leggi tutta - Villaggio Globale

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leggi tutta - Villaggio Globale
Testo didattico adottato dalla SICOOL, dalla Scuola Olistica del CONACREIS
e dall'Accademia Olistica del Villaggio Globale di Bagni di Lucca.
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MANUALE DI
COUNSELING OLISTICO
Il Counseling come processo di aiuto alla Crescita Umana
Manuale teorico pratico di Psicologia Olistica
AGGIORNAMENTO LUGLIO 2008
Curato dal Dott. Nitamo Federico Montecucco
Docenti: Prof. Enrico Cheli, Dott. Roberto Sassone,
Dott. Mario Betti, Dott. Luisa Barbato, Dott. Marifa De Benedetti,
Dott. Massimo Marini, Dott. Lucia Vigiani, Kapil Pileri,
Dott. Giuseppe Pagliaro.
In verde: materie fondamentali da studiare dettagliatamente, temi precisi delle domande d’esame
In giallo: materie importanti da studiare bene, possono essere argomenti delle domande d’esame
In azzurro: parti da leggere e capire, possono essere temi generali delle domande d’esame
Adattamento dal dattiloscritto della “Settimana di Formazione in Counseling Olistico”
Villaggio Globale – Villa Demidoff – Bagni di Lucca
25 Agosto / 3 Settembre 2005 - 26 Agosto / 1° Settembre 2006
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INTRODUZIONE GENERALE
Nitamo MONTECUCCO
Questo Manuale del Counseling Olistico è una introduzione generale alle basi culturali, teoriche e
pratiche del Counseling orientato alla Psicologia Olistica. Abbiamo deciso di redigere questo Manuale
perché non mi risulta che possiate trovare né in Italia né all’estero un testo introduttivo alla psicologia
olistica per counselor di questa ampiezza e di livello così elevato, ossia che tratti della “relazione di aiuto”
del counseling come processo di crescita umana e di sviluppo del potenziale umano. Ogni disciplina
psicologica ha le sue caratteristiche, i suoi modelli, i suoi linguaggi e una sua visione terapeutica. Ma di
fatto, non c’è nessuna relazione trasversale tra le scuole tranne in pochissimi casi, mentre l’essere umano
è uno e necessita di un aiuto ai suoi disagi e alle sue malattie di tipo unitario. Questo Manuale rappresenta
una reale sintesi tra varie scuole di psicologia, di neuropsicologia, di meditazione; frutto di un lavoro di
più di trent’anni portato avanti dalla nostra scuola e individualmente da tutti i suoi docenti. Negli ultimi
anni si è venuto a creare un processo di sintesi che noi avevamo previsto e anticipato, quello del
meticciato: psicologicamente e culturalmente siamo tutti meticci. Più precisamente, più che di meticciato,
parlerei di creolizzazione, nel senso che il meticciato è prevedibile: un bianco e una nera si mettono
insieme e fanno un figlio color caffellatte. Invece la creolizzazione è imprevedibile e può dare dei risultati
altamente innovativi e creativi nell’ambito della manifestazione. Quello che a noi interessa è darvi, di
tutto l’ambito generale vastissimo - quasi infinito - delle culture spirituali e delle psicologie, una visione
orientata alla crescita umana.
L’approccio Olistico al Counseling che vi trasmettiamo in questo Manuale serve a dare un’idea generale
della psicologia secondo le normative europee della formazione al Counseling, che richiedono una base di
psicologia generale, dell’età evolutiva, di psicodinamica, di psicopatologia, di deontologia professionale,
di setting ecc. Questo è il nostro intento: darvi degli strumenti psicologici di base, farvi una sintesi
dell’enorme massa di informazioni in modo che non dobbiate perdervi in troppa lettura, ma abbiate ben
chiari quelli che sono i vostri limiti da una parte e la bellezza della psicologia dell’essere dall’altra.
Ricordiamo che questo “Manuale del Counseling Olistico” si basa su termini, nozioni e concetti esposti in
modo preciso ed esaustivo nel libro “Psicosomatica Olistica” di Nitamo Federico Montecucco, Ed.
Mediterranee Roma-2000, che consideriamo il principale testo di riferimento.
Inizieremo questa Introduzione Generale con un primo capitolo più generale sulla Cultura planetaria e
l’Evoluzione umana, continueremo con un secondo capitolo più pratico sul Counseling Olistico, un
terzo capitolo più psicologico sulle Basi teorico-filosofiche della psicologia olistica e un quarto sulle
Basi scientifiche della psicologia olistica.
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LA CULTURA PLANETARIA E L’EVOLUZIONE UMANA
Cultura planetaria ed evoluzione umana
Il “Manifesto nello Spirito della Coscienza Planetaria” è uno dei più importanti documenti della nuova
cultura, firmato nel 1998 da artisti, scienziati e Premi Nobel per la Pace, in cui è scritto: "Abbiamo
raggiunto un punto di cruciale importanza nella nostra storia. Siamo all'inizio di un nuovo periodo di
evoluzione sociale, spirituale e culturale. Stiamo evolvendo verso un sistema interconnesso, basato
sull'informazione, che abbraccia l'intero pianeta. La sfida che ora dobbiamo affrontare è quella di
scegliere il nostro futuro. La nostra generazione è chiamata a decidere il destino della vita su questo
pianeta, a creare una società globale pacifica e cooperante, continuando così la grande avventura dello
spirito e della consapevolezza sulla Terra.
Il nostro pianeta sta trasformandosi in modo velocissimo, e così anche il nostro modo di vivere si è
modificato in modo drammatico nel giro degli ultimi decenni senza permetterci di adeguarci. La scienza e
la tecnica si sono sviluppate molto più rapidamente della nostra coscienza, il risultato è un evidente
malessere globale che noi chiamiamo: guerre, stress, inquinamento, confusione nelle relazioni, paura di
vivere, mercati impazziti, prezzi in costante aumento, ansia, caos, disuguaglianze sociali e razziali, futuro
incerto.
La maggior parte delle persone vive passivamente questo stato di crisi globale e disgregazione aspettando
che qualcuno (Lo stato? L’ONU? Il comune?) risolva questi problemi.
I creativi culturali
Una parte consistente della società, circa il 20-25% della popolazione adulta secondo le ricerche
sociologiche della American Demographics, si è invece spontaneamente attivata per creare un
cambiamento, per migliorare la vita in ogni suo aspetto, per far emergere una nuova cultura migliore di
quella attuale. Questa creativa e ottimista massa in rapido sviluppo (negli anni settanta era intorno
all’1%), crea cambiamenti culturali che influenzano e influenzeranno sempre più profondamente non solo
le loro stesse vite, ma anche la società nella sua globalità. Il sociologo americano Paul Ray e la psicologa
Sherry Anderson, gli autori della ricerca, li hanno chiamati “Creativi Culturali” in quanto stanno dando
forma ad un nuovo tipo di cultura per il XXI° secolo, che nasce da un profondo cambiamento di valori,
delle priorità e dello stile di vita, del modo di fare soldi e di spenderli. Sono coloro che effettuano un
cambiamento di paradigma comportamentale e mentale rispetto ai vecchi schemi di riferimento, in
qualunque ambito svolgano la propria opera. I creativi culturali sono distribuiti trasversalmente nella
società, il 60% sono donne!
La nuova cultura del benessere globale
Le ricerche hanno rivelato che la nuova cultura emergente è caratterizzata da serie prospettive ecologiche
e globali, visione olistica della vita, enfasi sulle relazioni, orientamento alla spiritualità e allo sviluppo
psicologico, alla medicina naturale e olistica, all’apertura transculturale e alla coscienza planetaria,
insoddisfazione verso le grandi istituzioni della vita moderna e rifiuto del materialismo come base della
vita e dello stato sociale. Nascono così – spontaneamente – operatori creativi e attivi nelle cinque
principali aree della nuova cultura:
1) ecologia, ambiente e sostenibilità: formata da - ambientalisti, animalisti, verdi, bioarchitetti, le
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associazioni che si occupano di rispetto dell’ambiente (WWF, Lega Ambiente, Green Peace,
World Watch Institute), esperti di diritti degli animali, di riciclaggio, ecc.
2) salute naturale e medicina olistica: formata da - medici omeopati e agopuntori, erboristi,
naturopati, macrobiotici, massaggiatori, vegetariani, chiropratici, che propongono e praticano le
medicine “alternative”, ecc.
3) pace, cultura globale e diritti umani: formata dalle associazioni pacifiste, neo global,
transculturali, dalle associazioni di volontariato, dagli artisti e gli attori impegnati, i garanti delle
minoranze e dei diritti umani (Amnesty, Survival, Emergency, ecc.),
4) economia e consumo etico: formata dagli economisti e finanzieri etici, i gruppi di consumo
critico, le associazioni per il Commercio Equo Solidale, la Banca Etica, Altro Consumo, ecc.
5) la ricerca di sé e la spiritualità: formata da tutti coloro che sono orientati alla ricerca interiore,
da tutte le associazioni di yoga, di preghiera e di meditazione, dai terapisti transpersonali che
propongono gruppi di crescita e di evoluzione, che trasmettono nuove e antiche vie al divino e
nuove tecniche di consapevolezza.
Tutti questi operatori fanno parte di un unico grande movimento culturale planetario, anche se non ne
sono ancora pienamente coscienti, in quanto vivono realtà separate. La consapevolezza di essere parte di
questa unità può creare una grande forza coesiva e un movimento di opinione capace di fare mutare il
nostro pianeta verso un futuro sostenibile.
Il paradigma olistico: dalla divisione alla coscienza globale
La nuova cultura emergente – pur nella sua estrema varietà di visioni - si muove sulla base di un
paradigma olistico, che offre una visione unitaria e globale dell’essere umano e del pianeta. L’essere
umano viene quindi visto come un’unità psicofisica che si manifesta nel corpo fisico, nelle emozioni,
nella psiche e nell’animo profondo; il pianeta non è percepito solo come un insieme di stati e di specie
animali e vegetali, ma come “Gaia”, un’unità vivente, una rete globale di interrelazioni che creano
l’equilibrio della natura e delle società umane.
Uno dei punti chiave di questa nuova cultura è che lo stato di crisi globale del pianeta rappresenta il
riflesso macrocosmico dello stato di divisione in cui vive ogni singolo essere umano (separazione
dell’essere umano da sé stesso, dagli altri e dalla natura) e che l’unica via per il suo superamento è lo
sviluppo di una nuova coscienza e del potenziale umano individuale, che porti a ritrovare l’unità e
l’armonia interiore ed esteriore.
Il drammatico stato del pianeta è espressione dell'inconsapevolezza umana che da millenni viene
tramandata come modo di vivere, di pensare e di agire. La risposta alle innumerevoli questioni aperte,
dalle guerre alla sovrappopolazione, dall'inquinamento alle malattie degenerative, non può essere calata
dall'alto come in passato, ma deve necessariamente nascere dal possibile risveglio della coscienza umana,
e dal passaggio dall'attuale stato di ristrettezza egoica ad una dimensione planetaria che abbracci
l'ecosistema e l'umanità in modo unitario. Il malessere globale di ogni individuo, che riflette la profonda
crisi ecosistemica e umana del pianeta, è una sfida alla trasformazione globale di sé stessi e della propria
vita.
La rivoluzione interiore
Partendo da questi presupposti, la risoluzione della crisi globale implica una trasformazione globale
dell'esperienza di sé stessi, la realizzazione di una profonda unità interiore che, modificando e
sviluppando le potenzialità del nostro cervello e della nostra coscienza, si manifesti in una nuova logica
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creativa del vivere e in una visione unitaria dell'uomo e del pianeta.
"Oggi, ad un bivio cruciale nella storia dell'umanità - scrive Ervin Laszlo, filosofo della scienza e
presidente del Club di Budapest - abbiamo bisogno di nuovi concetti, nuovi valori, ed una nuova visione
per guidare i nostri passi verso un futuro umano e sostenibile. La consapevolezza deve innalzarsi e
trasformarsi da locale ed ego-centrica a globale e di dimensione planetaria. La nuova coscienza richiede
una visione olistica di noi stessi, delle nostre società, della natura e del cosmo. Il grande compito, la
sfida del nostro tempo, è cambiare sé stessi”.
Noi tuttavia non possediamo né strumenti, né modelli, né informazioni adeguate che ci permettano di
comprendere in modo globale le logiche e le modalità di questa trasformazione interiore e planetaria, per
questo è necessaria una nuova figura professionale, un agente attivo che operi sul benessere globale delle
persone, che utilizzi semplici ma efficaci strumenti di consapevolezza e di trasformazione, integrando
differenti conoscenze e tecniche pratiche di salute psicofisica, di rilassamento e meditazione, di ecologia
quotidiana, di comunicazione interpersonale, di sviluppo del potenziale umano e di ricerca etico
spirituale. Su queste esigenze culturali e sociali è nata la figura dell’operatore olistico.
LA FUNZIONE CREATIVA ED EVOLUTIVA DEL COUNSELOR OLISTICO
L’operatore e il counselor olistico: una professione interdisciplinare per un pianeta in
trasformazione
L’Operatore/Counselor Olistico è una figura chiave della nostra epoca, è un catalizzatore della
trasformazione umana, un facilitatore del benessere psicosomatico e della crescita personale, quindi un
educatore alla consapevolezza globale di sé e del pianeta. L’operatore olistico si forma attraverso un
percorso di apprendimento integrato e unitario delle materie essenziali di tutte e cinque le aree della
nuova cultura, diventando un esperto in cultura globale con specializzazione in una o più delle aree
suddette. L’operatore olistico grazie a questo training formativo diventa una figura professionale
interdisciplinare di grande importanza, che utilizza informazioni, consigli di vita, etiche e tecniche di
ricerca interiore. L’operatore olistico è un operatore socio-culturale del benessere globale, che agisce
individualmente sulle persone o collettivamente nei gruppi, offrendo strumenti di consapevolezza e di
crescita umana. L’operatore olistico è molto spesso un counselor.
Il Counselor - colui che aiuta e orienta - è una figura professionale riconosciuta in gran parte del mondo:
dall’Europa ai Paesi con il più alto livello di cultura (Canada, USA, Australia, Giappone, ecc.). In Italia la
figura professionale del counselor olistico è sostenuta e tutelata dalla SICOOL (Società Italiana
Counselor e Operatore Olistico - www.sicool.it) che opera per il riconoscimento di questa figura
professionale. Un counselor può anche non essere laureato ma deve avere un diploma di scuola media
superiore e deve frequentare dei corsi – come il Corso Triennale di Formazione per Operatori e
Counselors Olistici del Villaggio Globale - in cui si specializza in crescita umana e salute globale,
studiando le basi di psicologia generale, sociale, evolutiva, di medicina energetica, olistica e
psicosomatica, che devono essere insegnate da docenti laureati o abilitati. Il ruolo del counselor-operatore
olistico è di aiutare ogni singola persona a ritrovare la consapevolezza globale di sé e parallelamente
comprendere e superare gli errori (alimentari, comportamentali, energetici, emozionali, psicologici) che la
portano alla malattia. L’operatore - counselor olistico deve formarsi attraverso un profondo percorso di
crescita personale e training specifici che lo pongano in condizione di essere un elemento catalizzatore di
entusiasmo, di ricerca della gioia, di nuova vita. I suoi strumenti sono innanzitutto la sua stessa
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consapevolezza e la sua presenza capace di trasmettere energia e amore.
Lavorare sulla parte sana
L’operatore olistico esperto in salute globale e crescita umana opera sulle persone sane o sulla parte
sana delle persone malate, facilitando la salute e l’evoluzione globale. L’operatore olistico aiuta la
persona a ritrovare l’armonia psicofisica attraverso l’uso di tecniche naturali, energetiche,
psicosomatiche, artistiche, culturali e spirituali, stimolando un naturale processo di trasformazione e
crescita della consapevolezza di sé. L’operatore olistico non è un terapista, non fa diagnosi e non cura
malattie fisiche o psichiche, non prescrive medicine o rimedi, e quindi non si pone in conflitto con la
medicina ufficiale e con la legge per l’abuso di professione medica. Ciò che rende fondamentale
l’operatore olistico è la sua consapevolezza della situazione culturale globale e l’importanza del lavoro
sulla coscienza umana per orientare l’attuale stato del pianeta verso una direzione positiva e sostenibile.
Il Curriculum Olistico: una rivoluzione nella formazione educativa
Una delle “piccole rivoluzioni” che siamo riusciti ad ottenere - grazie ad una grande collaborazione tra
innumerevoli centri, associazioni, medici, psicologi, terapisti e operatori di tutta Italia - è stata la
creazione della Scuola Olistica Nazionale CONACREIS e della SICOOL che si basano su un unico iter
formativo di 900 ore per gli operatori e counselor olistici. Questo iter formativo è uno dei sistemi
educativi più avanzati e intelligenti che possiamo trovare sul pianeta perché comprende un equilibrio tra
educazione teorica e pratica, tra insegnamento e sperimentazione diretta degli argomenti appresi, che
contempla un’esperienza spirituale almeno in tre differenti scuole, in modo da non creare settarismi e
chiusure ideologiche, inoltre dà valore a tutte quelle esperienze umane che non possono rientrare nei
normali curriculum ufficiali. Vorrei invitare tutti coloro che stanno leggendo questo Manuale, e si
occupano di questi argomenti, a scaricare il Curriculum Olistico dal sito della SICOOL (www.sicool.it) o
dalla Scuola Olistica Nazionale del CONACREIS (www.scuolaolistica.it) o dall’Accademia Olistica del
Villaggio Globale (www.globalvillage-it.com/accademiaolistica), e provare a compilarlo, segnando tutti i
percorsi didattici seguiti, i gruppi, le conferenze, ma anche le esperienze umane che sono state
fondamentali nella propria vita. Vi renderete conto che diventare operatore o counselor è possibile e utile.
Solo dando valore a ciò che realmente ha valore potremo cambiare il mondo.
La Scuola Olistica Nazionale CONACREIS per la Salute Globale e la Crescita Umana
La Scuola Olistica è un progetto unico nel suo genere e di grande importanza in quanto creato per formare
operatori olistici e per sviluppare una visione della salute profondamente legata alla crescita umana. Dopo
alcuni anni di preparazione e di organizzazione all’interno del CONACREIS (il Coordinamento
Nazionale Centri di Ricerca Etica, Interiore e Spirituale) con il sostegno del progetto Porto Franco della
Regione Toscana e del Club di Budapest, siamo arrivati alla strutturazione finale della Scuola Olistica
Nazionale per la Salute Globale e l’Evoluzione dell’Uomo e del Pianeta. Questo è uno dei progetti
didattici di medicina olistica e crescita umana più articolati e strutturati che sia possibile trovare in Italia e
all’estero. Una delle caratteristiche più interessanti della Scuola Olistica Nazionale è di essere formata da
una serie di centri operanti su tutto il territorio nazionale e organizzati in rete dal CONACREIS. Una
Alleanza di realtà diverse ma riunite dal senso e dall’impegno di contribuire ad un benessere globale
dell’uomo e del pianeta. La Scuola Olistica Nazionale, come abbiamo accennato, propone un Programma
Triennale di Formazione per Operatori/Counselor Olistici di 900 ore, con un primo anno generale di 300
ore nelle otto differenti aree didattiche (lavoro sul corpo, lavoro sulle energie, lavoro sulle emozioni ed i
condizionamenti, arte terapia, comunicazione e counseling, empowerement e sviluppo del potenziale
umano, ricerca interiore e spirituale, coscienza planetaria) che devono essere sperimentate da tutti gli
allievi, ed un biennio di specializzazione di 600 ore in una o più delle stesse otto aree.
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LE BASI TEORICO-FILOSOFICHE DELLA
PSICOLOGIA OLISTICA
La logica del Counseling Olistico: lavorare globalmente sulla parte sana della persona
In questa parte dell’introduzione parleremo soprattutto di Counseling e di Psicologia Olistica continuando
a ricordare la differenza tra un operatore olistico e uno psicoterapeuta psicologo o medico. Questi ultimi
hanno la possibilità di utilizzare le tecniche a fini di risoluzione di patologie, che sono interventi sulla
parte “malata” della persona o supposta “malata”, mentre il ruolo di Counselor, che state per apprendere,
è un ruolo di sostegno, un ruolo di aiuto. La traduzione italiana più vicina del termine inglese Counselor
è: “colui che si prende cura”, “colui che dà aiuto”. Quindi “prendersi cura” di una persona che sta male, a
cui offrire strumenti di crescita, di salute globale e di consapevolezza. L’aiuto è offrire una modalità per
superare i propri problemi attraverso un percorso di crescita personale, attraverso tecniche di salute
naturale, energetica, emozionale e interiore. La funzione del Counselor non è quindi, in nessun modo,
quella di guarire, ma quella di facilitare l’evoluzione personale di una persona. Vedremo a livello
pratico la mappa di informazioni che potrete mettere in atto per portare a compimento questo compito
importantissimo e bellissimo.
La logica del counseling olistico è polare a quella della medicina e della psicoterapia ufficiali, quindi non
in conflitto ma complementare ad essa.
La logica meccanicista della guarigione ufficiale è: io curo la tua patologia con una diagnosi, una serie
di prescrizioni farmacologiche e terapie. La malattia è una parte negativa, un errore che devo eliminare,
estirpare e combattere con ogni mezzo. Non c’è nulla di utile nella malattia.
La logica olistica del counseling è invece: io non curo la malattia, ma mi prendo cura di te nella tua
globalità e ti aiuto, rinforzando la tua parte sana, vitale e consapevole, con strumenti e tecniche
energetiche, naturali e psicosomatiche, al fine di ritrovare un migliore equilibrio e un’armonia psicofisica.
La malattia spesso è una espressione dell’inconsapevolezza del nostro modo innaturale di vivere o di
qualche parte di noi che abbiamo negato, La malattia, quindi, può diventare un elemento di crescita e
comprensione che ci aiuta ad evolvere e a conoscere meglio noi stessi.
Tutte e due le logiche, in situazioni differenti, hanno una loro applicazione pratica e un’utilità reale.
Lasciamo ai medici e agli psicologi il compito a volte grato e a volte ingrato di dover affrontare la parte
dura del problema, che significa anche la possibilità di sbagliare, di sbilanciare la persona, la possibilità di
creare anche danni secondari come nell’uso degli psicofarmaci. L’operato di un Counselor invece agisce
sulla parte sana della persona, la sua vitalità, la sua coscienza. L’Operatore Olistico, nato circa 10 anni fa
e strutturato 5 anni fa con il CONACREIS, è stato definito come colui che lavora sulla parte sana della
persona o sulla parte sana della malattia. E benché la persona sia malata ha comunque un potenziale vitale
da cui il Counselor può attingere le risorse per facilitare una serie di processi di crescita. Facciamo un
ulteriore appunto. Quando noi parliamo di medicina olistica o di psicologia olistica o di meditazione
globale, intendiamo essenzialmente la stessa cosa: nel passato le medicine o le psicologie olistiche erano
fuse in un unico sistema -dal corpo fisico, alle emozioni, al lavoro sulla psiche, al lavoro sullo spiritointeso come un unico processo di guarigione/evoluzione. Pian piano nelle civiltà più potenti, più
numerose come numero di guaritori, si sono venute a creare delle scuole come ad esempio la Scuola
Ayurvedica, la Scuola Tantrica Tibetana, la Scuola Taoista Tradizionale Cinese. All’interno di questo
grande corpus di guarigione si sono poi venute a creare le scuole di alimentazione, le scuole di
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massaggio, le scuole di fitoterapia, le scuole di meditazione, le scuole di agopuntura e così via. Nella
Medicina Tradizionale Cinese della guarigione globale c’era una parte che trattava la guarigione mentale.
All’interno della guarigione tibetana possiamo trovare libri di Tantra sulla psichiatria interessantissimi,
così come nella scuola ayurveda e nelle altre scuole, che hanno creato specializzazione nei processi di
guarigione. Oggi la visione unitaria è andata quasi completamente perduta. Non esistono praticamente più
scuole complete, conoscenze globali, non esistono più testi estesi e completi, ma conoscenze piuttosto
frammentate. Esiste qualche manuale di psichiatria tibetana, perché è stato tradotto in inglese e in italiano.
Il resto si trova in volumi antichi spesso fuori pubblicazione dove all’interno di un libro c’è un piccolo
capitolo sulla psichiatria o sulla psicologia.
In questo corso cercheremo di concentrare queste informazioni per dare una visione il più possibile
congrua e unitaria.
Coscienza come energia intelligente: la base della guarigione-evoluzione olistica
Uno dei presupposti di tutta la guarigione-evoluzione olistica antica e moderna (e quindi anche per noi
oggi della psicologia olistica) è che l’essere umano è un anima, è una coscienza, è un centro di
consapevolezza che vive in un corpo, che nel momento della vita è cosciente, sensibile e vivo. Nelle
antiche visioni, cercando di riunire le informazioni simili (perché ogni scuola aveva le sue visioni
particolari) ed i minimi comuni denominatori delle scuole olistiche dell’antichità, troviamo che
l’esistenza è vista come una Unità. Tutto è Coscienza. Questa Coscienza Infinita chiamata Dharma,
Vuoto, Tao, Grande Spirito, Wankatanka, Logos, aveva aspetti diversi. In quasi tutte le vere grandi
tradizioni la struttura dell’essere umano, dell’esistenza, veniva differenziata in corpi, in livelli. Sul libro
della psicosomatica olistica troverete un riferimento ai corpi (nello yoga, nel tantra), dove c’è un corpo
fisico, un corpo energetico-biologico, un corpo più sottile-emozionale, un corpo psichico e alcuni livelli
di spirito. Abbiamo il primo livello -quello dell’Anima individuale- e dei livelli di Anima, di Coscienza
più espansi. Alcuni lo chiamano planetario, alcuni lo chiamano cosmico, alcuni ancora nirvanico. Sottili
differenze. Quello che è sempre stato il comune denominatore è che l’intera esistenza ha questa vita
cosciente che permea ogni singola struttura. Torniamo a questi concetti in occidente con pochi pensatori.
Uno di questi è stato il premio Nobel della letteratura Henry Bergson che ha parlato di un flusso di vita
cosciente, l’élan vital. Questo élan vital presuppone una coscienza di fondo che tutti i vitalisti hanno
percepito, ma sono sempre stati una minoranza esclusa dal main stream della grande cultura. Dobbiamo
arrivare a Reich, nel periodo della grande scuola psicoanalitica di Vienna, per riavere un approccio
scientifico alla comprensione della vita come energia. Reich venne estromesso dalla società
psicoanalitica, venne buttato fuori dal partito comunista, fu costretto a lasciare la Germania, fu cacciato
da Oslo, si trasferì in America dove gli bruciarono i libri, venne incarcerato e praticamente ucciso. Un
tribunale sentenziò che doveva restare in carcere e che (testuali parole) “l’energia orgonica non esiste e
quindi lui è un millantatore”. Rifiutandosi di esporre le sue teorie in veste di imputato fu condannato per
“disprezzo della corte” e morì d’infarto nel penitenziario di Lewisburg il 3 novembre 1957. Quindi,
pensate che incredibile potenza ha questo concetto di energia intelligente. Energia intelligente come unica
forza sensibile che può avere però infiniti livelli di aggregazione o di evoluzione. Oggi, nella prima parte,
vedremo la parte fisica scientifica di questa componente di base della psicologia, ossia l’evoluzione degli
esseri viventi, in particolare delle loro strutture nervose che portano a una complessità di organizzazione
delle stesse strutture nervose e che alla fine permettono, nell’essere umano in particolare, di arrivare a
questo processo delicatissimo che si chiama autocoscienza. Vedremo il percorso della coscienza che
esiste già a livello atomico, a livello cellulare, e che rimane tale e in modo integro. Quindi ogni essere
vivente ha coscienza di sé, ma non ha coscienza di essere cosciente. Questa acquisizione avviene - che
noi sappiamo - nell’essere umano. In alcuni primati c’è già un accenno, ma il meccanismo a livello
neuronale, il meccanismo di feed-back è come un’informazione “io sono cosciente”, “io sono automatico,
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totalmente istintivo in questa mia coscienza”, “io sono una bestia, che sia un ramarro o una formica e
faccio la mia vita: scappo dal dolore, ricerco il piacere, ho un’intelligenza, metto via le cose per l’inverno,
creo strutture, ho una vita di relazione complessissima e ho coscienza, ovviamente, di me.” Ma questa
coscienza è diretta, istintiva e totale. Invece, ad un certo momento, nell’essere umano primitivo, c’è
questo passaggio tra i primati e gli ominidi, dove avviene il salto di autocoscienza.
La consapevolezza di sé: il feedback della coscienza
Definiamo la prima forma di autocoscienza: rendersi conto di esistere. Una volta sono entrato in un fiume
dove c’era un fascio di luce che filtrava attraverso gli alberi illuminando l’acqua. L’acqua era fermissima,
era estate, io mi sono sporto e mi sono visto nell’acqua: ”Ah, sono io!” pensai. Nel momento in cui mi
sono visto ho come sentito che ero lì, che esistevo. Ho immaginato che questo processo potesse essere
avvenuto sicuramente ad una scimmia evoluta che un giorno si è guardata (le scimmie vanno a guardare
dietro lo specchio, a cercare chi c’è dietro lo specchio e si arrabbiano con l’altra scimmia che è dietro lo
specchio), era in un momento particolare - magari era ammalata, magari era da sola e aveva più tempo e
più spazio- ed ha cominciato ad avere questo primo feed-back. E avere questo processo che riporta
l’informazione in sé: ”Io? Ah, ma io sono io.” “Cogito ergo sum”. Io sono io. Sono cosciente quindi
esisto. Esisto in quanto sono cosciente di esistere. E’ un feed-back di coscienza, un feed-back
d’informazione. Questo feed-back di consapevolezza poi si sviluppa in una maniera straordinaria nel
cervello più evoluto dell’essere umano, dal centro del cervello che ancora pochissimi neurofisiologi
considerano il centro dell’essere. Lo considerano nella corteccia, perché fanno il gravissimo errore di
considerare l’Io della persona come il centro della persona stessa. A livello di psicologia consideriamo
l’Io una struttura sociale, quindi periferica, mentre il Sé è una struttura, chiamiamola, totale, quindi anche
fisica. Questo centro del Sé deve essere ritrovato nel nucleo più primitivo del cervello, qualsiasi animale
lo possiede: il nucleo più primitivo del cervello rettile ha in sé il centro della coscienza. Poi da lì si evolve
l’emozione che è un feed-back maggiore, poi si evolvono i pensieri che sono ancora più periferici, ma il
centro di coscienza rimane al centro. Questa esperienza dell’essere, questo Sé, l’abbiamo tradotto in un
modello scientifico: Cyber, il primo modello olistico di coscienza, l’Unità (Fig.1) e il suo modello
energetico associato Cyber7, la Complessità (Fig.2).
Fig.1
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Fig.2
In questi modelli, da noi studiati a livello neurofisiologico, c’è la chiave per comprendere il processo di
crescita. Una delle cose, a mio avviso straordinarie, come opportunità per un Counselor, è quella di
riuscire a capire che il processo di crescita della consapevolezza di sé - che è il centro di tutto il nostro
lavoro - cioè ritornare alla presenza, è un processo assolutamente centrale del sistema umano, del sistema
biologico. Quindi, essendo un processo assolutamente naturale, è parte del nostro lavoro come Counselor
-che può per un attimo lasciare da parte la patologia, la guarigione- riportare la persona in uno stato di
presenza, in uno stato di centratura, perché quella è la natura delle cose. E, come vedremo poi dagli
esperimenti sul cervello, una persona che è in uno stato di presenza trasmette ad un’altra persona questo
stato di presenza in modo diretto, se si crea quell’empatia che lo permette (non va in automatico). Se la
persona è capace di creare uno spazio di comunicazione empatica, la trasmissione della presenza diventa
automatica, istantanea, anche in chi non ha mai fatto un’ora di meditazione in tutta la vita. Questo
processo è un processo naturale. Significa riportare il sistema nervoso, il sistema biologico, al suo stato di
normale e naturale stato di funzionamento e semplicemente esserne consapevoli. Questo non implica un
atto terapeutico, implica un atto umano più che di trasmissione, di scambio di empatia o, se vogliamo, di
entusiasmo. La persona in stato di presenza ha uno stato tale di equilibrio tra energie fisiche e psichiche riunite nell’ambito dell’unità- da avere un bassissimo livello di tensione e un altissimo livello di energia.
Quindi, è come se la propria macchina funzionasse al suo meglio: è in quinta, va tantissimo e consuma
pochissimo.
Il riconoscimento profondo dell’essere: la presenza empatica
Quando questo stato di presenza – una stabile calma fisica e un’elevata attenzione e consapevolezza viene trasmessa empaticamente, la persona arriva istantaneamente ad un equilibrio di rilassamento e di
centratura. Vedremo come questo processo di riconoscimento dell’essere, di empatia, di risonanza tra un
Counselor e una persona (cliente) diventa poi il nucleo centrale della persona. E’ proprio la mancanza di
questa presenza empatica tra genitori e figli, agli inizi della vita, che porta a non sentirsi accettati e che
genera la chiusura del cuore e del senso di identità, da cui nasce tutta la patologia, cioè la creazione dei
blocchi psicofisici. La prima azione del Counselor è quindi quella di ricreare una dimensione empatica
che permetta alle persone di sentirsi profondamente accettate e quindi di poter superare i propri blocchi e
sviluppare una coscienza di sé.
Mentre una volta - ed era congruo con i tempi di allora - si riteneva che era più importante il blocco della
libertà fisica e sessuale delle energie, noi oggi alziamo il tiro, perché è congruo con la nostra situazione
sociale di questo momento storico capire che quello che ad un bambino o ad una bambina manca, come
punto centrale della propria crescita, è il riconoscimento di sé stesso/a da parte dei genitori o delle
persone che gli sono vicine e che gli trasferiscono questa percezione globale dell’essere. E’ come dire “tu
sei tu”. Questo riconoscimento, che di solito dovrebbe essere caricato di quella energia che noi
chiamiamo amore, affetto, presenza, entusiasmo da parte del genitore o comunque dell’educatore, è il
principale nutrimento del senso dell’identità profonda: IO ESISTO. Esisto, perché vengo riconosciuto.
Certo che esisto, ma se non c’è il feed-back, manca il nutrimento. Allora questo punto centrale è quello
che noi vorremmo potesse essere il principale punto di azione dell’Operatore o Counselor Olistico.
Attraverso questa presenza silenziosa si manifesta l’empatia, la profonda risonanza con la persona che
chiede aiuto. La presenza empatica non richiede scambio di energia, non richiede a volte nemmeno
scambio di parole. Richiede semplicemente un training di presenza dell’Operatore/del Counselor in modo
che questa presenza passi, risuoni nell’altro. Quando questa presenza empatica si realizza, la persona si
sente capita, riconosciuta, accettata nell’animo e quindi si apre. Per semplificare, è esattamente come noi
viviamo una situazione, magari da bambini – se vi ricordate – quando c’erano situazioni di enorme
tensione (il padre era sempre arrabbiato, la madre era sempre tesa) e poi c’erano delle persone calme e
tranquille. Io avevo una nonna calma e tranquilla: qualsiasi cosa facessi, andava bene. Mi guardava, mi
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sorrideva e c’era questo scambio di presenza empatica. Le piaceva la sua vita, era vedova, viveva da sola,
vendeva scarpe nel suo negozio, faceva da mangiare, faceva una vita semplice e naturale: fluiva. E io
stavo da Dio. Mi sentivo me stesso, mentre invece in casa c’era mio padre teso, c’era la mamma, e per
ogni cosa che facevo: “stai attento, non va bene!” non avevo lo spazio di esistere com’ero. Credo che
questo tipo di esempio sia abbastanza comune. Può essere che si crei empatia, che la stessa persona cambi
l’energia, come accadeva a mio padre: quando si rilassava io avevo un contatto immediato con lui. A
volte la sera prima di andare a letto ci prendeva e ci leggeva un libro, prima di dormire. Quindi in quel
momento c’era una presenza fisica, c’era calore, empatia, c’era “dai, facciamo questo”, il riconoscimento
avveniva e nutriva un senso di benessere. Quello che normalmente avviene a livello inconsapevole può
invece diventare uno strumento cosciente di vivere e di operare.
Se vogliamo, questo è uno strumento centrale, qualsiasi sia la vostra specializzazione.
L’individuo come unità e le sue modalità caratteriali
Roberto SASSONE
Il mio compito è di darvi delle definizioni un po’ più tecniche, più pratiche. Lo scopo del mio intervento
non è tanto quello di definire in maniera precisa le strutture caratteriali, ma di dare la possibilità di
cogliere, al di là di una definizione del carattere, alcune modalità di funzionamento delle persone, che
possano indicare qual’è il tipo di problema di fondo che esse esprimono. Anche se è utile definire in linea
di massima i caratteri e le patologie ad essi connesse, in questo ambito di lezioni per il counseling è più
funzionale sottolineare le modalità di relazione con l’ambiente, le forme di pensiero, gli atteggiamenti
proiettivi e il modo di percepire la realtà. Questi segnali, che vanno aldilà della diagnosi, ci possono
aiutare a vedere come quella persona funziona e dove è pericoloso spingerla.
Naturalmente per cominciare dobbiamo vedere sempre di più l’individuo come un’unità e in essa cogliere
i vari tipi di percezione della realtà che egli ha. Ci sono delle caratteristiche specifiche che derivano dal
tono emotivo della persona, dal taglio che l’emozione fondamentale dà a quella persona, che consentono
di vedere la coloritura, la sua emozione di base. In base a questo, l’interpretazione degli eventi di quella
persona e il contatto che essa ha con gli altri assume una caratteristica specifica di quel colore. Ed è con
quel colore che l’individuo filtra la realtà e si impedisce di guardare che cosa esiste sul serio di fronte a
lui. Se noi incominciamo a lavorare su quella coloritura non stiamo facendo una psicoterapia, ma diamo
la possibilità di rendere il nostro cliente consapevole del tipo di proiezione che sta facendo sulla realtà; in
questo modo stiamo già facendo un atto profondamente trasformativo, ma che non va a toccare le
dinamiche profonde che un operatore olistico non deve toccare.
Nitamo MONTECUCCO
Sì, il confine è sempre molto labile, però è molto chiara la professione. Lo psicologo dice “io curo i tuoi
disagi psichici”, invece il Counselor dice “io sono qua per aiutarti in un processo di consapevolezza
globale, utilizzando degli strumenti semplici nell’ambito della salute globale del benessere, non della
guarigione, non della medicina, della psicologia, non della cura diretta, ma della cura indiretta, nel senso
di favorire un ripristino dell’equilibrio.” Anche durante il corso sul respiro, per esempio, abbiamo
imparato a non usare le emozioni, ma a sentire il corpo, entrare nel cuore, nella consapevolezza dei
blocchi senza dover necessariamente tirare fuori anche una singola emozione che potesse poi turbare
l’equilibrio, perché le emozioni sono già a un livello molto più critico. Quindi, chi ha una formazione
psicologica o medica adeguata, può entrare nelle emozioni prendendosi la responsabilità del proprio
lavoro; mentre voi, invece, come Operatori lavorate sul leggero e avete un’opportunità nuova.
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Roberto SASSONE
Vorrei rimarcare un concetto importante: per lo psicoterapeuta la difficoltà caratteriale di un individuo o
qualsiasi conflitto o problema che egli pone riguardo alla sua incapacità di percepire la vita e sé stesso,
diventa un punto di partenza per andare ad approfondire il conflitto e vedere le cause e far emergere le
emozioni dolorose che spesso sono rimosse. Per un Operatore/Counselor Olistico questo materiale
offre invece la possibilità opposta, vale a dire che il conflitto ha qualcosa da insegnare al suo cliente. Il
conflitto significa “guarda, c’è tutta una modalità che tu devi imparare, il conflitto ti sta mostrando che
hai la possibilità di apprendere qualcosa di importante, che hai in qualche modo dimenticato o di cui non
hai voluto tenere conto, quindi una grossa opportunità di evoluzione.” A seconda di come si tratta un
conflitto, si può andare in una situazione profonda dinamica che fa emergere l’ombra che noi come
Operatori non dovremmo toccare, oppure si può mettere l’attenzione sulla possibilità evolutiva che essa
offre. Questa possibilità evolutiva è lo scopo del Counselor Olistico.
Nitamo MONTECUCCO
Ciò che tu hai definito adesso è la base di quello che noi chiamiamo “la crescita umana o lo sviluppo del
potenziale umano”. Significa che una persona dovrebbe vivere, questo è il nostro modello di base. La
persona vive con un centro di coscienza e con infiniti strumenti nella vita. Quindi, ha i piedi per
camminare, le gambe per correre, ha le mani per prendere e per abbracciare, ha gli occhi per vedere, ha le
orecchie per sentire. Ma se qualcosa nella vita comincia a toglierci le orecchie, toglierci gli occhi, segarci
le gambe, ovviamente vivremo una vita che non è piena, che non è una vita nella sua completezza. Se
parliamo di questa metafora a livello psicologico, abbiamo delle funzioni psichiche e delle funzioni
energetiche.
Abbiamo la vitalità, la sessualità, l’affettività, la creatività, la comprensione, lo scambio, il divertimento,
la creazione. Tutto questo è parte dell’universo psichico. La complessità di queste forze ci dà una vita
piena, piena nella sua semplicità, rotonda. Ci rendiamo conto che viviamo in una società altamente
innaturale che si è allontanata dalla natura e dagli eventi del cuore umano e che in tutte le scuole del
mondo non esiste una materia che sia cuore, che sia relazione, che sia piacere di esistere, intelligenza
emozionale. Adesso stanno iniziando ad introdurla nelle scuole più elevate, ma l’intelligenza emozionale
non è ancora cuore. E tutto ciò è devastante. Un bambino o una bambina che hanno delle grandi
potenzialità non vengono nemmeno presi in considerazione: se sai bene la matematica, bene, se non sai,
prendi quattro e vieni rimandato, punto. Consideriamo che la vita ci ostacola nell’espressione o nel
funzionamento di alcune attività fisiche o psichiche e se prendiamo anche solo coscienza di questa
mancanza possiamo in qualche modo aiutare la persona a riprendere il gioco della vita, e quindi
riprendere possesso di un potenziale che per una qualche ragione è stato inutilizzato.
Gli strumenti operativi del counselor olistico
Nel lavoro dell’Operatore o del Counselor Olistico lavoriamo con il processo della consapevolezza:
non utilizziamo strumenti terapeutici, ma strumenti di consapevolezza. Anche solo mettendo la persona
in contatto con quello che gli è mancato nella vita, la consapevolezza dei propri limiti, ogni evento della
vita può diventare un evento utile alla crescita. Perché ogni evento ci dà un certo senso, una
comprensione, da non intendere, come ipotizzano i New Agers, che "ogni evento ha un senso" come se
tutto fosse completamente preordinato. Questo è un punto che bisogna rimarcare, perché mentre
all'interno del meccanicismo vige il principio opposto secondo cui "niente ha senso e tutto avviene per
caso o per causa effetto", nella parte più immaginifica della New Age “tutto ha un senso”. Ogni volta che
vado alle conferenze incontro qualche signora che mi guarda con aria commossa e mi dice: “Ah, dottor
Montecucco, finalmente ci incontriamo e naturalmente niente avviene per caso”. Sì, certo, esistono
sicuramente nella vita degli avvenimenti sincronici che sono dei momenti rari, non comuni. Tu incontri
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casualmente il panettiere, il fornaio, incontri casualmente quattromila persone per la strada e poi, ogni
tanto, ne incontri una che fa la differenza, che è sincronica con la tua anima, e dici: ”Ah, questo è un
incontro fondamentale!” A volte vai a cercare questa persona, a volte ti arriva, nel senso che se stai
vivendo un certo tipo di momento, vai a cercare i maestri spirituali, vai a cercare i guaritori. Quando ti
arrivano diventa un evento sincronico, altamente significativo per la tua vita. Quindi noi abbiamo una vita
altamente casuale con degli eventi altamente significativi. E man mano la nostra evoluzione cresce, man
mano la nostra vita da casuale - perché siamo inconsci e quindi è casuale - diventa consapevole e quindi
significativa. E allora la vita la scegliamo noi e moltiplichiamo la sequenza degli eventi significativi. Così
nella malattia.
Il caso e la sincronicità: una visione di equilibrio
Il crollo della diga del Vajont, che ha ucciso migliaia di persone, è stato assolutamente casuale. Non che il
karma di quelle persone sapeva che la diga sarebbe stata costruita male ed ha fatto sì che le anime si
incarnassero in quel luogo per soffrire e morire. Non che tutti quelli che muoiono in Africa sono persone
che hanno fatto del male e sono lì per soffrire: così si puliscono dal karma cattivo. E’ un’idiozia pensare
che qualsiasi malattia sia dovuta a una causa ben precisa. Quell’idiota della scuola di Dethlefsen e altri
simili che sostengono che “tutto ha un senso” sbagliano, non è vero, è un’idiozia. Tant’è vero che se
avesse un senso e tu lo conosci, riusciresti a curarlo. Se è un qualcosa di psichico che dipende dalla tua
volontà, anche inconscia, la fai diventare conscia e questo processo di trasformazione ti cura, cosa
tutt’altro che vera.
Quindi, sappiamo purtroppo che esistono malattie di cui non abbiamo nessun dato, né noi, né in
Germania, né in America, né i maestri spirituali, né gli illuminati, né i ciarlatani. Esiste una fascia di
malattie in cui c’è una certa quantità di casualità, una certa quantità di significatività, di karma, di
psicosomatica. In quel caso si può migliorare grandemente la situazione lavorando sulla parte
significativa. Esistono malattie dovute ad un’alterazione psichica ed in quel caso, se le persone lo
vogliono veramente, ci sono buone possibilità di guarigione. Sappiamo tutto questo con la nostra
intelligenza e apertura. Sappiamo, come in tutte le antiche tradizioni, che il mondo è diviso in una parte di
Caos e in una parte di Logos. Esistono due leggi in fisica: la legge dell’entropia che causa il decadimento,
e la legge della sintropia, della negaentropia per cui pian piano le cose si aggregano, crescono e si
sviluppano. Queste due energie sono contemporanee, nell’antichità le chiamavano Caos e Logos. Kamas
è l’energia che tende alla disgregazione al basso; mentre altre energie, tra cui l’inerzia, portano il fuoco
verso l’alto. Così la pianta può crescere. Quindi ogni cosa ha un ciclo, la pianta cresce e poi muore. Il
corpo da una cellula diventa un corpo vivo e vegeto per tanti anni e poi c’è l’involuzione e la morte.
Pensate quanti codici genetici errati vengono fuori: esiste Cernobyl, esistono tumori da sostanze
chimiche, bambini che muoiono per leucemie. A volte non c’è dentro il karma, c’è solo un evento
casuale. E se un medico, o psicologo o Counselor, capisce la casualità dell’evento, anche un evento
casuale può diventare un evento significativo. Quindi non c’è nessuna colpa, ma l’accettazione di
quell’evento ci mette in uno spazio di consapevolezza di essere nell’esistenza.
L’accettazione della realtà così com’è
Questa è una grandissima comprensione. Le scuole di spiritualità invitavano i discepoli a vivere ogni
evento della vita, anche quelli casuali, come significativi per la propria crescita. Tu sei un umile essere
vivente nella grande esistenza, ogni tanto ti succede qualche cosa -hai un incidente, ti muore qualcuno- e
hai un grande dolore. Puoi arrabbiarti, rifiutare l'evento oppure dire semplicemente “ok”, “lo accetto”,
“accetto anche la parte negativa”. E questo porta una crescita umana enorme. Questo apre il cuore. Se non
lo accetti chiudi il cuore e vai nella rabbia. Se apri il cuore, lo accetti anche se non comprendi il perché.
Poiché accettare che non c’è un perché fa accadere dentro di te un meccanismo di crescita profondissimo.
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Roberto SASSONE
Bisogna anche dire che c’è un fatto energetico ben preciso, perché l’accettazione profonda di una
sofferenza e di una difficoltà non avviene mai attraverso una semplice presa di coscienza dell’evento (è
qui la differenza del Counselor Olistico), ma avviene perché si riesce ad attivare il livello del cuore. Il
livello del cuore è il livello della vera presenza e coscienza di sé. Il livello del cuore corrisponde ad un
centro dinamico di energia molto potente, che, fra le varie qualità, ha quella di trasformare le energie che
non riescono ad essere utilizzate o che si collegano su una polarità negativa. Quindi, è importante
comprendere che c’è una differenza fondamentale tra il far capire al cliente un suo problema e far
comprendere il problema, perché comprendere non tocca il livello mentale, ma quello della sua Presenza
nel cuore, capace di trasformare. Questo lo approfondiremo nei capitoli successivi perché è un grande
strumento terapeutico in chiave positiva. Comprendere vuol dire ‘prendere dentro’, ‘prendere in sé con la
capacità trasformativa del cuore’; l’accettazione è di per sé una capacità trasformativa: il cuore non
capisce, ma accetta e accoglie.
Luisa BARBATO
Vorrei sottolineare una cosa. Dal momento che tutto è unito, lavorando con le persone per esempio sul
piede, sulla schiena, sul corpo con la danza, ciò può far emergere problemi psicologici che il Counselor
non dove curare, ma può fare un lavoro di accettazione, di testimonianza anche del cuore. Inoltre la
presenza dell’Operatore, in qualche maniera, già permette alla persona un processo di trasformazione che
se vuole, può approfondire con uno psicologo o psicoterapeuta. Una volta sono stata invitata, in quanto
psicoterapeuta, ad un Convegno che trattava problematiche sulla schiena. Sono stata invitata per quanto
riguardava la parte psicoterapeutica legata al corpo. Molti di questi fisioterapeuti affermavano che
lavorando sulla schiena, o altre zone del corpo, le persone tiravano fuori moltissime emozioni. Queste
avevano due posizioni fondamentali: la fuga, che era chiudere velocemente il rapporto, oppure se c’era
un’accoglienza ne parlavano. Quindi che fare in questa situazione? Questa idea della presenza centrata ed
accogliente che non va specificatamente a cercare qual’è la causa, è già un modo per avviare un processo
che la persona può portare avanti.
Roberto SASSONE
Questo significa che l’Operatore Olistico deve conoscere un processo e seguire un percorso
d’individuazione e quindi avere una pratica meditativa, perché se non è in grado di entrare in questa
percezione di presenza, tutti questi discorsi decadono.
Transfert e controtransfert: la logica delle proiezioni
Luisa BARBATO
Questo è il punto più delicato di tutta la questione, il punto del transfert, nel senso che comunque dopo
alcuni incontri, in cui si lavora su alcune parti del corpo della persona, inevitabilmente si crea il transfert.
Una delle obiezioni che viene fatta è che se si rimane lì anche solo in accettazione avviene il transfert. Per
chiarire, qualsiasi processo di cambiamento psichico ha bisogno di una relazione, non avviene così per
caso. Già uno stato di centratura, di accettazione o di empatia dell’altro crea subito una relazione
preferenziale. Quindi, l’altro viene letto come il testimone, colui che accoglie preferenzialmente le nostre
tematiche: questo legame si chiama transfert. Il transfert è proiettivo, per cui quando inizia il transfert, se
l’altro è in uno stato neutro, di accoglimento, automaticamente diventa lo specchio delle cose dette. Se il
cliente ha avuto un genitore persecutorio, in questa posizione di neutralità leggerà subito un’inquisizione,
ovvero qualcuno che lo sta giudicando. Se il bisogno è trovare un accoglimento, cercherà una persona che
lo accoglierà, nel silenzio possiamo leggere l’accettazione. Quindi è importante anche capire come gestire
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questo transfert, cioè il legame preferenziale che questa persona crea con noi. E’ fondamentale riuscire a
vedere il momento in cui si sta sviluppando troppo, nel qual caso è necessario fare da ponte in modo che
questo transfert si ricrei con uno psicologo o psicoterapeuta.
Nitamo MONTECUCCO
Ogni volta che si instaura una relazione non neutra, immediatamente questa persona tenderà a proiettare o
il padre o la madre o l’amico o l’amante. Essenzialmente proietterà su di voi una figura che ha avuto più a
cuore o che gli piace, e attraverso questa proiezione viene veicolata un’enorme quantità di emozioni. Il
livello emozionale è estremamente carico: non semplicemente “ti voglio bene, sei una cara persona, mi
stai aiutando”, ma c’è tutta un’aspettativa che è conforme alla figura che sta proiettando. Escono una serie
enorme di istanze, non solo, anche se questa proiezione non avviene in modo eclatante, comunque si
vengono ad instaurare, nel rapporto, una serie di proiezioni emozionali. A titolo di esempio, se questa
persona è abituata da tutta la vita ad arrabbiarsi, naturalmente si arrabbierà anche con voi. Anche questo è
parte del processo del transfert a livello emozionale. Quindi, può accadere che una persona vi rifiuta
dicendo “ma questo io l’ho già fatto, ma cosa mi stai dicendo!” oppure vi sorride sempre e vi dice sempre
“sì, sì, sì hai ragione, certo, certo” o fa cose a livello psicoemozionale non dipendenti strettamente da voi.
La comprensione del transfert è fondamentale. L’arte dell’Aikido terapeutico è quella di permettere a
queste energie di muoversi con fluidità, con coscienza, sentirle, non far finta che non ci siano, ma
muoverle in modo assolutamente congruo per quello che è il vostro lavoro. Lo psicoterapeuta deve
operare ad un altro livello di intervento.
Roberto SASSONE
Per questo è importante che ognuno abbia un’idea delle strutture caratteriali. Provate ad immaginare un
operatore olistico che, di fronte ad uno psicopatico, per fargli capire delle cose lo contraddice; o di fronte
ad un orale, che sta in una continua richiesta d’amore, si propone come un grande seno per cercare di
soddisfare questo suo bisogno: così fa il gioco dell’orale e non se lo ‘scolla’ più. Bisogna quindi sapere
cosa NON fare per evitare questi guai.
Luisa BARBATO
Importante è non aver paura. Ho sentito in questo Convegno che c’è molta paura nello scoprire che si sta
creando questa portata emozionale, di cui in qualche maniera uno non si sente responsabile, non sente che
è il suo mestiere. Non abbiate paura, perché il meccanismo della creazione del transfert è praticamente
quasi automatico quando si vanno a toccare certi punti o si entra in una relazione terapeutica. Quindi è
molto importante accettarlo nell’ordine delle cose e accettarlo sapendo che poi non deve essere gestito.
Nitamo MONTECUCCO
Il contro-transfert, nella sua accezione più semplice, è che voi, come Operatori, avete delle aspettative o
delle proiezioni sulla persona. Una situazione classica che comunemente capita agli operatori olistici è
che la persona che viene da voi ha paura di liberarsi dall’ambito familiare. Quando voi avevate lavorato
sulla stessa paura ne eravate usciti in tre anni, ma vi aspettate che lui ne esca in tre mesi. Ecco, le
aspettative, le proiezioni tipo: “ma che bell’uomo!” oppure “ma che persona antipatica” o “ma che
persona dura, sembra mia mamma, adesso gliela faccio vedere, le farò i punti psicosomatici più dolorosi
del piede”. Questo livello di contro-transfert è molto presente.
Marifa DE BENEDETTI
A questo punto, secondo me, è giusto considerare lo stato di presenza. La risoluzione più facile, se si
riesce, è sempre lo stato di presenza che corrisponde anche in parte allo stato naturale dell’essere che non
ha proiezioni, non si identifica con l’ego. Quindi il cliente non ha più bisogno di proiettare quando dimora
nello stato di presenza, il Counselor non ha bisogno di proiettare o di avere aspettative quando è
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stabilizzato nello stato di presenza.
Il concetto di “malattia”
Nitamo MONTECUCCO
Trovare un paziente che è in questo stato è rarissimo, però tendenzialmente questo è il nostro obiettivo.
Comunque ricordiamoci che se non riusciamo, significa che non siamo realmente in uno stato di
presenza.
Vorrei fare delle considerazioni generali nell'ambito della psicologia olistica e della crescita umana. La
“malattia” veniva considerata come una NON comprensione delle leggi dell’esistenza. La legge del Tao,
la legge del Dharma è semplicemente la legge di come va il mondo, non come va il mondo degli esseri
umani. Sappiamo anche che dobbiamo avere la consapevolezza che il mondo degli esseri umani va in una
direzione innaturale che è bene conoscere, ma da cui possiamo anche dissociarci. Le leggi dell’esistenza,
ovvero l’accadimento degli eventi nel positivo e nel negativo, sono una base di saggezza che possiamo
acquisire, a cui possiamo attingere attraverso esperienze, letture etc. Se riusciamo a conformarci con
questa legge dell’esistenza, siamo in uno stato non solo di presenza nostra interna, ma di presenza
all’interno di una vita: è la nostra vita. Un processo semplice, il senso di come la vita e la morte
continuano il loro ciclo.
Un esempio: nella nostra iconografia sociale e culturale la coppia è un archetipo finto, è un falso storico, è
“vissero felici e contenti fino alla fine dei loro giorni”. Quante persone avete conosciuto nella vostra vita
che “vissero felici e contenti fino alla fine dei loro giorni”? Intanto, hanno sempre litigato, nella
maggioranza dei casi si sono separati, alcun volte subito, alcune volte massacrandosi, quando andava
bene restavano moderatamente amici (“basta che non mi stai troppo addosso”). Quindi, noi abbiamo delle
strutture sociali che non ci danno veramente la visione di ciò che è una vera relazione, per cui non
abbiamo veramente il senso di cos’è la legge dell’esistenza. Abbiamo una vita sociale che mette in
evidenza, per esempio della sessualità, una serie di aspetti eclatanti, le grandi performances di “Nove
settimane e mezzo” ed elimina tutta una serie di istanze reali, dove la morte non viene quasi mai
affrontata, dove l’arroganza sociale, il divario sociale, non vengono quasi mai toccati, per cui chi ha più
ego, chi ha più palle, chi è più arrogante, vince. E va bene così. Da una parte vedi l’arrogante e dall’altra
parte vedi chi non ha niente da mangiare e c’è una disparità di trattamento economico, per cui uno ha
valore e l’altro non vale niente. Noi dobbiamo assolutamente essere consci della legge dell’esistenza nella
sua accezione più vasta. Quel grande mistico che fu Alce Nero parlava del Grande Cerchio del mondo, il
Grande Spirito della terra. Ad un certo momento questo mistico nordamericano vide il mondo e percepì
questa sottile esistenza, fatta di vita e di morte, fatta di relazioni. Comprese il senso globale di questo
sottile elemento che è l’armonia, l’amore, l’intelligenza tra le relazioni, tra i più semplici esseri viventi e
tra i più complessi.
Ecco, allora quando noi riusciamo a capire il senso di come realmente l’esistenza si muove, possiamo
cogliere il cuore profondo che batte dentro gli esseri umani, dentro le relazioni, riusciamo a far fare anche
dei passi chiamiamoli di saggezza, non di conoscenza, di scienza, ma di una sottile saggezza che a volte
può arrivare, può arrivare in ogni momento. E se anche non arriva, possiamo attendere, possiamo entrare
in uno spazio vuoto. Nell’antica tradizione a volte le malattie venivano semplicemente curate con l’attesa.
C’era una serie di malattie, tra cui molte malattie psichiatriche, che venivano curate con il silenzio.
Mettevano la persona malata in uno spazio di relativo isolamento: mangiava tranquillo da solo, trovava
tutto pronto, non aveva scambi per parecchio tempo durante il quale poteva rivedere che cos’era successo.
A volte anche questo diventa un processo di cura.
Counseling come presenza empatica
Quello che di base è fondamentale, per voi Counselor, è proprio l’atteggiamento della presenza,
soprattutto il silenzio. Quando ascoltate la persona, e già dall’inizio della relazione questo avviene, se voi
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entrate in uno spazio di profondissimo silenzio – di meditazione, di silenzio ricettivo – vi svuotate di tutto
quello che accade dentro di voi e ascoltate, andate in uno spazio di relativa saggezza, dove la persona si
sente accolta e dove comincia ad accadere qualche cosa su un livello umano. Già questo rappresenta un
livello alto di guarigione, di consolazione, di prendersi cura, di aiutare una persona. Gli offrite un contesto
dove riversare le tensioni emozionali, psichiche; c’è un’apertura, una ricettività, una presenza. Come un
contenitore umano, una persona che semplicemente è lì per te, anche se non sa fare niente, anche se non
farà niente, ma semplicemente c’è e ti ascolta.
Luisa BARBATO
Il silenzio sembra una cosa semplice, ma in realtà è difficile, è bene che lo sappiate. Il non fare è spesso
più difficile che il fare. Anche perché delle volte le reattività delle persone vi porta a dover dir qualcosa e
fare qualche cosa. E indietreggiare, stare nella posizione di chi osserva, stare un passo indietro e non
interferire, è difficile.
Nitamo MONTECUCCO
All’interno dell’Accademia faccio compiere una serie di esercizi che rappresentano la differenza tra il
fare e il non fare ed entrare in uno spazio di silenzio. Chiedo di mettersi uno di fronte all’altro in silenzio
e semplicemente attivare la percezione del contatto tra cuore e cuore, tra pancia e pancia, tra testa e testa,
ed entrare poi in uno spazio di silenzio. E’ come fare gli esercizi in cui vedere le caratteristiche della
persona in modo giudicante e poi cercare di spogliarci dei giudizi e vedere dietro la faccia della persona,
gli occhi, la presenza, il silenzio. Tutta una serie di esercizi (che poi vorrei fare molto brevemente nei
prossimi giorni) fondamentali proprio per questa dinamica sottile molto importante.
Lo stato di presenza è la stessa cosa. Presenza è anche quando sei attivo: puoi farle un massaggio ed
essere molto presente. Puoi fare un massaggio e intanto pensare: “Adesso vado in automatico e intanto
penso che cosa devo fare di spesa”, ciò significa essere tutto da un’altra parte. Non è essere nel qui e ora,
essere centrato su di te, perché quando sei centrato sei in uno spazio vuoto, che ti permette di agire in un
modo particolare. Speriamo di aver la fortuna di poter fare questo nella scuola quadriennale di
psicoterapia, perché, secondo me, dovrebbe essere il centro di ogni scuola di psicoterapia. Personalmente
ho puntato enormemente sull’Operatore Olistico e sul Counselor Olistico perché ritengo che, nonostante
non posseggano le grandi conoscenze di sette anni di medicina o cinque più quattro di psicologia, abbiano
invece colto il senso umano più profondo e importante. Quindi, possono trasmettere la presenza,
l’accettazione, il cuore, i valori umani in modo diretto, semplice e a basso costo, perché costa meno fare
una visita da un operatore olistico che non da un medico, e inoltre si moltiplica la trasmissione,
l’ibridazione, la trasmissione anche del lavoro su di sé. Questo può permettere alla nostra società di
accelerare il processo di superamento della crisi che ormai è imminente. Anche se ancora oggi non
sappiamo se riusciremo a superarla.
Durante l’incontro che abbiamo avuto a Lucca nel giugno 2005, ho citato un articolo apparso su La
Repubblica: “Entro 5 anni il barile di petrolio costerà 100 dollari”. Io ho aggiunto: “Se va bene accadrà
fra tre anni; se va male, come purtroppo immagino, tra due anni/due anni e mezzo”. Adesso siamo nel
2008 e il barile costa già 150 dollari, un delirio. Ma cosa succederà quando nel 2012 il petrolio arriverà ai
300 o 400 dollari al barile? Stiamo accelerando la situazione di crisi energetica in modo pazzesco. Tenete
presente, giusto per essere chiari, che a Erice, Zichichi ha fatto riunire una serie di scienziati tutti
d’accordo sull’uso dell’energia atomica e delle centrali nucleari. Non hanno parlato una sola volta dello
smaltimento delle scorie. Come se la centrale fosse sicura: e le scorie del Nord Corea dove sono andate a
finire? E le scorie delle venti centrali cinesi, dove sono andate a finire? E quelle tedesche, e quelle
francesi? Come mai i francesi stanno smantellando le loro centrali?
Quindi l’unica cosa che noi possiamo concepire - e lo dico con grande consapevolezza - è che l’Operatore
Olistico (pur non avendo un training lunghissimo, ma un training medio-breve) può acquisire gli
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strumenti di crescita umana importanti e trasmetterli (alle altre persone) e fare in modo che la
consapevolezza individuale aumenti velocemente e quindi che, a livello sociale, si possa arrivare al
raggiungimento della massa critica delle persone consapevoli. Questo è fondamentale per bilanciare la
tremenda forza delle multinazionali e dei gruppi di potere che, invece, vogliono un mondo ricco ma
completamente devastato ecologicamente. Quindi, noi abbiamo questa grande opportunità che è
l’acquisizione della consapevolezza come Counselor e Operatori Olistici.
Quello che a noi in questo momento serve è capire l’Unità umana. Poi andremo ad avere una visione più
precisa, ma quello che ci serve stabilire con molta precisione è la percezione che noi abbiamo di essere
un’Unità. Questo è il punto fondamentale: questa percezione, questa coscienza unitaria la possiamo
chiamare il Sé, l’anima, o in altri modi, ma ha come caratteristica sempre di essere nel corpo. Questa
percezione parte dal corpo e resta nel corpo. Non sono viaggi astrali, non sono percezioni extra-corporee,
non sono andare fuori di testa, ma è una percezione che è parte del corpo ed è legata al corpo. Questo fino
a un certo punto di evoluzione oltre il quale non andiamo e non ci interessa toccare.
Le persone non hanno una percezione globale di sé
Le persone normalmente non hanno la percezione di sé. Partiamo da questo punto di partenza che è
fondamentale. Se, come abbiamo visto prima, l’essere umano è fatto di tante parti, e se queste parti
corrispondono ad una psiche, se non c’è unità significa che le persone sono frammentate con un Io
formato da tante sub-personalità. Questo ormai è un dato acquisito dalla psicologia moderna: le persone
hanno una serie di sub-personalità. La tecnica del Dialogo delle Voci non è psicoterapia, ma è una tecnica
di Counseling. La tecnica è molto dolce, forte e utile. Il Dialogo delle Voci mette in evidenza il Sé e
potrete vedere salti molto evidenti da una personalità all’altra.
Il punto fondamentale da cui noi partiamo è che, quando la persona arriva (a meno che non abbia già fatto
un lavoro su di sé), non ha una percezione integra del proprio essere, né nel corpo né nella mente. Se voi
gli chiedete: “chiudi gli occhi e senti tutto il corpo”, sente tutto il corpo, se va bene, al 20-30%. Se gli dite
“senti la mano destra” la sente benissimo. Ogni parte del corpo la sente benissimo, ma se gli chiedete
“sentiti un’unità, sentiti un insieme”, non riesce a sentirlo.
Ogni anno, in estate, facciamo il gruppo della ‘Guarigione della testa’. E’ il gruppo fondamentale del
processo della crescita, dove mettiamo le persone in contatto con questa realtà. Tutti, indiscutibilmente,
anche le persone che fanno meditazione, yoga o tai-chi da tanti anni, se gli si chiede di sentire il corpo
unito lo sentono, se va bene, al 30%. Le persone che riescono a sentirlo molto bene sono al 50%. Dopo
due giorni di lavoro, di integrazione delle parti corporee, di consapevolezza delle energie corporee,
orientate alla presenza, arrivano ad avere degli sprazzi, dei momenti di pochi minuti, dove hanno una
certa percezione di sé, diciamo sopra il 50%, 60, 70%. Questo lavoro di integrità delle energie,
normalmente nelle vecchie tradizioni, richiede dai sette ai quattordici anni di meditazione costante. E’ un
training lunghissimo, non è una cosa che si acquisisce facilmente. In questo training, le varie parti del
corpo, le gambe, la psiche, la creatività, l’amore, la rabbia, la paura vengono re-incluse e comprese
nell’unità psicofisica. Quindi la psiche alla fine si trova ad essere un processo di inclusione di tutte le
energie. E’ un centro che non importa quale sia, è un centro – come diceva Gurdjieff – di gravità
permanente.
Immaginiamoci lo stato psicofisico di una persona che ha somatizzato una chiusura del cuore già da
bambino: i genitori non avevano presenza, non avevano coscienza, non potevano trasmetterla. Qualche
volta nella vita normale la presenza era un po’ di amorevolezza, un po’ di affetto, un po’ di gioco ma il
punto centrale -che da bambini si chiude- è il senso dell’esistere come totalità. E questo significa che si
chiude il cuore, le energie sono basse, ristagnano nella pancia, perché non salgono al cuore, le energie alte
non scendono. Quindi nascono i grandi blocchi – il blocco della gola fra la testa e il cuore, il blocco del
diaframma tra il cuore e la pancia, il blocco del bacino tra la pancia e il sesso, il blocco del VI° livello tra
le energie centrali della testa e le energie di apertura verso l’alto, i blocchi classici delle gambe (piedi e
1
ginocchia) perché non c’è una messa a terra, i blocchi delle spalle, dei polsi e delle mani perché il cuore
non può fluire in maniera naturale verso la periferia. Questi blocchi somatici provocano una parallela
frammentazione a livello psichico.
Quindi la frammentazione dell’identità è il nostro stato acquisito a livello culturale nel nostro tempo
presente. Se noi ritorniamo attraverso un lavoro psicologico, emozionale, fisico, energetico a far fluire e
liberare le emozioni ed i pensieri che bloccano le varie zone del corpo, ritorniamo a un corpo sano,
normale, ad uno stato di presenza fisica, integra. Da questo stato di presenza fisica noi ci auguriamo che
la persona riesca a ritrovare una centralità dell’essere ancora più forte e attraverso i processi di
meditazione arrivare ad un livello dove l’energia interna diventa assolutamente viva, esuberante, intensa,
ed eventualmente arrivare a quello spazio di fusione, di unità che tutte le scuole del passato e del presente
continuano a ricordarci.
oooOOOooo
NEUROPSICOLOGIA: L'UNITA' DI
COSCIENZA E I BLOCCHI PSICOSOMATICI
Nitamo MONTECUCCO
Quando entriamo in meditazione profonda e non abbiamo più la sensazione di divisione fra testa e corpo,
tra noi e gli altri, questo campo di coscienza, di energia luminosa, che scorre in tutto il corpo nella sua
interezza, sfuma allargandosi pian piano verso l’esterno. Questo è il primo modello a cui facciamo
riferimento, l’unità della coscienza. Se questa energia si allarga, contemporaneamente, l’ “uovo di
energia” è in movimento.
Il primo blocco psicosomatico: la chiusura del centro della coscienza
Passiamo alla comprensione del cervello (fig.38 del libro “Psicosomatica Olistica”)
1
Immaginiamo il cervello come ologramma cibernetico dell’essere umano. La rappresentazione
informatica dell’unità dell’essere umano. Il cervello non è la mente, ma solo il suo strumento operativo.
Questa mappa raffigura il cervello visto dal basso, dal lato ventrale. Le sue parti sono:
• la zona rossa è il ponte bulbo-cervelletto;
• la zona verde è la parte della corteccia temporale laterale che scende giù, ma immaginiamo che
dietro – in tutta la zona centrale – c’è il cervello limbico, la zona emozionale;
• la parte blu è la corteccia, la parte alta del cervello – soprattutto i lobi frontali e prefrontali – la
parte più evoluta dell’intero sistema;
• la parte gialla è la zona del talamo-ipotalamo, il centro del cervello, il centro della coscienza,
appena sotto il chiasma ottico, l’incrocio dei nervi ottici. È la parte piccola del nostro essere in cui
sintetizziamo tutte le informazioni fondamentali, un sistema dinamico che continua a muovere
energie e informazioni, senza il quale il sé si frammenta, perde di integrità. Tutte le informazioni
salgono qui e da qui vanno o al cervelletto o al sistema limbico, dal sistema limbico alla corteccia
e poi …ritornano sempre qui. Questo giro è quello che definiamo il feed-back della coscienza.
Se volessimo antropomorfizzare questo livello, possiamo vedere che la zona gialla corrisponde
esattamente alla parte sotto-diaframmatica; la parte rossa che è il cervello rettile corrisponde alla pancia;
la zona verde che è il sistema limbico, corrisponde al cuore e alla fascia intermedia che è il cervello
mammifero; la parte neocorticale azzurra corrisponde al cervello umano superiore.
La fig.40 del libro “Psicosomatica Olistica” rappresenta la I° Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche:
il punto centrale del cuore cerebrale ritorna ad essere esattamente sul cuore fisico. Nel cervello rettile, in
basso, ci sono i centri istintivo-motori sessuali; nel cervello mammifero, in mezzo, vi sono in generale a
livello di cuore come funzione affettiva, i centri emozionale-affettivi; nel cervello umano, la neocorteccia
in alto, vi sono i centri cognitivi intellettuali, razionali-intuitivi. Ma il centro dell’essere è comunque dove
noi ci segniamo con la mano quando diciamo “io”, sul cuore.
Riportare tutto al centro dell’essere: la I° Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche
L'area gialla centrale di quest'ultima tavola ci ricorda che: il centro funzionale energetico-informatico del
cervello si posiziona nella zona centrale encefalica: il talamo-ipotalamo, che sincronizza le tre parti del
cervello e del corpo e le due polarità neuropsichiche.
La I° Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche ci ricorda che: se il punto di coscienza centrale è attivo,
tutte le parti del corpo-mente sono in contatto con il sé, il centro dell’identità, e quindi anche tra di loro;
mentre se il centro è addormentato o chiuso ogni parte sarà a sé stante, senza un centro realmente
operante, e la persona si sentirà isolata, frammentata, divisa. E’ il modello dell’unità della complessità e
del centro. Questa prima mappa, volutamente semplificata, è fondamentale per capire come nell’essere
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umano noi possiamo immediatamente riconoscere il primo blocco, il più importante: il vuoto del centro
dell’essere. La persona che abbiamo davanti è tutta di testa, tutta di emozioni, tutta fisica, oppure è
integra tra tutte le sue parti?
Il campo della persona è coerente, armonico, oppure no? Questa persona ha o non ha un centro di
autoconsapevolezza? Ha un’identità? Ha una sua forza interna? È una forza mentale, una forza egoica,
una forza d’identità strutturata oppure ha veramente un centro di profondità? Sente veramente di vivere la
sua vita?
Da questo blocco centrale nascono tutti i principali blocchi e disturbi, cioè nasce la frammentazione del
nostro essere. Così, in modo assolutamente semplice, ci ricordiamo anche il punto essenziale del
counseling olistico: quello di riportare ogni elemento al centro dell’essere, ossia di risvegliare
l’esperienza dell’essere. Quindi noi avremo -per quanto riguarda la totalità dell’essere- persone che
saranno parzialmente prive di questa percezione centrale, di questa coscienza centrale dell’intero essere.
Cioè avranno poco contatto tra il sé ed il corpo, non sentiranno il corpo, non sentiranno i limiti del corpo,
non saranno in contatto con la loro forza, le energie fisiche-mentali-emozionali-biologiche-sessuali non
sono fluide tra loro. Avremo persone che non hanno contatto tra il sé, l’identità centrale, e la parte
intermedia -non hanno contatto emozionale, hanno il cuore chiuso-; oppure non hanno contatto con la
parte intellettuale, oppure avremo persone che hanno questa parte fisica estremamente radicata e forte:
sono molto fisici, sono per i bisogni primari: cibo e sesso. Oppure ci sono quelli che lavorano
essenzialmente sul piano emozionale (immaginiamoci il 99% delle canzoni, delle storie, delle
“telenovelas”, dei film sono tutti su livello intermedio) e quindi vivono completamente persi nel mondo
delle relazioni affettive. Oppure ci sono quelli che hanno optato per la mente e sono completamente persi
nella testa: ogni cosa viene fatta attraverso il pensiero, nell’amore e nell’amicizia pensano, vivono il
corpo e pensano.
In seguito vedremo queste tre grandi tipologie e quelli che poi saranno i grandi comportamenti e le grandi
formazioni del carattere della persona. Chiaramente se una persona già dall’utero non ha avuto una
mamma con una chiara percezione del corpo, diventa uno schizoide, non sente più il corpo, perché gli è
mancato il nutrimento/le energie rosse, basse del corpo.
La polarità maschile-femminile: la II° Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche
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Uno degli aspetti importanti del cervello è la dualità: la complementarietà funzionale e psicologica tra i
due emisferi. Una metà del cervello è maschile ed una metà femminile, e fra le due parti, se scorre bene
l’energia, si crea l’unità, il piacere. Due aree diverse con funzioni molto differenti che vengono sempre
integrate. L’emisfero sinistro è dominante nei processi linguistici, è specializzato nei processi che
richiedono logica, razionalità. L’emisfero destro è dominante nei processi visivi, è specializzato nel senso
della bellezza, nell’intuizione, fantasia e abilità artistiche.
Questa dualità così unitaria e complementare ci riporta, per analogia, alla cellula uovo fecondata che darà
vita a tutto il nostro essere, dove i cromosomi materni e paterni, e quindi le energie del DNA femminile e
del DNA maschile, si intrecciano. Già la prima unità contiene, quindi, gli aspetti complementari del
maschile e del femminile.
La mappa rappresenta un altro dei capitoli importantissimi della polarità psichica, maschile/femminile. In
altre parole le zone fisiche del cervello corrispondono alle zone psichiche-emozionali del cervello. Ogni
area del cervello è come se fosse una mente, una psiche, un’anima che la anima e la fa crescere. Quando i
mammiferi si sviluppano sui rettili, sviluppano una parte che era già presente nei rettili, ma gli danno più
spazio, più elaborazione.
Questa mappa riunifica i dati relativi ai due emisferi del cervello, ai due aspetti polari simpatico e
parasimpatico, alle polarità energetiche yin e yang.
L’attività dell’emisfero sinistro maschile/razionale, corrispondente alla parte destra del corpo, è correlata
con l’attività del sistema simpatico, il sistema dell’attivazione, yang, che viene sostenuto dall’energia
calda attiva dello Shen del fegato (a destra).
L’attività dell’emisfero destro, femminile/intuitivo, corrispondente alla parte sinistra del corpo, è correlata
all’attività del sistema parasimpatico, il sistema recettivo, del rilassamento, passivo/yin, sostenuto
dall’energia femminile dello Shen della milza (a sinistra).
Tutti gli organi (reni, polmoni, testicoli, ovaie) sono speculari, tranne il fegato che è sulla destra, il centro
yang, maschile, e la milza, a sinistra, l’energia femminile. Sono gli unici due organi del corpo che non
hanno una polarità. Nella tradizione yogico-tantrica, il Fegato è Surya Chakra, il chakra del Sole; la Milza
è Chandra chakra, il chakra della luna, della femminilità.
Di fronte ad una persona ci dobbiamo chiedere: questi due sistemi sono in equilibrio? La persona è
integra nelle sue polarità o ha un lato maschile/femminile in eccesso o in difetto? Questi due sistemi sono
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polari come una coppia che si ama? Il suo cervello funziona nei suoi emisferi maschile e femminile come
una coppia con tutte le energie che circolano? Le energie sono fluide nel corpo e nella mente o sono
interrotte? E se sono fluide quanto sono fluide e se interrotte quanto, totalmente, parzialmente? È una
persona che continua ad essere sempre in eccitazione, sempre troppo attiva o è troppo passiva? Ha la
mente troppo razionale o troppo intuitiva? Funziona di più il fegato o la milza? Queste attività sono in
equilibrio o sono differenziate? Sono ben differenziate e armoniche o ben differenziate e schizofreniche?
Quando vediamo la persona, quindi, la prima domanda da porci è sull’unità della persona, la seconda è
sul maschile e femminile, quanto questa persona è polarizzata o depolarizzata su queste due energie,
quanto sono fluide, quanto ha appreso dei modelli vecchi e li ha incorporati e quanto invece ha fatto una
sintesi e vive in equilibrio.
I tre cervelli e le tre energie psichiche: la III° Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche
Questa tavola riunisce i dati relativi alla triplice divisione dell’essere umano. I tre cervelli –
rettile/istintivo, mammifero/emozionale, mentale/sensoriale - sono connessi con le tre parti del corpo –
addome, torace, testa - che identifichiamo come le aree somatiche dove si manifestano le attività dei
foglietti embrionali – endoderma, mesoderma, esoderma.
Questo modello riunisce i dati relativi alla triplice divisione dell’essere umano. Se la persona ha perso il
suo centro, non ha più l’integrazione del cuore come profondità tra testa, cuore e pancia. Il sé (la parte
centrale gialla del cervello) non riunisce più il mentale, l’emozionale, il fisico/biologico e quindi si hanno
le grandi divisioni. Oppure la persona può anche avere una sua integrità, ma un foglietto embrionale può
essere più sviluppato degli altri e sarà più di testa, o di emozioni o di istintività. La terza tavola della
psicosomatica ci permette di vedere con relativa facilità quanto una persona è nei propri istinti (quindi ha
più sviluppato il cervello rettile), nelle proprie emozioni (maggiore sviluppo del cervello limbico), nelle
proprie logiche (maggior sviluppo del cervello mentale).
2
Queste tre parti del cervello corrispondono:
· il cervello rettile alla pancia-gambe
· il cervello mammifero emozionale-circolatorio, al cuore-torace
· il cervello mentale-intellettuale alla testa
Queste tre aree (fig.19) furono scoperte da un neurofisiologo, Paul MacLean, che sin dall’inizio scoprì
che, nell’essere umano, non sono in contatto armonico tra di loro. MacLean parlò di schizo-fisiologia del
sistema nervoso. Queste tre grandi funzione sono come delle “neuro-personalità”, tre grandi energie
psicosomatiche che non sono vissute in modo naturale e fluido, ma sono inibite, bloccate, squilibrate o
iperstimolate. Quindi, le persone sono troppo “fisiche” o “di pancia”, se sono troppo istintive; oppure
poco “di pancia”, se sono poco istintive; oppure sono troppo “di cuore” se sono molto emozionali; o
troppo “di testa” se viluppano molto il polo mentale.
Queste sono le tre grandi categorie che corrispondono a delle iper-attività o a delle inibizioni dei tre
cervelli.
Pancia: il cervello rettile/istintivo→Sede delle funzioni primarie, vitali. Connesso con il sistema
metabolico, ossia produttore di energia, rappresentato psicosomaticamente dall’addome, in cui troviamo
la maggior parte degli organi derivati dal foglietto interno, l’endoderma. Il cervello rettile è descritto
come il centro di integrazione di una rete di informazioni istintivo/metaboliche, caratterizzato da un
livello di coscienza primitivo/pulsionale, associato agli istinti primari. Corrisponde al secondo chakra
della tradizione yogico-tantrica, al centro Hara della tradizione giapponese, al Tan Tien inferiore della
tradizione taoista.
Torace: il cervello mammifero/emozionale→Associato ai sistemi circolatorio/immunitario, osteomuscolare e sessuale derivati dal foglietto intermedio, il mesoderma. Psicosomaticamente è rappresentato
dal torace, sede del cuore. Il cervello mammifero può essere considerato il centro di integrazione della
rete circolatoria, connessa con l’aspetto emozionale/affettivo del sistema limbico. Corrisponde al quarto
chakra dello yoga e al Tan Tien medio.
Testa: il cervello umano/mentale→Rappresenta il centro di elaborazione del sistema sensoriale derivato
dal foglietto esterno, l’esoderma, che governa il pensiero e la coscienza. La neocorteccia rappresenta il
centro di integrazione della rete sensoriale/informatica che è preconscia e conscia. Corrisponde al sesto
chakra (terzo occhio) e al Tan Tien superiore.
La figura 28 raffigura, secondo la tradizione taoista, la mappa dei tre fornelli o tre riscaldatori:
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·
·
·
il fornello Tan-Tien inferiore, nell’addome, dove risiede il polo vitale e la sessualità.
il fornello Tan-Tien intermedio, all’altezza del cuore, dove dimora il senso dell’essere.
il fornello Tan-Tien superiore, nel centro della testa, chiamato anche Tao o Dao, il sé spirituale.
In tutte le tradizioni – per esempio la cinese o la tibetana con i relativi chakra - le tre funzioni erano
assolutamente stabilite. Questa triplice divisione esisteva per tutte le categorie.
Nella fig. 39 c’è la parte dello spaccato del cervello: la zona bassa è in rosso, il bulbo-cervelletto, il
cervello rettile. La zona talamo-ipotalamo è il centro del cervello e in alto c’è la corteccia. Se volete
vedere tridimensionalmente, le zone rosse e blu sono il cervello emozionale, c’è l'amigdala e l’ippocampo
che è la sede delle emozioni e delle memorie emozionali, quelli che vengono chiamati i feeling tones, i
toni emozionali. Molto interessanti sono i bulbi olfattivi che sono una delle parti più emozionali e anche
rettili del sistema sensoriale, perché nei bulbi olfattivi partono tutti i sistemi di riconoscimento
emozionale.
Una delle considerazioni importantissime per la professione di Counselor è quella di comprendere il
benessere come “piacere di essere”, sensazione generata dall'endorfina.
Queste in viola sono le aree del cervello dove maggiormente viene prodotta endorfina. Le zone del talamo
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e ipotalamo sono tra le due maggiori produttrici. Come dire, quando il funzionamento di questa parte
centrale del cervello è ottima, il cervello produce endorfine che danno la sensazione del piacere di
esistere. Il talamo/ipotalamo è una zona immutata sia nel cervello rettile che nel cervello mammifero che
nel cervello umano. Tutti gli animali, di tutte le specie, tutte le cellule, producono endorfine, tutto
produce “senso di piacere”.
Tutti gli animali hanno un centro di coscienza, basti pensare che l’ipotalamo pesa 4 grammi in tutti gli
animali superiori, compreso l’uomo, dove gestisce il 90% delle sue funzioni di neurointegrazione globale.
Non è mai stato modificato. E’ come un centro di soggettività che rimane assolutamente uguale. Cambia
leggermente il numero di connessioni, di complessità, ma la struttura è uguale. E’ come dire, la coscienza
di sé è uguale per tutti. La mia coscienza o quella di un rettile non cambia. Tutti gli animali, quindi, hanno
il sé, ma non hanno l'auto-coscienza di sé. Il rettile ha solo il cervello rosso, i mammiferi hanno solo la
parte verde, più una piccola parte blu. Quando invece la parte blu si sviluppa, come nell’essere umano,
l’informazione gira dalla corteccia all’ipotalamo e dall’ipotalamo alla corteccia. Si dice, in cibernetica
che diventa un “flusso di informazioni ricorsivo” e “autoreferente”. Le informazioni diventano operative.
Si viene a creare un feedback di conoscenza e di autoconoscenza.
Rapportandoci alle mappe, se prendiamo il cervello umano possiamo vedere il processo di evoluzione dal
rettile come un’energia che passa e che ritorna sempre a trovare il proprio centro. Tutto il sistema nella
sua complessità ha un unico centro di coscienza, a cui arrivano e da cui ripartono tutte le informazioni.
Guardate il movimento del campo elettromagnetico: dal centro va all’esterno e ritorna giù a spirale. Il
campo elettromagnetico umano, dalla testa ai piedi va esattamente nello stesso senso, continua a girare e
non solo all’interno, ma anche all’esterno. Quello che noi chiamiamo aura, il campo elettromagnetico
intorno all’essere umano, viene studiato esattamente come una forza che continua a girare. Le
informazioni girano e continuano ad arrivare alla coscienza. Io sono tutte le informazioni che ho e che
ritornano al mio centro. Io sono le mie informazioni. Se lo avessimo dimenticato, noi eravamo comunque
un’unica cellula che si è differenziata nei tre sistemi, i tre foglietti embrionali. Come la luce si differenzia
in rosso, blu e verde che sono i tre colori fondamentali, queste sono le tre energie fondamentali.
Ricordiamoci sempre che i tre sistemi nascono dall’unità e rimangono unità.
Di nuovo quando vediamo una persona dobbiamo chiederci: quanto è in equilibrio fra queste aree?
Quanto è mentale, “di testa”? Quanto è “di cuore”, quanto è sé stessa nelle proprie emozioni, come si
esprime? Quanto usa il cervello rettile-istintivo,? Quanto è “di pancia”? Una persona equilibrata dovrebbe
esprimere un po’ tutte le potenzialità: pensare, sentire, comportarsi istintivamente, tutto in modo
equilibrato, ma noi sappiamo che questo non è nella natura del nostro mondo occidentale e così come nel
cervello ci sono delle frammentazioni, così nel corpo ci sono le grandi fratture psicosomatiche. In tal
modo una persona invece di sentire quello che è giusto, pensa a quello che dovrebbe essere giusto.
Invece di sentire con il corpo quello che vuole, pensa per sentire quello che vuole. Ogni volta che segue
un istinto o un’emozione, la mente interviene col controllo o col giudizio e l’emozione gli va in testa, e la
persona invece di provare emozioni, invece di agire spontaneamente, continuerà a pensare. La testa ci può
anche essere utile, ma un conto sono le piccole informazioni razionali che ci aiutano a vivere bene ed un
altro è quando la testa è preponderante, funziona in ogni istante. Anche quando vogliamo entrare nella
sessualità, restiamo nella testa e non ci lasciamo andare, non viviamo una buona sessualità. Anche quando
vorremmo colpire qualcuno che ci ha fatto del male entra il “Super Io” della testa che blocca le emozioni
ed i comportamenti. La rabbia non viene esternata e ci brucerà come risentimento nel fegato, ci
appesantirà il cuore e dopo un po’ che la reprimiamo andrà in testa ed esploderà. E quindi la testa
continua a funzionare “a manetta”, non viviamo le emozioni, non viviamo la gioia del corpo, non
abbiamo nessuno schema reale di soddisfazione. Dal sesso alla meditazione, le cose belle che facciamo
permettono realmente di rilassarci, di aprirci anche “in basso”.
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La terza mappa serve a verificare velocemente quello che vedremo in pratica nella settimana: quali sono
le energie preponderanti o più represse.
Ricordiamoci che ci sono persone più “di corpo”, con un corpo forte, una struttura fisica più larga, più
robusta; sono “terreni”, la struttura primaria è una struttura forte.
Nelle persone “di cuore” di solito il sistema è equilibrato fra muscoli, ossa e sistema sanguigno, quindi
sono persone proporzionate ed abbastanza piacevoli.
Le persone “di testa” di solito sono più longilinee ed un po’ meno fluide nei movimenti.
Ognuno ha delle basi fisiche e psicologiche ben precise. Nella prima tipologia i movimenti non sono
fluidi ma forti, nella seconda si ha una certa fluidità, nella terza tipologia i movimenti sono a volte
scattosi, rigidi (gli indiani dicono della personalità “di testa” che quando si muove scricchiolano le ossa).
Questo è nella natura delle cose, per cui osservando una persona si può capire se è in equilibrio fra i
sistemi. Potete vedere quanto la persona ha inibito i suoi istinti. Se chiedete quante volte ha esternato la
sua rabbia, risponde che non lo fa mai ed elenca una serie di motivazioni che lo portano a contenersi. Se
gli chiedi se si lascia andare nella vita sessuale, risponde che arrivato a “quel momento” blocca tutto.
L'energia va tutta nella testa, tutto il calore fisico sale alla testa e viene inibita la parte bassa. I Cinesi sono
esemplari in questo, lo yang deve essere basso, i piedi caldi, le gambe solide.
Ci sono persone per le quali la parte bassa non ha importanza, hanno sviluppato maggiormente la parte
intermedia. Sono attratte dal sentimentalismo e dal pettegolezzo, non hanno sviluppato la propria vita e
vivono la vita degli altri, non usano la testa ed invidiano quella di un altro. Quindi il livello intermedio
delle emozioni è in realtà bloccato e tutto esteriorizzato: vivono attraverso gli altri. I blocchi emozionali si
vedono istantaneamente, le persone sono coinvolte dalle storie esterne, non comunicano. Hanno
normalmente la bocca stretta, spalle strette, la struttura di comunicazione è controllata. A volte,
diventando vecchi, queste persone hanno la bocca rugosa e contratta: come la bocca hanno chiuso la vita.
Quelli ipereccitati nella testa studiano moltissimo e dopo pochi mesi dimenticano il 95%; c’è iperattività
mentale, ma la testa è aperta? Il pensiero è libero o anche sul pensiero c’è stata inibizione? Pensate quante
persone credono di essere stupide, non hanno il coraggio del proprio libero pensiero, non hanno
l’intelligenza negli occhi, si nascondono, guardano basso, pensano di essere non adeguati. Con la scusa,
ad esempio che non hanno studiato. Non è vero. E’ una convinzione! Magari inculcata dai genitori, dalla
scuola, da un’istituzione.
Questa mappa ci fa capire, fisicamente, emozionalmente dove è il centro primario della persona, e quindi
dove riequilibrarlo, dove agire per ribilanciare. Se una persona è troppo “materiale” è necessario
spiritualizzarla, se è troppo “alta” occorre concretizzarla. Quando vedo ragazzini tutti “di testa”, pur
essendo io vegetariano, do da mangiare carne, e li spingo all'attività fisica: il corpo fisico man mano si
allarga e la pancia si riapre, la testa va dentro le gambe.
La Mappa delle Energie Psicosomatiche Essenziali
La Mappa Psicosomatica Essenziale rappresenta la sintesi della tradizione yogica e taoista classica
dell’antichità. Entriamo nel vivo della concezione psicosomatica. Questa mappa descrive il movimento
delle energie emozionali umane, delle varie energie-coscienza in relazione al cuore che riceve tre energie
calde dal basso (rene, fegato, milza) e tre energie fredde dall’altro (polmoni, testa, cielo).
Per creare la luce, il sé globale (parliamo dell’anima, dell'essere, dell’io profondo, non dell’ego della
testa), per avere questa sensazione, che i buddhisti chiamano body-citta - coscienza luminosa - abbiamo
bisogno di fondere le sette energie primarie.
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I primi tre chakra sono le unità fondamentali del cervello rettile.
La prima è l’Energia rossa della Forza, viene dai piedi, dall’energia dei Reni, dall’energia ancestrale,
quella che i Cinesi dicono risieda nel Ming Men: il punto di mezzo tra i Reni, la carica vitale che è come
quella pila che non potrà essere ricaricata, che terminerà con la nostra morte. Una parte della nostra
Energia potrà essere ricaricata, ma la parte di Energia ancestrale è quella che è: o c’è o non c’è. E secondo
loro dipende del grado orgonomico/energetico con cui i due genitori interagiscono, con cui si amano o
hanno una buona relazione sessuale. Dall’insieme di queste forze fisiche ed emozionali interiori nasce
questo elemento energetico.
La prima Energia sale diritta dalla Terra al Cuore: questa è l’Energia primaria di Terra, di Reni, di forza, è
il grounding, è la forza che ti fa spostare con vigore nel corpo, è quella che ti fa sentire vivo e forte, è
quella che ti tiene sulle gambe, che ti dà la presenza fisica, l’energia della kundalini. Nasce sotto i piedi,
attraversa la zona sessuale e arriva al cuore, dove diventa coraggio: la forza di essere sé stessi. Finisce a
livello esterno sul quinto livello e poi si interiorizza e va energeticamente nel cervello rettile. Il canale
associato yang di “vescica” è doppio posteriormente, sale su per la schiena. È l’energia più carente in
senso assoluto nella persona della nostra società. E’ il canale della volontà di vivere. È il senso del piacere
quando mangiamo, lavoriamo o facciamo l’amore. Se questa Energia è viva, ti dà calore, il senso
dell’identità e fa sì che la psiche/l’anima si senta incarnata, si senta nel corpo fisico. Se questo canale è
debole, è quasi assente, la persona non ha più la parte bassa, non ha più le palle (testicoli e ovaie).
Ricordatevi che a livello genetico nel feto esistono due gonadi che diventeranno testicoli o ovaie a
seconda dello sviluppo dei due sistemi: i dotti del Muller e del Wolf; se si sviluppano i dotti di Muller le
gonadi si differenzieranno in ovaie, determinando il sesso femminile; se si sviluppano i dotti di Wolf, le
gonadi si differenzieranno in testicoli, determinando il sesso maschile. Tuttavia noi abbiamo la totalità
della potenzialità, le gonadi sono uguali, tanto negli uomini, tanto nelle donne, cambia solo la loro
funzionalità.
La seconda Energia è l’Energia della Milza che sale da Terra, secondo la vecchia tradizione sia
tibetana sia cinese, prende l’energia del primo chakra, passa attraverso la milza e arriva al cuore dal lato
sinistro. È l’Energia della dolcezza, della sensualità, della maternità, senso di accoglienza e contenimento,
del lasciarsi andare, del godere il piacere delle piccole cose. È l’energia che dà calore e forza a tutte le
altre energie. È l’energia femminile per eccellenza, fondamentale nella vita. Quando c’è questa energia
c’è un’identità nel bambino che cresce. Il bambino ha bisogno di questa energia fisica e di farla crescere
negli anni, affinché si manifesti con pienezza, nella maturità, come integrità del sistema. È di colore rosavioletto, ma veicola anche le energie giallo-linfatiche della pancia.
La terza Energia della vitalità dinamica, passa principalmente dal Fegato, nasce da Terra, prende
l’energia del primo chakra, elaborandola più verso l’esterno, e la porta al cuore. È l’energia che
chiamiamo vivacità, giocosità, movimento, dinamica, intelligenza attiva, Yang. È di colore verde, a volte
arancio, o rosso se c’è rabbia.
Quando queste tre Energie sono in equilibrio tra di loro, il bambino ha il cuore aperto e vivo. Sente il
corpo fisico, sente la sua vivacità, gioca, è felice di giocare, sente la sua tenerezza, sente il calore della
mamma che lo abbraccia, è felice di lasciarsi andare. Il sistema simpatico e parasimpatico sono attivi, con
scambio armonico tra i due.
Il cuore è il centro pilota: il Cyber del sistema
Dall’alto scendono al cuore le tre energie sottili di quinto, sesto e settimo livello.
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L'Energia di Quinto livello, della creatività e della comunicazione, scende dalla radice del naso e si
biforca nei Polmoni, è l’Energia dell’aria, fortemente associata alla mente. In tutte le tradizioni antiche
l’aria e la mente, vento e psiche, sono quasi sinonimi. È l’Energia della curiosità, dell’intelligenza attiva,
creativa. E’ il bambino che scopre, conosce, si muove. Questa Energia è del quinto livello e permette alla
persona di respirare. È un’energia che alimenta fortemente il Cuore, che gli dà respiro. Il colore è azzurro,
indaco o rosato.
L’Energia Psichica di sesto livello, l’Energia della mente, della coscienza, scende dal centro della testa
(ipofisi) direttamente al cuore. Il colore è blu-indaco.
L’Energia Spirituale di settimo livello, scende dall’alto come luce viola, a volte dorata, entra nella testa
dalla fontanella e arriva al cuore sul canale centrale, connesso al primo livello.
Quando la persona vive integralmente, le sette energie sono armoniche tra loro ed il cuore trasmette vita a
tutto il corpo, connettendo la pancia (II°, III° chakra) alla testa (V°, VI° chakra), mentre il I° chakra si
connette al VII° sul canale centrale-posteriore. I sette colori sono coerenti tra loro, si uniscono e
producono un’unica luce. L’organismo diventa un “corpo di luce”, realizzando il Cyber.
I sette livelli di nutrimento dell'essere e dell'identità
Quando il bambino nasce ha bisogno di mangiare, di dormire, di stare al caldo, altrimenti muore: primo
chakra. Ha bisogno della mamma che gli vuol bene, lo accarezza e gli dà il seno con amore: secondo
chakra. Ha bisogno di vivere la sua vita, andare in giro, esplorare, conoscere, farsi anche del male, sentirsi
libero, sentire che ce la può fare: terzo chakra.
Se questa energia verde intenso non viene bloccata diventa l’energia vitale, del conoscere, del fare, del
prendere iniziative. Quindi è un livello meno intimo, più rivolto all’esterno.
Il bambino ha bisogno di essere amato, quindi il cuore è la base. Il cuore è un verde molto più chiaro a
volte giallo dorato. Il cuore è l’unico organo che ha due funzioni, due livelli: quello più esterno dell'amore
e quello più interno dell'identità. Prendiamo il cuore normale: la funzione è che il bambino deve sentirsi
amato, cioè riconosciuto per quello che è. Non è un amore condizionato. L’amore condizionato è il
veleno del cuore, ti amo solo se fai quello che dico io. Allora il bambino non si sente amato e chiude il
cuore. Il cuore è un punto centrale che fa girare tute le energie.
Il bambino sin dall’inizio parla, comunica. E la comunicazione, quinto chakra, è fondamentale. Ci sono
genitori che non comunicano con i figli. La comunicazione comincia subito, prima della nascita.
Comunicazione, ascolto, empatia, contatto, presenza: quinto chakra.
La comunicazione in tutte le discipline energetiche antiche è anche il veicolo della mente, il sesto chakra.
La voce, quinto chakra, è il comunicatore del sesto, la mente. Per i tibetani, i cinesi, attraverso l’aria si
comunica l’intelligenza, attraverso la voce si comunica il sesto chakra.
Dietro la domanda: “perché esisto?” c’è il settimo chakra.
Quando al cuore arrivano tutti e sei gli altri livelli, va in profondità. Si apre la dimensione globale che noi
chiamiamo l’Essere. Che è un io libero, sono io, io esisto, io vivo tante cose e mi sento me stesso. Il Sé va
in profondità. Il Sé si connette con gli altri chakra, soprattutto con il settimo. E a volte prende anche
un’energia ancora più profonda ed impersonale, si connette con il primo, entra nella materia.
Una volta feci una intervista ad Osho e gli chiesi del modello olistico in psicologia. Mi parlò del sé
centrale, di tre livelli dell’inconscio più in basso e di tre livelli del superconscio più in alto. E mi disse:
“quando scendi ti ricordi delle tue vite passate. prima umane, poi anche animali”. Il difficile, disse Osho,
è entrare nell’inconscio cosmico, quello della materia.
E sopra tre livelli. Di autoconsapevolezza di te, di autocoscienza spirituale non solo della tua anima ma
anche del mondo delle anime attorno a te. Quindi la visione sottile, la presenza, i maestri, fino ad aprire
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ancora di più: il Dio di tutte le cose. Il grande spirito dell’universo è lì, è un salto infinito. Queste sono le
nostre potenzialità.
La sede della coscienza
La coscienza psicosomaticamente (come percezione diretta) ha sede nel Cuore, e parallelamente (neurociberneticamente) ha sede nel centro del cervello, che prende coscienza dallo stato dell’essere attraverso il
Cuore, il centro tra la testa e la pancia.
Quindi, quel punto che abbiamo visto essere il Cuore del cervello, nel corpo corrisponde al Cuore fisico.
Sono due punti in totale parallelismo, in totale equilibrio. Quindi, se l’intelligenza viene sviluppata, se
l’occhio vede la mamma e riceve amore, se la mamma respira e gli dà vita, se è affettuosa, se c’è una
giocosità, se c’è una percezione del corpo fisico, il bambino nasce naturale. La mamma che non ha tanto
primo chakra, non ha tanto radicamento nel corpo e quindi per esempio non cura i figli, è di testa, non è
fisica, trascura o abbandona i bambini. Questa cosa la troviamo in tutti gli animali soprattutto i superiori.
Per esempio i gatti hanno una mamma che c’è. Nella gatta il Rene fa scattare le surrenali, in caso di
pericolo tira una graffiata negli occhi e ti acceca. Questa Energia dell’aggressività può scattare, è una
presenza. Anche una scrofa quando è gravida è pericolosa, questo centro è vitale. Mentre i piccoli fanno
partire istantaneamente queste due Energie – voi vedete i piccoli che hanno sempre spazio per giocare,
vivacità e tenerezza – la mamma non li perde mai di vista.
Già negli animali inferiori questo tipo di equilibrio può essere devastato. Facciamo degli esempi semplici.
Ho fatto un esperimento molto interessante. Avevo due galline, una bianca e una nera. Fecero due nidiate
in una stalla, ma alcune uova furono mischiate. In una cesta furono messe le uova della gallina bianca e in
un’altra cesta le uova della gallina nera. La gallina bianca era una gallina simpatica e amorevole. La
gallina nera era isterica e nervosa. Quando sono nati i pulcini alcuni erano scambiati. La gallina bianca
era tranquilla e non dava segnali se qualcuno si avvicinava, mentre la gallina nera, se ci si avvicinava,
mandava segnali ai pulcini che scappavano. I pulcini, anche neri, che erano stato allevati dalla gallina
bianca era tranquillissimi; i pulcini, anche bianchi, che erano stati allevati dalla gallina nera erano isterici.
Per noi il punto fondamentale è che queste Energie, che dipendono anche da centri cerebrali ben precisi,
possono essere alterate. Se mamma gatta muore e quindi viene a mancare tutta la parte di tenerezza e
dolcezza i gattini vanno a succhiare i vestiti perché non hanno avuto il riflesso della suzione, non è stato
concluso, per cui per tutta la vita avranno un bisogno affettivo (sono diventati orali) e continueranno a
ciucciare il latte. Oppure mamma gatta è troppo nervosa e aggressiva e li fa diventare troppo aggressivi
oppure la gatta non lascia giocare i piccoli. Nel caso della gallina nera che non lasciava andare i suoi
pulcini fuori, l’asse prevalente del Rene era sulla paura, non sulla forza. Quindi ipertensione: i pulcini non
giocavano, non si godevano la loro vita con pienezza.
Shen: il cuore e l'anima emozionale degli organi
Già nel regno animale abbiamo un’infinita serie di esempi di alterazioni delle energie psichiche primarie.
Queste Energie i Cinesi le chiamavano Shen, gli spiriti, le anime degli organi. Lo spirito centrale è sul
Cuore, è quello a cui arrivano tutte le anime del corpo, così come al centro di coscienza del cervello
arrivano tutte le informazioni del corpo. Dobbiamo capire che l’anima del Cuore vive realmente e
cresce solo se viene nutrita da tutte le anime somatiche. L’Imperatore, simbolo del cuore centrale, vive
ed è potente se riceve nutrimento, denaro, forza da tutto l’insieme del regno. Se non lo riceve, diventa
debole. Se ne riceve pochissimo, può collassate.
Questo processo lo possiamo rivedere nell’immagine della Mappa Psicosomatica Essenziale:
il Centro del Cervello della Percezione Globale dell’Essere, a metà tra la destra e la sinistra, tra davanti e
dietro, l’alto e il basso dove per esempio i Cinesi o le tradizioni tibetane fanno arrivare tutti gli Shen. La
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chiamano la Stanza della riunione delle Anime, le anime dei vari organi.
A livello psichico immaginiamo questo come il centro del cervello: la parte corticale, la parte intermedia
emozionale, la parte più istintiva. Tutte queste energie devono arrivare in questo punto per produrre una
percezione intelligente dell’essere. Se una persona non riceve le Energie basse sarà una persona senza
corpo, senza radici. Ciò che noto di più nelle persone è la totale scarsità di energia nelle mani, sia nella
comunicazione che nella stretta. Talvolta sono mani grassocce, sudate, come se non ci fossero o come se
fossero delle pinze, delle cose esterne. A volte, invece, dai la mano ad una persona e senti la persona, ti
parla con il chakra della mano, è nel Cuore. Sembra che i canali arrivino proprio al palmo della mano. Ma
se questo Cuore è debole, perché l’energia del Cuore viene frammentata a livello di spalle-gomito-polso,
abbiamo questa forte alterazione.
Si viene a creare, quindi, proprio sulla zona del Cuore un’interferenza fortissima che ha un parallelo
anche meno evidente sulla testa. Ci sono due punti sul Ren Mai relativi al Cuore: il punto psicosomatico
del Cuore, quello emozionale, è sulla linea mediana tra i due capezzoli. Noi posizioniamo il Cuore,
invece, a livello energetico, leggermente più in alto, 2 o 3 cm più su, che corrisponde proprio alla radice,
all’anima, all’essenza del Cuore. È l’area del sé.
A livello di pancia si riuniscono i 7 meridiani Yin principali: tre da una parte e tre dall’altra che vengono
su dalle gambe più il meridiano di Vaso Concezione che passa nel mezzo. È la zona della vitalità, il punto
evidente di una carica enorme. L’altro, a livello cerebrale, al centro della testa a cui arrivano i vari
meridiani del Tan Tien Superiore.
Piacere, paura e inibizione del cervello istintivo
Facciamo una brevissima riflessione sulla crescita umana di questi tre cervelli.
La cosa interessante è che il cervello inferiore è quello della vitalità, essenzialmente orientato alla
sopravvivenza di sé: “io esisto e voglio sopravvivere”. Ci sono alcuni passaggi fondamentali, in cui
l’energia del Rene e delle surrenali sono fondamentali: attacco o fuga. Se è più piccolo di me, lo attacco e
lo mangio; se è più grande di me, scappo e mi salvo la pelle; se non posso fare niente mi abbandono e mi
lascio andare, vado in inibizione dell’azione e perdo completamente la funzione degli istinti, perché non
posso più fare niente. La gazzella scappa con tutte le forze, ma se viene presa si butta a terra, è inutile
scappare, tanto vale morire in fretta, non c’è più niente da fare, c’è il collasso delle funzioni. Il collasso
delle funzioni del cervello rettile è comunissimo (l’insetto, invece si finge morto per istinto di
sopravvivenza: viene mangiato solo se si muove). Altrimenti negli esseri umani questo processo è
comunissimo nei contesti di inibizione dell’azione. A livello neurofisiologico è stato studiato da Henry
Labory che ha osservato come i topi, per sopravvivere in una gabbia divisa in due e data elettricità a
mezza gabbia, saltavano nella metà opposta. Si accendeva la luce, si elettrizzava e i topi saltavano per non
prendere la corrente. Poi, gli scienziati elettrizzavano entrambi le gabbie e i topi saltavano da una parte
all’altra cercando di capire dove non c’era elettricità. Fino a che si buttavano come morti e non reagivano
più. Noi umani abbiamo esattamente la stessa funzione. Esistono specifiche caratteristiche nelle persone
che hanno delle strutture di carattere assolutamente date dalla non-reazione. Di questo ne parliamo in
Accademia quando diciamo che hanno così tanto proiettato valori di paura o di arroganza sui genitori, il
prete, Dio, “io non posso agire”, che anche quando gli si fa del male, non reagiscono. Quando incontro
questo tipo di persone faccio in modo di farle reagire. Normalmente una delle cose che faccio è di
spingere nel punto del diaframma, che spesso fa molto male. Quando vogliamo stimolare la respirazione
di una persona, dobbiamo schiacciare questo punto e la persona sblocca il respiro, gli si apre il
diaframma. E dato che la compressione bassa è essenzialmente diaframmatica e i Reni sono sottodiaframmatici e retroperitoneali, in questo punto si va proprio a stimolare quella zona di azione, si cerca
di rimettere in moto la reazione. Comincio a schiacciarlo e chiedo : “Qui, ti fa male?” Questo tipo di
persone non reagiscono e soffrono anche se gli faccio del male. Allora li minaccio dicendo: “Adesso vado
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dentro e ti sfascio il piede!!” e finalmente hanno una lieve resistenza. Gli chiedo: “Allora ti fa male”? “Sì,
sì un po’.” Allora carico la dose, loro cominciano a dire: “No, no, per piacere non mi faccia male.” E io
faccio di tutto per mandarli in reazione e quando finalmente cominciano a reagire, scatta questa inibizione
del centro dell’istintività.
E glielo rifaccio fin quando loro non lo imparano. Nessuno ti deve fare del male. Non accettare che
nessuno ti faccia del male!! Se qualcuno ti fa del male, non è più tuo amico. A qualsiasi cane se gli fai del
male, anche se è il tuo cane favorito, prima ti azzanna delicatamente ringhiando come per dire “Che cosa
fai? Guarda che ti mordo“. Se continui, lui continua a tenere la presa, ti guarda ringhiando ancora di più
finché ti morde. Io l’ho sperimentato: quattro punti sulla mano, Era un cane sano!
Tu non lasci che nessuno ti faccia niente, perché se qualcuno ti fa qualche cosa vuol dire che o è
squilibrato o è pazzo. Se vuol picchiare qualcuno, vada a casa e picchi sua moglie, ma non me.
NESSUNO MI DEVE PICCHIARE!
Quando facevamo i punti del cranio-sacrale dello psoas, gridavamo, però nella relazione se ti fanno
troppo male dici: “No, è troppo!” Loro ti dicono: “Prova a resistere ancora e prova a mollare invece di
tendere.” In questo caso c’è un rapporto di reale fiducia dove stai facendo un lavoro doloroso, ma che
serve. In realtà quando il muscolo viene stressato a lungo, cede ad un certo punto l’attenzione e
l’emozione che è bloccata lì. Quindi, lo si può fare, ma con un progetto mirato.
I rettili quando crescono hanno un’energia estremamente forte per la vitalità. La vitalità è esattamente
quello che si vede nel mondo contemporaneo che, secondo me, dovrebbe essere chiamato il mondo tecnorettile. La parte razionale del cervello ha totale supporto dall’energia del cervello rettile. L’energia del
cervello rettile è: mangiare, avere potere, avere territorio. Le multinazionali hanno l’estensione del
cervello rettile, cioè territorio, potere e se mai, meglio abuso che non il contrario. Meglio avere qualcuno
sotto che non sopra. Se posso schiacciare qualcuno, mi sento più forte e più sicuro. Quindi, questo centro
istintivo è quello che stimola ad arrivare al vertice della gerarchia - il maschio alfa - il che significa che io
sono più cattivo di te, sono più grosso e più potente di te, ti metto sotto, ti massacro e quindi mi faccio le
femmine del gruppo, perché io sono il maschio migliore, quindi ho la genetica migliore. Questo è legato
alla riproduzione, ma avviene anche all’interno di strategie fortemente di sopravvivenza, mentre invece
nelle società dove non c’è così bisogno di sopravvivenza, questo tipo di gerarchia si affievolisce, si
orizzontalizza. Quando parlo di società con maggiore o minore senso di sopravvivenza, mi riferisco al
fatto che laddove non c’era cibo, la sopravvivenza psichica di una società era fortemente orientata ad un
comportamento rettile ed ai bisogni primari. Dove non c’è da mangiare, devi creare dei piccoli clan per
avere un minimo di forza e sopravvivenza. Quando invece abbiamo abbondanza di cibo tanto da buttarlo
via, non c’è più un orientamento alla sopravvivenza e i livelli più alti cominciano a prendere prevalenza e
diventano più importanti. Quindi, se nella psicologia prima di tutto devi far vivere il bambino - perché se
no non c’è una psiche – là dove c’è cibo in abbondanza devi badare ai lati più alti del suo essere.
La comparsa del cervello mammifero è la comparsa di un elemento caratterizzato dalla necessità di far
evolvere di più nel tempo e in complessità i figli. Quindi, mentre i figli dei rettili di solito vengono
partoriti o vivi o nelle uova, nei mammiferi la prole è la società, è l’estensione del “self” non solo come
“sé”, ma come gruppo, figli, compagno, piccola società vista come “self-extension”. L’estensione del sé
all’entourage è assolutamente fondamentale, permette una maggiore complessità, una maggiore
evoluzione che ha dei tempi necessariamente più lunghi. Il cervello mammifero può inibire le funzioni del
cervello rettile. Quindi, la mamma che non ha cibo si depaupera per dare il latte ai figli. A volte mette a
rischio la propria vita per far vivere la prole. Ciò vuol dire che va contro la prima legge della
sopravvivenza, dell’autoprotezione di sé, un po’ come le leggi della robotica di Asimov.
Nel cervello mammifero “io sono vecchio, preferisco eliminare me e far vivere i miei figli, perché hanno
più probabilità di portare avanti me stesso in senso esteso.” E’ molto intelligente. Il cervello mammifero è
fortemente basato sulla comunicazione. Mentre il cervello rettile ha tre tipi di meccanismi: il primo è la
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paura, il secondo è l’aggressività, il terzo è il sesso. Può essere voglioso di sesso, fa il relativo verso a
tutte le raganelle che sono lì attorno, oppure è un maschio in apertura di territorio e fa un verso forte come
per dire “Ti faccio paura”. Alcuni rettili quando vengono registrati – questo vale anche per i mammiferi –
fanno tutti la stessa cosa, per esempio prendono il senso della paura base e lo fanno diventare più
complesso. Per esempio i Mustelidi hanno tre messaggi di pericolo. Quando vengono registrati i messaggi
di pericolo dall’alto, si possono vedere questi piccoli mammiferi che guardano tutti in alto, perché
significa “attenzione, pericolo di rapace!” L’altro è “attento dal basso” tipo serpente e tutti saltano fuori
dall’erba. Ricapitolando, il cervello rettile è territorio, paura, sesso.
Il cervello limbico degli affetti e dell'amore
I mammiferi riprendono questi messaggi e li rendono estremamente più complessi. E non si tratta più di
un messaggio per sé, i mammiferi aprono il livello sociale, la famiglia, la comunità. L’unico messaggio
collettivo dei rettili è per l’accoppiamento, o lanciano i messaggi agli altri per paura o per intimidazione,
ma non si tratta comunque di messaggi sociali. Già gli uccelli sono paralleli al livello evolutivo del
cervello mammifero. Anche nell’accoppiamento dei mammiferi c’è un’inibizione del cervello rettile
altrimenti la femmina, subito dopo l’accoppiamento, andrebbe a cercare un nuovo compagno; c’è
un’inibizione degli ormoni dell’accoppiamento in modo che lei rimane vicina alla prole, mentre
l’ossitocina e la prolattina agiscono per inibire il cervello rettile, per permettere al comportamento
materno di emergere. E’ un livello molto bello, molto interessante.
Ad un certo momento noi ci siamo trovati a essere primati, a dover sviluppare, ad un livello ancora più
elevato di mente, di elaborazione, delle informazioni su livelli molto più avanzati. Già i mammiferi hanno
un discreto livello di intuizione, di razionalità. Gli uccelli creano dei nidi complessi e fanno delle cose
molto interessanti, i canidi fanno delle strategie di gruppo complesse per accerchiare, fare tutta una serie
di cose. E tanto più è complessa la specie, tanto più si tende a raggiungere un livello di accoppiamento
che sia lungo nel tempo. Questa è una motivazione biologica, perché il bambino non è che nasce ed è già
adulto. Ci mette perlomeno 3, 4, 5 anni e la struttura della coppia tra uomo e donna deve essere precisa.
La scelta tra uomo e donna: l’uomo deve sceglier una donna che abbia una certa presenza e la donna deve
scegliere un uomo che abbia una certa presenza, che diano l’idea di essere stabili perlomeno per 4-5 anni,
un ciclo. Da qui nasce l’idea della coppia perfetta, dell’amore, della famiglia che, a livello biologico, è
essenzialmente corretto. Non è corretto a livello umano, perché noi non siamo più a quell’istanza e
comunque la decisione di fare una famiglia non dipende più dall’età o dal sesso. Noi possiamo scorporare
la sessualità, l’affettività, l’amicizia dall’aver dei figli. Ma tutte queste energie sono assolutamente
fondamentali nella comprensione degli scompensi emozionali. Sono dei blocchi psichici. Nella
formazione del carattere se queste energie non vengono sviluppate in modo naturale possono creare una
serie di tragiche alterazioni, dove le energie di base o lavorano troppo o lavorano poco.
La Mappa Psicosomatica Essenziale
Questa mappa rappresenta uno schema semplificato: destra, sinistra, alto, basso è lo schema biologico o
neurobioenergetico più semplice per interpretare in modo corretto le patologie psichiche. Tutte le
alterazioni, dalle quelle leggere a quelle più gravi. Nella situazione delle più gravi c’è una rottura degli
equilibri, nelle situazioni lievi c’è un momentaneo squilibrio. Quindi, può essere per esempio che voi
avete una persona che ha avuto un certo imprinting all’interno di un rapporto di lavoro o di amicizia
normale, a un certo momento fa scattare dei processi iper-affettivi, diventano troppo gentili. Oppure non
sono gentili per niente, zero affettività; oppure sono troppo di fegato, sono iperattivi; oppure sono
negativi sul lato maschile e sono sempre arrabbiati; oppure sono sempre negativi dal lato femminile e
sono sempre depressi.
Queste patologie a livello energetico sono il classico delle tre più importanti discipline di psicologia
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olistica. In Cina, in Tibet e nell’Ayurveda questo tipo di processi sono già stati studiati con un discreto
livello di conoscenza già 3000 anni fa (quindi molto antichi), dove il dottore dell’Imperatore che incontra
la figlia che non mangia più, sente solo i polsi, non la vede neanche, dai polsi sente gli organi e capisce
che lei ha un Cuore chiuso e un intasamento della Milza. La Milza è andata in chiusura, perché l’apporto
affettivo è stato scarso e quindi il lato affettivo si è chiuso, non dà più energia affettiva al Cuore, il Cuore
è triste e la Milza è carica. La Milza carica crea questo processo che noi chiamiamo depressione,
rimuginamento, ossessione. Quindi, il dottore senza usare niente, senza usare l’alimentazione, senza fare
massaggi o agopuntura, semplicemente la fa arrabbiare per farla spostare sull’altro lato. Facendola
arrabbiare (bastava poco per farla arrabbiare bastava dirle “tu” invece di chiamarla Sua Altissima Santità)
la faceva spostare così dall’energia femminile (interiorizzata, introversa e chiusa dentro) a quella
maschile (attiva, esteriorizzata) salvando così il Cuore e salvando la principessa lavorando semplicemente
sul bilanciamento dell’energia a livello psichico. Questo è nel “Nei Ching So Wen” di 2000 anni fa che
ha dentro una pratica di psicoterapia di estrema intelligenza.
LE ENERGIE PSICOSOMATICHE ORMONALI-EMOZIONALI
Entriamo più dettagliatamente nel campo delle Energie Psicosomatiche Essenziali: gli Shen della
medicina tradizionale cinese e dei rispettivi livelli psicosomatici (fig. 44 o poster a colori della Mappa
Psicosomatica Essenziale). Ricordiamo che per tutto quello che riguarda i centri energetici – i Chakra - e i
loro rispettivi livelli psicosomatici, dal punto di vista più tecnico, fisiologico e descrittivo, facciamo
direttamente riferimento al testo “Psicosomatica Olistica”. Queste energie ormonali-emozionali essenziali
sono una delle risorse principali del counselor per capire lo stato delle persone ed aiutarle a ribilanciarsi.
Il primo livello psicosomatico
Il primo livello psicosomatico (il primo chakra e tutta l’area relativa), rappresenta il centro della prima
energia psicosomatica fondamentale. Ha la forza vitale del cervello rettile, è la sopravvivenza. Quando
funziona si esprime come: “io ho bisogno di vivere e di sopravvivere”, “io faccio le mie cose”, “io sento
il mio corpo”, “io mi sento vivo”. Se in una persona questo centro viene inibito, perché i genitori non ce
l’avevano, o perché lo picchiavano, o perché la persona è stata in una situazione in cui non poteva
esprimere questa energia primaria, questo centro ”spento” e bloccato sarà soverchiato dalla sua energia
primaria negativa che è la paura. Quindi tutte le paure, le ossessioni, le crisi di panico, tutte le paure di
base, sono blocchi di I° Chakra. Nei blocchi di I° livello l'energia vitale, la “reazione” è stata spenta e
siamo andati in inibizione più o meno grave dell’azione. La paura blocca il I° Chakra, la paura lo
comprime, blocca l’attività reattiva, non puoi né attaccare né fuggire. Pensate che nelle statistiche la
grande maggioranza delle donne che vengono aggredite non grida, non si ribella realmente, c’è una paura
paralizzante ed i maniaci hanno una particolarissima attenzione psicologica ad individuare quella che non
reagisce. Grandissima parte di tutta l’educazione è basata su questo; per esempio il meccanismo per
inibire il I° Chakra è la punizione, meccanismo basato sul dolore e la paura. Ti punisco, ti picchio, ti
mando in castigo, ti schernisco, ti metto in uno stato d’impotenza: io posso e tu no. “Ti ho detto di stare
fermo! Fai il bravo!” Questo diventa un’inibizione dell’azione. Che poi è più complessa, ha una serie di
sfaccettature perché lo posso inibire sull’azione, sull’amore, sulla creatività, sull’intelligenza (“taci che
sei stupido!”), ma la base è sempre sul I° Chakra. Questa energia primaria di Rene è potentissima, quanto
più viene inibita tanto più può degenerare in malattia. Se le persone hanno poca di questa energia di base,
ci sono tre fattori concomitanti che devono essere valutati parallelamente per poter capire a fondo il
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carattere ed il blocco principale: 1) l’anima della persona; 2) la genetica della persona; 3) l’ambiente.
Prendiamo ad esempio il carattere masochista, caratterizzato da un blocco delle energie attive di primo
livello. Il carattere masochista, nella mia particolare visione, è tipico di un bambino o una bambina
cresciuti in una famiglia dove geneticamente, se dovessi fare un parallelo con un animale, è più
nell’energia delle mucche, dei buoi, che non nell’energia delle pantere. Sono persone generalmente
pacifiche o represse, come dire - la mucca la prendi, la spingi, la tiri e lei ubbidisce. Se fosse un toro
sarebbe molto più difficile, ma lo posso castrare e farlo diventare un bue che subirà per tutta la vita senza
ribellarsi. Quindi, ha già una conformazione genetica di questo tipo. In effetti ha tanta energia, ma di base
quest’energia di I° livello non arriva, è chiusa dentro. Quindi, questa persona può facilmente essere
sottomessa e diventare, attraverso un condizionamento esterno, un carattere di tipo masochista: non usare
la reazione, ma subire. Ha la pelle spessa, la conformazione del corpo più lenta, è più linfatico che
bilioso. Se fosse più bilioso non lo riusciresti a trattenere. Se è un toro non riesci ad imporgli di stare
fermo, tirare l’aratro. A differenza della mucca, il toro ti scaraventa, ti schiaccia e ti incorna. Il livello
familiare, genetico , di “terreno” dell’energia di base è già strutturato.
Poi, ovviamente, anche con quella struttura, chiamiamola di base, genetica, l’anima della persona può
essere molto attiva e superarla, oppure le situazioni esterne possono non toccare, ma tendenzialmente ci
sono delle corporature o delle strutture neuro-psico-fisiche che ci portano a vivere di più certe situazioni.
L’indole è una base energetica che tutte le scuole antiche riconoscono. L’indole può esser cambiata con
opportuni esercizi, però c’è, è genetica. Se una bambina nasce in una famiglia dove c’è una bella mamma
grassa e pesante già da piccola sarà gonfia; da ragazza non sarà sicuramente un’atleta, potrebbe essere
una lanciatrice del peso, ma sicuramente non una centometrista. C’è anche lo sport per quel tipo di
carattere (carattere che in omeopatia viene definito carbonico). Non può fare delle cose veloci, ma lente e
forti. Invece, se uno nasce in una famiglia di intellettuali magri e veloci, non farà il sollevamento pesi,
perché non ha il fisico di base.
Quindi abbiamo la personalità “di pancia”, legata all’iperattività del cervello rettile, forte e
tendenzialmente più larga, ha calore nel corpo. La tipologia “media” di cuore, con una struttura fisica più
in equilibrio, armonica, bella. La tipologia di testa, con figura alta e longilinea. Le tipologie omeopatiche
verticali “di testa” sono “fluorici”/“fosforici”, quelli medi sono i “sulfurici”, quelli fisici sono i
“carbonici”.
Il secondo livello psicosomatico
I linfatici sono di Milza: II° chakra. Il linfatico è il sistema della mamma, la forma della donna è rotonda.
In tutte le vecchie tradizioni le “grandi madri” sono opulenti. Come mai le grandi Dee Madri
“steatopigie” hanno queste forme? Devono essere così, perché in caso di carestia il magro muore, mentre
il grasso dimagrisce, ma sopravvive.
La mamma alleva i figli e quindi è "Dea Madre". Il carattere del II° livello, che per i taoisti è
rappresentato dalla Milza, è sensuale, è una porta sul Cuore, che, attraverso la Milza, manda in circolo la
"linfa" il piacere e la dolcezza: come l’essere caldo, rilassato, lento. La mamma è la figura genitoriale che
ti accoglie e ti ci abbandoni dentro, sei nella sua energia di pancia. Non è “andiamo! facciamo!” Al
contrario, è lentezza, tranquillità, riposo. Se un uomo avesse questa caratteristica lenta – ricordiamo che
noi uomini siamo ancora geneticamente nella giungla – non andrebbe a cacciare, perché non porterebbe a
casa niente. Al massimo può diventare un buon contadino, aiutare in casa le donne. I maschi devono
essere veloci, attenti, cattivi, avere il fegato, avere l’uso dell’aggressività in modo intelligente, essere
l’Ulisse della situazione.
Negli ultimi anni le donne sono dovute diventare un po’ maschili per conquistare una civiltà maschilista,
ma la vera forma del femminile è la lentezza e la pienezza. Questa parte del corpo si muove, vibra, è
presente, l’energia è la dolcezza, la bellezza, il rilassamento. E’ la massima espressione del sistema
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parasimpatico, “me la godo”. Infatti, quando noi godiamo, i liquidi spermatici o i liquidi vaginali sono
essenzialmente linfatici, di II° livello, di Milza.
Il terzo livello psicosomatico
Il III° chakra si osserva nella vitalità dei bambini, negli animali che corrono, nei cavalli nervosi,
sanguigni e scalpitanti; i gatti, i cani se vanno in giro si fanno anche del male, ma devono esplorare, fare
esperienze attive. Se si prende un animale e lo si mette alla catena, questo si arrabbia. Se è un animale un
po’ bilanciato, si sposta sul lato passivo invece che attivo e va in depressione. Negli zoo gli animali vanno
in depressione. Alcuni sono aggressivi, altri diventano ossessivi. Hanno il I° Chakra caldo, hanno voglia
di girare, di mangiare, di accoppiarsi e invece sono imprigionati e alla prima occasione attaccano. La
rabbia è l’elemento che stringe questa parte che invece dovrebbe essere aperta. La rabbia può essere
espressa, può essere una personalità Yang che comunque la esprime in un dato contesto, oppure può
essere un contesto o una personalità che non ti permette di esprimere la rabbia interiorizzata: diventa
rigida, dura e offende amabilmente con la voce. Questo tipo di energia è assolutamente vitale nell’ambito
delle esperienze della vita.
Il quarto livello psicosomatico
Il cuore, il IV° chakra, è sia il centro affettivo ed emozionale del nostro essere, sia, più profondamente, il
centro dell’identità e della coscienza di sé. Quando si dice “io”, in ogni parte del globo, si indica il centro
del petto. Per questa ragione il lavoro sul quarto livello è il più importante e delicato di tutti.
Quando noi lavoriamo sulle esperienze infantili mediamente entrano in gioco questi tre livelli:
- il primo, che parte già dall’inizio come costituzione della mamma. Se la mamma non ha latte o ha latte
ma non ha contatto con il proprio corpo il bambino non viene alimentato o non riceve nutrimento
sensoriale sul corpo.
- il secondo è la mamma affettiva o non affettiva,
- il terzo è la mamma o il padre che ti dà lo spazio del gioco o che ti nega lo spazio del gioco.
Sono le tre variabili più importanti nell’ambito della biologia dello sviluppo psichico. Dall’altra parte
ricordiamo sempre il riconoscimento del Cuore: se il bambino non viene amato (la piccola creatura
percepisce di non essere amato o non voluto già dal concepimento), il senso di riconoscimento gli viene a
mancare, e gli viene a mancare il punto centrale dell’identità. E’ come l’impossibilità di dire “io esisto”.
Facciamo una piccola parentesi. Noi come scuola del Villaggio normalmente partiamo dal concetto di
base che l’anima non sia il corpo, ma che l’anima abbia una sua esperienza e che poi entri nel corpo e si
incarni. Possiamo anche prenderlo come ipotesi di partenza, per cui capiamo tantissime cose che
altrimenti sarebbero impossibili come quello di avere quattro figli tutti dementi tranne uno che diventa un
professore universitario o suona o fa delle cose incredibili perché le possedeva già. Altri hanno la capacità
di liberarsi da alcune condizioni: ci sono fratelli assolutamente piatti e normali o appesantiti e abbruttiti
dalla vita e c’è uno che è diventato una persona straordinaria, perché aveva già da bambino la capacità di
cogliere la spiritualità delle cose. Facciamo un esempio classico: la tradizione di non essere amati dalla
mamma, la tradizione ti viene tramandata: la mamma è cattiva, t’insegna ad essere cattiva e tu trasmetti la
cattiveria ai figli. Un maggiore agio economico ha fatto sì che la vita fosse meno orientata alla
sopravvivenza e che ci fosse un incremento straordinario d’amore verso i figli nel giro di tre, quattro
generazioni. Adesso c’è un numero inferiore alla media di bambini non amati, mentre nella mia
generazione era superiore alla media. Era impensabile che i genitori giocassero con i figli: tiravano due
calci al pallone o andavano insieme al mare qualche volta. Per tradizione il figlio era lasciato alla moglie
mentre il marito andava a lavorare o al bar.
Quindi, esiste anche la possibilità di scavalcare queste consuetudini. ma lo rispetterà come anima libera.
Altrimenti è “mio/a”, “fai quello che ti dico io!”. Quindi, quando la madre o il padre agisce da padre
padrone, ti devasta la vita: tu non esisti, il tuo “io” deve essere come quello che vuole il tuo genitore, devi
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seguire il suo modello, devi entrare nel suo schema.
Oppure, prendiamo ad esempio i cani, alcuni sono contenti di ricevere un pezzo di pane e non chiedono
nient'altro, altri che muoiono di crepacuore se non ricevono affetto.
Io ho avuto un cane, Dick, un cagnone pastore belga, lo avevo ricevuto da un vicino di casa "malefico":
era un signore piccolo di statura, vestiva sempre di nero, era cattivo, picchiava i suoi figli, era una
presenza negativa, ne combinava di tutti i colori. Un giorno viene da me e mi chiede “vuoi un bel cane?”
al che io rifiuto. Passano dei giorni e mi succede di vedere nel suo cortile un pastore belga tutto ossa e
spelacchiato ed emanava un’enorme tristezza. Anche se non volevo cani gli dissi che avevo deciso di
prenderlo. Il cervello rettile del padrone era sicuramente più rettile del cervello del cane che avrà avuto
anche qualcosa in più del cervello mammifero. Lo presi e nel giro di due mesi è diventato un batuffolo di
peli. Non era triste solo perché era alla catena, ma lo era perché non si sentiva amato, lo si vedeva negli
occhi. Infatti, è stato un cane amorevolissimo e umano. Quando litigavo con la mia fidanzata mi
morsicava, come dire “lasciala stare”. Quindi nella logica di queste energie il riconoscimento (può essere
anche un cane) fa nascere questo stimolo. Se questo stimolo non c’è – cosa comunissima – o tu hai dentro
una forza straordinaria, o sei fortunato trovando qualcuno che ti aiuta, ti ama e ti fa crescere, altrimenti
questo centro è chiuso. Hai dimenticato la tua vera natura e sostituisci tutto quello che dovresti sentire con
il cuore, con la testa. Assumerai comportamenti meccanici: “devo fare così, se devo amare scelgo la
donna che va bene a mio padre, scelgo la fidanzata che va bene per la famiglia, se devo fare l’amore
penso come farlo”. Tutto con la testa. Il cuore qualche volta mi spaventa, perché mi porta in contatto con
il dolore, esce il buco creato all’inizio che mi ha creato così tanto dolore.
Il quinto e sesto livello psicosomatico
Il V° e il VI° chakra spesso funzionano insieme. Il V° parte già dall’infanzia, ma si sviluppa soprattutto
nell’adolescenza. Il bambino deve esprimersi. Tutte le energie che abbiamo passato in rassegna si
esprimono attraverso la voce. Il V° Chakra è fatto da sette vertebre: ognuna deve esprimere la sua natura.
Se ti viene impedito di esprimerti con il canto, il gioco, il riso, il pianto (“non arrabbiarti! non ridere!”) tu
blocchi tutto il livello nel corpo. Attenti a questo comportamento si possono sviluppare una serie ampia di
tumori alla tiroide, noduli, tiroiditi di Hashimoto. Lavorando sulle emozioni, sull’apertura emozionale,
quando la persona può essere libera di esprimere il positivo e il negativo, tutti i lati, i sette lati del proprio
essere. Il VI° chakra si sviluppa a partire dai 4-5 anni e per tutta l’età scolare, ancora di più dopo i 18 anni
ed è quella caratteristica che i tuoi genitori ti riconoscono, l’intelligenza. Il genitore stupido pensa che
l’unico modo di vivere sia il suo per cui devi fare come ti dice lui e ti castra l’intelligenza. Oppure, gli fa
paura la tua intelligenza perché lui si sente stupido e quindi ti continua a castrare, ti continua a tagliare a
livello mentale, ti dice che sei stupido, che sei un idealista, ma non è così, “che cavolo vuoi sapere, taci
tu!”, “qua è come ti dico io, se ti piace va bene, se non ti piace va bene lo stesso”. Spesso la castrazione
dell’espressione e la castrazione dell’intelligenza vanno di pari passo. Spesso i genitori castrano il V° e il
VI° livello insieme. Quando il bambino gioca in un certo modo intelligente, se lo vedo e lo amo gli dò un
rinforzo, se gli dico “smetti di fare casino”, che significa che blocco l’energia di Fegato, gli sto dicendo
che è stupido, che quello che lui sta facendo è una cosa stupida. Da queste apparentemente banali
comunicazioni del genitore il bambino deduce di essere stupido. All’inizio il V° e il VI° chakra sono
molto importanti per la fiducia che uno ha nel Cuore e nelle energie basse istintive. Quando noi riapriamo
le energie basse, poi il lavoro di apertura del IV°, del V° e del VI° livello è più veloce. Uno acquisisce la
forza e quindi l’energia. Tutte le scuole indiane e cinesi dicono che gli occhi sono il Fegato, gli occhi
sono l’anima, intorno l’occhio fisico loro lo chiamano Fegato, fuori dall’occhio è il Rene, dentro
nell’occhio è il Cuore. Se hai gli occhi rossi è il fegato, se li hai cerchiati di scuro è il Rene, se hai gli
occhi luminosi o spenti dal di dentro è il Cuore. Nella visione dell’occhio, se tu riapri le energie di
Fegato, la vitalità, immediatamente l’occhio si elettrizza. Se tu rinforzi i Reni, l’occhio diventa più forte,
se no si ritira. Non puoi lavorare direttamente sull’occhio. E’ più semplice lavorarli come singoli
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problemi. Il lavoro sul VI° livello, sull’intelligenza, una volta che la base è riacquisita, è un lavoro molto
bello, molto più creativo. A questo punto per esempio a questo livello vengono fuori tutti i gruppi
avanzati: la Primal, la Family Constellation, la Co-dipendency che lavorano dopo che la persona ha
liberato le energie primarie del corpo, si è sentita, ha liberato le grosse istanze, ma c’è ancora tanto lavoro
psichico da fare, allora lì questo lavoro funziona benissimo.
Il settimo livello psicosomatico
L’ultimo livello che viene bloccato, oltre all’intelligenza, è lo spazio vuoto. Quello, paradossalmente. è il
livello più libero che abbiamo, perché la religione non ne capisce nulla (la religione, se va bene, si ferma
al Cuore, qualche raro mistico arriva al V° livello). Può essere oscurato più dal VI° che crea la cappa “io
non capisco un cavolo” o “ho le energie basse perché il I° Chakra ferma le attività del VII°”. Se apri il I°,
l’energia sale facilmente al VII° che si apre con estrema facilità. Quello è il livello della meditazione
spontanea, naturale, della percezione globale dell’essere. E’ un livello di facilissima apertura. Non
interferisce con niente di quello che avete fatto, perché non avete fatto niente del genere nella vita.
Vi ho dato una base energetico-neuro-fisiologica, attraverso cose semplici, che potete utilizzare con molta
chiarezza nella comprensione dei meccanismi: come mai una persona diventa passiva o attiva, come mai
uno sta nel corpo o magari è bloccato nel corpo o sta troppo nella testa o va fuori di testa, come mai uno
apre o chiude il cuore, ecc. Le cose di base hanno una loro struttura relativamente semplice.
Dopo vi faremo un excursus fra le varie scuole di psicologia, i vari personaggi che hanno creato la
psicologia contemporanea e di ogni personaggio non vi faremo la storia – facilmente consultabile su
qualsiasi testo – ma vi facciamo partecipi di ciò che di più interessante hanno detto e che serve a noi come
persone orientate alla crescita umana. E in seconda battuta sappiamo che certi psicologi o certe scuole
lavorano su certi argomenti. Quindi, se tu hai un disturbo di relazione grave e tu fai l’operatore, per
esempio gli fai i massaggi, gli dici “ma tu sai che esiste la sistemica relazionale che ti permette di riaprire
in un certo contesto più globale e sistemico le relazioni?”. E allora lo indirizzi. Se invece uno ha un
disturbo della prima infanzia gli dici “sai che esiste un tipo di terapia che si chiama Primal” oppure se ci
sono dei blocchi profondi ancorati a degli episodi, la bioenergetica o la gestalt sono molto utili. Piano
piano voi potete orientare sulla base della conoscenza diretta al terapista o a delle scuole. Faremo anche il
passaggio fatto oggi a livello evolutivo-genetico, lo rifaremo per quanto riguarda l’evoluzione umana.
I GRANDI PERSONAGGI E LE GRANDI
SCUOLE DELLA PSICOLOGIA
In questo capitolo esporremo le scuole ed i personaggi più importanti della psicologia. La psicologia
nasce con la civiltà umana. Nelle grandi civiltà del passato, migliaia di anni fa, avevano già compreso una
serie vastissima di processi. Per noi punto di riferimento e d’inizio della psicologia contemporanea è
Freud, che ha riunito insieme i vari pezzi di psicologia preesistenti che avevano antiche e profonde radici.
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LA PSICOANALISI DI SIGMUND FREUD
Luisa BARBATO
Iniziamo con Freud che sembra semplice. In realtà non lo è, perché è molto conosciuto e abusato ed è
difficile ritornare all’essenza del suo pensiero. Proviamo a dare soltanto qualche flash, qualche punto di
collegamento per vedere anche lo sviluppo successivo. La prima cosa da puntualizzare è che in realtà
Freud si è inserito in un movimento di pensiero che già era presente nella cultura europea occidentale e
che esisteva da centinaia di anni e millenni nelle culture orientali. Lo studio dell’interiorità e della psiche
(la parola psiche deriva da anima) esisteva quindi già da moltissimo tempo nella psicologia dell’oriente. I
suoi riferimenti all’epoca erano la scuola dell’ipnosi di Charcot, e comunque già esisteva un filone di
psichiatria che faceva riferimento alla medicina antica. Quindi, non è vero che il suo pensiero nasce dal
nulla. È stato un conduttore di idee e sperimentazioni, e l’altra cosa che secondo me, bisogna sottolineare,
è l’attenzione costante alla ricerca della controparte biologica, ad una serie di fenomeni che lui osservava
dal versante della psiche. La neurobiologia era agli inizi, quindi probabilmente se Freud vivesse adesso
avrebbe un altro taglio. Auspicava che le ricerche future dessero una controprova fisiologica di quello che
lui asseriva come movimento della psiche, ma quando queste controprove sono iniziate ad arrivare da
Reich, che ha cercato di fare la sperimentazione di quello che diceva Freud dal punto di vista del corpo,
non sono state accettate in primis da lui e poi da tutta la nomenclatura. In qualche maniera le strade si
sono divise. C’era una componente ortodossa che in un certo senso ha congelato il pensiero di Freud che
ha rifiutato di trovare dei collegamenti. E invece tutti quelli che hanno continuato quello che Freud aveva
auspicato, hanno preso altre strade. Si ritiene che la parte organicistica di Freud, che è quella che si basa
sulle pulsioni, in realtà ormai corrisponde ad una concezione un po’ idraulica: questo ingorgo delle
pulsioni, questa scarica vista come modello molto semplicistico, oggi con le attuali scoperte non regge
molto. Indubbiamente alcune definizioni che lui ha dato e alcune scoperte che ha fatto sul funzionamento
dell’interiorità, sono rimaste e sono la base di tutte le cose successive. Gli dobbiamo molto in ogni caso.
La scoperta dell’inconscio
Sicuramente il punto di partenza fondamentale è: l’asserzione e la scoperta dell’inconscio. Quella che a
noi sembra una cosa quasi scontata - in realtà fu veramente una scoperta anche se le culture antiche già lo
sapevano - è l’idea che esiste una parte della nostra mente che non è consapevole alla nostra coscienza.
Quindi l’idea che la psiche, la mente (in realtà io uso mente e psiche come sinonimi; in realtà non sono la
stessa cosa, lo faccio per semplificazione), quindi la nostra consapevolezza non include una parte della
nostra interiorità, ha un peso un po’ importante nella nostra vita. È l’inconscio che esce fuori dal pensiero
consapevole, dal pensiero razionale, che condiziona il nostro agire. Questa scoperta venne fuori dagli
studi condotti sull’ipnosi: ipnotizzando delle persone e velando il livello di consapevolezza ordinaria,
emergeva tutta una serie di vissuti, d’istanze, di ricordi che non venivano ricordate appena si tornava al
livello di coscienza ordinaria. Questo aprì un grande varco nel contesto storico dell’epoca (tra il 1870 ed
il 1880), dove c’era una forte morale borghese, il tema centrale era la grande separazione della cultura
dalla parte istintuale e quindi sessuale. Ciò che lui andava scoprendo era sempre relativo alla grande
depressione dell’energia che lui chiamò funzionale-libidica, perché questo fu molto il tema dei suoi
tempi. Diciamo che nella nostra cultura le patologie sono molto meno relative alla depressione sessuale e
toccano altri contesti, ma all’epoca quello che veniva invece scoperto era l’agire di queste forze sessuali
che venivano represse e che da canali inconsci poi diventavano consci da questo collegamento tra
l’assetto fisico della persona e del materiale che non era reperibile nella coscienza ordinaria che la
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persona aveva. Questo è un punto che poi è rimasto. La semplificazione che Freud vedeva era che il
materiale rimosso era la pulsione fondamentalmente libidica, quindi sessualità a cui non era possibile dare
corso. Invece, noi adesso sappiamo che le cose sono un po’ più complicate. Se ragionassimo sul nostro
approccio attuale diremmo che c’era un blocco di II° livello che veniva percepito, o un blocco di I° per
quanto riguarda l’aggressività. In realtà noi adesso sappiamo che tutti i livelli interagiscono e che
ciascuno di essi ha delle componenti di cui non siamo consapevoli finché non lavoriamo a quel livello o
su quel blocco. Quindi, l’idea iniziale era che vi è questa parte inconscia e che essa è relativa a forze
funzionali che sono a loro volta relative all’aggressività, alla libido e che negli anni successivi si scopre
che riguarda l’autoaffermazione, il narcisismo. Nella parte istintiva lui vedeva soprattutto il lato
affermatività come funzione di sopravvivenza, la libido e l’aggressività. Fece, quindi, questo corollario e
identificò tutte le patologie in relazione alle parti che venivano rimosse. Quindi, questo portò all’analisi
dello sviluppo dell’essere umano e del bambino e identificò delle fasi nelle quali il bambino evolve con
delle strutture funzionali che man mano si evolvono e identificò questa fase non natale, poi c’era la fase
relativa all’’allattamento e all’oralità e alla fase anale quando avviene il controllo degli sfinteri, la fase
genitale quando arriva la parte edipica in cui in teoria ci sarebbe una prima maturazione genitale
dell’essere umano.
Il complesso di Edipo
Sul complesso di Edipo lui fissò gran parte della sua costruzione teorica. In realtà gran parte
dell’approccio di Freud è basato sul complesso di Edipo inteso come impossibilità da parte del bambino
di avere un accesso anche sessuale alla madre con relativa castrazione, per cui tutta una parte libidica
viene rimossa. Lo stesso vale per la bambina per tutta una serie di complicazioni che adesso non
prendiamo in considerazione.
In realtà il complesso di Edipo ha una sua valenza anche attuale. Prima si era detto no a tutta questa cosa
sul pansessualismo (in realtà i temi sull’Edipo sono molto più complessi), però l’importanza di questo
pensiero che, secondo me, va tenuto presente è che in qualche maniera l’uscita del complesso di Edipo che avviene a 5, 6 anni- sancisce l’entrata del bambino nel mondo della cultura. Quindi, l’idea che c’era
di fondo che era ottocentesca ma che comunque ha una sua valenza (si è dimostrato adesso che la
disfunzione di queste cose porta a molte patologie) è che in qualche maniera perché ci sia cultura, perchè
ci sia socializzazione occorre sacrificare una parte istintiva funzionale. Quindi, la società e la cultura si
costruiscono sulla repressione di una parte di noi, quella relativa alle pulsioni, agli istinti. È una
concezione molto classica. Sono discorsi sulle società primitive, sull’orda primordiale. È possibile poi
l’evoluzione socio-culturale, l’accesso alla conoscenza e alla tecnica, cioè in qualche maniera una
repressione di una parte istintuale. Questo è molto importante, perché pone le basi di una concezione di
fondo quasi pessimista, che è anche nella psicoanalisi in generale, che è la seguente: se ci deve essere una
repressione delle pulsioni in qualche maniera è un dissidio insanabile. A quel punto non potrà mai esserci
una vera infiltrazione delle forze istintive della persona con la cultura e la società, perché i due sono in
conflitto. Infatti quando Freud parlava della guarigione – lui era molto lucido su questi punti e non aveva
molte illusioni – diceva che una buona analisi riesce bene se porta una persona dalla sofferenza
patologica, cioè dall’avere molto materiale istintivo non espresso, rimosso, molta aggressività rimossa,
molta libido rimossa, al riconoscimento di questo, e quindi passare dalla sofferenza della patologia alla
normale infelicità dell’essere umano.
Quindi, l’infelicità dell’essere umano è in qualche maniera data, perché è strutturale al sistema sociale. E
sottolineo questo punto, che secondo me è importante conoscere quando ci si rivolge a una terapia, se si
sceglie quella psicanalitica si entra un po’ in una valutazione di questo genere.
Nitamo MONTECUCCO
Diciamo che a livello di psicoterapia tradizionale, le persone che vengono trattenute – uso questo termine
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che è un po’ pesante, ma è reale – all’interno di una struttura psicanalitica freudiana sono quelle che
hanno i tempi più lunghi in assoluto, a volte anche 10, 12 anni. Sono psicoterapie che hanno un’impronta
molto strutturata che spesso spinge, più che al riconoscimento di alcuni blocchi o complessi psichici
interni, alla loro fortificazione. Se si ha un minimo di conflitto con i genitori e si entra in una psicologia
freudiana, si tende a ingigantire i rapporti di potere all’interno o certe problematiche interne fortissime.
Una cosa a mio avviso reale e molto pesante, è la presenza, nella struttura del setting psicanalitico
freudiano, di uno strapotere del terapista e dell’impossibilità da parte del paziente di concludere la terapia.
Io ho avuto tantissimi pazienti che hanno impiegato due anni per finire un’analisi che stavano facendo da
dieci anni. Non riuscivano ad affrontare il terapista e ogni volta che lo facevano era “vediamo un pochino
perché tu stai tirando fuori queste resistenze”. Non c’era mai un ascolto reale alla frase “mi sento dopo
otto anni di aver finito l‘analisi, non mi sta dando più niente”. Tra l’altro i freudiani hanno un’origine
economia di tipo classico, si paga la sessione anche durante le vacanze, anche se si manca alla seduta. E’
una struttura economica rigidissima e quindi, tranne qualche personaggio tra i freudiani di grande rilievo,
percepisco spesso la tradizione freudiana come un rallentamento della crescita umana. Sicuramente il
primo anno è utile, ma poi diventa una stasi da cui è molto difficile uscire. Qui lo dico, qui lo nego.
Luisa BARBATO
Sono state trovate alcune lettere scritte da due suoi pazienti, nelle quali è emerso che Freud in realtà era
molto comprensivo e non era un personaggio così rigido. Di solito sono gli allievi che creano poi rigidità
inesistenti. Il punto evolutivo importante che ci interessa di Freud è che ebbe in seguito un’evoluzione
dalla sua concezione forse un po’ semplicistica: ci sono forze funzionali che vengono represse dalla
cultura e dalla società che si strutturano in fasi diverse dalla vita, la patologia nasce da questo conflitto tra
cultura e istinto.
Le varie aree della psiche
Questa concezione venne articolata un po’ meglio ed a un certo punto lui definì questa meta psicologia in
cui definì le tre istanze psichiche che è importante segnare perché poi sono riprese da molte scuole:
· l’ES è il luogo delle nostre forze pulsionali, ci sono tutti i ricordi e i fantasmi, che non sono
addomesticabili. Sono in qualche maniera forze primitive che agiscono e sono parte istintiva
dell’uomo e di tutti i fantasmi legati a queste forze. Quindi, tutto il tessuto infantile che si è imparato a
dominare e a rimuovere queste forze.
· L’IO che è praticamente l’istanza della consapevolezza, la nostra parte che si relaziona con il mondo e
ne siamo consapevoli, per cui vi entra anche la personalità che si relaziona con il mondo, dove l’IO è
in realtà in contatto con l’ES, nel senso che molte delle cose che l’IO esprime derivano dalle forze
dell’ES che si muovono. Possiamo fare un esempio: una persona che ha una forte aggressività che
viene rimossa alla quale probabilmente non ha accesso può essere una persona che nella struttura,
nella relazione con il mondo si presenta incapace di agire. Quindi è una struttura apparentemente
passiva, dove l’IO si presenta remissivo, e in realtà questo atteggiamento è consapevole e questa
persona si sente timida e molto bloccata e sente che non riesce a reagire alle situazioni, è una
situazione di copertura di una forza aggressiva che è completamente inconsapevole alla quale l’Io
reagisce da controaltare.
Lo schema delle varie aree della psiche:
· l’Ego come l’Io,
· l’Id, come parte profonda,
· il Super-Ego o Super Io in alto,
· la zona della Coscienza, una zona dell’Inconscio che spesso viene collocata in basso,
· la zona dei valori che sono quelli a metà dalla fase dell’Inconscio al pre-Conscio e sono istanze
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represse da motivi sociali che diventano represse e quindi la base dell’Inconscio più profondo.
Il Super Io
C’è un’istanza che si chiama Super Io, che si forma alla fine del complesso di Edipo, vale a dire quando il
bambino sancisce la rinuncia funzionale alla madre e accetta l’istanza culturale e sociale reprimendo il
suo desiderio verso la madre. Questo processo di rimozione del contenuto funzionale di sé avviene
tramite l’identificazione dei genitori. Il bambino non potendo contrastare la rivalità del padre, avendo
paura della punizione che sarebbe la castrazione che il padre dà se lui ha accesso alla madre, in qualche
maniera si identifica con questa figura paterna della quale ha paura e quindi prende le caratteristiche del
padre o anche di entrambi i genitori. C’è un’adesione completa, per cui fa sue le norme morali e sociali
sotto forma delle caratteristiche caratteriali dei genitori. In generale si identifica con la norma, con la
legge, con l’istanza regolatrice. Quindi, il Super Io ha questa valenza di essere istanza regolatrice, quella
che dà il senso del dovere, della moralità, il senso dell’organizzazione della propria vita. Ed è, appunto,
l’ultimo che viene costituito. L’Es è completamente inconscio, ma anche una parte del Super Io è
inconscia. Questo è molto importante, perché c’è una serie di istanze morali e del senso del dovere che in
qualche maniera sono inconsapevoli: agiscono inconsapevolmente, è quella parte di noi che rimprovera.
Ad esempio: se non vengono rispettate determinate regole del dovere scatta il senso di colpa. Quindi, è un
meccanismo dell’inconscio, perché l’dentificazione con i genitori è talmente profonda da diventare
totalmente inconscia.
Questa struttura è molto importante e verrà poi ripresa da molte scuole di psicologia transazionale. È
importante anche perché ci definisce una divisione con le strutture psicotiche, borderline e nevrotiche.
Ad esempio se noi prendiamo una struttura psicotica, diciamo che è una struttura dominata dall’Es, dalle
parti istintive. Da tener presente che gli psicotici hanno un Io fragile, debole che di fronte agli assalti di
queste forze istintive – anche Freud lo dice – manca di connessione con la realtà. È un mediatore molto
fragile che stabilisce il contatto con gli altri e con il reale. Sintomatologicamente quando avete uno
psicotico davanti avete dei fenomeni eclatanti: in uno psicotico conclamato si hanno, quindi, fenomeni di
delirio e di allucinazione in cui viene confuso il livello del reale. Quando lo psicotico dice che ha le
allucinazioni, effettivamente lui sente le voci, come lo schizofrenico. Lui sente delle voci, ma in realtà è
la sua interiorità, però lui le proietta sull’esterno e le sente sull’esterno. In qualche maniera il limite
dell’Io fra interno ed esterno della realtà cade anche quando si vivono stadi meditativi molto avanzati e si
diventa il tutto. La differenza è che mentre in stati meditativi avanzati c’è una consapevolezza, qui manca
invece totalmente la coscienza.
Quindi, i tre fenomeni fondamentali per cui si riconosce una psicosi sono (vedi la mappa di Fisher,
fig.42):
Gli stati di borderline
Lo stato di borderline è quello in cui la persona ha l’Es, uno sviluppo dell’Io ma manca l’istanza
superiore, per cui si dice che invece di essere una struttura bipartita, con le tre istanze, manca di una parte
ed è soprattutto la parte super-egoica. Questo come lo riconoscete? Una persona borderline (significa che
cammina sul limite) è una persona apparentemente integrale, perché ha un Io che riesce a interagire, però
gli manca un’istanza di regolazione. Uno dei sintomi della persona borderline è la mancanza di etica. Di
solito sono persone che hanno una morale per conto loro, in cui esiste l’imbroglio, in cui creano situazioni
a loro piacimento. Inoltre, dal momento che manca l’istanza regolatrice del Super Io, quindi il senso del
dovere, hanno una funzionalità e istintività che delle volte deborda e che non viene per niente repressa.
L’Io ha una funzione di mediazione, ma ciò che veramente struttura la persona è il Super Io. Li
riconoscete anche perché quando dovrebbero prendere consapevolezza ed esserci, non ci sono. Non si
responsabilizzano, si arrabbiano subito se vengono attaccati nella loro difesa, hanno un’impulsività molto
forte. Sono persone tranquille che hanno improvvisamente arrabbiature tremende, che travalicano
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qualsiasi regola di comportamento e di relazione. Attenzione perché la patologia borderline è in grande
aumento nella nostra società, è dilagante. In qualche maniera la nostra società sta andando verso una
deregolarizzazione che però non è sostenuta da una centratura. È una deregolarizzazione che va verso la
licenza. Il voler tutto e subito e non rispettare le regole.
Nitamo MONTECUCCO
Questi, tuttavia, possono essere anche solo comportamenti eccessivi momentanei. Il borderline è colui che
sta rischiando veramente di entrare in uno stato di alterazione della propria identità che noi chiamiamo
‘stato psicotico’ per intenderci in modo generale. Una persona che ogni tanto si arrabbia troppo è
un’eccessivo, non un borderline. Non sta entrando in una psicosi, si sta solo arrabbiando. Invece, c’è
anche quello che non solo si arrabbia di brutto, ma perde proprio la ragione e infierisce sugli altri. Sotto
c’è un processo differente. Cioè, tutti abbiamo dei momenti di eccesso in basso e in alto. Il borderline è
una situazione che ha sotto uno stato, chiamiamolo, patologico reale che può essere organico o psichico o
avere altre origini, ma che è un reale squilibrio e quando ci entra poi è difficile riportarlo indietro. Può
entrarci da tante porte diverse, dalla depressione maniaco-depressiva, dalla schizofrenia, dalla psicosi
pura e semplice, dalla maniacalità spinta, è comunque difficile riportarlo indietro. Quindi, non è un
eccesso recuperabile, è un eccesso che travalica i confini e rompe un sistema di equilibrio interno.
Il Super Io come “Giudice Interiore”: il condizionamento impiantato nella tua psiche
Bisogna ricordare, cosa importantissima, che questo schema ottocentesco, dei primi del ‘900 è uno
schema che ha come base di riferimento una società molto chiusa e conservatrice. Lo scopo della
psicoterapia era di fare rientrare una persona nella sua società e sopravvivere nella normale tristezza
esistenziale. Questo significa che in Freud e in tutta la sua scuola non c’è realmente il concetto di
“cambiamento”, ma c’è l’adeguamento e il ritorno alla norma. Man mano vedremo che già da Freud a
Jung e ancora più intensamente agli autori più moderni, questo elemento del “cambiamento” e per contro
del Super Io diventa molto differente. Il Super Io non è necessario per una persona che abbia una
consapevolezza risvegliata. Il Super Io, nelle scuole spirituali degli ultimi anni, diventa chiaramente un
ostacolo alla crescita, perché è ciò che la società, i genitori, la religione ha introdotto nella tua psiche
contro la tua volontà e consapevolezza, contro la tua vera natura. E’ ciò che subdolamente “comanda” l’Io
dall’interno. Il Super Io è il “giudice interiore” che continua a massacrarti ripetendoti i giudizi negativi, i
codici morali, le parole dei genitori o delle persone a cui hai dato potere. E’ l’interiorizzazione di tutte le
regole sociali, alcune delle quali sono palesemente vecchie, obsolete e negative. Il lavoro sul Super Io e il
giudice interiore è diventata una parte obbligatoria anche nella nostra scuola di formazione. Solo quando
una persona va oltre l’Io sociale e ritrova il Sé, il suo Super Io si affievolisce e nel tempo si esaurisce del
potere che aveva ricevuto.
Le basi dell’evoluzione psichica: bisogni fisici, affetto e riconoscimento del sé
Luisa BARBATO
Non c’è la coscienza della propria auto-regolazione, auto-morale. L’adeguamento ha una morale
precostituita, per cui c’è una situazione disperante dell’individuo, cioè l’individuo è qualcuno che senza la
regola sociale si autoregola, cioè una specie di animale istintivo che fa quello che gli pare. E questa è
veramente la concezione ottocentesca secondo me abbastanza disperante.
Nella nevrosi le tre strutture ci sono tutte, però c’è un conflitto permanente tra ES, IO e SUPER IO.
Quando si parla di psicanalisi bisogna sottolineare che questa è la concezione classica freudiana che
ancora molti adottano, perché negli anni ’20 con Anna Freud iniziò tutto un filone di pensiero che mise
l’accento su fattori differenti, filone che poi si sviluppò con la Klein e Winnicot che indagando i bambini
piccoli, scoprirono che ciò che il bambino cerca veramente non è la soddisfazione libidica, ma la
relazione. Quello che veramente determina la struttura dell’individuo non è la soddisfazione degli impulsi
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e degli istinti, ma la relazione. Quindi il bambino non cerca il nutrimento, ma il calore umano. Tutta la
persona si struttura sulla base della qualità delle relazioni oggettuali (padre, madre, ecc..) che definiscono
dei tratti incisi che rimangono dentro e che poi diventano inconsci. Non è che non esiste la parte inconscia
o l’Io, però non è il conflitto con la pulsione, ma la relazione con l’altro che la definisce.
Nitamo MONTECUCCO
E’ importante sottolineare che Freud parte da una società che ha ancora alla base la sopravvivenza e
quindi le pulsioni libidiche e il piacere – il latte, la fisicità – sono visti come una cosa essenziale.
Cinquanta anni dopo Winnicot e tutta la scuola kleiniana spostano il livello dalla pancia al cuore e diventa
relazione. La relazione può vacillare, perché la madre era fredda e rigida, anche se era attenta e amava.
Oggi oltre al bisogno e al piacere fisico di Freud, oltre al calore umano e alla relazione di Klein e
Winnicot dobbiamo portare il punto centrale dell’intero processo evolutivo infantile sul riconoscimento
del sé, sulla percezione che il bimbo riceve, dalla madre, di essere accettato e riconosciuto come Io. Ho
seguito molte persone che hanno superato abbastanza facilmente i limiti fisiologici della mancanza di
allattamento, o di una mamma poco affettiva, quando questa era capace di dare riconoscimento, era
presente e dava una sensazione di identità al figlio. E’ probabile che fra 50 anni il peso si sposti ancor più
in profondità, è un processo in evoluzione.
Luisa BARBATO
A suffragio di quanto si è detto furono fatti degli esperimenti sui bambini, e tra questi ricordiamo quello
famosissimo della scimmia di peluche. Crearono da una parte una struttura fredda che aveva il biberon e
dall’altra parte misero una grande scimmia di peluche senza il biberon. Lo scimmiotto affamato preferiva
la scimmione di peluche, caldo e soffice, anche se non aveva il latte, piuttosto che andare dalla struttura
fredda che aveva latte. Quindi non era il latte che cercava bensì il calore.
Nitamo MONTECUCCO
Passiamo al secondo punto. Dopo Freud ci fu una sorta di separazione di scuole: la scuola freudiana
classica che andrà avanti per molto tempo e due grandi personaggi che dalla scuola di Vienna si separano:
Jung e Reich.
Biografia (di Giuseppe Pagliaro)
Sigmund Freud nasce il 6 Maggio 1856 a Freiberg, in Moravia. La sua è una tipica famiglia di
commercianti. Laureatosi in medicina nel 1881 e dopo un trasferimento di tutta la famiglia a Vienna,
lavora per un certo periodo nel laboratorio di neurofisiologia diretto da Brücke. Nel 1882, per ragioni
economiche, abbandona la ricerca scientifica e si dedica alla professione medica, specializzandosi in
neurologia. Nel 1885 ottiene una borsa di studio che gli permette di accedere alla leggendaria scuola di
neuropatologia della Salpetrière, diretta dal celebre Charcot. Nel 1886 si sposa con Martha Bernays, che
in seguito gli darà ben sei figli (la più famosa tra loro è Anna Freud, continuatrice della ricerca del padre
nell'ambito della psicoanalisi infantile). Dopo aver utilizzato le tecniche classiche di quel periodo,
sperimenta l'ipnosi e nel 1989 si reca a Nancy per approfondire la conoscenza di questa pratica. Tornato a
Vienna, si dedica completamente alla professione di neurologo. Nel frattempo stringe amicizia con Josef
Breuer, con il quale pubblica nel 1895 gli "Studi sull'isteria" e con cui inizia quella grande avventura
intellettuale e clinica che lo porterà alla fondazione della psicoanalisi. Nel 1899 (ma con data simbolica
del 1900) Freud pubblica un'altra opera dagli esiti rivoluzionari e per certi versi sconvolgenti:
"L'interpretazione dei sogni". E' una tappa che segna una svolta dell'intero pensiero occidentale,
attraverso i parallelismi fra logica razionale e logica del sogno e il disvelamento del linguaggio
"geroglifico" attraverso cui i sogni parlano all'essere umano concreto che ne è portatore. All'alba
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dell'avvento dei drammatici fatti che segneranno l'Europa, l'epilogo di questa epopea intellettuale non
poteva che esser tragico. Nel 1933 a Berlino i nazisti ormai al potere bruciano, in un rogo libresco
tristemente famoso, anche le opere dell'ebreo Freud, complice oltretutto di una strenua resistenza
all’avanzare della barbarie nazista. Nel 1938 la situazione è talmente insostenibile che è costretto ad
andarsene. Si trasferisce a Londra dove, dopo un solo anno, muore per un cancro alla mascella. E' il 23
settembre 1939, la seconda guerra mondiale è alle porte, epitome di quell'istinto di morte così presente
nelle opere del grande rivoluzionario del pensiero.
Opere consigliate:
-L'interpretazione dei sogni (1900)
-Psicologia della vita quotidiana (1901)
-Tre saggi sulla vita sessuale (1905)
-Il motto di spirito e le sue relazioni con l'inconscio (1905)
-Totem e tabù (1912-13)
-Introduzione alla psicoanalisi (1915-17)
-Metapsicologia (1915-17)
-Autobiografia (1925)
LA PSICOLOGIA DEL SE’ DI CARL GUSTAV JUNG
Jung era un passo in avanti rispetto a Freud. È stato il primo vero psicologo ad introdurre l’aspetto
spirituale all’interno della psicanalisi. E parlando di questi processi “noumenici”, da “Nous” che è il
termine greco per lo spirito, l’anima, parla proprio di una spiritualità inerente e profonda. Jung era uno
psichiatra svizzero, aveva una grandissima sensibilità ed era affascinato da tutta una serie di fenomeni
parapsichici e parapsicologici che invece terrorizzavano il vecchio Freud. Si racconta che un giorno si
trovavano in una libreria e stavano parlando di questi fenomeni di percezione, di anticipazione degli
eventi. Il vecchio Freud si arrabbiò con Jung definendoli la “melma dell’oscurantismo” e gli ingiunse di
smettere di ricercare in quella direzione. Probabilmente anche socialmente aveva molta paura di inficiare
con i fenomeni di parapsicologia e di occultismo, un livello molto alto di psicologia che era riuscito ad
ottenere a livello accademico. In quel momento ci fu un’enorme tensione fra i due, Jung disse a Freud:
“Sta per accadere un evento” e in quel momento sentì un colpo e cadde un libro “Hai visto?” Freud lo
negò, ci fu un’altra enorme tensione e Jung previde che il fenomeno si sarebbe ripetuto e infatti il
fenomeno riaccadde per la seconda volta. Era inverosimile che un evento venisse previsto per due volte
consecutive, per Jung si trattava di “sincronicità”, era certo dell’esistenza di una psiche che travalica i
confini fisici. Da lì partì un processo. Jung si isolò dalla scuola di Freud e subì un vero attacco psicotico,
vivendo un momento di grandissima disperazione, perché ovviamente lui si stiva fortemente all’interno
della scuola di Vienna. Ebbe un periodo di allucinazioni talmente pesanti che lo portarono a scrivere un
libro intitolato “Sette sermoni ai morti”, in cui descrisse di vedere gli spiriti che bussavano, descrisse
quello che gli dicevano e le cose che gli facevano, una serie di situazioni tra l’immaginario, il mistico e
l’allucinato. Tuttavia riuscì a superare questo periodo di grande turbolenza psichica includendo le
allucinazioni all’interno del proprio Io e raggiunse un traguardo d’integrità. Riuscì ad espandere
estremamente la propria coscienza.
Jung ebbe anche un’altra serie di esperienze e la bellissima descrizione di questo passaggio si trova in
un’intervista che la BBC fece a Jung. Gli chiesero: “Ma qual è il centro della tua psicologia?” E lui
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rispose: “L’anima umana, perché è successo a me”. Racconta che si era ammalato, rischiava di morire,
era ormai dato per spacciato e muore. Esce dal corpo, si allontana addirittura dalla terra – quindi era un
grande spirito – e vede un asteroide come un tempio, dove trova un maestro che lo accoglie e lo induce in
uno spazio di meditazione. A questo punto lui è felicissimo, ha raggiunto la propria vita interiore,
spirituale. Vuole morire, non vuole più ritornare indietro e a questo punto, che è un classico delle NDE,
Near Death Experience, le esperienze vicino alla morte, vede arrivare dalla terra lo spirito del suo medico
che gli dice: “Non puoi morire, devi ritornare indietro, il tuo compito non è finito. Devi portare queste
esperienze sulla terra.” E lui sente che è vero e ha la folgorazione che per salvare la sua anima questo
medico cederà la propria anima. Jung ritorna, si risveglia dal coma e riesce lentamente a migliorare fino a
sopravvivere. Dopo poco tempo il suo medico muore.
Jung attraverso queste esperienze comprende la natura non materiale dell’anima, pur essendo
assolutamente d’accordo sul fatto che l’anima comunque entra nel corpo, nella mente e nel cervello
attraverso una serie di funzioni biologiche. Mette al centro questa rivoluzione dell’essere umano e
struttura una serie di processi psichici tra cui forse il più importante è l’individuazione, ed espande questo
modello a una parte estremamente più profonda (proiezione). Se questo è l’inconscio, questo diventa
l’inconscio collettivo. L’inconscio collettivo in realtà è poi un super conscio collettivo, facendo una
ricerca stupenda a cavallo tra l’Europa e tutta la tradizione alchemica simbolica degli alchemisti. E’ il
primo che aiuta la comprensione dei processi psichici dei testi tipo Tao The Ching, “I Ching-il Libro dei
Mutamenti”, “Il Mistero del Fiore d’Oro” di Lü Tsu, dove è spiegata la fisiologia sottile del processo
dell’evoluzione della coscienza interiore, della meditazione. Per Lü Tsu è il TanTien Superiore, la mente
conscia, che deve proiettare la propria energia luminosa nell’inconscio e comprenderlo, fondendosi con
esso e creando un essere pienamente cosciente. In questo caso l'io della mente viene trasformato in Sé,
l’Io è quindi parte del conscio sociale, il Super Io è quello che condiziona l’Io a vivere la sua vita nella
società. Se l’Io, però, ritrova un suo Sé più elevato e più profondo che diventa il centro, questo Super Io
diventa invece una matrice di consapevolezza estremamente più dilatata.
L’animus, l’anima e il mito dell’eroe
Altro contributo fondamentale di Jung è l’aver capito che, nelle persone normali, l’io è multiplo: ossia
abbiamo molte sub-personalità. L’identità è unica ma abbiamo un Animus e un’Anima: Animus è la
parte più positiva e luminosa, lo Yang della testa - nel libro è posizionato nella testa che è la luce della
coscienza – che deve scendere nell’inconscio oscuro dove c’è la fanciulla, lo Yin, l’Anima che deve
essere salvata. In questo abbiamo ritrovato (non so se l’ha trovato anche la scuola analitica), studiando da
altre scuole, tutto il processo mitico della discesa dell’eroe negli inferi per ritrovare la fanciulla smarrita
(e qui c’è tutta una serie di racconti mitici: da Euridice, a Proserpina a Gilgamesh) e riportarla alla luce
del sole. Ma a questo punto lui non è più un uomo, ma un semidio. Acquista un carattere divino e questa
fanciulla di solito ha delle caratteristiche sia di donna sia di dea: per esempio la figlia di Demetra la dea
della natura, Proserpina, che viene rapita dal dio degli inferi (e la terra diventa secca perchè la madre
natura è triste), lui salva questa fanciulla e la natura rifiorisce. E’ un’analogia molto forte su quello che è
la vita umana.
Questa polarità deve originare una fusione da cui si genera l’anima. Quindi l’anima si genera dall’unione
degli opposti, come maschile e femminile generano un figlio, una cosa che non c’era prima, come una
nuova coscienza da una vecchia coscienza. Non solo, ma scopre che le personalità possono essere
multiple, possiamo avere diversi livelli di personalità. Questo concetto junghiano lo vedremo in tutte le
scuole future, che lo codificano però in maniera differente.
Jung afferma che in ogni uomo c’è una componente femminile codificata come anima, e in ogni donna
una componente maschile codificata come animus: ogni relazione amorosa è, in realtà, una relazione a
quattro; questo ne spiega, almeno in parte, la complessità ”.
4
Gli archetipi e l’inconscio collettivo
Quindi in questo processo Jung espande i livelli della coscienza e scopre una cosa fondamentale: in tutte
le tradizioni del mondo esistono una serie di archetipi, di basi psichiche strutturate come modelli, e questa
base psichica è una forza. Gli archetipi sono una forza, di solito positiva, che a volte può diventare
negativa, ma comunque è un’energia psichica universale. Gli archetipi non sono solo quindi il Bene, la
Saggezza, l’Amore, ma sono le forze che hanno dei simboli e che vengono raffigurate a volte nelle stesse
modalità dalle varie tradizioni. Questo a noi interessa enormemente, perché è il primo transpersonale,
perché introduce l’elemento transpersonale nella psicologia. La psicologia transpersonale non la fanno
mai partire da Jung e personalmente ritengo che sia realmente una delle basi fondamentali. Quindi lui era
sicuramente un’anima evoluta. Se volete approfondire l’argomento prendete le due edizioni italiane del
libro “Il Mistero del Fiore d’Oro”: una, con la prefazione di Richard Wilhelm, che è molto spirituale e
mistica, e quella della Boringhieri che è invece psicologica ed è fatta da Jung. Jung era proprio uno
psicologo, per cui a volte non riusciva a capire i termini meditativi orientali, ma riusciva a trasferirli in
linguaggio psicologico con un fortissimo senso di realtà. Ha dato vita a scuole, ha collaborato con i
gruppi cristiani autentici. Io ho fatto alcuni anni di analisi con Dora Kalf che ha sviluppato il Sand Play il
“Gioco della Sabbia” e ha lavorato in collaborazione con i monaci tibetani della Svizzera. Quando andate
ad una riunione della scuola junghiana sentite realmente un clima di tensione spirituale, anche se per la
maggior parte questi personaggi hanno più una spiritualità istintiva, intuitiva che non una vera pratica di
meditazione reale. E’ un anelito però molto forte.
L’Ombra: il lato oscuro della forza interiore
Una delle grandi scoperte – che poi era già stata scoperta, ma Jung la esprime e rivaluta in un modo
estremamente utile - è il concetto di Ombra. Questo concetto, che nasce da questa bipolarità, cioè la
coscienza e l’inconscio, la coscienza luminosa e l’inconscio oscuro, ci parla di come questo Io sociale
debba necessariamente, per la prima parte della propria vita, per identificarsi a livello sociale, accettare
una serie di istanze psichiche che gli fanno rifiutare e rendere inconsci alcuni suoi poteri e potenzialità, e
ne accetta (perché il Super Io non è solo il padre e la madre che dettano le regole) degli altri. Quindi
quando c’è questo tipo di meccanismo, l’Ombra diventa il rimosso. Jung capisce che non solo vanno
rimossi gli elementi dell’inconscio per bilanciare l’identità, ma è come il concetto di recupero dell’Ombra
come un potenziale (che poi viene sviluppato da tutte le scuole moderne). E non solo come un potenziale,
ma è una specie di rivalutazione del pozzo nero dove hai rimosso un trauma, è un uovo dove tu hai
nascosto delle potenzialità. Quindi, se tu le recuperi con la ragione, se l’eroe della coscienza scende
nell’inconscio e recupera la fanciulla che è debole ma preziosa perché saggia e portatrice di intensità,
recupera delle potenzialità. Baumann, uno dei grandi allievi di Jung, diceva che è proprio quando
tocchiamo il fondo al limite della depressione possiamo realmente andare a recuperare gli elementi
dell’Ombra che sono degli elementi della nostra anima che sono stati misconosciuti. Quindi,
nell’inconscio c’è tutto, anche il negativo, ma nell’Ombra c’è più questo concetto di una parte dei questo
inconscio positivo. Lo stesso Jung rinacque dalla depressione - andando oltre i bordi della normale
patologia - facendo un vero e proprio processo alchemico. E possiamo anche dire che alcune persone che
si sono risvegliate senza aver fatto un approfondito e reale lavoro sul proprio inconscio, hanno vissuto
alcuni periodi della loro, chiamiamola. Illuminazione in una fase assolutamente depressiva o addirittura
psicotica. Per citare un dato molto interessante, in India c’era un grande maestro che abitava a Poona ed
era uno dei più grandi maestri del suo tempo. Si chiamava Meher Baba, girava per l’India a recuperare i
pazzi illuminati, persone che avevano attinto all’infinita energia dell’esistenza e avevano fuso Es, Io e
Super Io, il Sé si era espanso, ma che avevano un Io fragile, un Io sociale non strutturato e quindi tutta
quella forza che Jung direbbe archetipica o transpersonale, li aveva bruciati e quindi si erano ridotti a
cagarsi addosso e qualche brava donna gli dava qualcosa da mangiare e li curava. Questi erano in uno
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stato semi-estatico. Lui li prendeva, li lavava e li puliva e insegnava ai suoi discepoli a guardarli negli
occhi. Questo lo facevano già i maestri tibetani che dicevano “tu mettiti lì e guardalo negli occhi e
impara”. Questo è una parte del pensiero junghiano che per noi è molto utile, perché ci serve per lavorare.
Quindi, una parte degli archetipi verrà poi ripresa da Ken Wilber come matrici profonde della psiche
proprio a livello transpersonale.
Tuttavia è come se Jung avesse vissuto direttamente questa esperienza perché lui era lui, ma non era
passata attraverso una scuola di risveglio interiore e quindi, a sua volta, non non è riuscito a creare una
scuola di risveglio, non ha passato nessuna tecnica pratica reale per risvegliare le coscienze dei suoi
allievi e pazienti, se non un valore profondo che certamemnte è stato trasmesso . Lui aveva passato questo
come intuizione e gli altri l’hanno colta come intuizione, come concetto di grande valore ma non avevano
una pratica concreta per realizzarlo profondamente.
La sincronicità
Jung comprese il processo “viennese” della relazione causa-effetto e il principio “sincronico” degli
eventi. I sogni, gli incontri, i momenti speciali diventano momenti sincronici. Lui definisce la sincronicità
come la legge dello spirito, dei processi profondi, ed in questo si fa aiutare da uno dei grandi fisici
quantistici, Wolfgang Pauli, autore del basilare “principio di esclusione”, che è appunto un principio di
sincronicità: gli elementi atomici che girano attorno al nucleo, gli elettroni, anche a distanza enorme
“sentono” il moto e lo spin di rotazione degli altri elettroni, istantaneamente. C’è una legge di
comunicazione (diciamo della coscienza) delle informazioni che permette questo passaggio, che non è
quindi fisico. Dalla sincronicità degli eventi deriva la degenerazione new-age che “tutto ha un senso”. Ma
ciò non è vero, viviamo in un mondo che è altamente “non sincronico”, casuale e caotico, con dentro
degli elementi rari di sincronicità. E quanto più si evolve nel campo dello Spirito, tanto più questa legge
della sincronicità viene messa in evidenza e si entra in un mondo che diventa sincronico. Possiamo dire
che un illuminato vive in un mondo altamente sincronico, dove l’elemento del caso esiste (anche gli
illuminati si ammalano e muoiono), ma è un livello minoritario: l’attenzione è più sulla sincronicità che
non sul caos.
Lavorando con il premio Nobel della Fisica, Wolfang Pauli, che era fuori di testa ed aveva un’energia
pazzesca, Jung entrò in contatto con tutta una serie di forze strane. Pauli era capace di mandare in tilt tutti
i macchinari scientifici, i suoi amici lo sapevano e non volevano che venisse da loro. Un giorno, in un
laboratorio in Germania saltarono tutti gli apparati e tutti dissero: “Se fosse stato qua Wolfang Pauli,
avremmo sicuramente dato a lui la colpa”. Poi glielo dissero e si scoprì che esattamente in quel momento
lui passava con il treno da quella parte. E’ un evento casuale. Wolfang Pauli era discretamente fuori ma,
attraverso la pratica psicanalitica con Jung, risolse una grossa parte dei suoi problemi. Non abbiamo
parlato del lavoro fatto da Jung sui sogni. Freud fu il primo a strutturare l’analisi dei sogni, ma Jung la
portò molto più avanti. Attraverso l’analisi dei sogni Jung si accorse che nel nostro inconscio sono
presenti una serie di archetipi come per esempio i Mandala, che sono comuni a tutte le tradizioni. Il
Mandala è un termine che significa sia centro sia circonferenza, è una rappresentazione dell’essere umano
come quello che abbiamo visto proiettato: il cerchio e il centro, ma può rappresentare l’identità umana o
l’universo, il micro e il macrocosmo. Jung scoprì che i pazienti in certi stati di coscienza entravano in
questa rappresentazione simbolica di sè e facevano dei mandala. Wolfang Pauli quando fu guarito
cominciò a ragionare sul principio di indeterminazione che significa che sullo stesso orbitale (intorno al
nucleo ci sono degli orbitali di atomi) non possono stare due elettroni che girano dalla stessa parte: uno
gira da una parte e l’altro gira dall’altra, devono avere spin opposti se no non possono stare. Ma questo
portava un problema gigantesco: come fa l’elettrone che gira in un senso a sapere che sullo stesso orbitale
a distanza di qualche chilometro c’è un altro elettrone che gira in senso opposto? Lì partì il concetto di
sincronicità, di una comunicazione sottile tra eventi simili. Jung parlò di sincronicità quando avvenne
l’episodio con Freud in libreria. Inoltre citò degli esempi come di una persona che gli stava raccontando
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di aver sognato uno scarabeo dorato e proprio in quel momento entra dalla finestra uno scarabeo dorato.
Comincia a capire che addirittura intere civiltà, come quella cinese, si sono basate sull’ I Ching
esattamente basandosi non sul concetto di causa-effetto di uno che genera un altro, ma sul concetto di
sincronicità. Cosa vuol dire che se tu lanci le bacchette (all’inizio non c’erano le monete dell’I Ching per
cui usavano le bacchette delle pianta di Achillea) e da questo quel momento genera una situazione. E’
come quando in quel momento scegli una carta e quella carta è significativa, incontri quella persona che è
significativa in quel momento. Quindi, esistono una serie di nessi acasuali, ma significativi. Questo è il
concetto di sincronicità. Il concetto di sincronicità è il concetto che bilancia il caos. Lui scopre così le basi
fisiche dell’informazione della coerenza elettromagnetica che poi si svilupperà enormemente e che
lavorerà anche sul cervello.
Jung fu veramente un grande personaggio. Purtroppo non lasciò una scuola di tecniche di meditazione ai
suoi allievi (se le avesse sperimentate su di sé le avrebbe lasciate) per cui i suoi discepoli sono rimasti un
po’ carenti di pratica. Sono rimasti con una grande intuizione, ma poi non hanno tecniche per sviluppare
un’anima. Jung l’anima se la creò da solo, gli altri no. Io ho collaborato con le psicoterapie junghiane,
molto spesso è una buona e fruttuosa relazione (non posso dire altrettanto delle psicoterapie freudiane),
hanno un carattere più umano, un incontro tra persone, e devo dire che può a volte dare dei bei risultati di
comprensione e di armonizzazione interna.
Biografia (di Giuseppe Pagliaro)
Carl Gustav Jung nacque nel 1875 a Kesswil (Svizzera). Il padre era un pastore protestante, cappellano
dell'ospedale psichiatrico di Basilea. Il nonno era stato un medico famoso e rettore dell'Università di
Basilea. In questa città, Jung compì gli studi secondari e nel 1885 si iscrisse alla facoltà di medicina e si
laureò nel 1900. Negli anni universitari si interessò di parapsicologia e spiritismo e nel 1902 pubblicò la
sua tesi di laurea dal titolo Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti. Nel dicembre del 1900
cominciò a lavorare nell'ospedale psichiatrico di Zurigo, all'epoca diretto da Bleuler. Tra il 1902 ed il
1903 fu a Parigi a prendere lezioni da Janet ed al suo ritorno sposò Emma Raushenbach. Nel 1907 Jung si
reca da Freud che lo ritiene il suo successore. Nel 1910 fu eletto presidente della Associazione
psicoanalitica internazionale e direttore dello "Jahrbuch", la rivista ufficiale della società. Negli anni
l'idealizzato rapporto tra Freud e Jung si incrina sempre di più, ma la rottura ufficiale avvenne solo nel
1913 al congresso di psicoanalisi, e la causa principale fu la pubblicazione da parte di Jung, nel 1912, del
suo testo fondamentale sulla teoria della libido La libido: simboli e trasformazioni. Nell'ottobre
successivo Jung si dimise dalla carica di direttore dello "Jahrbuch", nell'aprile del 1914 da quella di
presidente dell'Associazione e uscì definitivamente dal movimento psicoanalitico. Negli anni seguenti
Jung si dedicò all'attività psicoterapeutica privata, a lunghi viaggi (Nord America, Nuovo Messico, India,
Egitto e Kenia), nonchè alla formulazione di innovative teorie ed alla stesura di nuovi libri. Nel 1930
Jung fu nominato presidente onorario della Associazione tedesca di psicoterapia. Nel 1944 ha un
incidente, una frattura e un successivo infarto. In coma vive una esperienza pre morte che descriverà nel
suo testo autobiografico Ricordi, sogni e riflessioni. Muore il 6 giugno 1961, dopo una breve malattia.
Testi consigliati:
4
·
La libido simboli e traformazioni (1912), Newton Compton
·
L'inconscio (1914-1917), Mondadori
·
Energetica psichica. 1928 (1928), Bollati Boringhieri
·
La sincronicità. 1952 (1952), Bollati Boringhieri
·
Coscienza, inconscio e individuazione, Bollati Boringhieri
·
L'Io e l'inconscio, Bollati Boringhieri
·
Analisi dei sogni, Bollati Boringhieri
·
Tipi psicologici, Newton Compton
·
La psicologia dell'inconscio, Newton Compton
·
L'uomo e i suoi simboli, Tea, Opere (18 volumi), Bollati Boringhieri
LA PSICOLOGIA ENERGETICA DI WILHELM REICH
Roberto SASSONE
Vi parlerò di Reich secondo la mia esperienza di vita, tutto quello che ho sperimentato dall’inizio della
mia terapia reichiana che risale al 1972. Da quel momento ad oggi ho fatto un percorso reichiano insieme
poi ad altri percorsi di meditazione, per cui la mia vita è intrisa dall’esperienza reichiana non già in una
chiave teorica, ma soprattutto come esperienza profondamente corporea ed emozionale. Per questo
motivo preferisco parlarvene non facendo la storia di Reich, ma spiegandovi sinteticamente quelli che per
me rappresentano i punti fondamentali di Reich, adatti a questo contesto di counseling.
Affermo anzitutto che considero Reich un ricercatore con aspetti transpersonali, anche se la maggior parte
dei suoi seguaci ignora o non considera questo aspetto del suo pensiero. In effetti tutta la sua teoria reca la
possibilità continua di una dialettica tra l’individuo come unità psicosomatica, ma soprattutto come unità
energetica, e la realtà energetica e cosmica in cui è continuamente immerso. Cioè, per comprendere
l’essere umano, non si può prescindere dal fatto che l’individuo è immerso nell’energia, che Reich
chiama energia orgonica cosmica, e che è proprio questo continuo scambio a regolare l’esistenza. Un
altro tema fondamentale di Reich, equivocato dalla maggior parte di studiosi (e mi assumo la
responsabilità di questa affermazione) e che anche alcuni reichiani non hanno capito, è la sessualità:
l’hanno banalizzato e ridotto esclusivamente allo sblocco di una funzione fisiologica che certamente è
importante, ma è soltanto l’aspetto visibile e limitato di un processo più complessivo che riguarda l’intero
biosistema dell’essere umano.
Piacere-espansione e dolore-contrazione
Reich realizzò il sogno di Freud che aveva il desiderio di trovare la base biologica della libido. Con
semplici esperimenti dimostrò che la percezione del piacere è legata alla maggiore o minore capacità
del corpo di espandersi o di contrarsi. Ciò significa che laddove ci sono dei punti del corpo più
contratti muscolarmente, la sensazione del piacere è ridotta o assente; quando invece nel corpo c’è una
maggiore distensione muscolare, è consentito un flusso maggiore della libido (del piacere) che viene
percepita chiaramente. Questo fenomeno è fondamentale, perché oggettiva nel corpo la funzione di
controllo e di repressione che Freud chiama Super Io. L’introiezione delle regole morali e dei divieti si
manifesta nel corpo come contrazione. I blocchi muscolari hanno lo scopo di trattenere le emozioni che
altrimenti fluirebbero liberamente (dall’Es) in barba ad ogni regola sociale. Stiamo entrando nel vivo del
corpo. Se repressione è uguale a contrazione muscolare, liberazione non è un fatto ideologico, ma è la
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possibilità di sentire il flusso energetico-vitale che scorre in sé. Questa affermazione ci conduce ad un
altro enunciato basilare: il recupero di una libera funzione sessuale è la conseguenza dello sblocco
dell’energia vitale a livello totale dell’individuo, inteso come unico biosistema. Inoltre bisogna
sottolineare che il campo unitario energetico-vitale dell’individuo è inserito nel più vasto campo della
terra ed anche del cosmo. Reich lo chiama campo di energia orgonica cosmica ed entra così nella schiera
dei ricercatori integrali ed olistici.
Andiamo sugli elementi fondamentali. Reich era uno degli allievi più promettenti di Freud. Anch’egli
quindi assume il concetto di Es, ma ne evidenzia l’aspetto qualitativo: l’Inconscio è uno stato di non
consapevolezza; tutto quello che non viene percepito, non viene vissuto e non viene conosciuto (non è
consapevole) è Inconscio. Quindi, ci sono le emozioni inconsce, le strutture inconsce del Super Io e tutti i
modelli stereotipati e culturali di cui non si è consapevoli. Tutto questo materiale represso, rimosso e
compresso lo si può cominciare a leggere nello sviluppo del bambino – nelle fasi di sviluppo libidico di
cui Freud parlava – nel percorso della formazione della corazza caratteriale che si struttura gradualmente
dagli occhi alla bocca (fase orale – allattamento) e successivamente nella fase anale o, meglio, fase
muscolare (controllo della muscolatura), fino alla fase genitale (Edipica). Tutta la storia individuale la si
può leggere quindi nel corpo. Reich dice chiaramente che il corpo è il serbatoio dell’inconscio nel senso
che realmente nel nostro corpo bloccato c’è tutto il materiale rimosso che ha una valenza energetica e
emotiva reale e che determina anche la struttura non solo muscolare, ma anche psichica.
Un’altra scoperta di Reich è l’identità funzionale: l’energia è unica pur manifestandosi a livello psichico e
somatico. Cosa vuol dire questo? Lo psichico ed il somatico hanno come fonte la stessa energia vitale.
Questa unità Reich la chiama Identità funzionale. Quindi, un blocco corporeo è anche un blocco
psicologico. E il blocco psicologico è anche il blocco corporeo. Ma non sono due blocchi, è lo stesso
blocco che deve essere visto nella sua modalità energetica e nella sua modalità psichica.
La sessualità e la funzione dell’orgasmo
Nitamo MONTECUCCO
L’impostazione di Reich fu di forte impronta vitalista e lo portò a studiare e a fare ricerche scientifiche di
grande spessore sull’energia vitale, da lui chiamata energia “orgonica” e, sulla natura del piacere. Sono
famose le sue ricerche sulle basi della vita: i bioni (specie di precellule luminose che tendono ad
aggregarsi e crescere) e i bacilli T (T da Tanatos, la morte) che nascono da tessuti malati e privi di
vitalità. Da queste scoperte derivò le sue analisi di laboratorio, che, attraverso l’analisi della vitalità del
sangue o dei liquidi, permettono di comprendere quanto l’unità psicosomatica umana sia integra o
frammentata. Reich, dopo le ricerche sull’energia orgonica ed i bioni a Oslo, si trasferisce negli USA
dove crea l’Orgone Istitute. Qui crea una forte scuola di terapisti e sviluppa una serie di apparecchiature:
gli accumulatori orgonici, per facilitare la guarigione nei pazienti in cui l’energia vitale-sessuale era
ormai troppo bassa o compromessa. Gli accumulatori orgonici diedero dei risultati sorprendenti ed
inaspettati. Attraverso elettrodi applicati ai genitali e le zone erogene, dimostra che la sessualità è energia
fisica, la misura. Non solo, è energia che non dipende dalla funzione ma dal contesto della funzione. Se ti
tocco non produco una sensazione piacevole, ciò accade se abbiamo una relazione. Reich scopre l’energia
vitale, o per noi riscopre quella che i cinesi chiamano Chi, i buddhisti R'lung, gli indiani Prana, la scopre
all’occidentale, senza i canali, i circuiti, ma come la capacità di fluire o di essere bloccata.
Reich concepisce una personalità di tipo “genitale”, diciamo l’uomo o la donna sessuale naturale, capaci
di vivere normalmente, fisicamente e di avere quel momento di piacere che noi chiamiamo orgasmo. Le
importantissime ricerche sull’energia sessuale e sull’orgasmo, iniziate in Norvegia e proseguite negli Stati
Uniti, lo portarono ad una serie di scoperte fondamentali sul ruolo dei sistemi viventi, sulla genesi delle
patologie e sulla loro risoluzione attraverso una differente consapevolezza di sé e della propria natura
espansiva legata al piacere di vivere. E‘ il primo a fare una diagnosi energetica delle malattie, dei tumori,
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facendo emergere come sotto i tumori c’è sempre una rabbia trattenuta perché c’è un’energia sessuale
bloccata.
Ricordiamoci che una parte della liberazione sessuale che si è avuta con il ’68 fu promossa da gruppi
reichiani. Egli parlò di sessoeconomia ad indicare il fatto che l’energia sessuale è sia modalità interna che
di scambio relazionale che fornisce, nell’economia di un sistema, l’energia primaria. Sviluppa tale visione
dicendo che tale energia deve salire dal sesso, che è il suo canale naturale (primo chakra o per i cinesi “il
canale del rene”). Se viene fermata, se il canale viene bloccato si ha una dicotomia: se voglio fare una
qualsiasi azione che mi dà piacere e vengo bloccato, vivo una dicotomia (lo faccio, non lo faccio,
conflitto, colpa etc.). Il blocco dell’energia crea una depressione: questo è un modello psicoenergetico
fondamentale. Il Sé originario delle persone che è molto fisico, molto energetico, viene bloccato a tanti
livelli e genera delle patologie, o meglio genera dei caratteri. I caratteri, come le forme psichiche di Jung,
sono molteplici. Il carattere è una modalità per cui, sulla base di un blocco, una persona sviluppa dei
comportamenti come forma di adattamento che non sono i suoi originali, ma quelli con cui poi si
identifica. Reich è quindi anche il primo padre della psicosomatica. Scopre i primi blocchi energetici,
scopre l’energia vitale, scopre l’orgone, inventa gli accumulatori di energia, scopre le energie catartiche,
crea la curva dell’energia. Un genio. Non solo, pur essendo antireligioso, meglio contro qualsiasi forma di
ideologia, non conoscendo altre forme di religione che quelle occidentali, passa da un ateismo scientifico
ad un misticismo cosmico. Scopre che la nostra energia (per noi è ovvio) deriva dall’energia del cosmo e
si inventa una sorta di agopuntura planetaria: pianta dei tubi, collegandoli all’acqua che catalizza energia,
e li punta per due giorni verso il cielo, facendo piovere in pieno deserto, in Arizona, alla presenza dei
giornalisti. Quella zona è rimasta verde per qualche anno. Pensa che il dio delle religioni è un’assurdità,
che è l’energia viva dell’esistenza. Non fa l’ultimo salto nello spirituale, non riesce a capire che l’energia
è cosciente, intelligente. Pur non conoscendo le tecniche di meditazione, riesce ad avere dei momenti di
estasi, di percezione altissima della relazione che connette il cosmo.
Per la limpida spregiudicatezza di queste ricerche Reich venne espulso dalla Norvegia e venne
perseguitato negli Stati Uniti fino alla sua incarcerazione e alla morte in carcere per attacco di cuore. La
sentenza della corte fu che Reich doveva essere incarcerato in quanto colpevole di aver sostenuto
l’esistenza dell’energia orgonica che “non esiste”. Il suo laboratorio venne distrutto dal governo
americano ed i suoi libri messi al bando in tutti gli Stati Uniti. A pieno diritto possiamo considerare
Wilhelm Reich un tantrico ante litteram.
Dalla scuola di Reich si sono sviluppate numerosissime vie terapeutiche che hanno contagiato tutta la
moderna concezione psicosomatica della crescita umana: dalla Bioenergetica di Lowen alla Core
Energetica di Pierrakos, dalla Vegetoterapia di Federico Navarro, alla scuola di Baker, a tutte le moderne
terapie basate sulla crescita umana e sul decondizionamento.
L’analisi del carattere
Roberto SASSONE
Quando Reich comincia a concepire e strutturare l’analisi del carattere, fa un discorso incredibilmente
articolato, perché l’analisi del carattere comprende diversi piani di lettura, secondo un principio
sistemico: l’analisi del funzionamento dei sette livelli e la loro correlazione, i comportamenti e gli
atteggiamenti nei confronti del mondo che corrispondono al modo corporeo di funzionare, le strutture
difensive comportamentali e i loro agganci muscolari. E’ evidente ancora di più che psichico e somatico
sono l’uno lo specchio dell’altro. Nella visione di Freud il superamento della nevrosi consiste nel sapersi
reinserire e adattare nella vita sociale, aderendo alla logica di quel sistema, altrimenti non c’è la
possibilità di avere veramente un Io solido. Con Reich si ribalta veramente tutto: le ideologie sociali sono
il prodotto del carattere nevrotico ed esprimono la logica di questa repressione. Quando la natura
dell’uomo si struttura in maniera disfunzionale non può che generare una cultura che avvalla la
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repressione stessa della natura.
Ma nel corpo esiste un principio di autoregolazione che viene attivato dalla terapia e che contribuisce a
recuperare la percezione del proprio corpo, sbloccando le emozioni e liberando il rimosso attraverso un
reale sentire e non attraverso l’atto cognitivo. Il paziente impara fisicamente ad entrare in contatto con la
sua ombra (termine junghiano), a conoscerla e a non averne paura, e libera le forze vitali al servizio
dell’io che stimolano il processo di autoregolazione di sè stessi e della propria realtà. In tal modo accade
un fatto singolare, ovvero che l’individuo che attiva il processo di autoregolazione, sciogliendo le catene
del super-io ed entrando in contatto con sè stesso, sviluppa un funzionamento etico. Questo è il senso
profondo dell’anarchia. La repressione e la necessità di una legge è necessaria per frenare gli impulsi. Ma
quali parametri si assumono per decidere quali impulsi e come devono essere frenati, cioè chi decide se
quell’impulso è cattivo o buono? Allora facciamo dell’ironia: la sessualità è un impulso “cattivo”… per
carità, bisogna gestirlo bene, perché se uno gode troppo non riesce a fare più il suo dovere! Invece il
presupposto è quello contrario e cioè che gli impulsi naturali hanno una loro logica vitale e un loro senso
profondo di realizzazione. Chi fa un lavoro su di sé psicocorporeo non ha bisogno di leggere Reich, ma
sentendo sè stesso, percepisce anche l’altro come essere vivente e individuo reale. Se io vedo te e sento te
non posso più vederti in maniera virtuale, perché ti rispetto, non perché c’è un’ideologia che mi fa
pensare che è giusto rispettarti, ma perché tu sei come me, ti sento. E ciò vale anche per la natura, ma se
io non sono più natura, perché non sono più in contatto con la mia natura e temo la percezione vegetativa
del mio flusso vitale, come posso rispettare qualche cosa che io temo?
Il grosso impedimento alla relazione con la natura sussiste perché nella repressione sessuale, e quindi
nella repressione degli impulsi naturali, c’è la paura di sentire il piacere. Perché tutti questi divieti ai
bambini, tutta questa necessità di imbrigliarli? Perché il bambino ricorda profondamente quella libertà
vitale che l‘adulto nella sua repressione ormai si è negato. Gli crea quasi un problema, fa paura, ti fa
vedere quello che hai perduto. Lo devi controllare, lo devi di nuovo inscatolare per rassicurarti
profondamente e non entrare in contatto con ciò che ti sei negato. Quindi, chi ha paura della vita è perché
non ha il contatto con la vita e naturalmente la uccide per poter rientrare in una sua rassicurazione. Questo
è il motivo per cui una società si fonda sulla repressione (Vedi Psicologia di Massa del Fascismo di W.
Reich).
E’ inutile creare delle strutture sociali, anche ben congegnate, che dovrebbero funzionare sulla carta
benissimo, quando poi le strutture caratteriali delle persone che le gestiscono sono esse stesse malate,
appestate, e sono strutture di potere che negano la vita. Reich cominciò a lavorare sul corpo infrangendo
un tabù grandissimo della psicoanalisi: non si deve toccare il paziente. Il corpo non poteva essere toccato,
perchè subito si presentava il mostro della sessualità.
Il corpo e i sette livelli
Il corpo è l’individuo, è la possibilità di essere coscienti della vita e nella vita, è la percezione che
sostiene la coscienza. E' veramente difficile avere una relazione con la realtà che non venga interpretata in
maniera mistica. Secondo Reich l’atteggiamento mistico è l’atteggiamento di colui che apre dei canali di
coscienza (anche attraverso delle pratiche di meditazione) senza avere prima una percezione sana del
proprio corpo. Ne consegue che l’apertura di questi canali, l’esperienza di stati di coscienza più vasti, che
genera una grande energia finisce per creare uno scollamento ulteriore con la percezione corporea. Si può
creare una confusione tra stati che Wilber chiamava “pre-egoici”, fusionali, intrauterini, in cui si perde
l’identità e stati più integrati di coscienza nei quali ci si collega con dimensioni cosmiche, senza perdere il
centro dell’identità.
Per cercare di recuperare questa dimensione di coscienza del corpo Reich evidenziò una serie di livelli nel
corpo – sette livelli – che ripercorrono la storia dell’individuo che si imprime profondamente nel nostro
corpo. Dobbiamo tener sempre presente che il corpo siamo noi finché siamo incarnati. Noi siamo qui,
siamo il nostro corpo e direi che addirittura il Sé è profondamente radicato al corpo e dobbiamo sentire e
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realizzare questa unità. Questi livelli partono dall’alto con il livello degli occhi che comprende non solo i
bulbi oculari, ma tutta la parte frontale della testa, il talamo, la neocorteccia, l’occipite, il naso e le
orecchie. Gli occhi rappresentano quindi il primo imprinting fondamentale che si ha alla nascita,
esprimono il primo contatto con il mondo quando si viene alla luce. Nei nostri occhi c’è tutta la nostra
storia, dall’intrauterino alla nascita, sino a ciò che siamo noi attualmente. C’è la nostra visione del mondo,
la consapevolezza con cui stiamo in esso. Reich decide di iniziare il processo di scioglimento della
corazza partendo dagli occhi sostenendo che l’energia vitale, libidica, si dirige dalla coda (bacino) alla
testa. Se questa energia potente si libera in questo movimento verso l’alto tende a caricare ulteriormente i
livelli alti, soprattutto gli occhi, rafforzando il blocco. Liberare invece prima il livello degli occhi aiuta a
consolidare una consapevolezza più chiara, a dare maggiore presenza all’individuo, ad essere più nella
realtà. La maggior presenza degli occhi aiuta ad affrontare le emozioni più profonde bloccate negli altri
livelli. Quindi, Reich sostiene che, dato che il processo energetico avviene dal basso verso l’alto, noi
lavoriamo in senso contrario sbloccando dalla testa fino alla coda, in modo da liberare sempre di più il
cammino all’energia che si sprigiona dal basso verso l’alto. Personalmente non sono pienamente
d’accordo su questo approccio, pur riconoscendo che nel percorso psicocorporeo bisogna sempre fare in
modo di non caricare gli occhi, ovvero di avere un’attenzione particolare alla capacità che il cliente ha di
accogliere ed integrare il materiale emotivo e cognitivo che emerge. Bisogna quindi lavorare sul
grounding, sulla messa a terra, sul contatto con il suolo, per rafforzare le radici dell’individuo. Gambe ed
occhi sono profondamente collegati.
Il I livello degli occhi (6° e 7° chakra) è il livello su cui sono fondamentalmente ancorate le esperienze di
base di contatto con il mondo. “Avere occhi” nel nostro linguaggio significa “esserci”, “non avere occhi”
significa “non esserci”. Negli occhi si strutturano situazioni che spesso sono molto gravi. Infatti, dagli
occhi si può riconoscere se c’è una situazione borderline o addirittura psicotica. Uno degli esercizi più
efficaci è chiamato “naso-cielo” che consiste nel far convergere gli occhi verso la punta del naso e
successivamente guardare un punto di fronte. La mancanza o la difficoltà di convergenza indica un blocco
agli occhi e di conseguenza manifesta la presenza di temi di relazione con la madre e con la realtà interna
o esterna. Non è il caso di approfondire in questa sede il discorso. Ricordiamo che un blocco muscolare
significa un blocco emotivo e che quindi è presente una tema caratteriale legato a quel blocco. Per
esempio può accadere che si riesca a guardare la punta del naso solo con un occhio e che l’altro fugga.
Questa è già un’indicazione interessante e senza fare facili schematizzazioni possiamo dire che l’occhio
destro bloccato è legato a tematiche con la figura maschile o con il proprio maschile o con la figura
autoritaria esterna che potrebbe essere anche una madre che funge da legge, (il che si può rapportare
all’energia Yang). Se, invece, non riesce a convergere l’occhio sinistro abbiamo delle tematiche
riguardanti il rapporto con il proprio femminile (ciò vale anche per l’uomo), con gli aspetti sensitivi,
interiori o con la madre (tutto ciò che riguarda lo Yin).
Un altro indicatore della presenza e del contatto è lo sguardo: una persona che non ti guarda negli occhi,
che è sfuggente, ha paura di entrare in contatto (talvolta è molto evidente questa paura o quest’assenza di
sguardo ed è consigliabile porre molta attenzione nel trattare quel cliente). L’occhio vitreo o l’occhio
vuoto fa immediatamente chiedere “dove sta quella persona?” “dove sta quell’identità?”. Quindi, negli
occhi si trovano tantissime emozioni, ma soprattutto viene indicata la qualità del contatto che si ha con il
corpo e con se stessi.
Il II livello è quello della bocca (5° chakra) e anche qui per bocca s’intende labbra, gola, lingua e nuca
(che è la parte posteriore del Chakra della gola). Quindi, a questo livello si strutturano tutte le
problematiche orali che sono attinenti alla relazione con la madre, l’allattamento, il contatto con il seno.
È importante sottolineare che non è tanto la quantità, ma la qualità di ciò che si è avuto dalla relazione.
Diciamo che nei sette livelli si struttura il blocco con la relativa tematica, però il blocco è l’effetto di un
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tipo di relazione che si è perpetuata in quella fase di sviluppo del bambino. Quel tipo di relazione che è
avvenuta sarà la modalità base di relazione che ognuno di noi ha in quella determinata situazione. Ce ne
possiamo accorgere dalla conformazione della mandibola, dalle labbra più o meno strette o carnose, da
atteggiamenti come mordersi le labbra o le dita, da come uno parla. Ad esempio attraverso la voce si
individua a quale età quella persona si è fermata: può avere una voce da bambina piccola pur essendo
adulta. Quindi, conoscere la storia di un blocco e liberare le emozioni che sono collegate ad esso, ci dà la
possibilità di vedere effettivamente quale storia quella persona ripete continuamente nelle relazioni
affettive. Lavorare su questo livello fa emergere il tema del bisogno, della richiesta, della rassicurazione.
E’ presente il timore di non avere sufficiente attenzione e considerazione o al contrario c’è il rifiuto di
ogni dipendenza e la fuga continua di fronte all’amore.
Il III livello è del collo, che è un indicatore della struttura del Super Io, di quanto la persona sia capace o
meno di abbandonarsi, quanta rigidità abbia, quale sia l’immagine che l’Io ha di sè stesso, che tipo di
immagine di sé stia recitando nel mondo. E qui c’è molto da dire sulla postura: ad esempio chinare la
testa (sottomissione), avere la testa alta (orgoglio), avere la testa sulle spalle (responsabilità), non piegare
mai la testa (intransigenza), è tutto un linguaggio corporeo che ci indica letteralmente l’atteggiamento
verso sè stessi e la vita. Nel lavoro sul collo, gola e attaccatura del trapezio, c’è tutto il percorso per
riuscire ad abbandonare la rigidità del Super Io ed allentare la struttura di controllo.
Nella lettura del corpo bisogna osservare due parametri opposti, cioè di una eccessiva carica, tensione,
contrazione muscolare (iper) o di una mancanza di carica, di tensione (ipo) per cui i muscoli sono
scarichi, flosci, poco vitali. Lo si vede in ogni zona del corpo, e dobbiamo distinguere che se c’è una parte
del corpo iper carica spesso è per compensare una parte scarica. La cosa è un po’ più complessa, però un
operatore olistico può farsi un’idea sufficientemente chiara del cliente osservando come le tensioni
muscolari sono dislocate nel corpo e come si alternano con i vuoti. Chi fa shiatsu o altro si rende conto
qual è il tipo di problema. E’ chiaro che se una persona ha i muscoli molto contratti nelle gambe vuol dire
che non ha una buona messa a terra, vuol dire che ha paura. Il I° Chakra significa sopravvivenza, vuol
dire che la persona non ha radici, e siccome ha paura della vita -probabilmente per un trauma intrauterino,
una minaccia di aborto, un parto difficile- si regge a fatica, non ha fiducia e teme di non farcela e di
cadere. La messa a terra è una percezione molto chiara e per niente astratta della fiducia, ci fa sentire che
la vita ci sostiene. Questa esperienza, però, deve esser stata trasmessa dalla madre, acciocché il corpo
possa imparare. Non serve dire a parole “devi aver fiducia”. Bisogna indurre un’esperienza positiva
attraverso il corpo magari con delle tecniche di respirazione o di esercizi semplici di radicamento al
suolo, in modo che si possa percepire realmente che è possibile stare in contatto con la terra, con i piedi e
le gambe.
Il IV livello corrisponde al torace (4° chakra). Dal momento che in Accademia si dedica una particolare
attenzione al centro del Cuore, ho la necessità di dire – e qui Reich non c’entra – che il centro del Cuore
ha due livelli: un livello più di superficie che è quello emozionale e, arretrando e immergendoci in una
percezione più profonda del centro del Cuore, si raggiunge e si ha percezione dell’IDENTITA’, della vera
identità. Dietro il livello del Cuore emozionale c’è l’Anima o, secondo Sri Aurobindo, il centro psichico.
Infatti egli fa una distinzione tra lo psichico e lo psicologico: psicologico è tutto ciò che è relativo all’ego,
alla personalità sociale, mentre lo psichico è la nostra vera identità che si va formando oltre i ruoli.
Quindi, il livello del torace è fondamentale perché in esso c’è la percezione della propria identità nel
mondo, ma è anche un livello che esprime con che identità ci rapportiamo ad esso.
Ci sono toraci con il petto in fuori, gonfio, sempre espanso, una vera gabbia per proteggere il cuore ferito
o per contenere una forte rabbia o odio. Nello psicopatico la situazione è più evidente. Le emozioni del
cuore sono soffocate ed è presente una grossa carica energetica; per contenere bisogna bloccare il
diaframma, separandosi dagli impulsi vitali ed emotivi. Questa è una delle situazioni più frequenti, per cui
5
se si ama non si riesce a fare l’amore (tipico comportamento degli uomini, ma sta diventando più
frequente anche tra le donne). L’oggetto d’amore non può essere desiderato, perché l’amore è una cosa
nobile, mentre il sesso è sporco, per cui certe cose non si devono fare con la persona amata; invece
quando manca la relazione d’amore si riesce ad avere una relazione sessuale. Questo blocco è una tipica
separazione tra la parte istintiva e la parte emotiva, o l’una o l’altra.
Oppure c’è il torace scarico, che indica una depressione. E’ caratteristico dell’orale che sta con il bisogno
continuo di avere conferme e rassicurazioni, con una continua richiesta, come gli uccellini che stanno con
il becco spalancato aspettando che gli arrivi dall’esterno il nutrimento. C’è il bisogno di alimentare il
cuore perché c’è tutta una richiesta d’affetto precedente che non è stata soddisfatta.
A livello del torace c’è anche l’atteggiamento aggressivo o propositivo o rinunciatario, la determinazione
o la rassegnazione. Ricordiamoci che il torace è l’identità, ma significa come io mi rapporto, come
manifesto questa identità. Ed è con le braccia e con le mani che io agisco sulla materia. Con gli occhi uno
può anche avere una relazione di contatto, ma se non porta questa relazione di contatto dagli occhi al
torace e al cuore e quindi alle mani, non è reale. E’ lì che il contatto diventa una vera possibilità di
realizzare e di incontrare e di fare. A questo livello incontriamo anche le tematiche di respirazione e di
cuore che dobbiamo comunque interpretare nella chiave di qual è la capacità di dare, del tipo di relazione
di cui si è capaci, di come ci si manifesta nel mondo.
Il V livello è il diaframma (3° chakra). Tutte quante le discipline di contatto, di approccio anche spirituale
per cominciare ad entrare in contatto con la percezione di sé, si basano sulla respirazione. Reich faceva
fare una respirazione piena ed intensa da cui è nato il Rebirthing, o anche la respirazione olotrofica. Le
tecniche di respiro possono avere due tipi di funzione, la prima è pompare ed intensificare. Infatti la
respirazione che cos’è in fondo? Un movimento di Energia vitale. Più energia immetti, più avvengono
una serie di reazioni nel corpo. Provate a far respirare una persona soltanto per dieci minuti con una
respirazione profonda e veloce, e vedrete che inizieranno ad accadere delle cose: formicolii nel corpo,
tetania alle mani e piedi. Cosa succede in pratica? Che l’aumento della carica energetica mette in
evidenza le contrazioni muscolari. E’ come un evidenziatore. C’è l’attrito tra l’aumento del flusso di
energia vitale e il blocco muscolare che fa resistenza. Quindi, da una parte si crea una corrente che è una
liberazione, perché il muscolo comincia a decontrarsi; dall’altra, però, c’è l’opposizione del muscolo e si
crea una tetania. Questo è l’aspetto legato alla respirazione quasi per cercare di stimolare le reazioni e per
mettere in evidenza le contrazioni muscolari ed i blocchi.
La seconda funzione della respirazione è quella di essere strumento di concentrazione. Ad esempio la
meditazione Vipassana è un’osservazione del respiro mirata allo sblocco di una situazione o ad
evidenziare una situazione emotiva, ma mette l’attenzione sulla percezione. E’ chiaro che il blocco del
diaframma - ecco perché vi ho fatto questo cappello – è un po’ la base su cui si deve lavorare per poter
riattivare la coscienza di sé. Il blocco del diaframma è proprio il punto cardinale. Da lì si dovrebbe
cominciare per fare un lavoro spirituale.
Il livello successivo, il VI, è il bacino, dove è il 2° Chakra.
Tenete sempre presente che il sistema dei Chakra e il sistema dei livelli di Reich sono simili ma non
sovrapponibili. E anche nel sistema dei Chakra bisogna dire che i primi tre sono molto connessi tra di
loro.
Noi lavoriamo a livello di sperimentazione, quindi, quando lavoriamo sul II° livello, le persone
esprimono una serie ampia di emozioni da cui noi estrapoliamo una serie più chiara. Infatti, se noi
facciamo la respirazione in ogni caso si attiva e si lavora sul diaframma e di conseguenza si attivano tutti i
livelli del corpo perché essi sono funzionali e non c’è uno sbarramento tra di essi. Ogni livello continua e
sfuma nel successivo. E’ il diaframma a consentire la respirazione. Sul VI° livello ci sono le emozioni più
viscerali. E’ un livello che prende anche la parte posteriore della schiena. Può diventare un ancoraggio
5
che paralizza il bacino e blocca la sessualità, essendo strettamente collegato al VII° livello che comprende
la pelvi, i genitali, le gambe ed i piedi e che corrisponde al I° Chakra.
Il livello pelvico, il VII, ha per tema la relazione fondamentale con il mondo. Tutta la tematica delle
gambe, sembrerà paradossale, non è legata solo alla sopravvivenza, ma anche per esempio al come noi
spendiamo il denaro. Ci sono delle persone che non riescono mai a trovare una stabilità non riescono mai
a trovare una casa, non riescono mai ad avere qualcosa di solido, un minimo di certezza pratica. Sono
tutte persone che hanno un problema di I° Chakra, per cui non riescono a costruirsi le basi della loro vita.
Quindi, c’è una tematica molto vasta che non è soltanto legata al cibo da procacciarsi, ma all’incapacità di
crearsi un habitat nel mondo. Ci sono persone che vagano continuamente cercando di realizzare qualche
cosa non riuscendo mai ad affermarsi né consolidare niente. Questo è il VII° livello reichiano.
Biografia (di Giuseppe Pagliaro)
Wilhelm Reich nasce nel 1897 a Dobrzcynica, in Galizia, in una famiglia di agricoltori di lingua tedesca.
Nel 1910, quando Wilhelm aveva solo tredici anni, raccontò al padre della relazione tra il proprio tutore e
la madre, che forse per questo si suicidò. Quattro anni dopo morì anche il padre e Wilhelm si fece carico,
diciassettenne, di gestire l'impresa familiare ed i possedimenti agricoli. Dopo la guerra si iscrisse a
giurisprudenza, ma poco dopo cambiò facoltà e passò a Medicina (sempre presso l'Università di Vienna)
ove si laureò in soli quattro anni, nel 1922. Nel 1919 divenne membro della Società Psicoanalitica di
Vienna e tre anni dopo sposò Annie Pink, un'altra famosa psichiatra, inizialmente sua paziente come il
discepolo Alexander Lowen. La stima di Freud per Reich aumentò incondizionatamente fino al 1927,
anno della sua iscrizione al Partito Comunista e della pubblicazione del libro "La funzione dell'orgasmo"
che poneva Reich in contrapposizione con i colleghi, tutti appartenenti alla borghesia. In questo periodo
maturò in Reich la convinzione che vi sia un nesso tra repressione sociale e repressione della sessualità.
Ormai isolato dalla comunità scientifica, negli anni trenta Reich sostenne di aver scoperto una specie di
energia collegata con l'orgasmo, che chiamò per questo orgonica, supponendo che fosse contenuta
nell'atmosfera e nella materia vivente. Questa sua opinione non fu mai accettata, ma sempre contrastata,
dal mondo scientifico. Quando nel 1933 pubblicò Psicologia di massa del fascismo, questa fu messa al
bando dai nazisti e Reich decise di fuggire dall'Austria e si trasferì in America nel 1939. Nel 1947, a
seguito di una serie di articoli sull'energia orgonica, la Food and Drug Administration (FDA) lo accusò di
ciarlataneria e fu condannato a 2 anni di reclusione. Nell' agosto del 1956 i suoi appunti furono bruciati
dalla FDA. Reich morì in prigione per un attacco cardiaco un anno dopo.
Testi consigliati:
5
•
L'analisi del carattere. (1933), SugarCo Edizioni srl - Milano 1982, Esedra Srl, 1994,
•
Sessualità e angoscia. (1935-36), SugarCo Edizioni srl - Milano 1983, Esedra Srl, 1994,
•
La scoperta dell'orgone, volume n. I - La funzione dell'orgasmo (1942), SugarCo Edizioni srl Milano 1975, Esedra Srl, 1994, Tascabili SugarCo
•
La scoperta dell'orgone, volume n. II - La biopatia del cancro. (1948), SugarCo Edizioni srl Milano 1975, Esedra Srl, 1994, Tascabili SugarCo
•
La teoria dell'orgasmo ed altri scritti, Lerici, Milano 1961
LA PSICOSINTESI DI ASSAGIOLI
Kiran Lucia VIGIANI
Seduti, occhi chiusi, sentiamo il respiro calmo e regolare e lasciamo andare totalmente tutte le tensioni
muscolari. Cerchiamo di aprirci completamente all’esperienza che faremo insieme e apriamo il cuore
cercando di trattenere quello che per noi sarà necessario e funzionale alla nostra crescita. Cerchiamo di
farlo in una modalità rilassata.
Tratterò due argomenti molto belli, la Psicosintesi e il Dialogo delle Voci.
Inizio dalla Psicosintesi, perché in essa vi sono dei postulati che ritroviamo come base anche in altre
scuole psicologiche.
Roberto Assagioli, il fondatore della Psicosintesi, nasce a Venezia nel 1888 e muore a Capolona (AR) nel
1974, dopo aver passato gran parte della sua vita tra Firenze e Roma. Assagioli è stato un pioniere di
quella che poi è stata definita la corrente olistica che si è sviluppata in anni più recenti. E’ interessante
considerare il contesto storico nel quale lui ha portato queste idee e ha mosso i primi passi. All’inizio del
‘900 già parlava di Psicosintesi, della confluenza di più approcci per la crescita umana. In Italia la
Psicosintesi non è molto conosciuta e soprattutto non è stata riconosciuta nella sua accezione
trasformativa. Invece, negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni la Psicosintesi è tenuta in grande
considerazione. Ad esempio, nelle nostre università o non è conosciuta o si sta affacciando da pochi anni.
Possiamo dire che Assagioli si è rivelato essere un uomo con un notevole spessore sia umano che
culturale. Se voi siete interessati ad approfondire, ci sono dei testi che parlano della sua biografia e dei
suoi anni di formazione, di come lui avesse relazioni in tutto il mondo, in tutte quelle correnti culturali
emergenti. Ha partecipato alle riviste fiorentine dell’inizio del 900 e al fervore innovativo di quegli anni.
Era medico psichiatra, aveva fatto la sua tesi sulla psicoanalisi e immaginate in quali anni lui ha
avvicinato la psicanalisi. E’ stato veramente il pioniere che ha portato la psicoanalisi in Italia. Tra l’altro,
aveva preparato la sua tesi all’ospedale psichiatrico di Zurigo, sotto la supervisione di Jung ed era stato
incaricato da Freud di diffondere le sue idee in Italia. Quindi, è estremamente interessante seguire il
cammino di quest’uomo che ha precorso un po’ tutte quelle correnti che poi sono andate ad affermarsi
negli anni successivi.
Nella Psicosintesi abbiamo quella che è una concezione olistica, perché è presente in essa una visione
bio-psico-spirituale dell’essere umano. Ciò significa vedere un individuo sotto il profilo fisico-biologico,
sotto quello emozionale-psicologico e dare molta importanza e spazio alle sue possibilità di espressione
ed espansione sul piano spirituale. Adesso può apparire del tutto normale, ma immaginate quale poteva
essere la situazione 70 anni fa.
Era in contatto con Alice Bailey, teosofa prima e poi fondatrice della scuola esoterica Arcana, ispirata da
un maestro di saggezza tibetano; ha conosciuto, come detto, Freud e Jung; ha collaborato con Dane
Rudyard alla diffusione dell’astrologia esoterica ed era in rapporto diretto con molti altri personaggi di
grande rilevanza dell’epoca. A vederlo fisicamente era molto minuto, quasi etereo, ma, al contrario, era
un personaggio di grande spessore. Era ebreo, per cui aveva vissuto tutte le persecuzioni razziali della
seconda guerra mondiale, conoscendo anche la dura prova della prigionia. Nell’occasione, aveva trovato
la forza e l’ironia per uno scritto sulla libertà in prigione, nel senso che era talmente forte questo suo
sentire che l’essere umano è una creazione a molti livelli, e non è solo un’identificazione con il corpo, che
lui riusciva a sentirsi libero anche in prigione. E’ vero che si possono rinchiudere i corpi, ma non si
possono uccidere le idee.
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Tutta la Psicosintesi rientra in quella che è considerata la corrente della psicologia transpersonale. Quindi,
è una psicologia con direzione. Chi è che dà la direzione? Ciò significa che con questo concetto di
direzione c’è già un’enfasi sull’essere umano nella sua accezione più profonda che è lui che può dare la
direzione alla propria esistenza. Questo è un punto molto importante.
E’ anche un punto che ci chiama ad una grande assunzione di responsabilità, perché se io so che posso
dare la direzione alla mia esistenza, significa che devo uscire da quell’atteggiamento un po’ paranoico di
vedere tutte le colpe all’esterno. La persona si mette in una posizione in cui si interroga e si chiede: “Cosa
sto facendo per direzionare la mia vita là dove vorrei che andasse?”. Bisogna uscire da quel ruolo di
vittima di essere la persona che si prende tutto quello che gli piove addosso e incominciare a dire: “Io
posso scegliere dove voglio mettere la mia energia e dove voglio andare.” Questo è un punto di
fondamentale importanza.
Adesso mi piacerebbe soffermarmi su alcuni postulati base della Psicosintesi, per dare degli schemi di
riferimento in modo che possiate utilizzarli voi stessi.
L’ovoide di Assagioli: la prima mappa psichica transpersonale
La prima mappa della strutturazione psichica secondo la Psicosintesi, raffigura un uovo diviso in tre parti
che si chiama ovoide di Assagioli. In primo luogo osserviamo che l’ovoide è stato tratteggiato con linee
discontinue perché la divisione ha solo valore didascalico. In realtà questi campi non sono divisi in
maniera così netta perché esiste un’osmosi tra tutte queste energie:
la parte bassa, che corrisponde al n. 1, è l’area dell’inconscio inferiore;
l’area centrale, contrassegnata con il n. 2, è l’inconscio medio;
l’area superiore, indicata come n. 3, corrisponde all’inconscio superiore;
una piccola area rotonda centrale che si sovrappone all’area 2 è la n. 4 che è il campo della coscienza;
accanto c’è un’altra piccola area rotonda, la n. 5 che è l’Io o il Sé personale;
sul punto superiore dell’ovoide sta il n. 6 che corrisponde al Sé transpersonale;
esterno a tutto l’ovoide, è il n. 7, l’inconscio collettivo.
L’inconscio inferiore è relazionato a tutti quei complessi psichici che sono più lontani dall’accesso della
nostra coscienza. E’ un contenitore dove hanno sede e luogo i nostri complessi relativi al passato, che
hanno colorazioni emozionali molto forti che rimangono dentro di noi e si imprimono dentro di noi. In
questo inconscio ci saranno tutte le parti istintuali che sono meno accessibili alla coscienza, tipo
un’aggressività non riconosciuta, oppure una sessualità tenuta molto compressa. Tutti complessi che si
lasciano arrivare al campo della coscienza con più difficoltà.
L’inconscio medio è un inconscio più plastico, c’è la fase di “ricordo-dimentico”, di certe cose che
arrivano alla nostra consapevolezza e che poi se ne rivanno via, perché non riusciamo a fermarle né a
trattenerle. Significa che è più facile che i contenuti dell’inconscio medio arrivino nel nostro campo della
coscienza o possiamo richiamarli più facilmente rispetto a quelli che sono immagazzinati in un inconscio
molto più profondo.
L’inconscio superiore è la sede delle nostre potenzialità, le intuizioni, le aspirazioni, gli slanci altruistici.
Però, attenzione, siano ancora fuori dal campo della coscienza. Significa che come sono inconsce certe
istintualità tipo l’aggressività o la sessualità, sono inconsce anche le nostre potenzialità creative.
Il n. 4 è il campo della coscienza, quello che Jung chiamava l’isoletta nel Mare Magnum dell’inconscio.
Ciò significa che - e lo vediamo anche graficamente - il campo della coscienza è veramente uno spazio,
una quantità di consapevolezza molto ridotta rispetto a quello invece che è tutto il nostro inconscio. Più
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noi portiamo del materiale che ha sede nel nostro inconscio – sia inferiore sia medio che superiore - a
livello della coscienza, più portiamo terra alla nostra isola nel Mare Magnum del nostro inconscio.
Quindi, possiamo dire che è il campo dominato dall’Io.
Il n. 5 è l’Io o Sé personale. Ci sono delle scuole dove con l’Io intendono l’Ego, altre scuole intendono il
Sé. Nella psicosintesi il Sé personale è quella parte di divino dentro di noi, quella parte che potremmo
chiamare il Testimone dentro di noi, quella parte immutabile che non si identifica con alcun contenuto, è
proprio l’Osservatore.
Il n. 6 è il Sé transpersonale che potremmo chiamare il Divino onnipervadente. Ognuno di noi ha il
proprio modo per identificarlo, ma il 6 è il Divino in assoluto, il Divino cosmico. Il n. 5 è la scintilla del
divino cosmico che è all’interno di noi. Esiste questo collegamento tra il 5 e il 6.
Il 7 è l’inconscio collettivo, il patrimonio inconscio dell’umanità che si è strutturato nei secoli con il
contenuto inconscio dell’umanità che ritroviamo sotto forma di simboli, di archetipi o nelle cosmogonie
delle varie tribù che, pur trovandosi agli antipodi geograficamente, usano gli stessi simboli.
Il Sé personale e il Sé transpersonale o superiore
Nella psicosintesi c’è una cosa molto interessante: il Sé personale, il nostro Sé interiore che è poi il
riflesso del Sé transpersonale, è preesistente alla strutturazione della personalità. Ciò è importante poiché
significa che dal momento che io nasco, io sono portatore di questo Sé. Poi, può verificarsi che posso
passare tutta la vita senza riuscire mai a contattarlo per tutte le sovrastrutture, le mie impostazioni
mentali, per i miei credi, perché il mio livello evolutivo mi porta altrove. Però è estremamente importante,
perché questo fa molta differenza. Infatti, provate a pensare cosa significa in tutto il discorso del
counseling trovarsi ad esempio di fronte ad una persona che strutturalmente è a pezzi, che ha mille
problemi e vederlo come persona oppure riuscire a vederlo come anima. Quindi, è molto significativo
ritenere che questo “quid” di divino esiste in ogni essere umano ed è preesistente a tutta la strutturazione
della personalità. Può trattarsi quindi di una persona portatrice di handicap fisici o mentali, ma è sempre
portatrice di un’anima. Oppure potremmo dire che è un’anima che ha scelto di fare quel tipo di percorso
servendosi di quel corpo.
Questa strutturazione ci fa capire subito che ci sono vari livelli e che noi possiamo arrivare a contattare
questa parte di divino interiore, del Sé interiore, attraverso tante tecniche. Nella Psicosintesi vengono
usate moltissime meditazioni e visualizzazioni per arrivare allo scopo che ci siamo prefissi: quello di
parlare, contattare, sentire, entrare in contatto con il nostro Sé interiore. Forse una delle meditazioni più
interessanti della Psicosintesi è la meditazione della ”disidentificazione”. Altre delle meditazioni vengono
fatte con simboli e archetipi, e molto lavoro viene fatto sui sogni. Sono tutte tecniche che possono essere
a nostra disposizione per poter sentire in maniera esperienziale questi vari livelli dentro di noi. Credo che
sia interessante riuscire a percepirli, a farli diventare esperienze che noi possiamo veramente sentire ed
interiorizzare affinché non rimangano solo a livello della nostra mente concreta.
La volontà: Assagioli ha fatto uno studio estremamente interessante sulla volontà (“L’atto della
volontà”), ambito che è stato molto poco indagato. Il suo testo parla dell’atto di volontà come funzione
dell’Io, dove fa una disamina di tutti i passaggi del processo di attuazione della volontà, quali sono i punti
deboli dove noi riusciamo andare in pezzi e non rimanere fermi nei nostri intenti.
Ritornando a ciò che stavamo dicendo, credo che quando abbiamo capito che siamo una strutturazione di
tutti questi livelli, è nostra responsabilità capire che dobbiamo mantenerci piuttosto puliti, che ognuno di
questi livelli ha bisogno di un certo tipo di nutrimento. Quindi, proprio perché abbiamo parlato di bio6
psico-spirituale credo che dobbiamo andare ad individuare quelli che sono i nostri blocchi sul piano
fisico, psichico, sul piano emozionale, sul piano spirituale e poterli rimuovere attraverso quelle modalità
che ci lavorano in maniera molto specifica. In realtà il nostro Inconscio è una spugna, sia l’Inconscio
medio, che l’Inconscio inferiore che quello superiore. Quindi, se io mi nutro di cibo cattivo, letture
cattive, frequentazioni energetiche molto basse, di luoghi che vanno a nutrire solo quelle parti più basse,
il mio Inconscio Superiore rimane scoperto, affamato, ha bisogno di altro nutrimento. Noi siamo spugne,
assorbiamo tutto. E’ importante che ci prendiamo la responsabilità di scegliere chi vogliamo frequentare,
cosa vogliamo leggere, quale atteggiamento emozionale vogliamo avere nella nostra vita. E’ un punto da
tenere molto presente sia per noi, sia nella nostra relazione come counselor con il nostro cliente.
Partiamo dall’inizio. All’inizio, nella nostra interazione, siamo indifferenziati, siamo un tutt’uno. Poi,
piano piano nella strutturazione della nostra personalità si strutturano tanti piccoli Io (n.5, Io o Sé
personale) con i quali noi ci identifichiamo. Chiedendo alle persone “chi sei?” ci viene risposto “sono la
madre, sono la figlia, sono l’autista, etc.” Ognuno di noi si identifica maggiormente con qualcuna di
queste strutture che Assagioli chiama subpersonalità.
Le subpersonalità sono strutture che hanno una vita propria, hanno una loro autonomia, una loro
coscienza, hanno dei loro bisogni, hanno una loro volontà. Quindi, è come se nella nostra vita giocassero
dei ruoli che fanno la parte del leone. Come se fossimo vissuti da tutti questi Io dove, a seconda delle
circostanze che noi viviamo, qualcuna di queste parti prende il sopravvento e noi pensiamo di essere
quello. Credo che se noi andiamo a lavorare molto sulla coscienza, piano piano capiremo che quella è
solo una parte di noi, non è la nostra totalità: è un’identificazione con una sub-personalità.
Lo vedremo con Il dialogo delle Voci che ha molto approfondito e strutturato il discorso delle subpersonalità in una maniera molto bella. Tuttavia cosa succede? Le sub-personalità non si strutturano a
caso, ma si strutturano come parti di noi che servono a proteggerci nel nostro cammino della vita. Ci
servono per sentirci sicuri, tutelati, perchè in qualche modo vanno a proteggere la nostra vulnerabilità.
Questo è il motivo primario.
Il dramma è quando una persona rimane molto identificata in una di queste strutture, tipo il grande
manager che si sente sempre il grande manager, non entra in contatto con le altri parti di sé, quali
potrebbero essere il bambino, l’adulto gioioso, il ragazzo che ha voglia di amare e quindi uscire fuori dal
suo schema. Tutto ciò significa che fintanto che noi nella nostra vita saremo agiti da queste subpersonalità, non saremo padroni della nostra vita.
Queste sub-personalità si formano per proteggerci. Proteggono le nostre parti fragili, proteggono il Sé
personale ed altre sub-personalità. Ad esempio la personalità dell’aggressivo o del competitivo può
proteggere la personalità del bambino fragile. Questo lo vedremo in seguito con il Dialogo delle Voci che
riprende dal concetto delle sub-personalità. Dobbiamo vederle come giochi energetici dentro di noi,
poiché sono tutte parti che noi abbiamo all’interno. Qual è il processo? Il processo è riconoscerle e far sì
che dentro tutto questo coacervo quello che comanda è l’Io consapevole, è il Sé personale, non è una subpersonalità. Ciò che Assagioli chiamava il “direttore d’orchestra”. E’ come se tutte queste sub-personalità
fossero degli strumenti. Se questi strumenti suonano ognuno per conto proprio, anziché una sinfonia,
avremo un caos. Solo quando l’ Io personale, la nostra centralità, si mette alla guida, trasformerà il caos in
una sinfonia e allora sceglierà consapevolmente qual è la parte che deve portare fuori. Non possiamo dire
che noi non abbiamo bisogno della nostra parte competitiva o impositiva, perché ci saranno situazioni
nella vita dove essere impositivi o anche autoritari oltre che autorevoli può salvarci la vita, può salvarci
da certe situazioni. Noi dobbiamo avere a disposizione tutto quanto. E che cos’è che discerne quando è
opportuno un certo comportamento oppure no? E’ la coscienza, è questo Io consapevole o Sé personale.
Se noi, invece, rimaniamo identificati in una di queste parti? Ricordiamo “il prisma” di Jung. Egli
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affermava che se una persona rimane identificata con una parte ed è nel prisma, nella parte rossa, dirà
che tutta la realtà è rossa. Se, invece, è nella parte verde, dirà che tutta la realtà è verde. La realtà è,
invece, multicolore. Ciò che dobbiamo imparare a fare è disidentificarci, andare in quella posizione del
testimone e poter vedere che abbiamo a disposizione tutte queste possibilità, E non significa che una è
migliore dell’altra, perché tutto quanto ha un motivo per essere. Tutto quanto si struttura perché c’è una
motivazione profonda per la sua strutturazione. Basta solo trovare la chiave per capire quale è il
messaggio che ci vuole dare. Quando parliamo di energia, non c’è un’energia cattiva e una buona. E’
energia, è l’utilizzo che ne faccio che cambia la cosa. E’ come l’energia atomica: se faccio la bomba
atomica diventerà un’energia distruttiva, ma se realizzo altre cose che servono all’umanità sarà positiva.
Ed eccoci di nuovo a quello che abbiamo detto prima sulla psicologia con direzione. Siamo noi che diamo
direzione anche alle nostre energie.
Assagioli parlava anche di “io molteplice”, il che significa che noi siamo questa folla di personaggi
interni, siamo questo caos che deve passare attraverso questo processo di integrazione di tutte queste parti
sotto la direzione della nostra parte consapevole, della nostra parte saggia, della nostra parte che sa. Noi
non sappiamo, ma lei sa.
Possiamo dire che la Psicosintesi ha una struttura che si basa su tre passi che sono:
•
conosci
•
possiedi
•
trasforma
Il “Conosci” è in relazione alla coscienza, alla consapevolezza che esiste una coscienza che può essere
sempre più amplificata. Quindi, quando lavoreremo su questa fase del “conosci” andremo ad utilizzare
tutte quelle tecniche che ci permetteranno di sapere come siamo fatti, di cosa abbiamo bisogno, di come è
strutturato il nostro corpo. “Conosci” significa conoscere tutte le dinamiche mentali nelle quali noi ci
imbattiamo, che utilizziamo inconsciamente, come tutte le proiezioni. Assagioli è partito da questo
presupposto: se Freud ha lavorato tanto sull’inconscio inferiore ed ha strutturato degli assunti, è inutile
che io vada a ripercorrere tutte queste vie. Utilizzerò le sue tecniche e cercherò di andare avanti. Quindi,
Assagioli ha ripreso molto sia da Freud sia da Jung o dalla bioenergetica, e ha creato una
sistematizzazione di ciò che già era disponibile aggiungendolo alla sua visione ed elaborazione personale.
Nel processo di “conosci-possiedi-trasforma” vediamo che dentro ci sta tutto. Qui il “conosci” significa la
possibilità di utilizzare tutto quello che è possibile per portare sempre più materiale dall’inconscio – sia
quello inferiore sia quello superiore - al nostro campo della coscienza. Ciò significa portare l’energia dal
suo rinnego, dal suo demonico alla nostra consapevolezza, il che implica anche trasformarla.
Il “possiedi” è centrato sull’essere, sul sé, sull’identità profonda, sulla parte di noi che deve gestire e non
essere gestita. Il “possiedi” è un grande lavoro sull’identità, perché significa metabolizzare, significa far
diventare ossa, carne, sangue quello che noi stiamo dicendo. Quindi, dobbiamo portare profondamente
dentro di noi sia sul piano fisico che emozionale e mentale le esperienze della vita. Significa
principalmente ”disidentificarci da” e “identificarci in”. Se io sono una persona collerica che si arrabbia
continuamente, che si arrabbia appena sente qualcosa che è un po’ diverso da ciò che vorrebbe sentire, da
quello che si immaginava o si aspettava, è necessario che io mi disidentifichi dal mio personaggio
collerico e dica: “Ecco la mia parte collerica che è venuta fuori a fare la parte del leone!”. Quindi, è
necessario riconoscerla e disidentificarmi, prendere distanza. Questo significa che io mi identifico con la
mia parte che è capace di vedere il processo. Significa che io porto sempre più potere alla mia parte che
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agisce dalla coscienza e che vede il processo.
Il “trasforma” è il processo del divenire. E’ tutta quella parte molto bella e interessante che va a lavorare
sull’attivazione delle nostre potenzialità latenti. Questo cambia moltissimo tutto quanto, perché implica
che io non lavoro soltanto su quello che vedo (dipende su quale livello stiamo trattando la cosa), ma
lavoro anche su quello che può essere una persona. Io cerco di tenere presente quello che la persona può
diventare, la sua potenzialità di crescita.
Uno psicologo estremamente interessante, Viktor Frankl (un ebreo che ha vissuto l’esperienza dei campi
di concentramento), ha fatto un discorso centrato sul valore dell’atteggiamento, il poter vedere oltre, il
poter vedere qual è il potenziale in divenire, per cui io assumerò un atteggiamento diverso rispetto a una
persona che percepisco come anima anziché rimanere centrato solo sulla patologia. E’ chiaro che se c’è
una patologia devo vederla ed essere anche competente nel saperla affrontare con tutte le metodologie che
ho a disposizione, fisiche, psicologiche, psichiatriche o altro. Qui c’è proprio un discorso centrato sul
valore dell’atteggiamento.
Noi crediamo di avere molta paura di quelli che sono i nostri limiti, di avere molta paura di non essere
mai abbastanza, siamo molto influenzati dai nostri complessi d’inferiorità. Sono fermamente convinta che
noi abbiamo altrettanta paura, se non di più, nell’affrontare quelle che sono le nostre potenzialità. Vale la
pena di soffermarci un poco, poter cominciare a pensare alle nostre grandezze anziché alle nostre
limitazioni, implica un’assunzione di responsabilità. Se io so che non sono piccola, ma sono grande, devo
prendere la responsabilità di comportarmi come una persona grande. Ciò significa stare nella vita,
scegliere come voglio stare nella vita. Voglio stare nella vita vivendo in un metro cubo tutta ripiegata
perché sono piccolina, perché non so, perché non ce la faccio, oppure voglio pensare che il mio metro
cubo si espande sempre di più e io sono un essere che nella sua vita può stare con tutta la sua energia, la
sua potenzialità. Può starci portando tutto quello che sa, aperta a tutto quello che arriva e anche con
l’atteggiamento che nella vita siamo un po’ come in una scalata, dove ci sarà sempre qualcuno che sa più
di noi, al quale tendiamo la mano, e qualcuno che sta iniziando, dietro di noi, al quale diamo la mano. E
questo non vuole dire che siamo maestri, che siamo insegnanti, ma significa semplicemente che siamo
esseri umani che facciamo un’assunzione di responsabilità, con grande umanità e con il cuore molto
aperto, nel dire che questa cosa che è servita a me, per la mia crescita, la metto a disposizione di qualcun
altro. Questo diventa una responsabilità per tutti noi, qualunque cosa noi facciamo, è un atteggiamento
che possiamo portare nella nostra vita. Tutti siamo “allievi” e “maestri”.
È evidente come queste cose sono sempre attuali e facilmente riportabili nella nostra vita e in quello che
noi possiamo fare con gli altri. In questa settimana voi sentirete parlare molte scuole e voci diverse, avrete
l’opportunità di estrapolare gli strumenti che possono servire ad ognuno di voi nel proprio lavoro
quotidiano. Quindi, il “conosci-possiedi-trasforma è da tenere sempre presente.
In effetti questa cosa molto semplice in realtà richiede una grande conoscenza, perché richiede una
conoscenza di tantissime tecniche. Sarà diverso lavorare sul piano fisico o emozionale e dipende da cosa
ho davanti. Ciò significa che devo avere una conoscenza enorme e tirar fuori, a seconda della mia
sensibilità, della mia conoscenza e della mia preparazione, ciò che può essere più utile a quella persona in
quel momento specifico. Quindi, il percorso della psicosintesi è molto lungo, proprio perché si avvale di
tutte queste tecniche ed esperienze che richiedono anni di formazione. Credo che questi piccoli elementi
possiamo portarli nel nostro lavoro quotidiano.
Quando Assagioli parla dell’aspetto fisico, lavora molto con il contributo dello yoga, con il respiro,
insistendo sullo stile di vita e le norme di igienistica. È importante che il mio corpo respiri bene, è
importante che si nutra correttamente, è importante che io faccia il movimento perchè serve anche alla
mia mente, al sistema circolatorio, alle mie ossa ecc. Dobbiamo fare attenzione a che cosa si dà priorità
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nell’arco della propria giornata.
Adesso anche gli ambienti scientifici più chiusi si stanno aprendo a scienze nuove tipo la PNEI, la psiconeuro-endocrino-immunologia, perché sappiamo che tutti questi sistemi interagiscono e si condizionano a
vicenda, perché c’è un’interdipendenza tra loro. Ciò significa che se io psichicamente, emozionalmente
sto bene, vado a interferire sul mio sistema endocrino, che andrà a sua volta ad influenzare a cascata il
sistema immunitario. Tutti i nostri sistemi sono in questo equilibrio dinamico. Io posso anche essere
perfettamente equilibrata, ma se improvvisamente sento una notizia che mi disequilibra, dentro di me
tutto il mio assetto farà in modo di rimettere tutto a posto e riportare equilibrio. Ad esempio a livello
fisico, il nostro PH del sangue è in un range molto, molto stretto, e ogni volta che ci sarà un elemento che
andrà ad interferire, si metteranno in moto una serie di meccanismi affinché l’equilibrio ritorni. Tutto
tende all’equilibrio, che è comunque dinamico e non statico. Se conduco uno stile di vita dove dò spazio
anche a un rilassamento, a un ascolto, ad una presenza attenta, andrò inevitabilmente a influenzare gli
altri campi. Assagioli aveva chiare tutte queste cose già all’inizio del ‘900. Abbiamo, quindi, l’idea di
quanto è stato innovatore?
Il sogno da svegli
Sul piano emozionale un lavoro interessante può essere fatto ad esempio con la bioenergetica, sul piano
del profondo, possiamo utilizzare le visualizzazioni avvalendosi anche del “sogno da svegli guidato”. Ci
sono persone che non riescono a ricordare i sogni, hanno un rifiuto o una difficoltà nel ricordarli: nella
psicosintesi si può lavorare sul sogno da svegli. Si mette la persona in uno stato di assoluto rilassamento e
poi si inizia una storia guidata, ad esempio: ”Stiamo camminando su una spiaggia, senti il corpo quando
entra nell’acqua, cosa vedi, cosa provi …” Ha un’assonanza con il “Gioco della sabbia” di Dora Kalf,
allieva di Jung. Sono tutte tecniche per andare a lavorare sul piano psico-emozionale, insieme a tutto il
lavoro sui simboli e sui sogni. E sul piano spirituale è chiaramente la meditazione l’esperienza per
arrivare a percepire la propria identità profonda, lo spazio di silenzio e di collegamento con il tutto, e può
essere fatta attraverso modalità diverse.
Con il “Dialogo delle voci” vedremo come le sub-personalità possono essere rappresentate graficamente
con disegni o si possono mimare o descrivere. Da questo lavoro emergono dei messaggi che ci fanno
capire cosa sta dietro. Se una persona facendo un sogno guidato visualizzerà un uomo terrificante e
minaccioso e accanto a lui c’è una donna piccolina e timida e il nostro cliente è nel mezzo a queste due
persone, possiamo capire subito come vive il rapporto genitoriale. E magari se glielo chiediamo
razionalmente minimizza, scappa, non si ferma, non vuole entrare nell’impatto emozionale. Sono tutte
tecniche che ci permettono di andare ad accrescere il campo della coscienza e questo significa diventare
esseri più liberi di scegliere. Altrimenti, anziché essere noi che scegliamo, noi siamo semplicemente
scelti. Pensiamo di essere noi gli artefici, ma in realtà non lo siamo. Tutte queste sub-personalità, queste
energie che abbiamo dentro, anziché sottostare al nostro direttore d’orchestra si mettono a suonare ciò che
vogliono e quando vogliono. Può essere creativo, però possono creare un grande caos.
L’esercizio della “meditazione della disidentificazione” è molto interessante. Si induce un profondo
rilassamento e si fa percepire il corpo fisico, “tu hai un corpo fisico, ma non sei un corpo fisico”. Questo
corpo fisico è come un abito che noi abbiamo e che dobbiamo amare, rispettare, curare, ma non siamo
questo corpo fisico. Poi, scendiamo più in profondità e sentiamo il corpo emozionale. Sentiamo, quindi, le
emozioni, le visualizziamo come un lago calmo e sentiamo che abbiamo emozioni, ma non siamo queste
emozioni. Scendiamo ancora più in profondità e sentiamo che abbiamo un corpo mentale, che abbiamo
dei pensieri che a volte ci sostengono e a volte ci disturbano, che abbiamo un corpo mentale, ma che di
nuovo noi non siamo questo corpo mentale. E quindi ci chiediamo: “Ma, allora, chi sono io veramente?”
E scendiamo in uno spazio di grande interiorità per poter contattare il nostro Sé, il testimone. In molte
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visualizzazioni viene fuori il vecchio saggio che è il nostro Sé che osserva, non si identifica, è senza
giudizio e ci fa da specchio. Dare giudizio significa accettare o rinnegare qualcosa, e significa che si
danno ancora valori discriminanti alle energie.
C’è un altro esercizio molto interessante che faceva fare Assagioli, è il “modello ideale”, che è una
tecnica dell’agire “come se”. E’ la persona che dice: “Ma io non sono capace, non potrò mai andare via di
casa perché ho paura, perché non avrò mai questo, non avrò mai quello …” Possiamo suggerire la tecnica
dell’agire “come se”. Invitiamo la persona a creare un modello ideale raggiungibile e attuabile. Ad
esempio prendiamo una persona che si sente molto vittima o molto debole, le suggeriamo di creare nella
sua mente un modello di persona più realizzata, più energica che riesce ad affermare sè stessa. A questa
persona facciamo fare una visualizzazione di incarnare una situazione dove si vede come il modello che
ha creato, vivere quindi dentro di sè quella serie di qualità che per lei erano deficitarie - e sentirle molto,
direi anche fisicamente - e poi le facciamo visualizzare una modalità dove incarnando queste qualità può
riprendere una situazione vecchia, ritornando dentro una condizione di blocco, e trasformare qualcosa che
la teneva vittima e debole. Questo diventa possibile nella misura in cui riesce ad integrare dentro di sè le
nuove qualità.
Questa tecnica la possiamo applicare anche su di noi nella nostra vita quotidiana, perché tutti noi abbiamo
le nostre paure, i nostri momenti fragili, i nostri momenti in cui vorremmo essere un poco di più di quello
che siamo, e non vi riusciamo per mille motivi. Se applichiamo una tecnica di questo tipo, può veramente
aiutarci ad immaginare di agire come se noi fossimo i portatori anziché di una debolezza, di una forza, e
quindi esser e capaci di cambiare una situazione.
Molto interessante è la stella di Assagioli, di cui vi accenno solo il principio. E’ una stella a sei punte
dove di nuovo c’è il campo della coscienza, dove abbiamo il punto centrale che è il nostro Sé e le sue
punte sono delle funzioni: 1. Sensazione, 2. Emozione/sentimento, 3. Impulso/desiderio, 4.
Immaginazione, 5. Pensiero, 6. Intuizione, il 7. Volontà (si trova nella parte centrale e corrisponde alla
Volontà intesa come funzione dell’Io), l’8. è il punto centrale, è l’Io o il Sé personale. Il concetto che mi
interessava passarvi è questo: se la punta 1. è l’Immaginazione, il suo opposto è il 6. Intuizione, significa
che una persona che immagina che ha bisogno di vedere, avrà molto meno sviluppata la parte intuitiva.
Ciò significa che se una di queste punte è una iper-funzione, dalla parte opposta abbiamo una ipofunzione. Un altro esempio: se una persona è estremamente attiva, significa che dalla parte opposta avrà
bisogno di capacità di rilassamento, di introspezione e di silenzio. Ricordate questo, perché è anche alla
base del “Dialogo delle voci”.
C’è analogia tra la visualizzazione, ‘incarnare una situazione’, e il rinforzo del pensiero positivo.
Praticamente il concetto è un po’ lo stesso, perché significa, che se io mi sento molto carente in una mia
qualità, e questa mia qualità pregiudica la riuscita rispetto a certe situazioni, e sono quindi incapace di
risolverle, se con il mio pensiero riesco a capire qual’è la polarità opposta che devo integrare, posso fare
questa visualizzazione, attuo questo pensiero (che è un pensiero positivo) per poter agire poi nella stessa
situazione incarnando questa qualità. E’ però molto importante capire che ciò non accade per magia, ma
perché metto in atto un processo legato alla consapevolezza, al prendere coscienza di che cosa accade
dentro di me. Ho quindi un atteggiamento attivo.
Normalmente nelle scuole che hanno la finalità della realizzazione del Sé a meno che l’Io non sia troppo
fragile, per cui va prima rinforzato, un rafforzamento con il pensiero positivo è considerato
controproducente alla risoluzione dell’Io nel Sé superiore.”
Anche nella Psicosintesi cerchiamo di usare queste tecniche con chi ha già un Io strutturato, perché
questo non lo puoi usare in una psicosi, perchè non viene fuori niente. Significa che devi usarle per
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andare a rafforzare delle qualità là dove c’è un Io già abbastanza strutturato. Perché il problema,
altrimenti, è “qual è la parte di me che visualizza?” Se tu non hai la capacità di andare al centro e lavorare
da lì, significa che una sub-personalità potrebbe prendere il posto dell’Io e anche la visualizzazione,
seppur contenga un pensiero positivo, non so quale effetto potrebbe sortire. Qui stiamo parlando di lavori
che possiamo fare con personalità che sono sufficientemente integrate. Se c’è una psicosi assolutamente
non è il caso. Questo vale anche per altre terapie. Se non c’è il senso dell’identità, non sai cosa vai a
rafforzare. Penso che questo sia un distinguo fondamentale.”
(pratica della visualizzazione della Montagna e del Vecchio Saggio)
Biografia (di Giuseppe Pagliaro)
Roberto Assagioli, medico psichiatra, nacque a Venezia il 27 febbraio 1888 e lì visse fino al 1904, anno
in cui la famiglia si trasferì a Firenze. Grazie alle solide possibilità economiche ed allo stimolante
ambiente famigliare Roberto fin da piccolo potè sviluppare le proprie doti intellettuali. Frequentò
l'università a Firenze, iscrivendosi in medicina e chirurgia. La scelta di uno studio di tipo scientifico non
limitò, però, i suoi interessi culturali, che furono e restarono vastissimi: letterari, filosofici, spirituali, tutti
ad orientamento transculturale. Dal 1906 al 1908 fu bibliotecario della Sezione Psicologica, inserita
nell'insegnamento di Filosofia Teoretica dell'Università di Firenze. Nel 1907 presentò alcuni di quelli che
saranno aspetti fondamentali della psicosintesi e, due anni dopo, in un articolo intitolato "Per una
moderna psicagogia" ne delineò tutta la traccia anche se sarebbe passato ancora qualche anno prima che
la psicosintesi prendesse tale nome. Sempre in quegli anni frequentò in Svizzera l'Ospedale Psichiatrico
Burgholzli, dove conobbe Jung col quale restò in amichevole rapporto per tutta la vita. Nel luglio del
1910 conseguì la laurea in Medicina all'Università di Firenze, presentando una tesi sulla psicoanalisi che
aveva preparato all'Ospedale Psichiatrico Burghözli, con la supervisione di Carl Jung. Successivamente si
specializzò in psichiatria e si dedicò a studi di psicologia e filosofia, alla pratica della psicoterapia usando
vari metodi e sviluppando il suo metodo integrale, la Psicosintesi. Nel 1913 fondò a Firenze il "Circolo di
Studi Psicologici". Con lo scoppio della 1° guerra mondiale Assagioli venne arruolato come tenente
medico; a guerra conclusa iniziò ad esercitare la professione di psicoterapeuta. Nel 1923 nacque il suo
unico figlio Ilario che scomparve prematuramente dopo lunga malattia all'età di 28 anni, dopo essersi
laureato in medicina e poi in lettere. Nel 1926 Assagioli pubblicò l'opuscolo "Psychosynthesis, A New
Method of Healing"; nello stesso anno, a Roma dove si era trasferito, fondò l'"Istituto di cultura psichica",
che nel 1933 prese il nome attuale di Istituto di Psicosintesi, eretto in Ente Morale dello Stato nel 1965.
Per alcuni anni l'Istituto svolse un'attività molto intensa; successivamente, con lo scoppio della 2° guerra
mondiale, i rapporti internazionali di Assagioli, dovuti ai suoi molteplici viaggi e le attività umanitarie
suscitarono i sospetti del regime fascista. Nel 1940 Assagioli fu quindi costretto a chiudere l'Istituto. Nel
1973 con alcuni allievi e collaboratori fonda la Società Italiana di Psicosintesi Terapeutica, scuola di
formazione per psicoterapeuti fra le prime riconosciute legalmente in Italia. Nel 1974, all'alba del 23
agosto, all'età di 86 anni, Roberto Assagioli moriva nella residenza estiva di Capolona d'Arezzo.
Opere consigliate:
6
•
Principi e metodi della psicosintesi terapeutica, Astrolabio Ubaldini, 1973
•
L'atto di volontà, Astrolabio Ubaldini, 1977
•
Lo sviluppo transpersonale, Astrolabio Ubaldini, 1988
•
Psicosintesi, Mediterranee, 1990
•
Comprendere la psicosintesi. Guida alla lettura dei termini psicosintetici,
Astrolabio Ubaldini, 1991
LA PSICOLOGIA TRANSPERSONALE DI MASLOW
Oltre Assagioli, un altro autore, da cui nasce la Psicologia Transpersonale, è Maslow.
Maslow (1908-1970 – conosciuto per la Piramide dei Bisogni Umani) ha scritto “Religions Values and
Peak-experiences”, Valori religiosi ed esperienze di vetta. Esperienze di vetta sono i momenti di satori,
di intuizione, di illuminazione che ci fanno entrare per un attimo nella nostra percezione allargata
dell’Essere. Il Sé si allarga, entri e rimani nella meraviglia dell’Esistenza, concetto, come vedremo, che è
la base di tutte le religioni orientali. Il modello che abbiamo illustrato è un modello religioso orientale che
arriva tramite la scuola di Alice Bailey dei triangoli da un tibetano, che ha preso i modelli orientali e li ha
trasmessi negli Stati Uniti; da qui la rielaborazione di Assagioli. Rintracciamo già un’unione, molto
olistica, fra Oriente ed Occidente.
CARL ROGERS E IL COUNSELING
a cura di Giuseppe Pagliaro
La nascita del counseling
Il counseling affonda le sue radici nella Psicologia umanistica di Rollo May e soprattutto di Carl Rogers.
Rogers introduce questo termine nel 1940 col suo libro: Counseling e Psicoterapia. Fa seguito nel 1952 la
nascita in USA della Counseling Association per formare il tumultuoso sviluppo americano del
Counseling come strumento di consulenza ed educazione. Negli anni 70 il counseling arriva in Inghilterra
dove trova utilizzo nei servizi sociali e di orientamento, inizialmente soprattutto nel reinserimento dei
reduci di guerra. Nel 1994 nasce in Europa l'EAC (European Association for Counseling). In Italia arriva
fra gli anni Ottanta e Novanta, e nel nostro paese, come nel resto dell’Europa, sta oggi conoscendo una
rapida diffusione ed ampliamento dei suoi campi di applicazione.
L’approccio centrato sul cliente
Nella forma attribuitagli originariamente da Carl Rogers, il counseling è un "colloquio centrato sul
cliente", in cui l’attenzione del counselor va focalizzata sulla persona, prima che sul suo problema, sulla
qualità del rapporto umano. Rogers considera la salute mentale come la progressione normale della vita e
la malattia mentale (e altri problemi umani) come distorsioni della "tendenza attualizzante". Quest'ultima
è una forza vitale che può essere definita come la tendenza fondamentale dell'organismo a realizzare le
proprie potenzialità e di autocurarsi; essa opera sia sul piano ontogenetico che su quello filogenetico e
necessita di un contesto di relazioni umane positive, favorevoli alla conservazione e rivalutazione dell'Io.
Se la nozione dell'Io è realistica, ovvero se vi è corrispondenza tra le capacità che il soggetto crede di
possedere e quelle che effettivamente possiede, egli sarà congruente e potrà svilupparsi in modo unitario,
autonomo e soddisfacente. In genere il cliente si trova in una situazione di incongruenza tra l'esperienza
reale dell'organismo e l'immagine di sé che egli ha quando si rappresenta l'esperienza. Lo scompenso
psicopatologico nasce quando l’individuo, durante l’età infantile, vive situazioni insolite e anormali che
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comportano gravi fratture che non favoriscono il normale sviluppo.
L’identità organismica del bambino
Per Rogers è nell’infanzia che si forma il concetto di sé. Il bambino piccolo, quando nasce, ha in sé la
capacità di scegliere o rifiutare in modo chiaro le esperienze in rapporto al modo in cui esse possono
agevolare o ostacolare le esigenze dell’organismo, in base a quello che Rogers chiama una valutazione
organismica. Se i genitori assicurano amore, stima, sicurezza, considerazione in modo incondizionato,
accettando anche aspetti negativi del bambino, il suo concetto di sé si plasmerà sull’esperienza in modo
libero e autonomo, le esperienze saranno vissute conformi rispetto al concetto di sé e ai bisogni
organismici. La tendenza attualizzante guiderà il bambino e poi l’adulto fino alla piena autorealizzazione.
Se la considerazione positiva viene data in modo condizionato, il bambino introietterà valori, mète, modi
di essere incongruenti con la propria esperienza organismica. A causa di questi condizionamenti, il
concetto di sé viene sviluppato su basi esterne e rigide e le esperienze verranno selezionate o distorte
affinché si possa mantenere la coerenza del sé che si è formato. Le esperienze personali non fluiranno più
liberamente in accordo con l’organismo e con la tendenza attualizzante. Quando la frattura tra il concetto
di sé e l’esperienza è troppo grande e le difese non svolgono più la loro funzione di protezione, nasce uno
stato di incoerenza nel sé e comincia il disagio psicologico
Counseling come processo di autoconsapevolezza
Secondo Rogers, il compito del counselor è, da una parte quello di innescare un processo di
autoconsapevolezza e di integrazione tra il sé e l’esperienza, che porti la persona a divenire consapevole
della propria condizione, dei propri stati d’animo e dei propri bisogni; dall'altra favorire la riattivazione
della "tendenza attualizzante". Rogers ritiene che una volta divenuto consapevole delle proprie
problematiche e delle proprie risorse interne, grazie ad un processo di autoregolazione, il cliente sarà in
grado di far fronte alla propria vita in modo autonomo. Questo significa che il counseling, a differenza di
altri approcci a carattere psicologico, non considera l'individuo come portatore di problemi, ma come
portatore e origine delle soluzioni. Nel promuovere questo processo, il counselor non impiega tecniche
direttive o interpretazione, così come avviene in psicoterapia, ma utilizza l'empatia.
Il concetto di empatia incondizionata
L'empatia (da empateia, passione; en patos, sentire insieme) viene intesa come la comprensione dell'altro
che si realizza immergendosi nella sua soggettività, senza sconfinare nella identificazione. Il terapeuta è
capace di considerazione o accettazione positiva incondizionata verso il paziente, nella misura in cui
sente di accettare incondizionatamente ogni aspetto dell'altro, ogni sentimento - espresso o non espresso sia quelli negativi, anormali che quelli buoni. É infatti proprio l’ascolto empatico che permette la libera
espressione del cliente, e crea le condizioni ottimali per la sua crescita e trasformazione, nella direzione
da lui stesso desiderata e determinata.
L’integrità del counselor
Secondo Rogers, per essere capace di tale ascolto, il counselor deve essere “congruente”, ovvero essere
“integro”, in profondo contatto con i propri pensieri, emozioni, vissuti e di averne consapevolezza durante
la relazione col cliente. Ciò favorisce la capacità di essere reali e di non attribuire erroneamente aspetti di
sé alla persona che sta di fronte. Ovviamente, a questa predisposizione d'animo si accompagnano una
serie di tecniche messe a punto da Carl Rogers, che permettono di mantenere e rinnovare il contatto, ed
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allo stesso tempo aiutare il cliente a prendere coscienza delle proprie emozioni. Si può citare ad esempio
la tecnica della riformulazione, nella quale il counselor, utilizzando adeguatamente formule tipo «quindi
secondo lei…» «allora lei pensa che…» ripropone al cliente le proprie stesse dichiarazioni, evitando di
giudicare, interpretare o indagare insistentemente, ed offrendogli, al contrario, la possibilità di
riesaminarle sotto una luce diversa. Anche se la parola rimane il veicolo principale attraverso cui la
relazione viene canalizzata, il counseling può avvalersi anche di tecniche corporee, artistiche e grafiche,
proprio perchè vi è la convinzione che la comprensione non avvenga solo e sempre sul piano mentalerazionale, ma anche su quello emotivo e corporeo. Spesso, su questi piani di consapevolezza ci si imbatte
nel limite del linguaggio convenzionale e si ha la necessità di utilizzare altri tipi di comunicazioni non
verbale che consentano di esprimere tali vissuti. Possiamo dire che il counselor, dal punto di vista delle
competenze specifiche, è un esperto di comunicazione che, mediante questi strumenti, accompagna la
persona nel diventare cosciente della propria condizione, comprendere i propri stati d’animo. In questo
percorso di autoconsapevolezza ed integrazione, il counselor non suggerisce soluzioni, ma facilita
l’emergere dei veri bisogni e delle risorse necessarie per soddisfarli; "aiuta la persona ad aiutarsi".
Biografia
Carl Rogers nasce nel gennaio 1902 in Illinois, in un sobborgo di Chicago in una famiglia molto unita,
con princìpi religiosi e morali piuttosto rigidi. Nel 1914, quando Carl aveva 12 anni, la famiglia Rogers
abbandonò la città ed acquistò una fattoria a 30 miglia da Chicago, ove trascorrerà un'adolescenza
solitaria, piuttosto isolato. Interessandosi di agricoltura scientifica, comincia gli studi di agraria, segue
alcune conferenze di carattere religioso e successivamente si orienta verso il ministero religioso. Nel
1922, con un gruppo di studenti americani, partecipò in Cina ad una conferenza internazionale
organizzata dalla Federazione Mondiale degli Studenti Cristiani. In seguito a questa esperienza in oriente
comincia a dubitare di alcuni fondamenti religiosi di base, prendendo distanza sia dal contesto familiare
che dalle vecchie credenze. Dopo la laurea sposa Helen Elliot e con lei si trasferisce a New York dove
frequenta una istituzione liberale, allontanandosi progressivamente dalla prospettiva di un lavoro religioso
per diventare psicologo. Partecipa a seminari e conferenze di natura psichiatrica e psicologica e durante la
sua frequenza al Teachers College, gli viene offerto un incarico all'Institute for Child Guidance, dove
trascorre un anno in cui, lavorando, si trova a confrontarsi con altri professionisti. Successivamente viene
assunto al "Child Study Departement" della società di Rochester per collaborare attivamente a progetti
volti alla prevenzione della crudeltà sui bambini. In questo periodo approfondisce la riflessione sulla
relazione terapeutica che diverrà materiale didattico nell'ambito dei suoi corsi universitari: all'Università
dell'Ohio, come professore di psicologia, alla Chicago University e infine alla University del Wisconsin.
A Chicago si fermò 12 anni, con grande successo fra i pazienti, anche se i colleghi non lo vedevano di
buon occhio; ad esempio l'Istituto di Psichiatria dell'Università apertamente negava ogni forma di
collaborazione con Rogers. Nel 1951 dà alla stampa "La terapia centrata sul cliente" che rappresenta una
sintesi del suo pensiero. Finalmente l'Associazione degli Psicologi Americani cominciò ad apprezzare,
che per molto tempo lo aveva osteggiato, ne cominciò a riconoscere i meriti e ad attribuirgli
riconoscimenti ufficiali. Con il suo quinto libro, 'On Becoming a Person', pubblicato nel 1961, raggiunse
una fama tale che si sentì pronto a lasciare gli incarichi accademici per trasferirsi a La Jolla al Western
Behavioural Sciences Institute, un'organizzazione non-profit, dove portò avanti le sue ricerche sulle
relazioni interpersonali. Lavora ininterrottamente fino agli ultimi anni della sua vita, viaggiando per tutto
il mondo e dedicandosi alle sue teorie sul conflitto sociale. Nel 1985 riuscì a far incontrare i leader di 17
paesi in una conferenza 'residenziale', per farli parlare di pace nel mondo e disarmo nucleare. Muore
all'età di 85 anni, quando era stato appena nominato per il Premio Nobel per la Pace.
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Presentandosi con un curriculum vitae su 'La terapia centrata sul cliente', Rogers enumera una serie di
'scoperte' che crede di aver fatto, sia relativamente a sé stesso, sia riguardo ai rapporti interpersonali di
varia natura. Ecco alcune di queste 'scoperte'.
-Occorre avere fiducia nell'intuizione interiore, che non è di natura intellettuale.
-La valutazione degli altri non può essere per noi una guida, semmai un semplice riferimento.
-L'esperienza è la massima autorità, essendo più sicura delle idee.
-Quando si comunicano pensieri e sentimenti, si risveglia una risonanza molto forte negli altri.
-L'uomo è dotato di una forza costruttiva: quanto più si sente compreso ed accolto, tanto più tende a far
cadere le false 'facciate' per muoversi in direzione del miglioramento.
Testi consigliati:
-La terapia centrata sul cliente, Martinelli 1970.
-I Gruppi di incontro, Astrolabio 1976.
- Psicoterapia e relazioni Umane, Bollati Boringhieri.
LA PSICOLOGIA SISTEMICO RELAZIONALE DI PALO ALTO
La teoria dei sistemi in psicologia
MARIO BETTI
Cercherò di dare alcuni concetti di base fondamentali sulla teoria dei sistemi. Si cerca di dare una
struttura scientifica a quella che è la psicologia relazionale, la psicologia dei gruppi. Si parte, quindi, da
una nozione scientifica che è il concetto di sistema, ripreso da Von Bertalanffy che negli anni ’30 del
‘900 elabora la cosiddetta teoria generale dei sistemi.
Cos’è un sistema? Se ne sente parlare da ogni parte, ma spesso senza aver chiarezza. Definiamo un
sistema come un insieme di elementi che interagiscono secondo determinate regole. E’ chiaro che questo
concetto ci permette di affrontare qualsiasi contesto di studio scientifico. Si può parlare di un sistema solo
nel caso in cui i singoli elementi che lo compongono interagiscano tra di loro, cioè siano connessi tra loro
funzionalmente e abbiano determinate regole. Un orologio smontato è un insieme di elementi, ma non è
un sistema. Il discorso interessante della teoria dei sistemi è che risponde a determinate leggi che valgono
per qualsiasi sistema. Ci sono alcune regole che sono uguali per tutti, come se l’universo fosse strutturato
per cui tende a formare dei dati che interagiscono secondo regole uguali. Questo è interessante nella
teoria dei sistemi.
Esistono tanti sistemi: meccanico, chimico, etc., ma per quanto ci riguarda prenderemo in considerazione
quello relazionale umano. Questo sistema relazionale ci condiziona così fortemente che noi ci
comportiamo in una data maniera e non in un’altra. Infatti, in questo momento a nessuno di voi verrebbe
in mente di giocare a pallone o mettersi a cantare. Se lo facesse sarebbe un comportamento anomalo per
noi ora e quindi appartenente ad un altro sistema. O la persona lo spiega e quindi noi sappiamo che il suo
comportamento rientra in un altro sistema che in questo momento interpreta il nostro, oppure è un
comportamento anomalo e incomprensibile per gli altri. Infatti, molti dei comportamenti della patologia
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mentale vengono interpretati secondo la teoria dei sistemi come dei comportamenti difformi dal contesto,
perché è come se la persona agisse legata ad un contesto che non è quello presente.
Le caratteristiche dei sistemi: totalità, struttura, confini, progettualità, finalità e storia
La prima caratteristica è la totalità. Questo concetto è conosciuto sin dall’antichità. Diceva Lao Tse nel
VI° sec. a.C. che la somma delle parti non costituisce il tutto, cioè la somma dei pezzettini dell’orologio
non ci aiuta a capire il senso dell’orologio. Se noi prendiamo un quadrante o una lancetta, non ci fa capire
nulla sulla misurazione dell’ora. L’orologio ha delle caratteristiche in più che non sono contenute in
nessuna delle parti che lo compongono. Noi, all’interno di questo sistema abbiamo delle capacità o delle
proprietà in più che non sono proprie di nessuno di noi presi singolarmente, ma che messi insieme
realizziamo in questo punto.
Il secondo concetto: la struttura. Ogni sistema ha una sua struttura, cioè si suddivide in sottosistemi.
Prendendo il nostro sistema in questo momento, i sottosistemi sono i docenti e gli allievi. Volendo ci sono
tanti sottosistemi: allievi maschi e femmine, quelli seduti sulle sedie o seduti per terra e così via. Anche se
questi ultimi sottosistemi hanno poco significato ai fini del funzionamento di questo sistema. I
sottosistemi che più saltano alla luce nell’organizzazione del nostro sistema sono gli allievi ed i docenti.
Comunque se si entra nell’analisi dei gruppetti, di come sono seduti potremmo scoprire tanti sottosistemi
che stanno interagendo senza che ce ne rendiamo conto.
Il terzo concetto: i confini. E’ un sistema aperto che scambia informazioni con altri sistemi esterni che
ciascuno di noi ha: con la famiglia, con l’ambiente di lavoro, con la reception e altri che influenzano il
nostro sistema di ora.
Il quarto è la progettualità. Si è detto che ogni sistema interagisce secondo determinate regole. Ogni
sistema tende a perseguire un proprio progetto. Il progetto dell’orologio è segnare l’ora, dell’automobile
lo spostarsi, il nostro progetto di questo sistema ‘qui e ora’ è quello di focalizzare e apprendere alcune
nozioni su un inquadramento olistico sulle principali correnti e tecniche psicologiche e psicoterapeutiche.
La progettualità è uguale alla funzionalità. Se un orologio non persegue il suo compito di segnare l’ora,
l’orologio non funziona. Si dice che è disfunzionale, non persegue il proprio progetto. A livello
individuale può essere un progetto di vita, in questo nostro contesto il nostro progetto di apprendimento.
Quindi, se alla fine del nostro incontro non si fosse appreso alcune nozioni relative a quello che ci
proponevamo, vorrebbe dire che questo è stato un sistema disfunzionale. Quanto più riusciamo ad
apprendere ed a focalizzare meglio queste nozioni, tanto più funzionale è il sistema.
Altro concetto importante è la finalità. Consiste semplicemente in questo: se si prendono due sistemi pur
conoscendo la situazione iniziale, non sappiamo di conseguenza quale sarà l’esito finale. Due sistemi
inizialmente uguali possono andare incontro ad esiti differenti o sistemi differenti possono avere un esito
simile. Cioè, l’effetto non è legato alla causa in maniera determinata, ma al come interagiscono nel tempo
i vari elementi e i vari sistemi confinanti. Ad esempio prendiamo una famiglia, non è che tutti i bambini
soffocati da una madre soffocante sviluppano la tendenza all’alcolismo. In alcuni casi possono
svilupparlo, in altri no. Quindi, vuol dire che dipende da come si interagisce. Questa è una nozione molto
importante, perché modifica una visione meccanicistica legata a molte correnti della psicologia,
sicuramente alle correnti del primo comportamentismo che vedeva causa ed effetto in maniera lineare.
Ma anche della psicanalisi iniziale che diceva se c’è un trauma infantile di conseguenza ci sarà una
nevrosi nell’adulto. Non è così semplice e lineare, dipende da tutta una miriade di fattori che
interagiscono, il che rende più complesso lo studio.
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Altro concetto è la storia che è l’ultimo concetto fondamentale della teoria dei sistemi. Ogni sistema ha
una sua evoluzione storica, un suo ciclo vitale. Ci sono dei sistemi che hanno una vita breve: il nostro
gruppo ha un ciclo che dura pochi giorni o poche settimane. Ci sono dei sistemi che possono essere
momentanei, per esempio il sistema di un gruppo di persone a cena, che al momento della cena o di una
festa creano un particolare sistema con determinate regole che poi si scioglie. L’Ultima Cena non si è
limitata all’ultima cena. Lì ha stabilito il rituale che stabilisce le regole per esempio l’eucarestia che è
collegato con l’Ultima Cena, si è mantenuto nel tempo stabilendo una storia millenaria. Quindi, non è una
cena che è finita lì.
Tipico è il sistema familiare che ha una durata lunghissima. Una famiglia dura almeno quanto la vita di
un individuo, anzi di più della vita di un individuo perché uno nasce appartenendo a una famiglia in senso
lato, visto come sistema di figure relazionali significative. Il minimo di una famiglia è una madre con il
padre e il figlio e poi altre figure che possono esserci o no. Se voi pensate quanto ci condiziona un
sistema psicologicamente. Basta entrare in una chiesa e ci sentiamo condizionati dal nostro
comportamento. In una chiesa non ci riesce avere lo stesso comportamento che avremmo se fossimo
assieme a dei tifosi allo stadio a fare il tifo per la squadra del cuore. Anche se proviamo a farlo non ci
viene nella stessa maniera oppure non abbiamo lo stesso stato d’animo, lo stesso comportamento o modo
d’interagire di quando siamo a cena con degli amici. Insomma il sistema ci condiziona
fondamentalmente. Figuriamoci un sistema come la famiglia che dura tutta la nostra vita.
Modificando un elemento del sistema si modifica il tutto
Allora, la teoria dei sistemi parte dal presupposto che modificando un elemento del sistema, si modificano
automaticamente tutti gli altri. Per esempio qui nasce il discorso della terapia familiare che in forma
classica in genere è così strutturata: abbiamo una famiglia all’interno di una stanza assieme ad un
terapeuta. Un altro terapeuta, collegato con un citofono sta fuori e attraverso uno specchio unidirezionale
guarda cosa succede dentro e in qualsiasi momento può comunicare all’interno. Lo scopo è cercare di
mettere a fuoco quali sono i meccanismi ridondanti che perpetuano certi comportamenti (un
comportamento conflittuale, un comportamento che genera patologia) e si cerca di modificarli. Perché in
genere è essenziale che ci siano due terapeuti, uno dentro il gruppo e l’altro fuori? Perché quello dentro a
contatto con la famiglia si lascia talmente invischiare nel sistema familiare che perde di vista una serie di
elementi fondamentali. Chi sta fuori se ne accorge e può comunicare chiamandolo e facendogli notare un
certo comportamento del figlio. E magari mette in evidenza comportamenti automatici del gruppo che
aiutano a prendere consapevolezza e a modificare certi comportamenti nella relazione e modificando
questi comportamenti poi possono modificare per esempio situazioni di conflitto, di patologie, ecc.
E’ tipico un lavoro spesso efficace è collegato con le patologie del comportamento alimentare. Le
anoressiche spesso hanno un loro comportamento che viene perpetuato da una serie di dinamiche
relazionali a livello familiare. Modificandole, si può arrivare anche a modificare radicalmente il
comportamento anoressico. Quindi, spesso ci sono anche dei risultati fondamentali.
Mesmer: le radici storiche
Un’ultima cosa importante per inquadrare un po’ il discorso della psicologia sistemico-relazionale. Vista
così sembra abbastanza meccanicistica, cioè una serie di elementi che interagiscono, ogni persona è un
elemento che interagisce. Quindi, un po’ comportamentistica. In realtà le potenzialità di questo approccio
sono molto più ampie e conosciute fin dall’antichità. Un autore che non abbiamo citato è Mesmer che fu
un grande psicoterapeuta (visse a cavallo tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800) che parlava di
magnetismo animale o di magnetismo che oggi si definisce energia. Studiò come questa energia, questo
magnetismo poteva essere utilizzato per curare e guarire diverse malattie Egli introdusse così il sistema
dei passi magnetici (movimenti ripetuti e ipnotici sul corpo), interessantissimo, perché anticipò la
moderna pranoterapia con risvolti terapeutici estremamente interessanti. Egli introdusse il sistema della
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terapia di gruppo. Creò una tinozza piena di limature di ferro e di bottiglie d’acqua (quindi secondo le
concezioni dell’elettricità del tempo, con dei buoni conduttori) con delle maniglie di ferro, mise delle
panchine intorno, fece sistemare delle persone in cerchio (come si fa un cerchio di meditazione), attorno
alla tinozza. Mesmer passava accanto alle persone dando stimoli – toccandoli leggermente o facendo fare
delle emissioni sonore alle persone – finché alcune di queste persone avevano le cosiddette crisi
catartiche. Una che soffriva di asma poteva avere una crisi asmatica, un’altra una crisi epilettica e piano
piano la crisi di una persona si trasmetteva quasi come per induzione, per contagio a tutti le altre. Era
capace di dare contenimento a questa situazione e fu famoso terapeuta sia individuale che di gruppo.
Probabilmente come in tutte le terapie ci saranno stati dei casi di guarigione, casi di ricadute e casi di
miglioramento. Probabilmente ciò che pubblicava erano i casi meglio riusciti, ma sicuramente ebbe un
grosso seguito e un grosso successo. Lavorò in Austria, a Vienna, poi a Parigi dove ebbe un grosso
successo. Ma ebbe una persecuzione da parte dell’ambiente medico che lo definì un ciarlatano. Ma quello
che è interessante è che il mesmerismo, altrimenti conosciuto come magnetismo animale, dopo Mesmer
ebbe una larghissima diffusione in Europa e anche in America e dette origine a tutta una serie di
fenomeni. Uno fu lo studio degli stati profondi di coscienza ad opera di un suo allievo Puysegur che
studiava gli stati di trans, attraverso i passi magnetici induceva gli stati di trans, di conduzione e fenomeni
di conduzione addirittura fino all’infanzia o alle vite precedenti. Questo fu un filone molto interessante.
Dal mesmerismo nacque l’ipnosi e tutti gli studi d’ipnosi fino ad arrivare al nostro tempo. In particolare
in Francia nacque una scuola a Nancy e una con Charcot a Parigi, dove studiò Freud. Nacque lo
spiritismo e varie fratellanze di studi sia spiritici sia esoterici fondati sulle tecniche di catena e le tecniche
di guarigione anche a distanza. Quindi, nell’800 ci fu una grossa espansione di tutti i concetti legati alla
psicologia di Mesmer che poi confluì anche nella psicologia di Freud.
Freud all’inizio lavorava con l’ipnosi, aveva imparato l’ipnosi da Charcot e aveva studiato tutti i
fenomeni dal mesmerismo. Questo è interessante, perché in genere si parte da Freud come lo scopritore
dell’inconscio, l’inventore della psicanalisi, lo scopritore della sessualità infantile, le dinamiche
psicologiche. Sicuramente fu l’inventore della psicanalisi, dando il nome al sistema che lui fece. In realtà
Freud fu un abile e intelligente organizzatore. Egli riuscì a sistematizzare nella sua dottrina e nella sua
pratica una serie di conoscenze che al suo tempo erano di pubblico dominio. Cioè, la sessualità infantile,
per dirne una, era normalmente conosciuta e descritta da tutti i teologi morali della chiesa cattolica
protestante. L’inconscio, si parla dell’inconscio in tutto il romanticismo a partire dal ‘700. Leibniz, il
filosofo che elabora il concetto dell’inconscio già molto prima di Freud; il concetto dell’inconscio
collettivo che è poi di Jung. Se si guarda si ritrova in tutte le antiche dottrine misteriche o nei vari miti
religiosi. Quindi, non sono conoscenze nuove, sicuramente lui le sistematizza in maniera originale e
questo gli va dato atto.
Mesmer è stata una figura centrale nella storia della psicologia occidentale ed è interessante perché
elaborò un po’ queste condizioni anche della terapia di gruppo.
Un ultimo concetto che è importante. Provate a pensare a come viene condizionato il vostro stato d’animo
in una cena con amici, in una chiesa o altro dove si viene a creare una specie di anima collettiva, come
una specie di coscienza di gruppo o di coscienza collettiva con degli aspetti inconsci, che crea dei
comportamenti e dei modi di sentire simili. Qui si rientra in un altro settore, quello che abbiamo definito
assieme a Nitamo psicologia sistemica transpersonale o sistemica olistica, cioè una sistemica che utilizza
tutte le conoscenze dello studio sistemico scientifico classico, ma le introduce in una visione più umana,
più legata alla coscienza o alle emozioni, al sentimento e anche a quello che è una coscienza collettiva.
Rientra in un ambito in cui la sistemica assume una dimensione un po’ diversa da quella con cui viene
comunemente usata.
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IL DIALOGO DELLE VOCI DI HAL E SIDRA STONE
Kiran Lucia VIGIANI
Il “Dialogo delle voci” è una tecnica stupenda iniziata da Hal e Sidra Stone, due psicologi californiani. E’
una tecnica che è stata messa a punto alla fine degli anni ’70 ed è stata successivamente portata in Italia
nel 1993/94 da Manuela Adelman. E’ una tecnica sull’indagine dei nostri personaggi interiori definiti
“voci”. La tecnica parte un po’ dal concetto Junghiano delle sub-personalità per poi andare molto più in
profondità anche rispetto alla psicosintesi di Assagioli. Quindi, è un lavoro di vera e propria indagine
interiore fatta con una modalità gestaltica.
Le sub personalità
Prima, però, vorrei dirvi un paio di cose. Il “dialogo delle voci” può essere applicato in molti campi. Pur
avendo detto che partivamo dall’animo molteplice e dalle subpersonalità pur adottando la modalità
gestaltica, non stiamo facendo una psicoterapia. Il “dialogo delle voci” può essere usato in molti ambiti,
anche come supporto psicoterapeutico, in ambito artistico o per interpretare dei sogni o in un lavoro
corporeo o altro. E’ una tecnica che viene usata proprio per capire cosa succede dentro di noi, e per capire
cosa succede a livello di dinamiche tra tutte queste nostre subpersonalità.
Partiamo dal concetto che dentro di noi esistono molti personaggi, molte “voci”. Secondo questo metodo
possiamo asserire che esistono delle “voci primarie” e delle “voci rinnegate”. Quindi, vediamo questo
discorso come un’asse polare, dove noi siamo molto identificati con molte sub-personalità o “voci” (c’è
un’analogia tra i due termini). Se noi lavoriamo con delle “voci primarie”, significa che dalla polarità
opposta ci sono delle “voci rinnegate”. Questo ci rimanda di nuovo alla stella di Assagioli già vista
precedentemente. Il concetto è lo stesso dell’asse polare: se da un lato c’è una parte iper-trofica, dall’altro
lato ci sarà sicuramente una parte ipo-trofica.
Noi abbiamo molti personaggi interni e la nostra tendenza è di identificarci o di rappresentarci di più con
qualcuno di questi personaggi che sono definiti “voci primarie”. Quasi sempre questi personaggi sono
quelle parti che ci proteggono, le parti con le quali noi ci sentiamo più a nostro agio, sono dei ruoli con i
quali siamo più abituati a stare e ci sentiamo più sicuri. Le “voci rinnegate”, invece, sono le nostre parti
rimaste più nell’ombra o nell’inconscio medio o inconscio profondo, di cui potremmo non conoscerne
proprio l’esistenza.
Le parti del “Dialogo delle voci”
Quali sono le parti che giocano nel “Dialogo delle voci”? Sono:
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·
le “voci primarie” in cui ci identifichiamo di più
·
le “voci rinnegate” che sono in noi, ma che rimangono più in ombra, sono più inconsce
·
un “ego operativo” che è la parte di noi che si identifica nei ruoli (ad es. mi identifico con il mio
ruolo di insegnante)
·
un “ego consapevole” che è il nostro testimone, la parte di noi che non si identifica con le varie
voci, ma semplicemente le osserva
·
“la visione lucida” o “awareness” che è il momento in cui noi possiamo vedere attraverso l’ego
consapevole.
Essendo il “dialogo delle voci” un metodo molto poco invasivo e rispettoso, può essere usato con
chiunque tranne in casi di psicosi conclamate. E’ una tecnica che si svolge in maniera energetica e si
sente quando invitiamo a parlare una “voce” se parla solo da un livello mentale o con la propria parte
energetica.
Vediamo come si svolge.
Quando il cliente arriva si chiede cosa vorrebbe andare a investigare o chiarire assieme a noi, cerchiamo
dunque di definire un ambito. Nella descrizione iniziale, il facilitatore può già farsi una mappa di cosa sta
succedendo nell’altra persona, e a seconda di come si esprimerà, potrà individuare quali sono le “voci”
che stanno parlando. Chiaramente questo non si rivela all’altra persona per non influenzarla, però si invita
l’altro a spostarsi usando la modalità gestaltica. La persona si muove in un’area e anche in una posizione
a sua scelta dello spazio. Entriamo in una condizione più meditativa invitandola ad entrare più in
profondità. Da questo momento le facciamo una sorta di intervista per indagare, conoscere, raccogliere
dettagli sulla voce che sta parlando.
Vi faccio un esempio pratico. Diamo il nome di Maria alla cliente che abbiamo davanti e poniamo che
nell’arco della sua esposizione abbiamo sentito emergere una “voce primaria” quale potrebbe essere “il
critico”. Le chiediamo di spostarsi, e di ricontattare l’emozione che era molto presente, domandandole:
“Tu sei quella parte di Maria che si è espressa dicendo che Maria non è in grado di fare certe azioni,
perché Maria non ha studiato abbastanza,…. perché Maria non è brava abbastanza. Ti posso chiedere chi
sei,…. da quanto tempo sei nella vita di Maria,…… in quale parte del corpo di Maria sei,….quale è il tuo
alleato dentro Maria ecc. ecc.?” Significa che andiamo a parlare con il personaggio emergente (“critico”)
facendo una sorta di intervista, e risponderà dicendo: “Io sono quella parte di Maria (“critico”) che c’è da
tanto tempo…..Sono io che la inibisco in continuazione perché altrimenti lei si espone troppo e ciò mi fa
arrabbiare…. Non sopporto Maria quando fa vedere le sue fragilità, ecc.” Nel proseguo dell’intervista
vengono fuori tantissimi dati, per cui scopriamo da quanto tempo si è strutturata questa “voce” con quali
modalità e soprattutto il perché della sua esistenza nella vita di Maria. Scopriremo che le nostre voci
primarie si strutturano per proteggere il bambino vulnerabile. Solitamente nella nostra vita il “critico” ci
massacra, non ci fa vivere, ma inizialmente è venuto fuori proprio per proteggere la nostra fragilità. Una
parte di me critica me stessa, il che sarà meno doloroso che non uscire in un contesto aperto e sentirmi
criticare dagli altri. All’inizio queste voci primarie si sono strutturate per proteggere la nostra
vulnerabilità. Allora, qual è il problema? E’ che anziché essere delle voci che sono rimaste lì circoscritte,
sono diventate onnipervadenti e hanno preso il sopravvento e controllano la nostra vita. Tanto che un
“critico” molto attivo può diventare una voce fortemente distruttiva, può diventare massacrante.
Fintato che queste energie rimangono ”ombra” (per usare una terminologia junghiana) significa che
rimangono inconsce, sono energie demoniche che possono essere distruttive se non le conosciamo.
Quindi, il compito è di riconoscerle sempre di più portandole nel nostro campo della coscienza (se
parliamo di psicosintesi) e di andare sempre di più a rafforzare l’ego consapevole, se parliamo del
“Dialogo delle voci”. Cambiano le terminologie, ma il concetto base è sempre lo stesso.
Quindi, facciamo l’intervista alla persona per capire al massimo questa “voce”, per capire da quanto
tempo c’è, che spazio ha nella vita della persona, come si relaziona con gli altri personaggi dentro di noi,
e come condiziona la nostra esistenza.
Le voci più importanti che ritroviamo un po’ tutti noi sono il “critico”, il “giudice”, il “patriarca” o la
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“matriarca” per le donne, il “bambino” fragile e vulnerabile, e il bambino giocoso che ha voglia di vivere
e di esprimersi ma che quasi sempre rimane soffocato. Il bambino è estremamente fragile ed è molto
difficile che venga fuori al primo incontro. Il “bambino” ferito o abusato viene fuori con molta fatica e
questo accade solo se si sente molto accolto e non giudicato. Quando viene fuori il “bambino ferito” ha
una voce molto flebile, spesso la postura è piegata in avanti, il tono è piagnucoloso. Il facilitatore deve
entrare in una relazione energetica ed empatica con quella voce, anche con il tono di voce che sarà
sommesso, e chiederà: “Ti senti impaurito a venire fuori?…. Cosa ti fa sentire paura…Quali sono le cose
che ti fanno sentire più minacciato… Cosa ti è mancato…. Cosa vuoi che faccia Maria per te ecc.?” E
Maria potrebbe rispondere: “Io sono il bambino di Maria…. Maria non mi ha mai ascoltato,… Lei si è
sempre vergognata di me…Ogni volta che avevo voglia di una cosa non era mai il momento giusto ecc.”
Altrettanto interessante e bello è quando vengono fuori la forza o la rabbia e le persone riescono a sentire
che ci sono queste energie potenti dentro di loro. La “voce” parla attraverso la persona finchè esprime la
propria energia, poi sentiamo che si scarica e comincia a subentrare la noia oppure un calo energetico. A
quel punto si sente che non c’è altro da dire, per cui ringraziamo la “voce” qualunque essa sia stata, anche
se è stata distruttiva, perché dobbiamo onorare tutte le parti dentro di noi. E dobbiamo farlo senza
giudizio. Quindi, ringraziamo la “voce” che è venuta e chiediamo alla persona di ritornare al centro.
Ritornare al centro significa ritornare nella posizione dell’ego consapevole. Qui riparliamo con la persona
chiedendo come ha vissuto l’esperienza, se ha scoperto parti nuove di se stessa, se ha sentito le diverse
energie che portavano le voci, se ha sentito energeticamente ed emozionalmente che relazione avevano
con il corpo, come queste voci abbiano trovato spazio o rinnego nella vita della persona, ecc. Molte volte
mi sono trovata con delle persone apparentemente deboli che scoprivano quanta forza avevano soffocato
dentro e quanta voglia avevano di farla venir fuori. Vi ho dato una piccola idea?
Forse è meglio che ripetiamo la differenza tra la gestalt e “Il dialogo delle voci”. Nella gestalt le voci
possono parlare tra di loro, mentre nel “Dialogo delle voci” ogni volta che una voce ha parlato ritorniamo
nell’ego consapevole. Questo ci permette di radicare sempre più la “voce rinnegata”.
In secondo luogo, perché ci spostiamo fisicamente? Cosa significa ciò? Spostandoci in un altro spazio
entriamo in un’altra energia, e possiamo generare un’identificazione più profonda nella voce che andiamo
a contattare e che vogliamo investigare.
L’obiettivo del “Dialogo delle voci”
Qual è l’obiettivo del “Dialogo delle voci”? E’ una tecnica per andare a indagare e sentire le varie energie
che sono dentro di noi e per poterle portare sul piano della coscienza. Il punto centrale è poter prendere
coscienza di queste parti e attraverso il nostro ego consapevole portare sempre più terra all’isoletta della
coscienza, perché più noi siamo consapevoli, meno ombre ci sono, più siamo liberi. E’ lo stesso discorso
del “direttore d’orchestra” che fa suonare gli strumenti quando decide e in quale modo decide di farli
suonare, e non lascia ad ogni strumento la possibilità di agire fuori da un progetto. Ricordiamoci sempre
che nessuna energia va condannata, perché sono tutte parti di noi che dobbiamo integrare abbracciandole
e comprendendole per portarle alla luce. Così anche le energie demoniche si trasformano e diventano
energie a nostra disposizione. Se prendiamo una grande rabbia che può diventare aggressiva se non
riconosciuta, può trasformarsi una grandissima forza di aiuto per noi stessi se la integriamo portandola
nel campo della coscienza. Ricordate che cosa ha fatto Gesù nel tempio? Non è stato remissivo, anzi, ha
rovesciato tutto come una furia. Quindi, che noi abbiamo la nostra rabbia a disposizione è molto
importante, come è importante che abbiamo un centro che decide consapevolmente come usare la rabbia e
non diventiamo la persona che è in balia della rabbia e scatta in continuazione. E’ agire la rabbia anziché
essere agiti dalla rabbia. Questo è il concetto fondamentale al di là di qualunque ambito o tecnica noi
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usiamo, che sia psicanalisi o “il dialogo delle voci” o altro.
Tutte queste energie sono al servizio della difesa. Quando vengono portate nel centro, in parte vengono
purificate dalla necessità di difesa infantile che non è più necessaria, in parte diventano energia pura
disponibile per l’ego integrato. Alcune di queste energie, tipo il “bambino piagnucoloso” che gli può
servire ancora, si trasformano. Vi porto un esempio. Quando avete lavorato con la voce di una persona, ad
esempio il “sabotatore” che ha rotto le scatole tutta la vita, che ha sempre detto che non sei in grado, che
non sei abbastanza, ecc., quando la persona comincia a fare un percorso di trasformazione, accade che
intervistando il “sabotatore” questi risponderà: “Sono proprio stanco, sono un personaggio vecchio, ho
voglia di andare in pensione.” Quindi, si capisce che quell’energia è obsoleta, non ha più motivo di
essere, si è consumata. Ed è bello quando nell’intervista viene fuori il personaggio che si riconosce
vecchio, perché significa che c’è stata una trasformazione, che qualcos’altro si è strutturato per rafforzarci
per darci sicurezza e non c’è più necessità del sabotatore che ci tenga a freno.
Noi siamo portatori di molti tipi di energie. Il “bambino” è una figura basilare nella nostra vita. Potremo
avere cento anni e avremo sempre il nostro bambino interiore e per fortuna, perché è un’energia pura,
frizzante, gioiosa. Il “bambino” sarà sempre portatore dello stesso tipo di bisogno, che è amore totale. E’
quando il bambino viene ferito o abusato che diventa il bambino ribelle, il bambino piagnucoloso. Ed è
per questo che si strutturano tutte le voci primarie che sono tutte voci che proteggono la vulnerabilità.
Tutti noi se analizziamo le nostre vite e le nostre esperienze, vediamo quanti compromessi abbiamo fatto,
quanto potere abbiamo dato via per essere amati. Lo sappiamo. Noi tutti abbiamo degli imprinting, dei
ricordi delle situazioni, per cui mettiamo in atto delle strategie di sopravvivenza. Allo stesso modo
succede anche al bambino, che alle richieste dei genitori reagirà solitamente in due modi: o diventerà il
bambino compiacente o il bambino ribelle oppure un po’ tutt’e due, a seconda delle circostanze o degli
impedimenti. E’ importante vedere che le due forme dell’atteggiamento del bambino sono entrambe. Se il
bambino avesse avuto il soddisfacimento del bisogno primario che è l’amore, non avrebbe avuto bisogno
né di diventare compiacente né ribelle, ma sarebbe stato nella sua essenza. Ricordiamo che comunque il
bambino ha bisogno di un confine, altrimenti si perde. Noi possiamo anche rimproverare un bambino, ma
con amorevolezza. Se lui sente che c’è una relazione d’amore anche se fa qualcosa di sbagliato e viene
rimproverato, riconoscerà questo amore, per cui non avrà ferite laceranti.
Il “Dialogo delle voci” è una tecnica molto articolata della quale vi sto dando soltanto qualche idea. Ci
sono tanti personaggi al nostro interno, sarebbe interessante capire le loro modalità di strutturazione, le
loro interazioni con gli altri personaggi, le dinamiche che si creano per avere una visione più allargata
della nostra vita. E’ veramente molto bello, anche perché c’è questo grande rispetto nell’agire. Come
abbiamo già detto, all’inizio del lavoro, partiamo sempre dai ruoli e dai personaggi primari che sono
quelli dove ci sentiamo più forti. Non è una modalità invasiva, perché rispettiamo chi c’è, e vediamo che
per primi emergono quelli più sicuri di sé, che generalmente sono le voci che agiamo di più e sono più
accessibili. E’ difficile che in una persona che arriva con una problematica dolorosa, possa uscire subito il
bambino vulnerabile. Ecco perché è molto importante questo gioco: la persona arriva, c’è il primo
inquadramento dell’argomento che porta, poi invitiamo la persona a spostarsi nello spazio e possiamo
fare varie interviste a più personaggi. A volte questi personaggi hanno un nome, a volte la persona stessa
dà il nome, altre volte sono delle energie indefinite che possono essere anche molto diverse fra di loro.
Una volta ci parla l’energia della “forza”, un’altra volta quella del “controllore” o del “protettore”ecc..
Quando poi si invita la persona a tornare al centro, può uscire un’energia molto diversa e cioè un’energia
più fragile, molto timorosa, la paura o altro, che può essere totalmente in antitesi alla prima voce. Non
dobbiamo mai interrompere una voce, dobbiamo lasciarle tutto il tempo che necessita per potersi
esprimere. L’importante è che il facilitatore sia sempre lì, in relazione empatica e molto energetica,
perché se una voce si sente giudicata immediatamente si richiude. Se viene fuori ad esempio il maniaco
sessuale, e voi lo tranciate subito con un giudizio, la persona si chiude e non si esprimerà più. Se
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percepite che mentre la voce si sta esprimendo è cambiata l’energia, non la interrompete, ma glielo
chiedete dicendo ad esempio: “Sento che tu ti stai esprimendo con un’energia diversa, ma sei ancora tu?”
Nel “Dialogo delle voci” si chiede sempre il permesso per avere accesso ad una voce, e soltanto quando si
invita la persona a ritornare al centro le si chiede: “Hai sentito che energia era? La senti? L’hai
riconosciuta?” e poi possiamo proseguire nuovamente per fare l’intervista ad altri personaggi. Il tutto può
durare un’ora, un’ora e mezza. L’importante è che non interrompiate il processo.
Ricapitolando, la sessione si svolge con l’intervista alle “voci”. Poi, dopo che una voce si è espressa, si
invita la persona al centro dove si parla a livello dell’ego consapevole, si fanno alcune domande per
portare consapevolezza sul come ha vissuto le voci. E poi c’è un momento estremamente bello che si
chiama la “visione lucida” o awareness. Questo è un momento dove si chiede alla persona di mettersi
dietro al facilitatore, con gli occhi chiusi, e di rimanere in ascolto molto cosciente e consapevole – senza
intervenire – come se fosse un testimone. Ecco perché si chiama “visione lucida”. Vi assicuro che è
un’esperienza estremamente forte: è il momento in cui il facilitatore deve rifare il riassunto di tutta la
sessione usando le parole dette dalla persona, quelle che ha usato la “voce”, senza interpretare ma
semplicemente facendo in modo fedele il riassunto. La persona che è dietro, ascolta come se fosse nella
posizione del testimone e rivede che cosa è successo. Si rivede non più coinvolta, osservandosi con
distacco. Potete immaginare che forza potente si sprigiona in questo momento?
Dopo questo riportiamo la persona davanti, e chiediamo se c’è qualcosa in sospeso, se ci sono delle parti
che desidera approfondire. Non lasciate mai andar via una persona da una sessione se è a pezzi. La
faremo uscire da un incontro magari con tanto lavoro da elaborare, ma con la sua integrità. Questo vale
per qualsiasi tecnica che noi usiamo.
Per quanto riguarda i bambini, dal momento che è una tecnica molto strutturata, con loro la farei più come
un gioco. Userei tecniche molto morbide con dei confini più sfumati, proprio perché il bambino è in fase
di strutturazione della personalità. Può essere molto interessante prendere delle parti di quello che
abbiamo detto e farlo giocare con queste parti ad esempio con il disegno, con la teatralità, con la voce
senza dargli questa struttura così definita.
Molte delle cose che abbiamo detto possono avere un’attinenza molto pratica, perché le possiamo
riportare già in quello che noi stiamo facendo con le persone. Se noi abbiamo capito dei concetti che –
come si è visto – sono trasversali, può essere già molto importante.
Con il tempo e l’esperienza vi accorgerete che queste “voci” parlano come parlavano i vostri genitori.
Capirete più facilmente perché si sono strutturate, perché ce le avete dentro. Quante volte riconoscerete
quel linguaggio, perché è lo stesso linguaggio di vostro padre o di vostra madre. Quindi, è molto
importante far notare questo alla persona, anche se spesso lei stessa si accorge di questo e lo riconosce.
Ciò che mi piace di questa pratica è che tutto viene fatto con grande rispetto, perché i personaggi escono
quando c’è una situazione pronta per accoglierli. Non esce mai una “voce” se non c’è il contesto giusto
per ascoltare. Ecco perché il facilitatore deve essere in questo atteggiamento e capacità di ascolto, molto
empatico e capace di sentire cosa succede con le energie e contemporaneamente andare a sentire cosa
succede dentro se stesso, perché funzioniamo tutti come delle casse di risonanza: entriamo in covibrazione. Credo che un’altra cosa molto importante per il counselor o il terapeuta in generale è entrare
nel coraggio dell’imperfezione, perché accettare la nostra imperfezione è un grande gesto di coraggio.
Accettiamo i nostri limiti e impariamo anche a comunicarli per il rispetto di noi stessi e degli altri. Quindi
non possiamo dire sì a tutto e a tutti, perché possono arrivare persone che portano tematiche dove noi
stessi stiamo ancora lavorando e non possiamo essergli di aiuto. (Si verifica spesso che i clienti che
arrivano, ci mettono di fronte alle nostre stesse tematiche. Credo che non sia un caso!)
E poi, è veramente un lavoro alchemico, perchè la stessa cosa detta da una persona o detta da un’altra,
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cambia vibrazione; per questo noi non possiamo entrare nella stessa sintonia con tutte. In questo caso
bisogna avere il coraggio di dire che sentiamo di non essere nella giusta polarità per cui le consigliamo
qualcun altro. Se lo diciamo con amorevolezza, credo che la persona debba apprezzarlo. E’ chiaro anche
che quanto più lavoro noi facciamo su noi stessi, sempre più riusciremo ad essere accoglienti. Come è
imprescindibile che per poter lavorare con gli altri si deve aver lavorato su sè stessi. D’altro canto non
possiamo aspettare di essere perfetti per iniziare a fare delle cose. Questo significa che ci sarà sempre un
margine dove noi saremo vulnerabili. Ecco che è assolutamente indispensabile che un counselor sia
capace di entrare nel silenzio, in uno spazio di ascolto, uno spazio di visione attraverso il proprio
testimone interno. Solo così può accorgersi che la persona che ha di fronte, gli porta qualcosa che
risolleva la propria problematica personale, il proprio dolore, ed è necessario capire che se è una
situazione ingestibile la manderà da qualcun altro. E’ molto importante che il facilitatore a sua volta veda
la problematica irrisolta con il proprio supervisore. E’ fondamentale affrontare le sensazioni che ci
rimandano ancora nei nostri buchi di tristezza, di senso di abbandono, di fallimento e quant’altro. Guai se
pensiamo di essere arrivati. Personalmente ho molto timore e sospetto verso quelli che fanno soltanto i
terapeuti e che non vanno mai a fare un lavoro di supervisione. Lo stesso Jung diceva che poteva portare
il paziente soltanto al punto in cui lui era arrivato. Questo è il cardine: capire il punto in cui noi siamo,
significa stare nella nostra dimensione, e sapere che ci sono degli esseri molto più avanti di noi e affidarci
a loro. Questo, però, non deve farci sentire falliti, ma degli esseri responsabili che umanamente passano
quello che hanno, e si affidano ad altri esseri superiori. Se impariamo a fare questo, siamo veramente in
grado di portare grandi contributi ad un’umanità che soffre. C’è un grande dolore attorno a noi, sia a
livello del pianeta che della razza umana. Ognuno di noi, là dov’è, può portare molta luce e “guarigione”
e balsamo su tante ferite. Ciò, però, richiede fondamentalmente che lo facciamo con molta
professionalità, con un cuore aperto e con una mente che sia in grado di fare un passo indietro e creare
silenzio per accogliere e rielaborare tutto.
Infine, per quanto riguarda il lavoro del “Dialogo delle voci” ci sono due livelli molto distinti che
sarebbero interessanti da fare in parallelo, e cioè, il lavoro individuale e il lavoro di gruppo. Con le
sessioni individuali capiamo dov’è una persona, e se è pronta possiamo suggerirle il gruppo più
appropriato in relazione alle proprie problematiche, perché se non ha fatto nessun lavoro su sè stessa e fa
un gruppo di dinamiche forti, può portare una chiusura anziché beneficio. Dobbiamo dire che i gruppi
sono sempre delle grandi accelerazioni, perché nel gruppo diventiamo tutti specchio l’uno per l’altro.
Succede che quello che avviene in un percorso personale in un anno, in un gruppo può avvenire in una
settimana. Non dimentichiamo però, che prima di affrontare un gruppo è necessario aver iniziato un
viaggio individuale per avere un minimo di riferimento e anche perchè ci possono essere delle
problematiche che è meglio risolvere in ambito personale. Non si può mai generalizzare. Quindi, sono
sempre due dimensioni da prendere in considerazione.
Biografia (di Giuseppe Pagliaro)
Il Dott. Hal Stone si è laureato in psicologia nel 1953 all’Università di Los Angeles. Da allora si è
dedicato alla psicoterapia, all’insegnamento e alla scrittura. Dal 1953 al ‘57 è stato psicologo
nell’esercito, ottenendo il grado di Capitano. Successivamente ha iniziato la pratica professionale privata
e ha completato la formazione junghiana presso l’istituto C.G. Jung di Los Angeles nel 1961. Per tutti gli
anni ’60 e i primi anni ’70 ha lavorato come analista. La formazione junghiana e il particolare interesse
per i miti, i sogni e le favole lo hanno guidato nel suo cammino di esplorazione interiore. Durante gli anni
’60 è stato membro dell’American Board of Examiners in Professional Psychology (ABEPP), consulente
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e insegnante al Dipartimento di Psichiatria e Psicologia del Mount Sinai Hospital di Los Angeles. Nello
stesso periodo è stato anche uno dei coordinatori del programma della nuova California School of
Professional Psychology. La fine degli anni ’60 ha segnato un momento di ricerca ed esplorazione di
nuove modalità di lavoro trasformativo e in questo ambito il dott. Stone ha coordinato una serie di
programmi che, attraverso l’Università della California, hanno diffuso questi nuovi modelli ad un
pubblico più vasto. Nel 1973 Hal ha creato il Center for the Healing Arts, forse il primo Centro per la
Salute Olistica negli Stati Uniti, un centro all’avanguardia nell’ambito della psicologia e delle medicine
non convenzionali. Nel 1979 Hal ha iniziato una collaborazione attiva con sua moglie, la Dott.ssa Sidra
Stone. Tre anni dopo, hanno cominciato a viaggiare e ad insegnare il loro lavoro negli Stati Uniti e
all’estero, attività che continua ancora oggi. Nei primi anni ’70 Hal e Sidra iniziarono a sviluppare il
Voice Dialogue come metodo per lavorare con le sub-personalità. Attraverso la loro relazione personale
(sono sposati dal 1977) e la collaborazione professionale il lavoro si è trasformato, in questi ventotto anni,
in una metodologia per lavorare con i sé interiori e in un sistema teorico completo, che è stato definito la
Psicologia dei Sé. Attualmente la maggior parte del loro insegnamento si svolge a Thera, la loro casa a
Mendocino County sulla costa settentrionale della California. Qui essi conducono seminari, danno
consulenze private e scrivono. Hanno cinque figli e quattro nipoti.
La Dott.ssa Sidra Levi Stone è nata a Brooklyn, New York ed è cresciuta durante la Seconda Guerra
Mondiale, in un’epoca in cui era fortemente sentito il desiderio di dare il proprio contributo al bene
dell’umanità. I suoi studi al Barnard College hanno avuto una grande influenza nel suo sviluppo come
donna indipendente: già allora questo istituto incoraggiava le donne a laurearsi e a prepararsi per una
professione. Nel 1957 si è diplomata con il massimo dei voti e nel settembre dello stesso anno si è sposata
e si è trasferita a Baltimora, dove si è laureata presso l’Università del Maryland. Dopo essersi trasferita a
Washington, negli anni ’60 ha iniziato a lavorare come psicologa clinica. Ritornata a New York, ha
lavorato come psicologa clinica al Veterans Administration. Dopo la nascita della seconda figlia, ha
preferito lavorare part-time come psicoterapeuta al Lincoln Center for Psychotherapy in modo da poter
godere anche le gioie della maternità. Nel 1967 si è trasferita con la famiglia a Los Angeles, dove ha
continuato ad esercitare la professione privata, finchè nel 1968 è diventata consulente psicologa alla
Hamburger Home, una casa per ragazze adolescenti, di cui è stata anche Executive Director nel 1972,
dopo la nascita della sua terza figlia, Recha. In quel periodo trasformò l’Hamburger Home in un centro
per il trattamento residenziale per adolescenti acting out, introducendo tecniche olistiche e mettendo a
punto un programma che combinava tecniche comportamentistiche, modificate con la psicoterapia
individuale e di gruppo basata su principi psicoanalitici. Il programma era arricchito dall’arte-terapia, la
scrittura creativa, i giochi teatrali, lo yoga ed esperienze di campeggio in zone selvagge della California.
Si poneva inoltre attenzione agli aspetti nutrizionali, allo stile di vita e alle attività atletiche. Nel 1979
Sidra lasciò l’Hamburger Home per riprendere l’attività professionale privata a tempo pieno e iniziare una
maggiore collaborazione con Hal, collaborazione che è stata estremamente creativa sia sul piano
personale che professionale. Il lavoro di psicologi e docenti di Hal e Sidra è sempre stato strettamente
connesso alla loro relazione di coppia, che a sua volta è stata arricchita dalle loro esperienze di
psicoterapeuti. E’ stato un viaggio di esplorazione interiore e un matrimonio romantico che dura da circa
30 anni. Sidra ha sempre amato viaggiare; insieme, Hal e Sidra viaggiano frequentemente per visitare
nuovi luoghi, incontrare nuove persone e insegnare il loro metodo. Ma amano anche la loro casa, sulla
costa magica e nebbiosa di Mendocino, e la loro famiglia.
Opere consigliate:
-Tu ed io, Hal e Sidra Stone, MIR Edizioni, 2003.
-Il dialogo delle voci, di Hal e Sidra Stone, Ed. Amrita.
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LA PSICOLOGIA TRANSPERSONALE DI KEN WILBER
Luisa BARBATO
E’ mia intenzione usare la teoria di Ken Wilber, come raccordo con le cose dette oggi. Wilber è un autore
molto interessante della psicologia moderna. La sua teoria ha inoltre subito molti mutamenti nel tempo,
per cui è molto complessa. In questa sede faremo solo ciò che ci interessa ai fini del nostro lavoro.
Ken Wilber è in realtà un pensatore, un personaggio che è a cavallo tra la meditazione e la psicologia. In
realtà non è uno psicologo, ma un meditante praticante molto avanzato – l’ho scoperto poi leggendo la
sua biografia. E’ uno che ha questa grandissima capacità di raccordare pensieri. Si dice che legga da anni
almeno 10 libri al giorno, è una mente evidentemente molto evoluta, il primo libro l’ha scritto a 20 anni
ed ebbe un successo strepitoso. E’ un personaggio molto avanzato dal punto di vista intellettuale e
personale.
Qual è il punto di partenza di Wilber? Io preferirei farvi vedere prima gli schemi e poi alla luce di questi
vedere anche il discorso della psicologia umanistica. Wilber si è posto questo quesito che era un quesito
contemporaneo molto presente. Sostiene che la via occidentale all’interiorità è la psicologia moderna
partendo dalla psicanalisi. Evidentemente produce dei risultati nell’evoluzione dell’individuo. La via
all’interiorità delle culture orientali tradizionali plurimillenarie e quindi sono sicuramente più stratificate
di quelle occidentali è, invece, la via meditativa, la saggezza orientale. L’oggetto di questa indagine è
sempre l’uomo. Egli si chiede, però, dov’è il raccordo. Deve essere possibile in qualche maniera
conciliare queste due strade che appaiono separate, appaiono agire su cose diverse o paradossalmente
agire sugli stessi fenomeni, però non si capisce probabilmente entrando da porte differenti. Ora, che nella
pratica si possa fare psicoterapia e meditazione insieme, o una dopo l’altra o che comunque anche gli
orientali abbiano la loro psicologia questo lo sappiamo tutti. Lui, siccome è un teorico, cerca di strutturare
dei modelli teorici. Per far questo si è avvalso della teoria dei sistemi e di tutta la conoscenza sull’olismo.
Quindi, da una parte lui fa una concettualizzazione che è olistica che tiene conto del tutto; dall’altra parte
si basa sulla teoria dei sistemi per cui poi in natura si è scoperto che tutti gli organismi fanno parte di
sistemi organizzati che funzionano secondo determinate regole. Una di queste regole è che sono sistemi
gerarchici in cui si va in complessità sempre crescente. Il sistema gerarchico nel senso che è su sistemi
successivi sempre più complessi, ma secondo delle regole precise. Una di queste regole più importanti è
che un sistema più complesso si costruisce inglobando il sistema precedente e che non possibile che ci sia
un’evoluzione del sistema più semplice o più complesso senza che quello complesso in qualche maniera
non inglobi la conoscenza del più semplice. Quindi, un sistema evolutivo in cui il gradino successivo
assorbe, fa sua la conoscenza precedente e la trascende. Però, per trascendere una conoscenza precedente
bisogna averla integrata. Essendo questi sistemi oliatici e gerarchici li definì con il termine ‘oloarchico’.
Un altro concetto molto importante di questa teoria dei sistemi è anche quella dell’entropia, nel senso che
ogni sistema a complessità maggiore in realtà crea maggiore sintropia (la sintropia, o nega-entropia, è la
tendenza dei sistemi viventi ad organizzarsi e a creare maggiore ordine, informazione e complessità.
Mentre i sistemi meccanici tendono a involvere e a degradarsi). Sono sistemi di complessità sempre
maggiore, sempre più sintropici e sempre più organizzati. Quindi, in qualche maniera diminuiscono il
caos. Questo schema qui, secondo lui, si applica anche agli esseri umani sia filogeneticamente sia
ontogeneticamente, per cui si applica come evoluzione a tutta la specie degli esseri umani. La storia viene
letta come una serie successiva di evoluzioni gerarchiche, in cui ogni società o gruppo successivo ha
subito le conoscenze precedenti e le ha trascese, le ha migliorate, sia nella storia del singolo individuo.
Quindi, ogni individuo ha questo processo di sistemi sempre più complessi che seguono una certa
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evoluzione fino ad un certo punto ella propria vita, fino all’età adulta. Lui ha definito filogeneticamente
che ci sono delle tappe di sviluppo dalle quali non si può prescindere. Dopo di che, invece, abbiamo un
livello in cui la successiva evoluzione è scelta soggettiva. Quindi, c’è questo schema molto preciso di
organizzazione gerarchica ed evolutiva, termine che non è così scontato perché ci sono molti in psicologia
che sostengono che non c’è evoluzione ma successione. Ora vi farei tre schemi con le cose dette oggi.
Cominciamo con lo schema psicologico e ve lo disegno come lo disegna Wilber stesso:
I° livello PSICOTICO (organizzazione molto legata all’istinto, alla materia, alle parti primarie della
vita in cui non esiste ancora un Io, un’organizzazione che si relaziona, è la parte più
ancestrale)
II° livello BORDERLINE
III° livello NEVROTICO dove c’è il conflitto tra le varie istanze psichiche
IV° livello CENTAURO l’integrazione di tutte queste parti, la possibilità di un individuo di scorrere
su tutti questi livelli
La stessa definizione la possiamo vedere dal punto di vista dell’organizzazione orientale suddividendo in:
mente, corpo, emozioni. Ovviamente le connessioni non sono così meccaniche: non è che corpo voglia
dire necessariamente psicotico. Diciamo che lo possiamo considerare corrispettivo del livello più
ancestrale, più primitivo, quella che in psicologia -nel senso di un’organizzazione superiore- viene
definita psicosi. In un certo senso siamo tutti psicotici per una certa fase, nel senso che manchiamo di
relazione e di strutturazione successiva. Poi arriva la parte emozionale, la parte che in psicologia viene
molto rafforzata alle posizioni borderline oppure nevrotico, la posizione di conflitto forte emozionale che
non riesce ad integrare. Il centauro invece, lui definisce come la mente vista come la parte che riesce a
integrare e a comunicare sulle tre parti.
Tutto questo lo possiamo raccordare secondo lo schema dei tre cervelli mettendo all’interno il cervello
rettile, poi, il cervello limbico e all’esterno il cervello umano.
Visto così è uno schema molto grossolano, tuttavia ci serve come schema di riferimento. Quindi, c’è un
corrispettivo fisiologico nel cervello ben preciso di quella che è un’organizzazione già definita dagli
albori della cultura orientale, che trova un corrispettivo nelle strutturazioni che vanno a definire in
psicologia. Per quanto riguarda questa parte della psicologia, lui l’ha articolata in tutte le fasi della
psicologia della madre (ha fatto tutta una scansione di 13 livelli, 17 e 22, per cui è estremamente
complesso). L’idea base, però, è questa. Quindi, siamo sempre in una dimensione o pre-personale, cioè
prima della costruzione dell’Ego che è la parte psicotica e borderline, mentre la parte del nevrotico e del
centauro è personale, nel senso che siamo nella struttura della persona. La differenza tra il nevrotico e il
centauro è che il centauro è colui che in qualche maniera ha un’integrazione, un’accettazione dei vari
livelli. Riesce ad integrare bene, ad accettare e a scorrere funzionalmente – come dicono i reichiani - dalla
parte istintiva alla parte emotiva, alla parte cognitiva. Quindi, a questo punto potremmo dire che il
centauro è colui che ha risolto, colui che sta bene. Su questa parte che Wilber chiama del centauro in
realtà c’è già stato un interrogarsi, soprattutto in America, sul fatto che ormai il centauro era colui che
avendo risolto era un individuo soddisfatto, in realtà si era scoperto che ci sono dei bisogni che non sono
strettamente collegati con la patologia, ma ad un’esigenza che a questo livello è ancora un’esigenza
esistenziale che sono stati molto affrontati dalla psicologia umanistica, da Rogers. Il che vuol dire che le
persone si rivolgono alla psicologia e all’analisi non perché abbiano qualche particolare disagio, ma
perchè cercano un senso nella loro vita o cercano di sviluppare delle parti che non hanno ancora
sviluppato, ad esempio il gioco, l’amore per l’avventura o la riflessività, tutte capacità o potenzialità che
non sono ancora state espresse. Questa fascia della psicologia umanistica ha segnato un grosso passaggio
perché ha sganciato la psicologia dalla patologia. Non è vero che la psicologia si debba solo occupare
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della patologia. Essa si occupa di processi psichici e all’interno di questi ci sono anche le istanze da
sviluppare anche della persona apparentemente soddisfatta. Però non è finita qui, perché siamo sempre in
un livello personale e già essere dei centauri significa avere un buon livello di integrazione. La saggezza
orientale ci dice, invece, che lo sviluppo della persona può andare oltre. Fino al livello del centauro siamo
in quello che garantisce il piano del lavoro della psicologia occidentale e quello che qua dovrebbe essere
quasi automatico nello sviluppo dell’individuo. Se le condizioni sociali e culturali e della famiglia
funzionano bene l’individuo dovrebbe arrivare ad essere centrato, dovrebbe essere qualcosa di
predisposto dalla specie, dallo sviluppo umano. Ed è quello, dice Wilber, che si raggiunge con la
maturità, entro i 40 anni. Perché “centauro”? Centauro è questa figura mitologica metà cavallo e metà
uomo, quindi, è questa personalità che integra la parte istintiva con la parte psichica. A questo punto
arriva lo sviluppo dell’individuo che invece non necessariamente è definito ontogeneticamente, non è
scritto nel percorso dello sviluppo psicofisico, perchè in realtà anche la psiche è materia.
Nitamo MONTECUCCO
Sta parlando dell’uomo n. 4 di Gurdjieff, poi c’è il n. 1 che è quello fisico, il n. 2 è quello emozionale e il
n. 3 è mentale, e tutti e tre possono essere patologici, normali o equilibrati. Il n. 4 è quello che parte dal
centauro, cioè dall’uomo equilibrato, e attraverso un lavoro che Gurdjieff chiama di scuola, perchè
individualmente è quasi impossibile avere questo equilibrio e anche perchè richiede un confronto con
persone che stanno crescendo e non con persone normali che vivono attorno a sé. Le persone che stanno
crescendo fanno da specchio su quello che lui chiama gli angoli acuti della propria personalità e dei
propri condizionamenti e riesce così ad integrare queste prime tre parti e va in una fase transpersonale.
Luisa BARBATO
E’ molto importante capirlo perché fino a che siamo nel corpo, emozioni e mente siamo sempre nella
materia. Anche la mente è materia anche se materia più sofisticata, molto meno densa, ma sempre materia
è. A questo punto continuiamo a ragionare su questi cerchi, dove ogni livello che trascende l’altro e che è
evolutivo e successivo e a questo punto e la potenzialità perchè la persona sviluppi i piani successivi che
non sono più personali ma transpersonali (oltre la persona). E quindi sono tutti piani non materiali di una
densità sempre più rarefatta. A quel punto lui ha cominciato a fare tutto uno studio sulle antiche tradizioni
cercando i pari livelli di sviluppo che si ha con la meditazione dalle culture buddista, vedanta, confuciana
e così via facendo i relativi schemi. Li ha cercati di aggregare - non bisogna dimenticare che lui
comunque è un americano e quindi lo schematismo gli riesce bene – definendoli:
Livello SOTTILE
“
CAUSALE
“
SPIRITUALE, quello dell’Anima e l’anima è comunque duale
“
NON DUALE (*), l’Assoluto in cui non esistono più distinzioni.
Nitamo MONTECUCCO
L’Anima è il riflesso spirituale dell’individualità, l’Anima è il Sé, è individuale. Io sono un’anima il che
vuol dire che sono ancora un Io comunque separato ancora dal resto, cioè mi identifico. Io come corpo
sono più ampio, sono più sottile, ma è un’identità e quindi il Sé è ancora quello che viene chiamato l’Io
spirituale. Quando una persona fa un lavoro di VI°, VII° livello entra in questo spazio che lui chiama ‘non
duale’, che viene chiamato nirvanico, o del vuoto, o coscienza cosmica o piano Adi, e sperimenta
un’evanescenza di questa divisione – io, te, gli altri, lei - ed entra in uno spazio di coscienza unitaria, di
fusione. E’ la sensazione dell’energia che sale, travalica i confini individuali, diventa ampia,
transpersonale. Comincia l’espansione della coscienza e nella storia delle religioni e del misticismo hai al
I° livello l’espansione di coscienza. Le persone che hanno questa esperienza riportano ad esempio come
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se la coscienza trasparente si allarga alla stanza (che sono i satori o i samadi, un’allargamento della
coscienza) e poi ritorna e tu hai avuto questa grande esperienza, hai capito delle cose, però sei ancora tu.
Poi si arriva alla fase non duale che è quella della meditazione dove non torni più indietro. Nelle
meditazioni ad un certo momento entri nei samadi senza il Sé, il corpo si ferma, la mente si ferma, resti in
catatonia a volte delle ore e bruci questo senso della separazione. Le persone che hanno raggiunto questo
spazio sono degli illuminati che restano fissi e rimangono lì nello spazio non duale.
Chi tra voi ha sperimentato l’anima, della luminosità, della presenza, dell’intensità incredibile dell’anima
e poi ritorna nell’Io della mente, non può vivere bene nell’Io della mente. Cercherà di rientrare in contatto
con l’esperienza dell’anima. Quando l’anima si apre è come se in quel momento sei parte di Dio e capisci,
poi ritorni indietro e non hai capito niente. Senti che l’espansione arriva fino ad un certo punto ma
potrebbe arrivare molto più in là. Io ho avuto un’espansione di un chilometro che è del V°livello, poi c’è
il VI° del pianeta e il VII° che viene raccontato nel libro “L’autobiografia di uno Yogi” che arriva a tutto
il cosmo. Lui è tutto il cosmo e il cosmo è lui, la coscienza si è espansa. Quando già fai queste piccole
cose è una tale gioia, ti viene da ridere o da piangere dalla commozione.
Luisa BARBATO
Dopodichè si è posto il problema degli strumenti. Finchè siamo in questa parte della psicologia
occidentale abbiamo i relativi strumenti, dove per ciascun livello egli ha definito il tipo di terapia più
adatto. Aggiunge che quando si arriva sui piani transpersonali la metodologia del lavoro è un’altra e lì
entra in tutte le metodologie di meditazione, facendo un confronto tra le varie tecniche. Riporta queste
indagini fatte in America su gruppi di meditanti che descrivono gli stadi in cui sono facendo i gruppi di
controllo, ecc. Quindi, fa uno studio scientifico sui stadi della meditazione in cui lui dimostra (c’è un
bellissimo lavoro su questo) che se si fa una meditazione buddhista e se ne fa una vedanta ci sono livelli
diversi, per cui la persona ha delle percezioni differenti ma la conclusione è uguale. Arriva comunque allo
stesso livello di coscienza che è comunque un livello non duale. Quindi, lui dice che è come se la
metodologia della meditazione di ciascun popolo – compresi i sistemi esoterici delle religioni monoteiste,
sufi o cristiana – è esattamente come si fa in psicologia in cui bisogna affidarsi ad un metodo: bisogna
andare da un terapista, ci sono delle regole ecc. Con la meditazione è la stessa cosa. Quindi, lui ha creato
uno schema che raccorda queste cose. E questo è, secondo me, il senso quando il Dalai Lama dice che
nella concezione evolutiva dell’individuo la psicologia occidentale ha avuto merito di aver chiarito tutte
le tappe evolutive, le strutturazioni della mente e dei livelli precedenti allo sviluppo transpersonale, di cui
gli orientali non si sono occupati.
Nitamo MONTECUCCO
Pur avendo un grande rispetto per il pensiero di Wilber e per la sua visione psicologica vorrei rimarcare
che, per quanto riguarda la Psicosomatica Olistica e in particolare le attività degli psicoterapisti e dei
Counselor Olistici, è profondamente scorretto utilizzare una scala mista dove tre livelli su quattro sono
"patologici". E’ una visione a mio avviso che implica un approccio troppo giudicante: se sei evoluto sei
sano, se sei normale o poco evoluto sei malato. Sicuramente tutti noi abbiamo dentro dei livelli caotici
profondi, quello del sogno e del sonno senza sogni. Chiamerei, invece il livello "nevrotico", un livello
"duale". Posso avere un livello duale, ma nevrotico ha un altro senso, perché la dualità è normale mentre
il livello nevrotico o psicotico, sono sinonimo di patologia, e questo è profondamente lesivo per un reale
rispetto della persona e della visione dell'essere umano "normale". Questo schema dal caotico al non
duale è presente in tantissime tradizioni orientali. Il fatto è che in Oriente nella strutturazioni degli schemi
non avevamo tante e tali malattie psichiatriche. E. quindi, a chi interessano i pochi psicotici e quasi
nessun nevrotico: venivano considerati degli esempi fuori dalla norma, mentre tutti abbiamo dentro non
un livello psicotico, ma un livello caotico profondo, dove il caos è l’inconoscibile caotico inconscio.
Ecco, questo ce l’abbiamo tutti. Questi livelli sono abbastanza conosciuti dai Tantra, dal Buddhismo. Non
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avevano i metodi per curare uno psicotico come ha fatto l’Occidente, ma il Dalai Lama non si riferiva
tanto alla cura delle malattie psicotiche gravi, anche perché gli psicotici curati ce ne sono pochissimi, al
massimo sono un po’ migliorati.
Quindi, la potenza delle tradizioni orientali era quella sul ramo evolutivo, dal secondo livello in poi loro
consideravano evoluzione. Sono infinite scuole con infiniti sistemi diversi, alcuni che badano anche agli
aspetti meno violenti della malattia psichica. Se tu vai in Tibet e vedi come vivono ancora oggi le
famiglie tibetane: c’è una dolcezza e un’armonia tra di loro che non ti permette di avere una malattia
psichica. Per questo non lavoravano sulle malattie psichiche. Ci saranno tanti abusi piccoli e grandi, ma
nel complesso vedi una civiltà che ha alla base una tale armonia interna che non porta alla rottura della
schizofrenia della mente. C’è da dire che il suo è stato un contributo enorme specialmente in un momento
in cui soprattutto negli Stati Uniti da un alto c’era tutta la nuova psicologia che stava emergendo, dare una
traduzione transpersonale alla psicologia. Lui non si è inventato nulla, ha messo insieme due mondi.
Nitamo MONTECUCCO
Alla fine degli anni ’70 noi lavoravamo tra le psicoterapie e le meditazioni di tutte le scuole con la stessa
divisione, solo che ‘caotico’ chiamavamo la psicologia di I° livello, la psicologia dell’uomo malato. La
psicologia dell’uomo sano che è quella umanistica, la psicologia di Buddha che poi diventerà la
transpersonale sarà la psicologia di coloro che hanno in parte già trasceso attraverso la loro esperienza il
‘centauro’, l’uomo normale e che hanno già dilatato e che sentono e hanno la percezione intuitiva o
diretta del risvegliato, dello spirito dentro e che, quindi, diventano dei veri ricercatori. Noi lavoravamo
già con quello schema e quando vidi i suoi libri ne fui molto contento. Noi eravamo un piccolo gruppo,
lui in America aveva creato un movimento molto più vasto, per cui ha contribuito enormemente.
Luisa BARBATO
Però, la cosa importante è, secondo me, una serie di conseguenze che vengono fuori da questi schemi e
che non sono così scontate. Ad esempio, una cosa importante è che si riesce a passare al livello
successivo solamente quando si è integrato completamente al livello precedente. Quindi, uno sviluppo
evolutivo che sia armonico è integrare a tutti i livelli. Che cosa succede se invece vengono fatti dei salti?
Perché poi nella pratica accade che vengano fatti dei salti. Allora quando si salta una fase, questo porta
degli scompensi e delle patologie. Ad esempio, lui dice che una persona che non ha ben integrato la parte
delle energie istintive e delle emozioni e va direttamente su uno stato transpersonale, se queste esperienze
non hanno una base solida, non vengono integrate e quindi danno luogo a degli scompensi.
Nitamo MONTECUCCO
Per integrare non s’intende prendere atto di quello stato e accettarlo per quello che è, questa è una
comprensione intellettuale. Integrare significa realmente elaborare psicosomaticamente una situazione,
riportarla realmente nella propria vita vissuta, ossia sciogliere quella situazione critica di blocco che può
essere diversa e su diversi livelli, sul corpo, sulle emozioni o sulla mente. Per esempio un classico di
questo che stiamo dicendo è visibile in molte scuole spirituali che non fanno nessun lavoro sul corpo e
quindi si trovano ad avere queste persone un po’ pretesche, tutte di testa che parlano dei massimi sistemi,
di energia altamente spirituali, come i teosofi ancora oggi. Sono dei personaggi buffi e un po’ patetici, che
ti raccontano mille cose sulla coscienza Adi o sul piano non duale e poi vedi che hanno il corpo devastato,
non hanno vitalità, hanno conflitti emozionali enormi, un rapporto con i figli disastroso, una vita sessuale
scadente. A questo punto ti chiedi;” Ma che cos’è che hanno imparato?” Hanno aperto a volte
intuitivamente i livelli alti ma devono ritornare nel corpo reale per “integrare”, e rifare il lavoro semplice
anche perché una delle grandi intuizioni di Wilber è: “Perché un sistema più alto deve includere quello
basso?” Quello basso fa da motore.
La seconda considerazione è proprio il processo che avevamo visto nello schema precedente che era lo
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schema della totalità. Cioè l’esperienza spirituale è un’esperienza di totalità, di unità di tutto il sistema.
Quindi, se il sistema ha dentro delle parti che non sono integrate, ha delle emozioni che non sono state
sciolte, delle concezioni psichiche rimosse, non si può arrivare alla totalità del sistema, il sistema è
carente, non è un vero sistema unitario. E, quindi, Ken Wilber giustamente riprende il discorso di
Gurdjieff, di Osho, dei Sufi, che è un lavoro di scuole, dove si deve lavorare sul I° livello fisico, sul II°
livello emozionale, sul livello della coscienza mentale e integrarli tutti insieme. Così si avrà un processo
evolutivo totale.
Luisa BARBATO
Afferma: ”Tutti questi livelli esistono sempre e contemporaneamente, solo che sono livelli di sviluppo e
d’integrazione.
Ci sono delle persone che sono disastrate sui livelli emozionali e fisici ma che hanno delle grandissime
aperture transpersonali. Quindi, c’è sempre uno scivolamento continuo di tutti noi su tutti i piani e non
come appare rigidamente nello schema. Non è che finché non si è arrivati al ‘centauro’ non si possa
arrivare alle altre dimensioni, perché in potenza ci sono tutte. Possono essere, lui dice, anche a livelli di
sviluppo molto diversi. Nella pratica per chi vuole fare il counselor solistico, è molto importante avere in
testa questo schema, perché quando si presenta una persona che ha una tematica tipica emozionale molto
forte, noi sappiamo che dobbiamo lavorare su quello stesso livello. Non gli si può proporre un’apertura
meditativa, così come per una persona, i cui problemi sono cognitivi che riguardano il funzionamento e la
percezione delle cose, lavorare sulle emozioni può essere inadeguato. Questo schema aiuta in qualche
maniera a capire il punto in cui si è con quella persona.
Nitamo MONTECUCCO
Allora, prendiamo l’Occidente dove sappiamo che c’è realmente qualcosa di psicotico dentro di noi,
qualche cosa di borderline e sicuramente molto di nevrotico. Se partiamo dal ‘centauro’ che è una persona
normale, il lavoro da fare è costantemente doppio, perché è qui che voi in particolare avrete da fare con le
persone, non andrete in contatto con i borderline o con gli psicotici Non è il vostro campo. Quelle che voi
vedete sono le persone normali che più o meno sono in un certo livello tra le nevrosi e l’equilibrio. Una
parte di lavoro sarà in negativo e una parte di lavoro in positivo. Il lavoro si deve sviluppare
necessariamente nelle due dimensioni e tanto più voi riuscite a capire quali sono i blocchi di quella
persona e andate ad aiutarla a sciogliere anche solo i blocchi fisici, a livello energetico, prendere
coscienza un minimo delle emozioni, anche solo comunicare, scioglierle: questo è il lavoro solo sul
negativo. E, contemporaneamente, come abbiamo visto tantissime volte, ogni volta che c’è uno
scioglimento di un blocco, quindi un’emozione, un’energia bloccata da un’emozione, bloccata a livello
fisico, si libera, questa viene reintrodotta nell’ambito della totalità come una delle energie fondamentali.
Come dicevamo prima, l’importanza del potenziale dell’ombra.
Quello è un pezzo in più dell’energia che ti mancava per andare un po’ più in avanti nella
consapevolezza. Quindi, il lavoro è su e giù. C’è un bellissimo racconto della tradizione dei Sufi “Le sette
valli”: c’è un uomo normale che comincia un primo picco di meditazione e gli dà un nome bellissimo tipo
‘la vetta dell’estasi’. Ma dopo la vetta c’è sempre una valle, e si integra si integra. Si sale una vetta più
alta della prima e sono sette valli e sette vette e ogni picco di altezza e di consapevolezza corrisponde che
vai sempre più nella valle. Questo riconosce il proprio lato negativo. All’inizio, quando si fa un lavoro
individuale e si scende nell’inconscio, si scende per quella che è la propria coscienza. Poi, quella energia
la apri e si espande e può entrare ancora di più nella coscienza negativa. Entri in una valle più profonda, e
quindi malessere. Magari l’anno prima stavi così bene e ti sembrava di aver superato tutto il problema e
dopo un po’ di meditazione stai peggio. Certo, perché hai più coscienza, più consapevolezza e la tua
sensibilità maggiore ti permette di vedere gli abissi, i condizionamenti, le cose dolorose ancora più
intensamente. Anche quello è un regalo, è parte del lavoro. E pian piano queste sette valli corrispondono a
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queste sette vette, fin quando non arrivi a un punto finale non c’è un vero equilibrio, ma c’è un continuo
su e giù di energia.
Luisa BARBATO
Volevo aggiungere una cosa importante, e forse meno conosciuta, su Wilber. In realtà lui fino ad un certo
punto della sua vita ha continuato a scrivere, ad andare a conferenze, a dibattere, andare in giro. Poi ha
interrotto, si è allontanato perché questo schema era molto utilizzato, tutti erano diventati transpersonali
lavorando ciascuno a modo suo e soprattutto molto “new age”. Ha deciso pertanto di non partecipare più
ad alcun dibattito e a comunicare soltanto tramite i suoi libri e poi attraverso il suo sito internet. Infine si è
ammalato ed ha perso la sua compagna malata di cancro che ha seguito intensamente per due anni sino
alla sua morte (ha scritto anche un libro “Grazia e grinta” in cui parla della storia con sua moglie).
Si chiese come mai non riusciva a riconoscersi in tutti coloro che si definivano transpersonali e si
rifacevano proprio a lui. Elaborò in che cosa si differenziava da Jung, visto che molti lo definivano
junghiano, e dalla New Age. Si chiese quale era la concezione di Jung e quella della New Age.
La nascita rappresenta un’incarnazione di un’anima e il bambino quando nasce ha tutta una serie di
poteri, è in uno stato molto vicino alla spiritualità. Quindi l’incarnazione è un cadere nella materia, c’è in
qualche maniera una graduale perdita dei poteri e della conoscenza e anche delle connessioni spirituali.
Anche il bambino perde questa connessione ed è come se perdesse un Eden, un qualcosa che gli
apparteneva, c’è questa nostalgia di qualcosa che aveva ed ha perso. Questo è lo sviluppo fino all’età
matura dopodichè c’è il recuperare questa dimensione fino ad arrivare alla morte che dovrebbe essere una
morte piena di consapevolezza. Quindi c’è questo processo ciclico.
Wilber in realtà nega di pensare questo, perché l’incarnazione è totale. Lui ha cominciato gli studi sul
piacere, sulla madre e tutta la psicologia infantile, arrivando ad affermare che il bambino non ha niente di
spirituale. E’ istinto e basta. Quindi, non c’è un ritorno, ma c’è una progressione dello spirito che parte
come materia, istinto per passare poi alla parte razionale, alla parte cognitiva, e poi diventa spirito. Quello
che lui dice è che le concezioni ‘new age’ fanno confusione tra il pre-personale - corpo/emozioni – e gli
stati spirituali. Egli pensa che gli stati pre-personali iniziali dello sviluppo dell’individuo, che possono
avere delle cose apparentemente in comune con il percorso spirituale –una certa semplicità e
immediatezza nel sentirsi diverso–, in qualche maniera vengono confusi. Dice che anche Jung era caduto
in questa idea. Si è ingenerata una confusione tra il livello pre-personale e il livello spirituale. Quindi,
quello che molti movimenti new age propugnano non è vera spiritualità, ma un nostalgico livello prepersonale che dal punto di vista evolutivo e dello spirito è un ritornare indietro.
Secondo me, è un punto di vista molto interessante .
Nitamo MONTECUCCO
Il bambino viene condizionato, non ha la consapevolezza di questo: è un buddha, ma non lo sa. Quindi, ha
la sensibilità che non è ancora consapevole. Poi, però, perde la spontaneità e la naturalezza dell’essere,
perché viene bloccato nelle funzioni fisiologiche, biologiche, emozionali e psichiche che devono essere
ripristinate per portare la persona allo stato di normalità che, se vengono fatte con consapevolezza,
possono diventare degli strumenti di elevazione.
Luisa BARBATO
Wilber dice che l’individuo ha una corporeità ed emozionalità molto naturali.
Nitamo MONTECUCCO
E il bambino è vicino a sè stesso come lo è un animale. Dalle ricerche di un professore universitario
americano, Jan Stevenson, sui ricordi di reincarnazione, si rileva che i bambini fino all’età di quattro anni
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hanno un elevatissimo ricordo di vite passate. Stevenson ha viaggiato in tutto il mondo raccogliendo una
casistica di un migliaio di casi con situazioni di questo tipo. Un bambino australiano raccontava di essere
vissuto nell’Inghilterra del 1700, indicando il paese e la casa. I genitori hanno voluto verificare andando
in Inghilterra. Arrivati nel posto indicato dal bambino, quest’ultimo ha raccontato particolari molto
precisi della casa, addirittura il tipo di pavimento che aveva allora la stalla. I genitori hanno buttato per
aria la stalla, dove, dopo strati diversi di pavimento, hanno trovato il pavimento disegnato e descritto dal
bambino. Mia figlia di quattro anni mi raccontava delle sue vite passate, come una vecchia donna che
racconta la sua vita parlando dei suoi tre figli, della guerra. Poi, quando aveva cinque anni le ho di nuovo
chiesto di raccontare quella storia ma lei non la ricordava più. Non l’aveva più nella memoria, come se si
fosse staccata da una matrice. Quindi, c’è non solo una corporeità.
Un altro esempio di Jan Stevenson è un bambino dello Sri Lanka, di una famiglia induista. Si ricordava di
essere stato un prete buddhista. Insisteva a dire che era un prete buddhista che girava con una macchina
rossa. Dopo alcune ricerche hanno scoperto che realmente era esistito un grande monaco buddista, un
grande oratore, a cui un americano buddhista aveva lasciato una grande macchina decappottabile rossa
con cui andava in giro a fare le conferenze. Aveva anche uno dei primi giradischi con i dischi in vinile
che c’erano ancora sull’isola. Inoltre quando gli fecero vedere la foto con tutti i monaci di vent’anni
prima, lui si riconobbe. Questo ricordo c’è stato fino ai 4-5 anni.
Luisa BARBATO
Afferma: “Attenzione a non confondere il piano spirituale con il piano pre-personale. Quello che molti
movimenti new-age propongono è il ritorno nostalgico al piano pre-personale, perché lui ha una
concezione molto evolutiva. E tra l’altro – e qui ha mutuato delle cose da Aurobindo - che cosa comporta
questa idea evolutiva da un punto di vista non solo individuale ma globale del pianeta? Lui dice che la
coscienza si incarna a livello collettivo e passa per l’ombra, passa per la materia, perché deve passare per
questo per poter arrivare. Questo processo funziona con lo stesso processo, quello che è vero per il
singolo è vero per il collettivo e in qualche maniera questo è anche il processo della coscienza collettiva:
la coscienza si incarna, passa per l'esperienza fisica, reale, materiale e poi verso il processo evolutivo.
Questo che cosa comporta, che lui trova che la nostra epoca – e questa è la grande differenza con la new
age e con un certa spiritualità junghiana tradizionale – nella sua cultura, nella sua violenza, il ‘900 con
tutto il disordine e il caos che c’è è molto più spirituale di quello che erano le epoche precedenti. E’ come
se fossimo passati da epoche pre-personali, quindi, epoche più semplici, più immediate ad epoche di
maggiore incarnazione e consapevolezza e siccome stiamo scendendo molto nell’ombra e l’incarnazione
sta andando molto nel profondo questo è il segnale che l’evoluzione andrà verso l’alto.
Lui è dunque in contrasto con i movimenti new-age perché dice che non bisogna ritornare alle civiltà
precedenti più semplici, con questa spiritualità. E si chiede: “Perché sono saltati i sistemi religiosi, perché
sono saltati i sistemi locali, perché questo mondo va verso questa globalizzazione che macina tutto,
frantuma tutto e non ricrea su livelli più elevati?”. Cioè rispetto alle cose del passato possiamo avere delle
nostalgie: c’era una cultura locale che conteneva le persone, anche una spiritualità locale. Però non è più
questo il momento. In questo senso questo momento di brutture è molto più spirituale, secondo lui, molto
di più di quanto lo era nelle epoche precedenti. Dice che Assagioli è stato un precursore della
transpersonale, perché aveva capito proprio questo.
Anche Assagioli ha questa concezione evolutiva che lo differenzia dalle concezioni tradizionali. Una
concezione sull’incarnazione della coscienza e sulla maggiore spiritualità della nostra epoca rispetto alle
precedenti, malgrado non sembri. Il disordine attuale è il segno dello spirito che sta lavorando nella
materia, concetto che prende come riferimento da Aurobindo.
Nitamo MONTECUCCO
Le componenti new-age degli ultimi 30 anni le trovo utilissime, perché comunque ispirano molte persone
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a intraprendere un cammino interiore, ma assolutamente false a un certo livello e pericolose perché sono
delle assurde illusioni: ci sono tanti falsi maestri dell’ultima ora che si spacciano come illuminati, tutti i
chanelling pazzeschi che raccontano cose banali, il concetto che la via spirituale è una via di rose e fiori,
non c’è il concetto di realtà, di responsabilità reale della vita, c’è quasi un concetto di fuga dalla vita per
cui bisogna elevarsi, non c’è il lavoro pesante dell’ombra. Su questo sono assolutamente certo: la via
interiore è una via intensa e pesante che a volte ti porta anche a confrontarti con questa parte caotica. In
alcuni casi, se ci sono stati dei traumi pesanti, può diventare chiaramente psicotica. Io ho visto tante
persone normali entrare in profondità a livello prenatale o natale per poi vivere in uno stato psicotico
anche per una giornata, come è capitato a me. E’ un lavoro pesante e difficile. Anzi, senza fare l’elogio
del negativo – non devi necessariamente soffrire per stare meglio – le persone che hanno comunque avuto
del negativo, se lo hanno utilizzato possono fare dei notevoli passi avanti. I miei amici che hanno avuto
conquiste di consapevolezza più elevate sono quelli che hanno avuto le peggiori situazioni di vita
familiari, e quelli che sono riusciti ad uscirne hanno acquisito livelli di consapevolezza elevati. Alcune
scuole spirituali di psicologia raccontano come le anime elevate a volte scelgano incarnazioni difficili,
dato che comunque quando si incarnano passano il processo di dimenticanza. Vale a dire che una volta
che sono incarnati tanto vale giocare pesante, perché se giochi che sia la madre sia il padre ti vogliono
bene, tu diventi un bravo bambino. Se, invece, hai una situazione di ampio conflitto, ma hai un’anima di
cui ti fidi, hai la tua forza, riesci ad un certo momento a trovare la via d’uscita. Questo significa – se sei
un bodisattva, se sei un’anima che lavora nel sociale - aver trovato lo stesso tipo di meccanismo con cui
aiutare un sacco di persone che poi troveranno la propria strada.
Luisa BARBATO
Io concluderei dicendo che ha assunto una posizione di separazione, definendosi non più transpersonale,
ma integrale.
Biografia (di Giuseppe Pagliaro)
Ken Wilber é nato nel 1949 ad Oklahoma City. Ha completato i suoi studi scolastici a Lincoln, Nebraska,
e cominciato gli studi in Medicina alla Duke University. Durante il primo anno, perse ogni interesse nel
perseguire una carriera nelle scienze, e cominciò a leggere di psicologia e filosofia, sia Orientale che
Occidentale. Ritornò in Nebraska per studiare Chimica. Conseguita la specializzazione in biochimica,
lasciò il mondo accademico per dedicarsi interamente a studiare e scrivere. Con 20 libri sulla spiritualità e
la scienza, tradotti in 25 lingue, Wilber è oggi il più tradotto autore accademico degli Stati Uniti. E’ visto
come il più importante esponente della psicologia transpersonale, che emerse negli anni ‘60 dalla
psicologia umanistica, e che ha per argomento il sé e la spiritualità, da cui Wilber si è evoluto verso la
Visione Integrale. A causa della natura fondamentale e pionieristica delle sue concezioni, Wilber è stato
chiamato ‘L’Einstein della coscienza’. Per oltre quindici anni ha studiato e si è dedicato allo Zen
buddhista. La psicologia transpersonale aveva avuto in Abraham Maslow il suo iniziatore negli anni
sessanta. In Roberto Assagioli aveva avuto il suo primo codificatore, ma in Wilber trova il contributo più
vasto e importante, che lo porterà alla Visione Integrale.
Opere consigliate:
8
·
Spectrum of Consciousness (1977)
·
Sex, Ecology, Spirituality (1995-2000)
·
The Atman Project (1980) A Brief History of Everything (1996)
·
Up from Eden (1981) The Eye of Spirit (1997)
·
The Holographic Paradigm (1982)
.
Marriage of Sense and Soul (1997)
·
A Sociable God (1982) One Taste (1999)
·
Integral Psychology (2000)
·
Quantum Questions (1984) A Theory of Everything (2000)
·
Spiritual Choices (1986)
·
Transformations of Consciousness (1987)
L'INTENSIVO DI ILLUMINAZIONE DI CHARLES BARNER
a cura di Giuseppe Pagliaro
Charles Berner nasce nel 1929 a Los Angeles, California.
Cresciuto con una formazione scientifica, dopo una educazione formale in Fisica, lavorò per un breve
periodo come ricercatore tecnico per il governo degli U.S.A.
Nel 1950 cominciò una intensa indagine sulle vite passate e sulle esperienze di morte e di "dopo-morte".
Ebbe la sua prima esperienza di Illuminazione prima di avere vent'anni e da allora studiò e sperimentò
centinaia di tecniche volte allo sviluppo della consapevolezza ed alla crescita personale.
Charles Berner attuò una sintesi tra la filosofia e la letteratura dell'oriente e dell'occidente studiando
comunicazione, nutrizione, anatomia, sogni e dinamiche mentali di entrambe le culture.
Nel 1964 fondò l'Istitut of Ability, basandolo sulla trasmissione delle tecniche e dei principi che
favoriscono le relazioni spirituali tra individui. Grazie a questo istituto potè sperimentare le sue pratiche
su centinaia di persone, sia all'interno di una struttura di gruppo che all'interno di una struttura "one to
one" (diadica).
Oltre che sviluppare ed insegnare tecniche per la pulizia della mente, per il rilascio emozionale di traumi
e per il miglioramento delle capacità relazionali, Charles Berner sviluppo interessanti ed originali lavori
nel campo della Teologia, della Metafisica e dell' Esistenzialismo.
Nel 1968, durante un ritiro spirituale su una montegna di Santa Cruz, ebbe l'intuizione sull'essenza
dell'Intensivo di Illuminazione e da allora cominciò a svilupparne la struttura formale fino a quando,
cinque anni dopo (1973), fondò la Dyad School of Enlightment che sarà il centro ufficiale di formazione
per conduttori di Intesivi di Illuminazione.
Nel 1973, mentre viaggiava in India, Charles incontrò il suo Guru, Swami Kripalvananda, che lo iniziò
allo Yoga Naturale e gli diede il nome sanscrito Yogeshwar Muni.
In seguito a questa esperienza fondò il Santana Dharma Foundation per importare in occidente i principi
della "Eterna via della Verità". Dal 1977 si è ritirato dal lavoro sull'Intensivo di Illuminazione per
praticare ed insegnare il Santana Darma e la religione dello Yoga. Il 24 giugno 2007 Yogeshwar Muni ha
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lasciato il suo corpo fisico. Le ceneri ora si trovano in un semplice reliquiario, come da suo desiderio, a
Merimbula, in Australia, dove ormai viveva da molti anni, perché possano essere di ispirazione a tutti i
praticanti dello yoga.
Opere consigliate
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Handling Suppressive Patterns in Relating
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Communication Mastery
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Natural Meditation
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A guide trougth the after death experience
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How to rice and have a children
LA PSICOLOGIA NON DUALE
Marifa DE BENEDETTI
Volevo fare una specie di meditazione ad occhi chiusi semplicemente per richiamare lo stato di presenza,
dato che parlerò essenzialmente dello stato di presenza nel lavoro di counseling: quello che riguarda la
cosiddetta saggezza non duale.
Provate a sentire come vi sentite adesso, com’è in questo momento il vostro stato di qualità, il vostro stato
di presenza, il vostro esserci, e poi immaginatevi 5 anni fa. Non c’è bisogno che troviate dei fatti
specifici, ma cercate di percepire in questo momento com’era allora il vostro stato di presenza, il vostro
esserci. E poi, torniamo ancora nel tempo indietro fino a più o meno 20 anni. Non c’è bisogno di nuovo di
avere ricordi precisi, ma centratevi a sentire, percepire com’era, com’è, il vostro stato di presenza. E
anche se c’è uno stato di cambiamento nel vostro stato di presenza. E poi, ancora andate indietro fino
all’adolescenza fino ai 13, 14 anni: com’era e com’è lo stato di presenza, il vostro esserci. E ancora,
torniamo indietro nel tempo fino ai 6 anni e di nuovo cerchiamo di percepire com’era il nostro stato di
presenza, come ci percepivamo. E poi, ancora indietro, ai primi mesi di vita, quando avevamo gli occhi
aperti al mondo, questi grandi occhioni che guardano fuori, com’era lo stato di presenza, allora, e se c’è
differenza con lo stato di presenza adesso. E poi, fate uno sforzo maggiore, non seguite la logica ma
affidatevi a come viene, cerchiamo d’immaginare com’eravamo presenti, com’era lo stato di presenza
quando lo spermatozoo s’inserì nell’ovaio e, possiamo immaginarlo come un punto adimensionale che
nello stesso tempo è posizionato nel centro del cuore. Ed entriamo in questo punto senza dimensioni che
esiste in tutte le dimensioni e usciamo dall’altra parte espandendoci all’intero universo e cerchiamo di
percepire com’è il nostro stato di presenza oscillando tra questo punto adimensionale nel centro del cuore
e l’intero universo. E, espandendoci all’intero universo vediamo se percepiamo dei confini, andando ai
confini dell’universo, il nostro stato di presenza si arresta lì e include anche questi confini.
E adesso, come lo sentiamo questo stato di presenza: è diverso, espanso in tutto l’universo, in questo
punto dimensionale che crea tutto l’universo.
Cerchiamo ora di mantenere questo stato di presenza, è la stessa presenza per ognuno di noi. Pian piano
apriamo gli occhi e cerchiamo di mantenere questo stato di presenza.
Questo stato di presenza che è anche lo stato dell’essere, è uno stato di non separazione, che non ha
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confini, che non ha limiti. Questo stato si può utilizzare per eliminare la sofferenza. Esiste tutto un gruppo
di terapisti non duali o dei saggi non duali che usano anche degli strumenti terapeutici per arrivare allo
stato di presenza in comunione con il cliente, per cui terapeuta e cliente non sono più divisi ma sono nello
stesso stato di coscienza, in cui si può affrontare in modo diverso dal solito e molto più efficace e
risolutivo il problema della sofferenza.
Da cosa è causata la sofferenza? Ci sono tre punti principali che poi sono interconnessi, sono circa la
stessa cosa, ma visti da un’angolazione leggermente diversa. Anche se qui Nitamo forse non è d’accordo,
la sofferenza essenzialmente è dovuta alla perdita del rapporto con la propria vera natura. Uno soffre
perché non è più in contatto con quella parte vera di sé. Anche questa nostalgia di cui parlava Wilber è
una cosa che in qualche modo si conosceva. Non importa se poi da adulti la si conosce in modo più
articolato, ma la conoscenza diretta, immediata di quello che uno è perché è quello che è, c’è già da
subito. Uno non sa di essere. Non può dire “so”, perché non ha l’articolazione per dirlo, ma è corporeo,
quasi fisico, è la sua sostanza stessa di essere. Quella sostanza è l’essere che sa di essere anche quando è
appena nato. Rimane una traccia mnemonica nell’individuo quando prende contatto per processi di
crescita.
Quindi, la sofferenza è dovuta:
•
alla perdita del contatto con la propria natura
•
al fatto che ci si considera un individuo separato dal resto del mondo, separato dal resto degli
individui. E in quanto ci si considera un individuo separato si creano dei confini, delle barriere, delle
difese dalla realtà che è parte di quello che siamo come natura essenziale. Questo di nuovo crea
sofferenza: l’essere separato ci impedisce di unirci, di scoprire, di sentire quello che siamo sin dalla
nascita: presenza. La presenza non ha confini. Se l’avete percepita durante una meditazione, vi potete
espandere nell’universo, ma siete ancora presenza. Certo, una presenza focalizzata in un corpo fisico, ma
in realtà non ci sono confini. Ci sono solo delle localizzazioni di un certo tipo di percezione all’interno di
una cosa che non ha assolutamente confini.
•
per difendere questi confini, questo senso di separazione, questo senso di identità che si assume
nella relazione con il padre e la madre, o in relazione con il mondo e così via, si acquista una personalità
che non accetta la realtà così com’è. Voi potete immaginare qualunque cosa, anche piccolissima che voi
non accettiate così com’è, non vi va bene, non volete che sia in un certo modo, vi contraete, soffrite.
Quindi c’è la possibilità di eliminare la sofferenza, non importa quali siano le cause (traumi infantili, il
rapporto con la madre non riuscito, karma difficile). Il punto è di accettare la realtà così com’è. Ma come
si fa ad accettare la realtà così com’è? Come si fa a vederla? Nel momento in cui si entra in uno stato di
presenza - se si riesce a mantenere il contatto con il proprio essere - la presenza non rifiuta, la presenza
accetta quello che è così com’è. E se c’è un problema, quando si è in uno stato di presenza, il problema
non arreca disturbo. Questo non vuol dire che è già risolto, ma la soluzione al problema può
tranquillamente col tempo far saltar fuori uno stato di presenza, invece di usare la mente per cercare di
uscire da una situazione in cui si è. Con la presenza, invece, si è al di fuori da questa situazione, la
include, è molto più vasta, perché ha molti più strumenti per risolverla: il problema diventa molto più
piccolo, molto meno persecutivo, molto meno ossessivo. Si è più rilassati e ci sono più possibilità di
poterlo risolvere. Certo, non è facile arrivare a un senso di presenza sufficientemente stabile per far tutto
questo tipo di lavoro.
Quando lavorate con persone che presentano blocchi emozionali, fisici o altro, potete iniziare ad usare
altri strumenti terapeutici per sbloccare la persona in modo che si rilassi, si espanda e possa entrare in uno
stato di presenza. Se la persona non ha conosciuto, assaggiato lo stato di presenza (a parte il fatto che lo
conosce proprio perché fa parte della sua vera natura), voi potete comunicarlo per empatia al cliente, e
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perché questo avvenga dovete conoscerlo, averlo, essere stabiliti in questo stato di presenza.
Questo è la fine della terapia. E’ la terapia più avanzata che si possa fare usando tutti gli strumenti
terapeutici che avete a disposizione nella vostra cultura, nella vostra esperienza personale. Per risolvere
completamente il problema della sofferenza non si può fare altro che usare la propria vera natura, il
proprio stato di presenza, il proprio essere. Prima, in quel momento, non ci può che essere una parte con
la propria sofferenza. Anche l’uomo più normale, come diceva Luisa Barbato, ha comunque uno stato di
sofferenza. L’incarnazione di per sé è anche uno stato di sofferenza, perché la vera natura (questo poi non
tutti lo accettano ma è una possibilità) si chiama “the core wound”, la ferita centrale, originaria;
incarnandovi passate da uno spazio infinito, senza limiti e senza confini, in uno spazio limitato. Potete,
però, con la consapevolezza, capire e accettare di essere infinito e senza limiti e di vivere, almeno
parzialmente, in uno spazio limitato.
Quando si parla di un certo tipo di verità non è possibile parlarne in un modo lineare. Un certo tipo di
verità è descrivibile solo usando spesso gli opposti contemporaneamente validi e non più in opposizione,
ma in coesistenza.
Troppo difficile? Allora proviamo in questo modo: provate a mettervi in uno stato di attesa senza attesa o
di ascolto senza ascoltare. Ascoltate senza ascoltare. Non è possibile mentalmente, dovete andare in uno
stato di silenzio.
Questa è la parte della terapia non duale.
Quindi, essenzialmente, la cosiddetta psicoterapia e saggezza non duale è un modo di operare che si sta
manifestando con parecchie persone che lavorano nel campo della psicoterapia, che hanno fatto molto
lavoro con dei maestri o meditazioni per anni anche a livello personale e hanno aggiunto una certa
percezione dello stato di presenza, dello stato di non separazione, riescono a fare questo tipo di lavoro con
il cliente ottenendo dei risultati non avuti con le normali psicoterapie.
Per quanto riguarda l’indirizzo tecnico, posso accennare soltanto ad alcune piccole cose. La cosa più
semplice è guardarsi negli occhi, che può essere molto intenso o molto soft. Questo può aiutare ad
arrivare a una comunione e uno stato di presenza. Ci può essere un respiro in diverse forme. Ci può essere
il respiro energetico o il respiro rilassato. La percezione in modo diverso del corpo e del corpo energetico
può innestare questo stato di presenza, ma se il terapeuta è già focalizzato sul proprio stato di presenza
può aiutare il cliente ad entrare in uno stato di presenza.
È da ricordare l’esperienza di un illuminato inglese, Douglas Harwey (de “La via senza testa”). Si è
illuminato durante un viaggio in India, sull’Himalaya, dove si era illuminato il Buddha. Ha scoperto
improvvisamente di non avere una testa. Noi siamo condizionati sin da bambini ad avere una testa: ci
guardiamo allo specchio e diciamo ‘questa è la mia testa’. Usate una percezione priva di memorie di
quello che avete imparato nel passato e usate il dito per indicare quello che vedete. Cosa vedete? Il
ginocchio, la gamba, la testa. Nel momento in cui fate così percepite lo spazio e dentro questo spazio c’è
il punto zero che voi non potete vedere. Voi avete la concezione che le cose che vedete sono fuori di voi,
sono dal vostro corpo, ma non fuori di voi. Dentro questo spazio c’è tutto, quello che vedete e quello che
non vedete, c’è la vostra coscienza, la vostra presenza. Questo semplice esercizio si può usare anche per
aiutare la persona a percepire in modo diverso sè stesso, aiuta a trovare il senso di presenza e spazio. E’ la
percezione fatta dal di dentro, dalla distanza zero. Al centro c’è il vuoto che è totalmente cosciente.
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LA PSICOLOGIA SUFI DI A.H. ALMAAS
Molto interessante è il lavoro del maestro sufi Almaas. A.H Almaas è un maestro dell’Arabia Saudita, che
ha vissuto per tanti anni negli Stati Uniti. Ha pubblicato molti libri, tra cui: “Essenza”, “Il cuore del
diamante”, “L’elisir dell’illuminazione”. Anche al Villaggio Globale si fanno i suoi lavori. Almaas
chiama la ‘natura vera’ la presenza, natura essenziale o essenza. Studiando la psicologia delle relazioni
oggettuali e il come si crea il senso del Sé, si scopre che nei primi anni di vita si crea nel rapporto
oggettuale tra il bambino e la madre soprattutto, il rapporto del soggetto con l’oggetto, il rapporto del
bambino e un oggetto esterno, il bambino e il padre. La relazione oggettuale passa attraverso diverse fasi:
autismo infantile, simbiosi, processo di separazione (quando è in grado di muoversi verso il primo anno)
che si completa verso il terzo anno di vita. Queste relazioni oggettuali tra il bambino e la madre sono
percezioni di sé: cinestesiche, corporee, sensazioni varie, e un affetto, un’emozione, un colore affettivo
che veda le due immagini del Sé. Queste poi si combinano, oggetto ed emozione, fin quando non si arriva
ad un struttura più complessa che diventa l’immagine di sé e poi da lì si arriva a strutture ancora più
complesse che formeranno l’Io, l’Es e il Super Ego.
Almaas ha studiato i primi tre anni di vita, teorizzando, con il sostegno di dati sperimentali, che il
bambino nasce con una natura essenziale incontaminata che ha un certo tipo di potenziale da dove
fluiscono diverse qualità che possono essere: volontà, presenza, contatto, valore. Qualità essenziali che
non sono concettuali, sono pre-concettuali, cioè uno sa e si sente valore, è semplicemente il suo
potenziale essere valore, è suo potenziale avere la qualità della forza. Poi questo potenziale si può usare
per fare delle cose in un certo modo.
Ha scoperto il modo con cui si sviluppa il bambino anche con le frustrazioni dell’ambiente e la necessità
di adattarsi ad esso. Nasciamo anche con la necessità di essere riconosciuti e di essere amati. Se non
veniamo amati in modo opportuno, arriviamo a dei compromessi. Quasi sempre dobbiamo reprimere
certe manifestazioni della vera natura. Reprimiamo una, due tre volte finchè questa natura essenziale va
nell’inconscio e viene distrutta, o meglio, viene velata dalle strutture difensive che si formano e velano la
nostra vera natura essenziale. Le strutture difensive sono strutture concettuali, mentali. La natura
essenziale non è mentale.
Almaas ha scoperto:
1) che l’essenza nei primi tre anni di vita viene quasi completamente mascherata
2) che certe qualità vengono mascherate prima e altre dopo. Comunque nei primi tre anni il bambino
perde quasi completamente il contatto con la propria natura essenziale.
Le difese che vengono costruite talvolta sono simili a quelle essenziali, ma non sono essenziali. Quando si
va a lavorare psicanaliticamente sulle difese che costituiscono la struttura dell’Ego, si smantellano le
difese e si creerà una lacuna, un vuoto. Da questo vuoto, se il terapista ha spiegato che tipo di lavoro si sta
facendo, la natura essenziale che è stata velata dalle difese può riaffiorare. L’individuo riacquista così
questa pienezza e totalità in modo non concettuale, ma in modo vero che è molto più vero di qualunque
forma-pensiero di origine concettuale. Questo è un processo di guarigione che diventa una guarigione
totale. Nel lavoro di Almaas le tecniche sono lunghe quanto le tecniche psicanalitiche o quelle
bioenergetiche che durano 3, 4, 5 anni. Non è un lavoro veloce.
Un lavoro veloce è quello indicato all’inizio: non sarà completo, ma lo stato di presenza potrà alleviare
molto la sofferenza di una persona o di problemi facilmente solubili, perché il cliente cambia totalmente
l’immagine di sé e comincia ad affrontare la vita in modo totalmente diverso. Può essere molto rapido.
Nitamo MONTECUCCO
Ho fatto un lavoro iniziale con Almaas sulle ‘latifa’, le energie essenziali connesse con i colori, le
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emozioni e gli stati d’animo. I mistici sufi sono riusciti ad entrare nei colori energetici dell’essere umano,
nei chakra e nelle energie e noi sappiamo, anche se non le vediamo, che ogni centro o energia ha un
colore - talvolta è tenue, a volte pesante, a volte a tinte pastello o intensissime. Hanno definito il bianco
del vuoto, il bianco della luce, il bianco freddo, il bianco opaco, e così il rosso. Ci sono infinite gradazioni
per entrare nelle emozioni del rosso o del bianco. E’ esattamente quando vediamo un giglio bianco e ne
siamo rapiti, perché ci risuona con il bianco di quella qualità dell’essenza dell’anima. Hanno variazioni di
rosso pazzesche: può essere un rosso di sangue o un rosso di incredibile sensualità. C’è il rosso che
chiamano ‘colore rosso granata del melograno’ che è la passione spirituale più calda, e infinite variazioni,
come i rossi pallidi, le tinte stinte che corrispondono a stati di sessualità cadente, di emotività vuota, di
finta energia. Ogni gruppo, di alcuni giorni, si tinge di un colore. Si percorrono tutti i colori dell’anima, e,
passando attraverso i colori e le varie personalità dell’eneagramma, si sviluppa il lavoro che riconduce
all’essenza, all’anima.
Kapil PILERI
Questo lavoro si basa sui Latifa, che sono le qualità essenziali, rappresentati da cinque colori principali
bianco, nero, rosso, giallo, verde, e su una parte finale che si chiama la guida interiore. E’ un lavoro che
arriva dalla tradizione sufi, ma si ritrovano molte similitudini anche nel lavoro di Gurdjjeff. Si basa su
quattro pilastri.
Il primo è l’Eneagramma, il riconoscimento della nostra struttura della personalità. In questo tipo di
lavoro si usa la struttura della personalità per riconnetterci all’essenza, quindi c’è una totale accettazione e
riconoscimento di come questa struttura della personalità si è formata, come sistema di difesa per la
sopravvivenza. Le nostre esperienze da bambini vanno a formare questa struttura. In realtà noi siamo tutte
le strutture della personalità, ma una in particolare è un po’ come la nostra colonna vertebrale. I nove
enneatipi si dividono in tre parti, tre numeri sono legati al centro istintivo, tre al centro del cuore, tre al
centro mentale. Si usa molto questa mappa in questo tipo di lavoro.
Un altro pilastro alla base di questo lavoro è il Giudice Interiore e tutto il lavoro di reazione,
accettazione-non accettazione che ci provoca questo giudice, identificazione col bambino compresa. Non
si lavora con il contenuto del giudizio, ma si lavora con la modalità che usa il giudice, che è una cosa
completamente diversa. Perché questi sono ancora meccanismi che noi mettiamo in atto semplicemente
per sopravvivere, quindi andavano benissimo al momento. La modalità del giudice interiore è aggressiva
o manipolativa. E la tendenza è di creare delle vere e proprie separazioni da quelle che sono le nostre
energie essenziali.
L’altra cosa che si utilizza è la Teoria dei buchi (esposta nel libro “Il cuore del diamante”), un lavoro
molto particolare, bello e intenso, che richiede un tempo di alcuni anni, dove tra le strutture della
personalità, l’attacco del giudice, e il momento che noi portiamo queste energie all’interno, andiamo a
toccare cose particolari di noi che sono dei veri e propri buchi energetici. Tali buchi a volte sono
abbastanza coperti, e nella parte interna di questo buco che ci riporta alla nostra essenza, generalmente ci
troviamo tutto il lavoro emozionale. Quindi per riconnetterci alle nostre qualità essenziali dobbiamo
riattraversare tutte quelle che sono identificazioni, memorie, condizionamenti, esperienze generalmente,
ma non necessariamente, non piacevoli.
Il quarto strumento che si utilizza, e che per la mia esperienza è molto interessante per questo tipo di
lavoro, è quella che viene definita Praticare Presenza, ancora molto legata alla colonna vertebrale e al
plesso solare. Da questo tipo di indagine chiamato Inquiring (non ha una vera traduzione in italiano), vale
a dire inchiesta, indagine, un po’ come tante cose messe assieme, dove si lavora con la parte della
memoria, quindi col ricordo. L’andiamo sempre a esplorare fisicamente nel corpo nel momento presente e
ci apre dei grandissimi spazi, abbastanza comodi dove ci possiamo permettere di avvicinarci a questi
buchi, vederli, prenderci contatto, disidentificarci, da quella che è la struttura della personalità. E ancora lì
è un movimento molto semplice perché con la struttura della personalità l’energia va fuori, ancora si gira,
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e la riportiamo dentro e ci permette soprattutto di fare un lavoro sul giudice interiore che è un po’il
gradino più duro per tutti, per andare ancora più in profondità a riscoprire quella che è la nostra vera
natura. In questo senso trovo Latifa un lavoro splendido.
Giudice Interiore
È quello che cerca sempre di mantenere lo status quo delle situazioni, è quello che non ci permette di
andare semplicemente in quello che è lo sconosciuto, che non ci permette di stare continuamente presenti
in ogni momento. A volte è proprio una voce che ti dice: «Ah non sei in grado» oppure «Sei senza
cuore». A volte è molto sottile, a volte è una sensazione nel corpo di non riuscire a sentirsi dal diaframma
in giù. Il giudice interiore si forma intorno ai primi sei-otto anni di vita, principalmente con i nostri
genitori. E̓ la nostra modalità di adattarci a loro, è la nostra maniera di castrarci, principalmente per avere
quello che ci serve – mangiare, dormire, amore-. Io ci trovo un grande legame (a parte che questo lavoro
riprende il lavoro di Freud) con Reich. Il concetto che meglio vi esprimerà Sassone di carico e scarico.
Praticamente quello che succede in questi primi anni di vita è che il nostro sistema generalmente carica o
non scarica. La maggior parte di noi ha un eccesso di carico. E questa energia viene trattenuta nel sistema
nervoso, principalmente quello centrale, e poi nel sistema simpatico e parasimpatico. Se ci immaginiamo
di essere una grande cellula, un’unica piuttosto che milioni di cellule, quello che è l’equilibrio o il
benessere dovrebbe essere tanta espansione e tanta contrazione. Se io non posso esprimere la mia
espansione c’è come un irrigidimento della membrana della cellula, che viene trattenuta nel sistema
nervoso. E diventano quelli che sono i blocchi psicosomatici. Rispetto al lavoro del giudice interiore,
spesso non sentiamo la voce ma sentiamo un effetto fisico, vero e proprio, quando siamo sotto il suo
attacco. Il primo passo è di smettere di dare la colpa agli altri e di prenderci la responsabilità – cos’è che
mi sta succedendo veramente in questo momento-. E sentirsi rientrare ancora in contatto col corpo. Ci
sono segnali ben precisi. Ad esempio la rigidità della nuca, non sentirsi dal diaframma in giù (cosa
abbastanza comune), sono segni specifici che in quel momento dentro di noi c’è un attacco deciso del
giudice interiore. A volte si sente la voce, diventandone consapevoli. E si può riconoscere proprio di chi è
la voce, papà o mamma. Se siamo in contatto profondo col corpo e se ci sentiamo in quel momento, ad es.
la mamma che ci dice “sei senza cuore”, noi ci sentiamo come un bimbo di 5 anni. In quel momento,
anche se ho Nitamo davanti che mi dice qualcosa che non c’entra assolutamente niente, io vado in quello
spazio e mi comporto esattamente come un bambino di 5 anni, con davanti mamma che mi dice che sono
senza cuore.
È intenso come lavoro di consapevolezza, a volte molto sottile, perché ci riporta in spazi di una
delicatezza incredibile. In quel momento sto facendo di tutto per avere l’amore di mia madre, la mia
percezione fisica è di castrazione. Oppure non mi sento lo spazio del cuore. Ho la mia compagna davanti
e la vedo come se fossi un bimbo di cinque anni, non voglio l’incontro con la persona che realmente ho
davanti, ma con mia madre. Si lavora principalmente con la consapevolezza e con questo tipo di
autoindagine che si definisce inquiring, e poi in maniera più precisa si va a lavorare con due tipi di
energie essenziali, quella del bianco che è la qualità della presenza – se io mi sento nel corpo in questo
momento posso riconoscere esattamente quella memoria molto precisa e non mi faccio attaccare dal
giudice – e quella del rosso – con cui si lavora inizialmente – dove si lavora con l’aggressività. Non si
lavora mai sul contenuto del giudizio, ma sulla modalità che utilizza il giudice per attaccare, che può
essere aggressiva o manipolativa. Lui ti taglia il corpo. Ti porta fuori. Non vuole che tu cambi qualcosa di
te stesso. Quindi si va a ricontattare quella energia che ci è stata tagliata da piccoli, che principalmente è
quella dell’aggressività. Per difenderci dal giudice dobbiamo ricontattare quell’energia e fermarlo. A
volte c’è la sensazione fisica di fare a pugni con qualcuno, molto forte e intensa. L’energia
dell’aggressività è principalmente legata all’energia sessuale, quindi si tratta di rimettere in movimento
all’interno del corpo un’energia che ci siamo completamente dimenticati di avere ma non abbiamo mai
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perso. Secondo me non è un lavoro psicologico, ma energetico. Molti lo prendono come un lavoro
psicologico, ma per la mia esperienza, non ho notato grossi cambiamenti a livello psicologico sulle
persone. Mentre quando il lavoro è energetico e di presenza, il semplice ricontattare quello che veramente
siamo, fa una grande differenza. Se il giudice blocca significa che è già molto sviluppato. Si vive
l’esperienza dei genitori così come li abbiamo interiorizzati. Non li vediamo proprio, non possiamo
amarli semplicemente, perché si continua a vedere quella idea che ci si è fatti di loro. Il giudice
rappresenta una modalità che conosciamo benissimo, una modalità storica. E ci identifichiamo con la
bambina, torniamo in uno spazio infantile dove subiamo il giudizio. Al di là di ciò che dice il giudice
interiore la modalità del suo lavoro ha la finalità di massacrare. Una volta che siamo riusciti a staccarci da
questo, nel momento che riusciamo a vedere come i nostri genitori sono realmente, esseri umani, quando
il giudice interiore dice «stai sbagliando» e può essere vero, da ‘giudice’ diventa ‘guida interiore’. Noi
siamo esattamente nostra madre e nostro padre. Il giudice è una parte di noi, nel senso che è una strategia.
Se sei in una condizione di pace dove accogli tutto, abbracci tutto anche il giudice. Ma prima di arrivare a
ciò se non ti difendi ti massacra. Il lavoro sul giudice interiore dura anni, perché lui diventerà sempre più
sottile. Quello che serve per andare oltre è sì ricontattare l’aggressività e le altre energie, ma è anche un
praticare presenza che porta sempre più in contatto con l’amore per se stessi.
Nitamo MONTECUCCO
Il giudice usa ovviamente le stesse parole che usavano i genitori. La stessa voce. È la tua modalità di
sentirli in quel momento, tu non rispondi al giudice e ti riporta alla stessa situazione infantile. Devi
aggredire il giudice. Nel Dialogo delle voci vengono fuori le voci delle persone che hanno dominato una
certa situazione. Il giudice interiore è sempre il più forte tra tutti quelli che hanno fatto parte della
famiglia, quello che da bambino ti ha imposto le regole della vita.
Nel caso devi provare rabbia ma non riesci, è la parte fisica che è attaccata dal giudizio che ti sega
l’energia. Quando lui ti attacca c’è sempre una parte del corpo specifica che subisce l’attacco. Se tu lavori
stacchi le parole, il concetto, e ti riprendi quella energia che è dentro di te ma che avevi rifiutato perché
non eri tu. Ma non ti basta riconoscere il giudice, devi rigirargli l’energia.”
I Latifa
Kapil PILERI
È un lavoro tradizionale dei Sufi. Ognuno dei 5 colori principali: bianco, rosso, nero, giallo, verde (che
oltretutto hanno una corrispondenza con il lavoro dei 5 chakra tibetani) corrisponde ad una qualità
essenziale. Il bianco è la presenza; il rosso è il coraggio, la forza, la passione; il nero è la pace (bianco e
nero sono molto legati alla tradizione zen); il giallo corrisponde alla gioia ed è legato al cuore; il verde
corrisponde alla compassione. Nel Sufismo è molto sviluppata la qualità del rosso, legato allo spazio del
cuore, alla mamma, la devozione, ricevere la grazia e riversarla.
Latifa è un lavoro dove la tradizione dei sufi viene trasmessa al limite tra la modernissima psicologia e la
meditazione. Parliamo di psicologia transpersonale e tecniche tradizionali dei sufi. Vengono date tutte le
corrispondenze fisiche perché ogni colore ha una corrispondenza fisica specifica e principalmente
corrisponde a come somatizziamo nella prima fase della nostra vita, le energie trasmesse dai nostri
genitori. Con l’andare del tempo questi condizionamenti si radicano nel corpo, condizionano il
movimento, l’espressione, la modalità che abbiamo di nutrirci, di relazionarci con gli altri. A mio parere è
il lavoro più preciso che ho visto.
A livello di tradizione le meditazioni si basano sul lavoro di tutti e tre i centri. La meditazione “No
dimension” è, secondo me, quella più potente per centrarsi, perché ci porta nella pancia, col cuore aperto.
Perché il movimento delle braccia amplifica l’apertura del cuore e della gola. Il suono che esce lavora
sull’osso pubico, oltre che aprire la gola va a liberare questa zona dove (secondo la tradizione sufi) viene
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interiorizzata la rabbia.
Rispetto ai chakra, dove le qualità essenziali sono la fiamma della lampada, nell’essenza è l’olio che
brucia. L’essenza non è un’idea, un qualcosa di psicologico, l’essenza siamo noi.
PSICOLOGIA DALLE ANTICHE SCUOLE SPIRITUALI
Nitamo MONTECUCCO
Tutte le scuole hanno avuto una visione psicologica dell’essere umano e hanno tracciato dei percorsi che
l’anima poteva sperimentare per arrivare al divino. Lascio la parola a Kiran Vigiani in modo che possa
darci la sua visione di una scuola particolare.
Il Vedanta e i cinque corpi dell'essere umano
Kiran VIGIANI
È interessante poter vedere queste diverse mappe in termini di strumenti della nostra crescita. Strumenti
per un’interpretazione della realtà, per poter entrare sempre di più in contatto profondo con noi stessi.
Credo che questo sia l’elemento che stiamo cercando di perseguire, perché farà una grande differenza su
come noi possiamo andare a relazionarci con le altre persone. Credo sia fondamentale prenderlo come
assunto di base. La scuola alla quale ora mi riferisco è il Vedanta. Mi interessava passarvi a grandi linee
questa mappa della strutturazione. Parliamo di vari corpi, perché l’uomo non ha un’unità monolitica ma
ha varie strutturazioni in vari corpi.
Il primo corpo è Annamayakosha, il corpo fisico, il corpo che ha bisogno del nutrimento attraverso il
cibo, il corpo che è legato all’azione, al movimento, al divenire interno. È la nostra parte più esterna, la
parte tangibile, che possiamo toccare, vedere, che ha una sua strutturazione, una sua motivazione di
essere, che ha dei nutrimenti specifici per la sua sopravvivenza. Dove ci sono blocchi che vi impediscono
la loro funzione o potenzialità per la nostra crescita globale. Questo vale per tutti i corpi.
Poi abbiamo Pranamayakosha, il corpo energetico. È il corpo che non ha più una tangibilità materiale,
ma è il corpo legato alla circolazione energetica, al respiro, e quindi il nutrimento di questo corpo sarà di
natura più sottile. È legato al linguaggio, alle emozioni. È costituito dalla rete dei canali energetici, Ida e
Pingala, che partono dal perineo e vanno a confluire rispettivamente nella narice destra e sinistra, e
Sushumna, il canale energetico centrale nel quale scorre l’energia Kundalini, che sale verso i chakra.
Poi abbiamo Manomayakosha, il corpo della nostra mente più esterna, più concreta. È la mente legata alle
opinioni, ai pensieri, alle simbologie più codificate. In questa corrente di pensiero la mente viene
suddivisa in quattro strutturazioni: Manas, la mente più esterna, più superficiale, che ha il chiacchiericcio
della mente, alla quale arrivano tutte le sensazioni, tutto il contenuto del vissuto più esterno. Quando noi
ci identifichiamo, lo facciamo a questa mente più esterna. È la mente più impressionata dalle cose esterne,
è la mente con cui facciamo le identificazioni con i nostri ruoli. Citta è la mente ad un gradino più
interno, possiamo considerarlo come un serbatoio, la mente che contiene le memorie e quindi potrebbe
essere, sul piano psicologico, confrontato con quella parte di inconscio dove sono anche i nostri
imprinting. Andiamo poi ad un passaggio ancora più interno, Ahamcara, la mente che potremmo
rappresentare come cerchi concentrici.
È la mente più interna dove siamo già a livello di quella che è la mente più sottile, Vijnamayakosha.
Questa Ahamcara ha a che fare con tutto ciò che è la nostra identità più profonda, sul chi sono, quindi su
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un nostro senso di identificazione. Per scendere in quella che è la mente più profonda, Buddhi, la mente
illuminata. Quando arriviamo a Buddhi arriviamo a quella qualità della mente dove ha sede il nostro
testimone, che è la mente di una qualità estremamente più raffinata, dove non esiste più nessun processo
di identificazione con tutti i fattori esterni, con le emozioni, le sensazioni, le memorie, con il vissuto.
Dove essere nella qualità della mente Buddhi significa stare nello spazio di silenzio, dal quale possiamo
prendere uno spazio-tempo di distanza in quello che è il meccanismo stimolo-risposta. Quindi dove noi
usciamo dall’effetto delle cose per poterci mettere in uno spazio di osservazione.
Per arrivare nello spazio di Anandamayakosha, lo spazio gioioso, il corpo della beatitudine, che potrebbe
essere considerato un po’ come un’emanazione del Brahman, cioè della causa prima, della gioia assoluta.
È uno stato estremamente profondo come qualità dell’essere che possiamo sperimentare. Significa andare
a sperimentare quelle esperienze che non sono estremamente al di là di noi, della nostra possibilità
esperienziale, su questo piano così come siamo. Credo che a tutti sia capitato un momento, magari per
frazioni di secondi, di allargamento di coscienza, un momento in cui abbiamo sentito di fare
quell’esperienza di assoluta unità, dove non c’è più frammentazione e tutti i nostri corpi sono allineati con
l’Hatma, il centro del cerchio. Uno spazio di silenzio totale, di collegamento totale con noi stessi, con il
tutto. Credo che a tutti possa essere successo, guardando un tramonto, in uno scambio d’amore, un
momento di compassione, in uno slancio particolare, di essere passati attraverso questa esperienza, un
momento in cui ricordarci di andare a riscoprire chi siamo veramente. Perché poi la maggior parte dello
stato di coscienza nel quale viviamo sono identificazioni con tutte le sovrastrutture, con le personalità e
sub-personalità, dipende a quale scuola di riferimento ci rifacciamo per poterle così definire. È quello
stato di beatitudine originaria che noi abbiamo perso nello sperimentare il nostro percorso di vita e di
crescita così com’è. E quindi il discorso delle peak experiences, la possibilità di scendere in queste
esperienze così profonde, è proprio il ricordarci qual è la nostra origine. E allora possiamo veramente
sentire che siamo delle scintille divine e che abbiamo un po’ perso la direzione, ma che siamo qui proprio
per cercare di ritrovarla. Credo che, prima di tutto, queste cose debbano essere sperimentate dentro di noi
perché solo se le conosciamo poi possiamo riconoscerle nell’altro e possiamo prenderle in considerazione
nella persona che abbiamo di fronte. Possiamo così cominciare a vedere la persona non più come un
disagio o una patologia, possiamo vederla non per quello che è in quel momento, ma per quello che può
diventare. E’ la nostra psicologia che ha una direzione, che viene data proprio dalla parte più profonda.
Questo senso profondo di noi stessi, se lo sperimentiamo dentro noi, poi possiamo riconoscerlo negli altri.
Se noi non andiamo prima a lavorare su noi stessi, diventa illusorio pensare di portare qualunque tipo di
aiuto a chiunque all’altro.
Potremo riprendere questa mappa in modo esperienziale lavorando sulle meditazioni – come la vipassana
o la meditazione dei maestri himalaiani - che hanno modalità diverse ma la stessa finalità, quella di
portarci a sperimentare questo punto di coscienza dentro di noi. E’ importante che ognuno le conosca per
poter sentire qual è la modalità che gli corrisponde di più, dove sente che vibra maggiormente.
Nitamo MONTECUCCO
Tutta questa parte interessante sui vari livelli l’abbiamo codificata nel modello Cyber 7 dove, se lo
rapportiamo al corpo interno sono i vari chakra, ma se lo vediamo in termini di livelli sono i 7 livelli di
coscienza.
Come il Vedanta riconosce 5 corpi o kosha, la tradizione buddhista considera l’essere umano composto
da 5 skandha. Ma sono la stessa cosa.
Rupa-skandha è l’aggregato fisico, della coscienza del corpo.
Vedana-skandha è l’aggregato dei sentimenti, le percezioni, le emozioni viscerali.
Samjna-skandha è l’aggregato della mente analitica, riflessiva e discorsiva che corrisponde a Citta, la
mente inferiore.
Samkhara-skandha è l’aggregato delle forme creatrici che corrisponde a Buddhi, la mente alta.
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Vijnana-skandha è l’aggregato totale, che rappresenta la potenzialità della coscienza in forma pura.
Abbiamo ripreso queste tradizioni nel modello Cyber 7 (i sette livelli di coscienza – pag.138 di
Psicosomatica Olistica). Potremo ridefinirle con molta semplicità:
PRIMO CORPO – del mondo materiale, fatto di atomi. Corrisponde al regno minerale.
SECONDO CORPO – formato da energie e vita, il corpo delle cellule, i chakra ed i canali energetici, il
campo elettromagnetico del corpo. Corrisponde al regno vegetale.
TERZO CORPO – è la dimensione emozionale-istintiva. Corrisponde al regno animale.
QUARTO CORPO – è il primo livello mentale, dove usiamo la mente inferiore, la mente legata ai sensi, ai
desideri al piacere. Corrisponde al regno umano. Il corpo di autocoscienza parte dal quarto e arriva al
quinto.
QUINTO CORPO – il primo corpo spirituale, corrisponde a Buddhi, la coscienza intuitiva.
SESTO CORPO – la coscienza planetaria
SETTIMO CORPO – la coscienza cosmica, dove ci apriamo ad un livello molto più intenso e sviluppiamo
livelli di consapevolezza più elevati.
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LA PSICOLOGIA OLISTICA
LA SINTESI DELLE VARIE SCUOLE PSICOTERAPEUTICHE E MEDITATIVE PER LO
SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO E L’EVOLUZIONE DELLA CONSAPEVOLEZZA
GLOBALE
Nitamo MONTECUCCO
Dopo aver visto i principali autori che hanno contribuito a creare le basi della psicologia moderna,
entriamo nell’argomento centrale di questo testo: la Psicologia Olistica, le sue basi e la sua evoluzione.
Abbiamo visto che nell’utilizzo delle tecniche o delle scuole più vecchie, le persone attingono dagli autori
anche le informazioni più specifiche. Ad esempio io sono convinto che Reich sia stato come siamo stati
tutti noi della nostra generazione, siamo partiti come atei contro la chiesa, le istituzioni e poi siamo entrati
in una spiritualità cosmica, in una spiritualità differente. Reich e Jung hanno avuto questo processo. Tra i
grandi maestri potremmo citare un grande maestro italiano, Assagioli, veramente straordinario, che ha
pubblicato una serie di libri sotto uno pseudonimo ed è stato tra coloro che hanno sponsorizzato la
traduzione di tutti i libri di Alice Bailey. Testi bellissimi, come la “Guarigione Esoterica” e la
“Psicologia Esoterica”.
Sono stati personaggi con un’anima molto intensa, sicuramente tutta la psicologia moderna che
cercheremo di coprire, partendo dall’umanistica alla transpersonale, è come se avesse subito questo
fascino all’iniziazione, alla meditazione. Possiamo dire che proprio a livello di scuola l'uso della
meditazione in terapia, era già cominciata negli anni ‘60 ad Esalen. In America nacque un gruppo
interessante che si chiamava Arica che aveva cercato già all’inizio di integrare. Poi, c’è tutto il lavoro di
1
Osho, che in India diede una serie di iniziazioni soprattutto attraverso le terapie di gruppo. Arrivarono
quelli di Arica, quelli della Primal, quelli della bioenergetica tedesca e americana, la gestalt, arrivò
Ronald Laing e a Poona si creò questo primo gruppo dove la psicoterapia era assolutamente orientata allo
sviluppo della consapevolezza. Quindi, psicoterapia e meditazione funzionarono insieme. Ancora oggi
per esempio, la Primal che facciamo al Villaggio Globale viene fatta da Swarup, che è stata una delle
collaboratrici dirette di Ronald Laing e che ha diretto uno dei suoi centri psichiatrici per tanti anni.
Quindi, dopo un grande inizio, questo lavoro continua integrando e contaminando scuole di tipo
differente, con approcci differenti.
Qualche anno fa il Dalai Lama fece un’importante dichiarazione: “La psicoterapia moderna, in particolare
quella dei gruppi, è uno strumento essenziale per la crescita spirituale”.
Dei grandi maestri nessuno si era spinto in questo modo anche perché non c’erano delle psicoterapie in
grado di facilitare ciò. Intanto una delle cose straordinarie è proprio che dall’inizio della psicologia
transpersonale, alla fine degli anni ‘50 e inizio anni ’60, si sviluppa questo movimento di gruppo. Prima
le terapie di gruppo non esistevano, erano gruppi di persone che chiacchieravano, facevano poche cose,
non c’era una vera struttura di gruppo, di psicoterapia. Nemmeno Mesmer lavorava sulla psiche ma
faceva fare fondamentalmente delle catarsi di tipo sciamanico. Li faceva ballare, l’energia saliva, loro
andavano fuori di testa e liberavano delle emozioni grosse, ma non era un uso attento e consapevole delle
energie. Gli sciamani quando perdono coscienza non sanno che cosa succede. Invece nelle dinamiche di
gruppo la catarsi è assolutamente cosciente. E’ un po’ come il passaggio dal vecchio mesmerismo o dallo
spiritualismo, dove le persone andavano in trance e perdevano coscienza, ai moderni channeling, dove
nessuno perde coscienza ed è una comunicazione di alto livello che avviene all’interno di un’energia
molto presente, di cuore e consapevole.
E’ il cambiamento del nostro pianeta che ha dato questi risultati. Negli ultimi 20 anni c’è stata
un’evoluzione delle psicoterapie di gruppo con questo processo, chiamiamolo di “ibridazione” collettiva
che non ha paragoni. Al Villaggio Globale abbiamo circa 30 gruppi di terapia e tra essi non c'è uno che
non abbia fatto la P.N.L., Primal, Bioenergetica, Gestalt, ecc. Non appena c’è un nuovo maestro che
propone qualcosa, il popolo dei terapisti sperimenta il lavoro con uno scambio enorme che porta al
miglioramento. Nella fisica e nella scienza olistica - che è stata in parte qualche volta anche sperimentata
a livello scientifico – l’autore dei campi morfogenetici, Rupert Shaldrake, ha creato l’idea della
sincronicità degli eventi attraverso la ripetizione. Vale a dire che si sono accorti, a livello scientifico, che
quando una ditta deve formare ad esempio un farmaco e deve venderlo in forma cristallizzata, la
cristallizzazione di alcuni farmaci richiede dei tempi lunghissimi e molti laboratori continuano a lavorare
per produrre lo stesso farmaco. Accade che, quando in un laboratorio riesce la cristallizzazione, quasi
contemporaneamente accade in altre parti del mondo. E’ come se l’energia di una forma si trasmettesse,
l’energia di un’emozione si trasmettesse, l’energia di una evoluzione di consapevolezza si trasmettesse.
Cosa succede? Succede che in questo nostro tempo sicuramente c’è stato un aumento di energia. E quello
che per me è stato un lavoro di almeno 5 anni di gruppi pesanti, con tre/ quattro ore al giorno di
meditazione, adesso diventa possibile in due o addirittura un anno. E’ come se la maturazione collettiva
creasse questa risonanza che facilita i processi di evoluzione della consapevolezza. Abbiamo visto negli
anni ’70 che una serie di gruppi (ad es. la vecchia bioenergetica o il vecchio encounter), fatti soprattutto
dai vecchi terapisti tedeschi, erano di una violenza pazzesca. A quei tempi lavoravo in un ospedale dove
vedevo anche arrivare contusi, con le ossa rotte, a testimonianza di una violenza collettiva molto alta che
pian piano nel giro di 20/25 anni di lavoro si è ridotta enormemente. Anzi se prima non partivi con
quell’energia non succedeva niente, adesso se parti con quell’energia è troppo. E’ come se si fosse
alleggerito il carico delle persone, tale che, nonostante abbiano delle rabbie, è sufficiente creare un
contesto e le stesse emozioni escono con estrema facilità.
Noi riteniamo che:
1
1 - L’energia del pianeta si è elevata e trasformata su un buon livello di maggiore densità e intensità. Un
fenomeno di risveglio della coscienza collettiva che è stato previsto da molte tradizioni antiche e che ha
dato vita al concetto di New Age.
2 – Si osserva un incremento e un riverbero globale di esperienze di risveglio della coscienza individuale
e di liberazione delle emozioni che hanno creato un “campo morfogenetico” planetario, come lo chiama
Rupert Sheldrake, che facilita ulteriori processi simili. Ricordate l’esempio della centesima scimmia dove
in una società di scimmie, pochissime scimmie avevano imparato a lavare le patate dolci buttate nella
sabbia mentre per tanti anni il gruppo le aveva mangiate con tutta la sabbia; da un giorno all’altro tutta la
società delle scimmie iniziò a mangiare le patate lavandole. E’ come se un piccolo gruppo di persone
crescesse lentamente e ad un certo punto raggiunge la massa critica. Si parlava simbolicamente della
centesima scimmia, come se fosse un decimo della loro società, che ad un certo momento passa di là e fa
catalizzare un’intera società di scimmie. Questa è una parte della teoria delle catastrofi.
Ci auguriamo che attraverso di voi, attraverso il lavoro collettivo che stiamo cercando di fare attraverso la
formazione dei counselor e delle tecniche di sviluppo del potenziale umano e di crescita umana, possiamo
arrivare a creare una massa critica che possa catalizzare anche la nostra società globale. Vi ricordate il
fenomeno dei blue-jeans: negli anni sessanta non si potevano portare soprattutto al liceo o in banca. Poi,
alla fine degli anni sessanta, da un giorno all’altro, tutte le bancarelle di tutti i mercati vendevano i bluejeans e le persone accettarono i blue-jeans come una cosa naturale. Quando l’idea entra nella mente
collettiva, nel main stream, avviene questo passaggio sociale.
LO SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO
E L’ARTE DI FACILITARE L’ ”ESPERIENZA DELL’ESSERE”
Lo sviluppo del potenziale umano, in questo momento storico di cambiamento, deve essere diretto con
decisione all’”esperienza dell’essere”.
Nel testo “Cyber, la visione olistica”, nel capitolo che tratta questo tema, c’è una parte iniziale che parla
del concetto del funzionamento del cervello. Molti neuroscienziati sostengono che usiamo il 10% del
nostro cervello, secondo me ne usiamo il 150% (come lo intendono gli scienziati), mentre usiamo soltanto
il 10% della nostra sensibilità, il 10% della nostra coscienza, della nostra consapevolezza, del nostro
essere. Quindi, noi stiamo iperutilizzando la mente e sottoutilizzando la nostra consapevolezza. In questa
prima parte c’è un’impostazione sull’ego e sul sé, sulla difficoltà di capire queste due identità, sull’andare
oltre il sé e sulle difficoltà di riuscire a fermare l’ego e trascenderlo. E infine, c’è una parte finale dove
vengono citate esperienze personali. Ve ne leggo una. È di una donna.
“Tutto avvenne in un secondo e fu il momento più importante della mia vita. Era la vera realtà. Prima di
questo vivevo in un lungo sonno e d’improvviso mi sono svegliata. Perfino l’aria che respiravo sembrava
essere viva. Ogni cosa acquistava un senso e le sue conseguenze pratiche non erano certo meno intense
del sentimento profondo che provavo.”
Oltre a questa trovate esperienze di Yogananda, di Fritjof Capra, di Tagorre, di Bohme, o di persone che
non hanno meditato tipo Enzo Maiorca che ha fatto soltanto un po’ di yoga. Egli scrive:
“Il dio che incontro laggiù negli abissi è diverso dal dio che preghiamo qui sulla terra. E’ un dio senza
suono d’organo, senza liturgia, immenso e turchino. Lo ricordo dal silenzio assoluto, dal suo misterioso
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messaggio di eternità.”
È riportato un passo di Pascoli, che non fanno mai studiare nelle scuole: “Ad un tratto vidi una palla d’oro
cadere dal cielo con grande lentezza. E immerse nel gran verde, in silenzio molle. Oh! La palla del cielo!
Non era il piccolo lampo della tua canna, uomo mortale. Scendeva dagli azzurri calma e tacita….
Dimenticai molte sciagure, vidi in un sogno scendere le stelle luminose, e le vedo sempre, come pastore
seduto sulla pietra… E non mi dolse d’essere una stella che illuminando discende nell’ombra… E sentii la
mia vita confusa col gran tutto.”
La nostra “mappa semplificata” (che trovate sul libro “Psicosomatica olistica”), su cui lavoreremo tutta la
settimana, è quella che parte dalla consapevolezza dello stato di frammentazione attuale, in cui mancano
pezzi dell’emotività, sesso, potere etc. In uno spazio assolutamente “taoista” di accettazione, lavoriamo, a
seconda delle tecniche, contemporaneamente sul negativo e sul positivo, vale a dire, parallelamente
sull’Ego (i blocchi psicosomatici e psicologici che hanno generato la nostra personalità) e sul Sé
(recupero delle energie “pulite” e positive, sciolte dalle negatività del passato, che ricostituiscono il senso
dell’unità interiore e quindi del nostro Essere). Questo duplice lavoro sull’ombra e la luce della
coscienza, porta ad una pratica articolata che sfocia continuamente in un sempre maggiore livello di
consapevolezza, di unità. Quindi continuiamo a passare da stati di inconsapevolezza a stati di
consapevolezza, da stati di frammentazione e disequilibrio a stati di maggiore equilibrio.
Una delle basi del Pensiero Olistico è, come abbiamo visto, il “centro di coscienza”. Noi siamo un centro
di coscienza, non siamo frammentati. Possiamo vedere che questo centro di coscienza ha delle polarità
nel corpo e nelle energie; energie, ad esempio, a volte maschili a volte femminili, o possiamo vedere
polarità di testa, di cuore o di pancia. Man mano possiamo diventare più complessi e vedere che a volte la
nostra energia è molto veicolata dai vari chakra, o può essere condizionata da alcuni eventi. Possiamo
metterci dentro tutto, ad esempio l’enneagramma, cioè ci sono nove tipi di personalità ed a secondo di
come ci comportiamo emerge uno o più tipi intrecciati in un certo modo e noi riconosciamo delle
identificazioni. Il Sé che è il testimone silenzioso a volte si identifica e diviene: “io sono un depresso, un
irascibile, o un debole…” e continua a fare un gioco, i giochi sono la parte periferica, possiamo metterne
tanti, come i segni zodiacali o riconoscerci con qualsiasi schema ci danno, poiché dentro abbiamo tutto.
La cosa importante è che abbiamo un punto centrale, poi vengono una divisione binaria (maschile,
femminile) e poi ternaria (testa, cuore, pancia) e possiamo arrivare ai sette punti dell’agopuntura, i nove
tipi dell’enneagramma, i dodici di altre tradizioni.
E‘ fondamentale capire che alla periferia abbiamo le identificazioni, i caratteri, le personalità (dal latino
persona = maschera) che possiamo interpretare. Se le interpretiamo va bene, se ci identifichiamo vuol dire
che non abbiamo più il nostro centro. Io posso ridere, arrabbiarmi ed essere consapevole di me, oppure
perdere il mio e provare paura perché il mio io non è più presente, ed essere la mia paura. In quel
momento non mi posso fermare, non mi posso osservare, sono completamente dentro quello spazio.
Questo è il modello di base. Al suo interno abbiamo elaborato una mappa, che è quanto di più sincretico e
sinergico abbiamo sviluppato in tanti anni.
Abbiamo riunito in modo chiaro ed intelligente una serie di mappe di scuole antiche: quella
dell’agopuntura, gli shen degli organi; quella dei chakra della tradizione indiana e tibetana; le funzioni
primarie della bioenergetica, i sette livelli di funzione d’organo della tradizione reichiana; il modello
neuro-fisiologico. Siamo riusciti a fare un discreto lavoro, poiché questa mappa ci permette di riconoscere
delle personalità su una base energetica molto semplice. E soprattutto di riconoscere, se una personalità è
stata squilibrata in un certo senso, come può essere riequilibrata in un certo modo. Ad esempio, nelle
personalità che sono la base delle energie fondamentali, l’energia di primo chakra, che nei canali
dell’agopuntura parte dai piedi e sale fino al cervello rettile, è l’energia rossa primaria.
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Se possiamo fare un appunto al modello di Assagioli, possiamo vedere che la polarità principale è verso
l’alto, non verso il basso. E verso il basso cosa c’è? Noi siamo polari e c’è sicuramente una polarità bassa.
Reich aveva preso solo la polarità bassa, come un’energia che sale potente e che può essere stoppata.
Assagioli in basso non mette niente, mette solo quella in alto. Per noi la mappa è sia in alto che in basso,
dobbiamo sperimentare tutte le direzioni e dobbiamo entrare nel corpo molto più di quanto potessero
anche solo immaginare prima della guerra: era inimmaginabile come il corpo dovesse essere
spiritualizzato. Prima della guerra tutto il percorso esoterico era “tira su e spiritualizzati” vivi nel corpo,
trattalo bene ma l’energia spirituale è verso l’alto.
Abbiamo intere scuole orientali dove l’energia spirituale è verso il basso: si chiama grazia. Tu prendi
l’energia cosmica e la risucchi, la riporti nel corpo e spiritualizzi il tuo corpo. Proprio questo corpo è il
Buddha. Questo mondo è il loto del paradiso. Questo è un messaggio Zen. Portare giù l’energia e scoppia
il primo chakra, non il settimo che diamo per scontato perché è già aperto e l’energia del settimo scende,
oppure è bloccato in basso. Come in alto c’è Supercoscienza, un punto di alta coscienza, in basso c’è un
Supercoscienza cosmica, materiale, che è l’energia della Kundalini, l’energia della terra. Il cielo è sottile,
la terra è pesante: noi abbiamo bisogno di tutti e due i poli. Se non tiriamo giù l’energia della terra, la
terra va come sta andando, chi ha coscienza vive nei monasteri e la terra: ciao! Se abbiamo i piedi per
terra incominciamo ad intervenire nel mondo anche fisicamente, energeticamente, con la coscienza. Noi
dobbiamo sviluppare tutte e due le dimensioni. Non solo, dobbiamo vedere come alcune persone hanno
già un primo chakra molto aperto e dobbiamo tirarlo su, è il lavoro della Kundalini, della ascesa; ma ci
sono persone che hanno il primo chakra quasi chiuso, sono estatici, a volte psicotici, hanno il corpo
devastato dalla paura e dai condizionamenti; togliendo i condizionamenti, queste energie scendono e loro
diventano delle persone vive, reali, piene di energia. Il canale da aprire è dal settimo al primo. Altre volte
dal primo al settimo. Il flusso è bidirezionale, per esempio nella meditazione Kundalini prima l’energia va
dal basso verso l’alto, poi nella terza e quarta fase ti apri e semplicemente assorbi l’energia dall’alto.
Davanti ad un maestro mi è capitato di sentire che venivo aperto dalla testa e da lì mi entrava l’energia.
Come durante le iniziazioni buddhiste in cui ho sentito una luce che dall’alto passava nel primo chakra
per poi fuoriuscire dai piedi. E‘ un po’ anche come la rappresentazione simbolica della manna dal cielo, il
nutrimento è quello dell’anima, non semplice cibo.
Quindi abbiamo due canali ben precisi. Il punto centrale di tutto è il cuore: il senso dell’identità reale.
IL PROCESSO DI CRESCITA E LE SUE QUATTRO FASI
I° fase - La consapevolezza dello stato di frammentazione in cui ci troviamo
II° fase – Il decondizionamento o liberazione da ciò che non è nostro
III° fase - La riappropriazione o sviluppo del potenziale umano
IV° fase - La realizzazione o consapevolezza globale di sé
Le quattro fasi hanno una sequenza temporale anche se in realtà vanno tutte insieme.
La consapevolezza dello stato di frammentazione
La prima fase - la consapevolezza - è fondamentale. Significa la consapevolezza del male. Si va dal
medico o dal counselor e si dice “Sto male in questo punto”. Questa è una consapevolezza del male
esteriore. Noi dobbiamo fare il trasferimento di consapevolezza del male interiore. Ogni cosa avviene
dentro di noi, non fuori. Chiaramente prendere una storta alla caviglia o ferirsi la pelle sono cose esterne.
Ciò che a noi interessa, invece, è quello che avviene dentro. Per iniziare il cammino per lo sviluppo del
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potenziale umano è necessario una consapevolezza del proprio stato. Può anche essere una
consapevolezza positiva, per esempio la lettura di un libro. Ci sono dei libri che ispirano le persone.
Oppure la consapevolezza del negativo: “Sto male e voglio crescere” oppure la consapevolezza che c’è
qualcosa “oltre”. “Io ho tutto, sto bene, ma sono in un momento di crisi. Sento che devo cambiare vita,
fare qualcosa di nuovo. Anche se non so che cosa.”
In questa consapevolezza voi potete avere un ruolo importantissimo, anche come amici. Se voi
trasmettete il senso che avete acquisito facendo esperienze di meditazione, di respiro o altro ad altre
persone, influenzate lo stato positivo, fate comprendere che è possibile liberarsi dal negativo, date
consapevolezza che esiste uno stato di unità più bello, più maturo, più umano.
Decondizionamento e disinquinamento: Il lavoro sul negativo
Il secondo passaggio lo chiamiamo disinquinamento, decondizionamento: è il lavoro sul negativo, è il
lavoro sull’ombra. Detto semplicemente, è la fase di disinquinamento globale del corpo, delle emozioni,
della psiche, da tutti i veleni, le tossine, le inibizioni e le informazioni negative che ci hanno avvelenato e
condizionato fino ad ora. E’ necessario ripulire il sistema e togliere queste tossine psichiche (le nostre
paure), possiamo farlo lavorandoci ed entrandoci con consapevolezza. La paura è come un tappo su
qualche cosa che c’è, solitamente si ha paura di qualcosa che è nella realtà. Bene. Guardiamola!! Cosa ci
può succedere? Al massimo ci spaventiamo ancora di più. Normalmente dietro la paura non c’è un’altra
paura, c’è uno stato di emozioni che non vogliamo vedere. Al di là di qualche ora di pena o di down tutto
si risolve. E’ come se ci trovassimo al buio dove i fantasmi emergono, diventano grandi. Alla fine è
successo a tutti che ogni volta che si accende la luce non rimane più niente. Anche se avete paura,
riconoscetela. Questo è estremamente importante: d’accordo, la paura c’è, però ci siete anche voi con la
vostra parte di forza. Sentite la rabbia, ma allo stesso tempo sentite anche la parte di amore. Sentite le
varie emozioni pesanti che vi prendono, ma sentite che dentro di voi c’è anche la parte che vi bilancia.
La parte del disinquinamento e decondizionamento è metà del grandissimo lavoro che viene fatto
partendo da qualsiasi punto del corpo.
A tal proposito consiglio il capitolo che parla delle “Alimentazioni dei sette Corpi”.
Riappropriazione e sviluppo del potenziale umano: Il lavoro sul positivo
Il terzo punto della crescita umana è la riappropriazione. Corrisponde al parallelo lavoro sulla riapertura
del corpo, delle energie, delle sensazioni, degli affetti, della mente, delle percezioni sottili e
dell’esperienza del nostro essere in modo positivo. Per riappropriazione s’intende che quello che siamo
adesso non è veramente tutto quello che siamo. Il concetto di riappropriazione è lo sviluppo del
potenziale umano. Significa che hai un potenziale che non conosci, a cui non hai accesso. La cosa
fondamentale da capire è che noi abbiamo dei potenziali positivi che non sono stati espressi e dei
potenziali negativi che sono diventati paure. La paura è quello che ti va a bloccare le palle. In realtà la
paura è quella che ti castra le palle, non ti lascia tirar fuori l’energia ormonale (il testosterone,
l’adrenalina). La paura ti cancella la forza. Il processo di disinquinamento e decondizionamento
viaggiano in parallelo. Io normalmente preferisco svolgere prima il lavoro sul negativo e poi il lavoro sul
positivo, perché mi fido molto delle persone. Bisogna fare una precisa valutazione all’inizio del lavoro,
perché potrebbe essere necessario con alcuni clienti fare prima il lavoro della riappropriazione e dopo
quello del disinquinamento. Perché? Perché ha un io fragile. Questo è il punto determinante: la
percezione dell’io della persona. Se vi fidate di questa persona e lei di voi, se sentite che c’è una parte di
solidità, potete cominciare con il negativo. Se sentite che c’è molta fragilità, anche magari in quel
momento (ad es. sta passando il momento di collasso dell’identità per crearsi un sé), allora lavorate sul
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disinquinamento partendo dal corpo fisico: fatelo mangiare bene, cibo biologico, senza inquinanti, tanta
frutta e verdura.
Passiamo all’alimentazione del II° corpo, positiva, i quattro elementi: aria, terra, sole, acqua. Fategli
respirare aria pura, fategli fare il bagno in acqua pulita, fategli prendere il sole, fateli stare sulla terra a
piedi nudi, nella natura, fategli prendere energia. Fategli evitare fonti di inquinamento, perché a livello
energetico l’inquinamento è parallelo a quello fisico. A livello fisico abbiamo bisogno d’introdurre cibi
sani, molecole chimiche naturali, non sostanze alterate, biologiche. A livello energetico significa che se
voi mangiate una sostanza biologica passata al microonde, questa è morta. Se prendete due carote e poi le
piantate tutt’e due e passate una al microonde per 30 secondi, marcisce, mentre l’altra vive. Tanto più
bollite, cuocete a lungo, conservate, tanto più avrete cibi morti, senza il livello energetico. Il secondo
livello energetico significa: stare davanti al computer, allo schermo televisivo, stare nei campi magnetici
tra cellulari, transistor ecc, e quindi non nella natura. Campi che alterano i vostri campi. Perché si dice
che è più buono il cibo di una buona mamma? Perché ci mette dentro quella qualità che è quella che poi
vi arriva sul piatto. Osservate quando mangiate fuori casa: se il cuoco ha tensioni, mangerete le sue
tensioni. Se, invece, mangiate in un posto con un clima da terzo livello - dell’amicizia e della
condivisione - digerite bene. I veleni del terzo sono i film dell’orrore, di violenza. Evitateli, sono
devastanti. Piuttosto preferite film emozionali, letture scritte col cuore, film spirituali come l’”Attimo
fuggente” (si parla di libertà che è già un concetto spirituale).
Quindi l’alimentazione a livello emozionale. Dal livello emozionale, con i film ed i libri, passiamo anche
a livello mentale, alle informazioni positive. I giornali sono pieni di informazioni negative: ti spaventano,
ti ammazzano la fiducia, la visione del futuro. Invece, consultate su internet “good news agency”, le
informazioni positive da tutto il mondo, tutto quello che di buono sta succedendo. Leggete libri belli,
pieni di saggezza, esperienze di vita reale vissuta, positiva. In questo modo entrate nella spiritualità.
Attenti, però, perché anche lì c’è molta fuffa: il divino è messo assieme al malefico, al peccato. Leggete
libri dove Dio è amore, dove c’è la realtà delle cose anche nella crudezza, ma c’è profondità, c’è infinità.
E pian piano vi alimentate. Così fate con i clienti. Prestate loro i libri, così anche se non cominciate ad
agire sul decondizionamento fisico, emozionale, energetico, cominciate un lavoro su livelli di
alimentazione generale. E in un momento di fragilità andate a rinforzargli il cuore. La tecnica è
elementare: voi dovete sentire di amare quella persona e piano piano date fiducia a quella persona.
Attenzione, non fatelo con un depresso altrimenti si arrabbia. Se non avete fiducia in quella persona, non
dategliela. Se una persona è stupida non siate ipocriti dicendogli: “Tu che sei così intelligente ce la puoi
fare.” Guardatelo bene e a volte capite che non ce la può fare. Lo potete anche stimolare, ma sempre
rimanendo molto sinceri. Basta mettersi nei suoi panni.
Uno degli esercizi che uso fare è “immagina di essere l’uomo o la donna di quella persona”. Pensateci un
attimo, vedrete tremila difetti che non vi piacciono. E siete reali. Nell’Accademia queste cose ce le
diciamo. Fanno parte della nostra consapevolezza e dei nostri aspetti negativi. Dobbiamo crescere.
All’inizio non potete fare questo tipo di esercizio con una persona. Però potete essere sinceri e dirgli: “Io
percepisco che tu hai questi limiti e se fossi la tua compagna ti potrei dire subito una serie di cose. Per
esempio sei arrogante, sei muto, non hai esuberanza”.
Essenzialmente nella prima fase, se c’è un rinforzo dell’identità, voi agite in maniera energetica. La cosa
fondamentale che noi facciamo nel gruppo di luglio sulla psicosomatica è la respirazione a livello
energetico. Fate sentire attraverso il respiro – lo potete fare anche attraverso il massaggio, il craniosacrale
o il reiki - ma con il respiro è lui o lei che lo sta facendo. Gli fate sentire esattamente la sua energia, dove
fluisce e dove è bloccata; dove è un po’ bloccata -facendo fare un po’ di movimento o massaggio, un po’
di esercizi, qualche Kundalini o qualche danza- si apre; gli fate prendere coscienza che si è aperto e alla
fine della sessione, gli ultimi 5 minuti, la fate entrare in uno spazio di consapevolezza di sé.
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Alla fine della sessione si invita la persona a rimanere rilassata ad occhi chiusi, le mettete una mano sulla
fronte e una sulla pancia ed entrate in uno spazio silenzioso, entrate in meditazione, e lasciate il vuoto e il
silenzio fondersi con l’energia di questa persona. Se, invece, sentite che la persona non riesce a sentire la
sua totalità, l’aiutate a sentirla con la seguente tecnica. E’ semplicissima. Lavoriamo sull’intenzione, sulla
direzione: il cuore, il centro. Il corpo è aperto dopo una sessione di shiatsu o altro. La invitiamo a sentirsi
“chi è”, a sentirsi almeno nel cuore, poiché nella pancia è già più difficile. La invitiamo ad aprire il cuore
che è anche il senso dell’identità. Per l’identità quasi tutti dovete lavorare sul cuore. Ad un certo
momento andate con l’intenzione e dal cuore sentite le respirazioni progressive che vanno a tutto il corpo
e si espandono dalla testa ai piedi. La persona è sempre coricata mentre voi sentite la sua aura dai piedi
alla testa, anche con le mani. Passate con le mani sul corpo e, se sentite, sull’aura. Sentitela e aiutatela a
sentirsi dalla testa ai piedi, tutta intera, dicendole: “Bene, sentiti tutta intera. Molla, molla …” e se lei ci
riesce, fa un bel respiro e in quel momento vi fondete.
Questo si può fare anche nella prima sessione. Bastano 5 minuti. Vi faccio l’esempio. Dopo una parte
iniziale di colloquio fate sdraiare la persona, invitandola a chiudere gli occhi. Chiedete dove le fa male
toccandola nei centri energetici: che reagisca o no la invitate a respirare. Se ride, va bene, perché sblocca
il diaframma, porta l’energia della pancia al cuore e alla gola. Già così si cambia l’umore: se riuscite a far
ridere un depresso, metà del lavoro è già fatto. Tutto ciò può durare circa mezz’ora. Dopodichè la invitate
a sentire tutto il corpo, dalla testa ai piedi. Se non sente i piedi, si invita la persona a prendere coscienza
dei piedi mentre voi glieli tenete, facendogli reiki. Continuate a dirgli di respirare nel cuore e nella pancia
per sentirsi tutta intera. Solitamente le persone non sentono i piedi, perché non mollano la pancia.
Contemporaneamente dovete mollare anche voi. E rimanete così, nel silenzio per un po’.
Se prima le chiedevate di sentire il corpo, alla fine le chiedete dove finisce la sua energia. Può rispondervi
di non sentire più il corpo, sente di espandersi fino a non sentire più il limite. Bene, lì è in fusione: si è
spento il senso dell’identità, è come se stesse dormendo in modo cosciente. Siamo sul quarto livello di
coscienza. Se la persona resta lì per dieci minuti, lasciatela.
Se, invece, lei ritorna alla mente, datele qualche messaggio sussurrando: “Benissimo, continua a sentire il
cuore che si apre sino a respirare in cima alla testa. Senti la pancia bella calda.” E vi fermate. In questo
stato riprendete lo stato di vuoto, mollate tutti i muscoli, abbandonate per un secondo tutta la testa, le
tensioni e nel silenzio sentite soltanto il respiro. Provate tutto il corpo intero e l’energia tutt’attorno al
corpo e pian piano mollate e sentite che l’energia si espande. La coscienza non ha più un limite
sensoriale. Quando siete a questo punto date il messaggio: “Apri il cuore (non sempre ce l’hanno aperto),
senti la gioia e il piacere di stare in questo spazio vuoto.” E in questo momento le dite: “Senti chi sei.
Questa è la tua essenza, la tua anima, l’energia che ti anima. E’ un’energia vuota, ma sensibilissima e
viva. Respira. E’ viva.” Anche se è in uno spazio di dilatazione le dite: “Sentiti. Senti tutto il corpo. E’
vivo Senti questo spazio silenzioso, questa è la tua natura. Stai bene, stai bene con te stessa.” E se per
caso questa persona ha una rabbia, una tensione, un problema le chiedete: “In questo momento dov’è
finito il problema? Senti il dolore? (se è un dolore fisico, c’è ancora) Tu come stai? Adesso come ti
senti?” Possono rispondervi: “Non c’è più il problema”, oppure se c’era un dolore fisico “sì, lo sento, ma
è diminuito, è più piccolo, è lontano”. E voi continuate a dirgli: “Sentiti” e magari l’invitate a mettersi
una mano sul cuore. E pian piano da questo spazio che è di pancia, è impersonale, lo riportate molto al
cuore. “Apri bene il cuore, senti come potresti stare bene in questo spazio. Ci abbiamo messo 5 minuti a
entrarci. Puoi farlo in tutti i momenti della giornata. Questo spazio è la tua natura. È gratis. C’è sempre.
E’ disponibile. Hai solo da portare dentro la tua consapevolezza.” E pian piano gli fate mettere la mano
sul cuore o gli massaggiate il cuore. In tutto saranno passati forse 5 minuti. Per rinforzarlo gli fate dire:
“Esisto” provando a sentirsi totalmente, non soltanto con la mente. “Esisto”. “Bene, questo è il tuo spazio
di coscienza. Questo è il tuo sé.”
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Prima eravamo andati oltre il sé, nello spazio duale. Quando ritornate dovete dargli il sé, il sé del cuore
altrimenti ritorna nella testa. “Sentiti”. Una delle strutture più importanti di tutto il lavoro si chiama
risorse. Le persone non escono dal loro stato di malessere, perché non hanno le risorse. Questo stato di
coscienza è la loro risorsa. Se volete fare un po’ di PLN transpersonale, olistica, quando la persona è in
questo spazio le fate fare delle cose. Per esempio le fate rivedere quella cosa che non riusciva a fare o
vedere: “Avevi il conflitto con tua moglie/marito/sorella/fratello. Non riuscivi a dirgli o fare qualcosa. Va
bene. In questo momento cosa gli diresti stando nel cuore? Prova a dirgli “amore”. Parti dal cuore. Cosa
cambia?” oppure “In quella situazione che per te è critica o senti dolore allo stomaco, provaci con la
tecnica di Atisha. Respiraci dentro col cuore. Che bello! Ahhhh!” Oppure alle persone che si sentono
infelici gli dite “Come ti senti adesso con il cuore aperto? Dicevi che non ti senti amata. Senti adesso che
questo amore ce l’hai tu”. E piano piano gli state rinforzando il senso dell’identità. “Ce la fai. Senti che
bel cuore che hai.” Rinforzo positivo. “Ce la fai. Tu ci sei. Fallo adesso”. In quel momento siete in
simbiosi: la vostra forza è la sua forza. Il vostro cuore è il suo cuore. Siete in trasmissione: lei è aperta e
voi siete aperti. In questo momento, senza perdere un grammo di energia, perché la simbiosi genera più
energia, voi state dando a lei qualche cosa. Questa è la trasmissione della saggezza. E’ un processo
catalitico, è una risonanza. In realtà voi non state perdendo niente, anzi: voi state guadagnando più
coscienza e più cuore e anche lei, per risonanza, lo sta guadagnando. Entrambi siete più contenti. Quando
riuscite a lavorare a questo livello, passate una giornata a lavorare sui depressi stando bene. Se, invece,
fallite perché il depresso è più forte di voi e non molla, uscite che siete uno straccio. Attenzione! Dovete
uscire bene anche se stanchi. L’energia deve essere pulita.
La realizzazione di sè
L’ultimo passo dello sviluppo del potenziale umano si chiama realizzazione. E’ il pezzo che abbiamo
fatto alla fine: l’opera di riconoscimento della nostra natura profonda, la riscoperta dell’anima e del sé e
degli stati di coscienza spirituali. Qui il sé in realtà non è un vero stato di coscienza spirituale, ma è uno
stato di identità spirituale. Quando senti tutto il corpo bello aperto e tu ci sei, sei in uno stato di presenza.
Questo è il minimo che viene richiesto ad un operatore o counselor olistico, ma non è l’essere. L’essere è
quando rompi questa cosa e vai veramente in meditazione e perdi l’ego, perdi anche il sé. Per noi, invece,
il sé è fondamentale, perché le persone meno evolute non vanno nello spazio del vuoto o se ci vanno ci
stanno giusto un po’ e poi ritornano all’io. La creazione di un sé, cioè di una percezione globale
dell’essere, di un’identità integrata globale è assolutamente funzionale alla vita. Quindi, sostituisci l’io
della mente con le sue trappole e i suoi trucchi, con un sé che è molto più fluido e vivo. Le persone che
fanno molta meditazione pian piano in qualche anno di esperienza si spostano verso un io spirituale (io
preferisco chiamarlo un sé). E’ ancora un ego, solo che è vero. E’ ancora una struttura parzialmente
illusoria. Abbiamo ancora una nostra energia e una nostra pelle, però possiamo anche aprirla. Leggete nel
capitolo iniziale la “teoria del campo”. Il campo in fisica è una delle cose più straordinarie che siano mai
state inventate. Il campo è un centro che può essere un qualsiasi corpuscolo energetico elementare.
Qualsiasi particella subatomica è un campo di energia, genera un campo di energia. Il campo ha una sua
densità, può essere isolato, può avere una sua raffigurazione, ma in realtà entro il suo limite c’è il suo
confine, dove c’è un irraggiamento che va all’infinito. Il campo è fuso con l’unità di tutti i campi,
l’awareness di tutto l’universo. Quindi, tu hai il campo che è l’illusione parziale di essere un’unità, un
qualcosa di concentrato, ma parallelamente il paradosso è che ti senti anche nell’infinito. E’ un’unità non
isolata. Vi sembrerà strano, ma è così. E’ paradossale. E’ come se tu fossi dentro la funzione della
particella come corpuscolo, come onda su sè stessa e hai la sensazione del sé. Il che è vero, perché sei una
particella, ma dovresti vivere anche con la consapevolezza parallela che sei parte di un tutto. “Cyber”. Io
esisto, Io sono cosciente perché esisto.
A questo proposito, l’inconscio collettivo di Jung, è quello degli archetipi, è un bene positivo e negativo
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comune a tutta l’umanità e agli animali. C’è una percezione unitaria, anche solo interna, della
consapevolezza di essere formato di tanti pezzi, anche se perdo una parte di me sono sempre “uno”. Il sé
sono io, è la mia vera natura, che esiste. Io ho una parziale consapevolezza di essere separato e una
parziale consapevolezza di essere unito. Queste due realtà coesistono. Io sono sia sé sia non-sé. Questa è
la natura delle cose. In questo spazio si è nella natura delle cose, si hanno tutte e due le bande.
Concludiamo questa ultima parte, la realizzazione, ricordando che ogni volta che voi liberate un pezzo del
negativo state liberando l’energia bloccata delle persone. Per questo il negativo è un lavoro fondamentale,
perché dietro ogni rabbia repressa, pianto represso, amore represso, c’è una quantità di energia stagnante
separata dall’unità. La paura è una delle più potenti, perché lavora sul I° chakra, il senso del corpo. Se hai
paura stringi il I° chakra ed il corpo si sente debole, insicuro, senza stabilità. E tu da dove ti prendi
l’energia? Te la sei fregata. La paura è un’illusione, però ti taglia la genesi dell’energia. E allora riprendi
la tua energia. Come? Come faccio fare io: faccio saltare per due ore di fila, faccio aprire la pancia, il I°
chakra, faccio fare un lavoro fisico (come le lotte con animali) che vi porta a sentire la pancia, le gambe
bene a terra. Quindi, ho fatto un’opera di ripulizia, un’opera di sviluppo di un potenziale di sensibilità e di
energia nelle gambe che porta, alla fine, alla realizzazione: tu sei questo.
Con i clienti potete farlo a pezzi, volta per volta avendo come obiettivo la sua realizzazione. La mia
esperienza di tantissime tecniche mi porta ad usare quelle che, secondo me, funzionano di più: il lavoro
sul corpo a livello psicosomatico, il lavoro sul respiro, il lavoro sull’energetica -la consapevolezza e il
movimento-, le tecniche di meditazione, ma tutto ciò con un lavoro parallelo negativo su dove sono le
energie bloccate che devi ricompattare per ritornare all’unità, e un lavoro sul positivo come riscoperta del
potenziale ancora inespresso, cioè i segni sottili che non sono mai stati sviluppati. Quindi, una persona ha
bisogno di aprire il I° chakra e poi aprire quella dolcezza e poesia che magari aveva da bambino e non ha
mai espresso. Quello diventa un potenziale. Oppure ha sempre pensato di essere timido e quindi non ha
mai usato il potenziale della comunicazione che invece può diventare enorme.
Voi potete aiutare le persone ad entrare in campi psichici. Per esempio tutto il campo dello sviluppo del
potenziale umano a livello sottile, l’intuizione, l’empatia, Il lavoro sull’empatia può durare negli anni.
Voi attraverso l’empatia potete fare una lettura energetica del corpo. Altri vanno ancora più in profondità
delle memorie passate; alcuni vanno nelle vite passate. L’apertura delle percezioni sottili e della
sensitività è un dono enorme. A volte le persone sviluppano queste doti proprio dalle energie represse che
liberano dal pianto o della pancia. Ad esempio sviluppano la matrice del cuore che viene dalla milza e che
è in grado di percepire le energie eteriche. Alcuni sviluppano il meccanismo dell’aria sbloccando la gola
che porta un’intelligenza sottilissima nei processi, arrivando a capire cose che prima non comprendevano.
Io portavo gli occhiali fino a 35 anni: è come se si fossero aperti, si fossero allineati i due emisferi.
La maggiore difficoltà che potete incontrare nell’approccio con il cliente è di sbagliare l’inquadramento
della persona, ovvero capire se ha bisogno di tanto o di poco.
Una delle considerazioni fatte ieri è l’importanza del counseling per voi. Il counselor deve entrare in un
ruolo che è il ruolo primario: è lui che gestisce il gioco. Ha, quindi, una caratteristica di potere che se
usato in modo intelligente aiuta a sviluppare il potere anche nell’altra persona. Però le persone che non
hanno mai avuto il potere o hanno paura di gestirlo in modo diretto possono avere dei grossi problemi.
Tutto sommato gli fa molto bene. Il counseling in questo ambito deve essere visto - soprattutto quello
sviluppato sulla ricerca personale, sulla crescita umana – come un lavoro da investigatore dell’anima e
cercare qual è il punto forte su cui lavorare, qual è il punto che si è rotto nello psicosoma della persona,
dove ha originato il primo grosso conflitto o uno dei principali conflitti. Quindi, ritornate indietro,
ricostruite, e lo fate rivivere, perché rivivendolo permette di far un salto di consapevolezza sciogliendo un
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processo. Invece il punto positivo è: “Qual è la via d’accesso più intelligente al cuore della persona? Per
riportarlo su di sé? Qual è il punto?” Se la persona è un depresso può capitare che non voglia sentirsi fare
i complimenti. Altre persone, se gli fai i complimenti si tirano indietro, diffidano, per cui dovete agire in
un altro modo. Dovete trovare il suo punto d’accesso, dove lui si rilassa. Quindi a volte se usate
un’energia forte su delle persone va benissimo, perché hanno bisogno di qualcuno che le porti. Le
prendete per mano e le portate nei meandri dello psicosomatico. A volte sono delle persone che hanno
paura di inoltrarsi, di affrontare. Preferiscono stare fermi o fare il minimo. Altre volte alcune hanno
bisogno di un’energia materna, a volte di un’energia neutra oppure paterna. E se prendete una posizione
che non è in risonanza con loro, diffidano. Cambiate e immediatamente vi seguono.
In questo ambito voi dovete stare molto attenti a quello che è il gioco delle sue proiezioni e delle vostre.
Vi capiterà di lavorare su vari tipi di caratteri e ognuno avrà i suoi lati stupidi, intelligenti, sensibili o
pesanti, ma lavorate senza giudizio. Se voi, lavorando su uno psicopatico, dentro penserete che è un figlio
di buonadonna, avete finito di lavorare con gli psicopatici. Se voi pensate che l’orale è un debole, avete
finito di lavorare con gli orali. Dovete evitare che vi vengano i giudizi e cercare piuttosto di stare in uno
stato di presenza e quindi togliere energia all’identificazione col giudizio. Il pensiero viene, c’è niente da
fare. Non potete evitare, almeno all’inizio, che vi venga il giudizio in forma di pensiero. Io preferisco la
strategia dello spostamento dalla testa al cuore.
Pratica: Facciamo un cerchio, ognuno metta un cuscino davanti. Siamo in numero pari. Immaginiamo di
avere una prima sessione. Siamo nel nostro studio, la persona bussa alla porta, entra e la facciamo sedere
e la guardiamo per la prima volta. Proviamo a vedere con attenzione e decifrare la bolla energetica in cui
questa persona vive.
Osservo il volto, le caratteristiche somatiche, la postura e cerco di intuire anche solo un po’ che cosa sta
vivendo e che cosa gli potrebbe essere utile. La cosa importante è che al di là dei convenevoli il cliente, se
vuole chiedere qualcosa, lo fa. Rimango in silenzio, tengo il cuore aperto, sento la testa, la pancia e sento
le sensazioni che mi suscita e gliele comunico. Poi ci si scambiano i ruoli.
Ora ripetiamo lo stesso esercizio ancora più centrati, aprendo ancora di più il cuore. Ascoltate le vostre
sensazioni nel silenzio. La prima volta avete visto le sue caratteristiche, ora sentite di essere qui e provate
a vedere che le cose già scoperte prima fanno parte della sua maschera. Cercate di sentire che cosa ha
questa persona dentro, la sua parte interna. Cominciate a sentire il suo potenziale. Chiedetevi: “Perché
questa persona ha ancora questa maschera? Che cos’è che si porta addosso? Potrebbe lasciarlo? Che
cos’ha dentro? Che evoluzione ha la sua consapevolezza?” Sentitevi intuitivamente. Chi fa da cliente
lasci uscire il suo lato triste, doloroso, le sue emozioni, in modo che l’altro, che fa da counselor, le legga e
provi a vedere cosa c’è dietro queste emozioni tristi. I counselor provino ad immaginare: “Se io fossi al
suo posto, se io fossi un’anima con quella maschera, se io fossi una coscienza in quella situazione, cosa
potrei fare? Questa persona davanti a me può fare qualche cosa?” Andate a sentire questa profondità e,
quando vi sentite pronti, provate a trasmettergliela.
Pratica: Ritornate in voi e riproviamo a ritornare in silenzio, poi ci diamo il cambio. Scrollatevi dal
vostro ruolo. Facciamo, per circa 3 minuti una delle tecniche più potenti che aiuta in pochissimo tempo a
toglierci tutte le menate che ci portiamo addosso: si chiama Gibberish. Si fa uscire la voce accompagnata
da gesti dicendo delle frasi o suoni senza senso. E poi fermatevi, rimanete in silenzio, andate in
profondità, andate nel cuore e ricominciate (fatelo anche quando siete nel vostro studio).
Provate a fare un passo in più. Invitate la persona a rilassarsi un minuto e sentirsi. Aprite molto il cuore,
diteglielo: “Lasci andare le tensioni nel corpo, faccia un bel respiro profondo, chiuda gli occhi e rimanga
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un attimo in silenzio ascoltando semplicemente il suo respiro.” Entrate nel silenzio e cercate di vedere la
coscienza dietro la maschera e ascoltate quello che vi arriva. Chi c’è dentro questa persona? Aprite il
vostro cuore, immaginate un canale che passa da cuore e cuore. State con gli occhi rilassati, non da
aquile. Sentite, questa persona con tutte le sue caratteristiche, ha la possibilità di uscire dalla sua
maschera? Ha le facoltà, le risorse per un processo di trasformazione? E come lo può fare?
E quando ve la sentite, glielo dite. Alla fine osservate se c’è stata una differenza tra la prima e la seconda
volta. Sappiate che nel vostro lavoro se prima d’incontrare il cliente fate un po’ di meditazione, sarete
molto più percettivi.
Vi consiglio di fare questa parte prima di fare la scheda, perché altrimenti potreste essere condizionati da
ciò che vi ha detto. Siate semplici, non assumete atteggiamenti falsati. O fate stendere la persona sul
lettino e la fate respirare come abbiamo fatto nel seminario di psicosomatica. Se la persona, invece, è in
piedi e vi racconta le sue storie, guardate oltre, andate oltre la maschera, sentite cosa c’è oltre la persona.
Potete anche fermarla e farle delle domande e ve le annotate. Potrete sentire grande dolore, ma non
diteglielo. Potrebbe essere una persona molto preparata. Anzi, all’inizio chiedetele che lavoro ha già fatto
su di sé (psicanalisi, yoga, reiki, ha letto qualche libro, ecc). Io uso chiederle qual è la sua religione, come
vive l’autorità oppure cos’è dio per lei. Da tutte queste informazioni capite se usa la sua energia o ripete
ciò che le è stato detto. E’ importante fargli rimarcare quando usa la sua energia, perché è una forza da cui
può attingere. Purtroppo ci sono persone che sono state condizionate o sono molto ansiose e ributtano
quest’ansia sui figli che a loro volta assorbono il messaggio e falliscono. Ad esempio la madre iperansiosa che tampina il figlioletto, standogli addosso dicendogli in continuazione di stare attento perché
potrebbe cadere, finchè il bambino cade veramente. Il messaggio è “non ce la fai, non ce la fai”, il
bambino le ubbidisce e cade e lei di rimando gli conferma “ecco, hai visto che non ce la fai”. Lui
ubbidisce, perché lei gli sta dando un messaggio fortissimo e il bambino, purtroppo si lascia condizionare
dalla mamma.
PSICOLOGIA DELL'EVOLUZIONE UMANA
LA GENESI DEI BLOCCHI PSICOSOMATICI
Nitamo MONTECUCCO
Tratteremo ora un argomento fondamentale della psicologia, l’evoluzione umana, in termini decisamente
più ampi di quanto non si faccia all’interno delle normali scuola di psicologia, dove il concetto di
evoluzione si ferma all’inizio della maggiore età. Normalmente gli elementi psicopatologici, presenti in
un paziente, vengono fatti risalire alle origini genetiche, epigenetiche, infantili, ai condizionamenti, alle
strutture sociali che la persona ha vissuto. Per noi è molto più di questo. Per noi l’evoluzione psicologica
umana rappresenta un processo “spirituale” che si espande all’intero arco della vita. Per questo motivo
faremo un excursus generale dal concepimento alla morte e cercheremo d’integrare le varie informazioni
dei passaggi della vita con quelle sulle strutture dei blocchi, dei caratteri e della creazione della
personalità.
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Recuperiamo tutte le informazioni finora viste e proviamo a mettere in evidenza le forze interiori ed
esteriori che un bambino o una bambina, quando nasce, possiede, e che possono essere sviluppate o
trattenute, che si possono incrementare o che possono essere inibite o addirittura castrate. Attraverso
questo processo vedremo la formazione del carattere, delle personalità psicofisiche, vedremo come certi
elementi o certe forze psicofisiche o psicoenergetiche vengono –come abbiamo in parte già visto– in
evidenza o vengono inibite. Per noi è molto importante avere un quadro molto preciso, seppure
semplificato, di cosa una persona, con particolari problemi, deve fare per poterli risolvere.
L’ipotesi coscienza: la vita come evoluzione della consapevolezza
Nella visione olistica delle antiche scuole tradizionali, come nella moderna visione transpersonale, esiste
il concetto di anima che si incarna. Fin quando non potremo fotografare o misurare scientificamente
l’anima, prenderemo la coscienza globale di una persona come un’ipotesi di lavoro. Partiamo con cautela
parlando di ipotesi di coscienza, di anima, perché nella nostra visione questi concetti possono offrire un
profondo senso delle cose umane, hanno una loro precisa logica interna, ma non possono essere validati
scientificamente. Quello che diciamo può essere vero o falso, e con questo presupposto iniziamo il
percorso dell’anima che inizia il suo percorso nella vita.
Con questa ipotesi di partenza, immaginiamoci l’esistenza come un processo di evoluzione: come esseri
viventi abbiano livelli diversi di evoluzione – gli invertebrati, gli insetti, i rettili, i mammiferi, gli umani.
Partiamo dalla semplice considerazione, che sarà di immensa importanza nel processo della crescita
umana, che possono esistere categorie diverse di esseri umani, nel senso di coscienza, di consapevolezza
di sé. Ma ricordiamo che il fatto che un rettile, una lucertola o un gatto siano inferiori a noi nella scala
evolutiva della consapevolezza, cioè che abbiano una coscienza minore della nostra, non ci dà il diritto di
sopprimerli né di lederli in nessun modo. Il ruolo gerarchicamente superiore degli uomini non significa
che noi li comandiamo, come vorrebbero far credere molte religioni, che Dio ha creato l’uomo per essere
a capo di tutto il mondo, ma al contrario implica da parte nostra dei doveri etici verso chi è meno evoluto.
Pur esistendo categorie diverse di anime, cioè di risveglio delle anime, possiamo avere un contesto quasi
al contrario, vale a dire che le anime più evolute sono quelle che, secondo me, hanno maggiori
responsabilità. L’anima più evoluta di un essere umano, invece di schiacciare la lucertola, potrebbe
amarla, aiutarla. Con questa logica il fatto che ci sia un’evoluzione delle anime non comporta una
gerarchia per cui quelle più evolute comandano quelle inferiori. Semmai quelle più evolute hanno più
comprensione, hanno più diritti-doveri rispetto a quelle meno consapevoli. Per noi un’anima più cosciente
ed evoluta avrà maggiore libertà di scelta della propria vita, meno condizionamenti, più integrità, più
amore e più potere per essere e realizzare sé stessa.
Il concepimento: inizia il viaggio
L’anima a un certo livello viene attratta da due genitori, c’è una situazione umana congrua per entrare in
incarnazione. L’energia luminosa della coscienza entra nel momento del concepimento e si trova ad
essere il punto centrale “superimponendosi” ai due singoli codici genetici del padre e della madre che si
stanno fondendo in una nuova doppia elica di DNA.
Innanzitutto è da precisare che, sulla base di centinaia e centinaia di casi, abbiamo osservato che ci sono
anime che vogliono incarnarsi e anime che non vogliono incarnarsi, ma che “devono” o si sentono
costrette ad incarnarsi. Durante le tecniche di regressione quando chiedevamo alle persone che
partecipavano all’esercizio che cosa sentivano nel momento del concepimento, ricevevamo due risposte
polari molto evidenti: “voglio entrare” oppure “non voglio entrare”. I positivi sono la maggioranza, più
dell’85% dei casi, i negativi sono comunque consistenti e spesso sono associati allo sviluppo di
esperienze emozionali o psicologiche negative, depressioni gravi in particolare.
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Quando lo spermatozoo raggiunge l’ovulo, per l’anima che si deve incarnare c’è a disposizione il codice
genetico dei due genitori che ha caratteristiche specifiche fisse (ad es. pelle gialla, occhi scuri, ecc.), ma
che – in quello specifico istante - può essere combinato e polarizzato in infiniti modi diversi (se non
avvenisse tutti i figli sarebbero uguali). Quindi l’energia-informata di quella specifica anima influenza e
polarizza una specifica ricombinazione dei geni materni e paterni e in particolare una attivazione o
inibizione dei tre foglietti embrionali, dai quali si svilupperanno il sistema fisiologico-istintivo, il sistema
emozionale-comunicativo e il sistema mentale-sensoriale.
L’anima ha caratteristiche psichiche-energetiche. Immaginiamo ad esempio che la nostra anima abbia dei
colori più sviluppati di altri, ad esempio il blu che è il colore della mente, o il giallo-verde che è il colore
del cuore, o il rosso-arancione che è il colore della pancia. Può influenzare una forte pancia che catalizza
il sistema del foglietto embrionale basso, metabolico; oppure può influenzare e attivare un sistema
nervoso più sensibile e intelligente; oppure può stimolare lo sviluppo emozionale di un grande “cuore”
che bilancia i due elementi polari, testa e pancia, con il foglietto medio. L’energia dell’anima non agisce
“materialmente”, ma catalizza per “risonanza” e “coerenza” i codici genetici andando così a stimolare i
due codici che in quel momento si stanno unendo.
Quindi sin dall’inizio l’anima ha una base genetica fissa (costituzione generale, razza, colore, caratteri
genetici dominanti, ecc.) e una serie di caratteri personali (costituzione energetica-psichica, stimolazione
o inibizione di alcune funzioni neuro-psico-endocrine, ecc.).
A questa base naturale e psico-energetica si aggiunge il fattore casuale. Il bambino, come qualsiasi
macchina che esce da una catena di montaggio, può subire dei difetti di partenza che non sono voluti, ma
che a volte sono tecnicamente inevitabili. È il caso delle malattie genetiche, dove i geni subiscono
mutazioni per radiazioni ionizzanti o sostanze radioattive (come i bambini deformi o leucemici di
Chernobil), o per malattie infettive nella donna in gravidanza (come la cecità del bambino in caso di
rosolia della mamma), oppure la mamma prende una medicina come il Talidomide e la bimba nasce
focomelica. Questo non è un karma, un castigo divino dovuto alle cattive azioni passate, ma una
situazione casuale che può accadere anche ad animali innocenti. L’anima sceglie dei genitori che hanno
molto cuore, però entrambi hanno nel loro DNA un gene recessivo dell’anemia falciforme che
ricombinandosi può diventare dominante e manifestarsi nel corpo. In tal modo loro trasmettono una
malattia ma questo è Karmico? L’anima non può scegliere tutto. E’ come dire si sceglie in generale una
casa, che sia abbastanza grande e luminosa e non troppo in centro. Però non si possono scegliere i
particolari, che già esistono, i pavimenti, i colori delle maniglie, gli infissi ecc. Si sceglie quello che c’è,
che ha certi pregi e necessariamente certi difetti.
L’anima entra in questo corpo e il corpo parte.
Le grandi scuole taoista, cinese o tibetana dicono che nel momento del concepimento l’energia è
orgastica, fisica, ma anche animica dei genitori, ed essa crea una forza di base della vita di questo essere
che ci sarà e che continuerà per tutta la vita. Quindi, a volte abbiamo persone che partono già con una
forte carica, a volte invece abbiamo una carica debole. Può essere una carica più fisica, più emozionale,
più psichica o in alcuni casi anche più spirituale. E pian piano comincia il percorso dentro l’utero. Le cose
classiche che le persone raccontano nel livello uterino è la relazione dopo i due mesi. A due mesi e mezzo
comincia a formarsi il sistema nervoso, il sistema sensoriale, e dai due mesi e mezzo in poi il feto
comincia ad avere prima delle percezioni, chiamiamole, indirette, e poi dirette, nel corpo – sensazioni – di
quello che è l’ambiente fisico, emozionale e psichico della mamma.
Il cuore della Mamma è la vita del bimbo
Quando un bimbo è concepito ha la necessità di essere “nutrito” su tutti i sette livelli. Ha bisogno di
nutrimento fisico che viene dal canale ombelicale, ma ha altrettanto bisogno di nutrire il proprio cuore di
amore, di sentirsi accettato e desiderato dalla mamma. Se già dai primi mesi di gravidanza la mamma è
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sempre depressa, triste, arrabbiata o ha degli incidenti, se non ha il tempo di ascoltare il bimbo nella
propria pancia, questo bimbo nascerà con una chiusura più o meno grave del cuore e del livello
emozionale. Non che “non abbia un cuore”, ma il suo cuore verrà fortemente ostacolato. Se questa anima
ha un cuore poco sviluppato, più di tanto non gli interessa; se, invece, è un’anima evoluta e ha grande
bisogno di amore questo creerà un blocco, un ostacolo nella sua vita futura. Ricordiamo che il cuore è
anche il centro fisico dell’identità, della coscienza di sé, e per questo motivo queste considerazioni sono
particolarmente importanti.
Il periodo intrauterino
Roberto SASSONE
Il carattere di una persona è il segno inciso e per Reich è soprattutto il modo in cui un individuo s’è
potuto strutturare adattandosi all’habitat in cui progressivamente si è formato. Il carattere reca in sé anche
la difesa che l’individuo, per sopravvivere, ha strutturato in modo da rapportarsi alla realtà; la difesa è
funzionale alla sua salvezza ed è il modo migliore in cui ha potuto adattarsi. Questo è un altro discorso
molto importante, perché dalla modalità, da come un individuo si manifesta nella relazione, noi possiamo
comprendere da che cosa si è dovuto difendere e anche qual è la potenzialità da sviluppare, allentando la
difesa che è stata funzionale alla protezione in quel determinato momento della sua vita.
Però, noi normalmente, quando ci riferiamo al carattere, pensiamo alla parte più evoluta di esso: al modo
di comportarsi, di rapportarsi, alle modalità con cui agiamo e quindi anche all’emotività che
manifestiamo, al tipo di emozioni che ci concediamo. Secondo questa definizione, visto che il carattere si
struttura nel nostro corpo, perché noi abbiamo tutta la relazione con la vita attraverso l’impatto fisico e
quindi emotivo, questo impatto lo abbiamo dal momento del concepimento fino alla morte. Quindi,
possiamo iniziare a parlare anche dell’intrauterino, ovvero l’individuo comincia ad esistere nel momento
in cui lo spermatozoo e l’ovulo si incontrano. È la carica energetica delle due cellule, così come lo stato
di coscienza e l’energia vitale dei due genitori al momento del concepimento, a caratterizzare l’inizio di
una nuova vita. Il piccolo grumo di cellule, in relazione con una parete che lo definisce e il tipo di
relazione – anche se non è una relazione consapevole – determina già il suo modo di funzionare. Il codice
genetico che deriva dalla fusione dei due codici maschili e femminili determinerà l’impalcatura. Ma è
fondamentale l’habitat in cui si sviluppa. L’utero non è solo un contenitore, ma esprime l’assetto
energetico della madre durante i nove mesi di gestazione. Il feto è come se fosse un organo della madre,
tutto quello che accade alla madre passerà al feto.
Ecco perché è importante comprendere il tipo di madre che la persona ha avuto, ma non tanto per
l’aspetto psicologico, ma proprio per caratteristiche fisiche, energetiche ed emotive. Vale a dire, che
habitat consentiva al feto questa madre? Era una madre depressa, con poca vitalità, ansiosa, oppure una
madre sovraeccitata, con una struttura molto rigida, con un accumulo di energia molto forte, una madre
con attacchi di panico, una madre psicotica? Tutto ciò ci dà la possibilità di vedere il quantum energetico
di base che è presente nel big bang dell’incontro dello spermatozoo e dell’ovulo e di osservare se il feto è
cresciuto in un utero ricco di energia vitale oppure no.
Detto questo, ecco perché è importante anche comprendere la relazione tra i coniugi, cioè il modo in cui
si è strutturata la relazione tra il padre e la madre, che non dà soltanto la capacità di comprendere le
successive fasi evolutive dell’individuo, ma dà anche il senso di una qualità eventuale che può avere
questo feto. La relazione tra padre e madre non la dobbiamo vedere soltanto come la relazione tra due
individui, come relazione psicologica-emotiva e basta, ma c’è anche la qualità interiore. Ovvero, ci può
essere una madre o un padre che pur avendo una serie di situazioni nevrotiche, hanno una qualità
interiore, un’anima, una qualità sottile di buon livello e che quindi passano, al di là della modalità
strettamente psicologico-emotiva, un contenuto spirituale. Anche la qualità animica dei genitori si
trasmette esattamente quanto la qualità o la disfunzionalità psicologia, energetica, ecc.
Voglio quindi sottolineare che è importantissimo porre l’attenzione sul Cuore della persona che viene da
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noi. Ci si può trovare di fronte a persone con una storia veramente disastrata. Mi viene in mente una
donna con una madre alcolizzata, violentata ripetutamente dai sei-sette anni da uno zio, il padre la
chiudeva di giorno in uno stanzino buio con i topi, una donna che poteva diventare facilmente
schizofrenica o autistica. Chiaramente c’era in lei un grande rifiuto della sessualità, perché ovviamente
viveva lo schifo della violenza subita. Era cresciuta poco in altezza e in più era grassottella e sgraziata.
Non era un fatto genetico: era tutta compressa per riuscire a resistere a quella vita……eppure era
bellissima!!! Ho scoperto sin da subito, lavorando con lei, che aveva un’anima meravigliosa, senza
esagerare. Era una persona che, bastava tu le aprissi la possibilità di sentire la sua dimensione interiore,
immediatamente si apriva. Avevo la sensazione che in lei ci fosse una potenza pronta ad emergere.
Questa persona ha sviluppato nel giro di tre anni - su un altro si sarebbe dovuto lavorare molto di più una spiritualità, una comprensione che l’ha aiutata a sciogliere e ad affrontare questi traumi pesantissimi
che, secondo me, non avrebbe mai potuto affrontare, usando soltanto gli strumenti psicologici. Lei,
invece, ha usato la potenza della sua anima individuale che io chiamo il centro psichico (usando il
linguaggio di Aurobindo), per reggere ed elaborare questa storia così pesante.
Perché faccio questo discorso che sembra un po’ campato in aria? Sostengo che soltanto un operatore
olistico o anche uno psicoterapeuta a orientamento transpersonale o comunque con un’esperienza
interiore possa aiutare una donna così. Da noi verranno, anche un po’ per contagio, persone un po’
particolari. Ve ne accorgerete. Per una questione di empatia e di trasmissione di ciò che noi siamo
veramente, si avvicinano a noi delle persone che ci chiedono qualche altra cosa, delle persone che hanno
sì bisogno di lavorare sulla loro struttura caratteriale, ma per loro tutto questo è anche un’occasione di
risveglio interiore. Vogliono avere la possibilità di contattare il livello del cuore, ma attenzione! Non il
livello del cuore esclusivamente emotivo, ma quello che sta dietro, più in profondità, cioè il contatto con
la propria anima. Il contatto con la propria anima è la percezione di esistere. Allora, noi possiamo aiutare
queste persone moltissimo se abbiamo un’attenzione particolare a questo tipo di “Presenza”, se ci
mettiamo in contatto empatico con questa presenza profonda che ci chiede, al di là delle parole, di essere
riconosciuta.
Luisa BARBATO
Vorrei fare un breve inciso sulla clinica diagnostica relativa al periodo intrauterino: gravidanza, parto,
allattamento e svezzamento. Di solito noi psicoterapeuti nel nostro screening chiediamo informazioni
relative a tutte queste fasi, ma anche voi potreste chiedere qualche informazione su queste fasi che sono
importanti. Ricordate che in questa parte della vita maggiore è stata la rimozione, minori sono le
informazioni che le persone hanno. Alla domanda com’è andata la loro esperienza vi rispondono “tutto
bene”. Poi, se uno fa un’indagine più approfondita emerge sempre qualcosa da elaborare.
La densità energetica
Luisa BARBATO
Volevo fare un discorso sulla densità energetica che la scuola reichiana condivide. L’unione tra il padre e
la madre non solo unisce le loro cariche energetiche distinte, ma la loro interazione definisce qualcosa che
viene considerata la carica energetica, cioè un quantum energetico che viene stabilito alla nascita e che è
immodificabile, non si ricarica.
Nitamo MONTECUCCO
Sì, lo si colloca nel I° chakra o, per i cinesi, tra i due reni, e viene chiamato il Ming Men – la porta della
vita. Sono le pile della vitalità che continueranno per tutta la vita.
Luisa BARBATO
Ed è un qualcosa su cui nessuna psicoterapia potrà agire, neanche quelli che lavorano sul corpo potranno
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agire. Ed è, tra l’altro, una delle cause principali, una delle condizioni perché ci sia un sistema psicotico,
perché le persone psicotiche hanno questo deficit, questa mancanza di quantum energetico. Sono persone
che noi definiamo con una bassa densità. Questo, però, non vuol dire che poi la persona non sviluppi in
fasi successive nella vita una struttura di copertura da dare l’impressione di essere forte, rabbiosa,
incisiva. In realtà se poi si va a vedere, c’è un deficit molto profondo che si struttura a livello di vita
prenatale. E proprio in questa relazione estremamente primaria con la madre, cioè questa carica bassa
perchè la madre durante i nove mesi non passa un sufficiente quantum energetico, è altissima la
probabilità che il bambino venga con questo vuoto di base. Questo deficit energetico non è recuperabile,
ma si può provare a compensarlo.
Nitamo MONTECUCCO
Si può avere una debolezza di un organo che però può andare avanti lo stesso (ad esempio c’è chi ha le
anche deboli). Però, la considerazione di base è che nelle gravi mancanze, all’atto del concepimento i due
genitori non stavano bene: lei soffriva o aveva subito una violenza o non volevano un figlio, o non lo
voleva uno dei due, c’era disarmonia. Secondo, la mamma durante la gravidanza non ha avuto contatto
con la propria pancia, non voleva un figlio, non era desiderato. Tutto questo porta una mancanza
energetica di fondo, per cui il I° chakra, il rinforzo fisico primario, viene a mancare, c’è una debolezza di
fondo.
Il II° livello è importantissimo soprattutto in quel momento, quando l’anima sensibile di una persona ha
bisogno di quel nutrimento di amore o di riconoscimento ancora più profondo e non lo riceve. Va in una
situazione di grandissimo disagio. E’ come se non avesse il diritto di esistere. Non ha lo spazio, non gli
viene dato né fisicamente né emotivamente né spiritualmente il diritto di esistere e, quindi, ha una serie di
buchi.
Ho avuto persone con genitori che stavano bene insieme e avevano un corpo fisico che teneva, ma erano
il terzo figlio non desiderato, o il primo figlio non voluto perché non erano ancora sposati. Quindi, in
questi casi c’è una debolezza del senso dell’identità sul cuore e sulla presenza profonda che è enorme.
Quello che ha detto Roberto è importantissimo. Ad esempio noi possiamo avere dei casi gravissimi, casi
intermedi e casi dove c’è un buco ma che non è così grave. Ma soprattutto nei casi intermedi o borderline,
a volte il solo esercizio terapeutico non è sufficiente. Noi dobbiamo andare a ripescare e a sviluppare
nella persona il senso della presenza dell’identità e farle sentire che comunque lei è un’anima al di là di
quello che è successo, perché questa forza (spesso anche la spiritualità come dio o forze più grandi di noi
con cui noi siamo intimamente e profondamente in contatto) ci dà un punto di riferimento forte che ricrea
quel centro di identità che durante il concepimento o la gravidanza non c’è stato. E quindi permette di
recuperare un momento che può essere veramente un momento critico.
Traumi e tensioni intrauterine
Roberto SASSONE
Provo a dare una chiave complementare per quanto riguarda l’intrauterino. Ovviamente a questo riguardo
accadono delle cose e quando accadono possono essere molto forti e possono segnare dei traumi. Da una
parte, l’habitat che densità energetica ha? Quindi, il tipo di situazione energetica della madre, il tipo di
tematiche che ha ci dà un’idea. Ma se vogliamo collegarci con gli aspetti più evidenti che scandiscono il
percorso del feto, sicuramente una delle cose più grosse che possono accadere è quando nella madre ci
sono delle minacce di aborto. Oppure, addirittura, quando la madre tenta di abortire, perché non desidera
il bambino.
La situazione che abbiamo descritto è per il feto una minaccia di morte. A questo punto dobbiamo
ricordare che i due movimenti complementari dell’essere vivente sono la contrazione e l’espansione.
Quindi, la contrazione è fondamentalmente legata alla difesa, alla paura, come se uno cercasse di fare
corpo con sé stesso, e l’espansione è legata al piacere. Nel ritmo della vita queste due pulsazioni devono
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essere complementari per dare movimento alla vita stessa. Se c’è un trauma molto grosso, esso va a
segnare la struttura dell’individuo con una contrazione che rimane incisa nella memoria del corpo. Allora,
una minaccia di morte in un feto che non ha ovviamente ancora la consapevolezza di sé e, quindi, non ha
la possibilità di elaborare il vissuto traumatico, è un segno inciso molto forte. Ci si porta dentro un
riverbero molto forte di morte. Però, vediamo l’aspetto positivo di tutto questo.
Si è visto che persone che hanno nella storia dell’intrauterino traumi di questo genere, sviluppano anche
come necessità potenziale una forma di allarme, che però diventa anche una grande sensibilità a cogliere i
pericoli. Proprio perché in loro, dentro, profondamente, c’è stata la necessità di difendersi da questa
minaccia, hanno acuito poi con lo sviluppo psichico successivo, dopo la nascita, una grossa sensibilità a
cogliere le cose. Quindi, direi che l’aspetto positivo è che le persone che hanno avuto questo tipo di
trauma intrauterino sviluppano una capacità che diventa quasi intuitiva nel cogliere il pericolo nella vita.
Sono persone che riescono a cavarsela, sono persone che proprio per questa sensibilità riescono a
muoversi e vivere in dimensioni che per altri sarebbero più difficili. Quindi, non sottovalutiamo o
dimentichiamo l’aspetto positivo. Ciò dimostra che ogni trauma può essere adoperato come lezione di
vita. Ed è altrettanto importante l’atteggiamento dell’operatore che può o soltanto sottolineare l’aspetto
dell’ombra in una chiave esclusivamente patologica, oppure può andare ad esaminare e sottolineare
l’aspetto dell’ombra come possibilità per sviluppare la qualità che quell’ombra mette in evidenza. Penso
che questo sia un buon taglio per affrontare la patologia.
Cerchiamo di lavorare su quello che c’è e in tutta semplicità, di non fare troppe interpretazioni in quanto
operatori olistici, perché allora si rischia di creare un codice, un sistema rigido. Il sistema invece, deve
essere molto flessibile per dare la possibilità di includere una serie di esperienze che non rientrano nel
sistema.
Un sistema è forse più utile per uno psicoterapeuta anche se pericoloso. Io direi che per un operatore che
è legato più all’ascolto che alla presenza è importante che quello che c’è, che viene manifestato come
tematica, sia vissuto come una possibilità per l’altro, anziché entrare nell’interpretazione di cosa può
significare a livello del profondo. Poi, se è una qualità dell’anima, quella parla da sé. Noi non possiamo
fare molto. Se c’è una qualità dell’anima, ognuno di noi ha una sua potenza, una forza archetipica
propulsiva fortissima che gli viene in aiuto.
Nitamo MONTECUCCO
Infatti, l’anima si porta dentro l’archetipo dei sette chakra. Noi abbiamo definito anima come l’insieme di
tutte le energie coscienti, di tutti gli spiriti degli organi e al centro c’è questa parte profonda che
chiamiamo proprio spirito, che ha una natura transpersonale. Però, finchè rimaniamo nella natura
personale, tutte le cose che ci succedono nutrono o impoveriscono l’anima.
Roberto SASSONE
La raccolta dei dati per un operatore è molto importante, perché l’anamnesi del cliente non deve essere
usata a scopo psicoterapeutico, ma deve dare la visione d’insieme delle varie fasi di sviluppo
dell’individuo e deve essere molto accurata proprio perché si ha l’indicazione di quello che è accaduto
nelle tappe fondamentali della vita. Ecco perché vi è utile chiedere sull’intrauterino; anche se non lo si
può ricordare, il cliente può fare un’indagine successiva, parlando con la madre o con altri familiari.
Il contatto o il non-contatto intrauterino
Nitamo MONTECUCCO
Volevo precisare una cosa che riguarda l’intrauterino, che vi servirà e su cui lavorerete tantissimo. La
cosa più facile che accade a livello intrauterino - partendo da due genitori che comunque vogliono il
figlio, che hanno qualche problema generale più o meno normale - è che la mamma non ha “contatto” con
il proprio corpo e quindi con il bimbo o la bimba. Sono venute da me tantissime mamme al quarto-sesto
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mese di gravidanza che non si toccavano mai la pancia o non si mettevano in ascolto del bambino. A
questo proposito prendendo ad esempio la civiltà indiana, ci sono un’infinità di pratiche di massaggio
della pancia, i canti (c’è un libro bellissimo di Leboyer sui canti indiani delle mamme al proprio figlio).
Quando mio figlio era nella pancia la massaggiavo, ridevo, cantavo, parlavo. E’ chiaro che non gli arriva
la parola, ma gli arriva la vibrazione. Questo è un grandissimo nutrimento che tutti i popoli primitivi
hanno capito e che da noi esiste molto poco. Esiste per le mamme, in alcuni casi, che vanno a fare i corsi
pre-parto, dove gli insegnano un minimo di contatto. Ma da una mamma che non si massaggia, il
bambino non riceve il contatto e quindi è come isolato. Questo è uno dei casi più semplici.
Il secondo caso, piuttosto frequente, è la mamma che non ha contatto con il corpo perché è troppo tesa:
lavora, è sempre nella testa, ha mille preoccupazioni e anche se ama il suo bimbo è come se trascurasse il
suo corpo. La base della meditazione è il profondo rilassamento. Senza un profondo rilassamento del
corpo noi non possiamo arrivare ad una forma di meditazione profonda. Quindi, una delle cose che voi
potete certamente capire e su cui potete operare è il MATERNAGE. Abbiamo strutturato il maternage
con un semplice esercizio in cui si prende la persona con le gambe allargate, le si appoggia la testa sulla
coscia mentre è accovacciata, la si abbraccia come se fosse la vostra grande pancia e la si comincia a
coccolare cantandole una ninna-nanna. Le persone che hanno avuto una mamma che si rilassava nella
pancia, mollano la testa ed entrano istantaneamente in una sorta di sonno/rilassamento profondo, si
lasciano andare. Le persone, invece, che avevano una mamma molto di testa e poco nella pancia, non
mollano.
Questo semplice esercizio fa ritornare in un clima in cui il bambino piccolo è protetto, amato e dove non
ci sono preoccupazioni né problemi, né tensioni. Le persone vivono questo spazio che dovrebbe essere lo
spazio reale intrauterino di base, dove la mamma si concede una grande pienezza e gioia e dove il
bambino se la gode e vive una sorte di Eden. E’ una situazione di grandissimo piacere che ogni giorno le
persone possono riprovare: ogni volta che vanno a letto, ogni volta che si rilassano cinque minuti possono
rientrare in quello spazio intrauterino, se l’hanno già conosciuto, altrimenti glielo potete insegnare voi.
Questo è solo positivo, non porta alcun tipo di alterazione particolare e praticamente lo si può insegnare
entrando dentro nella pancia. Gli rifate rivivere la mamma (vi sarà insegnato come estendere la vostra
energia, perché è fondamentale non farlo con la testa): entrate dentro la vostra pancia come se l’energia di
pancia abbracciasse tutta la persona, tutto il corpo della persona e attraverso questo semplice movimento
che induce il sonno, induce le onde lente del cervello riportandole così a rivivere il periodo positivo
dell’infanzia o a recuperare se ce n’è stato poco. Quindi, si estende tale esperienza e la si fa ritornare ad
una delle esperienze di base della loro vita.
Roberto SASSONE
Il contatto definisce l’individuo. Attraverso il contatto si comincia a strutturare l’individualità. Non
stiamo parlando del discorso più avanzato dell’individualità dell’anima, ma stiamo parlando della
persona. La persona cresce, si sviluppa all’interno della madre e ciò che è fondamentale è che il
riconoscimento dell’altro passa attraverso il contatto. Infatti, nella maggior parte dei disturbi della
personalità, c’è un grande disordine nella percezione della propria identità perché c’è un grande disordine
del proprio contatto. Questo contatto non è stato dato e non è stato preso.
Il contatto è qualcosa di più del toccare, perché dobbiamo ricordare, nell’ottica del discorso che stiamo
facendo, che il nostro corpo non finisce ovviamente dove finisce la pelle. C’è il corpo energetico che
normalmente si può chiamare eterico che è l’emanazione energetica del corpo fisico. Poi c’è il corpo
astrale che è il corpo emotivo, e altri corpi ancora, ma questi due livelli passano continuamente nella
relazione. L’incontro tra due persone avviene prima con questi due corpi, poi con il contatto fisico per cui
è importante essere consapevoli come operatori di questo fenomeno. L’assetto, la posizione, la presenza e
le emozioni che ha l’operatore determina e influenza il riconoscimento o meno del cliente che ha di
fronte. Quindi, non è un atteggiamento esteriore la benevolenza o l’accoglienza e l’operatore non può
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improvvisarlo, ma deve essere un reale accoglimento.
Il contatto definisce l’identità dell’ego e ricordiamoci, che per tutti i processi successivi di sviluppo una
buona identità dell’ego, cioè un equilibrio della struttura della personalità complessiva dell’individuo, è la
base su cui poggia e prende forma un autentico e reale percorso spirituale. Se vogliamo perdere l’ego che
è il nostro progetto di “ricercatori”, prima dobbiamo avere un ego armonico. Se non abbiamo un’armonia
nei nostri sottosistemi ovvero il rettiliano non è in armonia con il limbico, il limbico non è in armonia con
il corticale e quindi questi sottosistemi non hanno una relazione di collaborazione, lo sviluppo spirituale
può avvenire in maniera alterata o sproporzionata rispetto la struttura di contenimento dell’individuo.
Il primo blocco psicosomatico: la percezione intrauterina di non essere amati
Nitamo MONTECUCCO
Vorrei aggiungere qualcosa a livello intrauterino. Le persone che hanno un’anima molto sensibile e non
ricevono, già a livello intrauterino in una normale gravidanza, il contatto del cuore della mamma o il suo
piacere/ benessere/ presenza, lo percepiscono immediatamente.
Una volta, lavorando su un paziente che aveva avuto una mamma molto nevrotica, quando entrava nello
spazio intrauterino, doveva difendersi. Tutte le emozioni negative della mamma – ansia, tensione – gli
arrivavano e lui andava in una reazione non psicotica, ma sicuramente nevrotica di chiusura e protezione
psichica. Si doveva stringere dentro il suo uovo per non farsi arrivare tutte le emozioni negative dalla
mamma. Al contrario, alcuni sono già in uno spazio orale, per cui sono lì con il cuore aperto: ogni tanto
gli arriva un po’ d’amore e poi non ne arriva più e già nell’utero hanno delle aspettative o a volte una
frustrazione. Se la persona ha un cuore non particolarmente sviluppato può andare in reazione.
Ho avuto delle persone adulte che mi hanno raccontato che da bambini piccoli hanno immediatamente
rifiutato il latte della mamma. Erano già arrabbiati quando sono usciti. A volte possono esserci tantissimi
motivi: l’odore della mamma, il sapore del latte, l’alito o il sudore puzzolente o anche un’incompatibilità
tra madre e figlio. Quindi, c’è un vero e proprio rifiuto da parte del bambino della propria mamma. Noi
dobbiamo vedere questo stato di difesa che avviene già a livello intrauterino: o l’energia psichica della
mamma non c’è, o il bambino è egoico e non riceve quello che vuole dalla mamma e si arrabbia. E’ molto
reattivo sin dall’inizio. A volte vedete delle mamme che sono molto amorevoli, ma un po’ ansiose o
angosciate e il bambino le rifiuta pesantemente. Quindi, c’è la relazione, ma il bambino ha più una
reazione che non l’amore e l’affetto; altrimenti n quel caso lì sarebbe diventato più un orale che non un
reattivo. Per quanto riguarda la mancanza di lattazione ci possono essere molti motivi, Il primo è che la
mamma è molto nella testa e non è nel cuore.
Luisa BARBATO
A questo si è aggiunta una spinta da parte delle case farmaceutiche sul latte artificiale, specialmente negli
anni ’60, ’70; poi c’è stato un blocco. Ciononostante non riuscite a trovare una clinica o un ospedale in
Italia dove, malgrado la mamma sia pronta o quasi per allattare, non ricorrino al biberon di latte in
polvere. Addirittura c’è lo sponsor della casa farmaceutica che finanzia le cliniche e gli ospedali se
seguono questa prassi. Succede in effetti che la mamma non è pronta subito, per cui possono passare
anche quarantott’ore finché non scende la montata lattea. Il bambino ce la farebbe anche senza, senonché
si mette in moto il meccanismo ansiogeno per cui il bambino deve assolutamente mangiare e non può
aspettare le 24 ore, per cui nel frattempo lo abituano al biberon. Il problema è che dopo bisogna fare un
processo inverso per riportarlo al seno.
Alla fine noi abbiamo tutta una serie di problemi orali e digestivi o intolleranze alimentari.
Il parto e la drammatica situazione di molti reparti di ostetricia
Nitamo MONTECUCCO
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Riprendendo i motivi principali della mancanza di lattazione, il primo è che la madre non è abbastanza
nel cuore ed è tutta nella testa. Di questo sono molto corresponsabili gli ospedali che spesso trattano le
donne con durezza e con regole rigide, e a volte con una sorta di vero e proprio terrorismo psicologico,
dove il medico s’impone con arroganza tecnica e scientifica sulla madre, che non è più in grado di essere
in contatto con la propria sensibilità e intuizione femminile, non è libera di esprimersi. L’ambiente è
sterile, non è morbido, non c’è supporto per le donne. Questa violenza arriva alla mamma, la fa rientrare
completamente nella testa, la fa entrare in uno spazio gerarchico di potere - il dottore sa tutto, tu non sai
niente, tu ti devi fidare e gli devi ubbidire - e quindi la manda completamente fuori dal suo centro
pancia/cuore che è materno, facile, istintivo, intuitivo, libero. E’ tutto rigido. E’ un delirio. Tutto questo lo
paga il bambino, lo paga la mamma che diventa tesa e perde il latte.
Luisa BARBATO
Sì, basterebbero dei piccoli aggiustamenti, un minimo di assistenza umana, basterebbe qualcuno che ti è
accanto e si prende cura di te finchè non si assesta tutto. Non occorre tanto. Alla fine sono delle cose
molto semplici, ma fondamentali.
Vorrei anche passare ad un tema preciso e importante di cui si parla molto poco ed è quello dei parti
prematuri. Per parti prematuri s’intendono i parti in cui la decisione di nascere non viene presa dal
bambino, ma viene presa dall’equipe sanitaria. Questa è diventata una piaga sociale.
Secondo il percorso naturale ad un certo punto, giorno più giorno meno, il bambino rilascia un ormone
che dà già l’anticipo alla mamma che sta succedendo qualche cosa. La mamma risponde con un secondo
ormone, c’è uno scambio ormonale per dire “va bene, è il momento”, a cui segue tutto il processo delle
contrazioni.
Noi non sappiamo quando è esattamente quel momento. Ripeto, in uno stato naturale è il bambino a
decidere. Ora, questa cultura non è per niente rispettata, per cui prevale il fatto che bisogna programmare
il giorno o perché c’è un parto cesareo o poiché i parti tendenzialmente avvengono di notte fuori turno del
personale medico o si prospettano di avvenire durante i weekend in assenza dei medici, si preferisce fare
un’iniezione di ossitocina e si anticipa il parto nelle ore di lavoro. Oppure, c’è questa situazione
ansiogena, per cui appena superato esattamente il termine - in realtà si potrebbe andare avanti altre due
settimane – inizia tutta una serie di controlli e alla fine si forza con l’ossitocina.
Dal punto di vista psicologico questo fatto non è neutrale, per cui una nascita prematura, in cui il bambino
non è pronto e viene improvvisamente spinto fuori, gli provoca una situazione di allarme. Ad esempio c’è
un’ipotesi per cui molte depressioni acute sono collegate a quest’idea della nascita forzata che
provocherebbe un notevole calo di energia al bambino, poiché si trova impreparato.
Nascite premature o forzate
Nitamo MONTECUCCO
Lo confermo. Quando noi facciamo i rivissuti del parto abbiamo due situazioni classiche da parte del feto.
Primo: “Voglio uscire, non ce la faccio più a stare qua dentro! Fate presto, lasciatemi uscire!”
Secondo: “Non voglio uscire, la mamma mi butta fuori”.
Sono situazioni molto comuni e vissute con precisione. In realtà l’interferenza può avvenire da tutt’e due:
se la mamma è molto matura, può rilasciare questo ormone anche se non c’è un equilibrio con il feto.
Normalmente, nella legge naturale degli eventi, dovrebbe esserci questo accordo. A volte nonostante il
feto è maturo, psicologicamente proprio perché non ha avuto abbastanza accoglimento e non si è sentito
forte, viene buttato fuori. Nelle matrici perinatali di Groff c’è questa analogia molto forte: se uno ha
vissuto bene l’intrauterino, questa esperienza è come un ritorno all’Eden, è come una situazione ottimale
di simbiosi, di fusione con il tutto che poi gli rimane, a cui, a volte, tende.
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Luisa BARBATO
D’altra parte questo processo della nascita e dell’espulsione viene vissuto come un momento caotico
tremendo per cui la nascita può essere vissuta come una vera e propria cacciata dall’Eden. Ciò lascia una
sensazione di non essere amati, di essere fortemente rifiutati. La cosa tremenda è che bisogna fare una
vera e propria battaglia per avere la naturalità. Posso testimoniare in prima persona la forzatura subita dal
mio medico che voleva far nascere mia figlia con un anticipo di ben dieci giorni. Cosa che io rifiutai.
Roberto SASSONE
Riprendiamo il principio che abbiamo assunto, ovvero che il tipo di esperienza che ogni individuo ha con
l’altro da sé, dà un’impronta specifica di come esso si relaziona con l’esterno. E, quindi, sono importanti
i passaggi da una fase all’altra. Il parto è il primo grande momento della separazione. E’ una cosa
banale, ma è fondamentale, perché lì c’è realmente un‘uscita da qualcosa. Si cambia completamente stato.
Innanzitutto, ricordatevi che si passa alla respirazione polmonare e quanto più è stata faticosa e
spaventosa per il neonato questa uscita, tanto più si fissa nel soggetto una modalità di questo passaggio.
Ciò significa che il come ci separiamo alla nascita dà l’impronta al come ci separeremo nella vita. Molte
difficoltà di separazione, ad esempio nelle coppie, sono ben determinate da quell’impronta fondamentale
della prima separazione. Poi, ci sarà la separazione dal capezzolo (lo svezzamento), poi ci sarà quella
edipica anch’essa molto importante. Quindi, noi abbiamo già tre indicazioni che ci possono dare
indicazioni su come l’adulto, che abbiamo di fronte come cliente, si orienterà nella sua vita.
Per quanto riguarda il parto diamo per scontati i traumi della nascita: la grossa fatica del nascere quando il
feto si trova incastrato nell’utero, oppure quando ha il cordone ombelicale attorno al collo che lascerà
nella persona il ricordo dell’esperienza di soffocamento, che potrebbe costituire il terreno su cui si
instaura la claustrofobia e la sensazione di sentirsi imprigionati. Sul piano psicologico ciò corrisponde
alla tendenza a sentirsi soffocati nelle relazioni affettive o nel lavoro. Se una persona si porta dentro per
esempio un’esperienza di soffocamento e di costrizione, questo è spesso un deterrente importante che
sviluppa il desiderio di uscire dalla propria gabbia. E’ proprio quell’esperienza negativa di essere rimasti
incastrati che sviluppa all’interno della persona un’aspirazione o un desiderio di riuscire a respirare, di
riuscire a rompere la chiusura, e diventa lo strumento e l’inizio di un percorso di evoluzione e di
trasformazione.
Nitamo MONTECUCCO
Prendiamo un bambino di un parto normale. Se lui già nell’utero ha un sufficiente I° chakra e quindi
reattività, una sufficiente forza interiore, passa una prova che lo rinforza nell’avercela fatta. Se, invece, il
bambino già dentro la pancia ha ricevuto poca attenzione e poca energia fisica vitale primaria, questo può
essere vissuto come una morte già all’inizio della vita e quindi si chiude ancora di più. Noi possiamo
vedere, dalla forza interna della persona, come quell’evento può alterare a volte la percezione stessa della
vita.
Chi ha fatto respiro con me avrà visto quanto a volte il respiro della nascita apre delle paure di respiro e di
vivere che sono degli imprinting che lo segnano nella totalità della sua esperienza.
Quindi, ripeto, l’energia primaria del corpo fisico del feto e l’energia del cuore (nel senso anche di
sicurezza) danno una forza che spinge l’individuo ad andare avanti nella vita con tutte le difficoltà, perché
fondamentalmente c’è una gran voglia di vivere. Mentre una persona i cui genitori gli hanno dato meno
carico e meno amore o meno intensità dentro, lo stesso parto difficile lo segna.
La fase orale
Roberto SASSONE
Parliamo adesso della fase orale. Puntualizziamo un aspetto di cui ha parlato già Nitamo Montecucco. La
fase orale significa fondamentalmente il momento della nutrizione in cui il bambino attiva il riflesso di
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suzione, che è un riflesso spontaneo senza il quale non potrebbe succhiare. Da non dimenticare che lo
stesso riflesso di suzione stimola ulteriormente il capezzolo della donna a produrre latte, il che dimostra
che c’è anche qui una comunicazione tra madre e neonato. E’ chiaro che è fondamentale che ci sia un
allattamento con il latte naturale che contiene tutta una serie di sostanze che favoriscono lo sviluppo delle
difese immunitarie; però che sia anche chiaro che non è esclusivamente la sazietà alimentare a soddisfare
il neonato. Il capezzolo è anche dispensatore di contatto e di energia della madre. In questo contatto c’è la
comunicazione vera tra madre e figlio, la relazione di fiducia e di riconoscimento, le radici su cui si
struttura l’identità del bambino. Da qui si deduce che la vera carenza nella fase orale, oltre ad essere
quella del non allattamento, è soprattutto la carenza di presenza della madre. Una madre che non sente il
suo corpo, pur avendo tanto latte, non trasmette calore, che non è soltanto fisico, ma quello che Reich
definisce la pulsazione vitale trasmessa nel corpo energetico del neonato e che attiva ulteriormente la sua
vitalità. Quindi, tutte le carenze fondamentali di questa fase hanno alle spalle la mancanza di contatto così
come noi l’abbiamo definito. Nella fase orale ci può anche essere non solo un difetto, ma anche un
eccesso: molte nevrosi sono causate dal troppo e non dal troppo poco. Una madre ansiosa che ha la
necessità ossessiva, principalmente per sè stessa, di rassicurarsi sulla salute del neonato può essere una
madre profondamente invasiva. Può dargli troppo spesso il capezzolo e dargli da mangiare anche quando
il neonato è sazio e stargli troppo addosso, causandogli un senso di soffocamento.
E’ importante definire queste due modalità: la modalità per difetto e per eccesso. Se ci troviamo di fronte
a chi è carente, dobbiamo essere aperti alla donazione e aiutare l’altro ad essere capace di prendere. Una
modalità per eccesso del paziente, invece, innanzitutto determina una struttura reattiva che mette le mani
avanti, che dice “non mi invadere”. Molti operatori o psicoterapeuti o psicologi hanno questo difetto
fondamentale che è la necessità di rassicurare sè stessi, aiutando l’altro. Quindi, vogliono vedere il
risultato e vogliono strafare. Il che impedisce al paziente di vivere anche l’esperienza fondamentale del
riuscire a trovare le chiavi per uscirne fuori. Guai a non capire che c’è un individuo di fronte a noi che
essendo stato asfissiato dal troppo “amore” ha bisogno, al contrario, che l’operatore o lo psicoterapeuta
tratti questa tematica dandogli la possibilità di sentirsi libero.
Uscendo dal discorso strettamente orale, il come ci si relaziona diventa un come che si manifesta con la
stessa modalità ripetitiva nelle varie fasi di sviluppo successivo: per esempio il come uno sceglie il lavoro
o il tipo di struttura conosciuta in cui egli sceglie di rimettersi perché dà maggiore sicurezza. Questo ci
aiuta ad affrontare il ‘qui e ora’ del cliente, perché, non dimentichiamolo, come operatori lavoriamo
soprattutto nel presente. Quindi, il sapere oltre al ‘qui e ora’ del cliente anche il suo come ripetitivo nel
presente, ci aiuta a dare una chiave interpretativa per fargli vedere meglio che è proprio il suo come che
gli impedisce di uscire da una certa situazione. Poi, il modo in cui ci uscirà potrà far parte o di una sua
esperienza o un approfondimento terapeutico a cui potremmo orientarlo. La nostra funzione è di dirgli
“guarda e vedi questa cosa, questo lo ripeti puntualmente in tutte le situazioni che si assomigliano”.
L’imprinting: il principio del condizionamento
Nitamo MONTECUCCO
L’imprinting è stato scoperto dal premio Nobel, Konrad Lorenz, etologo, che osservò come un’anatra
appena uscita dall’uovo identifica come ‘mamma’ la prima figura animale che vede vicino a sé. Lorenz si
mise vicino alle uova che si schiudevano e divenne così la ‘mamma’ delle anatre appena nate: lo si vede
in numerose immagini che nuota nel lago con le anatre dietro che lo seguono in fila. Questo è
l’imprinting: è una logica di identificazione vitale per cui ‘questa è la mamma’.
Tutti gli animali superiori, mammiferi e uccelli, nei primi momenti della vita, mostrano una tendenza al
condizionamento e all’identificazione con strutture psicofisiche genitoriali.
Nel momento iniziale dell’esperienza di vita, compresa anche la matrice prenatale che è fondamentale, le
logiche di vita dei primi giorni, mesi e anche due-tre anni, formano una serie di situazioni che sono
l’imprinting psichico di tutta una vita. Questo accade in tutti gli animali.
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Dentro di noi abbiamo due forze giganti, una forza maschile e una forza femminile. Sono i due archetipi,
la dualità del Tao, la dualità della vita. Se all’inizio la forza della vita ha quell’imprinting, noi andremo a
riconoscere e codificare sulla nostra parte femminile, sul nostro cervello femminile, quel tipo di energia
come l’energia di base. E codificheremo subito dopo il maschile sul padre. E’ chiaro che un imprinting di
una mamma che fa o non fa certe cose, che ti dà amore o te lo toglie, che è rigida o triste o amorevole, dà
un imprinting che rimane come codice per tutta la vita. E rimarrebbe necessariamente quello per tutta la
vita se non fosse che l’essere umano ha un codice psichico capace di ristrutturarsi. Negli animali, se
hanno un imprinting di un certo tipo voi non riuscite a toglierlo più di tanto: i cani bastonati quando li
accarezzate sono tutti contenti, però basta un tono di voce più duro per vedere subito la coda tra le gambe.
E’ evidente il I° chakra in chiusura e un atteggiamento di richiesta di aiuto che non glielo togliete più.
Oppure se sono cani aggressivi o hanno reazioni in suzione rimangono così tutta la vita: li potete
coccolare o dargli tutto il cibo possibile, miglioreranno un pochino, ma quella reazione ci sarà sempre.
Mentre, invece, nell’essere umano noi riusciamo a modificare l’equilibrio psichico in modo funzionale e
profondo per cui quel tipo di imprinting alla fine viene perso. Questo perché noi facciamo sempre appello
alla parte profonda, saggia e naturale, che attraverso il processo di autocoscienza viene a emergere.
Quindi, è l’autocoscienza la discriminante che ci permette di superare l’imprinting. Dobbiamo ricordare
due cose: uno, che abbiamo un cervello più grande per cui abbiamo una serie maggiore di aree
associative. Secondo, che dato che abbiamo un imprinting molto più lungo e articolato, questo ci permette
di modificare. E’ la coscienza che forma il cervello e gli dà le funzioni e non il contrario.
Vi do un esempio classico di una bambina americana di quattro anni – che parlava regolarmente - con un
tumore nell’emisfero maschile del linguaggio. I medici le hanno tolto quella parte del cervello e lei smise
di parlare. Sulla base della conoscenza di chirurgia oncologica dissero che togliendo quella parte del
cervello la bambina probabilmente non avrebbe parlato più. La bambina aveva quattro anni, per cui aveva
ancora una certa plasticità neurofisiologica. Poiché lei voleva parlare nel giro di due, tre anni riuscì a far
funzionare l’emisfero opposto, che non viene considerato area di linguaggio, e ricominciò a parlare. Se
fosse successo, secondo loro, a sette anni, lei non ce l’avrebbe fatta perché la struttura a quell’età è ormai
troppo forte. In questo caso c’è proprio un’ablazione di una parte del sistema nervoso. Noi, invece,
parliamo a livello funzionale di imprinting, di associazioni, che possono essere modificate con un lavoro
di consapevolezza.
A questo punto stiamo già vedendo una serie di parametri – continueremo con altri caratteri - ma i
contesti di esperienza vitale per eccellenza, ciò che abbiamo chiamato l’asse renale, il I° chakra, il
cervello rettile per eccellenza, il cuore, la psiche, le associazioni affettive, vengono già codificate in
questo modo con una serie amplissima di varianti per ciascuno di noi.
L’EVOLUZIONE
CARATTERI
UMANA
E
LA
FORMAZIONE
DEI
Roberto SASSONE
Riflettevo su come è facile intrappolarci negli schemi e nelle strutture, per quanto schemi e strutture siano
fondamentali per dare indicazioni, anche se nello stesso tempo possono essere delle trappole. E pensavo
anche a quello che è veramente utile a noi che facciamo un corso di questo tipo, in quanto sicuramente
noi non ci occupiamo della patologia però dobbiamo saperla riconoscere, proprio per evitare di caderci
dentro. Anche questa sarebbe una trappola perché in quanto operatore olistico cadere nella patologia del
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nostro cliente significa non segnare il territorio nella modalità che ci è utile in quanto operatori. Pensavo
anche che per quanti sforzi noi facciamo a definire un individuo, nel nostro linguaggio, affiora
continuamente il senso della separazione tra il corporeo e il mentale, anche se continuamente ribadiamo
che questa separazione non esiste, ma di fatto è difficile usare un linguaggio olistico che tiene conto di
questa unità nell’essere umano. È proprio la difficoltà verbale di esprimere questo tipo di realtà
dell’individuo.
Quando penso all’essere umano lo penso e lo sento come un’unità. E quando osservo il corpo di una
persona, sempre più osservo l’espressione nel corpo della coscienza di quella persona. O addirittura
possiamo dire che, osservando il corpo di quella persona, possiamo comprendere anche che rapporto
emotivo ha con la vita e che impostazione mentale ha nei confronti della vita. È come se ci fosse una
dimensione unificata tra il modo di pensare, il modo di sentire e la manifestazione corporea che appare
come dimensione più evidente dell’insieme di questo modo di sentire e di pensare. Il manuale del
counseling, insieme al libro di Nitamo, ci danno una visione teorica delle strutture caratteriali, per questo
cercherò di andare su una dimensione un po’ diversa. Proviamo ad immaginare che tutte le tappe
dell’individuo, quindi dall’intrauterino fino al momento immediatamente precedente alla morte, siano di
per sé, e questo è banale dirlo, esperienze fondamentali.
Ogni esperienza fondamentale è inscritta nell’individuo su quattro livelli:
- sul livello fisico, quindi diventa un segno visibile nel corpo;
- a livello emotivo, quindi diventa un segno visibile nelle modalità di risposta emotiva che questa persona
avrà;
- a livello mentale, diventa un segno visibile nel tipo di struttura mentale che è collegata alle emozioni;
se osserviamo con attenzione e direi quasi con uno sguardo che parte dalla coscienza del cuore, vediamo
che questi segni visibili diventano anche un’imprinting, che può essere anche qualitativo dell’anima di
questo individuo.
È importante dire questo perché come operatori olistici il nostro scopo è riuscire a tradurre questi segnali
corporei, emotivi e cognitivi, e quindi animici per evidenziare le qualità possibili. Il terapeuta lavora con
un’attenzione specifica sul disturbo per portare il disturbo, in un processo di trasformazione, ad un livello
di armonia e consapevolezza. Già è stato detto più volte come il counselor od operatore olistico porta o
mette l’attenzione sulle possibili qualità da sviluppare e quindi sulle risorse che possono essere proprio in
qualche modo stimolate dalle esperienze negative che l’individuo ha fatto attraversando le varie tappe di
sviluppo nella propria vita. Più che parlare delle strutture del carattere, anche se faremo delle osservazioni
in merito, cerchiamo di comprendere che cosa fondamentalmente viene toccato nelle varie fasi di
sviluppo. Nitamo ha parlato molto dell’intrauterino e del neo-natale, quindi tralascio questo aspetto ma
sottolineo il fatto che tutto il periodo dell’intrauterino e del neo-natale è collegato allo sviluppo del primo
chakra.
Carattere “schizoide”: il “distacco” del corpo
Il primo chakra, che è poi rappresentato nel corpo fondamentalmente dalla pancia, dalle gambe e dai
piedi, esprime la tematica della capacità di stare nella vita, quindi della sopravvivenza, la tematica della
stabilità Quindi dà l’indicazione fondamentale di quanto un individuo è capace di trovare nella propria
esistenza una radice su cui far crescere il resto della propria vita, ovvero quanto è capace di crearsi una
struttura importante, quanto è capace di avere una solidità. Il primo chakra indica tantissimo la capacità di
avere un luogo in cui stare, una posizione solida in cui attecchire, indica anche il proprio rapporto con il
denaro, cioè la capacità di creare una struttura che consenta, in ogni caso della vita, di poter sopravvivere.
Quanto più una persona è in grado di sopravvivere tanto più ha una solidità del primo chakra, vale a dire
un buon grounding, la capacità di stare coi piedi per terra. Questo ci dà un indicazione molto forte del
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contrario, cioè l’instabilità, il caso di una persona che non riesce mai a stare da nessuna parte non solo
fisicamente, ma non riesce a stare da nessuna parte nemmeno dentro di sé. E una persona così ha una
caratteristica, l’eterna paura di vivere. E la paura, come voi sapete, è l’emozione base del primo chakra.
Questa carenza di primo chakra e quindi questa mancanza di contatto profondo con la propria fisicità,
naturalmente genera delle grosse rigidità corporee, e genera una specie di separazione con il corpo. Chi
non riesce a sentire il proprio corpo o lo vive come un oggetto da utilizzare o una carrozzeria in cui stare,
che non sente magari il dolore, che è in grado di affrontare situazioni estreme e non perché c’è una vera
forza quanto un’insensibilità, ha sicuramente una struttura che è la base del carattere schizoide, che
significa scisso, separato dal proprio corpo. Vivendo il corpo come un oggetto può fare anche cose
incredibili, ma ha una grossa difficoltà a sentire. Una difficoltà molto grande di aprire il cuore perché
l’energia di base, quella del cuore, è l’energia più chiusa. Il cuore ha una grossa difficoltà in una struttura
del genere ad aprirsi. Lo schizoide non sente fondamentalmente il bisogno degli altri, perché non sente il
bisogno come tale. Il bisogno è la tematica del carattere orale.
Luisa BARBATO
Nella diagnostica della patologia è come se ci fosse un’asse che va dalla manifestazione più grave -la
schizofrenia- alla meno grave –carattere schizoide o con tratti schizoidi-. Anche se stiamo facendo delle
semplificazioni, in realtà ognuno di noi è una manifestazione della coscienza, per cui ci sono moltissime
variabili che entrano in gioco: la densità energetica dei genitori, com’è stato il concepimento, la
gravidanza, l’imprinting durante la gravidanza, eventuali allarmi che la madre ha dato, eventuali minacce
di aborto, esposizioni temporali diverse ad eventi traumatici durante la gravidanza. Quanto più lunga è la
durata di esposizione ai traumi tanto più profondo sarà il segno lasciato nella persona. Le variabili sono
moltissime ed è molto importante non entrare subito nella categorizzazione.
Tra le tante visioni molto diverse nella nostra concezione energetico-sistemica una situazione di allarme
che avviene in un periodo intruterino, ma che non è così prolungata e devastante, può portare ad una
situazione schizoide. Schizoide vuol dire che c’è una separazione di una parte dal sé. Quindi, quando la
parte fisica e la parte emozionale non sono ben integrate. Nella persona schizoide la separazione avviene
soprattutto nella parte emozionale. Una persona schizoide si riconosce, perché è una persona ritirata e
sente il corpo a pezzi.
Nitamo MONTECUCCO
E’ come se quella matrice iniziale di cervello rettile, di I° chakra, di grounding, di fisicità fosse venuta a
mancare; come se l’anima non fosse veramente scesa nel corpo che non si è sentito nutrito, amato e
energizzato. Lo schizoide è una persona che non è realmente in sé, è un po’ staccata.
Luisa BARBATO
Spesso si ritira nella testa e diventa una persona che vive in un mondo tutto suo. Anzi, è una persona che
sceglie deliberatamente di vivere in questo mondo interiore fantastico rifiutando il contatto con gli altri. Il
contatto con gli altri lo metterebbe di fronte al dover relazionarsi con tutti i suoi livelli: con la fisicità, con
l’emotività e con tutta la parte intellettiva. Questa persona non può mettersi in relazione, perché l’altro gli
fa da specchio e quindi vedrebbe nell’altro la propria separazione. Questa separazione inizia prima dal
corpo, poi nell’emotività e infine nella testa.
Non è una persona psicotica. Quello che, però, si trova più frequentemente è il tratto schizoide. Le
persone presentano delle caratteristiche che rimandano all’essere schizoide in compresenza di altri fattori.
Il tratto schizoide è molto in espansione nella nostra cultura, perché la mancanza di integrazione viene
vissuta fin dal periodo intrauterino, porta alla separazione e all’incapacità di sentirsi sia fisicamente che
emozionalmente. Quindi i suoi rapporti non sono veramente di contatto, pieni.
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Nitamo MONTECUCCO
Sono persone sfuggenti, non ci sono. Vedete già nei loro occhi la loro identità mancante o la paura di
esistere o la sensazione di non aver diritto di esistere. Quando gli chiediamo di sentire il corpo, loro non
sentono niente. Normalmente gli facciamo fare le tecniche più elementari di massaggio, percezione del
corpo, rallentamento, amorevolezza, cura. Non è una cosa che succede in poco tempo, però anche con un
massaggio, con l’affetto, con la percezione del corpo si hanno dei risultati. E’ un lavoro fatto con
profondità, perché deve riaprire il senso di esistere, della sua essenza, e recuperare quello spazio
mancante che lo ha portato a ritirarsi.
Luisa BARBATO
La patologia schizoide è sempre riferita ad un allarme – minaccia di morte - che in questo caso si riferisce
al periodo prenatale. Tuttavia è importante tenere presente che la patologia su tutti i livelli è sempre
collegata alla paura, perché è la paura che determina la contrazione. Bisogna recuperare la propria
integrità e la propria ombra per entrare e diventare in qualche maniera lo spettatore della propria paura,
scendere nella propria paura. Questo è fondamentale.
Nitamo MONTECUCCO
Gli schizoidi sono tenacemente nella testa e anche quando gli viene fatto un massaggio non sentono
veramente il corpo, sono meccanici. In realtà la paura porta un estremo disagio nell’entrare nel corpo,
perché lì rievocano una serie di esperienze emozionali molto dolorose, come ad esempio il non essere
stato amato quando dovevano essere amati.
Luisa BARBATO
Il termine paura è un termine generale, perché sono molti i tipi di paure. Nel caso di queste patologie sono
paure molto ancestrali, è più una paura di vivere, una paura che non ha una ragione, non è collegata ad un
episodio: è allarme primario incondizionato. Mentre le paure che si hanno nei livelli di sviluppo
successivi diventano molto più circoscrivibili. Ad es. paure di episodi vissuti nell’infanzia, paura di una
situazione specifica, che è un’altra cosa da quello che si prova a livello prenatale.
Nitamo MONTECUCCO
Anche nella patologia classica del masochista, che vedremo tra poco, essenzialmente abbiamo una
persona che ha paura di sentire le energie forti primarie, è una persona che si è protetta (vedremo pure
l’iter di formazione di questa personalità), però è diversa da quella paura più profonda e più assoluta del
carattere schizoide. E’ più una paura pratica, lì c’è stato un impedimento: “mi hanno controllato”, “mi
hanno detto di non farlo e io mi sono abituato così”. Sotto c’è più un’emozione calda che raccoglie delle
rabbie, delle inibizioni, delle tensioni, ma è più umana. A volte sembra un blocco più duro dell’altro, ma
in realtà è più flessibile. Il carattere schizoide richiede una presenza e un lavoro più di profondità.
Roberto SASSONE
Aggiungo ancora qualche dato sulla struttura fisica dello schizoide. Innanzitutto diciamo che gli schizoidi
hanno una grossa padronanza del loro corpo, proprio perché non lo sentono. Il corpo è un robot in cui loro
abitano. Hanno una percezione smembrata di sè stessi. Se gli si fa sentire il proprio corpo dopo un certo
lavoro, sentono il braccio staccato dalle spalle, le gambe staccate dal tronco: non hanno assolutamente la
percezione unitaria di sé. Questo quando lo sentono. Normalmente, invece, non lo sentono proprio.
Hanno anche una grossa resistenza per il dolore. Sono strutture che hanno una profonda tensione interna:
sono magri e dritti. E grazie a questa grossa padronanza del proprio corpo possono fare cose incredibili.
Molti ballerini/e classiche sono schizoidi: stanno alla sbarra per ore, giorni, anni con una disciplina
rigidissima.
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Il carattere “orale”: il buco affettivo
Luisa BARBATO
Una cosa da tener presente è che ormai non si riesce più a dare una definizione univoca. Ci sono delle
griglie, però l’idea è di fare una clinica della persona che sia multilivello e di tratti separati. Mi spiego
meglio. L’operatore dovrebbe chiedersi: Com’è stato l’intrauterino di questa persona? Com’è stato il
parto? Com’è stato lo svezzamento? Com’è stata la fase anale, edipica, l’adolescenza e così via? Ogni
fase di sviluppo ha una sua qualità, una sua caratteristica e l’insieme di questi tratti dà un’idea di com’è la
struttura di quella persona. Ad esempio se una persona ha avuto una fissazione prevalente in fase orale,
vuol dire che il parto è andato bene, ma poi non ha avuto l’allattamento oppure la madre, che era ansiosa,
gliene dava molto; questa persona è molto nella bocca per cui si dice che il tratto orale è prevalente.
Potrebbe, però, benissimo essere che una persona con un tratto orale prevalente - che è collegata sempre
con un situazione di richiesta e di energia bassa - magari poi ha avuto un rapporto edipico con la madre di
grande conferma e accettazione per cui sviluppa una struttura esterna molto seduttiva e affascinante; in tal
caso avremo un tratto isterico di copertura con sotto un’oralità. Quando togliamo questo tratto di aggancio
alla sessualità troviamo una persona richiedente, una persona orale, perché il suo tratto in realtà è l’oralità
che viene compensato. Quindi, c’è tutta una mappa più complessa che sicuramente voi non dovrete
affrontare.
Nitamo MONTECUCCO
E’ come se i blocchi possano essere paralleli e in un certo modo possano coesistere, per cui in certe
situazioni ne emerge uno e in altre situazioni emerge un altro, e possono in qualche modo coesistere
ribilanciandosi tra di loro. Rifacendoci a quello che abbiamo detto su una personalità multipla, quando
non esiste ancora un Sé centrale, un senso dell’identità profonda globale, esistono tante subpersonalità. I
cinesi le chiamavano le personalità d’organo, per cui l’organo Rabbia prevale sull’organo Tristezza o
sull’organo Gioia di vivere o hanno una serie di equilibri tra di loro. Li possiamo vedere come
caratteristiche d’informazione di strutture di personalità, li possiamo vedere come qualità dei chakra e
questo in contemporanea perché funzionano tutti. Vi do un esempio: quando facciamo l’apertura del II°
livello possono uscire una serie enorme di cose. All’80% esce il rapporto di tristezza o di mancanza
d’amore con la mamma e quindi l’energia più comune è l’energia della tristezza e del pianto. Esistono,
però, tutta una serie di articolazioni: troviamo persone che chiudono la gola e non parlano più; persone
che continuano a piangere e parlare; persone che dicono di sentire un’esigenza ma rifiutano ogni aiuto
esterno e andando sul Fegato decidono di fare tutto da sole; altri che vanno sulla Milza e sono persuasi
che la loro vita sarà sempre così perché se la mamma non gli ha voluto bene nessuno gli potrà voler bene
e neanche lo cercherà; altri ancora che continuano a tenere viva la ferita e continuano a dire “io ho
bisogno, bisogno, bisogno…”; quelli che invece non esprimono non per reazione o rabbia, ma perché
chiudono e negano. Sulla caratteristica del bisogno orale, che è molto presente, abbiamo tutte queste
varianti a seconda dell’alchimia in cui gli organi e le energie delle persone si muovono.
Riprendiamo il bambino che è nato e vive tutta una serie di eventi altamente significativi per lui, tra cui il
parto stesso che è un grande processo di passaggio. Ricordiamoci che sono stati dedicati molti studi al
parto, dai quali si è scoperto che a livello psicologico, i bambini che hanno avuto il parto cesareo hanno
un rito di passaggio in meno. E’ come insito nello schema della vita doversi conquistare delle cose, fare
una certa fatica per ottenere un risultato. Oppure i neonati prematuri che vengono messi nelle incubatrici
che non danno assolutamente alcuna possibilità di contatto e di riconoscimento.
Quindi, il bambino vive questi momenti come i più delicati della sua vita fuori dalla pancia della mamma,
dentro la quale si sentiva molto più protetto e dove le condizioni di alimentazione sono lineari. Inoltre
abbiamo visto come la carenza o la relativa privazione del latte materno, o della presenza materna
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amorevole, può creare tutta una serie di bisogni psicologici nel bambino che poi si manifestano
genericamente nel carattere orale.
Roberto SASSONE
Con la struttura orale entra in funzione il secondo chakra, il piacere. Siamo nella fase dell’allattamento, la
fase del contatto con la pelle della madre, quindi quanto amore reale, ovvero quanta energia, quanto
calore reale è stato trasmesso. Il tema del piacere è un tema fondamentale, perché, potrei dire, che il
piacere è l’elemento che fa sorgere l’esistenza quindi la percezione dell’altro da sé: quando siamo nel
primo chakra quindi in una tematica di sopravvivenza l’aspetto fondamentale è la dimensione di
preservare noi stessi e di trovare uno spazio in cui riusciamo a sopravvivere; attivandosi il secondo chakra
nasce il desiderio che è un aspetto fondamentale, su cui c’è la crescita di ogni forma di relazione perché il
desiderio è la spinta verso qualcosa che sta apparentemente fuori di noi. Desideriamo qualcosa fuori di
noi. Il desiderio è una molla potente al movimento. Il bambino come inizia a sentire il desiderio è spinto
ad alzarsi o ancora prima a stendere le mani per afferrare qualcosa, e questo perché si è inserito un nuovo
circuito neuro-muscolare che trova la sua radice energetica nel secondo chakra, ovvero in questa spinta al
desiderio. Il desiderio insoddisfatto si trasforma in bisogno. La differenza tra desiderio e bisogno è sottile,
però è necessario comprenderla. Nel bisogno c’è una frustrazione, nel desiderio c’è una spinta
affermativa. Però ogni desiderio può diventare un bisogno. Ad esempio se io desidero mangiare e non
mangio, si trasforma in un profondo bisogno di mangiare, se invece il desiderio è soddisfatto c’è la
gratificazione ed il circuito viene completato e si può passare ad un altro tipo di attenzione. Possiamo ben
capire quanto le tematiche orali del desiderio-bisogno che sono tematiche affettive profonde, interessano
tutti noi in maniera così diretta indipendentemente però dal fatto che poi qualcuno abbia una preminenza
orale, in quanto magari ha avuto una grossa carenza nella fase dell’allattamento – contatto. E possiamo
anche vedere quanto, riuscire come operatori ad aiutare l’individuo a recuperare la spinta positiva che sta
dietro il bisogno, sia un cavallo vincente. Ma è importante non lavorare sulla frustrazione, come farebbe
un terapeuta, ma lavorare sulla possibilità di individuare un desiderio e quindi una spinta gratificante che
possa rimettere in movimento quel meccanismo inceppato dalla frustrazione. Il carattere orale ha
chiaramente un buco nel cuore molto forte, ha un atteggiamento di richiesta nei confronti della vita e si
sente in debito d’amore, ovviamente tutte le sue relazioni avranno la venatura di questa pretesa d’amore.
Direi quasi che la loro bocca-cuore è una ventosa. Questa dimensione diventa però passiva, perché
aspettando che il mondo soddisfi la loro esigenza, il movimento per realizzarlo in maniera autonoma
viene paralizzato. Ovviamente sto estremizzando per definire questo concetto, non esistono mai strutture
caratteriali così definite. Ma è pur vero che noi dobbiamo vedere la venatura, la caratteristica, la qualità.
Ed essendo in debito di cibo-amore è anche scarico energeticamente. Si tratta di strutture per lo più esili,
con il cuore chiuso, quindi con le spalle chiuse per proteggere il cuore-buco d’amore. Propendo per non
far entrare tutti i disturbi alimentari gravi, tipo anoressia o bulimia, nella struttura orale, come invero altri
fanno. Perché è una situazione molto più grave, non siamo in presenza di una richiesta d’amore, siamo
addirittura a dei livelli, come nel caso dell’anoressia, di rifiuto della vita, la paralisi di un impulso vitale
fondamentale. Io li metterei in disturbi di primo chakra, come negazione della vita. Nel caso della bulimia
siamo in un eccesso altrettanto distruttivo perché non è la fame che riesce ad appagarsi parzialmente
come quella dell’orale, che trova tanti piccoli appagamenti che non colmano il vuoto ma che ha la
capacità e duttilità di cercarne ancora. Nel bulimico il pozzo è talmente grande da essere senza fondo, non
c’è mai la possibilità di riempire, è davvero un disturbo molto grave nel quale ora non voglio entrare.
Tornando all’orale, ha questa eterna richiesta, e quindi ha sempre la sensazione che non gli venga dato
quello che merita. E la sua ricerca del piacere è quasi come quella di un marinaio che vaga di porto in
porto sperando che arrivi quello migliore in cui poter finalmente riposare. La tematica del bisognodesiderio e la tematica del rapporto con il piacere.
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Ma lo sviluppo va avanti ed entra in funzione il terzo chakra. Potremo dire che questa prerogativa che è
legata al piacere in cui ancora c’è una relazione stretta con la madre perché il neonato non si può ancora
staccare, acquista una dimensione ancora più vasta in quanto nasce la muscolarità. Pian piano il bambino
comincia a poter compiere degli atti muscolari, come alzarsi in piedi, che corrisponde davvero ad un salto
evolutivo. Il mondo comincia a diventare un territorio da esplorare. Non c’è più un mondo che deve
venire verso di te come nell’orale, nel muscolare e quindi in questa nuova fase in cui si comincia ad avere
il controllo della propria muscolarità, si ha la possibilità di sviluppare l’aggressività, vale a dire la spinta a
realizzare; quindi la vera autonomia inizia con la muscolarità. Potete immaginare come in questa fase sia
importante che il bambino senta, da una parte che gli è concessa la libertà dell’esplorazione, e dall’altra
senta che c’è lo sguardo del genitore. È molto bello questo momento, vediamolo nell’aspetto positivo,
non nella patologia. Perché in questo aspetto positivo possiamo ritrovarci come counselor dando proprio
questa dimensione. Cosa può fare il counselor? Può aiutare il proprio cliente a sperimentare cosa avviene
in questa fase della muscolarità. E lo può fare lavorando sul suo corpo, aiutandolo a riconoscere delle
risorse nuove, aiutandolo a fare dei piccoli progetti, aiutandolo a risvegliare la capacità di curiosità e
d’esplorazione; però ci deve ‘essere’, e l’esserci non può mai essere una menzogna. Una persona, se c’è,
si sente che c’è. Al di là di tutto quello che può dire di sé, è sentita nel suo esserci. Un genitore, se c’è,
non ha bisogno di dire molte cose; se un genitore c’è il figlio sente il suo sguardo, e lo sguardo non è più
come il contatto nella fase orale, si passa in uno sguardo in cui anche qui c’è un movimento da sé all’altro
che non passa attraverso il contatto fisico ma passa attraverso il contatto del cuore. Sono entrambi contatti
importanti, ma uno è più essenziale, quello viscerale della madre, ma quando poi si passa da un secondo
chakra ad un quarto chakra del genitore il contatto passa attraverso lo sguardo. E ricordatevi che uno
sguardo che non passa attraverso il cuore non è uno sguardo. Ovvero vedere il mondo è sempre un atto di
consapevolezza e di presenza per tutti noi, non ci illudiamo che vedere è semplicemente uno stimolo
neurofisiologico. Vedere un figlio senza la presenza di un mio sguardo che nasce dal cuore significa
vedere un oggetto fuori di me. Vedere è esserci, quindi come un genitore o c’è o non c’è e non ci si può
creare un’illusione menzognera, allo stesso modo un terapista o un counselor deve essere sentito, perché
questo crea la possibilità del progresso nel cliente. Se c’è questa capacità di stimolare il movimento,
allora si attiva questa muscolarità. Che cosa accade? Che generalmente i genitori hanno paura e sappiamo
che le nostre paure sono le nostre proiezioni. Ovvero nella maggior parte dei casi noi ci inventiamo il
mondo, vale a dire che creiamo un mondo che è lo specchio delle nostre paure o dei nostri rifiuti. Quindi
attribuiamo all’altro una serie di prerogative che non gli appartengono. Allora un genitore che ha paura
crea nella sua mente una serie di disastri che vengono assorbiti dal bambino come timore del pericolo, ma
del pericolo immaginario e non reale. E quindi il mondo viene vissuto come un mondo esclusivamente
pericoloso. Il genitore che fa così paralizza il movimento, ma siccome in questa fase muscolare tutto
l’impulso vitale va verso il movimento, paralizzare il movimento vuol dire bloccare e irrigidire i muscoli
in maniera forte. Perché significa proprio contrastare un impulso fondamentale che è quello
dell’esplorazione, e quindi paralizzare il movimento significa creare i presupposti per una struttura
masochista.
Il carattere “masochista”: l’inibizione alla libertà
Roberto SASSONE
Proprio perché ha dovuto frenare tutto l’impulso vitale è anche capace di reggere grandi carichi, è
allenato a trattenere quindi a reggere e a sopportare. In questo reggere e sopportare c’è anche la qualità da
prendere in considerazione, nel senso che in questo reggere c’è anche una determinazione da sfruttare
come risorsa, per noi operatori e terapeuti, nel trattare un caso del genere. Come nell’orale c’è la risorsa
del movimento del piacere, nel masochista c’è la risorsa della determinazione. Mentre l’orale ha un corpo
scarico, si affloscia, e quindi attivare il piacere per l’orale significa attivare la possibilità di nutrirsi e
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gratificarsi in maniera più autonoma, nel muscolare-masochista incentivare il movimento e la sua
determinazione significa dare la possibilità di sbloccare questa paralisi che lo porta a contenere un
quantitativo di energia enorme, perché il masochista ha molta energia da spendere, se trova realmente la
causa giusta, quella che corrisponde alla sua aspirazione profonda. Parlando di struttura fisica, così come
l’orale, che in quanto scarico, ha un torace infossato, spalle chiuse, gambe esili e poco grounding, la
struttura fisica del masochista, proprio perché ha questa capacità di reggere, è molto più solida e a volte
tozza, con spalle grosse, il collo incassato e taurino, torace gonfio, e spesso con gambe come tronchi.
Essendo abituati a trattenere il loro movimento, hanno delle grosse contrazioni al livello della zona delle
natiche, della zona anale, del pavimento pelvico e la parte interna delle cosce. Se noi ora simulassimo
l’atteggiamento del trattenere, cosa accade? Ogni parte del corpo è chiusa e contratta. Quando si lavora
con una persona con una struttura masochista, la prima cosa che viene fuori è che si sente imprigionato, e
già sentirsi tale significa esser consapevole, questo è molto, percepisce il peso che prima non sentiva.
Questo è valido per qualsiasi struttura caratteriale. Vale come indicazione che riuscire a passare prima
dello scioglimento di un blocco, attraverso la sensazione del disagio e della contrazione in una
determinata parte del corpo, è la base per poter poi aiutare a sciogliere. I primi contatti con il corpo sono
dolorosi, a seconda di dove uno ha le proprie contrazioni, perché finalmente uno sente quello che già
c’era ma che non veniva percepito. E una contrazione non può essere gradevole. Se si passa attraverso il
dolore si dà all’altro la possibilità di mettere l’attenzione su dove può sciogliere. E mettere l’attenzione su
ciò significa dargli la possibilità di passare dalla sensazione fisica che viene individuata, all’emozione che
è collegata a quella sensazione fisica. Perché bisogna ricordare che emozione e contrazione sono due
facce della stessa medaglia, cioè il corpo è tutto emotivo, non si può sciogliere veramente una contrazione
-leggi difesa- se non c’è la liberazione consapevole dell’emozione tenuta bloccata da quella parte del
corpo. Andando avanti in questo processo, naturalmente questa esplorazione porterà ad un altro evento
che accade gradualmente: man mano che la muscolarità è diventata sempre più sviluppata e quindi c’è la
libertà del movimento, si comincia ad attivare un altro livello del desiderio-piacere. Non siamo più nel
livello piacere diffuso nel corpo come nell’oralità, ma si comincia a sviluppare il primato dei genitali. Si
attiva la zona dei genitali. Stiamo parlando dei primi tre anni di vita. Questo piacere che è legato alla
sensazione dei genitali, introduce un’altra tematica, che non è più la tematica del piacere indifferenziato,
ma la tematica dell’attrazione maschile-femminile. Su tale tematica ci sarebbe da parlare molto, diciamo
fondamentalmente che anche qui vengono fatti dei danni molto evidenti. La libertà del piacere è la base
della libertà del pensare. La base della sessoeconomia come diceva Reich.
Nitamo MONTECUCCO
Nella crescita, se tutto va bene, noi osserviamo un secondo periodo critico. In realtà quello che accade
molto comunemente è che la rigidità della struttura familiare -che può essere della mamma o del padre o
della nonna, che vive più nel passato che nel presente in casa-, condiziona la crescita del bambino.
Comunemente viene a crearsi questa polarizzazione dove il bambino nella sua crescita (è come un
animaletto che si muove, comincia a sgattaiolare, guarda, tocca, fa delle cose) comincia a venire
fortemente condizionato dalle ansie, dalle paure, dal controllo della struttura materna o familiare. Che
cosa succede normalmente? La mamma ha paura che si muova e non lo lascia muovere, ha il terrore del
controllo e lo continua a controllare, è tendenzialmente ansiosa e continua a trasmettere questo senso di
incertezza e insicurezza in tutte le cose. Il punto di controllo. Nel passato non esistevano i pannolini, per
cui ogni volta che il bambino si sporcava innestava un maggiore controllo degli sfinteri anali da parte
della mamma che trasmetteva ulteriori ansie, paure e sottili angosce che vanno tendenzialmente a
controllare tutti gli esercizi primari di espansione psicomotoria del bambino. Quindi, tendenzialmente
creano nel bambino un bisogno di controllo, un meccanismo che, purtroppo, è molto comune. Non è tanto
il controllo sfinterico che adesso è prevalente (pensiamo alla sostituzione dei moderni pannolini usa e
getta), molto di più, invece, nelle giovani generazioni è il controllo generale. Nella civiltà odierna c’è un
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maggiore controllo generale: mentre, fino a qualche decennio fa, i bambini potevano essere relativamente
liberi con spazi maggiori (vivevano più in campagna) o avevano tempi più dilatati, ora vivono tra le
macchine, la televisione, in case sempre più piccole e con tempi sempre più stretti, con un’ansia di
controllo maggiore. Il tipo di meccanismo che passa genera una tipologia ampiamente molto comune del
carattere masochista.
Il masochista è ovviamente un termine molto grosso. Una volta comprendeva il carattere anale , ma dato
che negli ultimi due, tre decenni si è visto calare fortemente questo tipo di controllo, è stato come
sostituito con un altro, per cui una certa tipologia comunque continua a sottostare. La mia sensazione è
che più del controllo anale, che era più un’identificazione che Freud aveva messo in evidenza, è più un
carattere della mamma o della famiglia che continua ad interferire con l’apertura psicofisica del bambino.
Roberto SASSONE
Agganciamoci a questo discorso del periodo che Freud chiamò della fase anale, e che noi possiamo
invece tradurre in una chiave più moderna e funzionale. In realtà il fatto che Freud abbia parlato del
carattere anale e lo abbia collegato allo sfintere legato alla funzione dell’evacuazione, ha anche un
significato fisiologico in termini più generici. Verso i due anni di età si comincia ad avere il controllo
volontario della propria muscolatura. Il bambino finchè non riesce ad alzarsi in piedi e non comincia a
camminare e non ha la capacità di controllo sulla sua muscolatura, non può fare tutta una serie di
operazioni di trattenimento, perché il corpo non glielo consente.
Il tratto anale del masochista è il tratto di una persona che è impedita nella sua possibilità di agire la
propria vitalità, per cui lui trattiene con la sua muscolatura generale e blocca il suo movimento vitale:
blocca le sue emozioni, blocca la sua azione, blocca la sua aggressività. Questo lo può fare
fondamentalmente nella fase dai due ai cinque anni, proprio perché il corpo glielo consente. Quindi, la
struttura del masochista è una struttura carica di energia. Il suo corpo, al contrario del corpo dell’orale
(che ha un corpo più esile, con un torace scarico e una dimensione di richiesta), è un corpo che è capace
di contenere e assorbire grosse cariche di energia e di sostenere molte responsabilità. Fondamentalmente
nella dinamica familiare c’è una madre che ha il potere, ha la direzione e il comando, e c’è un padre
sottomesso o assente. Questo tipo di madre induce nella relazione con il bambino questo messaggio: tu
devi fare come ti dico io! Questo è il modo per avere l’amore dalla madre, per cui il bambino si trova in
una situazione terribile: se vuole essere amato dalla madre deve fare quello che la madre gli impone e non
può dire di no, non può rifiutarsi. Per essere sè stesso deve, invece, dire di no alla madre, il che gli è
impossibile perché significa la negazione della relazione con essa. Allora impara a soddisfarla e a
trattenere tutti i suoi impulsi che lo porterebbero verso l’affermazione, verso l’espansione, verso il gioco e
la scoperta.
Nitamo MONTECUCCO
Non è detto che questo tipo di madre imperante si esprima sempre con le parole, può anche mostrargli
un’ipergentilezza e iperattenzione e quindi essere una mamma buona. E dato che lei è così, quando il
bambino, al suo primo anno di vita, comincia a muoversi, lei è lì che interviene prepotentemente e lo
blocca.
Conosco una bambina che già all’età di un anno aveva la struttura masochista completa. La mamma è una
persona che ha paura di vivere, ha grandi difficoltà di comunicazione, un forte senso di possesso nei
riguardi della bambina su cui esercita un forte controllo. La bambina è sempre compressa, rifiuta tutte le
attività vitali forti, ha un continuo trattenimento. D’altronde lei vuole molto bene alla mamma che le
mostra tutta una serie di attenzioni reali, ma quello che passa infine è l’autocontrollo e la paura e quindi
tutta l’energia vitale – soprattutto quella del Fegato e dell’espansione - viene contenuta e tutta questa
forza diventa una carica interna, è come se la pelle dovesse irrigidirsi e contenere tutto.
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Roberto SASSONE
Ciò mostra in maniera più chiara che quello che passa nella relazione tra madre e figlio non è tanto il
linguaggio verbale, ma il reale tipo d’intenzione che c’è. La madre è apparentemente buona e sorridente e
può essere talmente inflessibile da far comprendere che il suo sorriso si spegnerà se il bambino non è
come lei vuole.
Questa struttura caratteriale, quindi, è una struttura che è portata ad accontentare e assumersi
responsabilità. Può anche essere una grossa qualità una volta che viene estrapolata dalla situazione
nevrotica caratteriale, poiché queste persone hanno comunque una grossa capacità di lavoro, molta
determinazione, una grande capacità di sopportare degli sforzi, sono affidabili. Tutto questo è anche un
pregio, se uno riesce a liberarsi dalla sua trappola caratteriale e diventa un individuo capace di
determinare la propria scelta nella vita, usando qualità che sono state formate paradossalmente dalla sua
nevrosi. Ed è qui che l’operatore può intervenire e trasformare quella che era un’incapacità in una
possibilità maggiore di affermarsi nella vita. Ora, siccome la struttura masochista ha la necessità di
contenere le sue emozioni, blocca fondamentalmente la sua energia dalla gola fino a tutto il torace (in
genere sono persone con strutture grosse), nel diaframma e nell’ano che è interessato alla necessità di
contenere. Questo lo possiamo vedere fisiologicamente. Se abbiamo un minimo di contatto con il corpo,
ci accorgiamo che le nostre natiche si stringono o quando dobbiamo controllare o perché abbiamo paura.
Il corpo fa questo del tutto spontaneamente, per cui impariamo a sentirlo e a vederlo.
Se il masochista non si nascondesse più dietro la sua disponibilità e gentilezza, si scoprirebbe che è molto
arrabbiato. Ricordiamo a questo proposito più di un fatto di cronaca dove improvvisamente una persona
gentilissima e a modo uccide un parente.
La grande difficoltà del masochista è proprio la possibilità di provare il piacere. Per lui ottenere il piacere
significa fare un’operazione corporeo-energetica opposta a tutto quello che ha imparato a fare per poter
accontentare la madre. Il masochista per eccellenza contiene; al contrario vivere il piacere è mollare.
Collega il mollare a un terrore, perché essendo vissuto con l’esperienza di sé anche fisica di eterna
contrazione, sperimentare il cedere viene vissuto quasi come una perdita di identità. Ha paura di
smembrarsi, di cadere, di rompersi, d’impazzire.
Quindi, nel trattamento con il masochista bisogna tener conto di tutto ciò. La relazione terapeutica con il
masochista è molto complicata, ma interessante. Ho già accennato che c’è la tendenza dell’operatore o
psicoterapeuta a voler aiutare il cliente. Con il masochista l’errore più grande che si possa fare è cercare
in tutti i modi di farlo reagire e di farlo sbloccare e di fargli tirare fuori la sua emozione, perché in questo
modo ci comportiamo nello stesso modo della madre. Gli stiamo chiedendo ancora una volta di fare il
bravo e quindi gli rinforziamo proprio la dinamica da cui il masochista vuole fuggire.
Nitamo MONTECUCCO
Quando lo vedi osservi subito la chiusura della testa, senti la sua rigidità. Sente poco il corpo. Sono anche
delle persone intelligenti e sensibili a cui ti viene voglia di dire “E dai, smollati! Vivi! Apri!” perché lui
ha paura di muoversi, chissà cosa succede. Intanto, poi, la mamma non lo ama più. La mamma gli ha
trasmesso mille paure e ansie. Gli ha trasmesso, soprattutto, l’idea che per lui l’apertura è pericolosa,
paventa una perdita del controllo e non esiste più.
Roberto SASSONE
A questo punto vediamo cosa si deve fare e cosa non si deve fare con il masochista. Anzitutto bisogna
saper creare una relazione in cui lui abbia i suoi tempi di scelta nel mollare. Bisogna dargli la possibilità
di poter scegliere il momento in cui può lasciarsi andare. Non deve viverlo come un dovere o come un
dovere di accontentare il terapeuta. Quindi, sempre come operatori, anche nel lavoro sul corpo è più un
accennare una possibilità di respiro, di mollare anche un pochino il torace con un tocco dolce e lasciare
che sia lui a fare.
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Nitamo MONTECUCCO
Una delle cose che ho notato nel mio lavoro è che masochisti un po’ si nasce. Ho trattato una famiglia,
con due figlie. I due genitori sono normali, la madre è normale mentre il padre è di tipologia masochista,
è un po’ pesante, fisicamente pieno. Una figlia è normotipo ed è carina. La seconda figlia ha una
conformazione pesante ed è diventata un carattere masochista. Quando si dice in omeopatia “carbonica in
generale e calcarea in particolare”, si parla di una struttura dove l’intelligenza somatica, l’intelligenza
viva è ridotta. In questo caso specifico la seconda ragazzina è decisamente meno perspicace della sorella.
Nonostante né la madre né il padre le dessero più controllo dell’altra, lei si è creata una struttura
fortemente masochista, mentre la sorella non ce l’ha. Aveva già un fenotipo che l’avrebbe certamente
portata più facilmente ad essere di quella tipologia. Invece, la sorella aveva una tipologia più normotipo e
più esteriore, il condizionamento del controllo e delle pressioni su di lei non aveva molta presa. Invece,
nella concezione più piena dove nel sistema linfatico prevale la rotondità del corpo e la lentezza,
immediatamente è molto più consono a fermarsi e a chiudersi. Quindi, un carattere orale classico magro,
un po’ spinto, se lo chiudi diventa piuttosto un nevrotico, diventa un reattivo, diventa un frustrato o
nervoso, ma non diventa un masochista.
Quindi, in questa tipologia particolare c’è, secondo me, una forte base di struttura fisica di partenza, una
predisposizione, il resto lo fa sicuramente la struttura materna.
Roberto SASSONE
Per questo motivo è importante vedere il percorso delle varie fasi. Per esempio nella struttura masochista
è utile vedere che cosa è avvenuto nella fase dell’allattamento con quella stessa madre con quei tratti di
controllo e di predominio. Anche nell’alimentazione è molto facile che il masochista abbia subito
un’invasione rispetto all’orale che energeticamente è più scarico. La madre del masochista non tiene
conto dell’esigenza del figlio, non la rispetta, ma vede soltanto la sua necessità, secondo il suo schema e il
suo progetto, di ciò che è il meglio per il bambino. Quindi un masochista, anche come nutrimento che ha
avuto, è facile che sia pieno e che abbia la tendenza ad ingrassare. Bisogna collegare le varie fasi per
capire meglio l’individuo.
Nitamo MONTECUCCO
Nelle famiglie, molto spesso, i figli hanno tipologie e caratteristiche diverse. Uno è quello più veloce che
è riuscito a scappare di casa più in fretta, l’altro è quello rimasto in casa e su cui si riversa tutto
l’investimento futuro per la vecchiaia dei genitori. Quest’ultimo, nel peggiore dei casi, dove la mamma è
più imperante o dove la struttura è più rigida, non si muove più di casa. O se va via di casa sarà
perseguitato da un controllo continuo. E normalmente quando c’è questa situazione nell’inconscio del
bambino, nell’orale c’è comunque il grande desiderio di avere la mamma o un po’ di rabbia per la
mamma che non ti ha data la tetta, ma c’è pur sempre una dinamica di cuore aperto. Nel masochista
spesso questa mamma è veramente invasiva: ti ha fatto sentire amato, ma non ti ha veramente amato. Si
crea così un’idea della donna tale che nella vita non avrà voglia di sposarsi. C’è una chiusura di fronte ad
una relazione oppure si crea una situazione dove la moglie gli fa di nuovo da mamma dominante e quindi
si sente protetto.
Roberto SASSONE
Vediamo cose molto più semplici. Dall’utero materno nascono maschi e nascono femmine. Questo vuol
dire che la relazione con la figura femminile ce l’ha sia il maschio che la femmina, soltanto che il
maschio nel suo sviluppo libidico continua la relazione con la donna. La donna ha la relazione con la
madre, ma nel suo sviluppo deve incontrare un altro oggetto d’investimento libidico, ovvero il padre e
successivamente un uomo. Ha più possibilità di sganciarsi, perché va verso un maschile, non va di nuovo
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verso un femminile e quindi non c’è un rinforzo. Questo aspetto, che può sembrare banalissimo, è
fondamentale.
Nitamo MONTECUCCO
Infatti, chi rimane in casa è più facilmente ‘il cocco di mamma’ che non ‘la cocca di mamma’.
Questa è una tipologia di carattere comunissima. Considerate che l’anno scorso il secondo gruppo in
Accademia presentava una fortissima predominanza di comportamento da tipologia masochista. Non
avevano tanto il conflitto con il padre e neanche con la madre. Avevano una pesantezza con la mamma: la
amo, non posso distaccarmi. Quindi, quando abbiamo fatto l’apertura del cuore non usciva niente.
Mentre nell’orale a volte il cuore è ‘tanto’ e nello psicopatico è ‘pieno’ perché rinforzato dalla mamma,
nel masochista il cuore è molto ‘ristretto’ e respira poco, il corpo è piuttosto rotondo, la pancia piena.
Roberto SASSONE
Nel masochista il torace sta fondamentalmente in inspirazione, perché non riesce a sgonfiarsi. Mentre
l’orale non riesce a prendere, il masochista è pieno e non riesce a svuotare.
A questo punto vorrei fare un’altra osservazione: quando c’è una madre che controlla ossessivamente e
un figlio che la soddisfa in tutto per farsi amare - se poi il padre è veramente debole e insignificante – ci
sono i presupposti perché si sviluppi un’omosessualità. Ci sono molte situazioni di omosessualità che
hanno questo quadro. Vivono con la mamma che li ha castrati definitivamente, quindi l’aggressività virile
non c’è più. Non c’è l’identificazione con il padre, e per essere amati dalla madre si toglie energia al fallo.
Questo tipo di omosessualità è di carattere passivo. Mi fermo qui sull’omosessualità, perché è un tema
troppo complesso.
Nitamo MONTECUCCO
Uno dei meccanismi chiave dell’omosessualità è il condizionamento sociale a non riprodursi. Questa è
una delle tante basi, anche perché all’interno di una società iperpopolata come la nostra, la polarizzazione
maschio/femmina non è più così necessaria. Tutto è molto mediato per cui la polarità diminuisce, c’è un
codice genetico che scatta. In sovrapopolazione non è più necessario fare figli, la polarità
maschio/femmina viene diminuita e quindi a questo punto va bene tutto. Dall’altra parte, scattano dei
meccanismi psicologici dati dalla mancanza di polarità tra i genitori o con i genitori e il figlio.
Roberto SASSONE
Da tener presente che le nevrosi sono sociali e culturali. I caratteri che vedeva Freud è difficile vederli
adesso.
Il tratto “nevrotico”: iperreattività da stress e incapacità di relax
Nitamo MONTECUCCO
Il carattere nevrotico è una personalità caratterizzata da uno stato cronico di stress, di tensione e
ipereccitazione del sistema globale, in particolare del sistema nervoso. La tipologia nevrotica nasce
quando non vengono rispettati i ritmi lenti naturali di equilibrio tra il sistema nervoso, il sistema cardiaco
e il sistema fisico; il sistema nervoso subisce un condizionamento all’iperattività. Comunemente si
definisce la persona ‘nervosa’. Questa caratteristica nervosa è una caratteristica che prevale enormemente
nelle donne negli ultimi trent’anni. Da quando le donne, grazie al processo di emancipazione che
trent’anni fa ha portato avanti il femminismo, si sono accordate ad una tipologia sociale che è
assolutamente maschile, per ottenere gli stessi diritti degli uomini. Quindi hanno cominciato a fumare
come gli uomini, tanto che l’incremento della crescita della libertà delle donne è parallela al numero di
sigarette fumate ed all’entità della malattia del cancro che si è divulgata tra loro. E’ molto vicina alla
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diminuzione del seno che è un linfatico come apertura e dolcezza, le forme rotonde, i tempi lenti. Tutto
questo è stato in qualche maniera cancellato e quindi le donne hanno sviluppato una struttura rigida,
nervosa, che è diventata comunissima. Questo è anche parallelo alla diminuzione alla lattazione da parte
dellle donne industrializzate. Il latte è sempre il linfatico. Tutta quella parte è stata ridotta. Lo stress era
prima una caratteristica molto più maschile, perché l’uomo si trovava a gestire il mondo del lavoro,
l’economia, un mondo in rivoluzione. Man mano che le donne si sono avvicinate al modello maschile
hanno assunto anche loro una sottile nevrosi, perché non vanno più lente come dovrebbero andare, non
vanno armoniche, non vanno con i tempi biologici come dovrebbero andare. Se nella tipologia del
bambino/a che nasce c’è una mamma che non li allatta, una mamma che li controlla e il bambino ha una
tipologia particolarmente nervosa, uno degli elementi fortemente dominante che viene fuori è il
nervosismo. C’è sempre un meccanismo di sottile conflitto interno. Questo conflitto nelle donne diventa
relativamente grave perché sono loro che gestiscono i figli e, quindi, questo meccanismo passa
rapidamente ai figli.
I figli, nelle famiglie con un livello intellettuale e sociale nella media o superiore, assumono
frequentemente il carattere nevrotico. Notate che sotto qualsiasi cosa venga detta c’è sempre un filo di
rabbia. Uno parla e di nuovo c’è, seppur in forma minore del carattere schizoide, questa tendenza ad avere
una rigidità della spina dorsale e a vivere le cose con una sottile negatività, con una sottile conflittualità.
Quando voi fate un maternage ad uno schizoide lui non c’è, rimane teso e tutto deve essere sotto
controllo. Se lo fate ad un nevrotico lui si lascia andare, si accuccia, lo sente, però rimane sul mentale, ti
dice subito che non è molto contento, ti crea un conflitto. E’ una tipologia molto comune che può
contaminare tutti i caratteri, è trasversale, però è estremamente sensibile alle terapie. Non hanno
particolari problemi: basta talvolta appoggiare una mano sulla fronte o sul cuore e loro si lasciano andare.
Sono quelli che si appassionano, ci stanno, giocano con te, sono in qualche modo intraprendenti. Sono
quelli che ti danno maggiori soddisfazioni, perché non essendo tanto gravi si hanno dei risultati in tempi
brevi. Quando, invece, questa caratteristica sfocia in altre caratteristiche, come il rigido, diventa più
difficile.
Il carattere “psicopatico”: la sfida alla vita
Nitamo MONTECUCCO
Passiamo ora allo psicopatico. Vediamo la differenza tra il masochista e lo psicopatico per vedere meglio
la dinamica che avviene. Abbiamo detto che il masochista deve accontentare la madre, ma che madre?
Una madre che gli impone la sua autorità e, quindi, una madre castrante. Lo psicopatico ha una relazione
importantissima con la madre, ma di altro tipo. Lo psicopatico è una struttura che viene montata da una
madre che vede nel figlio la possibilità di realizzare il sogno della sua vita. Suo figlio è meraviglioso, è
intelligentissimo, è un figlio che la riscatterà dal padre o addirittura che prenderà il posto del padre.
Questo accade quando il padre muore e il bambino è ancora in tenera età e lei si trova sola con lui che
diventa il suo mondo. Anche qui c’è un bambino che impara a soddisfare la madre, ma non è la madre
imperativa e castrante, bensì una madre che si allea con il figlio e gli fa credere di essere speciale. Al
contrario della madre castrante del masochista, gli dà un sacco di possibilità: gli fa fare nuoto, il
pianoforte, scherma e sviluppa una grande intelligenza. Dobbiamo immaginare che questo meccanismo è
un meccanismo vincente nel senso che realmente poi questo bambino comincia a ricevere delle conferme.
Infatti, gli psicopatici hanno sempre successo per tutte queste caratteristiche enunciate. Ma qual è
l’aspetto fondamentale dello psicopatico? Lo psicopatico è talmente centrato su sè stesso, perché
ovviamente tutta la sua realizzazione è dimostrare il suo grande valore con la complicità della madre, che
tutto il resto del mondo è semplicemente uno strumento. Lo psicopatico non sa amare, lui vede gli altri
come oggetti che può usare a piacimento. Egli può addirittura, in forme psicotiche molto più gravi,
tagliare le persone a pezzi, perché per lui sono realmente degli oggetti da rompere.
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Roberto SASSONE
Nello psicopatico c’è l’esasperazione delle aspettative del genitore, soprattutto per i maschi le aspettative
della madre e per la donna verso il padre. Anche se in genere non si parla della “psicopatica”, dovete
sapere che queste strutture caratteriali nascono in epoche storiche, e quindi visto che la nevrosi è il
prodotto di una situazione sociale, le nevrosi cambiano o si evolvono a seconda di come cambia una
società. E’ per questo che non ci ritroviamo più oggigiorno con queste definizioni, perché nel frattempo è
cambiata la società e quindi è cambiato anche il tipo di dinamiche caratteriali. Lo psicopatico è la persona
che vive per il potere, che deve realizzare le grosse aspettative della madre. In genere è un bambino che
viene pompato con le parole – sei super intelligente, realizzerai e avrai successo nella vita. Quindi lo
psicopatico collega la realizzazione del successo e del potere con l’amore, è come se il suo modo per
ottenere amore (ma non è consapevole) è riuscire a diventare qualcuno nella vita. Tutto questo esaspera
alcuni atteggiamenti quali: il potere sugli altri, la necessità fondamentale di avere sempre ragione,
sviluppa una mentalizzazione molto forte. Lo psicopatico è una persona molto intelligente che è capace di
avere anche un potere mentale sugli altri, è capace di strutturare forme-pensiero e una serie di
ragionamenti che riescono realmente a mettere l’altro in difficoltà. Quindi è un leader. Lo psicopatico è
una struttura che deve chiudere il cuore, perché in qualche modo ha venduto il suo cuore alla madre, e il
prezzo che ha pagato è quello di diventare il migliore. Una struttura così è più portata agli attacchi di
panico, o al suicidio per fallimento, dal momento che la loro identità è il successo. E’ una struttura ad alta
densità energetica, mentre l’orale è a bassa densità energetica. Però mentre il masochista con alta densità
energetica ha un ristagno di energie, lo psicopatico ha molte energie in movimento, perché le spende, le
agisce. Quindi porta tutta l’energia in alto. Inoltre ha una buona sessualità, ma ancora più esasperata del
fallico-narcisista, ma a patto che sia un atto di potere, per dimostrare alla donna quanto è potente, quanto
ha valore. Ma ripeto, non è la potenza del fallico-narcisista, che invece deve dimostrare la sua potenza per
farsi bello.
Luisa BARBATO
Se vogliamo dare una lettura energetica dello psicopatico, fondamentalmente egli è una persona che
stabilisce un contatto diretto tra la parte del corpo, degli istinti, del rettiliano con la corteccia. E’ un
movimento verticale diretto che in qualche maniera salta la parte limbica. Quindi, non avendo la parte
emotiva/affettiva riescono a considerare gli altri come ‘oggetti’ e non li connotano con l’emozionalità, il
senso di colpa o il senso morale che noi tutti abbiamo. Si tratta, quindi, di un’intelligenza lucida sorretta
dall’istinto e dalle sottostanti forze primitive. Questo schema è anche lo schema della nostra società e
della nostra cultura vincente. Questo è il rischio culturale di massa del nostro sistema. Quando Nitamo
Montecucco definisce la nostra società tecno-rettile fa riferimento a una società psicopatica.
Pensiamo ai casi estremi, agli adolescenti che uccidono la propria famiglia o che gettano i massi
sull’autostrada. Ci sono tantissimi giovani che sentono questo tipo di disagio, proprio perché spesso sono
in questa posizione rettiliana, molto sull’istinto, che viene anche espressa dalla tecnica dove l’uso della
tecnologia e la formazione dell’intelligenza è garantita attraverso lo studio scolastico ma che non prende
mai in considerazione la parte affettiva
Ogni volta che c’è un caso di psicopatia eclatante quello che colpisce le persone è la mancanza di
affettività dei protagonisti. E’inquietante il fatto che quando fanno le perizie psichiatriche tendono a
sottolineare che queste persone hanno la capacità d’intendere e volere, che sono persone consapevoli e
lucide. Ciò che, però, non viene mai misurato a queste persone è la capacità di provare emotività e
affettività. Tra l’altro la psichiatria classica conferma che con queste persone non c’è niente da fare,
perché questa mancanza, essendosi costituita in un periodo molto lontano dello sviluppo della persona,
difficilmente viene recuperata, malgrado queste persone siano molto abili nel condurre e sedurre per la
loro intelligenza seduttiva. Abbiamo il caso di Erica di Novi Ligure che stava già riuscendo a uscire dalla
1
prigione, perché aveva sedotto e convinto della sua innocenza chi lavorava nella struttura. Negli Stati
Uniti, quando ci sono detenuti psicopatici, di solito l’equipe cambia in continuazione per evitare di cedere
alla loro seduzione. Nel caso ancora di Erica è cosa nota che ha ricevuto centinaia di lettere di
ammirazione da parte di giovani.
Nitamo MONTECUCCO
La mia lettura è che hanno di base una forte mancanza di apertura del cuore. Guardiamo gli animali: in
effetti ci sono degli animali che uccidono. Se guardiamo il leone non ci dà la sensazione che uccida senza
cuore, mentre per le iene è diverso. Pensate agli usurai, ai mafiosi, a coloro che commerciano in armi, a
quelli che fanno del male gratuitamente. E’ chiaro che in quei casi non c’è il senso del cuore, o c’è così
poco che rispetto ad altre istanze psicofisiche è irrilevante. Auspichiamo una società dove il cuore diventa
simbolo di civiltà, una base di civiltà. E invece manca il cuore perché è una società organizzata per il
guadagno, per l’apparenza, per l’avere e il possedere, e diventa facile, con un minimo di intelligenza,
uccidere, massacrare, vendere, guadagnare, essere famosi.
Roberto SASSONE
Vorrei attirare la vostra attenzione su un breve passaggio tratto dal libro “Il corpo non mente” di Luciano
Marchino, perché è veramente esemplare.
“Mentre lo schizoide si tiene insieme per non andare in pezzi, l’orale si tiene stretto per non sentirsi
abbandonato, il masochista tiene fuori resistendo alle invasioni e ai soprusi e tiene dentro rinunciando
all’autoespressione per non perdere l’oggetto d’amore, lo psicopatico si tiene su per sentirsi all’altezza
della situazione, il rigido si tiene indietro per non farsi coinvolgere nell’amore.”
Nitamo MONTECUCCO
Tutti questi caratteri non sono mai unici. Ad esempio per gli psicopatici abbiamo decine di strutture: ci
sono quelli moderatamente psicopatici, quelli che hanno avuto un sostegno forte da parte della mamma
che li ha rinforzati in una parte di ego, ma non è detto che tutti abbiano risposto alla stessa maniera.
Alcuni sono diventati dei palloni gonfiati, altri sono diventati delle persone determinate, altri ancora non
ce l’hanno fatta per mancanza d’intelligenza o volontà di riuscire e così via. Quindi, abbiamo tantissime
strutture, ci sono anche dei buoni psicopatici in grado di amare. Ci sono persone che da un cervello
puramente rettile si rendono conto di aver fatto male e si ribilanciano. Quindi, lasciamo aperto il campo.
Quindi, attenzione quando identificate una struttura: a volte la vedete forte, piena, e a volte la vedete
meno evidente, ne vedete solo un tratto.
Il piacere
Che cos’è il piacere e soprattutto il piacere nella dimensione della relazione con l’altro genere. Proviamo
a unire due elementi. Nella spinta del movimento c’è questa grande possibilità di andare incontro al
mondo. E quindi c’è la libertà dell’esplorazione. Senza questa spinta aggressiva non si può arrivare alla
genitalità perché ovviamente anche il movimento di desiderio dell’uomo verso la donna e viceversa è un
movimento di aggressività. La spinta è andare verso, per la soddisfazione del piacere. Siamo ancora ad un
livello animale, ma che ha una grossa opportunità, non è dispregiativo. Tra gli animali è evidente la lotta
per la conquista della femmina, e quindi l’aggressività è necessaria per la conquista della femmina, legata
alla riproduzione. Anche nell’uomo è così, la fase rettiliana per la spinta riproduttiva, ma nell’uomo si
attiva anche la parte limbica, l’affettività, l’emotività, che è la porta per il contatto con il cuore. Non si
deve confondere la porta del cuore con quella dell’emozionalità; quando parliamo di contatto con il cuore
parliamo di esperienza di identità, dell’intensità d’amore che c’è nella esperienza dell’identità. Perché
nell’esperienza dell’identità (che non è quella dell’ego) c’è la percezione del collegamento continuo con
l’altro da sé, ovvero c’è l’esperienza che l’altro in realtà non esiste come separato ma esiste come
1
continuo collegamento con la nostra presenza interiore. Ho fatto un salto, ma spesso ho sentito parlare di
questo equivoco: bisogna stare nel cuore. Stare nel cuore non è sentimentalismo, ma un atto di presenza
amorevole, silenziosa e concreta. Però torniamo un po’ indietro. Questo movimento aggressivo va verso il
femminile o verso il maschile. Ma cos’è il maschile e il femminile? Ricordiamoci una cosa fondamentale:
ognuno di noi è un’unità. E quindi sia l’uomo che la donna contengono in sé tutti i princìpi e naturalmente
l’uomo contiene dentro sé il principio femminile. Forse non si dovrebbe parlare più di maschile e
femminile, perchè significa dare connotazione culturale. Il principio femminile per l’uomo è l’attivazione
di un altro tipo complementare di percezione della realtà, vale a dire la percezione della realtà con
l’emisfero destro. Vale a dire percepire attraverso l’intuizione, attraverso una percezione diretta,
attraverso un’empatia. È il contrario della discriminazione. Non sono sicuro ma credo sia stato più un
fatto culturale, che è stato favorito più un modo di funzionare nella donna rispetto all’uomo. Di fatto in
questo movimento, per l’uomo, per il quale mi riesce più facile dirlo, c’è un elemento importantissimo: la
molla del piacere è anche qui un’occasione di incontro di un altro da sé, che però è il catalizzatore di una
funzione poco sviluppata. Ovvero l’uomo attraverso il contatto con il femminile risveglia all’interno di sé
una funzione fondamentale di sé senza la quale non può essere interamente un individuo, cioè non diviso.
E finché c’è uno yin e uno yang, un femminile e un maschile che non comunicano all’interno di noi,
diventa estremamente difficile comunicare all’esterno di noi con un maschile o con un femminile. Quindi
è una grande occasione questa molla del piacere per realizzare un piacere ancora più vasto, che non è
esclusivamente il piacere sessuale, ma è il piacere sessuale che attraverso il collegamento con il canale
del cuore diventa riconoscimento dell’altro come parte di sé. Quindi non è più esclusivamente un atto in
cui l’altro è oggetto di desiderio, come avviene a livello animale dove ha la sua funzione importante, ma
l’altro come possibilità di unità. Non è un caso che poi, facendo un altro salto qualitativo, proprio
l’energia sessuale in alcune vie come voi sapete, quelle tantriche, diventa strumento di base da affinare e
da trasformare per realizzare l’unione, attraverso la donna e attraverso l’uomo con questa parte di sé.
Quindi recuperare l’esperienza della libertà del piacere, ricollegandomi al discorso di prima, significa
recuperare la capacità di scegliere la vita. Perché il piacere ci mette in contatto con l’energia vitale, che
non è patrimonio dell’individuo. L’individuo è immerso nella vita, e la vita non è un termine astratto ma
un campo ancora più grande di energia che consente il continuo ricambio e la possibilità continua di
azione finché non si esaurisce questa possibilità corporea, con la morte. Tornando alla sessualità come
funzione primaria, quando questa funzione viene in qualche modo compromessa, viene compromesso il
rapporto con il piacere. Ma siccome questo movimento al piacere rimane la base, è una delle spinte che
non possono essere paralizzate, si viene a deviare questo movimento. Persone che hanno superato più o
meno indenni le prime tre fasi e sono arrivate alla fase della genitalità, vale a dire sono in contatto con il
piacere, nella nostra cultura intoppano con un grosso tema: quello del senso di colpa, la morale.
Cosa produce il senso di colpa nelle strutture che hanno raggiunto questo livello (nel fallico, falliconarcisista, la donna isterica, le persone che usano la sessualità come strumento di relazione e di
seduzione): determina una scissione tra il piacere e l’amore. Ovvero, io mi muovo verso il piacere anzi
imposto tutta la mia vita sul piacere, seduco molto, tutto il mio atteggiamento è proiettato ad avere una
relazione con l’altro che è basata su questa seduzione, ma a patto di non amare la persona che mi suscita
questo tipo di desideri, perché se la amo la sporco in quanto sono arrivato alla genitalità ma questa si è
caricata del timore del peccato. Non a caso in tutte le religioni si parla della necessità di reprimere la
sessualità. Dicevamo che la sessualità è libertà, se un individuo non è libero di scegliere il piacere, vuol
dire che non è libero di scegliere il piacere ad altri livelli. Noi non dobbiamo immaginare il piacere
esclusivamente come qualcosa di legato ai nostri genitali, il piacere è la libera circolazione dell’energia
nel nostro corpo. Il piacere significa la capacità di accettare la gioia di godere di qualsiasi manifestazione
della vita. Quando una persona non riesce ad avere e ad accettare di perdersi nell’orgasmo, difficilmente
accetta il piacere di perdersi in un ideale o in un progetto, di credere profondamente in una struttura. C’è,
direi quasi, un pensiero genitale e un pensiero non genitale. Una persona genitale pensa genitalmente e
1
viceversa. Una persona avara ha un corpo avaro, un pensiero avaro; una persona che ha un bisogno, ha un
corpo di bisogno; una persona che seduce ha un corpo che seduce e un pensiero che seduce. Non si può
pensare di trasformare un pensiero come se fosse altra cosa di un corpo, o pensare di trasformare un corpo
come se fosse altra cosa di un pensiero. Il corpo è pensiero. Eurobindo e non solo lui, diceva che in molte
tradizioni si parla della mente del mentale, della mente delle cellule, della mente del corpo. Come se ci
fosse un mentale che ha vari livelli, sul livello dell’energia del pensiero, sul livello dell’energia della
emotività, sul livello dell’energia dell’istinto, sul livello dell’energia del vitale, come se la cellula fosse la
base della struttura di un individuo. Provando a dire con un pensiero molto sintetico che il corpo è un
grumo di pensiero si potrebbe rendere l’idea di tutto questo.
Quindi come c’è la paura di vivere nello schizoide, come c’è la paura dell’abbandono nell’orale, la paura
dell’azione nel masochista, la paura del fallimento nello psicopatico, così c’è la paura della gioia,
dell’abbandono nel fallico e fallico-narcisista, oppure c’è il grosso desiderio di realizzare il piacere ma il
prezzo da pagare è il senso di colpa.
I caratteri e la sessualità: il rigido, il narcisista e l’isterico
Roberto SASSONE
Ora vediamo la differenza tra un carattere psicopatico e un rigido come indicazioni di massima, non
reichiane. Nella nomenclatura rigido fondamentalmente si inseriscono due strutture caratteriali: la
struttura del fallico narcisista e dell’isterica. Vediamone la differenza.
L’isterica (come termine lo trovo desueto) che trova come contraltare maschile il fallico-narcisista, ha la
caratteristica di essere arrivata alla sensazione piacevole dei genitali, avere avuto anche una relazione di
complicità con i genitori di sesso opposto, una relazione in cui però l’angoscia del genitore, che sente
questo gioco seduttivo, ha fatto sì che questo movimento verso il piacere è stato bloccato dalla paura del
genitore opposto. Al piacere si associa la sensazione che sia qualcosa di sporco, che non deve essere agito
fino in fondo. Da questa caratteristica viene fuori che queste due strutture è come se arrivassero sempre
ad un punto in cui poi non realizzano mai, come il momento della donna o dell’uomo in cui stanno per
essere in qualche modo coinvolti, scappano. Quindi il piacere non è mai portato fino alla fine. Queste
persone hanno una buona carica energetica, perché sono arrivate quasi vicino alla genitalità, hanno
attraversato abbastanza indenni le fasi precedenti che abbiamo descritto. Quindi circola l’energia vitale
nel loro corpo. In genere si riconoscono le isteriche dal movimento sinuoso dei fianchi e da come
camminano, è tutto quanto un accenno alla loro femminilità. E anche i maschi li si vede ostentare in
qualche modo questa loro virilità. Le persone che si amano non possono essere coinvolti da un eros
passionale perché è come sporcare questo ideale d’amore, mentre le persone che non si stimano e si
sentono oggetti sessuali possono essere desiderati e vissuti con un’ alta carica erotica ma il cuore viene
separato dai genitali.
Mentre lo psicopatico ha una relazione con la madre - ed è una relazione ovviamente edipica - in
un’alleanza emozionale e proiettiva che ha il fine di realizzare il successo e il potere, nella relazione
edipica del rigido o del fallico narcisista non c’è da parte della madre la richiesta “ tu sei quello che deve
diventare grande nella vita”, ma è una vera e propria relazione seduttiva sul piano dell’affettività e non
del progetto di realizzazione. La madre riversa la sua affettività sul figlio, amoreggia (che può essere
anche bello e sano, se è misurato e senza richieste implicite), senza la richiesta di essere speciale o
superiore a tutti quanti. Quindi, c’è la relazione edipica, ma è più sull’affettività e sulla seduttività.
Il vero grande problema del carattere rigido o fallico narcisista è che questa struttura ha passato
abbastanza indenne tutte le altre fasi e incontra finalmente la madre come oggetto d’amore. A questo
punto tenete presente una cosa importantissima che, però, crea la difficoltà del genitore di sesso opposto:
il bambino non fa differenza tra amore e sessualità. Egli ama totalmente, per cui il suo desiderio di
contatto e la sua manifestazione di sessualità – che non è di genitalità - è un contatto di cuore innocente e
1
pulito, se ha fatto gli altri percorsi con semplicità.. E’ la madre o il padre che si spaventa di questo tipo di
relazione, perché ovviamente c’è la sessualità in questo contatto. Ed è il timore e la sensazione di allarme
del genitore, che invece si vive il senso di colpa o comunque una dimensione un po’ sporca della
sessualità, a mettere in allarme il figlio.
Nel caso del rigido o fallico narcisista la madre propone l’incontro manifestando la seduttività nei
confronti del figlio però a condizione che non ci siano manifestazioni sessuali. Ed è veramente il dramma
del fallico o dell’isterica (quindi, del rigido e della rigida) che ha accesso ai sentimenti erotici e di cuore
(sono ancora uniti!), ma se vuole avere una relazione con la madre, deve scindere i sentimenti erotici dal
cuore. Può avere un rapporto di cuore, ma la sessualità non è consentita. Qui nasce un fatto culturale negli
uomini (che sta diventando sempre più frequente anche nelle donne) ovvero che gli uomini possono avere
rapporti sessuali forti ed eccitanti con donne che non amano mentre la donna che amano – che è nobile e
angelicata – non può essere oggetto di desiderio. Si trovano ad essere meno potenti quando sono
innamorati e più potenti quando non c’è un investimento d’amore.
L’aspetto del fallico narcisista è piacevole, è una persona che ha una buona mobilità energetica, perché
comunque è giunto alla genitalità, però è un seduttivo, come la madre faceva con lui.
Se noi dimentichiamo i caratteri, questo meccanismo che descrivo è un meccanismo frequente e che
possiamo chiamare anche in un altro modo. Però, se noi come operatori cerchiamo di capire aldilà delle
definizioni che cosa accade quando ci sono questi tipi di vissuti, diventa più facile operare. Il fallico
narcisista ha una ferita d’amore, per cui fa il movimento, erotizza l’oggetto e poi si ferma perché si trova
nell’angoscia di questa sensazione. Ha magari una grossa potenza e una grossa carica energetica, ma non
può viverla insieme all’affettività. Quindi, è anche ‘il bello irraggiungibile’ che si manifesta e fugge,
come fa a sua volta l’isterica. E’ seduttivo, ma poi alla fine si tira indietro: è la dannazione della donna un
uomo così. Il rigido, quindi, ha una struttura abbastanza mobile, però è tirato. Il suo vero problema è la
paura, ha paura di amare.
Su di lui si lavora sulla sua paura di amare, sul dargli la fiducia e sul fargli sentire che il suo affetto non
viene negato.
Per quanto riguarda il problema di Edipo c’è un triangolo in questo caso. Mentre nelle situazioni
precedenti, che ho descritto, c’è un rapporto duale - è la storia tra il bambino e la madre nelle varie fasi quando entriamo nella fase edipica c’è un reale confronto con il padre, ed è il vero triangolo. Quindi, è
molto importante vedere che relazione c’è tra il padre e la madre. Bisogna capire effettivamente perché la
madre riversa la seduttività sul figlio anziché viversi in maniera più piena la sua femminilità con il
proprio compagno. Magari a volte c’è un ottimo rapporto intellettuale con il proprio compagno o un
rapporto di stima, però manca la sessualità. Quindi, c’è tutta la parte erotico-affettiva di questa donna che
viene negata e il figlio maschio le offre questa possibilità. Ad ogni modo sono donne più sane, con una
capacità di contatto d’amore. Non stiamo parlando della donna degli altri modelli precedenti,
dell’incapacità del contatto, di madri che non sentono il proprio corpo oppure donne ansiogene, ossessive
o prevaricatrici o violente. Stiamo parlando di una situazione molto più accettabile.
Luisa BARBATO
Una situazione molto comune, che viene definita come una delle caratteristiche importanti del nostro
sistema sociale, è questo investimento della madre sul figlio che diventa ad un certo punto
simbolicamente il padre. Il padre viene privato della funzione sessuale che viene successivamente
trasferita sul figlio. C’è una situazione collettiva di screditamento del ruolo dell’uomo, perché c’è
un’assenza del padre. Io vedo molto spesso questo passaggio dove il figlio viene eletto a compagno
simbolico.
Per quanto riguarda le donne, sarebbe più facile parlare dell’isterica secondo Freud, ma in questa sede
preferisco parlare in maniera più semplice del carattere vero e proprio isterico e della ragazza che è
arrivata al primo sviluppo genitale, il che avviene intorno ai 5-6 anni. A tale proposito c’è un’ipotesi
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molto interessante che dice che in realtà filogeneticamente lo sviluppo dell’essere umano sarebbe
completo entro i 5-6 anni ed entro i 10 sarebbe una maturazione genitale. In realtà se non ci fosse stato
uno sviluppo del sistema della corteccia si sarebbe pronti a 5-6 anni. Poi, però, c’è tutto un periodo di
latenza fino alla pre-adolescenza, per cui lo sviluppo è stato rimandato, perché c’è lo sviluppo di tutte le
facoltà.
Infatti, nello sviluppo dell’uomo c’è questa doppia fase che in realtà non c’è negli animali. E’ come se ci
fosse uno slittamento della maturazione sessuale per permettere lo sviluppo di tutte le facoltà cognitive e
intellettive che altrimenti non si sarebbero potute sviluppare. Che cosa comporta questo doppio stadio? In
realtà si arriverebbe almeno dal punto di vista energetico ad una maturazione intorno ai 5-6 anni e quindi
c’è tutta la triangolazione edipica.
E’ una fase in cui si scoprono, si toccano, se non gli dici niente non fanno niente, girano nudi disinvolti.
Dopo gli otto anni: tabù, non ci si tocca, devono vestirsi. Se andate nei campi nudisti le uniche che hanno
le mutande sono le ragazze dagli otto ai quattordici anni, il periodo premestruale e l’inizio delle
mestruazioni. In effetti, è l’epoca più delicata, di cambiamenti, emotivamente di vergogne.
Nel caso della bambina c’è l’impossibilità di andare verso il padre, perché questo viene inibito dalla
madre. Spesso le bambine richiedono il contatto fisico con il padre, contatto energetico che ha anche delle
sfumature di sessualità che la madre permette. Se questo processo non viene completato la bambina
sviluppa una patologia isterica: va verso il padre, verso l’uomo, ha la maturazione, “ci sono, sono
disponibile, poi, però, non è possibile”.
In questo processo ci sono coloriture diverse: se la madre permette ed è il padre che blocca questo
processo allora c’è un’identificazione positiva con la madre. Altrimenti ci può essere una situazione di
conflittualità con la madre e di maggior rifiuto della femminilità. Poi, ci sono vari sottotipi. Comunque,
chi è l’isterica? Siccome in teoria il carattere isterico è di una persona che ha avuto tutte le fasi precedenti
che si sono sviluppate normalmente, l’isterica è una persona che ha una certa mobilità fisica. Anzi, si dice
che ha una certa agilità, una certa sensualità, esercita seduttività e fa del maschio il suo riferimento
prevalente, perché è lì il blocco. Quindi, quando vedete le ragazze che sono tutte prese dal gioco della
seduzione capite che il tema è lì, c’è un blocco interiore edipico.
Questo è uno schema teorico su cui ho personalmente dei dubbi, perché secondo me nella realtà non è
mai così. Ormai trovare una vera isterica è difficile. Magari ci fossero solo le isteriche, perché vorrebbe
dire che ci sono tutte le strutturazioni pre-edipiche di cui abbiamo parlato: tutta l’oralità, la separazione
del parto, tutta la fase anale avrebbe dovuto svolgersi bene. In realtà non è così. Ci sono da fare delle
distinzioni. Si definisce la reazione isterica, che è la più superficiale, l’improvvisa reattività che poi viene
definita isterica, ma che ha poco a che fare con la genitalità. Mentre possiamo definire il tratto isterico un
tratto di copertura, e questo troviamo più frequentemente. Cioè, questo gioco di seduttività nelle donne si
vede bene: l’esser molto puntate sul maschio, sulla conquista, sul piacere, sull’essere ammirate, sulla
leggiadria (pensiamo alle ballerine brasiliane). Spesso questo è un tratto di copertura, è come se l’ultima
fase vissuta nello sviluppo fosse quella che viene messa come sistema relazionale, ma che in realtà
nasconde ben altro.
Nelle varie posizioni isteriche possiamo distinguere molte sotto-posizioni. Se togliamo il tratto isterico
nel giro di poco tempo se ne va via, perché è un tratto di copertura. A quel punto emergono le posizioni
sottostanti che coloriscono anche il tratto isterico. Ad esempio, c’è un’isteria di conquista e fuga: seduco,
mi piace molto sedurre e poi abbandono. Questa è un’isteria con un tratto fobico sottostante, c’è
un’allarme.
Poi, esiste un’isteria che copre un’oralità, che è molto comune, e fa disperare gli uomini: la donna si
presenta con un tratto isterico molto seduttivo e leggero, e quando arriva allo scopo tutto il gioco di
seduzione serve a colmare l’oralità e l’uomo serve da riempitivo, deve continuamente riempire il bisogno,
deve allattare e, quindi, c’è l’attaccamento.
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Poi, esiste invece un’isteria che è di copertura a un tratto fallico. E’ una donna che nella relazione con il
padre ha in realtà sviluppato un processo di conflitto e di identificazione, cioè non è riuscita ad andare
verso il padre perché c’era un conflitto, una situazione di competitività. E’ una persona che magari ha
un’identificazione con il padre anche perché c’è un’impossibilità d’identificazione con la madre, per cui
la situazione seduttiva diventa una situazione di sfida nei confronti dell’uomo. Vive questi rapporti
amorosi che vanno in escalation simmetriche: c’è una grande seduttività, poi c’è un abbandono, poi ci
sono le urla e le grida e poi la ripresa e così via. Tutto questo è perché spesso dietro c’è una posizione
femminile d’isteria di copertura di una posizione fallica in competitività con l’uomo.
Questo per darvi solo degli accenni, per farvi capire com’è importante leggere le varie situazioni come
tratti che si combinano. Quindi, a seconda di come si mettono i tratti si legge la persona. Nell’isteria è
particolarmente semplice, perché quasi tutte le donne hanno tratti isterici ad eccezione delle donne
ossessive, intellettuali.
Le più comuni tipologie
Nitamo MONTECUCCO
Abbiamo identificato delle tipologie primarie che possono essere importanti se riusciamo a identificarle,
per avere sia un’idea generale della loro struttura di base, di come si è venuto a creare il loro blocco, sia
un’idea dei loro punti deboli, su cui eventualmente si può fare un’azione di aiuto e di sostegno.
Per questo cercherei di entrare il più possibile nella struttura della vita media e di far un excursus su quelli
che sono i casi più normali di strutture critiche delle persone che potrebbero arrivare da voi con bisogno
di aiuto.
Partirei non tanto dalle personalità, quanto dalle cose più comuni che capitano. Per esempio potrebbero
capitarvi molto comunemente delle persone che vi chiedono qualsiasi cosa, ma ciò che vi stanno
realmente chiedendo è di farli uscire dalla depressione. Vi raccontano mille cose, ma essenzialmente che
hanno un processo di crisi interna e hanno bisogno di aiuto.
Un’altra delle tipologie assolutamente comuni che vedrete sono le persone che sono in un momento di
crisi esistenziale: attorno a loro sta cambiano il mondo, stanno cambiando le relazioni, sta cambiando il
lavoro, stanno cambiando i loro sentimenti che li connettono con la rete delle relazioni. Quindi, vengono
da voi con una piccola scusa - per l’abbandono del fidanzato o la moglie che non ha più voglia di fare
l’amore con il marito - ma in realtà ciò che voi riuscite a vedere in queste persone è che sono in un
momento di passaggio e che hanno semplicemente bisogno di un centro. E’ la crisi esistenziale.
Ieri mettevamo in evidenza come, soprattutto in questo momento storico, molte persone che sono già
normalmente con il cuore aperto, l’hanno dovuto chiudere. Dentro hanno un cuore che batte e che soffre e
fuori tutta la sofferenza che non riescono più a gestire. Voi, in questi casi, entrate e ascoltate quello che di
positivo queste persone hanno dentro.
In seguito avrete mezza giornata intera per guardare con attenzione la psicopatologia, perché dovrete
assolutamente imparare a riconoscere i casi. Finora abbiamo parlato di caratteri: lo schizoide, il rigido,
l’orale ecc. Ma a volte arrivano persone che sono borderline o che sono psicotiche oltre misura e voi non
avete assolutamente gli strumenti per poterle aiutare. Quello che potete fare per aiutarle è consigliargli un
buon psicologo, un buon medico, una buona struttura, consigliargli di entrare in un iter di crescita che
comprende un lavoro di profondità che voi non siete tenuti a fare. Persone depresse hanno bisogno a volte
di una psicoterapia o a volte hanno bisogno di uno psichiatra. Se sono andati oltre un certo limite, perché
se la persona piange tutto il giorno è inutile che gli fate il massaggino del piede o lo fate danzare.
Evidentemente ha dentro un meccanismo contorto che non gli permette di vivere la sua vita e che deve
essere risolto con degli strumenti potenti Se, invece, la persona ha una depressione psicofisica lieve ed è
un po’ insoddisfatta, voi le potete dare un’enorme aiuto: sia in questo caso sia nel caso della persona che
ha crisi di relazione o crisi di identità in senso semplice - per esempio improvvisamente non se la sente
1
più di fare il suo lavoro oppure la donna che per anni è stata una brava moglie e ora non ce la fa più -,
sono situazioni intermedie. In tutte queste situazioni quello che voi potete fare è applicare le norme
generali di empatia con la persona e le pratiche di vostra competenza. Si articola il suo bisogno nella
realtà. Abbiamo visto degli ottimi risultati con lo shiatzu, con la danzaterapia, con il respiro, con il
craniosacrale e altro, e quello che spesso succede è questo atto magico che risolve il bisogno della
persona. Se è particolarmente teso e rigido si fa tanto lavoro sul corpo. Se non sente il corpo gli fate il
massaggio ayurvedico. Se, invece, è un carattere masochista con un corpo duro e coriaceo, gli fate il
rebalancing che lo scioglie nelle strutture di profondità. Se ha subito incidenti o operazioni chirurgiche gli
fa bene una sessione di craniosacrale e il lavoro sulle cicatrici. Quindi qualsiasi tecnica voi usate quello
che esce è l’emozione. Spesso esce l’emozione del momento in cui la persona si è fatta male, non esce il
dolore fisico: uscirà la rabbia, la paura, la tristezza. Gli si fa vivere l’incidente e magari esce il dolore del
recente abbandono della fidanzata. Poi, ognuno di voi ha una tecnica che ha delle sue specifiche funzioni,
ma ciò che vogliamo veramente trasmettervi in questo momento è l’importanza assoluta di come voi
entrate energeticamente ed interiormente in contatto con la persona.
Se pensate, ci sono tantissimi che pagano un analista per parlare al muro e l’analista scrive due cose e
tenta invano di non addormentarsi. Voi potete fare lo stesso lavoro con meno danaro e molto più cuore e
presenza.
Lo schema generale della struttura della personalità
Per riassumere quanto dello fino ad ora sui caratteri e le qualità umane diciamo che la comprensione delle
varie identità è una parte particolarmente utile e interessante, è uno schema globale composto da almeno
5 schemi sottostanti, con cui voi dividete le persone:
1.
l’identità: quanto la persona ha realizzato il suo centro, la sua essenza
2.
la polarità: quanto la persona è polarizzata sul maschile-yang o sul femminile-yin
3.
le tre strutture: quanto la persona è polarizzata su pancia-istinti, cuore-emozioni, testapensieri
4.
i Chakra - Shen: quanto la persona è polarizzata sulle sette energie essenziali dei centriorgani
5.
Le personalità secondo la bioenergetica, l’enneagramma, la psicologia transpersonale,
l’astrologia, ecc..
Al punto 1) abbiamo le persone con un’identità integra e stabile; quelle con un io debole e vacillante;
quelle con alterazioni più gravi di perdita o vuoto di identità, di psicosi. (I° Tavola delle Equivalenze
Psicosomatiche)
Al punto 2) troviamo persone più neutre e bilanciate; persone più nell’energia femminile-yin, dolce,
intuitiva; persone più nell’energia maschile-yang, decise, intraprendenti, razionali. Oppure se volete usare
i codici indiani: quello più tamasico (basso-denso), quello più satvico (equilibrato-armonico) e quello più
rajanico (focoso-energetico). (II° Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche)
Al punto 3) abbiamo le personalità di pancia, più istintive, fisiche; le personalità di cuore, più affettive,
emozionali; le personalità di testa, più mentali e intellettive. (III° Tavola delle Equivalenze
Psicosomatiche)
Al punto 4) troviamo le sette energie psicosomatiche essenziali, riprese dalle tradizioni indiane e taoiste,
che ci offrono un punto di riferimento estremamente articolato e complesso con cui interpretare le qualità
1
delle persone. (Mappa Psicosomatica Essenziale)
Attraverso questa comprensione complessa delle varie personalità voi riconoscete i loro tratti, i loro
schemi fisici, energetici, neuropsichici di base e ciò vi serve per capire la struttura dell’identità.
Anche in ogni contesto spirituale trovate tutti i tipi. Trovate maestri spirituali di tutti i tipi: quelli orientati
sul cuore, quelli orientati sulla mente, quelli molto fisici. Facciamo qualche esempio semplice:
sicuramente Gesù era molto di cuore sul lato destro, era un personaggio che non si faceva dire di no da
nessuno (“piuttosto la morte ma io vado avanti sulla mia strada”). Prendete Yogananda e vedete una
persona di cuore completamente sul lato affettivo, della dolcezza, della comprensione. Prendete un
mentale-razionale come Krishnamurti oppure i lama tibetani. Osho (è un 7 dell’enneagramma) che ha la
caratteristica di essere una tipologia di testa che fa la sintesi di tutto. Poi, ci sono quelli più orientati alla
volontà, al potere, al fisico come Bodhi Dharma, Gurdjieff, molti maestri zen, gli yogi. Tenete sempre
presente che queste sono delle caratteristiche di maggiore polarizzazione, ma tutti hanno anche tutte le
altre parti.
I caratteri e le energie psicosomatiche essenziali
Nitamo MONTECUCCO
Proviamo a vedere le caratteristiche principali delle varie personalità anche alla luce della mappa
energetica tradizionale indo-cinese o indo-tibetana.
Roberto SASSONE
Basiamoci sulle strutture caratteriali già trattate. Iniziamo intanto dallo schizoide. Che caratteristiche ha
lo schizoide? Che l’inizio della sua vita è legato alla paura, per cui fondamentalmente non ha le radici, ha
paura di entrare in contatto con la realtà. Quindi il I° chakra, che significa la sopravvivenza e nel corpo
corrisponde fisicamente ed energeticamente ai piedi, alle gambe, ai due reni (Ming men = i due centri
della vita) i cui canali scendono al sedere e giù fino ai piedi. Il blocco della paura avviene quando i reni
vengono bloccati dall’inibizione, energeticamente sono contratti o in vuoto e generano - sempre a livello
di energie - il blocco di tutta la zona bassa. Fondamentalmente la muscolatura della zona lombare blocca
perché è rigidissima e dal momento che questo è l’unico asse centrale/l’asse spirituale i cinesi lo
connettono con tutti i disturbi, per cui se manca questo polo a terra tutta l’energia sale verso l’alto.
Quindi, queste persone hanno bloccato il corpo, il centro dell’incarnazione, da cui parte l’energia verso il
cuore e ti dà la carica, ma se non avviene questo tutta l’energia va tendenzialmente alla testa.
In questo caso la paura è totale ed è generalizzata e la contrattura muscolare si trova in tutto il corpo.
Nitamo MONTECUCCO
Inoltre, dato che il cuore è il foglietto embrionale medio che tiene insieme gli altri due, se si ha un buco
sul cuore ed il cuore frena la sua funzione di connettore tra testa e pancia, tra istinti e mente, questi ultimi
si separano. Ricordiamo che il sistema cardiaco gestisce il sistema sanguigno, i muscoli del corpo, il
sistema immunitario e l’apparato scheletrico. Quindi è assimilabile alla “struttura che connette” di
Gregory Bateson. Una patologia che negli ultimi anni ha avuto un’incremento enorme è la mialgia
generalizzata. Ve ne accorgete specialmente se lavorate sul corpo, poiché ovunque lo toccate è dolorante.
Ciò significa che hanno il cuore completamente bloccato: tutti i muscoli sono in tensione, il dolore del
cuore vive in tutti i muscoli del corpo. Sicuramente la mancanza di riconoscimento e di vitalità del I°
chakra fa sì che la persona rivive questa energia nella testa. Quindi, il corpo è molto gracile.
Immaginiamo un bambino che nasce e sin dall’inizio può avere o l’energia della mamma dentro la pancia,
di amore e accettazione, oppure può avere un’energia non di amore, gli manca quella luce che lo fa
sentire vivo. Il bimbo nasce, la mamma lo allatta e lo accudisce ma è tesa, nervosa e manca il contatto con
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gli occhi, il suo vero sorriso. Non comunica, non parla al bambino, non lo ascolta. La pelle (sistema
nervoso) sostiene ma non contatta, non c’è il secondo livello, il movimento comune, il gioco. Questa è
l’energia primaria. Se il bambino nasce con questo centro di libertà, potrà fare i capricci, potrà anche
andare contro ai genitori, sostenere il confronto. Vuol dire che già nei primi anni il centro dell’identità è
forte, libero corpo in libero pensiero, libera emozione in libero cuore. Il bambino si sente sufficientemente
amato, è un’anima libera, sa che può contare sull’amore dei genitori anche se c’è il contrasto. Viceversa
se manca il nutrimento del cuore, se vogliamo dell’anima, il bambino diventa fragilissimo, è dipendente
perché gli manca la cosa essenziale, attraverso il cibo del cuore lo condizioni ad avere un blocco. Allora il
bambino diventa un carattere, che non ha il contatto col corpo, diventa quello che la mamma vuole perché
sotto c’è questo tremendo bisogno di essere accettati; è come se la mamma dicesse «io in realtà non ti
accetto, ma se fai quella cosa lì un po’ ti accetto» e per essere accettati un po’ facciamo cose incredibili.
Prendiamo un’altra forma, ad esempio un orale. Che cos’è che gli manca?
Roberto SASSONE
All’orale è mancata l’alimentazione e l’affettività e questa mancanza innanzitutto gli provoca a livello del
corpo una protrazione verso l’avanti di tutta la testa e tutta la bocca. Questa postura è molto evidente
nell’orale e denota colui che aspetta qualcosa e questo qualcosa non arriva. L’irrigidimento dei muscoli
della zona sub-occipitale provoca un blocco alla gola. la mandibola è serrata e le spalle vengono portate
in avanti come se la persona si volesse proteggere perché manca questo alimento.
L’orale si riconosce anche dall’espressione degli occhi, perché sono imploranti e richiedenti.
Ricordiamoci Bambi.
Nitamo MONTECUCCO
Cosa ci suggerisce la persona con gli occhi da cerbiatto? Che cerca amore e affetto che è tipicamente un
affetto di cuore e di milza, un affetto materno e dolce che gli è mancato, soffre per la mancanza
dell’alimento e continua a chiederlo.
Roberto SASSONE
E proprio perché c’è una pena e una necessità quasi di farsi da nido – proprio perché non arriva questo
contatto - il torace tende ad essere incavato, svuotato come se volesse proteggere il centro del cuore, il
collo è proteso in avanti, la gola e la mascella sono contratte, c’è una tensione nel cingolo scapolare e
nelle spalle. Le sue braccia sono poco irrorate, sottili e vissute come impotenti non essendo disponibili
per l’azione autoassertiva.
Le gambe dell’orale sono generalmente esili e proprio perché non ha molto contatto con il suolo cammina
un po’ a papera. Il bacino è ritratto, perché questa mancanza d’amore porta una certa paura genitale.
Nitamo MONTECUCCO
Una persona che ha queste caratteristiche come pensate che abbia i canali della forza di reni che salgono
al cuore? Sono un po’ in vuoto. Infatti, i cinesi parlano di solito di vuoti di milza, cuore e reni, perché la
forza non è grande, perché a livello genitale non c’è potenza e la potenza deriva dal riconoscimento della
fiducia di sé. Quindi, lì c’è una scarsa fiducia di sé, per cui non tira su l’energia.
Roberto SASSONE
Quindi, bisogna lavorare sulla fiducia, sul “grounding”, sulla riattivazione del canale principale del I°
chakra, in maniera tale che si possa cominciare ad avere una percezione di stabilità, di esserci. Questo è
molto importante.
Nitamo MONTECUCCO
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Questo tipo di persone possono facilmente andare in depressione e la depressione è chiaramente definita
come un’iperattività negativa, un vuoto, un’attività di milza. Quando noi vogliamo curare velocemente
questo tipo di patologia dobbiamo fare una serie di interventi: anzitutto aprire il cuore, aprire la vitalità e
spostare sulla vivacità e la giocosità. E’ un classico che se noi riusciamo - se riusciamo perché non detto
che ci si riesca, perché a volte la persona che è in quello stato non vuole uscire da quello stato, dal mal
d’amore - ma se riusciamo a trascinarla a farla divertire, ridere e scherzare (o la meditazione della
Kundalini o di danza) e le cambiamo ambiente, è possibile che in poco tempo possa recuperare. Ciò
significa che hanno ribilanciato l’asse sinistro con un’iperattività dell’asse destro.
Ricordate che voi come counselor non siete abilitati a “curare” questo tipo di persone, però potete
aiutarle. Come counselor potete fargli far muovere il corpo, dargli fiducia, sciogliere le tristezze, la
meditazione Kundalini, consigliare di vedersi un film divertente, di fare biodanza relazionandosi con
l’altro. E’ chiaro che farlo da soli ci vuole più tempo.
Roberto SASSONE
Il respiro è fondamentale, perché le devi far espandere il torace.
Nitamo MONTECUCCO
Prendiamone un altro per vedere la differenza dei caratteri. Chi è secondo voi, invece di essere sul canale
di sinistra è più sul canale di destra? Chi è il polare rispetto all’orale?
Se prendiamo lo psicopatico, qual è la sua caratteristica principale? Anzitutto l’ottimismo, ha molta
energia, ha molto i piedi per terra, ha l’asse centrale che gli funziona bene, è connesso con la testa,
l’intelligenza è attiva e pratica, lavora molto con la vivacità e giocosità. Ricordiamo che l’asse centrale è
il centro dell’identità che nell’orale è debole, perché non è stato amato. Nello schizoide è anche spesso
debole, nello psicopatico invece l’ego è stato rinforzato. Anche se in una forma primitiva c’è il
riconoscimento dell’ego, non del Cuore, per cui si sentono amati. Ecco perché lo psicopatico usa molto
l’energia primaria della terra, la forza del fegato; non riesce, invece, a usare la dolcezza e la sensualità
della milza. Quindi, questa parte che è quella umana, attenta e affettuosa non arriva al Cuore e li fa
diventare carenti della parte che noi chiamiamo amorevole, etica che per loro è ritenuta una debolezza.
Roberto SASSONE
Lo psicopatico è proprio l’opposto del masochista con le sue gambe grosse e che fondamentalmente
sembra piantato sul suolo. In realtà il masochista non ha un vero riconoscimento di sé, lui esiste solo in
funzione dell’accontentare l’altro. Perché ha tutta questa struttura pesante? Gli serve esclusivamente per
contenere il suo vuoto, solo apparentemente sembra molto solido.
Nitamo MONTECUCCO
Proviamo per un momento ad immaginare il contrario. Il masochista, ha già da bambino un corpo molto
solido e tozzo, dove l’elemento linfatico è spesso in abbondanza. Questo tipo di bambini non sono
esuberanti, giocosi e vivaci; anzi, sono un po’ goffi. Mentre nell’orale c’è l’attenzione sulla milza, ma la
milza è vuota, perché il cuore è vuoto di affettività, nel masochista c’è una madre iperprotettiva che gli ha
dato troppo, lo ha soffocato. Quindi, di aspetto materno ce n’è tanto, di brutta qualità, ma è gonfio e
stagnante.
Roberto SASSONE
In realtà non ha contatto con il suolo. Sembra che abbia contatto con la terra per le gambe grosse, ma non
ha forza, perché non ha l’energia. Ha paura di crollare anche se si sente stabile. Facendo l’esercizio del
“grounding”, mentre l’orale reagisce presto cominciando a tremare e oscillare, il masochista sta un’ora
senza reazioni. Ha una struttura sicuramente ristagnante e compressa. Bisogna rimobilitargli l’energia. E
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chissà quante volte gli hanno detto “dai! muoviti!”. Così si ferma ancora di più.
Nitamo MONTECUCCO
Mentre nello psicopatico la respirazione è molto attiva, perché deve tenere il cuore aperto, deve lavorare
tanto e quindi deve anche respirare tanto, nel masochista c’è una respirazione lenta. Non è mai una
respirazione vivace e veloce. Se fate respirare velocemente un masochista significa che o non è grave o
che è già in grande miglioramento, significa che apre già i canali, che apre tutto.
Vediamoli associandoli con gli animali: è come se il masochista fosse un animale da tiro tipo una mucca
o un bue da tiro, è lento ma va avanti tanto. L’orale invece è come se fosse della categoria di animali tipo
cani o gatti che sono piccoli e più veloci. Oppure uno psicopatico è come se fosse un leone o un lupo con
il proprio potere gerarchico.
Roberto SASSONE
A proposito di respirazione. Quando si mette una persona con una struttura tendente al masochismo
sdraiata a respirare e si riesce a farle abbassare il torace, si gonfia la pancia. E’ come dire: molla, sì, il
torace, ma erge immediatamente una difesa in un’altra zona che qui è la pancia. E’ tipico. E’ veramente
un segnale interessante.
Nitamo MONTECUCCO
Immaginiamo l’ultimo carattere che solitamente non ha ricevuto grandi blocchi a livello primario, ha
l’affettività mediamente aperta; è vivace e presente perché l’energia dei Reni c’è. Allora quale potrebbe
essere la caratteristica dell’isterico-fallico-narcisista? Una certa dicotomia: è come se l’energia arriva al
cuore che però è troppo superficiale. E’ come sul cuore ci fosse un ostacolo, una ferita. Ad esempio è
come se il papà a 11 anni ti fa fare il cavalluccio sulle sue ginocchia, poi improvvisamene mettendo la
gamba tra le sue gambe sente che tu hai un seno e di colpo non sei più la sua bambina e non vai più in
braccio a papà. Anzi, comincia a contrastarti vietandoti certe cose, controllando con chi esci e dove vai,
oppure nel triangolo con la mamma (che vive questa energia attraverso la figlia che a sua volta ama il
padre) il cuore della bambina va in corto circuito. Da adulta ogni volta che si innamorerà di un uomo sarà
aperta nelle energie base, ma sarà bloccata nel cuore, perché è rimasto chiuso.
Questo ego strutturale cade abbastanza facilmente. Quando sono intelligenti (e a volte non lo sono) hanno
anche una certa vivacità, per cui quando gli proponi di aprire i sentimenti spesso quello che viene fuori è
una serie di banali condizionamenti sociali. Se si riesce a pulire questo si arriva spesso al cuore.
Roberto SASSONE
Queste strutture proprio perché sono arrivate vicine alla genitalità, quindi hanno energia sessuale che
scorre abbastanza liberamente, hanno anche una flessuosità e una morbidezza: nel camminare,
ondeggiano molto il bacino. Non è il movimento del latino americano che è ancora in contatto con la sua
energia vitale, ma è un movimento che denota la seduttività.
Nitamo MONTECUCCO
Due cose ancora. Parliamo del VI° Livello: l’espressione e l’intelligenza.
Avevo un amico che era uno schizoide, quasi completamente bloccato nel sistema muscolare-scheletrico
e la grande energia con cui non era riuscito a vivere nel corpo l’ha trasferita in testa. Era geniale. Un
giorno mi ha raccontato che da bambino sua mamma non lo lasciava troppo solo e libero di vivere, per cui
si è rinchiuso, ha preso in mano dei libri di matematica ed è diventato un genio in matematica.
Praticamente ha trasferito il piacere più genitale, di fegato e di milza nella testa. Era come se la testa non
fosse realmente in contatto con il resto del corpo. Non riusciva ad usare l’intelligenza del cuore né della
pancia.
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Abbiamo detto più volte che non dobbiamo formulare dei giudizi, Nella mia accezione più normale mi
scatta il giudizio sul masochista. E’ un tipo di mente con una lentezza di formulazione.
Ricordiamoci che la vivacità del fegato finisce nel punto in cui entra nel polmone. I polmoni prendono
l’energia del fegato. La loro vivacità diventa curiosità, la giocosità diventa intelligenza creativa. Quando
questo lato diventa inibito (dietro c’è spesso una mamma che non lascia giocare) la loro mente diventa
legata a delle strutture molto forti e non c’è assolutamente la vivacità del pensiero che permette la
rivoluzione.
Roberto SASSONE
Ricordiamoci che il blocco più forte del torace ce l’ha proprio il masochista. Non riesce ad espirare
allentando il torace e abbassandolo.
Nitamo MONTECUCCO
Quando invece fate respirare un orale che ha i polmoni vuoti, se lo tratti bene spesso si muove, va in
iperventilazione in fretta, va in tetania. Se, invece, lo dici al masochista non c’è niente da fare, respira tre
volte e poi si ferma.
L’intelligenza del masochista è più logica-formativa che non intuitiva, mentre nello psicopatico
l’intelligenza è molto stimolata. Come abbiamo già detto, nello psicopatico manca il canale di milza con
l’affettività che corrisponde al II° chakra. Il II° chakra è un’energia simbiotica, è l’energia dell’unione, è
l’energia del cordone ombelicale, dell’utero, della mamma. Se la mamma non ti dà questa energia, e, anzi,
lei diventa un maschio che ti stimola al rappresentarti all’esterno, è chiaro che questa parte etica viene
fortemente a mancare e il cuore se è tutto fuori non può essere tutto dentro. Una delle caratteristiche degli
psicopatici è il torace sempre pieno d’aria.
Li aiutate semplicemente appoggiandovi sopra chiedendo cosa sentono. In alcuni casi hanno sensazione
di panico, perché hanno paura a svuotarsi, perché l’immagine di sè, del loro ego, è la pienezza. Non
possono permettersi di essere perdenti, perché altrimenti crolla tutto. Questo nel caso di psicopatici più
stupidi. Poi ci sono quelli intelligenti e bilanciati che capiscono questo e hanno anche un grande cuore.
Ho avuto dei pazienti manager d’azienda molto determinati che però avevano fatto del bene, hanno
lavorato molto su di sé. Hanno dovuto sostituire le loro energie di terra forti riscoprendo il loro lato
femminile che non utilizzavano.
Roberto SASSONE
Infatti, lo psicopatico è uno che rischia il suicidio quando perde l’immagine di sé (per esempio gli
imprenditori che falliscono).
Nitamo MONTECUCCO
La stessa cosa può succedere alla donna che viene ingabbiata nel modello di “madre e moglie”. Io la
reputo già di base una persona che ha un carattere masochista e dato che questo in Italia è un dato
estremamente comune, c’è un enorme numero di figli di madri masochiste che hanno preso questo
carattere di chiusura e di adattamento alla situazione di non farsi troppe domande, di avere dei figli e di
andare avanti. Di buono c’è che sono delle madri stabili, dall’altra parte è che non sono donne realizzate,
perché si sono identificate troppo in un ruolo sociale. Fortunatamente sono sempre di meno, anzi sono
“sadiche”. Questo si può spiegare, perché la masochista ha avuto un ordine forte e quando cambia il ruolo
da figlia a madre, diventa all’incontrario. La legge è “adesso sono io che ti comando e ti dò la vera legge
della verità! Fai così come ti dico io, perché mi ha detto mia madre e ora devi farlo anche tu!”
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Roberto SASSONE
Io direi che non è la regola che il masochista diventi sadico. Se il masochista riesce a toccare il suo
sadismo significa che si è liberato dall’odio che aveva dentro. Ma questo lo fanno un po’ tutti.
Ovviamente, tra tutte le strutture il masochista è quello che meno si può permettere di esprimere la sua
violenza. La sua distruttività è una forza molto potente: dove la va imbrigliare? Nella contrattura molto
forte della sua muscolatura e nella distruttività verso sé stesso. Si vede realmente quanto il masochista
tutta la rabbia la sfoga contro di sé.
Nitamo MONTECUCCO
Riprendiamo le energie di una mamma in gravidanza.
Se la mamma è molto fisica, ha un bel canale rosso, il bambino riceve una carica vitale che gli carica il
suo primo e secondo chakra. Se invece la mamma ha il primo chakra chiuso e non riesce a vivere
serenamente l’amore di coppia, il bambino riceve sul primo e secondo chakra un senso di fastidio. È
ovvio che l’energia vitale non è l’atto d’amore in sé, solo se la mamma ha il cuore aperto tutto il suo
sistema sarà gaudente e anche il bambino ne avrà beneficio, riceve questa energia di piacere. Tutti i
problemi, le preoccupazioni della mamma vanno sulla pancia, il bambino avrà gia nella gravidanza un
cuore che si chiude. Se la mamma è di testa e ossessiva vale a dire con la milza e cuore bloccati e
l’iperattività del cervello superiore, il bambino riceve una banda di onde beta costante che lo massacra. Se
la mamma è un iper-emotiva e ansiosa, il primo chakra è tirato, al bambino arriva una costante banda di
onde theta.
Primo caso: la mamma è staccata dal corpo e dal cuore e vive molto nella testa e il bambino ha subìto già
un trauma (tentativo d’aborto, una caduta, una paura), il bambino avrà la possibilità di avere lo stesso
blocco già dalla nascita (schizoide). Il bambino riceverà una doccia di paura e tensione per nove mesi,
nascerà con quel codice, avrà il primo chakra bloccato o poco funzionante, nascerà con la predisposizione
a non sentire il corpo, dato che non ha sentito il contatto con il corpo della madre. Neanche dopo la
nascita la madre lo ribilancerà o lo farà solo parzialmente.
Secondo caso: la mamma ha un blocco di secondo chakra. È depressa, è orale, con un grande buco sul
cuore. Ha un buco di milza, di energia affettiva, e non riesce a sentirla per la sua bambina che è nella
pancia. Questa energia di milza, povera, non nutrirà il feto. Il bambino nascerà con quella codifica, poca
energia affettiva e calore. Avrà un cuore ansioso, bisognoso, con un’energia femminile non viva,
piacevole, rilassata.
Terzo caso: la mamma ha un blocco di terzo livello, sin da bambina non ha potuto giocare nel corpo, non
ha potuto sperimentare sulle proprie gambe la propria autonomia, la propria dinamicità, nella vita non si
sente dinamicamente presente e non sa come divertirsi. Può anche essere tesa, nevrotica, rancorosa. Primo
chakra, fegato e cuore un po’ induriti, tutto sul lato destro. Il bambino nella pancia sente questa codifica.
Quarto caso: la mamma ha una chiusura del cuore, una mancanza enorme. Ne abbiamo già parlato,
proviamo ad analizzare il caso contrario, dove la mamma ha un cuore aperto, è sensibile e di cuore. Può
avere un blocco di primo o secondo chakra, un po’ di depressione. Accade che la gravità dell’influenza
viene minimizzata, il bambino avrà delle turbe ma saranno molto meno gravi rispetto ad un altro bambino
con le stesse strutture materne di crescita ma con una mamma col cuore chiuso, che non lo ama. Se la
mamma in definitiva lo ama, lo sente, il bambino lo percepisce perché tale energia passa attraverso il
corpo. Se la mamma è un po’ depressa e abbraccia poco il bambino, questo avrà un po’ di sofferenza, sarà
poco incline alle emozioni, poco facili al sorriso. Ma avrà un cuore aperto, sarà una bella persona.
La consapevolezza amorevole, la presenza empatica è la prima cura della persona, la prima terapia.
Questa cosa, voi counselor, dovete darla, ce l’avete, perché chiunque sia è un essere e su quella base
cercate di tirare fuori quello che si può. Voi potete facilmente lavorare su una persona col cuore aperto.
Su le persone che palesemente non hanno un cuore dovete stare molto attenti, forse a volte è meglio non
lavorare o meglio, se siete dei massaggiatori, degli shatsuka, operatori di cranio-sacrale, è preferibile che
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facciate le tecniche che conoscete, con grande rispetto e grande amore, ma non lavorate come counseling,
perché il cuore chiuso è già una patologia. Voi potete dire: «Guarda, io non posso aiutarti sulle cose di
cuore, di profondità, di psiche e di emozioni, posso darti qualche piccolo consiglio, così a livello giocoso,
ti faccio fare un po’ di biodanza, un massaggio, lavoriamo intanto sul corpo, ma non oltre, non la
prendiamo in considerazione come punto centrale del processo di crescita tra me e te, perché io non me
ne posso occupare». Se invece, anche in una situazione tirata, voi riuscite a sentire che ha un cuore che
risponde, allora potete lavorare, senza ovviamente fare psicoterapia. Se la persona ha davvero il cuore
aperto riesce a dire «Io voglio uscire da questa situazione». Se la persona ha il cuore chiuso dirà «Non
credo che riuscirò ad uscire da questa situazione, non ho fiducia» (che significa non ho fiducia in te né in
me). In quest’ultima situazione non forzate minimamente, perché significa che questa persona ha subìto
una tale ristrettezza di amore che gli ha creato un blocco profondo nell’identità. Voi in questo caso potete
lavorare molto sul corpo, aiutarlo, dargli strumenti, leggerezza, ma non dite mai alla persona «Ti posso
aiutare ad aprire il cuore». Magari riuscite ad arrivare comunque ad aprire il cuore attraverso il corpo,
l’amicizia, ma non attraverso il counseling diretto e consapevole.
Quinto caso: una mamma con il blocco della gola, non comunica. Nelle famiglie in cui i genitori non
comunicano le emozioni, i figli cresceranno senza comunicare emozioni o hanno un grosso blocco.
Sesto caso: la stessa cosa dicasi per il centro della mente, la tipologia di sesto livello. La mamma
trasmette ideologie, condizionamenti.
Riprendiamo un attimo questo schema e rivediamo i casi opposti. Finora abbiamo analizzato le carenze,
ora vedremo gli eccessi. Immaginiamo che il bambino nasca senza aver ricevuto energie pesanti o
particolari blocchi di chakra. La gravidanza è stata abbastanza normale. La mamma abbastanza
equilibrata, minimamente di cuore. Il bambino nasce normale.
Se la mamma comunque ha un blocco sul primo chakra, trasmette al figlio questo tipo di energia. O gli
pompa o gli svuota il primo chakra. Può anche farlo contemporaneamente. Da una parte dice «Ah
finalmente sei nato, avrò cura di te e ti darò tutto il meglio dalla vita», così facendo dà un’impostazione di
primo livello forte, fisica, strutturata; immediatamente crea una spinta sul primo chakra fisico dove il
bambino si sente investito da una serie di cose mentali ma che vanno istantaneamente a fortificarlo. Non è
tanto un rinforzo narcisista ma è come dire «tu devi essere un bravo ometto, responsabile, aiuterai se ci
sarà bisogno; oppure sei una brava figliola responsabile, dovrai aiutare i tuoi fratelli, non darmi
preoccupazioni». La parte utile che può essere fisica, economica, viene rinforzata. E questo crea nella
psicologia della persona che questa prenderà parte della sua energia fisica o solo mentale, e si sentirà
investito di una forza enorme.
Dall’altra parte la mamma potrebbe dire «accidenti aspettavamo un maschio e sei nata femmina» oppure
«mi aspettavo che diventassi un uomo forte come il nonno avrebbe voluto», e c’è quindi un processo di
castrazione.
Già nei primi mesi di vita il bambino manifesta istantaneamente un’attività fisica. Ad esempio già a due
mesi si tira su con le gambe. Possiamo fare due cose: bloccare la vitalità e fermare le gambe, magari
fasciandole, oppure permetterle di sgambettare gioiosamente. Nel primo caso il bambino viene castrato, ci
sarà un’inibizione di primo chakra e del fegato, successivamente. La parte di riconoscimento fisico
dell’indipendenza verrà bloccata. La parte muscolare del movimento fisico verrà bloccata. Sarà una
persona che tenderà ad ascoltare questo suo lato un po’ pauroso o ansioso o molto protettivo della
mamma e svilupperà un carattere introflesso. Saprà sostenere questa mamma, diventando come un bue
che è stato castrato psichicamente, rimanendo in un’energia di primo chakra debole. Nell’altro caso è
l’opposto, svilupperà un primo chakra forte. È possibile che queste due forme siano contemporanee. La
scorsa settimana era qui un uomo forte, determinato, capace nella sua vita professionale, che nella vita
famigliare ridiventa un bambino rispettoso. Ha una postura col torace espanso e sicuro, ma quando gli si
chiede della famiglia riassume una conformazione masochista. Io sono un guerriero, dice, ma non devo
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fare nessuna guerra, devo proteggere i miei genitori. Fuori è uno che si dà, una volta tornato a casa
subisce i genitori. Lui è l’amministratore delegato dell’azienda di famiglia, in pratica il capo, ma in realtà
comandano sempre i genitori. Quindi doppia azione: fuori sei un imperatore, dentro uno schiavo, devi
essere il nostro bravo figliolo, ma per quanto riguarda la famiglia e le emozioni, sei sotto di noi.
Prendiamo il carattere di milza: la mamma che non ama il bambino crea un carattere orale, con il classico
buco dell’abbandono, un buco di secondo livello, dove il cuore è in continua richiesta ogni volta che
incontrerà una persona. Ma c’è anche il caso opposto dove la mamma iperprotegge, rassicura sempre.
Esiste una media, una giusta affettività al momento giusto. Questo atteggiamento spinge verso una
personalità, ad esempio nel caso di una bambina si svilupperà un carattere molto femminile, se è maschio
a diventare molto maschile per reazione, comunque sul secondo livello, caratteri sessuali. La madre si è
insinuata nella sua psiche e ha condizionato un comportamento in eccesso, senza lasciarle la libertà di
essere ciò che è. Avrà questa sessualità e affettività spiccate, la Brooke Shields della situazione. Altro
esempio è il film “la fabbrica del cioccolato”, dove sono trattati diversi caratteri, con ego molto pompato.
Altro esempio è il pompaggio o la decompressione del fegato. Il ragazzo spinto di fegato è il classico
sportivo. Spessissimo c’è dietro il papà. Una personalità fisica, dinamica, sportiva, che impara presto a
cavarsela e ad essere autonomo. Se mischiata ad altri caratteri può diventare un elemento caratteristico
fondamentale. Se il genitore spinge a cavarsela da soli e guadagnare qualcosa già nell’adolescenza, dà
autonomia al figlio, che verrà su dinamico e forte delle sue esperienze.
La contrattura del diaframma
Per quanto riguarda il blocco del diaframma, direi che siccome la respirazione è trasversale il blocco c’è
sempre. Bisogna, però, vedere l’intensità del blocco.
Nitamo MONTECUCCO
Lo sblocco del diaframma si effettua un po’ con tutte le respirazioni, anche se ci sono tecniche più
specifiche. Riprendiamo lo schema dei meridiani di energia. Se il cuore si chiude, si chiude la gola e il
diaframma, che sono le porte del cuore. In realtà il cuore ha sette porte e queste sono le prime due più
importanti, Per chiudere il cuore tu stringi le spalle. Poi c’è la porta anteriore che è quella del dare e
quella posteriore che è quella del ricevere. Vi sarà già successo che quando un amico sta male vi viene
istintivo mettergli una mano dietro sulla zona del cuore, tra le due scapole, per sostenerlo. E un’altra porta
del cuore è quella dell’energia del cielo, dell’alto ed entri nello spirito.
Io ho avuto esperienza con migliaia di persone in una comune per circa tre anni vivendo o conoscendo
migliaia e migliaia di persone di tutte le razze, tutti i tipi, di tutte le età e di tutte le conformazioni
psicologiche: c’erano gli orali, i masochisti, gli schizzati, gli schizofrenici. C’erano persone con vari
problemi di salute, ma tutte avevano una caratteristica fondamentale: quella di avere un’anima. E ogni
anima si era manifestata nel mondo con quel tipo di blocco o quella vita, partendo da una particolare
genetica e condizioni ambientali, dove le energie potevano o non potevano uscire, anche con patologie
gravissime o problemi psichici rilevanti. Ebbene, quando si risvegliava la coscienza centrale queste
persone cambiavano, si ribilanciavano. Il carattere che avevano prima non c’era più. C’erano delle tracce
o qualche volta emergeva ancora, ma la vecchia struttura veniva sostituita dalla consapevolezza della
realtà.
Quindi, tutta la mia formazione universitaria e post-universitaria in psicologia, che sosteneva che la
personalità di un’individuo si struttura al massimo fino ai diciotto anni, veniva vanificata da quella
esperienza diretta dove anche persone di settant’anni cambiavano personalità nel giro di uno, due, tre
anni. Per me è stata una rivoluzione concettuale e quello che cambiava era l’anima, il contatto di
profondità e l’osservatore di sé stessi. Ho visto delle trasformazioni enormi e questo è stato il grande
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motivo che mi ha indotto a studiare il cervello e la psicosomatica.
Le ricerche sulla coerenza e la sincronizzazione cerebrale
Quando abbiamo studiato la coerenza e la sincronizzazione cerebrale ci siamo accorti che esistono degli
stati di coscienza che possono essere a bassa o ad altissima sincronicità. Se prendete il libro di
“Psicosomatica Olistica” da pagina 168 in avanti potete comprendere l’estrema importanza della coerenza
per capire il grado di integrità psicosomatica di una persona e, nella pratica della sua crescita personale,
per verificare l’avanzamento del suo stato. Ricordate che lo Psico Olotester, l’elettroencefalografo per
fare queste analisi è disponibile al costo ridottissimo di 1400 euro, quando un normale eeg portatile costa
dai 14.000 ai 20.000 euro.
Nella fig. 48 possiamo vedere l’emisfero destro e l’emisfero sinistro con il valore della sincronizzazione
che può essere al massimo a più 100%, a zero e a meno 100%. La sincronizzazione continua a variare nel
tempo. Qui vediamo un esempio dove la media del tempo è di tre minuti e la media di sincronizzazione è
67. Questo è un bel quadro di un contadino dell’Himalaya: il cuore è bello aperto, il cervello rettile è
giallo-rosso, il cervello mammifero è l’onda verde e il cervello razionale-intuitivo è in alto. E’ una bella
sincronizzazione.
L’altra diapositiva fig. 50 è invece di una persona normale di Milano, Il cervello è un pochino più pieno,
manca l’onda sul cuore. La media è di 66. E’ uno che lavora con la testa ma con una leggera asimmetria
nelle beta di sinistra. Guardate non c’è un’onda a sinistra uguale a quella di destra. Si direbbe che è una di
quelle persone che vivono senza una vera ragione e non se lo sono mai chiesti.
Nella fig. 52 vedete uno squilibrio a sinistra che indica un forte stato di stress. La fig. 53 è il quadro di un
giovane ingegnere in stato di eccitazione mentale e fisica: vedete come la parte alta è espansa. La
sincronizzazione è alta, 95 di media. Chiaramente aveva dei deficit emozionali interni. Da questi
esperimenti sappiamo che il cervello può viaggiare sotto il normale, a livello normale o sopra il normale.
Immaginiamoci che una persona che volesse fare il counselor dovrebbe perlomeno essere normale se
incontra una persona sotto il normale. O meglio ancora, dovrebbe essere in uno stato sopra il normale in
modo da poter incontrare chiunque in uno stato di presenza. Non è una cosa difficile, l’avete provato più
o meno tutti.
Ora guardiamo nella fig. 64 gli effetti di due cervelli normali di due persone amiche che stanno parlando.
In questi due grafici al centro vedete che la sincronizzazione fra i due emisferi sinistri e due emisferi
destri è incrociata: praticamente zero. Tra i loro propri emisferi si ha 84 e 77. Quindi, hanno una buona
sincronizzazione, però non c’è nessuna relazione di sincronizzazione tra di loro nonostante stessero bene
chiacchierando. Ognuno ha il suo cervello. La fig.65 mostra i cervelli delle due persone che meditano
insieme ad occhi chiusi. La banda di sincronizzazione diventa altissima: 84 e 78. E’ interessante vedere
che appena si entra in uno spazio, c’è una sincronicità, perché l’energia passa. Nella fig. 66 invece, le due
persone non stanno meditando, ma sono innamorate. La cosa interessante è che la sincronizzazione è
negativa, cioè sono a fasi alterne, una polarizzazione necessaria all’attrazione sessuale. Nella fig. 67,
abbiamo invece un terapeuta e una paziente, le onde sono ad altissima sincronizzazione, ogni onda
dell’uno si riflette sull’altra.
Tutto questo per farvi vedere e capire qual’è il meglio che potete offrire alle persone in un processo di
counseling ed è ciò che noi vorremmo che voi foste in grado di trasmettere: un cuore aperto, una
coerenza, una grande presenza che passa. Nelle fig. 68 e 69 gli stupendi quadri di due persone trattate con
rilassamento al villaggio globale da operatori counselor ben armonizzati e in stato di presenza.
Questa cosa accade anche in un gruppo di 12 persone: nella fig. 70, l’esperimento ad occhi aperti, ogni
persona ha un’onda diversa; le onde poi si uniformano, fig. 71, nel momento di silenzio; fino a diventare
1
sincroniche, fig. 72, quando le persone chiudono gli occhi ed entrano in meditazione. Si realizza una forte
sincronizzazione collettiva!
Questo breve excursus è per stimolare la nostra comprensione dei processi empatici che possono avvenire
e che possono trasmettere gioia, coraggio, presenza. Ecco che quello che c’è scritto nei testi di guarigione
esoterica – tipo quelli di Alice Bailey – che il guaritore deve agire su di sé per trasmettere la giusta
energia all’altro, voi lo fate respirando nel vostro cuore, sentendo l’energia per poi trasmettergliela, anche
senza fare niente. Quindi, l’atto principale che noi proponiamo è proprio quello del lavoro su di sé, della
presenza su di sé, dell’energia pulita su di sé che automaticamente viene trasmessa all’altra persona.
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SCHEMA SINTETICO DEI CARATTERI PSICOSOMATICI
I tre fattori che determinano un carattere: genetica-epigenetica, condizionamenti e anima-coscienza
Riassumiamo le informazioni relative ai caratteri secondo Reich e Lowen e proviamo ad integrarle con le
moderne conoscenze di psicosomatica e di neuroscienze. La struttura globale della personalità è derivata
da tre principali fattori che interagiscono profondamente tra loro:
1) La componente genetica (ossia il DNA) una parte della quale è assolutamente immodificabile (colore
della pelle, strutture ossee, organi alterati, ecc.) mentre una seconda parte, detta “epigenetica”
(metabolismo, neurotrasmettitori, alterazioni fisiologiche, ecc.) è modificabile da 2) e 3).
2) I condizionamenti esterni ossia le l'influenze famigliari, ambientali e sociali, che modificano la
struttura genetica.
3) L'anima, ossia la coscienza globale, che può risvegliarsi e manifestarsi come Sé o dimenticarsi di sé e
identificarsi con una sua struttura genetica o con un condizionamento famigliare o sociale diventando un
ego, un io della mente, una personalità (da persona = maschera).
Secondo l’ipotesi coscienza l’anima può rientrare almeno in tre maggiori livelli di evoluzione:
basso: la persona è essenzialmente identificata con i bisogni esterni (fisici, emozionali e mentali);
media: la persona è identificata con i valori del cuore e della libertà anche se non riesce a focalizzarli e
realizzarli concretamente;
alta: la persona è poco identificata con i bisogni esterni, ha una forte sensibilità interiore e dedica la sua
vita alla ricerca spirituale di sé e alla realizzazione dei suoi valori profondi.
PERIODO FETALE: LA STRUTTURA GENETICA, MATERNA E ANIMICA
L'influenza genetica-epigenetica
L'influenza genetica è la principale base della personalità, ed è dovuta ai codici genetici derivati
dall'unione dei geni del padre e della madre. In particolare è importante la struttura genetica espressa
dallo sviluppo dei tre foglietti embrionali, con le loro specifiche tendenze - impronte neuro-ormonali. Una
parte di queste tendenze sono plausibilmente genetiche-immodificabili, una parte (sempre più vasta
1
secondo le ricerche internazionali) sono “epigeneticamente” modificate dagli influssi psico-neuroendocrini della madre.
L’anima e l’”ipotesi coscienza”
Al momento del concepimento, dal preciso momento in cui il codice genetico materno e paterno si
fondono, ipotizziamo possa sovrapporsi (per “superimposizione”) l'influenza dell'anima, la quale potrebbe
agire stimolando o inibendo i sette centri energetici (chakra) e più in generale lo sviluppo dei tre foglietti
embrionali. Partendo da questa ipotesi appare interessante puntualizzare che, nelle ultime generazioni, si è
osservato un evidente sviluppo cognitivo e di personalità dei neonati, già nelle primissime fasi della vita.
Questi bimbi appaiono come particolarmente svegli, vivaci, determinati, sicuri dei propri sentimenti, e
difficilmente condizionabili, come se la loro “anima” o “Sé” fosse particolarmente forte, evoluto e
maturo. Queste testimonianze, associate ad osservazioni energetiche sottili, hanno portato a definire
questi “bambini e bambine indaco”.
I condizionamenti materni
I dati della ricerca internazionale evidenziano che l'essere umano già durante il periodo fetale riceve
impulsi dalla madre che condizionano alcuni schemi neuroendocrini (cortisolo, ecc.) in modo tale che il
piccolo, appena nato, presenta già una sua conformazione “genetica” strutturale che lo orienterà ad una
particolare personalità (stressato, spaventato, dipendente, dominante, scisso al corpo, ecc.).
È evidente come alcune delle più gravi patologie siano fortemente associate a situazioni di rifiuto al
concepimento o a forti traumi nella gravidanza.
I TRE CARATTERI PSICOSOMATICI ALLA NASCITA
La base “genetica” dei caratteri genera una evidente predisposizione ad alcune tipologie caratteriali e non
ad altre. La struttura nervosa non genera un masochista reale e viceversa una struttura forte psicopatica
non porta ad una carattere orale.
La struttura fisica-istintiva e il cervello rettile
Se la principale struttura genetica sarà quella fisica-endodermica, avremo un bimbo di corporatura spesso
robusta, con maggiore sviluppo del corpo e del metabolismo fisico (CIBO!), particolarmente identificato
coi suoi bisogni fisici primari (cibo, sesso, possesso di beni, benessere), col suo corpo e con la propria
forza fisica (potere). Queste sono le caratteristiche espressioni del cervello rettile-istintivo legate alla
sopravvivenza personale: massima attenzione ai bisogni fisici, scarsa tendenza alla comunicazione
sociale. Gli ormoni ed i relativi schemi comportamentali impongono due principali caratteri: attivo e
passivo. Il carattere attivo è quello orientato alla dominanza, ossia alla forza fisica, all'aggressività e al
potere, (testosterone, adrenalina, noradrenalina); il passivo, quando l'individuo non sia sufficientemente
sostenuto dagli ormoni attivi o quando è stato specificamente condizionato, è orientato a comportamenti
rilassati, accondiscendenti, deboli e dipendenti, e sarà particolarmente sensibile al riconoscimento fisico
e formale, agli stimoli della paura (ansie della madre, aggressività del padre) e quindi a sperimentare
frequentemente una personalità orientata alla sottomissione.
Come nella realtà animale uno solo diventa il maschio alfa all’interno di un gruppo, gli altri si
sottomettono a differenti livelli. Così questa tipologia fisica si manifesta socialmente con le personalità
dominanti-istintive (pochi individui) e personalità sottomesse-controllate (le masse).
1
La struttura emozionale-affettiva
Se la principale struttura genetica sarà quella mesodermica, quella di fatto più comune, avremo un bimbo
o una bimba di proporzioni equilibrate e particolarmente identificato con la dimensione delle emozioni,
che evidenzierà una particolare sensibilità ai bisogni affettivi e relazionali, all’”amore”e alla
comunicazione affettiva e sociale, ossia con le funzioni principali del cervello emozionale-mammifero.
La persona con una armonica proporzione del corpo, spesso associata ad una “bella” struttura fisica,
benché risenta dell'influenza degli ormoni fisici che rappresentano la base, sarà ovviamente più
suscettibile alle influenze affettive, emozionali famigliari e sociali relative all'apprezzamento, all'amore e
spesso alla bellezza (i figli belli sono statisticamente più amati); fattori che generano sicurezza
emozionale, e, nel caso siano sostenuti dagli ormoni dell'attività fisica, una fiducia in sé stessi e un certo
carisma. Le persone emozionali saranno particolarmente sensibili all’attenzione affettiva (e alle relative
privazioni), all’accettazione personale, ai contrasti emotivi, alle tensioni relazionali. Se il lato
emozionale sensibile non viene sufficientemente rinforzato e “amato”, si sviluppa una caratteristica di
evidente dipendenza affettiva (ma spesso anche fisica e intellettuale) che, nel codice bioenergetico va
sotto il termine di personalità “orale”.
La struttura nervosa-psichica
Se la principale struttura genetica è esodermica, avremo un bimbo o una bimba che evidenziano una
struttura fisica longilinea e delicata, maggiormente identificati con la propria dimensione psichica, con
un’evidente espressione del cervello mentale-neocorticale, spesso associata ad una particolare sensibilità
(o ipersensibilità) del sistema sensoriale-nervoso-cognitivo. Le persone mentali saranno particolarmente
sensibili alle privazioni cognitive e psicologiche, alla mancanza di comprensione personale e di
riconoscimento intellettivo, alla carenza di stimoli culturali.
Questa sensibilità psichica se sostenuta da un'adeguata spinta di forze (ormonali-psicologichecomportamentali) fisiche ed emozionali, genera una persona mentalmente sicura e forte, mentre se non
viene sostenuta dall'asse delle energie ormonali attive, genera una persona spesso vaga, strana, sognante.
La persona fisicamente concreta e attiva ha a disposizione il proprio emisfero razionale e intuitivo, che
può utilizzare in modo molto reale e quindi realizzare i propri pensieri razionali o di fantasia. Un
sognatore concreto diventa un Quasimodo, un amante della musica un Jim Morrison, un analitico diventa
un Einstein, se è legato all'intelligenza finanziaria diventa un Bill Gates.
Queste tre personalità genetiche possono anche essere bilanciate ed armoniche tra fisico, emotivo e
mentale.
Possiamo ipotizzare che l'anima, più o meno polarizzata o se vogliamo identificata, con le sue
componenti energetiche, emozionali e mentali, possa influenzare il maggiore o minore sviluppo delle
strutture fetali dei tre foglietti embrionali.
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LO SCHEMA UNIFICATO DEI CARATTERI PSICOSOMATICI
FUNZIONALI (FLUIDI E INTEGRATI) E PATOLOGICI (RIGIDI E
CONDIZIONATI)
In questa tavola troviamo lo schema sintetico per comprendere in modo unitario e globale i caratteri
psicosomatici. Il centro luminoso sul cuore della figura umana rappresenta il centro di coscienza, il sé. Il
cerchio giallo in cui è tenuta la figura è il campo armonico dell’essere, ossia il campo di energie e
informazioni che costituiscono le parti dell’unità umana. L’area Blu rappresenta la dimensione mentale –
cognitiva della persona, l’area verde la dimensione emotiva – affettiva, e l’area rossa l’area istintiva –
fisica. Nella metà destra della figura umana (sulla sinistra per chi vede) la sua polarità
attiva/yang/simpatica, nella metà sinistra la sua polarità passiva/yin/parasimpatica.
Questo schema evidenzia quindi le sei principali strutture caratteriali funzionali o fluide, di ogni
persona, ossia le sei dimensioni naturali e piacevoli di esperienza che ognuno, in momenti differenti
della sua vita, dovrebbe naturalmente vivere e “godersi”.
Le due polarità fisiche - istintive
Partendo dalla dimensione fisica - rettile, la più vitale e istintiva tra le energie o forze dell’intera specie
1
animale, abbiamo i due comportamenti che stanno alla base di ogni azione di sopravvivenza: l’attacco e la
fuga, la dominanza e la dipendenza. Queste energie sono assolutamente sempre presenti in ogni persone,
e ogni persona quindi dovrebbe sperimentare momenti di forza attiva (mediati dal testosterone e
adrenalina) e momenti di rilassamento (mediati dalla serotonina), momenti di sana dominanza (mediati
dal testosterone) ad es. negli sport, a scuola, e momenti di obbedienza, ad esempio ascoltando i genitori o
imparando a scuola da una maestra.
Le due polarità emotive
La dimensione emozionale affettiva è la seconda grande forza che sostiene la vita e la crescita di ogni
persona: essa rappresenta l’energia materna per eccellenza, l’amore, il calore e l’affetto, la tenerezza del
contatto. Ogni persona dovrebbe aver sperimentato da neonato e da bambino, come in ogni relazione
intima questa energia recettiva e dolce, così come si dovrebbe sperimentare la sua componente polare
attiva, che viviamo quando è il nostro compleanno, quando siamo tra amici e ci sentiamo accettati e
simpatici, quando possiamo anche rischiare e buttarci.
Le due polarità mentali
Le due polarità attive e passive, sui livelli fisici ed emozionali attivano la rispettiva componente
neuropsichica o cognitiva, che è rappresentata in parte dai due emisferi cerebrali. Queste due polarità
sono connesse con la personalità Yang mentale, autonoma, discriminante, realista o con la personalità Yin
influenzabile, accettante, intuitiva e fantasiosa. Tutti abbiamo queste polarità e neuro-personalità, e quindi
dovremmo averne diretta e completa esperienza.
I caratteri patologici condizionati e rigidi
Ogni volta che uno di questi aspetti caratteriali si blocca o si cristallizza, la persona perde la
consapevolezza del suo centro e delle sue complessità emozionali e polari, e, alla coscienza di sé si
sostituisce un “Io”, una personalità con cui la persona si identifica completamente. Le scritte all’esterno
del cerchio luminoso (giallo) stanno ad indicare le personalità cristallizzate, condizionate, più
armonicamente comprese nel campo della coscienza centrale.
La descrizione di questi caratteri è stata fatte nei capitoli precedenti, la differenza è appunto nel grado di
identificazione e quindi nella possibilità per la persona di poter cambiare la propria vita o di sentirsi
prigioniera di un carattere.
Dalla patologia ai caratteri fluidi
Le vecchie concezioni psicologiche - da Freud, a Reich a Lowen – hanno utilizzato essenzialmente delle
tipologie patologiche o malate per definire i caratteri. Nella moderna Psicologia Olistica è invece
fondamentale togliere le terminologie patologiche dalla descrizione della “normale” tipologia caratteriale
e relegare queste terminologie ai soli casi realmente alterati e patologici. Alcuni di questi caratteri non
sono più nemmeno realisticamente rappresentati nella società.
Dal condizionamento “anale” al condizionamento all’esplorazione
Il condizionamento “anale” è diventato obsoleto, mentre era un condizionamento estremamente attivo
nell’Europa di un secolo fa, con l’avvento di nuove forme di educazione e di nuova cultura e soprattutto
con la creazione dei pannolini il blocco “anale” non è più reale. Noi lo sostituiamo con il
condizionamento all’esplorazione e alla vitalità, che è un condizionamento muscolare-nervoso-mentale
attuato dalle mamme ansiose e angosciate da ogni evento potenzialmente pericoloso, e quindi che
proiettano sui loro figli le loro paure e i loro timori in larghissima parte inesistenti. Le mamme ansiose
diventano quindi “iperprotettive” e condizionano i figli ad avere paura di ogni cosa, a non fidarsi di se
stessi, a non poter godere della loro esplorazione fisica-cognitiva che, attraverso la curiosità, sviluppa una
1
base psicosomatica attiva, assertiva e dinamica.
Dal complesso di Edipo alla relazione affettiva
Edipo, nell’antica mitologia Greca, fu simbolo di incesto e di sessualità alterata. Edipo, non sapendo chi
fossero i propri veri genitori, uccise il padre e divenne il marito della madre. Questo mito sventurato e
drammatico aveva ovviamente la funzione di toccare i purtroppo numerosi casi di incesto all’interno di
sciagurati nuclei famigliari e di evidenziarne la gravissima colpa sia sociale e legale, che divina. Parlare
di complesso di Edipo nella struttura famigliare contemporanea significa immaginare un incesto dietro
ogni relazione Madre-Figlio o Padre-Figlia. Pur ricordandoci che i casi di violenza e di abuso sessuale
all’interno dei nuclei famigliari è purtroppo ancora presente, dobbiamo relegandoli ai casi di relazione
chiaramente “patologica” e aberrante. Nella normale struttura di relazione famigliare, dobbiamo invece
eliminare i riferimenti Edipici, come attrazione “sessuale” e “incestuosa” tra genitori e figli, e sostituirli
con una descrizione della “normale” tipologia caratteriale, e sostituendoli con una descrizione più attuale
e “leggera” di rapporti di relazione-attrazione emozionale e affettiva tra genitori e figli.
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L'APPROCCIO OLISTICO AL COUNSELING
LA PRESENZA EMPATICA
La presenza empatica come stato di consapevolezza globale di noi e dell'altra persona
Nitamo MONTECUCCO
In questo capitolo tratteremo più dettagliatamente dell’approccio con il cliente. Proveremo a
concretizzarlo, a dargli delle regole, a capire come viene strutturato e soprattutto come si può facilitare
anche fisicamente l’approccio con una persona che vi chiede aiuto, nel setting, nel dialogo, nelle
domande, nel questionario. In primo luogo è importante creare uno spazio e fare in modo che la persona
entri in questo spazio. Oggi è con noi Kapil che oltre ad essere il responsabile per il Villaggio Globale di
tutta l’area del “cranio-sacrale”, è anche il nostro punto di riferimento per tutta quella parte di esperienze
meditative di profondità che ruotano attorno ai gruppi dell’“Awareness Intensive”, del “Who is in?” e del
“Satori”. Questo tipo di percorso per sperimentare “l’esperienza dell’essere” ha una storia
interessantissima che vorrei vi venisse raccontata da Kapil.
Kapil PILERI
Mentre vi racconto queste storie sull’illuminazione o sulla consapevolezza vi invito a stare in uno spazio
di ascolto. La cosa importante è che voi cominciate a riconoscere quali sono i vostri segnali del corpo,
1
come i sensi sono aperti e totalmente disponibili a far entrare quello che stiamo ascoltando. La cosa molto
importante che, secondo me, ha detto Nitamo è che quando siamo in questo spazio della pancia è come
stare continuamente in un paradosso. Per esempio una sensazione può essere contemporaneamente paura
o eccitazione. E’ come la sensazione che c’è tutto e che da quel tutto vengono fuori le idee, le sensazioni,
le emozioni. Riconoscete quali sono i vostri segnali: i suoni non vi danno più fastidio, c’è la sensazione di
vedere con gli occhi a 180 gradi, il calore nella pelle, la sensazione di sentire la spina dorsale dritta.
Portate l’attenzione a quelli che sono i vostri indizi, perché comunque in questo tipo di lavoro, perlomeno
come lo intendo io, la cosa fondamentale è che io non posso incontrare l’altro se non so chi sono io.
Quindi, io vado in questo spazio e questo spazio permette all’altro semplicemente di essere in quel
momento lì. La parte finale di questo è l’espressione. Cioè, questo mio spazio, questo mio essere in uno
spazio di vuoto principalmente - e qui c’è ancora qualcosa di paradossale, se lo sentite nella pancia permette all’altro come di scivolare nella sua pancia e nella sua consapevolezza. Portate attenzione al
corpo e state con quello che c’è: difficoltà, paura, sentite queste sensazioni e portatele più in profondità,
come se vi deste il permesso di precipitare dentro.
L'intensivo di illuminazione di Charles Berner
Questo lavoro nasce tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 del secolo scorso, dallo psichiatra Charles
Berner. Berner, appassionato di Zen cinese, lavorava principalmente con persone con problemi di
relazione. Lavorava con lo Zen originario in cui si può ancora distinguere l’unione del buddhismo con il
taoismo. Poi lo Zen si è sviluppato successivamente in Giappone. Lavorando con persone con problemi
principalmente di comunicazione, ha cominciato ad usare l’antica tecnica del lavoro col koan mettendo
due persone una di fronte all’altra. I koan, originariamente, erano dei quesiti irrisolvibili che potevano
avere una soluzione solamente nel momento facendo esperienza diretta per esempio della dualità o del
volto originario della persona. Charles Berner - partendo anche da tutta una serie di insegnamenti legati
all’antica scuola indiana dell’Advaita Vedanta, al grande illuminato Ramana Maharshi, a diversi altri
maestri tra cui George Gurdjieff - ha inserito dei “koan” che sono esistenziali, tipo “Chi sono io?”, “Chi
c’è dentro?” e in seguito altri: “Che cos’è l’amore”, “Che cos’è la libertà”, “Che cos’è la vita”. Questi
sono dei koan su cui si può lavorare anche tutta la vita. In altre parole, io posso avere l’esperienza diretta
per esempio di “Chi c’è dentro?” in questo momento e posso continuare a lavorarci e averla
continuamente e continuamente cambia. Io divento il koan e la risposta viene fuori principalmente dal
corpo, non viene fuori dalla mente. Quindi, non è una risposta mentale o razionale, è una risposta
esistenziale. L’utilizzo del Koan esistenziale ci porta continuamente ad andare a verificare cosa stiamo
sperimentando in quel preciso momento dove siamo un facilitatore per l’altro.
Comincia a organizzare questo lavoro mettendo due persone una davanti l’altra, seguendo le tecniche
tradizionali dello zen – lo sguardo fisso negli occhi, una persona rimane immobile in ascolto, l’altra
persona parla esprimendo tutto quello che sente in quel momento, per esempio “Chi sono io in questo
momento?”. Ha iniziato con mezz’ora, poi è passato a venti minuti, dieci minuti, trovando infine che il
tempo ideale fosse cinque minuti a testa. Quindi, una parte attiva, comunicatica e una parte passiva, di
ascolto. La sua esperienza dello zen lo portò a creare una struttura che riprese completamente dai Sechin
della tradizione dello Zen, vale a dire degli incontri mensili, o quindicinali, o di sette, cinque e tre giorni.
Dopo vari tentativi è arrivato alla formula ideale dei tre giorni, in cui venivano fatte 14 o 15 sessioni al
giorno.
Un’altra fonte fu Rinzai, cinese, che praticamente si rifà a Ko Su Han, quello che poi ha rappresentato nel
libro “La ricerca dei 10 tori Zen” che è cinese. Infatti, le prime otto tavole sono il taoismo. La nona e la
decima tavola, questa energia di Toro rappresenta l’Energia e lo Zen è chiudere quel cerchio alla vita.
Questo lavoro si chiamava “Intensivo di Illuminazione”, in inglese ”Intensive Enlightnment”.
1
Se esprimo quello che provo senza giudizio sono nella presenza dove non c’è separazione tra me e l’altro.
Questo lavoro ha avuto degli effetti potentissimi a livello di terapia, anche se non è stata una terapia vera
e propria su questi primi piccoli gruppi che hanno cominciato a lavorarci. Si è diffusa negli anni ‘69/’70
nel mondo tra gli psicologi piuttosto avanzati sia in Germania che in Inghilterra. Dopo circa un anno e
mezzo uno dei primi insegnanti di questa tecnica fondata da Charles Berner, è arrivato a Poona da Osho e
gli ha presentato questo lavoro. I primi insegnanti sono stati Sudha (che lavora con la Primal, col Satori, e
col Tantra), Ganga, Chandrakala (insegnante di arti marziali). Osho ha preso questo processo di lavoro e
lo ha completamente rivisto. Nel lavoro iniziale ad esempio non c’era il lavoro sul corpo. Quindi, ha
inserito la meditazione Dinamica, la meditazione Kundalini all’interno del lavoro, una meditazione prima
di pranzo (più o meno verso mezzogiorno) e ha lasciato il resto della struttura uguale. Un’altra cosa che
ha inserito è che nell’ ”Intenzione” di “Illuminazione” le persone si sedevano semplicemente l’uno
davanti all’altro e restavano immobili. Il cambiamento che ha fatto Osho è che quando la persona è attiva
e sta esprimendo quello che prova, può alzarsi e usare il corpo, quindi c’è la parte di consapevolezza del
corpo. Nell’Intensivo di Consapevolezza quindi l’obiettivo è l’esperienza diretta di chi sono in quel
momento. Trovo che sia rivoluzionario avere la possibilità di muovere l’energia, perché mi consente di
sentire, percepire, vedere quelle che sono le mie difficoltà in quel momento ma anche quelle che sono le
mie risorse, quindi il corpo mi può dare, continuamente, una visione olistica di chi sono ora. Sentire il
corpo ed esprimerlo elimina questa divisione tra corpo e mente, mentre, invece, nel primo tipo di lavoro
manca proprio il corpo, manca proprio l’esperienza diretta, è un lavoro molto più contemplativo. Osho
prende come percorso questa storia dei 10 Tori che sono dieci tavole che poi ha messo a punto questo
giapponese, dove ci sono tre maniere di esprimere il sentiero o il percorso o la Via che non è altro che la
Vita:
1.
una raffigurazione grafica,
2.
una parte in poesia, e
3.
una parte in racconto.
Questo vuol dire semplicemente “trova qual è la tua maniera di esprimerti”, trova dentro di te qual è la tua
maniera di vivere la vita e di essere. Usano il Toro o il Bue come simbolo dell’energia. Quindi qui c’è la
ricerca del Toro, poi c’è una scoperta delle orme, c’è la scoperta del Toro (quindi la scoperta della propria
energia incominciando andare dentro), la cattura del Toro (diventare consapevoli della propria energia),
domare il Toro (questa è una parte molto interessante).
Un’altra cosa che è interessata allo Zen tradizionale sono i Quattro Passi Magici:
1.
LA DIREZIONE
2.
L’INTENZIONE
3.
LO “STARE CON QUELLO CHE TROVI”
4.
L'ESPRIMERE
Lavoriamo con la Direzione nei due giorni del “Who is in?”. La Direzione è “dentro”.
L’Intenzione è fondamentale se veramente voglio sapere “Chi sono?”, se veramente voglio andare in
profondità, tutta la mia energia sta andando dentro.
Stare con quello che trovi è il punto centrale in quasi tutte le tecniche di meditazione: qualunque cosa
trovo, anche la più orribile, è quella che mi riporta in contatto con me stesso. Che sia la reazione, la
1
rabbia, la paura, la gioia.
La chiave diventa l’Esprimere, l’essere totale nell’espressione, perché io esprimo con consapevolezza
qualunque cosa trovo. E che succede di quella che viene chiamata la guarigione? La presenza che è lo
spazio del non giudizio (è fondamentale questa cosa del non giudizio), ed è quello spazio di quella piccola
meditazione iniziale che vi ha fatto Nitamo dove io trovo il paradosso, dove ho difficoltà a trovare dei
confini, dove non c’è differenza tra me e l’altro, dove non c’è nessuna separazione tra me e l’altro e dove
qualunque cosa io trovo dentro di me semplicemente la inglobo. Quindi, questo punto qui del “Who is
in?” significa tornare al centro, tornare all’unità. E’ il punto fondamentale per poi andare a esplorare
dall’unità tutti gli aspetti che si manifestano nell’esistenza e nel mio processo dell’esistenza. Perché se io
vado a sperimentare un qualcosa di me e lo vado a fare non dal centro, in verità sto vivendo un qualcosa
che non esiste: sto esprimendo un condizionamento, sto esprimendo un imprinting, non sono io
veramente e qui l’esperienza è ancora paradossale.
Quindi, queste sono le quattro regole che principalmente utilizziamo per fare l’enquiry dentro di noi. Per
esempio è quello che io uso nelle mie sessioni di cranio-sacrale, ma potrebbe essere un qualsiasi altro tipo
di tecnica, ma la base è identica. Quindi, cosa faccio? Mi siedo, trovo una posizione comoda, porto tutta
l’attenzione al corpo, comincio, parto, a volte è più semplice, a volte è meno semplice. La maggior parte
delle volte il lavoro che faccio con il cranio sacrale è più l’accogliere la persona quando arriva. Per
esempio a volte si trovano in uno spazio di non giudizio e quello automaticamente gli clicca qualcosa
dentro. E’ chiaro che a volte per me è una direzione abbastanza semplice supportarla nell’andare a fare
questo, magari col dialogo durante una sessione di ‘cranio’, però (e qui io sono assolutamente tranquillo)
in questo spazio solamente dell’essere cambia completamente il lavoro. Quindi, mi siedo, sento dove sta
andando la mia energia: se va fuori, riconosco che va fuori. Questo processo è molto veloce, e la
direzione c’è già, perché se sto andando fuori e lo riconosco, la direzione semplicemente la giro. Osho la
chiamava inversione di 180 gradi, Gesù la chiamava conversione, che non era andare a convertire gli altri,
ma era girare l’energia dentro.
La direzione
La direzione è energia, è attenzione al dentro, mentre di solito sono proiettato all’esterno e quindi do la
colpa a chiunque altro per non vedere mai veramente in maniera diretta ed esperienziale quello che mi sta
succedendo dentro. Invece, è vero che la mamma può aver fatto questo, ma quello che è attivo in questo
momento dentro di me è quella ferita vissuta allora, che si sta manifestando ora. Quindi c’è una risposta a
livello fisico del sistema nervoso, del sistema connettivo, c’è un condizionamento e un’identificazione
con una sensazione del corpo. E’ rarissimo che noi andiamo a verificare veramente cosa ci sta succedendo
nel momento. E’ una sensazione nella pancia, il sistema nervoso la chiama paura, la mente la chiama
paura, magari è eccitazione per una bella giornata, eccitazione per vivere una situazione completamente
nuova, eccitazione di sentirmi in una maniera completamente diversa. Quindi l’invito a connettermi a
qual è la direzione, al “dentro”, immediatamente mi porta in contatto con tutte quelle che sono le
identificazioni ed i condizionamenti a livello mentale. La chiave è sempre, in questo caso, il corpo.
L’intenzione
Se io vado a verificare cosa c’è veramente in questo momento, si presuppone che ho l’intenzione di fare
questo. L’intenzione è una cosa non semplice da definire perchè per ognuno di noi è una esperienza
differente: è qualcosa di diverso dalla volontà, è un qualcosa che comunque mi porta in profondità, dentro
me. Può succedere solo quando c’è presenza. Proviamolo praticamente: “chiudete gli occhi e connettetevi
dentro, sentite la vostra intenzione di connettervi dentro e le sensazioni fisiche che vi dà ”, perché c’è una
sensazione fisica e questa esperienza per ognuno di noi è completamente diversa. Quindi questo andare
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dentro, questa intenzione, è un invito a riscoprire la propria individualità, a provare a sentire che c’è già
“chi sono io?” che si sta rivolgendo dentro. Provate anche a sentire fisicamente, chiedete “in questo
momento chi sono io?” Siamo abituati a vivere la meditazione principalmente come una sorta di
“osservazione”, con una domanda di questo tipo, soggetto e oggetto sono già uno perché io cerco chi sono
io.
L’intenzione mi viene abbastanza in automatico, perché io lavoro col koan “Chi sono io?”, lo sento più
adatto alla mia energia yang. Per me è una spalla, ci lavoro praticamente il più possibile qualunque cosa
faccio, per me è spontaneo e naturale. Diciamo che queste due cose vanno molto veloce.
E trovo quello che trovo in quel momento lì: difficoltà, fastidio, imbarazzo, a volte fatica, a volte piacere,
a volte la gioia di fare una sessione, e semplicemente mi do il permesso dentro di sentire ciò che sto
veramente provando in quel momento. Quello che fa la differenza è l’essere completamente onesti con
noi stessi: dirci la verità, la nostra verità soggettiva dentro. E quella cosa lì automaticamente (a volte ci
metto un secondo, a volte ci metto quattro sessioni) mi porta in profondità. Mi porta in questo spazio che
non è più uno spazio passivo, ma è come che l’energia comincia a diventare circolare. Viene fuori come
un equilibrio tra dare e avere con l’altro, perché non c’è una reale separazione con l’altro, assolutamente.
Qui io sto molto attento ai discorsi del corpo e naturalmente ho abbastanza chiare quali sono tutte le mie
indicazioni per riconoscere quello che sento è vero o non è vero. Anche lì, semplicemente riconoscerlo.
Quindi, in verità è una cosa di una felicità estrema, perché comunque siamo quello che siamo. La
difficoltà più grossa, secondo me, molto spesso viene fuori rispetto a quello che è il discorso del …. (?),
però lavorando sui primi chakra.
Ricordiamoci che comunque lo strumento principale è il corpo e se io non riesco sentirmi completamente
vuol dire che c’è qualcosa che mi sta attaccando e che la mente è nel giudizio. Allora, semplicemente
ritorno a sentire i miei piedi a terra, il sedere sullo sgabello, mi risento in tutto il mio corpo e
automaticamente e immediatamente io sono quello forte, e torno lì.
Nitamo MONTECUCCO
Riuscite a capire quale enorme differenza c’è da questo al fatto di dire “io devo fare il Counselor, devo
raggiungere questi risultati, devo considerare la persona, devo giudicarla sulla base di alcuni parametri,
devo raggiungere un certo scopo, mi devo mettere in un certo atteggiamento”. Tutto questo viene buttato
via. Tu in quel momento sei quello sei e poi vedremo come trovare una direzione. Oggi uno dei grossi
problemi, dato che voi oggi parlerete anche verbalmente con la persona, la quale verrà con una sua
direzione all’esterno e con una sua intenzione per esempio di risolvere un problema quasi sempre
all’esterno. Qggi vi spieghiamo come fare: dovete fargli rigirare il problema verso di sé. Il lavoro è su di
sé e lo fa da sé. E questo il bello, voi dovete solo prestare l’energia sufficiente, lo spazio, l’atmosfera, la
presenza affinché questo processo venga catalizzato, ma in uno spazio di totale libertà e sincerità, perché
voi siete quello che siete. Non state mettendo una maschera.
Kapil PILERI
Se Nitamo viene da me arrabbiato come una bestia in una sessione, io ho paura della rabbia. Tanto più se
non l’ha espressa o, se l’ha espressa, l’ha espressa senza quel fattore che è fondamentale per me: che è il
lavoro della consapevolezza. Se lui esprime la sua rabbia con consapevolezza quella rabbia lo porta a
vedere l’altra faccia della medaglia, ci va attraverso e può diventare di colpo consapevole di cosa è ed
entrare nello spazio di scegliere. Perché, prima, quando lui vede solo una faccia di quella medaglia lì, lui
è convinto di scegliere ma in realtà non sta scegliendo.
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Quello che succede è che io non spingo. La persona dove vuole andare va. Piano piano vi invito, usando
queste cose.. Lei per esempio ora era già con l’energia girata dentro. Aveva l’intenzione di andare dentro
in profondità. Non so se avete sentito il cambio energetico: la sua voce, gli occhi… però il punto, se ci
portate attenzione, è sempre quello di farli tornare al corpo. Per es. una cosa che piace tantissimo alla
mente sono le storie. E’ il punto in cui generalmente ci aggancia. Le persone si cominciano a raccontare
delle storie. Usando questa modalità, io posso anche a non ascoltare le storie che dice la persona, mi basta
semplicemente guardarla. E non è che non l’ascolto, perché non la voglio ascoltare, perché sono meglio o
perché sono un pirla, ma perché so che la storia m’aggancia. Molto spesso dico ‘no, non mi interessa,
descrivimi quello che ti sta succedendo nel corpo.’
State provando a sentire su di voi che cosa vi succede? Che cosa vi succede? Se provate qualche
sensazione, rimanete in quella sensazione lì e vedete cosa vi succede.
Questa è un’altra storia della mente che le persone immediatamente si perdono. Vengono per una sessione
o per qualunque cosa. E’ come se volessero venire da te, ti portano il problema, poi come se loro se ne
vanno al bar a prendere qualcosa e tiri dentro la risoluzione.
Quindi quello è un punto importante di farli lavorare con l’intenzione. E fargli avere quella che si chiama
l’esperienza diretta, anche in piccole cose che la domanda ha già la risposta dentro, che è una cosa
totalmente soggettiva. Non posso essere io che do la soluzione. Io ti posso supportare, io ti posso
accompagnare nel limite di certe cose. Ad es. io spesso dico loro che è probabilmente molto meglio se
vanno da un medico. Oppure talvolta mi chiedono delle cose per cui preferisco dir loro che è meglio che
si rivolgano ad altri, perché quella richiesta non fa parte del mio lavoro.
Per esempio questa è una maniera che molto spesso riesce ad agganciarci: terrore, il non sapere come
stare in una situazione.
Lo “stare con quello che trovi”
Quando si passa dall’intenzione allo stare con quello che trovi, quello che si apre è proprio lo
sconosciuto. Personalmente ho notato che a molte persone questo stato dello sconosciuto non è ben
chiaro. Lo stare con lo sconosciuto può essere semplicemente chiamato stare con il non sapere.
Un’altra cosa importante che viene fuori da questo tipo di lavoro è dire la verità, perché quando viene
espressa la verità soggettiva. Se per esempio mi trovo in difficoltà, io gli dico che non so cosa dirgli
oppure gli dico che posso informarmi. Quindi, essere prima di tutto onesti è fondamentale. Il lavoro da
fare è anzitutto un lavoro con noi stessi. E se riuscite veramente a stare in questo tipo di spazio per tempi
abbastanza lunghi, vi rendete assolutamente conto che veramente qualunque cosa provate non c’è una
cosa che è meglio o che è peggio. E allora in quello spazio lì per una persona può essere buono a fare la
Dinamica o per un’altra persona fare la No Dimension. Però passi anche dal fatto di averle fatte queste
cose e puoi supportare la persona per quello che è la tua esperienza diretta.
Lo stare con quello che trovi è, secondo me, un’esperienza molto forte, perché è uno stato di non
separazione dall’altro, ma questo non vuol dire che io perdo la mia individualità, ma anzi che l’io sparisce
e c’è questo ‘sono’, come se in quello spazio di vuoto ci fosse questo ‘essere’, semplicemente questa
esistenza si manifesta. Non è una cosa irraggiungibile. Quella che noi chiamiamo l’illuminazione è una
grandissima assurdità. perché è lo stato naturale dell’essere. Non è un dio buono, bello, cattivo, brutto.
Quando noi nasciamo siamo in totale sintonia col tutto, è la nostra condizione naturale e anche da questa
cosa viene fuori la grossa difficoltà di comunicare una serie di cose che teniamo dentro noi stessi che ci
sembrano troppo grandi per noi, o non adeguate o qualunque cosa. Comunque siamo, abbiamo il diritto di
essere ed è quello che ci porta ad andare avanti. E l’esperienza sarà quella che vi farà rendere conto che il
lavoro non finisce mai. Non c’è un punto di arrivo, come non c’è un punto di partenza.
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Questo passo è quello di non cambiare assolutamente quello che trovo, stare, senza tentare di cambiare
questo preciso momento. Quello che trovo va bene. Tuttavia la prima cosa che scatta generalmente nelle
persone è il giudizio. Nella tradizione Zen il giudice viene chiamato “il cane che abbaia”, e la funzione
del cane è quella di abbaiare, quindi bisogna riconoscere una reazione, accettare una difficoltà e
abbracciare anche quella. Se io in questo momento ho un giudizio ed ho difficoltà a stare con questo
giudizio, è bellissimo, perché la consapevolezza di questo è ciò che c’è in questo momento. Se c’è la
mente… c’è la mente, se c’è una emozione… c’è una emozione, se c’è una sensazione… c’è una
sensazione, quello che succede a questo punto è che i sensi si aprono e credo che ne stiate facendo
esperienza più o meno tutti, almeno è quello che sembra dall’esterno: i sensi si aprono, lascia che lo stare
con quello che c’è permetta di creare spazio dentro. Questo è proprio uno dei punti chiave nel lavorare
con gli altri: qualunque cosa trovo mi porta sempre e comunque a chi sono, mi porta sempre a me stesso,
a chi sono in quel momento. Non c’è uno spingere, non c’è un guidare l’altro, c’è solo un continuo invito
a darmi il permesso di essere quello che sono ora. Quindi il giudizio lo puoi sperimentare prendendolo e
mettendolo da parte, perché come stai vedendo quel giudizio, come stai sentendo quel giudizio, come stai
percependo quel giudizio, come sei consapevole di quel giudizio, lo puoi semplicemente appoggiare da
una parte e dopo se vuoi puoi riprenderlo. Per esempio l’ascolto, in questo preciso momento, lo puoi
percepire con il suono dell’acqua, con il suono della mia voce, io posso ascoltare senza essere d’accordo
con l’altro, però lo posso ascoltare totalmente ed è uno spazio che si percepisce principalmente a livello
della “Hara”, nella pancia, sotto l’ombelico. Questo punto fisico del corpo, che è un qualcosa di molto
sottile, energetico, è un po’ come la casa dell’Essere: l’“Hara”, la pancia. Comincia a percepire questo
punto sotto l’ombelico. Prova ad ascoltare i suoni da lì. Magari anche i suoni dentro. O se hai immagini,
guardale da lì. E diventa consapevole del percepire te stesso. E comincia, per esempio, ad osservare il
respiro. Non c’è una tecnica di respirazione: il respiro entra ed esce, quando inspiri la pancia si espande,
quando espiri ti rilassi, dentro. Da questo spazio è possibile sperimentare quella che viene chiamata
l’esperienza diretta. Non c’è più l’osservazione del respiro… sono quel respiro; non c’è l’ascoltare un
suono… sono quel suono. Sono percezione. Non provo più amore, sono amore. Comincia ad ascoltare
dalla pancia il tuo cuore: com’è? Non cambiare assolutamente niente. Com’è sentire il cuore dalla pancia?
Com’è permettere al cuore di aprirsi come Essere, e non come terapista, dottore, psicologo… lascia che la
consapevolezza si espanda a tutto il corpo. Che non è qualcosa di preciso, è qualcosa di molto indefinito.
Un po’ come esserci e non esserci. È come se le sensazioni e la percezione potessero essere
contemporaneamente tante cose completamente diverse. Immaginati ora, solo per un momento, di
ascoltare qualcuno veramente da questo spazio, di incontrare qualcuno da questo spazio. Prova per un
attimo ad aprire gli occhi, puoi stare lì anche con gli occhi aperti, a guardare per un attimo le persone che
hai vicino, intorno, e senti fisicamente la differenza. Riesci ad immaginarti una sessione di lavoro (che sia
Shiatsu, Cranio Sacrale, Riflessologia, non è importante) da quello spazio? Cambia qualcosa? Se cambia.
Non necessariamente deve cambiare.
Nella posizione del facilitatore, la parte finale, che è quella legata all’espressione, alla comunicazione, è
anche un qualcosa che è estremamente connessa alla creatività, perché da questo spazio non sai mai
quello che trovi, non sai mai quello che succede; quello che arriva è proprio il corpo che lo esprime, non
c’è più il discorso del dubbio, della scelta: è proprio, fisicamente, qualcosa che si manifesta direttamente
dall’Essere. Per il facilitatore questo è stare in uno spazio di presenza, di ascolto, di fare senza fare. E‘
qualcosa di estremamente “rotondo”, non è un processo lineare né un processo razionale. E quando questa
cosa succede, per la persona accade esattamente la stessa cosa: cioè un esprimere. Esprimere non è solo
parlare o raccontare, esprimere è movimento, esprimere è silenzio, esprimere è l’odore, esprimere è il
sapore. Abbiamo quindi veramente la possibilità di utilizzare qualunque cosa si manifesti in quel
momento. Non c’è un “questo va bene, questo non va bene”. Rispetto per esempio al dialogo, a volte le
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persone dicono delle piccole cose ed in quella piccola cosa c’è un’intera sessione. C’è il suo, la persona sa
da sola, entra in contatto con un’intelligenza che viene da una connessione con qualcosa di più grande, di
più profondo, e da sola trova la strada, la modalità, la forma per esprimerlo, trova la soluzione: un po’
come quando nella domanda c’è già la risposta.
Nitamo MONTECUCCO
Se vuoi, racconta ancora qualcosa sulla scuola originaria americana: a che cosa serviva? Che risultati
portava?
Kapil PILERI
Riguardo a ciò che dicevo ora, se voi ci fate caso (questo potete nella vita) l’imparare semplicemente a
dire le cose come stanno e darsi la possibilità p.es. nei tre giorni di lavoro, quello che succede è che
affiniamo sempre di più la nostra capacità di comunicare. Se io ho una persona davanti e a quella persona
dico la verità, si crea uno stato di apertura e di comunicazione che non è solo una comunicazione di
parole, ma sono i movimenti del corpo, è la forma del corpo, è la voce e da dove arriva e come cambia.
Cioè la comunicazione è qualcosa di molto vasto. Lì succede qualcosa fra due persone. Di questo si era
accorto Charles Berner quando lavorava con tantissime coppie che allora si trovavano in difficoltà. Si
lasciavano comunque, però si lasciavano in maniera consapevole delle difficoltà, di non poter andare
avanti insieme e altro. Lui ha avuto grandissimi risultati con questo lavoro. Poi è arrivato al punto che
praticamente le accoglieva e quando aveva tipo dieci, quindici coppie faceva i tre giorni di lavoro. E
anche questo andare a lavorare con altre persone portava consapevolezza alle persone che comunque a un
livello di essere c’è sempre un punto di comunicazione e di totale comprensione e apertura verso l’altro.
Quindi, riconoscere la propria soggettività in questo immenso dato che è la consapevolezza. Io posso
riconoscere comunque qualcosa che ha lei anche dentro di me. Si esprime energeticamente in un’altra
maniera, però lo posso riconoscere ed entrare in contatto.
(VEDI
CAPITOLO
ILLUMINAZIONE
CHARLES
SU
”GRANDI
BERNER
E
PERSONAGGI
E
L'INTENSIVO
GRANDI
SCUOLE
DI
DELLA
PSICOLOGIA”)
LA PRATICA DEL COUNSELING PER CHI INIZIA
Il significato di counseling e il lavoro su di sé
Questa prima parte dell’approccio pratico al Counseling è rivolto in particolare alle persone che stanno
per iniziare e sono quindi ancora incerte, anche dubbiose sulle proprie capacità, ma soprattutto sentono
una certa difficoltà a prendersi sul serio e diventare dei reali e corretti professionisti.
Il lavoro relativo a questo argomento è orientato essenzialmente a strutturare il percorso pratico di
incontro con la persona. Il Counseling è una relazione di aiuto in cui noi entriamo con capacità e
specializzazioni differenti, con il lavoro sul corpo, sulle energie o sul respiro, o con la meditazione o
anche eventualmente nel rapporto diretto d’indagine dei punti profondi della persona. La relazione da
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instaurare deve avvenire secondo certi parametri. Quello che abbiamo detto prima è la base personale
implicita del discorso, vale a dire che il nostro approccio è un approccio globale, di profondità. Quello
che, secondo noi, è il punto fondamentale di tutto il Counseling Olistico è la consapevolezza di sé,
chiamiamola PRESENZA o meditazione.
Questo è quello che vi distingue nettamente dai medici, dagli psicologi e da tutti gli altri tipi di counselor.
La SICOOL e il CONACREIS hanno aderito a questo progetto comune di formazione che inserisce, come
materie fondamentali, il lavoro su di sé ed i gruppi di crescita sulle emozioni e sulla meditazione. In
questo contesto siamo tra i più avanzati a livello internazionale e questa formazione, per la nostra scuola,
rappresenta un passaggio formativo ancora più consistente. Tutti quelli che vogliono avere la qualifica di
Counselor presso L’Accademia Olistica del Villaggio Globale devono passare (come avviene con l’esame
sul ‘potere personale’ alla fine dell’Accademia, con il V° livello, che realmente vi fa vedere se ci siete o
non ci siete) un analogo esame di presenza “Dimmi chi sei?”. I Counselor della nostra Accademia devono
essere allenati a questo tipo di presenza ed ‘esserci’ è la cosa più importante che viene richiesta. Questo
allenamento comprende un ciclo di crescita di otto incontri sui vari livelli psicosomatici, dove c’è
pochissima teoria e molta esperienza diretta, un primo incontro di tre giorni sul “chi sono io?” e alcune
meditazioni di varie scuole. Il training necessario per il Counselor lo stiamo sperimentando da diversi
anni e dall’anno prossimo inizierà la Scuola Quadriennale di Psicoterapia Psicosomatica e Transpersonale
entrando con questo tipo di metodica anche sugli psicologi.
La modalità tecniche di incontro: pubblicità, parole chiave, correttezza
Allora, considerando l’importanza di restare in uno spazio di centratura, di presenza e di fornire questa
opportunità alla persona che aiutiamo, iniziamo a vedere l’impostazione di questa relazione. L’inizio
della relazione può essere un biglietto da visita, un volantino, qualsiasi modalità con cui voi vi fate
conoscere in qualità di “operatori” esperti in un settore (una delle otto aree: può essere il corpo, le
emozioni, le energie, la mente, la spiritualità, ecc.) e in più avete la qualifica di Counselor Olistico.
Quello che traspare dalla descrizione che voi metterete nel proporvi all’esterno sarà già significativo.
Inoltre vi invitiamo a proporre la vostra specializzazione in modo positivo. Quindi, evitate assolutamente
parole come ‘curare’, ‘guarire’, ‘patologie’, usando invece ‘aiutare’, ‘sostenere’ o ‘favorire’ un processo
di guarigione. Noi usiamo anche la parola anima-tore, noi siamo “anima”tori. Gli animatori normalmente
sono quelli che ti fanno divertire nel corpo, meglio ancora se l’animatore ti fa divertire nello spirito.
Quindi persone che abbiano raggiunto quel discreto livello di equilibrio e che possano rappresentare
un’energia che catalizza processi di benessere, che catalizza processi di crescita umana, di
consapevolezza, di prevenzione, che può aiutare a prevenire, che può aiutare a ritrovare il proprio
benessere, che può aiutare a trovare la salute globale della persona oppure che può aiutare a ritrovare un
buon equilibrio del corpo, a sciogliere le tensioni del corpo, a sciogliere le tensioni a livello emozionale.
Non dovete mai entrare nella dizione di quelle che sono le malattie di pertinenza medica o psicologica.
Quindi, non potete dire ‘noi aiutiamo gli psicopatici, i depressi e i maniaco-depressivi’. Anche già solo
aiutare significa che siete uno psicologo. Anche lui dovrebbe guarire, ma in realtà, se va bene, dà un
aiuto. Non dovete esporvi nell’ambito delle patologie. In maniera indiretta dite che siete esperti in una
data tecnica che si è rivelata molto utile nell’aiuto e nell’alleggerimento, ad esempio se è la craniosacrale, sulle tensioni della spina dorsale o traumi psichici. Non parlate di voi, ma della tecnica. State
leggeri su questo, perché è lì che un medico irruente che si vede portar via un paziente, vi denuncia per
abuso di professione medica. Ripeto, se scrivete il nome di una patologia che in qualche modo “curate” è
già di pertinenza medica. Siate molto attenti. Potete invece muovervi nell’ambito del lavoro sulle
tensioni, lo stress della vita quotidiana, perché aiutate la persona a ritrovare la propria tranquillità
interiore. Mettete in evidenza che non state “curando” una patologia, ma state “prendendovi cura” di una
persona che soffre di quella patologia, fornendole strumenti di consapevolezza affinchè possa ritrovare il
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proprio equilibrio.
Quindi, le PAROLE CHIAVE sono: ritrovare la propria calma interiore, ritrovare il proprio equilibrio
psico-fisico, un rilassamento nel corpo e nella mente.
- A livello di persone andiamo nel centro vivo della relazione. Prendiamo in considerazione
l’APPARENZA. Dal modo in cui apparite, pensano di voi una certa cosa. L’apparenza è fondamentale,
perché viviamo in una società delle apparenze e dobbiamo prenderne atto curando il vestito e l’aspetto
esteriore.
- Poi, c’è la fase della vostra PUBBLICITA’ o tra amici, o a qualche festa o un incontro in cui si viene a
conoscere la vostra attività. Se offrite un’attività individuale e vi chiedono informazioni, dovete stare
attenti a cosa dite, perché è il punto più delicato. La cosa fondamentale è non tanto dare un codice, ma
cercare istantaneamente un’apertura e spostare immediatamente l’attenzione su quella che è la nostra
caratteristica fondamentale: il lavoro su di sé, la crescita umana.
Quindi, abbiate già molto chiara in voi la risposta da dare quando vi chiedono cosa fate. Dovete avere la
massima chiarezza di qual è la vostra specializzazione, in quale scuola vi siete formati e avete fatto il
vostro training e quali sono le sue caratteristiche. “Sono un counselor esperto in tecniche di respirazione”
o “Sono un counselor e opero con la psicosomatica”.
- Quando questi parametri sono minimamente espressi, voi dovete veramente mettere in evidenza il
vostro ENTUSIASMO. La parola entusiasmo parte dalle radici greche en theos che significa avere “dio
dentro”. Quindi, l’entusiasmo è una matrice fondamentale che nasce dall’esperienza positiva che avete
vissuto sperimentando le tecniche che proponete, e questa energia positiva caratterizza il vostro lavoro.
Mi raccomando, se siete depressi non lavorate, perché già la vostra vicinanza acuirà la depressione della
persona vicina. Se siete turbati, non fate sessioni. Questo è proprio il nostro codice deontologico dato che
noi trasmettiamo non quello che sappiamo, ma trasmettiamo quello che siamo.
A questo proposito vi voglio raccontare un’esperienza altamente significativa. Io di solito sto molto bene,
ma mi succede anche di stare molto male, pur capitandomi raramente. Se ho piccoli disturbi, un male di
schiena, vado lavorare lo stesso, tanto lavorando mi curo. Quando invece mi succedono delle cose
critiche, non sempre riesco ad avvisare i clienti per annullare la sessione. Magari mi succede all’ultimo
momento o la sera prima, per cui so già che è difficile avvisare tutti. Ebbene, è incredibile, ma
spontaneamente almeno i tre quarti delle persone che devono venire disdicono la sessione. E questo mi è
successo più volte. E’ come se si creasse un canale positivo, se tu non ci sei, loro non vengono. Quindi, il
lavoro della presenza è fondamentale, ma deve essere anche rispettato: si lavora quando si sta bene.
Attraverso questi due elementi: la presenza (la consapevolezza) e la compassione (l’amore), cioè
l’elemento del cuore che agisce nella comprensione (cum pathos = sentire insieme), potete entrare in
risonanza empatica ed emozionale con l’altra persona, elencate quello che sapete fare, le vostre
caratteristiche, e con onestà cercate di identificare un percorso di crescita con questa persona. Il che
significa che quando cercate il contatto dovete esserci, perché qualsiasi tecnica pratica offrite, come base
al counseling, quello che poi in realtà si fa è lavorare su di sé. Le parole che saranno espresse da voi in
mille modi dovranno veicolare un messaggio di reale collaborazione e contatto.
La cosa fondamentale in questo contesto è riuscire a creare questo legame, è ascoltare e sentire,
trasmettendo la vostra presenza, non importa dove vi troviate. Può succedere che qualcuno vi chieda cosa
fate trovandovi al bar, ad un incontro occasionale dove quindi non c’è il contesto per parlare; quindi fate
un breve accenno al vostro lavoro, le date un vostro biglietto da visita e la invitate a telefonarvi. E già il
Bar o il telefono può essere il primo contatto. Nel primo contatto voi dovete velocemente svuotarvi,
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essere presenti e ascoltare quello che realmente la persona vi sta chiedendo.
Potete trovare molti modi intelligenti per farvi conoscere. Se, invece non avete un buon giro di
conoscenze, trovatevi un appoggio che potrebbe essere un istituto sportivo, un medico che conoscete, può
essere uno psicologo, può essere chiunque che conosce tante persone.
Allora immaginiamoci che avete un incontro anche di pochi minuti e dite che siete un Counselor Olistico,
un operatore del benessere, che conoscete diverse tecniche di rilassamento, di consapevolezza, di
energetica che possono aiutare la persona a ritrovare più energia e risorse dentro di sé. La maggior parte
delle persone comprenderanno questi termini anche se solo superficialmente. Non è come alla fine degli
anni ’70 quando la medicina naturale, la meditazione, le tecniche antistress si associavano con le sette.
L’omeopatia era ancora da scoprire, l’agopuntura era utilizzata pochissimo, il rebalancing e le terapie del
corpo erano scambiate per fisioterapia. Il termine “olistico” non esisteva. Ho usato per la prima volta
questo termine sui giornali “Essere secondo Natura” e “Il Giornale della Natura” che per anni aveva
utilizzato il termine Medicina Naturale. Allora dovevo spiegare che la medicina naturale era un parallelo
“verde” della medicina ufficiale, che, invece di usare le sostanze chimiche, usava quelle naturali, ma non
implicava nessun salto di consapevolezza nelle persone, aldilà di un generico ecologismo di fondo, non
proponeva nessun lavoro su di sé, né sulla coscienza, né sulle energie di profondità. Quindi, dovevo
spiegargli che la Medicina Olistica è quella che tratta l’essere umano nella sua complessità:
dall’alimentazione naturale al lavoro sulle emozioni al lavoro sulla spiritualità è un tutt’uno. Non
riuscivano a capire per cui su mia insistenza, dato che ero uno di quelli che scriveva meglio, hanno
accettato il primo articolo. Come ho detto, eravamo alla fine degli anni ’70 e nel giro di pochi mesi sei/nove mesi - erano tutti olistici: estetiste olistiche, massaggi olistici, ecc. Nel giro di un anno ero
riuscito a catalizzare un’energia che ovviamente stava arrivando. Ero uno dei primi a portare l’Olismo in
Italia, mentre all’estero, in America, esisteva da qualche anno.
Quindi, oggi, per noi Olismo significa esattamente questa presenza, questo lavoro sulla coscienza globale.
Voi chiedete alla persona di venirvi a trovare. Pensate che, quando ho iniziato, facevo sessioni iniziali
gratuite a tutti e ho impiegato due anni per scrivere un biglietto da visita. Tale era la difficoltà di
comunicazione linguistica. Per arrivare anche alla comprensione della medicina psicosomatica si è
impiegato un sacco di tempo. Abbiamo dovuto spingere per anni per creare questo ambito di cura globale
che prima non c’era. Visto che oggi c’è, ma non è tanto conosciuta, quello che vi invito di fare è di
invitare la persona a venire da voi. Fate una prima visita, magari di prova, anche gratuita, vedete qual è il
problema e come potete aiutarla. Se siete strutturati in un certo modo o con strumentazioni o precisi
metodi d’indagine decidete come procedere o no e glielo comunicate. La prima visita parte da qua.
Il pagamento e il problema del denaro
Come abbiamo già sottolineato questa prima parte dell’approccio pratico al Counseling è rivolto in
particolare alle persone che stanno per iniziare la professione del counselor, che sono appena usciti dalla
scuola di formazione e sono quindi ancora incerti sulle proprie risorse, e, soprattutto, perché sentono una
certa difficoltà ad iniziare le prime sessioni a pagamento (dopo le molte sessioni di prova fatte
gratuitamente nel periodo del training), a crearsi uno studio adeguato e a diventare dei reali professionisti.
Il denaro, il problema del “farsi pagare” diventa uno dei punti più importanti e decisivi. Se riuscirete a
farvi riconoscere economicamente avrete superato il punto critico che separa gli allievi dai professionisti
veri. Il punto che divide le chiacchierate su questi temi da una vera sessione.
La prima sessione parte da un incontro in cui entrate in contatto con un problema, e voi state “sentendo e
valutando” la persona su un suo bisogno. Lei vuole risolvere questo piccolo o grande problema. Voi
volete è aiutarla a risolverlo lavorando su di sé e sviluppando un’altra consapevolezza.
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Se volete farvi pagare la prima sessione, cosa che già denota una vostra professionalità, dovete
evidenziare una serie di atteggiamenti e modalità che, nel senso comune, vengono ritenute degne di
essere pagate. Se voi incontrate una persona amico ad una festa, potete anche appartarvi con lei e fare già
un mezzo colloquio e quello è gratuito. Se, invece, la invitate da voi, la prima sessione dovrebbe essere a
pagamento. Oppure, se volete, la invitate a fare una prima sessione di prova gratuita e poi si vedrà.
Dovete valutare voi, altrimenti la prima visita viene pagata. Lo stesso vale per qualsiasi sessione: un
massaggio, una meditazione, un craniosacrale o altro ancora. Decidete voi se fate una sessione
dimostrativa gratuita. Tenete presente che se la sessione dura un’ora, e se è un amico dovrete impiegare
almeno un quarto d’ora in più per intrattenervi all’inizio e accomiatarvi da lui alla fine.
Il setting minimo
Se invece volete fare la prima sessione facendovi pagare, allora dovete utilizzare un setting formalizzato.
Ciò significa che dovete avere uno studio che sia uno studio, dovete avere un approccio che sia un
approccio professionale. La realtà sociale impone che dobbiamo formalizzare ogni intervento, perché
altrimenti non siamo creduti. Se riceverete le persone in casa sulle poltrone del salotto non sarete
credibili e non sarete pagati. Dovrete indossare un abito congruo per ciò che farete, altrimenti non sarete
credibili. Potremmo essere creduti come amici, ma non pagati come professionisti. Invece noi dobbiamo
essere creduti e pagati, perché questo è un lavoro che diamo, in una società dove tutto ha un prezzo, e
quello che possiamo trasmettere alle persone ha un valore estremamente elevato. Per me la
consapevolezza e la crescita umana sono le cose più preziose anche se poi decidiamo di “venderle” ad un
prezzo accessibile a tutti.
Quando avete una persona davanti e le fate una serie di domande e poi di tecniche, quello costa. Anche
fosse solo un test. Come dicevamo, se voi usate il “brain olotester” che vi dà un test psicofisico ha un
valore e ha un costo. Una chiacchierata non ha valore. Dovete stare attenti a non confondere una
chiacchierata con una sessione, se volete essere professionali. Al bar, fuori o a una festa fate quello che
volete, ma quando create uno spazio di counseling, dovete agire secondo regole professionali. Potete
anche non farvi pagare da una persona perché vi è amica o con problemi economici, facendo magari un
colloquio preliminare più breve. Ma poi deve scattare una dimensione professionale di reciproco rispetto
che si concretizza nel riconoscimento economico di una prestazione. Sin dal primo colloquio voi entrate
in contatto con la persona ed è fondamentale che questo avvenga con delle regole e una modalità precisa
e funzionale, che chiamiamo setting. Il minimo setting comprende quindi tutte le modalità di una seduta,
dal modo che avete di salutarla quando arriva, al modo in cui la fate sedere e la invitate a parlare di sé,
alle caratteristiche di empatia e presenza che riuscite a creare tra voi, alla capacità di dare e ricevere
fiducia, al modo in cui vi fate pagare, prendete un successivo appuntamento e concludete l’incontro
accompagnando la persona alla porta.
Quindi, voi ci siete, avete il cuore aperto, avete delle precise competenze tecniche, una forte deontologia
professionale, ascoltate i problemi di questa persona, gli fornite delle nuove prospettive ed opportunità:
se tutto questo avviene all’interno di una struttura di setting formalizzato, è un grandissimo punto di
partenza. Entriamo nel dettaglio di questi elementi che caratterizzano una figura professionale come il
counselor.
L’immagine professionale
Negli anni ’60 le multinazionali si sono rese conto che se non curavano anche l’immagine professionale
non guadagnavano. Nell’ambito interno di queste grandi aziende, c’era stata una liberalizzazione del
vestito e ciò ha dato degli esiti pessimi. Se alle persone non si imponeva di mettersi la camicia bianca,
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giacca e cravatta venivano a lavorare in modo sciupato, trasandato, non professionale e questo
influenzava negativamente le entrate. In alcune aziende misero dei manichini: uno rappresentava il “white
collar”, impiegato vecchia maniera, datato, con giacca e cravatta, mentre l’altro rappresentava il suo
opposto, ugualmente negativo, aveva le ciabatte e la maglietta con le scritte, i pantaloni sbagliati, i capelli
spettinati o sporchi, e la collanina etno. Le multinazionali che sono interessate esclusivamente
all’economia si sono accorte che non funziona né la prima né la seconda immagine. Si rendeva necessaria
una terza immagine professionale più libera dei “colletti bianchi” ma certamente non trasandata e sciatta.
La terza soluzione è quella di una persona che si veste con normale buon gusto, con sobria eleganza,
senza vestiti firmati ma anche senza perdere di classe. Se non badate al vestito lavorerete poco. Io, come
medico terapista, il massimo che mi posso permettere è di arrivare con la barba lunga di un giorno. Non
posso permettermi di andare a fare una conferenza all’UNESCO di Parigi con una maglietta Lacoste, che
invece può andare bene in conferenze più amichevoli e ristrette. Il contenuto deve avere un contenitore
adeguato. Se per voi non fa alcuna differenza il tipo di abbigliamento, per il pubblico sì. Quindi, ogni
situazione deve avere un’immagine che è congrua con l’immagine del vostro lavoro. Se riuscite a capire
questo, basta poco, è quel poco che fa la differenza. Io quando lavoro nei gruppi ho un certo vestito e
quando lavoro individualmente ho un altro vestito. Lo faccio, non perché a me interessi rappresentare una
definita posizione sociale, ma perché nella coscienza collettiva esiste questa posizione e senza posizioni
non lavori.
È venuto da me un ragazzo di Milano, fortemente depresso che piangendo mi ha raccontato la sua triste
storia. È una persona molto bella con una grande intelligenza e creatività, ha messo su una piccola
impresa di confezioni di moda che non ha funzionato. Nonostante ci abbia messo tutta l’anima e
nonostante le cose belle che faceva, non era riuscito ad andare avanti, ha chiuso ed era disperato. L’ho
guardato e gli ho chiesto: “Ma tu quando andavi a vendere i tuoi capi andavi così?” “Sì, perché?” “Perché
così non puoi vendere! Sei vestito con una qualità troppo bassa, e quindi non ispiri fiducia”. Indossava
una maglietta normalissima, i capelli non curati, la barba di tre o quattro giorni. “Così non vendi. O giri in
Mercedes per cui puoi permetterti di vestire male come vuoi, o sei il figlio di Gucci e allora ti metti quello
che vuoi e fai tendenza, altrimenti non vendi. O ti tagli la barba o ti fai crescere la barba. Devi
conformarti ad una certa immagine che non è un’immagine individuale, è un’immagine sociale. Anche se
noi trattiamo con i creativi culturali, o con un tipo di società più libero, anch’essa ha dei condizionamenti.
Quindi, l’immagine che voi offrite è fondamentale. Curate la vostra immagine completa, dai capelli fino
alle scarpe.
L’ambiente di lavoro: essenziale, accogliente e personale
Se siete andati qualche volta a farvi una sessione da uno shiatsuka o altri naturopati avrete notato che
questi studi hanno queste due principali caratteristiche: la prima è che sono molto conformati “naturale”.
Solitamente hanno un arredamento composto da due tavolini in legno naturale stile Ikea, due
soprammobili, sedie standard e un lettino o un futon per terra. Quello potrebbe anche essere il minimo se
fosse essenziale e non banale. Io in un ambiente del genere ci posso lavorare ma preferisco un’ambiente
magari povero ma più personale, meno standardizzato. Non è che l’essenzialità Zen debba confondersi
con il banale. Ci sono dei tavoli dell’Ikea che costano due lire in più che sono già belli. Altre cose che
noto in questi posti sono: cristalli, collanine, immaginette, amuleti, incensi che fanno molto “ambiente” o
“New Age”. Io personalmente non ve lo consiglio. Evitate anche, con estrema attenzione, di non
trasformare una stanza da letto in uno studio, lasciando il divano letto e altri mobili e mettendoci una
scrivania, è un compromesso poco professionale e persone lo percepiscono, togliendovi valore
professionale. Ancora, non infilate un armadio nello studio solo perché a voi fa comodo. Non è
assolutamente piacevole entrare in uno studio e sentirsi a casa dell’altro. Lo studio deve essere
un’ambiente impersonale, non una casa.
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La mia visione, avendo lavorato nei più grossi centri di medicina olistica del mondo, è che lo Zen è Zen.
Essenziale e molto personale. Entri in una stanza: se vuoi lavorare solo a terra hai dei bei materassini o
futon puliti, essenziali, davanti la finestra, le pareti pulite, magari con un colore pastello caldo e non
colori pesanti e neppure il bianco gelido. Poi, è difficile proporre immediatamente ad una persona che
viene per la prima volta, di sedersi per terra. Ci vuole una grossa presenza professionale per fargli capire
che tu hai un valore se entra in uno studio e lavori subito a terra. La cosa migliore se volete lavorare a
terra è comunque avere una scrivania con due sedie dove iniziare la prima parte del colloquio. Se sono
due sedie, prendete due sedie comode e decorose. Se prendete due pezzi o mobili che non c’entrano, non
funziona. Oppure non avere voi una poltrona con le imbottiture e l’altro una sedia scomoda. Fate
attenzione a questo. Non servono tante cose. L’ambiente può essere anche vuoto, “povero”, ma bello,
personale. Fate attenzione nella scelta dei quadri o dei mobili: che siano congrui con l’ambiente. Se poi
avete una bella pietra, un bell’oggetto che vi piace, mettetelo, ma deve far parte di uno studio e non di una
camera di casa.
Per quanto riguarda la luce se mai potete scegliete una stanza luminosa, non buia o illuminata non con un
neon dall’alto, ma almeno con una luce alogena anche se consuma di più. Quindi, una luce tale da non
render uno studio troppo buio né troppo abbagliante per cui non c’è intimità.
Questi sono elementi di prossemica, cioè studio dell’uso che l’uomo fa dello spazio per cui a seconda di
come lo si struttura si può avvicinare o allontanare gli altri nei rapporti quotidiani. E’ importante, quindi,
entrare in uno studio e c’è immediatamente un buon contesto, c’è una buona energia. Sarebbe ideale avere
una piccola sala d’aspetto, possibilmente con un’entrata ed un’uscita separate, oppure voi avete l’abilità
di mantenere la precisione del tempo con le vostre sessioni.
Se, invece lavorate in un centro o andate a cercarne uno per inserirvi con il vostro lavoro, andate nello
studio come se foste voi il cliente e osservate com’è strutturato lo spazio, la luce, l’arredamento, i colori,
la casa dove è locato, a volte anche il quartiere può essere fondamentale. Oppure pensate di avere sia un
cliente povero che un paziente ricco, mediamente con la puzza sotto il naso, che non vuole andare in un
posto un pochino sporco o trasandato, ma che accetta anche un posto un po’ particolare. Dovete
considerare che dovrete lavorare con entrambi.
Se un cliente povero entra in uno studio troppo bello e ricco quando entrerà si chiederà quanto gli costerà
la sessione. Ma se voi il prezzo della sessione lo tenete nella media, che normalmente si attesta attorno ai
trenta/quaranta euro, tutta la preoccupazione rientra. Mettetevi allora nel contesto di queste due persone
che entrano nel vostro ambiente e si trovano bene, perché è molto accogliente anche se semplice.
Riflettete su questo, fate in modo che quest’entrata sia congrua al vostro lavoro.
Se pensate di mettere qualche profumo nella stanza: o sono profumi reali che si trovano difficilmente o
quasi tutti sono a base di benzine e altri aggreganti chimici per cui personalmente appena li sento mi
viene l’asma. Piuttosto prendete degli olii essenziali naturali, ne mettete una goccia da qualsiasi parte
nella stanza, e vi creano un ambiente gradevole.
Un altro degli elementi chiave è la musica. Va benissimo la musica New Age, ma state attenti che non sia
quella troppo indiana, troppo ritmata o troppo sdolcinata, perché se le musiche sono troppo
caratterizzanti: o gli piacciono tanto o gli piacciono poco. Invece una musica tipo filodiffusione di fondo,
una musica gradevole che non si sente, non si impone, ha toni bassi per permettere di parlare. E’
importante creare uno spazio in cui è piacevole entrare e di cui anche la musica fa parte.
Quando avete finito di arredare vi consiglio di far venire due amici, magari architetti, e chiedete le loro
sensazioni. Può darsi che vi possano veramente dare dei buoni suggerimenti.
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LA RELAZIONE CON LA PERSONA (IL CLIENTE)
La relazione con il cliente
Fatte queste prime due premesse sulla VOSTRA IMMAGINE e sul VOSTRO AMBIENTE, entriamo nel
vivo della RELAZIONE. Diamo per scontato che all’inizio, quello che vi consigliamo di fare è di
inaugurare lo studio con una serie di sessioni per prendere la mano sul counseling, ma soprattutto per
sciogliere l’imbarazzo iniziale. Affrontiamo i punti base della prima sessione.
Allora, voi incontrate una persona. Le prime sessioni sono imbarazzanti. Non si sa per quale strana
ragione, il proporsi verso un altro rappresenta una personalità che molti temono, su cui molti hanno forti
proiezioni. A volte si entra in uno studio, il terapista fa delle cose bellissime e c’è sempre questo
atteggiamento del “sì, sì, però io non sono mai abbastanza, sono un povero tapino” che crea una sottile
tensione che è meglio non ci sia. Vi consiglio di fare gratuite le prime sessioni anche per imparare l’arte
dell’incontro, oltre che l’arte del lavoro. Lavorando all’inizio vi accorgerete che dallo schema che avete
imparato poi pian piano vi trasformerete in uno schema che è il vostro.
Quando una nostra collaboratrice ha iniziato a lavorare da noi si è lamentata che non le insegnassi
veramente come si lavora, perché essendo reduce di una scuola dove insegnavano tutto lo schema, si
aspettava la stessa cosa anche qui. All’inizio non capiva che era molto meglio non avere il mio schema,
bensì tanti strumenti di cui poter usufruire. Ha iniziato a lavorare, ha fatto esperienza e adesso ha uno stile
del tutto suo personale. Di tutti questi strumenti dato che ognuno di noi ha una propria energia, ne userà
alcuni e alcuni gli funzioneranno benissimo e altri no. Quindi, è inutile spiegare tutto, perché è la persona
stessa che deve sentire e scegliere cos’è meglio per lei.
Per esempio io sono un tipo molto Yang per cui la mia energia stimola il movimento energetico attivo.
Ovviamente, lavorando funziona bene nel movimento. Se, invece, avessi un’energia molto Yin, non farei
questo lavoro, oppure avrei degli altri risultati. Allora, è chiaro che se voi avete un’energia più attivante
direte alle persone “io sono in grado di aiutarti in alcune forme di disagio, perché ti posso dare energia”.
Ma se la persona che si rivolge a voi è già molto Yang - è molto nervoso, irascibile ecc. - potete aiutarla
meno. Ci si può anche modificare l’energia se la situazione lo richiede, però non ci si può stravolgere la
propria energia di base. Quindi, a seconda di qual è la nostra energia, le persone vi raccontano di sesso,
altri raccontano di relazioni, altri ancora raccontano di lavoro, chi si mette a piangere o altro, perché
ognuno di noi catalizza forme diverse di energia. E non possiamo sapere prima cosa catalizziamo. Quindi,
bisogna provarci per un po’ di tempo gratuitamente, facendo il lavoro di base di addestramento e una
volta che abbiamo un minimo di chiarezza e di sicurezza, cominciamo a lavorare.
Non c’è una seconda occasione per avere una buona “prima impressione”
Negli USA si dice che: “Non c’è una seconda occasione di avere una buona prima impressione”; può
essere l’abito, l’ambiente, ma soprattutto voi. Quello che vi giocate siete proprio voi. Quando la persona
suona ed entra e vi salutate, già in quei primi minuti voi state entrando direttamente in contatto con una
persona che vi sta chiedendo aiuto e che quindi è in un ruolo estremamente delicato. Se io sono quello che
dà mi sento forte, se io ho dei problemi e ti devo far vedere la mia parte più fragile – dai problemi fisici
alle mie paure o la mia impotenza caratteriale - io sono in un ruolo veramente molto delicato. Se vengo da
te per fare un massaggio è basta, senza counseling, tutto si risolve con il massaggio. Ma se anche come
massaggiatore voglio fare del counseling, faccio sedere la persona e le faccio fare un colloquio durante il
quale devo essere attentissimo che qualsiasi forma di giudizio o di durezza che io ho dentro bloccherà
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questa persona nelle sue parti più femminili, più intime, più delicate. Se sento questo disagio, se entro in
empatia, posso accedere a queste informazioni che diventano preziosissime. Allora divento veramente suo
amico. La tecnica di base che io insegno a tutti quelli che sono già usciti dall’Accademia è la seguente.
Prendetevi almeno cinque minuti prima che entri la persona, entrate nella vostra stanza ed entrate in
meditazione e fate la meditazione di Atisha, il respiro nel cuore. La persona arriva e tu hai addosso questo
tipo di energia. Puoi essere anche vigoroso, puoi essere anche forte, ma dentro c’è questo spazio. La
persona si siede e soprattutto la prima volta la incontri. A volte si fanno quelle tre parole di convenevoli e
a seconda della vostra specializzazione la riportate sul motivo della sua venuta e pian piano cominciate ad
ascoltarla. La persona si siede di fronte a voi e voi siete in uno spazio di presenza, ascoltate e sentite
immediatamente cos’è la persona. La persona entra come un mondo in una bolla, nella sua bolla. Per fare
un buon lavoro dovreste centrarvi, semplicemente svuotandovi. Se avete qualche problema e sapete fare
bene il terapista, alla fine della giornata di lavoro non l’avete più, perché nell’arte dell’ascolto degli altri,
devi necessariamente metere da parte le cose contingenti. Nemmeno un medico o uno psicologo non può
esimersi dal farlo, deve ascoltarti. A maggior ragione un counselor olistico: tu devi essere lì. In quel
momento metti da parte te stesso (i tuoi pensieri o i tuoi problemi) e sei sull’attenzione dell’altra persona.
Empatia e “rispecchiamento”: la bolla psichica della persona
Una delle cose di base del Counseling in tutte le categorie in cui si manifesta – noi abbiamo il counseling
relazionale, il counseling sistemico, rogersiano ecc. - la prima cosa è il rispecchiamento. La persona entra
in una bolla, che è la sua energia, che è la sua mente emozionale e comportamentale –
mente/emozioni/corpo, tutte insieme - e tu immediatamente devi percepire questa bolla ed entrare in
sintonia con questa bolla. Non significa che tu diventi come lui, ma che tu lo senti: crei un’empatia. Se
una persona entra e gli è morto qualcuno, tu lo devi cogliere istantaneamente anche se non lo fa vedere.
Empatia significa che cogli questa bolla, ti apri, ascolti, entri in contatto e lasci entrare. Solo
successivamente cercherai di bilanciare le sue polarità.
Vediamo dal lato pratico: come può essere una bolla? Come può essere l’energia generale della persona?
·Yang: la persona entra con energia, è dinamica, parla velocemente e un po’ ad alta voce, racconta
molte cose tutto in velocità, concitato, oppure,
·Yin: entra lentamente, si siede, non parla, all’invito di raccontarsi sospira, è tutto sull’interno,
·A volte è tutto di testa: può essere anche depresso, però ti descrive tecnicamente la sua situazione,
oppure
·E’ molto emozionale. Può essere quello con le emozioni veloci o lente, con le emozioni positive e
appena alla fine accenna appena al suo problema catastrofico, sfiorandolo.
·È depressa e pesante
Personalmente ho il mio livello di onestà, per cui anche se l’aggancio è sul parlare – cioè la persona
vuole qualcuno con cui parlare - io non gli faccio perdere più di tanto tempo. Io voglio lavore. Mi
interessa ascoltarlo per capire la situazione, ma poi devo riportarlo al problema, non continuare a
chiacchierare. Vedo dov’è questa persona, vedo se è nel corpo, vedo com’è il suo corpo (ricordate il
lavoro sul corpo fatto nella settimana della psicosomatica), vedi se è aperto vedi le caratteristiche
strutturali, se è depresso, se è ipereccitato. La cosa fondamentale è cogliere la sua bolla, la bolla in cui
vive. Guarda il viso di una persona e cogli gli atteggiamenti del viso che denotano dei caratteri, delle
emozioni, degli scompensi, delle tensioni. Guardalo: è bello o è brutto? Ha gli occhi intelligenti o ha gli
occhi stupidi? E’ vivo o è morto? E cominci a fare una sorta di mappa e tutto questo alla fine butti via,
perché in realtà non ha alcun valore da un’altra parte.
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“Leggere” empaticamente la persona oltre i giudizi
Lavoravamo moltissimo in questo modo in India e negli Stati Uniti. Si faceva scuola di terapia: si
prendeva una persona e si chiedeva che cos’era di sbagliato in lei. Tra l’altro la si faceva spogliare, per
cui ognuno diceva tutto quello che vedeva di negativo e alla fine questa persona che all’inizio era
normale, dopo un quarto d’ora era distrutta, collassava. Poi, si rigirava il tutto e si diceva: “Bene, invece
di giudicare questa persona o dire ciò che avete imparato con la testa, provate per un secondo sentire chi è
in realtà questa persona, provate a cogliere in questa persona quello che c’è dentro. Intanto è una persona
viva.” Ricordiamo che ogni suo punto del corpo, nel carattere, nelle sue emozioni è una ferita che si sta
portando dietro. Se ha una tipologia arrogante è perché ha avuto quella famiglia che l’ha massacrato, se è
depressa è perché ha avuto quell’altra famiglia che l’ha massacrato in un’altra maniera, se ha gli occhi
tristi ecc. tutto ciò sono tutte le sue ferite. Ecco cos’è veramente fondamentale imparare: l’anima di questa
persona, sentirla.
In Accademia si facevano spesso gli esercizi dove si entrava in contatto con gli occhi della persona. Leggi
gli occhi, leggi dentro gli occhi. Se leggi gli occhi leggi una porta esterna e già dagli occhi è come se
leggessi il corpo, leggi tutta la sua vita: leggi se è sballato, stralunato, presente o assente, se è intelligente
o realmente un po’ stupido. Vedi tutto: vedi il grado di attivazione energetica: se l’occhio è vivo o è
spento. E poi al di là di questo prova a entrare dentro, qual è l’anima di questa persona? Se è un’anima
giovane o se è un’anima antica, se è un’anima che ha vissuto o non ha vissuto, se ha il cuore o se non ha il
cuore. Personalmente ho avuto pochi pazienti senza cuore e vi assicuro che si fa più fatica a lavorare.
Ricordo molti anni fa un paziente in particolare, molto cattivo che a 17-18 anni andava a sprangare i
“comunisti” e se ne vantava. Era il classico psicopatico senza cuore. Mi raccontava di aver avuto una
donna che aveva molto maltrattato, fino a che lei lo aveva lasciato, lui fece di tutto per ritornare insieme
semplicemente per avere il gusto di usarla sessualmente. Era veramente duro, freddo. Tutto il lavoro è
stato portare lui a capire, oltre ogni giudizio, che era senza cuore. Ci avvicinammo molto a questa
comprensione, anche se non ce l’ho fatta profondamente come desideravo, ma comunque lui si era reso
conto di non riuscire a mettersi nei panni di lei, di avere una visone unilaterale, egoistica. Allora non
avevo ancora tutti gli strumenti che ho oggi, non avevo “Il dialogo delle voci”, non avevo alcuni
strumenti di PLN erickssoniana altrimenti gli avrei fatto fare il lavoro fisicamente nei panni di lei per
fargli sentire che cosa lei provava per lui, cosa lei aveva sperimentato quando lui la tradiva o la
brutalizzava.
Sia in questi che non hanno cuore, che in coloro che sono stati molto feriti, il cuore apparentemente non
c’è. Quest’ultimi hanno il cuore in profondità, coperto esternamente da una massa di dolore o di rabbia.
Più o meno è la stessa cosa, a volte di tutt’e due. Allora voi cogliete questa bolla e vi uniformate. Nelle
varie scuole di Counseling si suggerisce alcune arti di rispecchiamento. Il rispecchiamento è un po’ quella
matrice scimmiesca, da primati, per cui se qualcuno ha lo stesso atteggiamento che hai tu, ti senti
empatico ed entri immediatamente in risonanza. In realtà potete fare a meno di entrare nel
rispecchiamento e aprire realmente le porte del cuore, cosa che non vi insegnano nella maggior parte delle
scuole, e entrare lo stesso in risonanza. Già Rogers e tutta la psicologia umanistica ha sviluppato
tantissimo l’ascolto dell’altro proprio come essere in uno stato di presenza con il cuore. Non avevano la
meditazione che noi aggiungiamo a questo e che noi aggiungiamo a questo come profondità e intensità,
però era già un buon livello. Il rispecchiamento è che se una persona è tanto depressa, tu non puoi fare lo
stesso, perché lei non si sentirebbe capita e accolta. Se una persona è triste, tu ti metti ad animare in
qualche modo un suo stato di coscienza anche se in quel momento non lo condividi. Quindi, ti metti a suo
livello e lo ascolti senza giudizio in modo da aiutarlo ad aprirsi e stai lì con il cuore aperto.
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Transfert e controtransfert: il gioco incrociato delle proiezioni
E qui parte immediatamente il controtransfert: spesso gli fai da amico o da padre o da fratello. A volte
anche da amante e ne sei totalmente consapevole. Non puoi negare che il transfert o il controtransfert non
esista, ma te lo giochi con estrema sincerità.
Io mi sono trovato a confrontarmi con delle donne che se le incontravo fuori dallo studio, dopo tre ore
saremmo stati già amanti; ho incontrato persone con cui avrei fatto a cazzotti o che avrei potuto detestare
per le cose orribili che hanno fatto; altre che avrei potuto ammirare per le cose belle che hanno fatto.
Invece, entro in uno spazio di assenza di giudizio e quello che sento me lo proiettano nel tempo e poi io lo
dichiaro. Mi sono trovato con persone che avevano quella bolla e instauravo quel tipo di canale, a dire il
vero, per esempio: “noi due fuori di qui avremmo potuto diventare amici”.
A volte nei transfert o controtransfert ci siamo dichiarati che saremmo stati rispettivamente un padre o un
figlio ideale. Ho avuto il caso di una ragazza che è andata oltre il limite provocandomi. Era una persona
depressa per attirare l’attenzione di suo padre. Non voleva mai che io le dicessi che stava meglio perché
se stava meglio, io (nel transfert mi aveva proiettato addosso la figura del padre) non la amavo più. Ad un
certo momento mi ha detto delle cose terribili fino a minacciarmi che se per caso lei si ammazzava
sarebbe stata tutta colpa mia. Era la fine della sessione, mi aveva appena pagato. Ho preso i soldi, glieli
ho tirati in faccia invitandola ad uscire dal mio studio dicendole che non mi importava assolutamente
nulla di quello che avrebbe fatto o meno e che con lei non volevo più lavorare. Io non ci stavo ai suoi
giochi da bambina. Lei non sapeva se piangere o ridere ed è uscita. Tutto questo era completamente fuori
dal contesto terapeutico classico. Mi ha richiamato dopo 15 giorni chiedendomi scusa e dicendomi che
aveva capito di aver detto cose assurde e da allora è migliorata enormemente. Ho dato a lei la dignità, ho
dato a me la dignità, dicendo e facendo quello che ho fatto non tanto da terapista, ma da essere umano a
essere umano. Quella era la terapia della provocazione che può capitare qualche volta. Quando la persona
va oltre un certo limite, devi dirle “questo è troppo, io così non lavoro”.
Dicendo la verità rompi tutta la struttura del transfert e del controtransfert. Può capitare poche volte, ma
quando accade è molto forte. Altrimenti io dichiaro tutto il transfert che c’è e se va bene ad entrambi
lavorare così, questo diventa una consapevolezza, non resta nell’inconscio. Io lavoro pulito. Ritengo di
avere dei bellissimi risultati così.
Quindi, cogliete l’energia della bolla della persona che vi sta davanti. Se lei è triste, voi entrate
nell’energia della tristezza. Se lei vi chiede un attimo di attenzione consolatoria io rompo completamente
il distacco del rapporto terapista-paziente: io sono un counselor e lei è una persona da aiutare. Se piange
io la prendo e l’abbraccio, se sento che sia il caso. Le sono vicino così come mi sento di fare nella mia
professionalità ma anche nella mia onestà di sentimenti, di percezioni e spontaneità del comportamento.
Devo essere quello che sono. Piano piano entro in questa bolla e cerco di assorbire l’informazione più
completa che posso. Normalmente dopo che la persona mi ha raccontato il nucleo del problema, decido
come lavorare.
Ma già quando arrivano anche senza parlare della bolla io sento se la persona è in un certo spazio. Per
esempio: arriva un uomo, imprenditore, molto scettico, carattere determinato, ti dice che è venuto
esclusivamente perché l’ha mandato sua moglie che crede nella meditazione e cose del genere, mentre lui
non sarebbe mai venuto perché a queste stupidate non crede. A quel punto tiro fuori tutto il mio ego
sociale accettando tutto quello che mi ha appena espresso, ma gli dico che comunque queste cose
funzionano anche al di là della sua volontà e delle sue credenze, anzi, funzionano anche meglio. Così mi
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metto in posizione di assoluta parità. Lui è un grande businessman, anch’io sono un grande businessman,
Se lui è un grande ricco, anch’io sono un grande ricco. Siamo alla pari. Così entro nel suo personaggio,
entro in quello che lui vuole che in quel momento io sia. E questo non lo faccio per falsità, non lo faccio
per accaparrarmi un cliente, lo faccio perché è l’unico modo per entrare nel cuore di quella persona e
indurlo a lavorare su di sé. Nella sua illusione di quel momento, lui ha bisogno di una certa energia di
riferimento a cui potersi affidare. Se io sbaglio la sua proiezione, lui prende e se ne va e io ho perso
l’occasione di aiutare qualcuno. Se io, invece, lo accondiscendo, mi metto in un contesto dove uso la voce
un po’ nasale, un po’ da terzo chakra come lui vorrebbe che io fossi. Io so giocare anche questa energia,
non ho problemi. Anzi, non lo invito a fare meditazione ma respirare un po’ invitandolo a prendere
coscienza del suo corpo e del suo intero essere: è una situazione neurofisiologica, non è meditazione. Gli
dico le stesse cose in un altro modo. Lui comunque mi stima, perché sono un bastardo come lui.
Così come se arriva la vecchietta non le dirò “entriamo nella neurofisiologia dell’estasi”, ma mi
“empatizzo” a lei, divento anch’io un vecchietto, anche come voce e atteggiamento, e la invito a respirare
un po’. La metto a suo agio. Tutti noi siamo in grado di fare il rispecchiamento, chi più chi meno.
Torniamo al concetto di base: noi abbiamo mille personalità. Noi siamo all’inizio un aggregato di
personalità. I comici cosa fanno? Prendono di solito una di queste personalità, la tirano fuori, le danno un
po’ di energia, la fanno diventare una caricatura e ci giocano su. Ma tutti abbiamo dentro tutti. Voi entrate
in risonanza con tutte queste energie.
L’empatia a questo primo livello è importantissima, dovete entrare nel cuore della persona. Una volta
entrati e avete stabilito un contatto, ritornate nella vostra identità e non state più nella sua, potete a questo
punto trasmettergli delle informazioni che vengono recepite. Trovando il canale giusto, il linguaggio e
l’energia giusta con cui le persone vogliono rapportarsi, riuscite a farli entrare e fargli fare la
riconversione. Ad un signore venuto per il mal di stomaco ho spiegato che il mal di stomaco poteva esser
curato anche con qualche medicina, ma essenzialmente era il suo nervosismo che doveva imparare a
sentire, a scaricare ed a non voler ricostruire. Piano piano. Lui ha capito benissimo, anzi, poi è venuto
anche a farsi un gruppo.
Quindi, se riuscite ad entrare in contatto, avete il potere dell’alleanza, della percezione unitaria dove la
persona vi sente, scatta il riconoscimento di gruppo, il riconoscimento di razza. Ogni essere umano deve
avere il suo gruppo di amici per formare una piccola tribù. Entrando in risonanza con la persona siete
riconosciuti come amico, della stessa razza, della stessa conformazione, che lo sente e non lo giudica e gli
è utile. Una volta superata questa barriera, incomincia il processo della riconversione.
Roberto SASSONE
E’ il tema più spinoso nella relazione con il cliente-paziente. Il transfert è la proiezione del cliente nei
confronti dell’analista, cioè tutto quello che il cliente proietta sull’analista in base alla storia della propria
vita. Il contro-transfert, più importante per noi, è quello che il terapeuta o l’operatore proietta sul cliente.
E’ normale che il paziente abbia un transfert, anzi il transfert del paziente è utilissimo perché ci dà le
indicazioni sul tipo di relazione che normalmente ha nella vita con gli oggetti che investe affettivamente.
Quindi se emerge il transfert significa che compaiono le tematiche che devono essere affrontate nel corso
del progetto di crescita. E’ molto importante perché il transfert offre la possibilità in vivo di osservare e
sperimentare quello che nella vita accade al paziente. Nel setting si potrà agire direttamente su questo tipo
di relazione. Il vero problema è il contro-transfert. In teoria non ci dovrebbe essere, ed in questo caso
dovremmo essere degli illuminati. In realtà noi abbiamo una responsabilità veramente grande di essere in
grado di riconoscere il nostro contro-transfert. Ed è a questo punto che viene fuori il collegamento tra la
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nostra storia personale e il tipo di contro-transfert che noi agiamo. Facciamo degli esempi più semplici
per capire: abbiamo visto che nelle varie strutture schizoide, orale, masochista, rigido, psicopatico, ci
sono delle tematiche di fondo non risolte. Abbiamo visto che c’è la paura di vivere nello schizoide,
dell’abbandono nell’orale, la paura dell’azione nel masochista, la paura del piacere nel rigido e quella del
fallimento nello psicopatico. Adesso ognuno di noi dovrà riconoscere brevemente il tema fondamentale
ad ognuno di voi di queste tematiche appena dette. Se riconoscete ad esempio che il tema più grande è
quello dell’abbandono potrete agevolmente verificare come nella relazione con una persona è molto
probabile che le azioni di questa persona nei suoi confronti saranno lette con la chiave dell’abbandono,
ovvero “quanto mi vuole bene?” “quanto mi trascura?” Oppure riguardo allo psicopatico, si chiederà
“quanto mi stima?”. Oppure nelle tematiche di uno schizoide “quanto realmente questa persona è in grado
di reggere un cambiamento perché io come operatore, avendo paura di un cambiamento, temo che non sia
in grado di attuare un cambiamento”.
Se l’operatore si sente instabile, la sua necessità è di avere sicurezza e stabilità, tutte le tematiche che
incontrerò di un paziente, che abbia problemi di instabilità oppure ha temi di necessità di cambiamento, io
potrei facilmente osservarli attraverso la mia paura del cambiamento. Quindi la cosa fondamentale è che
ognuno riconosca i tratti caratteriali fondamentali perché sono questi tratti che gli devono fare scattare un
campanello d’allarme tutte le volte che il cliente parla di tematiche affini al tratto che ha o che non ha ben
risolto, e che in ogni caso deve sapere di non aver ben risolto. Il non sapere quali sono i temi di base
inevitabilmente crea nell’operatore un contro-transfert. Perché in fondo il contro-transfert è la lettura
della realtà attraverso la griglia della propria tematica non risolta. Insisto sul fatto che è vero che
l’operatore non è un terapeuta, e quindi non ha la responsabilità di portare avanti un lavoro in cui si fa
carico del transfert del paziente e anzi lo usa per la terapia, ma comunque essendo una persona che agisce
in ogni caso su un altro individuo, in quanto operatore, se non ha l’obbligo di essere un esperto nel
trattamento del transfert ha comunque l’obbligo etico di conoscere molto bene e di avere lavorato, come
tutti voi state facendo, sui propri tratti caratteriali, in modo tale da essere in grado se non di risolverli, di
gestirli. Perché un buon operatore o terapeuta non è colui che non ha questi tratti, ma colui che è in grado
di gestirli. Oltretutto il cliente ha un’abilità sottile, addirittura inconsapevole, di cogliere in maniera
empatica il contro-transfert eventuale del suo terapeuta, cioè afferra i suoi punti deboli e fa leva su di essi.
E quindi avviene nel percorso di terapia, una sottile seduzione del paziente sull’analista, che avviene sulla
base delle armi caratteriali che ogni cliente ha, e che sono individuabili, se noi abbiamo chiaro i caratteri,
sulla base delle strutture caratteriali stesse, in definitiva ognuno userà le armi che sono legate a come ha
compensato la sua carenza caratteriale. Quindi ogni serie caratteriale sviluppa una serie di compensazioni,
per crearsi una struttura di difesa e per vivere meglio nell’ambito della disarmonia. Queste compensazioni
diventano le modalità seduttive che ogni struttura adopera per cercare di avere la relazione. Le strutture
seduttive sono quelle che noi possiamo rintracciare facendo un’attenta anamnesi, ovvero che tipo di
richiesta la madre o il padre avevano nei confronti del figlio? E come il figlio ha sviluppato la modalità
per rispondere a queste richieste? Il modo in cui è riuscito a rispondere alle richieste dei genitori diventa il
modo seduttivo con cui ha la relazione. E’ chiaro che l’orale sedurrà fondamentalmente attraverso il suo
atteggiamento che suscita la tenerezza, e quindi non bisogna mai accudire un’orale, perché rimarrà
bambino. Un masochista attuerà la seduttività della disponibilità totale, sarà il bravissimo paziente,
cercherà di essere un modello, si prenderà cura lui stesso della propria terapia, quasi quasi si prenderà
cura del terapeuta stesso, bisogna stare molto attenti. E’ un modo subdolo per farlo cadere in suo potere, e
ovviamente se l’operatore ha un bisogno di essere confermato nel proprio valore, se trova dall’altra parte
una persona compiacente, cade nella rete, non si accorge di fare un contro-transfert ed una collusione, per
cui si crea una relazione che sembra funzioni benissimo, ma in realtà è una relazione che va bene a patto
che non finisca mai; è una terapia in cui succedono delle dinamiche molto forti, di aggressività, di
svilimento dell’azione del terapista, un attacco al suo valore; un attacco che è anche giusto, perché gli
attacchi dei pazienti sono da prendere molto in considerazione. Non dobbiamo cadere nella facile
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tendenza di dire “è una sua proiezione” perché la proiezione spesso ci azzecca. A questo punto possiamo
immaginare quando incontriamo un’isterica o fallico-narcisista. Tutte le grosse problematiche di rapporti,
non solo sessuali, di implicazioni emotive, innamoramenti tra l’operatore e il/la paziente avvengono
fondamentalmente con clienti che hanno una componente isterica (o l’equivalente maschile falliconarcisista). C’è il dovere etico di riconoscere e di poter gestire attraverso un lavoro su di sé i tratti non
risolti, in maniera tale almeno di impedirsi di accorgersi di quando li stiamo per agire. Magari la tendenza
di agire c’è, ma una cosa è bloccarli e una cosa è non bloccarli perché non conoscendoli sembra quasi che
quella azione terapeutica sia funzionale al progetto terapeutico, in realtà è funzionale al progetto seduttivo
del paziente che vuole ricreare l’alleanza nevrotica con la madre o con il padre, e vuole riprodurre un
meccanismo che è l’unico che conosce.
Nitamo MONTECUCCO
Possiamo dire che il paziente nel suo gioco va a coprire i buchi della mamma. Se la persona che voi
vedete vi rappresenta, penserete “anch’io come lui ho avuto un papà che faceva così, una mamma
iperprotettiva”. “E se io ho impiegato 15 anni ad uscire di casa, il paziente deve metterci 15 mesi.” Gli
darete dei consigli “devi uscire di casa, se non esci da casa non sei un vero uomo, se non molli quella
situazione non sei una vera donna, se vuoi essere te stessa devi lasciarlo”. Questo è un consiglio. Questa è
una proiezione. Se gli dici di fare una certa cosa, ad esempio una meditazione o un gruppo, e il paziente
non lo vuole fare, tu sei risentito perché lui non è all’altezza di quello che secondo te dovrebbe fare.
Questo nella pratica immediata è quello che vedete sempre. L’operatore proietta sulla persona se non è
guarito: “ah non sei guarito, ma certo, io ti avevo detto di fare alcune cose, non l’hai fatto ed è tutta colpa
tua”. Quindi il transfert e contro-transfert psicologico fa sempre presa su un vostro bisogno. Ma
ricordatevi, se voi avete dentro di voi acquisito una modalità, per cui avete dato un’enorme importanza a
certe cose, le pretenderete dalla persona che viene da voi. Ad esempio se tua madre ha proiettato su di te
che devi essere qualcuno, facilmente proietterai la stessa cosa su un paziente. Se tua madre è stata
iperprotettiva, sarai così con il cliente. Che non è realmente essere d’aiuto ma piuttosto un’ansia che gli
proietti addosso. Oppure puoi proiettargli addosso il piacere –è un bell’uomo, una bella donna- e
dicendogli “una bella donna come te dovrebbe fare….” è una proiezione. In realtà il transfert e controtransfert è qualcosa di più sottile, più psicologico. Queste sono le banali proiezioni che noi abbiamo sulle
persone. Ad esempio pensare “dopo tre sedute non hai ancora capito come fare, non sono io che non sono
un buon terapista, sei tu che sei un cane come paziente”. Purtroppo di queste situazioni ne abbiamo viste
tantissime.
Roberto SASSONE
E’ vero anche l’opposto. Se conoscete bene queste strutture perché avete lavorato bene su di voi, potete
aiutare tantissimo quella persona che presenta lo stesso tratto, perché ormai sapete esattamente dove
andrà a parare, tutti i discorsi che fa e gli atteggiamenti che ha, li vedete come uno specchio. E quindi
potete aiutarla ancora di più.
Nitamo MONTECUCCO
Questo è stare con quello che c’è. La presenza con le cose che tu hai passato. Ma non si può dare un
consiglio, non gli si può dare la strada, dire come deve fare. Il processo che noi dobbiamo fare è
induttivo, educativo. Se tu hai capito, devi farlo capire a lui ma facendolo arrivare con i propri mezzi,
senza dare consigli o suggerimenti. Perché così facendo lo svilisci. Chiedergli “tu cosa vuoi?” io in realtà
so già la risposta ma non gliela dico. Non gli dico neanche che ho la risposta. Facendo una serie di
domande porto la persona ad una certa situazione, per farla capire.
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La scheda di crescita personale
Ora entriamo nella pratica del contatto diretto con la persona. Iniziamo utilizzando una “scheda di crescita
personale”, che voi scriverete e che la persona porterà a casa e riporterà sempre con sé a tutte le
successive sessioni. In modo da non infrangere né le leggi sulla privacy né quelle sul possesso di
materiale con dati personali sensibili. La scheda di crescita personale è uno strumento molto professionale
e quindi prezioso, che, essendo complesso, eventualmente si può anche non utilizzare all’inizio. Il nostro
consiglio è tuttavia di imparare ad utilizzarlo da subito, perché vi dà immediatamente un’immagine di
buon livello professionale e di serietà nella modalità di lavoro.
LA SCHEDA DI CRESCITA PERSONALE.
1) Data di nascita e accanto io metto l’età. L’età è fondamentale, perché dall’età voi vedete la congruenza,
il suo modo di viversi il corpo, le energie, le emozioni e la mente rispetto all’età che ha. A volte vedete
tipi molto giovanili, a volte vedete persone vecchie a quarant’anni. Ho avuto una signora di 62 anni che
ne dimostrava 42 per presenza, vitalità, energia e tutto il resto.
2) La residenza: è interessante vedere se coincide con il luogo di nascita.
A me interessa sapere con chi vive che aiuta ad impostare immediatamente il livello psicologico
d’inquadramento (single, divorziato, vive con la mamma o altro)
3) La professione
4) Numero di figli; di solito scrivo l’età dei figli. E’ diverso se ha 50 anni e ha due figli piccoli da quello
che ha 40 anni e ha un figlio di 23 anni. Oppure chiedere se, pur non essendo sposato, ha dei figli.
5) Storia personale
6) Storia familiare
7) Osservazioni
8) Test
9) Percorso consigliato (che è alla fine del lavoro)
Normalmente se la persona viene e vi dice che viene da voi per un motivo preciso (per esempio a farsi
fare un certo tipo di massaggio) dovete essere chiari. Se voi lavorate solo sul corpo, dovete spiegare che il
colloquio è fondamentale. Questo vale per qualsiasi tecnica voi state facendo: se volete lavorare
nell’ambito dello sviluppo del potenziale umano o nell’ambito realmente olistico, gli dite che oltre alle
vostre tecniche conosciute e proposte è assolutamente fondamentale il contesto d’informazione generale
della persona. Questo a qualsiasi livello si lavori - sul corpo, con le emozioni, con la mente - , perché le
tensioni della mente o delle emozioni si riflettono sul corpo o viceversa. In questo modo date una
giustificazione molto semplice e profonda a quello che state chiedendo. Quindi, date sempre informazioni
chiare: dite che lavorando come counselor prima di proporre un programma di lavoro avete bisogno di
acquisire una visione olistica della persona.
Questo è un questionario olistico specifico, intestatelo ‘Questionario dell’Accademia Olistica”, in modo
che diventi un documento importante e non due appunti presi al volo. Se voi stessi date importanza, anche
il cliente darà importanza e sarete pagati. Se voi stessi non date importanza alle cose che fate, non saranno
viste come importanti e non saranno valutate e quindi pagate.
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Normalmente io inizio con la
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Storia personale:
Il primo dato che inserisco è il tipo di blocco. Ad esempio gastrite, abbandono dal fidanzato, cioè il
motivo per cui la persona è venuta da voi.
E’ importante ricordarlo al cliente dopo un po’ di tempo, perché può darsi che non se lo ricordi più. Ciò
vuol dire che è avvenuta la riconversione.
Si parte dalle informazioni generali:
“Come sei nato?” Parto con il forcipe, parto normale, parto cesareo, ecc.
Allattamento: due settimane, tre mesi ecc.
Malattie particolari infantili: a 4 anni ricovero per asma grave o altro, tifo a 3 anni, o altro.
Se vi portano una montagna di documentazione di tutte le operazioni e indagini avute significa che sono
devastati dal malessere. A voi basta sapere che ne ha avute tante, per cui lavorate su un altro livello.
Nella storia personale degli ultimi tempi scrivete le cose più gravi che ha avuto tipo ricoveri psichiatrici,
malattie di cuore, asma da ospedalizzazione, epilessie, schizofrenie.
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Storia familiare:
Qui solitamente scrivo che figlio è: se il primo, secondo, se ha una sorella, ecc.
Dopodichè gli faccio una precisa domanda:
”Qual’era l’ambiente familiare da bambino? Qual’era l’atmosfera? “ Può essere stata serena, soffocante,
deprimente, in collegio con le suore, ha vissuto con la nonna, ecc.
“Da bambino com’era tua mamma? Affettuosa, nevrotica, depressa, non ti guardava mai, assente?”
“Com’era tuo papà quando eri bambino? Giocava con te? Ti stimava, quanto? Ti spaventava, si
arrabbiava? Ti faceva paura?”
Queste sono le radici di tutto il comportamento successivo
“I nonni: erano affettuosi o autoritari?”
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Osservazioni:
Qui normalmente annoto ciò che osservo fisicamente, energeticamente della persona. A volte chiedo alla
persona se mi permette di farle da specchio. Se dicono di sì, parlo come parla lei o gesticolo come
gesticola lei, ecc. Da ciò esce la tipologia senza giudicare, altrimenti si offende e se ne va. Quando parte
la proiezione energetica istantaneamente voi siete già in un controtransfert: voi vorreste la persona diversa
da quella che è. State già facendo da padri e loro sono i figli, già siete mariti e loro sono le mogli ecc. Se
mi accorgo che so mettendo in moto un processo proiettivo che mi solleva i miei problemi personali, me
li devo rivedere altrimenti non posso lavorare con lei.
Se, invece, metto questa persona come “Other self oriented”, cioè la metto sul cuscino della moglie, del
marito o dell’altro che le ha fatto del male, questa tecnica, se fatta bene, va immediatamente a bilanciare
una serie di cose.
Fate qualsiasi tipo di test di vostra conoscenza: iridologia, kinesiologia, respirazione.
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Per esempio per quanto riguarda il test del respiro: osservo il blocco del respiro alto, medio o basso. Mi
chiedo dov’è il blocco? A questo proposito io tendo a evidenziare i blocchi secondari e i blocchi primari.
Chiedetevi qual è, secondo voi, il blocco principale, quello da cui nascono gli altri. Qual è il nucleo? Se
riuscite ad identificare, scrivetelo.
Poi, nelle osservazioni io noto fondamentalmente la sua bolla: cosa osservo nel corpo, nelle energie, qual
è la sua qualità energetica di fondo. Posso anche osservare che se cerco di parlare troppo, lei diventa
nervosa e comincia a parlare il doppio. Posso anche sentire una sensazione che lei ha male al cuore, anche
se lei dice di avere un cuore sano. Oppure posso improvvisamente sentire una grande tristezza, e lo
annoto. A volte nelle sessioni successive può accadere che lei butti fuori la sua tristezza che teneva
nascosta. Mettete tutte le osservazioni.
Inoltre fatevi un appunto delle osservazioni che non devono essere dimenticate:
1) “Dimmi chi sei? Ci sei? Ti senti?“ Che poi allargo con “Come ti senti nella tua vita, è la vita che tu
desideri? Che cosa è che ti dà il piacere del vivere? La tua vita è realmente la tua vita?” E in quel
momento l’altro sente la vostra presenza.
Il punto importantissimo in questa serie di domande è arrivare sempre alla fase critica. Quello che noi
chiamiamo “riconversione” è il processo fondamentale. Dobbiamo far riconvertire l’energia della persona
che solitamente è fuori, farla ritornare verso l’interno, farla rientrare dentro al nucleo.
I punti che la fanno ritornare a lei sono elementi molto evidenti e li riconfermi chiedendo:
“Ma se finora non ti sei goduto la tua vita, cosa pensi di fare? Ti piace? Sei soddisfatto? Se in questo
momento dovessi darti una bacchetta magica molto reale cos’è che vuoi cambiare veramente della tua
vita? “ E se vi rispondono: “Vorrei star bene” fategli capire che troppo generico, che stanno evitando di
dare la vera risposta. E voi insistete: “Ma pensa che cos’è che tu vuoi ? Che cos’è che tu non vuoi? Da
che cosa ti vorresti allontanare ? Che cos’è che vorresti non avere e verso che cosa ti vorresti dirigere?”
Queste sono le domande fondamentali che vi mettono in un rapporto esistenziale con la persona. E dopo
che la persona vi ha raccontato minimamente la storia della sua vita, dei suoi problemi, delle sue malattie
e tensioni, ad un certo momento sentite di essere entrati in lei con intensità. Se avete creato i minimi
presupposti - lo spazio idoneo, il setting appropriato, se non avete fatto grossi errori - e la vostra presenza
è già più che sufficiente per entrare in contatto umano con l’altro. E continuate a chiedere: “Hai amato?
Quanti anni hai, 35? Se vai avanti così, cosa saranno gli altri 35 anni? Vuoi andare avanti ancora 20 anni
così?”
- Le Relazioni:
Se il counselor si trova con una persona in disarmonia con le relazioni, ad esempio ha difficoltà con i
genitori, con il sesso, o sul lavoro, deve riportare l’equilibrio nella persona, attraverso la bioenergetica, il
massaggio, la meditazione, le tecniche di respiro.
A volte per le relazioni, oltre alle amicizie generiche, c’è la domanda: ”Hai un compagno/una compagna?
Come ci stai? Quanti ne hai avuti? Com’è finita? Quanto è durata?” E vi dicono dei tempi brevi o medio
brevi dopodichè da tre anni non hanno avuto più nessuno. E voi incalzate: ”Come con nessuno? Hai
appena 28 anni, sei nel pieno delle tue forze e da tre anni sei senza una donna/senza un uomo. Che dolore
devi aver provato, che paure devi aver provato? Almeno sessualmente avevi qualche piccola storia
piccola parallela? “Nella tua vita sessuale riesci a lasciarti andare?” “Quanto ti controlli?”
Approfondisci il punto sul controllo e sullo stress, perché è su questa parte istintiva che noi possiamo
1
intervenire con i nostri strumenti di meditazione e di evoluzione personale che sono potentissimi. Lì devi
esserci.
Dalla storia delle relazioni vedete il cuore, la capacità di mettersi in contatto con gli altri e capite dove
sono. E ancora: “Nell’ultima relazione, come stai? E’ una relazione reale? Cos’è che ti fa stare ancora con
questa persona? Cos’è che ti permette di stare ancora con lui/lei?” Può essere anche una cosa: “A letto
andiamo d’accordissimo” oppure “Chiacchieriamo molto” o “Ci piace viaggiare “ ecc. A volte non c’è
niente e allora lì dovete entrare: ”Perché stai ancora in questa relazione se è così insoddisfacente?”
Partendo dal presente proviamo ad invertire il processo, lavorando sul blocco interno.
La persona non si sente desiderata, non amata, quindi è una struttura orale, abbiamo un blocco di primo
chakra, un blocco di potere, la persona si sente più sul lato femminile.
Andiamo a lavorare sul cuore, la maggior parte delle persone non sente il proprio corpo.
Sentite la persona, se vi accorgete che è troppo gonfia, è una psicopatica e non si sgonfia mai; è una
masochista se tiene duro e non sente niente; una persona rigida continua a parlare con la testa ed il corpo
non lo sente; è una persona orale se comincia a piangere appena mettete le mani, e sente soprattutto il
dolore affettivo.
- La Professione:
“Il lavoro è soddisfacente? Ti piace? Lo fai per guadagnare? Se lo fai per guadagnare allora cos’è che ti fa
vivere? Per che cosa vivi?” La risposta più frequente è: “Vivo per i figli”. “Lascia perdere per un
momento i figli che sono sicuramente importanti nella vita di una persona, ma tu perché vivi? Tu non vivi
per un altro, tu vivi per te. Cos’è che ti dà piacere?”
Per esempio chiedete: “Quando sei con il capoufficio che non ti stima cosa succede?”. Può non
rispondere e vedrete un blocco di gola, oppure chiude con le spalle, oppure si irrigidisce e non dice
niente, o si gonfia come nel caso di un rancore trattenuto, struttura masochista. Pian piano semplicemente
con la consapevolezza, fate sentire tutto il corpo, cioè la portate a sentire quello che voi vedete, i blocchi.
La rinforzate, l’ascoltate, la fate parlare.
E lì toccate le corde più profonde. Questo è il Counseling Olistico che entra in profondità dell’essere della
persona, nei punti critici dove è possibile, auspicata e necessaria una riconversione. Voi portate con voi la
cosa più preziosa che potete dare: la comprensione che è possibile girare la vita, anche di poco, e ritrovare
la matrice profonda dell’essere. Questo è il momento critico, non diteglielo voi. Il counselor accetta
quello che c’è, senza mai spingere. Lasciate che ci arrivino da soli. Quando cominciano ad emergere le
insoddisfazioni chiedete: “Ma tu che cos’è che realmente vorresti? Che vita vorresti?”
In questa fase bisogna stare attenti ai criticoni che trovano da ridire su tutto e tutti. Quindi, se è un
criticone, il cambiamento della vita avviene attraverso l’apertura del cuore e smettere di criticare. A
questo punto non possono scappare. Intanto li mettete nella condizione in cui loro mettono in risalto la
loro situazione. Parallelamente li inducete piano piano a esprimere quello che veramente è il senso della
profondità dell’essere.
Le domande esistenziali
Riassumendo le domande “esistenziali” che aprono la via ad una consapevolezza di sé e della propria
crescita personale sono:
“COME VA LA TUA VITA SESSUALE?”
“SEI SODDISFATTO DELLA TUA VITA?” Se la risposta è no, chiedergli
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“COME MAI NO?” “COS’E’ CHE TI MANCA?” “COS’E’ CHE NON TI SODDISFA?” “COS’E’ CHE
VORRESTI?”
Tutto ciò senza voli pindarici. Ripeto, li lasciate parlare finchè non esprimono un disagio. Se siete forti e
sentite di avere un buon canale o tanta empatia riuscite ad entrare direttamente nell’Io. A questo punto,
soprattutto se avete fatto il “who is in” potete chiedere:
”MA TU CHI SEI? CHI PENSI DI ESSERE? COSA VORRESTI ESSERE?”
A qualsiasi loro risposta avete dei primi elementi per cominciare un lavoro semplice per ritornare
all’essenza, ritornare a riaprire il corpo, ritornare a risentire il proprio bene e il proprio male. Non gli
dovete dire niente.
Un’altra grande domanda è:
“COS’E’ CHE T’IMPEDISCE DI ESSERE FELICE?” “COS’E’ CHE T’IMPEDISCE DI USARE IL
CUORE E DI AMARE?”
Ognuno vi darà motivazioni che lo portano all’esterno. Voi potete aggiungere: “STAI CERCANDO
QUALCOSA ALL’ESTERNO CHE TI CONFERMI, MA PER CONFERMARE TE SENZA IL
BISOGNO DELLE COSE ESTERNE, DI COSA HAI BISOGNO?”
“HO BISOGNO DI AVERE FIDUCIA”. “IO TI DO FIDUCIA, PUOI OTTENERE PIU’ FIDUCIA IN
TE PARTENDO DA TE”.
A questo punto voi avete gli elementi per fare una serie di cose. Qui rientra la componente evolutiva della
persona. In questo momento voi dovete più che mai dire e sentire e mettere insieme gli elementi e capire
veramente il livello evolutivo di quella persona. Se sbagliate, la persona scappa, perché le proponete una
cosa sovradimensionata.
Bisogna rinforzare il corpo, stimolare la mente, far leggere dei libri, farle conoscere altre persone più
mature che riconoscano le sue qualità, per rinforzare il sistema centrale della fiducia; però non bisogna
dire ad una persona brutta che è bella, perché è disonesto.
Sentendo quello che la persona vuole, il suo bisogno, l’aiutate a sviluppare il potenziale interno, e sempre
in ogni situazione la riportate a sé, all’identità, al cuore e non alla testa, il proprio valore, il proprio
potenziale, le proprie energie.
La logica dei primi incontri
Prendiamo un esempio concreto. Se viene da voi una persona normale che mediamente ha un tratto
masochista gigantesco, che vive male, perché si crea delle ragioni per vivere male, vuol dire che è un
livello molto basso. E se è un livello molto basso non gli potete proporre spesso nemmeno un percorso di
crescita. Dovete fare quel processo graduale di crescita che noi possiamo chiamare la prima proposta di
percorso consigliato. Il percorso consigliato io lo articolo mediamente in tre fasi:
Nel primo incontro riuscite ad avere un quadro generale. A volte se parlano molto, c’è molta storia e a
loro piace raccontarsi, gli proponete di vedervi la volta successiva per fare un lavoro diretto sul corpo.
Questo è fondamentale. Vi invito ad essere molto chiari sul modo di procedere. Se la persona si aspetta da
voi un massaggio e voi non glielo fate e proponete qualche cos’altro, non ritornerà più. Invece dovete
spiegargli che voi come Counselor gli fate il lavoro sul corpo con il massaggio, ma oltre a questo lavorate
anche sulla parte emozionale che emerge dal massaggio stesso. A questo punto gli chiedete se vuole un
massaggio puro e semplice oppure se vuole lavorare sulla profondità. Se dovesse scegliere soltanto il
massaggio, alla fine gli potete sempre dire che da questo sono emerse delle tensioni molto forti che
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andrebbero affrontate indagando ulteriormente. E se accetta lo invitate a riparlarne e chiarire la volta
successiva. Se accetta continuate così. Questo può essere un approccio per chi lavora con metodi fisici o
molto tecnici.
Se invece siete psicologi o lavorate sul respiro, non fate la prima sessione se prima non avete fatto
insieme una scheda come minimo di mezz’ora e trequarti d’ora la dedicate al respiro.
Quindi, la prima volta gli fate un’analisi fisica o vi mettete d’accordo sui tempi facendo sia la scheda che
il lavoro sul corpo. Non dimenticate che il lavoro sul corpo è fondamentale, perché la maggior parte delle
persone sono molto mentali e il contatto con il corpo fa uscire sensazioni ed emozioni; da lì il processo di
riconversione è estremamente più semplice.
Ad esempio già facendo un massaggio alla schiena gli potete dire che sotto quel male c’è dolore o
tristezza o rabbia e cominciate ad indurre la persona a sentire le emozioni che stanno sotto facendola
respirare dentro, cominciate a direzionarla e farle comprendere cosa sta sotto. Pian piano comincia a
comprendere che il lavoro da fare è su di sé, è quello di liberazione delle emozioni. La persona prende
una direzione differente.
Ad esempio, se vi dice che ha problemi relazionali, chiedete che tipo di dolori o fastidi ha. Immaginiamo
che vi dica che accusa dolori sul cuore. Prima di entrare negli altri test, se avete il minimo dubbio che
questo dolore al cuore possa essere qualcosa di più grave, chiedete se ha fatto esami clinici per accertarsi
che sia solo di natura psicosomatica. Se ha avuto esiti diagnostici segnatelo alla voce test. E’ importante
che la persona vi informi ad esempio se ha avuto un attacco cardiaco, perché se la fate respirare in un
certo modo c’è un margine di rischio. Quello che interessa non è fare un’analisi medica, ma sapere se ci
sono dei punti nella vita passata che potrebbero influenzare negativamente le tecniche di respirazione. Le
altre parti sono: storia famigliare, storia personale, percorso consigliato, osservazioni.
Se siete mediamente capaci e riuscite nell’arco di una prima visita generale di un’ora/un’ora e mezza o di
due visite ad avere abbastanza dati o esperienze su di lui, la persona sente veramente dove sono le
tensioni e qual è il problema reale su di sé, A questo punto ciò che vi consiglio di fare è di proporre una
serie di non più di cinque, sei sessioni. E dopo queste sessioni si farà il punto della situazione. Questa è la
strategia che vi consiglio.
Riassumo:
1.
I° incontro: questionario ed esperienza
Fate le domande per avere delle informazioni e fate sperimentare dove ci sono realmente i problemi e
le tensioni, se siete dei bodyworker. Se uno facesse già lo psicologo, invece, induce la riconversione
attraverso un’esperienza a livello emozionale diretto portando piano piano la persona a dire da sé
dove veramente c’è il problema per induzione. Usate lo stesso procedimento che usava Socrate, in
modo che sia la persona stessa a percepire quello che sente e fargli prendere una decisione. Tutto ciò è
meglio se mediato dal corpo.
2.
Prime sessioni di sperimentazione:
Gli proponete tre, quattro sessioni dove proponete un piccolo progetto di esperienze e scrivete sulla
scheda personale il percorso consigliato. Queste sessioni servono a fare sentire il corpo alla persona, a
farle percepire direttamente il punto “interiore” e possibilmente “psicosomatico” da cui parte
realmente il suo problema o il tema su cui voi realmente potete operare con successo. Tenete sempre
presente il motivo per cui è venuta la persona. Se ad esempio è una persona che ha già avuto una serie
di operazioni all’anca non gli si può ripristinare l’arto, però si può lavorare sulla sua vita, sul piacere
1
di esistere, mettendo in moto la parte sana. Un dolore anche fisico che non è guaribile può essere
tollerato se l’altra parte della vita lo bilancia. Così impostate un percorso consigliato e voi avete
quello che lui vuole come cura generale e quello che gli avete consigliato voi per una riconversione
della propria direzione.
Oppure, alla persona con il mal di stomaco che chiede d’intervenire esclusivamente sul mal di
stomaco chiedete se p.es. accetta di fare soltanto tre sessioni di rebirthing, in modo da rilassare il
sistema nervoso e di conseguenza migliorare anche il mal di stomaco. E lasciate decidere a lui. Se
accetta passate alla fase successiva.
3.
Incontri successivi: il “progetto di crescita”
Dopo la fase della sperimentazione, nella quale la persona capisce il punti interiore dei suoi problemi,
si decide insieme un percorso di crescita personale, ossia un “progetto di crescita”
Ad esempio durante il lavoro di respiro lui tira fuori tutte le sue emozioni, voi gli fate prendere
coscienza del corpo e gli fate prendere coscienza della tensione allo stomaco. Sarà lui stesso ad
accorgersi che esternando il pianto ha allentato o sciolto la tensione allo stomaco. Alla fine gli
sottolineate il fatto che se apre il cuore e scioglie il dolore, lo stomaco sta meglio e lui fa un vero
processo di guarigione, dove le pillole non c’entrano nulla.
Il vero e il falso dei problemi
Nella prima o nella seconda sessione è fondamentale che voi capiate che ciò che vi sta raccontando la
persona è “relativamente falso”, nel senso che vi sta raccontando un problema o vi racconta di sé in modo
esteriore, come se la reale causa fosse sempre all’esterno e non su di sé.
Riuscire ad invertire questa percezione del problema è essenziale per lavorare su di sé. Questo cambio di
prospettiva dall’esterno all’interno è quindi un punto della massima importanza. Stiamo facendo un
sostanziale lavoro: stiamo riportando la persona alla realtà. Lei viene con un falso bisogno e noi le stiamo
riportando il bisogno sul livello di autenticità. Su questo dobbiamo stare molto attenti. Quindi, come
punto d’accesso dovete considerare che la persona, non essendo in contatto reale e profondo con sé,
continua a raccontarvi lo stesso problema che è un problema fuori di sé. E a volte onestamente,
nonostante il grande lavoro che le persone fanno a livello psicologico, questo problema rimane esteriore
per anni e in alcuni casi per sempre. Le persone che hanno avuto traumi continuano a buttare fuori quello
che hanno dentro. Continuano a dire che il mondo fa schifo, che tutto è dolore, sono sempre arrabbiate, il
mondo è pieno di paure: tutto questo è dentro di loro e continuano a proiettarlo all’esterno. Che hanno
una malattia perché hanno avuto un incidente, o un virus, o un problema genetico: loro in tutto questo non
c’entrano. Ci sono donne che continuano a dirvi che si trovano regolarmente in situazioni dove gli uomini
le piantano, oppure la moglie lo tratta sempre nello stesso modo, o ‘non riesco mai a fare una certa cosa’.
Il problema sono gli altri, è sempre all’esterno. Il punto è di rigirare la consapevolezza: a volte ce la fate
subito, a volte non ce la fate. Anche nei casi in cui la persona è molto proiettata all’esterno e continua a
pensare al negativo, pur avendo fatto anni di analisi o lavori di gruppo. Voi dovete cercare di portarle
all’interno, il lavoro e il setting che create, soprattutto la prima e la seconda visita, servono per
ricodificare questo passaggio: il primo punto, la direzione da fuori a dentro.
Le varie tecniche di psicosomatica, di respiro dolce, di meditazione, di energetica servono perfettamente
a questo scopo: portano l’attenzione sul corpo, sul respiro, sulle sensazioni interne e quando sono lì –
dentro di loro - quando sono parati dalla testa ai piedi, dai loro pensieri ricorsivi al corpo e alle
sensazioni ed emozioni del momento presente, voi, come counselor olistici potete facilmente fargli
1
capire come e dove il problema è interiorizzato, somatizzato, riflesso dentro di loro. Questa è la chiave!
Lì potete far capire con sicurezza alla persona che si può agire direttamente – il corpo è il loro, il cuore è
il loro – mentre, con la stessa certezza sapete di non poter cambiare le persone esterne.
Provate a chiedere alla persona che cosa vuole: e lei solitamente vi risponderà che vuole “star bene”.
Questo vi fa capire che la persona è fuori di testa. Benissimo, dopo questa affermazione capiamo che
chiede a noi di risolverle il suo problema - come se avessimo delle virtù magiche - perché non si rende
conto di quello che dice. Altrimenti la risposta corretta non sarebbe ‘voglio stare bene’, bensì ‘io ho
questo problema, per cui voglio lavorare su di me per cambiare!” Voglio andare oltre queste storie
ripetitive, voglio liberarmi da queste emozioni di sfiducia per cui continuo a dire che il mondo o le mie
relazioni o gli altri sono negativi”, ‘devo guardare me e dire che sono pieno di questa stessa emozione
che proietto all’esterno’. E’ un lavoro difficile e in alcuni casi anche dopo anni di lavoro non si riesce a
farlo completamente. Voi dovete provarci, dovete invertire anche solo parzialmente o logicamente,
perché a volte le persone non riescono ad aprire il cuore soprattutto se hanno avuto tante ferite.
Questo vale anche per voi: se avete difficoltà ad aprire il cuore e avere presenza non vi diamo
l’abilitazione a Counselor. Abbiamo già avuto alcuni casi -una persona che si è fatta tre anni di
Accademia, un’altra che ha fatto ben tre scuole di Counselor (una sistemico/relazionale, una familiare e
una con la Gestalt)– a cui non ho dato il benestare. Posso dar loro la certificazione per la frequenza del
corso, ma non il mio benestare per esercitare la professione di Counselor. Glielo darò nel momento in cui
lei o lui ‘ci sarà’. Questo non vuol dire che debba essere una persona perfetta, ma che ha raggiunto un
minimo di equilibrio e di pulizia interna per poterlo fare.
La direzione esterna e interna
Vi faccio un esempio: una persona viene da voi perché ha la gastrite e voi le dite che potete farle una
sessione per aiutarla per rilassarsi e comprendere le cause della gastrite, sottolineando però il punto più
importante che, parallelamente al lavoro che voi le fate, la persona lavori su di sé. Questo vale se lavorate
con le erbe o l’alimentazione, i massaggi, il respiro, la meditazione o altro ancora.
Quando incontriamo la persona, incontriamo il suo carattere, il suo io esteriore, ma possiamo
immediatamente sentire anche la sua profondità, il suo essere, il Sé. Quindi, voi sapete che state parlando
con una persona-carattere che vi sta dicendo “io ho un problema, ho il mal di schiena, sono chiuso, ecc”.
e dietro tutte queste richieste voi sentirete che c’è una persona che non è in contatto con il proprio Sè. E’
una persona che ha la direzione esterna e che quindi vi chiede qualche cosa di esterno. In alcuni casi,
soprattutto negli ultimi anni, apparentemente ti dice una cosa interna – ad es. “voglio sperimentare la
meditazione o voglio sperimentare il tantra perché si fa meglio l’amore” oppure ”voglio fare yoga per il
mal di schiena” – e in realtà è tutto esterno. Oppure dice “ho letto che le persone importanti hanno un Sé
spirituale, per cui anch’io voglio avere un Sé.” e voi capite che è tutto esterno. Voi dovete addestrarvi a
capire dov’è il problema reale della persona, a capire dov’è il loro punto critico psicosomatico, la parte su
cui potete operare un cambiamento di direzione da esteriore ad interiore: un viraggio della coscienza.
Il “progetto di crescita”
In queste prime sessioni voi avete la situazione per fare approfondire realmente alla persona la sua reale
situazione psicosomatica e i suoi blocchi. Una volta che avete identificato i blocchi, il lavoro
importantissimo è quello di farglieli percepire e di creare insieme una linea di crescita personale. Il punto
che non dovete mai perdere di vista è che la persona vi ha dato fiducia, che vuole vedere dei risultati reali,
deve sperimentarli su di sé e voi avete tre, quattro ore di tempo per fare questo: per migliorare il suo
quadro, fargli prendere ancora più fiducia in voi e sentire ancora di più i suoi conflitti e limiti e dargli
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man mano una direzione di crescita. Non ti senti te stesso, vuoi aprirti, cos’e’ la barriera verso te
stesso? Tre, quattro ore sono tantissime. Se sapete lavorare, anche in due ore potete fare un gran lavoro.
In ogni istante il lavoro deve essere in uno spazio di feedback: le persone sentono e voi dovete fargli
prendere coscienza che sentono e ritornare sempre ai modelli olistici che avete conosciuto.
I due modelli olistici principali che potete utilizzare con le persone per spiegarle metaforicamente il
processo di blocco e di crescita sono: quello del Centro e quello della Spirale. La Spirale è un tutt’uno che
gira. Se si ferma un solo anello della Spirale si ferma tutto il cerchio. Se il Cuore c’è e dà vita e luce a
tutto ma è oscurato da quella membrana di tristezza che noi chiamiamo pericardio, tutto il sistema perde
di luminosità. Quindi, voi avete tre, quattro ore di tempo per fargli sentire dov’è che non sente la totalità,
cos’è che non parte nel Cuore, cos’è che interrompe nel corpo e tornare sempre a lui. Le parole chiave
che vengono usate sono “sei tu che hai in mano la tua vita”, “sei tu che hai in mano le chiavi del tuo
Cuore”. A questo punto in questo processo voi dovete essere assolutamente congrui con l’evoluzione
della persona.
Magari la persona viene da voi con un problema “esteriorizzato” emozionale: sto con mio marito da più
di 20 anni ma non sento più niente, mi rovina la vita e poi anche il lavoro mi soffoca. Voi nelle prime
sessioni la fate respirare nel corpo, le fate percepire dove quel suo malessere “esterno” le crea dolore e
tensione, dove sente i blocchi energetici, espressivi e da lì iniziate il lavoro di interiorizzazione: le dite
“non possiamo cambiare l’esterno, ma sicuramente possiamo migliorare la situazione interna fisica,
emozionale e psichica”. Potete suggerirle di “riaprire il cuore che si è chiuso, riattivare il senso della
bellezza con le meditazioni o l’arte, imparare a comunicare meglio, ad essere più centrati, a stimarsi di
più.” Questo è la base del “progetto di crescita” che ad ogni sessione diventa più preciso ed evidente.
Faccio un inciso, perché il punto è importantissimo.
Valutazioni e aspettative nel “progetto di crescita”
Se la persona è una persona senza Cuore e ha saputo che voi fate delle tecniche che l’hanno incuriosita e
viene con molte aspettative pratiche, potete mettervi nell’atteggiamento che comunque voi le
trasmetterete amore e già un contatto fisico non potrà che farle bene. Non dovete aspettarvi tanto da chi
ha il Cuore chiuso. Lo ripeto. Non fate proiezioni sulle persone che hanno il Cuore chiuso. Utilizzare
l’entusiasmo con la persona con il Cuore chiuso è come andare a parlare di Ufo ad uno scienziato
materialista. Non funziona, è controproducente.
Questo progetto di aiuto, che noi abbiamo chiamato “progetto di crescita”, deve essere lui a farlo.
Dovete sentire questa chiusura. Se volete lavorare, dovete entrare in risonanza con questa chiusura fin
quando la sentite su di voi. Non lo potete far lavorare in un progetto di crescita normale. Le persone che
vengono in Accademia sono già selezionatissime, a cui forse una su venti dico di fare l’Accademia. Agli
altri non gli dico niente. Al massimo gli dico di fare qualche gruppo, perché non sono all’altezza: o sono
troppo vecchi, o sono troppo sbandati, o hanno troppi problemi o sono stupidi. Anche la stupidità è reale.
Ci sono uomini percettivi e uomini idioti. Allora, voi dovete essere molto chiari sui limiti della persona e
fare una cosa che è quasi lei che ve lo chiede. E non siete voi che gliela imponete. Se voi date di più ad
uno che non se lo aspetta, scappa, ha paura. Se voi dite a persone che hanno vissuto sempre in negativo,
sempre arrabbiate “io ti apro il Cuore e sarai felice”, scappano. Dovete essere in grado di distinguere.
Vi do un esempio negativo di un ragazzo sensibile e intelligente, ma classico esempio di masochista. Se
non state attenti, vi brucia due ore della vita a raccontarvi assurdità. Lui, di quello che voi gli dite non
sente niente, non capisce niente. Se gli dite di leggere un libro vi segue, altrimenti qualsiasi cosa gli dite
di fare lui non c’è. E’ stato al Villaggio una settimana, non ha fatto quasi nulla, ma io non mi aspettavo
niente di più da lui. Era già un miracolo che accettasse di fare il gruppo. Ma io non insisto tanto, perché
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già lo considero in questo momento come perso con un 5% di probabilità di miracolo. A quell’età lui vive
ancora con la mamma tiranna, non ha donne, vive completamente isolato. Quindi, con lui bisogna andare
molto piano. Il percorso di crescita deve essere congruo con i limiti della persona.
Una cosa semplice da fare è questa: se vi accorgete che una persona ha dei limiti, fategli fare delle cose e
parlate poco.
Se, invece, vedete che la persona ha già il Cuore aperto, allora potete parlare un po’ di più, spingere quel
filo di entusiasmo un po’ di più. Se uno ha il Cuore aperto, l’entusiasmo è un nutrimento; se uno ha il
Cuore chiuso l’entusiasmo è una botta. Dovete stare attenti, sappiate moderare l’energia, se volete aiutare.
Con questo ragazzo masochista non potevo forzare. L’unica cosa da dire è “vai bene così, io ti voglio
bene così come sei”. Prima di partire mi ha chiesto se faceva bene ad andarsene a vivere da solo o magari
con una donna. Lui può trovarsi soltanto una donna che gli assomigli e che sia mediamente repressa come
lui (un masochista è fondamentalmente un represso), che abbia un po’ di Cuore, un po’ di sensibilità,
faranno poco sesso, ma in qualche modo riusciranno a stare insieme.
Quindi, moderate le energie, moderate l’entusiasmo, osservate il tempo di maturazione della persona con
relativa calma, sappiate portare la persona a sentire quelle determinate cose. Qualsiasi progetto di
crescita, che sia soltanto un pochino troppo in avanti, crea paura. Dovete dire le cose con molta cautela.
Se invece sentite che la persona è più di Cuore, la prendete con il Cuore. Se sentite che la persona ha già
fatto una serie di esperienze anche banali ed edulcorate da New Age, andate a vedere quanto c’è del suo
‘Essere in contatto con sé’, quanto è cosciente e libera la sua mente. Questo soprattutto se vivete in un
paese, è già tanto che una persona venga da voi. Accertategli sempre che tutto ciò che viene detto o fatto
rimane tra voi, in modo che loro abbiano una sicurezza.
Motivi per cui il counselor non deve dare consigli
Una delle caratteristiche del counseling riconosciute a livello internazionale è quella di non dare consigli.
I motivi per cui il counselor non deve dare consigli sono molteplici: il primo è di non influenzare,
psicologicamente, emotivamente, con giudizi o con una propria visione personale le scelte della persona
(cliente) che è venuto per ricevere un aiuto. Il lavoro del counselor è di “educare” le persone, nel puro
senso del termine latino di ex ducere, ossia di “portare fuori”, le loro potenzialità e risorse. I clienti
devono essere aiutati dal counselor a scoprire e contare sulle loro risorse personali e sentire che le loro
esperienze ed abilità sono positivamente riconosciute dal counselor.
Secondo la “British Association for Counseling” il counselor:
·
Non deve dare consigli ossia non deve influenzare la persona.
·
Può indicare le opzioni di cui il cliente dispone e aiutarlo a seguire quello che sceglierà.
·
Può aiutare il cliente a esaminare dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono
rivelati problematici e trovare un punto piccolo ma cruciale da cui sia possibile originare qualche
cambiamento.
·
Lo scopo fondamentale è l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere le sue
decisioni e porle in essere.
·
Dovrà essere sufficientemente fiducioso e autoconsapevole da essere una presenza supportiva e
non giudicante.
·
Non è emotivamente coinvolto.
L’arte di non imporre la propria visione, di non consigliare ma di dare consapevolezza e di educare, ossia
di aiutare le persone ad esprimere i propri reali bisogni, progetti, desideri, decisioni è alla base di tutto il
1
lavoro del counseling olistico e tradizionale. Questo è il processo di induzione. Contrariamente alla
deduzione che usa maggiormente la logica e i processi di causa-effetto che noi proponiamo alla persona
per arrivare ad una conclusione, il processo di induzione tende a far sviluppare una risposta autonoma alla
persona, portandola con opportune domande ad una chiara visione del suo problema o situazione e a
comprendere le sue reali necessità e desideri. Se una persona ci racconta che il suo malessere dipende da
una situazione di relazione molto pesante, dove il partner è ovviamente implicato, noi abbiamo due
possibilità: o diamo dei consigli diretti “ma perché non lo pianti?” o “secondo me faresti meglio a
chiudere” oppure possiamo portare la persona a chiarire la sua situazione chiedendole: “ma che cosa senti
realmente rispetto a questa relazione” o “ma se ti ascolti bene ritieni di poter sostenere a lungo questa
situazione”, o ancora “quali sono i sentimenti, anche contrastanti tra loro, che provi?” e lentamente la
persona, se si sente sostenuta e supportata dalla vostra presenza empatica, dirà quello che realmente vuole
e voi la sosterrete in queste sue scelte.
Il Mito di Kirone: il counselor non è un perfetto
Ricordiamo uno dei miti più importanti legati al guaritore e alla guarigione: il mito di Kirone. Per i Greci
Esculapio, il Dio della medicina, era una figura onniscente, perfetta, che sa tutto e cura dall’alto dei cieli,
ma noi, come Counselor, non ci riconosciamo in questa perfezione e prendiamo il mito di Chirone che è
un centauro, mezzo animale e mezzo uomo ma anche con una parte divina. Ha ricevuto in dono
l’immortalità, ma non l’invulnerabilità. Quindi, è come dire, noi siamo Chirone. Abbiamo la panciacervello rettile che è animale, il cuore che è umano o mammifero, e abbiamo la testa che adesso è piena di
mente-spazzatura, ma che se fossimo realizzati, sarebbe pura coscienza e spiritualità. Quindi noi abbiamo
l’animale, l’uomo e il divino dentro di noi. Chirone rappresenta la nostra triplice natura. Chirone pur
avendo il dono dell’immortalità è vulnerabile come anche noi siamo: con un’anima spirituale immortale e
con un corpo vulnerabile. Chirone fu ferito e cercò tutta la vita di curarsi, imparò tutte le medicine
esistenti - dai massaggi alle erbe e altro – ma non riuscì mai realmente a curarsi. Viene considerato il
guaritore per eccellenza, colui che porta le tecniche della guarigione. Noi diciamo che l’Operatore
Counselor Olistico è il Chirone dei nostri tempi: è una persona che sicuramente ha avuto delle ferite, che
può averle ancora perché non è riuscito del tutto a curarle, che riconosce la sua natura sacra e le sue ferite
da semplice mortale, ma nell’accezione umana più nobile ha dentro di sé una fondamentale spinta ad
aiutare gli altri. A trasferire una parte delle proprie esperienze agli altri, cosciente sia di non essere lui
completamente guarito sia, ovviamente, di non poter completamente guarire gli altri. Questa è la base
della relazione di aiuto. Quindi, una persona può essere anche paralizzata, malata o fortemente ferita e
fare bene il Counselor. Ma se la ferita non se l’è ancora vista e continua a proiettare una parte della
propria tristezza, rabbia o paura sugli altri, questo gli proibisce di fare il Counselor, non perché si debba
essere perfetti, ma perché non si il cuore abbastanza limpido e pulito per poterlo fare. Vorrei che fosse
molto chiaro.
Vi faccio un esempio. Prendiamo una persona che ha le ossessioni. Ciò non gli impedisce di fare il
Counselor, se si rende conto che non può lavorare sulle ossessioni. O una persona che ha una base di
anoressia o bulimia o ha dei disturbi sessuali non può affrontare altre persone con lo stesso problema. Ciò
non toglie che non possa fare tutta una serie di lavori in cui trasmettere quella parte di comprensione che
ha già vissuto in altri settori. A volte le persone che soffrono o hanno sofferto molto hanno un’incredibile
sensibilità alla sofferenza o un’incredibile empatia. E proprio la consapevolezza della paura, della
vergogna che ha superato al 50% può diventare anche un punto di grande aiuto. Può benissimo dire:
“Anch’io nel passato avevo tante paure, ma lavorando su di me con questa tecnica di respiro oggi ne ho
molte meno, per cui te la trasmetto. Non è una cura finale, ma è un buon aiuto.” Bisogna avere
consapevolezza e onestà e dire alle persone che quel problema voi non l’avete superato, che non siete
perfetti. Non siamo nel transfert o contro-transfert per cui dobbiamo mantenere una certa posizione e per
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questo non raccontiamo la nostra vita privata. Non è così. Riconosciamo e diciamo che siamo persone
come altre che sano fare bene una certa cosa e ci offriamo di farla insieme ad altri. Anche la persona più
modesta che si trova in uno spazio di presenza e di illuminazione e che magari è timido e non parla
neanche ma nella gentilezza con cui ti ascolta e si rapporta a te, c’è dentro tantissimo, c’è dentro la
guarigione, c’è dentro la presenza. Questa è la cosa fondamentale che dobbiamo capire.
Esistono dei contesti minimi in cui siamo o non siamo presenti. Esistono dei contesti necessari di
emozione che noi viviamo e se sono troppe non possiamo lavorare, perché diventiamo noi stessi
proiettivi. Se uno ha una tristezza, perché in quel momento le è morto il padre, è una tristezza nella natura
delle cose. Se uno è triste, perché non ha risolto i suoi problemi, non può fare l’operatore. Se uno ha avuto
una vita sfortunatissima, è andato in depressione e si è fatto ricoverare e poi attraverso l’uso delle
tecniche ha risolto il 90% della depressione che ancora ogni volta lo tocca, ma di cui lui è consapevole di
questa parte, può fare un grandissimo lavoro sulla depressione. Anzi, questa esperienza gli ha lasciato un
gran entusiasmo, una saggezza che lo può addirittura far entrare in risonanza con chi è depresso e aiutare
molto. Quindi, grande equilibrio, grande consapevolezza, grande responsabilità.
Trasparenza e sincerità
Ripetiamo un codice fondamentale importante: non stiamo lavorando sull’autoaffermazione, non stiamo
lavorando sull’ego individuale, sulla sicurezza personale, ma stiamo lavorando sulla PRESENZA. Ad
esempio: se io sono triste e sono presente, lavoro benissimo, ma lavoro in trasparenza. Personalmente
sono contro le scuole che presuppongono un “ruolo professionale determinato” che viene controllato
all’interno di un setting. Quello che sto facendo da anni nel mio lavoro personale e con tutti quelli che
sono usciti dall’Accademia e che già stanno lavorando è: per quanto è possibile il setting non deve creare
nessuna contestualizzazione del processo di transfert e controtransfert. Io gioco trasparente: se la persona
mi è realmente simpatica, le dico che mi è simpatica, e viceversa. Se sto male o sono triste per mie
ragioni e la persona mi chiede come sto, rispondo la verità, che sono in un momento così. Questa apertura
nella mia pratica ha generato rapporti di grande empatia e verità. Se la persona mi fa venire tristezza o
irritazione, le dico ciò che sento, con proprietà di linguaggio, in modo neutro, positivo, ma glielo dico.
Dico la verità. Se una persona mi provoca, non si fida di me o resiste, all’inizio lavoro sulle resistenze,
rendo consapevole le faccio da specchio testimoniando quanto sta avvenendo, ma, oltre un certo limite, le
dico che non posso lavorare più con lei, perché non ci sono i parametri minimi umani di lavoro, di
relazione. Non mi diverto a lavorare così! Non credo realmente che sia utile e produttivo. E a volte
proprio questa franchezza ha generato un cambio di risposta emozionale della persona, una riapertura di
rapporto. Di moltissime persone che incontro professionalmente, ogni anno fermo il lavoro almeno con
due o tre.
E’ chiaro che tutto questo lavoro che inizia deve avvenire anche nell’ambito di un equilibrio tra presenza
e realtà e compassione dall’altra. Se in quel momento con quella persona che mi è pesante, ma io riesco
ad essere in uno spazio di compassione, ci posso lavorare. Ho avuto una paziente ossessiva, fortemente
compulsiva, non borderline ma da ricovero, secondo me, che è venuta e mi ha chiesto di essere aiutata e
ho fatto molto fatica lavorare con lei. Spesso mi faceva arrabbiare, mi provocava, ma c’era una quantità di
compassione nei suoi confronti e di apertura di cuore che nonostante questo mi permetteva di lavorare
con lei. Tra l’altro questa era venuta da me dopo esser stata da quattro psichiatri che l’avevano buttata
fuori dalla porta, perché lei creava rabbia nelle persone ovviamente. Quando lei mi creava rabbia, glielo
dicevo. Se lei insisteva e mi provocava, le dicevo che era andata oltre il limite e io smettevo di lavorare. E
lei si rendeva conto che andava a cercare di superare questo limite. Quando lo superava, si accorgeva.
chiedeva scusa e si riprendeva il lavoro. Questo è un caso limite che spero non vi succeda mai. Se, però,
viene da voi una persona che vi chiede una sessione di yoga, massaggio o danza ed è uno psicopatico, voi
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non curate lo psicopatico. Ma se vi chiede di aiutarlo a sciogliere le sue tensioni corporee o desidera fare
meditazione, voi lo aiutate. Avete chiarezza che non state curando una malattia, state aiutando una
persona. Se questa persona vi crea troppa tensione o scompiglio gli dite che non potete, perché vi crea
troppo disagio nel gruppo o a voi stessi. Se, invece, una persona butta fuori tutto il suo pianto e rabbia e
non vi crea nessun tipo di reazione, lasciate fare. Voi dovete essere onesti con voi stessi, creare un patto
di onestà.
oooOOOooo
Nel lavoro fatto nelle prime due giornate, dove abbiamo posto il cuore al centro del sistema, è emerso
dalle esperienze di ricerca, che il nucleo del dolore reale alla fine è sempre il cuore. Non viene fuori la
rabbia, la rabbia è “perché non mi ha riconosciuto con il cuore” oppure viene fuori la tristezza, perché “
non ha amato me”, cioè viene fuori l’identità e non il cuore. E quindi l’abbiamo messo al centro, agli inizi
non abbiamo messo il cuore al centro.
Una volta che avete identificato i blocchi, il lavoro importantissimo è quello di farglieli percepire e di
creare una linea di crescita personale.
Finora abbiamo fatto una parte d’impostazione generale del SETTING. Poi abbiamo fatto la prima parte
dell’INCONTRO, il riconoscimento della persona e della sua energia generale, dell’atmosfera o della
bolla in cui vive, e dei primi semplici processi di approccio alla persona e di CONTATTO diretto con la
persona.
Il lavoro sull'identità
Ora, invece, vorrei affrontare la tecnica di base del “CHI SONO IO?” utilizzata non in ambito di gruppo,
ma in ambito individuale, e come entrare in quella dimensione che io vi propongo di fare da coricati (è
molto più intensa!) e non in piedi e come utilizzare questo senso dell’identità per muovere delle cose più
profonde. Ricordiamoci, però, una cosa nel percorso consigliato, aldilà di qualsiasi cosa che voi avete
detto potete anche proporre di fargli il respiro rilassante. A volte anche se non avete lo spazio del
colloquio, perché non avete ancora una sufficiente professionalità per imporglielo, iniziate semplicemente
così con tre, quattro sessioni rilassanti con il respiro durante le quali cominciate a mettervi in contatto con
queste pratiche. Ma la cosa più importante è che l’esperienza della totalità dell’essere non ha tempo né
spazio e non ha fretta. Lo potete fare a chiunque, dalla vecchietta di 80 anni allo psicopatico, dal manager
d’azienda al l’iperrazionale, se riuscite a portare una persona ad un rilassamento profondo, questo fa
sempre bene. E ogni tecnica che noi vi abbiamo insegnato in Accademia– da quella del massaggio dei
piedi, al massaggio della schiena al massaggio della pancia, il rilassamento, l’apertura energetica, gli
esercizi di energetica, gli esercizi di respirazione e altro – tutto questo lo potete fare in meditazione. Se
voi siete in meditazione, diventa meditazione. Diventa lo strumento interno per veicolare. Quindi,
qualsiasi tecnica elementare - anche con il Reiki di I° livello o quello a distanza senza simboli, senza
niente: togliete le testa, mandate l’energia e funziona benissimo– se va in meditazione trasmette un altro
senso delle cose. Anche facendo qualsiasi pratica semplice, se voi siete in uno spazio di profondità
trasmettete questo amore, questa sensazione, questa atmosfera. Soprattutto alla fine di ogni sessione,
qualsiasi sia, fermate la persona, invitatela a sentirsi,a percepire le differenze da quando era entrata a quel
momento e a entrare un attimo in quello spazio. Voi ci entrate, le potete prendere le mani, mettere una
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mano sul cuore o stare soltanto nella vicinanza e inducete la persona a vivere quello spazio interiore. Voi
stessi vedrete che nonostante usate delle tecniche che non sono esattamente congrue con i suoi desideri di
risoluzione terapeutica, quando voi utilizzate questa componente di meditazione, avviene una
trasformazione, avviene un’alchimia.
L’altra cosa che è fondamentale per tutti è che se non avete una laurea vi sentite a disagio, perché per fare
questo lavoro sarebbe meglio avere una laurea. Se avete una laurea è lo stesso. La paura è uguale, la
tensione è uguale, il senso di inadeguatezza e d’impotenza è uguale. E’ uguale anche per i medici, non
solo per gli psicologi quando iniziano il lavoro. Una delle cose fondamentali che dovete capire è che il
fare come professione il Counselor, (non l’operatore olistico che potrebbe essere il mio massaggiatore
privato) prende il ruolo che gerarchicamente normalmente viene riservato al Padre, all’Autorità. Quindi,
di base è di per sé una terapia per coloro che hanno un vuoto di identità, una fragilità di identità e dato che
questo, purtroppo, è una cosa molto comune, alcune persone possono avere un’enorme guadagno - anche
se ambiscono a fare il “guaritore” - ma il fatto stesso di poter entrare nel ruolo materno/paterno come
autorità vera (che ha autorevolezza, che ha una funzione primaria senza gerarchia, ma alla pari; io ho
l’informazione e la saggezza e la trasmetto a te) si mettono in una funzione di estrema utilità di per sé. E’
chiaro?
Ad alcuni di voi questo l’ho puntualizzato: di prendere coscienza di avere alcune cose da dare, di
cambiare gioco, per uscire dal ruolo materno/paterno e dal ruolo filiale, dal ruolo simbiotico. Per
diventare grandi bisogna diventare autorevoli, non aspettate più l’imboccare, non ripetete più le cose che
vi hanno spiegato. Noi vi diamo degli strumenti e poi quello che avverrà sarà la vostra storia, la vostra
energia che deve uscire. Tutti gli operatori della stessa scuola sono tutti diversi a meno che non siano
uniformati, ma non fanno più shiatsu fanno meccanica. Sono dei robot, esci che ti senti rullato. Quindi,
attenzione! Vi svuotate, entrate nella presenza e diventate autorevoli ricordando che non sapete niente.
Autorevoli semplicemente perché avete questa energia. Trasmettete qualche informazione, il resto non
sapete fare. Nessuno sa fare. Questo è la cosa bella della vita. L’altra persona sta cercando di capire
qualcosa e voi le date la vera risposta ai suoi problemi. Impara ad accettare la vita senza voler capire un
accidente. E’ così. Hai capito tutto nel momento in cui ti accorgi che è troppo da capire, perché
semplicemente hai coscienza delle cose. Ascoltando la vita si può risolvere un sacco di problemi.
LE NORME DI RICONOSCIMENTO DELLE PERSONE CRITICHE
L’identità strutturata della persona, dell’IO della mente su cui lavorate è dato: da un lavoro stabile, da una
vita fisica stabile, da una sessualità armonica, da una relazione affettiva stabile, amici, interessi nella vita.
Se questa persona ha minimamente una stabilità, non ci sono problemi. Nel caso di una persona che non
ha un lavoro, non ha una relazione sessuale, non ha interessi, vive da sola, ha tante angosce nelle
emozioni, non ha una stabilità; l’identità non è ben strutturata, è una persona a rischio, è una persona
fragile, per questa persona andate piano, fate il rinforzo dell’identità. Fate fare la meditazione
“vipassana”, e tutte le tecniche di “Atisha” sul cuore.
PRIMA SESSIONE DI COUNSELING
Nitamo MONTECUCCO
Nello spazio della prima sessione di lavoro sul corpo, cosa fate? In realtà lì di corpo ce n’è relativamente
poco perché chiedete alla persona di essere quasi immobile. Se si muove va in tensione, e sentirà le
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tensioni muscolari. Se voi gli chiedete di non muoversi, la persona rilassa i muscoli, non sente le tensioni
e viaggerà molto di più sul corpo di energia, o anche più profondo ancora. Quindi pian piano voi nella
tecnica avete sentito il lavoro sulla testa, sulla gola, sul torace, e già dall’inizio avete sentito dove c’è un
ostacolo. Ad esempio avete sentito che la nuca è più tesa, o che alla gola c’è un po’ di tensione, o il torace
non si espande bene, o non sentite il cuore, o le mani. Abbiamo fatto finora la parte generale.
Quando siete con la persona chiedete ogni istante un sottile feedback:
”Senti la testa? La senti? Apri la bocca, respira, passa bene l’aria? Apri le braccia, hai la sensazione di
fluidità al cuore? Percepisci il cuore, lo senti piacevole, senti un sottile piacere? Senti la pancia, il torace,
le gambe, arriva l’energia fino ai piedi?”
Devono essere piccole domande, la risposta è un sì, un no, e comunque non interrompete mai la fluidità
della meditazione. Avete già come un piccolo codice psicosomatico. Portate la persona in profondità,
dategli questo spazio di energia bellissima, e da questo spazio la fate ritornare alla fine di nuovo con una
tensione, alla consapevolezza espansa.
Avete percepito quando si apre il campo di energia? Questo uovo di energia intorno al corpo. L’avete
sentito? Se restate immobili, con il respiro, non siete contratti, il campo di energia si dilata. Tutto quello
che viene bruciato nella reazione muscolare, si allarga. Ma è reale, non è una cosa mistica, esoterica.
Registrate tutte le informazioni in cui non respira, quando è nello spazio di apertura ditegli “senti chi sei,
senti la tua energia adesso”, quando avete la percezione. Ricordate che dovete fare la meditazione insieme
a lui, sentite questa apertura incredibile e ditegli: “senti chi sei, sei energia libera, sei una coscienza
libera”. Proprio quando il nuovo dell’essere, delle energie fisiche, si immobilizza, entri nel respiro più
lento, la pancia, il corpo, l’energia comincia a dilatarsi. E lì, che perdi i confini dell’identità, sei in un
piccolo samadhi, in meditazione profonda, nel momento in cui provi l’apertura, gliela fai semplicemente
testimoniare. Sei, ma non c’è un io, c’è un essere, c’è la vita che pulsa e tu non fai niente. Pian piano da
quello spazio ritornate al corpo, gli fate sentire la presenza di tutta l’energia più compatta, gli fate sentire
tutti i punti in cui non è luminoso il corpo, dove non è fluido, dove c’è tensione, dolore, o c’è vuoto di
sensazioni, i segni inequivocabili dei blocchi, e da lì riaprite gli occhi.
La cosa importante: non fate la tecnica, entrate in meditazione. Ad esempio non fate semplicemente la
vipassana all’altro, entrateci voi. Altrimenti perdete una parte importante del lavoro. Sentite, chiudete gli
occhi, state in uno spazio di meditazione.
Nella fase iniziale ditegli: “chiudi gli occhi, senti tutto il corpo” e lì voi entrate. E se voi entrate, anche la
persona entra. E si sente in uno spazio che non conosce, voi lo conoscete, l’avete gia espanso. Continuate
a dirgli “quando senti una tensione molla” e intanto anche voi mollate. Se sentite una tensione, agli occhi,
alla mascella, un peso allo stomaco, ditelo anche a lui, succede anche a lui. Invitatelo a sentire e mollare.
Ed entrate nello spazio. Alla fine invece di fare la camminata, gli fate aprire gli occhi, gli fate ricapitolare
tutti i punti negativi. In una sessione successiva voi potete entrare con il respiro consapevole in queste
parti. Entrate energeticamente, le ascoltate, le sentite, e cercate attraverso le tecniche come kundalini, 7
suoni, di riequilibrare là dove ci sono blocchi. Se c’è una tensione muscolare potete fare un massaggio, se
è più respiratoria lo fate respirare. Se ha un buco di sensazioni, mettete le mani e lo aiutate a sentire.
Magari potete mettere le vostre mani sulle sue. Se è un eccesso di energia lo disperdete. Se non sente le
gambe gli fate fare un’ora di danza. E pian piano arriva l’esperienza emozionale di essere nelle gambe,
nei piedi, o di non esserci.
Alla persona quindi arrivano due cose: l’esperienza del proprio corpo e dei suoi blocchi eventualmente se
ci sono, e l’esperienza di un centro, di sentire il proprio corpo come energia, vivo e consapevole, il centro
della propria vita.
Da lì partiamo, perché esperienzialmente, gli fate toccare il sé, quel minimo di piacere di essere quello
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che è. E gli dite di essere nel proprio presente. “Dov’è in questo momento il problema, in questo
momento dov’è l’ossessione della mente? Quel dolore che sentivi, in questo momento c’è?” Alla fine
avete fatto la prima sessione, avete fatto la tecnica di base per invertire la domanda, la riconversione della
domanda e del problema.
Io tendenzialmente faccio un counseling sulla psicosomatica, basato sulla crescita umana.
Vi ho fatto fare due cose: una con il respiro e l’altra con la 7 suoni. Due strumenti estremamente semplici,
su cui c’è già una base di musica che vi segue, lo potete fare non ci sono controindicazioni. Il massimo
della psicosomatica è sentire il corpo e lavorare sulla fluidità, più che direttamente sul blocco. Ribadisco
un concetto fondamentale: il corpo energetico si cura attraverso il ribilanciamento, il corpo emozionale si
cura attraverso dei sistemi caotici, attraverso un lavoro di squilibrio, cioè di riequilibrio che
necessariamente passa attraverso una prima fase di squilibrio.
La psicosomatica ha due fasi. Nella prima fase noi lavoriamo sul corpo e sulle energie, attraverso il
respiro e la consapevolezza. Un lavoro orientato al riequilibrio. La seconda fase è emozionale e psichica,
è orientata al riequilibrio attraverso uno squilibrio. Nella prima fase delle energie e del corpo, se c’è una
tensione la rilassate, se c’è un pieno di energia sul cuore la disperdete, se c’è vuoto sul cuore lo riscaldate,
se c’è un muscolo flaccido lo fate tonificare. Lo ribilanciate istantaneamente. Il lavoro invece sul livello
emozionale, mentale, che è il lavoro del centro del problema psicosomatico, passa necessariamente
attraverso una fase di squilibrio. Lo squilibrio può essere leggerissimo, ad esempio chiedete alla persona
di raccontare il momento attuale che sta vivendo e solo a parlarne si mette a piangere e parla del
problema, tira fuori l’energia negativa.
Noi ora faremo un minimo di lavoro sulla prima fase, energetico- fisica, potremmo anche sentire il
problema a livello emozionale, perché può venire fuori, ma per adesso non ci lavoriamo sopra. Lavoriamo
invece sul riequilibrio delle energie, per cui diamo al blocco emozionale un contesto energetico più
ampio. In definitiva è un lavoro sul positivo.
SIMULATA DI UNA SESSIONE DI COUNSELING
Nitamo Montecucco
Nella simulazione, la donna al colloquio con Nitamo mostra una certa sicurezza, cura di sé, centratura. Ha
un carattere forte. Racconta di avere difficoltà nelle relazioni d’amore, ha accusato in diversi momenti
della vita un dolore sul cuore. Racconta di avere un problema di aritmia, ma il dolore è legato a momenti
particolari della vita. La prima volta che ha sentito il dolore aveva 24 anni, quando si è separata dal
marito per propria scelta, aveva due figli e due erano morti appena nati. Il dolore è tornato altre volte, in
situazioni particolari. Dove nasce questo dolore dei bambini persi? Riportandolo alla tabella delle 5
energie fondamentali, per una mamma, quindi il canale femminile, una perdita così è pesantissima. Il
canale di milza va in shock. Successivamente ha avuto una relazione di 12 anni, terminata con la morte
del compagno, anche suo collega nel lavoro. Tornando al dolore al cuore, lei ne parla come se fosse
fisico; in realtà emerge un cuore femminile, profondo, grande, la sensazione è che non sia indurito da
questi eventi, è sensibile ma molto protetto. Per superare questo ha dovuto dirsi “devo andare avanti, la
vita deve continuare, devo farmi forza”. Se lei ha questo buco sul cuore, è una situazione creatasi a 24
anni o è una riapertura di un vecchio blocco sul cuore? La donna racconta di aver vissuto in collegio dai
sette ai diciotto anni, i genitori si sono separati che ne aveva dieci. Dice di aver sofferto moltissimo questa
situazione, pur vivendola come una necessità e mantenendo buoni rapporti con i genitori. Crede che
questa sofferenza, pur procurandole un profondo dolore nei rapporti con gli uomini, non le ha impedito di
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avere una vita regolare. Lei esprime forti giudizi, sottolinea comunque l’amore per i genitori ed il loro
amore per lei bambina e adolescente. Ma di fatto l’hanno abbandonata, anche se lei giustifica
l’abbandono della madre come una necessità, doveva lavorare per vivere e non poteva occuparsi delle due
figlie. Lei avrebbe potuto odiare i genitori per il loro abbandono o mettere ancora più in risalto le loro
cose buone. Lei nasconde le cose negative e vede principalmente gli aspetti positivi dei genitori. Ma da
come si muove si vede una bambina che ha imparato a tirar fuori le palle e le spalle, per difendersi, per
cavarsela. Ma sotto c’è una profonda tenerezza.
Mentre lei parla osservate il corpo. Cosa vedete? Vedete una serie di cose che sono normali, per il cliente,
mentre sono indicative della persona. Osservate le mani, le spalle, il volto, il corpo. Potete già dalla
struttura del corpo ipotizzare un carattere. Guardate le gambe rispetto alla parte superiore, il torace, il
petto. Vedete inizialmente cosa mostra. Sicurezza, insicurezza. Una persona che si cura, che tiene alla
propria figura. Che è attenta oppure no. Che sa badarsi. Se ha un suo centro oppure no. Osservate
l’equilibrio tra quello che la persona mostra, quello che vedete e quello che vi racconta. Delineare la
tipologia caratteriale. Per entrare nella storia personale, della famiglia, dovete avere un minimo di
contatto con il cliente. Entrare un po’ in empatia con la persona. Definire i punti salienti, riportando l’età
dell’evento. Quando la persona accenna alla propria vita ed a voi arriva una forte emozione di qualsiasi
tipo, la vivete insieme, la confermate. Non dovete né enfatizzare l’emozione, né fare finta di niente, ci
siete. Si crea un pathos.
A questo punto avete tre domande di base: com’era l’atmosfera da bambina, che atmosfera emozionale
c’era in casa; com’era il papà; com’era la mamma. Nella storia del padre e della madre le cose
importanti sono: quanto amore è passato, quanto riconoscimento è passato, quali sono le cose negative.
Voi avete già un forte contatto, potete fermarmi qui, avete dati più che sufficienti.
Fate distendere la persona. Invitatela a mollare tutto, ad aprire la bocca e sentire il respiro. Solo a
raccontare delle cose escono delle emozioni e la persona le sta ancora sentendo. Voi percepite nettamente
che lei le sta sentendo. Il primo punto è il cuore. L’area è in linea con i capezzoli. Premete con la mano
sul cuore e chiedete se fa male. Toccate i punti psicosomatici dei polmoni, il centro dell’identità, lo
sterno. Entrateci con empatia. Sentite lo stomaco, fate il giro della pancia, ai lati. Le dite di provare a
sentire il respiro. Nel nostro caso, con buco sul cuore, c’è un cuore triste, e quindi terzo livello e gola
vanno in chiusura, perché sono le porte del cuore. Anche i due laterali delle braccia sono contratti. Sentite
le mani, possono essere fredde. Potrebbe essere l’emozione del momento, e significa che l’emozione va a
chiudere il cuore. La donna ha spalle larghe ma spalle strette per contenere il cuore, tenere le emozioni.
La invitate a sentire l’aria che entra dalla bocca, attraverso la gola, arriva al cuore. La donna sta bene ma
dentro ha un dolore. È un po’ un’incongruenza. Tiene il mento contratto, a trattenere. La donna sente un
cuore bello e grande.
Nitamo: “Dov’è questo dolore? Senti la tensione? Vai dentro questa tensione. Ti sto toccando
delicatamente per non mandarti in reazione. Cosa succede dentro? Cosa significa che questo dolore viene
dal cuore?”
Sto facendo con lei un meccanismo inverso che farei con una depressa. A parità di dolore, se fosse stata
più debole, se avesse avuto meno affetto dai genitori, se si fosse sentita meno riconosciuta, sarebbe andata
in depressione. Quindi questo dolore che lei sente poco perché ha tonificato tutta la parte yang, attiva,
bella, lo sentirebbe tantissimo. Al massimo potete fare un po’ fatica a lavorare con lei perché non molla,
lei potrebbe avere qualche difficoltà ad entrare in contatto con le emozioni, per la sua tipologia
caratteriale tenderà a sottovalutarle. Se al suo posto ci fosse una persona con gli stessi eventi di vita ma
dalla tipologia orale sarebbe già in lacrime. Lei ha una sofferenza sul cuore ma porta molto in evidenza la
parte positiva, riesce a gestire il dolore molto bene. Si è identificata con la sua parte positiva piena,
mentre un’orale depressa si identifica con la parte negativa vuota. Sentite che ha resistenza ad aprire
facilmente, però al momento riesce a tirar fuori le emozioni. Cominciate ad andare a sciogliere il cuore,
ricanalizzare, e visto che lei ha una buona energia, la invitate a tirare fuori la voce, a lasciar liberare le
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cose dure, pesanti. E si può fare solo un lavoro parziale, positivo, sui livelli energetici. In questo caso, se
volessimo fare la seconda parte del lavoro, quella sul positivo, sarebbe piuttosto facile, perché lei è
collaborativa. Se dovessimo fare il lavoro sul negativo, tipo accademia o respirazioni profonde, all’inizio
lei avrebbe più difficoltà a liberare le emozioni. Ma è più una questione di tempo e di energia, perché se
io le dico di respirare e tirare fuori l’energia, uscirebbe poca emozione, ma se mi sintonizzo con la parte
emozionale, lei allora libera. Nel lavoro con le persone forti bisogna entrare in contatto con la loro parte
debole, che loro ad ogni modo negano, minimizzano.
Le rinforzate comunque l’idea di accettarla come persona forte. Anzi può essere utile, con questa
tipologia di persone, dire che la persona veramente forte è quella che può permettersi di piangere.
Lavorate sul torace, per farla mollare. Vedrete che la persona non lascia andare volentieri. E se chiedete
come mai, vi risponde che si sente sgonfiata, senza corazza, uscirebbe troppo il suo lato tenero. Si fa un
lavoro leggero, e nel momento in cui emergono le emozioni, si lasciano, si fa accettare questo lato debole,
in modo tale che il lato forte aiuti il lato debole ad esprimersi. Così diventa più rilassato il lato forte. E
pian piano si crea un leggero equilibrio. Se una persona di questa tipologia la vedo nell’ambito di una
tecnica di psicosomatica di respirazione, vado certamente a lavorare su un’identità profonda, per quanto
riguarda il suo lato debole, fragile; ritiriamo fuori il lavoro sul bambino interiore, come si fa nella primal,
il lavoro della liberazione delle emozioni negative. E pian piano si riequilibra. Una delle cose importanti
in questo senso, che potete fare in piccola parte solo usando energie positive, è quello di farle sentire
molto l’idea di suo padre, che identifica con una persona a lei molto vicina adesso; si fa descrivere il papà
e si vedono le relazioni con gli altri uomini. Una delle cose che si può fare se si vuole lavorare
energeticamente sulle relazioni è chiedere: “qual è l’energia che tiri fuori nelle relazioni, e quale tiri fuori
di meno?” O anche chiedere: “quando i tuoi uomini si lamentano di te che cosa dicono?”
La donna risponde a Nitamo: “Gli uomini non si lamentano, le mie relazioni si esauriscono perché io
vorrei, probabilmente, ancora più amore di quello che ricevo”.
Questo è un lavoro di primal, co-dependency, ma per voi che non avete tale competenza, potete lavorare
sulla consapevolezza che lei non ha avuto tanto amore nei primi anni di vita e sente ancora di averne
molto bisogno. Questo fa sì che nella relazione questo bisogno interferisca con la realtà, per cui anche se
l’uomo l’ama molto, per lei non è mai abbastanza. Questo potrebbe essere il lavoro di Atisha, il lavoro di
accettazione, il lavoro di amore di sé stessi verso sé stessi. Lavorare energeticamente sul cuore e la
propria identità in profondità, in meditazione. Amore su di sé e accettazione del lato negativo. Quindi
entrare in contatto con ”l’ombra” detto alla yunghiana.
Se facessimo con lei il dialogo delle voci il suo “sé primario” è il sé che l’ha difesa, il “sé secondario” è
molto più vicino al suo vero sé, all’anima. Ma dato che ha una fortissima fragilità perché ha un grande
dolore intrinseco, deve essere preso con grande attenzione e molto difeso. Giustamente perché c’è un
grande dolore sotto. Voi lavorerete pian piano con la meditazione, dando sempre a lei la sensazione che
questa bambina interiore sofferente è il canale per l’anima, perché è l’anima che soffre, non è la mente,
perché lei non è vissuta con i genitori sin dai sette anni. Una grande mancanza, un profondo dolore. Una
separazione dai genitori e di loro da lei, che lei ha poi cercato di bilanciare con tre matrimoni. Una ricerca
mai finita. C’è un lato negativo che lei non esprime tanto e che pian piano deve imparare a vedere, la
forza deve aiutare la bambina interiore che soffre, con consapevolezza. E dall’altra parte c’è una grande
rabbia, che non trova sfogo.
È un lavoro bellissimo, dove non coprite realmente l’origine, non sciogliete il suo nodo, ma lo bilanciate
in parte. Ricordate che sia con l’accademia che con la primal si va a risolvere una parte, magari il 70%,
ma rimane sempre una parte che non riesce ad afferrare. Alla fine di questo passaggio, riusciamo a fare
capire che il lavoro che possiamo fare non è migliorare le situazioni esterne, ma lavorare sul suo cuore
profondo. E quindi la proposta potrebbe essere: ti faccio dei massaggi, per sciogliere un po’, andiamo ad
ascoltare questo dolore, me ne parli e lo fai emergere. Attraverso le tecniche di meditazione cercheremo
di rinforzare l’accettazione della bambina sofferente, che deve emergere, altrimenti rimarrà sempre un
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buco. Trovate la modalità per lavorare al meglio, trovando un punto in comune. Stabilite un numero di
sessioni, più una parte di lavoro che lei può fare a casa da sola. Poi dopo un ciclo di sedute e dopo il
lavoro di apertura, in base a quanto viene fuori, potete consigliare di fare gruppi o consultare un terapeuta
per lavorare in modo più specifico ad esempio sull’abbandono, sul bambino interiore. Normalmente dopo
cinque-sei sessioni dovete identificare, nel progetto di crescita, un piccolo scopo. Questo può essere: io ti
faccio queste cose con lo scopo di alleggerire almeno il 50% del dolore sul cuore (il restante 50% è
emozionale e non potete lavorarci), ti aiuto a sentire meglio il tuo corpo e a stare in uno spazio più
rilassato. Gli avete dato un centro un po’ più profondo e spostiamo un po’ l’energia sul femminile, perché
la parte femminile dà una maggiore elasticità, una poesia di vita più soddisfacente. Identificate due – tre
punti e cominciate a lavorare. Dopo cinque incontri dovete aver raggiunto questo scopo, a meno che al
primo-secondo incontro è venuto fuori qualcosa di molto forte e quindi vi concentrate soprattutto su
quell’aspetto. Quindi alla fine di questo ciclo di 5-6 sessioni, sono usciti i sogni, le emozioni, c’è stata
un’apertura ma è venuto fuori ancor più chiaramente un problema, potete chiedere se vuole stare un po’
tranquillo e riprendere in un secondo momento quando ci sarà bisogno, o continuare a fare un secondo
pezzo del lavoro. Lei ha una certa identità, ha un buon contatto con il cuore profondo, anche se non lo ha
mai sviluppato, è autentica, potete lavorare tranquilli, iniziando dalle cose recenti. Sulla carta, alla fine del
primo ciclo di sessioni, alla voce 'percorso consigliato' scriverete: cinque sessioni per aprire il cuore,
sciogliere il dolore, aprire la bambina interiore e sentire più il corpo, più rilassato.
Immaginate la differenza tra questa sessione, reale iniziale, e una sessione di training. In quest’ultimo
caso, al primo incontro, potete dire che state facendo un training, potete fare tre-cinque sessioni gratuite,
lavorando su alcune tecniche che potete far sperimentare. In questo caso potete saltare la scheda, o
scriverla successivamente. Gli chiedete un minimo, se ci sono state malattie, per inquadrarla. Ascoltate la
persona, la portate dentro, le fate fare questo processo di comprensione del lavoro interno, oppure potete
anche dire di entrare subito in questo spazio, ed entrate subito nella tecnica. La fate lavorare 30-45 minuti
sul corpo. In genere nella prima sessione parlate un po’ e le fate fare un po’ di respirazione, sentendo i
punti. Nella seconda sessione potete fare una 7 suoni o una vipassana. Per sciogliere un po’ il nodo o il
dolore.
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LE BASI DEL COUNSELING
Il counselor, il cliente e l’incontro
Kiran Lucia VIGIANI
In questa sezione approfondiremo le basi del counseling olistico utilizzando l’approccio psicosintetico.
Perché un counseling sia possibile necessitano tre elementi: il counselor, il cliente e l’incontro tra i due.
Il counseling può svolgersi in più incontri, oppure in una sola seduta, può essere fatto per una situazione
di emergenza, per esempio quando si è chiamati perché una persona vuol buttarsi giù dalla finestra.
Abbiamo quindi, un’unica possibilità. Questo fa capire quanto sia importante l’incontro: o siamo
totalmente presenti e avviene, accade qualcosa, oppure è un’occasione mancata. Riuscire a creare
l’incontro è il punto fondamentale.
Il counseling ha tre campi di azione, di investigazione, e sono:
- il counseling psicoterapico
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- il counseling esistenziale
- il counseling di crescita
I limiti etici e deontologici del counseling e la psicoterapia
Di questi tre campi sicuramente il primo è svolto da psicoterapeuti ed è un lavoro sulle patologie, psicosi
e nevrosi. A proposito sapete la differenza tra le ultime due? La psicosi è quando la patologia colpisce
l’identità, è come l’allagamento dell’Io, quando la persona non ha più il senso di sé, quando c’è un caos
totale con perdita dell’identità. La nevrosi, invece, è più in relazione della funzionalità dell’io. Credo che
tutti abbiamo le nostre nevrosi che sono in relazione all’adattamento rispetto al contingente, per cui è un
discorso legato alla funzionalità. Quindi il counseling psicoterapico si rivolge a psicosi, nevrosi,
psicosomatosi. Teniamo sempre presente che questo lavoro viene svolto dallo psicoterapeuta, oppure in
alcuni casi dallo psichiatra, mentre ci sono gli altri due campi molto interessanti – quello esistenziale e
quello di crescita - che possiamo gestire noi come counselors perché il counseling esistenziale è rivolto a
tutte le professioni di aiuto. Quindi, pensiamo quanto può diventare ampio l’ambito di applicazione. Può
essere un ambito familiare, di lavoro sulla coppia, in ambito lavorativo, oppure in gruppi con particolari
disagi o situazioni di emarginazione. Ci sono molte possibilità di usare il counseling in questo senso.
Quando il counselor si rende conto che il cliente ha bisogno di una psicoterapia deve fargli sentire che ha
bisogno di uno psicoterapeuta e indirizzarlo a lui. Ma per capire quando può restare o quando deve essere
indirizzato ad uno psicoterapeuta è fondamentale conoscere la Psicopatologia e quindi la differenza tra
una psicosi e una nevrosi. Su una nevrosi, un disagio esistenziale, possiamo lavorare come counselor,
possiamo affiancare ed integrare il lavoro di uno psicoterapeuta, ma su una psicosi dobbiamo
assolutamente aiutare la persona a trovare lo psicoterapeuta o lo psichiatra giusto per lei. E’ per questo
che il counselor dovrebbe avere una preparazione psicologica per capire quali sono i confini, perché noi
andiamo a lavorare sulle situazioni di disagio. Se una persona cerca aiuto significa che c’è un disagio
esistenziale a qualche livello, c’è uno star male, però la persona ha sempre il senso della sua identità. Se
invece arriva una persona che è totalmente fuori, che non sa più chi è, che sente le voci, è ossessionata, lì
dobbiamo immediatamente capire che ha urgente bisogno di uno psicoterapeuta o talvolta anche di uno
psichiatra. Credo che capire i confini sia molto importante.”
Bisogna essere capaci di individuare se si tratta di una persona schizofrenica, all’inizio non è facile da
definire se si presenta con la sua parte integra. Solo in seguito il suo stato emerge per il suo
atteggiamento, le sue irruenze. E’ importante cogliere dal racconto della persona se ci sono atteggiamenti
maniacali.
Per indirizzare la persona ad uno psicoterapeuta, senza che questa lo viva come un rifiuto, lo si
accompagna facendogli da supporto. Magari si telefona allo stesso terapeuta per proporgli di seguirlo
insieme, dove lui si occupa della patologia ed io come counselor faccio un lavoro di sostegno. Non
dimentichiamo che come counselor lavoriamo su tutti i piani. Se la persona che viene da me ha un disagio
fisico io devo essere in grado di valutare se devo immediatamente indirizzarla ad un medico. E sperare
che il medico sia illuminato per poter fare con lui un lavoro d’équipe. Anche se lavoriamo sul piano fisico
abbiamo bisogno di un supporto sul piano emozionale, sul piano psichico e sul piano spirituale. Non
perdiamo di vista che quelle che sono state considerate psicosi da certe scuole psicologiche altro non
erano che forme dell’anima che si esprimeva attraverso simboli, visioni, suoni o altre cose. Quindi,
dobbiamo metterci molta attenzione e molta cura per distinguere se è una psicosi o un disagio esistenziale
tra i contenuti della personalità e i contenuti dell’anima. Attenzione, perché si possono fare dei danni
gravissimi alla persona se i contenuti non provengono dalla psicosi, ma sono contenuti a carattere
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“spirituale”. E qui bisogna essere certi che lo psicoterapeuta a cui mandiamo il cliente ha una formazione
olistica, per cui sa che esiste questa valenza spirituale. Sa che può essere una manifestazione dell’anima
che ha bisogno di essere presa in considerazione e che gli manda messaggi di un certo tipo. Ecco che lo
saprà indirizzare verso un certo tipo di meditazione, verso certi percorsi e lo seguirà sul piano
emozionale. Purtroppo ci sono ancora troppo pochi operatori di questo tipo. Attenzione perché è
comunque vero anche il contrario. Noi siamo qui per questo, proprio per creare questa cultura ‘rotonda’,
olistica, essendo consapevoli che siamo dei pionieri.
Non abbiamo protocolli, non esistono, perché non sappiamo mai che cosa succede. Quando una persona
ci arriva e magari ci porta un dolore allo stomaco e un po’ di tristezza, dobbiamo essere in grado di fare
una valutazione sul piano fisico e capire se dobbiamo indirizzarla ad un medico. Bisogna capire anche
cosa c’è dietro un mal di stomaco, qual è l’emozione che sta dietro questo viscere che deve accettare tutto
quello che noi buttiamo giù compresi i “rospi”. Quindi, chiediamoci, quanto quella persona butta giù
quello che non vorrebbe. Prima del dolore fisico c’è un problema di atteggiamento, di struttura della
personalità che ha la capacità di dire no quando dovrebbe esser detto.
Quindi, vediamo come sono collegate tutte queste cose proprio per non fare danni. Facciamo anche
attenzione a non entrare in quelli che sono i deliri di onnipotenza tipo ‘io ti curerò’ oppure ‘so tutto io, per
cui non c’è bisogno della collaborazione di nessun altro.’ E’ molto, molto importante che andiamo
incontro ad una modalità di lavoro che prevede sinergie, che prevede collaborazioni con altri. Inoltre è
imprescindibile che ognuno di noi sia così onesto e abbia fatto un lavoro su se stesso da capire il suo
senso del limite, fino a che punto può accompagnare una persona e da che punto in poi chiedere il
supporto di qualcun altro. E’ una grande responsabilità che ci assumiamo.
Spesso, ci sono persone che avrebbero bisogno di uno psicoterapeuta, e non ci vanno perchè non hanno
né l’educazione, né l’attitudine per farlo e preferiscono farsi una riflessologia plantare, un massaggio o
una visita naturopatica o fanno yoga ecc.. Ed è in questo ambito che stiamo veramente cercando di creare
delle figure professionali nuove (la S.I.C.O.O.L. è un’associazione nazionale di categoria professionale
per l’ accreditamento di counselor e operatori olistici), perché insistiamo molto che questo lavoro sia
‘rotondo’ e per ‘rotondo’ intendiamo che abbia competenze in vari ambiti. Ci saranno poi le specificità
per ognuno di noi, ma fondamentalmente dobbiamo avere la visione d’insieme di chi abbiamo davanti e
fino a dove possiamo arrivare. Sta a noi capire che di fronte abbiamo un universo umano individuale, che
dobbiamo trovare la chiave d’accesso per poterci entrare in relazione, per poi accompagnarlo verso il
percorso più giusto per lui, aiutandolo così a trovare il contatto con il proprio guaritore interno. Quindi,
quando siamo entrati in questo rapporto, capiamo quanto sono fondamentali nel counseling, l’empatia e
l’incontro. Se non si crea questo non si va da nessuna parte. E’ importante creare questa comprensione e
accettazione senza nessun giudizio per poter poi indirizzare la persona a fare un certo tipo di lavoro.
Ognuno di noi utilizzerà gli strumenti che ha a sua disposizione. E poi sarà la nostra onestà intellettuale a
capire se quello che noi offriamo è sufficiente o se la persona ha bisogno di qualcos’altro, per cui la
indirizzeremo altrove. Se facciamo le cose corrette, le persone ritornano.
Dobbiamo avere la massima chiarezza che noi non curiamo nessuno, ma siamo degli aiuti, dei supporti,
per attivare il processo di trasformazione nell’altra persona.
Allora, ricapitoliamo. Diciamo che per utilità didascalica ci sono tre settori d’intervento:
1. la psicoterapia che è pertinenza degli psicologi, psicoterapeuti o psichiatri
2. il counseling esistenziale per tutti quei campi che abbiamo già visto, e
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3. il counseling di crescita.
Sviluppo delle potenzialità umane e percorso di crescita
Quest’ultimo è rivolto soprattutto allo sviluppo delle potenzialità umane. Quindi, andiamo a lavorare su
quelli che sono i nostri potenziali più che i nostri limiti. Spesso abbiamo la sensazione di trovarci di
fronte a qualcuno che vive sottodimensionato, la persona che abbiamo davanti ha un grande potenziale,
ma lo usa pochissimo. Ecco che diventa nostra responsabilità che questo essere entri in contatto con le
proprie potenzialità, che possono essere i propri punti di forza da sviluppare, e che saranno le cose che gli
daranno il senso del proprio esistere. Ma avete visto come diventano belle le persone quando trovano i
loro canali espressivi? Oppure come i blocchi energetici ed emozionali creano persone ripiegate e tristi.
E’ importante aiutarle a ritrovare quello che può essere il proprio campo espressivo. E’ come una fioritura
dell’essere. A me dà sempre una grande emozione questo. E’ importante che esista questo lavoro sulle
potenzialità umane perché aiuta a sviluppare la nostra crescita interiore.
L’obiettivo del counselor è, quindi, aiutare la persona ad entrare in contatto con quella parte di sé
superando prima dei blocchi che non permettono il contatto con queste potenzialità e poi fare sentire
queste potenzialità, sostenendola in questo cammino. E questo è molto impegnativo. Significa che il
counselor deve avere una capacità e una conoscenza molto allargata. Richiede una grandissima
preparazione altrimenti siamo miseri e tocchiamo la nostra miseria. Più siamo allargati ed inclusivi, più
ricchezza riusciamo portare anche agli altri. Ed eccoci di nuovo alla nostra responsabilità.
Sicuramente ci arriva sempre qualcuno che è in un disagio di fondo. Un disagio che può essere un
malessere diffuso, spesso senza saperne neppure le cause. Una persona che sta bene, generalmente non va
dal counselor e difficilmente ha il bisogno di cercare. Spesso i malesseri e i traumi sono come dei
detonatori che permettono di entrare nel cammino di ricerca. Per portare aiuto alle persone che si
rivolgono a noi si possono usare tutte le tecniche che esistono e ognuno di noi può essere specializzato in
alcune. Possono essere tecniche corporee, energetiche, psicologiche o di altro tipo. Dipende a che livello
andiamo a lavorare. Il counseling anzitutto abbiamo detto che è caratterizzato dal rapporto, dalla
relazione. Quindi, ritorniamo allo schema.
Prima abbiamo parlato di tre campi al quale è rivolto il counseling psicosintetico e non solo. Poi, diciamo
anche com’è la sua strutturazione, come si svolge e quali sono i punti fondamentali del counseling:
1. il Rapporto
2. le Tecniche
3. il Piano di Crescita
Il rapporto
Prima abbiamo detto che il counseling avviene quando c’è questo terzo inserimento che è l’Incontro.
Quindi: counselor-cliente-incontro.
Il Rapporto è estremamente importante in una relazione di counseling, e prima di tutto deve essere un
rapporto umano dove la comunicazione diventa fondamentale. E’ molto importante quindi prestare
attenzione alla verbalizzazione, al tipo di linguaggio che usiamo, all’intonazione della voce, alle pause
agli intercalari ecc. La comunicazione non verbale che passa attraverso gli atteggiamenti, le posture,
l’abbigliamento, la gestualità rivela già molto di una persona. Ad esempio come una persona entra nella
stanza: se entra lenta o veloce, se si guarda intorno, se è titubante, dove tiene le mani, dove ha lo sguardo,
com’è il colorito della pelle, è sudata, ha freddo, la mano è gelida o sudata o calda, come respira, che
timbro di voce usa, se tende a ripetersi molto o ha un’esposizione lineare, sono tutti elementi preziosi che
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ci raccontano molto della sua storia.
C’è ancora un altro elemento nel rapporto: la capacità di gestire l’incontro. Ci sono situazioni in cui arriva
il cliente e vuole gestire l’incontro. Pensate che la persona dal momento che arriva da voi, significa che
sta cercando un aiuto, ma è talmente tanto il disagio di sentirsi nella condizione di colui che sta cercando
aiuto che immediatamente copre il disagio attraverso la razionalità e l’attività. Arriverà molto nervosa,
cercherà di fare delle domande e di darsi delle risposte. Noi dobbiamo essere molto centrati. La posizione
del counselor è di estrema centratura. Dobbiamo capire subito dove vuole portarci l’altro e non farci
manipolare. Questo è fondamentale.
Ecco perché è importante chiedere subito alla persona perché è venuta. E’ un modo per far sì che la
persona ritorni a se stessa. Non è raro trovare persone che cercano di manipolare.
Ripetiamo dunque che nel counseling sono molto importanti il rapporto umano, il livello della
comunicazione e la capacità di gestire l’incontro.
Le tecniche
Abbiamo già detto più volte che possiamo usare moltissime tecniche, ma dobbiamo essere in grado di
capire quale tecnica usare per quella persona in quel preciso momento. Dobbiamo portarla in uno spazio
di meditazione o dobbiamo portarla in una tecnica che gli fa fare il “grounding”? Se è una persona che
tende a partire per la tangente dobbiamo prima farle fare un lavoro di “grounding” (useremo tecniche
bioenergetiche) oppure se è una persona che ha già una buona integrazione la si fa entrare in uno spazio
di meditazione che è fondamentale, perché le apriamo veramente l’accesso a uno spazio importantissimo
di silenzio, di ascolto e di collegamento con un’altra dimensione.
Come è pure importante lo stato psico-fisico della persona che ci arriva: se ha poca energia le daremo dei
consigli pertinenti e sceglieremo tecniche adeguate. Ad esempio la possiamo portare prima in uno stato di
rilassamento, farle piano piano sentire il corpo e poi iniziare con tecniche energizzanti. Se, invece,
iniziamo con tecniche catartiche troppo forti per lei, la mettiamo k.o. e invece di sostenerla la
allontaniamo, si chiude. Se sbagliamo nell’approccio otteniamo l’effetto contrario. Ci sono persone che
hanno bisogno di procedere in maniera molto lenta e molto graduale, se le proponiamo qualcosa che per
quel momento è troppo forte per loro, la persona si chiude invece di aprirsi. Inoltre, bisogna tener
presente la fase del percorso in cui si trova. Nella fase iniziale useremo certi accorgimenti che poi
lasceremo andare in una fase più avanzata del percorso.
Il piano di crescita
Il piano di crescita è il piano evolutivo, è la capacità di vedere quelle che sono le potenzialità dell’essere
umano che abbiamo davanti non solo per quello che è, ma per quello che può diventare. Questo è un
punto molto importante in tutte le correnti transpersonali e tanto più lo è nella psicosintesi proprio perchè
lavora sul potenziale umano.
Ciò implica entrare in contatto profondo con la persona, il che può non accadere la prima volta che la
vediamo, a meno che non succedano cose speciali. Solitamente nel primo incontro la persona porta i
disagi, le chiusure, i blocchi e piano piano raccontandosi scopriremo che dietro c’è una persona creativa,
che ha una potenzialità. E allora è il momento di spostare il centro d’attenzione, cioè anziché lavorare sui
disagi l’aiutiamo a rafforzare il senso di sé e la sosteniamo. Ad esempio se è una persona che dipinge,
l’aiuteremo a trovare contatto con altre persone che possono darle delle indicazioni per incrementare le
sue qualità pittoriche, che possano aiutarla ad esprimersi di più, aiutarla a portare degli elementi creativi
in quello che fa, aiutarla a far sì che nei suoi dipinti porti se stessa. Dipende da che cosa fa.
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Se fa psicodramma, la si aiuterà ad entrare in una gestalt teatrale oppure ad usare la voce e si lavorerà
insieme su questa e altro ancora. E può succedere che la persona si renda conto delle proprie capacità,
anche se non riesce ad esprimerle pienamente. Bisogna lavorare sul suo blocco (“non ce la faccio”, “non
me la sento”, “non sono capace”), lo riconosciamo, lo onoriamo e d’altra parte le facciamo vedere che c’è
dell’altro. Dobbiamo essere capaci a far sentire alla persona che sì, si trova nel tunnel, ma se guarda
avanti c’è la luce. In questi casi può aiutare molto “il Dialogo delle Voci”, perché significa far dialogare
la persona con queste parti che non è solo un dialogo verbale, ma una esperienza energetica.
Ecco, questo è un piano di crescita.
Ora prendiamo in considerazione cosa succede a livello soggettivo del counselor, cosa succede a livello
oggettivo e a livello di atteggiamento.
Nella psicosintesi, mentre noi facciamo un counseling, annotiamo su una pagina che cosa succede a me
che faccio il facilitatore (livello soggettivo): come mi sento con lo stomaco, il cuore, come reagisco a ciò
che mi dice l’altro. Sono centrata? Mi porta in una mia sub-personalità? O il suo dolore fa
immediatamente vibrare il mio? Se ciò avviene dobbiamo avere la capacità di riconoscerlo e di ritornare
al centro, altrimenti non riusciremo ad accogliere l’altro e fargli da specchio, ma entreremo nella sua
dinamica. Se rimaniamo coinvolti nel suo problema, non potremo aiutarlo. Oppure può succedere che la
persona ci porti una problematica che è anche la nostra e su cui stiamo ancora lavorando. In quel caso
dobbiamo essere onesti e dirglielo e dobbiamo indirizzarla a qualcun altro senza che lei si senta rifiutata.
Semplicemente le diciamo onestamente la verità. Non è detto che se siamo counselor, siamo persone
risolte. Ricordate, questo è un punto molto importante che vale non solo per la psicosintesi, ma per
qualsiasi tipo di counseling che noi facciamo. Dobbiamo sempre chiederci se il problema è suo o nostro.
Ecco perché le sub-personalità sono importanti, perché dobbiamo capire se facendo questo lavoro con
l’altro stiamo entrando in una nostra sub-personalità che può essere quella del salvatore o della
crocerossina oppure della vittima. A quel punto dobbiamo avere la capacità di riconoscerlo e di ritornare
al centro per poter accogliere o far da specchio alla persona che abbiamo davanti. Come’è altrettanto
importante nel fare un lavoro con gli altri l’aver risolto almeno dei buchi fondamentali su di noi come ad
esempio i buchi affettivi, o il bisogno di essere riconosciuti e così via, perché tutto ciò potrebbe portarci al
controtransfert.
Quindi, lavoriamo con gli altri essendo molto presenti e chiedendoci sempre dove siamo.
E poi è importante anche che riusciamo entrare in un’accoglienza intuitiva, perché spesso dal nostro
intuito arrivano risposte molto più fondanti e risolutive della risposte che arrivano dalla nostra mente
razionale.
Inoltre, a livello di atteggiamento, nel counseling dobbiamo sentire che l’incontro con l’altra persona è
unico e irrepetibile. Quindi, stare lì con questo atteggiamento dove sentiamo che noi siamo chiamati a
dare il meglio di noi. Come è pure importante che noi anziché continuare sempre a chiedere alla vita (più
soldi, più prestigio, più salute) entriamo in un atteggiamento dove ci chiediamo che cosa vuole la vita da
noi. E questo cambia molto la prospettiva, perché la vita vuole da noi eccellenza che significa capacità di
essere totalmente presenti e di essere al meglio di quello che noi possiamo. Questo è un valore di
atteggiamento fondamentale, perché qualunque cosa facciamo lo possiamo portare nella vita di tutti i
giorni sia che lavoriamo con un altro essere o semplicemente stiamo facendo del giardinaggio. Non
dimentichiamo mai che la vita ci chiede totalità e presenza.
All’inizio parlavo dei primi tre punti. Vediamoli come una piramide, dove ci sono il counselor e il cliente,
e l’incontro è il vertice di questo triangolo. E se noi ci incontriamo in quel punto scompare la sensazione
dell’ego, per cui viviamo veramente un incontro di anima.
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Ogni incontro è unico e irripetibile
Un altro punto importante nel valore di atteggiamento oltre che l’incontro è unico e irripetibile, è il vedere
la persona per quello che può diventare e vederla nella sua potenzialità. Solo allora l’incontro diventa un
incontro tra due anime. Questa visione del triangolo ci può veramente aiutare, perché se riusciamo a
spostarci al vertice del triangolo capiamo che non ci sono più tutti i giochi dell’ego. E poi, a livello
oggettivo, dobbiamo pensare che il cliente non è una patologia, ma è un Sé. Questo ci porta a dover
conoscere la persona che abbiamo davanti, e possiamo farlo applicando tutte le tecniche o le indagini atte
allo scopo. Possiamo iniziare, ad esempio, un’ indagine sulla sua situazione fisica: come sta, se c’è
qualcuno che la sta seguendo, se ci sono delle patologie vere e proprie, influenze genetiche e familiari, se
fa uso di medicinali ecc.. e poi spostare l’attenzione sul lavoro. Ad esempio è importante sapere se,
essendo un temperamento artistico si trova a fare un lavoro di precisione o estremamente di routine,
oppure, essendo una persona pratica, se sta facendo un lavoro manuale che lo soddisfa. Quindi, di
conseguenza ci saranno atteggiamenti emozionali diversi: ci sarà il soddisfatto e ci sarà il frustrato. Ecco
che l’indagine ci darà più elementi possibili per capire chi abbiamo davanti sia sul piano fisico che sul
piano emozionale o sul piano energetico o psichico o spirituale. L’indagine non dovrà mai essere un
interrogatorio. Dobbiamo rispettare le eventuali resistenze che una persona ha nel dirci certe cose. Noi le
possiamo già intuire, però dobbiamo rispettarle e sapere che questa acquisizione dei dati è fondamentale
in tutte le tecniche terapeutiche, non solo nella psicosintesi. Perché è importante? Perché con i dati che
abbiamo raccolto possiamo fare una valutazione, anche se non è completa, perché le vere carenze
emergono dopo, lungo il processo terapeutico vero e proprio. Per questa ragione dobbiamo essere molto
elastici nei confronti di noi stessi, e sapere che la nostra prima valutazione potrebbe essere o sbagliata o
carente, e necessitare di ulteriori dati anche perché la persona durante la terapia potrebbe cambiare
atteggiamento. Dobbiamo essere molto flessibili e accettare la mobilità del processo che ci fa cambiare
direzione o cambiare prospettive o considerazioni.
Anzi, è molto bello quando il cliente si accorge di aver cambiato il suo comportamento essendo capace di
uscire da certe coazioni a ripetere. E allora è veramente un bel passo avanti. Quindi, è molto importante la
comunicazione con l’altra persona, come è molto importante usare le parole che usa l’altra persona,
perché è un riconoscere l’altro. Se una persona sente che voi usate il suo stesso linguaggio si sentirà
certamente capita, sentirà empatia da parte vostra e si aprirà maggiormente. E’ inutile dire che la capacità
di ascolto deve essere totale e anche la capacità di creare il silenzio, perché se una persona non ha questa
capacità di silenzio, acquisito soprattutto con la meditazione, il vero ascolto sarà mancante.
Guardate che le relazioni sono essenzialmente di natura energetica, perché noi a parole possiamo dire
tanto, ma energeticamente trasmettiamo un’altra cosa. Ecco perché è estremamente importante il concetto
di congruo fra quello che è l’atteggiamento e quelle che sono le parole, oppure l’accoglienza e l’ascolto.
Non si può dire qualcosa che parte dalla mente e tutto il resto non la sostiene e quindi c’è questa
incongruenza tra quello che si dice e quello che arriva all’altra persona.
Ricordo una persona che veniva da me e portava problematiche molto forti sado-masochistiche e io
dovevo rimanere in un atteggiamento non giudicante. A volte sentendola mi sarebbe venuta voglia di
attaccarla al muro, sia come donna che come essere umano. Poter rimanere in uno spazio neutro mi ha
richiesto molta centratura e molto lavoro, ma questo ha permesso il superamento del suo atteggiamento
provocante. Ci sono veramente persone che arrivano e ci mettono alla prova, vogliono vedere qual è il
nostro limite. Quindi, anche lì dobbiamo avere la capacità di dire “no, ora basta!” oppure di accoglierle.
Dobbiamo sempre valutare il contesto. Ad esempio a volte ridere di una situazione può risultare molto
giudicante, se, invece, vogliamo usare quelle che in psicosintesi si chiamano le tecniche paradosso,
possiamo anche metterci a ridere, perché vogliamo portare all’esasperazione un atteggiamento.
Ci sono delle scuole che dicono che dobbiamo rimanere assolutamente impassibili. A me, invece, è
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successo di essermi messa a piangere con delle persone che mi hanno portato dei dolori che erano
umanamente forti e veri. Questo piangere insieme ha provocato uno sblocco incredibile, perché la persona
ha sentito l’umanità, l’empatia, la vera accoglienza. Questo ha fatto sì che cambiasse totalmente tutta la
relazione.
Ma come facciamo a dire quando si deve piangere o ridere? E’ veramente un lavoro di grande sensibilità
che possiamo fare tutti, purché lavoriamo su noi stessi. Se, però, non facciamo un lavoro su noi stessi,
come facciamo a sentire l’altro? Inoltre, ricordiamoci che la “guarigione” non dipende da nessuno, perché
è un atto sacro. E’ qualcosa di estremamente profondo e accade se noi siamo su, in quel punto al vertice
del triangolo. Questo ci fa capire che noi siamo solo uno strumento che permette all’altro di attivare il
guaritore interno e tutta questa cosa è sacra. Almeno questo è l’atteggiamento che io cerco di avere e di
passarlo all’altro. Quindi, quando entriamo in questo campo e facciamo nostra un’affermazione di questo
tipo, sappiamo che dobbiamo stare in un atteggiamento di sacralità. E sacralità non è da intendere
assolutamente in termini ecclesiastici, ma per me significa una grande accettazione di essere strumenti di
qualcosa di più grande di noi.
Abbiamo già ampiamente parlato del setting del counselor e sottolineato che la cosa principale nel
counseling è la capacità di incontrare l’altro. Se noi in una seduta non riusciamo a creare la magia
dell’incontro con l’altro, possiamo anche usare tutte le tecniche più raffinate, non accadrà nulla
dell’ordine della trasformazione. Non è ciò che faremo ma la modalità con cui lo faremo. Se non
riusciamo ad attivare quella qualità di amore e di accoglienza, la trasformazione non avviene. Lavoreremo
sulla capacità di tornare al centro, allo spazio di silenzio. Per poterlo sentire e riconoscere all’interno di
noi, per poterlo avere a disposizione per tutte quelle volte che ne abbiamo bisogno. Non è che dobbiamo
stare sempre in questo spazio di silenzio, a volte dobbiamo anche arrabbiarci, agire con modalità diverse,
però la capacità di entrare e uscire da una situazione deve essere gestita dalla nostra parte profonda, per
non rimanere identificati in uno stato e riuscire anzi a vederlo. La differenza è proprio quella di essere alla
causa degli eventi e non all’effetto. Un punto fondamentale per il counseling e per la nostra vita, è riuscire
a vivere da protagonisti, con la capacità di scegliere.
Dobbiamo fare un passo indietro. Quando noi parliamo di inconscio pensiamo immediatamente alla
mente, ma io penso che inconscio è anche come noi teniamo la schiena, l’inconscio è nella nostra pancia,
in tutti i nostri movimenti. Quindi penso sia molto importante lavorare sul corpo, per sentire che questa
consapevolezza è anche dell’ordine fisico. Importante per noi, perché il primo punto è sentire noi stessi,
solo così potremo sentire gli altri. Per poter riuscire a far percepire il corpo ad una persona che ha la
tendenza ad andare fuori, per poter aiutarlo a percepire i piedi, il proprio grounding, a farlo ritornare con
il respiro nella pancia.
Volevo ribadire il fatto che, soprattutto parlando di gruppi, quando parliamo di meditazione, la prima cosa
che è inconscia è il corpo. Perché vediamo nelle meditazioni che le persone assumono moltissime
posizioni.
Abbiamo già parlato dell’anatomia energetica che ritroviamo in certe tecniche, dove la meditazione è
anche un discorso energetico, quindi se la mia schiena è curva, storta, posso comunque meditare ma
agevolerò moltissimo il processo se assumo una posizione dritta con la schiena. Per fare questo il corpo
ha bisogno di essere preparato. Per cui anche se cerco di stare dritto ma i miei muscoli dorsali e
addominali non sono abbastanza forti, sarà uno sforzo enorme. E la mia concentrazione, anziché stare su
un mantra o sul respiro, starà sui dolori del corpo. È evidente che la schiena dritta, energeticamente, è
l’ideale per poter stare in una posizione di meditazione. Ricordando le due nadi o canali della tradizione
yogica, ida e pingala, che dal perineo salgono fino alle narici e che si intersecano lungo la colonna nei
punti in cui si formano i vortici energetici, i chakra, appare evidente come una posizione eretta della
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schiena sia funzionale nella meditazione. Quindi bisogna lavorare affinché questa posizione sia piacevole
e non generi dolori o fastidi. Per questo ora vorrei lavorare sul corpo, per sentire i radicamenti, per sentire
cosa significa conscio e inconscio nel corpo, anche per osservare la postura degli altri e dare
suggerimenti. Lavorare sul respiro che è quell’elemento che ci porta dentro. Tutte le diverse tecniche di
respiro nelle tradizioni orientali, attive e passive, che energizzano o che calmano, parlano un linguaggio
comune. La respirazione è un universo. Il respiro è l’elemento base che permette la relazione tra il mondo
esterno ed il mondo interiore. Lo strumento che ci permette di ritornare in uno spazio interno. Quando
siamo agitati, se ci fermiamo un attimo, facciamo un paio di respiri, chiudiamo gli occhi, torniamo con
l’attenzione dentro di noi, al nostro respiro, immediatamente andiamo a modificare qualcosa dentro noi.
Vorrei parlarvi e farvi provare una meditazione dei maestri himalaiani, che si basa essenzialmente sulla
recitazione di un mantra. Questo è un suono, può essere una parola, più parole, o sillabe. Può essere
legato al significato o può esser detto senza conoscere il significato. Sappiamo che il suono è vibrazione.
La vibrazione è in stretta relazione con il provocare nella mente un certo tipo di sensazione.
Faremo ora una tecnica che è l’osservazione del respiro. Il respiro è qualcosa che non può essere forzato,
perché mentre il respiro ha la capacità di andare a calmare la mente, un respiro forzato può creare un
disordine sul piano del sistema nervoso centrale. Attraverso l’osservazione del respiro, possiamo
modificarlo. Con gli occhi chiusi sentiamo l’aria che entra dalle due narici, che scende nel canale del
respiro e arriva fino giù nella parte bassa della pancia, facendola gonfiare. Espirando la pancia si contrae,
partendo dai muscoli del pavimento pelvico, l’aria torna fuori uscendo dalle narici. Il respiro deve essere
calmo, silenzioso, profondo, ritmato. Non esiste un respiro uguale a quello di un altro. Quindi dobbiamo
sentire qual è la lunghezza del nostro respiro, osservarla, e per dodici respiri proviamo a stare in questo
spazio prezioso di grande consapevolezza e osservazione del nostro respiro. Possiamo usare le nostre
falangi per tenere conto del nostro respiro. Siamo nel nostro tempio interiore. Quando abbiamo finito i
dodici respiri, non apriamo gli occhi, lasciamo il respiro senza alcun controllo. Entriamo nello spazio
della meditazione dove nella tradizione dei maestri himalaiani la focalizzazione della mente è sul mantra
legato al respiro… Inspiro con il mantra SO ed espiro con il mantra HAM. Soham (io sono quello) non è
una parola qualsiasi del vocabolario sanscrito, esso è realmente il suono del respiro
Lentamente muoviamo le mani, prendiamo tutto il tempo che ci necessita. Spesso addormentarsi è una
forma di difesa, una forma di resistenza. Ma se si fa meditazione quando si è molto stanchi può accadere.
Nella tradizione himalaiana, l’allievo rimane con il SO-HAM per un certo periodo poi passa attraverso
quella che è l’iniziazione personale.
Per precisare, di insegnanti di yoga ce ne sono tanti, di maestri ce ne sono pochissimi. Il maestro di yoga
è la persona autorizzata dalla tradizione, dal lignaggio, a fare le iniziazioni, dove per iniziazione significa
dare il proprio mantra personale. Il maestro sente in maniera intuitiva se la persona che ha davanti ha
troppo fuoco, troppa acqua, troppa stasi, se deve essere attivato, se deve essere calmato, e quindi sa che
tipo di mantra dare. Ricordiamo che il mantra è una vibrazione che va a lavorare sulla mente, per
rimanere con la mente focalizzata. I pensieri arrivano, ma invece di rincorrerli, ne prendiamo atto e li
lasciamo andare. Il mantra personale è molto potente, e deve rimanere segreto. È come mettere un seme
dentro la terra. Quindi va tenuto dentro. Il mantra personale non va detto a voce alta, è mentale.
Quello che abbiamo fatto fino a ora è la preparazione alla meditazione. Ma avete sentito cos’è lo stato
meditativo lavorando sul corpo? Io non vi ho detto di tenere gli occhi chiusi, se non all’inizio. Ma poi ho
constatato che la maggior parte di voi ha fatto tutti gli esercizi con gli occhi chiusi. Quindi significa che
era vostra esigenza lavorare sul corpo stando con quella qualità, che è molto interiorizzata. Quello che a
me interessa è di andare a destabilizzare l’idea, piuttosto ancora diffusa, che la mente e la spiritualità sono
una cosa, il corpo è un’altra.
Vi sono due vie: parti dalla mente e scendi nel corpo, oppure parti dal lavoro sul corpo per arrivare al
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lavoro sulla mente. Ma quello che è importante è l’esperienza che si vuol raggiungere. E capire che noi
possiamo far spiritualizzare la materia, o materializzare lo spirito. È importante che sperimentiamo cosa
significa questo centro di unità, dentro noi. È importante l’ascolto di una persona rimanendo su sé stessi,
nel proprio silenzio. Perché se noi siamo persi, identificati con una parte della mente, tendiamo al
giudizio, alla non accoglienza, a dare una risposta perché pensiamo di aver capito. Dobbiamo portare
l’esperienza nella vita di tutti i giorni. La sacralità delle piccole cose. Ricordiamo che qualsiasi tipo di
energia è neutra, è l’utilizzo che noi ne facciamo che cambia. Che ha una valenza positiva o negativa,
costruttiva o distruttiva.
I samskara
Sono i solchi della nostra mente, sono le abitudini mentali che si sono create, che si sono strutturate con la
nostra esistenza, sono quelle abitudini mentali che hanno un’incisione molto profonda nella nostra mente
tanto che poi diventano le abitudini, le risposte incondizionate. È l’inconscio. Possono essere inconsce o
consapevoli, ma in genere lavorano su stimolo-risposta, automatismo. Quindi andare a lavorare con le
meditazioni -ad esempio con il proprio mantra personale- significa andare a creare delle abitudini nuove
nella nostra mente, significa uscire un po’ da quello stimolo-risposta.
Thich Nhat Hanh detto Tai
Monaco vietnamita, della tradizione zen, da cui è nata la scuola del buddhismo impegnato socialmente.
Ai tempi della guerra del Vietnam ha lavorato per la pace. Per i vietchong era filoamericano, per gli
americani era vietchong. Ha lavorato per la pace come qualità della mente. Perché noi non possiamo fare
niente se dentro di noi non riconosciamo che c’è la persona che subisce un sopruso e allo stesso tempo la
persona che lo fa. Quindi fintanto che nella nostra mente ci sono i rifiuti, il rimosso di tutto quello che in
termini Yunghiani potremmo chiamare la parte ombra, non andiamo da nessuna parte, perché siamo
sempre nelle separazioni, nei giudizi. Potete vedere come gli assunti di base della nostra psicologia si
ritrovano come postulati essenziali nelle scuole di saggezza orientale. In termini cronologici ci rifacciamo
a sapienze antiche di tremila-cinquemila anni.
Per Thich Nhat Hanh, il primo assunto è il lavoro sulla consapevolezza mentale, che altro non è che la
base della vipassana, che significa visione profonda. Si tratta di una meditazione che implica uno stato di
presenza mentale, dove si parte dal corpo, sentendolo nei minimi particolari, focalizzati sulla posizione e
consapevoli del respiro, arrivando alle percezioni delle sensazioni, delle emozioni, a vedere i pensieri che
attraversano la mente, la consapevolezza estrema di tutto quello che c’è. C’è il lavoro della percezione del
corpo, del sentire il respiro, capire le sensazioni, osservare i pensieri e capire da dove arrivano e dove
vanno, per arrivare infine ad uno spazio di silenzio.
Thich Nhat Hanh insiste molto su tre punti. La consapevolezza mentale, da cui poi si arriva alla visione
profonda, per arrivare alla comprensione dell’interconnessione.
Thich Nhat Hanh suggerisce delle micropratiche per tornare continuamente ad una presenza mentale che
è fatta di piccoli gesti. Per raccordarci con le sensazioni e percezioni, per capire che portiamo un
elemento che è di frattura al meccanismo stimolo risposta. Significa rompere l’automatismo, portando
consapevolezza. Perchè la risposta parte dal centro, anziché dalla sub-personalità. Queste micropratiche
servono a sviluppare il campo di coscienza. Per portare sempre più consapevolezza a chi siamo, a come ci
comportiamo, a cosa stiamo facendo.
Ad esempio se squilla il telefono, invece di rispondere subito, di corsa, mi fermo, passo attraverso un
momento in cui mi dico sto per rispondere, facendo un respiro, cambiando così la qualità della risposta.
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La risposta non è reattiva ma consapevole. Dobbiamo essere capaci di usare l’energia giusta, congrua per
quel momento. Può essere anche tagliente, estrema, ma io, consapevolmente, scelgo che sia così. Nel
dialogo delle voci si parla di energie primarie ed energie rinnegate, ma tutte le nostre energie devono
essere onorate. La nostra aggressività non è un’energia da tenere da parte, da disonorare, da rinnegare, ma
è un’energia che dobbiamo avere a disposizione da usare quando noi decidiamo di usarla. E non deve
essere usata dall’aggressività. Ma sono io a decidere che quell’aggressività è funzionale perché
qualcos’altro succeda. Non è reattiva, ma consapevole e costruttiva.
Quindi prima diventiamo consapevoli di cosa succede, accogliamo e capiamo cosa sta succedendo; poi
tralasciando la visione superficiale (delle cose e delle persone), che fa parte della mente più superficiale,
più esterna e giudicante, entriamo in una ricerca e comprensione più profonda, entriamo in quella che è
definita visione profonda. Significa uscire dalla visione che fa subito scattare il giudizio, significa vedere
oltre. Questo ci porta immediatamente al terzo punto che è l’interconnessione. Se riusciamo a vedere più
in profondità, riusciamo a vedere che una cosa esiste perché qualcos’altro c’è. Siamo un tutt’uno. Ogni
cosa che ognuno di noi fa va ad interferire con l’esistenza di qualcos’altro.
L’USO DELLE TECNICHE DI MEDITAZIONE PER IL COUNSELING
OLISTICO
Nitamo MONTECUCCO
Abbiamo già definito il counseling olistico come una modalità di aiuto della persona che parte
essenzialmente da uno stato di presenza e quindi di consapevolezza di colui che opera; quindi
dell’operatore/counselor olistico.
Sappiamo che esiste una serie amplissima di tecniche di meditazione, che diventano un ausilio pratico,
che ci permettono di fare un lavoro professionale con le persone, se il counselor è presente e centrato,
mentre la persona non è presente. Il counselor può creare l’atmosfera, trasmettere una certa armonia,
un’apertura e un’accoglienza; ma il passo successivo, immediatamente, è quello di avere tecniche a
disposizione che possano permettere alla persona di entrare nello stesso stato di presenza o di
meditazione.
Le tecniche di meditazione
Lo yoga sutra (sutra significa discorso) di Patanjali
Lo yoga è l’arresto intenzionale delle funzioni della mente; è costituito da quattro libri.
Patangeli dice che noi siamo in uno stato di mente normale relativamente caotica proiettato verso
l’esterno e viene raffigurato spesso da una scimmia che salta da un ramo ad un altro.
I passaggi successivi sono:
concentrazione, contemplazione, meditazione (a volte lo chiama samadhi).
Per fermare la mente, una tecnica è quella della concentrazione; aiutiamo la persona che è un po’ dispersa
a focalizzare la propria coscienza, quindi l’attenzione, l’energia, la percezione su alcune cose, può essere
un punto, una fiamma, una parte del nostro corpo, oppure il centro della pancia, o possiamo creare una
concentrazione mobile che si sposta, per esempio le tecniche cinesi, che partivano da questa
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concentrazione sui canali di energia, quindi parti dal perineo, l’inizio dei canali della “kundalini” che i
cinesi lavorano nella parte posteriore yang e nella parte anteriore yin come un circolo e la concentrazione
su un punto di energia mobile armonico, ritmico e mi dà una circolarità nel corpo.
Alcune tecniche come la “Vipassana” di Birmania, partono dalla punta del naso, sentono l’aria che entra,
va alla fronte, gira nella testa, scende dal collo, va al cuore e giù alle gambe, ogni punto del corpo viene
sentito, quindi l’attenzione viene posizionata in differenti parti del corpo. Questa è una tecnica di
concentrazione e non di meditazione.
La meditazione è quando la mente si ferma.
Nella seconda parte la contemplazione, ci sono tutte quelle tecniche dove la mente si concentra nel
dilatare il tutto, per esempio nel “tantra” stare ed ascoltare tutti i suoni senza scegliere niente, oppure
restare con gli occhi aperti senza focalizzare nessuna immagine.
Per cui entri in una percezione allargata, una contemplazione che ti permette di entrare in uno stato di
coscienza globale, unitario; da lì entri nella meditazione.
Le tecniche di contemplazione sono soprattutto sensoriali, alcune tecniche tibetane, per esempio, usano le
tecniche di contemplazione per creare delle visualizzazioni tridimensionali, per esempio “i mandala”. I
monaci creano questi mandala con la sabbia colorata, la persona visualizza con la mente dell’energie,
delle emozioni, delle divinità.
Fin quando tu sei dentro al mandala, sei nel centro del mandala, sei il mandala; il mandala è la
raffigurazione del cosmo con tutte le periferie complesse, con un unico centro di coscienza.
All’inizio ti concentri su di un punto del mandala, lo visualizzi fin quando diventa stabile, pian piano poi
raffiguri tutto il mandala, ci sei dentro, c’è uno stato di contemplazione, sei a 360 gradi ed in quel
momento, entri nello spazio del silenzio e lasci qualsiasi ormeggio.
Nelle tecniche di meditazione, noi non usiamo più la mente ma esiste solo uno stato di consapevolezza
vigile. Solo lì abbiamo la percezione dell’unità.
I grandi maestri dicono che se davvero sei entrato nella meditazione, ed hai un oggetto che catalizza
negativamente la tua vita, la mente si libera di questo oggetto, il problema non c’è più.
Tutti gli stati sono fondamentali, perché non possiamo far arrivare una persona da uno stato di confusione
mentale, anche una normale confusione mentale di tutti i giorni, ad uno stato di meditazione, senza
passare tra i livelli intermedi, perché significa che l’identità non la sentiamo. Gli diamo uno spazio troppo
aperto, è come dargli una droga che gli apre le barriere e questa persona non è in grado di sostenere un
campo aperto perché non ha un centro.
Il grande maestro Krishnamurti diceva che l’identità in realtà è semplicemente la paura di abbandonarsi
all’energia oceanica del tutto; non è un laghetto tranquillo dove ci fai un bagno.
Dio non è una piccola cosa accogliente, come appunto una figura di una madonna o di un santo che ti
ama; questo è un livello animico. Il livello animico è per esempio: la tua anima muore e va dall’altra parte
e ti aiuta dall’altra parte in modo sottile. Questo è parallelo non c’è un’evoluzione, possiamo far del bene
nel corpo fisico e se muoriamo possiamo far del bene come anima; siamo degli angeli più o meno evoluti.
Non c’entra niente con il divino l’angelo, non c’entra niente con la vera spiritualità.
I mantra hanno una vibrazione, ogni ha mantra ha una funzione; si è visto però che la funzione la diamo
noi, quindi la direzione e l’intenzione sono fondamentali.
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Per esempio, i “sufi” si sono inventati gli stessi mantra o suoni, con funzioni completamente diverse.
Il passo successivo è quello di prendere una tecnica dove usiamo l’amore, dove usiamo il canto, la poesia
del cuore, con totalità e la inviamo verso l’amato.
Queste fasi intermedie ci portano molto velocemente in uno stato di contemplazione, in uno stato in cui
sentiamo tutto il corpo vibrare. Non siamo ancora alla meditazione.
La meditazione avviene da questo stato di apertura energetica, che possiamo ottenere grazie a differenti
tecniche e ad un certo momento va in profondità. Attraverso due funzioni principali: una è “Buddi” e
l’altra è “Ankara”.
Buddi è la mente superiore, non esprime parole, è una pura intuizione, quindi attraverso buddi, la mente
luminosa, noi pian piano cominciamo a sentire tutto il nostro corpo. È buddi, entriamo nel corpo di luce,
nel corpo di energia, energia consapevole. Dopo entriamo nella parte silenziosa, il vuoto, ci perdiamo,
non abbiamo più l’identità. Iniziamo il lungo cammino della meditazione.
Nella “kundalini”, nella prima fase di concentrazione energetica, senti l’energia di tutto il corpo; è a metà
tra concentrazione e contemplazione. Nella seconda fase, ancora più dilatata l’energia che si muove, e si
esprime. Poi iniziamo le due fasi di meditazioni.
Quando ti siedi, che sei in uno spazio dilatato, ricordiamo di non usare termini troppo rigidi, perché
esistono molto stati intermedi. Tu senti l’energia del corpo e alla fine non senti i confini del corpo, non ci
sei più, in quest’ultima fase, puoi andare ancora più in profondità, in un totale abbandono, dove senti il
corpo che si apre, l’energia del corpo si dilata, in profonda consapevolezza silenziosa.
E’ uguale al coma, da lì che è lo stato di vera meditazione, a volte entri nel samadhi.
Nel samadhi ti addormenti, non c’è più coscienza, rimani addormentato.
Lo stato di energia esplode in un’esperienza di unità di yoga, la liberazione dei limiti di me, in
un‘espansione di coscienza. L’espansione di coscienza non si dimentica, è come l’orgasmo, la nascita di
un bambino, o una morte.
In una mappa indiana, abbiamo i quattro stati di coscienza:
• stato di coscienza di veglia
• stato di coscienza di sogno
• stato di coscienza di sonno profondo (coma)
• stato di coscienza Turya
I maestri dicono che noi non siamo coscienti, ma sogniamo durante il giorno, per esempio sogniamo di
avere una fidanzata, di lavorare, di aver paura di qualcuno, non c’è niente di vero. Quando una persona
cade in uno stato di sogno completamente, si chiama malattia psichica, per paura dell’auto, paura
dell’ascensore, paura dei ragni.
Stiamo parlando di malattie psichiche normali, depressioni, paure; quelle gravi sono un’altra storia.
Nel caso patologico è lo stato di sogno che entra nel mondo della veglia, quindi stiamo svegli e stiamo
sognando. Nello stato spirituale lo stato di presenza consapevole della vita che entra nello stato di sogno,
quindi per esempio i sogni lucidi.
Il primo livello di consapevolezza, di spiritualità è quello di entrare nella parte del sogno dell’illusione,
positiva o negativa non importa, e svegliarsi.
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Il terzo livello spirituale, è quando scendi con la coscienza allo stato del coma, del sonno profondo senza
sogni.
Il quarto livello, Turia, i giapponesi lo chiamano Satori.
Se vi arriva una persona depressa, con il cuore oppresso, che non si sente, fatele fare la tecnica dei sette
suoni, in modo da farle sentire i propri blocchi. È utile per sentire il cuore, dare l’energia e le risorse per
andare avanti.
Se una persona è molto dinamica, ma sente pochissimo le gambe ed il bacino, potete utilizzare come
strumento per attivare l’energia la “nataraj”, un’ora di danza ad occhi chiusi; ma se la persona è realmente
bloccata non balla, non si diverte, non apre il cuore.
Se la persona è molta inibita, controllata, in questo caso utilizzate la “chakra breathing”, una sorta di sette
suoni in movimento.
La tecnica dei sette suoni
I suoni sono sempre stati usati nell’antichità per accedere alla spiritualità, metodo per fermare la mente. Il
suono è un potere che può essere usato verso noi stessi.
La tecnica dei sette suoni si basa sulla consapevolezza, facile da sperimentare, che i suoni generano
vibrazioni sul nostro corpo.
Per esempio, emettiamo un suono, e con una mano sul cuore, notiamo quale suono genera la vibrazione
del cuore. In generale, noi abbiamo delle vibrazioni basse nella parte bassa del corpo, delle vibrazioni
medie nella parte media del corpo, delle vibrazioni alte nella parte alta del corpo.
Questa tecnica è potente, semplice e non ha controindicazioni.
La salita e la discesa, dovrebbe essere fatta ogni due minuti. All’inizio sentirete poco, poi pian piano di
più. Cercate di non visualizzare niente, non immaginate niente; sentite quello che c’è. Quando focalizzo
una parte del corpo, posso osservare lo stato di quella parte del corpo, un eventuale blocco.
La tecnica consiste in sette suoni, all’inizio mettiamo le mani suoi centri di energia, sui centri del corpo.
• Primo chakra - una mano davanti e una dietro che toccano il perineo
• Secondo chakra - una mano sotto l’ombelico e l’altra sulle lombari
• Terzo chakra - una mano sullo stomaco e l’altra sul rene
• Quarto chakra - le mani sul cuore
• Quinto chakra - una mano alla gola e l’altra sulle vertebre
• Sesto chakra - le mani sulle tempie
• Settimo chakra - le mani appena appoggiate sulla testa
Nella parte ascendente stiamo circa due minuti per ogni zona, mentre la discendente è più veloce.
Le tre salite e discese del suono, servono come spazio di concentrazione, di contemplazione per
riarmonizzare le energie, e mettervi in uno spazio chiamato di meditazione.
La meditazione avviene gli ultimi quindici minuti. State in silenzio, ricordate che se vi muovete, non state
in meditazione, il corpo deve essere lasciato andare, è abbandonato.
La meditazione Chakra Breathing
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Chakra breathing significa respirazione nei chakra, il respiro dei chakra. I centri di energia sono molto
intasati, sono molto bloccati, a volte sono vuoti di energia, più spesso pieni di energia, e non si muovono
perché non c’è uno scorrimento dell’energia. Quindi bisogna creare un movimento su tutti i livelli.
La tecnica della chakra breathing è abbastanza semplice:
Primo stadio (45 minuti di musica): si resta in piedi, ad occhi chiusi, i piedi alla larghezza delle spalle, in
uno spazio dove le gambe e il bacino sono sciolti. Il movimento deve essere sincronizzato con il respiro,
le mani sempre all’altezza del chakra su cui si sta lavorando. Con la bocca aperta, inizia a respirare
rapidamente nei chakra, iniziando dal centro più basso, il primo chakra. Ogni volta che suona la
campanella, il respiro va verso l'alto, nel chakra successivo. Il respiro dovrebbe farsi più rapido e sottile
mentre muove verso l'alto attraverso ogni chakra. Il corpo è morbido e rilassato. La colonna vertebrale è
sempre fluida. Ci si può muovere, scuotersi, fare qualsiasi movimento delicato che dia supporto al
respiro. Possono uscire lacrime, rabbia, paure, si lascia uscire quello che c’è, il movimento deve
continuare. Giunto al settimo chakra, suoneranno tre campanelle. Attraverso il respiro si torna lentamente
al primo chakra attraversando tutti i sette chakra. Il ciclo si ripete tre volte.
Secondo stadio (15 minuti): il movimento si ferma, si resta (seduti o in piedi) immobili, in silenzio. Si
lascia andare il corpo, osservando qualsiasi cosa accada; il corpo è molto carico, vibra.
La meditazione Nataraj
E’ una meditazione di totale libertà, movimento puro, con una musica con diversi toni emozionali, che
permette di far un giro nelle emozioni. È danza trasformata in meditazione, ma è una tecnica meno
potente delle altre per andare in meditazione.
La nataraj è molto utile per quelle persone che non si sentono libere, che si sentono controllate e sciocche
a fare cose buffe.
La tecnica della nataraj mira a far emergere il cervello rettile, la libertà dal controllo.
Primo stadio (40 minuti di musica): danza ad occhi chiusi, come se fossi posseduto. Lasciati guidare
completamente dall'inconscio. Non controllare i movimenti, e non cercare di restare testimone di cosa
accade: lasciati dominare totalmente dalla danza.
Secondo stadio (20 minuti): la musica si ferma, con gli occhi sempre chiusi, sdraiati e lasciati andare
completamente. Resta immobile, in silenzio.
Terzo stadio (5 minuti di musica): la musica riprende, il movimento è più delicato, danza e divertiti,
celebrando.
La meditazione Vipassana
La Vipassana con il metodo Birmano è tra le meditazioni una delle più geniali, perché fa entrare nella
consapevolezza del respiro, il respiro naturale. Questa tecnica infatti non usa nessun controllo sul respiro.
Consapevolezza del respiro, significa che non alteriamo minimamente quello che stiamo facendo,
osserviamo semplicemente in modo distaccato quello che accade al nostro respiro nelle varie parti del
corpo. Se noi riusciamo a creare questa attenzione distaccata, entriamo in uno stato di coscienza
profondissimo. La meditazione Vipassana è la tecnica che forse ha portato il maggior numero di persone
all’illuminazione. Non ha nessuna controindicazione.
Nella Vipassana, che significa “osservare il respiro”, normalmente si entra nel respiro della pancia, e dalla
pancia, si sente tutto il corpo che respira. Il respiro parte dalla pancia, e questa sensazione pian piano si
dilata; in 10 o 15 minuti il respiro si rilassa, si approfondisce, l’onda del respiro si affievolisce, e noi pian
piano fermiamo la mente.
Quando la mente si ferma, noi entriamo in meditazione, sempre più in profondità.
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Questa tecnica può essere utilizzata anche nel counseling, nella forma birmana; l’inizio viene fatto in
modo progressivo.
La tecnica parte dal naso, fa il giro del corpo, fino alla pancia, prima di entrare in meditazione. Tutto
diventa vivo, tutto diventa pulsante, sottile, consapevole, e questa sensibilità, questa apertura, ti porta ad
un altro modo di sentire il tuo corpo.
Potete stare appoggiati alla parete, seduti, o in alcuni casi (soprattutto nel counseling) coricati (senza
cuscino sotto la testa), per portare il respiro in basso.
Rilassate il corpo e prima di partire sentite il vostro respiro.
Sentite il vostro corpo che respira, sentite l’aria, sentite che respirate anche attraverso i pori. Sentite il
piacere di respirare. Pian piano sentite l’aria viva dentro di voi. L’energia respira, sentite questo piacere,
l’aria che entra ed esce dalle narici; che entra più fresca ed esce più tiepida. Sentite come l’energia è viva,
come nutrimento. Ora portiamo l’attenzione alla radice del naso, alla fronte, all’interno, dove annusiamo
l’aria, e sentiamo tutta la fronte che respira, tutta la parte interna del cervello che respira. Questa energia
si espande, sentite che tutta la testa respira; con dolcezza questa energia luminosa arriva alla nuca, alla
parte posteriore della testa.
Sentite che la testa respira, si gonfia e si sgonfia. La testa si rilassa, la tensione sugli occhi, sulla mascella,
si rilassa quando respirate. Attraverso il rilassamento della bocca, sentite che si rilassa tutto il collo,
sentite la testa e la gola un’unica cosa. Vi invito a non muovervi, state rilassati.
Sentiamo il petto davanti e di dietro, tutto il torace, aprite la percezione del respiro che allarga i polmoni e
le spalle, sentite il centro del petto, il cuore, sentite il sottile piacere del cuore che respira.
Provate a lasciare andare la testa, abbandonate i muscoli delle braccia, delle mani, sentite questo respiro
che scende con naturalezza fino alle mani. Fin quando sentite proprio il cuore, le mani che respirano
insieme. Allargate questa sensazione, testa, gola, petto, braccia, respirano. Sentite l’energia, senza nessun
movimento, lasciate ogni minima tensione. Il respiro va da solo.
Cominciamo a sentire la parte bassa del torace, dal cuore arriva al diaframma, allo stomaco, e lasciate
andare qualsiasi tensione sul diaframma, sentite il flusso del respiro che scende, in modo naturale.
Scendiamo nella pancia.
Sentiamo la pancia che respira spontaneamente. Sentite cosa succede alla pancia quando non c’è nessuna
aspettativa di fare o di non fare. Sentite testa, gola, cuore, torace, pancia… sono in un flusso, non c’è
nessuna tensione muscolare che interrompe questo flusso.
Quando il respiro entra, avvertine il contatto all'inizio del condotto nasale: osservalo da quel punto. Il
respiro entra e tu lo senti entrare: osservalo. E poi accompagnalo, seguilo. Scoprirai che a un certo punto
si arresta. Si ferma da qualche parte vicino all'ombelico; per un attimo si arresta. Quindi, risale verso
l'esterno: seguilo, di nuovo percepisci il contatto del respiro che fuoriesce dal naso. Seguilo,
accompagnalo verso l'esterno: di nuovo arriverai a un punto in cui per un attimo brevissimo il respiro si
arresta. E il ciclo riprende un'altra volta. Inspirazione, pausa, espirazione, pausa. Dentro di te quella pausa
è il fenomeno più misterioso. Quando il respiro è entrato in te e si è fermato, non c'è nessun movimento.
Oppure quando il respiro esce e poi si arresta, non esiste alcun movimento. Ricorda, non lo devi arrestare
tu: si ferma da solo. Se lo interrompi volontariamente, quell'istante ti sfuggirà, perchè colui che agisce
interferirà e scomparirà il testimone. Tu non devi interferire. Non devi alterare il ritmo della respirazione,
non devi nè inalare nè esalare. Lo segui quando esce e lo segui quando entra.
Nessuna idea, nessun movimento. L’energia scende nella pancia. Dalla pancia, nella zona posteriore, nel
bacino, nella pelvi. Sentite come sta respirando il vostro corpo. Aprite la vostra sensibilità. Le gambe
respirano, lasciate andare ogni tensione delle gambe, della schiena. Fino ai piedi arriva il respiro.
Sentite questo flusso di respiro che parte dal naso…testa, nuca, collo, gola, torace, pancia, gambe, piedi.
Tutto respira. Il respiro parte dalla pancia. Lentamente cominciate a sentire tutto il corpo come una
nuvola di energia, nessun movimento, la pelle non la sentite più, cominciate ad espandere l’energia del
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respiro, tutto intorno al corpo.
Tanto più lasciate andare la testa, i muscoli, il sistema nervoso, e tanto più quel filo di respiro che avete si
espande. Tutto il corpo è un’energia fluida, completamente piacevole.
Siete totalmente rilassati ed avete una sensazione di grande presenza. In questo spazio potete stare,
cercate proprio l’immobilità. C’è solo il respiro, tutto è fermo. Il respiro va da solo. Voi non ci siete. Non
c’è una vera separazione tra voi e tutto intorno a voi. Il respiro è dentro e fuori. La vita è dentro e fuori.
Pian piano sentite quest’energia del respiro nel corpo. Lentamente sentiamo di nuovo tutto l’asse tra il
primo centro in basso della colonna vertebrale, al cuore, alla cima della testa.
In questo respiro dal basso in alto sentiamo con attenzione i punti dove interrompiamo il flusso di energia,
dove interrompiamo questo ritmo, questo respiro, dov’è che abbiamo tensione nei muscoli, nelle ossa,
quali sono le parti del corpo che sentiamo poco, o quasi non le sentiamo. Dov’è che c’è tanta energia,
pressione, formicolio, troppa pienezza. Nel nostro corpo di energia dove sono le parti più dure, o più
scure, ed altre più luminose. Più piene ed altre più dilatate.
Vipassana non è concentrazione e non si tratta di osservare il respiro per un'ora intera. Quando affiorano
pensieri, emozioni o sensazioni, oppure quando sorge in te la consapevolezza di un suono, di un odore,
dell’aria all'esterno, lascia semplicemente che la tua attenzione li segua. Qualsiasi cosa affiori può essere
osservata come una nuvola che scorre nel cielo: non ti ci devi attaccare, nè la devi respingere. Ogni volta
che puoi scegliere cosa osservare, torna alla consapevolezza del respiro. Non esiste successo, fallimento,
non c’è nulla da capire.
Respiriamo, sentiamo la fluidità del respiro, la nostra energia sana è di gran lunga più viva di quelle
piccole parti che sono tese, chiuse o meno sensibili. Sentiamo tutto il corpo fisico. Sentiamo tutto il corpo
che si stiracchia e si allunga spontaneamente. Prendiamo contatto con le nostre parti più dense del corpo.
Sentiamo bene il cuore. Sentiamo il piacere di avere il nostro corpo vivo, pulsante, sensibile e cosciente.
Sentiamo bene sul cuore, questa sensazione di esistere, “io esisto, come un’energia viva, sono un’anima”.
Lentamente saliamo con l’energia agli occhi, alla testa, apriamo lentamente gli occhi.
Gli occhi sono aperti, ma senza focalizzare nulla, siete presenti.
Vi alzate lentamente, con la stessa presenza. Trovate l’equilibrio senza tensione. Continuate a respirare
nella pancia. Camminate lentamente, con gran consapevolezza del respiro nella pancia.
Fate attenzione alla pianta del piede. Camminate fluidamente, muovete leggermente le braccia avanti e
indietro, vi aiutano a non andare a scatti. Mollate la tensione, sentite un modo di camminare leggero e in
equilibrio. Siete presenti e rilassati. Lasciatevi andare, siete molto centrati nella pancia, state giocando ad
imparare a camminare consapevolmente. Adesso senza nessuna fatica fate quello che dovete fare,
mangiate, studiate, lavorate, dormite.
La meditazione Nadabrahma
La meditazione nadabrahma è semplicissima e geniale. Nel counseling ha due effetti fortissimi: calma il
sistema nervoso-muscolare e rinforza le energie.
Primo stadio (30 minuti di musica): siedi in una posizione rilassata, con gli occhi chiusi e le labbra unite;
quindi inizia a emettere il suono "mmmmmmmmm", abbastanza forte da potere essere udito all'esterno, in
modo da creare una vibrazione in tutto il corpo.
Si utilizza un suono che non è propriamente un suono (come fare una emme a bocca chiusa) ma una
vibrazione interna (definito hamming) che viene espansa come percezione a tutto il corpo. Tutto il corpo
vibra, pregno di questo suono. Man mano, mentre vibri, entri in una ripetizione, si ferma il cervello
superiore ed entra il cervello rettile. Non c’è alcuno sforzo da fare, è un suono naturale, breve. Man mano
questo suono vi addormenta, vi calma il sistema nervoso, calma il sistema muscolare. Tonifica l’energia,
l’energia liberata dalla tensione muscolare diventa energia fluida. Normalmente nell’arco di pochi minuti,
dieci minuti al massimo, vi trovate almeno per qualche istante in uno spazio definito il flauto vuoto. Non
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siete più voi a fare il suono, il suono è entrato in automatismo, il cervello rettile lo fa andare avanti da
solo. Il suono avviene. Sarete semplici ascoltatori. Non occorre seguire alcun tipo di respirazione
particolare. Il suono, che è la forma più semplice della parola, e del pensiero, frena l’attività mentale. Non
ha alcun senso, non ha alcuna direzione, anche se “nadabrahma”, suono di brahma, suono divino, vi dà un
contesto di diffusa spiritualità. Questo spazio vuoto è il terzo livello di coscienza, il livello di sonno senza
sogni, dove c’è solo il suono. Da questo stato, che è già di profonda meditazione, a volte ci sono momenti
di apertura. Nella pratica del counseling questa tecnica è fondamentale, ma è da fare solo se la persona è
pronta. Se è tesa dovete fargli fare un lavoro sul corpo, perché le energie psicofisiche si smollino un po’,
poi potete passare alla nadabrahma se sentite che è rimasta un po’ di tensione.
Puoi anche muovere il corpo, ma lentamente e con dolcezza. Visualizza il tuo corpo come un tubo cavo
colmo solo di questo suono.
Secondo stadio (7 minuti di musica): la musica cambia e molto lentamente muovi le mani, con i palmi
rivolti verso l'alto, in un movimento circolare diretto verso l'esterno. Partendo all'altezza dell'ombelico,
entrambe le mani si muovono in avanti per poi dividersi e formare due larghi cerchi speculari, uno verso
destra e l'altro verso sinistra, per poi ritornare all'ombelico. Senti di offrire la tua energia all'esterno,
all'universo. Il movimento è dall’hara verso l’esterno. In questo spazio avviene il latihan, il movimento
va da solo, fluisce fuori dal normale controllo. Senti che l’energia va, dalla pancia all’esterno, da te
all’esistenza. È un donare molto basso, materno, femminile.
Terzo stadio (7 minuti di musica): le mani sono girate con i palmi verso il basso, il movimento è lento,
dall’esterno alla pancia, a prendere energia. Ora le mani si muoveranno verso l'ombelico per dividersi
verso l'esterno sui lati del corpo, in cerchi concentrici. Senti di portare l'energia dentro di te. Anche questo
movimento deve essere lentissimo.È una sensazione fortissima, bellissima. Quindi da dentro esce, da
fuori rientra. Se la persona è equilibrata questi movimenti sono equilibrati. Se la persona non è in
equilibrio energetico, emozionale, psicologico, una delle due fasi, dare o ricevere energia, è alterata.
Questi movimenti a volte indicano lo stato interno, quindi se vi trovate con persone per le quali non capite
bene in che spazio sono tra il prendere e il dare, la meditazione nadabrahma gli dà una consapevolezza
notevolissima, a base fisica. Dopo averla fatta con voi, può farla da sola.
È utile a chi ha forti tensioni, nervosismo. A chi è nella testa e ha bisogno di contattare il corpo, la pancia.
Quarto stadio (15 minuti ): la fase finale è in silenzio, seduti o sdraiati, immobili. Se si fa in coppia, il
momento del silenzio, si fa insieme. Ci si abbraccia e si resta abbracciati. È una tecnica che porta in
meditazione dall’inizio, si ferma il cervello, la mente. Già di partenza è una contemplazione, perché ti
invita a sentire la globalità del suono in tutto il corpo. Parte da un livello più alto rispetto alla 7 suoni.
Per contro nella 7 suoni la testa non si ferma, è ben presente in tutte le fasi. Se volete lavorare usate la 7
suoni in modo proprio, che vi fare passaggi con attenzione mentale, attiva, è una concentrazione, non una
meditazione.
La meditazione Kundalini
La meditazione kundalini è una delle invenzioni di maggior rilievo di tutta la spiritualità moderna, tra le
tecniche dinamiche è quella più usata al mondo. È una meditazione equilibrata, molto bella, creata e
realizzata da Osho per l’essere umano contemporaneo. Riassume tutta la parte di movimento energetico
sui chakra e sulla kundalini, energia primaria, tutto il lavoro della liberazione del respiro, delle energie
interne, il lavoro della presenza, del rilassamento, fino ad arrivare alla meditazione più profonda.
Nella kundalini abbiamo 4 fasi di quindici minuti ciascuna:
Primo stadio (15 minuti di musica): tenendo gli occhi chiusi rimani sciolto e lascia che tutto il tuo corpo
vibri e si scuota; avverti le energie che salgono verso l'alto, partendo dalle mani e dai piedi. Lasciati
andare in ogni parte del corpo e diventa quello scuotimento. La tecnica di scuotimento serve a mettere in
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moto l’energia del corpo con un sistema ritmico. Invece di avere un movimento dettato dalla mente, o dal
piacere del movimento, si ha un movimento di base decisamente rettile. Il movimento di gambe sale alla
pancia, a tutto il corpo, che va da solo. Le gambe si muovono, il corpo vibra e si scuote, in equilibrio,
completamente sciolto. Questo movimento possiamo tenerlo basso, sentiamo il ritmo e va l‘energia.
Oppure possiamo sentire l’energia che si muove. La ascoltiamo e la nutriamo. Noi siamo questa energia.
Il movimento è a spirale, come fosse un serpente, l’energia primordiale della vita, kundalini, viene su da
sola, dal basso verso l’alto. È un movimento che mette in moto tutte le energie del corpo, che salgono
verso l’alto, partendo dalle mani e dai piedi. Muovendo il bacino, se la nuca è sciolta va da sola.
Normalmente gli errori di questa prima fase sono: o di muoversi flettendo la schiena, andando avantidietro, tenere la parte alta del corpo rigida.
Il ritmo può essere lento o veloce. Essendo 15 minuti di movimento ripetitivo, ipnotico, il cervello non
deve assolutamente pensare a come è il movimento. Deve solo prendere un ritmo, e una volta preso, va in
automatico. Tutta l’attenzione che noi abbiamo è concentrata su quella che è l’energia interna del sistema.
Quando voi siete in questo spazio, dopo pochissimo, cominciate a sentire tutta l’energia del corpo che si
muove libera, ad onde. Avete la percezione di un corpo completamente sciolto. Questa tecnica scioglie gli
organi, scioglie le tensioni, apre fino in alto.
Se all’inizio questa fase avviene, si passa automaticamente alla seconda fase, del movimento libero.
Secondo stadio (15 minuti): la musica cambia e lascia il corpo andare. Danza con totalità come più ti
piace. Sentite eventualmente i blocchi, che la prima fase ha messo in evidenza, le leggere tensioni, o le
parti del corpo di cui non avete chiara percezione. La danza scioglierà il resto del corpo e della colonna
vertebrale, aprirà il cuore.
Terzo stadio (15 minuti): nella terza fase ci si siede o si resta in piedi, immobili. Si resta in silenzio, si
ascolta, testimoni di quanto accade dentro o fuori. Se arrivano dei pensieri, lasciate andare, ritornate a
sentire. Tutto il vostro corpo è lì, in uno stato di presenza silenziosa. Si sente tutta l’energia interna che
poco prima era in movimento dinamico; prima l’abbiamo mossa all’interno, poi espressa e fatta circolare
con la danza. La prima fase alza l’energia, la seconda mette in moto il cuore, la terza fase ti porta
all’interno, ti porta in meditazione profonda.
Quarto stadio (15 minuti): nell’ultima fase ci si corica, completamente abbandonati, immobili, supini,
lasciando libere tutte le tensioni. Si entra nello spazio più profondo della coscienza. Vicino al sonno senza
sogni. Vicino a quello spazio di vuoto, a volte vi sembra di essere coscienti o addormentati, ma siete
ancora consapevoli, entrando nella parte più profonda della meditazione. Se vengono pensieri, lasciateli
andare. Siate nel corpo, presenti, ma lasciate andare il corpo. Tutta l’energia del corpo si scioglie e dopo
pochissimo non sentite più il corpo, c’è solo uno spazio silenzioso. Grande sensazione di apertura, grande
abbandono, grande rigenerazione di energia. È come nel sonno profondo della notte, dove rigeneriamo le
forze: non c’è nessuna attività, né del pensiero, né delle emozioni, né delle sensazioni corporee. Il quarto
livello di coscienza comincia ad emergere. La parte più profonda dell’essere, sacra, comincia ad entrare,
vi dà dei flash, vi dà sensazioni profonde, silenziose, come entrare in un oceano di silenzio. Alla fine ci
sono tre gong, lentamente vi alzate, riprendete contatto.
Questa meditazione è utile per il mondo moderno, alla fine di una giornata di lavoro, si sciolgono le
tensioni e si torna al corpo, si alza il livello di consapevolezza, ci si ritrova con la mente silenziosa, le
energie riequilibrate. Praticare la kundalini ogni giorno conduce in un altro spazio. Non è un fare la
meditazione, è proprio l’energia kundalini a muoversi da sola. La tecnica reale della kundalini è lasciare
che questo movimento vada da solo. Richiede un’intensità iniziale molto decisa, per fare salire l’energia
fin sulla testa e rendere tutto il corpo vivissimo. Se viene fatta con una carica bassa il risultato è poco
soddisfacente. Se si mette tanta energia, al di là del fatto che quando si muove l’energia si avvertono tutte
le zone oscure e morte del corpo, sentirete l’onda attraversarvi. Lasciatela libera, non abbiate alcuna
paura.
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La meditazione Dinamica
La Meditazione Dinamica è la meditazione di Osho più essenziale ed è quella più conosciuta. Si compone
di cinque stadi. I primi tre devono essere praticati con totalità, in modo che nel corpo non resti alcuna
energia statica; in questo modo la mente non avrà più alcun alimento per creare pensieri, sogni e
immaginazioni. Esaurendo l'energia nell'estroversione, all'improvviso ci si ritrova dentro di sè. Il quarto
stadio è un'osservazione silenziosa, un essere testimoni. Nel quinto si celebra e si danza. Questa
meditazione va fatta al mattino presto, a stomaco vuoto.
Primo stadio (10 minuti di musica): respira in modo caotico e rapido, attraverso il naso: profondamente,
rapidamente e con intensità, senza alcun ritmo. Usa il movimento naturale del corpo per aiutare la
respirazione e portala al massimo delle tue possibilità. In questo modo distruggerai i tuoi schemi mentali
e ti preparerai a liberare le tue emozioni represse.
Secondo stadio (10 minuti di musica): sentiti ed esprimi totalmente qualsiasi cosa affiori nella tua mente e
nel corpo. Ridi, urla, piangi, salta, scuotiti, nella più assoluta follia. Usa il gibberish o muovi
semplicemente il corpo, usa qualsiasi espressione corporea o verbale, purchè non resti fermo. In questo
modo libererai il tuo organismo da ogni repressione.
Terzo stadio (10 minuti di musica): salta con le mani alzate, e urla a gran voce il mantra: "Hu! Hu! Hu!" e
stai attento a ricadere a terra sull'intera pianta del piede. Espira mentre emetti il suono, in modo tale che
tutto il respiro fuoriesca. Usa tutta la tua energia, esaurisciti totalmente. Questo mantra urlato colpirà in
profondità il centro sessuale dall'interno e l’energia fluirà verso l'alto; in questo modo, ogni cellula
diventerà più cosciente, non potrai più restare inconsapevole.
Quarto stadio (15 minuti di silenzio): fermati! Congelati esattamente là dove ti trovi, in qualsiasi
posizione tu sia. Non muoverti, non fare assolutamente nulla. In questo arresto improvviso verrai ributtato
nel centro. Diventerai un osservatore, un testimone del tuo stesso corpo e della tua mente.
Quinto stadio (15 minuti di musica): celebra e gioisci al suono della musica, danza, esprimi la tua
gratitudine al Tutto. E porta con te, per tutta la giornata, la vitalità ritrovata.
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IL PERSORSO DI CRESCITA SPIRITUALE E I DISTURBI DELL’IDENTITÀ
Il persorso di crescita e i disturbi dell’identità
Nitamo MONTECUCCO
Il lavoro del counseling olistico permette una serie vastissima di interventi che potete fare tranne nei casi
in cui sentite un Io fragile, una struttura problematica, una persona che è veramente in una situazione di
crisi di identità. Vi avevo raccontato di Jung che subì un tracollo a livello professionale, umano, di
fiducia, faceva parte di un’associazione e fu buttato fuori, per cui passò un momento di crisi di identità
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che gli fece emergere contenuti psicotici, caotici. Questo può accadere a tutte le persone. Si viene lasciati
dal partner, qualcuno che muore, il lavoro va male, un incidente grave, e tutta la struttura traballa. Alcune
persone lo vivono bene, altre vanno giù, si rompe qualche meccanismo. L’identità è un processo in gran
parte sociale, “immaginario” nel senso che noi abbiamo utilizzato l’Io della mente (l’Io o l’ego lo usiamo
come sinonimo). Quindi, l’io è una struttura familiare e sociale ovvero in quel contesto, date le vostre basi
strutturali di fondo biologiche, voi potete reagire in modo tale da strutturare un’identità che sarà il vostro
ego.
Vi do un accenno per fare chiarezza. Il bambino nasce con una sua integrità e con delle caratteristiche.
C’è quello longilineo molto di testa, c’è quello tarchiato molto di corpo, c’è quello molto aperto, c’è
quello molto delicato, c’è quello muscolare molto forte e ginnico, c’è quello un po’ pauroso o rachitico,
ecc. Queste categorie esistono in tutte le società anche in India dove hanno una regolarità di parto, di
nascita altissima. Regolarità nel senso che la struttura sociale è molto simile e livellata. Infatti si osserva
che la maggior parte delle persone sono normotipo. Ogni tanto c’è qualcuno un po’ dinoccolato, tipo
nervoso, alcuni sono un po’ tracagnotti e larghi, alcuni sono più estroversi, alcuni sono un po’ più
sensibili e introversi (sia bambini che bambine) e questa è la loro caratteristica di fondo.
Caratteristiche di costituzione e condizionamenti
Dato queste caratteristiche di fondo, nascendo in quel tipo di famiglia e società, la stessa situazione
genera delle risposte leggermente diverse. Una persona che abbia molto cuore e senta una propensione
per il cuore, gli affetti e la sensibilità, se avrà una mamma amorevole si attaccherà tantissimo, se avrà una
mamma poco amorevole si attaccherà tantissimo e sarà infelice. Se uno è molto fisico, sarà contento che
lei c’è, se la mamma gli vuole bene gli dà la carica e sarà ancor più scaltro, altrimenti sarà ugualmente
scaltro, ma più cattivo e rabbioso. Se uno è molto rigido e non sente tanto il cuore, se la mamma gli vuole
bene, sta bene, se la mamma non gli vuole così tanto bene lui più che altro ha bisogno di essere capito che
non di essere amato, perché è più aperto sulla mente che non sul cuore. Ha bisogno di una mamma che gli
spieghi, che gli permetta di capire il mondo, che gli trasmetta una saggezza. Se gli manca questo andrà un
po’ in crisi. Ad esempio se la mamma è una professoressa non tanto affettuosa, ma gli vuole bene e gli dà
ciò di cui lui ha bisogno, gli va benissimo. Se è un tipo fisico e la mamma cucina male o ha poco latte,
questo va in crisi. E’ ovvio che su questa base se c’è una mamma iperprotettiva, lui si chiude dentro nel
suo bisogno fantastico di simbiosi con la mamma e resterà per tutta la vita vicino a lei. Di solito sono una
tipologia masochista, bassa, pigra, non sono vivaci nemmeno intellettivamente. Sono come un bue o una
mucca che se li attacchi ad un carro pian piano pezzettino per pezzettino tirano, ma certamente non
possono fare i cento metri.
Il bambino fisico se è amato dalla mamma che lo lascia libero, va con le sue gambe, segue il suo bisogno
di esperienza e conoscenza; se è integro e la mamma non lo dovesse lasciare libero va lo stesso! Il
bambino meno amato, (magari più curato) e inibito invece non scappa, preferisce chiudersi dentro. Quello
di testa comincerà ad elaborare teorie per la fuga “appena ho 18 anni scappo”; quello incazzoso gestirà
l’incazzatura e fantasie di rivincita; quello orale piangerà e sarà un tenero bisognoso. Quindi, da un lato
abbiamo le patologie di base, che in medicina naturale vengono chiamate il “terreno” o la “costituzione”.
Di costituzione si ha un certo imprinting. Certamente se uno è scaltro e fisico e ha un padre che lo
picchia, una situazione molto chiusa, tutti che gli danno contro, si comprimerà e diventerà pure lui un
masochista compresso. E’ quello che poi gliela fa pagare e lo ammazza. Se è invece un’orale e subisce
una situazione di grande chiusura, diventerà pure lui masochista, si chiuderà, ma la sua struttura non sarà
mai quella di un masochista, ma dell’orale incazzato e frustrato. Ci sarà un’associazione di tipologie.
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Libertà e necessità
Io ritengo che nell’incarnazione ci sia un certo ambito di libertà (non tanto), per cui tu scegli i tuoi
genitori facendo un contratto, un’alleanza: “Io nasco con te, perché tu hai questa situazione e permetti a
me -che ho bisogno di queste situazioni- di poterle vivere.” Non è che si possa chiedere tutto. Quelli di
cuore cercano l’amore. Se dentro di te, nel tuo processo di evoluzione, tu hai il cuore molto aperto, ma
nelle tue memorie passate c’è una serie di situazioni pesanti, per esempio che tu non hai amato, per cui ti
porti dietro anche un senso di colpa o disamore, è come se tu pensassi “io, per liberarmi dalla mia
tristezza o rabbia, devo entrare con una mamma che mi faccia rivivere questo”.
Facendo un gruppo di profondità, mi sono ricordato una serie di vite passate, di cui in una mi sono visto
come una persona che ha fatto del male. Mi sono chiesto più volte nella vita perché mio padre picchiava
solo me, lasciandomi segni sul corpo. Quando, poi ho rivissuto queste vite in cui ho fatto delle cose brutte
anche uccidendo qualcuno, rivivendo la violenza di mio padre mi è uscita fuori tutta la mia vecchia
violenza. Era come se lui mi facesse da specchio alla mia vecchia violenza. E in quell’ambito di
comprensione io sono esattamente come quello che mi fa del male. Mio padre mi ha fatto del male, io ho
fatto a qualcun altro molto più male di quanto ne avessi ricevuto da mio padre. Posso perdonarmi, posso
perdonarlo, posso lasciare cadere questa cosa. Ho capito che quando qualcuno ti fa del male tu prendi la
sua energia e se non sei molto cosciente, tu diventi come loro e fai la stessa cattiveria che hai ricevuto e
diventi poi fisicamente come loro.
Lì è l’arte del distacco e dove vedi l’identità, vedi i giochi delle vite.
Quando una persona ha sofferto molto a volte non riesce a ricordarsi con chiarezza le vite passate, ma voi
potete presupporre con molta tranquillità due cose:
1.
All’inizio del processo di crescita l’arte della vicinanza e della condivisione della
sofferenza. Voi siete persone, visto che siete qui, con una strana attitudine ad essere vicini a chi
soffre, anche se è un cane. Qualsiasi essere vivente che vedete soffrire non vi è indifferente.
Quindi, è come se dentro c’è questa matrice, per cui ti senti fratello e sorella soprattutto di chi
soffre. E dato che siamo in una società molto vigliacca, dove i ricchi, i furbi e gli arroganti hanno
tanto e altri che hanno poco, pochi strumenti intellettuali, sono scemi, persone con poche doti i
primi li mettono sotto, li maltrattano, li sfruttano, li truffano. E tu senti l’importanza di questa
vicinanza che è assolutamente necessaria, perché siamo in un unico mondo e loro sono una parte
che soffre.
2.
L’immagine che voi dovete avere dell’identità è che pian piano nel tempo la persona può
comunque utilizzare la propria sofferenza anche come un processo di crescita. Fosse anche che
non c’è alcuna ragione karmica, fosse anche semplicemente che la loro madre era indegna di
essere madre e li ha mollati e abbandonati senza pensarci due volte.
La forza interiore
Ho conosciuto molte persone con esperienze infantili di brefotrofi o collegi, pur avendo entrambi i
genitori che vedevano ogni tanto. Anche queste persone sono riuscite a crescere e a superare
l’identificazione con il proprio negativo. Ovviamente, all’inizio hanno gettato tutta la loro rabbia sul
mondo intero, una reazione comprensibile dato il forte disagio infantile.
A volte una persona non trova una ragione karmica per la propria condizione e va sull’accettazione,
pensando che è un processo che si è ritrovato come prova da superare. Nel processo della crescita ogni
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esperienza della vita, anche quella senza una ragione, è una prova da superare. Il punto finale è quella
bellissima metafora della morte, disegnata dagli Egiziani, dove dopo la morte l’anima arriva al cospetto
degli dei che giudicano se l’anima andrà nel paradiso celeste o nell’inferno. Al centro c’è una bilancia e
su un piatto della bilancia c’è una piuma; l’anima mette il cuore sull’altro piatto della bilancia. E sarà il
cuore a giudicare: se il cuore è più pesante di una piuma l’anima andrà all’inferno, se il cuore è più
leggero di una piuma andrà in paradiso. Non importa che cosa sia stata la ragione, perchè non è una
questione di ragione, ma di cuore. Nella vita, ascoltando il cuore, ad un certo momento molli. Se hai
ascoltato la ragione e hai avuto dei torti, vai nella collera e il cuore vive sempre pesante e chiuso.
Quindi, aldilà di qualsiasi situazione, si può recuperare. Ho avuto come paziente un figlio di mafia, con
un padre omicida ed una madre che, ricattandolo con l’amore, lo educava alla cattiveria. Quest’uomo
aveva abbandonato la famiglia con la determinazione di liberarsi dal suo ambiente e dal suo passato,
vivere pulito con il cuore aperto e amare i suoi genitori pur sapendo che non sarebbero mai cambiati.
Questa persona riuscì ad aprire il cuore e a vivere la sua vita. Fu un grandissimo risultato.
Proviamo a capire l’identità: il bambino o la bambina nascono in un contesto, hanno alcune prerogative
fisico-psichiche (ricordiamo che le tipologie corpulente o linfatiche o nervose o biliosa hanno una psiche
diversa) e l’anima porta con sé la sua intensità. In qualsiasi monastero voi andate o vecchio o nuovo – da
Esalen a Findhorn, da Poona ad Auroville o dai cristiani a Spello – tutti i tipi di carattere hanno per
obiettivo la ricerca spirituale per il risveglio dell’anima. Quindi, tutti si rendono conto di questa
variazione di comportamenti nella loro vita e ad un certo momento c’è questo salto.
Comprendere l’identità come forza interiore e libero pensiero
L’identità -essendo una struttura che cresce e si evolve dal corpo fisico, dalla struttura psico-somatica- in
parte viene dal risveglio dell’anima (che ancora non è veramente risvegliata altrimenti non avreste più un
Io ma il Sé). È il punto d’accesso delle persone. Essendo questo il punto d’accesso delle persone voi
farete all’inizio molta fatica a riconoscere i livelli delle persone, perché tendenzialmente cercherete di
proiettare quello che voi siete, quello che è il vostro livello di coscienza, sugli altri, o una serie di
giustificazioni sugli altri. Voi potete fare anche il lavoro della percezione e aiutarvi con una serie di
semplici domande. La domanda principale è quanto questa persona sentite identificata con i suoi aspetti
psicosomatici? Con il suo corpo? Corpo inteso come bisogni, sessualità, cibo. Quanto la sentite
identificata con le sue relazioni? Quanto è identificata con le sue emozioni? (“io sono pieno di paura o
rabbia e non lo mollo”) oppure identificata con i suoi pensieri?
Quanti di voi sono stati da bambini in chiesa? Quanti hanno fatto catechismo? Quanti hanno creduto alle
fantasie religiose (inferni e paradisi, diavoli e angeli), o a fantasie comuni (Babbo Natale, la Befana) da
bambini piccoli? Che cos’è che vi ha fatto fare il salto o che vi ha fatto dubitare di quelle cose? Quanti
hanno creduto da giovani al senso del peccato? Quasi tutti.
Io ho avuto due casi di due ragazze schizofreniche. Entrambi erano alterate, perché non potevano
comprendere correttamente il limite tra vero e falso riguardo a quello che gli avevano detto i preti su
religione, sessualità, peccato, diavolo, inferno, punizioni ecc. Sicuramente quando s’incomincia a sentire
l’energia sessuale, da ragazzi, non pensi di solito: “prima lo faccio e poi mi pento”, trovando così una
mediazione. Queste due ragazze, invece, sono andate completamente fuori di sé, si sono letteralmente
“spaccate” tra la mente razionale che dice “questa è la verità” e l’esperienza istintiva che dice “io devo
farlo”. La ragione e la vita sono andate contro e loro si sono spaccate. E quando viene fuori questa forma
di sfiducia nella religione e nelle regole, quello che appare molto evidente è un momento di panico “io
sono da solo”, tradimento, pesantezza, vuoto esistenziale “ma allora di chi mi fido?” E come con la storia
di Babbo Natale e scopri che non è vero e che i genitori ti hanno mentito. La mente delle persone vuole la
verità che passa attraverso la propria esperienza. Eppure quante persone ci credono ancora.
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Uno scienziato americano che aveva studiato l’intelligenza dei topi diceva che i topi sono più intelligenti
dell’essere umano. Si rifaceva ad un semplice esperimento con un labirinto al centro del quale metteva un
pezzetto di formaggio, liberava un topino che riusciva a fare tutto il labirinto, si mangiava il formaggio e
se ne ritornava nella sua gabbietta. La cosa interessante è che se toglieva il formaggio il topo ritornava
ancora un paio di volte a cercarlo e poi non ci tornava più. Il ragionamento che lui faceva riguardante la
maggiore intelligenza dei topi rispetto agli esseri umani era che gli umani continuano ad andare ancora
nelle chiese e Gesù non c’è più da 2000 anni. Il punto è drammatico. Nelle chiese, la grande parte delle
persone non sperimenta direttamente l’esperienza dell’anima, la bellezza del divino, l’espansione della
coscienza, gli stati di estasi mistica dei santi. C’è un prete serio che dice delle cose serie, la gente con la
testa china che si pente e lui dopo la confessione li assolve, fanno una piccola penitenza – irrilevante fanno la comunione e se ne tornano a casa. L’unica cosa bella è il cantare insieme è il sentire discorsi
etici… ma è veramente troppo poco. Che nutrimento reale c’è dello spirito? Ed ecco che uno, se ha a
cuore questa dimensione spirituale, spesso diventa ateo o magari a volte trova un un buon maestro di
yoga, o un personaggio che medita o che fa una tecnica anche semplice, ma che ha una spiritualità, è
aperto, ha dei valori profondi e lui lo sente. Magari una sessione semplice, quasi banale come il reiki che
gli fa sentire più spiritualità diretta che anni di messe in chiesa.
Basta illusioni religiose: risvegliare la coscienza della realtà
Il tempo dei simboli è finito, è indifferente, non ha nessun potere. Sei tu che glielo dai se vuoi darglielo,
se no fai pure a meno del simbolo e ti tieni il potere diretto. E’ come il pendolino che non dice niente, sei
tu che dici qualcosa al pendolino. Hai bisogno di dirlo al pendolino e di leggerlo dalla tua mano con il
pendolino su un foglio. Perché non lo senti dentro di te?
Ogni religione ha i suoi simboli di amore e pace, e infieriscono le une con le altre perché i simboli sono
leggermente differenti. Se questo potere gli dà qualcosa, che se lo prendano da dentro, da Dio. Cosa
servono tutti questi santi e preti mediatori? Bisogna avere qualcuno che faccia da tramite che sia un
rabbino, un imam o un lama? Posso capire se uno riconosce in un prete, un rabbino o un imam una vera
spiritualità. E allora ti viene da chiedergli come ha fatto per sperimentare il divino? Di trasmetterti
qualche cosa.
Ricordo il periodo in cui mi ero dedicato intensamente alla meditazione. Un giorno andai determinato dal
mio maestro per chiedergli che cosa fosse Dio e se era simile all’esperienza vissuta personalmente. Alle
persone che erano davanti a me diceva: ”Essere al cospetto del maestro significa non avere più nessuna
domanda”, oppure “essere davanti al maestro vuol dire essere con il cuore aperto, non avere alcuna
domanda dentro la testa, ma essere in uno stato di presenza”. Quando venne il mio turno mi sedetti
davanti a lui, mi chiese: ”Hai qualche domanda?” E io gli risposi: ”Io non ho nessuna domanda, ma tu
sicuramente hai qualcosa da dirmi”. Prima si mise a ridere e poi è diventò molto silenzioso e mi disse:
“Apriti che te lo dico col cuore”. Mi ha messo un dito sulla fronte e sono svenuto. Ho sentito una grande
energia luminosa che mi portava via. Sentivo questo mio piccolo io che gli avrebbe voluto chiedere se
quello che io sperimentavo era Dio, mentre lui mi teneva la mano sulla fronte. Lui era in silenzio, io ero
completamente elettrico, ridevo, mi muovevo, volevo ringraziarlo e lui mi invitò semplicemente a stare
dentro. Dio non è una persona, Dio è un’esperienza diretta!
Quindi, l’ego è quello che fa le domande, costruisce strutture, vuole arrivare ad un punto. Lì, invece, non
c’era alcun punto, ma apertura, c’era l’esserci. Quando siete davanti ad una persona, invece, avete
normalmente dei livelli dove le persone credono in Babbo Natale, in Gesù Bambino, credono nella
verginità della Madonna, credono nella Torah e nei testi buddisti. La maggior parte dei testi buddisti –
almeno il 50% - sono cose completamente inventate. Buddha non ha lasciato scritto una riga e non
voleva che scrivessero una riga. Dopo la sua morte, dopo tanto tempo, quasi 500 anni, hanno scritto delle
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cose a suo nome, così come hanno fatto con Gesù. Gesù non ha scritto niente. S. Paolo è venuto molto
dopo la sua morte. Cosa ne sapeva lui di quello che aveva detto Gesù? Ma la gente ci crede. Anche la
New Age: ci sono quelli che credono in Hari Krishna, nella sua perfezione, che vive in un mondo
chiamato Krishnaloka, che è un mondo spirituale della sesta densità ecc. Alla stessa stregua delle renne
volanti di Babbo Natale o di Biancaneve.
Credere o sperimentare. Le ideologie uccidono la coscienza di sé
Mi succede a volte di spazientirmi anche con quelli della Advaita Vedanta. Conosco molti dei loro
sostenitori. La mia percezione è che sì abbiano avuto esperienza della non-dualità, come noi qui ora, solo
che non si riesce a parlare di meditazione o di apertura spirituale diversa, perché tutto deve essere
rigidamente “non-duale”. C’è sotto una filosofia molto seria, anzi seriosa, “di testa” che equivale a ciò
che ha detto Gesù, a ciò che ha detto Buddha, a ciò che ha detto Maometto. Invece, se tu dici a un grande
maestro che ciò che sta dicendo è una stupidata, lui si mette a ridere. Se invece vai a dire a un non-duale
che quello che dice è finto, si arrabbia di brutto. Se tu vai a dire ad un mussulmano che forse Maometto
non era un illuminato, ti taglia la gola. E la gente ci crede e così crede a chiunque promette benessere e
ricchezza, perché crede a Babbo Natale o ai Politici televisivi che promettono ricchezza e benessere. Su
queste basi marciano tutte le nefandezze delle “guerre preventive” o di regimi dove si applica
costantemente la pena di morte, il tutto basato su terribili menzogne o sul tornaconto economico.
Bisogna smettere di credere, di illudersi occorre risvegliare una coscienza profonda del reale e lavorare
per migliorare sé stessi e il mondo. Credere significa essenzialmente fidarsi dell’esperienza di un'altra
persona invece di attivare la propria esperienza diretta. Occorre passare dal “credere quello che mi hanno
detto” alla sicurezza di “conoscere direttamente e realmente”. Chi ci invita a credere ha realmente
sperimentato su di sé quanto ci dice, E se davvero lo ha sperimentato perché invece di invitarci a credere
non ci fa sperimentare direttamente anche a noi?
Voi vedete più del 90% delle persone che hanno le menti oscurate dalle convenzioni e dai sogni. Quindi,
nell’analisi dell’identità voi dovete essere assolutamente chiari chiedendo: ”In che cosa credi
veramente?”. Non date la vostra interpretazione. Chiedete: ”Tu credi in Dio?” “Sì”. “Ma cosa è per te la
religione? Ma tu ci credi nella tua religione o hai qualche dubbio?” “Sì” oppure “No” oppure
“Abbastanza”. E immediatamente avete la sensazione di che cos’è l’anima di quella persona. L’anima è
libertà, l’anima è verità. L’anima è bellezza. I nomi di Dio sono Satian, Shivan, Sundaram, cioè il Bene, il
Vero, il Bello. Non c’è un Dio, c’è la Bellezza dell’Esistenza. C’è la Verità dell’Esistenza. Così scoprite
quanto sono intelligenti queste persone, approcciatele, entrateci in contatto, aprite il cuore e sentite quanta
intelligenza c’è in questa persona, quanta scissione c’è tra la loro testa che dice certe cose e la loro
esperienza che sente certe cose. Quanto sono uniti? L’anima è unità, Dio è unità. Quando voi volete
sentire l’evoluzione interiore di una persona dovete vedere quanto nella sua vita questa persona è
un’unica cosa, quanto ha unificato la mente, il cuore e la sua bellezza. Piano piano sapete che potete darle
tantissimo, ma se volete aiutarla dovete darle pochissimo. Ricordate che nell’entusiasmo di dare troppo a
volte si fa l’errore di dare troppo e così si fa chiudere la persona.
Un altro errore è dare tutto in anticipo. Un bambino deve arrivare a chiedere che cos’è Dio, cos’è l’anima.
Se glielo dite voi, non funziona. I bambini vanno in chiesa a fare catechismo da piccolissimi e gli dicono
tutto quello che devono fare e pensare. Loro non l’hanno chiesto. Quindi, il bambino, crescendo, non
pensa più, perché gli è stato già detto tutto: “Tu ti sposerai vergine all’età di 18 anni con chi scegliamo
noi e sarai felice per tutta la vita. Questa è la tradizione della mia famiglia, della tua famiglia, di tutta la
nostra società. E ringrazia dio che puoi essere sposata, perché ci sono anche gli schiavi che prendono solo
bastonate. Oh, che bello. Grazie, papà!”. Così, la libertà non c’è.
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I grandi Illuminati erano dei ribelli
Al mondo ci sono persone che hanno l’anima più risvegliata degli altri e che ad un certo momento dicono;
”Ma che cosa dite?”. I grandi maestri, che erano risvegliati e si rendevano conto di questa incredibile
illusione ideologica collettiva, hanno sempre creato trambusto. Socrate ha buttato all’aria tutta la filosofia
di Atene di un periodo storico. Gesù ha buttato all’aria tutta la concezione religiosa ebraica del suo
tempo. I Sufi, gli hassidici, i grandi maestri dello Zen, i grandi maestri del buddismo. Hanno buttato
all’aria quello che c’era. Quelli sono i grandi maestri. Sono risvegliati. E non a caso molti di essi sono
stati eliminati dalla loro società: Socrate, Gesù, Pitagora, Mansur, Giordano Bruno, Osho sono solo alcuni
degli esempi più conosciuti.
C’è questa storia bellissima di un maestro Zen che sta morendo e chiama il suo discepolo illuminato e gli
dice: “Sto morendo. Prendi in mano il monastero”. E prende un libro e glielo porge: “Questo è il libro che
contiene tutte le cose più vere e più preziose. Tienilo con cura.” Il discepolo risponde: “Grazie, maestro”.
Prende il libro e lo getta nel fuoco. Il maestro esterrefatto comincia a gridare: ”Ma cosa fai?” e il
discepolo di rimando: “Ma cosa dici? Che questo libro ha dentro la saggezza dello Zen?”. Lo Zen non
viene passato attraverso le parole. Se è un libro così, io lo brucio. Lo Zen passa attraverso di me,
attraverso la mia esperienza diretta e profonda, e non attraverso le parole. Le parole sono false. E’ chiaro?
Lao Tsu non ha mai scritto niente. Il libro di Lao Tsu non l’ha scritto lui. Si racconta che un suo discepolo
ha bloccato Lao Tsu mentre andava a morire sull’Himalaya e l’ha convinto a scrivere il libro. Per me è
assolutamente falso! E’ stato il discepolo a scrivere il libro dopo la sua morte, perché se Lao Tsu lo
scopriva prima non glielo avrebbe permesso. Infatti, il discepolo ha scritto molto onestamente ciò che Lao
Tsu diceva: ”Il Tao non può essere scritto”. Una frase non può essere capita dalla mente, perché
l’esperienza del Tao accade, è quando la mente si ferma.
In questo contesto voi dovete capire il livello della persona e adattarvi umilmente al suo livello e mettervi
nei suoi panni e ricordarvi con realismo della vostra infanzia in cui credevate a Babbo Natale o che vostro
papà era il più bravo del mondo e la mamma era senza difetti. Invece, in seguito la vita porta a vedere che
tutti hanno difetti e che il mondo ha una realtà e questo è il processo di crescita, anche se a volte è un po’
doloroso. Gli ideali devono cadere, la torre di Babele deve cadere, non si arriva a Dio attraverso una torre.
La torre di Babele deve cadere altrimenti non ci si può evolvere cercando di andarci su tecnicamente.
Allora, cercate veramente di capire dov’è quella persona. Fatele tutta una serie di domande tipo “Com’è
la tua vita? Com’è il tuo lavoro? Quanto ti fidi di te? Ti piace vivere? Quanto bene vuoi al tuo uomo?
Quanto tempo stai con i tuoi figli? Queste domande semplici sono quelle con cui fare l’aggancio. A volte
attraverso il cuore a volte attraverso l’intelligenza suggerite questo processo.
Cambiare la direzione del problema
Rivediamo nuovamente questo processo che è fondamentale. La persona viene da voi, ha un cuore, ha un
centro, ma non lo conosce. Il suo desiderio è verso l’esterno. La sua direzione va verso l’esterno, perché
dice: “Io voglio risolvere questo problema. Voglio fare questo e questo, Voglio andare là. Qua non sto
bene, là starò meglio.” Voi le rispondete: “Sì, va bene. Questo è una cosa giusta. Tu hai il mal di stomaco
e vorresti risolverlo per stare bene. Ma la direzione non è la pillola. La direzione è che tu devi prendere
coscienza da dove viene il tuo mal di stomaco. Io ti faccio un trattamento, un respiro, un massaggio,
perché normalmente se uno ha il mal di stomaco può essere anche perché mangia male e ciò gli provoca
una gastrite funzionale. Ma se uno ha il mal di stomaco, il mal di cuore o è arrabbiato, o ha mal di
stomaco e mal di testa, oppure mal di stomaco e male alla nuca: significa che il cuore è chiuso, per cui si
chiude la nuca e si chiude lo stomaco e oltre a ciò se mangi male perché sei arrabbiato, ti viene il mal di
testa. Oppure ti viene perché ha bloccato l’intestino o il sesso, per cui ha le gambe morte o troppo piene di
liquidi. Allora tu gli dici: “Certo, io posso farti il massaggio, farti ballare, farti lavorare, farti aprire il
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cuore, farti lavorare anche all’esterno, ma tutto ciò non basta. Occorre che tu intervenga e lavori
all’interno scoprendo qual è il tuo vero cuore e cercare di risolvere.”
Nel primo incontro con la persona, voi passate una parte a fargli le domande che vi ho già dato, una parte
a fargli vivere nel corpo il più possibile il suo dolore, il suo risentimento o altro. Quindi la si invita a
sentire il dolore o il disagio - si impiega non più di mezz’ora - e le si chiede cosa direbbe se avesse la
persona direttamente interessata davanti a sé. La si fa immaginare di averla davanti e di dirle le parole
mai dette. Generalmente a questo punto le persone scoppiano a piangere, perché comprendono che la
persona immaginata è soltanto il riflesso di un dolore che hanno già dentro e che esce con le stesse
dinamiche. Potrebbero anche esserci delle ragioni perché tu stai male, ma queste non ci interessano. La
ragione è una cosa, il cuore è un altro. Noi non vogliamo avere ragione, vogliamo amare. Se tu vuoi avere
ragione, ti agiti e ti arrabbi. Se tu vuoi amare, apri il cuore. Se tu vuoi aprire il cuore, facciamo il respiro
nel cuore.
Visti i tempi tecnici ed economici, consiglio di fare un ciclo breve di tre o quattro sessioni e portare
comunque la persona a vivere internamente il problema – fisico/emozionale/psicologico – e cercare di
trasmettergli il senso della consapevolezza di sé. Se voi riuscite a fare in questi quattro incontri questa
breccia, riuscite a far sentire il corpo come se il tutto parte dal nucleo e lei acquista consapevolezza, in
quel momento capisce. Alla fine della sessione le si chiede: “Com’è ancora il tuo problema?” Di solito
dicono di sentire il problema molto meno. Allora, a questo punto le proponete la terza parte e le dite:
“Perché non facciamo 8, 10 sessioni e lavoriamo su quel punto che può essere anche diverso da quello
detto all’inizio e cioè il mal di stomaco. Magari è la tendenza all’arrabbiarsi spesso, oppure è la paura del
sesso o la difficoltà di comunicazione. Proviamo a lavorare sulla comunicazione piuttosto che chiedermi
di curarti il balbettio, l’asma, la bronchite o il mal di testa. Lavoriamo in apertura, facendo un piccolo
percorso dove riapriamo la tua comprensione. Se tu sei centrato, le tue energie sono più forti, puoi
risolvere più problemi, sei in grado di superare certi ostacoli.”
Le persone hanno bisogno di conferme, di sicurezze. Quello che io faccio fare spessissimo alle persone è
prendere il libro “Cyber, la visione olistica” e di guardare il capitolo sul cervello, dove si vede che il
cervello può funzionare a bassa o alta intensità. La differenza tra alta e bassa intensità è il centro, il
sentirsi uniti, un’unica cosa.
“Invece di lavorare su una cosa che ti fa male o che non funziona, perché non apri te e riprendiamo le
energie e stiamo bene? Cerca di star bene nel corpo e nelle emozioni. Riequilibriamo il tutto e poi
rientrati e usa questa nuova forza magari per superare un conflitto o un problema. Io ti do anche un’aiuto
per ritrovare il tuo centro, per far funzionare il cervello e cioè corpo/mente/emozioni insieme in modo
altamente sincronico.”
Spesso le persone anche leggendo soltanto quel capitolo capiscono, anche perché il capitolo successivo a
quello sul cervello è ‘lo sviluppo del potenziale umano’. E lì si va nella pratica.
Sappiate che il lavoro che stiamo facendo è un counseling generale. Poi sta a voi a scegliere la parte
specifica sulla crescita umana di cui vi darò dei parametri generali della crescita umana. Però, per
praticarli dovrete acquisire delle tecniche complesse anche a livello teorico il che vuol dire come
funzionano.
ooooOOOoooo
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ELEMENTI DI PSICOPATOLOGIA
ANSIA, ANGOSCIA, PAURA E PANICO
Dott. Mario BETTI
Quando si deve affrontare una situazione nuova c’è sempre un’aspettativa e un fondo di paura.
Questo sentimento è detto ANSIA. Cerchiamo di dare una prima definizione psicopatologica di ANSIA.
Che cos’è secondo voi? L’abbiamo provata tutti.
Che differenza c’è tra PAURA e ANSIA? Entrambi sono sentimenti di aspettativa verso qualcosa nel
futuro. ANSIA è un sentimento penoso, di disagio, di attesa o di aspettativa verso qualcosa di spiacevole
che potrebbe accadere. Oppure, potrebbe esserci lo stesso sentimento anche verso qualcosa di piacevole.
Nell’ANSIA c’è sempre un timore, un qualcosa che potrebbe accadere e che non si è in grado di gestire e
quindi che potrebbe far paura. In altri casi ANSIA è un sentimento spiacevole, proporzionato all’evento
che sta per accadere.
Ad esempio io posso dire: “Non so perché, ma mi sento in ansia.” In questo caso l’ANSIA è un
sentimento penoso di attesa verso qualcosa di pericoloso o minaccioso che non riesco ad individuare.
Qualche volta posso individuare, però in maniera molto generica. “Io sono in ansia per l’esame”. E’
diverso dire: “Ho paura che mi butti fuori all’esame”. In questo caso c’è la paura concreta, invece l’ansia
è più indefinita, non c’è un motivo ben preciso. La PAURA è un sentimento di preoccupazione nei
confronti di qualcosa che può essere pericoloso o minaccioso, ad esempio paura del buio. “Io sono in
ansia, perché potrebbe accadermi qualcosa”, “Io ho paura di Gianluca perché Gianluca mi picchia”.
L’ANSIA è più pervasiva, ti pervade sotto la pelle, è il sentimento primordiale. Il primo sentimento che
prova il bambino è di ansia e di paura verso un mondo che non conosce.
Possiamo dire che questi due sentimenti appartengono al filone della preoccupazione, del sentimento di
minaccia che ci pervade dal momento in cui nasciamo.
Cos’è l’ANGOSCIA? E’ molto vicina all’ansia, ma è più legata al dolore. ‘Angor’ significa ‘dolore’. Dal
termine latino ‘angor’ deriva angusto, piccolo, stretto, un senso di costrizione, un dolore costrittivo. Ci
crea un senso di affanno, di qualcosa che ci pesa dentro, sul petto o nella gola. Ad esempio quando uno ha
un’ostruzione alle coronarie si parla di ‘angina pectoris’. Si parla anche di angina come mal di gola, di
qualcosa che ti stringe alle tonsille. L’ANGOSCIA è un’oppressione che grava sul nostro corpo a livello
di torace, del collo, della cervicale, di stomaco o delle spalle. Ci fa sentire come se fossimo schiacciati,
compressi, costretti. E’ un sentimento più legato al presente, mentre l’ANSIA è più proiettata verso una
minaccia di qualcosa che sta per accadere.
L’ANGOSCIA è più legata al senso di colpa, mentre l’ANSIA è legata più alla paura di qualcosa che sta
per accadere, Certi stress ripetuti possono portare verso uno stato di alterazione cardiaca tipo extrasistole
e tachicardia, fino a creare vere e proprie disfunzioni cardiache che possono portare anche verso l’angina
pectoris o l’infarto. Non è l’ANGOSCIA in sé che genera l’angina pectoris, anzi, succede il contrario.
L’ANGOSCIA è una situazione di costrizione che dà l’impressione di essere intrappolati e di non avere
una via d’uscita.
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Passiamo ad un altro concetto, al PANICO: cos’è il PANICO? Nel PANICO troviamo una serie di aspetti
simili a quelli che abbiamo visto. Abbiamo aspetti legati all’ansia, aspetti legati alla paura, aspetti legati
all’angoscia. E’ un sentimento di terrore che pervade tutto il nostro organismo con forti ripercussioni a
livello somatico. In genere, nell’attacco di PANICO abbiamo la tachicardia (un’accelerazione dei battiti
cardiaci), abbiamo dispnea (respiro affannoso), abbiamo situazioni di freddo e di caldo, abbiamo
sudarazioni, tremore alle mani e ai piedi, possiamo avere dolori diffusi in tutto il corpo, sensazioni di
svenire o di morire, tutto un insieme di sintomi che pervadono il corpo fino a dare l’impressione di non
farcela più a stare in piedi, di crollare , di morire. E’ una sensazione estremamente spiacevole, dolorosa,
spaventosa. In genere l’ATTACCO DI PANICO è di breve durata: dura da 20 minuti a 2 ore circa,
dopodichè passa. Uno dopo l’attacco di panico si sente un po’ stanco, un po’ prostrato, però scompare. Si
può ripetere, ma ha una durata limitata. Si può avere anche la sensazione di andare fuori di testa,
d’impazzire. Gli attacchi di panico possono essere sporadici, però si parla di disturbo di attacco di panico
quando si ripetono almeno tre attacchi in tre settimane.
Negli ATTACCHI DI PANICO non ci sono fattori scatenanti endemici: uno cammina per strada e
all’improvviso gli arriva l’attacco di panico senza motivo evidente. Dei motivi profondi, inconsci ci sono.
Si verifica in concomitanza di una particolare situazione e quindi non c’è una causa apparente. In genere,
quando uno ha subito diversi attacchi di panico sviluppa una paura a uscire da casa e se esce preferirebbe
essere accompagnato, perché ha paura che gli prenda l’attacco di panico. Ha un’ANSIA anticipatoria e
quindi sviluppa quello stato mentale che si chiama AGORAFOBIA, paura degli spazi aperti, paura di
uscire da soli.
Ancora, il PANICO è una sensazione di ANGOSCIA molto forte. In genere si presenta in forma di
attacco. E possono essere gli attacchi di panico intesi come malattia che sono quelli che ho descritti, però
si può parlare di panico in senso di TERRORE collettivo che prende gruppi di persone durante un
terremoto o un incendio. Quello è comunque un PANICO reattivo di fronte ad una situazione reale, ma
accentuato dalla situazione di gruppo. Lì c’è un fattore di induzione di gruppo che è importante. Voi
sapete com’è fare le meditazioni in gruppo o dei lavori in gruppo accentua certi lavori sulle emozioni nel
buono e nel cattivo. Se c’è una paura di un gruppo di persone è come se fosse un contagio reciproco che
aumenta la paura a livelli parossistici.
Ora cerchiamo di collegare un po’ insieme questi concetti di cui abbiamo parlato: finora abbiamo parlato
di ANSIA, di PAURA, di ANGOSCIA e di ATTACCHI DI PANICO. Cerchiamo di chiarire ancora
meglio questi quattro concetti, perché poi ci aiuteranno a chiarire tante altre cose.
Abbiamo parlato di sintomi che sono ANSIA, ANGOSCIA, PANICO che è il filone della PAURA.
Quando si manifestano, possiamo avere delle vere e proprie malattie che si manifestano attraverso questi
sintomi. Per esempio possiamo avere quella che una volta veniva chiamata NEVROSI d’ANSIA. Oggi il
concetto di nevrosi è superato e si preferisce definire DISTURBO d’ANSIA. Nel disturbo d’ansia c’è uno
stato di ansia piuttosto intenso e continuo con assillanti preoccupazioni più immotivate ed esagerate.
L’ansia poi è pervasiva, pervade tutto il corpo, è generalizzata, uno non è in ansia solo in una particolare
situazione, uno se la porta sempre dietro. Quindi, questo e il DISTURBO d’ANSIA generalizzata o
NEVROSI d’ANSIA.
Poi possiamo avere un altro tipo di disturbo che è il disturbo da ATTACCHI di PANICO che una volta si
chiamava NEVROSI d’ANSIA ACUTA. Però questo disturbo da ATTACCHI di PANICO si manifesta
attraverso episodi di breve durata, al massimo due ore. E’ diverso dalla NEVROSI d’ANSIA che è
caratterizzata da un’ansia intensa e protratta nel tempo, sempre presente e fluttuante come le onde del
mare ed è sempre più o meno presente. Questi sono sintomi di vere e proprie malattie. Si trovano qui, ma
si possono trovare in tante altre situazioni. Ma ritorniamo alla PAURA.
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Qual è la PAURA primordiale, la più forte, una paura esistenziale, un po’ più intellettualizzata. La
PAURA del cambiamento, dell’ignoto, la paura del dolore. Pensate al bambino quando nasce, deve
passare attraverso il canale del parto senza sapere cosa succede, è spinto suo malgrado. Nel momento
della nascita la luce lo invade, il respiro va in apnea, appena tagliano il cordone ombelicale sente di
soffocare. Alla nascita i polmoni sono collassati, sono come due sacchetti vuoti senza aria che lui deve
provare a dilatare a vuoto spinto, per cui ci vuole una forza enorme. Quindi, avendo i polmoni contratti il
bambino si sente morire. Questa è la nascita: il bambino nasce con la sensazione di morire. E’ la
disperazione legata a questa sensazione di morire che crea questo sforzo enorme per cui a un certo punto i
polmoni si aprono.
Anche se oggi stanno più attenti, con la scuola di Leboyer, il bambino vive l’esperienza di disperazione
perché si sente morire soffocato. E’ ineludibile. Quindi, quel momento di sofferenza c’è anche se
prendono tutti gli accorgimenti in un contesto più ovattato e accogliente possibile. E’ la prima esperienza
d’ANGOSCIA attraverso la quale siamo passati tutti. Perché è collegata con un senso di costrizione?
Perché l’ha conosciuto al momento della nascita nell’attraversare il canale del parto. Anche se nasce con
il parto cesareo è lo stesso. Chi nasce poi con il cordone ombelicale attorno al collo che lo strozza ha
un’ANGOSCIA in più, ma che comunque non è così intensa come la mancanza di respiro dei polmoni.
Un po’ d’angoscia e un po’ d’ansia c’è sempre: provate solo ad andare un minuto sott’acqua dove non
potete respirare e già vi sentite morire. Questo aiuta ad entrare in empatia con chi soffre di questi disturbi.
Noi fondamentalmente siamo animali strutturati per vivere in un mondo naturale con tutto il bello e il
brutto che c’è. Quindi, dobbiamo pensare a noi come a degli animali selvaggi della preistoria che si
trovano di fronte a un pericolo. Proviamo a pensarci come una gazzella o un agnello e arriva un pericolo:
una belva feroce ci minaccia. Ognuno di noi provi a sentire qual è la prima cosa che prova. Chi prova
l’impulso di scappare, chi ha una sensazione di paralisi, a chi si accelerano i battiti cardiaci, chi sente
l’impulso di attaccare, chi ha un respiro affannoso, chi sente una contrattura o colica, chi ha il rilascio
degli sfinteri, chi ha tremore, ecc.
Vediamo di capire cosa succede di fronte ad un pericolo di un animale minacciato da un altro animale.
Immaginate che in questo preciso momento entrino improvvisamente nella stanza dei terroristi con il
mitra e vi minacciano. Il fatto stesso che sono armati è lo stesso discorso dell’animale chè è attaccato da
un animale più forte. La situazione è uguale anche in caso di terremoto.
Ci sono tre tipi di risposta prevalenti a seconda del carattere: la fuga, l’attacco, la paralisi.
C’è chi istintivamente tende a scappare, e la fuga è legata ad un’emozione particolare che è la PAURA.
C’è chi reagisce con il contrattacco, una risposta che è collegata all’emozione della RABBIA. Due
reazioni fondamentali che richiedono entrambi una grossa attivazione energetica. Cosa succede, invece,
quando avviene la paralisi? È un blocco, dettata da un primo impulso dove non c’è ragionamento. Dopo
ci può essere un’elaborazione e arriva il pensiero di dove nascondersi, come muoversi o altro, ma questo
avviene dopo il primo impulso istintivo di freezing. In genere chi è portato più istintivamente a bloccarsi
poi è portato a fare una strategia per nascondersi; chi è più portato a fuggire elabora strategie per cercare
un rifugio lontano. Ognuno ha il suo stile, però in genere in una situazione di pericolo ci sono le tre
reazioni istintive: o l’attacco o la fuga o la paralisi. Inoltre c’è un altro risvolto che è quello della pazzia
che ti permette di affrontare situazioni che se no con il ragionamento non ce la faresti ad affrontare. E’
importante questo. Nella azzia ci sono strategie di sopravvivenza che escono al di fuori del ragionamento
della logica comune. Ci può essere una strategia differita, tipica umana dove interviene il ragionamento e
uno gestisce la propria emozione, gestisce il proprio impulso e dice: “Qual è la strategia migliore per
sopravvivere?” Questa è presente anche nel regno animale, ma rientra nei conflitti rituali della stessa
specie. Lo affronteremo più tardi, perché ora siamo ancora all’animale aggredito che è la base, è il I°
chakra il terrore della sopravvivenza. Poi, dal I° chakra si passa al III° come momento di reazione.
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Quindi, la prima reazione potrebbe essere anche un urlo. Alla base uno urla e assume un significato di
fuga, oppure uno urla per spaventare l’altro. L’urlo ha anche un altro significato: dell’ animale del branco
che avverte gli altri del pericolo: può essere un urlo “scappiamo” oppure un urlo “diamogli addosso”.
Giocano pur sempre l’istinto di attacco o di fuga.
Ripartiamo dal nostro animale che viene aggredito dall’animale più feroce, per cui scappa o contrattacca
oppure se non ce la fa a scappare o contrattaccare cade come morto e rimane bloccato per terra : è la
paralisi del corpo. Questo comporta in natura un fenomeno sorprendente che spesso la belva predatrice di
fronte all’altro animale che è giù come morto se ne può anche andare senza aggredirlo. Ecco che la
paralisi del corpo diventa una strategia di salvezza. Nell’essere umano c’è una dissociazione. Uno che si
blocca non viene notato come uno che scappa, si mimetizza meglio.
Allora rivediamo cosa succede di fronte al pericolo per la vita?
Il primo tipo di reazione è ATTACCO o FUGA, dove l’organismo deve essere messo bene in funzione,
l’energia deve essere attivata. Viene attivato quel sistema nervoso periferico che va sotto il nome di
sistema nervoso simpatico. Quindi, la reazione di attacco o fuga comporta una attivazione del sistema
nervoso simpatico: aumento di battito cardiaco, aumento di respiro, aumento dell’irrorazione dei muscoli.
Nella PARALISI e nel CROLLO succede tutto il contrario: il respiro diminuisce, i muscoli perdono
tensione, c’è un rilasciamento degli sfinteri (c’è spesso perdita di urina e feci), legato alla reazione del
sistema parasimpatico. Nell’ATTACCO di PANICO cosa succede? Vengono attivati tutt’e due i sistemi:
il simpatico e il parasimpatico. Da una parte uno si mette nella condizione di attaccare e fuggire e
dall’altra parte come se crollasse morto. Ecco che vengono fuori tutta una serie di sintomi confusi: respiro
affannoso anche se si ha l’idea di non poter respirare, tachicardia (attivazione del simpatico), la
sensazione di svenire, di perdere forza nelle gambe (attivazione del parasimpatico), le sensazioni di caldo
(attivazione del parasimpatico) e di freddo (per attivazione del simpatico). Sono attivati entrambi i sistemi
e nello stesso tempo uno è come paralizzato, come se dovesse scappare o contrattaccare. I muscoli sono
irrigiditi, ma nello stesso tempo hanno come degli scatti per fuggire o per contrattaccare. Quindi,
l’ATTACCO di PANICO non è altro che: di fronte a un pericolo terribile scatta l’attivazione
inconsapevole dei meccanismi di difesa. E’ chiaro che il pericolo in questo caso non è una minaccia
esterna, ma una minaccia interiore. Così come nell’ansia di tutti i giorni sono tutte ansie interiorizzate.
Cosa succede, invece, in un’altra situazione – anche questa animale, ma da animale da branco – quando
c’è la competizione per la supremazia? E’ tipica la lotta fra i due maschi che si contendono il primato del
gruppo, il diritto di accoppiarsi con le femmine. Il combattimento rituale non ha mai l’intenzione di
distruggere l’avversario. Tutt’al più lo atterra e gli procura delle ferite. I due combattono, fanno tutta una
serie di movimenti istintivi ritualizzati, per cui ad un certo punto uno impone la sua supremazia e l’altro si
arrende. Dopo, quello che si è arreso si è sottomesso al vincitore, al capo. Ci sono due sistemi di resa, per
esempio uno è offrire il collo che è la parte vitale, dove le belve tendono ad afferrarlo con il morso e
tranciando la carotide uccidono l’avversario.
Tra gli umani quasi tutti i comportamenti sono dei rituali.
Ho introdotto il combattimento rituale per il rituale di resa. Cosa comporta il rituale di resa? Che
sensazione comporta? Provate a pensare quando sfidate una persona nello sport, nell’ambito di lavoro,
all’uomo amato per la rivale, che sensazione avete? Rabbia trattenuta, senso d’impotenza, frustrazione.
Pensate, voi avete fatto un rituale dove era in gioco il vostro potere, il vostro prestigio, il vs. senso di
dignità di fronte al gruppo e siete stati sconfitti e il gruppo vi rifiuta. Provate un sentimento di
VERGOGNA. Questo è un’altro sintomo psicopatologico fondamentale importante che si ritrova in tante
patologie ed è legato a qualcosa del presente: al sentirsi il biasimo e il disprezzo di tutto il gruppo, perché
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siete stati sconfitti e sottomessi. Il senso di abbandono, il senso d’inferiorità sono legati a questo. Il
sentimento di VERGOGNA è il narcisismo ferito. Non a caso il narcisismo è legato al chakra del collo,
V° chakra, alla corazza cervicale secondo Reich. L’umiliazione è legata al collo. Il termine di vergogna
deriva dal rituale antico della gogna. La gogna era lo strumento di legno con il buco in mezzo dove
veniva incastrata la testa e la persona era esposta alla gente che passando davanti ne faceva di tutti i
colori. Vergogna nasce dall’essere esposti alla gogna, sentire questa umiliazione. Il termine
UMILIAZIONE è andare verso terra, abbassarsi all’altro che ti ha messo a terra.
Uno dei rituali di resa è di offrire anche il posteriore all’altro, come un’offerta sessuale, “offro il mio
corpo al tuo piacere”. Il maschio perdente assume e imita la femmina, si offre sessualmente al vincitore
come una femmina, perché così s’ingrazia e suscita benevolenza nel vincitore.
In genere i rituali di combattimento più tipici sono quelli fra i maschi, ma esistono anche fra le femmine,
in forme diverse da studiare. Poi, esistono anche le femmine che assumono il ruolo di maschi in certi
contesti o viceversa, ma questo rientra un po’ negli aspetti antropologici dell’omosessualità che sono
estremamente interessanti. Fisiologicamente parlando, più del 10% degli esseri umani ha prevalente
orientamento omosessuale. Nella nostra cultura non si notava, perché c’era un marchio di condanna che
faceva sentire la vergogna a chi si dichiarava di essere tale. Oggi è più accettata, per cui uno lo dichiara in
maniera più aperta anche se ciò implica tanta angoscia, soprattutto nel momento in cui uno scopre queste
sue tendenze e le deve accettare con se stesso e poi porle ai suoi familiari, amici e agli altri. E’ una grande
sofferenza questa, è un senso di vergogna profonda che è alla base di molti disturbi. E’ una notevole
frequenza e c’ha anche dei motivi evolutivi importanti che ci sia una percentuale notevole di
omosessualità. Anche se normalmente uno pensa che una volta l’omosessualità era contro natura, mentre
oggi dire contro natura è un controsenso, perché se l’omosessualità esiste in natura è una cosa naturale.
Oggi ci sono due modi di vivere l’omosessualità nella nostra società: da una parte c’è il Gay Pride, cioè
l’orgoglio omosessuale, e dall’altra l’omofobia che sono due formazioni reattive. Da una parte c’è la
vergogna di dichiarare la propria omosessualità e allora per vincere quella vergogna esagera
nell’ostentare con orgoglio in questo suo essere diverso, il che ha una sua logica culturale, ma è pur
sempre una difesa. All’opposto c’è l’omofobia per reprimere in se stessi quelle pulsioni omosessuali che
sono presenti in tutti anche se in percentuali diverse.
In questo c’è la PAURA del giudizio degli altri, la paura dell’aggressione e dell’abbandono degli altri, la
paura della punizione, la paura degli aspetti che condanni e hai imparato a condannare per poterti far
accettare dalla cultura dominante.
Osservando le donne forti, non necessariamente hanno tendenze omosessuali se mai il contrario. Ci sono
donne femminili dominanti senza rinunciare alla propria femminilità. E’ stato fatto uno studio in Svizzera
fra le vacche della Svizzera. E’ stato visto che in un branco di vacche che finchè c’era il toro, il toro
esercitava le funzioni del toro e gli altri tori stavano in disparte. Se toglievano il toro subentrava quasi
sempre una delle mucche che assumeva il ruolo tipico maschile del toro: il ruolo di protezione del gruppo,
di difesa di combattimento, con il tempo assumevano anche muscolarmente le caratteristiche del toro e
arrivava a montare – senza ovviamente fecondare - e fare l’atto dell’amplesso sulle altre vacche. Questo
significa che in certi contesti culturali si possono sviluppare quegli aspetti omosessuali che in altri
contesti restano latenti: quella vacca in un certo contesto si comportava da vacca, e in altri contesti si
comportava da toro. Quindi, c’è un’influenza culturale, per cui avere molti individui con tendenze omo o
eterosessuali può essere funzionale alla sopravvivenza del gruppo.
Per esempio in un Convegno sulle pari opportunità è uscito che le donne oggi sono state costrette ad
assumere modelli e ruoli maschili per necessità economiche. Una volta la donna era culturalmente
condizionata a reprimere le proprie valenze maschili legate all’affermazione di sé, nella società, nel
potere ecc. Oggi ci sono contesti dove è stimolata, anzi, anche troppo ad affermare questa parte di sé. Nei
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contesti culturali in cui l’uomo e la donna hanno avuto ruoli diversi questi si sono succeduti fin
dall’antichità. Se pensate le antiche civiltà matriarcali mediterranee e orientali, in cui c’era una prevalenza
della cultura femminile, alle società guerriere patriarcali, in cui il femminile veniva represso per
affermare un tipo di forza guerresca che si imponeva con la forza delle armi. Contesti culturali diversi che
si sono fusi in vari modi e ancora oggi continuano a sussistere. E’ chiaro che in una situazione di pace
tende a prevalere un modello più matriarcale femminile, in una situazione di guerra tendeva a prevalere
un tipo di cultura patriarcale maschile, il guerriero che combatte, che è forte, incrollabile che reprime le
emozioni ecc. In un contesto di pace, invece, è importante l’emozione, fare i figli e crescerli, la sensibilità
ecc. Culture che comunque si intersecano in vari modi e influenzano in qualche modo anche la
psicopatologia.
Il termine PANICO deriva dal dio Pan che era un po’ rude con le zampe di capra e che poi viene ripreso
dalla tradizione cattolica per utilizzarlo ai fini dell’iconografia del diavolo. In realtà Pan, dio della natura,
era sempre con il membro eretto in cerca di femmine da violentare, da penetrare. Si aggirava per i boschi
e ogni tanto gli capitava qualche ninfa leggiadra che passava, chissà perché, e guarda caso si avviciniva
con fare morbido e seduttivo proprio dove si nascondeva il dio Pan. A quel punto il dio Pan sorgeva da
dietro le foglie con tutto il vigore della sua possenza spaventando la povera ninfa che scappava, ma
talvolta riusciva a prenderla. Con ciò volevo sottolineare due aspetti importanti: uno il concetto di terrore
e panico (panico proviene da Pan) che è un terrore che ti pervade tutto, ma che ha in sé anche una
componente erotica. La PAURA è l’altra faccia dell’eccitazione. L’ANSIA è l’altra faccia del desiderio.
Paura ed eccitazione sono molto vicini. Se pensate agli sport estremi dove c’è una condizione di estrema
paura, ma è estremamente eccitante: chi si butta dal paracadute, chi fa parapendio, situazioni fortissime
che pervadono tutto il corpo (una sensazione panica) e contemporaneamente terrore e piacere quasi
statico. Il vuoto esercita su di noi un doppio effetto: da una parte c’è l’attrazione e dall’altra un terrore.
C’è un forte fascino nel vuoto, l’eccitazione di buttarsi nel vuoto è fortissima. Come la PAURA ha come
controparte positiva l’eccitazione, così il TERRORE/PANICO ha come controparte l’estasi panica. E qui
è l’aspetto del dio Pan che attraverso la musica (suona il flauto) diventa un dio che conduce sul cammino
mistico ed estatico (il culto di Dioniso). Non a caso il culto di Pan lo ritroviamo nei sabba delle streghe,
poi stigmatizzati e perseguitati perché contrari a una dottrina cattolico-clericale. In realtà erano culti
pagani che erano persistiti nel periodo del medioevo: il culto di Diana, il culto di Dioniso. Questi culti
prevalentemente a carattere femminile che nelle campagne continuavano a persistere e furono
perseguitati. Le streghe non erano altro che adepte del culto di divinità pagane femminili o maschili, ma
naturalistiche, in cui c’è una emozione intensa dove l’eccitazione e l’estasi vanno di pari passo con la
paura e il terrore.
Questo è interessante anche perché può portare anche a dei trattamenti del PANICO, dell’ANSIA e della
PAURA di tipo trasformativo. E’ un filone di terapia che aiuta il sintomo ad evolvere in uno stato mistico
e dal panico è molto più facile di quanto non si pensi.
Allora, di fronte all’ATTACCO di PANICO ci sono molti tipi di trattamenti: di tipo farmacologico e altri.
Fra i trattamenti un po’ più conosciuti ci sono le tecniche di rilassamento muscolare e le tecniche di
respirazione. Le tecniche di respirazione sono di due tipi: la respirazione rilassante, lenta (Pranayama,
Vipassana) e le respirazioni intensive (Vivation, la respirazione olotropica, la prima fase della Dinamica
di Osho) che tendono a creare un’iperventilazione. Una persona che soffre di attacchi di panico può
essere curata in due maniere:
nella prima si apprendono le tecniche di respirazione lenta, per cui nel momento che sente che le sta per
venire un attacco di panico fa la tecnica di rilassamento con la respirazione rilassante e seda il panico
attraverso la respirazione. E’ un trattamento di tipo allopatico, si cura con il contrario, cioè il panico
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eccita e io sedo. Infatti, quando si parla di medicina allopatica e di medicina omeopatica, allopatica si
cura con il contrario e l’omeopatica cura con il simile. Non necessariamente la cura allopatica è quella
farmacologia. Può essere anche semplicemente che uno ha caldo e si bagna con l’acqua fredda oppure
uno ha freddo e si mette vicino al fuoco e si scalda. Sentire freddo e mettersi a correre nella neve è una
cura omeopatica.
Di fronte ad un’attacco di panico si può fare, secondo il criterio allopatico, una respirazione calmante,
come abbiamo visto, oppure si può fare il contrario. Si può fare una respirazione intensiva fino a indurre
un attacco di panico volontario. Quando la persona ha imparato respirando a creare un attacco di panico,
entrarci dentro, starci coscientemente e persistere, arriva ad un certo punto che l’attacco di panico non è
più una cosa che gli fa paura e che combatte, ma è una cosa in cui ci si cala con tutto se stesso e a quel
punto è un qualcosa che ti coinvolge talmente fino a trasformarsi in uno stato di quiete. Questo, però,
come counselor olistici non lo dovete fare, mentre potete insegnare una tecnica respiratoria rilassante.
(Pratica di respirazione o seduti o sdraiati. Se siete seduti è importante che i piedi siano ben aderenti a
terra. Rilassiamo bene il collo e le spalle e portiamo l’attenzione sul hara, sotto l’ombelico. Inspiriamo
come se l’aria entrasse dalla terra, risalisse lungo le gambe e arrivasse fino alla pancia – non alla gola – e
nell’espirazione scende portando via tutte le tensioni e le scarica attraverso le gambe nella terra. Ripeto: si
respira dalla terra alla pancia e si espira dalla pancia alla terra. Non scordatevi di rilassare il collo e le
spalle.
Ora proviamo a respirare con il petto. Ora proviamo a portare il respiro alla gola. Avete sentito che
quando l’aria arriva alla gola suscita un accenno di ansia, un momento di allarme o tensione alla gola.
Ritorniamo alla pancia. Inspiriamo dalla terra alla pancia ed espiriamo dalla pancia alla terra.
Se, invece, andate nel cuore e nella gola andate in un processo catartico. E’ molto più impegnativo,
pèrchè dopo bisogna lavorare su ciò che è emerso. Diventa un lavoro psicoterapeutico più impegnativo e
se non lo portate fino in fondo, potete creare degli scompensi che poi non riuscite a comporre. O lo sapete
far bene o non lo fate. Invece, la respirazione calmante è bene che la facciate sempre. Il respiro con la
pancia è calmante, può portare ad entrare in un buon contatto con te stesso e ti può insegnare a gestire
l’attacco di panico. Non risolve, però, i problemi di fondo.
Roberto SASSONE
Riconosciamo nel tema della paura che è un’emozione sana, perché è l’emozione che ci consente di
affrontare e di prepararci al pericolo, una serie di emozioni collaterali che possiamo chiamare l’emozione
dell’ansia, l’emozione della angoscia, l’emozione del terrore e l’emozione del panico. Nel modo in cui ho
descritto queste quattro emozioni, che poi sono quattro modalità della paura, c’è una gradualità:
nell’emozione dell’ansia c’è come caratteristica fondamentale la sostenibilità di base, cioè uno può vivere
in una situazione di ansia protratta nel tempo, ma senza collassare; l’ansia ha come caratteristica una
immaginazione anticipatoria, ovvero nell’ansia c’è l’immagine mentale di quello che potrebbe accadere
ma poi non accade. L’ansia si sente molto nel diaframma, nella pancia.
Se l’ansia entra in uno spazio di maggiore condensazione entriamo nell’angoscia. E’una situazione in cui
ci si sente imprigionati, si soffoca. Nell’angoscia è più forte la paura perché c’è la sensazione di non
potere fare niente. Mentre l’ansia è fluttuante, ci si può navigare dentro, nell’angoscia c’è la chiusura. Se
ci fate caso, fisicamente l’angoscia la si sente più nel torace.
Quando questa sensazione di essere chiusi, di non poter fare niente assume una dimensione d’impotenza
totale si arriva al terrore. Però anche qui angoscia e terrore possono essere reali, cioè di per sé queste
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emozioni non sono patologiche, lo diventano quando ancora una volta non esiste una causa reale, la cui
gravità modula l’intensità di queste emozioni, dall’ansia all’angoscia fino al terrore.
Quando arriviamo all’attacco di panico, la caratteristica fondamentale è che condensa o si ritrova in un
attacco di panico un cocktail di ansia, angoscia e terrore. Vediamo cos’è il panico da un punto di vista
della struttura. Non esaminiamo gli aspetti del carattere perché gli attacchi di panico possono accadere,
come nella depressione, a qualsiasi struttura caratteriale. Dobbiamo però capire il meccanismo che c’è
dentro. L’attacco di panico è la percezione del crollo di tutta la struttura dell’identità. Questo è un crollo
che porta la sensazione di morire. Cioè la paura fondamentale nell’attacco di panico è quella di morire. E
la paura di base perché l’attacco di panico va a toccare il primo chakra dove c’è il tema della
sopravvivenza. Come si riconosce? Avvengono dei sintomi precisi e antagonisti. Ovviamente c’è un
aumento dei battiti cardiaci, tremiti del corpo e sudorazioni, giramenti di testa, senso di perdita
dell’equilibrio, affanno, sentimenti di angoscia e ansia. La respirazione da una parte viene attivata,
dall’altra bloccata. Nell’attacco di panico realmente si perde la capacità di gestire qualsiasi tipo di atto
volontario. L’io cortocircuita, si va in una dimensione rettiliana, nella dimensione degli istinti primordiali
dove (siccome nella scala di sviluppo dell’uomo gli istinti primordiali sono quelli che hanno più potere
perché hanno avuto più tempo per consolidarsi), l’io non ha più capacità di gestione. Nell’attacco di
panico crolla il grounding, non a caso è di primo chakra, perché si entra in una dimensione in cui si perde
il contatto con la propria struttura di equilibrio. Le gambe ed i piedi non ci sono più, ed è così anche
oggettivamente perché chi ha un attacco di panico ha la tendenza a sentirsi crollare. In quel momento si è
nella dimensione del rettiliano. L’attacco di panico in chiave patologica è la perdita di ogni controllo,
ovvero reca in sé o nel suo segno opposto, quella che è anche la possibilità che ognuno di noi dovrebbe
riuscire ad avere, ovvero perdere il controllo dell’ego, della personalità in quanto si è sviluppato un centro
d’identità. La perdita di controllo terrorizza in quanto fino ad ora noi identifichiamo la nostra identità con
l’ego ovvero con l’insieme di costrutti mentali e storici che definiscono quella che noi chiamiamo
identità. È chiaro che perdere quella che noi chiamiamo identità equivale a morire. Non a caso esiste la
morte iniziatica che ha un valore completamente opposto al panico.
Però nell’attacco di panico, proprio perché manca la struttura di base, significa che realmente non c’è
stata la possibilità di creare un centro. Come avviene? Perché alcune persone sono soggette all’attacco di
panico? Questo avviene quando un individuo ha raggiunto il limite estremo della sopportabilità nella
propria vita. Al di là dell’aspetto patologico è l’indicazione del fatto che non può ormai che crollare. Non
ce la fa più. Quindi gli attacchi non avvengono fondamentalmente perché c’è un trauma. Una persona una
mattina va a lavoro, e dentro ad una galleria ha un attacco di panico. La sua struttura aveva già crepe, e in
quel momento la galleria è la personificazione, la simbolizzazione della sua chiusura. L’altra caratteristica
è che l’attacco dura poco, e non sono così frequenti tranne che in casi particolari. Può durare da pochi
minuti ad un’ora. Il vero problema è che una volta che c’è stato un attacco di panico, visto che la paura di
base è quella di morire, si innesca il meccanismo di ansia anticipativa, vale a dire la paura che accada di
nuovo. E quindi si manifestano in maniera progressiva altri sintomi collaterali come claustrofobia,
agorafobia, e per evitare l’attacco si comincia a limitare il movimento. Ogni sintomo ha una sua
funzionalità precisa, ci sta dicendo qualcosa. L’attacco di panico è l’estremo rimedio di chi non ce la più
ad affrontare la responsabilità della propria vita, e quindi limitando il suo movimento sta realizzando un
meccanismo per salvarsi da una vita che non viene fondamentalmente più sostenuta. L’elemento opposto
è che in realtà questa perdita di controllo è la modalità di base che si deve ritrovare in tutte le dimensioni
dionisiache. La fusione col divino, l’immedesimarsi col divino anche nelle sue forme e manifestazioni,
passa attraverso una perdita della propria identità, dell’ego. Bisogna morire al proprio ego per potersi
perdere o nella manifestazione col divino, come avviene nelle cerimonie sacre, o nell’esperienza del
divino come avviene nelle dimensioni di coscienza cosmica o di coscienza dell’unità. Per cui la
dimensione panica- del dio Pan- è una dimensione di estrema perdita di controllo, nell’immergersi nel
piacere, nella vita, nella intensità dell’esperienza mistica.
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Nitamo MONTECUCCO
Provate ad immaginare il sistema della difesa corporea: il simpatico della difesa va in eccesso fin quando
ad un certo momento scoppia, con sudorazione, respirazione affannosa, tachicardia ma anche blocco della
circolazione periferica con possibile mal di stomaco e giramento di testa, tutti sintomi classici della paura
d’attacco.
Nella storia delle crisi di panico, oltre a quella appena trattata da Sassone che è della fase adulta (cioè
della persona che arriva a caricare fino a non poterne più), ci sono anche le forme giovanili, diventate
comunissime. Dietro c’è, nel 95% dei casi, un papà che li spaventava o che li picchiava, mettendo in moto
il blocco di I° chakra, ed il blocco da paura dell’aggressività, dove non si può fare niente, solo collassare.
Oppure una mamma molto ansiosa. Quindi si ha: il sistema maschile che non può reagire e deve subire, e
la mamma che riempie la testa di paure che non esistono. Con la paura della paura e la circolarità. Questo
sistema che va in tensione enormemente arriva a un punto di rottura e quindi arriva la crisi.
Ho conosciuto un ragazzo con crisi di panico potenti. Lui aveva un papà un po’ duro che lo aveva
picchiato e una mamma ansiosa. Niente di particolare. Ma era molto sensibile quindi andava in tensione.
Noi gli abbiamo insegnato un po’ di meditazione, un minimo di craniosacrale, un minimo di respirazione
per sentire quando andava in tensione e mollare. Lui non ha avuto più crisi di panico. Era comunque una
situazione facile, aveva crisi di panico non acute, aveva un senso di morte, un senso di non controllo.
Quello che voi potete sicuramente fare come operatori olistici è andare a lavorare sul sistema maschile,
simpatico e rilassato. Questo lo possiamo fare immediatamente, massaggi, craniosacrale. Riaprire il
sistema femminile del rilassamento. Una cosa fondamentale: voi non curate la crisi di panico. Se la
persona ha crisi potete dirgli: “guarda io ti posso aiutare, ti tonifico il sistema parasimpatico, cioè il tuo
modo di rilassarti, ti aiuto a sentire quando il simpatico, cioè la tensione, va in eccesso e con un po’ di
meditazione e presenza ti aiuto a calmarlo. Ti aiuto a tirare fuori il dio Pan caotico che è dentro di te.
Lasciati andare, anche solo quando balli o fai l’amore, o canti in macchina. Tutti quegli eccessi dove tu
scarichi la pressione del sistema simpatico, si possono rilassare. La crisi di panico ha dentro dei
meccanismi che è lavoro di psicoterapia, e l’argomento trattato da Sassone è attinente ad un lavoro da
psicoterapeuta. Mentre voi non vedrete una crisi di panico al massimo una persona viene da voi e vi dice
che soffre di attacchi di panico, se c’è una crisi di panico voi chiamate il 118, non potete occuparvene.
Non la curate, potete solo alleviare i sintomi (con un massaggio alla pancia). L’importante che voi ne
conosciate la genesi, questo movimento panico, rettile deve emergere di più, la persona un po’ troppo
controllatina deve poter mollare, liberare quello che è sotto e l’ansia e l’angoscia coprono. Potete aiutarlo
tantissimo a farla divertire, a ballare scatenata, perdere i giudizi formali, perdere il controllo.
Roberto SASSONE
Comunque un aiuto che un operatore può dare, proprio per la mancanza di centro di cui parlavamo, è la
meditazione sul cuore. Perché aiutarlo a cominciare a percepire che esiste in qualche modo all’interno del
suo cuore, gli comincia a dare la sensazione di un punto a cui aggrapparsi.
Nitamo MONTECUCCO
Ho avuto persone che hanno avuto un papà normale e una mamma molto ansiosa, hanno realmente mezza
crisi di panico. Hanno una crisi più leggera, più ansiogena, più da paura di quello che può accadere. O
persone che hanno avuto un papà duro ed una mamma normale vivono momenti di panico ma riescono a
gestirli se riescono a capire la struttura.
Roberto SASSONE
Diciamo una cosa semplice: la parte del corpo in cui avviene il sintomo è l’indicazione chiara di qualcosa
che è realmente accaduto in quella parte del corpo. E ci dà anche il significato. Ad esempio nel caso di un
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soffocamento è successo qualcosa alla gola, al V° chakra. Bisognerebbe fare l’anamnesi ovvero da che
livello parte questa sensazione. È un livello neonatale, cioè legato al parto, al cordone ombelicale intorno
al collo? Se è così dà già un’indicazione di quanto affonda il sintomo. Se non è, si può andare avanti e
pensare che il soffocamento è legato alla presenza di una persona soffocante. C’è tutta una tematica della
difficoltà di esprimersi e di realizzare nella vita di questa persona. Abbiamo delle indicazioni precise e
stiamo parlando di una fobia nel senso che non è che collassa come negli attacchi di panico, ma vive
questa paura come potrebbe essere ad esempio la paura di un serpente.
FOBIE, OSSESSIONI E COMPULSIONI
Passiamo al concetto di FOBIA. La FOBIA è una paura esagerata e immotivata per un particolare oggetto
o situazione, p.es. la fobia per gli insetti. E’ una vera e propria emozione archetipica, perché l’insetto ha
delle forti valenze simboliche sul quale proiettiamo tutta una serie di parti nostre represse: l’aggressività,
la vergogna, il terrore, la paura, tutte le parti con cui non vogliamo avere a che fare, le rimuoviamo
nell’inconscio e poi le proiettiamo sugli esseri a noi così lontani, diversi e subdoli. L’insetto diventa
cosìunl ricettacolo di queste nostre proiezioni. Infatti, gli esercizi sull’insetto consistono nell’identificarsi
nell’insetto e quindi modificare la ns. struttura, rimuovere questi blocchi e riattivare un percorso di
crescita. Sono scuole che si rifanno all’antico Messico che attraverso la scuola di Castaneda e scuole
simili che consistono nel cercare di evocare la struttura dell’insetto che ha una struttura opposta alla
nostra, perché ha corazza esterna forte e l’interno morbido a differenza di noi che abbiamo una colonna
vertebrale rigida ecc. E’ un lavoro abbastanza complesso, però all’inizio bisogna identificarsi con
l’insetto.
Ci sono FOBIE per oggetti, animali e situazioni. Per quanto riguarda gli oggetti, possono essere degli
oggetti acuminati, spilli o coltelli e uno quando li vede entra in uno stato di terrore. Oppure ci può essere
la fobia degli spazi chiusi (claustrofobia) o degli spazi aperti (agorafobia).
Un altro concetto è quello di OSSESSIONI o COMPULSIONI. Cosa sono le ossessioni? Sono pensieri e
idee che si impongono alla nostra mente in maniera iperattiva, ripetitiva contro la nostra volontà. Per
esempio uno prima di alzarsi dal letto deve contare fino a tre se no le porta male pur non avendone
bisogno. La compulsione è una spinta a compiere un’azione in maniera costrittiva e contro la nostra
volontà. Un esempio di compulsione è quando una persona continua ad acquistare lo stesso oggetto
cinque, dieci volte. Tipico fenomeno ossessivo-compulsivo dell’infanzia quando il bambino deve
camminare lungo le linee del marciapiede o della mattonella. Un altro esempio di comportamento
ossessivo-compulsivo è di colui che prima di andare a letto va a controllare mille volte se ha chiuso bene
il gas.
Anche la CLEPTOMANIA fa parte della stessa serie ed è un impulso a compiere una azione e realizzata
l’azione si scarica la tensione, mentre la compulsione è ripetitiva e continua. Nella compulsione uno non
vuole pensare ad una cosa e suo malgrado ci pensa sempre. Ad esempio nel passato dicevano che pensare
al sesso era peccato. A questo proposito sono stati scritti dei testi dai padri della Chiesa cattolica proprio
per curare gli eccessi di scrupoli, perché si accorgevano che molti di loro entravano in questi meccanismi
e si ammalavano proprio perché indotti da questa educazione catechistica al peccato. Comunque, non solo
nell’ambito religioso si realizzano le ossessioni, sono schemi mentali ripetitivi. Invece l’IMPULSO è una
spinta ad eseguire un’azione anche complessa come l’impulso patologico del gioco d’azzardo, per cui si
rovinano finanziariamente. Badate bene che il giocatore d’azzardo sotto sotto non vuole vincere, ma gioca
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per un impulso masochistico a perdere, per sentirsi accomunato nel vittimismo con le persone che
perdono. E’ difficilissimo a farlo guarire.
Altri esempi d’impulso è stuprare una donna, soprattutto se è rinforzata da una dinamica di gruppo.
Oppure, uno degli impulsi più deleteri tipici femminili è l’impulso allo shopping. Le donne, quando
entrano in ansia spendono un patrimonio e ci godono anche. Negli uomini già meno. In loro prevale di più
l’impulso alla molestia sessuale. La BULIMIA e tipica femminile e fa parte dei disturbi del
comportamento alimentare, mentre impulso all’abbuffata è una forma di impulso che rientra in un’altra
categoria.
All’impulso appartiene anche il sintomo CONTROFOBICO o formazione reattiva: ho paura di gettarmi
nel vuoto e vado su un aereo e mi butto con il paracadute. Quindi, d’impulso mi butto proprio in quella
cosa che mi fa paura per vincere la paura. Tanti atti di eroismo durante la guerra hanno questo tipo di
sintomo.
Spero sia chiara la differenza tra l’OSSESSIONE/COMPULSIONE quando uno ha dei dubbi di non aver
chiuso bene la porta, per cui ritorna e controlla, poi ricontrolla e ricontrolla decine di volte. L’IMPULSO
è quando sbatto e spacco la porta, perché mi ha preso un raptus di rabbia. Sia la COMPULSIONE che
l’IMPULSO possono essere curati in modi diversi. La compulsione è legata più ad un vissuto di
depressione, mentre l’impulso è un’aggressività che si scarica. Sono due cose diverse.
Per il bambino è diverso soprattutto per quanto riguarda le ossessioni e le compulsioni, perchè impara a
controllare e gestire le emozioni. Delle fasi anche di ossessioni del bambino vanno ritenute fisiologiche,
ma non lo sono più tali se si protraggono troppo nel tempo.
PSICOSI E NEVROSI
Passiamo adesso ai disturbi maggiori che nelle loro forme più gravi possono essere definiti PSICOSI. La
differenza tra NEVROSI e psicosi è che le nevrosi hanno quadri più leggeri, per cui si parlava di nevrosi
d’ansia, o di nevrosi ossessiva/compulsiva, Le PSICOSI sono stati mentali più gravi che alterano
profondamente il nostro contatto con la realtà.
Noi prenderemo in esame i seguenti quadri fondamentali:
·
la DEPRESSIONE
·
l’ECCITAMENTO MANIACALE
·
la SCHIZOFRENIA
·
il DISTURBO PARANOIDE o PARANOIA
Questi ci aiutano a capire le principali forme di alterazione dello stato mentale.
Vi ricordo, per inciso che l’ANSIA la ritroverete molto spesso in tanti disturbi: nelle ruminazioni
ossessive, nella depressione, nella schizofrenia, nell’eccitamento maniacale, nel sintomo
ossessivo/compulsivo come il bisogno di allineare perfettamente gli oggetti ricontrollare il gas, nella
nevrosi fobica, nella blutomania, la mania di lavarsi sempre le mani fino a procurarsi delle vere e proprie
macerazioni della pelle a forza di lavarsi, e così via.
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LA DEPRESSIONE
Cos’è la DEPRESSIONE? E’ l’abbassamento del tono dell’umore. Cos’è il tono dell’umore? E’ lo stato
affettivo in cui ci troviamo in un determinato momento. Lo stato affettivo è l’insieme dei sentimenti, delle
passioni, delle emozioni che si muovono dentro di noi. Quando questo aspetto affettivo-emozionale è
scarico, il tono dell’umore è più basso, si parla di depressione.
Si può parlare di depressione come sintomo o di depressione come di vera e propria malattia. Un esempio
di depressione come sintomo è quando uno ha litigato con il suo più caro amico, ci rimane male e si sente
abbattuto. Invece, nella depressione vera e propria l’abbassamento del tono dell’umore è intenso e
costante. Esistono ovviamente molti tipi di depressioni, Ci sono forme di depressione leggera e forme di
depressione molto gravi. Una volta si diceva di depressioni nevrotiche e depressioni psicotiche. Oggi si
parla di depressioni minori e depressioni maggiori.
Allora parliamo della DEPRESSIONE MAGGIORE che è il quadro più intenso. Abbiamo un
abbassamento del tono dell’umore con profonda tristezza, noia, sentimenti di vuoto, tutte le funzioni
fisiologiche sono alterate – per esempio l’appetito è diminuito fino alla disappetenza, oppure in qualche
caso, specialmente se è associata con una quota ansiosa, ci può essere un aumento dell’appetito con
iperfagia; uno che si riempie di cibo per affogare l’ansia; un’alterazione del ritmo sonno/veglia, l’insonnia
-.
Per la depressione il momento più terribile è la mattina, quando uno deve affrontare la giornata. La sera,
invece, uno va a rifugiarsi nel sonno, anche se può svegliarsi dopo qualche ora e rimanere lì con gli occhi
sgranati in preda a questa sofferenza. Nella NEVROSI d’ANSIA, invece, la persona sta peggio la sera: la
mattina si sveglia rilassato, poi nel corso della giornata accumula le tensioni e lo stress che gli aumentano
le quote d’ansia sicchè la sera è ansiosissimo, quando va a letto fa fatica a prendere sonno, si addormenta
in genere molto tardi con dei picchi di ansia serali.
Spesso è significativa anche come diagnosi differenziale: nelle forme di depressione primaria la persona
sta peggio al mattino, nelle forme di ansia sta peggio di sera. Ritornando alla depressione diciamo che
uno si sente molto debole: astenia, adinamia - mancanza di energia per compiere le cose di tutti i giorni;
anedonia, mancanza di piacere nel fare le cose di tutti i giorni. C’è una sofferenza profonda: spesso non si
sente capito dagli altri; il tempo non passa mai, manca il futuro, non c’è il progetto di vita, ma il
rimuginare del passato; sensi di colpa spesso immotivati. Però nelle forme gravi c’è spesso il desiderio di
morte, perché la vita non merita di essere vissuta, o vere e proprie idee suicide o tentativi di suicidio reali.
La vita non ha più senso, ci possono essere frequenti crisi di pianto oppure ci sono anche forme di
depressione arida in cui non riesce a piangere e poi si sente in colpa perché non riesce a piangere.
Spesso ci sono persone ipertimiche, cioè piene di verve, di gioia di vivere, allegre, divertenti, di
compagnia e poi improvvisamente piombano in uno stato depressivo. La depressione ha comunque una
predisposizione cinetica e poi vi sono fattori ambientali. Ci sono dei fattori che possono essere
depressogeni tipo situazioni di abbandono nell’infanzia, perché la depressione è legata molto
all’abbandono. C’è una perdita alla base di una depressione, una perdita reale o temuta o immaginaria: la
perdita dell’oggetto d’amore, la perdita della madre. Si è parlato dell’animale che viene aggredito, in
questo caso si parla di animale che viene abbandonato, il cucciolo che viene abbandonato e quindi si trova
disperato e solo nel mondo ed è come se si lasciasse morire. E’ solo e si trova solo di fronte alla morte,
per cui c’è questa sensazione di morire.
C’è da dire un’altra cosa. Tutti noi quando attraversiamo situazioni di paura, attraversiamo situazioni di
depressione, perché quando vogliamo la mamma e la mamma non risponde subentra il sentimento di
abbandono, di non essere curati e altro. Quindi, esperienze di tipo depressivo ci sono sempre e si
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accumulano negli anni. Poi ci sono quelle situazioni di per sé naturali che sono i lutti. Se una persona ci
abbandona o muore c’è un lutto e il lutto richiede un periodo di elaborazione. Se ci muore una persona
cara, per un periodo stiamo male: ci viene sempre in mente, ci viene da piangere, ci sembra che la vita
non abbia più un senso. Questo periodo che può durare qualche mese o può durare uno due anni si chiama
elaborazione del lutto.
Le depressioni che si sintonizzano con i ritmi circadiani del giorno o con i ritmi stagionali non sono delle
vere e proprie depressioni, ma sono più forme di depressioni lievi secondarie all’ansia: uno si sente
rinascere con il giorno e morire alla sera, ma c’è molta empatia in tutto questo, non c’è un distacco
profondo come c’è nella depressione. Nella depressione c’è come un qualcosa che si rompe dentro,
desincronizza dal tempo esterno, per cui non c’è più futuro né mattina o sera. Alla mattina ha l’angoscia
di affrontare un’altra giornata senza scopo. E poi il pericolo più grosso è semore quello del suicidio.
Appena stanno un pochino meglio e la prima energia che trovano in sé è tale la sofferenza che ancora
sentono che li spinge a fare i tentativi di suicidio. Possiamo trovare la depressione in tante altre situazioni:
in situazioni di vergogna, nei disturbi schizofrenici, nei suicidi su base impulsiva (sono tanti i casi di
suicidi). Se come counselor vi capita un depresso è il caso di mandarlo da un buon specialista.
La depressione spesso risponde bene anche a dei farmacia antidepressivi che non sono poi tanto pesanti
dal punto di vista tossico. E’ chiaro che quanto più uno riesce a lavorare le cause e i sentimenti ache
stanno alla base della depressione tanto più uno guarisce. Altrimenti con la cura faramcologica uno esce
dall’episodio per poi ricadere dopo, perché il problema rimane alla base.
La depressione naturale è periodica e episodica. In genere sono episodi di depressione: uno crolla nella
depressione e se viene lasciato la depressione dura da un minimo di sei mesi fino a due, tre anni. Con le
cure dura un po’ meno e poi se a queste si abbinano interventi di tipo psicoterapeutico importanti si
ottengono dei buoni risultati. Ad es. nelle forme di depressione grave una degli interventi più efficaci
(molto più efficaci dell’elettroshock che vengono ancora fatti dalla maggior parte dei medici attuali che
hanno una formazione organicista, cioè vedono tutto in funzione dell’ attivazione cerebrale dei neuroni. Il
criterio è “se i neuroni non rispondono ai farmaci, bisogna dare una scossa ai neuroni. Come dire, se
cambiando la pila alla televisione e quella non funziona si prova pigliarla a martellate per vedere se
qualche circuito ritorna un po’ in funzione. L’elettroshock è abbastanza pesante, devono fare
un’anestesia, poi emettono queste scariche elettriche profonde che si scaricano nel cervello, dal cervello si
scaricano lungo la colonna vertebrale e da lì attraverso i nervi periferici. Nel passato gli elettroshock
andavano a determinare una contrattura spasmodica di tutti i muscoli scheletrici. Tutti i muscoli che
contemporaneamente agli antagonisti si contraevano - i muscoli flessori con i muscoli tensori – spesso
procuravano delle vere e proprie fratture dalla violenza di queste scariche.
Oggi questo viene risolto, perché ovviamente viene fatta una leggera anestesia – quindi la respirazione è
assistita – e poi viene curarizzato, cioè viene somministrato il curaro che provoca paralisi in modo che
quando arriva la scarica elettrica non provoca le contrazioni muscolari e con questa scarica elettrica (dopo
sette, otto cicli di elettroshock) in alcuni casi la depressione si risolve.
Una volta, si applicava la piretoterapia fatta con la plasmosi della malaria o altre sostanze, per
determinare eccessi febbrili che potevano procurare compulsioni. Come anche si ricorreva allo shock
insulinico procurato con iniezioni d’insulina di tipo ipoglicemico. Oggi queste due pratiche sono cadute
in disuso, mentre l’elettroshock viene sempre fatto nelle cliniche specialmente nei casi che non
rispondono ai farmaci e nei casi di depressione molto inibita. Invece, quello che voglio dire a voi è che
questi casi di depressione inibita rispondono molto efficacemente e rapidamente di quanto non
rispondano gli elettroshock, e sono le tecniche di maternage. Le tecniche di maternage, secondo me,
dovrebbero costituire un settore importante nella formazione dell’operatore olistico non perché vanno a
curare la depressione, ma perché se si cominciano a creare delle équipes per lavorare sui disturbi
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psichiatrici, bisognerà fare delle convenzioni con gli operatori olistici, per cui se c’è da fare un intervento
di maternage su un depresso anziché su uno schizofrenico, deve saperlo fare.
Gli interventi di maternage sono dare molta presenza e contatto alla persona. Ci sono vari sistemi per
farlo, ma un minimo andrebbero imparati e c’è da dire che sono applicazioni lunghe. Il trattamento di
maternage deve durare dalla mattina alla sera, per cui gli operatori devono darsi il cambio. Danno dei
risultati incredibili, aiutano la persona ad uscire definitivamente dalla depressione o perlomeno sblocca
l’episodio depressivo in maniera non cruenta, ma in maniera estremamente accogliente, estremamente
umana. E‘ una bellissima esperienza, molto faticosa, ma molto bella e la persona che esce dalla
depressione ci esce, perché si è sentita estremamente accolta. E’ come un bambino abbandonato nel
mondo che viene ripreso, mentre nell’elettroshock c’è un’amnesia, la scarica elettrica procura un’amnesia
di tutto quello che ha procurato la depressione e si sblocca, salvo poi a ritornare come prima.
Ci sono varie forme di maternage, bisogna sapere come mettere le mani, entrare in contatto con le
pulsazioni, entrare in sincronia con il respiro, ci sono anche parecchi accorgimenti sulla comunicazione
corporea non verbale. Sarebbe utile fare degli esperimenti su questo.
Il maternage è poco conosciuto, non viene insegnato né nelle università nè nelle scuole infermieristiche.
In alcuni casi sono riuscito con alcuni infermieri a decidere di fare il maternage ottenendo degli sblocchi.
Da un certo punto di vista l’elettroshock è anche etico, perché quando voi vedete una persona che passa
mesi di depressione, che non può più muoversi, che resta bloccato, che non risponde a nessun tipo di
farmaco e passa la sua vita così deperendo anche organicamente, piuttosto che nulla si ricorre
all’elettroshock. In certi casi funziona, non lo demonizzo. Ma se ci sono tecniche di accoglienza non solo
più umane, ma anche più efficaci, cerchiamo di portarle avanti noi.
Siccome la caratteristica della depressione è che il tempo non passa mai, tutte le tecniche che lo aiutano
ad accelerare sono le tecniche allopatiche. Fissiamo questo concetto. Nelle forme di depressione grave
questo non funziona: pur sollecitando la persona, questa non ce la fa, perché è proprio la volontà che gli
manca. Anzi, sentendosi sollecitato e non riuscendo a farcela si sente anche in colpa e incompreso e tutto
ciò aggrava la depressione e si dispera. Non funziona questo. D’altronde se voi pensate quando siete tristi,
non avete voglia e arriva qualcuno lì con musiche rock e fa casino con urla e risate, vi dà fastidio, perché
non vi sentite in sintonia. Se, invece, trovate qualcuno o che vi si stende accanto o cerca d’indurvi a fare
dei movimenti molto lenti con musiche lente e un po’ melanconiche vi sintonizzate con loro e nello stesso
tempo vi trasformano. Dopo non è più una melanconia disperata, ma diventa un entrare in contatto e
armonizzarsi con l’esterno attraverso questo sentimento di depressione.
Così, oltre al maternage tutte le tecniche di musica, di movimento possono aiutare lui a sintonizzarsi con
te o con l’esterno e quindi sono efficaci.
Come si fa a sfuggire a sentimenti profondi?
Si agisce, si ride, ci si muove, si scherza, ci si affaccenda. Questo ci aiuta a uscire.
MANIA ED ECCITAMENTO MANIACALE
Passiamo alla MANIA o ECCITAMENTO MANIACALE. Abbiamo l’innalzamento del tono dell’umore.
La persona si sente allegra, euforica, parla troppo, è logorroica, esageratamente piena di energia. Però non
è la semplice euforia o allegria, la persona viene trascinata, non controllata, scherza sempre, cìoè un
continuo fluire di idee senza freno come se fosse preso da una corrente senza possibilità di controllo di se
stesso. Per questo motivo sono molto disturbanti verso gli altri. Non riescono a progettare nulla in questo
vortice di idee, di parole; spendono tutto facendo regali inutili. Se qualcuno vuole frenarli diventano
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aggressivi, si arrabbiano, rispondono male, offendono senza controllare quello che dicono, esagerano,
infastidiscono. Hanno questa carica energetica enorme, mangiano molto, senza limite, la notte dormono
pochissimo, spaventano gli altri perché molto minacciosi, anche se sono meno pericolosi dei depressi.
Passano dalla logorrea alla disporia, all’umore nero. Vengono spesso ricoverati con i ricoveri coatti nei
TSO-Trattamenti Sanitari Obbligatori. Prendono la roba senza pagare, non per rubare, ma magari la
lasciano lì o la regalano a quell’altro. In questo bagordo di idee, di movimenti, di gesti vivono come
trascinati dal tempo: per loro non c’è né futuro né passato. Nell’eccitamento maniacale rave, cioè
psicotico, c’è un affaccendamento improduttivo, afinalistico, inconcludente. Non riescono a concludere le
cose. Ecco, tutto questo eccitamento per non sentire in realtà la profonda sofferenza che c’è sotto.
Poi ci sono gli ECCITAMENTI IPOMANIACALI, dove c’è un po’ di euforia, però viene mantenuta la
capacitò di rapportarsi in maniera rispettosa con l’altro.
Allota il DEPRESSO non si nota, passa inosservato, è lì tranquillo, il MANIACO lo si nota subito. Non
sembra vero, ma la mania e la depressione sono la stessa cosa. Infatti si parla di psicosi maniacodepressiva, una malattia che è caratterizzata da fasi di depressione (si abbassa il tono dell’umore), fasi di
normalità e di equilibrio affettivo e fasi di eccitamento e così via.
Nella depressione abbiamo un rallentamento del tempo, del corpo, delle idee; la depressione è
all’impronta del rallentamento. Ogni tecnica di rallentamento tipo le asana dello yoga o il Tai Chi può
entrare in contatto con gli aspetti depressivi e trasformarli. Anzi, si può dire che la depressione è quasi un
tentativo irrealizzato, inconcluso di modificare il proprio modo di essere per realizzare uno stato di
coscienza, uno stato di essere diverso. Ecco, perché utilizzando tecniche analoghe lo si aiuta in fondo.
Nell’ECCITAMENTO MANIACALE si tenta la strada opposta: le danze estatiche, le danze dionisiache,
le danze guerriere, dove si danza tutta la notte in modo frenetico, l’energia sale sempre di più fino a che
arriva ad un punto di rottura mentale o di blocco in cui si può avere esperienze mistica. Nel maniacale
succede lo stesso e abbiamo l’arresto improvviso che viene definito ‘stupor maniacale’. E’l’equivalente di
una condizione di estasi, però realizzata in maniera patologica e incompleta. Però, vedete l’analogia. Sia
la depressione che l’eccitamento maniacale sono quasi dei tentativi di trasformazione analoghi a delle
tecniche di trasformazione dello stato mentale realizzato in maniera diversa. Vi porto l’esempio di una
persona pesantemente sofferente di eccitamento maniacale a cui proposi, assieme ad un’ infermiera, delle
tecniche mutuate dalla ‘dinamica ‘ di Osho. Nel provare se saltava si scoprì che l’unica maniera a cui lui
rispondeva bene erano gli urli. Si urlava e si saltava tutt’e tre per circa mezz’ora, finchè fu lui stesso a
fermarsi e stette bene. Questa esperienza non l’ha guarito definitivamente (ha avuto delle ricadute alcuni
mesi dopo), ma ha prodotto un’interruzione dell’episodio senza ausilii farmacologici. E’ interessante,
perché si è creato la prescrizione paradossale del sintomo (invece di invitarlo a star calmo e fermo lo si
incitò ad urlare) e poi lo si fece assieme a lui, per cui si creò un contesto che si armonizzava con il suo
stato e, infine, si aiutò a compiere quel processo che in lui era spontaneo, quello dell’eccitazione. E’ una
tecnica simile a quella delle danze estatiche o dei tarantolati che se portata a termine la persona realizza
un suo percorso. E’ una terapia omeopatica, anzi psico-omeopatica. Come nel depresso che va bene il
maternage o rapportarsi con musiche calme, con lui andava bene entrare in questa ‘danza estatica’
comune. Non è semplice, perché bisogna individuare caso per caso la modalità in base a quello che il
paziente sente e crearlo con lui. Bisogna creargli un contesto in cui urlare insieme vuol dire vivere in sé
un’esperienza profonda. Ripeto nell’ECCITAMENTO MANIACALE, dietro tutto questo ridere e parlare
e scherzare incontrollato c’è un fondo di sofferenza e di solitudine profonda. Chiaramente non è facile
farlo, è un sistema che richiede strutture adeguate (tipo stanze sonorizzate), ma alla fine si possono
ottenere dei buoni risultati
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LA SCHIZOFRENIA: ALLUCINAZIONI E DELIRI
Passiamo ad un altro quadro: la SCHIZOFRENIA. Dal greco significa mente divisa o mente dissociata.
Alla base della schizofrenia c’è un distacco dalla realtà. Voi pensate al povero animale che si diceva
prima, che si trova in balia di una minaccia terrificante, non può combattere, non può scappare e ad un
certo punto crolla. Nel mondo di oggi non siamo più nelle condizioni dell’animale primitivo in cui il
pericolo era dato dall’animale che ci minaccia. E’ raro ritrovarci in queste situazioni, tranne in guerra o
attacchi terroristici. Quotidianamente, però, viviamo una miriade di microminacce: la minaccia
dell’esame, la minaccia del professore, del padre, dei compagni che ci giudicano, del capoufficio.
Viviamo il rischi di non essere compresi, di essere disprezzati, di perdere la stima; sentiamo l’ostilità, la
diffidenza, la vergogna, il rifiuto, l’indifferenza degli altri. Viviamo continui attacchi che a volte ci
suscitano rabbia, quindi reagiamo, a volte paura e allora andiamo in ansia; a volte ci sentiamo tristi e
incompresi, soli e allora andiamo in depressione; a volte reagiamo facendo gli spiritosi, atteggiamento di
tipo maniacale. Vedete che queste patologie in fondo le vivono tutti, solo che nelle malattie acquisiscono
un’eclatanza maggiore. Nella schizofrenia si stacca. Si staccano i contatti dal mondo reale, come se di
fronte a questo mondo tremendo che ci minaccia, ma che può essere anche il frutto di tante minacce che
ci succedono dall’infanzia. Ad un certo punto si stacca., come l’animale di fronte all’altro animale che lo
minaccia e crolla. E lì si perde il contatto con la propria mente.
Allora, se l’io non controlla più i propri pensieri, cosa succede? Cosa succede in un’orchestra se manca
un direttore d’orchestra. Ognuno suona gli strumenti senza ascoltare gli altri e anziché una sinfonia si
realizza una cacofonia di suoni in conflitto fra loro. Questa è la schizofrenia. Nella schizofrenia abbiamo
un’incapacità di entrare in contatto con gli altri. Il soggetto è chiuso, artistico. Il pensiero è dissociato,
cioè le frasi sono sconclusionate, senza senso. Nelle forme più gravi c’è la cosiddetta SCHIZOFASIA,
cioè linguaggio dissociato. Oppure ci può essere la cosiddetta PARANIMIA, cioè esprime le emozioni in
contrasto con quel che dice.
Un altro sintomo tipico della schizofrenia è il DELIRIO. Il delirio è una convinzione errata di cui il
soggetto è estremamente e saldamente convinto, una convenzione errata in cui il soggetto è saldamente
radicato e che non recede né alla critica né alla dimostrazione del contrario. Ad.es. uno dice di essere
angosciato, perché ci sono tutti gli agenti della CIA che si sono alleati con Putin e il KGB e gli vogliono
fare la pelle. E vede in qualsiasi situazione e oggetto la prova del complotto e della persecuzione. E in
tutto questo c’è una grande sofferenza.
C’è una differenza tra il DELIRIO PARANOIDE e la SCHIZOFRENIA. Nella schizofrenia c’è la
dissociazione delle idee, paranimia, insalata di parole,chiusura autistica, comportamenti bizzarri,
atteggiamento un po’ incongruo. Lo schizofrenico si nota subito. Nella paranoia c’è un delirio cronico,
lucido, sistematizzato, incistato, in assenza di altri sintomi. Il paranoico, però, ha conservato ancora una
buona struttura della personalità, per ci è difficile sgamarlo. Lui è convinto di ciò che pensa e dice ed è
difficilissimo smantellarlo.
Sapete quanti paranoici sono fra noi che non ce ne rendiamo conto? Un delirio recente è il delirio da
Ecelon è il satellite che si dice che controlla tutti i computer. C’è gente che ha sviluppato dei deliri su
questo e pensa ad esempio “Tutte le volte che accendo il computer si mette in contatto con me, perché sa
che io non la penso come Bush. Sicuramente mi hanno individuato. Quindi se io scrivo una cosa mi
perseguitano, per cui io non posso collegarmi con internet. Dal satellite riescono ad osservare tutti i miei
movimenti.” Se avete un ricevitore satellitare in automobile vi accorgete che in ogni momento vi dice
dove siete, che strada dovete prendere. Quindi, si sviluppano con facilità questi deliri. Una volta c’erano
le streghe, i fantasmi, c’erano gli agenti segreti e a seconda del contesto culturale sviluppavano i loro
deliri persecutori. Bene, questa è la PARANOIA che è una forma di psicosi, perché c’è una alterazione
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profonda nei confronti della realtà.
Ritornando alla SCHIZOFRENIA ci può essere un delirio di tipo paranoico, ma in genere è meno
strutturato. Mentre un paranoico vi dirà tutto e vi porterà le prove, lo schizofrenico non sarà così
strutturato. Quindi il paranoico è mentalmente è una persona integra, però c’ha questo delirio. Al di fuori
di questo delirio (per questo è incistato, e come se avesse una ciste del pensiero), è una persona
normalissima, spesso intelligente, brava, di compagnia. Se, però, vai a toccarle quel tasto, lì lo disturba.
Poi, un altro sintomo tipico della schizofrenia sono le ALLUCINAZIONI. Le allucinazioni sono
percezioni di oggetti o situazioni che non esistono e che il soggetto è convinto che siano reali. Possono
essere allucinazioni visive, uditive, tattili, gustative. Le allucinazioni sono le percezioni senza oggetto. Le
più frequenti sono quelle uditive. Tipiche sono le voci che commentano i suoi atti. E’ come se fosse il
pensiero che commenta me stesso, ma è un pensiero sonorizzato, come se fosse una voce. Sente la voce:
“Sto camminando, sto parlando, ecc.” oppure sono voci che criticano se stesso: “Guarda che scemo che
sei, guarda che non sei all’altezza etc.”
Quindi voci svalutative, voci offensive. Oppure sentono voci che colloquiano fra loro, il buono e il
cattivo, l’angelo e il diavolo, o delle persone che parlano con altre persone. Per il delirante le voci sono
sempre esterne e quindi non è lui che se le immagina, ci sono e se ci sono qualcuno gliele manda. Allora
c’è qualcuno che lo perseguita con le voci: “Mi mandano le voci perché ce l’hanno con me, perché mi
vogliono offendere, perché mi vogliono trattare male.” La persona si sente oppressa e assillata da queste
voci. Poi, ci possono essere le allucinazioni visive: uno vede il diavolo o la Madonna, ma sono più rare.
Oppure quelle olfattive, sente gli odori. Quelle più tipiche sono quelle uditive. E’ chiaro che come
counselor non potete prendere un caso di schizofrenia. Per un caso di paranoia, se vi chiede di fargli un
massaggio va bene, ma non altro. Ecco, direi che i principali quadri psicopatologici li abbiamo fatti.
La patologia non è mai così netta dalla realtà. Ad esempio prendiamo il DELIRIO, si fa presto a dire il
giudizio errato di realtà, ma chi lo decide che è sbagliato? D’altronde, come sono nati i santi? Uno ha
cominciato a dire ‘vedi, lui mi ha fatto il miracolo e mi ha guarito’. I santi sono nati dalle convinzioni che
gli altri avevano di essere stati guariti o miracolati da qualcuno. Può essere anche vero, però è anche vero
che io ho conosciuto lei e il suo contatto mi ha creato un qualcosa che mi ha fatto star bene. Però, se lei è
devota della Chiesa cattolica può esser fatta santa, ma se fosse una dedita ad altri culti secondo la Chiesa
cattolica non è più santa. A questo la domanda è ‘è lei che mi ha fatto guarire o sono io che grazie alla
relazione con lei ho attivato un percorso di guarigione in me?
Quindi è delirio o non è delirio? Questo vi dico perché dietro il delirio ci sono tante cose. E’ chiaro che i
deliri nella loro grossolanità sono evidenti. Uno dice: “C’è una trama che mi vogliono ammazzare eppure
il sono il capo del mondo”. Però, cosa c’è sotto: c’è il bisogno di dire che valgo qualcosa, ho il bisogno di
affermare me stesso? I deliri ci parlano, per cui forse se li ascoltiamo seriamente il delirio si destruttura.
Di fronte a un delirio ci sono due atteggiamenti sbagliati: uno è quello di rinforzare il delirio dandogli
ragione. L’altro ragionamento opposto è quello di dargli torto. In entrambe i casi è sbagliato. Un’altra via
consiste nell’accogliere la sofferenza che sta sotto senza entrare nel merito del delirio. Il delirio è la
copertura di qualcosa che sta sotto. Es.: “la gente ce l’ha con me, vuole farmi la pelle.” “Certo che nelle
condizioni in cui ti trovi devi sentirti molto angosciato”. Dicendogli questo non entro in merito al delirio,
non gli dico se ha ragione o torto. Per il delirio non funziona, quello è un suo mondo, una sua creazione,
ma l’angoscia che mi trasmette è quella con cui posso entrare in contatto. E lui si sente accolto nella sua
angoscia e non ha più bisogno di usare il suo delirio per esprimerla. Così tolgo potenza al delirio
altrimenti lo rinforzerei. Il delirio è una costruzione immaginativa per dare un senso alla sofferenza che
uno sente. Ma tutti i costrutti teorici sono così. Quando io dico “esiste la meditazione, esiste la cosa che
do per scontato”, sono costruzioni della mia mente. Però è una verità e resta verità fintanto che è
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condivisa da chi è partecipe di un certo modo di pensare. Oppure quella costruzione della mente se è
confermata da più persone diventa verità. Ma alla fine è un delirio questo o è una convinzione
culturalmente indotta? È una convinzione culturalmente indotta, è un costrutto culturale e quindi non è un
delirio.
Importante è vedere queste cose anche con un po’ di umorismo, non su chi ci soffre, ma su di noi. Noi ci
si casca su queste cose e non ci rendiamo conto. Quindi, è importante avere sempre questa elasticità
mentale e rendersi conto che le nostre verità non sono assolute e avere maggiore comprensione e
accettazione per la verità dell’altro.
Ampliamenti al riconoscimento e trattamento delle patologie
Nitamo MONTECUCCO
Dopo aver ampiamente parlato delle forme patologiche, amplieremo con la descrizione di come si fa a
riconoscerle. E una volta riconosciute potete lavorarci. Dove, come, quando? O non potete lavorarci.
Aggiungeremo quelli che sono gli elementi pratici, tecnici della psicopatologia. Una premessa. Voglio
ricordare che come psicopatologie noi indichiamo degli stati che sono “scompensati”. Tutti noi abbiamo
dentro gli elementi dell’ansia, l’angoscia, fobie, ossessioni, psicosi, nevrosi, compulsioni, depressione,
però riusciamo a compensare. Abbiamo una struttura di sopravvivenza, di identità, di lavoro, di stabilità
che ci permette di vedere questi elementi, percepire il momento di sbilanciamento, ma anche di superarlo.
Quindi anche di minimizzarlo. Può capitare di vivere per qualche settimana in depressione, con fobie, ma
poi la nostra struttura riesce a superare. Quindi in questo caso non parliamo di patologia, ma di momenti
tristi, difficili. Immaginiamo che questi momenti diventino tragici, dove una forma che noi abbiamo
sperimentato in uno stato leggero, in uno stato dove comunque avevamo un’identità, una struttura che
riusciva a contenere questa forza maligna che esplodeva attraverso di noi, ora tende all’esubero. Non
riusciamo più a contenerla. E andiamo in crisi, in un momento “patologico”. Quello che ci interessa in
questo momento è: se una persona entra in un momento difficile della propria vita, e viene da voi perché
non ha voglia di andare dal proprio medico o da uno psichiatra o da uno psicologo perché non si sente
pazza, ma si rivolge a voi perché siete un aiuto umano. Lo scopo dell’incontro è quello di sviscerare un
pochino quello che voi potete fare. Il caso più comune che vi capiterà sono le depressioni. Di depressioni
ce ne sono tante, sono state codificate. Per depressione s’intende un momento di down psicofisico, dove
abbiamo un elemento caratteristico che è un buco sul cuore, un buco di amore che porta immediatamente
ad un buco più esteso, al senso del valore della vita. La vita non è più piacevole. Non abbiamo più gioia
nel fare le cose, ci chiudiamo, ci introflettiamo. Quindi la depressione è facilissima da riconoscere: la
persona è triste, demotivata, svuotata. Ve ne accorgete anche se la persona non ve lo dice. E potete
chiederglielo in modo leggero: “signora lei ha qualche momento di depressione?”. La depressione prende
tutti i tipi di persone, in particolare gli orali, dove è anche facilmente intuibile. Accade a tutte le categorie,
ai rigidi, ai masochisti, agli psicopatici. Perché nel caso di un abbandono tutti possono entrare in un tratto
orale, oppure hanno una defaillance sessuale, economica, un lutto, e si cade nella depressione. Che viene
vissuta in modi diversi, con sopportazione o tragicamente. Possono essere momenti passeggeri e leggeri,
o brevi e molto forti, ma comunque il tratto distintivo è un cuore che soffre. La persona avrà
proporzionalmente meno desiderio di vivere. Quelli più sani, che voi sicuramente potete trattare, sono
quelli che comunque tengono il cuore aperto. La depressione non la consideriamo una malattia, ma un
momento in cui non stiamo più vivendo la nostra vita. Possiamo anche vivere una vita falsa, e falsamente
ci dà uno scopo, per cui ad esempio, una personalità molto narcisista ha lo scopo di farsi amare. E fin
quando succede va benissimo. Molti vanno in depressione perché si sono resi conto di avere addosso
questo comportamento, e non lo riescono a sostenere, non sanno neanche cosa fare, non sanno dove
andare. Cambiano ma hanno paura, non sanno cosa fare, vivono con una tremenda paura di qualsiasi cosa
possa succedere.
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Il punto critico su cui voi potete immediatamente andare è:
la persona ha un cuore aperto? (un depresso ha un cuore aperto se piange, chiuso se nasconde e tace).
Se la persona ha un cuore aperto o comunque ha un cuore e lo sente e vi dice che sta male e vuole uscirne,
ha bisogno di un aiuto, voi potete fare meditazioni, la respirazione di Atisha per aprire il cuore. Potete
fare qualche massaggio, ascoltare per lasciar sciogliere le tensioni. Con presenza, empatia, meditazione,
già si può migliorare e aiutare veramente. Si può fare il processo della disidentificazione, cioè fare
domande alla persona per farlo staccare dal problema, per farglielo vedere dall’esterno. “Va bene questo è
il tuo problema, ma tu chi sei? Cosa vuoi? Qual è il tuo sogno? Lascia una porta aperta!”. Se sentite con
la persona un contatto di cuore, se la persona ha ancora un punto positivo, che capisce che è ammalata ma
ha un cuore per uscirne, per cambiare, allora il lavoro è relativamente possibile. Quando invece vedete
una persona che ha un cuore chiuso, sta male ma non vuole né chiede un aiuto, vuole ad esempio solo un
massaggio, fategli il massaggio e non dite nient’altro. Ed il contratto con lei è fare un massaggio per
rilassare schiena. Se vuole continuare a venire per il massaggio, va bene, vedrete che dopo può accadere
che si vada a parlare della sua depressione. In questo caso voi potreste suggerire alla persona di andare da
un psicoterapeuta, perché non dire niente significa che potete aiutarlo solo col massaggio. Non è un
consiglio che gli date, una proiezione, ma una cosa tecnicamente doverosa, non dire nulla è un’omissione
di soccorso. Perché dalla depressione, se non si trova una soluzione, si arriva alla morte. La depressione
può essere aperta, agevolata in mille maniere. Essenzialmente la depressione è un momento in cui la
persona non ha strumenti per uscirne. Voi potete dare alla persona gli strumenti anche solo suggerendo
dei libri da leggere, facendo insieme una meditazione, o suggerendo strutture o gruppi terapeutici (primal,
gruppo sulla paura) che possono aiutare in problemi di relazione, d’infanzia, di paura. Aprite così una
porta amorevole, lasciate che il suggerimento arrivi.
Nella medicina cinese la depressione è vuoto di cuore e milza e spesso fegato-reni e primo chakra; quindi
significa che ci sono sistemi pieni di energia ma staccati. Il cuore ha una situazione di grandissimo dolore,
parliamo di mancanza d’amore, il cuore in realtà può essere anche super pieno e vedrete la persona
pletorica (cioè rossa, paonazza, calda) quindi in depressione in uno stato di pienezza. Ma il cuore come
emozione, non come fisica ed energia, è in spazio di vuoto, gli manca l’amore, gli manca il senso
dell’anima. La depressione è una malattia dell’anima.
Una seconda struttura che invece è estremamente più difficile da vedere e da curare è la sindrome
maniaco-depressiva. La depressione associata alla mania è la cosiddetta depressione bipolare. Ed è molto
più complessa. C’è dietro una serie di traumi estremamente più articolati. Perché la persona passa a cicli
da un vuoto di milza all’eccesso di fegato, e quindi da cuore chiuso e che non vive più l’amore, ad un
canale maschile (I-III-IV chakra) iperattivo, con iperattività mentale, fisica, sessuale. Passa da un orale
svuotato di energia ad un psicopatico in eccesso che si sente padrone del mondo e ne combina di tutti i
colori. E’ molto difficile da curare. In questa situazione non potete entrare, non mettete neanche una
parola.
BORDERLINE
Roberto SASSONE
Come si fa a riconoscere un borderline? Il termine significa “linea di confine”. Diffidate di una persona
che non è in grado di sostenere lo sguardo, diffidate di una persona che manifesta continuamente, anche
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nel suo modo di pensare, una mancanza di contenuti, vaga col pensiero, che oscilla come se non avesse
mai un punto fermo, una chiarezza. È interessante anche vedere quanto gli occhi sono allineati nello
sguardo o quanto un occhio guarda e l’altro no, se uno ha un po’ di attenzione può vedere uno sguardo
che non è capace di convergenza, un indizio di una possibile situazione di borderline. Il borderline è
molto diffuso tra i giovani, vi è una tendenza sempre maggiore dei nostri ragazzi a sviluppare una
personalità borderline. Perché il tipo di educazione che in qualche modo passa come educazione
libertaria, in realtà è un tipo di educazione in cui non esistono punti fermi. Il borderline è caratterizzato da
una grossa mancanza di struttura del super io, e non avendo punti fermi, tende a oscillare nelle emozioni,
a oscillare nelle scelte, con progetti fumosi. Si scompensa facilmente, non entra in una crisi psicotica vera
e propria ma non ha solidità sulle gambe, è sempre in un equilibrio delicato. È destrutturato,
incongruente. È un giovane che non si impegna in nulla, non concretizza niente, che non sente l’esigenza
di avere una stabilità, vive senza la proiezione nel futuro, senza immaginare una continuità nella propria
vita. E’ portato alla droga, e a tutte quelle situazioni di vaghezza, senza avere regole, senza un senso di
disciplina.
Il rischio del borderline è che può sviluppare una nevrosi di compensazione. Ricordate le strutture
caratteriali e provate ad immaginare che una struttura del carattere che uno vede e identifica, non affonda
le radici realmente in una storia personale ma è semplicemente la copertura per inventarsi una solidità che
nasconde invece questa rarefazione che sta dentro. Più pericolosi sono i borderline con copertura. Se a voi
operatori capita, facendo una respirazione profonda o delle tecniche liberatorie e catartiche, di smontare o
creare un varco in questa struttura nevrotica che però è utilissima perché contiene sotto il nucleo psicotico
del borderline, il borderline scoppia.
Nitamo MONTECUCCO
Vi faccio un esempio per farvi comprendere meglio. È arrivata qui al villaggio una ragazza, con un dolore
sul cuore gigantesco, non aveva alcun punto fermo. Ascoltarla dieci minuti ci ha sconvolti, ci ha
succhiato un’enorme quantità di energia. Era in piena crisi psicotica. È stata poi ricoverata e curata con
una gran dose di psicofarmaci. Aveva fatto una pratica sciamanica, che Iodorosky aveva insegnato ad una
persona e questa persona l’aveva fatta fare a lei. Lei aveva paura, era comunque una persona al limite,
tesa e con varie problematiche. Aveva dato messaggi chiari, non voleva farlo. Ma quest’uomo le ha fatto
fare la seduta, contravvenendo alle più elementari regole precise, mandandola fuori di testa. Non si può
lavorare usando tecniche forti, senza aver studiato a fondo o aver avuto una supervisione, con persone che
non si conosce, si rischia di rovinarle la vita.
Roberto SASSONE
Un soggetto così ha bisogno di avere un punto fermo. È un soggetto da strutturare e non da destrutturare.
Non bisogna farlo lavorare sulle emozioni. Perché lui è sfrangiato, se uno potesse vedere l’aura di un
borderline la vedrebbe sfrangiata. Quindi lavorare su un punto fermo, e ognuno può farlo a suo modo, e
fare da contenitore, ognuno a suo modo, è un indicazione possibile per un borderline. Penso che debba
essere seguito da un terapeuta più attento, perché può essere pericoloso.
Nitamo MONTECUCCO
Ribadiamo il concetto che un operatore-counselor olistico non destruttura. Nella fase del lavoro del
negativo aiuta a sciogliere gli elementi negativi, aiuta sul lavoro dell’identità, attraverso processi di
meditazioni e disidentificazione, ma non va a destrutturare. Anche il processo di disidentificazione lo fa
lavorando sul positivo, non sul negativo. Non dice “molla tutto così andrai bene” buttando giù la corazza
della persona, che è uno schermo sotto il quale non c’è nulla, perché questa collassa.
Il nostro lavoro consiste nel lavorare sulla parte sana. Depurare, disintossicare la mente, le emozioni, ma
sempre lavorando con estrema delicatezza e solo quando la persona dice “sì, voglio, consento, libero
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questo pianto”. Voi lo ascoltate, senza spingere a fare, a liberare, perché altrimenti forzate la
destrutturazione di una persona. Magari questo pianto non è ancora il momento di essere tirato fuori.
Magari questo pianto trattenuto ha dentro un dolore così grande, che se voi incitate a liberare la rabbia e il
pianto, crolla il sistema.
Faccio un altro esempio da cui io ho imparato tantissimo, è stato un mio errore terapeutico. Una volta è
venuta da me una psicologa. È venuta fuori la mamma, con sotto una rabbia enorme. Ed io, sbagliando
non solo come counselor ma anche come psicoterapeuta, mentre lei sentiva tutta questa roba a cui non
riusciva a reagire, e confidando sul fatto che era psicologa e quindi che aveva fatto un lavoro su di sé, le
ho detto di tirare fuori la rabbia, di dire ciò che sentiva per sua madre. Spingendola a liberarsi. Lei ha
tirato fuori la rabbia, ha detto brutte cose a sua mamma, e dopo era in totale crisi d’identità. Non si
ricordava più chi era. È stata 2-3 ore in completa assenza. Quindi aveva una struttura di copertura che io
spingendo ho fatto crollare. Sotto c’era una fragilità estrema.
Ora non spingo più, è il paziente che deve arrivare a tirar fuori solo quello che sente. Quindi se un
paziente viene da me, come counselor olistico, non curo la crisi di panico o di psicosi, attraverso tecniche
dolci aiuto a rilassarlo e a lavorare sul positivo ma mai sul negativo. Non spingo le emozioni, non creo un
consiglio drastico sul cambiamento della tua vita, perché mi aspetto che tu lo faccia. Qualsiasi cosa capiti,
voi non avete realmente fatto niente, siete assolutamente puliti. Se una persona mi dice che non se la
sente, che ha paura, non dico va bene vai avanti e vedi, le dico fermati, cosa senti, di cosa hai paura. Se è
una paura mentale (non voglio perché poi perdo il treno) potete andare avanti e aiutare a sciogliere, ma se
è una paura più profonda, fermate. Se durante una meditazione in gruppo una persona va in panico, la fate
fermare e la fate venire vicino a voi, o la accompagnate fuori. Se il gruppo dovesse essere piccolo, e la
persona troppo coinvolta, per una volta potete fermare il gruppo e lavorare insieme su una paura.
Immaginatevi una cosa: in tutto il mondo da circa 40 anni si fa la dinamica, e non si è mai verificata una
crisi di panico, una crisi psicotica. Perché è una tecnica fisica, ti scarica e non ti carica. L’unico caso al
mondo, una persona è morta durante la dinamica ma perché era malata di cuore e nessuno lo sapeva.
Mentre con la tecnica del respiro tante persone sono andate in crisi psicotica. Lo scorso anno c’era un
ragazzo borderline (per me è psicotico) che seguivo con attenzione, ma poco dopo l’inizio dell’accademia
sua madre lo ha bloccato e mandato da uno psichiatra che lo ha imbottito di farmaci. Questo per essere
chiari sulla situazione che c’è dietro, che a volte è pazzesca. Questo ragazzo è diventato psicotico perché
ha fatto un corso in un centro Osho nelle Marche, dove non solo gli hanno fatto fare delle respirazioni
pesantissime, ma quando lui diceva “ma no, io sento così” pur avendo visto palesemente che aveva una
struttura di carattere molto rigida, gli hanno anzi detto che per diventare qualcuno, per avere un ego più
forte doveva fare le respirazioni anche nell’acqua gelata, lui si è fatto delle violenze pazzesche che lo
hanno mandato fuori di testa. Gli hanno potenziato quello che la mamma gli aveva dato. Questo per
ribadire che se lavori male con una tecnica corri seri rischi. Noi non vi insegniamo tecniche pesanti, ma
grande attenzione e contatto empatico. Dovete sempre stabilire un contatto col cuore, in caso non
riusciate ad averlo, non lavorate. Se sentite che vengono da voi e vi dicono un’altra cosa tipo “sono
venuto per dimagrire, oppure voglio fare un’esperienza perché ho letto una cosa”, ma non dicono chi sono
veramente e cosa sentono, non si aprono, non lavorateci. Dite che prima di ogni cosa bisogna fare
un’apertura del cuore, avere un contatto diverso. Quando le persone sono resistenti – a volte hanno anche
ragione ad esserlo perché hanno dei nuclei nevrotici forti o nuclei psicotici controllati – non lavorate. Se
invece una persona è in una situazione pessima ma tiene un buco al cuore, dategli aiuto. Gli dite con
chiarezza “non stiamo curando la patologia, ma stiamo aprendo il cuore, può essere utile”.
Se vi capita una persona a cui fate fare un massaggio o una respirazione e comincia a fare delle cose
emotivamente strane o sconnesse, rallentate, fermate. Voi capite che questa persona ha una struttura che
non ha un contenimento, il super io di contenimento. Se uno psichiatra vi manda una persona che non
guarda negli occhi oppure che continua a guardarvi negli occhi, lo psichiatra si occupa del fuori di testa
mentre voi lo fate rientrare nel corpo, gli fate sentire il proprio corpo. La prima cosa che serve è il
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contatto col corpo, massaggi, balli.
Roberto SASSONE
Semplificando vorrei dire che al di là dei segni indicativi la persona comunemente nevrotica, cioè che ha
una serie di problematiche, è la persona che noi siamo, cioè non si sente la percezione dello strano o
dell’estraneità. Una persona che ha problemi di abbandono, di angoscia, che sono poi i problemi di una
storia difficile, ma manifesta comunque una normale umanità, cioè una forma di pensiero identificabile
nella comunicazione, si riconosce facilmente, cioè uno non sente la diversità. Non c’è neanche bisogno di
fare una diagnosi, al primo gesto si vede che quello è “strano”, perché non parla come parlano tutti, non si
muove come tutti, non è la persona con la difficoltà, senti che il codice cambia. È facile notare, ci si
accorge subito, ed è lì che deve scattare il campanello d’allarme, se realmente è il caso di prenderlo.
Perché prenderlo può significare entrare in situazioni che poi uno potrà rimpiangere, perché con queste
persone si possono creare dei rapporti molto stretti, cominciano a chiedere e ad arrabbiarsi se non dai. Ci
si può trovare in una spirale difficile interrompere. Quindi non bisogna solo chiedersi “sono in grado di
prenderlo” ma “vale la pena di prenderlo”.
Nitamo MONTECUCCO
È un discorso delicato. Qualche anno fa è arrivata una ragazza che mi ha mandato uno psicologo di
Firenze, dicendomi che era una situazione di ossessione, di compulsione. Io l’ho vista e siamo riusciti ad
avere mezz’ora di colloquio normalissimo. Fino a quando, improvvisamente, le è scattato qualcosa. Mi
disse che ne aveva già parlato con lo psicologo e non me ne voleva parlare. L’ha ripetuto più volte,
ovviamente voleva raccontarmela ma dentro non voleva. Ad un certo momento l’ho invitata ad ascoltare
quello che stava succedendo, stava tirando fuori un elemento pur continuando a dire che non voleva
parlarne. È uscito un delirio, che lei era cattiva, che la mamma la accusava, che lei non aveva una vita,
aveva fobie anoressiche. Mi ha chiesto col cuore di aiutarla, io le ho detto di sì. Nel giro di due sessioni
non migliorava, e anzi ho capito perché lo psicologo me l’aveva mandata: tanto più io cercavo di entrare
nel lavoro positivo, tanto più lei tirava fuori l’ossessione di non andare bene, di essere negativa. Mi
accusava di volerla mandare in clinica. Mi tempestava di telefonate, e se non rispondevo mi accusava di
abbandono. Un caso difficile, era in situazione psicotica, per cui le ho detto di lavorare in un certo modo,
con una certa logica, ero un uomo con una certa energia, forse ci voleva una donna con molta più
pazienza che lavorasse su tempi più lunghi. Sentivo di non avere l’energia giusta per lei. Abbiamo così
interrotto, consigliandole di andare in clinica.
ooooOOOOOoooo
L'ENNEAGRAMMA: RELAZIONI E DIALOGO DELLE VOCI
Prof. Enrico CHELI
Oggi ci occuperemo di relazioni interpersonali. Useremo l’Enneagramma che è uno dei metodi per
comprendere le dinamiche interpersonali partendo dalla personalità. Non vorrei darvi solo questa visione
anche perchè gli scopi di questa settimana è quello di darvi una panoramica dei vari metodi, per cui non si
potrà approfondire alcun metodo. Importante è, però, che riusciamo a mettere a fuoco alcuni punti su cui i
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vari metodi concordano anche se sono nati in luoghi ed epoche storiche molto diversi. Ad esempio
l’Enneagramma sembra che sia un metodo antichissimo, portato da Gurdijeff all’inizio del ‘900 e che i
Sufi utilizzavano da secoli o millenni. Altri metodi sono nati nel XX° sec. con lo sviluppo della
psicologia occidentale e da autori che nemmeno sapevano che esistesse l’Enneagramma e che, però, sono
arrivati a conclusioni simili. Quello che vorrei fare è mettere a fuoco i punti centrali e poi andare al
metodo. I punti centrali siamo noi. L’Enneagramma parla di noi, parla della differenza dell’essenza e
della personalità, parla di come si costruisce la personalità durante l’infanzia. Ci aiuta anche a capire
come differenti personalità entrano in conflitto oppure in armonia. Un altro metodo. invece, è la
psicologia analitica di Jung che partendo da altri presupposti per alcuni aspetti arriva a conclusioni simili.
Ognuno di noi durante l’infanzia sviluppa delle zone d’ombra, o meglio, sviluppa delle zone di luce,
mentre le altre non le sviluppa. Alcune zone di noi rimangono del tutto ignote pur essendo presenti nella
ns. potenzialità: rimangono inesplorate, peggio ancora, represse.
Un altro metodo ancora è il Dialogo delle voci che parte da una base indiana e poi sviluppa il discorso in
maniera molto più dinamica e interpersonale. Secondo questo metodo ognuno di noi ha una personalità
molteplice che è composta da sub-personalità. Quindi, il mito dell’uomo tutto d’un pezzo che molti anni
fa era molto sentito in occidente, è un mito del tutto privo di fondamenta. Non esiste un uomo tutto d’un
pezzo e non esiste una donna tutta d’un pezzo, o meglio, può esistere in maniera innaturale se l’essere
umano forzando e reprimendo certe parti di sé, fingendo, ecc. può sembrare esteriormente di essere tutto
d’un pezzo. Dentro, in realtà, nessuno lo è: tutti noi abbiamo molte sub-personalità. Una facile confusione
legata molto al cinema di una certa divulgazione della psichiatria un po’ sensazionalistica - si parla di
personalità dissociata o di doppia personalità - ci fa venire in mente ad esempio Dr. Jekill e Mr. Hyde
questi personaggi psicopatici. Quindi, appena parliamo di una personalità multipla pensiamo ad una
patologia. In realtà non è così. Di una personalità alcune sub-personalità ci sono note, altre ci sono ignote.
Nel mondo molto semplice del dott. Jekill il discorso era semplificato: una personalità era nota e l’altra
era la sua ombra. In realtà noi abbiamo anche dieci note e altrettante in ombra. L’aspetto psicopatologico
si innesta nel momento in cui la forza della repressione è talmente alta che sulle personalità represse si va
a impuntare una grandissima quantità di energia. Il dott. Jekill viveva in una società vittoriana molto
repressiva sulla sessualità, sulla trasgressione. Di conseguenza tutte queste energie andavano a convergere
in un’unica sub-personalità ed ecco che lì si innescava una patologia.
Nel passato e’ stata molto comune la patologia degli indemoniati. La tratta anche Aldous Huxley nel suo
libro “I diavoli di Loudun” da cui è stato tratto un film di Ken Russel, dove un intero convento di suore
diventa un nido di indemoniate. In realtà, è semplicemente la loro energia sessuale repressa e attivata da
un prete giovane che fa innamorare una dietro l’altra le varie suore che, però, non possono ammettere a se
stesse di essersi innamorate di un prete. Ecco che le loro forti energie sessuali fuoriescono sottoforma di
deliri da indemoniate: si buttano per terra, si strappano le vesti, si denudano, dicono oscenità dando così
sfogo alla loro sessualità repressa. Era l’unico modo in cui potevano esprimere questa energia. Il nostro
inconscio cerca delle vie d’uscita e siccome queste energie sono molto potenti possono andare in due
direzioni: o esprimersi o retroflettersi. Se si esprimono dipende dal contesto sociale. Nell’800 l’unico
modo di esprimere quel tipo di energia era appunto o svenire o il delirio delle indemoniate. Oggi la cosa è
molto più libera, anche se non del tutto.
L’altra modalità è di dirigere queste energie contro noi stessi e sono alla base di tutte le malattie
psicosomatiche. Un organo viene eccessivamente caricato di energia o indebolito e si crea un corto
circuito. Pensate ad una persona identificata come un/a bravo/a ragazzo/a che ha una forte rabbia dentro e
non deve esprimerla, per cui comincerà a manifestarla sottoforma di tensioni muscolari, di digrignamento
dei denti, tensioni diaframmatiche ecc. che a lungo andare potranno creare delle patologie fisiche o
psichiche, compresi gli attacchi di panico.
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Un'essenza tante personalità
Detto questo facciamo un po’ di ordine. Intanto fissiamo il concetto base che è questo: la personalità è
molteplice e dentro di noi ci sono tante potenzialità, tante energie diverse, tanti desideri diversi. Cosa
succede quando una molteplicità come questa è immaginata come tanti semini diversi di una pianta?
Ognuno di noi ha un corredo di semi, dove alcuni sono uguali per tutti - tutti abbiamo la pulsione
sessuale, la sopravvivenza, la propensione al contatto con gli altri- e poi una serie di semi peculiari. C’è
chi ha più movimento motorio, artistico, musicale o chi è più di cuore, emozionale ecc. Già nei neonati
notiamo alcune differenze: chi è più estroverso, chi è più vorace, chi mangia poco, però, il grosso delle
differenze si vede man mano che crescono, perché questo pacchettino di potenzialità comincia a
scontrarsi con il terreno di coltura. Non tutti i semi che vengono seminati germogliano. Dipende dal tipo
di terreno, da quanto vengono annaffiati e da quanto sole ricevono.
Nel mio modello il sole è l’amore, la luce, l’amore consapevole, l’acqua sono le emozioni e il terreno è il
corpo. Questi sono i tre fattori che influenzano la crescita di questi semi. Questi semi sono il corredo
dell’essenza, ciò che ognuno di noi è l’essenza al momento della nascita. Le essenze non sono uguali per
tutti. I punti comuni che valgono per tutti noi sono: la voglia di sopravvivere, il bisogno di dare e ricevere
amore, il bisogno del contatto fisico, il bisogno di interazione sociale.
L’essenza comincia a confrontarsi con il terreno che è la società in cui viviamo e la cultura della nostra
famiglia: una famiglia bigotta, atea, comunista, apolitica, rigida, flessibile, impegnata verso i figli,
permissiva, che tipo di padre c’è, che esempi danno i genitori ecc. Tutto ciò è molto importante, perché
rappresenta le tre variabili menzionate prima: il calore che è il sole - la famiglia sostiene i figli?
Comunicano il loro amore ai figli? Glielo fanno sentire? E quanto? Ci sono tanti figli? Perché più figli
sono più l’amore viene ripartito: una buona regola sarebbe che ci fossero un adulto per ogni bambino e
possibilmente con genitori attenti e capaci di dimostrare amore, perché non basta pensare di amarli.
Pensate alle famiglie dove c’erano 8, 10 figli con un adulto solo, la madre, che doveva dividersi.
L’amore
Quindi quello che conta è l’amore che veramente si riceve, non soltanto l’intenzione. Certamente c’è
anche la qualità di questo amore, un amore di alta qualità che nutre. Molto spesso noi chiamiamo amore
ciò che amore non è, bensì è possessività, dipendenza e altro. Il bambino ha bisogno di cure e attenzione
costanti. Si è visto negli orfanotrofi dove c’è una differenza enorme tra bambini toccati o non toccati dalle
infermiere. Quindi, il punto di vista del bambino è importante che il sole irradi parecchie ore al giorno
altrimenti il bambino non cresce. Ci sono, purtroppo famiglie ingolfatissime che non riescono nemmeno
gestire il primo figlio che già arriva il secondo. La procreazione consapevole non è soltanto quella di
decidere di avere un figlio, ma di chiedersi se è il momento opportuno o se si è in grado di averlo.Quindi,
il primo punto fondamentale è l’amore, la quantità di amore. Poi vedremo la qualità.
Il terreno e la cultura
Il secondo aspetto altrettanto fondamentale è il terreno: è un terreno libero o ci sono molti sassi? I sassi
sono i blocchi, i vincoli. In una famiglia che è molto controllata significa che alcuni di questi semi cadono
in terreni non fertili o addirittura dove c’è del diserbante: “sta attento, non toccarti lì” oppure “te non fare
la femminuccia, te non fare il maschiaccio”. Così si reprimono alcune potenzialità. Altre non vengono
represse, semplicemente non vengono stimolate perché non riconosciute per incapacità della famiglia
stessa. Se il piccolo Mozart fosse vissuto in una famiglia rozza e ignorante non avrebbe avuto l’occasione
di esprimere il suo talento.
Quindi, la cultura della famiglia è fondamentale. Oggi la famiglia è tendenzialmente composta dai due
genitori, mentre nel passato il sistema famigliare era molto più complesso. Oltre la cultura della famiglia
abbiamo la scuola, dove il bambino passa molto tempo. Anche la cultura proposta a scuola fa sì che
alcuni lati dell’essenza si trasformi in personalità oppure no. Lo stesso i mass-media. Ormai i bambini già
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dai due anni vedono i cartoni animati che sono tutt’altro che neutri. Pensate anche a quelli più innocui
come potrebbero essere Tom e Jerry dove la realtà è una lotta continua. Si mandano messaggi in cui si
interagisce combattendo. Vale la legge o del più astuto o del più forte. Sembrano carini, mentre sono
altamente diseducativi. Poi, se gli adulti fanno la lotta dei galli o dei cani vengono messi in galera, i
bambini invece possono guardare la lotta dei Pokemon alla televisione. E se qualcuno di loro, da adulto,
fa la lotta dei cani e dei galli non c’è da meravigliarsi. Vedete, ci sono varie influenze.
Infine, l’acqua, le emozioni. Supponete che il nostro aspirante bambino Mozart un bel giorno trovando un
pianoforte in casa - se non c’è il terreno adatto l’acqua è del tutto inutile - comincia a strimpellare facendo
questo prova delle emozioni: sorpresa, meraviglia, entusiasmo. E come reagisce la famiglia? Lo lascia
fare? Gli dice che è stonato? Dice che non suona bene? Questo è il sostegno che crea certe emozioni
positive o negative associate a ciò che fa il bambino. Quando il bambino fa il prepotente, quale
atteggiamento assumono i genitori? Che se gliela danno vinta, per il meccanismo del rinforzo, quel
meccanismo tenderà a ripetersi. Se non gliela danno vinta quel comportamento non si manifesterà più,
scomparirà. Da ricordare che un certo grado di comportamento aggressivo è utile, ma c’è una differenza
importante fra aggressività e rabbia, collera e distruttività. Ci sono varie gradazioni. Aggressività deriva
dal latino ‘aggredi’, aggredire, andare verso. In termini orientali potremmo chiamarla energia yang, attiva,
direzionata e se è molta può diventare aggressiva.
Quindi, una certa quantità di energia aggressiva è importante per difendersi, per far valere le proprie
ragioni, un eccesso non va bene. Quello che fa la differenza è il modo in cui noi sappiamo gestire questa
energia. E’ un modo consapevole o è un modo automatico? E’ un modo in cui noi valutiamo se è il caso
di usarla in questa situazione oppure io ho un meccanismo del “tutto o niente”, per cui quando si discute e
il conflitto supera una certa soglia a quel punto lì mi arrabbio ed esplodo. Questo è un automatismo del
tutto inconsapevole. Molte persone hanno paura dell’aggressività, specialmente molte donne salvo poi
cercarsi un partner forte, sicuro di sé, anche un po’ prepotente. La paura è ingiustificata, non è l’energia di
cui dobbiamo aver paura, ma la nostra incapacità di gestirla. Purtroppo la nostra cultura, dalla famiglia
alla scuola, questa cosa non l’ha mai capita, per cui noi andiamo avanti per dualismo: o sì o no. Senza
pensare che ogni energia è un continuum tra due poli che, a seconda della situazione, può essere o non
può essere appropriata. Nessuna energia è negativa in assoluto. Tutto ciò che esiste nell’essere umano ha
un qualche scopo relativamente a certe situazioni. Se mi stanno per ammazzare, la capacità di controaggredire può salvare la vita a me, ai miei figli, ad altri. Chi l’ha detto che una persona allevata in una
cultura quacquera o giainista, talmente distaccata dalla propria aggressività che nel momento del bisogno
non è capace di difendersi e si fa ammazzare.
Quindi, vedete che entriamo nel campo del relativismo. A seconda della cultura in cui cresciamo ecco che
certi tratti possono esprimersi, non possono esprimersi o vengono repressi. Quelli che possono esprimersi
vanno a costituire quella comunemente detta la personalità. In realtà noi impariamo tante modalità
diverse. Io imparo in certe situazioni ad essere gentile ed accondiscendente, in altre invece imparo a
pestare i pugni sul tavolo, in altre ancora imparo a proteggeremi. Ognuno di noi sviluppa le sue subpersonalità consentite, il suo mazzolino di fiori, quelli che hanno trovato terreno, luce e acqua. Poi c’è
l’ombra, secondo Jung, o sé rinnegati secondo gli Stone (i creatori del Dialogo delle Voci) e sé inespressi.
I sé rinnegati sono quelli che sono stati repressi volutamente, mentre quelli inespressi sono quelli che non
hanno mai avuto l’occasione di contattare il proprio talento, perchè nella sua famiglia quella sfera
dell’esistenza non esisteva.
Un modello grafico
Io ho sviluppato un mio modello grafico. Ho immaginato un uovo, un ovale diviso in tre aree: l’area
superiore contiene i sé non espressi, al centro quelli consapevoli, in basso i sé repressi. Tutto l’ovale
sarebbe l’insieme delle nostre potenzialità, il pacchettino di semi di cui germoglia si e no un terzo che va
al centro; quelli repressi vanno in basso, perché Freud parlava di sub-conscio al di sotto della
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consapevolezza. Invece, per esempio Assagioli e in parte anche Jung parlano di super-conscio, al di
sopra, che, però, è anche un inconscio. Quelli in basso sono connotati negativamente, sono quelle parti di
noi che non ci piacciono e di cui ci vergogniamo al punto che li abbiamo rimossi; anzi, persone che ci
suscitano una forte antipatia spesso sono portatrici di ciò che in noi è rimosso e represso. Quelli nell’area
superiore sono positivi (non è che la famiglia dei contadini avesse qualcosa contro la musica, anzi, magari
potrebbe anche ammirare un musicista, ma lo ritiene talmente al di fuori della propria condizione sociale
da non prenderlo in considerazione). Quindi, questi sé sono quelli che quando li vediamo negli altri li
ammiriamo. Tutto questo ci dice una cosa importantissima: le relazioni interpersonali da adulti sono
un’occasione per riappropriarci delle parti mancanti di noi stessi, cioè i due terzi che ci siamo persi per
strada. Quando troviamo persone fortemente antipatiche, sappiate che sono un alleato prezioso, perché vi
possono mettere in contatto con uno o più sé repressi. Lo stesso quando ci innamoriamo di una persona
non solo nell’amore romantico-erotico, ma anche quando ci innamoriamo di un artista, di uno scrittore.
Molto probabilmente egli esprime più tratti che abbiamo dentro di noi che non abbiamo mai sviluppato e
ci mette in risonanza.
Spesso il nostro atteggiamento è di distruggere quelli antipatici e di allontanarci da loro e con questi altri
di avvicinarci e di ammirarli, ma di pensare che loro hanno questi pregi e noi no. Così li possiamo
ammirare tutta la vita senza crescere mai, mentre l’atteggiamento corretto sarebbe “se io ammiro in lui/lei
questa qualità significa che da qualche parte c’è dentro di me. Ho voglia di andare a cercare e
svilupparla? Se è un’ammirazione che dura nel tempo ed è molto intensa è un messaggio della mia
essenza o anima che mi manda a dire di sviluppare questa parte”.
Nei sé non-espressi è spesso l’autostima che ci frega, mentre nei sé repressi è l’orgoglio. Così come non è
detto che stiamo per tutta la vita accanto ad una persona che ammiriamo, ma rimaniamo finchè la
risonanza con lei ci aiuta a sviluppare le parti mancanti. E lo stesso, una persona che ci suscita forti
sentimenti negativi possiamo quantomeno usarla per capire dov’è il punto dolente. Forse proprio lei ci
aiuta a sviluppare una parte mancante di noi. Di solito succede che ci fa scattare un campanello d’allarme
proprio chi è “troppo” negativo, non “poco”. E proprio grazie al suo troppo ci accorgiamo del nostro
poco. L’errore che fanno spesso molte persone è che non vogliono diventare tanto negative come lui.
Allora, in quel caso bisogna prenderlo in dose omeopatica, per esempio “sgualdrina alla 5CH” oppure
“arrivista al 10CH”. Stimolerà in voi la giusta dose di quella qualità. Dopodichè lui o lei la/lo lasciate al
suo destino, però voi vi arricchite di questa qualità che è importante per la vostra crescita e il vostro
benessere.
Se noi adottassimo queste due regole molto semplici non ci sarebbero più guerre, non ci sarebbe più
bisogno di combattere: “ah, ma quelli adorano il falso dio”…Un pochino di pluralismo nelle religioni
monoteiste non ci starebbe male, come pure un pizzichino di monoteismo nelle religioni troppo pluraliste.
Quindi, se uno imparasse dall’altro, non si farebbero più le guerre e si starebbe tutti meglio. Invece, c’è la
predominanza della legge del tutto o niente. E invece ci sono le gradazioni: questo è il punto
fondamentale. Per comprendere le gradazioni bisogna avere una mentalità adulta. I bambini non
capiscono le gradazioni che si imparano crescendo. Purtroppo si trova anche negli adulti la mentalità
infantile. Non riescono a comprendere questa legge fondamentale dell’armonia, dove due forze opposte
se giustamente miscelate creano in realtà armonia.
Questa è una delle cose che Gurdijeff portò in occidente in maniera molto chiara e che è la legge del tre.
Egli diceva che nel nostro mondo sono all’opera tre forze che lui chiamava santa affermazione, santa
negazione e santa conciliazione. Potremmo chiamarle yin, yang e tao. L’affermazione è quella maschile
antica, la negazione è lo yin e la terza forza è la conciliazione come negli atomi. I neutroni sono la
conciliazione tra i protoni e gli elettroni che sono opposti e che da soli si distruggerebbero o si
allontanerebbero e proprio grazie ai neutroni riescono a convivere.
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D: “Tornando all’uovo, autostima, orgoglio e paura che sono barriere che noi utilizziamo per dividere la
parte conscia dalla parte inconscia, non sono delle vere e proprie forze pulsionali?”
R: “Per dividere vengono usate altre energie che sono appunto quelle della repressione durante la crescita.
Queste tre, invece, sono le forze che ci tengono lontane una volta adulti dall’interagire in maniera
costruttiva con quelle persone che ci potrebbero far crescere. Se troviamo uno che ammiriamo andiamo
magari a fargli il portaborse, facendo così l’allievo a vita. Se il tuo maestro è una persona che ammiri così
tanto, cerca di diventare come lui, perché non sei un buon allievo se rimani a fargli il lustrascarpe a vita e
certamente un buon maestro non chiede questo al suo allievo. Se lo fa non è un buon maestro, ma uno che
gli piace avere la corte, perché così si sente importante. E lo stesso la paura o l’orgoglio che ci impedisce
il confronto con il diverso da noi, quello che dispregiamo invece di studiare e capire quell’energia.
Interpretandola a modo nostro ci può servire per crescere. In oriente c’è un detto che dice più o meno
così: “Se trovi una persona che ha un potere maggiore del tuo e tu lo accetti, quel potere diventa tuo.”
Quindi, per confrontarsi con un diverso ci vuole apertura, disponibilità, coraggio, e umiltà, ma non
troppa. Inoltre ci vuole intraprendenza e autostima, bisogna saper osare.
L’Enneagramma come tipologia di personalità
A questo punto potremmo ritornare all’Enneagramma da cui siamo ripartiti. L’Enneagramma è una
tipologia di personalità. Anche se le persone sono una diversa dell’altra, tuttavia si riscontrano delle
somiglianze, dei tipi. L’Enneagramma - ennea/nove e gramma/grafico - propone una suddivisione delle
sub-personalità in nove tipologie principali. Ognuna di queste tipologie ha un’ulteriore suddivisione in
sub tipologie che sono tre. Quindi, in tutto sono 27: dal tipo 1 al tipo 9.
Poi il tipo 1 può essere di tre tipi: conservativo, sociale o sessuale. Idem il tipo 2. Quindi, nove tipi
principali e 27 complessivi. Adottando questa semplice griglia sono in grado di classificare tutti i tipi,
naturalmente non perfettamente (nel senso che comunque ogni tipologia è sempre una griglia), ma
sufficientemente da poter capirne e prevedere il comportamento.
Ora, se io sono un tipo 2 escludo dalla manifestazione esterna tutti gli otto tipi. Il presupposto di una sana
crescita dell’essere umano è che sia in grado di muoversi in tutti e nove i tipi pur avendone uno come
predominante, che non sia ostacolato e che possa all’occorrenza esprimere anche le caratteristiche degli
altri otto tipi. Quanto più una persona è rigida, quanto più è tutta d’un pezzo e si identifica in uno solo dei
nove enneatipi, tanto più è patologica. Sta male e fa star male tutti gli altri. La crescita avviene aprendosi
agli altri enneatipi.
L’Enneagramma è rappresentato graficamente in una stella a nove punte inscritta in un cerchio. I vertici,
ognuno delle nove punte, rappresentano un enneatipo. La numerazione è in senso orario dove il 9 si trova
a mezzogiorno.
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Secondo alcuni autori sarebbero a loro volta raggruppabili in tre macroaree: i soggetti che hanno un
orientamento più emozionale, i soggetti più intellettuali e i soggetti più corporei.
I tipi 2, 3 e 4 sono quelli più emozionali; i tipi 5. 6 e 7 sono quelli più intellettuali (più freddi e distaccati);
i tipi 8, 9 e 1 sono quelli più corporei.
Cerchiamo di capire il cuore di questo modello che, secondo me, è molto utile per certe cose e molto
limitato per altre. Intanto, abbiamo detto che quanto più una persona si colloca su uno solo dei punti,
tanto più è rigido e tanto più è patologico. Una persona del genere soffre tutta una serie di situazioni. La
rigidità noi la interpretiamo come rigidità mentale, una rigidità di personalità: può essere rigido un
emozionale, quanto un mentale o un corporeo. E’ rigido perché si fissa sugli stessi schemi e non sa fare
altro. Per es. una persona che si sa solamente lamentare è rigida. Non è solo rigido chi è freddo,
intellettuale o apparentemente emotivo.
Una volta individuato a quale enneatipo la persona appartiene, bisognerebbe poi capire quanto è rigido
viceversa se nella sua vita permette anche la manifestazione di caratteristiche che appartengono agli altri.
Per esempio il tipo 1 è un tipo molto serio, ha valori molto fermi, è conservatore ecc., però può essere un
1 flessibile o un 1 rigido. Se è un 1 flessibile si permetterà intanto manifestazioni di tipo 7 (vedete sul
grafico della stella a nove punte che c’è una linea che collega la punta 1 con la punta 7: queste linee si
chiamano frecce ). Quindi, le frecce del punto 1 e 7 si collegano anche con il punto 4, formando un
triangolo. Nel momento in cui il n. 1 si apre un po’, le direzioni in cui gli è più facile muoversi sono il 7 e
il 4. Quindi, già da un 1 imperniato su se stesso all’1 che comincia ad oscillare sul 7 e sul 4 già comincia
il processo di crescita che, però, non basta. Prendiamo un altro esempio: l’8 è il capo, è quello sempre
dominante, quello che in tutti i contesti deve comandare, deve essere al centro dell’attenzione, spesso è
piuttosto autoritario, non ammette critiche. Oppure, prendiamo una persona introversa. Intanto
l’introversione e l’estroversione sono qualità, un continuum. I più introversi dell’enneagramma sono il 4 e
il 5 e un po’ il 6 , ma in modi diversi. Il 5 è un introverso sfuggente che non entra mai in relazione,
rimane piuttosto in superficie. Il 4 è un introverso che manifesta, ma la sua estroversione è solo per
lamentarsi. Il 7 è, invece, un estroverso per eccellenza, anche un po’ superficiale o inconcludente. Ciò
dipende se è un 7 evoluto o no. Quindi, nessun enneatipo è di per sé migliore o peggiore degli altri. Tutto
dipende dal grado di evoluzione. Quanto più è evoluto tanto maggiore sarà la presenza degli altri otto
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enneatipi nella sua manifestazione esterna. Piano piano dovrebbe allargare le sue manifestazioni a tutti i
numeri del cerchio in modo da raggiungere una personalità integrata.
Voi che siete qui è improbabile che siate un enneatipo rigido e tutto d’un pezzo, perché già il fatto stesso
di trovarvi qui vuol dire che vi siete messi in discussione, che siete in un percorso di crescita. Quindi,
come minimo voi siete un enneatipo centrale con le due frecce che oscillano oltre le ali (le ali sono le
linee che collegano i numeri da una punta all’altra esternamente al cerchio) che sono i due numeri
limitrofi. Per esempio l’ala del 7 è l’8 e il 9. Ogni enneatipo presenta qualche caratteristica dei due
enneatipi adiacenti. Allora, se noi ci mettiamo i due adiacenti e le due frecce siamo già a cinque
manifestazioni anche se qui siamo già un po’ al limite del modello. Quello che fa la differenza non è solo
questa oscillazione, ma la gestione di questa oscillazione: è un’oscillazione consapevole o meccanica
dovuta alla situazione? Sono io che scelgo di adottare un certo stile o è lo stile che adotta me, perché in
questa situazione scatta un automatismo incontrollato? Su questo il Dialogo delle Voci è molto più utile.
L’utilità dell’Enneagramma, dipende da chi lo usa e come lo usa e fondamentalmente va capito. Se una
persona lavora solo sull’Enneagramma - e di specialisti oggi ce n’è veramente pochi - la sua utilità è
soltanto quella diagnostica. Se, invece, una persona che lavora ad esempio da tanti anni nella psichiatria e
che ha abbinato all’enneagramma come diagnosi, la gestalt come strumento di lavoro assieme alla
meditazione, allora si parla di un sistema integrato. Il counselor, invece, lo legge come diagnosi e poi a
seconda del lavoro da fare orienta la persona ad uno specialista o ad un gruppo tenendo sempre presente
che bisogna lavorare sulle cose in difetto e su quelle in eccesso limandole.
Gurdjieff: essenza e personalità
Riprendendo la terminologia che usa Gurdjieff e che in qualche modo appartiene all’enneagramma,
parliamo di essenza e di personalità. L’essenza sarebbe la nostra anima, la nostra parte spirituale prima di
rivestirsi di questo involucro che è la personalità che dipende dalla famiglia, dalla cultura, dal terreno.
Naturalmente una personalità è necessaria e non ne possiamo far a meno. Alcune tradizioni spirituali la
chiamano semplicemente l’Ego. “Bisogna uccidere l’ego, bisogna far a meno dell’ego” che vuol dire che
bisogna eliminare la personalità. Secondo me, queste espressioni sono fuordevianti. Prima, non si tratta di
ammazzare nessuno, se una personalità noi ce l’abbiamo dobbiamo fare i conti per tutta la vita. Ciò che
possiamo fare è renderla più fluida, più integrata e più ampia e semmai ampliare l’ego e non ucciderlo.
Secondo, per uccidere qualcosa bisogna averlo. La maggior parte delle persone non ha l’ego, ma ha dei
pezzettini di ego molto resistenti. Quindi, prima di uccidere l’ego bisogna averlo: prima di poter fare a
meno della personalità bisogna avere una personalità abbastanza forte, sicura e salda da permetterci
anche l’atto di coraggio di metterci a confronto. Se io so di avere una personalità solida, salda, che mi
protegge, posso anche avere il coraggio di farne a meno. Se, però, sono talmente insicuro e talmente poco
protetto, la personalità è come una corazza che mi protegge dall’esterno, dagli altri e dai miei stessi
comportamenti. Non solo la corazza ci difende, ma ci impedisce anche nei nostri “movimenti”. Ciò ci fa
fare un giro più largo. Infatti, è proprio quello che noi facciamo comunemente quando ci rapportiamo agli
altri, un giro largo. Ad es. invece di dire: “Io vorrei passare un po’ di tempo con te, perché mi sei
simpatica e perché ci sto bene”, visto che mi vergogno a dirlo, comincio fare dei “giri allargati”. Gurdjieff
lo chiamava “cercare mezzogiorno alle tre”. Facendo giri larghi i miei messaggi non sono diretti e l’altro,
a sua volta, li riceve sulla propria corazza che li filtra. Ecco che la comunicazione si altera a tal punto da
creare una commedia degli equivoci. Le nostre relazioni sono tutte una commedia degli equivoci e solo
rarissimamente noi ci esprimiamo in maniera diretta.
Vi faccio un esempio. Prendiamo l’enneatipo 2 che ha come caratteristica principale quella di essere
molto generoso, di donare. In realtà è un meccanismo attraverso il quale il tipo 2 cerca di ricevere.
L’enneatipo 2 come tutti ha bisogno di amore: lo vuole dare e lo vuole anche ricevere. Nel darlo non ha
problemi, ma per riceverlo come fa a chiederlo? Ognuno dei nove enneatipi ha sviluppato una sua
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strategia per “cercare mezzogiorno alle tre”. L’enneatipo 2 ha sviluppato questa strategia: “Io voglio
amore da te, cosa faccio? Ti do per primo il mio amore sperando che così tu contraccambi.” Di solito
l’enneatipo 2 si trova dei partner a cui dà e loro sono felicissimi di tutto questo amore che gli arriva e non
pensano minimamente a restituirglielo, perché la loro strategia prevede un’altra strada. Se questa persona
chiedesse esplicitamente “voglio il tuo amore”, l’altro risponderebbe “sì, posso o te lo voglio dare”
oppure “no, non te lo voglio dare”. Facendo, invece, il giro largo non si sa. Può soltanto fare delle
supposizioni interpretando secondo il proprio modo di vedere. Magari pensa secondo un meccanismo del
“tutto mi è dovuto” che è il modo attraverso il quale uno si difende dalla carenza d’amore. Si crea una
relazione rigida dove uno sempre dà e l’altro sempre riceve. A lungo andare quello che dà si stufa e allora
o dà ancora di più pensando di non dare abbastanza, oppure se ne va. Chi riceve a sua volta poi vorrebbe
dare, ma in realtà non riesce dare, perché con uno che è così esageratamente generoso non riesce ad
inserirsi. Alla fine sono entrambi scontenti.
Ora non voglio entrare nelle dinamiche dei vari tipi. Desideravo solo farvi un esempio di come ognuno di
noi in funzione della personalità che ha distorce sia i messaggi in entrata sia i messaggi in uscita. Come
mai avviene questo? Fondamentalmente per due motivi: primo, perché da bambini non abbiamo ricevuto
abbastanza amore e, secondo, perché al posto dell’amore abbiamo ricevuto molta disapprovazione.
Questo è un po’ il peccato originale: tutti noi nasciamo in un contesto deprivato d’amore, perché i nostri
genitori non sanno amare, perché a loro volta non sono stati amati. E’ una catena che si perde nella notte
dei tempi. Pensate che ancora oggi, nella nostra civiltà è il primo momento in cui i nostri genitori
cominciano ad esprimere un po’ d’amore verso i propri figli. Fino a cinquant’anni fa non c’era spazio per
l’amore, non era previsto dalla cultura, perché c’era solo l’educazione repressiva, severa, autoritaria.
Diciamo che è un percorso storico che è cominciato a partire dal ‘700 in avanti, però se ne cominciano a
vedere i frutti dagli anni ’50, ’60 in poi. Lo spartiacque è, secondo me, tra la fine della seconda guerra
mondiale e i primi anni ’50 e non ancora uguale per tutti a seconda delle zone geografiche: il sud Italia e
alcune campagne. Se noi prendiamo mille persone nate negli anni ’40 e mille persone nate negli anni ’50
c’è un abisso non di cinque anni, ma di cinquecento.
E poi c’è un altro problema. Con la controcultura degli anni ’60 sono stati scardinati i modelli autoritari
sia a scuola sia in famiglia. In effetti, il modello autoritario non funzionava, ma non è stato sostituito da
un modello equilibrato. Siamo andati alla famosa legge del “o nero o bianco”, dall’autoritarismo al
permissivismo che è altrettanto nocivo, perché i bambini hanno bisogno di una guida che non sia né rigida
e autoritaria e nemmeno che non sia una guida. Il permissivismo, in realtà è una non-guida: quando il
genitore permette al figlio di fare qualsiasi cosa, non lo indirizza. Questo manda i giovani allo sbando. Il
bambino si sente non amato sia con genitori severi sia con genitori permissivi. E’ chiaro che il figlio di
genitori autoritari ha un certo tipo di comportamento, il figlio di genitori permissivi ne ha uno
apparentemente opposto: piccoli tiranni, piuttosto superficiali che in realtà sono meccanismi protettivi che
li proteggono da questa mancanza d’amore. La risposta è sempre nel mezzo. Quindi, si deve trovare un
punto d’incontro fra autorità e permissività. Il punto d’incontro ce lo dà la terza forza. Vi ricordate le tre
forze di Gurdjieff: positiva, negativa e neutra? Che è quella che nella “Voice Dialogue” si chiama ego
consapevole, cioè la capacità di scegliere consapevolmente valutando la situazione. L’ego consapevole è
in grado di comprendere la situazione in cui si trova, la persona o le persone con cui è in relazione per poi
scegliere la modalità migliore tra quelle possedute. Non è che l’ego consapevole è infallibile, però
sceglie.
Quando noi diciamo che la prerogativa umana è libera, ci dimentichiamo che la maggior parte delle
persone non ha questa capacità. Il libero arbitrio non è un qualcosa che noi abbiamo per nascita, è
qualcosa che noi dobbiamo sviluppare. Il libero arbitrio si sviluppa con la consapevolezza. Se io non sono
consapevole non sono libero di scegliere. Pensate che ci sia libero arbitrio nelle democrazie attuali dove
c’è gente che vota senza minimamente valutare e senza sapere chi vota e cosa fa? Questa non è
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assolutamente libertà. E’ una maschera della libertà. Quando la persona sa di avere tre possibilità,
conosce le conseguenze di ognuna e ne sceglie una, allora sì che sceglie liberamente. Tutt’al più potrebbe
sbagliare, però se ha sbagliato in maniera consapevole torna indietro e sceglierà una delle altre due. Se,
invece, si muove per automatismi continuerà sempre a sbagliare, perché la persona meccanica siccome
non sceglie consapevolmente così come non valuta la situazione prima di agire, non la valuta nemmeno
dopo aver agito.
Quindi, una persona consapevole valuta tutte le possibilità per poi sceglierne una; la persona
inconsapevole ha semplicemente una sola risposta ed è sempre quella. “Due persone sposate devono fare
così, non possono fare cosà” oppure “Un bravo studente non deve comportarsi così”, “un bravo figlio
deve agire cosà”. Questo è l’insegnamento alla meccanicità. Se noi da bambini non veniamo allenati alla
consapevolezza e, quindi, a esercitare la capacità di scelta, poi da adulti saremo degli automi.
Apparentemente sembriamo liberi, ma non è così. Di solito una persona di ampia cultura è un po’ più
elastica di una persona di bassa cultura. Però, non è l’unica variabile in gioco.
Il nucleo base: essere riconosciuti per quello che siamo
Allora, ritorniamo al nostro nucleo base, cioè il nostro bisogno di essere amati e di essere riconosciuti per
quello che siamo. Da bambini nasciamo con una certa essenza, con questo pacchettino di semi, e noi
vorremmo che questa essenza fosse riconosciuta. Invece abbiamo visto che la famiglia ne riconosce solo
una parte, l’altra parte non la riconosce e una terza parte la disprezza e la reprime. Questa è già una ferita
profonda ed è questa ferita che ci porta, secondo gli Stone del “Voice Dialogue”, a creare la personalità.
Cioè, per strutturare la personalità in due blocchi: i “sé ammissibili” che vengono chiamati i “sé primari”
e i “sé rinnegati” o sconosciuti, quelli che vengono accantonati o in soffitta o in cantina. Lo facciamo per
proteggerci, perché a nessuno piace sentire la disapprovazione, tanto più dei genitori. Il bambino che fa
una cosa e vede la faccia scura del genitore o addirittura sente il rimprovero verbale, automaticamente il
comportamento vien caricato di un valore negativo. Se, poi, questo rimprovero - talvolta basta solamente
la reazione - si ripete, il bambino rinforzo l’idea che non è il caso di comportarsi in quel dato modo.
Quindi, il primo sé che noi sviluppiamo si chiama “protettore”, “controllore”. Sono proprio le prime
ferite che noi riceviamo che ci spingono a sviluppare una sub-personalità che ci protegge da ulteriori
ferite. Come fa proteggerci? Evitando quei comportamenti che vengono sanzionati dalla famiglia, dalla
scuola, ecc. e, invece, rinforzando quelli che vengono premiati. Siccome in alcune famiglie vengono
premiati certi comportamenti e in altre famiglie vengono premiati altri, ecco che noi siamo diversi.
Alcune famiglie sono severe, alcune sono permissive. Magari sono severe, ma disordinate, per cui il
disordine in casa loro non è una cosa negativa. Nell’altra famiglia permissiva, invece, si può far tutto ma
non il disordine. Così si innestano aspetti su aspetti che danno un mix di tipologie. E così già a due anni
di età si forma il controllore/protettore che comincia a dire “questo sì e questo no” e comincia a formare
la distinzione fra personalità permessa e personalità depressa. Nel corso degli anni questo “protettore”
formerà la sua personalità. Così, nel corso degli anni noi ci costruiamo la nostra personalità in funzione
dell’ambiente in cui noi vivevamo. Nessuno di noi è stupido, ognuno di noi anche da piccolo ha molto
ben presente il concetto di rinforzo e punizione. Se io metto in atto un certo comportamento, ricevo un
premio o una punizione? Funziona o non funziona per avere più amore e più considerazione? Funziona,
bene. Il guaio è che quando io ho strutturato una certa personalità che funziona nella mia famiglia, non è
detto che funzioni altrettanto in altri contesti.
Quindi, magari poi mi metto insieme a una donna che viene da un altro contesto e tutte le mie strategie
che funzionavano nella mia famiglia saltano. Oppure mi trovo in un ambiente di lavoro con colleghi con i
quali quel tipo di strategia non funziona e questo mi mette in crisi, mi mette in discussione, per cui o do la
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colpa a loro o rivedo le mie strategie. Mi accorgo allora che quelle strategie vanno bene solamente in
certe situazioni e in altre no. Comunque è bene che noi troviamo degli attriti, perché se dopo esser
cresciuti ci trovassimo un compagno/a più o meno identici a nostro padre o nostra madre, una situazione
di lavoro più o meno identica alla famiglia o alla scuola, noi saremmo anche sereni, però, non
arriveremmo veramente al nucleo di ciò che siamo. Avremmo una situazione priva di grossi conflitti, ma
anche priva di grosse soddisfazioni.
E qui ci mette lo zampino, specialmente nelle relazioni di coppia, quella forza che è l’innamoramento.
L’innamoramento è quella forza che ci fa sentire attrazione per il simile/diverso da noi, perché solo simile
diventa nostro amico, ma mai nostro amante. Una persona troppo simile può essere nostro amico/a, ma
non sprigionerà mai quella forza erotica che sprigiona il simile/diverso. Il tutto diverso è, invece, talmente
lontano che lo sfuggiamo. E quello che sembra simile in realtà alcuni aspetti ce li ha molto diversi da noi
e che spesso sono quei “sé rinnegati” che noi ci portiamo dentro oppure quei sé che noi ammiriamo.
Io ho una mia teoria sull’innamoramento e cioè che la natura ci fa innamorare di quelle persone che in
qualche modo ci possono permettere di entrare in contatto con le energie represse di noi stessi. E siccome
questo contatto è doloroso, solo se è compensato da una forte attrazione noi rimaniamo in contatto con
una persona del genere. Se no, se non ci fosse quell’attrazione che noi chiamiamo innamoramento dopo
pochissimo tempo ci divideremmo. Quindi, il dolore e il confronto con la diversità è in parte compensato
dall’attrazione, dalla sessualità, dal piacere di stare insieme. E’ sì doloroso, però ha anche dei ritorni.
Quando il dolore è troppo, la relazione si rompe. Alle volte quando il dolore è troppo può far soffrire
anche dopo la rottura della relazione.
Ognuno deve saper scegliere la propria dose di sopportazione. La relazione che non porta dolore non
porta nemmeno crescita e nemmeno molto piacere. Tutti noi sappiamo, per le nostre esperienze amorose
passate, che una storia intensa, dai sapori forti inevitabilmente porta anche dolore. Sul quanto, io ci sto
ancora lavorando, nel senso che è un gioco di dosi. Come il piccante: se è troppo poco non si sente, se è
troppo brucia. Ci vuole la dose giusta.
Non va bene né la storia straziante, quella passionale di grandi travolgimenti, ma anche di dolore
insostenibile, e non va nemmeno bene la storia tutta tranquilla, tutta armoniosa della coppia felice che non
litiga mai. Ritengo che sia una coppia di poca crescita e di poco piacere. Non va bene dal punto di vista
evolutivo. Siccome noi siamo comunque parte di un processo che va al di là di noi, un processo di
evoluzione, che noi lo vogliamo o non lo vogliamo, abbiamo questa spinta all’evoluzione. Entro certi
limiti la possiamo anche decidere noi, entro altri limiti invece no. Se la ostacoliamo del tutto, moriamo.
Ci sono persone che sembrano vive, ma sono morte, anzi, direi la maggior parte, anche se oggi un po’
meno, perché almeno in occidente c’è una grande apertura emozionale e relazionale. In modi diversi
molte persone sono in contatto con queste energia di crescita e di cambiamento, ma sono sempre pochi
coloro che la cercano veramente attivamente. La maggior parte la subisce, perché l’ideale è avere
un’esistenza tranquilla e felice. Tranquillità e felicità non necessariamente vanno d’accordo. Realizzante,
ma non conflittuale: come fai a realizzarti se non affronti i conflitti? Il fatto che non siamo realizzati
dipende proprio dal fatto che noi abbiamo delle forze in conflitto dentro di noi, ma abbiamo risolto
questo conflitto mettendone una parte in cantina permettendoci di vivere solo l’altra parte. In realtà tutte
le nostre forze, tutte le nostre energie, le nostre qualità sono dei conflitti dove c’è un polo positivo e un
polo negativo. Il disordine non ha senso senza l’ordine, la promiscuità non ha senso senza la fedeltà, il
piacere non ha senso senza il dolore. Tutte queste cose sono in realtà dei continuum tra due polarità. Il
sano è nel mezzo, dove sei in equilibrio fra gli opposti e questo equilibrio non si raggiunge una volta per
tutti. E’ un equilibrio dinamico che noi dobbiamo mantenere ogni volta in ogni situazione, in ogni
momento della nostra vita, perché domani non sarà uguale ad oggi. L’esistenza ci metterà di fronte a
situazioni sempre diverse, perché noi siamo diversi e quindi dobbiamo adattarci continuamente. Non
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bisogna fermarsi mai. Questo è il comportamento della persona sana.
La persona non sana si fissa: si fissa sui momenti belli e su quelli brutti. La nevrosi dipende dall’essersi
fissati su momenti brutti: può essere un trauma, come riteneva Freud, o può essere un periodo della vita,
come ritiene invece la psicoterapia più moderna. Ma vuoi rimanere incollata a quella sofferenza oppure
cerchi di sbloccarti? Vuoi rimanere fissato su quel momento brutto o bello? In ogni caso non vivi il
presente, anzi, lo vivi male perché ricrei il ricordo del momento brutto del passato. Devi comprendere
semplicemente che tu sei il frutto di tutto il dolore e di tutto il piacere che hai provato e tutt’e due ti hanno
aiutato ad essere quello che sei e tutt’e due sono necessari.
A questo proposito il “Voice Dialogue” è veramente magistrale. E’ una teoria psicologica che più si
avvicina a questo ideale di armonia e di equilibrio. Intanto non esiste un polo solo, ma esiste anche il polo
opposto. “A me piace molto il mio compagno per la sua forza maschile, la sua virilità, però mi fa paura la
sua aggressività, la sua immodestia, la sua presunzione”. Questa persona sta dicendo che di questa
polarità unica apprezza solo una parte. Queste forze vanno insieme. Non è possibile avere una persona
che sia forte e sicura di sé, ma che non abbia al contempo anche un’agressività. Non sta nella natura delle
cose. Allora, nel momento in cui questa persona comprende che questi due gruppi di qualità stanno
insieme inscindibilmente, allora comincia a sviluppare un diverso atteggiamento. Comincia a capire che
il problema è suo, che dentro di sé ha spezzato in qualche momento della sua infanzia questo continuum,
una parte l’ha repressa e una parte l’ha accettata. Ecco che noi dobbiamo reintegrare la dualità. Integrarla
vuol dire per esempio unire il maschile e il femminile che sono due macro-categorie. Se comprendiamo
che non esiste l’una senza l’altra e la integriamo dentro di noi, non esiste il coraggio senza la paura.
Entrare in questa dinamica vuol dire piano piano riabilitare quelle parti di noi che abbiamo tagliato via.
Vedendole negli altri ci è più facile. Per fare questo lavoro occorre un ego consapevole. Per arrivare
all’ego consapevole occorre la visione lucida, cioè il testimone.
Voi avete esperienza di meditazione e sapete che è una metodologia attraverso la quale si impara ad
allenare la consapevolezza. Prima di tutto la consapevolezza di sé, il che vuol dire stare in silenzio ad
occhi chiusi e sentire il respiro - meditazione Vipassana -. E’ un esercizio in cui io alleno la mia capacità
di essere consapevole, cioè presto attenzione alle prestazioni fisiche che il respiro produce in me. E’
molto semplice. Ora state tutti seduti, ma nessuno di voi ha consapevolezza dell’esser seduto. Ora sì: ora
avete consapevolezza dei vostri piedi perché ci pensate. Fino al momento in cui io ve l’ho detto no.
Ovviamente non si può essere sempre consapevoli su tutto. In questo momento la vostra attenzione è
focalizzata sulle mie parole, per cui il 90% è sul sistema uditivo, il 10% sul sistema visivo e tutto il resto
è fuori. La meditazione ci insegna ad allenare la consapevolezza a dirigerla intenzionalmente prima sulle
sensazioni corporee, poi su quelle emozionali, e poi, su quelle ancora più difficili, quelle energetiche o
sottili, e poi su quelle interpersonali.
Di solito la meditazione orientale si ferma all’individuo, le relazioni non vengono considerate. Quindi,
anche la spiritualità orientale ha dei grossi limiti, perché noi viviamo in un mondo di relazioni. Non posso
essere consapevole della relazione se non sono consapevole di me. Parto da me. Una volta che sono
diventato consapevole delle mie sensazioni, delle mie emozioni, dei miei comportamenti sono
consapevole che il modo con cui li utilizzo, l’altro ha una reazione diversa. Ripeto, intanto devo essere
consapevole di me, perché altrimenti non mi rendo conto ad esempio di come l’ho detto o se avevo uno
sguardo severo. Tanto meno posso rendermi conto del collegamento fra il tono della mia voce e la sua
reazione.
In che stato d’animo sono: sereno o arrabbiato? Se sono arrabbiato, probabilmente nel dirti una cosa, ti ho
buttato involontariamente un po’ di rabbia. Se sono consapevole me ne accorgo e ti chiedo scusa; se sono
ancora più consapevole riesco anche a non buttartela addosso. Se non sono consapevole di me, non posso
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essere consapevole della relazione. La relazione è già un passo avanti. Io ho conosciuto molte persone che
fanno meditazione da 20, 30 anni e nella relazione sono degli analfabeti totali, perché si sono chiusi in se
stessi. La meditazione è diventata un bozzolo, un guscio protettivo, una concezione della spiritualità in
cui il rapporto è fra me e dio, e sono incurante degli altri. Non è così.
Quindi, una volta che ho sviluppato una buona consapevolezza di me(corpo, mente, emozioni) a quel
punto mi metto in relazione e lì arriva una nuova forma di consapevolezza, la consapevolezza dell’altro.
Io devo osservare l’altro. gli occhi, devo ascoltarlo, devo sentirlo emozionalmente. Per esempio mentre
parlo con te capto per empatia la tua difesa attraverso un segnale che mi viene allo stomaco. Ti guardo
negli occhi e vedo che hai cambiato espressione. “Ho detto qualcosa che ti ha ferito?” E lì si affronta la
situazione.
Ci sono corsi sulla comunicazione interpersonale che sono del tutto inefficaci, perché partono solo dalla
consapevolezza dell’altro senza pensare che se non hai prima sviluppato una consapevolezza di te non ti
serve a nulla la consapevolezza dell’altro. Tutto viene filtrato dalla tua interpretazione. Quindi, anche qui
il giusto è nel mezzo: né troppo sull’altro come in occidente, perché da noi siamo molto nel sociale. Né
troppo su di me come in oriente. Vedete quanto si parla di pace. E’ inutile parlare tanto di pace se prima
non la crei in te stesso, com’è anche vero che se fai come in oriente e ti dedichi solo a te stesso senza
curarti dell’esterno, siamo punto e a capo anche lì. Infatti, non c’è pace neanche lì. Sono necessari
entrambi i poli: io e l’altro. La meditazione mi aiuta ad entrare in contatto con me stesso e poi ad entrare
in relazione. Se mi metto in un monastero in cima ad una montagna è facile, ma non serve a nulla.
Certamente lassù nessuno verrà a rompermi le scatole, non avrò conflitti, sarò sereno e in armonia ma
solo.
La solitudine non dipende dall’essere soli, ma è l’interpretazione che tu dai alla solitudine. Ci sono dei
momenti in cui io sto veramente bene da solo, me li cerco; ci sono dei momenti, invece, che sono solo e
vorrei essere in compagnia e ciononostante riesco ad adattarmici; ci sono altri momenti ancora che vorrei
essere in compagnia, sono solo, e non accetto il fatto di esser solo. Questa è la solitudine.
Diciamo che nessuno di noi è fatto per essere solo. Il dolore prodotto dalla solitudine è positivo, perché ci
segnala che dobbiamo cambiare qualcosa nella nostra vita. Poi, ci sono quelle persone che si sentono
costantemente sole anche in presenza di altri e questo è patologico. Vuol dire che hanno eretto dei muri,
per cui anche in mezzo alla gente si sentono sole. E ciò non solo per poco tempo, ma questa sensazione li
accompagna per tutta la vita. Allora, la meditazione ci aiuta a stare bene in compagnia di noi stessi. E’
importante stare soli. E’ importante prendersi dei momenti sia nell’arco della giornata che nell’arco
dell’anno in cui stiamo con noi stessi, il che non è stare soli.
Le persone che vanno per scelta in un monastero, piuttosto che star male in relazione preferiscono star
male da soli. Quindi, non sono loro soffrire di solitudine. Se mai soffrono di troppe persone. Soffre di
solitudine la persona troppo socievole che non riesce relazionarsi, che si è creata dei muri.
Occorre, quindi, sviluppare la capacità di essere testimoni che nel Voice Dialogue si chiama Visione
lucida. Qui la consapevolezza è nella meditazione e poi la consapevolezza nella relazione. Quanto più io
esercito questa capacità, tanto più il mio ego si forma e si struttura. Bisogna distinguere bene fra
consapevolezza e l’ego consapevole. La consapevolezza è la qualità in gioco, l’ego consapevole è il modo
in cui questa energia si cristallizza e diventa stabile. All’inizio una persona che fa meditazione può anche
sperimentare gli sprazzi di consapevolezza, ma non ha ancora un ego consapevole. Poi, piano piano questi
sprazzi aumentano e man mano che sviluppa questa energia, si cristallizza e diventa stabile. Questa
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persona è sempre meno in balia degli eventi esterni ed è sempre più in grado di scegliere. E’ l’ego
consapevole che sceglie.
Consapevolezza, Ego Consapevole e Visione Lucida
Quello che normalmente si chiama consapevolezza gli Stone la chiamano Visione lucida, però è un
momento di consapevolezza che tutti possiamo avere. Quando questi momenti invece di essere uno, due e
diventano ore o giorni, quando nella tua vita tu sei sempre più consapevole e scegli, questa energia sottile
e impalpabile in qualche modo si solidifica. Loro l’hanno chiamata l’ego consapevole. Potremmo
definirla consapevolezza cristallizzata/stabile per distinguerla dalla consapevolezza episodica. Non è
mentale, ma è una struttura dell’essere. L’ego consapevole deve essere consapevole dei processi mentali,
dei processi emozionali e dei processi corporei. Gurdjieff lo chiamava il centro di gravità permanente.
Quanto più ce l’hai, tanto più scegli e sbagli, però sbagli in modo da poterti correggere, perché sai che
percorso hai fatto per scegliere. Devi rivedere la valutazione e cambiare strada. Questo è il motivo per
cui anche i grandi maestri sbagliano.
Vi siete mai chiesti come mai Osho o Gurdjieff hanno sbagliato né più né meno degli altri? Solo che il
maestro illuminato non ripete due volte lo stesso errore. Sbagliano anche di meno, perché comunque
fanno una valutazione. Un maestro illuminato non è onnisciente anche alcuni libri di paccottiglia New
Age o di paccottiglia sia di mistica orientale che occidentale ci fanno vedere questi esseri onnipotenti che
guariscono qualsiasi malattia. Come mai, poi, anche i maestri illuminati muoiono per esempio di tumore?
Sono persone che hanno raggiunto il centro di gravità, l’equilibrio, la consapevolezza. E sono in grado di
agire nel modo migliore all’interno dei limiti della sofferenza con un margine di errori.
Quindi, la mia personale opinione è che questa grande consapevolezza non si estrinseca in poteri
soprannaturali, ma in una vera libertà di essere padroni di se stessi, di soddisfare i propri veri bisogni, di
essere consapevoli delle relazioni con gli altri e vederli come specchio di sé. Quando c’è questo centro di
gravità, automaticamente un ego consapevole tiene molto ben presente che tutti e tre i centri entrano in
risonanza armonica. Non c’è più conflitto distruttivo, ma solo costruttivo nel gioco delle polarità. A quel
punto siamo in uno stato di beatitudine, di felicità. Alle volte questo stato si raggiunge in pochi attimi
durante una meditazione, in cui i tre centri sono allineati; altre volte, invece, un attimo diventa un’ora o
un giorno o addirittura stabile. Si parte, però, da piccoli momenti dove i ns. tre centri risuonano
armonicamente.
Ampliare la nostra personalità
Il percorso di crescita va nell’ampliare progressivamente la nostra personalità e renderla più fluida.
Nell’Enneagramma, per esempio si passa da un enneatipo a più enneatipi, nel Voice dialogue nel passare
da una famiglia interiore ristretta ad una famiglia allargata. Se io fino ad oggi permettevo solo a sei delle
mie sub-personalità a manifestarsi, piano piano ne integro 7. 9, 12. La nostra essenza è molto più colorata
di quanto noi immaginiamo, perché condizionati dall’esterno.
Bisogna scoprire quali sono le nostre vere caratteristiche: non quelle che crediamo di essere, ma quelle
che realmente sono. E’ un percorso lungo e infinito, per quanto all’inizio in un anno si fa una crescita
enorme, il secondo un po’ meno e dopo vent’anni per trovare quel pezzettino ci vuole chissà quanto.
Quando si fa questo percorso o quando si facilita un’altra persona a farlo, è importante non creare confitti
tra la vecchia personalità e la nuova, ma, anzi, creare alleanze. Quello che uno è già non va buttato via,
ma va cercata una sintesi andando dalle qualità che già si possiedono verso quelle che non si possiedono
ancora. Nel Voice Dialogue si inizia la seduta alleandosi con i sè-primari, quelli già ben consolidati
riconoscendone il rapporto, perché quello che noi siamo oggi anche se non ci piace (personalità rigida o
diffidente o protetta) è la parte di noi che nel passato ci ha salvato la pelle. Quello che noi siamo oggi è
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stato un modo di adattarci a quello che è stato un ambiente privo d’amore, di attenzione, di
consapevolezza. Ognuno di noi ha fatto del suo meglio e per quanto abbia fatto, per quanto imperfetto sia,
ha avuto comunque una sua precisa utilità. Quindi, bisogna onorare ciò che siamo e nello stesso tempo
anche NON rimanere lì. Molte persone hanno più facilità ad andare da un estremo all’altro. Andare
all’estremo opposto è limitante: ti risolve certi problemi e te ne crea nuovi. E’ un po’ come i farmaci
allopatici: hai il mal di schiena, prendi il Voltaren, ti passa il mal di schiena e ti viene il mal di pancia.
Prendi un altro medicinale, ti passa il mal di pancia e ti viene il mal di testa. Fino a che si lavora per
estremi inevitabilmente un estremo comporta il suo contrario.
Quindi lavori sull’armonia – per esempio perché le medicine omeopatiche hanno molti meno effetti
collaterali se non addirittura nessuno? La medicina omeopatica non introduce un estremo, ma
semplicemente stimola l’organismo a reagire da solo. Dato che l’organismo lo sa, se tu lo fai agire, lui
automaticamente va verso l’equilibrio. Se, invece, introduci tu dei fattori esterni, automaticamente lo
squilibri.
Nella medicina di urgenza la chirurgia occidentali e alcuni farmaci sono sicuramente da preferirsi. Non
vorrei trovarmi in una situazione di urgenza con un medico tibetano, ma preferibilmente con un medico
della rianimazione, anche intubato e con defibrillatori, che mi salvano la vita. Così come con un’infezione
fortissima mi possono salvare gli antibiotici. Però, in tutti quei casi dove la malattia non è così aggressiva
e con rapido decorso, funzionano molto meglio le medicine olistiche, proprio perché si affidano al corpo.
Il corpo è programmato per ritrovare l’armonia. Se lo stimoli a reagire, poi, lui va da solo.
Quindi, per ribadire il concetto, quando vi trovate di fronte una persona che vi chiede aiuto e che presenta
una problematica in cui alcuni suoi lati sono evidentemente in eccesso, non vanno disconfermati.
Dobbiamo evitare di creare come dei “gruppi di potere” denigrando una sua parte e accettando un’altra.
Bisogna, invece, portarla verso una sintesi costruttiva, dove lei possa riconoscere l’utilità anche della
parte “ rifiutata” che nel passato l’ha aiutata molto, ma oggi non più. Anzi, oggi dovrebbe allentarla un
po’ e, invece, dare forza a quest’altra parte. La differenza è molto sottile. In questo secondo caso io non
ho disconfermato questa parte. Ho detto che non serve in questa situazione, ma ne confermo la dignità e
l’importanza. Siccome queste sub-personalità sono delle vere e proprie persone, non posso dire da un
momento all’altro ad una di queste “prendi la porta e vattene”. Questa diventa una nemica e farà di tutto
per sobillare e creare problemi. Se, invece, le dico “guarda, in questa situazione di oggi il tuo apporto non
è indicato, però ti ringrazio molto per tutto quello che hai fatto fino ad oggi e per tutto quello che farai
ancora, perché mi servirai. Oggi no, oggi deve entrare in gioco quest’altra persona, quest’altra subpersonalità, perché è più adatta a questa situazione”. Allora questo non è un’estromissione, non crea un
conflitto.
Ripeto, la vecchia personalità non va mai persa. Non è che la nuova personalità ad un certo punto cresce e
va sostituire la vecchia. La nuova personalità è la somma della vecchia più un aspetto nuovo, poi più due
aspetti nuovi, e poi più tre aspetti nuovi e così via. Immaginate che vi sia un gruppo di tre persone: le
decisioni dobbiamo prenderle in tre. Poi, viene un quarto e le decisioni dobbiamo prenderle in quattro. E
poi in sei, e poi in dieci. Automaticamente il potere dei primi tre si ridimensiona, perché uno su tre conta
molto, ma uno su dieci conta meno. Quindi, non c’è bisogno di defenestrarlo, ma, anzi, facendolo è molto
pericoloso.
La fragilità può essere gestita in vari modi: o facendo il cambiamento drastico. Esempio con la
rivoluzione, fuori i tre vecchi, dentro i tre nuovi. Poi si scopre - vedi in Russia - che i nuovi rappresentanti
del popolo diventano come o peggio dei vecchi. Qualunque posizione assoluta è di per sé rigida, negativa.
Dobbiamo affiancarla. La personalità si espande, cambia nella sua globalità, ma certi aspetti rimangono
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sempre quelli. Ogni sub-personalità rimane quella che è, sta all’ego consapevole il giusto dosaggio della
gestione delle vecchie e nuove sub-personalità, purchè faccia stare la totalità, cioè l’individuo, meglio. Se,
invece, sostituiamo i vecchi bisogni con dei nuovi bisogni, però quei vecchi non li soddisfiamo più, piano
piano ricreiamo il malcontento. Possiamo andare avanti un anno, forse due, però alla fine il malcontento
esce nuovamente. Noi siamo globali, dobbiamo imparare a rispettare tutti i nostri bisogni e a trovare
l’equilibrio fra tutti, il che non è una cosa facile. Primo, dobbiamo rispettare le tre dimensioni: corpo,
emozioni, mente. Ad es. se uno fa un lavoro intellettuale bisogna bilanciare con l’attività fisica. Se uno è
molto emozionale, molto viscerale, bisogna bilanciare con uno stacco mentale e un po’ di attività di sfogo
corporea. Già questo è un avvicinarsi molto grossolano. Poi bisogna andare più nei dettagli. All’inizio di
un percorso se viene una persona che non ha mai fatto nulla già dirgli di fare tre volte alla settimana una
passeggiata gli può cambiare la vita. Poi bisogna andare su aspetti più sottili.
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Una delle cose base che troverete nel libro “Relazioni in armonia” è il metodo dell’assertività.
L’assertività è una comunicazione che non è né aggressiva né passiva. Aggressiva vuol dire “contesto
tutto”, passiva è “mi sta tutto bene”, assertiva è una via di mezzo. Se c’è qualcosa di te che non mi piace
te lo dico in un modo non aggressivo: “Quel tuo comportamento di ieri sera mi ha fatto male”.
Questo è fondamentale per avere buone relazioni. Si può uscire dalla regola del tutto o niente. Ci sono
alcuni aspetti che vanno individuati e comunicati all’altro.
L'ANALISI OLISTICA DEI SOGNI
Il lavoro sui sogni è un lavoro tipico del processo di crescita personale che inquadra i sogni in un modo
molto differente da quello ordinario. Normalmente oggi come oggi ogni scuola analizza i sogni secondo
una propria modalità: se lo psicologo è junghiano analizza i sogni in modo junghiano, se è freudiano
analizza i sogni in modo freudiano e così la scuola tibetana o la scuola americana, ecc. Alla fine c’è un
gran caos di informazioni che non trovano molta coerenza tra loro.
L'analisi olistica dei sogni è una pratica complessa, che si espande a differenti scuole, orientata a
risvegliare la coscienza centrale della persona attraverso la consapevolezza dei suoi condizionamenti,
desideri, caratteristiche e limitazioni. Partiamo nella nostra dalla considerazione scientifica più riduttiva
che i sogni essenzialmente sono delle rivisitazioni neurofisiologiche dei vissuti della giornata e quindi
delle rielaborazioni di emozioni non completamente elaborate, di paure non risolte o di pensieri e progetti
non terminati che riecheggiano nella nostra mente e che di notte trovano nel sogno una loro una possibile
espressione.
A questa considerazione di base aggiungiamo tutta la componente psicologica più analitica e simbolica
che, a iniziare dalla scuola psicoanalitica viennese di Freud, giunge ai nostri giorni. Su questa parte
entreremo nel dettaglio con l'analisi dei vari livelli.
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L'ANALISI DEI SETTE LIVELLI DEL SOGNO
Per una vera analisi olistica dei sogni dobbiamo utilizzare il modello olistico di essere umano, ossia la sua
unità profonda e i suoi differenti livelli di esistenza: un livello fisico, un livello energetico, un livello
emozionale-astrale, un livello mentale, un livello spirituale e altri livelli più sottili.
Così come esistono 7 corpi, esistono 7 livelli di sogno. Quindi partiamo da questa considerazione e
creiamo una struttura di analisi dei sogni sui differenti livelli. Il primo maestro che ha fatto una analisi
integrata della struttura dei sogni sui sette corpi è stato Osho (vedi il libro “Psicologia dell’Esoterico”). Su
questa base – sulla quale abbiamo lungamente lavorato come scuola – il lavoro si è successivamente
evoluto.
I° livello: i Sogni Fisici
Il corpo fisico ha dei bisogni e delle pulsioni: se tu hai fame, sogni che hai fame; se desideri fare sesso
con il vicino di casa, sogni di farlo. Anche quando la testa è contraria c’è qualcosa nell’inconscio che esce
energeticamente come azione diretta nel sogno e così ti “trasmette” messaggi e segnali. Quindi, il I°
livello è quello dei sogni fisici.
II° livello: i Sogni Sensoriali (Energetici)
Sul secondo livello abbiamo i sogni del presente, legati alle sensazioni di piacere o disagio, di
rilassamento o fatica. Spesso sono sogni legati a situazioni di relazione affettiva. I sogni del secondo
livello sono spesso semplici, banali rivisitazioni di situazioni della giornata appena passata, sogni di
atmosfere normali. Dietro le atmosfere di questi sogni emergono i caratteri delle energia. I Tibetani li
interpretano come un codice energetico dei bisogni fisici. I bisogni fisici sono reali, per cui se da bimbi
sognate di voler fare la pipì, la fate a letto e vi svegliate bagnati. I Sogni di II° livello vengono inscritti
direttamente nel campo energetico. Sono i sogni classici che evocano i 4 elementi. Nei sogni c’è un
elemento che è o in eccesso o in difetto. Quando sognate l’elemento acqua, sognate il mare alto, o una
palude. Quando sognate l’elemento aria, magari sognate troppo vento, una tempesta, o di non avere aria a
sufficienza. Ciò significa che l’elemento aria nel vostro corpo è in eccesso o in difetto. Se sognate di
avere difficoltà di respiro significa che l’elemento aria in voi è in vuoto energetico. Così per l’elemento
terra se sognate una valanga di melma o al contrario la mancanza di terra, non avete il terreno sotto i
piedi. Oppure l’elemento fuoc