istruzione

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istruzione
NOVEMBRE 2014
NUMERO 58
JESUIT REFUGEE SERVICE
ISTRUZIONE
UN BISOGNO VITALE
NELLE EMERGENZE
Australia
p. 4
SUD SUDAN
p. 7
MEDIO ORIENTE
p. 11
AMERICA
p. 17
NOVEMBRE 2014
NUMERO 58
IN QUESTO NUMERO
FOTO DI
COPERTINA
Ghada, una rifugiata siriana che
frequenta la scuola del JRS a Jbeil, in
Libano. (Andy Ash)
Servir è disponibile in italiano,
francese, inglese e spagnolo. È
pubblicato due volte l’anno dal
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
(JRS).
EditorialE
La forza della tenacia 3
Australia
Voci zittite4
FOCUS SUL SUD SUDAN
Yambio
Rispondere a un bisogno vitale
DIREZIONE
Peter Balleis SJ
Maban
Una speranza che rifiuta di morire
REDAZIONE
Danielle Vella
PRODUZIONE
Malcolm Bonello
7
9
APPELLO
Aiuta la popolazione di Maban
10
MEDIO ORIENTE
L’istruzione salva la vita11
SicilIA
Soccorsi. E poi?14
Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
è un’organizzazione cattolica
internazionale creata nel 1980 da
Pedro Arrupe SJ. La sua missione è
accompagnare, servire e difendere la
causa dei rifugiati e degli sfollati.
Jesuit Refugee Service
Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma,
Italia
TEL: +39 06 69 868 465
FAX: +39 06 69 868 461
AMERICA LATINA
Sostieni i rifugiati17
STATI UNITI
Non è solo un problema politico18
AFGHANISTAN | RIFLESSIONE
Ridateci il Signor Prem
19
LIBANO | QUARTA DI COPERTINA
Uno spazio in cui apprendere
20
[email protected]
www.jrs.net
e-SERVIR
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2
EDITORIALE
Padre Peter nel campo di Kashuga a Mweso, nell’est della Repubblica Democratica del Congo.
La forza della tenacia
Arrivati quasi a fine anno abbiamo
quattro grosse crisi umanitarie
nel mondo: nella Repubblica
Centrafricana, nel Sud Sudan, in
Siria e più recentemente in Iraq.
In un tale contesto, non è facile
scrivere qualcosa di ottimistico
su questo numero di Servir. Uno
degli autori, Pau Vidal SJ, scrive a
proposito della “gente crocifissa” di
Maban, nel Sud Sudan. Lo stesso
termine può essere usato per i
protagonisti di tutti gli articoli,
a cominciare da padre Prem, il
nostro direttore in Afghanistan,
rapito in giugno.
Le popolazioni di Maban e di
Yambio nel Sud Sudan e quella
della Siria sono state crocifisse
dalla guerra, dalla violenza
brutale e dagli sfollamenti. La
guerra in Siria sembra senza fine.
Nel Sud Sudan i colloqui di pace
alimentano la speranza, ma le
persone sono ancora preoccupate,
viste le frequenti interruzioni
e i contrasti che hanno finora
caratterizzato le trattative.
Intanto, i richiedenti asilo negli
Stati Uniti, in Sicilia e in Australia
sono seriamente ostacolate dalle
politiche e dalle prassi, inadeguate
o, peggio, dannose.
Nonostante le inesprimibili
difficoltà affrontate dai rifugiati
e dai richiedenti asilo, e alle
volte anche dal nostro personale,
dobbiamo perseverare. In
questo numero di Servir vedo
la tenacia delle équipe del JRS,
che fanno tutto ciò che possono
in circostanze diverse e sempre
difficili. In Afghanistan, nel Sud
Sudan e in Medio Oriente esse
offrono la possibilità di accedere
all’istruzione, un’opportunità che
viene afferrata con entusiasmo
dalle persone.
Negli Stati Uniti, in Europa,
in Australia e in America Latina
il JRS accompagna coloro che
subiscono le politiche dei governi,
difende instancabilmente i loro
diritti e opera per ottenere leggi
giuste ed efficaci e per creare
comunità locali più accoglienti.
E poi vedo i rifugiati. Con
la loro tenacia tengono viva la
speranza: non un ottimismo
superficiale, piuttosto una
speranza profonda nata dalla
sofferenza. In Afghanistan,
i bambini dei nostri progetti
pregano ogni giorno per il rilascio
di Prem. Insieme a loro vogliamo
credere che Prem sarà liberato e
che tutti coloro che “seminano
nelle lacrime mieteranno con
giubilo”.
Peter Balleis SJ | Direttore internazionale del JRS
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ACCOMPAGNARE
Australia
Voci zittite
Oliver White, responsabile per l’advocacy e le politiche del JRS Australia
I richiedenti asilo vivono la frustrazione di una prolungata incertezza legale e molti finiscono per chiudersi nella propria disperazione. (Benizi Santamaria)
Questa storia comincia in silenzio.
Non perché i suoi protagonisti non
abbiano niente da dire, ma perché
temono le conseguenze del parlare
apertamente, o sono convinti che
farlo non serva a nulla.
Nonostante i richiedenti
asilo di cui scrivo siano fra i più
fortunati in questa “nazione
felice”, l’assenza della loro voce
la dice lunga sul modo in cui
vengono trattati dal governo
australiano. Si tratta di 3.038
uomini, donne e bambini che sono
detenuti in comunità, in Australia
una forma alternativa ai centri di
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detenzione. Altre 6.504 persone,
fra cui 747 bambini, vivono ancora
dietro al filo spinato dei centri,
sia all’interno della nazione
che nei due centri nazionali di
smistamento nell’isola di Manus
(in Papua Nuova Guinea) e a
Nauru.
DETENZIONE IN COMUNITÀ
Il JRS ha svolto un ruolo
importante nel processo di
istituzione della detenzione
in comunità nel 2010, facendo
pressione sul governo per ottenere
un’alternativa più umana ai centri
di detenzione. Il programma pilota
che ne è risultato ha permesso a
minori non accompagnati di uscire
dai centri di detenzione e vivere
in comunità sotto supervisione
durante il periodo di attesa di una
risposta alla propria domanda di
asilo.
Questo programma è stato
un successo grazie alle risorse
finanziarie e materiali di cui
disponeva, che hanno permesso
un’assistenza “fuori casa” e un
supporto più continuativi, e
anche perché la maggior parte
dei giovani poteva vivere nella
Australia
comunità grazie a permessi di
soggiorno temporanei una volta
raggiunti i 18 anni. Un programma
simile rivolto a uomini e famiglie
vulnerabili è invece terminato
in un vicolo cieco di prigionia
debilitante.
UN’ATTESA INFINITA
Quando è stato avviato il
programma, gli aspetti positivi –
la relativa libertà di movimento,
un ambiente più naturale per i
bambini, la crescente autonomia,
l’accesso a scuola, servizi
comunitari e reti di supporto –
rispondevano agli aspetti negativi
dei centri di detenzione.
Ciononostante, la durata
eccessiva dell’attesa prima
di ricevere una risposta alla
propria richiesta di protezione ha
compromesso lo scopo originario
di “minimizzare il danno” e
“sostenere il benessere di coloro
che sono in attesa di una decisione
sul proprio stato di immigrazione”.
Per i richiedenti asilo che
arrivano in Australia via mare, la
procedura di determinazione dello
status di rifugiato (DSR) è stata
di fatto sospesa dopo le elezioni
nazionali del settembre 2013. Il
governo è deciso a concedere lo
status di rifugiato ai richiedenti
asilo che ne avrebbero diritto
solo nel caso possa concedere una
protezione temporanea invece
che un permesso di soggiorno
permanente. Finora, però, tutti i
tentativi di istituire una protezione
temporanea sono stati bloccati
dai tribunali o dal parlamento. La
gran parte dei richiedenti asilo in
detenzione comunitaria arrivati
negli ultimi quattro anni è stata
così lasciata in una situazione di
prolungata incertezza legale.
UNA GABBIA SENZA SBARRE
Descritta da alcuni richiedenti
asilo come “una gabbia senza
sbarre”, la detenzione in comunità
si è rivelata disastrosa per chi si
trova intrappolato dietro i suoi
muri invisibili. Sebbene non
siano imprigionate fisicamente,
le persone non ricevono un
permesso di soggiorno; sono libere
di girovagare nei quartieri in cui
vorrebbero vivere ma non possono
lavorare o studiare per ottenere un
diploma.
Anche i richiedenti asilo non
in detenzione grazie a permessi
temporanei non hanno vita
facile. Devono firmare un codice
di condotta sui comportamenti
“antisociali” come “sputare
o imprecare in pubblico”. Le
violazioni del codice sono rare, ma
possono portare alla cancellazione
del permesso e al ritorno nei
centri di detenzione. I richiedenti
asilo in detenzione comunitaria
non devono firmare il codice, ma
risentono della paura che ne deriva
e finiscono per rinchiudersi ancor
più in sé stessi e nelle loro prigioni
suburbane.
Sebbene DSR e detenzione siano
processi separati, i richiedenti
asilo non li distinguono e li
ACCOMPAGNARE
considerano entrambi ostili, opachi
e arbitrari. Vivono un forte senso
di ingiustizia vedendo amici e
anche familiari che hanno ricevuto
un permesso di soggiorno durante
il precedente governo mentre loro
rimangono detenuti.
La detenzione in comunità
permette una certa autonomia,
ma per i richiedenti asilo il punto
centrale rimane lo stato del proprio
visto. La frustrazione derivante
dall’attesa e dalla detenzione,
la preoccupazione per la propria
famiglia lasciata indietro e i traumi
del passato hanno trascinato
molte persone in una spirale di
disperazione, distacco e condizioni
mentali in deterioramento.
FRA ASSISTENZA E COLLUSIONE
I richiedenti asilo in detenzione
comunitaria sono confusi dai
molti livelli di burocrazia e dal
numero di persone coinvolte nella
procedura – assistenti sociali del
JRS, funzionari dell’immigrazione,
consulenti, dottori e
avvocati –, oltre che frustrati
dall’impossibilità di ricevere aiuto
In un primo momento, i richiedenti asilo a cui viene
permesso di vivere in detenzione comunitaria apprezzano
l’indipendenza ritrovata, possono scegliere cosa mangiare e
possono cucinare i propri pasti! (Benizi Santamaria)
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ACCOMPAGNARE
Australia
dagli assistenti sociali per le loro
richieste di permesso di soggiorno
e per le questioni legali.
“Il personale non può garantire
ai beneficiari un visto o il rilascio
e ci è specificamente proibito di
aiutarli per la loro domanda o altre
questioni legali”, afferma Justin
Glyn SJ, un gesuita coinvolto nel
programma.
La detenzione in comunità
ha subito grossi cambiamenti
dal 2010: c’è una percezione
crescente che il Dipartimento
dell’Immigrazione e della
Protezione delle Frontiere abbia
aumentato il livello di sorveglianza
dei richiedenti asilo inseriti nel
programma. Sebbene rimanga una
forma di detenzione, il programma
è nato con lo scopo di “rafforzare” il
“benessere, la capacità di ripresa e
di agire” e il rispetto della “dignità
umana” dei richiedenti asilo.
Questa terminologia è stata
progressivamente ridimensionata
e le agenzie sono state invitate a
chiamare “detenuti” i richiedenti
asilo e ad aiutare “i detenuti ad
accettare le condizioni” della loro
detenzione.
Molte agenzie, incluso il JRS,
si sono rifiutate di adottare il
termine “detenuti” per riferirsi
ai richiedenti asilo in detenzione
comunitaria. Altre hanno
tranquillamente accettato.
Anche l’atteggiamento dei
richiedenti asilo è cambiato. Se
una volta parlavano positivamente
della maggiore indipendenza di
cui godevano potendo, ad esempio,
andare a fare la spesa, scegliere e
cucinare i propri pasti, adesso sono
riluttanti a impegnarsi e scettici
sul futuro.
CONFORTO
NELL’ACCOMPAGNARE
Sebbene alcuni assistenti sociali si
siano dimessi per la frustrazione,
altri sono confortati dalla
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possibilità di accompagnare i
richiedenti asilo.
“Tutto quello che possiamo
fare è camminare con loro, essere
presenti, ascoltare quello che
hanno da dirci e, dove possibile,
aiutarli a convivere con una
situazione di profonda incertezza”,
afferma Justin.
Accompagnare i richiedenti
asilo in detenzione comunitaria è
particolarmente difficile perché,
per ricevere i fondi, le agenzie che
partecipano al programma devono
collaborare con il governo. Agli
operatori è richiesto di monitorare
e comunicare gli spostamenti dei
richiedenti asilo, specialmente
quelli che tentano di scappare,
e questo mina la fiducia. Di
conseguenza i rapporti sono più
forzati che in altri programmi del
JRS, perché gli operatori sono
inevitabilmente visti come parte
del sistema.
Tutto quello che possiamo
fare è camminare con loro,
essere presenti, ascoltare
quello che hanno da dirci.
IMPORTANTI PER CHI?
Le agenzie che si occupano di
adulti e famiglie non ricevono
risorse per attività educative e
ricreative. Grazie all’aiuto generoso
di un gruppo di infaticabili
volontari e in collaborazione con le
organizzazioni della società civile,
il JRS ha organizzato attività
come giornate di sport, picnic
e barbecue; lezioni di inglese,
informatica e cucina; lezioni
di musica; momenti di gioco e
sessioni di yoga.
Sebbene i richiedenti asilo siano
grati per queste attività, continua
a mancar loro la possibilità di
agire, in particolare di riuscire
a trovare una strada che li porti
al loro obiettivo primario: un
futuro sicuro per loro e per le loro
famiglie. Alcuni sfogano la propria
frustrazione nell’unico modo che la
loro limitata autonomia permette,
rifiutando di partecipare alle
attività.
La detenzione in comunità
resta un modello attuabile per altri
governi che ricerchino alternative
migliori ai centri di detenzione.
Ciononostante, la sospensione
delle procedure di analisi delle
richieste di asilo ha chiaramente
compromesso l’efficacia del
programma. Molti operatori sociali
sentono la responsabilità etica di
dare voce alle preoccupazioni dei
richiedenti asilo, ma questo può
contrastare con i doveri che hanno
nei confronti dei loro datori di
lavoro, che devono implementare il
programma finanziato dal governo.
Inoltre, anche se le persone
inserite nel programma desiderano
disperatamente di poter
vivere libere grazie a permessi
temporanei, essere rilasciate
significa perdere l’assistenza degli
operatori, non avere diritto al
lavoro né aiuti per l’alloggio, e alla
fine ritrovarsi più vulnerabili in
una situazione peggiore di prima.
Siccome il parlamento sta
considerando una legge che
toglierebbe ai rifugiati ogni
speranza di permanenza e
renderebbe invece legale uno stato
di protezione temporanea con
diritti limitati, le cose rischiano di
peggiorare ulteriormente. Il JRS
continuerà a far sentire la voce di
chi è detenuto e a fare pressione
per il ripristino delle procedure
di asilo, senza dimenticare
l’importanza della nostra presenza
nelle vite di coloro che serviamo.
Yambio
Rispondere a un bisogno vitale
SERVIRE
FOCUS SUL
SOUTH SUDAN
Aidan Azairwe, direttore del JRS Yambio
A Yambio i visitatori vengono
accolti a braccia aperte. Può essere
sorprendente per loro scoprire
quanto la popolazione locale, in
maggioranza di etnia zande, abbia
sofferto negli ultimi anni. Prima la
guerra civile, terminata nel 2005,
in seguito, fra il 2007 e il 2009,
i ribelli ugandesi dell’Esercito di
resistenza del Signore e adesso
l’ombra minacciosa dell’instabilità
a causa delle nuove violenze nel
Sud Sudan.
Yambio è il centro strategico
dello stato dell’Equatoria
Occidentale (EO), dove si trovano
le infrastrutture di comunicazione,
la leadership politica, gli enti
economici, le agenzie umanitarie,
le istituzioni scolastiche e la sede
della diocesi cattolica di TomburaYambio. Ciononostante, la qualità
di vita non è migliore di quella
nelle comunità rurali locali.
All’inizio del 2013, rispondendo
a un invito del vescovo, il JRS ha
avviato dei progetti nel campo
dell’istruzione a Yambio e nelle
vicine contee di Nzara ed Ezo, con
l’obiettivo di ripristinare la qualità
dell’istruzione persa durante i
lunghi periodi di instabilità.
“Il JRS è per noi un modello
nel campo dell’istruzione e ci
offre riferimenti da copiare e
metodi di lavoro applicare nelle
scuole”, ha affermato l’on. Phillip
Pia, ministro dell’istruzione dello
stato.
Ma il compito non è semplice.
Molte scuole in EO sono prive di
insegnanti qualificati e di strutture
scolastiche adeguate. Come nel
resto del Sud Sudan, il tasso di
abbandono scolastico delle ragazze
è alto.
Raccolta degli ortaggi nell’orto della scuola di St Mary a Yambio, una scuola sostenuta dal JRS.
(Aidan Azairwe/JRS)
Il JRS sostiene cinque scuole
primarie e cinque secondarie in
cui studenti e insegnanti sono
anche sfollati interni e persone di
ritorno. Circa 1.252 studenti, di
cui 401 ragazze, frequentano la
scuola secondaria, e 2.054 quella
primaria, di cui quasi 900 ragazze.
Una delle priorità è la
formazione degli insegnanti:
grazie al JRS, dodici insegnanti
della scuola primaria e cinque
della scuola secondaria hanno
potuto frequentare l’università
in Uganda o nel Sud Sudan.
Questa è una risposta al
“bisogno vitale”, secondo le
parole di Stanley Eisii Enosa,
direttore statale dell’istruzione
secondaria, “di avere cittadini
preparati per sostenere il nostro
sistema scolastico”. La situazione
è particolarmente critica per
l’istruzione secondaria: al
momento circa il 60% degli
insegnanti qualificati proviene
dall’estero, soprattutto da Kenya e
Uganda.
Un’altra importante area
d’intervento è il sostegno ai
comitati di gestione delle scuole,
perché la sostenibilità delle scuole
comunitarie dipende da loro.
Rafforzando le competenze dei
comitati, il JRS spera che i 78
genitori che vi prendono parte
attivamente diventino i motori
dello sviluppo scolastico.
“Non pensavamo che
un’organizzazione avrebbe
accompagnato il nostro cammino,
i nostri progetti e gli sforzi che
facciamo per cercare di realizzare
i nostri sogni. In altri casi di
interventi umanitari le attività
ci vengono calate dall’alto, il JRS
7
SERVIRE
Yambio
Alunni della scuola di St Mary svolgono i loro esami finali del 2013 seduti sulle sedie che
hanno portato da casa. (Aidan Azairwe/JRS)
invece dedica del tempo a lavorare
insieme a noi”, ha affermato
un genitore che fa parte di un
comitato.
Lo sviluppo di infrastrutture
scolastiche è un’altra priorità
perché molte scuole non
raggiungono gli standard minimi
richiesti per avere strutture sicure
e le lunghe stagioni delle piogge
mettono a serio rischio gli edifici.
Infine c’è la grande sfida
dell’istruzione delle ragazze. La
loro scarsa presenza è dovuta
a molti fattori, dalle situazioni
di sfollamento o di separazione
familiare ai condizionamenti
culturali, fino alla mancanza di
orientamento da parte dei genitori.
“Il nostro problema maggiore
è che alcune di noi non hanno
genitori che ci possano aiutare; ci
dobbiamo arrangiare per la nostra
istruzione”, ha affermato Ritah
(nome di fantasia) durante un
incontro per l’individuazione dei
bisogni con alcune alunne.
“Inoltre, quando andiamo a
scuola e quando torniamo a casa
ci sono uomini lungo la strada
che ci gridano contro, dicendo che
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avremmo dovuto sposarci invece
che andare a scuola.”
Recuperare terreno sul fronte
dell’istruzione femminile rimane
difficile, anche perché molte scuole
secondarie non hanno abbastanza
insegnanti femminili che possano
diventare modelli da seguire e
confidenti.
Ma il governo e le agenzie
umanitarie stanno facendo uno
sforzo congiunto. Il JRS fornisce
prodotti per l’igiene a più di 750
ragazze, gestisce seminari di
orientamento per aumentarne la
capacità decisionale e la sicurezza di
sé e paga le tasse scolastiche per le
studentesse della scuola secondaria
con buoni profitti ma si trovano
in situazioni di vulnerabilità. Nel
2013, 53 studentesse e 20 studenti
hanno ricevuto un aiuto.
Come altre agenzie umanitarie,
nel dicembre 2013 il JRS a Yambio
ha subito una battuta d’arresto a
causa dell’inizio del conflitto tra
il presidente del Sud Sudan, Salva
Kiir, e il suo ex vicepresidente, Riek
Machar.
In EO le violenze e gli
sfollamenti sono stati più limitati
rispetto ad altri stati del Sud Sudan,
grazie alla sua localizzazione e
a una leadership politica stabile.
Ciononostante, i prezzi dei
prodotti sia locali che importati
sono duplicati e i rifornimenti,
soprattutto di carburante, sono
diventati insufficienti. A causa delle
violenze, i trasporti terrestri sono
diventati molto insicuri e, come se
non bastasse, le forti piogge hanno
talvolta reso impraticabili le strade.
Le persone temono per il
proprio futuro, preoccupate che
i colloqui di pace di Addis Abeba
non portino a risultati concreti.
Come conseguenza ci sono state
manifestazioni pubbliche nell’EO
per chiedere alle due fazioni rivali
di attuare le risoluzioni concordate
per arrivare alla formazione
di un governo transitorio. Le
manifestazioni hanno causato la
chiusura temporanea delle scuole e
l’interruzione delle attività del JRS.
Nonostante questi contrattempi,
il JRS è fiducioso che un
cambiamento significativo sia
in atto a Yambio nel campo
dell’istruzione, dando speranza per
il futuro.
Maban
Una speranza che rifiuta di morire
SERVIRE
FOCUS SUL
SOUTH SUDAN
Pau Vidal SJ, direttore del JRS Maban
Quando sono scoppiate le violenze
a Bunj, la capitale della contea di
Maban, nell’Alto Nilo, io e Alvar – i
due gesuiti dell’équipe del JRS –
eravamo arrivati solamente da tre
settimane. Il 3 agosto, verso le 16,
mentre celebravamo un funerale
in un villaggio, sono cominciati i
combattimenti a Bunj. Abbiamo
sentito spari e bombe e siamo corsi
velocemente verso la più vicina
zona ONU per cercare rifugio.
Nel giro di pochi minuti siamo
stati raggiunti da una marea di
centinaia di donne e bambini
terrorizzati in fuga dalla città. Era
incredibile vedere che i mabanesi,
gli abitanti delle comunità locali,
stavano fuggendo in cerca di
rifugio verso i campi profughi,
già sovrappopolati da più di
127mila persone provenienti dal
vicino Sudan. Alcuni mesi dopo ci
sono state tensioni tra i rifugiati
e le comunità locali, ma in quel
momento critico i mabanesi sono
stati accolti e messi al sicuro dai
rifugiati. In un esempio eloquente
di vera ospitalità, i ruoli si erano
invertiti: chi prima accoglieva
veniva ora ospitato e viceversa.
Mentre correvo per mettermi
in salvo insieme a quelle donne
e a quei bambini, avevo un nodo
allo stomaco e mi chiedevo chi
mai guadagnasse da questa guerra
senza senso che ha già fatto così
tante vittime.
Cinque operatori umanitari
sono stati uccisi durante gli
scontri. A causa della situazione di
rischio, l’équipe del JRS (insieme
ad altri 240 operatori umanitari)
è stata evacuata da Maban.
Partendo, eravamo confusi e colmi
di tristezza.
Dopo un mese di lontananza,
siamo ora tornati a Maban e
stiamo lentamente riprendendo
le nostre attività principali:
formazione per circa 150
insegnanti, attività sportive
e ricreative per i giovani, un
programma di assistenza
psicosociale per visitare e
sostenere circa 245 persone
vulnerabili.
Lavorare col JRS spesso
significa testimoniare e toccare
con mano il fallimento assoluto
dell’umanità. Nella terza
settimana degli Esercizi Spirituali
(un manuale di preghiera e
riflessione), Ignazio di Loyola, il
fondatore dei gesuiti, ci invita a
contemplare Gesù sulla croce, un
fallimento assoluto secondo tutti
i punti di vista. Eppure, è proprio
questa dolorosa contemplazione
che apre la possibilità di vedere Dio
anche in un evento tragico come
la morte violenta di una vittima
innocente.
Oggi a Maban, una zona remota
del Sud Sudan, le vittime di ormai
troppi conflitti sono i crocifissi del
nostro tempo, che gridano “adesso
basta”. La loro capacità di andare
avanti è un segno della speranza
profonda che rifiuta di morire. Il
JRS è determinato a continuare ad
accompagnare le persone costrette
a fuggire dalle proprie case in
questo angolo del mondo.
Ganun, operatore del JRS (a destra), visita Tam (al centro) e suo fratello Ochaya nel campo di Doro,
vicino alla città di Bunj. (Pau Vidal SJ/JRS)
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SERVIRE
Maban
FOCUS SUL
SOUTH SUDAN
Aiuta la popolazione di Maban
CARI AMICI,
L’area di Maban è di nuovo tranquilla dopo le violenze di
agosto. Sebbene non sia stato permesso a tutti i membri
dell’équipe di tornare, il JRS è di nuovo all’opera a Maban
col desiderio di fare di più, sia per la comunità locale che
per i rifugiati sudanesi. Abbiamo bisogno del tuo aiuto per
fornire istruzione e per ripristinare un senso di normalità e
speranza, di sostegno psicosociale, di attività sportive per
occupare i giovani. La popolazione di Maban ha bisogno
del tuo aiuto.
Partita di pallavolo nel campo di Doro. (Pau Vidal SJ/JRS)
COSA PUOI FARE:
1
20 € / 25 $
2
Un kit scolastico che permetterà a un bambino di
frequentare la scuola primaria per un anno.
3
120 € / 150 $
Un corso di 12 settimane di inglese base, uno dei bisogni
più impellenti per le persone.
4
Un corso di formazione di un mese sulla riconciliazione e
la costruzione della pace per due leader locali, per poter
risolvere i conflitti all’interno della comunità.
60 € / 75 $
1.190 € / 1.500 $
Un set completo di attrezzature sportive per i giovani
rifugiati, comprendente due palloni da calcio e due da
pallavolo, le divise e le attrezzature per due squadre
complete di ogni sport, incluse le reti e le porte.
Visita il sito jrs.net per le ultime notizie e la pagina jrs.net/donate per fare una donazione online.
In alcuni paesi è possibile dedurre dalle tasse le donazioni effettuate attraverso le nostre organizzazioni
partner. Maggiori informazioni sono disponibili sul nostro sito.
INTENDO SOSTENERE IL LAVORO DEL JRS
Allego una donazione di:
Il mio assegno è allegato
Cognome:
Nome:
Banca:
Banca Popolare di Sondrio,
Circonvallazione Cornelia 295,
00167 Roma, Italia
Ag. 12
Codice postale:
Paese:
Telefono: Fax:
Email:
Intendo ricevere gli aggiornamenti elettronici del JRS
10
PER BONIFICI BANCARI
Nome del conto:
JRS
Indirizzo:
Città: Grazie
Numero del conto per euro:
IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05
Codice SWIFT/BIC: POSOIT22
Numero del conto per dollari USA:
IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410
Codice SWIFT/BIC: POSOIT22
MEDIO ORIENTE
SERVIRE
L’istruzione salva la vita
Zerene Haddad, responsabile per l’advocacy e la comunicazione del JRS Medio Oriente
La cerimonia finale di un programma di apprendimento rapido del JRS a Jbeil, in Libano. (Peter Balleis SJ/JRS)
Quando penso alla mia infanzia,
i ricordi di scuola mi vengono
subito alla mente. Le lunghe ore
con gli amici, le materie preferite, i
momenti imbarazzanti, i giochi nel
cortile della scuola – tutte cose che
hanno segnato la mia crescita come
persona.
Per milioni di bambini siriani
forse non sarà mai così. Una delle
conseguenze di maggiore portata
del conflitto è che i bambini non
hanno potuto frequentare la
scuola (alcuni anche per tre anni),
perdendo così fondamentali
opportunità di sviluppo.
I genitori sono
drammaticamente coscienti di ciò
che i loro figli perdono. “In Libano,
ogni volta che ho chiesto a famiglie
siriane qual era il loro bisogno più
importante, la risposta è sempre
stata l’istruzione”, afferma Andrea
Lari, consulente per l’advocacy del
JRS Internazionale.
Eppure, nonostante l’istruzione
sia riconosciuta sempre più come un
fattore essenziale nelle situazioni
di emergenza, spesso viene messa
in coda alla lista delle priorità
umanitarie.
SIRIA
In Siria, il JRS ha ridimensionato
molte delle sue attività psicosociali
e di istruzione per ragioni
di sicurezza e anche perché
l’assistenza umanitaria è diventata
la priorità più urgente dopo il
drammatico aumento delle violenze
all’inizio del 2014. Il supporto
educativo è limitato quasi solo
alle classi di recupero per aiutare
gli studenti che hanno difficoltà.
Alcune attività psicosociali come
arte, musica e teatro proseguono
a Homs e nell’area limitrofa in cui
il JRS opera, e in misura minore a
Damasco.
LIBANO
I bambini si trovano ovunque in
Libano: nelle strade a vendere fiori
e dolciumi, al lavoro nei negozi di
alimentari, nei negozi di falafel,
a chiedere soldi, sdraiati inerti
fra le braccia delle loro madri che
chiedono l’elemosina. L’agenzia
per i rifugiati dell’ONU (ACNUR)
afferma che il 50% dei siriani
registrati in Libano – 1,2 milioni di
persone – sono bambini.
Dopo tre anni e mezzo di
conflitto in Siria, il Libano
cammina in modo precario sull’orlo
dell’instabilità, faticando a fornire
11
SERVIRE
MEDIO ORIENTE
servizi pubblici, lavoro, assistenza
sanitaria e istruzione sufficienti
per i libanesi e i siriani presenti sul
proprio territorio. Circa 400mila
bambini siriani in età scolare vivono
in Libano, ma solo un quarto ha
accesso all’istruzione formale o
informale fornita dal governo o
dalle ONG.
Le ONG e le organizzazioni
della società civile che lavorano
nel campo dell’istruzione
hanno adottato il Programma
di apprendimento rapido (ALP),
pensato per aiutare i bambini
siriani a integrarsi nelle scuole
libanesi dopo un periodo di sei mesi
di studio intensivo del francese,
dell’inglese, dell’arabo e della
matematica.
Le scuole gestite dal JRS a
Beirut, a Jbeil e nella valle della
Beqà propongono il programma a
mille bambini, cinque ore al giorno,
cinque giorni alla settimana. Oltre
alle materie principali, il corso è
focalizzato sulla costruzione della
pace, lo sport, l’arte e la musica.
Sebbene lodevoli, gli interventi
delle ONG non sono sufficienti. La
realtà è che le scuole libanesi non
12
hanno la capacità e le risorse per
poter accogliere tutti i bambini
siriani bisognosi di istruzione.
Il governo ha urgente bisogno di
maggior sostegno per incrementare
le capacità del proprio sistema
scolastico.
L’ACNUR e i suoi partner
stanno lanciando il programma
RACE (Reaching All Children with
Education) insieme al governo.
RACE sosterrà l’istruzione
pubblica in Libano e, così facendo,
migliorerà gli standard per gli
studenti e il personale libanesi e
coinvolgerà i bambini siriani. Ma
al momento questo programma
è finanziato solo parzialmente (il
costo totale è di 300 milioni di
dollari per tre anni) e, finché non
sarà accessibile a tutti i bambini
siriani in Libano, il vuoto sarà
ancora colmato dal programma ALP.
GIORDANIA
I tre edifici prefabbricati situati
lungo i leggeri pendii di Jabal
Hussein risuonano di chiacchiere
sotto il cielo polveroso dell’estate.
All’interno uomini e donne, giovani
e anziani, provenienti dal Sudan,
Uno studente di JC:HEM ad Amman.
(Zerene Haddad/JRS)
Info point
Difficoltà incontrate dai programmi
d’istruzione per i rifugiati in Medio
Oriente:
- I percorsi di studio in Siria, Libano,
Turchia e Giordania seguono standard
diversi. Gli studenti rifugiati non
riescono a integrarsi facilmente a
causa delle barriere linguistiche, delle
diverse modalità di insegnamento e
delle materie differenti.
- I governi locali hanno livelli di
coinvolgimento diversi.
- I finanziamenti dei governi e dei
donatori. Le organizzazioni hanno
un bisogno estremo di vedere
incrementati i fondi destinati
all’istruzione, vista sempre più come
una parte fondamentale della risposta
alle emergenze.
- In alcune zone della Siria, l’attività
scolastica ha subito interruzioni o
è stata fermata del tutto; in altre
aree con meno scontri i bambini
frequentano ancora la scuola. Nelle
aree controllate dallo Stato Islamico è
stato imposto un nuovo curricolo che
segue la sharia.
MEDIO ORIENTE
dalla Somalia, dall’Iraq, dalla Siria
e dalla Giordania siedono intorno
ai tavoli, lavorano al computer,
leggono assorti o discutono fra loro
in piedi.
Ad agosto è cominciato il terzo
anno di JC:HEM (Jesuit Commons
– Istruzione superiore ai margini,
Jesuit Commons – Higher Education
at the Margins) ad Amman. Il primo
gruppo di studenti iscritti nel
2012 ha iniziato il terzo e ultimo
anno del corso di laurea in studi
umanistici, in vista del diploma
che verrà conferito dalla Regis
University di Denver, negli Stati
Uniti.
“Rimango sempre impressionata
dagli studenti. Uno mi ha detto:
“Ora sono giovane, è il periodo
della mia vita in cui devo lavorare
sodo”. Anche se sono come tutti gli
altri studenti – alle volte arrivano
in ritardo, non svolgono i compiti o
copiano il lavoro dagli amici – la loro
motivazione è incredibile”, afferma
Maya Perlmann, coordinatrice di
JC:HEM ad Amman.
Il JRS è una delle poche ONG
a fornire istruzione universitaria
gratuita ai rifugiati in Giordania,
attraverso due corsi di studio:
il diploma di laurea e i percorsi
di apprendimento di servizio
comunitario (CSLT), corsi intensivi
di breve durata che forniscono agli
studenti le competenze necessarie
per aiutare efficacemente le loro
comunità e per trovare lavoro.
Mohammed, uno studente
di JC:HEM, afferma: “All’inizio
ero preoccupato di non riuscire a
seguire le lezioni a causa dei miei
orari di lavoro. Per fortuna JC:HEM
è pensato per le persone che devono
lavorare per poter vivere.
Il primo giorno è stato eccitante,
ho incontrato molte persone di varie
nazioni. Mi sono sentito in sintonia
con loro, forse perché affrontare
gli stessi momenti di difficoltà
avvicina le persone. Abbiamo molto
in comune… non possiamo lavorare
legalmente perché per i rifugiati in
Giordania è difficile riuscire ad avere
un permesso di lavoro, abbiamo
tutti difficoltà ad avere accesso alle
scuole, ci sentiamo tutti stranieri e
siamo limitati nelle nostre vite da
tutte queste regole.”
La domanda di istruzione
universitaria è alta all’interno
delle diverse comunità di rifugiati
in Giordania, ma la mancanza di
fondi ostacola la capacità delle ONG
di fornirne in misura maggiore.
SERVIRE
In Giordania, il JRS sta cercando
il modo di portare JC:HEM a
un numero maggiore di persone
che vorrebbero un’istruzione
universitaria e potrebbero
beneficiarne ma non hanno le
possibilità materiali o economiche
per farlo.
Trent’anni di esperienza in tutto
il mondo hanno insegnato al JRS
a essere flessibile e ad adattare i
propri programmi di istruzione ai
diversi contesti e ai diversi bisogni.
In Medio Oriente abbiamo imparato
che il sapere attivarsi rapidamente
con risorse minime è fondamentale
nelle situazioni di emergenza.
Così come appoggiarsi alle reti di
sostegno esistenti: le scuole gesuite
nella regione, gli insegnanti delle
comunità locali, le ONG locali con
cui si può collaborare, le chiese
e le moschee con cui si possono
condividere strutture.
Un altro fattore importante è
la relazione con i leader locali che
serve a creare legami di fiducia
fra le comunità ospitanti e quelle
dei rifugiati, e tra esse e il JRS,
rendendo il nostro approccio
all’istruzione un mezzo per
incoraggiare la speranza e la
riconciliazione.
Una scuola del JRS in Libano.
(Zerene Haddad/JRS)
VEDI
QUARTA DI COPERTINA
13
DIFENDERE
SICILIA
Soccorsi. E poi?
Danielle Vella
Gli occhi di Kofi lasciano un segno
indelebile. Grandi, neri e tristi,
pieni di lacrime, ci chiedono di
comprendere le sue parole, semplici
e ripetitive allo stesso tempo.
“Ho troppa tensione, ho bisogno
di liberare la mente perché sono
molto stressato”, continua a
dire. Come molti altri rifugiati e
migranti forzati, Kofi – un giovane
gambiano – è vittima di circostanze
che sono uscite dal suo controllo.
Dopo aver raggiunto Lampedusa,
ha presentato domanda d’asilo in
Sicilia e ha provato a raggiungere
la Svizzera, ma è stato rimandato
indietro secondo quanto previsto
dal Regolamento Dublino II.
Sua moglie e i suoi due figli, di
sei e due anni, sono affogati nel
Mediterraneo mentre cercavano di
raggiungerlo in Europa.
“Una volta ero una persona
gioiosa, scherzavo tutto il tempo,
ma adesso sono davvero cambiato.
Se solo potessi avere un’altra
famiglia, almeno un bambino, per
poter ricominciare da capo.”
Kofi stava scivolando verso
una disperazione paralizzante che
minacciava di annientare le sue
riserve di forza, energie e speranza;
la stessa disperazione che ho
visto in altri richiedenti asilo e
rifugiati in Sicilia. Alle volte, la loro
disperazione è tanto più profonda
quanto più tempo hanno trascorso
in quella situazione, perché si
rendono conto che non stanno
andando da nessuna parte. Anche
se ricevono protezione, non hanno
un lavoro stabile, una casa che
sentano propria… e stanno ormai
rinunciando ai loro sogni.
UN VIAGGIO PERICOLOSO
Ho conosciuto Kofi quando
sono stata a Catania, sulla costa
siciliana, per incontrare rifugiati
e altri migranti forzati per i
quali l’isola è diventata la fine
del viaggio. L’attenzione della
comunità internazionale si è spesso
focalizzata sul pericoloso viaggio
Quando viveva per strada, Kofi dormiva su pezzi di cartone su questa panchina a Catania. (Oscar Spooner/JRS)
14
SICILIA
attraverso il Mediterraneo che
moltissime persone affrontano
per cercare sicurezza in un paese
più pacifico, più democratico e
più sviluppato del loro. Migliaia
di persone muoiono tentando la
traversata sui barconi sovraffollati e
inadeguati dei trafficanti.
Le tragedie frequenti attirano
l’attenzione. Nell’ottobre 2013, la
coscienza dell’Europa è stata scossa
da due incidenti che hanno fatto
centinaia di vittime, avvenuti a una
settimana di distanza. Poco dopo,
l’Italia ha lanciato Mare Nostrum,
un’operazione marittima per
soccorrere i migranti in difficoltà
che ha salvato più di 140mila
vite. Questo sforzo umanitario, il
salvataggio di un numero sempre
crescente di persone in fuga
da conflitti e altre minacce, ha
fatto sì che molti più boat people
raggiungessero le coste italiane nel
2014, soprattutto in Sicilia. Anche
questo è finito sui giornali.
Pochi si interessano, invece, di
cosa succede ai migranti forzati
che alla fine restano in Sicilia. Il
JRS Europa e il JRS Italia hanno
pubblicato un rapporto, presentato
a inizio ottobre a Bruxelles, che si
propone di attirare l’attenzione su
questa realtà.
VOGLIAMO UN PIANO D’AZIONE!
L’immagine che ne esce non è
buona. I sistemi di accoglienza
dell’isola sono inadeguati e
spinti ben oltre i loro limiti. Alle
volte, i nuovi arrivati vengono
sistemati in fretta e furia in
tendoni, palestre o altri spazi
pubblici. Le ONG e i media locali
sostengono che le autorità siciliane
insistono a trattare la marea di
arrivi come “un’emergenza”, e di
conseguenza a proporre risposte
ad hoc e superficiali. Da tempo
richiedono di attivare un piano
d’azione strutturato che abbia le
risorse, l’umanità e la supervisione
necessarie per poter funzionare.
Il governo italiano ha
recentemente deciso di rinnovare
il sistema di accoglienza, cosciente
dell’inefficacia di una strategia che
fa gravare sul sud del paese tutti gli
oneri di accoglienza dei migranti
forzati e le procedure di analisi
delle loro richieste di asilo. Un
piano triennale per smistare i nuovi
arrivi nelle varie regioni è stato
approntato, ma è ancora presto per
valutarne l’efficacia.
Nel frattempo in Sicilia la
risposta rimane inadeguata.
Molte ONG stanno lavorando
incessantemente per andare
incontro agli enormi bisogni, ma
devono affrontare la corruzione
dilagante e una quasi totale assenza
di controllo ufficiale.
“IN DEPOSITO”
All’arrivo a Lampedusa o in Sicilia,
molti richiedenti asilo vengono
depositati al CARA di Mineo, un
enorme centro di accoglienza dove
vivono circa 4mila persone, situato
in un’area rurale nell’entroterra di
Catania. A chi arriva viene detto
che la permanenza sarà di sei
mesi, ma i ritardi frustranti nelle
procedure di asilo fanno sì che
spesso il periodo sia lungo il doppio,
o anche più.
“Qui al CARA di Mineo la vita
è sempre dura, la mattina come la
sera. Devi fare la coda per qualsiasi
cosa”, dice Abdul. “Vogliamo uscire
da questo sistema, essere liberi e
poter essere utili allo stato che ci ha
aiutati.”
DIFENDERE
Sara Prestianni
SUL WEB
Soccorsi. E poi? Voci di rifugiati
arrivati in Sicilia può essere
scaricato dal sito web del JRS Europa,
jrseurope.org
Il recinto del CARA di Mineo.
(Oscar Spooner/JRS)
LOTTARE PER SOPRAVVIVERE
Contrariamente a quanto le
persone sperano – se solo riuscissi
ad avere dei documenti, tutto andrebbe
bene –, le difficoltà che devono
affrontare sono tutt’altro che finite
se e quando ricevono protezione
e lasciano il CARA. Sebbene in
teoria i rifugiati abbiano diritto
15
DIFENDERE
SICILIA
a un alloggio, molti si ritrovano a
dormire in strada per settimane
o mesi a causa del numero
insufficiente di posti disponibili.
Tutti, senza eccezioni, vorrebbero
lavorare, ma trovare un impiego in
Sicilia è estremamente difficile – il
tasso di disoccupazione dell’isola è
stimato fra il 21% e il 35%.
Eppure, nonostante le difficoltà
che affrontano, molti restano
aggrappati alla speranza. Perfino
Kofi ha intravisto un barlume per
poter ricominciare da capo. E quale
che sia la loro sorte, praticamente
tutti dimostrano gratitudine verso
l’Italia per averli salvati dal mare e
per averli ospitati.
Tutti però aggiungono di
avere ancora bisogno urgente
di aiuto. Il loro messaggio è
chiarissimo: non basta salvarci dal
mare, abbiamo bisogno di poter
ricostruire le nostre vite. Le loro
aspettative sono alte perché basate
sull’incrollabile convinzione che
l’Europa sia la mecca della pace, dei
diritti umani e della democrazia
– nonostante la delusione per
come sono stati trattati finora.
L’Italia e il resto dell’UE sono
giuridicamente e moralmente
chiamati a essere all’altezza delle
loro aspettative.
TESTIMONIANZA
“Ho lasciato l’Afghanistan dopo che
due miei fratelli sono stati uccisi.
Hanno distrutto la mia casa , bruciato
il negozio di mio padre, non è rimasto
niente. Non voglio ricordare come
sono morti i miei fratelli, per favore
non chiedetemelo. Ho attraversato per
due anni e mezzo l’Iran, la Turchia e la
Grecia, valicando le montagne a piedi,
viaggiando a cavallo, in camion, in
barca. Ho visto morire molti compagni
di strada. Alla fine sono arrivato in
Italia e poi sono andato in Norvegia,
in Francia, in Germania e in Belgio. Ho
richiesto asilo in Norvegia, ma hanno
rigettato la mia domanda, allora sono
tornato in Italia. Ho passato due anni
senza documenti, senza una casa. Per
tre mesi ho vissuto per strada senza
vestiti di ricambio e cibo. In inverno
era molto freddo, specialmente
quando pioveva, e mi sono ammalato.
Volevo morire, mi chiedevo perché
accadesse tutto questo. Ho ripensato
alla mia famiglia e alla mia patria e mi
sono sentito così triste – è così brutto
laggiù, è così brutto qui, come posso
vivere? Poi un amico mi ha aiutato e
mi ha preso con sé. Quando potevo lo
pagavo. Ho cambiato alloggio molte
volte... un giorno in un posto, il giorno
dopo in un altro, perché non avevo
soldi, a parte quando trovavo qualche
lavoretto. Voglio stare bene, ma il mio
cuore è triste ogni giorno. Non ho
contatti con la mia famiglia da sette
mesi. Quando riesco a chiamare i miei
genitori, sia io che loro piangiamo,
non riesco neanche a parlare. Cosa
possiamo farci? Quando sono da
solo, piango ricordando le persone
morte, i miei fratelli, gli amici che
viaggiavano con me, annegati in mare
o soffocati nei camion sotto la merce,
senza spazio... Spero che il futuro sia
migliore, senza problemi, senza paure,
ma ancora non riesco a vederlo.”
Abraham
Il CARA di Mineo, un enorme centro di accoglienza nel mezzo del nulla. (Oscar Spooner/JRS)
Qui al CARA di Mineo la vita è sempre dura,
la mattina come la sera. Devi fare la coda
per qualsiasi cosa. Vogliamo uscire da questo
sistema, essere liberi e poter essere utili allo
stato che ci ha aiutati.
Abdul
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AMERICA LATINA
DIFENDERE
Sostieni i rifugiati
Sostieni i rifugiati. È questa l’essenza
della campagna lanciata in America
Latina all’inizio di quest’anno dal
JRS e da altre organizzazioni legate
ai gesuiti per promuovere una
cultura dell’accoglienza.
Guidata dalla Conferenza
gesuita dell’America Latina, la
campagna promuove il valore,
la dignità e i diritti dei rifugiati,
dei migranti e di chi è costretto
ad abbandonare la propria casa,
ponendo l’attenzione sulle
violazioni di questi diritti nei
paesi d’origine, di transito e di
destinazione.
La campagna risponde all’invito
di papa Francesco a promuovere
“un cambio di atteggiamento
verso i migranti e rifugiati... il
passaggio da un atteggiamento di
difesa e di paura, di disinteresse o
di emarginazione – che, alla fine,
corrisponde proprio alla ‘cultura
dello scarto’ – ad un atteggiamento
che abbia alla base la ‘cultura
dell’incontro’, l’unica capace di
costruire un mondo più giusto e
fraterno, un mondo migliore.”
La campagna è molto diretta.
Un poster per la Giornata Mondiale
del Rifugiato del 20 giugno
recitava: “Vogliamo e crediamo
in un futuro pieno di speranza
realizzato qui e adesso per tutti.
Anche le tue azioni contano.”
“Conosci i rifugiati e gli
sfollati... rispettali e agisci affinché
siano riconosciuti, accoglili e
chiedi che i loro diritti vengano
rispettati.”
Attraverso la creatività, i
messaggi sono più efficaci. Il 20
giugno, centinaia di persone da
tutti gli angoli del continente
hanno espresso la loro solidarietà
con i rifugiati attraverso i social
media, con lo slogan “Sostieni i
rifugiati”. A El Alto e a La Paz,
in Bolivia, alcuni giovani hanno
offerto “abbracci di benvenuto”
nelle strade. A Tacna, in Perù,
alcune persone hanno scritto
biglietti e donato generi di prima
necessità per “zaini di benvenuto”
che sono stati offerti ai migranti
e ai richiedenti asilo in attesa di
essere accettati in Cile sul lato
peruviano della frontiera.
A Tulcán, una città ecuadoriana
vicino alla frontiera con la
Colombia, il JRS Ecuador e il JRS
Colombia hanno manifestato
insieme ai colombiani marciando
per 4 km. Sui palloncini e
sui cartelli si poteva leggere:
“Rifugiati... Non aspettare di essere
uno di loro per capirli!” Lo scopo
della marcia era sensibilizzare la
comunità ospitante, che alle volte
ha trattato i colombiani in modo
discriminatorio.
Oltre a invitare le persone
ad agire in prima persona,
la campagna mira a ottenere
cambiamenti nelle politiche
pubbliche. Fra i temi affrontati,
il persistente conflitto armato in
Colombia, la violenza crescente
che spinge così tante persone
dell’America Centrale a lasciare
le proprie case e affligge il loro
viaggio attraverso il Messico e
fino agli Stati Uniti, la terribile
situazione dei migranti bambini.
SUL WEB
•
•
facebook.com/porlahospitalidad
campañaporlahospitalidad.com
Partner della campagna
Conferenza gesuita dell’America Latina
JRS America Latina e Caraibi
Rete dei gesuiti per i migranti di America
Latina e Caraibi
Federazione internazionale Fe y Alegría
Comunità di Vita Cristiana
Federazione delle scuole gesuite e
ignaziane in America Latina
Associazione delle università gesuite in
America Latina
L’accoglienza alla frontiera tra Venezuela e
Colombia. (Paola Cordoba/JRS)
17
DIFENDERE
STATI UNITI
Frontiera meridionale del Texas: operatori
dell’Ufficio statunitense delle dogane e della
protezione delle frontiere forniscono assistenza a
minori non accompagnati che hanno attraversato
il confine entrando negli Stati Uniti. (Barry Bahler Customs and Border Protection)
Non è solo
un problema
politico
SUL WEB
•
I gesuiti e il JRS negli Stati Uniti
stanno facendo pressione sul
governo affinché non riduca la
protezione solo perché più persone
ne hanno bisogno.
Negli ultimi anni, il numero
di richiedenti asilo che arrivano
negli Stati Uniti e in altre nazioni
dal “triangolo nord” del Centro
America – Guatemala, El Salvador
e Honduras, tre dei luoghi più
violenti al mondo – è aumentato
bruscamente.
Il numero di minori non
accompagnati che arrivano negli
Stati Uniti da queste nazioni è
raddoppiato di anno in anno
dal 2010. Dall’ottobre 2013 al
settembre 2014, 66mila minori
si sono consegnati alle autorità
statunitensi. La protezione dei
minori non accompagnati e
dei richiedenti asilo, incluse le
donne con bambini, è al centro
dell’attività di difesa dei diritti del
JRS e dei gesuiti negli Stati Uniti.
“Il primo intervento del
presidente Barack Obama su
questo tema è stato chiedere al
Congresso, a giugno, di ridurre il
livello di protezione per i minori
non accompagnati”, ha affermato
Shaina Aber, direttrice delle
politiche per la Conferenza gesuita
degli Stati Uniti. “Questi ragazzi
non sono un problema da risolvere,
18
sono stati affidati alle nostre cure
per essere protetti.”
Una delle modifiche legislative
proposte permetterebbe
l’espulsione rapida dei minori
non accompagnati, una cosa al
momento proibita. Il governo sta
anche considerando l’ipotesi di
detenere i bambini. Nel frattempo,
le madri con bambini sono già
soggette a detenzione e al processo
di espulsione rapida. I rapporti
indicano che il 98% delle madri e
dei bambini al momento detenuti
sono richiedenti asilo. I gesuiti
si oppongono alle modifiche
proposte, sono contrari alla
detenzione di madri con bambini
e stanno facendo pressione
per identificare alternative alla
detenzione e per proteggere i diritti
dei richiedenti asilo.
A settembre, Timothy Kesicki
SJ, presidente della Conferenza
gesuita degli Stati Uniti, si è
unito ad altri 39 leader religiosi
statunitensi per esortare
il presidente Obama a non
compromettere la vita dei ragazzi
in fuga dalle violenze del Centro
America.
Già a luglio il precedente
presidente Tom Smolich SJ si era
rivolto ai 43 membri del Congresso
che hanno frequentato scuole
e università gesuite affinché
jrsusa.org/asylum
“sostenessero la dignità dell’essere
umano e la sacralità della vita”,
mentre consideravano soluzioni
per affrontare l’afflusso di bambini.
Padre Smolich diventerà direttore
internazionale del JRS nel
novembre 2015.
I gesuiti stanno anche
chiedendo alle autorità di
intraprendere azioni per cercare
di risolvere i problemi nelle
nazioni da cui le persone fuggono
disperatamente. Nel “triangolo
nord”, la violenza mirata sta
aumentando e le organizzazioni
criminali transnazionali usano
il loro potere per infiltrarsi nelle
istituzioni e perseguire i loro
interessi illeciti.
I bambini rischiano aggressioni
e reclutamento forzato da parte
di gang che usano ricatti del tipo
“o entri nel gruppo o muori”;
inoltre sono presi di mira da
gruppi di vigilantes – che alle volte
includono poliziotti – che cercano
di sradicare le gang. Gli esperti
hanno notato un rapido aumento
degli sfollamenti di ragazze
adolescenti e donne, sempre
più vittime dello sfruttamento
sessuale da parte del crimine
organizzato. Oltre a tutto ciò, le
persone continuano a migrare per
motivi più “tradizionali”: la povertà
e la mancanza di opportunità.
AFGHANISTAN
RIFLESSIONE
Ridateci il Signor Prem
Stan Fernandes SJ, direttore del JRS Asia Meridionale
La tragica notizia del rapimento
di Prem, il 2 giugno, è stata uno
shock per tutto il JRS. Non ho una
risposta alla domanda che tutti si
pongono – “Perché?” –, ma sento
che ci può essere una sola ragione
convincente.
Il JRS gestisce una scuola a
Sohadat, una località a 35 km
dalla città di Herat, per i figli
delle famiglie rifugiate di ritorno
dall’Iran, sia bambini che bambine.
Venendo da una famiglia di
insegnanti di un piccolo villaggio
del sud dell’India, Prem amava
stare con i bambini. Durante le
visite a casa amava raccontare a
sua madre le esperienze che viveva
insegnando a centinaia di giovani
studenti entusiasti e la morte
improvvisa della donna, lo scorso
anno, lo aveva lasciato affranto.
Credo che il giorno del
rapimento Prem sia andato
a Sohadat perché aveva
profondamente a cuore i bambini,
per garantire che potessero
studiare e plasmare un futuro
migliore per sé stessi, le loro
famiglie e il loro popolo. Tutti noi
desideriamo ardentemente che
Prem ritorni presto, ma sappiamo
che dobbiamo essere preparati a
una lunga attesa. Proseguiamo
senza sosta i nostri sforzi affinché
sia rilasciato, operando su più
fronti e attraverso diversi canali.
Centinaia di persone in India, in
Afghanistan e nel mondo intero
che conoscono e vogliono bene
a Prem ci chiedono di continuo
notizie e ci sostengono.
Poco dopo il rapimento di
Prem, il JRS ha sospeso tutti i suoi
progetti in Afghanistan. In seguito,
però, abbiamo ripreso le attività
sollecitati dal nostro profondo
impegno a favore dell’istruzione
dei bambini afghani. Questo
è ciò che vorrebbe Prem. Gli
insegnati della scuola di Sohadat
e dei nostri centri di formazione
cominciano la giornata pregando
con gli studenti in classe per il
“volontario indiano” che tanto
manca loro. Sono convinti che
sia al sicuro da qualche parte e
il giorno della riapertura della
scuola hanno lanciato un appello
speciale: “Ridateci il Signor Prem,
una persona a cui vogliamo
bene, che si occupa della nostra
istruzione con profonda dedizione
e compassione.”
Ci uniamo nella preghiera ai
bambini, alla famiglia di Prem, ai
suoi amici, ai suoi compagni e alle
équipe del JRS in questo appello.
Solidali con ciò a cui Prem tiene
di più, proseguiamo il nostro
impegno affinché venga rilasciato.
Chiediamo a Dio di ridarci presto
Prem, il suo sorriso allegro e il
suo animo compassionevole, così
che molte altre persone possano
condividere il suo sogno di un
futuro migliore per i bambini
afghani.
Padre Prem (a destra) nella scuola del JRS a Sohadat. (John Mezsia SJ/JRS)
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Jesuit Refugee Service
Borgo S. Spirito 4,
00193 Roma, Italia
TEL: +39 06 69 868 465
FAX: +39 06 69 868 461
Servir è redatto,
prodotto e stampato a Malta
Mittente
(per cortesia, rispedire al mittente
anche gli invii a indirizzi non più validi)
www.jrs.net
Jesuit Refugee Service Malta,
St Aloysius Sports Complex,
50, Triq ix-Xorrox,
Birkirkara, Malta
UNO SPAZIO
IN CUI
APPRENDERE
LIbano
Per rispondere alle necessità degli studenti siriani
rifugiati, alcune scuole in Libano organizzano due
sessioni di lezioni al giorno per poter raddoppiare
le proprie capacità. Altre sono invece costrette
a respingere gli studenti. In diverse comunità
del paese, dalla valle della Beqà fino alla costa
mediterranea, il JRS sta aprendo scuole per
bambini siriani in aree in cui non ci sono mai state
opportunità educative.
Per avere maggiori informazioni, ascoltate Ghada,
una studentessa siriana della nostra scuola a Jbeil,
George Jekky del JRS Libano e lo sceicco Ghassan
Lakkis, imam di Jbeil, che ha permesso al JRS di
utilizzare uno spazio in una moschea per istituire
una scuola.
YOUTUBE
youtube.com/watch?v=Fm6rqgd528U