Apple - Mariana Mazzucato

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Apple - Mariana Mazzucato
POLITICA Pd-Pdl, finché
giudice non li separi
BRASILE Se la classe
media dice basta
FISICA Un salto
nel vuoto
N. 25 | 29 GIUGNO 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20)
Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 29 giugno de l’Unità.
Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano
Think different
Think public
Finanziamenti statali e ricerca militare.
Ecco come la Apple ha costruito il suo successo
di Mariana Mazzucato
SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI
POSTE ITALIANE SPA - SPED. ABB. POST.
D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004
N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA
ANN0 XXV - ISSN 1594-123X
AV V E N I M E N T I
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LA TESTATA FRUISCE
DEI CONTRIBUTI
DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250
left 29 giugno 2013
LA NOTA DI
Maurizio Torrealta
La lezione della Mela
D
a dove cominciamo a ragionare? Dalle sentenze di condanna
di un ex primo ministro? Ci hanno già
ragionato in tanti, proviamo ad alzare
un poco il livello? Vogliamo ragionare
sull’enorme debito italiano? Cominciamo da quello, nel momento in cui inizio
a scrivere il debito è a 2mila e 51 miliardi, 881 milioni e 109mila 475 euro. Si può
gestire anche un debito alto ma ci vogliono piani precisi per rilanciare l’economia. Non si può sbagliare un colpo,
ci vuole coordinamento, condivisione,
idee innovative. Andiamo con umiltà ad
imparare da chi ce l’ha fatta: non ci sono dubbi che la lezione che ci lascia tutti
senza parole è quella della Mela: l’Apple
ha fatto due rivoluzioni in circa 30 anni
ed è diventata un’azienda-mito per ogni
cittadino del mondo.
Cominciamo dalla sua storia ed analizziamola bene. La nostra insegnante è
stata Mariana Mazzucato, professoressa
in Scienza e Tecnologia politica, alla university of Sussex autrice del libro in inglese Lo Stato imprenditore. Facciamo
ancora parte di quelli che credono sia
importante leggere i libri tanto da portarvene un pezzo nelle pagine di questo
settimanale. La lezione è davvero sconvolgente, la doppia rivoluzione di Apple è stata in buona parte finanziata da
fondi militari e dal denaro pubblico, solo in questo modo il mercato è stato in
grado di essere competitivo e di formare il consumatore stesso. Con quali soldi? Con quelli degli stessi consumatori.
Leggendo l’articolo di copertina vi renderete conto di quante aziende federali abbiano finanziato la ricerca compresa la stessa Central intellicence agency
che ha partecipato alla produzione del
touch screen. Ma quale liberismo?! Ma
quale mano invisibile del mercato?! E se
volessimo provare a fare la stessa cosa?
Tanto per cominciare il progetto dovrà
essere europeo, e dovrà creare consorzi tra i settori più avanzati delle aziende tecnologiche del continente, dovrà
esserci un interlocutore istituzionale e
un programma preciso: negli Stati Uniti esiste il Gps, noi abbiamo il la rete di
satelliti Galileo, in grado di individuare persone in difficoltà con un’approssimazione di 15 metri, ancora più precisa di quella del Gps. Dovrebbe entrare in
funzione nel 2014, i tempi ci sarebbero.
Ci vogliono le idee. Quelle non mancano, siamo i possessori dell’80 per cento
del patrimonio archeologico mondiale.
Simili iniziative potrebbero attirare interesse vero. Il grande pregio di Steeve
Jobs è stato quello di vestire di eleganza la tecnologia. Il gusto italiano non dovrebbe avere difficoltà ad andare in questa direzione. Se gli investimenti iniziali
sono venuti dallo Stato federale americano, perché non potrebbe nascere un
grande progetto che...
Fermi tutti sapete di quanto è aumentato il debito italiano durante la scrittura di queste poche righe? Ora il sito
www.italiaora.org mi dice che siamo
a 2.051.886.593.342: è aumentato di più
di 5 milioni di euro. Spero di sbagliarmi,
spero che ci sia un trucco. In ogni caso
non è questo il momento di improvvisati
liberismi, di mani invisibili del mercato,
ma al contrario di operazioni coordinate, di investimenti statali ed europei. Cominciamo a immaginare i parametri, a
definire il profilo degli interlocutori, per
trovare poi a le persone oneste e capaci
in grado di inventare un nuovo sviluppo.
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I 101 e le scelte
sciagurate
Egregio direttore, stiamo
parlando del dito o della luna? Nel senso che i 101 sono il prodotto di una condotta sciagurata, a opera di
chi conduceva la partita.
Il centrosinistra si presenta alla prova della nomina del Capo dello Stato disponendo di ben 493 tra deputati, senatori e delegati regionali, su un totale di
1.007 e quindi gli sarebbero mancati pochissimi voti alla elezione con la maggioranza semplice. Il Pd col
suo gruppo dirigente arriva
a quella scelta senza sapere
dove andare. Da spettatore
mi è bastato guardare i volti delle persone che uscivano dalla assemblea del Capranica, per rendermi conto che stava andando in
scena un disastroso dramma politico. Sono iscritto
dal 1949 alla Fgci, dal 1951
al Pci, seguendo tutto il per-
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left.it
corso che mi porta ad avere nel Pd l’unica speranza.
Di riunioni e assemblee ne
ho vissute tantissime e ne
ho acquisite anche le percezioni. La scelta di candidare
Marini rompeva con Vendola, che votava Rodotà (era
l’alleato se non proprio unico almeno il più significativo). Si scontrava poi con
la contrarietà già espressa
da Renzi e non solo dai suoi
sostenitori ed era contestata da altri presenti e anche assenti per contrarietà. È stata una errata forzatura che mi ha portato a tifare per i cosiddetti franchi tiratori. Il voto negato
a Prodi è stato un atto che
mi rende alquanto problematico includerli nei grandi elettori. E della candidatura Rodotà perché niente?
Questo a conferma che proprio non si sapeva dove andare. Se si fosse partiti con
Prodi avremmo potuto avere tutt’altri esiti. Si continui
pure nella ricerca giorna-
listica, ma la mia speranza
la ripongo in un congresso
che proietti il Pd nella ricerca di una prospettiva e la
sappia esporre a un Paese
che ne ha bisogno.
Giorgio Bottoni
Il Pd faccia pulizia
per rinnovarsi
La peggior forma di suicidio, per un partito politico, è
quella di ignorare o sorvolare sui propri tentativi di suicidio, derubricandoli a semplici incidenti di percorso. E
poiché stiamo parlando non
di persone singole ma di entità associative proteiformi
e complesse come i partiti,
indagare sull’enorme portata dei fatti di maggio per il
Pd è propedeutico (e terapeutico) per una autentica
palingenesi, che senza questo passaggio non può certo realizzarsi attraverso la
bacchetta pacificatrice del
congresso. Un annullamento senza consapevole rifiuto
e trasformazione non porta mai a una soluzione evolutiva. Quindi è ridicolo sottovalutare l’indispensabilità da qui a ottobre di svelare l’arcano dei 101. E chi lo
fa o è un ingenuo o sottende altri interessi, più o meno
confessabili. Finché questa
operazione di pulizia con
svelamento dei responsabili
non avverrà, sul Pd graverà
un marchio di infamia che
ne minerà ogni tentativo di
rinnovamento.
Claudio Pipitone
Concorso scuola:
stop in Toscana
Caro left, sul sito dell’ufficio scolastico regionale della Toscana è stato pubblicato un “Avviso importante”
per gli aspiranti docenti che
a febbraio hanno sostenuto
la prova scritta del concorsone indetto dal ministro
Profumo. Si apprende che
«causa il protrarsi dei lavori
di correzione degli elaborati scritti, dovuto a numerose dimissioni dall’incarico
di commissario, alla quantità ed alla eterogeneità dei
membri delle commissioni
stesse, nonché alla ingente
quantità procedurale complessiva, nei prossimi mesi di luglio ed agosto non è
possibile effettuare prove
orali...». Al nuovo ministro
si chiede: che ne sarà dei
ruoli che dovevano essere assegnati a decorrere dal
primo settembre? Verrà tutto bloccato? Verranno assegnati scorrendo dalle graduatorie a esaurimento?
Laura S.
29 giugno 2013
left
left.it
sommario
IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 25 / 29 GIUGNO 2013
COPERTINA
BENI COMUNI
SIRIA
LO STATO DENTRO L’IPHONE
PRIVATI DELL’ACQUA
IL MUJAHID CRISTIANO
Da internet al Gps, dallo schermo multi touch alle batterie al
litio. Senza la ricerca statale
Steve Jobs avrebbe potuto inventare solo un giocattolo. Una ricercatrice americana smonta i luoghi comuni sul
“genio folle” della Apple. E spiega: senza
ricerca pubblica non c’è innovazione.
Nonostante la vittoria del referendum sull’acqua pubblica,
i gestori continuano a inserire
tra i costi del servizio la remunerazione del proprio capitale. Per protestare contro l’illecito, gruppi di cittadini si
sono autoridotti la bolletta, ma le società
rispondono chiudendo il rubinetto.
Gabriel è partito dal Canton
Ticino per combattere in Siria. Non è un jihadista, ma uno
svizzero di origine assira che
lotta per i diritti della comunità cristiana.
Ma la milizia che sta addestrando ha legami coi lealisti ed è costretta a sventolare la bandiera del regime.
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LA SETTIMANA
02
04
06
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LA NOTA
LETTERE
LA FOTONOTIZIA
LA SETTIMANACCIA
COPERTINA
IDEE
12 ALTRAPOLITICA di Andrea Ranieri
12 SAPERI DIFFUSI di Guido Viale
13 L’OSSERVATORIO
di Francesco Sylos Labini
14 KEYNES BLOG
16 Lo Stato dentro l’iPhone
di Mariana Mazzucato
14
SOCIETÀ
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24 Pd e Pdl, matrimonio all’italiana
di Rocco Vazzana
26 La croce di Crocetta di S. Toscano
28 Accorinti: Taglio i ponti con i poteri
forti di Tiziana Barillà
28 Valentina, la militante che sfida
Epifani di Manuele Bonaccorsi
30 Privati dell’acqua di Felicia Buonomo
MONDO
36 Benessere ribelle di Paola Mirenda
40 E Dilma si gioca il Brasile
di Breno Altman
42 Uno svizzero in Siria Per Cristo
di Andrea Glioti
45 Se l’Iran tratta con i sauditi di C. Tosi
left 29 giugno 2013
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62
di Daniela Palma e Guido Iodice
IN FONDO A SINISTRA
di Fabio Magnasciutti
IN PUNTA DI PENNA
di Alberto Cisterna
TRASFORMAZIONE
di Massimo Fagioli
TI RICONOSCO di Francesca Merloni
CULTURA E SCIENZA
48 Quando il vuoto è pieno
di E. del Giudice e G. Vitiello
52 Il ritorno della sonnambula
di Giovanni Del Missier
56 Malika Ayane: Conte, il mio mago
di Tiziana Barillà
57 La nuova vita del museo Madre
di Simona Maggiorelli
46
RUBRICHE
08 COSE DELL’ALTROMONDO
a cura della redazione Esteri
10 COSE DELL’ALTRITALIA
a cura della redazione Interni
11 LA CARICA DEI 101
di Sofia Basso
34 CALCIO MANCINO
di Emanuele Santi
58 PUNTOCRITICO
CINEMA di Morando Morandini
ARTE di Simona Maggiorelli
LIBRI di Filippo La Porta
60 BAZAR
TELEDICO, DOCUFILM,
TENDENZE, APPUNTAMENTI
61 IN FONDO di Bebo Storti
Chiuso in tipografia il 26 giugno 2013
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fotonotizia
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29 giugno 2013
left
L’uomo che divide
il mondo
Bloccato in aeroporto, come
Tom Hanks in The terminal.
Edward Snowden, l’ex agente
dell’Nsa che ha rivelato il programma di sorveglianza Usa,
è divenuto ostaggio del confronto tra Putin e Obama. Prima il presidente russo sembrava disponibile a estradarlo
in America. Poi ha dichiarato che è un uomo libero e infine che la Russia non ha accordi di estradizione con gli Usa.
Dopo essersi infuriato con
Pechino per averlo fatto partire, Obama è ai ferri corti con
Mosca. Cortina di ferro 2.0.
(Cheung/Ap/Lapresse)
left 29 giugno 2013
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cose dell’altromondo
© PERES/AP/LAPRESSE
left.it
TUTTI CONTRO MORSI Il 30 giugno una grande manifestazione attraverserà le strade del Cairo. E le proteste contro il governo potrebbero eguagliare quelle che a piazza Tahrir deposero Mubarak. Contro il presidente egiziano, infatti, sfileranno tutte le forze contrarie alla
fratellanza musulmana, dalle comunità cristiane agli islamisti del Partito salafita. A unirli, la richiesta di escludere i militari da qualsiasi
processo politico.
CILE Primarie a 360 gradi
Mentre gli studenti protestano, il Cile va alle primarie. Per
la prima volta, il 30 giugno, sia il centrosinistra che il centrodestra faranno scegliere ai loro elettori i candidati alla
guida dello Stato. Il Pacto nueva majoria, l’alleanza tra moderati e socialisti che ha governato 20 anni prima di perdere il potere nel 2009, vede fronteggiarsi quattro leader. Il più
conservatore è Claudio Orrego, che per partecipare ha dovuto vincere le pre primarie interne al partito cristianodemocratico. Orrego si dichiara contrario all’aborto e ai matrimoni gay, posizioni che gli vengono criticate soprattutto
dall’indipendente Andres Velasco. Il più progressista è invece il radicale socialdemocratico Gomez, ma la favori-
ta è l’ex presidente socialista Michelle Bachelet. La novità è che quest’anno il centrodestra di Alianza
seguirà l’esempio degli avversari e sceglierà tra il moderato
Andrés Allamand e il conservatore Pablo Longueira.
«Non possiamo aspettare
ancora. Dite che state
dialogando con
i talebani
ma in realtà
non fate
progressi»
Il segretario di Stato Usa John
Kerry al presidente afgano
Hamid K
Karzai, che si rifiuta
di rico
riconoscere l’ufficio di
rappresent
rappresentanza che i talebani
hanno aperto a Doha
ha
CRISI DELLA SETTIMANA La guerra in Mali sarà pure finita, ma l’emergenza è più grave che mai. Dopo l’offensiva islamista e il successivo intervento francese il Paese non si è più ripreso. Al centro di molteplici flussi migratori, il Mali conta oggi
353.455 profughi, mentre i maliani rifugiati fuori confine sono 174.129. Una situazione allarmante, che unita alla siccità
estiva produce un’emergenza ancora più grave: 1 milione e 400mila persone hanno urgente bisogno di aiuti alimentari. Ma
solo un terzo dei 410 milioni di dollari necessari per contrastare la crisi sono stati effettivamente versati.
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29 giugno 2013
left
left.it
CURIOSITÀ Armata Rossa
NAZIONI IN FUMO
«Chi offende l’Armata sovietica deve andare in galera». Non è
un vecchio diktat di Joseph Stalin,
ma la proposta di legge di Irina Yarovaya, una parlamentare di Russia unita. La sua iniziativa vuole contrastare i tentativi di revisionismo nei confronti del nazionalsocialismo da parte di chi scredita
le azioni dell’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale. Se
la proposta diventerà legge, chiunque metta in
dubbio il ruolo dei
sovietici nel mantenere la pace internazionale rischierà una multa da
15mila dollari e fino
a 5 anni di prigione.
È quanto spera di ricavare il governo cipriota dalla
privatizzazione di tre aziende: Cyta (telecomunicazioni),
Ahk (elettricità) e Archís liménon kýprou (autorità
portuale), secondo il piano concordato con la troika
© IMAGINE CHINA
GHANA Caccia al cinese
È di 218 il bilancio dei cinesi espulsi dal Ghana a giugno, dopo che le autorità
locali hanno avviato una serie di controlli sulle miniere illegali nel Paese. Molte delle industrie estrattive ghanesi sono di proprietà o partecipate dal governo di Pechino, ma negli ultimi tempi sono sempre più frequenti i casi di operai
cinesi che tentano di arricchirsi in proprio, sfruttando le risorse del sottosuolo. Il Ghana è il secondo produttore di oro in Africa, e la legge consente ai suoi
abitanti l’estrazione del prezioso minerale, purché in forma “familiare”. La
stessa possibilità però è negata agli stranieri, che anzi rischiano pesanti pene
se sorpresi a trarne profitto. Ma molti di loro fanno accordi con la popolazione
locale e forniscono attrezzature sofisticate in cambio della possibilità di scavare nel loro terreno. Così il governo
ha deciso di giocare duro, arrivando
anche a ordinare irruzioni negli alberghi dove alloggiano i cittadini della
Repubblica Popolare. Ma, assicurano
le autorità di polizia, «non si tratta di
una caccia etnica, il provvedimento
riguarda gli illegali, non i cinesi».
left 29 giugno 2013
© AMARASINGHE/AP/LAPRESSE
1,4 miliardi
FESTA DI PACE (SENZA PACE)
In Myanmar fervono i preparativi per la grande festa di luglio. La
giunta birmana si sta preparando a celebrare di fronte a grandi dignitari di tutto il mondo il
suo successo nella pacificazione del territorio. Degli 11 maggiori gruppi etnici di cui composto il Myanmar, si vanta il governo, ben 10 hanno firmato accordi bilaterali di cessate il fuoco
con il potere centrale. Peccato
che i negoziati con l’Esercito indipendente del Kachin, che lotta
per l’indipendenza del Nord, siano naufragati il 30 maggio. E che
l’etnia musulmana dei Rohingya
sia stata “sistemata” dai movimenti anti islamici che li hanno
costretti a rifugiarsi oltre confine (i profughi sono 140mila).
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cose dell’altritalia
left.it
© ELABORAZIONE GRAFICA ARIANNA CATANIA
MENO MALE
CHE CROZZA C’È
UP
«Che ore
sono Tabacci?
Sono già le
21:31 e oggi
Grillo non ha
ancora espulso
nessuno...
ci sarà un
problema
con il wi-fi!»
(Ballarò,
25 giugno 2013)
© LENNIHAN/LAPRESSE
650€
IBM ITALIA LICENZIA
Il colosso informatico a maggio aveva annunciato 355 esuberi e 149 licenziamenti. Dopo l’incontro con i sindacati del 25 giugno, l’Ibm non cede. Intanto, dopo lo sciopero proclamato il 28 giugno, la vertenza passa al ministero del Lavoro.
È l’incentivo mensile che il governo
darà a chi assume un giovane a
tempo indeterminato. Purché abbia
tra i 18 e i 29 anni, non sia diplomato,
viva da solo o con famiglia a carico,
e sia senza lavoro da 6 mesi. E sia
sopravvissuto a tutto questo
BARI Fine trasmissione, si mangia
ROMA La nuova Predappio
Cala il sipario su Antenna Sud, dopo 34
anni di informazione in Puglia e Basilicata. L’annuncio arriva da Assostampa: niente risorse per
prorogare la cassa integrazione in deroga, perciò «in queste ore l’azienda sta avviando le procedure di licenziamento dei lavoratori». La chiusura dell’emittente arriva
al termine di una vertenza che ha avuto inizio tre anni fa
e, secondo Assostampa: «L’azienda è stata costretta ad alzare bandiera bianca non soltanto per la crisi economica, ma anche per politiche e strategie imprenditoriali non
sempre lucide e vincenti». Pesano, secondo il sindacato, le scelte del presidente della società editrice Fabrizio
Lombardo Pijola, che ha concentrato gli sforzi sulla sua
nuova scommessa: Eataly Puglia. Con un entusiasmo che
per i giornalisti di Antenna Sud è un déjà-vu.
«Affile sta diventando la nuova Predappio». A lanciare l’allarme è l’Anpi
di Roma, in vista della prossima iniziativa del 29 giugno in onore del maresciallo Rodolfo Graziani, criminale di guerra e ministro della Repubblica Sociale di
Mussolini. La scorsa estate, sempre ad Affile (provincia di Roma), era stato inaugurato il monumento al
gerarca fascista, costato 130mila euro e pagato dalla
Regione Lazio con fondi che erano invece destinati al
completamento del parco locale. «Siamo sconcertati dal silenzio delle istituzioni nazionali e del governo
di fronte a queste manifestazioni di apologia del fascismo», prosegue l’Anpi romana. «Non si può onorare
la memoria di un conclamato criminale di guerra».
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29 giugno 2013
left
left.it
la settimanaccia
la carica dei 101
di Sofia Basso
Centouno franchi tiratori e nessun colpevole.
Continua l’indagine di left. Parla Francesco
Boccia, lettiano, presidente commissione Bilancio
Boccia: «Le priorità
del Paese sono altre»
C
LA BASE PD SI ORGANIZZA:
«RIPRENDIAMOCI IL PARTITO»
«Apriamo una nuova fase politica che parta dei circoli». La
base democratica, da Occupy Pd a Insieme per il Pd, si è data appuntamento il 22 giugno nella sede di largo Nazareno
per esprimere il disagio sul governo delle larghe intese. Parole d’ordine: dare voce agli iscritti e finirla con le correnti
autoreferenziali.«Il Pd deve tornare a occuparsi dei problemi della gente e ascoltare la propria base». Tutti d’accordo,
da chi ha appena fatto la tessera, a chi non l’ha rinnovata
dopo decenni di militanza. Tra rabbia e speranza. Altrimenti se ne andranno. «Arrestiamo l’emorragia», incalza Sandro Gozi, uno dei deputati presenti. Obiettivi immediati: un
s.b.
congresso aperto e consultazioni interne.
CAGLIARI La Sardegna che parla arabo
La Costa Smeralda - l’impero del lusso e
del turismo fondato in Gallura 50 anni fa
dal principe ismaelita Karim Aga Khan - parlerà ancora
arabo. L’emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al Thani, si
appresta a lasciare il trono - afferma al Jazeera - e cedere i
poteri all’erede designato, lo sceicco Tamim bin Hamad. Il
principe ha 33 anni e, di recente, ha comprato la squadra
del Paris Saint Germain. Da alcuni anni, tra le sue passioni c’è anche la Costa Smeralda. Il complesso turistico alberghiero era stato acquistato dalla dinastia araba lo scorso anno, e non si tratta solo di business. Qui in Sardegna
l’emiro al Thani ha incontrato la passione per un luogo
che ha dichiarato di voler restituire agli antichi splendori.
E il giovane Tamim vuole mantenere la promessa.
left 29 giugno 2013
osa pensa dei 101?
Non so che dire dei 101: è una cosa che non
mi riguarda. Io Prodi l’ho votato.
Pensa che i loro nomi debbano uscire?
È una vicenda che abbiamo alle spalle. Quando faremo il Congresso, affronteremo il problema di come
è stata la gestita la vicenda della Presidenza della Repubblica. Ci si confronterà e capiremo molte cose.
Quindi secondo lei il problema è di chi ha gestito quel passaggio, non dei franchi tiratori?
Vale anche per quelli che hanno votato in maniera
divergente su Marini. Quando in un partito ci sono
centinaia di persone che fanno il contrario di quello
che viene proposto dal segretario, c’è un problema.
Quello che colpisce dei 101 è che nessuno abbia rivendicato quella scelta.
Non cambia niente se uno lo dice o non lo dice. Se
si vota contro la linea del segretario c’è un problema di tenuta del partito, di condivisione delle strategie. Penso che in un momento come questo sia
opportuno occuparci delle cose che stiamo costruendo e non dei nostri problemi, che saranno affrontati al congresso.
Qualche suo collega di partito è convinto che
lei sia uno dei 101...
Potrei dire la stessa cosa di altri. Conosce la mia storia? Sa che ho lavorato con Prodi 2 anni? Ho fatto il
capo del dipartimento economico del suo governo.
Ma cosa risponde a chi l’accusa?
Lei mi dovrebbe dire chi fa il mio nome. Io ho votato
Prodi, come ho votato Marini. Perché sono abituato
a votare quello che decide il partito. Anche quando
non ho condiviso alcune posizioni, e non era il caso
del presidente della Repubblica. Inviterei a non perder tempo su sciocchezze e pettegolezzi. In questo
momento mi sto occupando del decreto del Fare,
che è appena arrivato in Parlamento.
I nomi li chiedono i vostri iscritti.
Io passo la vita quotidiana tra gli iscritti: faccio le
primarie, i comizi, so cosa pensano. Oggi vogliono
un bel congresso che faccia chiarezza.
11
idee
left.it
altrapolitica
di Andrea Ranieri
La debolezza dei poteri forti
A
Al secondo
turno
di Messina
sconfitto
il blocco
degli ex Dc
Messina ha vinto Accorinti e a Ragusa il 5
stelle Piccitto. Con un mostruoso astensionismo. Ancora più alto che nelle vittorie democratiche ai ballottaggi continentali. Ma i due
candidati alternativi sono riusciti a portare alle urne - unico caso in Italia- più elettori di quelli
che avevano votato per loro al primo turno. Metterei in guardia dal cavarsela col fatto che al secondo turno anche la destra vota gli “alternativi”.
A Ragusa ci presentavamo col big storico della
destra nelle nostre fila; a Messina - intorno al dominus Genovese - si raduna da sempre il Partito
unico messinese, il blocco dei poteri forti che sta
attorno all’ospedale, all’università, alla formazione professionale, alla logistica. A Messina si sono
impegnati in prima persone sia Crocetta che Renzi. Il primo, per consolidare la maggioranza della sua regione, con il ministro D’Alia dell’Udc; il
secondo, perché il giovane candidato messinese
sembrava avere il profilo ideale per attrarre elettori dall’altro campo. Accorinti invece è “solo” un
pacifista e un ambientalista, strenuo oppositore
del Ponte di Messina. Un insegnante impegnato
in tutte le battaglie civili della sua Regione, a cominciare dalla lotta alla mafia. Ha radunato intorno a sé movimenti di gente che sta in rete ma che
soprattutto cammina, nelle strade e nelle piazze,
per far sentire la propria voce. Non è grillino. Sa
bene la differenza fra destra e sinistra, fra ricchi
e poveri, fra chi ha potere e chi no. Quella differenza che non sembra più essere nelle corde del
Pd di Messina, dove i comunisti sono rimasti comunisti e non contano più niente, e i democristiani sono rimasti democristiani e hanno usato il Pd
per consolidare il loro blocco di potere.
I blocchi di potere sono forti al primo turno (per
un pelo, a Messina, il candidato democratico Calabrò non ce l’ha fatta). Debolissimi al secondo,
quando non ci sono più da votare le facce che lo
incarnano e sono meno visibili le filiere clientelari che impersonano. Così al secondo turno i “nostri” non sono andati a votare, mentre Accorinti
ha quasi triplicato i suoi voti. I voti di tanti messinesi che non si sono lasciati sfuggire l’occasione
di liberarsi del Partito unico del dominio di Genovese. Credo che se vogliamo costruire il Pd capace di unificare la sinistra, quello dello “sperimentalismo democratico” e della “mobilitazione cognitiva” di cui parla Barca, quello che pensa prima di tutto a radicarsi nel popolo piuttosto che
a occupare le istituzioni, i “vincitori” di Acorinti
sono più interessanti dei “perdenti” di Genovese.
saperi diffusi
L’economia Q
dell’evento
ualcosa sta veramente cambiando nel mondo se persino il
Brasile si rivolta contro il calcio, che in
quel Paese, come in Italia, è quasi una
religione. Naturalmente non è una rivolta contro il calcio, che in Brasile gode ottima salute; ma contro l’uso che
di questa passione nazionale cercava
di fare la presidente Dilma Rousseff:
usarlo per giustificare un aumento del
biglietto dei bus esteso a tutto il territorio nazionale, contando sul fatto che
la passione per il calcio avrebbe fatto
ingoiare a tutti un balzello su un consumo sociale ed ecologico - il trasporto pubblico - che colpisce soprattutto
12
i ceti urbani più poveri. C’è un evidente parallelismo tra la rivolta popolare
del Brasile e quella della Turchia. Per
i commentatori mainstream che non
hanno altro orizzonte mentale che la
“crescita”, sono manifestazioni di un
disagio provocato dal rallentamento
dei tassi di crescita che accomuna Brasile e Turchia. Ma qualcosa non torna:
la contestazione radicale delle politiche governative (e in Turchia di un vero e proprio regime) è indubbio in entrambi i Paesi; ma avranno pur un significato i motivi per cui quelle rivolte sono nate: là la difesa di un parco e
il rigetto delle grandi opere (ponti, ca-
29 giugno 2013
left
idee
left.it
l’osservatorio
di Francesco Sylos Labini
La scienza nell’era dei big data
N
ell’era di internet è apparso un nuovo fenomeno: l’accumulazione di grandi insiemi di dati. La quantità di informazioni archiviate
in forma digitale sta crescendo in maniera esponenziale e riguarda ogni aspetto della nostra vita: questa situazione pone una serie di problemi
nuovi da considerare, dalla privacy delle persone alla qualità dell’informazione che può essere
estratta da queste banche dati. La domanda che
molti si pongono è se i dati da soli, senza un modello, siano sufficienti per comprendere i fenomeni. Ad esempio, i Maya non avevano formulato
un modello fisico per spiegare il movimento degli astri, ma dall’elaborazione delle osservazioni
astronomiche effettuate lungo i secoli sono stati
capaci di fare delle previsioni molto accurate non
solo delle eclissi di Luna, ma, cosa più difficile,
delle eclissi di Sole. Il problema era tuttavia ben
posto: oggi infatti sappiamo che non solo esistono delle leggi deterministiche che regolano il moto dei pianeti (la legge di gravità) ma che il sistema solare stesso mostra un comportamento caotico su scale di tempo molto più lunghe di quelle
interessanti per le previsioni utili all’uomo. Ovvero, la precisione finita con cui possiamo conoscere lo stato del sistema solare oggi causerà una dif-
ferenza significativa per la previsione della posizione dei pianeti solo tra qualche milione di anni.
Per contro, la nostra conoscenza imperfetta dello stato dell’atmosfera oggi rende le previsioni
meteorologiche non affidabili su tempi dell’ordine di qualche giorno. Questo in quanto l’atmosfera, come il sistema solare, è caotico, ma con numero diverso di variabili rilevanti che ne descrivono lo stato-dimensionalità. In pratica, le regolarità in un sistema con alta dimensionalità appaiono su scale di tempo che sono e rimarranno inaccessibili per quanto le banche dati digitali crescano. Possiamo dunque usare le moderne
banche dati digitali come la civiltà Maya utilizzò
i dati astronomici: trovare delle regolarità o delle correlazioni nei dati, senza un modello di riferimento, per capire quello che succederà in futuro? La risposta è no. Non solo perché una correlazione a posteriori non implica un nesso causale, ma soprattutto perché i sistemi complessi, da
quelli fisici a quelli sociali, sono caotici. Se l’accumulazione dei dati rappresenta una preziosa fonte di informazioni che può essere utile per l’elaborazione di previsioni, solo una comprensione teorica ci può guidare a interpretare dei dati:
proprio a questo serve la ricerca fondamentale.
Senza
un modello
teorico
non si può
cogliere
la realtà
di Guido Viale
nali, centri commerciali, monumenti
di regime) che stravolgono la vivibilità urbana; lì la rivendicazioni di servizi sociali, a partire da un trasporto pubblico più efficiente, contrapposta alla spesa faraonica per costruire stadi
per visitatori stranieri, a cui i brasiliani poveri non avranno accesso. Quella
messa sotto accusa in Brasile è una tipica politica di “economia dell’evento”
(del grande evento, che fa il paio e viene usata per fare grandi opere) che lascia dietro di sé solo cemento, devastazione, strutture inservibili e debiti da
ripagare: un modello che l’Italia ha già
sperimentato con le Colombiadi, con
left 29 giugno 2013
l’Anno santo, con le Olimpiadi invernali e adesso con l’Expò: un “evento”
che a sentire il presidente Letta - e dietro a lui il sindaco Pisapia e i governatori lombardi promossi (Maroni) e trombati (Formigoni) - sarà decisivo per rilanciare l’economia di tutto il Paese.
Quando le prospettive di uscita dalla
crisi vengono affidate a progetti del genere vuol dir che la cultura economica
e di governo ha raggiunto il grado zero.
I brasiliani lo sanno e cercano in ogni
modo di non farsi trascinare nella spirale che sta portando l’Italia a fare compagnia alla Grecia (che di grandi eventi, ovvero di Olimpiadi, ne sa qualcosa).
Dal Brasile
a piazza
Taksim
fino
all’Expo
di Milano.
Le grandi
opere
creano
solo danni
13
idee
left.it
di Daniela Palma e Guido Iodice
keynes blog
Un piano Marshall tutto per Berlino
N
Il progetto del
sindacato e
della Spd va
a esclusivo
vantaggio
dell’industria
tedesca
on finisce di stupire la capacità di reazione della Germania per tenersi fuori dalle secche verso cui la drammatica depressione
economica che affligge l’eurozona appare con
forza tirarla. È chiaro che sarebbe una follia fare a pezzi il più grande serbatoio di esportazione su cui può contare l’economia tedesca, considerando peraltro che anche le prospettive di
crescita dei mercati extraeuropei sono state recentemente ridimensionate. Che sia arrivato per
Berlino il momento di dare una svolta al funzionamento dell’eurozona, di dotarla di un bilancio
e di rendere la Bce un prestatore di ultima istanza? Non facciamoci troppe illusioni.
Basta trovare la parola giusta, condirla con le giuste argomentazioni e il gioco è fatto. Cosa può esserci di più seducente di questi tempi di un «Piano Marshall per l’Europa»? E cosa ci può essere di più condivisibile di un’azione orientata a
stimolare gli investimenti «nella produzione di
energia sostenibile, nella riduzione dei consumi
energetici, in settori industriali e servizi sostenibili, in istruzione e formazione, in ricerca e sviluppo, in infrastrutture di trasporto moderne, in
città e comuni a basse emissioni e nell’efficienza delle pubbliche amministrazioni»? Lo propo-
in fondo a sinistra
ne il documento diffuso dalla Confederazione
sindacale tedesca al quale si è recentemente appellato il candidato della Spd Peer Steinbrück alle prossime Politiche. Il Piano sarà finanziato da
un «Fondo europeo per il futuro», con un capitale iniziale che dovrebbe derivare da una imposizione straordinaria sui cittadini ad alto reddito
dei Paesi membri, con un capacità finanziaria futura che dovrebbe fare leva sulla tassazione delle transazioni finanziarie. Ma c’è di più. Il Piano
delinea infatti delle precise direzioni di marcia,
che portano a destinare le risorse a quei territori dove ingenti politiche di trasformazione industriale hanno lasciato il loro segno. Come accade,
guarda caso, in Germania. Guarda caso nel Piano si pone particolare attenzione al settore delle energie rinnovabili dove la Germania è da anni
leader incontrastata. Mentre Paesi come l’Italia,
non hanno mai creato filiere industriali, maturando deficit commerciali crescenti. Un Piano tutto
a vantaggio dei tedeschi, insomma. Che pur partendo da obbiettivi di sviluppo, tendono ad accentuare le divergenze esistenti. Sarebbe il caso
che i governi europei ne prendessero coscienza,
magari tenendo a mente l’agenda di politica industriale che da tempo la Germania si è data.
idee
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in punta di penna
di Alberto Cisterna
Da Aristotele a Casaleggio
L
a lunga intervista rilasciata al Corriere il 23
giugno dal guru mediatico del M5s, Gianroberto Casaleggio, è in filigrana un vero e proprio
manifesto sulla democrazia nell’era di internet.
Una dichiarazione d’intenti che va al di là delle
minute contingenze politiche italiane e solleva
questioni più ampie sul modo in cui, nei prossimi
decenni, sarà declinato il rapporto tra consenso
e potere. Secondo Casaleggio, ormai ognuno di
noi ha - accanto a una vita ordinaria fatta di gesti, di incontri, di dialoghi - una vita digitale altrettanto vivace, ricca di esperienze, di saperi,
addirittura spesse volte più intima di quella normale. Mail e social network portano con sé porzioni sempre più significative della nostra interiorità, dei nostri gusti, dei nostri orientamenti.
E lo scandalo del Datagate è solo il bagliore della nuova trincea in cui si sta combattendo una
guerra senza esclusione di colpi tra le grandi potenze per il controllo profondo dell’umanità.
È inevitabile, quindi, che la politica così come
l’abbiamo intesa almeno negli ultimi cento anni,
sia destinata a essere spazzata via dalla vita digitale. Nessun sistema tradizionale di raccolta del
consenso può reggere al potere persuasivo e pervasivo di una vita artificiale (perché tecnologi-
ca, non perché meno reale) che salta ogni mediazione e attinge direttamente ad ogni conoscenza.
L’intuizione di Aristotele dell’uomo come animale politico è frantumata da un’umanità che ha a
disposizione in pochi attimi miliardi di informazioni con le quali può elaborare decisioni immediate, anche complesse. In questa umanità il ceto politico sembra non avere spazio se non quello
di tradursi in mero portavoce di una cittadinanza
matura, esperta, consapevole che non ha necessità di alcun altro filtro. Ciascun cittadino preleva nella Rete le conoscenze necessarie e attraverso la Rete esprime le proprie decisioni e il proprio
consenso. Casaleggio prefigura all’incirca così i
destini del mondo digitalizzato. In questa visione,
la democrazia non è più la condivisione dei valori fondamentali del vivere civile, ma un’asettica
tecnica di manifestazione del consenso individuale. Anzi la Rete è la sola forma di democrazia
possibile, poiché è la sola che non altera le decisioni individuali. Per Casaleggio, probabilmente,
questo passaggio è il segno di un’evoluzione. Forse trascura che la politica ambisce anche a orientare il consenso verso progetti e assetti sociali
metaindividuali e spera di riuscire a far cambiare
idea a chi ne ha qualcuna sbagliata.
di Fabio Magnasciutti
Secondo
il guru del
M5s, la Rete
è l’unica
forma di
democrazia
che non
altera
le decisioni
individuali
copertina
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LO STATO
DENTRO L’IPHONE
di Mariana Mazzucato
Da internet al Gps, dalle batterie allo schermo touch. Senza la ricerca
pubblica il prodotto che ha rivoluzionato le comunicazioni non sarebbe mai
nato. Il genio di Steve Jobs è questo: integrare tecnologie già prodotte dal
governo. Una studiosa americana smonta molti dei luoghi comuni su Apple
N
el suo ormai famoso discorso di commiato alla Stanford university il 12 giugno 2005, Steve Jobs, allora Ad della
Apple computer, incoraggiò i laureati a cercare
ciò che desideravano e a rimanere “matti”: Stay
hungry, stay foolish. Questo discorso è stato citato in tutto il mondo perché incarna la cultura
dell’economia cognitiva, secondo la quale per
l’innovazione non servono solo i grandi laboratori, ma anche la capacità di cambiare le “regole
del gioco”. Enfatizzando l’aspetto “folle” dell’ innovazione, Jobs sostiene che dietro il successo
di Apple non c’ è solo la competenza tecnica del
suo personale, ma anche la capacità di saper rischiare. Il fatto che Jobs abbia abbandonato la
scuola e abbia continuato a vestire tutta la sua
la vita come uno studente di un college, con le
scarpe da ginnastica ai piedi, è emblematico del
suo stile: rimanere giovane e “pazzo”.
Jobs è stato giustamente definito un «genio»,
per i prodotti visionari che ha inventato e commercializzato. È il mito del successo di Apple:
la genialità, il design, il gioco, la “pazzia”, sono
state senza dubbio caratteristiche importanti.
Ma senza una massiccia quantità di investimenti pubblici sui computer e sulla rivoluzione di
Internet, questi attributi avrebbero portato soltanto all’invenzione di un nuovo giocattolo, non
a prodotti come l’iPad e iPhone, che hanno cambiato il modo in cui le persone lavorano e comunicano. Apple è stata in grado di cavalcare l’onda
di massicci investimenti statali sulle tecnologie
“rivoluzionarie” che hanno sostenuto l’iPhone e
iPad: internet, il Gps, lo schermo touch screen e
le tecnologie di comunicazione. Senza gli investimenti pubblici non ci sarebbe stata nessuna
onda sulla quale fare un “folle” surfing. Questo
studio si pone delle domande che sfidano pro-
Steve Jobs,
fondatore
della Apple
© ELABORAZONE GRAFICA ARIANNA CATANIA
copertina
left.it
copertina
© LAPRESSE
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Già alla sua nascita, nel 1976, la Apple riceve
500mila dollari di sostegno dallo Stato
vocatoriamente il modo in cui fino a ora è stato
raccontato il successo di Apple e il ruolo dello
Stato. Perché lo Stato viene accusato con tanta aggressività per gli investimenti falliti e non
viene lodato per il rapido successo dei suoi investimenti nella fase iniziale in aziende come Apple? E perché lo Stato non viene ricompensato
per i suoi investimenti diretti in ricerca di base e
applicata che hanno prodotto tecnologie di successo che sono alla base di prodotti come l’iPod,
l’iPhone e l’iPad?
In alto,
l’Apple Store
di Bangkok
in Thailandia
18
SURFARE SULL’ONDA DEL PROGRESSO
La popolarità e il successo dei prodotti hanno
modificato il panorama competitivo nel settore del “mobile computing” e delle tecnologie di
comunicazione. In meno di un decennio, Apple
è riuscita a conquistarsi un posto tra le società
di maggior valore al mondo, producendo per i
suoi proprietari un profitto record di 26 miliardi
dollari nel 2011. Ma mentre i prodotti devono il
loro bel design e la loro elegante integrazione al
genio di Jobs e alla sua grande squadra, spesso
si ingnora che quasi tutte le tecnologie presenti
nell’iPod, iPhone e iPad sono il risultato spesso
trascurato degli sforzi di ricerca e del sostegno
finanziario del governo americano.
Fondata il primo aprile 1976 a Cupertino, in California, da Steve Jobs, Steve Wozniak e Ronald
Wayne, Apple computer per 30 anni si è focalizzata esclusivamente nella produzione di personal computer. Il 9 gennaio 2007, la società ha
annunciato di aver rimosso il termine Computer
dal suo nome, e questo riflette il suo spostamento di attenzione dai pc all’elettronica di consumo. Quello stesso anno, Apple ha lanciato l’iPhone e iPod touch con il suo nuovo sistema operativo mobile, iOS. Nei 5 anni successivi al lancio
le vendite di Apple sono aumentate del 460 per
cento. La nuova linea di prodotti iOS rappresenta quasi il 70 per cento dei ricavi complessivi di
Apple nel 2011. La popolarità dei nuovi prodotti
di Apple ha avuto un rapido riflesso sui ricavi.
Nel 2011, il fatturato di Apple (76,4 miliardi di
dollari) ha superato il saldo cassa operativo del
governo degli Stati Uniti (73,7 miliardi di dollari). Questa ondata di ricavi è stata rapidamente
tradotta nell’aumento della quotazioni: il prezzo
dei titoli Apple è cresciuto dagli 8 dollari ad azione del 2001 ai 700 dollari per azione del 2012.
29 giugno 2013
left
copertina
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LA MELA NON INVESTE
L’AUTRICE
Rapporto tra vendite
e investimenti in Ricerca
e Sviluppo delle maggiori
aziende hi-tech
INNOVARE SENZA SPENDERE
Se si analizzano i rapporti finanziari di Apple è
interessante notare la quota dei fondi stanziati
in attività di Ricerca&Sviluppo cala nel tempo al
confronto della vendita di prodotti a livello mondiale. Horace Schmidt analista di lunga data di
Cupertino confronta la spesa di Apple in Ricerca
& Sviluppo con quella delle società rivali. Secondo i suoi dati, l’Apple si classifica agli ultimi posti per le quote stanziate in ricerca in relazione
alle vendite. Schmidt si chiede pertanto come
faccia Apple a farla franca con così bassi investimenti tecnologici. Molti esperti spiegano questa
produttività marginale di Apple come un successo dell’azienda nella realizzazione di efficaci
programmi di ricerca. Non vi è alcun dubbio che
le capacità di Apple nella ingegneria applicata
al design, combinate con l’impegno di Jobs per
la semplicità, abbia certamente contribuito alla
sua efficienza. Ma il fatto più importante è stato
omesso: Apple non si concentra sullo sviluppo
di nuove tecnologie bensì sulla loro integrazione
in una architettura innovativa. I suoi grandi progetti sono basati su tecnologie per lo più inventate da qualche altra parte. Spesso sostenute da
denaro pubblico.
Il successo di Apple è principalmente correlato
a tre capacità: 1) riconoscere le tecnologie emergenti dotate di un grande potenziale; 2) applicare competenze ingegneristiche complesse che
integrano con successo le tecnologie emergenti
riconosciute; 3) mantenere una visione aziendale chiara, fondata su prodotti orientati al design
e alla massima soddisfazione degli utenti.
Prima di lanciare la sua popolare piattaforma di
prodotti iOS, Apple ha ricevuto enormi sostegni
dal governo provenienti da tre aree principali:
1) Investimenti diretti durante le prime fasi di
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Mariana Mazzucato, nata a Roma da genitori
italiani, cresciuta a Princeton, PhD in Economics alla New school for social research di New
York city. Insegna Scienza e Politica tecnologica alla university of Sussex, in Inghilterra.
È una economista che studia le relazioni tra
l’innovazione e la crescita economica. Analizza le politiche che possono assicurare una
crescita economica che sia non soltanto intelligente, ma anche inclusiva e sostenibile .
Reputa che cio’ di cui l’Europa ha bisogno
non è l’austerità ma investimenti strategici.
Ha recentemente pubblicato in inglese il libro
The entrepreneurial-state, lo Stato impenditore, di cui in queste pagine abbiamo riassunto un capitolo.
creazione dell’impresa; 2) L’accesso a tecnologie
che sono il risultato delle più importanti ricerche dei programmi del governo: iniziative militari, appalti pubblici, progetti di istituti di ricerca
pubblici, sostenuti da fondi statali o federali; 3)
Politiche fiscali, commerciali e tecnologiche che
hanno permesso di sostenere gli sforzi innovativi durante le fasi in cui le società Usa non riuscivano a primeggiare nei mercati mondiali.
LA MANO BEN VISIBILE DELLO STATO
Fin dall’inizio, Jobs e Wozniak hanno cercato varie fonti di finanziamento pubblico e privato, nei
loro sforzi di costruire e sviluppare Apple. Pionieri del ventur capital e leggende della Silicon
Valley come Don Valentine, fondatore della Sequoia e Arthur Rock, fondatore di Arthur Rock
& Company sono stati tra i primi a credere nella
loro visione. La società ha inoltre ricevuto il sostegno di finanziamenti diretti da parte del governo per attuare le sue visionarie idee di business. Prima della quotazione in Borsa, nel 1980,
Apple ha ricevuto 500mila dollari come capitale
iniziale d’investimento dalla Continental Illinois
venture corp., una piccola business investment
company, autorizzata dalla Small business administration, l’agenzia federale creata nel 1953 per
investire nelle piccole imprese.
L’emergere del settore del personal computing
è stato reso possibile dalle innovazioni tecnologiche raggiunte attraverso vari partenariati
pubblico-privati creati in gran parte dalle agenzie governative e militari. Quando nel 1976 nasce Apple per vendere kit per personal computer, le tecnologie del prodotto erano basate su
investimenti pubblici realizzati nel corso degli
anni 60 e 70. Queste scoperte sono state il risultato di una ricerca condotta su vari partenariati
19
copertina
© SADOF/AP/LAPRESSE
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pubblico-privato presso diversi laboratori tra
i quali quelli del Darpa, dell’At&t Bell labs, Xerox parc, Shockley e Fairchild, per citarne solo
alcuni. La Silicon Valley è diventa rapidamente
l’hub dell’innovazione informatica statunitense
e il nuovo clima, stimolato e sostenuto dal ruolo guida del governo nel finanziamento e nella
ricerca (sia di base che applicata), è stato sfruttato da giovani imprenditori e dal settore privato
in quello che molti osservatori hanno definito la
“Corsa dell’oro del silicio”.Il fatto che gran parte
del successo di Apple risieda in tecnologie che
sono state sviluppate attraverso il sostegno del
governo e la ricerca finanziata è un aspetto spesso trascurato che merita di essere affrontato.
In alto a sinistra,
una dimostrazione
sull’uso della
tecnologia Gps a New
York, nel 2012.
Accanto Wayne
Westerman e John
Elias, inventori dello
schermo multi touch
20
1) Il micro disco rigido
Un raro esempio di riconoscimento del ruolo
svolto dalla Stato a sostegno della ricerca tecnologica si è verificato durante la cerimonia
di premiazione degli scienziati europei Albert
Ferte Peter Grunberg, vincitori del Nobel per
la Fisica 2007 per il loro lavoro nello sviluppo
della Magnetoresistenza gigante (Gmr). Il Gmr
è un effetto meccanico quantistico la cui applicazione principale è nei sensori di campo magnetico utilizzati all’interno delle micro unità
di Disco rigido (Hdd). Nel suo discorso durante la cerimonia, Bo Nrje Johannson, membro
della Accademia reale svedese delle Scienze,
ha spiegato cosa ha significato l’invenzione del
Gmr attribuendo l’esistenza dell’iPod a questa
importante svolta scientifica. L’invenzione e la
commercializzazione del micro disco rigido è
particolarmente interessante perché illustra il
ruolo del governo non solo nella creazione delle basi scientifiche per l’innovazione, ma anche
nella trasformazione di idee astratte in prodotti
commercialmente validi. Quello che era iniziato
da due progetti di ricerca accademica finanziati
dallo Stato, separati e indipendenti, è culminato
in una delle tecnologie di maggior successo degli ultimi anni, degna del premio Nobel. È stato
seguendo questa scoperta che altri ricercatori
hanno incrementato la dimensione della memorizzazione dei dati in una convenzionale unità disco rigido durante anni 80 e 90. Mentre la grande
scoperta scientifica nel Gmr è stata compiuta
in Europa, il governo degli Stati Uniti ha avuto
un ruolo fondamentale nella sua commercializzazione. Il laboratorio del Dr. Peter Grunberg è
stato affiliato con l’Argonne national laboratory
(il più grande laboratorio di ricerca e sviluppo
del dipartimento dell’Energia degli Usa, che si
trova in Illinois) e ha ricevuto dal dipartimento
dell’Energia un sostegno importante. Sulla base
di questi sviluppi nella tecnologia del disco rigido, aziende come Apple, Ibm e Seagate si sono
mosse rapidamente per tradurre le nuove conoscenze in prodotti commerciali di successo.
2) Il silicio
Tra i fattori che hanno reso possibili iPod, iPhone e iPad ci sono i piccoli microchip che consentono di elaborare grandi quantità di informazioni in un istante. Oggi le unità centrali di elaborazione (Cpu) dipendono da circuiti integrati (Ics)
che sono notevolmente ridotti di dimensione e
offrono una capacità di memoria molto maggiore a confronto dei primi processori. I nuovi
circuiti integrati basati sul silicio sono oggi presenti nella maggior parte dei dispositivi elettronici disponibili sul mercato. Il viaggio dei circuiti integrati prodotti dai laboratori della Bell,
Fairchild semiconductor e Intel per dispositivi
come l’iPhone o iPad è stato aiutato dagli appalti
29 giugno 2013
left
copertina
left.it
della US air force e della Nasa, che hanno introdotto apparecchiature elettroniche complementari e altri dispositivi che sarebbero stati semplicemente insostenibili nei mercati commerciali.
La domanda su larga scala di microprocessori
da parte della aviazione americana nasce dal
programma di missili Minuteman II. La missione
Apollo della Nasa ha spinto la domanda tecnologica, chiedendo miglioramenti significativi nel
processo di produzione di microprocessori ed
anche una maggiore capacità di memoria.
Le agenzie del governo hanno anche contribuito a ridurre i costi dei circuiti integrati in modo
significativo nel giro di pochi anni. Infatti sebbene gli Usa fossero stati la patria delle prime
innovazioni nei semiconduttori durante gli anni
1980, il Giappone stava sviluppando a un passo
più veloce la capacità di produzione avanzata di
prodotti di memoria competitivi. Il timore crescente che attrezzature vitali per la difesa nazionale potessero essere importati da paesi come il
Giappone, ha spinto il dipartimento della Difesa
ad agire. Il risultato è stata la Strategic computing initiative, (Sci), un piano che ha assegnato
oltre un miliardo di dollari per sostenere gli sforzi di ricerca avanzata nell’informatica tra il 1983
e il 1993. Riconoscendo l’opportunità unica che
la produzione di semiconduttori avrebbe potuto fornire il governo federale ha raccolto i produttori nazionali e le università per formare una
consorzio chiamato Sematech (Semiconductor
manufacturing technology). Questa mossa faceva parte di uno sforzo globale per la promozione
economica degli Stati Uniti dinanzi ai concorrenti esteri. Al fine di rendere questa partnership
più attraente, il governo americano ha sovvenzionato Sematech con 100 milioni di dollari l’anno. Le prestazioni avanzate dei microprocessori
e dei chip di memoria di oggi sono in gran parte
il risultato di anni di intervento del governo.
3) Il multi touch
Lo sviluppo dello schermo multi-touch è stata la
tecnologia che più d’ogni altra ha portato al successo la Apple. Ha cambiato l’interazione uomomacchina attraverso una nuova interfaccia che
ha permesso alle dita di navigare sulla superficie
di vetro a cristalli liquidi dei dispositivi palmari.
Questo nuovo modo di interfacciarsi coi dispositivi elettronici deriva da una ricerca di base e
left 29 giugno 2013
Apple è in fondo alla classifica
per investimenti in ricerca
applicata finanziata dallo Stato. Negli anni 90,
la tecnologia touch screen, incorporata in una
varietà di prodotti tra cui quelli di Apple, era in
grado di gestire solo manipolazioni singole sullo schermo. L’introduzione dello scorrimento
multi-touch e del riconoscimento dei gesti è stato sviluppato presso l’università di Delaware nel
1999 da Wayne Westerman, un dottorando. La
ricerca era finanziata da denaro pubblico, grazie
al programma di borse post dottorato della National science foundation (Nsf) e alla Cia. Dopo
il completamento del dottorato, Westerman e il
suo professore, John Elias, hanno commercializzato la nuova tecnologia, fondando la società FingerWorks. Il loro tentativo è stato subito
notato da Apple. FingerWorks viene acquisita
da Apple nel 2005, prima del lancio della prima generazione di iPhone, avvenuta nel 2007.
Westerman e il prof Elias, con il finanziamento
delle agenzie governative, hanno prodotto una
tecnologia che ha rivoluzionato il settore mobile
dei dispositivi dell’elettronica multi miliardaria.
Il portafoglio molto ricco delle proprietà intellettuali di possedute da Apple ha beneficiato, ancora una volta, di una tecnologia originariamente
firmata dallo Stato.
4) Internet
Anche se l’iPhone sembra un gadget “cool”, ciò
che rende il telefono davvero “intelligente” è la
sua capacità di collegare gli utenti della telefonia al mondo virtuale, da qualsiasi luogo.
Durante il periodo della guerra fredda, le autorità statunitensi erano preoccupate di possibili
bombardamenti nucleari e delle loro conseguenze sulle reti di comunicazione. Paul Baran,
un ricercatore della Rand - un’organizzazione
che ha le sue origini nel progetto dell’aviazione
americana per la Ricerca e Sviluppo - consigliò
una soluzione innovativa: una rete distribuita di stazioni di comunicazione invece di un
impianto centralizzato di commutazione. In
questa maniera il sistema di comando sarebbe
potuto sopravvivere anche a un attacco nucleare. Le sfide tecnologiche per costruire una
tale rete erano state superate grazie alle varie
21
copertina
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© MONTOYA/AP/LAPRESSE
puter installato presso il Cern. Il manifesto di
Berners-Lee e Cailliau del 1989 che descrive la
costruzione del world wide web è diventato lo
standard internazionale per la connessione dei
computer di tutto il mondo. Il finanziamento
pubblico ha svolto un ruolo significativo per
Internet dal suo concepimento alla sua applicazione in tutto il mondo.
Il laboratorio
di Albuquerque,
New Mexico,
dove si producono
i processori Intel
22
squadre organizzate dal laboratorio pubblico
militare Darpa per lavorare sulla trasmissione
di informazioni. Nonostante il Darpa avesse
avvicinato l’At&t e l’Ibm per condividere il progetto, le aziende rifiutarono l’offerta ritenendo
che una tale rete sarebbe stata una minaccia
alla loro attività. Il Darpa riuscì invece a impiantare una rete che collegava con successo
le varie stazioni da Ovest alla costa orientale.
Dal 1970 fino agli anni 90 il Darpa ha finanziato
il protocollo di comunicazione (Tcp/Ip), il sistema operativo che operava sulla rete (Unix)
e il programma di posta elettronica necessario
per la comunicazione del sistema, mentre la
National science foundation (Nsf) avviava lo
sviluppo negli Usa delle prime reti digitali ad
alta velocità. Nel frattempo, alla fine degli anni
80, lo scienziato britannico Tim Berners-Lee
stava sviluppando l’Hypertext markup language (Html), il sistema degli indirizzi elettronici
Uniform resource locator (Url) e il protocollo
di comunicazione Hypertext transfer protocol (Http). Berners-Lee, con l’aiuto di un altro
scienziato, Robert Cailliau, ha implementato il
primo protocollo Http con successo in un com-
5) Il Gps
Un’altra grande caratteristica che offre un iPod,
iPhone o iPade è il sistema globale di posizionamento (Gps). Il Gps è nato da un tentativo del dipartimento della Difesa americano di digitalizzare il posizionamento geografico per migliorare il
coordinamento e la precisione dei mezzi militari
dispiegati nel mondo. Ma la tecnologia, concepita per un uso strettamente militare, dalla metà
degli anni 90 è ampiamente disponibile per vari
usi civili. Eppure, ancora oggi, la US air force è
in prima linea nello sviluppo e manutenzione del
sistema, che costa al governo una media di 705
milioni dollari l’anno. Un utente iPhone può cercare un ristorante o un indirizzo, grazie al sistema Gps Navstar, costituito da una costellazione
di 24 satelliti. Ma questa tecnologia, nonché la
sua infrastruttura, sarebbe stata impossibile
senza che il governo se ne assumesse l’iniziativa
e l’impegno finanziario.
6) Il Siri
L’ultima caratteristica dell’iPhone è un assistente personale virtuale noto come Siri. Come la
maggior parte delle tecnologie dei prodotti iOS
di Apple, Siri ha le sue radici nei fondi federali
di ricerca. Siri è un programma di intelligenza
artificiale composto da macchine che imparano
l’elaborazione del linguaggio umano e da un algoritmo di ricerca web. Nel 2000, Darpa ha chiesto allo Stanford research institute di assumere
il coordinamento di un progetto condiviso tra 20
università americane per sviluppare una sorta
di «assistente d’ ufficio virtuale» per assistere
il personale militare, detto “Cognitive Assistant
that learns and organizes” (Assistente cognitivo
che impara e organizza, Calo). Quando l’iPhone è
stato lanciato nel 2007, lo Stanfor research institute ha riconosciuto l’opportunità di Calo come
applicazione per smartphone e poi ha commercializzato la tecnologia fondando la società Siri,
29 giugno 2013
left
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sostenuta anche da un finanziamento di venture
capital avviato nello stesso anno. Nel 2010, Siri
è stata acquisita da Apple per un importo che
non è stato rivelato da nessuna delle parti. Il Siri
ha lanciato un nuovo round nella ridefinizione
degli standard per l’interazione uomo-macchina.
Steve Jobs ha spesso riconosciuto il potenziale
dell’intelligenza artificiale e il suo interesse per
il futuro della tecnologia. Ancora una volta, Apple è in procinto di costruire il futuro per l’informazione e l’industria della comunicazione sulla
base di idee e alle tecnologie pazientemente promosse dal governo.
7) Schermi Lcd
Anche la storia del display a cristalli liquidi (Lcd)
è radicata nel bisogno dei militari degli Stati
Uniti di rafforzare le loro capacità tecnologiche
come una questione di sicurezza nazionale. La
tecnologia Lcd è nata durante gli anni 70, quando
il transistor a pellicola sottile (Tft) era in fase di
sviluppo presso il laboratorio di Westinghouse,
sotto la direzione di Peter Brody. La ricerca era
quasi interamente finanziata dall’esercito americano. Tuttavia, quando la Westinghouse decise
di sospendere gli esperimenti, Brody cercò altre
possibilità di finanziamento, nella speranza di
commercializzare la tecnologia. Contattò numerose compagnie, tra le quali Apple, Xerox,
3M, Ibm, Dec e Compaq. Ma tutte si rifiutarono
di firmare, perché dubitavano delle capacità
di Brody di costruire le dimensioni produttive
necessarie per fornire il prodotto a un prezzo
competitivo rispetto agli omologhi giapponesi.
Nel 1988, dopo aver ricevuto un contratto con
il laboratorio pubblico Darpa di 7,8 milioni, Brody fondò Magnascreen per produrre gli schermi
Lcd. Florida e Browdy hanno sostenuto che questa incapacità da parte dei privati di sostenere la
produzione di alcuni settori dell’Hi tech è stato
un grande problema per il sistema nazionale.
E che in questo obiettivo anche i finanzieri dei
ventur capital hanno fallito. Né le grandi né le
piccole imprese sono state in grado di abbinare
le innovazioni con la forza produttiva necessaria
per un prodotto commerciale.
Nel tentativo di mantenere la produzione di TftLcd negli Stati Uniti, è stato creato un consorzio
tra i principali produttori di display, l’Admarc
(Advanced display manufacturers of America
left 29 giugno 2013
Senza gli investimenti di Stato Jobs avrebbe
potuto inventare solo un nuovo giocattolo
research consortium), sostenuto dal finanziamento iniziale del National institute of Standards e (Nist) e dall’Advanced technology program (ATP). L’industria degli Lcd ha anche ricevuto nel 1990 un’ulteriore assistenza da parte del
governo Usa sotto forma di tariffe anti importazione. Proprio mentre contemporaneamente si
sollecitava la “libera concorrenza”.
8) Batterie al litio
La batteria agli ioni di litio è un altro esempio
di invenzione Usa perfezionata dalla tecnologia
giapponese e prodotta all’estero in grandi volumi. La tecnologia, nata dalla ricerca di John
B. Goodenough, ha ricevuto il suo principale
sostegno finanziario da parte del dipartimento
dell’Energia (DoE) e National science foundation (Nsf), alla fine degli anni 80. Ma le principali scoperte scientifiche compiute presso
l’università del Texas a Austin sono state rapidamente commercializzate e lanciate nel 1991
dal gigante giapponese dell’elettronica Sony.
Un altro importante successo scientifico americano svanì senza essere utilizzato in una industria ad alto volume produttivo. La visione a
breve termine delle coorporation americane è
basata sulla realizzazione di rapidi ritorni finanziari e spesso ha inibito il rafforzamento delle
capacità produttive nazionali, incoraggiando
l’outsourcing. Al contrario dei concorrenti
giapponesi che cercano la massimizzazione
della quota di mercato a lungo termine. L’assenza di una tecnologia delle batterie che risponda al bisogno di stoccaggio per dispositivi
elettronici sempre più potenti, ha posto la più
grande sfida per l’industria elettronica dopo la
rivoluzione dei semiconduttori. L’invenzione
della tecnologia al litio ha permesso ai dispositivi portatili di diventare più sottili e leggeri
e di aumentare la durata della batteria. Ancora
una volta, il governo federale ha fatto un passo
per aiutare le aziende attraverso una varietà di
agenzie e programmi che hanno investito nel
settore, nel tentativo di sviluppare dispositivi
non solo per elettronica ma - ancora più importante - per veicoli elettrici a “emissioni zero”.
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© FRUSTACI / EIDON
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MATRIMONIO
ALL’ITALIANA
di Rocco Vazzana
Dopo la condanna a 7 anni per Silvio Berlusconi, il Pd sminuisce e non mette
in discussione l’alleanza. Ma dietro l’angolo ci sono nuove sentenze in arrivo
e il futuro del governo resta in bilico. Aspettando il voto sull’ineleggibilità
I
l principale alleato di Enrico Letta è un
condannato a 7 anni di reclusione in primo grado. Ma per gran parte del Pd è solo un dettaglio. A largo del Nazareno, il Pdl e
il suo capo evidentemente vengono concepiti
come due entità distinte. Da un lato c’è l’uomo
che approfitta di prostitute minorenni e sfrutta il suo ruolo politico per intimidire un intero commissariato di Polizia, dall’altro c’è il partito sul quale lo stesso uomo regna. Altro che
questione morale. Per 20 anni la sinistra si è autopercepita eticamente superiore al berlusconismo, centrando buona parte delle sue campagne elettorali su questo assunto. Con le larghe intese, però, la presunta innocenza è finita.
E non serviva una sentenza del tribunale di Milano per decretare la fine della favola. Perché i
democratici governavano già insieme a chi ha
sempre sponsorizzato l’eversione fiscale, ha
screditato un potere dello Stato, ha baciato le
mani a dittatori, ha foraggiato cricche. L’esecutivo in carica però vorrebbe rappresentare
l’unità nazionale, l’unità tra due popoli e due
culture che fino a ieri si sono fronteggiate. Da
una parte le piazze per la legalità, per il lavoro,
per i diritti, per la solidarietà. Dall’altra quelle
del «meglio puttaniere che frocio», del «la condanna l’hanno decisa tre racchie», del «al suo
posto avrei fatto la stessa cosa» come ripetevano martedì scorso i partecipanti all’iniziativa
organizzata da Giuliano Ferrara a Roma in difesa del capo “martire”. Per molti democratici,
probabilmente, queste due Italie possono coesistere, raggiungere obiettivi comuni, guardare
allo stesso orizzonte.
Sempre che Silvio non decida di staccare la spina, come vorrebbero molti suoi colonnelli che
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non hanno esitato a lanciare segnali minatori alla maggioranza dopo la condanna di Sua Emittenza. In casa Pd, invece, non si lasciano impressionare dalle sentenze: né da quella appena
pronunciata, né da quella che potrebbe arrivare
a ottobre, dalla Cassazione, nell’ambito del processo Mediaset. Senza contare che il 27 giugno
a Napoli sono iniziate le udienze preliminari relative all’inchiesta sulla presunta compravendita di parlamentari da parte dell’ex premier. Particolari, quisquilie dall’inesistente valore politico? Bisognerebbe chiedere alla base del Partito
democratico che non ha mai digerito l’abbraccio col Caimano, mentre nei piani alti del Nazareno fanno finta di niente. E se i processi non
La piazza pro Cavaliere grida:
«Meglio puttaniere che frocio»
appassionano il partito di sinistra del governo
- che ha commentato la sentenza Ruby con un
asettico «prendiamo atto e rispettiamo la sentenza» - non è detto che il dibattito non accalori altre forze nell’emiciclo. Come Sel e il Movimento 5 stelle, le uniche compagini parlamentari a ricordare costantemente che Silvio Berlusconi sarebbe ineleggibile. Non da oggi, ma fin
dal 1994. Lo dice una legge del 1957 che regolamenta l’attività politica dei concessionari di reti televisive. Il 9 luglio, la questione approderà
(o meglio, dovrebbe approdare) alla Giunta per
le elezioni e immunità del Senato. In quel contesto, ognuno dovrà esporsi e almeno una parte del Pd potrebbe essere tentata dall’accodarsi ai pentastellati. Per uscire dall’impasse, mediando anche col Pdl, l’ex vicedirettore del Cor-
Il presidente
del Consiglio
Enrico Letta e il
presidente del Pdl
Silvio Berlusconi
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sera - oggi senatore democrat - Massimo Mucchetti ha depositato un disegno di legge che, se
approvato, trasformerebbe Berlusconi da ineleggibile a incompatibile con la carica di parlamentare. Spostando in avanti il problema. Perché, si sente ripetere come un mantra in questi
giorni, «gli avversari vanno battuti politicamente», non per vie giudiziarie. Un fair play insensato che sottintende la possibilità di porsi al di
sopra della legge per gli uomini di potere. Anche perché la vicenda Ruby non riguarda solo
Silvio. Potrebbe finire sotto inchiesta per falsa
testimonianza anche un esponente del governo
Letta: il vice ministro degli Esteri, Bruno Archi.
Ma in questa fase, meglio evitare strappi inutili. Tutto si può sistemare a tavola. O così hanno provato a fare il 25 giugno il premier e il capo del Pdl, nel corso di una cena in cui tra gli atri
commensali spiccavano Angelino Alfano ed
Enrico Letta, braccio destro di Silvio e zio del
presidente del Consiglio.
In ballo non c’è solo l’etica o la moralità dell’esecutivo, ma il sistema Paese. I due partiti oggi alleati saranno capaci di offrire all’Italia un progetto condiviso? Per il momento è solo bagarre,
e ognuno porta acqua al proprio mulino. Imu,
Iva, F35: sulle questioni concrete, Pd e Pdl non
riescono a trovare la quadra, col rischio di condannare l’Italia a inutili mesi di immobilismo.
La sensazione è che la tregua armata serva solo a prendere tempo per riorganizzare i rispettivi campi, stravolti dal ciclone M5s, in attesa
di nuove elezioni. Che probabilmente si terranno con l’attuale sistema elettorale, il tanto vituperato Porcellum che nessuno ha il coraggio di
cambiare. I democratici sono convinti di avere
nella manica l’asso Matteo Renzi, capace di battere chiunque, compreso Beppe Grillo. Prima
però dovrà vincere il congresso del partito. E
non è detto che basti la benedizione di Massimo
D’Alema a convincere la base democratica. In
caso di successo, però, Renzi dovrà vedersela
non solo con l’ex comico genovese, dovrà avere la meglio anche contro Berlusconi, che alle
prossime elezioni potrebbe scendere in campo
con un volto nuovo, quello di Marina, e un partito vecchio ma rodato: Forza Italia.
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© SCUDIERI/IMAGOECONOMICA
Tra Pd e Pdl per il momento è tregua armata,
in attesa che in campo scenda Marina
La croce
di Crocetta
di Salvo Toscano
Ai ballottaggi in Sicilia perde la grande
coalizione del governatore, alleato con
l’Udc. Vince la voglia di cambiamento
A
Messina la festa era saltata al primo turno
per una manciata di voti. Giusto un centinaio ne erano mancati all’appello a Felice Calabrò, candidato del Pd sostenuto dal centrosinistra allargato all’Udc per archiviare la pratica senza ballottaggio. Il guastafeste, l’outsider
che non t’aspetti, è venuto fuori a sorpresa, dirompente come uno tsunami che s’è abbattuto
sulla città dello Stretto. Renato Accorinti, candidato della sinistra radicale e protagonista delle battaglie NoPonte ha sbancato il ballottaggio
diventando sindaco nella città di Francantonio
Genovese, indiscusso dominus del Pd messinese nonché recordman nazionale di preferenze
29 giugno 2013
left
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alle primarie (e politico discusso per i suoi interessi nella formazione professionale), e di Gianpiero D’Alia, ministro di Enrico Letta e leader incontrastato dell’Udc siciliana. Non sono bastati
gli apparati per frenare la voglia di cambiamento di Messina, una delle roccaforti conservatrici
di Sicilia, travolta dal ciclone Accorinti.
Qualcosa di simile è accaduto a Ragusa, dove il
Movimento 5 stelle, boccheggiante al primo turno delle Amministrative, ha piazzato il colpaccio, eleggendo il suo secondo sindaco di un capoluogo di provincia, dopo Federido Pizzarotti. Nella città del barocco l’ha spuntata un altro
Federico, Piccitto, ingegnere con l’hobby della
pallacanestro e del pianoforte, che ha sconfitto
in un sol colpo centrosinistra e centrodestra. Sì,
perché a Ragusa, il Pdl, sconfitto al primo turno, aveva dato indicazione di voto in favore di
Giovanni Cosentini, candidato del centrosinistra, con un profilo non esattamente rivoluzionario. Cosentini, democristiano, era stato infatti vicesindaco di Nello Dipasquale, per lunghi anni primo cittadino del Pdl, di recente transitato dall’altra parte della barricata al seguito del governatore regionale Rosario Crocetta.
La grande ammucchiata che ha preso corpo attorno a Cosentini è stata bocciata dagli elettori, che anche in questa tornata elettorale in Sicilia hanno mandato al Palazzo un segnale forte e
chiaro, che parla della voglia di voltare pagina.
Ed è questa la chiave di lettura che spiega le
sconfitte, ma anche le vittorie del centrosinistra in queste Amministrative siciliane. Come
quella maturata a primo turno con Enzo Bianco
a Catania, dove gli elettori hanno inteso punire
i tredici anni non certo brillanti di amministrazione di centrodestra. Stesso copione a Siracusa, dove al ballottaggio l’ha spuntata il renziano
Giancarlo Garozzo, strappando al centrodestra
una roccaforte che nell’ultimo decennio era apparsa inespugnabile.
Insomma, dove il centrosinistra ha vestito i panni della rottura col passato, l’ha spuntata. Dove invece gli apparati hanno prevalso sull’immagine di novità, vedi appunto Ragusa e Messina, è arrivata la batosta. E vana è stata la discesa in campo nella settimana cruciale di Matteo Renzi, che aveva auspicato un “cappotto”
rimasto nell’armadio. Chi ci aveva visto giusto
left 29 giugno 2013
dalle parti di Ragusa era stata Sel, che al ballottaggio aveva annunciato invece il suo appoggio
all’outsider grillino, vincitore alla fine dei giochi con quasi il settanta per cento dei consensi.
Rosario Crocetta alla fine canta comunque vittoria, sottolineando la “destrutturazione del
centrodestra”, a cui nell’Isola rimangono le
briciole. E di un Pd in piena salute parla anche
il segretario regionale Giuseppe Lupo. Ma tra i
democrat la resa dei conti è solo questione di
ore in vista del congresso d’autunno. Le grandi manovre sono già in corso e i veleni scorrono copiosi. Tra i temi più caldi, il rapporto tra il
partito e il Megafono, il movimento dai democratici Rosario Crocetta e Beppe Lumia, che in
Il candidato democratico di Ragusa
proveniva da una giunta del Pdl
alcuni Comuni siciliani si è presentato contro
il Pd (a Piazza Armerina addirittura alleato del
Pdl, e sconfitto). Le schermaglie sono già partite ma le forze in campo sono ancora confuse
e attendono che a Roma gli schieramenti congressuali si definiscano con maggiore chiarezza. Il segretario Lupo, moderato di estrazione
cislina, potrebbe ricandidarsi, ma grandi manovre sono in corso nelle correnti degli ex Ds
(quella di Antonello Cracolici, in passato regista del discusso patto con Raffaele Lombardo,
e quella che vede in prima linea il redivivo Mirello Crisafulli, escluso dalle liste delle Politiche), pronti a lanciare l’assalto alla segreteria. E tra i renziani, che sembrano intenzionati a puntare sul poco più che trentenne deputato regionale Fabrizio Ferrandelli, palermitano, già sfidante di Leoluca Orlando alle ultime comunali del capoluogo. Uno dei suoi cavalli di battaglia è la richiesta di una maggiore
apertura ai movimenti. I risultati di Messina e
Ragusa lo confortano. E ci sono poi Crocetta
e Lumia, col loro Megafono, creatura sempre
più ingombrante e indigesta da pezzi del partito. La partita è aperta e si intreccia con quella
che riguarda il governo regionale e le ripetute
istanze di rimpasto proposte dagli alleati a Rosario Crocetta. Sarà un’estate calda per la politica siciliana.
Il presidente della
Regione siciliana
Rosario Crocetta
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Taglio i ponti
coi poteri forti
di Tiziana Barillà
Pacifista, ambientalista, di sinistra. Parla Renato
Accorinti, il nuovo sindaco di Messina. «In riva
allo Stretto ho scardinato un sistema che sembrava
imbattibile. Ha vinto la partecipazione»
«N
on sapevano che era impossibile,
quindi l’hanno fatto». L’insolita citazione di Mark Twain è scritta a mano su uno striscione. E, dietro, con l’immancabile maglietta NoPonte, c’è il neosindaco di Messina Renato Accorinti che si presenta alla sua città pochi minuti dopo la vittoria. Insolito è anche ciò
che è accaduto in riva allo Stretto: supportato
da un’unica lista (Accorinti sindaco), ha vinto
l’uomo del NoPonte, della nonviolenza, dell’antimafia, della sinistra movimentista e partecipata. Al piddino Felice Calabrò non sono bastate otto liste collegate, dall’Udc al chiacchierato
Megafono di Crocetta, per avere la meglio. Con
pochi “piccioli”, ma molti anni di lotte alle spalle, Davide ha battuto Golia. In una città, Messina, che si è guadagnata l’aggettivo di “conservatrice”, sin dal lontano 1946 quando oltre l’85
per cento dei messinesi si schierò con la monarchia e non con la Repubblica. In un’amministrazione che non trova pace da oltre 5 anni, con due sindaci costretti a rimettere la fascia tra le mani di un commissario, nel 2008 e
nel 2012, per inadempienze burocratiche. Senza contare gli scandali che hanno travolto il Pd
e alcuni suoi esponenti di spicco, a partire dal
deputato Francantonio Genovese, indagato per
associazione a delinquere finalizzata a pecula-
VALENTINA, LA MILITANTE CHE HA SFIDATO EPIFANI
H
a rischiato di farsi buttare fuori dal suo partito, il Pd, per aver
annunciato il voto al candidato del
Movimento 5 stelle che ha vinto il ballottaggio a Ragusa. Contro l’uomo
scelto dai democratici, che aveva solo un piccolo difetto: essere il vicesindaco della giunta uscente. Di centrodestra. Le urne però hanno dato ragione a lei, Valentina Spata, 32 anni,
militante di base del Pd di Ragusa. E
ora la giovane democratica ci tiene a
togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Mettendo legna sul fuoco ardente
del Pd siciliano.
Ha avuto ragione lei e torto il Pd.
Contenta?
A Ragusa ha perso una parte del par-
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tito, e ha vinto il centrosinistra: nella
giunta, col M5s, entreranno due assessori dei movimenti civici, di sinistra.
Nessuno nel Pd le ha dato ascolto?
Civati è stato l’unico a darci attenzione. Avevamo chiesto un incontro a
Epifani, ma non ci ha dedicato neppure 5 minuti quando è venuto a Ragusa per sostenere il candidato sconfitto. Era meglio se restava a Roma.
Da quando sta nel Pd?
Ero iscritta ai Ds, ci sto dalla fondazione.
Ma la disciplina di partito...
Il candidato di questa accozzaglia
che ha perso era Giovanni Cosentino,
ex Udc, ex Pid, il partito dei cuffariani. È stato presidente provinciale ai
di Manuele Bonaccorsi
tempi di Cuffaro, poi vicesindaco di
Nello di Pasquale, ex Pdl, oggi deputato regionale di Crocetta. Le liste di
Cosentino erano piene di ex Pdl ed ex
An. Come si poteva votarlo?
Pur di vincere...
Non è così. Se il Pd si fosse alleato coi
due movimenti della società civile
che hanno partecipato alle elezioni,
avremmo vinto.
Il Pd dovrebbe parlare coi 5 stelle?
Quelli del M5s sono ragazzi, giovani,
il loro candidato è cattolico, viene dai
salesiani, ha sempre fatto politica e
nelle scorse elezioni aveva sostenuto il Pd. A Ragusa non ha vinto Grillo, ma un candidato che rappresenta una generazione, che ha messo da
29 giugno 2013
left
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to e truffa. In ambiente inospitale, Renato Accorinti ha deciso di fare da apripista al cambiamento. «Dal basso», ci tiene a precisare. «I sociologi verranno a frotte per cercare di capire
quello che è successo. Qui ci sono 40 anni di lotta, giorno per giorno, e per 30 anni noi abbiamo
preso calci in faccia, fin dai tempi delle manifestazioni contro i missili di Comiso. Però lavorare seriamente, senza rabbia, con le proposte, e
cercando di agire sulle frequenze che toccano
l’anima della gente, questo paga. I frutti sono arrivati». Accorinti, 59 anni, insegnante di educazione fisica, lo raggiungiamo al suo arrivo a Palazzo Zanca, sull’irrinunciabile bicicletta, per la
proclamazione ufficiale. L’entusiasmo è ancora
alle stelle e i suoi compagni di viaggio sono tutti
intorno a lui, e gli passano le telefonate. Perché
Renato un cellulare non lo ha mai avuto.
Perché i messinesi hanno votato Accorinti?
Ci sono quasi 50mila persone in questa città che
hanno votato per stima e non per “altri motivi”.
Qui le lotte sono state immense e lunghe. Piano
piano la gente ha cominciato a capire che c’era
qualcuno che lavorava senza un interesse personale. La richiesta di candidarmi è venuta dai cittadini, con 5mila firme raccolte, per questo ho accettato. Abbiamo affrontato un’avventura molto
bella, abbiamo costruito il programma attraverso i tanti incontri, dal basso. E la gente ha creduto
in questo progetto, che è un’evoluzione della politica. Noi chiediamo agli elettori di passare dall’indifferenza, dalla delega alla partecipazione.
parte gli affarismi. I ragazzi del M5s
sono diversi da Grillo.
Lo dica ai suoi dirigenti.
Questa vicenda dà un segnale a tutti.
Il Pd deve mettere da parte i vecchi
schemi. Gli italiani sanno scegliere,
ma solo se c’è una proposta seria: il
Pd vince quando rappresenta il cambiamento e dove c’è il centrosinistra.
Ha perso anche a Messina, dopo gli
arresti per truffa, che hanno lambito
il partito.
Eppure siete alleati dell’Udc.
Ma l’Udc in Sicilia è un’altra cosa.
Era il partito di Cuffaro. E se devo
scegliere se dialogare con l’Udc o
col M5s...
Cosa sceglierebbe?
La mia storia politica di sinistra è
troppo distante da quella dell’Udc.
left 29 giugno 2013
Ha sconfitto politici molto navigati...
I miei rivali non erano certo quattro scappati di
casa, ma gente di apparato. C’era un parlamentare del Pdl (Vincenzo Garofano, ndr) e la macchina infernale di Francantonio Genovese per
il Pd. Messina è un laboratorio per il Paese, perché è la città più controllata d’Italia.
Controllata da chi?
Qui trovi gli affari di mafia, ’ndrangheta, massoneria, i traffici di armi e droga, la mafia barcellonese che è la seconda più forte della Sicilia. Insomma, i poteri forti. E poi c’è il sistema Genovese che non è poco. Arrivare a fermare a mani
nude una portaerei non era così semplice. Ma la
gente ha creduto in noi.
Anche il modello Crocetta, a guardare
Messina e Ragusa, mostra qualche crepa.
La storia delle persone del Pd di Messina, che
non è certo lo stesso di altre città, ha tirato fuori in molti una voglia di protesta. Genovese e
Franco Rinaldi (cognato di Genovese, deputato regionale Pd, anch’esso indagato, ndr) appartengono a quel sistema di potere che non ha
guardato in faccia nessuno, pensavano solo ai
loro interessi.
E adesso?
Non abbiamo paura di andare avanti per la nostra strada, perché sappiamo di parlare sulle frequenze dell’anima. Quando parli di “anima” e di
“atto d’amore” nel 2013, usi un linguaggio per cui
o ti rinchiudono in un ospedale psichiatrico oppure accade qualcosa di eccezionale.
Invece è un errore non dialogare col
M5s. Il bacino elettorale è lo stesso.
A Epifani cosa vorrebbe dire?
Che un segretario nazionale deve conoscere i territori e ascoltare la base.
I dirigenti non sono nessuno senza
militanti: noi parliamo con la gente, ci
mettiamo la faccia.
Di Renzi si fida?
È un rottamatore delle sue stesse idee, oggi dice una cosa domani
un’altra.
Non è che ha sbagliato partito?
No, voglio cambiarlo. Per questo ho
partecipato a Occupy Pd, sono andata fino a Palermo per occupare la sede. Voglio un ricambio.
Generazionale?
Sì, ma generazionale non vuol dire
anagrafico. Perché ci sono alcuni gio-
Renato Accorinti,
neosindaco di
Messina. Sotto,
Valentina Spata,
militante “eretica”
del Pd di Ragusa
vani che sono vecchi dentro. Spero
in Civati, Serracchiani, Puppato, Madia. E nelle centinaia di iscritti che mi
hanno manifestato la loro solidarietà.
Come si chiama il suo circolo?
Non ha ancora un nome.
Ma quale preferirebbe?
Enrico Berlinguer. Perché abbiamo
dimenticato la questione morale.
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PRIVATI
DELL’ACQUA
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di Felicia Buonomo
29 giugno 2013
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Il referendum è stato chiaro: 27 milioni di
italiani hanno detto no alle tariffe gonfiate
dai profitti dei gestori. Ma il responso non
viene rispettato. Così migliaia di cittadini
hanno deciso di autoridursi le bollette.
E i gestori rispondono chiudendo i rubinetti.
Illegalmente
I
© 123RF
taca. Non è la patria dell’eroe leggendario
Ulisse, ma un condominio alle porte di Modena: 12 appartamenti, 30 residenti. Hanno deciso di “sfidare” Hera, la multiutility che
gestisce in Emilia i servizi pubblici nel settore
energetico, idrico e ambientale, per rispettare
la volontà espressa da 27 milioni di italiani. Il
12 e 13 giugno del 2011 gli elettori si recarono
alle urne per votare al referendum sull’acqua
pubblica. Due i quesiti: uno per evitare la privatizzazione dei servizi pubblici locali, l’altro per
abrogare la norma che “gonfia” le nostre bollette dell’acqua con una quota di remunerazione
del capitale investito dal gestore. Il risultato fu
inaspettato: una valanga di sì sommerse l’allora
governo Berlusconi e quella parte del Pd che si
era spesa per il no (solo due nomi: Enrico Letta
e Matteo Renzi). Solo che il risultato del referendum è rimasto lettera morta: le aziende che
gestiscono l’acqua continuano a far pagare i loro
profitti ai cittadini. Per far rispettare la volontà
popolare, i residenti di Itaca hanno risposto autoriducendosi la bolletta dell’acqua. «Campagna
di obbedienza civile», la chiamano gli aderenti al
comitato per l’acqua pubblica. “Obbedienti”, si
definiscono. Ma Hera la pensa diversamente. Li
etichetta come “morosi” e ha già inviato i propri
tecnici per interrompere il servizio.
left 29 giugno 2013
Con il referendum del 2011 si era sancita infatti
l’abrogazione della norma che consentiva ai gestori del servizio idrico di caricare sulle bollette
anche la componente relativa alla remunerazione del capitale investito (ovvero il profitto per il
gestore), pari al 7 per cento degli investimenti
effettuati. Un “sovrapprezzo” che incide sulle
tariffe per una percentuale tra il 10 e il 20 per
cento. Il referendum, insomma, avrebbe dovuto
avere conseguenze evidenti sulle nostre bollet-
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© SCROBOGNA /LAPRESSE
left.it
A Modena contro chi protesta non si usano
mezze misure: taglio della fornitura
Una protesta contro
Hera a Rimini.
Accanto,
una manifestazione
per l’acqua pubblica
a Roma
il 2 marzo 2011
32
te. Ma a distanza di due anni, nessun gestore ha
applicato la normativa, in vigore dal luglio del
2011. E poiché le istituzioni e i gestori sembrano
ignorare la volontà di milioni di cittadini, alcuni
di loro hanno deciso di “fare da sé”.
«Per Hera siamo morosi, per questo ci “staccano” l’acqua», sbotta Paolo Sighinolfi, uno dei residenti del condominio Itaca di Modena. «Invece
noi abbiamo agito nel rispetto del referendum,
confermato dalla Corte Costituzionale e anche
dal Consiglio di Stato. Agiamo nel rispetto della legalità e crediamo, al contrario, che siano i
Comuni ed Hera a essere fuori legge. Le bollette
continueranno ad aumentare e i cittadini dovranno pagare una quota che non è dovuta».
È la quarta volta che i tecnici della multiutility
emiliana - quotata alla Borsa di Milano - fanno
visita al condominio Itaca. Ora il servizio è stato
ripristinato, dopo le proteste del comitato modenese per l’acqua pubblica, che si è recato in
Consiglio comunale per «fare scorta d’acqua»,
ironizzano. Anche il sindaco di Modena, Giorgio
Pighi, ha invitato Hera a non considerare i residenti di Itaca alla stregua di morosi.
Ma la multiutility emiliana ha ribadito che le
bollette sono da pagare per intero, pena il taglio
della fornitura, come previsto dal regolamento
servizi idrici. «Le tariffe - afferma Hera - sono fissate dall’Autorità per l’energia e le aziende di gestione sono obbligate a rispettarle. Solo dal 2014
l’Autority fisserà le nuove tariffe con gli sconti
previsti dopo il referendum». Anche il Consiglio
di Stato ha confermato l’illegittimità della quota,
quando, a febbraio scorso, ha risposto all’Autority per l’energia, giudicando «in contrasto» col
Referendum il criterio dell’adeguatezza della remunerazione dell’investimento per determinare
la tariffa. Insomma, le bollette sono state «illegittimamente gonfiate».
La battaglia del condominio Itaca non è un
caso isolato. Diverse migliaia di cittadini in tutta
Italia hanno deciso di aderire alla Campagna.
Ad Arezzo si contano circa 2mila aderenti.
Qui ci sono persino degli sportelli informativi
dove è possibile calcolare la quota non dovuta sulla bolletta. Ma per qualcuno la battaglia è
cominciata ben prima del 2011. Precisamente
otto anni fa, quando a Nola (nel napoletano)
la gestione del servizio idrico da pubblica è diventata privata. Una decisione duramente contestata dai nolani, che hanno deciso di non ri-
29 giugno 2013
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società
left.it
conoscere il gestore privato (Gori spa) e hanno
iniziato lo “sciopero della bolletta”. All’inizio
gli aderenti all’iniziativa erano circa 4mila, su
10mila utenze del Comune. Oggi contarli è più
difficile, perché quando il gestore li ha privati
di un bene fondamentale come l’acqua, molti
hanno deciso di pagare. A Nola, infatti, hanno
usato il pugno duro: distacchi del servizio idrico. A pagarne le conseguenze sono poco meno
di una decina di famiglie, che da anni hanno
intrapreso un contenzioso legale contro Gori
spa. Operatori del gestore - denunciano i cittadini - si sarebbero introdotti senza preavviso,
né autorizzazione, all’interno degli edifici degli
utenti, interrompendo la fornitura dell’acqua
potabile ed addirittura portando via i contatori.
Il comitato ha chiesto al primo cittadino Geremia Biancardi (Pdl) di emanare un’ordinanza
per evitare i distacchi del servizio. «Alla base
della nostra lotta - spiega l’avvocato Grauso,
legale del comitato - c’è l’affermazione di un
diritto fondamentale. Non è concepibile che il
gestore proceda con il distacco dell’acqua senza che sia stato un giudice a deciderlo, anche
in caso di morosità. Il modo in cui Gori spa
agisce è truffaldino, perché procede al distacco
senza preavvisare l’utente». L’avvocato Grauso
si appoggia a una sentenza emessa nel giugno
del 2008 dal tribunale di Orvieto, in cui fu condannato il direttore generale del servizio idrico
integrato «per esercizio arbitrario delle proprie
ragioni, per aver operato il distacco a un utente moroso facendo indebito ingresso nell’altrui
proprietà contro la volontà dell’utente». «Il
giudice - aggiunge il legale - ha riconosciuto
sostanzialmente il diritto fondamentale di accesso all’acqua. È un diritto implicito, anche
se non sancito da alcuna normativa. Abbiamo
presentato esposti in Procura, con cui chiediamo di agire sul modello di Orvieto. E procederemo, con il Forum italiano dei movimenti per
l’acqua, per chiedere una modifica legislativa».
Quella di Orvieto non è l’unica sentenza su cui
i comitati cittadini dell’acqua pubblica possono
rivalersi. Nel 2009 una sentenza del Consiglio
di Stato ha reso operativa la scelta del Comune
di Aprilia (Latina) di non approvare il contratto di gestione con Acqualatina spa. Dietro la
sentenza ci sono le 7mila famiglie che nel 2004
left 29 giugno 2013
(quando la gestione idrica passa ad Acqualatina spa, una società controllata per il 49 per
cento dalla multinazionale francese Veolia) decisero di non pagare la bolletta al gestore privato, ma di versare i soldi sul conto corrente del
Comune, con le tariffe che erano state decise
dal Consiglio comunale.
Ma oltre alle sentenze già emesse, ci sono quelle
che potrebbero arrivare. Federconsumatori e il
Forum dei movimenti per l’acqua, infatti, hanno promosso un ricorso al Tar della Lombardia
contro la delibera con cui l’Autorità per l’energia
elettrica e il gas ha approvato il metodo tariffario transitorio, «con la quale - dicono dal Forum
- il risultato del Referendum doveva essere pienamente rispettato, ma così non è stato».
«Il problema - spiega Paolo Carsetti, della segretaria nazionale del Forum italiano dei movimenti per l’acqua - è che il processo di privatizzazione è stato avviato fin dalla metà degli anni
Novanta. Il referendum interviene nel 2011, su
Nasce il gruppo dei parlamentari per l’acqua
pubblica: M5s, Sel e 20 onorevoli Pd
un processo già avanzato. Tutti i gestori ad oggi
sono società per azioni, mirano alla massimizzazione dei profitti. Invertire la rotta e portare la
gestione del servizio in capo agli enti locali, attraverso una gestione che noi vorremmo partecipativa, è molto complicato. Si parla di un business
che ormai garantisce 8 miliardi di euro l’anno».
Da una parte, dunque, le resistenze del mondo
economico-finanziario, dall’altra la sponda politico-istituzionale della maggioranza delle forze
politiche presenti in Parlamento, «fautrici - aggiunge Carsetti - della gestione a stampo privatistico. Il referendum ha dato un segnale forte,
che le forze politiche, dal Pdl al Pd, ignorano per
interessi sovrapposti con le lobby economiche».
Ma non tutti hanno deciso di adeguarsi. Tanto
che, a due anni esatti dal referendum, il 12 giugno scorso, si è costituito l’intergruppo parlamentare per l’acqua bene comune. Ad animarlo
tutti i parlamentari del Movimento 5 stelle, di Sel
e una ventina di appartenenti al Pd, oltre a un
deputato di Scelta civica. Obiettivo: «Tutelare il
diritto all’acqua dei cittadini».
33
calcio mancino
società
left.it
Nel marzo del ’54, dopo uno spareggio con la Spagna, la Turchia si qualifica ai Mondiali
Una “bella” baciata
dalla fortuna
di Emanuele Santi
La Nazionale turca del 1954
È
il 17 marzo 1954 e il cielo di
Roma è talmente bello che,
come diceva Ennio Flaiano
citando Vincenzo Cardarelli, farebbe
rimandare anche un suicidio. Il prato
dell’Olimpico è verde vivo e gli spalti di marmo bianco accolgono 60mila
cappotti pronti a essere riabbottonati
sulla linea d’ombra del tramonto. Non
giocano né la Roma né la Lazio e nemmeno la Nazionale. In campo ci sono
Spagna e Turchia a contendersi l’ultimo posto utile per i Mondiali di Svizzera. La Federazione internazionale
è stata troppo severa con gli spagnoli, vincitori per 4-1 a Madrid e sconfitti a Istanbul per 1-0 dopo che l’uomo
migliore, Laszlo Kùbala, è stato messo fuori uso dai difensori con la mezzaluna sul petto. La differenza reti non
conta. Dopo soli tre giorni dal match
di ritorno, è necessario lo spareggio in
campo neutro. E non c’è posto migliore di Roma, con il governo Scelba appena insediato e con lo stesso presidente del Consiglio che si tiene stretto, ad interim, il ministero dell’Interno. Da quel dicastero, infatti, Mario
34
Niente monetina,
il vincitore viene
sorteggiato da un
bambino di 13 anni
Scelba può manovrare il suo giocattolo preferito: il reparto celere. La Spagna franchista rimane la favorita, ma
come tutte le squadre favorite non gode della simpatia del pubblico. I romani infatti sostengono i turchi allenati in panchina dal genio sottovalutato di Sandro Puppo, centromediano
piacentino che ha finito la carriera su
questo stesso prato indossando la maglia giallorossa. I suoi ragazzi corrono,
si sovrappongono, giocano di sponda, dialogano rasoterra e tengono testa agli uomini di Luis Iribarren Cavanilles che, tuttavia, si portano in vantaggio al decimo minuto. L’esterno José Luis Artetxe entra in area in percussione e fulmina sul primo palo l’immobile portiere Turgay Seren. Poco dopo,
la Spagna raddoppia con un colpo di
testa ravvicinato del numero 10 Pàsie-
guìto, ma l’arbitro bolognese Giorgio
Bernardi, su segnalazione del collaboratore di linea, annulla per fuorigioco. A metà del primo tempo, l’ala turca
Bùrhan Sargun si gira da campione sul
limite dell’area e indovina l’angolo lontano alla destra del portiere Carmèlo
Cedrún: 1-1. Sandro Puppo, allora, richiama i suoi e innalza un argine fitto a
metà campo. Al ventesimo della ripresa, la Turchia affonda nella trequarti
avversaria: il centravanti Suàt Mamat
triangola con Bùrhan e gonfia la rete spagnola per la seconda volta. L’assenza di Kùbala si fa sentire, ma quando mancano dieci minuti al termine, il
numero 9 Adrián Escudèro approfitta
dell’ingenuità dei difensori turchi troppo lenti nell’allontanare il pallone e risolve la mischia per il 2-2 finale. Niente monetina, si fa il sorteggio. I foglietti
con i nomi delle due squadre finiscono
dentro un cappello e viene chiamato a
estrarre un tredicenne. Il biglietto scelto è proprio quello col nome della Turchia. La Spagna di Franco rimane nello
stesso isolamento internazionale dal
quale, in realtà, era appena uscita grazie agli accordi col presidente americano Dwight Eisenhower e al recente
Concordato con la Santa Sede. Il grande Real Madrid di Alfredo Di Stefano
avrebbe presto portato il Paese verso
il “desarrollo”: il miracolo economico. La Turchia invece era governata da
Adnan Mendères, fondatore del Partito democratico, noto per l’aspra politica di censura e per gli arresti di intellettuali e giornalisti scomodi. L’anno successivo avrebbe organizzato il pogrom
di Istanbul contro le comunità: greca,
armena ed ebraica. Era quasi primavera anche sul Bosforo. A mandare la
giovane Turchia ai Mondiali era bastata la mano di un adolescente.
[email protected]
29 giugno 2013
left
mondo
BENESSERE
RIBELLE
left.it
di Paola Mirenda
mondo
left.it
Una mobilitazione partita
via internet. Un mese di
manifestazioni. Tre morti
e un milione di persone
in piazza. La classe media
creata da Lula si ribella
al padre. E chiede di più
V
© MORENATTI/AP/LAPRESSE
enti centesimi di real sono bastati a incendiare gli animi, ma non basteranno a placarli. Nonostante la maggior
parte degli Stati federali del Brasile abbia annunciato l’intenzione di soprassedere sull’aumento delle tariffe dei trasporti, i manifestanti non smetteranno di protestare. Come in uno
scoperchiato vaso di Pandora, le rivendicazioni che erano state seppellite per obbedire alla
pacificazione chiesta dal Pt, il Partito dei lavoratori fondato da Lula, sono riemerse tutte insieme. E non basta più una ricetta economica:
al governo oggi la gente chiede risposte politiche. Così il primo luglio le piazze brasiliane
promettono di riempirsi nuovamente di gente
che manifesta contro le grandi opere (gli stadi,
ma non solo), contro la riforma costituzionale
che sottrae il potere di indagine alla magistratura, contro il progetto di “cura per i gay” approvato alla Camera, contro il costo dell’istruzione e la mancanza di scuole, contro le strade
che non ci sono e la riforma agraria che marcia
a passi lentissimi, contro lo sgombero violento delle favelas e contro la corruzione. Ma che
non è contro Dilma Rousseff, la presidente. Per
lo meno, non ancora.
Il Partito dei lavoratori sembra oggi una ballerina impazzita che non sa più dove voltarsi, obbligato ad accontentare tutti per non inimicarsi completamente nessuno. Così il 21 giugno, al
culmine delle proteste, il Comitato centrale dello Stato di Sao Paulo ha rilasciato un comunicato in cui conferma «il sostegno alle manifestazioni in corso» ma nello stesso tempo si «esprime solidarietà al sindaco di Sao Paulo», di cui
invece i dimostranti chiedevano le dimissioni,
accusandolo di essersene andato a Parigi a presentare la Confederation Cup mentre loro pro-
Barcellona,
manifestazione
di cittadini brasiliani
a sostegno delle
proteste in patria
37
mondo
left.it
© DANA/AP/LAPRESSE
Il sociologo Ridenti: «Nei cortei c’è gente
istruita e che lavora. Non i poveri»
Belo Horizonte,
22 giugno 2013.
Marcia verso
il Mineirao stadium,
in concomitanza
con l’inizio della
partita tra Messico e
Giappone. Di lì a poco
i manifestanti saranno
caricati dalla Polizia
Militar davanti
allo stadio
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testavano. Per fortuna Geraldo Alckmin, il governatore dello Stato che ha ordinato la feroce repressione messa in atto dalla polizia militare, non appartiene al Pt. Così almeno una parola di condanna il partito della presidente l’ha
detta. Ma per Dilma Rousseff non è facile gestire una situazione che sembrerebbe averla colta
davvero impreparata, e che in qualche modo le
si rivolta contro non per la mala politica attuata, ma per quella buona. Non spaventano le manifestazioni, che ci sono sempre state, ma i partecipanti. Perché, a ben guardare, chi è in piazza oggi è la nuova classe media, non i ceti proletari o i possidenti fondiari. E la nuova classe
media brasiliana è figlia delle politiche di Lula prima e di Dilma poi. Gente che ha paura di
non poter mantenere il tenore di vita attuale, o
di non riuscire a conseguire la mobilità sociale desiderata.«Tra il 2000 e il 2011 ci sono stati 5 milioni di laureati in più», spiega il sociolo-
go Marcelo Ridenti, docente all’Unicamp di San
Paolo. «Il movimento che oggi è nelle strade è
fatto al 90 per cento di gente che ha un’istruzione superiore, un impiego. Non è la gente povera
o poverissima. È una nuova classe di lavoratori
destinata ad aumentare nei prossimi anni, che
chiede maggiore protezione sociale, una sanità
migliore, un’educazione di qualità». Che vuole,
insomma, quello che ha adesso, ma fatto meglio.
È una classe emergente che, secondo Claudia Damasceno Fonseca, condirettrice del Centro di studi brasiliani di Parigi, «ha potuto avere all’improvviso una macchina, prendersi le ferie, consumare», mettendo però in crisi la “vecchia classe media”, che ha visto invece diminuire i propri privilegi.
È la stessa Dilma Roussef a riconoscere, presentando a fine aprile il rapporto statistico sulla popolazione, che il Brasile «è diventato un
Paese borghese». In dieci anni 40 milioni di
persone sono entrate a far parte della classe
media, sia pure prevalentemente nella fascia
C, quella che identifica i salariati che guada-
29 giugno 2013
left
mondo
left.it
gnano tra i 1.064 e i 4.561 real (tra 368 e 1580
euro). In tutto, rappresentano oltre 90 milioni
di persone, più del 50 per cento del Paese. Ma
c’è di più: mai come in questo momento la probabilità di passaggio dalla classe C alla classe
A - i ricchi davvero - è stata così alta, e mai così debole il rischio di precipitare nella classe
E quella del salario minimo. Inevitabilmente
le migliori condizioni contrattuali che questa
nuova classe media ha conquistato sono andate a discapito della vecchia borghesia consolidata, a cui oggi il ristorante, l’albergo, i vestiti,
costano di più perché più alto è il costo della
manodopera o dei servizi.
Ma lo scontento rimbalza più o meno su tutte le
classi sociali: così la vecchia borghesia detesta
la nuova classe media, che a sua volta ha in antipatia i ceti popolari che ricevono sussidi dallo Stato. Questi ultimi sono divisi a metà tra il
sostegno al governo, che attraverso i contributi
mensili della bolsa familia (i sussidi) ha migliorato le loro condizioni di vita, ma nello stesso
tempo lo incalzano perché il processo di emersione dalla povertà ha funzionato solo a metà.
Così, dopo due generazioni «passive», come le
definisce Ridenti, i brasiliani si sono risvegliati.
Ci sono due colonne sonore della protesta di
questo giugno. Una è la nuova campagna Fiat
per i Mondiali, il cui slogan “Scendi per la strada” è diventato l’inno dei cortei, in forma irriverente e ironica, e pure un hashtag per chiamare la gente a manifestare; l’altra è la pubblicità della Johnny Walker, con un gigante - il Brasile - che si risveglia e si mette in moto. Un’immagine che i giovani nelle strade hanno fatto loro: non più immobilismo, non più accettazione.
Al contrario, una richiesta di partecipazione. Lo
ha capito lo stesso presidente del Pt di San Paolo, Edinho Silva, che parla di «giovani in piazza perché vogliono essere protagonisti del processo storico». A manifestare, scrive Silva, «è
un giovane post Lula, un giovane che ha beneficiato dei progressi nella crescita economica,
della distribuzione del reddito. Dunque di guadagni materiali che sono di portata storica rilevante. Ma vuole di più. Non è soddisfatto dei soli guadagni materiali. Vuole partecipare al processo politico». E lo sta facendo, e questo è il
rischio grosso che corre Dilma Rousseff, al di
left 29 giugno 2013
Il musicista Guinga: «Tante promesse
del governo ma le disuguaglianze restano»
fuori dei tradizionali schemi politici. «Nei cortei ci sono studenti che non amano la politica,
poi ci sono quelli di sinistra, poi c’è chi è sceso
in piazza per la prima volta. Oltre il 90 per cento dichiara di non appartenere né a un partito
né a un sindacato. È un mondo più complesso
delle divisioni classiche, e il problema sarà vedere se un’alleanza tra questa classe media e il
proletariato sarà o meno possibile, e chi ci sarà
a mediarla», spiega Marcelo Ridenti. Il Pt ci sta
provando, convocando riunioni e stilando piattaforme per cercare di prendere il controllo della protesta, prima che lo faccia la destra o che
arrivi la deriva populista.
«Ma è difficile credere ancora in questi politici», spiega Carlos Althier de Sousa Lemos Escobar, più conosciuto come Guinga. Apprezzato
musicista brasiliano, Guinga, nato nei sobborghi di Rio de Janeiro, è tra i delusi da Lula. «Il Pt
è arrivato al potere promettendo di combattere
la corruzione, il malaffare, la disuguaglianza sociale. Invece la maggior parte delle cose sono rimaste come prima. Abbiamo una sanità che fa
schifo, con gli ospedali che chiudono e la gente
costretta a far la fila anche per morire. L’aumento del prezzo del biglietto è stato una scintilla,
che dice che non è vero che la distanza sociale
si è ridotta. C’è gente che ha tre case e c’è gente
che se compra il biglietto del tram non ce la fa a
trovare poi i soldi per mangiare».
Il divario sociale tra borghesia e proletariato
non si è ridotto, è semplicemente stato riempito da questa nuova classe media e sembra quindi meno evidente. Ma ci sono ancora più di 40
milioni di poveri a provare che le differenze esistono. E quando non le segnala la Borsa, lo fanno i poliziotti. «All’inizio delle proteste la repressione degli agenti è stata fortissima, violenta», ammette Marcelo Ridenti. «Poi quando
hanno capito che non avevano a che fare con
i disperati delle favelas o del sottoproletariato, ma con la classe media, si sono calmati. Purtroppo abbiamo una polizia che è stata militarizzata con la dittatura e che non è cambiata.
Sono truculenti, non sono democratici né sono
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mondo
left.it
abituati a convivere con una società democratica e diseguale come quella brasiliana. Quindi
se la prendono con i poveri, il bersaglio facile».
Alla fine gran parte della sicurezza del Brasile è stata ottenuta così, con la militarizzazione del territorio. Tra gli sgomberi violenti delle favelas (come lo scorso anno quello di Pinheirinho, periferia di San Paolo) e la compiacenza dei media dominati dalla onnipresente
Globo (gigante della comunicazione), la percezione di vivere una crescita sostenibile si è
fatta strada nell’opinione pubblica. Ma nei fatti c’era invece altro: un sistema strutturale che
non si è mai modificato per evitare di irritare i
poteri forti (la famosa “pacificazione” di Lula)
e che quindi non ha cambiato l’impianto classista del Brasile, come invece chiedevano i Sem
terra, i principali sponsor di Lula all’epoca delle sue battaglie sociali. La riforma agraria, tema forte nel 2002, oggi è ancora un topolino, altro che gigante. Gigantesco invece è il mercato dell’agrobusiness, che resta nelle mani dei
grandi proprietari terrieri. Esattamente come
prima. «Il dilemma dei Sem terra - stare con i
manifestanti o con il governo - è quello che attraversa buona parte della sinistra, divisa tra
chi voleva cambiare tutto e chi voleva invece
un’alleanza con la borghesia progressista del
Brasile. Un’ambiguità che non produce effetti positivi». E infatti i primi giorni nei cortei si
bruciavano bandiere e cartelli di partito, a segnare la distanza tra la piazza e il governo. Ora
Dilma Rousseff teme per le elezioni del prossimo anno, e promette grandi cambiamenti. Per
riconquistare la propria base e per non perdere questa nuova generazione che ha sorpreso
e spaventato tutti, a cinquant’anni dal colpo di
Stato militare del 1964.
Perché, come successo altrove, la distanza
che li separa è anche generazionale e culturale. Come spiegano le parole di Douglas Agostino Teodoro, 34 anni, fotografo ma soprattutto manifestante: «Loro sono una generazione analogica, e la nostra rivoluzione è digitale. Non hanno capito che non dobbiamo più
aspettare quattro anni per dare il nostro parere alle urne. Noi diamo il nostro parere ogni
volta che vogliamo su internet. Il Brasile non
funziona, ma facebook sì».
40
E Dilma
si gioca
il Brasile
di Breno Altman da San Paolo*
La Rousseff deve scegliere da che
parte stare. Ma non bastano timidi
segnali. Servono le riforme vere.
Prima che la destra ne approfitti
29 giugno 2013
left
mondo
left.it
avevano dalla loro parte la debolezza dei settori di
sinistra sorpresi da fenomeni estranei ai loro piani. La parte più reazionaria dello Stato ha poi rifatto i suoi conti, cercando di indirizzare la ribellione
contro il governo federale, archiviando provvisoriamente l’opzione della violenza. Finora, la strategia si è rivelata un completo fallimento. Anche
i bersagli scelti dai segmenti più radicali - il Palazzo Bandeirantes a San Paolo, l’Assemblea legislativa a Rio, il Congresso nazionale a Brasilia - dimostrano che i giovani non stanno in strada al servizio della destra. Né sembrano sentirsi rappresentati e inclusi, tuttavia, nel processo cominciato
con la vittoria di Lula nel 2002. A giudicare dai loro slogan, striscioni e bandiere, non sono contro
le riforme avviate a partire dal 2003. Ma vogliono
di più, meglio e più velocemente. Non sono soddisfatti della timidezza e lentezza con cui si stanno realizzandole nuove riforme. E hanno deciso,
come avviene in certi momenti storici, di prendere la costruzione del futuro nelle proprie mani.
Una parte della società, anche quella con un’inclinazione progressista, da segni di stanchezza con
la strategia di cambiamento senza rotture. C’è un
Il partito di Lula potrebbe pagare il prezzo
di un divorzio tra la sinistra e la piazza
N
onostante le importanti realizzazioni degli ultimi dieci anni e i sondaggi favorevoli, l’ondata di proteste mina il principale partito
della sinistra brasiliana e lo stesso governo federale. Molti si chiedono perché tanta rabbia dopo
un decennio in cui la povertà è diminuita, il reddito è stato distribuito meglio e ci si è avvicinati alla
piena occupazione. È vero che le manifestazioni
stanno gravitando, per adesso, attorno a un’agenda locale. La rivolta giovanile chiede soprattutto
minori tariffe per i trasporti e il diritto di manifestare, contrapponendosi alla violenza della polizia di Stato. Solo un politico autistico, tuttavia,
non riuscirebbe a rendersi conto che una nuova
situazione si è instaurata nel Paese.
La brutalità della polizia è servita come condimento all’escalation delle proteste e alla loro diffusione. Partiti e governi regionali di destra sono
stati responsabili dell’escalation repressiva, ma
left 29 giugno 2013
crescente malessere per una governabilità che
preserva le vecchie istituzioni, dipende dalle alleanze con pezzi della sua oligarchia per formare
una maggioranza parlamentare, abdica alla disputa dei valori e rinuncia alla mobilitazione sociale.
Il movimento non è contro il Pt, ma pone la strategia del partito e del governo sotto controllo. Il Pt e
Dilma Rousseff sono disposti a considerare questa mobilitazione come una forza reale e ristabilire i legami con questi movimenti, usando la loro
spinta per nuova generazione di riforme? Questa
e altre domande sono presenti nell’allarme che la
rivolta ha fatto suonare. Dato il clamore, il Pt può
correggere la sua strategia e rinegoziare con la ribellione di piazza per approfondire e accelerare
le riforme fondamentali. O pagare il prezzo stesso
del divorzio tra la sinistra e la piazza.
* giornalista brasiliano, direttore di Opera
Mundi Samuel (traduzione di Tiziana Barillà)
Dilma Rousseff
in campagna
elettorale nello
Stato di San Paolo,
accompagnata
dall’allora presidente
Luiz Inacio Lula da
Silva. La Rousseff
è in carica dal 1
gennaio 2011, dopo
essere stata eletta al
secondo turno con il
56,05% dei voti
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Uno svizzero in Siria
Per Cristo
42
di Andrea Glioti
29 giugno 2013
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left.it
© BRABO/AP/LAPRESSE
I
È partito dal Canton Ticino
per combattere al fianco
degli assiri. In nome della
lotta confessionale
è disposto ad accettare
la vicinanza coi lealisti
al regime. La storia di
Gabriel, mujahid cristiano
left 29 giugno 2013
n Siria non arrivano solo combattenti jihadisti. Se il regime gioca sulle divisioni confessionali per dividere il campo dell’opposizione, le minoranze ne approfittano per creare le
proprie milizie e attrarre volontari europei. E così, arrivano in Medio Oriente anche cristiani occidentali, reclutati per organizzare militarmente i propri correligionari. Una prospettiva inquietante, simile a quella della guerra civile libanese, quando addestratori militari iraniani, siriani e
israeliani tiravano le redini di una guerra fratricida durata 14 anni.
«Qui (in Siria) mi sono adattato a tutto, ho faticato così tanto nel continuare a riempire d’acqua
il condizionatore scalcinato della mia stanza, al
punto da sognarmi Bashar al-Asad che lo riempiva al mio posto» ride di gusto Gabriel (il nome è
inventato), ex sergente svizzero di origine assirocristiana. Ha 31 anni e parla italiano. È brizzolato e dal profilo spigoloso. I cristiani assiri costituiscono circa il 5 per cento della popolazione siriana, anche se la terminologia “assiri” continua
ad essere fonte di controversie tra le varie chiese. E la Svizzera ospita circa 1.500 famiglie assirocristiane, di cui una buona parte nel Canton Ticino. Gabriel è nato là e dice di non essere mai stato in Siria. Vi sarebbe entrato per la prima volta
nel 2012, dal passaggio di frontiera turco-siriano
di Tell Abyad. Ciononostante, la disinvoltura con
cui mastica il dialetto aramaico di Qamishli, oltre
all’italiano, fa venire qualche dubbio che non si
tratti proprio della sua prima visita. Ma lui insiste:
«Ho passato gli anni migliori in giro per l’Europa
a far festa, sono stato un militante anarchico e alla fine mi è toccato servire nell’esercito», ricorda
l’ex-sergente. «Quando sono partito per la Siria
non prevedevo di rimanerci così a lungo, ora invece vorrei tornare dalla mia ragazza!», continua
scherzando Gabriel.
La sua pistola giace momentaneamente sul divano, non si può permettere di lasciarla a casa:
anche a Qamishli, città nord orientale relativamente tranquilla, ancora sotto il controllo del
regime, gli attentati, i rapimenti e le sparatorie
sono all’ordine del giorno. «Oramai ogni famiglia è dotata di un’arma, nei quartieri cristiani di
Qamishli», afferma Gabriel, «un po’ di tempo fa
dei ragazzi arabi hanno aggredito alcuni assiri e
in poche ore abbiamo visto il quartiere armarsi e
accerchiarli». In un Paese come la Siria, dove il
Un combattente
curdo della provincia
di Aleppo
43
mondo
© MALLA/AP/LAPRESSE
left.it
Il guerrigliero: «Una volta qui c’erano
pochi arabi, ma i siriaci hanno commesso
l’errore di emigrare»
regime esercitava un rigido controllo sulle armi
in possesso dei cittadini, oggi la norma è opposta e somiglia alla diffusione sregolata di armamenti propria del Libano.
Provincia di Idlib, nord
della Siria, un villaggio
cristiano conquistato
dai ribelli
44
Stando alle spiegazioni di Gabriel, ciò che lo ha
spinto in Siria è il dovere di aiutare il suo popolo
in una fase così importante, in cui potrebbe conseguire il riconoscimento dei propri diritti come
etnia. La sua scelta si colloca in antitesi a quella
dei cristiani mediorientali emigrati in Occidente.
«Una volta Qamishli era popolata quasi esclusivamente da curdi e assiri, c’erano pochi arabi, ma
i cristiani hanno commesso l’errore di abbandonare le loro terre», dice amareggiato Gabriel.
In Siria gli è stato affidato l’addestramento di una
forza di sicurezza assira (Sutoro) divenuta operativa da quattro mesi nel nord del Paese, in virtù dei
suoi cinque anni di specializzazione in guerriglia
urbana. A questo scopo, Gabriel ha trascorso sette mesi nella campagna di Malakiyyah, vicino al
confine iracheno. «Oggi Sutoro è una forza di polizia ancora scarsamente organizzata, non disponiamo di dati ufficiali sul numero dei suoi effettivi
, ma stiamo ricevendo dalla diaspora in Occidente il supporto economico necessario a formare un
vero e proprio corpo militare», spiega Gabriel.
La formazione a cui appartiene Gabriel, il Partito
dell’unione siriaca (Pus), si propone come rappresentante della maggioranza dei circa due milioni
di cristiani siriani (con l’eccezione degli armeni),
di cui sottolinea le comuni origini assire. Restando fedele all’ideologia pan araba, il regime ba’thista ha sempre riconosciuto gli assiri (o siriaci) come confessione cristiana siro-ortodossa, ma mai
come minoranza etnica. Nel corso dell’ultimo anno, Damasco si è però trovata costretta a concentrare le proprie risorse nel confronto armato con i
ribelli dell’Esercito Libero Siriano (Esl), in prevalenza arabi sunniti, concedendo un’inedita libertà
organizzativa a minoranze come i curdi e gli assiri, al fine di garantirsi una loro neutralità nel conflitto. Assiri e curdi hanno intravisto un’occasione
unica per dare vita alle proprie associazioni e visibilità alla loro identità di popoli.
Il prezzo da pagare è stata l’accettazione della “convivenza” con il regime e il rischio costante che quest’ultimo torni a inglobare le neonate
istituzioni etno-nazionaliste. «Dopo aver aperto
il fuoco su un’auto del Sutoro qualche settimana
fa, alcuni membri dell’Esercito di Difesa Nazionale (forma istituzionalizzata dei miliziani lealisti
noti come shabiha) ci hanno obbligato a innalzare la bandiera del regime siriano sulla nostra se-
29 giugno 2013
left
mondo
left.it
Gabriel parla con disinvoltura dei legami del
partito con i lealisti, essendo più esterno alla
polarizzazione politica siriana: si dice convinto che in fondo la maggioranza dei siriani, in un
modo o nell’altro, abbia avuto rapporti coi servizi segreti. Invece i suoi compagni di partito lo
redarguiscono e preferiscono sottolineare le divergenze col regime.«No, non possiamo parlare di shabiha all’interno di Sutoro. Al contrario,
molti dei nostri militanti sono oggetto di arresti
e aggressioni da parte delle forze filo-governative», obietta Sa’id Melki, vice segretario del Partito dell’Unione Siriaca.
Rimane però impossibile ignorare come le auto
del Sutoro stazionino in tranquillità davanti agli
edifici governativi. Lo stesso Gabriel, pur non essendo dotato di un passaporto siriano, è entrato
nel Paese attraverso Tell Abyad, quando la cittadina si trovava ancora sotto in controllo del regime: come è possibile che nessuno fosse al corrente dei suoi trascorsi nell’esercito svizzero?
A dispetto di chi si illude che le aperture del regime nei confronti di curdi e assiri siano il preludio di un futuro migliore per le due minoranze, il
governo siriano è riuscito a strumentalizzarle in
funzione di contenimento dell’opposizione. La
stessa proliferazione di istituzioni etno-nazionaliste come le Asayish (forze di sicurezza curde) e
il Sutoro rischia di riaprire i conti in sospeso tra le
diverse comunità. «Abbiamo ricevuto un’offerta
di fusione con i curdi», afferma Gabriel, «ma l’abbiamo rifiutata perché non abbiamo ancora raggiunto un livello organizzativo paragonabile al loro e per via dei rancori mai sopiti dall’epoca del
genocidio assiro (fine XIX secolo-inizio XX secolo), a cui parteciparono anche i curdi».
Il partito di Gabriel si presenta all’interno dell’opposizione siriana, ma più che la rivoluzione la sua
priorità è di “salvare dall’estinzione gli assiri”, secondo le parole del vice segretario Melki. Così forse si spiega la scelta di militarizzare il proprio futuro elettorato, ma si finisce anche per legittimare la retorica confessionale adottata dal regime.
left 29 giugno 2013
Se l’Iran
parla
coi sauditi
© SALEMI/AP/LAPRESSE
de», racconta Gabriel. «Io e altri eravamo contrari, la bandiera significa che il governo può tornare
a esercitare la propria autorità quando vuole, ma
quelli di noi che hanno collaborato con il regime
in passato si piegano alla sua volontà, perché temono possa tornare forte come prima».
di Cecilia Tosi
Il presidente Rohani è un pragmatico e vuole salvare
la Repubblica islamica. Anche trattando col nemico
L
a prima cosa che ha detto è stata che vuole
ristabilire buoni rapporti con i vicini, a partire dall’Arabia Saudita. Il nuovo presidente iraniano Hassan Rohani non è un rivoluzionario,
non è nemmeno un riformista, ma viene dalle fila
dei pragmatici. Per risollevare il suo Paese dalla
crisi economica deve alleviare le sanzioni internazionali, trattando con gli occidentali e con i loro alleati, anche se sono i nemici sauditi.
Rohani non fermerà la guerra in Siria, ma le sorti
dei siriani verranno decise anche da lui. Se gli iraniani, maggiori sponsor del regime di Assad, e i
sauditi, grandi finanziatori dei ribelli, riusciranno
a intavolare un negoziato, saranno loro a determinare il futuro di Damasco. Il nuovo presidente
iraniano è un fedelissimo di Khamanei ed è uno
dei padri fondatori della Repubblica islamica.
Nessuno più di lui vuole difendere il sistema po-
Il nuovo presidente
iraniano
Hasan Rohani
45
mondo
left.it
Dietro lo scontro tra sunniti e sciiti, c’è una
lotta per conquistare sfere di influenza
litico del suo Paese. «La crisi economica in Iran
morde»; spiega Nima Baheli, ricercatore a La Sapienza e analista geopolitico, «e Ahmadinejad
col suo temperamento incendiario ha peggiorato le cose. Rohani invece vuole risollevare le sorti del Paese anche aprendosi al dialogo. Ha bisogno di dare speranza al suo popolo per fermare
l’emorragia di cervelli che fuggono all’estero. Anche se la sua alleanza con il presidente siriano è
fuori discussione, dopo aver ribadito che Assad
è il leader legittimo del suo popolo ha anche ricordato che nel 2014 ci saranno nuove elezioni e
che con quelle il capo di Stato potrebbe cambiare». L’importante non è che rimanga al potere la
famiglia Assad, ma che la Siria resti sotto la sfera
di influenza dell’Iran. Non si tratta di uno scontro
confessionale con i nemici sunniti: chi alimenta
le divisioni religiose lo fa in modo strumentale,
per offrire alle potenze straniere la legittimazione a intervenire. Se gli iraniani sostengono la famiglia Assad, che è alawita e dunque sciita, allora
i sauditi, il Qatar, l’Egitto e la Turchia sono autorizzati a sostenere i loro fratelli sunniti che combattono contro il governo. E a prenotare una sfera di influenza al centro del mondo arabo.
Come in tutte le profezie che si autoavverano,
anche quella sulla spaccatura confessionale del
Medio Oriente sta producendo i suoi frutti. In tutta la regione sono sempre di più gli episodi di violenza legati a differenze religiose. In Iraq le vittime degli scontri interconfessionali sono aumentate, raggiungendo quota 2mila soltanto nei primi
mesi del 2013. In Bahrein i ribelli sciiti sono stati
costretti a chiedere aiuto all’Iran dallo stesso governo sunnita, che li ha etichettati come agenti di
una forza straniera chiudendo ogni dialogo. Persino in Egitto, dove gli sciiti sono una risicata minoranza, i salafiti ne hanno appena massacrati
quattro. Ad alimentare la reciproca diffidenza ci
sono state prima le Primavere arabe, che hanno
portato al potere leader sunniti più o meno radicali. Poi la guerra in Siria, che ha risvegliato sopiti rancori contro gli alawiti. E infine, ecco l’intervento delle milizia sciite di Hezbollah a sostegno
di Assad. Dal Libano, il Partito di Dio ha deciso di
soccorrere il regime siriano agonizzante, e ha ot-
46
tenuto una vittoria cruciale a Qusair, ribaltando
le sorti del conflitto. Oggi per la prima volta il regime è in vantaggio sui ribelli.
«Il Partito di Dio è ancora un’emanazione diretta
della Guida suprema iraniana», ci spiega Matteo
Bressan, autore di Hezbollah (Datanews, 2013)
«Ma il loro è un rapporto biunivoco: Hezbollah
difende gli interessi iraniani e l’Iran rafforza il
ruolo di Hezbollah. Dopo aver fatto rimandare le
elezioni libanesi al 2014, il Partito di Dio pensa di
avere un anno per rafforzarsi, vincendo in Siria e
presentandosi al voto da una posizione di forza».
È difficile parlare di reali divisioni confessionali, visto che i primi ad averle travalicate sono proprio gli Hezbollah, paladini dei palestinesi sunniti
e fondatori di un Museo della resistenza libanese
dove tutti i combattenti contro Israele, di qualsiasi religione, vengono celebrati. «Più che altro sono le monarchie del Golfo che mettono l’accento su quanto siano sciiti gli Hezbollah», spiega
Baheli, «così sauditi e qatarioti sono legittimati a
mandare armi ai ribelli. Ora dicono di aver pronto un arsenale di lanciamissili, sufficiente per riequilibrare il vantaggio ottenuto dall’Iran. Dopo di
che, forse, saranno disposti a negoziare».
Un nuovo asse coi sauditi rientrerebbe nel tradizionale stile bizantino della diplomazia iraniana, che Rohani mira a recuperare. A vantaggio di
quest’ipotesi, i buoni rapporti di Rafsanjani, padrino di Rohani, con la casa saudita e le congratulazione di re Abdallah con il nuovo presidente
iraniano per la sua vittoria.
D’altronde, però, i sauditi non sono gli unici sunniti a volersi accaparrare la Siria. Ci sono i turchi, che sostengono da sempre l’Esercito di liberazione siriana, i Fratelli musulmani egiziani, che si dicono pronti a mandare «12mila truppe in sostegno dei ribelli» e soprattutto il Qatar,
che secondo alcuni vuole radere al suolo la Siria per poi ricostruirla integralmente con i propri petrodollari. «Senza dubbio il Qatar vuole
imporsi in tutti i dossier mediorientali che contano», spiega Lorenzo Trombetta, autore di Siria, dagli ottomani agli Asad. E oltre (Mondadori università, 2013). «Ospita l’ufficio politico
dei Talebani, finanzia vari movimenti ribelli e
strizza l’occhio persino agli iraniani. Sono i più
ricchi del mondo e i cittadini non fanno storie se
gli emiri perseguono i loro interessi privati». Se
questo è un conflitto confessionale.
29 giugno 2013
left
cultura
48
La nuova fisica
e il “vuoto”
Carrara Marble Weeks
È l’occasione per conoscere la
straordinaria collezione d’arte del Comune. Dal 28 giugno
nel Centro di Arti plastiche di
Carrara opere di Bassiri, Kounellis, Nagasawa, Nunzio e al-
52
La rivolta delle
sonnambule
tri. In Palazzo Cybo Malaspina,
invece, un percorso nella storia dell’arte italiana con artisti
che hanno partecipato negli
anni alla Biennale di Carrara, a
cominciare da Enrico Castellani (in foto una sua opera).
56
Malika nelle note
di Paolo Conte
scienza
Quando
il vuoto
è pieno
di Emilio del Giudice e Giuseppe Vitiello *
Dalla nascita della fisica quantistica, agli inizi del ’900, alla recente scoperta
del bosone di Higgs. Oggi la materia non è più concepita come inerte.
Ed è un vero cambio di paradigma. Che curiosamente ha radici antiche
L
a scoperta nel 2012 del cosiddetto
“bosone di Higgs” è stata un evento
di grande importanza nella storia della fisica contemporanea, il coronamento di
uno sforzo tecnologico di grande complessità. L’aspetto che vogliamo qui sottolineare
è che questa scoperta conferma la validità
di uno schema concettuale che ha rivoluzionato la nostra visione della natura.
Questo approccio rivoluzionario alla comprensione della natura è cominciato agli inizi
del ’900 con la nascita della fisica quantistica. La materia non era più concepita come
inerte, come un insieme di corpi indipendenti, in principio isolabili gli uni dagli altri.
La novità è che ogni oggetto fisico, sia esso
un corpo materiale o un campo di forze, è
intrinsecamente fluttuante in modo spontaneo anche in assenza di forze esterne. Il suo
stato di minima energia, chiamato “vuoto”
nel gergo dei fisici, non è perciò più lo stato
scienza
left.it
Il regno della necessità dovrà cedere il passo
alla libertà. Come aveva preconizzato Marx
Un’edizione antica
del De rerum natura
di Lucrezio. A destra,
un ritratto di Marx
50
in cui a causa dell’assenza di forze esterne c’è
un vuoto di energia, ma è lo stato “pieno” delle
fluttuazioni spontanee dell’oggetto dato.
Già nel 1916 Walther Nerst, uno dei pionieri
del nuovo punto di vista, avanzò l’ipotesi che
le fluttuazioni quantistiche in oggetti fisici differenti potessero sintonizzarsi tra di loro dando così luogo a sistemi complessi aventi un
comportamento unitario. Questa possibilità
faceva cadere il requisito fondamentale della
fisica classica dell’isolabilità dei corpi. Cadeva
il “pregiudizio ontologico” che afferma che le
cose possano esistere “di per sé”, indipendenti
le une dalle altre.
Nella teoria quantistica dei campi l’energia si
presenta in granuli o “quanti di energia” e non
si studia un numero fissato di atomi o particelle, ma un numero indefinito di quanti mutuamente interagenti e caratterizzati da un ritmo
oscillatorio chiamato “fase” nel gergo dei fisici.
Il fondamentale principio d’indeterminazione
stabilisce che il prodotto delle incertezze sul
numero dei quanti e sulla fase del campo, sempre esistenti a causa delle fluttuazioni quantistiche, non può essere zero, ma deve essere
sempre uguale o più grande di una costante
universale. Questo vuol dire
u
cche quando l’incertezza sul
n
numero dei quanti è nulla,
lla fase diventa totalmente
iindeterminata, come se la
““musica” del campo, nel
ssenso del vecchio Pitagora,
d
divenisse non udibile. Vicevversa, insistendo sulla mettafora della musica, la mussicalità del campo, emerge
ssolo quando il numero dei
qquanti diventa indefinito.
M
Molti aspetti della filosofia
cclassica antica appaiono
nella struttura concettuale
quantistica, in particolare
l’intuizione di Epicuro, ripresa da Lucrezio nel De
rerum natura, sulla fluttuabilità spontanea dei corpi e sulla accoppiabilità delle fluttuazioni come origini dei sistemi
materiali complessi. È stato riconosciuto che
le variazioni spaziali e temporali della fase dei
sistemi fisici danno origine a campi specifici,
chiamati “campi di gauge”, i cui quanti sono
scambiati dai sistemi, agendo in tal modo da
mediatori nelle loro interazioni (accoppiamenti) e in definitiva trasmettendo le fluttuazioni di
ogni sistema agli altri sistemi.
Questa dinamica unificante deve misurarsi con
una dinamica opposta, potenzialmente dissolvente, generata dagli urti tra i componenti del
sistema. Ad alta temperatura gli urti sono così
violenti da impedire alle fluttuazioni spontanee dei corpi di produrre una musica coerente
complessiva. A bassa temperatura in- vece
he le fluttua
esiste la possibilità che
fluttuaano luogo
zioni quantistiche diano
ollettiva
a una fluttuazione collettiva
unitaria dell’insiemee dei
quista
componenti, che acquista
siamo
perciò una sua, possiamo
a, un
dire, forma espressiva,
prime
suo linguaggio che esprime
la funzione di quella struttura materiale data.
Torniamo al bosone
di Higgs. Come tutti i quanti esso si
29 giugno 2013
left
scienza
left.it
manifesta come particella e in forma di campo
ondulatorio e porta in sé il contributo di cui il
vuoto quantistico permea, con la ricchezza delle sue fluttuazioni, lo spazio e il tempo. Esso è
quindi al tempo stesso particella e agente collettivo che permette a tutti gli altri quanti di
condividere la ricchezza del vuoto. Da questa
condivisione trae origine la massa dell’elettrone, di quei campi di gauge che in tal modo
si materializzano nelle particelle W e nella Z
scoperte agli inizi degli anni 80 da Rubbia e
collaboratori e ancora di altre particelle. Fino
all’anno scorso questo meccanismo (detto di
Higgs) non faceva parte della “evidence based
science”, apparteneva all’invisibile che è parte
essenziale di una profonda verità scientifica.
Come diceva Einstein: «La natura ama nascondersi», per cui l’invisibile diventa visibile solo
quando la natura è interrogata in modo profondo, andando oltre l’apparenza. «Se la realtà
coincidesse con l’apparenza, non vi sarebbe
bisogno della scienza», scrisse Carlo Marx. La
rivoluzione di Galileo ebbe luogo quando l’“invisibile” principio di inerzia entrò in urto con
l’“evidence based” modello tolemaico, perfettamente in grado di descrivere l’apparenza dei
fenomeni, il “know how,” ma non in grado di
spiegarne la dinamica, cioè il “know why”.
La scoperta dell’Higgs corrobora lo schema
quantistico d’interazione e la nascita conseguente di sistemi complessi aventi una funzione unitaria specifica, inseparabile dalla struttura materiale. Essa accoglie in pieno la richiesta
del pensiero sistemico che rifiuta l’idea di parti
indipendenti (si vedano a tal proposito i nostri
due capitoli nel volume Strutture di Mondo a
cura di Lucia Ulivi Urbani, pubblicato nel 2010
dal Mulino) ed è promossa al dominio del visibile tutta la concezione fisica fondata sulla
teoria quantistica dei campi, che, d’altra parte,
è alla base anche della fisica della materia condensata costruita a partire dagli atomi e dalle
molecole. Anche in questo contesto, si osserva, quando la temperatura è minore di un valore critico e la densità (numero di molecole per
unità di volume) eccede una soglia, che le molecole perdono la loro individualità ed emerge
la fisica dell’oscillazione collettiva coerente
del campo di gauge, il campo elettromagnetico
intrappolato nella materia, capace di governa-
left 29 giugno 2013
GLI AUTORI
Il fisico Emilio del Giudice ha lavorato
all’Istituto nazionale di Fisica nucleare di
Milano mentre il fisico Giuseppe Vitiello
insegna all’Università di Salerno e lavora
all’Istituto nazionale di Fisica nucleare.
«La natura ama nascondersi», diceva Einstein.
Ma la scienza rende visibile l’invisibile
re i movimenti delle molecole accoppiate con
esso in modo non casuale. In questo quadro è
stata formulata una teoria dell’acqua liquida,
cui ha dato un grosso contributo Giuliano Preparata. E qui l’orizzonte d’indagine si allarga
fino a includere la fase vivente della materia,
quella degli organismi biologici di cui l’acqua è
il componente più abbondante, e che presenta
la forma più alta e più complessa della proprietà di coerenza, capace di tradurre l’informazione in significato: essa richiede che la musica
del campo elettromagnetico non sia un rumore
caotico, ma abbia un ritmo ben definito.
Recentemente il Nobel Luc Montagnier ha annunciato che i segnali elettromagnetici emessi da frammenti di Dna sospesi in acqua sono
capaci di rigenerare gli stessi frammenti in un
altro recipiente in cui siano presenti, disciolti
in acqua, gli ingredienti chimici che formano il
Dna. Questi segnali presentano una struttura
frattale, armoniosa nel suo ripetersi in forme
similari. Essi sembrano presentare una struttura musicale; esistono cioè “accordi tra
le note” costituenti i segnali. Siamo
uzioforse alle soglie di una “rivoluzioia?
ne di Higgs” anche in biologia?
do
Forse la visione del mondo
o
forzosamente
imprigionato
tà
nell’antinomia caso-necessità
dovrà cedere di fronte alla viarsione del mondo fondata sull’armonia delle musiche interiori dei
conizsuoi componenti. Come preconizessità
zava Marx, il regno della necessità
gno
dovrà cedere il passo al regno
della libertà.
Un ritratto
di Albert Einstein
51
cultura
left.it
L’esplosione
dell’irrazionale
di Giovanni Del Missier *
Magnetisti e fanciulle isteriche. Il “sesto senso” domina l’Ottocento, prima
di Freud. Come racconta La sonnambula meravigliosa di Clara Gallini
A
ll’inizio sono stupore e meraviglia, quelli
suscitati negli europei, ancora intorpiditi
dal lungo sonno medievale, da uccelli variopinti, copricapi piumati e belle indigene che
gli esploratori riportavano dal Nuovo mondo.
Presto prevale però la brama di oro, argento e
schiavi procacciati dai colonialisti che poi, divenuti imperialisti, impongono la propria cultura
ai selvaggi. Gusto per il meraviglioso, bisogno di
sfruttamento e volontà di dominio sono anche le
modalità con cui la cultura dell’800 si rapporta al
nuovo mondo che si sta scoprendo, il territorio
sconosciuto della mente non cosciente definito
sorprendente, fantastico, soprannaturale, magico, meraviglioso appunto; ma anche pauroso,
spaventoso e infine perturbante. Tutto comincia
nel 1775 quando una serie di fenomeni strani
fino ad allora monopolio degli esorcisti sono
strappati al trascendente e “ricondotti alla ragione” dal medico e filosofo austriaco Mesmer che
52
li attribuisce al magnetismo animale, il cui fluido
ingorgato va reso libero di circolare nel corpo
attraverso crisi psicomotorie scatenate dal rapporto col magnetizzatore.
Nel 1784 si scopre la “crisi perfetta” quella che,
senza convulsioni e urlacci, getta il magnetizzato in uno stato di sonno, definito prima sonnambulismo artificiale e nel 1841 ipnosi. In questo
stato l’ipnotizzato ascolta, intende e si esprime
non solo col corpo in movimento ma anche
parlando. Sono gli albori della psicoterapia
atea che non ricorre al trascendente. Si concede parola al non cosciente, si può interloquire
con un mondo alieno a cui, fino allora, aveva
avuto accesso solo l’esorcista o il poeta, il meraviglioso diventa cultura di massa e anche la
filosofia non può più ignorarlo: Schelling (1800)
conia il sostantivo Das Unbewusste l’inconscio.
Come col Nuovo mondo si assiste all’alternarsi
e sovrapporsi di tre forme di rapporto, ammi-
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left
cultura
left.it
razione, sfruttamento e dominio. Il meraviglioso riempie teatri e fiere dove si assiste a fenomeni somatici e psichici scatenabili nel sonno
magnetico: morte apparente, corpi pieghevoli
come cera o rigidi catalettici oppure capaci di
forza fisica eccezionale, trasmissione col pensiero di idee, simpatie o antipatie, allucinazioni
etc. Lo sfruttamento delle meravigliose facoltà
latenti, il sesto senso che l’ipnotizzato mette a
disposizione, attira impresari di spettacolo e ipnotisti senza scrupoli (ma anche la letteratura
vi attinge a partire da L’uomo della sabbia di
Hoffmann del 1814); oppure, senza fini di lucro
ma di conoscenza, tutti quelli che si approcciano a indovine e chiaroveggenti per diagnosticare malattie, trovare persone scomparse, tesori
nascosti, e per far ricerca sul paranormale.
Infine l’imperialismo della veglia, della coscienza, della razionalità su ciò che non lo è:
la possibilità di comunicare verbalmente con
il non cosciente permette all’ipnotista di imporre affetti, idee e comportamenti, efficaci
sia durante che dopo l’ipnosi. Si scopre la suggestione ipnotica e post ipnotica di cui si farà
gran uso per curare il corpo tramite la psiche.
Psicoterapia è il termine coniato dalla scuola
di Nancy nel 1889. Per Freud «la psicoanalisi
è uno strumento inteso a rendere possibile la
conquista progressiva dell’Es da parte dell’Io».
Ciò è quanto ci evoca Clara Gallini il cui libro
La sonnambula meravigliosa. Magnetismo
e ipnotismo nell’Ottocento italiano (L’Asino
d’oro) ci ha veramente deliziati. La Gallini fu
allieva del grande etnologo Ernesto de Martino
(1908-1965) socialista e poi comunista che pagò
con l’ostracismo culturale della sinistra il suo
originale approccio antropologico al mondo magico del Sud. L’autrice mostra, come dice la curatrice Adelina Talamonti nella prefazione, che
nell’800 «Ciò che si vuole controllare attraverso il discorso religioso o scientifico è il campo
del fantastico, dell’immaginario in cui opera un
pensiero simbolico irriducibile alla razionalità
della scienza e alla specifica interpretazione cattolica». Per quanto riguarda la scienza, già nel
1784 l’Illuminismo decreta l’inconsistenza dei
fenomeni meravigliosi che, irrazionali, non ubbidiscono alla fisica, alla chimica, alla meccanica, alle leggi che la ragione ha individuato per la
left 29 giugno 2013
materia, attribuendoli all’immaginazione. Dopo
la spiritualistica parentesi romantica, il positivismo si avvale del concetto di suggestione degli
alienisti. Essi, diversi dagli psichiatri organicisti
odierni, non annullano la realtà non cosciente
e l’influenza del rapporto interumano ma vi si
interessano a scopo terapeutico e in polemica
antireligiosa. Il pensiero materialista e ateo non
può ammettere il trascendente e per smantellare
il potere clericale sulle masse affronta il meraviglioso attraverso uno scientifico disvelamento
della falsità ideologica delle cosiddette ossessioni diaboliche, estasi spirituali o miracoli divini.
L’inganno rappresentato (malattie e miracoli
sono falsi) è bugia cosciente o menzogna inconsapevole? Nei laboratori di psicologia e nelle
cliniche delle malattie mentali si sperimenta per
dirimere se il soggetto è un impostore o un malato col sistema nervoso suggestionabile: isteria
è il termine che gli alienisti positivisti riscoprono
Allieva di de Martino, l’autrice esplora forme
di pensiero fantastico, ribelli a fede e ragione
per dare un nome ad una sindrome la cui caratteristica è l’inganno verso la scienza, la legge, gli
altri e se stessi. Corpo bugiardo perché malato,
l’isteria è medicalizzazione della bugia. Si tratta sempre quindi o del corpo o della coscienza,
«o pazzi o birbanti», tertium non datur. Tra gli
alienisti, chi non riesce ad attribuire alla truffa
o all’isteria le facoltà (sensitive, motorie o intellettuali) riscontrate nel meraviglioso cerca il
tertium, ma, coerente al metodo razionale che
esclude qualsiasi possibilità di intelligenza non
cosciente, finisce per approdare allo Spiritismo:
Lombroso alla fine della vita consulta il fantasma
della madre! Evidentemente il metodo razionale
è sbagliato perché impotente, e il meraviglioso si
rivela per il positivismo una «trappola mortale».
La fine del secolo vedrà i due vecchi avversari,
Chiesa e scienza, puntellare insieme lo Stato liberal conservatore minato in ambito familiare dalla
emancipazione della donna e in quello sociale
dalle masse proletarie in fermento. Per la folle
isterica e la folla suggestionabile la diagnosi è la
stessa: «La folla - come la donna - ha una psicologia estrema, capace di tutti gli eccessi».
* psichiatra e psicoterapeuta
La copertina de
La Sonnambula
meravigliosa di Gallini
che torna in libreria
per i tipi dell’Asino
d’oro. Nella pagina a
fianco André Brouilet,
Une leçon clinique à
la Salpêtrière (1887)
53
trasformazione
Massimo Fagioli, psichiatra
È l’anaffettività che uccide il neonato
pulsione di annullamento contro la nascita umana
QUANDO
scompare il colore
I
mmagino che ci sia un filo talmente sottile da essere invisibile che lega i termini verbali. Essi girano in
cerchio dentro la testa con una velocità tale che le parole appaiono e scompaiono, si sovrappongono diventando sinonimi. E vengono altre parole che dicono: il ricordo
dei termini verbali imparati non c’è più.
Poi la realtà invisibile, detta velocità, sembra che perda
vigore, rallenta ed i termini verbali imparati si distendono
a terra come corpi nudi e fanno distinguere alla mente il
termine comparsa dalla scomparsa. Sono diventati parole, sono uno bianco ed uno nero, come se l’identità fosse
l’assenza di un colore. In verità hanno perduto il significato che indica la realtà percepibile dalla coscienza.
Ma, di nuovo, la mano si irrigidisce come una donna che
sente la razionalità fredda di chi fa l’amore per procreare
e mi allontano subito dalle ultime parole scritte. Vedo che
sono tornati ad essere termini verbali senza la vitalità della ricerca impossibile.
Con un respiro più profondo soffio via la nebbia che
aveva offuscato le pupille che non facevano più lo sguardo limpido. Penso che non è vedere ciò che non era stato mai visto. Ed ora scrivo: comparsa e scomparsa non
sono state mai realtà materiali e, pertanto, non possono
“perdere il significato che indicava realtà percepibili dalla coscienza”.
E le parole nuove, che non sono la ripetizione dell’alfabeto udito perché pronunciato da un altro corpo umano,
partoriscono, insieme: il termine movimento. E la memoria degli ultimi anni spinge la mano a scrivere: appare nel
pensiero il suono della mente che condusse a dare una
identità ai termini movimento, tempo, pulsione.
Diventando parole nuove senza nessuna modificazione della composizione dei segni che fanno le lettere
dell’alfabeto che sono rimaste le stesse, hanno generato oltre i due termini: fantasia di sparizione, i termini: vita umana. Osservo, che i termini verbali hanno il genere femminile che non ha il maschile. Non esistono “parolo e vito”.
Si è ripetuta l’orrenda tragedia del bambino dimenticato dai genitori nell’automobile e fatto morire. Ho letto
nei giornali parole nuove che dicevano: non è “dimenticare” è pulsione di annullamento che fa credere che l’altro
essere umano non esista.
E viene quella memoria, dall’immagine indefinita, del
tempo in cui dissi, senza ragione, i due termini verbali che
avevano il significato opposto l’uno all’altro: fantasia di
sparizione. Isolati venivano usati per indicare realtà non
direttamente percepibili perché sempre variabili nella loro forma manifesta.
La prima, fantasia, parlava di immagini ma non distingueva la figura del ricordo cosciente dall’immagine che
non era riproduzione del percepito.
La seconda, sparizione, diceva di “qualcosa” una realtà materiale che prima veniva percepita poi non veniva più
percepita: sparizione che poteva essere distinta dal termine: distruzione. Ma non era stata mai pensata come fantasia.
Insieme parlano di una realtà mai vista perché mai pensata. Ed è un pensiero nuovo cui è stata data una identità
che è la conoscenza di una realtà umana non percepibile
dalla coscienza.
E, di nuovo compare, come fosse Demetra madre di tutte
le messi, la memoria che fa vedere me stesso quando leggevo
Heidegger. E non è ricordo perché mi dice della perplessità
di fronte all’idea che proponeva sulla nascita umana: Geworfenheit, termine che parla soltanto del parto fisiologico uguale a quello animale. Ed ora la memoria sparisce come fosse
un ricordo cosciente. Penso che, guardando i termini verbali, sentivo che erano stonati come se non avessero suono.
E non so come e perché venne nella mente il pensiero
che Heidegger credeva, senza pensarlo, che la nascita umana si aveva con l’emergenza (o la discesa dall’alto) dell’istinto di morte cui non seppe dare un nome. Sembrava un pensiero nuovo ma, in verità, era soltanto ripetizione di quando disse la Bibbia, Platone, e l’Illuminismo. La bestia dentro
l’essere umano... o, meglio dentro l’uomo. Io diedi all’istinto
di morte un nome, dicendo: pulsione di annullamento.
Poi qualcuno passa all’azione, “dimenticando”
54
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left
left.it
Avevo studiato la mostruosità della malattia mentale e
vidi il non umano della pulsione di annullamento quando
compresi che non distruggeva il corpo ma la mente, quando riusciva ad eliminare l’esistenza della vitalità.
E portai la diagnosi alla psichiatria dicendo: “perdita
della vitalità”. La malattia mentale non era più credenza
nella lesione della sostanza cerebrale o alterazione del genoma ma violenza della pulsione di annullamento. E vidi
che il termine antico, detto vitalità, era il nome della trasformazione della capacità di reagire.
Sono passati ormai sessanta anni da quando intuii che
la ragione non poteva comprendere una realtà mentale
nascosta che faceva soffrire con la depressione e portare alla malattia mentale manifesta. Vidi che l’amore che il
cristianesimo predicava non era vero perché non aveva la
conoscenza della realtà mentale propria ed altrui.
E maturò il pensiero che il rapporto interumano era vero se ognuno tendeva a realizzare la propria identità quando, anche senza rendersi conto, si muoveva verso l’altro
per determinare o favorirne la realizzazione.
Osservai il pensiero altrui ed il movimento del corpo ed
il linguaggio imparato mi servì per dare un nome alle realtà mai pensate dall’essere umano. Lasciai che, tra sonno e
veglia, i ricordi coscienti venissero fatti sparire da immagini definite oniriche. E compresi il linguaggio nuovo fatto da immagini silenziose.
Vidi così la perversione della ragione basata
sull’anaffettività nel rapporto interumano. Vidi che il linguaggio articolato rendeva sinonimi i termini verbali che
dicono di realtà umane diverse ed opposte. Viene a consolarmi il ricordo della striscia bianca che abbraccia il volume dal titolo: Istinto di morte... in cui a ciascun termine viene dato un rapporto vero con la realtà umana ignota.
E così separando i termini verbali e facendoli diventare
parole, la fantasia di sparizione non è più annullamento,
invidia non è più desiderio, identità non è più identificazione. Rimangono ferme nella loro forma perché restano
le lettere di prima. E vitalità, uguale a prima, è “altra”. C’è
un senso… un suono.
So, con certezza, che c’è il narcisismo dell’artista che si
distanzia dagli altri per realizzare la sua identità irrazionale che è fantasia, ed il narcisismo dell’esibizionista che nasconde il vuoto, un non pensiero.
C’è il narcisismo del poeta che, quando scrive, si separa dalla realtà materiale e mentale degli altri per portare
il linguaggio articolato nella profondità della mente. Là
non c’è più immagine e, per dare vita al linguaggio, deve
farne uno nuovo dopo aver fatto sparire, dai termini verbali, il significato.
È la regressione,
che non è ricreazione,
che fa il vuoto
della mente
che ha perduto
la propria nascita.
Non è distrazione,
è un pensiero
che non distingue
la realtà umana
dalla realtà non umana
Quando non c’è il colore. Ora so che, nell’istante
senza tempo in cui la luce giunge sulla rètina, non c’è
colore. C’è il nero che ha in sé il colore rosso che, come un bambino in grembo, non si vede.
È il sangue, la capacità di reagire che la pulsione trasforma nella parola vitalità. Creandosi reagisce con
l’atto d’amore che rende la pulsione: capacità di immaginare. E ricordo che dissi: la linea, anche se segnata
con vari colori, è sempre nera: assenza di colore.
La memoria disegna così le righe scritte dai poeti e
vedo che le parole, come invase da improvvisa pazzia,
non seguono le regole della grammatica ed io, turbato,
vedo che non hanno più significato.
L’orecchio non ode, gli occhi sono annebbiati, penso che sia un canto ma il silenzio mi dice che è il suono
del movimento che inizia la vita umana.
E allora, di nuovo, ricreo le parole che stanno l’una
nell’altra e l’altra nell’una: movimento, suono, tempo,
pulsione, fantasia di sparizione.
Ed è soltanto un pensiero libero della voce del maestro che insegna a parlare che non ha il terrore del fantasma che viene dall’Ade. Si è sempre coperto delle penne
dei gabbiani morti ma io so che si chiama: schizofasia.
Non è libertà, è assenza della capacità di tornare al passato che non c’è più, ricreandolo.
...negare la nascita umana è alleanza orrenda tra ragione e religione...
left 29 giugno 2013
55
l’intervista
cultura
left.it
Ricreazione è il titolo del suo nuovo cd. Malika Ayane riparte dalle proprie radici.
E dalle note scritte per lei da un maestro come l’autore di “Via con me”
Conte, il mio mago
di Tiziana Barillà
56
Malika Ayane
Mi sento un po’ come
fossi un ristorante fusion
dove mangi, quello che
vuoi, dalla pizza al sushi
vi e vedi il cielo che ti casca addosso.
La sua vita musicale però ha inizio
a Milano quando, ancora bambina, entra all’età di 11 anni nel coro delle voci bianche della Scala.
Ero inconsapevole, ci sono finita per
caso. Sì, volevo studiare canto ma
non avevo ancora l’età necessaria per
farlo, perciò mi iscrissi al conservatorio per studiare il violoncello. Seguii
una compagna di scuola senza sapere
nemmeno cosa stavo facendo, cantavo nella parrocchia, figurati…
Cosa ispira la sua musica?
Siamo dei contenitori di emozioni.
Qualunque cosa succede intorno a
noi la elaboriamo attraverso noi e il
nostro modo di percepire le cose.
Tramite la “fantastica relatività”, un
© FLAVIO&FRANK
«U
na voce carica di spezie», l’ha definita il
maestro Paolo Conte. E Malika Ayane, sorridendo, confessa di sentirsi come «una specie di
ristorante fusion, di quelli dove mangi
quanto vuoi per 10 euro. Dalla pizza al
sushi». Perché? «Sono cresciuta con
una madre cattolica anche se un po’
“part time”, un padre musulmano altrettanto part time e un nonno ebreo».
Questa estate sarà alle prese con la seconda parte del suo tour Ricreazione,
che la vedrà passare da Roma il 18 luglio. Intanto debutta alla conduzione
radiofonica su Radio2 in un programma tutto suo, Sold out - Incidenti di
percorso. E non tralascia l’impegno sociale, facendo da testimonial alla campagna di Oxfam Italia, che la riporta alla sua terra d’origine: il Marocco.
Il Marocco è un «contenitore di odori e di profondità degli sguardi», ha detto tempo fa.
«Viene da qui buona parte della mia educazione alla vita». Ne
sente la mancanza?
È il Paese della mia famiglia d’origine, ci passavo tutte le estati da bambina, perciò si è radicato in me. Mi porto dentro gli odori, i colori, il senso del
tempo. Quando andai per la prima volta in via Padova (a Milano, ndr) sentii
il profumo di coriandolo e di altre spezie che prima ero abituata a sentire solo in Marocco. Forse è il Paese che più
di altri riesce ad avere questa “vicinanza” con l’Italia ma con un varco spaziotemporale molto forte. È proprio una
dimensione differente. Anche i colori sono gli stessi ma in modo diverso.
E il tempo scorre diversamente, come se il cielo fosse più basso, più vicino. Un po’ come in Sicilia, o in Salento, quando sei in mezzo agli uli-
concetto che mi piace moltissimo.
Non esiste nessuna versione obiettiva, tutto viene percepito attraverso il
modo in cui noi sentiamo le cose. Che
sia per amore o per l’emozione che
si prova davanti a un cielo, le sensazioni sono l’unica cosa che personalmente sono in grado di descrivere.
Il suo ultimo lavoro è un appello a
“rilassarci”. Che intende?
Sì, rilassiamoci. Per me è un momento in cui raccolgo quello che ho seminato nell’ultimo anno. Si può anche
essere felici e non c’è niente di male. Non è che c’è sempre da prendersi
sul serio. Come dicono gli Stones It’s
only rock’n’roll (È solo rock’n’roll,
ndr), e qui è anche molto meno. Possiamo scegliere di cambiare strada,
di scommettere. In questo disco ho
cercato di rimettere in gioco tutto
quello che ho imparato.
Chi ha scommesso su di lei?
Più di tutti Caterina Caselli, che sentendo un jingle pubblicitario, il giorno
dopo mi ha cercata per propormi un
contratto. È importante scommettere,
adesso tocca a me farlo, perciò mi sento uno strumento al servizio degli altri.
In cima alle tracce dell’ultimo album troviamo “Grovigli”, canzone uscita direttamente dalla penna di Paolo Conte…
Ogni volta che lo incontro mi sento
Dorothy nel Mago di Oz. Quando gli
do una sigaretta rimango a guardarlo.
Ho imparato a rapportarmi con i musicisti guardando Paolo Conte. Lui non
pretende di essere il centro di ogni cosa, si circonda di persone abilissime e
tira fuori il meglio da ognuno di loro.
La più grande passione di Malika
Ayane?
La musica. E mi piacerebbe molto poter girare il mondo.
29 giugno 2013
left
cultura
left.it
Il Madre si fa
agorà dell’arte
di Simona Maggiorelli
Dopo mesi di polemiche riapre il museo del contemporaneo a Napoli.
Con tre mostre e una programmazione aperta alla città
C
on un trittico di mostre che disegnano
un ponte ideale fra il secondo ’900 e la ricerca attuale, e dopo molte polemiche, il
Madre riapre i battenti con un pieno di proposte.
Che nelle intenzioni del neodirettore Andrea Villani vorrebbero contagiare creativamente il centro storico di Napoli. Nel caldo torrido dell’estate
la ripida via dove sorge il museo ancora non sembra essersene accorta, e accoglie i globetrotter
dell’arte con tapparelle abbassate, botteghe chiuse e scorci di cortili silenziosi. Ma basta varcare
la soglia del Museo per essere catapultati in uno
spazio-tempo completamente “altro”. Un’esplosione di colori ci travolge già nell’androne: fiammeggianti lame viola, verde e giallo avvolgono sequenze di telefilm anni 80 stile Dallas
e corrodono telecronache
t
di disastri ambientali.
ambien
Come per un
sortilegio alchemico,
al
nel film
di Nanni Balestrini
B
che senza sosta viene
vie proiettato dabbasso, il colore
col
cannibalizza il
trash televisivo
e la cronaca
telev
nera ffacendone mercurio vivo
v
e pulsante, materia
ter prima per immagini
gi nuove e dinamiche.
Parte da qui,
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con questo ener-
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eft 2299 giggiugno
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no 2
2013
01
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01
13
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getico incipit, il viaggio nel nuovo Madre che, oltre alla sua straordinaria collezione e alle personali di due giovani artisti (Giulia Piscitelli e Mario Garcia Torres), fino al 14 ottobre, ospita la prima vera retrospettiva italiana di Thomas Bayrle
(catalogo Electa). Nato a Berlino nel 1937, Bayrle è maestro di una Pop art percorsa da un umorismo surreale e da un gusto per l’assurdo molto
tedesco. Una Pop art che sperimenta tecniche assai diverse, dalla pittura, alle stoffe stampate, dalle serigrafie alle installazioni. Fatta di stampe dai
colori piatti e vicina al linguaggio della pubblicità e del design ma che - diversamente da quella di
Warhol - rivela un contenuto fortemente critico
verso i meccanismi di omologazione imposti dalle società capitalistiche. Ma anche dai totalitarismi e dalle religioni. Aperto e ciarliero, è lo stesso
Bayrle ad accoglierci fra i suoi fumettistici ritratti costruiti con il logo di un famoso formaggino e
a raccontarci in italiano i suoi collage che rappresentano parate cinesi affollate ed esplosive come
scatole di fiammiferi. Addensate come le sue visioni metropolitane occidentali: paesaggi umani
fatti di tanti tasselli solo all’apparenza tutti uguali. Ancora più graffianti sono le sue ricreazioni di
antiche Madonne punteggiate di Mercedes in miniatura oppure i suoi rosari incisi su pneumatici
e che catturano lo sguardo in una circolarità che
non offre via di scampo.
Madonna Mercedes
di Thomas Bayrle. In
alto due frammenti di
un’opera di videoarte
di Nanni Balestrini
al Madre di Napoli
57
puntocritico
cultura
left.it
ARTE di Simona Maggiorelli
La bella
incompiuta
«L
a grande incompiuta», così
Calamandrei definiva la Costituzione. Non pienamente attuata e
oggi drammaticamente sotto attacco,
la Carta è al centro di Azione popolare (Einaudi) di Salvatore Settis, che
non solo ne evidenzia la lungimiranza
e la modernità ma concretamente ne
fa un manifesto politico per aggregare quell’associazionismo diffuso che,
sebbene frammentario, rappresenta
oggi uno degli elementi più vitali della scena politica italiana. Con il volume Costituzione incompiuta (Einaudi), scritto con Tomaso Montanari, Paolo Maddalena e Alice Leone, l’archeologo e storico dell’arte della Normale
ora compie un passo ulteriore, esplorando quell’originale nesso fra storia, bellezza e natura che innerva molte parti della nostra Carta, a cominciare dall’articolo 9 in cui è scolpita la tutela dei beni culturali e del paesaggio,
strettamente connessa - fa notare Settis - al diritto alla cultura, ma anche alla
salute. E se in questo volume la perfezionanda in Normale Alice Leone ricostruisce utilmente come si arrivò all’innovativa formulazione dell’articolo 9
(che poi è stato preso a modello da costituzioni di altri Paesi), Settis interroLuciano Fabro,
Italia(1968)
58
ga il suo significato più profondo.
Che non riguarda solo la conservazione di un patrimonio d’arte, in Italia, straordinariamente diffuso nel
territorio e fuso al paesaggio, ma riguarda anche l’affermazione di diritti fondamentali come l’uguaglianza, la libertà e quel diritto al pieno
sviluppo della propria personalità che è richiamato all’articolo 3. A
ben vedere, dunque, se come invita
a fare Settis attiviamo una «officina
esegetica, che ravviva la Costituzione mediante l’interpretazione» scopriamo che nel suo impianto è sottesa un’attenzione non solo ai bisogni primari dei cittadini ma anche ad esigenze più profonde che riguardano la persona nella sua complessità. Esigenze di conoscenza, di
formazione, di ricerca, di piena realizzazione di sé e di libera espressione (art. 21) anche attraverso le
arti (art. 33). Indicazioni che, avverte il professore, la politica di sinistra non dovrebbe trascurare. Pena il suo appiattimento su quel modello di Homo oeconomicus caro
alle destre e che prospetta un cittadino povero di umanità, aridamente
concentrato sulla realtà materiale,
programmato per obbedire da una
scuola che trascura il sapere umanistico, reprime il pensiero critico e
taglia la ricerca scientifica di base,
in nome di un sapere tecnico basato sulla razionalità strumentale. In
questo quadro interpretativo della
Carta proposto in questo nuovo libro la tutela e la valorizzazione non
appaiono più fini a se stesse, non sono più tese alla contemplazione ma
alla conoscenza: il patrimonio d’arte ci invita a interrogarci sul suo significato civile e sulla nostra storia collettiva. Ma soprattutto ci parla di qualcosa che è specificamente
umano come la creatività, come la
fantasia, con un linguaggio universale che si esprime per immagini.
L’arte,insomma, ci mette in contatto con valori profondamente umani. Anche per questo deve essere accessibile a tutti. Chi ha scritto la nostra Carta fondamentale, in qualche
modo, lo aveva intuito.
CINEMA di Morando Morandini
Tutta l’opera
di Sorrentino
A
vevo già segnalato l’importanza de La grande bellezza di Paolo Sorrentino quando fu presentato in
concorso a Cannes. Torno a parlarne
anche perché sul Sole 24 ore di domenica 23 Roberto Escobar ne ha scritto una recensione esemplare che comincia così: «Un autore si riconosce
dal fatto che si ripete. Scriva libri o giri film, cerchi di afferrare idee, emozioni, immagini, quello che insegue è
sempre lo stesso fantasma. Così avveniva per i grandi del nostro cinema di
un tempo, così avviene per i pochi che
ci sono rimasti vecchi o giovani. Dopo soli sei film, Paolo Sorrentino, certo, è un autore. Lo è per l’originalità e
l’intensità con cui la sua macchina da
presa sa guardare la vita. E lo è per la
sua capacità d’essere italiano, immerso nella nostra cultura, ma non solo
italiano. Non c’è provincialismo nella
sua opera». Già il suo primo film L’uomo in più (2001) è narrato attorno a
due personaggi omonimi, l’uno doppio dell’altro: il cantante Tony Pisapia
(Tony Servillo) e il calciatore di serie
A Antonio Pisapia (Andrea Renzi) le
cui storie corrono in parallelo. L’uno è
il rovescio dell’altro, come se si guardassero allo specchio. Pur diversi,
sono l’espressione e le vittime di un
tempo - i primi anni 80 - di una cultura e di un gusto che niente rispettano
che non sia teso al successo, alla voracità del prevalere. Le conseguenze
dell’amore (2004) e L’amico di famiglia (2006) mantengono solo in parte
29 giugno 2013
left
cultura
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LIBRI di Filippo La Porta
Spoon River a Ravenna
A
Paolo Sorrentino e Toni Servillo
le promesse del primo film, pur continuando ad affrontare, magari più in
profondità, gli stessi temi. Nel 2008
esce Il divo che, oltre al successo di
pubblico, ricalca in modo spietato ma
non manicheo l’immagine di un potente: Giulio Andreotti. Quello di Sorrentino non somiglia a nessuna delle
sue molte caricature e a nessuna delle
sue molte apologie più o meno implicite o mascherate. È forse il più realistico dei suoi film. Del potere espone
il cinismo della gestione del presente, il disinteresse per la costruzione
del futuro, l’accortezza metodica nella conservazione dei segreti. Quattro
dei suoi sei film hanno Servillo protagonista. Già nel primo L’uomo in più,
film critico sugli ambienti della canzone e del calcio, l’attore partenopeo
si era rivelato nel 1992 con Morte di
un matematico napoletano di Mario
Martone come eclettico interprete
di statura europea. Non a caso ne La
grande bellezza, dove al fianco di Sean Penn, ha fatto scrivere a qualcuno
che è forte il richiamo ai tre stadi kierkegaardiani dell’esistenza nel personaggio di Jep Gambardella, scrittore mancato e giornalista disincantato
in una Roma storica e periferica, descritta con impietosa liquidità. Quella
di Gambardella è, in fondo, la solitudine di un uomo al cospetto di Dio, chiamato ad abbandonare ogni finzione o
illusione. Il “trucco”, lo stesso con cui
si può far sparire una giraffa durante
un numero di magia, è quello che gli
rimane per ritrovare La grande bellezza, miraggio di un amore giovanile
dimenticato su uno scoglio al chiaro
di luna. Il che, ovviamente, può riscattare soltanto in parte i limiti e i vizi di
una sceneggiatura che troppo si compiace di se stessa.
left 29 giugno 2013
ngelo Ferracuti è, con Leogrande, il più fedele seguace
del grande Kapuscinski, maestro del reportage. E lo è
anzitutto per il suo metodo conoscitivo, come testimonia questo bellissimo Il costo della vita (Einaudi). Prima di avvicinarsi all’oggetto d’indagine Ferracuti prende tempo. Studia le
carte, legge tutti i libri sul tema, esplora la cronaca nera. Poi
arriva nel luogo prescelto - Ravenna - ma tende a divagare, a
seguire piste minori, a distrarsi. Va nel suo albergo preferito (il
Byron). Frequenta la zona della stazione, tra prostitute e tossici, parla con tutti,
poi decide di affrontare il tema dell’inchiesta e allora comincia a chiedere alla
gente per strada se ricorda quel tragico evento. Si tratta di un incendio scoppiato in una nave al porto, la Montanari, nel marzo 1987, dove morirono asfissianti 13 operai che pulivano le stive. Come in una Spoon River della nostra provincia ripassa le loro vite: giovanissimi al primo giorno di lavoro, un ex tossico, un
cassintegrato, un uomo a un passo dalla pensione, un egiziano in cerca di fortuna. Leggendo il libro ho appreso che l’Italia vanta il triste primato dei morti
sul lavoro, 4 al giorno, oltre a un numero incalcolabile di feriti (pesante ipoteca sulla qualità di una democrazia). Ferracuti intende dare alle vittime un’identità riconoscibile, oltre a un nome, altrimenti esisterebbero solo per 30 secondi quando un familiare partecipa a un programma di intrattenimento. Gli operai, morti nelle viscere della nave come «topi» rivivono nelle parole di amici,
parenti e testimoni. Attraverso la scrittura sfuggono loro, quasi “minatori” del
mare, all’invisibilità che Orwell associava ai minatori. E Orwell è uno dei numi tutelari, di cui si ricordano le fondamentali ragioni dello scrivere: semplice
egoismo, entusiasmo estetico, impulso storico e scopo politico. La ricostruzione di quella “tragedia operaia” mescola curiosità umana e impegno civile. Memorabile il ritratto dell’imprenditore che veniva dal basso Arienti, il quale tentò goffamente di minimizzare il rogo parlando di accidentalità! Si finisce, quasi
come in un romanzo di Graham Greene, al Cairo, sulle tracce del giovane egiziano morto nel rogo. Alla fine sia l’autore che il lettore non saranno più come
prima: quegli eventi sono riusciti a fare esperienza.
SCAFFALE
DATURA
di Patrizia Cavalli,
Einaudi,
123 pagine,
12 euro
«Meccanica, legata, ubbidiente/ in schiavitù biologica e
credente»,scrive Cavalli in questa sua nuova raccolta.
Straordinaria voce poetica, la sua, capace di distillare versi
dalle contraddizioni più laceranti dei nostri tempi. Come
in questi versi dove le biotecnologie sono accusate di
perdere di vista l’umano, facendosi serve della fede.
UNA SETTIMANA
DI VACANZA
di Christine Angot,
Guanda,
105 pagine,
13 euro
Ben Jelloun ha parlato di pornografia per le descrizioni
crude e analitiche delle scene di sesso, senza emozioni.
Che Angot usa sapientemente per raccontare la violenza
subita e il bisogno di anestesia di una minorenne abusata
dal padre, che la domina psicologicamente. Un romanzo
indigesto, che ha il grande merito di far riflettere.
IL VERO
CREDENTE
di Eric Hoffer,
Castelvecchi,
190 pagine,
22 euro
È un autore da riscoprire il tedesco Eric Hoffer, davvero
controcorrente negli Usa del ’900, basati sul mito del self
made e del libero mercato. Lui, che ha fatto ogni tipo di
lavoro, ha saputo scrivere un’acutissima critica del fondamentalismo di massa , basato sulla propaganda, sulla
fede cieca e sul predominio di un leader carismatico.
59
bazar
cultura
left.it
TENDENZE di Sara Fanelli
Cresciuto a pane e iene
L’uomo
trendy
S
S
TELEDICO di Elena Pandolfi
e non avete più vent’anni o siete dei ventenni un po’ nerd,
non snobbate la programmazione di
Mtv Italia, canale dell’omonimo network, dedicato all’intrattenimento
televisivo e alla musica. Il suo palinsesto sicuramente strizza l’occhio ai
giovani, in senso anagrafico, ma alcuni programmi sono molto divertenti e interessanti, anche per chi,
quei vent’anni se li sente dentro,
magari avendo avuto la fortuna di
aver passato gli “anta” sapendo vivere ancora con leggerezza. In questi giorni stanno andando in onda
le repliche della serie Il Testimone
giunta alla sua quinta stagione, che
ha consolidato il suo successo grazie al conduttore Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, un eclettico, intelligente e ironico volto della televisione di nuova generazione. Pif, come altri suoi bravi colleghi, si è fatto
le ossa come inviato del programma
giornalistico-satirco Le Iene, ma nel
suo curriculum vanta nobili collaborazioni come assistente di Franco
Zeffirelli e Marco Tullio Giordana.
Dal 2007 conduce Il Testimone, andando in giro per il mondo e raccon-
tando storie di gente comune e di
personaggi noti, di fenomeni di costume ed eventi straordinariamente
normali, con uno stile molto originale, mascherando con un linguaggio
satirico e a volte demenziale, riflessioni attente e mai banali. Tra le tante storie, ci ha raccontato con non
facile ironia, una giornata con Roberto Saviano, o ha sdrammatizzato
la vita di una top model come Bianca Balti. Ma ci ha fatto anche conoscere la scelta di vita una coppia italiana che si è trasferita nelle deserte
ma fascinose lande dell’Islanda.
Una novità invece del palinsesto di
Mtv è la sit com, Mario di Marcello
Macchia in arte Maccio Capatonda, il
comico noto, per i suoi videoclip satirici, e i falsi trailer cinematografici,
incentrati soprattutto sulla parodia
dei vari linguaggi televisivi.
In questa serie, il comico, prende in
giro sia il linguaggio enfatico e retorico dei vari tg parodiando esplicitamente il tono perennemente sensazionalistico di Salvo Sottile, sia il linguaggio più melodrammatico delle
soap opera e delle fiction tv.
opportano estenuanti discorsi su colori e tessuti. Ci
accompagnano in vorticosi giri di
shopping, ci guardano provare e riprovare accostamenti improbabili,
perplessi scovano armadi zeppi di
quintalate di abiti. Sto parlando dei
nostri uomini, ma loro cosa ne pensano della moda? A loro consiglio
di non fare a meno della barba, che
è un “accessorio naturale” per dare
ntità. Poi tt- shirt nenee
grinta all’identità.
re, grigio antraciita
are e
te, verde militare
e.
All Star nere.
Amo gli orologi d’epocaa
Eliminate marsupi e tracolle e servitevi di Freitag
itag e
hel e
zaini Herschel
Supply per svuovuotare le tasche.
he. I
siti online daa memee
morizzare sono:
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oi polloi, the corner, sypply, okini, herringshoes,
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sanders-uk.
[email protected]
GAVOI
L’isola delle storie
Pierfrancesco
Diliberto
60
Lo scrittore cileno Antonio Skármeta, la
poetessa rumena Ruxandra Cesereanu
e il poeta austriaco Karl Lubomirski, il divulgatore Federico Taddia, la direttrice del
Goethe institut in Italia Susanne Höhn e la
responsabile per la sezione Arts del British Council in Italia Alison Driver. E ancora
le scrittrici Paola Mastrocola e Simonetta
Agnello-Hornby, sono ospiti di un festival
letterario cult: L’isola delle storie, dal 5 al 7
luglio,a Gavoi, in Sardegna.
NELLE LANGHE
Collisioni ad arte
Dal 5 al 9 luglio nelle Langhe torna il festival
Collisioni. Tra le guest star Elton John (9 luglio)
e Jamiroquai (5 luglio) che celebra i 20 anni di Emergency on Planet Earth. Grandi scrittori come il Premio Nobel Naipaul, Grossman,
McEwan. E poi Mastrocola, Carlotto, la Hack
ma anche le rane di Cracking art (in foto).
29 giugno 2013
left
cultura
left.it
DOCUFILM di Camilla Bernacchioni
di Bebo Storti
La Cina nel cuore di Prato
N
on bisogna farsi
fuorviare dal titolo del nuovo documentario del regista Massimo Luconi L’occupazione cinese.
Made in Prato prodotto da
Rai cinema. Nel suo personale e inedito viaggio in uno
dei fenomeni più complessi
che la Toscana abbia sperimentato, si è fermato ad osservare alcuni particolari
specifici dell’immigrazione
cinese a Prato, la città tessile in cui il regista è nato e a
cui è legato anche artisticamente (suoi i lavori su pratesi come Malaparte e Domenico Zipoli). «Ho cercato di evitare lo stile e il racconto da inchiesta giornalistica», spiega Luconi, già
autore di documentari e
inchieste per la Rai ma anche di filmati sul tema della multicultura e su esperienze di viaggio in Africa
e America Latina. «Volevo
decifrare e raccontare una
città complessa e per cer-
ti aspetti affascinante e misteriosa, che mi sono accorto di conoscere poco nella
sua ultima evoluzione», dice. Uno stupore e uno spaesamento di fronte al “fenomeno Cina”, che ancora oggi è il sentimento dominante di larga parte dei cittadini per così dire “autoctoni”.
Un tratto che accomuna
Prato agli altri capoluoghi
ad alta densità di cittadini
cinesi, e ai distretti in particolare, dove gli immigrati diventano spesso capro
espiatorio per giustificare
una crisi che non è causata dalla presenza degli stranieri. Del resto la Cina di
cui oggi si parla molto, rimane ancora un continente
largamente sconosciuto da
noi. Nel docufilm L’occupazione cinese (con musiche
firmate da Antonio Aiazzi e Mirio Cosottini) Luconi ha raccolto impressioni, suggestioni, storie di vita quotidiana di cinesi e italiani, ognuno dei quali racconta la “sua” Cina: minaccia o invasione per alcuni,
opportunità per altri. Fuori dalle mille maglierie, dai
pronto moda, dalle rifiniture, attraverso le parole e le
immagini si percepisce che
qualcosa si sta muovendo.
«La vera scoperta sono stati i molti giovani di origine
cinese che appartengono
alla generazione cresciuta
in Italia e che - sottolinea il
regista - vorrebbero trovare forme di affermazione
individuale per uscire dalla così detta economia etnica legata alla famiglia di
origine».
TORINO
TRIESTE
SAN GIMIGNANO
Tutto Beethoven
Orizzonti verticali
Gran finale in piazza San Carlo,
per il festival dedicato a Beethoven. Il 29 e 30 giugno con l’Orchestra sinfonica nazionale della
Rai diretta da Juraj Valčuha. Domenica in particolare, la Quinta
Sinfonia suonata dai bambini
dell’Orchestra pequeñas huellas.
Ovadia, Piovani, Sieni, Gazzolo,
Scabia, diretti da protagonisti della scena come Cauteruccio, Di
Mauro, Benvenuti e Stigsgaard.
È il festival Orizzonti verticali con
protagonisti del Manifesto di Ivrea
(1966) come Fernando Arrabal e
Sylvano Bussotti.
left 29 giugno 2013
Maremetraggio
Sono 67 i cortometraggi che hanno già vinto vari festival europei
ed extraeuropei e sono i protagonisti di Maremetraggio, festival
del cortometraggio e delle opere
prime in programma dal 30 giugno al 6 luglio.
In fondo.
Lo so. Questa è una rubrica di
“satira”. È un luogo libero dove alcuni amici mi lasciano
scrivere ciò che voglio. Lo so.
Non mi dovrei indignare troppo. E sorvolare con la leggerezza di una battuta sui mali del nostro Paese. Prestando
il verso allo sberleffo più che
all’incazzatura. Ma sono incazzato, quindi faccio l’incazzato! “In fondo” si chiama la
rubrica. In fondo sono un comune cittadino. In fondo pago le tasse. In fondo, anche
se faccio l’attore, e vivo 250
giorni fuori casa, rispetto le
scadenze erariali e mi faccio
pregio di pagare sempre tutto allo Stato. In fondo non sono un ministro. In fondo non
ho palestre. In fondo non andavo, da assessore, in Comune poco e niente. Sembra. In
fondo non mi facevo assumere per finta da mio marito per
avere la pensione pagata dal
Comune. Sembra. In fondo io
l’Imu e l’Ici se le dovessi pagare le pagherei! Non addurrei a persecuzioni di alcun tipo
le mie colpe. In fondo anche
per me la legge non prevede
l’ignoranza. Sembra. In fondo il mio commercialista non
farebbe dei vagheggi senza
avvertirmi. Sembra. In fondo
non darei la colpa agli italiani dicendo “ma in Germania”.
Sbagliando esempio (sembra
che in Germania un presidente si sia dimesso e un ministro
anche, per molto meno). In
fondo allora andrei a vivere in
Germania. Ma in fondo. Sembra. Io sono cittadino italiano.
E rispetto le leggi. Non “sembra”, è. Perché tutti questi
“sembra”? Perché il potere è
vendicativo e non accetta critiche e satira. Ma vuole sempre e comunque zittire il popolo. E quindi, in fondo, mi paro il culo… sembra.
61
ti riconosco
di Francesca Merloni
La poesia non è follia
P
oesia e follia, da sempre quasi gemelle al primo e troppo scontato sguardo. Spesso accostate nelle conversazioni, quasi per scherno o per marcare una differenza, per sentirsi al sicuro al di qua di una linea che difende un
orizzonte stabile, certo, più rassicurante. E, da parte del poeta, l’accettare con
naturalezza e con tranquilla indifferenza ogni definizione, quasi a scusarsi di
vedere di più. E quasi a tenere, segretamente, il nucleo di una visione che non
va troppo spiegata. Anche perché sarebbe impossibile. Accade, e basta. Come cadesse dall’alto, addosso. “Il primo verso è dato”, poi faticare sulla forma,
o semplicemente fidarsi del proprio ritmo interiore e andare. Da qui, da questa voglia di parlare ancora di poesia, nasce l’apertura di questa settimana, il
nostro fermarci e incedere nei significati. Ci sarebbe quasi troppo da dire, potremmo non smettere mai. Ma cosa è la poesia se non farsi sguardo e provare a rivelare codici per decifrare? Cogliere una vibrazione, perlopiù inespressa e invisibile, prenderla delicatamente se no sfugge o si rompe, se no la si perde per sempre, e con fatica, con pazienza, senza giudizio e
senza pretesa, provare a reggersi sul filo dell’inconoscibile senza tradirlo. Con la fiducia del funambolo. Ecco, forse in questa assenza di esitazione, in questo cercare per
ogni dove e insieme restare assolutamente immobili, per
ogni strada vuota, in ogni foglio bianco, nella non paura di
penetrare o di sanguinare, in questa furiosa voglia di abisso sta il poeta. E non è un folle. Solo, obbligato alla visione dalla visione stessa. O forse, dal suo stesso sguardo inchiodato. Non può fare altrimenti. Non può andare altrove. Né retrocedere o scappare. La poesia è
assoluto e si impone. Da quella percezione non si prescinde. Fedelmente la si
serve. Con rigore. Protezione. Con tenerissima, potente dedizione. Con grandiosa naturalezza, con semplicità. «A stare ferma mi mancherebbe il mondo,
a non parlare il non detto. Vivendo a meno mancherei del tutto a me». Ecco,
la si spoglia, la si riduce all’osso. La lingua è spietata, mai gentile. La poesia è
un’ombra e una spada, è il mistero dato per lampi, la nostra notte senza riposo,
le tracce perdute. «Le più belle poesie si scrivono sopra le pietre con i ginocchi
piagati e le menti aguzzate dal mistero. Le più belle poesie si scrivono davanti
ad un altare vuoto accerchiati da agenti della divina follia». La mia nostalgia, il
mio ricordo carissimo oggi è per Alda Merini, per il suo sguardo che trapassava le cose. Per la sua disperata voglia. Qualcuno l’ha chiamata follia, per dare
un nome qualsiasi, il primo che capitava, ad un mistero difficile da decifrare. E
quasi nessuno credeva che avesse un grande giardino.
Qualcuno la chiama
così, per dare un nome
qualsiasi, il primo
che capita
[email protected]
Amami, e nel ricordo prendi la fionda antica e battimi
i capelli. Mi vedrai crescere nera come la foresta
dell’Amazzonia, ma se scosti i miei rami vedrai nella mia
lingua uccelli variopinti e paradisi terrestri. Allora non
pregare il Signore, perché la dovizia del mio canto io l’ho
rubata a Lui in un giorno di distrazione.
62
Alda Merini, L’anima innamorata, Frassinelli 2004
I versi finali nel testo sono tratti
da Fiore di poesia, Einaudi 2005.
Al centro i miei, inediti
29 giugno 2013
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