli autoctoni di offrire vino agli ospiti che
chiedono da bere, dalle parti del Montefeltro (territorio fino al 2009
interamente appartenente alle Marche) mai ci si sarebbe sentiti proporre
un bicchier d’acqua, considerata dai romagnoli foriera di ruggine.
Raccontando la Romagna sulle pagine di questa rivista, spesso capita di osservare che
i confini amministrativi possono non coincidere con quelli geologici, antropologici, storici.
E anche sentimentali nel caso del Montefeltro, che ha recentemente “corretto” questa
discrepanza. Tutto ha avuto inizio a Sant’Agata Feltria, poi, in seguito a un referendum,
sette Comuni situati nella zona frontaliera hanno ottenuto il passaggio amministrativo alla
Romagna, un fatto che accade per la prima volta da quando l’Italia è una Repubblica.
Il primo ad apporre rivendicazioni fu Enea Nastasini, sindaco di Sant’Agata, all’inizio
dell’Ottocento. Tra i suoi argomenti, l’assegnazione di Sant’Agata da parte di Papa Martino V
al feudo dei Malatesta. Correva l’anno 1430. Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San
Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello sono tornati, come lo erano cinquecento anni fa, Comuni
romagnoli, mentre Montecopiolo reclama a gran voce la stessa sorte e il completamento di
questo excursus comparirà probabilmente a breve sulle pagine di cronaca. Il Montefeltro,
luogo dall’incantevole morfologia che si snoda tra le colline di tre regioni (Marche, Toscana,
Emilia-Romagna) e addirittura di due Stati (Italia e San Marino) non esiste come entità
amministrativa, anche se non se ne può negare l’identità in qualche modo autonoma, che
resiste tra le frontiere tracciate dalle contese armate di duchi e conti, prima, e dall’Italia unita,
poi. Non emergono però dalla recente annessione intenti secessionisti, piuttosto nella zona
si respira una tensione, scevra di fanatismo, che nasce dalla gente più che dalla politica.
I
Sensi
di
Romagna
i confini dividono lo spazio; ma non sono pure e
semplici barriere. sono anche interfacce […]
zygmunt bauman
Dalla fine del Quattrocento, la rovina dei Malatesta
comportò grosse cessioni territoriali ai duchi di Urbino,
ivi compresa l’Alta Valmarecchia che tuttavia non ha
mai conosciuto una vera rassegnazione a questo
passaggio di mano. Lo si constata anche dalla cultura
locale, dal dialetto, dall’accento e persino dal prefisso
telefonico, che è lo stesso di Rimini. Anche la diocesi
del Montefeltro dipende dalla conferenza episcopale
Montefeltro – bac k in Romagna
Administrative borders and cultural geography
bolognese. In Valmarecchia risiedeva poi il compianto
poeta romagnolo per antonomasia: Tonino Guerra.
“Non passeranno!” dicevano le Marche alludendo ai
referendum. È accaduto invece il contrario, con quello
che comporta, per la “Romagna-Emilia”, il mantenimento
amministrativo di tale fiabesca ed eclettica entità culturale.
Entità che, tuttavia, costituisce anche un’opportunità per
chi se ne fa carico, grazie alla sua bellezza di sapore
medievale, ai suoi castelli arroccati su picchi di roccia, ai
suoi paesaggi agresti e collinari ancora intatti, raccontati
da Dante ed Ezra Pound e raffigurati dal Mantegna.
Anyone reading the stories of Romagna in the pages of this magazine
is sooner or later struck by the fact that administrative boundaries do
not always coincide with geological, anthropological and historical
borders. Or even sentimental borders, as in the case of Montefeltro,
which has recently corrected the discrepancy. It all began in Sant’Agata
Feltria, when, following a referendum, seven border towns succeeded
in transferring their administrative allegiance to Romagna: the first
time this had ever happened in republican Italy. The man who set
the ball rolling was Enea Nastasini, mayor of Sant’Agata in the early
19th century. Among the reasons adduced by Nastasini was the award
of Sant’Agata to the Malatesta dynasty by pope Martin V: that had
happened back in 1430. After the referendum, Sant’Agata Feltria
and six other towns – Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli,
San Leo and Talamello – once again became part of Romagna after a
500-year hiatus. Another town, Montecopiolo, is now demanding to
be transferred too, and this looks likely to happen in the near future.
Montefeltro is an enchanting stretch of countryside that extends over
the rolling hills of three regions (Marche, Tuscany, Emilia-Romagna) and
not one but two sovereign states (the other is San Marino). Although
it does not exist as an administrative entity, its geographic identity
has endured down the centuries: through the tracing and retracing of
administrative boundaries in the seigneurial period first, and as part of
a united Italy second. There is no secessionist intent behind the recent
annexation, however. It’s the expression, rather, of a certain tension
– but not fanaticism – whose origins lie in people rather than politics.
With the demise of the Malatesta dynasty in the early 16th century,
many of the family’s domains fell into the hands of the dukes of Urbino,
including Alta Valmarecchia, which has never fully resigned itself to
its change of ownership. Traces of its former allegiances can still be
detected in local culture, dialect, accent, even area code, which is the
same as Rimini. And on the religious front, the diocese of Montefeltro
is a member of the episcopal Conference of Bologna. Valmarecchia
was also home to that quintessential and sadly-missed Romagnol
artist, Tonino Guerra. And yet it happened, and “Romagna-Emilia” is
now responsible for part of the historical and cultural entity known as
the Montefeltro. And yet it happened, and “Romagna-Emilia” is now
responsible for part of the historical and cultural entity known as the
Montefeltro. And it’s an “entity” which is well worth getting to know,
with its medieval-tinged beauty, its castles perched on dizzy cliffs, and
its rugged, unspoilt landscapes, celebrated by Dante and Ezra Pound in
poetry and immortalized in painting by Andrea Mantegna.
If it’s true that every foreigner knows when he’s
arrived in Romagna thanks to the habit of the locals of
offering a glass of wine to guests who ask for something
to drink, it’s equally true that down in Montefeltro
(a region which until 2009 was fully incorporated
in the Marche) you’ll rarely be offered a glass of
water, which is considered a bad omen in Romagna.
Territorio
5]
Culla dei Malatesta
e luogo dell’anima
C radle of t he Malatesta dynast y and retreat for the soul:
Pennabilli
Two inaccessible peaks, one called the Roccione and the other the Rupe, that in ancient times were home to two
communities: the Penna and the Billi. The union of the two communities gave rise to the place name Pennabilli. Today,
the village of Pennabilli is rich in history and enjoys a media visibility that belies its geographic isolation.
P enna b illi poiesi
luca biancini
immagini: archivio ass. cult. ultimo punto
[6
Due impervie alture, oggi chiamate
Roccione e Rupe, anticamente rifugio
di due comunità: i Penna e i Billi;
dalla loro unione nasce il toponimo
Pennabilli, quello di una cittadina
con un passato denso di storia e
un presente sospeso tra isolamento
geografico e visibilità mediatica.
7]
Dal 2009, anno in cui ha smesso di far par te della
provincia di Pesaro-Urbino, è il Comune romagnolo
ubicato più a sud. Ma questo è solo l’ultimo tra i tanti
passaggi di influenza che ne hanno caratteriz zato
l’esistenza f in da quando, nel 1350, con la posa
della “pietra della pace”, si fusero in un solo abitato
la rocca dei Penna e il castello dei Billi. La prima fu
costruita per volere di un discendente della famiglia
Carpegna, dal cui eloquente pseudonimo Malatesta
prende nome il celebre casato che dal Trecento
al Cinquecento f inì per dominare la Romagna,
contendendosi Pennabilli, oltre ad altri territori, con
le Signorie dei Montefeltro, dei Medici e con lo Stato
Pontif icio. L’ultimo vessillo che sventola sul pennone
cittadino è la Bandiera arancione (marchio di qualità
turistico-ambientale) conferita nel 2010 a Pennabilli
per l’intatta bellez za dei suoi panorami (il territorio
comunale è toccato dal Parco naturale regionale del
Sasso Simone e Simoncello) e per il fascino delle sue
architetture, come la cattedrale della diocesi di San
Marino-Montefeltro, il piccolo teatro ligneo Vittoria e
l’agglomerato di casette che compongono il borgo.
I
Sensi
Since 2009, when it ceased being part of the province of Pesaro-Urbino in the Marche, Pennabilli has been Romagna’s southernmost
municipality. Its latest switch of “allegiance” is just one of many changes in rule that the village has endured since 1350, when the hilltop
hamlets of Penna and Billi became a single community. The fort of the former Penna was built at the behest of a descendant of the
Carpegna family, from whose eloquent pseudonym Malatesta the dynasty which dominated Romagna from the 14th to the 16th centuries
took its name, contesting control of Pennabilli and other towns with the Montefeltro and Medici dynasties and the Papal States. The last
flag to be hoisted over the village, however, is the orange banner attesting to its tourist and environmental appeal, awarded to Pennabilli
in 2010 in recognition of the unspoilt beauty of its panoramic views (Pennabilli adjoins the regional natural park of Sasso Simone and
Simoncello) and the charm of its architecture, such as the cathedral of the diocese of San Marino-Montefeltro, the Vittoria theatre (built
of wood) and the housing that makes up the village. In 1994, and again in 2005, Pennabilli became a national news item with the visits of
Tenzin Gyatso, the 14th Dalai Lama. The first visit was to commemorate the 250th anniversary of the death of father Orazio Olivieri, a
Pennabilli-born missionary who founded a Catholic mission in Lhasa, Tibet; the second was to inaugurate a working monument comprising
a mission bell and three Tibetan prayer mills dedicated to Father Olivieri, who was also the author of the first Italian-Tibetan dictionary.
In the world of the arts, Pennabilli is principally known as the retreat of the recently deceased poet, author, screenwriter and multifaceted artist Tonino Guerra, who retired here not far from his native Santarcangelo. A number of works of art by Guerra are located in
and around the village, and are collectively known as the Open Air Museum of Spiritual Places: The Orchard of Forgotten Fruit, The
Refuge of the Abandoned Madonnas, The Road of Sundials, The Sanctuary of Thought, The Angel with Moustache and The Petrified
Garden. Every summer, the village hosts a national antique fair that since 1970 has been one of the leading events of its kind in Italy.
Its reputation as an art-friendly place is cemented by its international festival of street performers, when jugglers, clowns, balladeers,
fakirs, musicians, acrobats and mime artists transform the streets and squares of Pennabilli into a scene straight out of toyland.
Nel 1994 e nel 2005 Pennabilli è salita agli onori
della cronaca nazionale per le due visite di Tenzin
Gyatso, XIV Dalai Lama, venuto nella prima
occasione ad onorare il 250° anniversario della
mor te di padre Orazio Olivieri (missionario pennese
par tito alla volta del Tibet per fondare una Missione
cattolica a Lhasa) e nella seconda per inaugurare
la campana, af f iancata da tre mulini di preghiera
tibetani, dedicata alla f igura del missionario, che fu
tra l’altro autore del primo dizionario italo-tibetano.
Nel mondo culturale, Pennabilli è attualmente nota
soprattutto per essere stata scelta come buen retiro
dal poeta, scrittore, sceneggiatore e poliedrico
ar tista recentemente scomparso Tonino Guerra,
che qui “approdò” dalla natia Santarcangelo.
Por tano la sua f irma le installazioni ar tistiche
disseminate sul territorio comunale e raccolte sotto
il nome di Museo dif fuso dei luoghi dell’anima, che
comprende L’Orto dei frutti dimenticati , Il Rifugio
delle Madonne abbandonate , La Strada delle
meridiane , Il Santuario dei pensieri , L’Angelo coi
baf fi e Il Giardino pietrificato .
di
Romagna
Ogni estate la cittadina ospita la Mostra mercato
nazionale dell’antiquariato (dal 1970 uno degli eventi
italiani del settore più qualificati) e la sua attitudine
artistica viene sottolineata anche dal Festival
internazionale dell’arte di strada “Artisti in Piazza”,
durante il quale giocolieri, clown, cantastorie, fachiri,
musicisti, acrobati e mimi trasformano le strade e le
piazze di Pennabilli in uno scenario surreale degno
del collodiano Paese dei balocchi.
credo che il mondo sia bello, che la poesia
sia come il pane, di tutti.
roque dalton
Territorio
Gli indomiti garibaldini
castellani
The unvanquished garibaldini
Castel Bolognese and its patriotic tradition
Aldo Spallicci liked to describe it as a “village with few
houses but bursting with faith in the destinies of Italy”.
For such a small place, Castel Bolognese played a very large
role in the campaigns of Garibaldi.
The small town of Castel Bolognese lies on the Via Emilia, halfway
between Imola and Faenza. On more than one occasion, it has
showed itself capable of getting behind a cause with a courage
that verged on the reckless. The series of pro-Risorgimento
uprisings that took place in Castel Bolognese from 1843 were
savagely repressed (with three decapitations) until, in 1859,
74 volunteers from the village joined the Hunters of the Alps
corps formed by Garibaldi. With the Romagnas liberated from
papal control, patriotism flourished in Castel Bolognese. Three
natives of the town took part in the Sicilian campaign launched
by Garibaldi in May 1860, and forty or more found themselves
involved in the armed conflict that led to the annexation of the
Marche, Umbria and the domains of the former Kingdom of Naples.
tommaso attendelli
immagini: archivio museo civico di castel bolognese
C astel Bolognese
e la sua tradi z ione
patriottica
Ad Aldo Spallicci piacque definirlo
“il villaggio scarso di case ma
ricco di tanta impetuosa fede
nei destini dell’Italia”, perché
Castel Bolognese, in rapporto
alle proprie dimensioni, offrì una
straordinaria partecipazione alle
battaglie di Garibaldi.
Questo paese, posto sulla via Emilia tra Imola e Faenza,
fu veramente capace in più di un’occasione di “gettare il
cuore oltre l’ostacolo”. Dopo una strenua attività che fin
dal 1843 vide i cittadini castellani prendere parte ai moti
risorgimentali, andando incontro a dure repressioni (tra
cui tre decapitazioni), nella primavera del 1859 giunsero
da Castel Bolognese 74 volontari per unirsi al Corpo dei
Cacciatori delle Alpi organizzato da Garibaldi. Una volta
che le Romagne furono liberate dal dominio pontificio, il
patriottismo della cittadina romagnola non venne meno.
Furono in tre i castellani che parteciparono all’impresa
siciliana iniziata da Garibaldi nel maggio del 1860 e in
una quarantina quelli coinvolti negli scontri armati che
condussero all’annessione delle Marche, dell’Umbria e
delle regioni dell’ex Regno di Napoli. Nel 1866 a Bezzecca,
durante la guerra di indipendenza contro l’Austria, erano
addirittura 60 i volontari di Castel Bolognese che videro la
vittoria sorridere nuovamente a Garibaldi. Un anno dopo,
mentre il Generale marciava alla volta di Roma per liberarla
dai francesi, 45 castellani, al motto di: “Noi andrem a Roma
Santa a dispetto dei francesi”, si batterono per lui a Monte
Rotondo e a Mentana. Otto di questi fecero parte anche
della colonna di 76 volontari organizzata dai fratelli Enrico
e Giovanni Cairoli che si oppose strenuamente ai soldati
I
Sensi
del Papa occupando una palazzina sita sui Monti Parioli
chiamata Villa Glori. Qui il 23 ottobre subirono l’attacco di
300 soldati papalini e si difesero riuscendo per ben due
volte a respingere i nemici a colpi di baionetta. Caduto
anche Enrico Cairoli, i garibaldini si ripararono nella villa
e continuarono a scaricare i loro moschetti sui soldati fino
al calare della sera, quando i papalini si ritirarono. Questa
impresa rappresenta tuttora l’emblema dell’epopea
garibaldina castellana e i nomi di coloro che vi presero
parte (Giambattista Marzari, Giovanni Capra, Francesco
Franceschelli, Antonio Dall’Oppio, Francesco Valdrè,
Angelo Gramigna, Antonio Valdrè, Giovanni Emiliani) sono
scolpiti sotto la loggia del municipio di Castel Bolognese.
Un altro celebre nome di garibaldino castellano è quello
del capitano Raffaele Pirazzini. Figlio di uno dei decapitati
nella rappresaglia del 1854, fu uno dei primi ad entrare a
Roma tramite la breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870.
Va detto che lo spirito garibaldino di Castel Bolognese
non era alimentato dall’aspirazione a gloria e fortuna. Al
loro ritorno dalle battaglie, i reduci ritrovarono la vita umile
di sempre e una misera pensione di Stato che, come
riportò lo scrittore Francesco Serantini (vedi ee N° 21),
veniva accettata con disprezzo e prontamente delapidata
in osteria per sottolinearne l’inconsistenza.
di
Romagna
il patriottismo è quando l’amore per la tua gente viene per primo;
nazionalismo quando l’odio per quelli non della tua gente viene per primo.
charles de gaulle
[8
In Bezzecca in 1866, during the war of independence against
Austria, no fewer than 60 volunteers from Castel Bolognese helped
Garibaldi to yet another victory. The following year, as Garibaldi
marched on Rome to liberate it from the French under the motto
of noi andrem a Roma Santa a dispetto dei francesi (“we’ll march
on Holy Rome despite the French”), 45 Castellani fought on the
side of the Risorgimento at Monte Rotondo and Mentana. Eight of
them were also members of the column of 76 volunteers organized
by the brothers Enrico and Giovanni Cairoli which put up strenuous
resistance to the papal forces from a house named Villa Glori in
Monti Parioli, Rome. Here, on 23 October 1867, they held out
against an assault by 300 papal troops, repelling their onslaught
at bayonet point not once but twice. Enrico Cairoli was killed in
the fighting, and the garibaldini took refuge inside the villa, from
where they kept shooting until nightfall, when the papal forces
retreated. This episode is still the defining moment in Castel
Bolognese’s contribution to the Risorgimento, and the names of
those who took part in it (Giambattista Marzari, Giovanni Capra,
Francesco Franceschelli, Antonio Dall’Oppio, Francesco Valdrè,
Angelo Gramigna, Antonio Valdrè and Giovanni Emiliani) are
now carved on a plaque in the courtyard of Castel Bolognese’s
municipal council building. Another illustrious Castellano to fight
for Garibaldi was captain Raffaele Pirazzini. The son of one of
the three rebels decapitated in the reprisals of 1854, Pirazzini
was one of the first of Garibaldi’s troops to enter Rome via the
breach in Porta Pia on 20 September 1870. It’s almost redundant
to note that this republican spirit was not fuelled by aspirations
to fame and fortune. On their return from the war, those who had
fought for Garibaldi resumed the same humble lives they had left
behind, with a miserable state pension that as author Francesco
Serantini records (see ee issue no. 21) was accepted with disdain
by the veterans and promptly squandered in the local taverns –
and that didn’t take long, given the miserable quantities involved.
Storia
9]
Caterina Sforza
… e la sua sfida all ’ effimera b elle z z a
angelamaria golfarelli
immagini: archivio angelamaria golfarelli
La signora di Forlì è passata alla storia sia
per le sue gesta eroiche (e a volte anche
crudeli) che per la sua proverbiale bellezza.
I
Sensi
di
Romagna
la bellezza appare come il primo bene del principe, il suo più imponente diritto.
rainer maria rilke
[10
Ne consegue che l’intento di mantenere, quanto più a lungo si
potesse, il suo aspetto fisico fosse per lei ragione di studio e ricerca.
Caterina Sforza infatti acquisì, nell’arco della sua vita, profonde
conoscenze scientifiche e naturalistiche che, in tema di cosmetica,
erboristeria e alchimia, la portarono ad importanti rivelazioni. Prova
di queste raffinate sapienze è il suo ricettario di bellezza dal titolo
Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, che
illustra, con oltre 400 variazioni, quanto i suoi preziosi esperimenti
ebbero a produrre non solo in ambito estetico, ma anche in quello
della salute. Effetti di una considerevole modernità che hanno
concesso alla sua indiscutibile bellezza di conservare i canoni del
suo tempo ( pelle bianchissima et bella et colorita), restando inalterata.
Famose le sue ricette per fare li capelli biondi de color de oro o per
far venure li capelli rizzi oppure per rendere profumato l’alito. Vere
e proprie “pozioni magiche” che essa creava e provava per dare
vigore alla sua bellezza e sperimentare i propri saperi. Piante, oli,
ma anche polveri minerali, cenere, ossa e parti varie di animali sono
state materie essenziali ai suoi esperimenti e al raggiungimento
degli importanti risultati ottenuti. Sorretta da una confortante mole
di corrispondenza intrattenuta con medici e scienziati, come pure
con nobildonne e fattucchiere, al fine di conoscere i segreti per la
preparazione di pomate, unguenti, lozioni e belletti, Caterina seppe
accrescere le proprie conoscenze, reali ed empiriche, rendendole
sempre più autorevoli. Alcune delle sue ricette sono tuttora la base
dei più evoluti e moderni cosmetici naturali, giunte ai giorni nostri
rivisitate e impreziosite con elementi all’epoca sconosciuti. Oggi si
parla continuamente di massaggiare il corpo con oli essenziali, ma
già nel Cinquecento Caterina scriveva: “prendi olio di mandorle dolci
et metile dentro garofoli interi et lascia questo olio al sole per otto
giorni. Ne sarà un olio per ungere le mani et farle belle”. Perché la
bellezza è più che mai ricercata ed inseguita, e il suo mantenersi è
addirittura unito al concetto di salute. Quel che invece (insieme alle
cure quotidiane che la Signora di Forlì proponeva a risoluzione di quei
piccoli problemi estetici) stupisce è quanto i canoni della bellezza
siano cambiati nel tempo. Il tanto agognato pallore alabastrino
della pelle delle dame del Rinascimento, infatti, è ben lontano dalle
abbronzate pelli ambrate del presente, che chissà quanto sarebbero
sembrate volgari a Caterina Sforza. Ma, si sa, tutto cambia...
Caterina Sforza:
the woman who fought to make beauty eternal
The Forlì-born noblewoman Caterina Sforza has gone down
in history not only for her heroic (and often cruel)
exploits but also for her proverbial beauty.
And she put a lot of serious research into preserving her beauty for
as long as possible. Over the course of her lifetime, Caterina Sforza
acquired an impressive knowledge of the physical and natural sciences,
and it led her to make some important discoveries in cosmetics, herbal
medicine and alchemy. Her refinement and learning are collected in
Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, a collection
of beauty tips which illustrates, in over 400 variations, how much her
experiments had taught her in matters not only of cosmetics but also
health. An exceptionally modern work for its day, her Experimenti
recorded Caterina Sforza’s attempts to preserve her beauty (with skin
that was fair and rosy and whiter than white, in accordance with the
standards of the day) intact. Her formulas for dyeing the hair “blond
the colour of gold”, curling the hair or freshening the breath were
famous. They were nothing short of “magic potions” – concoctions she
invented to give renewed vigour to her beauty and put her knowledge
to the test. Plants, oils, mineral powders, ashes, bone and various
animal parts were the essential ingredients in her experiments and the
formulas they yielded. She also kept up an extensive correspondence
with physicians and men of learning, fellow noblewomen and sorcerers
in her search for secrets for the preparation of pomades, ointments,
lotions and make-up – always bringing her own learning, with the
authority garnered from empirical research, to bear on every formula.
Even today, some of her formulas continue to be used as the basis
for more sophisticated natural cosmetics incorporating ingredients
which were unknown in her day. These days, for example, the use
of essential oils in massage is widespread. In the early sixteenth
century Caterina Sforza wrote: “Take some sweet almond oil and
put some whole cloves in it, and leave this oil in the sun for eight
days. The resulting oil should be rubbed into the hands to make them
beautiful.” For us, beauty is an ideal that’s sought after more than
ever, and maintaining it has become a question not just of aesthetics
but health. What’s surprising, though (and not forgetting the many
quick fixes that Caterina Sforza devised for rectifying minor cosmetic
blemishes), is how standards of beauty have changed over time. The
alabaster complexion that the ladies of the Renaissance yearned
after could hardly be further from the amber, tanned look that
women now aspire to – a look that Caterina Sforza would probably
have found utterly vulgar. But everything changes, of course...
Storia
11]
Il sangue
romagnolo
di Anna Magnani
L e origini ritrovate della cele b re attrice
manlio rastoni
immagini: archivio manlio rastoni
[12
La donna simbolo del neorealismo italiano, musa di
registi come Roberto Rossellini e Luchino Visconti,
nonché icona dell’emancipazione femminile aveva
radici ravennati.
Non stupisce, in fondo, considerandone le caratteristiche caratteriali, che
nelle sue vene scorresse anche sangue romagnolo, elemento certamente
co-responsabile del suo leggendario animo focoso. Fino al 2010, però,
figurava che la madre dell’attrice fosse originaria di Fano, in realtà nella
città marchigiana ella possedeva una casa estiva, ma era nata a Ravenna,
come i suoi genitori. Il nonno dell’attrice si chiamava Ferdinando Magnani.
Riguardo alla nonna Giovanna, Matteo Persica, segretario dell’Associazione
amici di Anna Magnani (gruppo da lui fondato con sede a Roma) e
biografo che ha ricostruito le origini familiari dell’attrice, rivela soltanto che
aveva un cognome tipicamente ravennate e si riserva di svelarlo nel libro
di prossima pubblicazione sulla vita della Magnani al quale sta lavorando
da più di quattro anni. L’annuncio del riscoperto legame di Anna Magnani
con la Romagna è stato dato nel corso dell’inaugurazione della mostra
pittorico/fotografica a lei dedicata allestita a Forlì nell’ottobre del 2010 dagli
organizzatori del Festival Internazionale Sedicicorto in collaborazione con
l’associazione presieduta da Persica. Inizialmente la notizia non ha avuto
particolare risonanza, poi è stata gradualmente ripresa dai media locali e
nazionali fino a diventare un piccolo caso.
The R omagnol b lood of A nna Magnani
The rediscovered origins of the famous actress
She was one of the iconic figures of Italian neo-realism, the muse of directors like Roberto Rossellini and Luchino Visconti,
and a symbol of female emancipation. And her roots lay in Ravenna.
It should come as no surprise, really, that Anna Magnani had Romagnol blood in her veins, given the fiery character for which she was famed. Until as
recently as 2010, however, it was believed that Magnani’s mother was born in Fano in the Marche (where she owned a holiday home), when in fact she
was born in Ravenna, just like her parents before her. Anna’s grandfather was named Ferdinando Magnani. As for her grandmother, Giovanna, Magnani’s
biographer Matteo Persica, founder and secretary of the Rome-based Amici di Anna Magnani Association, has traced the family origins of the actress and
has so far announced only that her surname was typically Ravennan; all will be revealed in his forthcoming book on the life of Magnani, on which he has
been working for the last four years. The announcement of the rediscovered link between Anna Magnani and Romagna was made in October 2010, during
the inauguration of an exhibition of art and photography dedicated to the actress in Forlì, organized by the town’s international short film festival in
conjunction with Magnani’s appreciation society. At first the news made no great impression, but it was gradually picked up by local and national media
until it became a major story. And if it seems strange that such a huge gap in her biography should have persisted 37 years after the death of one of the
greatest Italian cinema actresses of all time, then it’s almost comical that the plaques in the street in Rome named after her gave an incorrect date of
birth (1903 instead of 1908) until quite recently, when Persica and his association fought successfully for the error to be rectified. For many years it was
believed that Anna Magnani had been born in Alexandria, Egypt. As her family recently confirmed, she was actually born in Rome. Her mother was just
eighteen when she was abandoned by her father (whom the actress never met; he is known only to have been of Calabrian origin), and left for Egypt not
long after giving birth to Anna. Anna took her mother’s surname, and when her mother left for Egypt she was put in the care of her maternal grandparents,
who by now were living in Rome. Considering their humble background, it’s quite possible that the first language to be spoken by the future Cinecittà
star was the Romagnol dialect. In Ravenna, local legend has always spoken of a link with Anna Magnani. It now seems there was a bakery on via Cesarea
which was run by some relatives of the actress, and that a Ravennan branch of the family still survives. The legend is now fact, and the fierce yet
gentle figure of Anna Magnani now takes its place in the gallery of strong-willed women who have marked the history, ancient and modern, of Romagna.
Se può parere strano che a 37 anni dalla sua morte permanesse ancora una
simile lacuna biografica riguardante una delle più importanti attrici di sempre
del cinema italiano, farà persino sorridere il fatto che sulla targa stradale
della via di Roma che le è stata dedicata appariva l’anno di nascita errato
(il 1903 anziché 1908) fino a quando, non molto tempo fa, l’associazione
di Persica non ha posto rimedio all’imprecisione. Per tanti anni si è creduto
addirittura che Anna Magnani fosse nata ad Alessandria d’Egitto, mentre
in realtà, come ha di recente confermato anche la famiglia, era romana. Fu
la madre, ancora diciottenne, abbandonata dal padre di Anna (che lei non
conobbe mai e di cui si sa solo che era di origine calabrese), a partire per
l’Egitto poco tempo dopo aver dato alla luce la bimba. Anna portava infatti
il cognome della madre e, dopo la sua partenza, fu affidata alle cure dei
nonni materni trasferitisi a Roma. Considerando la loro estrazione popolare,
probabilmente il primo idioma che la futura stella di Cinecittà parlò fu proprio
il dialetto romagnolo. Tra gli appassionati del folclore ravennate è sempre
circolata la voce del legame tra Anna Magnani e la città bizantina, pare
addirittura che esistesse un forno in via Cesarea gestito da alcuni parenti
dell’attrice e che tuttora sopravviva un filone ravennate della famiglia.
Ora la voce è diventata un dato ufficiale e nella galleria di volti appartenenti
alle forti personalità femminili legate alla Romagna, che hanno segnato la
storia antica e recente di questo Paese, figura anche quello, corrucciato
eppure dolce, di Anna Magnani.
13]
il sangue e il coraggio s’infiammano di più a risvegliar
un leone, cha a dar la caccia a un timido daino.
william shakespeare
I
Sensi
di
Romagna
Storia
alessandro antonelli
immagini: archivio famiglia biagetti
“The Italian Express”
Gianni Gambi: a global legend
of long-distance swimming
rre
5 December 1944: the Canadians pour through the archway
of Porta Nuova, Ravenna, liberating the city. A group
of soldiers approaches some celebrating locals and one
asks: “Where’s Gianni Gambi’s house?”
[14
Un ufo atterrato
fra le nebbie
della “Bassa”
In a city better known for other monuments, the question was more
than a little strange, but the Canadians knew well what they were
looking for: the origins of one the greatest long-distance swimmers
of all time. Back on the banks of Lake Ontario, he was known as The
Italian Express, but Gianni Gambi had been born in Ravenna on 7
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I l M useo dell ’ A rredo C ontemporaneo di R ussi
Sul fianco della via San Vitale, che
taglia la Bassa Romagna, all’altezza
della frazione russiana di Godo la
statica sequenza di casolari rustici che
punteggiano una piana spesso ammantata
da una fitta coltre di nebbia subisce
un breve quanto brusco strappo.
I
Sensi
Le forme canoniche del panorama rurale romagnolo e le
tonalità pastello dominanti lasciano per un breve istante
il posto a un esercizio stilistico di architettura moderna
sovrastato da un fumaiolo arlecchinesco e introdotto da
una galleria geometricamente rigorosa di un vibrante
color blu elettrico (firmata dall’architetto Ettore Sottsass).
Questo “guscio” appartiene al Museo dell’Arredo
Contemporaneo di Russi, originale struttura capace di
“teletrasportare” in seno a un’area dall’antica vocazione
agreste una collezione di design contemporaneo,
composta principalmente da pezzi d’arredo per interni,
tra le più importanti d’Europa. Proprio il paradosso della
sua posizione potrebbe far nascere l’idea che questa
struttura sia atterrata qui, magari a causa di un guasto
tecnico, da qualche mondo lontano. Nulla di più lontano
dalla realtà. La storia di questo museo privato nasce infatti
dall’estro e dalla volontà di Raffaello Biagetti (conosciuto
imprenditore locale nel campo dell’arredamento). Egli ne
decise nel 1988 la costruzione per trasferire all’interno
dei suoi spazi l’esposizione permanente di mobili e
arredi da lui inaugurata nel 1968 nella propria sede
di
Romagna
aziendale e costantemente integrata attraverso una
continua collaborazione portata avanti negli anni con
i migliori produttori italiani ed esteri del settore. Oggi la
collezione si è ampliata fino a diventare una mostra
permanente intitolata Brani di storia dell’arredo 18801980. Attraverso un percorso cronologico che analizza
l’evoluzione dell’arredo nei suoi aspetti tecnici (legati
ai materiali, alla produzione e alla diffusione) e formali,
questa raccolta illustra la storia di un importante fenomeno
culturale e socio-economico dell’età contemporanea: il
design. In particolare descrivendo sotto il profilo estetico
e tecnologico l’evoluzione dell’arredo contemporaneo. I
150 pezzi che la compongono sono stati selezionati da
una commissione di esperti, tra cui Giovanni Klaus Koenig,
Giuseppe Chigiotti e Filippo Alison. L’impianto esplicativo/
didattico sviluppato da Piero Castiglioni (che ha curato
anche la scenografia del Museo) ha suddiviso il corpus
della collezione in sezioni, rispetto al periodo storico di
riferimento. Dall’Art Nouveau in Spagna (Anton Gaudí), in
Austria (Michael Thonet), in Scozia e Inghilterra (Charles
R. Mackintosh), si passa alla grande scuola viennese
15]
del primo Novecento, la Wiener Werkstatte, alla quale
aderirono molti artisti e architetti, tra cui Joseph Hoffman,
Otto Wagner, Joseph M. Olbrich. Segue la grande scuola
tedesca Bauhaus, che apportò contributi fondamentali alla
cultura del design particolarmente grazie all’opera di Walter
Gropius (suo fondatore e primo direttore), Marcel Breuer e
Mies Van der Rohe. In questo settore si possono notare
anche opere di Frank L. Wright e Gerrit T. Rietveld, che,
benché operanti nello stesso periodo storico, subirono
influenze culturali differenti che li condussero comunque
verso un radicale rinnovamento stilistico dei canoni del
tempo. Il percorso prosegue toccando la Russia, Francia e
Italia degli anni Trenta, comprendendo molti degli autori, tra
cui Le Corbusier, Jean Prouvé, Giò Ponti, Giuseppe Terragni
e Pietro Chiesa, che hanno maggiormente contribuito allo
sviluppo del design. Lasciato il movimento delle Decorative
Arts ci si trova di fronte ai risultati dell’Organic Modernism
degli anni Cinquanta, contraddistinto da grandi figure di
origine scandinava, americana e italiana. Nomi di culto
come Alvar Aalto (uno dei padri dell’architettura organica),
Charles Eames e Giò Ponti.
Passioni
Una sezione importante è dedicata agli anni Sessanta,
periodo che vide alcuni imprenditori italiani avviare il
processo di industrializzazione del design, sviluppando
nuove tecnologie per la produzione in serie dei mobili e
degli arredi. Rappresentando il Made in Italy applicato
all’Industrial Design, il percorso museale illustra l’impegno
profuso dalle industrie italiane nella sperimentazione di
nuovi materiali, nuove forme estetiche e nuove funzionalità
attraverso un notevole numero di pezzi. Un impegno che,
come ampiamente documentato, prosegue lungo tutti
gli anni Settanta, fino agli inizi degli Ottanta. Tra i molti
esponenti italiani di questa stagione d’oro del Made
in Italy, che sono rappresentati attraverso le proprie
opere, emergono Achille e Pier Giacomo Castiglioni,
Carlo Scarpa, Gae Aulenti, Marco Zanuso, Gaetano
Pesce, Afra e Tobia Scarpa, Ettore Sottsass, Giancarlo
Piretti, Vico Magistretti. Giunta al limite del suo periodo
di pertinenza, l’esposizione museale termina con alcuni
esemplari di mobili tedeschi e giapponesi il cui design ha
saputo imporsi grazie all’interazione tra forma e funzione.
I pannelli didattici perimetrali sottolineano la suddivisione
della mostra in sei momenti che si compenetrano tra loro.
Oltre a fornire informazioni sui designer rappresentati,
raffigurano immagini relative agli esiti della pittura, grafica,
architettura e moda di ogni singolo periodo preso in esame,
associandoli ai pezzi esposti. In questo modo risulta più
fruibile al visitatore il rapporto tra i vari oggetti e il loro
contesto storico-culturale. A latere della mostra permanente,
vengono ciclicamente allestite nella tribuna sopraelevata
esposizioni temporanee dedicate a temi specifici legati
al design. Negli anni sono stati presentati nomi come
Dorothy Gray, Robert Vincent, Roger Kelly, Bas Meerman.
Uno degli elementi che maggiormente contraddistingue
l’approccio formativo del Museo è il tentativo di innescare
una relazione sensoriale tra il visitatore e i pezzi esposti.
Proprio per favorire una sinergia partecipata tra contenitore
e pubblico, tra il 1999 e il 2001 il Museo ha ospitato anche
una eterogenea programmazione di concerti ed eventi.
[16
ciò ch
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I
Sensi
di
Romagna
Like a UFO that’s landed in the mists
of Bassa Romagna
The museum of contemporary furniture in Russi
Travelling along via San Vitale in Bassa Romagna we
come to the village of Godo, near Russi. The plain is
frequently covered with a thick layer of mist, the
vista a monotonous succession of one farmhouse after
another. And then, looming out of the mist, we see
something quite unlike anything we’ve seen before.
Just for an instant, the traditional buildings of rural Romagna and
their dominant pastel tones make way for a bold exercise in modern
architecture, with its harlequin chimneystack and starkly geometric,
electric blue arcade. Here in the middle of the countryside, this
futuristic-looking building, by architect Ettore Sottsass, is home to
the Museum of Contemporary Furniture of Russi and some of the
most important specimens of furniture and interior design in Europe.
So out of place does the building look it’s as if it landed here by
mistake, the result of some technical glitch in a far-off galaxy.
Nothing could be further from the truth, of course. The idea for
this privately-run museum came from Raffaello Biagetti, a local
entrepreneur well known for his flair for interior design. In 1988, he
commissioned the construction of the museum as a permanent home
for the exhibition of furniture and interior design artefacts which
since 1968 had been on display in the offices of his firm. Since its
inception, his collection has grown constantly with the addition of
pieces by leading Italian and foreign designers. Today, the collection
is officially entitled Scenes from the History of Furniture, 1880-1980.
The exhibition is organized chronologically, following the evolution of
interior design in aspects both technical (materials, production and
diffusion) and formal, and provides a fascinating overview of one of
the contemporary age’s most important cultural and socio-economic
phenomena: design. It’s especially interesting for its examination of
the aesthetic and technological evolution of contemporary design.
The 150 pieces which compose the collection were selected by a
committee of experts whose members include Giovanni Klaus Koenig,
Giuseppe Chigiotti and Filippo Alison. As part of the educational side
of the museum, curator Piero Castiglioni (who was also responsible
for designing the layout of the museum) has divided the collection
into six sections, each belonging to a specific historical period.
From art nouveau in Spain (Antoni Gaudí), Austria (Michael Thonet)
and Scotland (Charles Rennie Mackintosh) we move to the Wiener
Werkstätte of the early 20th century, a movement whose members
included distinguished artists and architects like Joseph Hoffman,
Otto Wagner, and Joseph M. Olbrich. Next comes the Bauhaus, the
German design school that made some fundamental contributions
to design culture with the work of Walter Gropius (its founder and
first director), Marcel Breuer and Mies Van der Rohe. This section
also features works by Frank Lloyd Wright and Gerrit Rietveld, who
worked in the same historical period but absorbed different cultural
influences on their journeys towards a radical renewal of stylistic
canons. The exhibition continues with artefacts from Russia, France
and Italy from the 1930s, with works by many of the artists – Le
Corbusier, Jean Prouvé, Giò Ponti, Giuseppe Terragni and Pietro
Chiesa – who made the greatest contributions to the development
of design. We then move from the Decorative Arts movement to the
Organic Modernism of the 1950s, a style whose major exponents
were from Scandinavia, America and Italy. Some of the leading
names in this movement were Alvar Aalto (one of the fathers of
organic architecture), Charles Eames and Giò Ponti. A large section
of the exhibition is dedicated to the 1960s, a period when many
Italian designers moved into mass production, developing new
technologies allowing furniture and fittings to be manufactured on
an industrial scale. Industrial design in its Italian embodiment is
amply illustrated by a significant number of pieces which document
the new materials, forms and functions celebrated by the designers
of this period. The momentum which had gathered in the 1960s
continued into the 1970s and the early 1980s. Among the many
exponents of this golden age of Italian design whose works are on
display in the museum are Achille and Pier Giacomo Castiglioni, Carlo
Scarpa, Gae Aulenti, Marco Zanuso, Gaetano Pesce, Afra and Tobia
Scarpa, Ettore Sottsass, Giancarlo Piretti and Vico Magistretti. The
exhibition closes with a few pieces of German and Japanese furniture
whose design represents the interaction of form and function at its
most consummate. Information panels underline the exhibition’s
divisions into six principal, but inter-penetrating, sections. There is
information on the designers on show, as well as images depicting the
art, graphic design, architecture and fashion of each period under
review, integrating the exhibits in their wider context. This makes
it easier for visitors to grasp the historic and cultural context in
which the pieces on show came into being. Alongside the permanent
exhibition, temporary shows dedicated to specific design themes are
regularly held in the museum’s mezzanine section. Designers whose
work has been exhibited here include Dorothy Gray, Robert Vincent,
Roger Kelly, and Bas Meerman.
One feature which really sets this museum apart is its attempt to
spark a sensorial bond between visitor and exhibit. And in an effort
to bring the building into closer contact with the local community,
from 1999 to 2001 the museum played host to an eclectic programme
of concerts and other events.
Passioni
17]
franco de pisis
immagini: archivio banca del tempo di santarcangelo di romagna
il tempo è la cosa più preziosa che un uomo possa spendere. teofrasto
Il tempo è denaro
È nata in R omagna la prima vera e propria
Banca del T empo italiana
Per la precisione in quel di Santarcangelo di Romagna, nella provincia di
Rimini, sull’esempio di casi già esistenti all’estero e dell’idea di una
consigliera comunale che era solita scambiare con le colleghe la propria
disponibilità di tempo appartenente alla sfera privata.
[18
crediti unicamente in relazione al tempo impiegato per
fornire la prestazione scambiata, indipendentemente
dai prezzi di mercato. Per queste e altre simili ragioni
la sua fondazione è stata seguita con attenzione dai
media nazionali e ha costituito un importante modello
per le oltre 400 simili iniziative sorte successivamente
in tutto il Paese. La volontà di ripristinare il concetto di
scambio ha attecchito particolarmente bene in una
cittadina come Santarcangelo, sempre distintasi per la
sensibilità dimostrata verso la solidarietà sociale. Qui
ha avuto luogo, nel 1997, il Primo Congresso Europeo
delle Banche del Tempo e nel 2005 la BdT ha celebrato
il decennale della propria fondazione ospitando
nuovamente la convention internazionale. I suoi membri
si offrono come autisti, cuochi, tuttofare, traduttori, esperti
di informatica o di pratiche amministrative, solo per fare
qualche esempio. Le ore a debito o a credito non devono
essere sottoposte a quadratura come in banca. Nessuno
quindi viene vincolato direttamente a obblighi personali.
L’unico “pericolo” riscontrato è che all’interno della BdT
molti soci finiscono per diventare amici, dimenticandosi
di segnare le ore. Un fattore di rischio non esattamente
identico a quello che ha portato al fallimento di banche
d’investimento come Lehman Brothers.
In un’epoca che vede la speculazione finanziaria inghiottire
l’economia produttiva e il denaro divenire un impalpabile
flusso di bit in rete è sintomatica l’attenzione che sempre
più persone prestano a una serie di pratiche cadute in
disuso, nella fattispecie al baratto. Il principio messo
in pratica da questo particolare tipo di banca si basa
sulla valorizzazione della risorsa tempo di un individuo
in relazione alle sue capacità. Funziona come un istituto
di credito, con l’importante differenza che si occupa di
amministrare il tempo stesso anziché il denaro. Ogni socio
mette a disposizione una quota oraria in cui si impegna
a svolgere un’attività secondo le proprie competenze e
abilità. Con la stessa modalità potrà ricevere, a sua volta,
prestazioni dagli altri membri della banca. Ufficialmente
il primo istituto italiano ispirato a questo principio è stato
fondato a Parma nel 1991, con l’intento di mettere il
tempo libero dei pensionati a disposizione delle donne
lavoratrici con figli. Quella nata a Santarcangelo da
un’idea espressa e condivisa già nel 1993, il cui atto
costitutivo è stato poi sancito nel 1995, è però la prima
realtà italiana di questo tipo strutturata a tutti gli effetti
come una Banca del Tempo. Prima ad aver adottato
lo strumento degli assegni fac-simile per gli scambi tra
gli aderenti e il principio di contabilizzazione dei debiti e
I
Sensi
di
Romagna
Time is money
Italy’s first real Time Bank
was opened in Romagna
19]
More accurately, in Santarcangelo, Rimini province.
Based on existing models in other countries, Italy’s
first time bank was the brainchild of a municipal
councillor who was in the habit of helping her
colleagues with their domestic duties in exchange for
their help with hers.
In an age when financial speculation is laying waste to national
economies and money has become an intangible flow of bits and
bytes in global networks, it’s significant that more and more people
are returning to a practice that had long fallen into disuse: barter.
Time banking works by assigning value to a resource – time –
available to individuals in relation to their capacities. The system
works just like any credit institution, with the key difference that
the resource being traded is not money but time. Every member
of a time-banking scheme pledges to dedicate a certain number of
hours to any activity that their skills and abilities qualify them for.
In return for the hours they put into the scheme, they are entitled
to “payment”, in hours of services, from other members. Officially,
the first Italian scheme based on the time bank model was created
in Parma in 1991. Its objective: to put the free time of pensioners at
the disposal of working women with children. But the Santarcangelo
scheme – plans for which were first aired in 1993, and whose articles
of association were approved in 1995 – was the first fully-fledged
time bank to operate in Italy. More precisely, it was the first scheme
to introduce facsimile cheques as a currency of exchange between
members, to calculate debits and credits exclusively in terms of
the time spent in providing services, independently of market
prices. For these and other reasons the bank attracted significant
attention from the Italian media on its foundation, and was the
model for 400 similar initiatives which have sprung up all over Italy.
The will to restore the concept of exchange to its non-monetary roots
has found fertile ground in the small town of Santarcangelo, which
has always been known for its keen sense of community. In 1997,
the town hosted the first European conference of time banks, an
event which returned to Santarcangelo in 2005 in commemoration
of the 10th anniversary of the foundation of its local time bank.
Members of the scheme offers a wide range of services – as
drivers, cooks, domestics, translators, or providing IT and clerical
services, to name just a few examples. Time credits and debits
are not balanced against each other as in a normal bank. Which
means no member is personally obliged to provide a given service.
The only “danger” with the system is that the members of a time bank
become friends, and forget to keep track of hours worked and earned.
But as a risk factor, that’s nothing compared to what brought about
the downfall of investment banks such as Lehman Brothers, after all.
Passioni
alba pirini
immagini: archivio comune di cervia, archivio parmigiano-reggiano,
archivio umberto beltrami
Parmigiano
cum grano salis
L ’ arcaico legame c h e unisce il sale “ dolce ”
di C ervia al Parmigiano - R eggiano
[20
Una pergamena rinvenuta nell’Archivio di Stato di Modena
certifica l’esistenza di un antichissimo legame, risalente
al XII secolo, tra due delle più apprezzate eccellenze
enogastronomiche emiliano-romagnole.
Il prezioso documento, datato 1192 e oggi noto come la pergamena di Marola, certifica
infatti la concessione di una vasca facente parte delle saline di Cervia a favore della chiesa
di Sassoforte, nel Reggiano. Con quell’atto, Pietro Traversari lasciava in uso a don Guido,
monaco di Santa Maria del Convento di Marola e priore di San Bartolomeo in Sassoforte,
“uno svuoto per farvi una salina da utilizzarsi per vent’anni”. Intorno all’anno Mille, i monaci
di San Benedetto svolgevano, per motivi spirituali, anche l’attività di contadini e allevatori. È
ampiamente documentato il fatto che questi monaci furono fautori del formadio, con questo
nome è conosciuto il “padre” del Parmigiano-Reggiano. Non è quindi difficile immaginare
la destinazione di una tale importante fornitura di sale, che veniva certamente utilizzato
per salare il formaggio. L’“oro bianco” di Cervia, il celeberrimo sale “dolce” (vedi ee N°
19), la cui qualità denominata salfiore è anche un Presidio Slowfood, ha quindi, tra i suoi
altri meriti storici, contribuito alla fama di quello che molti definiscono “il re dei formaggi”.
La scoperta della pergamena ha avuto anche
un altro fondamentale risvolto, sembra infatti
destinata a dirimere l’enigma sulla paternità del
parmigiano, da sempre oggetto di contesa tra i
reggiani e i parmensi, attestandone la titolarità
ai primi. Si ritiene sia stato l’abate Giovanni
da Corniano dell’Abbazia di Marola ad avere
avuto l’idea di cuocere due volte lo stesso
latte per produrre un nuovo tipo di formaggio,
intervallando fra il primo riscaldamento (a
temperatura bassa) e il secondo (a temperatura
più alta) un periodo di riposo in cui, dopo aver
aggiunto il presame, si procedeva a sminuzzare
la cagliata con un ramo secco di biancospino.
I casari benedettini matildici avevano inoltre
intuito e sperimentato che miscelando le due
munte (la prima della sera maturava prima
di quella del mattino), la cagliata spurgava
rapidamente mantenendo una fermentazione
che non faceva scoppiare la forma. Da questi
passaggi nasceva il formadio e nasce oggi
il formaggio a pasta dura che porta il nome
di Parmigiano-Reggiano. Appena è riemerso
che uno dei segreti della sua preparazione
fu proprio il sale “dolce” di Cervia è stato
rinsaldato il “matrimonio” tra i due simboli
enogastronomici e dal 2010 è stata avviata
una piccola produzione d’eccellenza di
Parmigiano-Reggiano la cui ricetta prevede
una specifica salatura con il sale cervese.
La prima forma così ottenuta è stata tagliata,
di fronte alle autorità, nel settembre scorso,
durante la celebrazione per la raccolta del
sale che si tiene annualmente nella cittadina
adriatica. E si sa che il sale porta fortuna.
Parmigiano cum grano salis
The ancient link between Parmigiano-Reggiano
cheese and the fleur-de-sel of Cervia
A 12-century parchment discovered in Modena’s state archives
attests to an ancient link between two of the most prized food
products of Emilia-Romagna.
The precious document is dated 1192. Known as the Marola Parchment,
it records the award of a pond in the Cervia salt pans to the church of
Sassoforte in the province of Reggio-Emilia. With this deed, Pietro
Traversari made over for the use of don Guido, a monk at the abbey of
Santa Maria in Marola and prior of San Bartolomeo in Sassoforte, “a cavity
for making a salt pan to be used for twenty years”. As early as the first
millennium, the monks of the Benedictine order were known to practise
agriculture and animal husbandry as part of their spiritual code. It’s widely
attested that these monks were makers of formadio, the forerunner of
Parmigiano-Reggiano cheese. It’s most probable, therefore, that the salt
harvested in Cervia would have been used for salting the cheese. Which
means the “white gold” of Cervia, the celebrated fleur-de-sel (see ee issue
no. 19), whose quality has earned it Slow Food certification, can add to
its many historical merits the fact that it contributed to the fame of what
many call the king of cheeses. The discovery of the parchment has also
cleared up another long-standing dispute regarding the origins of parmesan
cheese, which two cities, Reggio Emilia and Parma, claim for themselves.
It now seems parmesan originally came from Reggio Emilia. It’s believed
that abbot Giovanni da Corniano of the Abbey of Marola first hit on the
idea of cooking the same milk twice to produce a new kind of cheese.
The milk was first heated to a low temperature, then allowed to cool,
then heated to a higher temperature. In the interval, rennet was added
and the curds were broken up with a dry hawthorn twig. The Benedictine
dairy farmers of Marola also discovered that by mixing two batches of milk
extracted at different times (one batch extracted in the morning, and the
other the previous evening, and which had therefore begun to curdle), the
curds would drain quicker, allowing the cheese to mature without breaking
its mould. This was the formadio of medieval times, the ancestor of the
granular cheese we now know as Parmigiano-Reggiano. No sooner had the
news emerged that one of the secrets of formadio was the fleur-de-sel of
Cervia, moves were afoot to seal the alliance between these two prime
specimens of gastronomic excellence, and in 2010 a small artisan facility
began producing Parmigiano-Reggiano to a recipe which specifically requires
the use of Cervia salt. The first-ever round of the new cheese was cut at an
official ceremony last September during the annual salt harvest celebrations
in the Adriatic town. For salt brings good luck, as everybody knows.
la tradizione non [...] può venir acquistata in eredità; e se la volete possedere,
dovete conquistarla con grande fatica.
thomas stearns eliot
I
Sensi
di
Romagna
Enogastronomia
21]
Brindare alla vita
carlo zauli
immagini: archivio altavita
Altavita is a winery just a few kilometres outside Cesena, and its name is in fact a contraction of Io
brindo alla vita – “I raise a toast to life.” It’s a fitting statement of intent and illustration of the
values of Altavita, and its emphasis on a lifestyle guided by well-being and authenticity.
I l motto di A ltavita
And the statement of intent is backed up in practice. Altavita’s vines are organically cultivated with sustainable agricultural
methods which respect the natural relationship between the size of the estate and the amount of wine, olive oil and other
produce it yields. The estate’s various holdings (San Marco, I Gessi, Vigna dei Monaci, Vigna del Pianto) together cover an area of
approximately 20 hectares, extending over a heterogeneous strip of land that rises from the foothills of Cesena at an altitude of
100 m to the village of Sorrivoli at an altitude of 300 m. The vines are planted in predominantly calcareous soil, here and there
intersected by the Vena del Gesso (a geological formation of chalky outcrops that runs through Romagna), which gives the grapes
some interesting sensory qualities. The oldest vine plots function as a kind of “octave” to which the rest of the estate’s production
is tuned. Careful selection of their germ plasm determines the genetic combinations of newly-planted vines. The training method
is spurred cordon, with low planting density (between 3,500 and 5,500 vines per hectare) and an exceptionally limited yield (no
more than 45 hundredweights per hectare). Harvesting is 100% manual and occurs in several runs in which only the best bunches
make the cut, with careful pruning and frequent thinning. Once harvested, the grapes are handled with the utmost care. The
white grapes are destemmed and undergo gentle pressing. The red grapes are fed into crusher-stemmer machines whose rubber
rollers do not tear the skins. In the fermentation phase, meticulous care and inert gases allow the use of additives and sulphites
to be kept to an absolute minimum. What the technical specifications don’t describe, however, is the added value imparted by the
positive atmosphere that pervades the estate, jointly run by Enrico Giunchi and Maurizio Fiuzzi with the coordination of Lorenzo
Tersi and the backing of the well-known Romagnol entrepreneur Nerio Alessandri.
Il nome di questa Cantina, che sorge a pochi chilometri
da Cesena, deriva infatti dall’elissi dell’esortazione:
“Io brindo alla vita”, manifesto d’intenti a cui sono
stati affidati i valori aziendali di Altavita, che
esprimono la promozione di uno stile di vita attento
al benessere e alla tutela della genuinità.
[22
Agli intenti seguono i fatti, sotto forma di una conduzione biologica delle colture
con pratiche agricole sostenibili improntate al rispetto della proporzione tra le
dimensioni dell’Azienda e il volume delle produzioni di vino, olio e altre tipicità
del territorio. I circa 20 ettari di poderi (San Marco, I Gessi, Vigna dei Monaci,
Vigna del Pianto) di cui si compone la tenuta si estendono su una fascia
eterogenea di territorio che dalla zona pedecollinare cesenate si spinge fino
a Sorrivoli, passando dai 100 ai 300 metri di altezza slm. I terreni in cui le
viti affondano le proprie radici sono perlopiù calcarei, lambiti a tratti dalla
Vena del Gesso Romagnola (formazione geologica costituita da affioramenti
gessosi), e conferiscono all’uva interessanti peculiarità organolettiche. I vigneti
più vecchi vengono considerati una sorta di “diapason” su cui “accordare”
l’intera produzione. Attraverso la selezione del loro germoplasma vengono
infatti decise le combinazioni genetiche che dovranno possedere i vigneti
di nuovo impianto. Il metodo di allevamento prescelto è quello del cordone
speronato, con una bassa densità d’impianto (tra i 3.500 e i 5.500 ceppi
per ettaro) e una resa estremamente contenuta (fino a 45 quintali per ettaro).
La vendemmia, rigorosamente manuale, avviene in più passaggi attraverso
un’attenta selezione dei grappoli ed è preceduta da potature ben selezionate
e frequenti diradamenti. L’accurata preservazione della materia prima fornita
dai vigneti prosegue in cantina, quando le uve bianche attraversano una
diraspatura e una pressatura soffice, mentre quelle rosse vengono pigiadiraspate da macchinari dotati di rulli in gomma capaci di preservare l’integrità
delle bucce. In fase di fermentazione, la massima cura e l’utilizzo di gas inerti
consentono impieghi ridottissimi di coadiuvanti e solforosa. Quello che le
specifiche tecniche non possono descrivere è però il valore aggiunto apportato
dall’atmosfera positiva che si respira in Azienda, ispirata dalla collaborazione
tra Enrico Giunchi e Maurizio Fiuzzi, con il coordinamento di Lorenzo
Tersi e la motivazione del noto imprenditore romagnolo Nerio Alessandri.
I
Sensi
di
Romagna
Raising a toast to life
The motto of Altavita
Tempora_ Sangiovese di Romagna DOC Superiore Riserva 2006_ Uve/Grapes 85-90% Sangiovese,
5% Merlot, 5% Cabernet
Dalle uve raccolte nelle aree più soleggiate dei vigneti nasce il vino “ammiraglio” della Cantina, che si presenta con un color rubino fitto ricco di
riflessi porpora. Il suo profumo di frutti rossi, con note floreali e sentore di erbe officinali, introduce un gusto elegante, che trova un felice equilibrio
tra la morbidezza al palato e la struttura tannica e tramosa di nera concentrazione. La fermentazione avviene in vasche di acciaio inox a temperatura
controllata con rimontaggi giornalieri e delastage. Sempre in acciaio si compie la fermentazione malolattica. Viene affinato in piccoli carati di rovere
francese a tostatura dolce per 12–14 mesi e in bottiglia per 6-8 mesi. Temperatura di servizio 18 °C. Abbinamento consigliato con la cacciagione
(anche da piuma) e le carni saporite, come l’agnello o il castrato. The estate’s flagship wine is made from grapes picked from the sunniest plots, and
has a deep ruby colour richly shot through with purple highlights. Its fragrance of red fruits, with floral notes and overtones of medicinal herbs, is
a good prelude to an elegant taste which strikes a happy balance between softness on the palate and a densely-knit tannic structure. Fermented in
inox vats at controlled temperature, with daily pumping over and delestage. Malolactic fermentation is also in inox. Matured in small French lighttoast oak barrels for 12–14 months followed by 6-8 months of bottle ageing. Serving temperature: 18°C. Goes well with game and game birds, and
sapid meats such as lamb and mutton.
Evoca_ Sangiovese di Romagna DOC Superiore 2007_ Uve/Grapes 100% Sangiovese
il vino è vita. petronio
Come indica il suo nome, questo vino mira a evocare la tradizionale naturalità del re dei vini romagnoli, tenendosi a distanza dalle contaminazioni
contemporanee. Il suo colore rosso rubino è venato da consistenti riflessi violacei. Le note floreali e fruttate che rivela al naso sono sovrastate da una
piacevole impronta minerale. Al palato risulta morbido, fresco e ben equilibrato. Fermenta in vasche di acciaio inox a temperatura controllata con
rimontaggi giornalieri. Fermentazione malolattica sempre in acciaio. Viene affinato in vasche d’acciaio e per qualche mese in bottiglia. Temperatura
di servizio 16 °C. Si abbina ottimamente al pollo cucinato alla cacciatora e alla carne di maiale alla brace. As its name indicates, this wine is
designed to evoke the authenticity of the king of Romagnol grapes, and in doing so it steers clear of modish blends. A ruby-red wine with even, violet
highlights. On the nose, its floral and fruity notes are overlaid with an agreeably mineral tone. On the palate it’s soft, fresh and well balanced.
Fermented in inox vats at controlled temperature, with the grapes pumped over daily. Malolactic fermentation is also in inox. Matured in steel
tanks, followed by several months’ bottle ageing. Serving temperature: 16°C. Goes very well with chicken alla cacciatora and chargrilled pork cuts.
Solesia_ Albana di Romagna DOC Passito 2008_ Uve/Grapes 100% Albana
Un vecchio vigneto posto tra due colline accarezzate dal maestrale, che soffia asciugando gli acini lasciati ad appassire naturalmente al sole per
due mesi. Ecco lo scenario dal quale nasce questo vino da meditazione capace di regalare sensazioni intense. Bel colore dorato, aromi d’autunno e
una pronunciata acidità che contrasta gradevolmente la dolcezza autentica. Le uve, raccolte il giorno di San Martino, attraversano una schiccatura
manuale e pressatura soffice. Fermentazione e affinamento in botti di rovere francese con ulteriore affinamento in bottiglia per 6 mesi. Temperatura
di servizio 14 °C. Ideale con la pasticceria secca, ma indicato anche per accompagnare formaggi erborinati o stagionati. Made from grapes grown
in an old vineyard whose location between two hills draws the cool mistral through the vines, drying the grapes which are left to raisin in the sun
for two months. The result is a sipping wine full of intense sensations. Full and golden, with autumn aromas and a marked acidity that contrasts
agreeably with its natural sweetness. The grapes are harvested on 11 November, and are manually deseeded followed by gentle pressing. Fermented
and aged in French oak barrels, followed by a further 6 months’ bottle ageing. Serving temperature: 14°C. The perfect companion to pastries, also
goes well with mature and blue cheeses.
Enogastronomia
23]
BEYOND SURFACE
AU DELA DE LA SURFACE
Vis artistica “plurale”
tutte le arti si assomigliano – un tentativo per riempire gli spazi vuoti.
samuel beckett
I talenti di F rancesco N onni
Uno dei membri fissi del Cenacolo
Baccariniano (vedi ee N° 16) fu
in grado, ancora più di altri,
di condurre la propria idea di
bellezza lungo le vie dei più
diversi mezzi espressivi, per
appagare i suoi numerosi talenti.
bernardo moitessieri
immagini: archivio mic
(museo internazionale della ceramica
in faenza)
[26
27]
Il suo nome era Francesco Nonni. Faentino, classe 1885, fu xilografo, pittore, decoratore, illustratore, importante
ceramista e intagliatore. Quest’ultima disciplina aprì e chiuse il suo percorso di artista. Già durante gli studi (che, come
molti adepti del Cenacolo Baccariniano, svolse alla Scuola faentina di disegno diretta da Antonio Berti), infatti, entrò
come apprendista nell’Ebanisteria Cooperativa Canalini di Faenza, imparando le tecniche di incisione del legno e
dedicandosi alla decorazione. Negli anni Cinquanta, dopo una lunga e variegata carriera che lo impose soprattutto
come valente ceramista, cominciò a dedicarsi all’intarsio dell’avorio, fino alla sua morte, che lo colse nella città natale
nel 1976. Tra queste coordinate, l’avventura artistica di Francesco Nonni lo portò a dedicarsi alla xilografia, presentando
i suoi lavori, con ottimi riscontri di critica, in importanti esposizioni come la Mostra Internazionale di Belle Arti di Milano
(nel 1906), la Quadriennale d’Arte di Torino (nel 1908), la Biennale di Venezia (nel 1910, 1912 e 1914) e la mostra Roma
1911. Nel 1912 fonda a Forlì, insieme ad Antonio Beltramelli, la rivista Il Romanzo dei Piccoli. Questa non sarà la sua
sola iniziativa editoriale; nel 1924, infatti, fonderà e dirigerà a Faenza, per conto dell’Editore Lega, la rivista Xilografia.
Tra le due esperienze, Nonni conoscerà la guerra. Lo stesso anno in cui l’artista ottenne l’abilitazione all’insegnamento
scoppiò, infatti, la Prima Guerra Mondiale. Il contatto tra il suo animo sensibile e la tragedia della prigionia, che seppe
segnare temperamenti ben più distaccati, lasciò in lui una profonda impronta, come testimonia anche l’album Cellelager
in cui raccolse i disegni vergati sul campo di reclusione. In seguito al conflitto, Nonni riprende l’attività di insegnante alla
Scuola di disegno Minardi di Faenza e, su pressione di Pietro Melandri, entra in contatto con la ceramica nella fornace
di Paolo Zoli, ove plasma delle figurine in terracotta che vengono decorate da Melandri. Successivamente inizia a
espandere le sue collaborazioni con altre fornaci faentine (la Nuova Ca’ Pirota, il laboratorio di Anselmo Bucci, quello
di Aldo Zama, la Casalini Ceramiche e la Faventia Ars) fino ad affermarsi come esponente di spicco della corrente
Déco, grazie anche alla sua produzione di figurine femminili in abiti settecenteschi, damine, odalische, pierrot e animali
esotici. Una delle sue opere più celebri, realizzata con Anselmo Bucci, è il famoso Corteo Nuziale che fu esposto
all’Expo di Parigi nel 1925 e premiato con la medaglia d’argento. Dagli anni Trenta, Nonni abbandona gradualmente la
ceramica per dedicarsi alla pittura ad olio, fino a concludere ad anello, come già detto, la sua “peregrinazione artistica”.
I
Sensi
di
Romagna
A multi-faceted life:
the many talents of Francesco Nonni
An established member of the Baccarini Circle (see ee
issue no. 16), Francesco Nonni had a rare ability to
express his ideas of beauty in many different media.
Francesco Nonni was born in Faenza in 1885 and was a talented
woodcutter, painter, decorator, illustrator, ceramist and engraver.
It was with engraving that he began and ended his career
as an artist. While still a student (like many members of the
Baccarini Circle, Nonni attended the school of design of Faenza,
under the direction of Antonio Berti), he entered the Canalini
marquetry cooperative of Faenza as an apprentice, where he
learned woodcutting techniques and specialized in decoration.
In the 1950s, after a long and varied career in which he mainly
distinguished himself as a ceramicist, Nonni dedicated himself to
ivory intarsia, a passion that lasted until his death in his home
city in 1976. His artistic adventures also included woodcutting,
with his works being presented to considerable critical acclaim
in major shows including the Milan International Fine Arts
Exhibition of 1906, the Turin Quadriennale of 1908, the Venice
Biennale of 1910, 1912 and 1914, and the Roma 1911 exhibition.
In 1912 he founded the review Il Romanzo dei Piccoli with
Antonio Beltramelli in Forlì. This was not Nonni’s only venture
into publishing; in 1924, he founded and directed the review
Xilografia, published by Editore Lega, in Faenza. In between
these two ventures, Nonni went off to war. The First World War
broke out in the year he obtained his teaching qualification.
Nonni was a sensitive soul and his
experiences as a prisoner of war made a
profound impression on him, as recorded in
Cellelager, a collection of his prison camp
drawings. After the war, Nonni resumed
his teaching work at the Minardi school of
design in Faenza. Here, at the instigation
of Pietro Melandri, he discovered ceramics
at the workshop of Paolo Zoli, where his
early creations, terracotta figurines, were
decorated by Melandri. He then began to
extend his collaboration with other Faenza
workshops (Nuova Ca’ Pirota, the workshops
of Anselmo Bucci and Aldo Zama, Casalini
Ceramiche and Faventia Ars) and gained a
reputation as a leading exponent of the art
deco style for his female figurines in 18thcentury costumes, odalisques, pierrots and
exotic animals. One of his most famous
works, a joint effort with Anselmo Bucci, is
the celebrated Corteo Nuziale, which won
the silver medal at the 1925 Paris Expo.
In the 1930s Nonni gradually abandoned
ceramics to concentrate on oil painting,
before bringing his artistic trajectory full
circle with his late work as an engraver.
Arte
tatiana tomasetta
immagini: erik anestad, peter kaminski, lino m, william murphy, dagny scott, schwarzerkater
Arnaldo Pomodoro
P oeta della dimensione
Tra il 1959 e il 1960 l’Italia confermava il suo
ruolo centrale sulla scena internazionale dell’arte
contemporanea.
[28
I movimenti d’avanguardia che avevano caratterizzato i conflitti mondiali erano
un ricordo, si delineavano le nuove linee di ricerca artistica che scavalcavano
l’informale, tra Parigi e Milano si formavano i principali gruppi che avrebbero animato
la scena negli anni successivi. La sperimentazione puntava verso una direzione:
quella “spaziale”. Arnaldo Pomodoro (classe 1926, nato a Morciano di Romagna
il 23 giugno), ancora trentaquattrenne, all’inizio degli anni Sessanta ha già iniziato
da tempo il suo personale dialogo con la scultura, è già stato invitato alla Biennale
di Venezia, ha già esposto le sue opere in numerose gallerie d’arte in patria e
all’estero, ha già “incassato” il consenso del mercato internazionale (Leonardo
Sinisgalli definì la sua arte “una scrittura sconcertante”) e ricevuto numerosi premi.
Se negli anni Cinquanta (quando Pomodoro frequenta Milano e l’ambiente artistico
di Brera, in particolare Lucio Fontana, Enrico Baj, Umberto Milani, Emilio Scanavino,
Gianni Dova e Ugo Mulas) l’opera di Pomodoro è degna di menzione per i suoi
“rilievi” (da Il giardino nero, 1956, a Tavola dell’agrimensore, 1958), che indicano il
superamento della cultura informale e il desiderio di proporre un segno ambiguo
fortemente connotato dall’uso del ferro, stagno, piombo, argento, cemento e bronzo
(materiali inediti che testimoniano la ricerca e la volontà dell’artista di sperimentare
nuovi mezzi formali ed espressivi), è nel decennio successivo che lo scultore riflette
sulla complessità spaziale e materica della forma a tutto tondo.
avevo già capito che la strada della pittura non mi era congeniale, mentre
ero attratto dalla materia che avevo bisogno di toccare e di trasformare.
arnaldo pomodoro
I
Sensi
di
Romagna
Proprio del 1960 è La colonna del viaggiatore n. 1, il
cilindro teso verso l’alto che svela l’identità interiore
attraverso una lacerazione piena di un’inattesa struttura.
Nel 1962, la seconda Colonna sviluppa poi l’opera
precedente rendendo omaggio a La colonna senza fine
di Brancusi, uno dei modelli di riferimento di Pomodoro,
che inizia a scoprire lo spazio. È il 1960 quando lo scultore
partecipa al gruppo informale denominato Continuità,
insieme agli artisti Perilli, Novelli, Turcato, Dorazio e Giò
Pomodoro. Sempre in quel periodo Pomodoro riflette sul
modello geometrico primario e lavora sui solidi euclidei,
che andranno a caratterizzare il suo lavoro affermandolo
a livello internazionale grazie a bronzi come Il cubo, 19611962, La ruota, 1961, e la Sfera n. 1, esposta per la prima
volta alla Biennale di San Paolo del Brasile nel 1963. In
questo periodo Pomodoro affina la propria cifra stilistica,
decide che le grandi dimensioni esprimono meglio i
suoi intendimenti artistici, cerca dunque l’equilibrio tra
le geometrie esterne e i ricercati meccanismi interni. La
sua scultura è dominata da una rigorosa ricerca, da una
sostanziale differenziazione tra la forma esterna, ridotta
all’essenza volumetrica, e i complessi “paesaggi” interni
all’opera, “ingranaggi misteriosi nascosti nell’interno di
massicci contenitori (globi, colonne continue, cubi, dischi)
e resi parzialmente visibili dagli squarci e dai tagli che
rompono le lisce superfici di questi”.
Nella sua lunga carriera l’artista, oggi considerato uno dei
più grandi scultori contemporanei italiani viventi, realizza
centinaia di mostre in tutto il mondo, vince decine di premi,
insegna alla Berkeley University, frequenta i più grandi poeti,
letterati, artisti e autori del mondo, ma soprattutto progetta
e realizza una serie di opere di grandi dimensioni destinate
ad essere collocate negli spazi pubblici dell’intero Pianeta.
Seminate lungo un percorso, quasi a voler rappresentare
il registro di un viaggiatore che attraverso la consistenza
della materia ha svelato la vicenda artistica dello spazio.
Se, in Italia, l’opera Novecento (bronzo, altezza di 21 metri
e diametro di 7 metri) svetta nel piazzale Pier Luigi Nervi
di Roma, a Darmstadt il Grande disco è installato su uno
specchio d’acqua, di fronte allo Staatstheater.
Arte
29]
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Arnaldo Pomodoro
A poet of many dimensions
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As the 1950s ended and the 60s began, Italy began to
assume a leading role in the international contemporary
art scene.
[30
The avant-garde movements of the war years were now a thing of
the past, and in Paris and Milan artists were beginning to explore new
avenues of expression and form the groups that would dominate the art
world in the coming years. One concept dominated the new climate of
experimentation: the “spatial”. Arnaldo Pomodoro (born in Morciano,
Romagna on 23 June 1926) was aged just 34 at the beginning of the
1960s. But he was already an established sculptor by this time, having
exhibited at the Venice Biennale and many art galleries in Italy and
abroad, winning the consensus of the international art market (Leonardo
Sinisgalli defined his work as “a troubling script”) and numerous prizes.
In the fifties, Pomodoro had lived in Milan and frequented the Brera
circle, whose other members included Lucio Fontana, Enrico Baj,
Umberto Milani, Emilio Scanavino, Gianni Dova and Ugo Mulas. Among
his key works from this period were a series of reliefs (from Il giardino
nero of 1956 to Tavola dell’agrimensore of 1958) which signalled a
break with the informale movement and his increasing interest in the
use of materials such as iron, tin, lead, silver, cement and bronze (all
untried materials for Pomodoro, and testimony of his desire to explore
new formal and expressive media). In the 60s, Pomodoro’s interests
turned towards the spatial and material complexities of sculpture in
the round. In his Traveller’s Column No. 1 (1960), the outer surface of
a tall cylinder is lacerated to reveal some remarkably intricate innards.
His second Column, from 1962, takes up where no. 1 left off and pays
tribute to Brancusi’s Endless Column, one of Pomodoro’s key points
of reference in his early exploration of the spatial potentialities of
sculpture. Pomodoro joined the informale group, Continuità, in 1960,
alongside Perilli, Novelli, Turcato, Dorazio and Giò Pomodoro. His work
from the early 60s is dominated by simple geometric shapes and his
examinations of Euclidian solids which would bring him to international
attention in bronze works such as The Cube (1961-62), The Wheel (1961)
and The Sphere No. 1, first exhibited at the São Paulo Biennial of 1963.
It was in this period that Pomodoro’s distinctive stylistic idiom began
to take its definitive form, with his growing preference for large-scale
works and his explorations of the tensions between external geometric
form and intricate inner workings. Pomodoro’s sculpture is dominated
by its scrupulous attention to detail and its marked contrast between
external form – reduced to its bare volumetric essence – and complex
inner landscapes, “mysterious workings concealed in bulky containers
I
Sensi
(spheres, columns, cubes, disks) and partially revealed by slashes and
tears in their smooth external surfaces”. Today, Arnaldo Pomodoro is
considered one of Italy’s greatest living sculptors. Over the course of
his long career his work has gone on display in hundreds of exhibitions
all over the world and won him many prizes. He has taught sculpture
at the University of Berkeley and moved in the leading literary and
artistic circles. But he’s best known for his large open-air sculptures
that can be found in parks and gardens all over the planet. Strewn
here and there all over the globe, these sculptures seem almost like
the trail left by a traveller in his endless explorations of the artistic
dimension of space. In Italy, Pomodoro’s Novecento (a bronze sculpture
21 metres high and 7 metres in diameter) rises from Rome’s Piazzale
Pier Luigi Nervi; in Darmstadt, Germany, his Grande Disco stands in a
pond in front of the city’s Staatstheater. His Triad (three 15-metrehigh columns) graces the PepsiCo Sculpture Gardens in Purchase, New
York, and in Copenhagen Pomodoro was commissioned to create an
imposing sculpture group and two large fountains for the gardens
in front of the royal residence, the Amalienborg Palace. Works by
Pomodoro are also to be found outside Dublin’s Trinity College, in
the Cortile della Pigna of the Vatican Museums in Rome, and on the
forecourt of the United Nations building in New York – all of these
belonging to his Sphere Within Sphere series. In the Frederik Meijer
Sculpture Gardens in Grand Rapids, Michigan, stands Pomodoro’s Disc
in the Shape of a Desert Rose; outside the Moscow’s Palace of Youth
is his Solar Disk; in Pesaro the large bronze sphere which graces the
town’s seafront seems to float upon the water in the background. And
so on, across nations and continents. But what of the artistic vision
behind all this work? Pomodoro speaks: “The priority in my work has
always been to relate the work with the space it occupies. Sculpture
is in fact the creation of a ‘self-contained’ space within the greater
space in which we live and move. When a work transforms the place it
occupies, it has real value as a marker of time, leaving its impression
on a place and enriching it with successive layers of memory. I now
see my work as crystals, or nuclei, or eyes, or fires, for the frontier
and the voyage, the complexity, the imaginary.” After all this we
shouldn’t forget Pomodoro’s successful career as a set and wardrobe
designer for theatre, a branch of his work that has earned him many
awards, including two UBU prizes.
di
Romagna
31]
Se nel PepsiCo Sculpture Gardens di Purchase, New York, l’orizzonte è pervaso dall’opera Triade (tre colonne alte
15 metri), sulla Piazza Amalienborg di Copenaghen, nei giardini di fronte al Palazzo Reale, un imponente gruppo
di sculture e due grandi fontane sono state commissionate all’artista per il settantesimo compleanno della regina di
Danimarca. Altre opere ornano il piazzale di fronte al Trinity College dell’Università di Dublino, il Cortile della Pigna dei
Musei Vaticani a Roma e il piazzale delle Nazioni Unite a New York, dove è collocata la scultura Sfera con sfera. Nel
Frederik Meijer Sculpture Gardens di Grand Rapids, Michigan, è installata l’opera Disco in forma di rosa del deserto,
davanti al Palazzo della Gioventù di Mosca è collocato il Disco Solare, nel piazzale del lungomare di Pesaro una
grande sfera bronzea pare galleggiare sull’acqua, e così via per altre nazioni e continenti. Riguardo alla propria visione
artistica, lo scultore afferma: “Esigenza prioritaria nel mio lavoro è sempre stata la relazione dell’opera con lo spazio in
cui viene collocata. La scultura, infatti, è la realizzazione di un “proprio” spazio dentro lo spazio maggiore dove si vive
o ci si muove. L’opera, quando trasforma il luogo in cui è posta, ha veramente una valenza testimoniale del proprio
tempo, riesce ad improntare di sé un contesto, per arricchirlo di ulteriori stratificazioni di memoria. Oggi penso che
le mie sculture siano cristalli, o nuclei, oppure occhi o fuochi, per la frontiera e per il viaggio, per la complessità, per
l’immaginario”. Non da sottovalutare è, infine, l’intensa carriera dell’artista come scenografo e costumista, che gli ha
valso ulteriori prestigiosi riconoscimenti, tra cui due Premi UBU.
Arte
[04]
TERRITORIO
MONTEFELTRO ROMAGNOLO_ c o me i c o nfi ni ammi ni st rat i v i po sso no adattar s i alla
geografia culturale
MONTEFELTRO – BACK IN ROMAGNA_ admi ni st rat i v e bo rde rs and c ul t ural geogr aph y
CULLA DEI MALATESTA E LUOGO DELL’ANIMA_ pe nnabi l l i po i e si
CRADLE OF THE MALATESTA DYNASTY AND RETREAT FOR THE SOUL:_ pen n abilli
[08]
CATERINA SFORZA_ …e l a sua sfi da al l ’ e ffi me ra be l l e z z a
CATERINA SFORZA :_ t he wo man who fo ught t o make be aut y e t e rnal
IL SANGUE ROMAGNOLO DI ANNA MAGNANI_ l e o ri gi ni ri t ro v at e de l l a celebr e attr ice
THE ROMAGNOL BLOOD OF ANNA MAGNANI_ he rediscovered origins of the famous actress
PASSIONI
UN UFO AT TERRATO FRA LE NEBBIE DELLA “BAS SA” _ i l muse o de l l ’ arredo
[32
c o n t e m p o r a n e o d i r u ssi
LIKE A UFO THAT’S LANDED IN THE MISTS OF BAS SA ROMAGNA_ t he m u s eu m of
c o n t e m p o r a r y f u r n i t u r e i n russi
IL TEMPO È DENARO_ è nata in romagna la prima vera e propria banca del tempo italiana
TIME IS MONEY_ i t a l y’ s fi rst re al t i me bank was o pe ne d i n ro magna
[20]
ENOGASTRONOMIA
PARMIGIANO CUM GRANO SALIS _ l ’ arc ai c o l e game c he uni sc e i l sal e “ dolce”
d i c e r vi a a l p a r mi g i a no - re ggi ano
PARMIGIANO CUM GRANO SALIS _ t he anc i e nt l i nk be t we e n parmi gi ano - re ggian o ch ee se
a n d t h e f l e u r- d e - se l o f c e rv i a
BRINDARE ALLA VITA_ i l mo t t o di al t av i t a
RAISING A TOAST TO LIFE_ t he mo t t o o f al t av i t a
[26]
Direttore responsabile
Raffaella Agostini
Direttore editoriale
Luca Biancini
Progetto
Carlo Zauli
Luca Biancini
Grafica e impaginazione
Laura Zavalloni – Cambiamenti
per Divisione immagine Cerdomus
STORIA
GLI INDOMITI GARIBALDINI CASTELLANI_ c ast e l bo l o gne se e l a sua t radi z i on e patr iottica
THE UNVANQUISHED GARIBALDINI_ c ast e l bo l o gne se and i t s pat ri o t i c t radition
[14]
Periodico edito da
Cerindustries SpA
4 8 0 1 4 C a s t e l B o l o g n e s e ( R A ) I TA LY
via Emilia Ponente, 1000
w w w. c e r d o m u s . c o m
w w w. c e r d o m u s . n e t
ARTE
VIS ARTISTICA “PLURALE”_ i t al e nt i di franc e sc o no nni
A MULTI-FACETED LIFE:_ t he many t al e nt s o f franc e sc o no nni
ARNALDO POMODORO_ poeta della dimensione
ARNALDO POMODORO_ a po e t o f many di me nsi o ns
Coordinamento editoriale
Alessandro Antonelli
Redazione
To m m a s o A t t e n d e l l i
Franco De Pisis
Angelamaria Golfarelli
Bernardo Moitessieri
Alba Pirini
Manlio Rastoni
Va l e n t i n a S a n t a n d r e a
Ta t i a n a To m a s e t t a
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Archivio Angelamaria Golfarelli
Archivio Ass. Cult. Ultimo Punto
A r c h i v i o B a n c a d e l Te m p o d i S a n t a r c a n g e l o d i R o m a g n a
Archivio Comune di Cervia
Archivio Comune di San Leo
Archivio Comune di Sant’Agata Feltria
A r c h i v i o C o m u n e d i Ta l a m e l l o
Archivio famiglia Biagetti
Archivio Manlio Rastoni
Archivio Museo Civico di Castel Bolognese
Archivio Parmigiano-Reggiano
Archivio Provincia di Forlì-Cesena
Archivio Umberto Beltrami
Erik Anestad
Peter K aminski
Lino M
William Murphy
Dagny Scott
Schwarzerkater
Si ringraziano
Va l e n t i n o A m a d o r i
APT Rimini
Anna Biagetti
Umberto Beltrami
Cantina Altavita
Comune di Cervia
Consorzio Parmigiano-Reggiano
Alessandro Giunchi
Angela Maria Di Lelio
Alma Rivola
Vittorio Silenzi
Ufficio stampa MIC (Museo Internazionale
della Ceramica in Faenza)
Si ringrazia per la preziosa collaborazione
Maddalena Becca / Divisione immagine Cerdomus
Tr a d u z i o n i
Tr a d u c o , L u g o
Stampa
FA E N Z A I n d u s t r i e G r a f i c h e
© Cerindustries SpA
Tu t t i i d i r i t t i r i s e r v a t i
A utor i zzazi on e de l Tr i bu n al e di R ave n n a
nr. 1173 del 19/12/2001 (con variazione iscritta in data 11/05/2010)
I
Sensi
di
Romagna