11. 6.2005 - La voce del popolo

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11. 6.2005 - La voce del popolo
Rotta verso la Dalmazia
Krsto Babić a pagina 8
DEL POPOLO
IL PROLOGO
di Dario Saftich
Dopo l’Istria il mercato immobiliare è in fibrillazione anche in Dalmazia. I
prezzi hanno raggiunto ormai livelli da
capogiro soprattutto a Ragusa (Dubrovnik), la Perla dell’Adriatico. Nel centro storico gli abitanti autoctoni tendono
sempre di più a diventare una minoranza. Pur di migliorare il loro tenore di vita
e lo standard abitativo molti ragusei infatti vendono, a peso d’oro naturalmente,
i vecchi appartamenti situati entro l’antica cinta muraria e costruiscono case
confortevoli in periferia. In tal modo il
nucleo urbano tende a spopolarsi e a divenire, in particolare d’inverno, un luogo spettrale come tanti villaggi vacanza
spuntati come funghi dopo la pioggia in
una miriade di zone costiere del Mediterraneo, a iniziare dalla Spagna. Ma
questo è a quanto pare il prezzo da pagare al progresso. Questo spopolamento nella bassa stagione ha anche l’altra
faccia della medaglia, in quanto d’estate
la situazione cambia e nel perimetro delle possenti fortificazioni medievali la vita
“esplode”; la cittadinanza diventa multietnica e multiculturale come ai bei tempi quando la Repubblica di San Biagio
era ai suoi massimi fulgori. Gli stranieri
apprezzano, eccome, l’atmosfera romantica delle vecchie abitazioni, le rimettono
a nuovo investendo fior di quattrini e trasformano delle stamberghe, destinate altrimenti al degrado giacché i proprietari
locali non hanno i soldi per restaurarle,
in piccoli angoli di paradiso.
Ragusa a parte, l’esplosione dei prezzi delle case in Dalmazia, a iniziare dall’area di Zara, è dovuta soprattutto negli
ultimi tempi all’ultimazione della “Dalmatina”, l’autostrada che collega la regione alla capitale e più in là alla Mitte-
leuropa. Quest’autostrada che lambisce
Zara, Sebenico e Spalato e che negli anni
a venire dovrebbe proseguire alla volta
di Ragusa sta attuando in Dalmazia una
sorta di rivoluzione copernicana. Destinazioni turistiche che una volta sembravano lontanissime ora sono raggiungibili
comodamente. E quando verrà realizzata la bretella dalla “Dalmatina” alla rete
viaria dell’entroterra quarnerino anche i
collegamenti con l’Italia diverranno più
agevoli e veloci.
La corsa al mattone ha anche i suoi
risvolti negativi, dovuti al fenomeno della
cementificazione selvaggia. Dopo la campagna avviata l’anno scorso dalla “lady
di ferro”, ovvero dal ministro dell’Ambiente Marina Matulović Dropulić, con-
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Mercato immobiliare
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battaglia all’abusivismo
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stia segnando il passo. D’alabato, 11 giugno 20
tronde frenare la marcia dei palazsciarsi
zinari d’assalto è tutt’altro che facile. Se
cullare dal
si vuole evitare che la Dalmazia divenga
flusso della memoria. Un po’ come
pure una destinazione anonima, simile a
lo scrittore italiano di origine spalatitante altre e megari senza gli stessi servizi na Enzo Bettiza. I suoi ricordi plasmae le stesse comodità, la battaglia contro la ti nel libro “Esilio” e ora nel suo nuovo
cementificazione va combattuta e vinta.
romanzo intitolato “Il libro perduto” ci
Prima che sia troppo tardi.
fanno riandare però a un’altra DalmaIn caso contrario quelli che vorranno zia non solo non investita da colate di ceparlare ancora della Dalmazia come dei
mento, ma anche non deturpata nelle sue
tropici alle porte di casa, non potranno
caratteristiche culturali e linguistiche più
fare altro che struggersi nei ricordi, lagenuine. Autoctone per l’appunto!
2 dalmazia
Sabato, 11 giugno 2005
ESULI Mario de’ Vidovich, uno dei «padri» del Comitato d’assistenza ai profughi
La fierezza delle origini
nell’impegno di una vita
ZARA – “Mi chiamo Mario
de’ Vidovich e sono nato a Zara
il 12 luglio di 92 anni fa”. Lo abbiamo incontrato, questo signore
sempre sorridente e cordiale, al
cinquantesimo Raduno dei dalmati, circondato dal rispetto dovuto
ai protagonisti della storia. Sì perché Mario de’ Vidovich è stato testimone della nascita del Comitato
d’assistenza ai profughi dal quale
prese poi l’avvio l’Associazione
Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia: un “padre” insomma. Ma
il suo è anche un racconto di vita
con la presenza, forte, della Dalmazia e, un pizzico d’orgoglio,
per un’esistenza all’insegna dell’impegno civile e sociale.
“I miei genitori erano italiani,
nativi di Sebenico, - così risponde al nostro invito di parlare delle sue origini - metto in evidenza
il fatto che fossero italiani perché
nei loro documenti, - quand’ero
ragazzo avevo consultato in particolare quelli di mio padre e la cosa
mi aveva incuriosito - , era chiara-
EVENTI
Dalmati del Montenegro a Venezia
Ricordata l’impresa
di Alvise Viscovich
VENEZIA - Si è svolta la domenica dell’Ascensione a Venezia
la “Festa della Sensa”, alla quale era presente una delegazione di
Dalmati del Montenegro. La Società Dalmata di Storia Patria-Venezia e il Lyons Club Venezia Lido hanno fatto dono alla città di
Venezia di 3 pili portabandiera posti sul sagrato di San Nicolò del
Lido e destinati alle bandiere italiana ed europea e al Gonfalone di
San Marco. Sul pilo centrale è stata scoperta una lapide in ricordo
dell’ultimo fatto d’arme a difesa della Serenissima avvenuto nelle
acque antistanti San Niccolò il 20 aprile 1797, quando la galeotta
“Annetta Bella” al comando del capitano Alvise Viscovich e con
equipaggio di marinai della Bocche di Cattaro arrembò vittoriosamente il vascello francese “Le Liberateur d’Italie”, che tentava di
violare il blocco delle lagune proclamato dal Senato.
L’alzabandiera è stato curato dagli allievi del Collegio Navale
“Morosini”. Ha avuto luogo anche un’esibizione della banda musicale della Città di Cattaro attorniata dai membri della “Marinarezza”, la più antica confraternita marinara del Mediterraneo. Ai presenti è stata distribuita la pubblicazione realizzata per l’occasione
dalla Società D.S.P. “Alvise Viscovich e gli ultimi difensori di Venezia” di Nino Agostinetti.
CULTURA
Concerto della «Lino Mariani»
«Da Pola fino a Zara»
ZARA – Il 21 maggio 2005 presso la sede della Comunità degli
Italiani di Zara si è tenuto il concerto “da Pola fin a Zara” della Società Artistico Culturale “Lino Mariani” della Comunità degli Italiani di Pola. Il complesso di strumenti a plettro ha esguito un programma di 11 pezzi, tra i quali si segnalano “Intermezzo” di Mascagni e “Lazzarella” di Domenico Modugno.
In occasione della Festa di Santa Rita, (compatrona d’Italia),
la Comunità degli Italiani di Spalato ha ospitato il 23 maggio alle
ore 18.00 presso l’Hotel Park del capoluogo dalmata un concerto.
L’evento, organizzato con la collaborazione dell’Unione Italiana e
dell’Università Popolare di Trieste prevedeva l’esibizione del duo
Massimo Favento (violoncello) e Corrado Gulin (pianoforte), che
hanno eseguito fantasie su temi d’opera per violoncello e pianoforte di Gaetano Donizetti.
La replica dello spettacolo è stata organizzata a Zara il 24 maggio (90.esimo anniversario dell’inizio della I guerra mondiale).
mente specificato che erano di cittadinanza e di nazionalità italiana,
cose che spesso non si distinguono nei nostri documenti.
Sono vissuto a Zara dove mi
trovavo fortunatamente anche
quell’8 settembre del ‘43 - e dico
per fortuna, altrimenti non sarei qui a parlare - perché richiamato dal Comando di Divisione. Ma nel dicembre dello stesso
anno sono dovuto venire via con
la famiglia, moglie e due figli, una
valigia e un bastone. Mandato via
da Vincenzo Sarentino perché ero
in pericolo e perché Zara era stata
rasa al suolo”.
Come nacque l’idea di fondare un Comitato d’assistenza,
Lei ricorda il primo incontro?
“Avvenne dopo il 25 aprile - il
29 per la precisione, una data che
non si può dimenticare - con Lino
Drabeni e altri 4 o 5 amici zaratini
ci incontrammo in P.zza Duomo,
a Milano, e si decise di fondare il
primo Comitato formato soprattutto da Dalmati perché gli istriani erano ancora nelle loro terre,
il loro esodo è iniziato qualche
anno dopo. Il Comitato Giuliano
Dalmato aveva aderito, allora, al
Comitato d’Italia. E Lino Drabeni ne è stato sia il fondatore, sia
il precursore e soprattutto quello
che poteva parlare nella pubblica piazza perché aveva partecipato al Movimento di Liberazione,
noi venivamo considerati ancora
di parte fascista. Ricordo i comizi
svoltisi in quegli anni nelle piazze
delle città d’Italia, sempre gremite di gente, con gruppi di comunisti pronti ad attaccarci perché
eravamo venuti via dalle terre dell’Adriatico Orientale. Lino Drabeni iniziava sempre ricordando
alla folla di aver partecipato alla
lotta partigiana”.
Ma anche altrove ci si stava
muovendo…
“Infatti, così è nato il Comitato Nazionale Alta Italia con delle
rappresentanze in tutte le province
del nord. A Roma, intanto andava
formandosi un Comitato Giuliano-Dalmato che operava al centro
e al sud dove a Napoli s’era attivato da tempo un Comitato d’assistenza ai profughi. Il 15 febbraio
del 1947, a Bologna, i due Comitati si fusero creando l’Associazione Nazionale Venezia Giulia
e Zara. Il primo congresso nazionale si tenne a Roma il 20 giugno
del 1948 e l’ANVGD cominciò ad
operare in tutta Italia con 98 Comitati, e alcune delegazioni”.
Su che cosa era incentrata
l’attività?
“All’inizio ci si occupava principalmente dell’assistenza agli
esuli ma senza mai perdere di
vista la necessità di continuare
a ribadire i nostri principi ideali,
spiegare alla gente le motivazioni
per cui avevamo deciso di venire
via, le ragioni storiche, politiche,
religiose che rappresentavano il
nostro passato, la nostra storia
e quello che eravamo. Questo è
importante da ribadire per capire
il perché lo facevamo: ne andava
della nostra serenità”.
I vostri rapporti con Trieste,
la città che per prima aveva accolto gli esuli?
“A Trieste operava un Comitato Dalmatico per l’assistenza ai
profughi zaratini, voluto dal senatore Antonio Tacconi di Spala-
Sebenico
to, che l’aveva creato già nel ‘44,
e questo conferma la spontaneità con cui sorsero in quegli anni
questi punti di riferimento per le
nostre genti. Io allora ero a Trieste
in servizio militare e mi ero attivato all’interno del Comitato stesso che poi ha avuto una diffusione
anche a livello nazionale”.
Qual era stata la risposta
della gente, di adesione immediata?
“Il Comitato, per la nostra gente, era la salvezza. Nei primi momenti non eravamo stati accolti a
braccia aperte dalla popolazione
in Italia; ci sono degli episodi veramente tristi successi a Venezia e
a Bologna, di totale rifiuto della
nostra presenza. Poi però le cose
sono cambiate e abbiamo potuto
contare sulla solidarietà degli italiani. A Cremona dove io ho creato il primo Comitato locale abbiamo avuto un’assistenza, da parte
del Comune, che ancora si ricorda. Va detto che il campo profughi
di Cremona aveva accolto 2.500
profughi dalmati e fiumani nelle
strutture di un asilo sul cui edificio è stata apposta recentemente
una targa per ricordare il fattivo
contributo del Comune ai primi
esuli nel ‘44-45 e 46”.
Quali erano le finalità dell’Associazione?
“Prima di tutto doveva servire
a riunirci, poi la seconda cosa era
avviare l’assistenza a livello locale e nazionale, realizzare il diritto
al lavoro ed alla casa. Nel tempo
maturò anche la necessità dell’impegno per la restituzione dei beni
abbandonati: all’inizio si trattava
di un milione per il risarcimento
dei beni mobili, dopo di che si è
passati alla battaglia per l’indennizzo degli immobili, che ha visto impegnato in particolare modo
padre Flaminio Rocchi con il quale io ho lavorato per cinquant’anni, fianco a fianco. Mi commuove
il pensiero che ci abbia lasciati,
ma è anche vero che bisogna saperlo ricordare nel giusto modo,
testimoniando la sua opera”.
Che cosa ha lasciato a Zara
la sua famiglia?
“I miei avi, a dire la verità, un
vero e proprio feudo, ma noi no,
giusto la casa per la quale abbiamo percepito un indennizzo”.
Quale è stata la sua attività?
“Ho cominciato a lavorare a
Zara nel 1931 ai sindacati, poi
sono diventato direttore del Patronato nazionale dei servizi sociali,
nel ‘36 sono stato nominato direttore dell’ufficio di collocamento e
nel ‘38 sono passato al Ministero
delle Corporazioni come Ispettore del Lavoro. Poi è scoppiata la
guerra. Da Zara mi ero trasferito a
Trieste, mentre la mia famiglia era
nella provincia di Belluno, lontano dai bombardamenti. A Trieste
incontrai il generale Giovanni
Esposito, Medaglia d’oro, che era
stato nel ‘33 comandante di Presidio a Zara e mi chiese di rimanere
con lui, così feci fino al ‘44 quando fui trasferito allo Stato Maggiore di Milano e lì conclusi la
mia carriera militare. Il Ministero mi mandò a Cremona. Scendo
dal treno e al primo passante chiedo di indicarmi una via: si gira, mi
guarda e mi sorride. Era uno zaratino, anche lui profugo in quella
città. Eh…la vita!
Ho ripreso il mio lavoro dopo
il ‘45, sempre nello stesso settore, tra Cremona e Mantova, fino
al ‘70 quando, approfittando della Legge per i combattenti sono
andato in pensione. Da allora mi
sono dedicato a tempo pieno all’attività sociale e, soprattutto,
alla scrittura che è la mia passione”.
La sua famiglia come ha vissuto la lontananza da Zara?
“Si sono adattati. Per fortuna
io avevo un buon lavoro e questo
ci ha dato serenità. E poi, a dire il
vero, casa mia s’è trasformata in
un ufficio distaccato del Comitato Giuliano-Dalmato per cui hanno seguito da vicino anche questo
aspetto della mia attività il che li
ha fatti sentire senz’altro più vicini a Zara e alla sua gente con tutti i
problemi, i successi, le frustrazioni, le battaglie”.
È tornato a Zara?
“Dopo la guerra ho cercato di
evitare di ritornarci, io ero stato un militare e non ero ben visto dagli jugoslavi contro i quali avevo combattuto. Ma nel ‘58
con altri due amici, abbiamo noleggiato una macchina e siamo
partiti. E’ stato dolorosissimo rivedere la Dalmazia. Poi ho superato il disagio e ci torno regolarmente due volte l’anno in occasione del 10 maggio e del 2 novembre”.
I suoi figli hanno capito la
sua attività, il suo impegno?
“L’hanno capito maturando,
avevano bisogno di essere guidati,
che le cose venissero spiegate, argomentate. Vivendo in Italia, impegnati con l’università prima, la
famiglia e il lavoro dopo, era difficile sentissero questo forte legame con Zara. Ma poi, piano piano,
hanno sviluppato un certo rapporto con quella realtà, fatta di ricordi
nostri e di esperienze loro. Tornano spesso a Zara. Io sono bisnonno e anche i miei nipoti si sentono
legati a questo mondo. Capiscono
ora l’importanza della nostra storia, il ruolo ed il contributo che i
dalmati hanno saputo dare in campo religioso, culturale, patriottico,
oggi lo sanno, ne sono pienamente consapevoli. Non so se si sentano zaratini, certo non c’è il nostro
attaccamento fisico ma partecipano e condividono i nostri sentimenti”.
Viviana Facchinetti
Rosanna Turcinovich Giuricin
dalmazia 3
Sabato, 11 giugno 2005
LETTERATURA Un altro successso
Enzo Bettiza
e «Il libro perduto»
Dopo il grande successo di “Esilio” lo scrittore italiano di origine
spalatina Enzo Bettiza è tornato alla
carica con un altro romanzo ambientato nella stessa area geografica e nel
medesimo periodo storico della precedente saga autobiografica. Stiamo
parlando de “Il libro perduto” edito
da Mondadori che si trova nelle librerie da alcune settimane. Nell’epilogo di “Esilio” l’autore aveva ammesso, senza peraltro pentirsi affatto, che i ricordi avevano avuto
prepotentemente il sopravvento su
ogni altra tematica o considerazione, di modo che alla fine era nato
un libro diverso da quello che intendeva scrivere inizialmente, anche
se non per questo di minor valore,
tutt’altro. “Il libro perduto”, invece,
si configura come il romanzo che
Bettiza avrebbe voluto scrivere già
negli anni novanta prima di “soccombere” al flusso della memoria.
In “Esilio”, come aveva rilevato lo
stesso autore “mancano quelle situazioni e quei motivi che non ritengo secondari nonostante li abbia
tralasciati o toccati soltanto in maniera superficiale”; in quest’ultima
fatica del giornalista di origine dalmata con vocazione alla letteratura
non è stato tralasciato proprio nulla
di quello che lo scrittore poteva considerare fondamentale, nemmeno un
motivo o una situazione che potesse
ritenere essenziale. “Esilio” si lega
direttamente alla città natale dell’autore, ossia Spalato. Ne “Il libro perduto” il capoluogo della Dalmazia
non viene nemmeno menzionato.
Queste differenze hanno fatto sì che
i due romanzi, per quanto si integrino a vicenda, mantengano ognuno la
propria autonomia.
Quello che conta per gli italiani
di queste terre è soprattutto il fatto
che dopo l’Istria e Fiume che hanno fornito finora parecchi “scrittori
di frontiera” anche la Dalmazia possa vantare un autore che le dia lustro
e che ne riviva in lingua italiana le
memorie e la composita storia culturale. Con “Esilio” e con “Il libro
perduto” quello che per l’Istria è stato il compianto Fulvio Tomizza per
Spalato e la Dalmazia si avvia ormai
a diventare Enzo Bettiza. Il successo
anche di questo secondo libro appare scontato, visto che i temi risalenti
agli ultimi anni della seconda guerra mondiale e del dopoguerra stanno ritornando prepotentemente alla
ribalta oggigiorno e non soltanto in
Dalmazia.
“Il libro perduto” rappresenta una saga molto di più di quanto
non lo fosse il precedente romanzo.
Alcuni dei personaggi principali,
accanto ad una marea di personaggi secondari, sono presenti praticamente dall’inizio alla fine in tutta
la parte centrale della narrazione:
Marco Razmilo, un giovane di origine mista come l’autore, il suo coetaneo e amico croato Matej Rendić,
assieme a loro Perty detto il Mastro,
un pittore di talento non eccelso, ma
di grandi pretese rientrano da Parigi,
indi tra loro la misteriosa “danubiana” Tasja Nachtigal, interprete presso il comando militare tedesco che
lavora per i partigiani e li segue poi
sui monti dell’Erzegovina e finisce
alla fin fine per convolare a giuste
nozze con l’ufficiale di collegamento britannico presso il comando supremo di Tito a Lissa. Nonostante
Spalato non venga menzionata, rimane il fulcro del romanzo, il luogo
teatro delle azioni. La straordinaria
EDUCAZIONE
Zara, si insegna l’italiano
Il console Nobili
in visita all’asilo
La riva di Spalato
memoria topografica di Bettiza ci
conduce nelle ben note vie di una
volta e di oggi, nella vicina Salona,
nel Peristilio del Palazzo di Diocleziano o vicino alla fontana di Bajamonti. In questa cornice assistiamo
al bombardamento tedesco della città, alla capitolazione dell’Italia e al
disfacimento dell’esercito di Mussolini, all’arrivo dei partigiani con la
conseguente “resa dei conti” e l’interrogatorio nella nota Villa Schiller
dove aveva la sua sede la tristemente
famosa OZNA.
Travolto da questi eventi Marco
Razmilo imbocca pure lui la via dell’esilio proprio come Enzo Bettiza
stesso: va a Parigi e Londra dove acquisterà chiara fama nel campo della
pittura. Il croato Matej Rendić finirà
in un campo di concentramento tedesco dopo essere stato denunciato
alla Gestapo dall’attraente Tasja su
ordine del Partito. Il Maestro Perty diverrà un povero invalido dopo
essere stato condannato dal “tribunale popolare” per collaborazionismo con il potere italiano. Si rivela
comunque arduo sintetizzare in poche righe il contenuto di un romanzo
che si fregia di oltre seicento pagine e nel quale coesistono alcuni romanzi minori abilmente integrati in
un robusto insieme che si potrebbe
definire epico se non contemplasse
tanti passaggi lirici. Lo scrittore definisce Illiria il palcoscenico storico
dell’Adriatico orientale nel quale si
svolge l’azione: è un termine dai
contenuti fortemente evocativi che
non fa torto a nessuno dei protagonisti della storia di queste terre.
Tornando a Bettiza, da rilevare
che il noto scrittore croato Predrag
Matvejević si chiede come possiamo inquadrarlo da un’ottica nazionale anche e soprattutto alla luce dei
suoi ultimi romanzi. La risposta ce
la fornisce lo stesso Matvejević rivelando che lo stesso Bettiza gli
ha detto una volta di essere... “uno
scrittore dalmata di lingua italiana”. Sottolinea giustamente Predrag Matvejević che nella cultura
mondiale che si va globalizzando la
questione dell’appartenenza non ha
più lo stesso significato e la stessa rilevanza che poteva avere in un’Europa nella quale le letterature erano
chiuse negli angusti spazi nazionali.
La questione dell’appartenenza del
resto è più importante per la nazione (e la politica) di quanto non lo sia
per la letteratura e l’arte. Essa non
implica in alcun caso un giudizio di
valore, in particolare non estetico o
poetico, quanto piuttosto una valutazione per l’appunto nazionale o
eventualmente politica. In un’epoca in cui il romanzo appare in crisi e
non solamente in Italia, Enzo Bettiza - rileva Predrag Matvejević - ha
dato un forte impulso in primo luogo alla letteratura italiana. E la letteratura croata - prosegue Predrag
Matvejević - può vantarsi del fatto
che uno scrittore di simile caratura in qualche modo le appartenga.
E qui proprio Matvejević si lascia
andare ai flussi della memoria ricordandosi di un suo incontro con
il più noto giornalista italiano del
secondo dopoguerra, Indro Montanelli, il quale conosceva bene Enzo
Bettiza. Ebbene, con un sorriso di
simpatia Montanelli disse a Predrag Matvejević che “Enzo ancor
oggi parla italiano con accento slavo, anzi egli anche pensa con quell’accento”.
Restando ai giudizi di Predrag
Matvejević, da sottolineare che egli
dice che “Il libro perduto”, di cui è
già in corso la traduzione in diverse lingue, forse deluderà parecchi di
coloro che sono chiusi nei confini
delle proprie patrie, in primo luogo
i nazionalisti. Ma questa è una lunga storia: anche Tomizza ha vissuto
la stessa parabola, ha deluso molto
“duri e puri” da tutte le parti, ma alla
fine si è imposto proprio per la sua
capacità di non vedere le vicende
storiche e umane da un’unica angolatura, ma di considerarle in tutta la
loro pluriforme valenza.
“Il libro perduto” è nello stesso
tempo permeato di tristezza e nostalgia, ma è anche romantico alla
maniera - rileva Predrag Matvejević
- italiana e slava. È un romanzo che
narra le vicende del passato, rivolto
tutto al futuro, proprio come compete alle autentiche opere d’arte. E
come tale è destinato a imporsi e a
resistere. In ultima analisi persino
il premio Nobel Ivo Andrić e il suo
“Ponte sulla Drina” si sono ritrovati,
secondo alcuni privi di una precisa
“patria” di riferimento dopo la dissoluzione della ex Jugoslavia. Eppure dopo essere stati visti con sospetto nei primi anni novanta perché non
si inquadravano nei “nuovi schemi”
sono stati “riscoperti” da quelle parti
delle letterature nazionali meno portate a rinchiudersi nei propri gusci.
Se Predrag Matvejević ha dei
dubbi sulla reale appartenenza letteraria di Bettiza c’è da dire che dopo
l’uscita di “Esilio” e dopo che il presidente Stipe Mesić gli ha concesso
l’Ordine della Danica con l’effige di
Marko Marulić, un giornalista croato della caratura di Inoslav Bešker
non ha avuto dubbi nel definire Bettiza uno scrittore della minoranza
italiana in Croazia. Un giudizio che
può forse far discutere, ma che è sicuramente innovativo e si inserisce
nel filone degli sforzi per riannodare
i fili fra la letteratura della diaspora e
quella dei rimasti.
Dario Saftich
ZARA - Accompagnato dalla presidente della CI zaratina Rina
Villani, il console italiano a Spalato Marco Nobili ha recentemente
visitato l’asilo di Zara nel quale ai bambini viene insegnata la lingua
italiana. Le insegnanti, dopo avere illustratato al console le attività
svolte nell’istituto, hanno presentato uno spettacolo (recita e canzoni) eseguito dai piccoli allievi, che hanno anche donato al diplomatico un quadro da loro realizzato.
Tra le iniziative più recenti dell’asilo si segnala l’apertura dell’istituto anche durante il periodo estivo (a partire già dalla stagione
turistica entrante) ed il servizio di baby sitting, che consentirà agli
utenti di lasciare in mani sicure i propri piccoli per periodi determinati. Per quanto riguarda la fondazione di una istituzione per l’educazione prescolare in lingua italiana a Zara, l’Unione Italiana ha recentemente inviato alla Commissione interministeriale permanente
incaricata di verificare l’attuazione del Trattato tra le Repubbliche
di Italia e Croazia una comunicazione in cui si invita a sollecitare il
Governo croato a dare il necessario segnale politico di appoggio (richiesto dalla municipalità zaratina) all’apertura dell’asilo.
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dalmazia
Sabato, 11 giugno 2005
CASE
Sabato, 11 giugno 2005
Quotazioni da capogiro a Ragusa, salgono inesorabilmente i prezzi a Zara e Spalato
Vanno a ruba gli immobili in Dalmazia
Ragusa (Dubrovnik)
di Krsto Babić
Spalato
Un miliardo di kune: è questa l’incredibile cifra (kuna più, kuna meno) alla quale ammonta il
giro d’affari del mercato immobiliare nell’area di
Ragusa (Dubrovnik). Un importo impressionante,
che indubbiamente non lascia indifferente nessuno,
ma che non deve stupire. Sono moltissimi i vip e
le star hollywoodiane che hanno espresso il desiderio di possedere un immobile all’interno delle monumentali mura di quella che un tempo fu la principale rivale della potente Venezia dei dogi. Nella
cittavecchia il prezzo delle case è tale da superare
con disinvoltura i 5.000 euro al metro quadrato. Divenuti ormai dei veri e propri status symbol a livello internazionale, gli appartamenti che si affacciano
sullo “Stradun” e sulle altre vie lastricate in pietra
del centro storico si rivelano essere il vero tormentone dell’alta società europea e Nordamericana. Tra
i potenziali acquirenti primeggiano quelli di madrelingua inglese e gli scandinavi. Le bellezze di Ragusa sono però tali da essere riuscite a fare breccia
anche tra la crema delle classi abbienti italiana, tedesca e francese. Gli esperti del settore rilevano, tuttavia, che il vero jet set mondiale non è prettamente interessato al centro storico di Ragusa nel senso
stretto della parola. Questa categoria di acquirenti
sembrerebbe, invece, interessarsi alle sontuose residenze estive che i patrizi e i ricchi commercianti
ragusei si erano fatti costruire nei pressi della città o
sulle vicine isole. Si narra che persino Silvio Berlusconi (presidente del Consiglio dei ministri italiano
nonché uno degli uomini più ricchi al mondo), abbia perso la testa per una proprietà situata sull’isola
di Giuppana (Šipan) e che gli attuali proprietari si
ostinano a non volergli cedere.
A prescindere dal caso di Ragusa, sembra proprio che il “vecchio continente” sia stato contagiato da un virus che obbliga gli europei ad acquistare immobili in Dalmazia. Nonostante nella maggior
parte dei casi le quotazioni di case e terreni non abbiano ancora raggiunto i valori registrati in Istria
e nelle principali isole del Quarnero, le medesime
hanno subito negli ultimi anni un’impennata non indifferente. Ciò non deve stupire: la Dalmazia è una
regione che trasuda di bellezze naturali uniche al
mondo oltre ad essere ricca di storia e cultura. Basti
pensare che circola la voce che i cosmonauti russi e
gli astronauti statunitensi, abbiano indicato proprio
nei pressi del Parco nazionale delle Isole Incoronate il punto nel quale il mare, ammirato dallo spazio,
appare più blu. A favore dei prezzi ha giocato ovviamente anche la moderna autostrada che poco alla
volta sta “accorciando” la distanza che separa Zagabria, nonché la Slovenia, l’Austria, la Germania, la
Svizzera... dalla Dalmazia.
Sebbene non possano essere ancora paragonati
con quello di Ragusa, anche i mercati immobiliari
di Spalato e Zara stanno cavalcando l’onda. La città di San Doimo sta sfruttando al meglio le proprie
carte. Imponendo all’estero la storia del centro urbano sorto dal palazzo dell’imperatore romano Diocleziano (Gaius Valerius Aurelius Dioclecianus) gli
spalatini sono riusciti ad attirare l’interesse di numerosi stranieri. In vendita si trovano soprattutto
le case del centro storico, una zona per la quale i
residenti hanno perso l’interesse. I palazzi versano
spesso in stato di abbandono, mentre la rete idrica e
quella fognaria sono inadeguate. A causa di questi,
ma anche di un’intera serie di altri inconvenienti, gli
spalatini preferiscono vivere in quartieri più moderni. Agli occhi degli stranieri questi disagi non appaiono tanto gravi, anzi spesso assumono un aspetto
romantico. Infatti, la maggior parte di loro è semplicemente alla ricerca di uno spazio nel quale trascorrere le vacanze e brevi periodi di relax. Un ruolo
importante lo gioca anche il prezzo, che si aggira attorno ai 1.000 euro al metro quadrato. Ovviamente
in zone più “attraenti”, come le pendici del Monte
Mariano, le quotazioni sono ben maggiori.
A Zara, al contrario di quanto sta avvenendo a
Spalato, è proprio il centro storico, ossia l’area della penisola a rappresentare il fiore all’occhiello dell’offerta immobiliare. In quella zona i prezzi oscil-
lano tra i 1.500 e i 2.500 euro al metro quadrato. Si
stima però che queste quotazioni siano destinate ad
aumentare notevolmente. La municipalità sembra,
difatti, intenzionata a realizzare una serie di progetti (vedi l’esempio dell’organo marino, l’unico
strumento musicale al mondo in grado di tradurre in suono il moto del mare) volti a favorire il rilancio della città. Un altro dei grandi centri urbani
della Dalmazia è Sebenico. In quella che è definita
la più antica città fondata dai croati il prezzo degli
immobili è assai contenuto, di regola inferiore ai
1.000 euro al metro quadrato. Il motivo si cela nelle precarie condizioni nella quale versa l’economia
di quell’area. Avendo però la città conservata gran
parte della sua fisionomia dei tempi passati, assicurandosi in tale modo un grosso potenziale dal punto
di vista turistico, si stima che tra non molto i valori delle case dovrebbero iniziare a salire al punto di
raggiungere valori pari a quelli in auge in località
attualmente più in voga.
Un discorso a parte è riservato per le isole dell’arcipelago dalmata. A parte alcune eccezioni tipo
Lesina (Hvar) e Brazza (Brač), i prezzi sono inversamente proporzionali alle bellezze che la natura offre (in media si deve sborsare 800-1.200 euro per un
metro quadrato). Ciò è dovuto alla carenza di collegamenti con la terraferma. L’handicap delle comunicazioni non deve però essere considerato unicamente sotto l’aspetto negativo. Può essere visto anche alla pari di un sistema di difesa messo in pratica
dalla natura stessa. Infatti, sulle isole più facilmente
raggiungibili, ad esempio Puntadura (Vir) e Murter,
si sono verificati casi di abusivismo estremo, che
hanno deturpato in modo osceno il patrimonio paesaggistico. D’altro canto sulle isole più lontane dalla terraferma l’ambiente si è conservato praticamente intatto. A Lissa (Vis), addirittura non è ancora approdato neppure il turismo di massa. In questo caso,
il motivo non va ricercato tanto nella distanza che
separa l’isola dalla costa, ma nel fatto che in passato, all’epoca della ex Jugoslavia, l’accesso era proibito a causa della presenza di una base militare.
5
L’altra faccia della medaglia
L’altra faccia della medaglia dell’interesse dimostrato non soltanto dai cittadini
croati, ma anche dagli stranieri, per l’acquisto di immobili in Dalmazia, è rappresentata dall’abusivismo edilizio. Nuovi caseggiati non lontano dal mare spuntano
come funghi dopo la pioggia. A volte le autorità chiudono purtroppo un occhio, altre volte dimostrano sufficiente volontà politica per dare una lezione ai palazzinari
d’assalto che non sempre rispettano i piani regolatori, già di per sé carenti. E quando parte l’ordine di demolizione, nulla ferma più le ruspe... (ds)
6 dalmazia
Sabato, 11 giugno 2005
ONDA BLU Viaggio sulle stupende isole dell’arcipelago della Dalmazia centrale
Le battaglie per l’Adriatico
di Giacomo Scotti
Sono passati circa quattro secoli dalla pacificazione di Ottaviano quando cominciano le prime irruzioni barbariche: i Sarmati, gli Unni, i Visigoti, gli Eruli, gli
Ostrogoti… Con la divisione dell’Impero in occidentale ed orientale (anno 395 d.C.) la Dalmazia
con gli arcipelaghi resta nell’Impero occidentale, ma Bisanzio
punta gli occhi sull’Adriatico, riesce ad impossessarsi della Dalmazia nel 410, la perde, la riconquista
con Teodosio II nel 430, e poi…
Poi è un susseguirsi di dominazioni diverse, da Odoacre a Teodorico, e fino a Giustiniano che nel
536 riunisce la regione all’Impero romano d’oriente. Importante
è notare: nonostante l’avvicendarsi dei dominatori, resistono le basi
dell’amministrazione romana, i
principi economici, le conquiste
culturali e il diritto romani. Così
succede che in Dalmazia, sulla
terraferma e sulle isole, ogni famiglia continua a considerare come
propri veri governanti unicamente gli imperatori di Costantinopoli. E se è vero che più non ci sono
le legioni romane, sostituite dalle
soldatesche barbariche, è anche
vero che l’avvocato e il burocrate
romano, l’artigiano e il costruttore, resistono ai colpi del destino e
continuano a imprimere il timbro
alla vita sociale. Ed è sintomatico
che, a differenza di quanto avviene nella Gallia e nella Spagna, qui
in Dalmazia non si notano aspirazioni all’emancipazione, al distacco: le città dalmate, con le isole,
continuano ad essere tenacemente attaccate a quanto rimane dell’Impero romano, calamitate verso l’oriente romano, verso la santa
incalzato i Longobardi. Numerose città fiorenti vengono una dopo
l’altra assalite, saccheggiate, alcune rase al suolo. Dalla costa decine di migliaia di abitanti trovano
rifugio sulle isole. Gli Slavi, a differenza degli antichi Illiri, non si
romanizzano; determinante è la
loro preponderanza numerica; ma
nemmeno le oasi romane si slavizzano, continuando anzi a irradiare
la loro cultura. E tuttavia un mondo e un’epoca tramontano proprio
con l’arrivo degli Slavi. Il martirio
della Dalmazia invasa viene scolpito verso il 660 su una lapide a
Brazza.
Verso il 614-616 le tribù slave
insediatesi sulla costa meridionale dell’Adriatico orientale costruiscono imbarcazioni ricavate da
grossi tronchi d’alberi (monoxili),
sicchè sembra essere tornati all’età
della pietra, ma in pochi anni anche gli Slavi diventano bravi navigatori e raggiungono le isole.
Già nel 641, stando alla cronaca longobarda di Paolo Diacono, questi stessi Slavi passano
l’Adriatico sbarcando presso Siponto (Manfredonia) “cum multitudine navium”. Sconfitti, tornano
sulla sponda orientale e riprendono le scorrerie.
Verso la fine del secolo, l’intera costa orientale fino al fiume Cetina cade sotto il dominio di Carlo
Magno, ovvero di suo figlio Pipino: la potenza dei Bizantini va tramontando, sul mare corseggiano
le navi dei Croati e dei Narentini
che, uscendo dalle loro basi lungo la costa dalmata e sulle isole,
fermano le navi veneziane pretendendo il pagamento di un tributo per la libera navigazione. A
sua volta l’imperatore bizantino
Nicefero manda in Adriatico una
Stari Grad a Lesina
Costantinopoli. Ancora oggi, nella
parlata dalmatica, il termine “Got”
(Goti) è sinonimo di barbaro, di
saccheggiatore, di eretico. E quando Giustiniano caccia i Goti e, nutrendo l’idea di ripristinare l’antico grande impero della romanità,
comincia proprio dalla Dalmazia,
ovunque si diffonde la radiosa
speranza di un ritorno all’epoca
dello splendore e della pace. Purtroppo, comincia una nuova era di
irruzioni.
Nel 568, sotto la pressione dei
Longobardi che dalla Pannonia
passano in Italia, gli abitanti di dodici comuni lagunari decidono di
riunirsi in una comunità che sarà
Venezia, la città-Stato che detterà
legge nell’Adriatico e soprattutto
in Dalmazia per lunghi secoli.
Verso la fine del secolo si precipitano sulla Dalmazia Avari e
Slavi, anch’essi provenienti dalla
Pannonia, gli stessi che avevano
grossa flotta per cacciare le navi
di Venezia, la quale, al servizio
dei Franchi, ha imposto la propria
tutela sulle città dalmate. La flotta veneziana viene sconfitta (anno
806), il potere bizantino nominalmente ripristinato e quindi riconosciuto con la pace stipulata (812)
fra Carlo Magno e l’imperatore bizantino Michele, i più potenti sovrani del mondo a quest’epoca.
Potere nominale, quello bizantino, si diceva, perchè le varie città
costiere e insulari si amministrano
in autonomia con attributi sempre
più spiccati di città – stato. Inoltre,
nel territorio a Nord della foce della Narenta, viene a crearsi il Principato Narentino che comprende
anche le isole di Brazza, Lesina,
Curzola e Meleda. Regnando l’imperatore Michele II (820-828), la
Dalmazia e le regioni ad oriente
della Cetina si scrollano di dosso
anche il formale dominio bizanti-
Lesina
no. Nello stesso periodo le popolazioni slave si convertono al cristianesimo per opera di missionari
franchi.
Venezia
Nell’836 il doge veneziano
Pietro Trandenico, al comando
di una flotta, muove verso le coste della Dalmazia, ma viene fermato dalle navi dei Croati e Narentini. Nell’Adriatico fanno la
loro prima comparsa anche i pirati Saraceni. Nell’839 Trandenico arma una nuova flotta, deciso
a sconfiggere una volta per sempre Croati e Narentini, ma ancora
una volta, di fronte a un avversario numeroso e potente, evita di
entrare in battaglia, chiede ed ottiene di stipulare un patto di pace
con i rispettivi principi Mislav e
Drusacco.
L’anno seguente, su richiesta
di Bisanzio, lo stesso doge invia
una flotta di sessanta navi contro i
Saraceni: le navi veneziane subiscono una dura sconfitta e si ritirano. Come se non bastasse, i Narentini calpestano il trattato stipulato l’anno prima e Trandenico
– armata una flotta veramente potente – decide di punirli. Lo scontro fra le due flotte avviene nelle
acque delle isole di Lesina, Brazza e Curzola, terminando con la
vittoria dei Narentini.
A questo punto Venezia, con
la mediazione di Bisanzio, ottiene dall’imperatore romano, il tedesco Lotario, la promessa che
le città marinare italiche, in caso
di bisogno, mettano a disposizione le loro navi nella lotta contro
le “tribù slave”. Nell’841 ricompaiono i Saraceni che si spingono
fino all’Adriatico settentrionale,
attaccando, saccheggiando e distruggendo varie città costiere e
insulari.
Nell’865, il doge Urso Patriziaco, muove alla volta della Dalmazia per regolare i conti con i
Croati ora capeggiati da Domagoj, “pessimus Sclavorum dux”.
Costui, ignorando le ammonizioni del papa e le minacce di Venezia, ha ripreso le piraterie sul
mare. Stavolta la pace viene stipulata evitando la battaglia, ma la
pirateria nell’Adriatico continua.
Il papa Giovanni VIII, rivolgendosi al non più “pessimo” ma
“glorioso principe” Domagoj, gli
chiede di prendere provvedimenti
contro i pirati che, facendosi scudo del suo nome, aggrediscono le
navi cristiane. La lettera è dell’887.Domagoj muore due anni
dopo e, succedutogli al trono il
principe Zdeslavo, fedele di Bisanzio, le cose cambiano: i Croati non riconoscono il potere dell’imperatore franco e si dichiarano fedeli all’imperatore bizantino
Basilio I, riconosciuto anche dai
Veneziani; pace quindi con Venezia, la quale accetta di pagare un
“tributum pacis” in cambio della
libera navigazione.
Passano due anni e Zdeslavo
viene ucciso dai suoi in un’insurrezione. Lo sostituisce il capo degli insorti Branimir, che riceve la
benedizione e la corona dal papa
Giovanni VIII. In tal modo vengono poste le basi di uno Stato
croato indipendente dai supremi
poteri bizantino e franco. Venezia, sempre per assicurarsi la libertà di navigazione, rinnova con
Branimir il patto di pace.
I Croati se ne stanno buoni,
accontentandosi del tributo, ma i
Narentini riprendono la pirateria.
Nell’agosto dell’880 il doge Pietro Candiano arma dodici navi e
muove guerra ai pirati, riuscendo
quella dei Kacici, passa il fiume
Cetina, si stabilisce ad Almissa e
ne fa un covo di pirati.
Un nuovo capitolo di storia
comincia nel 925 quando il principe croato Tomislav si proclama
re, stipula un’alleanza con Bisanzio e ne ottiene il dominio sulle isole fra cui Brazza, Lesina e
Lissa. In realtà il re riscuote dei
simbolici tributi perchè proprio
in quest’epoca le città dalmate
ottengono o si attribuiscono autonomia di governo nello svolgimento della vita interna e nelle
relazioni con l’esterno e, malgrado la volontà di principi, di re e
imperatori che su esse pretendono di avere dominio, si reggono a
comune con propri statuti, mentre
Venezia praticamente non riconosce alcuna signoria. Ciò non toglie che il regno di Croazia, esteso a una buona fetta della Dalmazia litoranea e insulare, sia uno
Stato forte. Stando all’imperatore
Costantino Porforigeneto, mantiene un esercito di circa 60 mila
cavalieri e 100 mila fanti e tiene
sul mare 80 sagine e 100 condure, le prime con 40 uomini di
equipaggio ciascuna e le seconde con dieci-venti. L’imperatorestorico scrive in proposito che le
Penisola di Prirovo (Lissa)
a catturare nel primo scontro cinque navi avversarie. Incoraggiato
dal successo, sbarca con l’esercito
sulla costa, ma qui viene sorpreso
dai Narentini, sconfitto e ucciso.
Come se non bastasse, una tribù
croata non sottoposta a Branimir,
navi croate “non muovono guerra
contro nessuno, a meno che non
vengano attaccate, ma con quelle
navi i mercanti croati navigano di
porto in porto nella regione della
Nerenta e nel Golfo di Dalmazia
fino a Venezia”.
dalmazia 7
Sabato, 11 giugno 2005
La potenza dello Stato croato, anche sul mare, continua con i
successori di Tomislav, Terpimiro
e Crescimiro; però morto quest’ultimo nel 945 in una guerra civile,
si indebolisce. Nel 946 il doge veneziano Pietro Candiano III decide di muovere guerra ai Narentini
che, svincolatisi dal regno croato,
hanno continuato a pirateggiare
sul mare. Alla testa di una flotta
di 33 grandi navi pone Urso Badovario e Pietro Rosolo i quali, di
fronte a una flotta pirata composta
da imbarcazioni leggere, agili, ed
equipaggiate da uomini abili e coraggiosi, sono costretti a ritirarsi.
Nello stesso anno la flotta veneziana, con un numero uguale di
navi, ritorna nelle acque dei Narentini che sono costretti a stipulare un patto: in cambio di un tributo
annuo, libera navigazione.
La romanità
si conservò
nell'area costiera
Interrompendo per un attimo la
cronologia, ci sembra utile a questo punto chiarire che, con il dila-
fatto, però, ebbe come conseguenza l’inizio di un’accesa lotta fra le
diocesi cosiddette “latine” e quelle
croate, fra i “Latini” da una parte
e dall’altra i “Goti” come venivano chiamati in senso dispregiativo, gli Slavi; questa lotta si estese
dal campo ecclesiastico e culturale a quello politico per durare nei
secoli, fino a ieri si può dire. E Venezia? La Serenissima fu tollerante; alla repubblica marinara non
importavano le questioni etniche,
linguistiche e culturali, ma il commercio e il dominio politico per il
commercio. E con questa politica – facendo perfino guerre contro italianissimi genovesi, pisani e
napoletani – riuscirà col tempo ad
avere negli “Schiavoni” il nerbo
migliore e più fedele di combattenti e di marinai. Se molti Slavi,
arricchitisi o elevatisi socialmente
in vari modi, passarono la barriera
etnica, egualmente ci furono Veneziani e Italiani dalmati che col
tempo si slavizzarono per svariati motivi.
Inizialmente, Venezia riconosce il supremo governo bizantino senza però subirne le pressioni
Una delle splendide spiagge di Curzola
gare degli Slavi sulla costa orientale dell’Adriatico, scomparvero
tutti gli insediamenti delle popolazioni romaniche o romanizzate
nell’interno, la romanità nel senso etnico-linguistico si conservò
invece sulle innumerevoli isole da
Veglia e Cherso fino a Lissa e Lacroma nel sud e nelle città litoranee fortificate quali Zara, Spalato,
Traù, Ragusa, Cattaro ed altre, circondate peraltro da una campagna
interamente slava. Gli Slavi crearono a loro volta nuove città, come
Sebenico, o si stabilirono in antichi centri abbandonati quali Senia
(Segna), Nona, Zaravecchia, Ragusavecchia ed altre sul mare. Il
rapporto numerico (preponderanza degli Slavi) ebbe come conseguenza la non assimilazione o romanizzazione dei nuovi abitanti;
ed anche quando questi passarono al cristianesimo, conservarono
tenacemente la propria lingua e
cultura. D’altra parte, nonostante
l’esiguità numerica, le forti radici
culturali delle popolazioni romaniche superstiti permisero loro di
resistere all’alluvione: non si slavizzarono. O meglio, il processo
di slavizzazione ebbe bisogno di
secoli per progredire, e praticamente si concluderà appena con la
fine della seconda guerra mondiale. Fu dunque lento, rallentato anche dalla cultura che sarà portata
dal dominio della Repubblica di
Venezia, come vedremo, ma purtroppo inevitabile.
Ancora fino alla seconda
metà dell’XI secolo potè sembrare che la romanità etnico-linguistica fosse indistruttibile; le popolazioni neolatine, ovvero le città da
esse abitate, dipendevano direttamente dagli imperatori bizantini; per gli Slavi quelle città erano
“estero” nel senso politico-territoriale. Inoltre, sul piano ecclesiastico, dall’inizio del X secolo l’intera Dalmazia rientrò nella giurisdizione del papato romano. Questo
– data la lontananza – e ricevendone invece carta bianca per il
“servizio di polizia” nell’Adriatico. Ben presto il “vassallo-poliziotto”, conquistato il potere sul
mare, lo trasforma in potere politico e, guerreggiando contro i pirati arabi (Saraceni), non risparmia i pirati Slavi della Croazia e
Narenta, come si è visto. Verso
la fine del millennio, esattamente nel 991, diventa doge di Venezia un uomo energico e di grande
ingegno: Pietro Orseolo II, il primo grande della storia veneziana,
il vero fondatore del libero stato
indipendente. Allaccia legami di
parentela e stipula accordi commerciali con Bisanzio e con l’impero romano-germanico; con una
“Bolla d’oro” ottiene per le navi e
i mercanti veneziani notevoli privilegi nel commercio con l’Oriente; promettendo di fornire aiuti ai
bizantini nella lotta contro i Saraceni, conduce tenacemente la politica del rafforzamento della marina mercantile e militare di Venezia. Cinque anni dopo, ritenendosi
abbastanza potente, cessa di pagare qualsiasi tributo ai Croati e Narentini; e quando questi riprendono ad attaccare le navi veneziane,
manda contro di loro una flotta al
comando di Badovario Bragadin
che sconfigge la flotta croata, attacca l’isola di Lissa, la conquista,
la saccheggia e trae prigionieri a
Venezia uomini e donne in gran
numero. L’imperatore bizantino
concede a Venezia l’amministrazione delle città e delle isole della
Dalmazia. Comincia così una nuova pagina di storia per l’arcipelago
e per il litorale orientale.
Il dominio del leone
Mentre in Croazia, ulteriormente indebolita, scoppiano nuove lotte dinastiche, il doge veneto – sempre Orseolo – vieta agli
Zaratini di pagare ulteriormente
il tributo della pace ai re croati.
Siamo al 997. Nel 998 i Narentini attaccano Zara, prendono in
ostaggio quaranta cittadini. Zara
chiede protezione e aiuto a Venezia ed invita le altre città dalmate
a seguire l’esempio. Il 9 maggio
dell’anno Mille il doge Orseolo
si mette personalmente alla testa
di una potente flotta per prendere
possesso delle città ed isole cedute a Venezia dai bizantini. Via
facendo, raccoglie in Istria e ad
Ossero altri uomini in grado di
impugnare le armi, quindi punta
su Zara i cui cittadini prestano il
giuramento di fedeltà, come già
fatto, a nome delle rispettive comunità, dai vescovi e priori delle
isole di Veglia ed Arbe, e come faranno quelli di Zaravecchia, Traù
e Spalato. Da Spalato il doge raggiunge e occupa Curzola e quindi
Lesina, costringendo i pirati che
qui hanno uno dei loro covi più
potenti a chiedere la pace. Successivamente sbarca sull’isoletta
di Maisan ad oriente di Curzola
e qui riceve l’omaggio e l’atto di
sottomissione dell’arcivescovo di
Ragusa e del suo seguito, che giurano fedeltà.
Con l’impresa di Pietro Orseolo, acclamato Dux Dalmatiae,
Venezia è diventata la dominante
assoluta sulla Dalmazia e il suo arcipelago, quindi sull’intero Adriatico. E per quanto diverse signorie
formali e nuove invasioni le genti
del litorale e delle isole dovranno
ancora subire, i loro legami con
Venezia non si spezzeranno mai.
Un cancro antico, che nemmeno Venezia riuscirà ad estirpare
definitivamente, è la pirateria. Intorno al Mille, gli Almissani scorazzano sul litorale fra i fiumi Cetina e Narenta, spingendosi anche
sulle isole di Brazza e Lesina. A
loro volta i sovrani croati, approfittando della morte del doge Pietro Orseolo nel 1009, si preparano
alla riconquista del litorale e del
mare. Crescimiro III lancia diversi
attacchi, suscitando l’immediato
intervento del doge Otto Orseolo
che nel 1018 arriva con la sua flotta e ricaccia dalle acque dalmate le
navi croate.
Crescimiro III, però, non si
dà pace. Continua gli attacchi alle
città dalmate, sottomette Spalato,
Meleda
ma interviene l’imperatore bizantino Basilio II che manda una nutrita flotta, cattura e deporta a Costantinopoli la moglie e il figlio
del re croato e ripristina il diretto
dominio imperiale sulla Dalmazia nel 1027. Con le isole la situazione non è chiara. Venezia è
sempre presente, le autonomie comunali sono sempre più forti, ma
si ha pure notizia – risale al 1050
– della presenza del signore narentino Berigoj sulle isole di Biševo
(Busi) e di Lissa. Nel 1069 Bisanzio cede al re croato Crescimiro
IV l’amministrazione della Dalmazia con Zara, Spalato, Traù e le
isole di Lesina, Curzola, Lagosta e
Lissa, Crescimiro si proclama perciò Rex Croatiae et Dalmatiae.
È un’epoca oscura, questa,
anche per l’apparizione dei Normanni che, dalle coste dell’Italia
meridionale attaccano le navi veneziane e intralciano il commercio fra Venezia e Bisanzio (in ciò
sostenuti dal papa Gregorio VI),
scorazzano nell’Adriatico. Venezia reagisce: nel 1075 il doge
Domenico Silvio si presenta nelle
acque dalmate con una forte flotta, costringe i Normanni a ritirarsi dalle città del litorale orientale
e impone, di fatto, la supremazia
veneziana.
Nel frattempo, nelle città romaniche della Dalmazia, nasce e si rafforza l’idea, caldeggiata dal papato, di un’unione della
Croazia con l’Ungheria (divenuta cattolicissima con re Stefano
il Santo) per eliminare la dinastia
croata, peraltro dilaniata da lotte
per la successione. Abbozzato a
Spalato nel 1091, il progetto trova sostenitori anche a Zara, e ben
presto vi aderiscono anche alcuni
nobili croati in dissidio con il loro
re, per cui chiamano in Croazia il
re magiaro Colomanno per offrirgli la corona. Colomanno si mette
in viaggio, sgomina l’esercito del
re croato Pietro, che cade ucciso
in battaglia nel 1097, e raggiunge
nello stesso anno l’Adriatico. Nel
1102 i capi delle tribù croate riconoscono Colomanno “rex Croatiae et Dalmatiae” e lo incoronano
a Zaravecchia.
(2 e continua)
Navi militari italiane in visita
A luglio la «Palinuro» a Spalato
SPALATO – Durante la stagione estiva 2005 è prevista la presenza a Spalato di unità della Marina militare italiana. La “Comandante Foscari” P 493 arriverà nella seconda decade di giugno. La nave scuola
“Palinuro” nell’ambito della campagna d’istruzione 2005 nel Mediterraneo centro-occidentale è attesa per
la fine del mese di luglio.
8 dalmazia
Sabato, 11 giugno 2005
COLLEGAMENTI
D’estate sono oltremodo numerose le linee traghetti
Tutte le rotte della Dalmazia
SPALATO – Navigare neccese est. È un antico detto latino del
quale i popoli che abitano le terre che si affacciano al mare amano
servirsi per illustrare ai forestieri l’importanza che ricopre nella loro vita la navigazione. Saper
andar per mare per molti abitanti della costa dalmata e delle sue
isole fino a non tanto tempo fa era
un requisito indispensabile. Oggi
l’arte marinara è diventata per lo
più un diletto, uno svago al quale
dedicarsi nel tempo libero, e sono
relativamente in pochi ad avventurarsi quotidianamente in mare poter procurarsi il pesce per sfamarsi
o da poter rivendere al mercato per
arrotondare lo stipendio o la pensione. Oggi i grandi pescherecci
hanno rubato il lavoro alle vecchie
barche di legno. Servendosi degli
ultimi ritrovati della moderna tecnologia un equipaggio composto
da una mezza dozzina di uomini è capace di catturare più pesce
che non un’intera flotta di vecchi
pescatori che per prender pesci ricorrono “solo” alle tecniche tradizionali. Sistemi di pesca che a differenza di quelli attuali hanno acconsentito per secoli, anzi per interi millenni, alla fauna sommersa
del Mare Adriatico di conservarsi.
Da tempo immemorabile la pesca
alla sardella ha permesso di sfamato intere generazioni di dalmati. Ora, invece, in pochi anni, a se-
guito di una pesca intensiva e “indiscriminata” le riserve di questa
specie è diminuita drasticamente.
Nonostante ciò, l’Adriatico, la risorsa di maggior valore tra quelle
di cui dispone la Croazia, fino ad
ora è stato benevolo è ha sempre
donato ai pescatori quantità di pesci sufficienti allo sostentamento
delle loro famiglie.
Saper andar per mare per chi
risiedeva sulle isole o lungo la costa era di fondamentale importanza pure per un altro semplice motivo. Chi non era in grado di farlo
era tagliato fuori dal mondo. Se
ci pensate bene i grandi traghetti
a motore sono un’invenzione alquanto recente, che fino alla seconda metà del secolo scorso costituivano un privilegio riservato
solo a poche comunità insulari.
Per le altre questo “lusso” rimaneva un lontano miraggio. Da allora ad oggi ne è passata di strada. Ormai non esiste praticamente
nessuna delle isole croate abitate
(una settantina in tutto) che non
disponga almeno di un paio di
collegamenti alla settimana con
la terraferma o con le principali
isole che si trovano nelle sue vicinanze. Le isole che si trovano
più vicine alla costa sono addirittura state collegare alla terraferma
per il tramite di ponti. Un vantaggio che però con il tempo ha presentato anche molti lati negativi
(uno fra tutti la cementificazione
selvaggia).
Leggendo le righe che seguono, riferite ai collegamenti maritti-
ta di letargo. Sui percorsi di linea
lungo costa Fiume-Zara-SpalatoStari Grad (isola di Lesina/Hvar)Curzola (Korčula)-Sobra (isola di
Meleda/Mljet)–Ragusa (Dubrovnik), la bassa stagione è iniziata il
25 maggio. Durante questo periodo sono previste quattro partenze
alla settimana (lunedì, mercoledì,
venerdì e sabato) da Fiume verso
Spalato, Stari Grad (Lesina), Curzola e Ragusa (Dubrovnik). L’alta stagione estiva per i percorsi
di linea lungo costa prende il via
il 26 giugno per concludersi il 15
settembre, quando inizia nuovamente la bassa stagione (fino al 2
ottobre). Durante l’alta stagione
estiva, i percorsi lungo costa saranno intrapresi quattro volte alla
settimana con le navi-traghetto più
grandi, ossia la Marko Polo e la
Dubrovnik. I ferry boat salperanno da Fiume verso Spalato, Stari
Grad e Curzola. Due volte alla settimana si spingeranno fino a Ragusa (Dubrovnik) e fino a Bari sulla
costa italiana. Nelle giornate di lunedì, mercoledì, venerdì e domenica le navi salperanno dal capoluogo del Quarnero alle 20.
La novità nell’itinerario di navigazione per l’estate 2005 è l’introduzione della linea SpalatoCurzola-Meleda-Ragusa (Dubrovnik)-Bari, con la quale saranno
collegate fra di loro le isole di Cur-
volte alla settimana, mentre nel
corso dell’alta stagione (21 luglio
– 13 settembre) si svolgeranno
quotidianamente. Da Ancona le
unità della Jadrolinija salperanno il lunedì, martedì, mercoledì,
giovedì, venerdì (2 partenze) e la
domenica. Nei giorni di martedì,
mercoledì e venerdì, le navi partite dal porto di Ancona faranno
scalo a Stari Grad (Cittavecchia
di Lesina) e il mercoledì pure a
Curzola. Questa linea sarà coperta
dalle navi più grandi: Marko Polo,
Dubrovnik e Ivan Zajc. Durante l’alta stagione il collegamento tra Bari e Ragusa (Dubrovnik)
si svolgerà sei volte alla settimana con le navi Dubrovnik, Marko
Polo e Liburnija.
Per quanto riguarda le linee locali, la stagione estiva è iniziata il
25 maggio e si concluderà il 2 ottobre (l’alta stagione dal 17 giugno
al 11 settembre). Nel periodo che
va dal 2 luglio al 27 agosto, il catamarano Silba, collegherà lo scalo
fiumano alle isole di Selve (Silba),
Premuda e Ulbo (Olib).
Nel distretto di Zara e Sebenico, oltre alle linee marittime di
traghetto e navi classiche, continuerà pure il trasporto con le
imbarcazioni veloci su numerose
linee per le isole: Premuda, Selve, Ulbo, Ist, Molat, Zverinac,
Sestrunj e Rivanj. Nel distretto
mi gestiti dalla principale compagnia armatoriale croata specializzata nel trasporto di passeggeri, la
Jadrolinija di Fiume, potrete crearvi un’idea di come sia divenuta capillare la rete di rotte che collegano le isole dalmate al continente.
Purtroppo avrete anche modo di
accorgervi anche che spesso questi servizi assumono proporzioni
adeguate solo durante i mesi caldi,
quando questi lembi di paradiso
sono letteralmente presi d’assalto da migliaia di turisti, soprattutto stranieri (italiani, tedeschi, austriaci, sloveni, svizzeri, cechi...).
Nel resto dell’anno queste località, loro malgrado, sono condannate, invece, a spegnersi in una sor-
zola e Meleda. Verrà, inoltre, offerto un collegamento migliore tra
i porti di Spalato, Ragusa (Dubrovnik) e Bari. Durante la bassa stagione i collegamenti internazionali
tra Ancona e Zara possono contare
su quattro partenze dalla costa italiana e altrettante da quella croata.
Nel periodo di alta stagione (15 luglio – 11 settembre) saranno sette
le partenze settimanali da Ancona
(lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica), e da Zara (martedì, mercoledì,
giovedì, venerdì, sabato 2 volte, e
domenica).
Le linee internazionali da Ancona verso Spalato, durante la
bassa stagione sono presenti sei
di Spalato e Ragusa (Dubrovnik)
oltre alle consuete linee marittime
di traghetto, navi e linee veloci di
catamarano, in caso di necessità,
durante l’alta stagione, saranno
introdotti collegamenti supplementari.
Nell’organizzare i propri spostamenti bisogna tenere conto che
oltre alla Jadrolinija anche altre
compagnie armatoriali assicurano collegamenti tra la terraferma
e le isole dell’arcipelago dalmata, come pure tra le località costiere. Inoltre, specialmente durante
l’estate alle unità degli armatori
croati si aggiungono pure quelle
dei loro colleghi italiani.
Krsto Babić
Anno 1 / n. 4 11 giugno 2005
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina, progetto editoriale di Silvio Forza
edizione: DALMAZIA
Redattore esecutivo: Dario Saftich / Art director: Daria Vlahov Horvat
Collaboratori: Krsto Babić, Giacomo Scotti. Redattore grafico: Saša Dubravčić