La Turandot e il nome delle montagne
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La Turandot e il nome delle montagne
Ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà. Dalla Turandot (1) La Turandot e i nomi delle montagne La toponomastica dei monti ticinesi T e s t o e f o t o d i F a b r i z i o Ott a v i a n i “I l nome mio nessun saprà”, canta il principe Calaf, il tenore nella Turandot, la celebre opera di Puccini. Penso che tutti, anche i non appassionati di opera, abbiano ascoltato almeno una volta Pavarotti che canta le parole riportate all’inizio dell’articolo e conclude la celebre aria “Nessun dorma” con l’acuto “Tramontate stelle, all’alba vincerò”. Risolvere indovinelli e scoprire nomi segreti sono le attività principali dei personaggi della Turandot, per cui questo incipit ben si presta al mio scritto odierno. “Nomen est omen”, dicevano i romani, il nome è un presagio, perché in esso è racchiusa la vita di una persona. Ma anche in altre civiltà era diffusa la credenza che il nome rappresentasse una predestinazione legata al suo possessore; si pensava persino che sapendo come si chiamava una individuo, si potesse esercitare un influsso su di lui. I nomi dei sovrani egiziani venivano scolpiti sui monumenti per garantire il prolungarsi della loro vita al di là della morte: perciò il peggiore castigo era la cancellazione dell’iscrizione, quella che per i Romani era la “damnatio memoriae”, cioè l’eliminazione del nome dai documenti e dai monumenti. E d’altronde ancora oggi il nome che i genitori danno al loro bimbo esprime le aspettative che essi ripongono nel figlio. Quando poi gli uomini entrano in una nuova condizione, hanno bisogno di un’altra denominazione: si pensi ai re appena incoronati o alla nomina del Papa. A sinistra: Camoghè, Gazzirola D e n t i d e l l a V e cc h i a da l l a v e t t a del Boglia. S u l l o s f o n d o : S a n S a l va t o r e , Sighignola, S. Giorgio e i monti del Varesotto. e 10 VIVERE LA MONTAGNA Il cambiamento di nome ha sempre avuto una valenza notevole e la letteratura è ricca di mutamenti, da Shakespeare nel Re Lear a Pirandello nel Fu Mattia Pascal, dai classici a molti altri autori più recenti. Pensate a Ulisse, che disse a Polifemo di chiamarsi “Nessuno” e si salvò così la vita, o ai Fisici di Dürenmatt, che non si sa chi siano davvero, o a Saulo di Tarso che cambiò il suo atteggiamento nei confronti dei cristiani e venne chiamato Paolo, oppure ancora agli attori e ai personaggi dello spettacolo, che usano un nome d’arte. Il battesimo delle montagne E le montagne cambiano nome? Ed esso influenza la loro vita? Certo, come vedremo più oltre. Cominciamo però col dire, senza pretendere di affrontare questo tema dal punto di vista scientifico e senza stare a differenziare troppo tra toponimi puri e appellativi comuni, che la denominazione delle montagne è fatto recente, nel senso che nel passato molte cime non avevano un loro nome specifico. È soltanto nel diciottesimo secolo, con la nascita dell’alpinismo e poi con lo sviluppo della cartografia di montagna che, una dopo l’altra, le vette sono state battezzate. Alcune, le più note e importanti, un nome l’avevano già, anche se non ufficiale: le popolazioni dei luoghi usavano chiamare i monti che potevano osservare dal fondovalle con degli appellativi popolari e spesso dialettali. La maggior parte di esse, però, sono state denominate dai cartografi nell’ambito del loro operato. Un po’ come succedeva agli avvocati e ai fiduciari di Lugano negli anni 60 e 70, quando ogni giorno costituivano due o tre nuove società, e dovevano lavorar di fantasia per trovare delle ragioni sociali adatte (cioè il nome della società), così nel periodo della catalogazione delle montagne, i geografi si dovevano inventare delle denominazioni idonee. A volte si prendeva semplicemente il nome del proprio sovrano o del capitano della nave che comandava la spedizione. Così sono nati nel mondo centinaia e migliaia di nuovi toponimi. Già solo in italiano esiste un’infinità di pizzi, picchi, A destra: Scelta del nome ed etimologia Dicevo prima che i cartografi hanno dovuto inventarsi i nomi delle cime che andavano disegnando sulle loro cartine. A volte era facile, perché come detto esistevano già delle parole popolari per definirle, altre volte invece bisognava metterci del proprio. Spesso i monti hanno dei nomi strani, che non corrispondono alla loro immagine e nemmeno al loro destino. In realtà quasi sempre le montagne venivano chiamate prendendo spunto da un luogo basso e frequentato dall’uomo, situato ai loro pie- di, come un paese o un alpeggio. Si pensi ad esempio al Pizzo Palù o Palü, alto, maestoso, bianco e scintillante, che invece si chiama palude. Ebbene, sulle sue pendici si trova un alpeggio chiamato appunto Alpe Palü, perché lì davvero esiste o esisteva una palude. La stessa cosa è successa con l’aguzzo Pizzo Rotondo, così chiamato da un alpeggio posto in basso. E poi vi sono gli errori dei geografi, che scambiavano una vetta con l’altra o si inventavano delle poco probabili traduzioni in lingua delle voci dialettali utilizzate nella zona. Ci si potrebbe sbizzarrire nell’analisi etimologica dei nomi delle montagne, ossia nello studio dell’origine e del significato di certi termini, soprattutto quando sono particolari e bizzarri. Non è però compito di questo scritto dilettantistico sconfinare in approfondimenti scientifici: esiste a questo proposito fior di letteratura e, in particolare per il nostro Cantone, le guide del Club Alpino Svizzero, scritte da Giuseppe Brenna, con i saggi stesi dai suoi collaboratori, sono una fonte inesauribile e rigorosa per chi voglia scoprire il perché delle denominazioni usate per determinare il nostro rilievo montano. Ci si potrebbe perdere, tra le espressioni curiose e originali che pullulano nella nostra regione. Mi limito qui a ricordare, oltre ai già citati tipi di montagne, come Pizzo, Corno, Motto, che ben raffigurano la forma delle sinistra: l’Oratorio di A poncioni, madoni, corni, cime, pale, punte, denti, guglie, colmi, sassi, motti, campi, corone, aghi, addirittura cavalli, e quant’altro la fantasia umana poteva intravvedere nelle forme delle sommità dei monti. Molto spesso, anzi quasi sempre, le montagne hanno nome e cognome: a un termine più generico, come Monte, Pizzo o Cima, si aggiunge il nome proprio. Si hanno così il Monte Rosa, il Pizzo Nero o la Cima Bianca, tanto per restare nei colori. Altre montagne, invece, è come se ne avessero uno solo, un po’ come i calciatori brasiliani: Camoghè, Adula, Badile, Cervino, Everest. Sono i più famosi, i campioni, le star, che non hanno bisogno di essere meglio definiti. Anche se ne esistono di più modesti, come il Cristallina, lo Zottone, la Fibbia, che portano un solo nominativo. L’Adula o (foto S a n S e ba s t i a n o ad A l m a t r o di Cagiallo. Rheinwaldhorn Marco Lurati). VIVERE LA MONTAGNA 11 La Turandot e i nomi delle montagne varie elevazioni, alcune parole che ricorrono spesso sulle cartine topografiche e che mi hanno sempre affascinato e quasi “turbato”. Senza necessariamente definire una vetta, esse sono usate per indicare dei toponimi locali e sono citati nel paragrafo seguente. Madone, Mator e Cugnolo Comincio col primo. Leggo che il significato dell’espressione Madone è probabilmente un accrescitivo di meda (covone di fieno o catasta di legna), per indicare montagne a forma di cono dalla cima arrotondata. Sembra addirittura che anche i Mythen, i due monti che sovrastano Svitto, abbiano la stessa etimologia. Esiste persino un comune bergamasco chiamato così, che deriva però da mattone, perché lì c’era una fornace che produceva questo materiale da costruzione. In Ticino conosco moltissimi Madoni, che non sempre hanno l’aggiunta di un termine specifico e quindi si chiamano proprio tutti allo stesso modo, così come vedremo più sotto nel capitolo specifico. Così che la parola Madone, che dovrebbe essere usata come generico alla stregua di Pizzo o Corno, assume invece tutte le caratteristiche di un nome proprio. Gli altri due toponimi, Mator e Cugnolo, in realtà non sono riferiti a una vetta importante, ma piuttosto a un’altura a mezza costa. Li trovate osservando con attenzione la carta nazionale 1: 25.000, dispersi nei boschi di metà montagna, sconosciuti ai più. Mator, che ha la stes- e in Lombardia. La terza definizione è Cugnolo, che invece deriva dal dialettale cugn, ossia cuneo, dunque terreno a forma di cuneo, spuntone. Troviamo, infatti, in Ticino Cugnolo Corto, Cugnolo della Fornace, Cugnolo della Peccia, tutti in Val Colla, oppure il Cugnolo vicino a Cabbio in Val di Muggio. Al contrario la parola Pianca (ripiano, pendio erboso) non mi è mai piaciuta, nemmeno se il nostro Cantone è pieno di Pianche Belle. I di sa provenienza di Matro, significa zona sopraelevata, collina, prominenza. Troviamo ad esempio il Mator dei Falchetti, nel bosco verso il Pairolo, che dà l’idea di truce uccisore di specie protette, per l’assonanza con la vocabolo spagnolo “matador”, mentre invece è solo un’elevazione innocente. Anche di Matro son pieni i nostri boschi e paesi: cito ad esempio Almatro di Capriasca-Cagiallo, dove esiste l’Oratorio di San Sebastiano, noto non tanto per il matrimonio del sottoscritto, ma per una settecentesca tela dell’Addolorata, attribuita a Giuseppe Antonio Petrini di Carona (o almeno alla sua bottega), pittore che ha lasciato moltissime opere a Lugano, nel Sottoceneri Il Boglia 12 VIVERE LA MONTAGNA o Colma Regia con il Bré. doppi nomi dei monti Bosco Gurin. I nomi doppi Un’altra caratteristica delle montagne è che molte presentano dei nomi doppi. Vi sono cime che semplicemente vengono chiamate in più modi, altre presentano doppie denominazioni a seconda della regione da cui vengono osservate, altre ancora sono chiamate in più lingue. Cominciamo a fare qualche esempio di montagne con più di un nome: uno dei più famosi nei miei dintorni é senz’altro il Generoso, definito anche Calvagione sulle cartine, anche se nessuno di noi direbbe mai “domenica con i bambini andiamo in trenino al Calvagione”. Oltretutto perché pare che adesso stia crollando la cima. Ma questo è un altro problema. Già il fatto di avere il confine di Stato così a ridosso ci gioca brutti scherzi. Elenco qui di seguito diversi doppi nomi frontalieri, uno usato dai ticinesi, l’altro dai lombardi; a volte invece il primo è semplicemente il più utilizzato. Monte Boglia o Colma Regia; Denti della Vecchia o Canne d’Organo; Passo Streccione o Bocchetta (che si trova ai piedi del Sasso Grande e per il quale viene il dubbio che i ticinesi, non conoscendo il nome specifico, abbiano sempre nominato questo valico con un vocabolo generico); Fojorina o Fiorina, o addirittura Fogliorina, spesso confuso anche con il Torrione di Val Solda, che invece si trova a poche centinaia di metri, sulla dorsale perpendicolare al confine, che si propende verso sud; Gazzirola o Garzirola, termine quest’ultimo riconosciuto da tutti almeno per il rifugio situato sotto la vetta con la croce; Monte Bar o Baro, come han sempre detto tanti luganesi. La catena che sale a nord-est del Gazzirola verso il passo di San Jorio è ricchissima di doppioni o per lo meno di varianti della stessa parola: Segor o Segur, Vetta del Vallone o Monte Grande, Monte Stabiello o Stabbiello (con una o due “b”); poi Motto della Tappa (quello di 2078 metri) o Cima Verta, Motto o Mottone della Tappa (stavolta quello alto 2130 metri), detto pure Cima della Valletta, Mottone di Giumello o Monte Albano, e poco più avanti il Pizzo di Gino o Menone. Cambiando lato del Cantone, incontriamo il Passo di Monte Faëta o Forcola ( sopra Astano) e una delle montagne con più fantasia, il Limidario, chiamato Gridone sulla carta nazionale, detto Ghiridone dai ticinesi, che era pure definito Cridone, Credone e, nella Carta Sarda, addirittura Cima Poncion. Carta Sarda? Sì, proprio, ossia la carta topografica allestita a metà Ottocento per rappresentare i territori del Regno di Sardegna, che si estendevano, con il Piemonte, fino ai nostri confini. I nomi in più lingue Un capitolo a parte merita la doppia lingua. È evidente che le montagne famose sono spesso chiamate da ogni nazione o regione nel proprio idioma. Non mi spingo a parlare del mondo intero, citando solo la vetta più alta della Terra, il Chomolungma, così chiamata in tibetano, ossia madre dell’universo, che nella lingua di Turandot, ossia in cinese, è detta Zhumùlungma, in nepalese Sagarmatha (dal sanscrito “dio del cielo”), mentre per gli occidentali è semplicemente l’Everest, dal nome del responsabile dei geografi inglesi in India. Nelle Alpi abbiamo il Cervino o Matterhorn, (monte talmente famoso da avere anche un soprannome, “la Gran Becca”), il Monte Bianco altrimenti detto Mont Blanc, il Rheinwaldhorn, indicato sulla carta nazionale solo in tedesco, che tradotto sarebbe il Corno del Bosco del Cima dell’Uomo, v i s t i da l l a g o d i M ad o n e Lugano. e Vogorno, Reno, ma che per gli amici resta l’Adula, e molti altri. I meno conosciuti, i parenti poveri, invece sono chiamati in un unico idioma e, per par condicio, alternano le lingue con i loro vicini: restando nella stessa catena dell’Adula troviamo ad esempio nomi in italiano (Pizzo Cramorino), altri lì vicino solo in tedesco (Grauhorn, Vogelberg) e anche in dialetto (Cima di Fornee, Logia o Löggia, Pizzo Baratin). Altre vette invece hanno mantenuto una totale indipendenza, pur essendo universalmente note, come ad esempio il Monte Rosa, così chiamato in ogni lingua. Un caso particolare in Ticino è dato dai monti intorno a Bosco Gurin, villaggio di origine walser e dunque tedesco: troviamo il Pizzo Stella o Martschenspitz, il Pizzo Biela o Wandfluhhorn, il Madone o Batnall (che fa molto Batman, Batmobile, e tutto l’equipaggiamento dell’eroe dei fumetti), chiamato però Sunnuberg dai locali, il Passo di Bosco o Guriner Furka. Dunque se Furka vuol dire Passo (o meglio, forca, forcella), allora il passo del Furka è il Passo del Passo, ossia un pleonasmo. Subito più a nord troviamo l’Hendar Furguu, ovvero una variante ancora più walser della parola Furka. Poco più oltre, anche il Basòdino (che i tedeschi pronunciano Basodìno) ha dei compari tedeschi, perché a sud è accompagnato dal Tamierhorn e a nord, passato il Pizzo Cavergno, dal Kastelhorn; e infatti dall’altra parte del VIVERE LA MONTAGNA 13 La Turandot e i nomi delle montagne crinale c’è l’alta Val Formazza, regno anch’essa dei Walser. In Val Bedretto, partendo dal Passo della Novena o Nufenen, incontriamo il Mittaghorn (Corno di Mezzogiorno, anche se per i leventinesi è a settentrione, visto che loro hanno già al posto giusto il Pizzo di Mezzodì), poi alcuni col nome in italiano come Pizzo Gallina e Pizzo Nero e quindi uno impronunciabile, il Chüebodenhorn (che sarebbe il Corno del Piano delle Mucche); in seguito un’alternanza di Pizzo Rotondo (che in linguistica stavolta è un ossimoro, ossia un contrasto di locuzioni differenti fra loro che vengono accostate per dare un senso paradossale), chiamato un tempo Pizzo di Val di Spada, Gerenhorn, Pizzo Pesciora, e un altro termine terribile, Witenwasserenstock (che vorrebbe dire Massiccio delle Acque di Witen), poi Hüenerstock (ossia Massiccio dei Polli, così giustamente chiamato perché lì vicino c’è il Pizzo Gallina). Segue il Ronggergrat, quindi il Lucendro, arrivando così alla Fibbia e al passo del San Gottardo, scritto solo in italiano, visto che il confine passa ben a nord del valico, e dunque si trova completamente sul territorio ticinese. E ci fermiamo qui, perché altre regioni di confine, come le Alpi orientali e le Dolomiti, con il loro dualismo linguistico, ci darebbero da scrivere per ore. Maschi e femmine Altro discorso è il sesso delle montagne. Vi sono alcune vette di cui non si sa bene il genere del nome, se maschile o femminile, come avevo già scritto in un altro articolo di questa rivista: il Gazzirola, inteso come monte o la Gazzirola, visto che finisce in “a”. Io ho sempre detto la Sighignola, ma ogni tanto sento anche la E cc o perché loro dicono la Bernina. versione maschile. E il, o la, Marmontana? Il Bernina poi è sicuramente maschile in italiano, il pizzo Bernina, mentre è femminile in tedesco (die Bernina) (2). Riprendo e cito qui quanto avevo raccontato in un mio articolo che trattava delle vecchie cartoline delle montagne, pubblicato da Vivere la Montagna nel settembre 2007. A proposito di questo monte, “mi ricordo una discussione di tanti anni fa, proprio sulla vetta del Bernina, con una ragazza del luogo (dell’Engadina, non del Pizzo), con la quale a quel tempo salivo le montagne grigionesi, sul fatto se quel monte fosse femmina o maschio: la nostra controversia non ha mai trovato una soluzione: io argomentavo che il Bernina è il Pizzo più alto delle Alpi Centrali, domina tutte le altre vette, è il re di quella regione, e dunque è maschile. Lei sosteneva che la grazia che contraddistingue quella montagna, il velo bianco che la ricopre, sono caratteristiche tipicamente femminili. Quindi ognuno é rimasto della propria idea, ma in compenso siamo rientrati sani e salvi a valle.” Abbiamo già citato il caso dei Madoni, presenti in gran numero in Ticino. Uno si trova tra la Cima dell’Uomo e il Pizzo Vogorno, un Madone è in alta Vallemaggia vicino al lago del Naret, un altro già citato vicino a Bosco Gurin; poi esistono quello di Camedo, sopra Cevio, quello in Val Onsernone e quello in Val Verzasca, poi il Madone di Formazöö e chissà quanti altri. Di Pizzi di Mezzodì ce n’è un’infinità, mentre anche il Monte Brè, che i luganesi credono di avere in esclusiva, deve essere invece spartito con i locarnesi e persino con i veronesi del Lago di Garda, ognuno con il suo. Non fate poi confusione tra il monte Tabor, dietro il Gazzirola, e il Tabor in Palestina, dove i Vangeli raccontano avvenne la trasfigurazione di Gesù. Troviamo una Cima di Lago nel gruppo del Cristallina e una più modesta, ma affascinante sopra Gola di Lago in Capriasca, una Alpe della Bolla a Fusio e un’altra sul Boglia. Nemmeno bisogna confondere la Cima dell’Uomo, nel Bellinzonese, con la Cima dell’Uomo in Val Chironico (meglio nota come Uomo di Campionigo) o con il Pizzo dell’Uomo, vicino al Lucomagno. E men che meno con la Cima delle Donne, che si trova nella zona del Naret. O il Caval Drossa, sopra Tesserete, con il Cavallo del Toro (che fa rima con Cresta del Coro), in Val Lavizzara, anche se entrambi derivano dal termine caval, cioè elevazione del terreno, e con gli equini hanno poco a che fare. In Val Colla si fronteggiano, a un tiro di schioppo, il Monte Cucco e il Moncucco, meglio definito come Cima di Moncucco. E si potrebbe continuare ancora con molti altri casi. Monti diversi con lo stesso nome (o quasi) Fin qui il caso delle montagne delle montagne che hanno più appellativi. Esiste però anche il fenomeno opposto, ossia lo stesso nome viene usato per diverse montagne. (Foto: Luca Bettosini). Pizzo Rotondo. 14 VIVERE LA MONTAGNA I Santi, il Ticino e i Leponzi Quanti passi hanno un nome di un santo! San Gottardo, San Lucio, San Giacomo, San Bernardo, San Bernardino. Ma anche qualche cima è stata dedicata a Cristo o ai suoi aiutanti, soprattutto nel luganese: comincio con le due che si bagnano i piedi nelle acque del lago Ceresio: il San Salvatore (3 ) e il San Giorgio; poi cito altri tre, in realtà delle colline, poco distanti dalla città, il San Bernardo di Comano, il San Zeno e il San Rocco di Porza, tutti minuscoli, ma con la loro bella chiesetta e un fascino tutto loro. Ai piedi del Generoso c’è la Collina San Vigilio, che più che una montagna è un vino, e altri monti, cime e punte a tema religioso, poco distanti dal confine, come il Sacro Monte di Varese. Alcuni sono addirittura dei pizzi, come il Pizzo San Giacomo e fuori dal Ticino il Pizzo San Gabriele, il pizzo San Michele e … concedetemi la battutaccia… il pizzo di San Gallo. Ora due frasi sull’etimologia delle parole Ticino e Lugano. La prima proviene da tasìn, termine di origine molta antica, addirittura pre-latina. Innanzi tutto è evidente che il nome della regione, e quindi del cantone svizzero, derivino da quello del fiume. E infatti tasin significa proprio fiume, o in ogni caso corso d’acqua di una certa importanza. Vi sono zone nel settentrione del nostro cantone dove la gente chiama ancora tasin o tesign sia il Ticino, sia alcuni suoi affluenti. Anche a Lugano esiste un riale, il Tassino, più noto come parco pubblico, che separa la zona della stazione dal quartiere di Loreto, e che evidentemente ha la stessa origine. O no? Forse invece deriva da piccolo tasso, perché lì c’erano arbusti di quella specie, oppure famiglie del simpatico animale. Meno probabile è che invece Tassino derivi dai tassi ipotecari che, come oggi, erano forse particolarmente bassi al momento del battesimo di quel torrente. Ecco vedete, il vantaggio di scrivere di argomenti disparati, come faccio io, senza essere un esperto, è proprio quello di non dover dare delle soluzioni certe, ma, scherzandoci sopra, fornire delle ipotesi o creare delle domande, a cui i lettori possono dare la risposta che preferiscono. Come farò qui di seguito. L’origine del nome Lugano è invece dibattuta: chi la vuole derivante dal nome del dio celtico Lug, protettore delle acque, e quindi “città del lago”; chi dal latino “lucus”, bosco sacro o dal latino medioevale “Lakvannus”, ovvero abitante sul lago; chi infine si sbizzarrisce sulla sigla LVGA, riportata sullo stemma, che potrebbe essere l’acronimo di una legione ausiliaria dell’Impero Romano di stanza nella regione, la “Legio V (quinta) Gaunica Auxiliares”, oppure essere la sigla di detti meno seri come “La Vera Giustizia Antica” o addirittura, come mi suggeriva ridacchiando mio padre, “Ladri Vecchi e Gabbatori Antichi”. In realtà pare sia soltanto l’abbreviazione di Lugano. Termino queste mie osservazioni con un altro nome doppio e diverso, valido per tutte le nostre montagne alpine. Come si chiamano le Alpi che racchiudono il nostro Cantone? Alpi Ticinesi, direte voi, come d’altronde è il titolo delle Guide del Club Alpino Svizzero, che mi hanno orientato non solo in tante ascensioni, ma anche in questo articolo. Vero, però … La sapete la filastrocca che ai miei tempi si imparava a scuola per ricordare tutte le diverse catene alpine? Eccola: “Ma con gran pena le reca giù”, ossia Marittime, Cozie, Graie, Pennine, Lepontine, Retiche, Carniche e Giulie. E allora dove sono le Alpi Ticinesi? La faccenda si fa seria e ormai non ho più spazio per discuterne a fondo. Dirò soltanto che secondo la Partizione delle Alpi del 1926 e la Suddivisione Orografica Internazionale Unificata del Sistema Alpino (SOIUSA) del 2005, esse sono un sottogruppo delle Alpi Lepontine (dal nome dei Leponzi, gli antichi primi abitanti delle nostre regioni), e racchiudono tre zone: le Alpi del Monte Leone e del San Gottardo, le Alpi Ticinesi e del Verbano e le Alpi dell’Adula. Nelle guide del CAS, invece, con Alpi Ticinesi si intendono molto più semplicemente e praticamente tutte le montagne alpine ticinesi, anche quelle degli altri sottogruppi. Ancora diverso è per le autorevoli Guide del CAI, il Club Alpino Italiano, nella cui collana esistono sia il volume sulle Lepontine, sia quello sulle Ticinesi. E allora come la mettiamo? Ticinesi o Lepontine? Mah, fate voi. Da parte mia … penso proprio che stasera dormirò lo stesso. s NOTE e BIBLIOGRAFIA (1) Turandot, opera di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, dalla omonima trama teatrale di Carlo Gozzi. Prima rappresentazione a Milano, Teatro alla Scala, 26 aprile 1926. Eccone la trama. In Cina vive la bellissima e crudele principessa Turandot. Non accetta nessun marito, a meno che il pretendente non sciolga tre enigmi. Ma chi sbaglia, morirà decapitato al sorgere della luna. E così avviene per molti nobili che si erano cimentati nell’impresa. Arriva anche il principe Calaf, che si innamora di Turandot e, incurante dei consigli di tutti, affronta la prova e la supera. Allora propone a sua volta alla principessa un enigma: se prima dell’alba ella riuscirà a conoscere il suo nome, potrà condannarlo a morte, altrimenti dovrà davvero sposarlo. Nonostante i suoi crudeli tentativi, Turandot non lo scopre, ma per finire è ben felice di sposare Calef. (2) Anche se in passato era a volte femminile pure in italiano, come scrive ad esempio Benvenuto Cellini nella sua opera “Vita di sé stesso”: Passammo le montagne dell’Alba (l’Albula) e della Berlina (Bernina) … (3) In passato era chiamato anche Bellenio o Belleno, probabilmente dal nome del dio celtico Belenos, divinità della luce e del sole, di cui sembra ci fosse un tempio sulla vetta. “Per Belenos !” è un’esclamazione conosciuta da molti di noi, perché tipica di Asterix e Obelix. - Glossario dialettale, Dario Petrini, in Guida CAS Prealpi ticinesi 5 Maurice Brandt / Giuseppe Brenna - I nomi delle montagne, Mario Frasa, in Guida CAS delle Alpi ticinesi vol. 1 Ovest, Giuseppe Brenna - Glossario dialettale, Dario Petrini, in Guida CAS delle Alpi ticinesi vol. 1 Ovest, Giuseppe Brenna - Glossario dialettale, Dario Petrini, in Guida CAS delle Alpi ticinesi vol. 3 Ovest, Giuseppe Brenna. Cfr. Suddivisione Orografica Internazionale Unificata del Sistema Alpino (SOIUSA) Vedi anche Dizionario dell’italiano ticinese, grigionese e federale, di Tabasio (http://sites.google.com/site/elvetismi/home) VIVERE LA MONTAGNA 15