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DAL MULTICULTURALISMO AL DIVERSITY MANAGEMENT Una ricerca empirica sulla definizione e sulla misura della competenza interculturale nei servizi sanitari e sociali di Milano e della sua provincia. di Ida Castiglioni ricercatrice nella Facoltà di Sociologia dell’Università di Milano Bicocca Direzione centrale Cultura e affari sociali Settore sviluppo delle professionalità, volontariato, associazionismo e terzo settore A LEONARDO STANTON, NATO DURANTE QUESTA RICERCA 4 Progetto curato da: Mariella Trevisan, Susanna Galli Settore sviluppo delle professionalità, volontariato, associazionismo e terzo settore della Provincia di Milano Ricercatori: Milton J. Bennett, consulente supervisore Ida Castiglioni, ricercatrice Università di Milano Bicocca Alberto Giasanti, professore ordinario Università di Milano Bicocca Cristina Greco, ricercatrice junior Luca Fornari, ricercatore junior Impaginazione: Graphic Team, Monticello B.za (Lc) Prestampa digitale, stampa e legatoria: GreenPrinting A.G. Bellavite, Missaglia (Lc) carta priva di cloro elementare © Provincia di Milano, ottobre 2008 Un grazie sincero a tutti i responsabili e alle persone che si sono attivate all’interno di organizzazioni molto complesse per avere reso possibile questa ricerca. Un ringraziamento speciale all’Assessore Ezio Casati, a Claudio Minoia, a Mariella Trevisan, a Susanna Galli, a Riccardo Perelli Cippo, a Milton Bennett, ad Alberto Giasanti, a Luca Fornari e soprattutto a Cristina Greco, senza la quale questo lavoro non si sarebbe probabilmente mai concluso. Dal multiculturalismo al diversity management INDICE Prefazione di Ezio Casati Introduzione di Susanna Galli 6 9 1. Dal multiculturalismo al diversity management 15 2. Il diversity 17 2.1 Il caso degli Stati Uniti: una comparazione tra azioni positive, valorizzazione della diversità e gestione della diversità 17 3. Diversity e competenza interculturale 3.1 Il Modello Dinamico di Sensibilità Interculturale 3.2 L’Intercultural Development Inventory (IDI) 4. La ricerca 4.1 4.2 4.3 4.4 Popolazione della ricerca Metodologia della ricerca Validità della ricerca Implicazioni etiche 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 RSA della provincia di Milano L’ospedale del centro città di Milano La direzione centrale dell’ente Provincia di Milano Il distretto sociale dell’hinterland milanese L’azienda consortile di Comuni della provincia di Milano Il Comune dell’hinterland milanese 6. La ricerca intervento 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 6.6 Il gruppo sperimentale RSA della provincia di Milano Ospedale del centro città Corso misto per operatori sociali Corso operatori sociali esclusivamente in minimizzazione (M1+M2) Gruppo di controllo 25 25 28 31 31 31 32 33 35 37 40 43 46 49 51 55 56 59 60 62 63 64 7. Conclusioni 67 Bibliografia 69 5 Dal multiculturalismo al diversity management PREFAZIONE La società italiana è oggi, a tutti gli effetti, una società multiculturale che comprende al suo interno una varietà di soggetti provenienti da Paesi e culture di diverse parti del mondo. 6 I dati recentemente presentati nell’Undicesimo rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Milano confermano, con alcune specificità legate al tessuto economico e sociale del nostro territorio, il dato nazionale. Dunque, in un’ottica di stabilizzazione del fenomeno migratorio, è necessario pensare che le persone che oggi chiamiamo straniere, in quanto spesso non parlano bene la nostra lingua o vestono diversamente, seguendo le proprie tradizioni culturali, saranno italiane nelle prossime generazioni, pur mantenendo le proprie specificità culturali. In questo normale avvicendarsi di generazioni le comunità locali e le persone che le abitano dovranno abituarsi ad un’idea di diversità che rimane e che ha bisogno di essere valorizzata per non diventare discriminatoria. Le società multiculturali più mature, come gli Stati Uniti o il Canada, stanno affrontando il tema della diversità culturale a tutto tondo, coinvolgendo le organizzazioni produttive e quelle che si occupano di servizi alla persona in una riflessione che include le differenze di genere, di orientamento sessuale, di generazione, di abilità fisica e, naturalmente, di origine nazionale, regionale o etnica. Su questo tema l’intervento della Provincia di Milano si e sempre indirizzato verso azioni positive e propositive, di supporto alla programmazione locale e al sistema dei servizi sociali e sanitari che in questi anni si stanno attrezzando per comprendere e rispondere ad un’utenza sempre più diversificata: un percorso ad ampio spettro sul quale si sono innestate le attività di formazione, ricerca e aggiornamento sostenute dal Settore Sviluppo delle Professionalità. In questo processo si iscrive anche la ricerca presentata in questo volume, promossa dalla Provincia di Milano in collaborazione con l’Università di Prefazione Milano Bicocca e con il coinvolgimento di alcune significative realtà del territorio. Questa pubblicazione cerca di fare il punto e offrire spunti di riflessione sulla competenza necessaria per gestire la diversità non solo degli utenti, ma anche delle persone che lavorano in organizzazioni che si occupano di servizi socio sanitari, al fine di instaurare un circolo virtuoso per superare il concetto di tolleranza: una società integrata è una società in cui il rispetto per la diversità non è solo antirazzismo, ma un concetto di reciproca conoscenza, comprensione e valorizzazione. Ezio Casati Assessore alle Politiche Sociali Provincia di Milano 7 Dal multiculturalismo al diversity management INTRODUZIONE “Dal multiculturalismo al diversity management. Una ricera empirica sulla definizione e sulla misura della competenza interculturale nei servizi sanitari e sociali di Milano e della sua provincia”. L’esperienza del Settore sviluppo delle professionalità della Provincia di Milano “Dal multiculturalismo al diversity: una sperimentazione italiana” è il titolo del progetto da cui, nel 2005, prende avvio la collaborazione tra Provincia di Milano - Settore Sviluppo delle professionalità e l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Come ricorda Ida Castiglioni1 nel presentare il rapporto di ricerca, il diversity è un’applicazione organizzativa di varie politiche di inclusione; alla base vi è un concetto ampio di cultura che abbraccia le diversità di genere, di nazionalità, di appartenenza locale, di abilità fisica, di generazione e di ruolo. Un tema di grande attualità che anima il dibattito culturale e muove il pensiero delle politiche di welfare, mettendo in evidenza molte delle contraddizioni e fragilità che attraversano il nostro sistema sociale. Siamo partiti dalla consapevolezza che per rendere possibile l’inclusione non sono sufficienti dichiarazioni d’intenti e indicazioni legislative, ma è necessario comprendere come le persone fanno esperienza della differenza e il livello di sensibilità alla diversità che hanno individui e organizzazioni. Un approccio innovativo, una sfida culturale anche per il nostro Settore, impegnato da oltre un ventennio nella formazione continua e nell’aggiornamento dei Servizi del Welfare su un territorio composito come la provincia di Milano 2. 1. Cfr. articolo di I. Castiglioni (2008) “I servizi sanitari e sociali e la sfida della diversità: una ricerca empirica sulla sensibilità interculturale di alcune organizzazioni di Milano e della sua provincia” in Libro del decennale dell’Università di Milano Bicocca (in pubblicazione). 2. A questo proposito si ritiene interessante proporre alcuni dati che dimensionano l’offerta di servizi nella provincia di Milano. Sul nostro territorio il sistema integrato di servizi sociali e a rilevanza sanitaria coniuga realtà pubbliche e del privato sociale: 189 Comuni, 22 Ambiti territoriali, 4 Aziende sanitarie locali (area Dipartimenti ASSI), 300 soggetti, circa, del terzo settore. 9 Dal multiculturalismo al diversity management Un modo originale per interpretare il mandato normativo 3 che trasferisce alle Province le competenze in merito alla formazione continua e all’aggiornamento dei servizi sociali e a rilevanza sanitaria ma, soprattutto, la rilevazione e lo studio di fenomeni sociali di particolare attualità e importanza. La sperimentazione nasce come ricerca-intervento, con l’idea di esplorare e verificare, a vari livelli di indagine, lo stato dell’arte sulla gestione della diversità all’interno di alcune grandi organizzazioni nell’area dei servizi sociali e sanitari. 10 Per questo motivo, sin dalla fase di start up, sono state coinvolte ed hanno partecipato alcune organizzazioni, testimoni privilegiati della rete di servizi sociali e sanitari nella realtà milanese: l’Azienda consortile Offerta Sociale di Vimercate, i Comuni del Distretto Sud-est Milano di San Donato Milanese, il Comune di Garbagnate Milanese, l’Istituto Golgi Redaelli, alcuni Reparti dell’Ospedale Fatebenefratelli, oltre alla Direzione Centrale Cultura e Affari Sociali della Provincia di Milano. Il principio da cui si è mossa la riflessione del Settore attinge alla più accreditata letteratura sullo studio delle organizzazioni e dei sistemi complessi che caratterizzano i servizi e le politiche di welfare. La cultura delle organizzazioni è generata, infatti, dalle stesse persone che le popolano, che, con la loro esperienza e il loro lavoro, stratificano, fanno crescere e fanno vivere le diverse istituzioni. Ciò significa esplorare la cultura soggettiva di questi apparati. Per questo il progetto narrato nel volume è orientato a comprendere la worldview - nell’accezione dello studioso americano Milton Bennett - di gruppi e persone che si relazionano all’interno delle stesse organizzazioni e sono impegnate nell’erogazione di servizi sociali; servizi che, per loro natura, si connotano prevalentemente come relazionali. 3. Si veda a tale proposito: la legge 328 dell’8 novembre 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”; legge regionale 34 del 14 dicembre 2004Politiche regionali per i minori; legge regionale 3 del 12 marzo 2008 Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario. Introduzione Come scrive G. Varchetta “la persona umana, così come l’organizzazione, non è frantumabile e non sono possibili uno sguardo e una interrogazione parziali” 4. Dunque in un tempo come il nostro, nel quale la ricerca e l’attenzione al soggetto sono al centro di un dibattito ampio e crescente, ci siamo posti la questione sul come la dimensione soggettiva si relazioni alla diversità e come questa esperienza si con-fonda nelle istituzioni, connoti le relazioni all’interno dei gruppi di lavoro e la capacità dell’organizzazione stessa di offrire servizi alla comunità. Servizi immateriali, ci ricorda Manoukian, servizi ed interventi che per sostenere la progettazione sociale sono chiamati a sviluppare delle costruzioni sociali in un processo dinamico che genera altri processi, auspicabili e sostenibili, per promuovere una società in cui siano riconosciuti e tutelati valori e diritti ritenuti centrali. “Questo è praticabile entro due sponde: riconoscere e fare emergere qualche cosa che già è presente, che attraversa gruppi sociali più o meno ampi e identificabili, che è investito da “affetti” positivi o negativi e che per vari motivi può coagulare degli interessi e mobilitare ideazioni, prefigurazioni per cambiare (…), dall’altro ricollegarsi a delle ipotesi o a delle idee forti rispetto a come si legge e si interpreta il contesto sociale in cui si è collocati e le problematiche più generali che lo caratterizzano” 5. Una questione complessa quando si va ad esplorare l’esperienza con la diversità: di genere, di cultura, di religione così come nell’accezione più ampia proposta da questa pubblicazione. I capitoli che seguono spiegano in modo puntuale il Modello Dinamico di Sensibilità Interculturale di Milton Bennett (DMSI) e lo sviluppo della ricerca sul territorio della Provincia di Milano. Prima di addentrarci, però, nella lettura dei contributi è a nostro avviso importante evidenziare le scelte compiute dall’area formazione 6 della Provincia di 4. G.Varchetta “L’ambiguità organizzativa”- Guerrini 2007 pag 25. 5. Franca Olivetti Manoukian “La progettazione sociale possibile” Prospettive Sociali e Sanitarie - Milano n10-11/2006. 6. È possibile scaricare il “Piano di formazione per gli operatori dell’area sociale e a rilevanza sanitario 2008-2009”, consultare le proposte formative e i progetti in corso sul sito www.provincia.milano.it/sociale". 11 Dal multiculturalismo al diversity management Milano, in particolare sull’approccio di rete che sostiene il nostro lavoro nel rilevare il bisogno e programmare le attività di formazione che aiutano a mantenere alta l’attenzione su fenomeni sociali di particolare interesse, peraltro al centro del volume. Si tratta di un piano di lavoro con un respiro biennale che muove più di 4000 operatori ogni anno (oltre 400 percorsi formativi, circa 200 all’anno), un’offerta costante nel tempo ma capace di rinnovarsi per rispondere all’evoluzione e ai cambiamenti che attraversano il sistema di welfare. 12 Il nostro lavoro si muove nella consapevolezza che progettare, in una dimensione di reale sussidiarietà delle realtà locali e del terzo settore, richiede ampie concertazioni e la capacità di costruire reti interistituzionali all’interno delle quali promuovere percorsi conoscitivi in cui effettivamente siano presenti più attori sociali, in cui realmente più individui e gruppi arrivino a prendere parte attiva all’analisi e alla comprensione dei fenomeni sociali su cui ci si propone di intervenire. Una spirale virtuosa, un movimento di crescita in cui la Provincia, negli anni, ha mantenuto e potenziato la conoscenza e lo scambio con Servizi, Enti, organizzazioni e operatori, raccogliendo informazioni e sollecitazioni con l’obiettivo di attuare iniziative di studio e di ricerca sui problemi emergenti, diffondere esperienze innovative, fornire supporto e consulenza ai Comuni, agli Ambiti territoriali e, in generale, agli enti pubblici e del terzo settore che operano nel campo dei Servizi alla persona. Luoghi nei quali si rinforza, nell’esperienza delle persone che li abitano, la capacità di dare senso alle azioni e una nuova riflessività. Un percorso circolare o forse, meglio, di “avanti e indietro” di esperienze e riflessioni che transitano dall’operatività dei servizi alla nostra area Formazione. Un movimento di scambio ed elaborazione che ci consente di riflettere, attraverso la formazione e l’attività di ricerca intervento, per individuare nuove e più specifiche ipotesi sul lavoro nel sociale. La formazione dunque, pensata in partnership con le Università milanesi e le più accreditate agenzie formative del territorio, come un percorso relazionale capace di generare una crescita individuale prima, e uno sviluppo dell’organizzazione poi. Introduzione Queste riflessioni sono state la base su cui è si è innestata il progetto di ricerca intervento sul diversity. La cura del processo, il rigore dell’approccio scientifico garantito da ricercatori e formatori, l’attenzione, l’ascolto a tutte le istanze portate dai soggetti e dalle organizzazioni coinvolti nel progetto ci ha consentito di arrivare a condividere le riflessioni che si sviluppano nella pubblicazione come un momento per porsi nuove domande e modificare la nostra worldview. Susanna Galli Responsabile del Servizio Formazione per le professioni sociali Settore Sviluppo delle professionalità 13 Dal multiculturalismo al diversity management 1. DAL MULTICULTURALISMO AL DIVERSITY MANAGEMENT Una ricerca empirica sulla definizione e sulla misura della competenza interculturale nei servizi sanitari e sociali di Milano e della sua provincia*. La cultura di una società cambia per definizione, eppure vi è la tendenza a meravigliarsi di fronte a dati o studi che rendono il cambiamento, a quel punto già avvenuto, evidente alla nostra coscienza. Il mondo del lavoro è l’ambito che prima di tutti riflette i cambiamenti nella composizione della società e dei suoi comportamenti e valori. Sono circa tre milioni gli immigrati regolari presenti nel nostro Paese (Istat 2007), con un’incidenza sulla popolazione italiana del 5,2%. Il 70% degli immigrati è tra i 15 e i 44 anni (solo il 47% degli italiani è in tale fascia) e allo stesso tempo la fecondità delle donne italiane è sotto il livello di sostituzione (1,25% rispetto al 2,4% delle donne straniere). L’Italia è il Paese più “vecchio” d’Europa, con forte ritardo dei giovani nell’ingresso al mondo del lavoro e una lunga permanenza di quelli anziani, un conflitto generazionale aperto, soprattutto se sommato alla disoccupazione in età avanzata per i lavoratori meno istruiti. Le donne rimangono una categoria a sè, tra part-time, potenziale di lavoro, lavoro in nero o stipendi inferiori fino al 15% nell’industria. Per quanto riguarda la carriera, il noto fenomeno del soffitto di vetro, spiega come un’organizzazione ad esempio come la ASL di Milano sia costituita dal 68% di dipendenti di sesso femminile, ma riveli un rapporto inverso per quanto riguarda la dirigenza 8. Tale quadro rende necessaria una riflessione su come la società si è adattata negli ultimi venti anni. I cambiamenti strutturali sono relativamente più facili da registrare di quelli culturali che impongono modalità di indagine indiretta o inferenziale. * Questo rapporto di ricerca include parti di un articolo della stessa autrice in pubblicazione (2008) sul Libro del decennale dell’Università di Milano Bicocca dal titolo: “I servizi sanitari e sociali e la sfida della diversità: una ricerca empirica sulla sensibilità interculturale di alcune organizzazioni di Milano e della sua provincia”. 8. Dati del Comitato Pari Opportunità ASL Città di Milano. 15 Dal multiculturalismo al diversity management 2. IL DIVERSITY Negli ultimi quindici anni si è sviluppata una letteratura internazionale molto consistente sul tema del diversity. Molta di questa letteratura ne riflette le sue radici storiche, enfatizzando quindi gli aspetti di inclusione, di giustizia sociale, di implementazione e gestione della diversità, delle logiche premianti 9. In Italia si sta cominciando a parlare negli ultimi cinque anni di diversity, soprattutto in ambito aziendale, principalmente come politica di inclusione. Siamo ancora lontani però dai numeri raggiunti con le azioni positive negli Stati Uniti in ogni sfera organizzativa. Ritengo che molta parte del discorso che va sotto il nome di diversity in Italia oggi in realtà sia ancora prettamente legato alle politiche di pari opportunità, che si concentrano sulle problematiche di genere. Tuttavia si stanno gettando le basi affinché la questione possa anche essere trattata sotto altri aspetti, maggiormente attinenti alla ricerca qui presentata, di comprensione profonda dei cambiamenti culturali che accompagnano, talvolta con uno scarto di decenni, le leggi. 2.1 Il caso degli Stati Uniti: una comparazione tra azioni positive, valorizzazione della diversità e gestione della diversità Ogni strategia per affrontare un problema è culturalmente e storicamente connotata. Sarebbe sufficiente ricordarcelo più spesso per ovviare errori che si ripetono continuamente a diverse latitudini del globo. Ciò impone cautela nelle comparazioni e nelle importazioni di modelli ma se è tenuto in debita considerazione dà valore agli stessi. Il caso dell’Affirmative Action e dei suoi sviluppi nel mondo in poco più di vent’anni è esemplare in questo senso per i fraintendimenti e per le trasformazioni cui ha dato luogo. Le azioni positive sono, negli Stati Uniti, il risultato di anni di lotte e rivendicazioni per l’acquisizione di diritti civili da parte di minoranze etniche, in primo luogo gli africano americani e gli immigrati ispanici culminati con il 9. In effetti il diversity si sviluppa alla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti sulla scorta delle inefficaci politiche dell’Affirmative Action (Castiglioni I., 2004) grazie a una riflessione proprio sulle conseguenze delle politiche di “quota”. Oggi è una delle strategie di gestione più importanti in ambito organizzativo nazionale e internazionale. 17 Dal multiculturalismo al diversity management 18 Civil Rights Act del 1964. Tale disposizione, voluta da John. F. Kennedy e supportata in seguito da Lyndon Johnson, passa da una pratica di assunzione non discriminatoria dimostrabile per le organizzazioni che lavoravano per il governo ad una di incremento di donne e minoranze nella propria forza lavoro che sia misurabile e visibile10. L’idea ha origine in un concetto giuridico inglese, molto antico, di uguaglianza e di amministrazione della giustizia secondo ciò che è “giusto” 11 in una data situazione, contravvenendo ai rigidi protocolli giuridici del tempo. È solo nel 1935 che viene usato per la prima volta il termine Affirmative Action per regolare i casi in cui un datore di lavoro sia colto a discriminare palesemente dei lavoratori in quanto membri dei sindacati. In tal caso egli era obbligato a cessare la discriminazione e a implementare delle azioni positive per ricollocare i lavoratori in maniera adeguata. Nel corso degli anni Settanta i programmi di Affirmative Action si diffondono in tutto il Paese, dalle università ai luoghi di lavoro di ogni tipo, per entrare poi in crisi agli inizi degli anni Ottanta con le amministrazioni Reagan e Bush che liquidano queste disposizioni esclusivamente come un’imposizione di quote su aziende e strutture scolastiche. È utile ricordare che dopo circa dieci anni di sperimentazione, lo stipendio orario di un uomo nero laureato con un’età compresa tra i venticinque e i trentaquattro anni corrispondeva circa al 96% di quello di un uomo bianco della stessa età. Un discorso a parte meritano invece le donne nere laureate, per le quali lo stipendio annuale era leggermente superiore rispetto a quello delle colleghe bianche. Nel 1990 abbiamo più o meno gli stessi numeri e tutte le minoranze, uomini e donne inclusi, ricevevano in media circa cinquemila dollari in meno all’anno dei colleghi maschi bianchi (Farley, 1995). L’impatto delle azioni positive sull’iscrizione ai college è minimo, ma rimane significativo nel pubblico impiego, nei corpi di sicurezza e nelle aziende che firmano contratti con il governo federale. Se queste iniziative hanno prodotto qualche risultato per portare i compensi dei gruppi minoritari a un livello di maggiore uguaglianza, tuttavia non sono state di successo per i segmenti più poveri 10. vedi anche Castiglioni I., “Dal multiculturalismo al diversity” in Passaggi-Rivista Italiana di Scienze Transculturali, 7/I/2004, Carocci Editore e Fondazione Cecchini Pace, pp. 32-65. 11. La traduzione italiana non riesce a rendere completamente l’idea di “fair”. 2. Il diversity della popolazione. Inoltre non hanno contribuito a creare un clima di maggiore rispetto per la diversità. Un dibattito molto ampio si apre da quel momento in poi sull’utilità di imporre tali pratiche, negli Stati Uniti come in Europa, dove la questione ha investito soprattutto la presenza delle donne in politica e nei luoghi di lavoro 12. Purtroppo con il passare del tempo si sono perse anche le motivazioni originarie di questa politica che doveva essere solo una forma temporanea di supporto all’inclusione: nelle intenzioni originarie della legge infatti si sarebbe dovuta esaurire in modo naturale una volta spezzato il ciclo dell’ineguaglianza delle discriminazioni passate basate sul concetto dell’inferiorità di razza e di genere. L’Affirmative Action enfatizza la dimensione quantitativa dell’inclusione: raggiungere le pari opportunità attraverso il cambiamento della demografia all’interno delle organizzazioni, un processo monitorato da report e analisi statistiche. È inoltre basata su leggi che determinano obiettivi, gruppi e percentuali. Agiscono in un’ottica di rimedio per le ineguaglianze passate subite da gruppi di minoranza, senza però tenere conto delle variabili socio psicologiche che tale discriminazione ha inflitto nelle persone, come ad esempio l’interiorizzazione dell’oppressione13. Emerge da un modello assimilazionista in cui si assume che i diversi gruppi, una volta entrati nel sistema mainstream, si adattino alle norme esistenti nelle organizzazioni. Apre le porte nelle organizzazioni in quanto influenza le assunzioni e le decisioni di promozione14. La resistenza all’Affirmative Action è dovuta alla percezione di limiti all’autonomia nella presa di decisioni e alle paure di discriminazione al contrario. I detrattori di questa politica hanno sottolineato come il trattamento preferenziale per le minoranze infatti è ingiusto laddove l’organizzazione in questione non ha mai discriminato in passato. Ciò apre anche la possibilità di includere o promuovere esclusivamente per effetto di politiche di quota, a prescindere dalle qualifiche, confliggendo con un principio cardine della società statunitense, quello della meritocrazia15. 12. Per un’approfondimento: Beccalli B. (a cura di), 1999. Donne in Quota. Fetrinelli: Milano. 13. Per approfondire questo concetto vedi anche Cudd A. E., 2006. Analyzing Oppression, Oxford University Press: Oxford. 14. Cfr. Gardenswartz L., Rowe A., 1993. Managing Diversità, Irwin: Chicago 19 Dal multiculturalismo al diversity management 20 Dalla metà degli anni Ottanta in poi, in molte organizzazioni, i programmi di azioni positive sono supportati da un formazione interna, non sempre di qualità professionale sui diritti civili e sui diritti umani, a volte anche sulla riduzione del pregiudizio. Questi programmi hanno ancora una qualità quasi esclusivamente giuridica e sono volti alla sensibilizzazione sul tema della discriminazione, sortendo spesso l’effetto contrario. Ci sono casi in cui diventano arene per trincerarsi dietro muri di odio collettivo tra persone che non colgono questi spazi per aprire un dialogo ma solo per rinfacciarsi idee e comportamenti. Questo succede quando si passa da uno stadio di negazione della differenza ad uno di difesa secondo il Modello Dinamico di Sensibilità Interculturale di Milton Bennett illustrato in seguito. Rimangono comunque un approccio proficuo che si sviluppa in senso positivo circa un decennio più tardi con l’introduzione di temi e di modalità di formazione importate dalla ricerca in comunicazione interculturale. La transizione dall’Affirmative Action al Diversity Management si realizza mediante l’incremento di questi programmi che spostano l’attenzione sulla valorizzazione delle differenze in termini qualitativi. Le organizzazioni cercano di monitorare attraverso delle survey le attitudini e le percezioni dei dipendenti al fine di sostenere un clima di accettazione 16. L’imperativo che guida queste azioni è di tipo morale ed etico, al fine di promuovere un cambiamento graduale che renda le organizzazioni più ricettive e in definitiva più produttive. Tale orientamento diventa ciò che chiamiamo oggi diversity; in questa fase ha una prospettiva prevalentemente idealistica e presuppone che i diversi gruppi mantengano le proprie caratteristiche e diano forma alle organizzazioni e viceversa, creando un insieme di valori comuni. Questa prospettiva contribuisce ad aprire le menti delle persone e la cultura delle organizzazioni, molte delle quali hanno a che fare sia con una diversità all’interno dei confini nazionali che all’esterno, in quanto parte di gruppi che operano su scala globale. Da una parte vi è un cambiamento negli atteggiamenti, dal- 15. Cfr. Glazer N., 1987, Affirmative Discrimination, Harvard University Press: Cambridge, MA e Skrentny J.D. 1996. The Ironies of Affirmative Action, The University of Chicago Press: Chicago. 16. Fromkin H.L., Sherwood J.J., 1976. Intergroup and Minority Relations, University Associates Inc.: La Jolla, Ca 2. Il diversity l’altro vi sono naturalmente delle sacche di resistenza per tutti quelli che vorrebbero tornare ai “bei vecchi tempi” in cui non ci si poneva tutti questi problemi. La versione più matura di tale approccio è quella che oggi è definita diversity management: una strategia di sviluppo organizzativo che mette l’accento sulle dimensioni comportamentali. Enfatizza la costruzione di competenze specifiche e la creazione di policies per ottenere il meglio da ogni membro dell’organizzazione e prevede un monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi prefissati. È guidata da una riflessione strategica che mette sullo stesso piano i risultati ottenibili dal profitto o dall’erogazione dei servizi e i comportamenti e le attitudini che contribuiscono in uguale modo al successo dell’organizzazione. Vi è una visione dunque pragmatica della differenza, il cui riconoscimento è inglobato nelle pratiche quotidiane: il morale della forza lavoro equivale al livello di produttività. È senza dubbio una visione molto aziendalistica che nell’ambito culturale statunitense è tenuta in grande considerazione e tende a diventare di volta in volta la modalità di gestione prevalente. È allo stesso tempo una prospettiva non “aggiuntiva”, ma incorporata nella gestione della forza lavoro, aspetto di grande rilevanza rispetto al passato. Il modello di riferimento è quello sinergistico, in cui i gruppi diversi sono sollecitati a creare nuovi modi di lavorare insieme in un ambiente pluralistico; apre il sistema in quanto influenza pratiche manageriali e policies interne. La resistenza in questa fase è dovuta principalmente alle persone che negano i cambiamenti demografici intorno a loro e i potenziali benefici associati al cambiamento. Si tratta della resistenza ad acquisire nuove competenze, alla diversificazione dei sistemi esistenti, al tempo da dedicare per trovare soluzioni sinergiche (Gardenswartz and Rowe, 2003). 2.2 A che punto siamo in Italia La discriminazione viene trattata nel 1977 con la legge n. 903 in tema di parità del lavoro tra uomini e donne, mentre non si fa menzione di altri tipi di parità. È quella un’Italia in cui la qualità dei movimenti femministi rimarcava una necessità di uguaglianza che è rimasta più impressa nella memoria delle persone rispetto alla necessità di differenza impostasi di lì a poco, nell’attività meno gridata degli anni Ottanta e Novanta. Ciò ha rallentato la formazione di 21 Dal multiculturalismo al diversity management 22 una coscienza di genere in quanto differenza culturale nei valori e nei comportamenti espressi soprattutto nel mondo del lavoro. Questo ritardo o forse questa caratteristica culturale è ravvisabile anche nella tutela della maternità: nel 2000 la legge n.53 introduceva il concetto di sostegno alla paternità, perfezionata con il testo unico n.151 del 2001. La richiesta di congedo per paternità è rimasta una chimera e anche chi vorrebbe usufruirne è nei fatti scoraggiato. Una riprova della scarsa coscienza delle uguali opportunità da un lato e dell’impossibilità di comprendere il significato della valorizzazione delle differenze di genere dall’altro. Nell’ambito della disabilità la nota “legge sul collocamento obbligatorio” (legge 482/68) rappresenta un chiaro esempio di politica di quota in cui non è nemmeno pensabile prevedere un’azione di valorizzazione di tali tipi di diversità. La legge si è evoluta poi in senso positivo con la legge quadro sull’handicap (legge 104/92) e successivamente con la legge n. 68 del 1999 che prevede il principio della valutazione del soggetto in base alle concrete capacità lavorative-relazionali, fino alla legge 67 del 2003 con il giudizio di idoneità alla mansione. Tale sforzo sul piano legislativo non si riflette nella consapevolezza di chi disabile non è, e il cambiamento culturale nell’accettazione quotidiana di chi è diversamente abile è un processo lento. Per quanto riguarda la differenza nazionale o etnica è stato costituito nel 2003, in attuazione della direttiva europea 2000/43/CE, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (U.N.A.R.) che ha il compito di controllare e garantire il principio della parità di trattamento per chiunque sia vittima di una discriminazione o di una molestia causata dalla propria origine etnica o razziale. Nonostante la “svista” riguardo ai termini usati per denominare questa agenzia, - le razze non esistono - (Dobbins &Skillings, 1991) si è finalmente presa in considerazione una problematica che potenzialmente riguarda tre milioni di persone in Italia, molte di più se considerassimo gli “irregolari”. I dati del rapporto 2007 di questa agenzia rivelano come le discriminazioni più ricorrenti sul lavoro riguardano nel 32% dei casi condizioni lavorative diverse rispetto ai colleghi italiani soprattutto sul piano contrattuale e retributivo. Secondo questi dati il 28,8% dei lavoratori è sottoposto quotidianamente ad abusi e sopraffazioni - di carattere psicologico e non - da parte di colleghi e superiori e il 22% ha avuto seri problemi nella ricerca di un posto di lavoro (spesso, a parità di titoli, giocava a loro sfavore il cognome straniero). Nel 2004, ad esempio in Lombardia, la metà degli immigrati con un diploma medio superiore e un terzo dei laureati lavorano in mansioni totalmente de- 2. Il diversity qualificate (Reyneri, 2004). Ciò ha molto più peso se consideriamo che in alcuni anni il tasso di irregolarità era vicino al 60%, castrando in partenza la possibilità dei lavoratori di pensare a un futuro. La centralità del lavoro come portatore di significati identitari è noto nella letteratura psicologica, a maggiore ragione, nel processo migratorio questa relazione sembra assumere ancora più rilevanza. Acquisire consapevolezza e riconoscimento rispetto alle proprie competenze tecniche va di pari passo con l’apprendimento culturale, ossia l’apprendimento di competenze specifiche a una cultura che sono richieste per negoziare significati nel nuovo contesto (Castiglioni I., 2005). “Quando si creano autodeterminazione e senso di competenza sembra scattare la funzione positiva del lavoro nel favorire la nascita di una nuova identità nel nuovo Paese e la possibilità di alternanza tra tradizione e nuova cultura” (Inghilleri, 2004). In termini di comunicazione interculturale ciò si traduce nella creazione di un nuovo senso di cittadinanza che aspira appunto alla biculturalità per gli stranieri, promuovendo la capacità di essere efficaci in due o più realtà culturali, tipicamente quella di partenza e quella di arrivo, o quella dei propri genitori e quella di nascita, ma anche per chi straniero non è, nell’acquisizione di abilità che lo rendano competente in senso biculturale, per esempio nelle relazioni di genere, oppure interfunzionali, tra medici e infermieri. La necessità di considerare come culture le dimensioni identitarie altre da quelle nazionali o etniche è evidente: le seconde e le terze generazioni non possono essere concepite se non all’interno di uno schema più ampio. Un criterio di reciprocità si applica quindi anche a chi può e deve in una società multiculturale cominciare a pensarsi in termini culturali, anche se è bianco, maschio, eterosessuale, ovvero rappresenta ciò che per la maggior parte delle persone è la “norma”. 23 Dal multiculturalismo al diversity management 3. DIVERSITY E COMPETENZA INTERCULTURALE Il diversity però non è fatto solo di politiche di inclusione. Esiste una letteratura altrettanto vasta, che attinge perlopiù alla ricerca interculturale, che si occupa di aspetti sociali, psicologici e culturali della relazione con la diversità. Tali aspetti sembrano essere ancora embrionali in Italia. In questo senso si inserisce la ricerca “Dal multiculturalismo al diversity: una sperimentazione italiana” *, promossa dalla Provincia di Milano, che nasce come interesse ad approfondire il tema del diversity attraverso uno spaccato particolare: una valutazione del grado di preparazione delle organizzazioni a gestire la diversità e la possibilità di miglioramento attraverso una formazione adeguata. L’assunto di base è che la competenza interculturale è proporzionale alla capacità di fare esperienza della differenza. Più gli individui e quindi le organizzazioni da loro formate hanno una visione del mondo (worldview) articolata, maggiore è la loro possibilità essere competenti interculturalmente e, per inferenza, di gestire meglio il cambiamento. 3.1 Il Modello Dinamico di Sensibilità Interculturale Alla base della ricerca è il Modello Dinamico di Sensibilità Interculturale (MDSI) teorizzato da Milton J. Bennett, una teoria basata su dati empirici di come le persone fanno esperienza della differenza culturale, nel senso sopracitato e più ampio del termine. Se le persone non possono costruire cognitivamente un evento significa che non ne fanno esperienza. L’inabilità di esperire la differenza culturale è definita “etnocentrica”, in quanto un individuo è in grado di costruire l’esperienza solo della propria cultura. In questi stadi le altre culture non esistono (negazione), sono una minaccia (difesa) o sono differenti solo in superficie (minimizzazione). Nel momento in cui le persone acquisiscono una worldview o visione del mondo capace di supportare l’esperienza interculturale, diventano “etnorelative”. Sono allora capaci di riconoscere il valore delle altre culture (accettazione), di cambiare la loro prospettiva e modificare il comportamento per tenere in conto l’altra cultura (adattamento), e di incorporare la competenza interculturale nelle loro identità (integrazione). * Il gruppo di ricerca è costituito da Ida Castiglioni, Alberto Giasanti, con la partecipazione di Cristina Greco, Luca Fornari e la consulenza di Milton J. Bennett. La ricerca è stata effettuata tra il 2005 e il 2008. 25 Dal multiculturalismo al diversity management Il MDSI si distingue da altre teorie della competenza interculturale, poiché assume che la competenza non sia solo un insieme di saperi e abilità, né tantomeno che sia sufficiente avere un’attitudine positiva. Ciò che è necessario è una worldview sottostante che permetta agli individui di fare esperienza della propria e delle altre culture in modi etnorelativi, che permetta loro di applicare i saperi e le abilità in maniera appropriata. Gli individui possono progredire dall’etnocentrismo all’etnorelativismo: i sistemi percettivi dell’individuo nelle fasi etnocentriche sono meno sensibili alle diffrenze culturali, mentre nelle fasi etnorelative le differenze culturali vengono discriminate, ossia le persone sono capaci di fare più distinzioni significative all’interno del fenomeno. Il MDSI si divide in Fasi Etnocentriche e Fasi Etnorelative. 26 Esperienza della differenza Negazione Difesa Minimizzazione Accettazione Fasi etnocentriche Adattamento Integrazione Fasi etnorelative Esperienza della diversità Fig. A Per esempio le persone in negazione non hanno la capacità di leggere la differenza culturale in maniera complessa: tra le spiegazioni possibili vi è un isolamento relativo degli individui da altre culture, sia per scelta personale, sia per caso. Ciò naturalmente è valido per persone di ogni cultura nazionale, etnica, di genere, generazionale, di abilità fisica o di orientamento sessuale. La differenza è negata in quanto non è percepita, oppure è sentita in maniera distante (es. gli africani, le donne), spesso illustrata con degli stereotipi che rappresentano di fatto tutto quello che queste persone conoscono. Poiché l’esperienza degli altri è “scarsa”, quella personale diventa molto ricca e centrale, quindi la comunicazione diventa positiva solo con chi condivide il maggior numero di caratteristiche di quella esperienza. Talvolta la negazione porta con sé la disumanizzazione dell’altro, quindi può condurre ad azioni di sfruttamento o a comportamenti di non rispetto. 3. Diversity e competenza interculturale La questione principale da risolvere è in questo caso la tendenza ad evitare l’osservazione o il confronto con la differenza culturale. Paradossalmente quando si risolve tale questione, e la propria sensibilità aumenta, si entra nello stadio della difesa. Le persone in difesa si sentono sotto assedio e molti dei comportamenti aggressivi agiti sono guidati da un sentimento di paura, paura di essere fagocitati. Ciò accade in quanto non sono sicure della propria identità. La loro esperienza della differenza è più “reale” di quella delle persone in negazione, ma la struttura della worldview è capace di fare solo macrodistinzioni che vengono categorizzate in termini dualistici: ‘mi piace/non mi piace; è giusto/è ingiusto; è bello/è brutto’. L’esperienza del mondo è divisa tra NOI e LORO, comunque sia definito, e quest’ultimo è stereotipato in maniera negativa. La difesa al contrario è l’altra faccia della medaglia di questo stadio: la capacità percettiva rimane la stessa, ma LORO sono migliori di NOI. Sono quindi invertite le polarità del dualismo, ma la qualità dell’esperienza è la stessa. La questione da risolvere per le persone in difesa è il riconoscimento di una comune umanità con persone di un’altra cultura. Spesso si pensa che se si fornisce loro un maggior numero di informazioni, queste persone possano capire meglio l’esperienza dell’altro o migliorare la comunicazione interpersonale: in realtà ciò non modifica la qualità della loro esperienza. Il sentimento di comune umanità conduce le persone in minimizzazione. In questa fase gli elementi della propria visione culturale del mondo sono percepiti come universali. Le persone si aspettano similarità e possono diventare anche molto insistenti nell’esigerla: questo perché “sotto sotto tutti vorrebbero essere come noi”. L’universalismo è di tipo fisico oppure trascendente, legato per esempio a credo religiosi o politici, talvolta anche legato a scelte precise entro la propria professionalità che impongono una visione omogeneizzante delle differenze nella realtà. La questione da risolvere in questa fase è il riconoscimento della propria cultura e la consapevolezza del paradigma a partire dal quale si organizza un contesto lavorativo o si opera una professione. Milton Bennett indica che solo una volta che le persone sono in minimizzazione sarebbe opportuno parlare di differenze culturali vere e proprie, poiché prima potrebbe diventare un boomerang. Spesso infatti le caratteristiche specifiche di altri gruppi culturali sono usate dalle persone in difesa per consolidare i loro stereotipi. Un volta chiarita la propria consapevolezza culturale diventa più facile rico- 27 Dal multiculturalismo al diversity management 28 noscere quella degli altri come ugualmente complessa ed entrare nella prima fase degli stadi etnorelativi: l’accettazione. Le persone qui sperimentano le differenze entro una condizione di comune umanità: non sono necessariamente esperte di altre culture, ma sono guidate da curiosità e, appunto, accettazione dell’altro. È importante ricordare infatti che il MDSI non è un modello costruito sulla base della mole di conoscenza, sulle attitudini o sulle competenze pratiche, ma sul sistema percettivo che mette in grado di comprendere la differenza. Tale enfasi definisce una persona interculturalmente competente non tanto perché sa tutto su questa o quella cultura, ma perché diventa capace di sentire come quella cultura. La questione da risolvere per le persone in accettazione è mantenere la relatività dei valori pur scegliendo il proprio impegno e il proprio orientamento all’interno di questi. La risoluzione di tale questione permette di prendere la prospettiva di un’altra cultura senza perdere la propria. Questo è il nodo centrale dell’adattamento della differenza, ossia come diventare empatici senza perdersi nell’altro o adeguarsi all’altro, ponendo le basi per una relazione basata sulla reciprocità. Ciò implica un allargamento del proprio repertorio di valori e comportamenti, non una sostituzione: non c’è bisogno di perdere la propria identità culturale per essere efficaci in un altro contesto. In effetti il problema di ‘sentirsi autentici’ è la questione da risolvere per le persone in adattamento. Se il comportamento è emerso da un sentire per altre culture di cui si sono apprese caratteristiche, allora tutte queste sfaccettature compongono autenticamente la persona che uno è (Bennett & Castiglioni, 2004). L’ultimo stadio del MDSI è quello dell’integrazione della differenza culturale in cui l’esperienza del sè si espande al punto da includere il movimento - dentro e fuori - diverse worldview culturali. In questa fase tipicamente si trovano persone che devono imparare a gestire identità culturali che stanno ai margini, che non sono pienamente né una cultura né l’altra ma una sintesi di due o più. Tale marginalità può essere incapsulata se la persona si sente intrappolata tra queste culture e sente di non fare parte di nulla, o costruttiva se invece il sincretismo avviene in maniera naturale ed è accettato come identità speciale. 3.2 L’Intercultural Development Inventory (IDI) Questo test di autovalutazione costruito da Mitchell Hammer e Milton Bennett misura come gli individui costruiscono la loro worldview della differenza, secondo la teoria del MDSI di Milton J. Bennett. È quindi una misura 3. Diversity e competenza interculturale empirica di un concetto teorico che rispetta criteri scientifici standard al fine di misurare in maniera valida e affidabile i costrutti definiti dal modello dinamico di sensibilità interculturale. L’IDI non deve quindi essere confuso con il MDSI, né definisce le dimensioni di sensibilità interculturale. L’IDI misura le posizioni del MDSI che vanno dalla negazione all’adattamento. La rielaborazione algoritmica è fatta con un programma in inglese che genera quindi profili le cui posizioni devono essere tradotte come segue: DENIAL = NEGAZIONE; DEFENSE = DIFESA; REVERSAL = DIFESA AL CONTRARIO; MINIMITION = MINIMIZZAZIONE; ACCEPTANCE = ACCETTAZIONE; ADAPTATION = ADATTAMENTO. Il test misura anche un tipo di “alienazione culturale” chiamata Encapsulated Marginality (EM) = Marginalità Incapsulata, che non è stata esplorata in questo studio. Il test si compone di 50 item che indicano la sensibilità interculturale usando cinque misurazioni estremamente affidabili con un alpha totale di .80: 1) la scala DD (13 items: alpha = .85) che misura insieme negazione e difesa, e che interpreta anche i cluster di disinteresse e evitamento per quanto riguarda la negazione; 2) la scala R (9 items: alpha = .80) che misura la difesa al contrario; 3) la scala M (9 items: alpha = .83) che misura la minimizzazione e che interpreta i cluster di similarità e universalismo; 4) la scala AA (14 items: alpha = .84) che misura l’accettazione e l’adattamento e che interpreta anche i cluster di frame-shifting e code-shifting per quanto riguarda l’adattamento; 5) la scala EM (5 items: alpha = .80) che misura la marginalità incapsulata. Le scale sono tradotte in un percentile PS (perceived score = punteggio percepito) che indica una posizione non compensata lungo il continuum da DD a AA. La posizione primaria o evolutiva DS (developmental score = punteggio evolutivo) è ottenuta ponderando le scale DD/R e M con la scala AA: si compensa così il punteggio PS tendendo sotto controllo le tendenze etnocentriche. In altre parole, il punteggio DS compensa la “sovrastima” di sensibilità interculturale data la quantità di etnocentrismo effettivamente rilevato. La validità dei costrutti è stata stabilita attraverso correlazioni con altri costrutti largamente accettati in letteratura e la validità predittiva è stata stabilita inizialmente dalla comparazione di dati IDI e interviste su larga scala (Hammer M.R., Bennett M.J., Wiseman R., 2003). 29 Dal multiculturalismo al diversity management 4. LA RICERCA Domande di ricerca: 1. Quale è la worldview degli individui che emerge dall’Intercultural Development Inventory -IDI- e dalle interviste membri delle organizzazioni incluse nella ricerca? 2. In accordo con la teoria e la ricerca interculturale, come può la worldview di un’organizzazione essere in relazione alla competenza nell’erogazione del servizio in contesti multiculturali, e anche nella capacità degli individui di relazionarsi in maniera appropriata a altri dipartimenti o colleghi che hanno un retroterra culturale differente? 3. In che modo è possibile disegnare dei programmi educativi che tengano in conto gli stadi evolutivi specifici (secondo il MDSI) delle persone che lavorano all’interno di un’organizzazione? 4. In che misura il programma educativo proposto attraverso la ricerca è stato effettivo, secondo la comparazione dei dati IDI pre e post formazione? Il primo quesito esprime il livello descrittivo della ricerca. Il quesito di tipo euristico è rappresentato dalla domanda numero due, mentre la tre rivela la dimensione di ricerca azione che è stata preponderante. Infine l’ultima è una validazione di carattere quantitativo che si aggiunge ai dati quantitativi prodotti dall’IDI. 4.1 Popolazione della ricerca Le realtà prese in considerazione sono: due ambiti sanitari, tre contesti di servizi sociali, uno di formazione. Nello specifico un ospedale del centro città e una R.S.A. della provincia sud di Milano; un’azienda consortile della Brianza, un comune dell’hinterland ovest milanese, un distretto sociale dell’hinterland sud-est di Milano, il settore formazione dell’ente Provincia di Milano. 4.2 Metodologia della ricerca Lo scopo di questa ricerca è quello di guidare l’uso dei dati per la performance di un’azione specifica. In questo caso i dati sono generati da uno studio descrittivo della popolazione definita come target. I dati qualitativi derivano 31 Dal multiculturalismo al diversity management 32 dalle 90 interviste, mentre i dati quantitativi sono generati dall’Intercultural Development Inventory su 239 persone. Per quanto riguarda l’analisi sperimentale, le unità corrispondono all’universo della popolazione nella misurazione di efficacia del programma di formazione. Il test IDI è stato proposto a un gruppo di controllo al tempo del test post corso di un gruppo simile. La presenza del gruppo di controllo è fondamentale per interpretare la significatività dei test e la validità dell’impianto di ricerca: in questo modo è possibile affermare che il cambiamento avvenuto nei partecipanti ai corsi è avvenuto per effetto del programma seguito e non per altre variabili intervenienti, come per esempio un evento mediatico, una svolta politica nel Paese, un cambiamento personale. L’interpretazione dei dati è implicita nel disegno a metodo misto della ricerca e prevede una sintesi di dati qualitativi e quantitativi al fine di avere una visione quanto più esaustiva possibile della worldview della popolazione e dell’influenza del percorso di formazione. 4.3 Validità della ricerca Questa è una ricerca–azione/valutazione basata su uno studio descrittivo che usa una combinazione di metodologie quantitative e qualitative e un’interpretazione basata su una teoria. Attraverso questo approccio è possibile fare un assessment della worldview che sta dietro a programmi e azioni intraprese dalle organizzazioni e soprattutto dietro alle azioni individuali. La teoria costruttivista corrente e la ricerca nel campo delle relazioni e dell’educazione interculturale hanno mostrato l’importanza di avere una visione e una filosofia chiara e coerente per facilitare l’apprendimento e l’azione efficace in un determinato contesto. La validità di questo approccio è assicurata in diversi modi: 1) lo strumento IDI usato per raccogliere i dati quantitativi ha una affidabilità che si avvicina moltissimo a quella degli strumenti diagnostici usati nella psicologia clinica individuale e una validità dei costrutti molto solida; 2) i dati qualitativi sono stati raccolti secondo procedure scientificamente accettate attraverso le interviste; 3) l’interpretazione dei dati si è basata su un modello teorico stabile e molto conosciuto nel campo delle relazioni interculturali; 4. La ricerca 4) la valutazione dei programmi ha utilizzato normali procedure di statistica parametrica per stabilire la significatività dei risultati (T-test mediante la trasposizione dei dati in SPSS) 4.4 Implicazioni etiche La confidenzialità assoluta dei dati individuali dei partecipanti alla ricerca che non possono essere svelati alle rispettive organizzazioni né a chiunque ne faccia richiesta. 32 33 Dal multiculturalismo al diversity management 5. LA RICERCA EMPIRICA: I DATI DESCRITTIVI Il numero dei soggetti sottoposti al test iniziale è stato di 296, tuttavia i test completati in maniera valida sono 239. Totale partecipanti ricerca - Worldview iniziale (n. 239) 90% 80% 70% 60% 34 50% 30% 35 36% 40% 26% 28% 20% 10% 10% 0% 1 2 3 4 DD/R DD/ R M1 M2 AA Fig. 1 Il 64% della popolazione iniziale risulta in minimizzazione (tra M1 36% e M2 28%) ed è leggermente superiore il numero delle persone in prima minimizzazione. Come abbiamo visto, la minimizzazione è di fatto considerata dal MDSI uno stadio etnocentrico; la M1 in particolare indica che gli individui in questo stadio sono in uno stadio di superficiale tolleranza della differenza come bene espresso da un operatore intervistato “la gente deve pensare agli altri come pensano a loro stessi: non devono fare questa differenza tra quello e quello, devono trattare la gente uguale”. La domanda retorica che emerge è “uguale a chi”? Il rischio che corrono le persone in prima minimizzazione è che al primo ostacolo ritornino in uno stadio di difesa ancora più serrato. La M2 esprime una condizione più matura e soprattutto di maggiore curiosità, tuttavia può essere molto forte, in questa fase, l’attaccamento a valori considerati universali, come una comune umanità dal punto di vista biologico o psicologico e ancora la discendenza da un unico dio. Dal multiculturalismo al diversity management Il 26% è in negazione, in difesa o in difesa al contrario. Come sarà specificato in seguito per i singoli casi, questo rimane uno “zoccolo duro”: spostandosi solo di uno stadio ad ogni intervento, le persone in negazione vanno in difesa e quelle in difesa in M1. Uscire dalle fasi etnocentriche è senza dubbio l’aspetto più difficile nella costruzione di sensibilità interculturale. Infine solo il 10% dell’intera popolazione si trova in una posizione di accettazione o di adattamento. Come risulta da studi precedenti (Hammer M.R., Bennett M.J., Wiseman R., 2003), la condizione etnorelativa non è correlata ad un livello di istruzione superiore, contrariamente all’intuizione. Pertanto questa porzione di popolazione non corrisponde necessariamente alla categoria professionale per esempio dei medici o degli psicologi. 36 Totale partecipanti ricerca - Worldview Curve iniziale 90 80 70 60 50 Totale Pre Totale Pre Norma ormative tive 40 30 20 10 0 1 2 3 DD/R DD/ R M AA Fig. 1.1 Rispetto alla curva normale relativa allo studio iniziale con cui è stato generato e testato lo strumento IDI (curva rosa), la curva del gruppo preso in esame presenta un maggior numero di persone in negazione, difesa e difesa al contrario (DDR) e, quasi nella stessa percentuale, un numero più basso di persone in accettazione o adattamento (AA). La concentrazione è quindi nelle fasi etnocentriche, minimizzazione inclusa, che risulta più elevata del normale. 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi 5.1 RSA della provincia di Milano RSA provincia MI - Worldview iniziale (n.8) 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 36% 40% 20% 4% 1 2 DD/R M1 M1 3 4 M2 AA Fig. 2 Il caso di questa organizzazione è emblematico della situazione italiana attuale nel suo complesso. Il gruppo preso in esame per il test iniziale e per le interviste è composto da medici, infermieri, ASA, OSS e terapisti della riabilitazione. Tutti asseriscono di non avere mai seguito un corso relativo alle tematiche multi- interculturali. Il 36% di negazione e difesa (DD/R) è più alto di quello del gruppo ricerca nella sua totalità (26%). Tale dato è interpretato attraverso le trailing issues della figura 2.2. La M1 è invece molto simile a quella del gruppo iniziale (36%), mentre decisamente più bassi sono i risultati di M2 e AA. La visione complessiva di questa RSA è di una realtà in fase prevalentemente etnocentrica, in cui prevale una strategia di approccio alla diversità di tipo minimizzante. Una possibile spiegazione potrebbe essere la natura del lavoro stesso, legato alla fascia di anziani e grandi anziani, spesso in cura per Alzheimer, che vengono concepiti necessariamente entro un’unica categoria pur nel rispetto dei bisogni individuali. Il contatto con la diversità nazionale o etnica sembra essere sporadico per quanto riguarda l’utenza e non è ancora numericamente significativo dal punto di vista dell’organizzazione. 37 Dal multiculturalismo al diversity management RSA provincia MI - Worldview curve iniziale 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 38 RSA provincia provin cia MI Normative 1 2 3 DD/R M AA Fig. 2.1 La curva iniziale è decisamente spostata verso le prime fasi etnocentriche rispetto alla curva normale IDI. Il livello di adattamento e accettazione è altrettanto chiaramente molto più basso. Allo stesso livello risulta invece la minimizzazione. RSA provincia MI - Trailing Issues 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% Fig. 2.2 33% 32% 32% 1 2 3 Den Def Rev Rev 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi Cosa sono le trailing issues? Sono letteralmente le questioni a traino, ossia eventi o problemi irrisolti in una data fase di sviluppo della sensibilità interculturale che diventano dei blocchi nell’evoluzione interculturale della persona o di un gruppo. Nel caso in questione ci troviamo di fronte a un interessante scenario in cui le questioni sono equamente divise tra negazione, difesa e difesa al contrario. Interpretando i dati alla luce delle interviste, è possibile affermare che la negazione corrisponde a isolamento. La maggior parte delle persone intervistate ha trascorso l’intera vita professionale all’interno di questa organizzazione. Questo territorio provinciale, rispetto alla città, sembra essere stato poco toccato da flussi di immigrazione numericamente importanti e il personale straniero all’interno dell’istituto è sotto la soglia del 10%, tipicamente sotto il livello di visibilità. Inoltre la strategia di “integrazione” di molte persone immigrate dal sud Italia è stata di assimilazione, quindi di remissione della propria specificità culturale. Tale accomodamento conduce a una cristallizzazione negli stadi di negazione o di difesa, in quanto non è possibile concepire altro se non la propria scelta di abbandono della cultura d’origine. È il caso dunque dell’infermiera del sud, emigrata da 22 anni, che si è totalmente assimilata (non necessariamente integrata, che prevede il mantenimento anche della sua cultura originaria) alla cultura del nord, che si relaziona quotidianamente a una collega peruviana di cui non sa nulla e che non costituisce nemmeno spunto di interesse: “come cultura mi sembra che non c’è tanta differenza con noi, cioè la pensa come noi… noi abbiamo tante ragazze peruviane che sono un sacco di anni che lavorano qua, non abbiamo mai avuto problemi”. Non è un caso che per questa persona la parola differenza sia associata alla categoria “problema”. E ancora in un’altra intervista alla domanda di che nazionalità sono i tuoi colleghi stranieri: “Una se non mi sbaglio è del Brasile, l’altra non lo so…è di colore, però la conosco solo per Rosa, non lo so… però è una ragazza con la quale si lavora molto bene”. La difesa è difficilissima da fare emergere nelle interviste, eppure esiste in maniera significativa. Corrisponde alla visione dualistica che oppone sempre “noi” a “loro”, chiunque essi siano. Possono essere i pazienti, i medici se si è un infermiere e viceversa, quelli del nucleo alzheimer, quelli della riabilitazione, gli uomini, gli stranieri ecc. Il test non distingue queste posizioni nettamente nel profilo poiché sono sempre collegate. Anche la difesa al contrario, che spesso è confusa con una grande sensibilità interculturale, è signi- 39 Dal multiculturalismo al diversity management ficativa in questo gruppo: consiste nell’invertire il peso tra noi e loro, dove “loro” diventa più bello e attrattivo di noi. I termini dell’equazione non cambiano, poiché dietro queste dichiarate aperture nei confronti degli altri si cela una negazione del gruppo di appartenenza che ha le stesse caratteristiche di chiusura e diffidenza; non ultimo, quando viene riposta fiducia cieca e assoluta in un gruppo o in una persona ritenuta esponente di un gruppo e le aspettative sono disilluse, allora si ritorna su posizioni di difesa ancora più agguerrite. È un fenomeno noto in politica tra posizioni estreme. 5.2 L’ospedale del centro città di Milano 40 H centro città MI - Worldview iniziale (n. 55) 90% 80% 70% 60% 50% 40% 38 % 40 % 30% 18 % 20% 4% 10% 0% 1 2 3 4 DD M1 M1 M2 AA Fig. 3 Sono state sottoposte al test e alle interviste medici e infermieri dei seguenti reparti: Pronto Soccorso di due istituti che fanno capo alla stessa Azienda Ospedaliera, dislocati in due aree diverse ma centrali della città, oltre ai reparti di medicina d’urgenza, di pediatria e di ostetricia. Gli operatori hanno a disposizione materiali informativi tradotti in più lingue e in alcuni casi di un servizio di traduzione consecutiva al telefono con dei mediatori. Non hanno mai ricevuto una formazione di tipo interculturale. 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi Questa realtà di cura si presenta in maniera simile all’RSA della provincia di Milano e al quadro generale. Il livello di negazione e di difesa è più elevato del gruppo totale iniziale (26%) di dodici punti percentuali. Il risultato più incoraggiante è dato dalla prima minimizzazione (M1) che attiene al 40%, che rivela come una parte del gruppo sia uscita dalla fase di difesa, ma sia ancora instabile nella nuova fase. Solo il 18% di questo gruppo è nella fase più matura di minimizzazione, ossia in quella fase che, di fatto, è una transizione verso gli stadi etnorelativi. Infine il 4% di questa popolazione è in AA, singolarmente uguale alla RSA sopra menzionata. H centro città MI - curve iniziale 41 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Hc entr entro o cittàà I citt Normative 1 2 3 DD/R M AA Fig. 3.1 Le prime fasi etnocentriche sono molto più alte della norma (in rosa), così come significativamente più basse sono le fasi etnorelative. Come già evidenziato nella figura 3, solo la prima parte di minimizzazione collima con la curva normale, mentre nella seconda parte è più bassa. Dal multiculturalismo al diversity management H centro città MI - Trailing Issues 42 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 33% % 34% 4% 32% % 1 2 3 Den Def Rev Rev Fig. 3.2 Anche in questo caso le trailing issues sono equamente distribuite tra negazione, difesa e difesa al contrario. È leggermente più alta la difesa che fa pensare comunque ad una maggiore esposizione alla diversità dato l’alto afflusso di persone straniere presso questi nosocomi. Un’infermiera esordisce l’intervista dicendo “a livello personale ho un’amico srilanchese, ma non è che sappia molto dei suoi usi e costumi” e ancora la stessa persona “forse che a volte mi faccio prendere più da questa parte negativa… mi rendo conto che sto diventando meno tollerante, meno accondiscendente”. Un altro infermiere esprime in questi termini la sua difesa “penso che ci siano troppi stranieri… a livello personale mi dà un po’ fastidio, nel senso che questo aumentare degli stranieri a me dà un po’ fastidio”. Gli intervistati portano come conoscenza degli stranieri il fatto che la popolazione immigrata musulmana non mangi la carne di maiale e come problema alcune ‘ingiustizie’ come la mancanza di rispetto reciproco dovuta al fatto che uomini musulmani sposino donne italiane e non il contrario. Oppure che abbiano orari per la preghiera, e ancora “secondo me a volte c’è un’aggressione psicologica da parte di etnie diverse molto rappresentative, in particolare mi riferisco agli egiziani, agli arabi insomma. Cioè diventa difficle anche per noi la gestione perché comunque c’è già da parte loro un’aggressione del ‘voglio tutto e su- 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi bito’. È una grande difficoltà invece del far capire che non funziona esattamente così, quindi mi sa che i rapporti siano quasi…cioè non ci sia più un equilibrio”. Queste affermazioni illustrano bene il passaggio da uno stato di benevolo disinteresse tipico della negazione a quello di essere sotto assedio tipico della difesa. La difesa al contrario (R) è una trailing issue molto particolare perché si cela dietro un’apparente apertura e interesse per le altre culture, ma solo a livello ideale. 5.3 La direzione centrale dell’ente Provincia di Milano Ente Provincia - Worldview iniziale (n. 19) 43 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 47% 37% 11% 5% 1 DD/R 2 3 4 M1 M1 M2 AA Fig. 4 L’84% delle persone esaminate in questo comparto dell’ente Provincia di Milano è in minimizzazione. La professionalità e la scolarizzazione di questo gruppo è molto elevata, tuttavia è relativamente scarsa l’esposizione diretta alla diversità. Si tratta infatti di persone che raccolgono istanze dal territorio e promuovono e supportano iniziative legate alla sensibilizzazione di alcune tematiche relative a stranieri, disagio e disabilità, solo per fare alcuni esempi, ma che non sono necessariamente coinvolte in prima persona. È più alta la percentuale di persone in M1 (47%) rispetto a quelle in minimizzazione più matura, ma tutto sommato si tratta di un gruppo con un grandissimo potenziale di evoluzione verso stadi etnorelativi. La percentuale di negazione, difesa e difesa al contrario è relativamente bassa, così come lo è quella di accettazione/adattamento. Dal multiculturalismo al diversity management Ente Provincia - Worldview curve iniziale z 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 44 Ente Provincia Provi ncia Normative Norma tive 1 2 3 DD/R M AA Fig. 4.1 Come già evidenziato, risulta chiara in questo grafico la misura del livello di minimizzazione che è significativamente sopra la norma. È decisamente pù basso il livello AA, che può essere spiegato dal fatto che le persone si siano messe poco “in gioco” sul piano personale rispetto alla diversità, ma che potrebbero facilmente fare un salto di qualità della loro esperienza della differenza. La minimizzazione è supportata per alcuni dal credo religioso, mentre per altri è il tipo di formazione professionale, come viene riconosciuto in un’intervista: “nel mio lavoro questo è un quesito quotidiano, perché una delle cose di cui si accusa la psicologia certe volte è proprio il tentativo di omogeneizzare, cioè di tirare da una certa parte…” e ancora nella stessa intervista “Facevamo formazione per comunità per minori in cui questi minori sono di origine musulmana, cioè tutti quegli aspetti che per noi sono davvero molto difficili da capire, e hanno anche spesso degli aspetti che non si condividono proprio, quindi quello l’ho trovato molto interessante, però non mi ci trovo io a lavorarci tutti i giorni con i ragazzi che non riconoscono le donne perché hanno una considerazione della donna diversa dalla nostra…”. 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi Ente Provincia - Trailing Issues 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 33 % 16 % 19 % 1 2 3 Den Def Rev Rev Fig. 4.2 Le questioni che frenano l’evoluzione interculturale di questo gruppo sono relative a una residua negazione, traducibile con disinteresse più che con isolamento, a una parte di difesa, che può essere teoricamente connessa alla prima minimizzazione e una parte più consistente di difesa al contrario che è sempre teoricamente relativa alla M2. Ciò non implica che la difesa al contrario sia una forma edulcorata di difesa: significa piuttosto che le persone abbracciano delle cause o sanno articolare meglio, anche dal punto di vista linguistico, la variabile differenza, tuttavia ne hanno un’immagine monolitica e potremmo dire “troppo bella”, percezione che dà luogo a delusioni e disappunti che fanno invertire la tendenza. 45 Dal multiculturalismo al diversity management 5.4 Il distretto sociale dell’hinterland milanese Distretto sociale hinterland milanese - Worldview iniziale (n. 42) 46 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 38 % 31% 24% 7% 1 2 3 4 DD/R M1 M2 AA Fig. 5 Questa realtà comprende nove comuni, il cui ente capofila è un comune dell’hinterland sud-est di Milano. Tra le persone sottoposte al test e intervistate ci sono politici locali in carica [al tempo dell’indagine], dirigenti, assistenti sociali, psicologi e impiegati comunali. La realtà di questo gruppo è pertanto molto più variegata, così come lo è l’esposizione dei soggetti agli stranieri, alla diversità in generale e a corsi pregressi di formazione. Un numero consistente di persone ha frequentato corsi universitari di una laurea specialistica (Progest- Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali) presso l’università di Milano Bicocca in cui il tema dell’interculturalità è stato un punto cardinale. Altre persone hanno fatto percorsi di mediazione penale e di psicologia transculturale come arricchimento della propria professionalità. Qualcuno è impegnato in prima persona nella promozione di consulte comunali degli stranieri, altri ancora sono in prima linea negli sportelli per immigrati, oppure volontari nell’associazionismo. Poco più della metà delle persone risulta in minimizzazione, con un 14% in più delle persone in M2. Il dato che spicca maggiormente è comunque la percentuale delle persone in accettazione e adattamento con il 31%. Alla domanda “che cosa è per lei la differenza” risponde prontamente un’assistente sociale, che si occupa prevalentemente di anziani, in questo modo: “le differenze ci sono dappertutto, no? Non so, dalla differenza di genere, alla differenza di età, 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi di provenienza, di attività, di lavoro, cioè voglio dire… è un mondo!” Il territorio di questo distretto è stato storicamente interessato da una significativa presenza di stranieri prima dei flussi migratori che hanno interessato il territorio nazionale, per la presenza della sede direzionale del gruppo Eni, che ha impiegato in maniera incrementale nel tempo personale di nazionalità altre da quella italiana a tutti i livelli e che si è avvalso delle strutture locali. L’allargamento di orizzonte della variabile differenza è percepibile dai racconti degli intervistati che parlano di conflitti in maniera costruttiva “per me sostanziale è l’integrazione, anche se integrazione può volere dire in una fase iniziale affrontare anche dei conflitti” e che sono abili nel rielaborare anche la propria esperienza personale per comprendere meglio le strategie di sensibilizzazione di un territorio “Le difficoltà sicuramente credo che sarebbero intanto nell’accettare il fatto che non siamo tutti uguali ma che il fatto di non essere tutti uguali non è un limite. Purtroppo una cosa che si riscontra in un paese soprattutto piccolo è la difficoltà a fare il salto di qualità. Si sentono ancora i commenti del tipo ‘eh, ma quel’lì l’è minga cume mi!’ Perché è così, purtroppo è un po’ difficile riuscire a superare proprio questa cosa, sembra quasi che ci sia sempre il cittadino doc e il cittadino che comunque ‘si, si può integrare’ ma deve sempre un po’ integrarsi…c’è qualcosa che è stabile, fermo, fisso, poi c’è chi arriva (…) io l’ho un po’ vissuta come migrante da Milano (…) io sono sempre rimasta ‘quella di Milano’ (…) soprattutto nei paesi piccoli direi che c’è ancora molto da lavorare su questo.” Distretto sociale hinterland milanese - Worldview curve iniziale 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Distretto sociale hinterland hinte rland milanese Normati No rmative ve 1 2 3 DD/R M AA Fig. 5.1 47 Dal multiculturalismo al diversity management È evidente nel grafico di confronto lo scostamento verso l’alto in AA di questo gruppo rispetto alla norma, insieme a un minore livello di negazione, difesa e difesa al contrario. Distretto sociale hinterland milanese - Trailing Issues 48 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 25 % 11% 8% 1 2 3 Den Def Rev Fig. 5.2 È più la negazione che la difesa a trattenere l’evoluzione di questo gruppo, probabilmente a causa di un relativo isolamento per le realtà più piccole, ma ciò che spicca di più è una buona percentuale di difesa al contrario. Potremmo affermare che è tipica di professioni che mettono “l’altro” al primo posto e quindi di individui che raramente si sentono in una condizione di umana reciprocità: proprio in virtù del fatto che rappresentano un’istituzione, si sentono al servizio dell’altro, dimenticando che le relazioni sono sempre fatte di persone e quindi di identità che devono essere esplicitate e negoziate perché si possano incontrare. 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi 5.5 L’azienda consortile di Comuni della provincia di Milano Azienda consortile comuni provincia MI - Worldview (n. 38) 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 42 % 19 % 26 % 13 % 1 2 3 4 DD/R DD/ R M1 M2 AA Fig. 6 Questa realtà della provincia di Milano è uno dei primi esempi a livello nazionale di azienda consortile. Le persone che hanno partecipato alla ricerca collaborano a diversi progetti, anche permanenti, a diverso titolo: la quota delle persone impiegate nel senso tradizionale del termine è molto bassa. Sono stati coinvolti il Progetto S.T.A.R.S., il Progetto Spazio Giovani e Tanti Mondi Una Comunità, oltre ad alcuni responsabili dell’azienda stessa. Gli operatori hanno un diverso retroterra professionale, culturale e nazionale, infatti alcuni stranieri collaborano con un progetto di sportelli per stranieri. Non hanno avuto una formazione omogenea sui temi dell’interculturalità. Il profilo di questo gruppo è abbastanza “normale”, come si vede nella comparazione della fig.6.1, con un 68% degli operatori in fase di minimizzazione, ben rappresentati da questa intervista “… cioè noi pensiamo di appartenere ad una cultura in realtà perché ci diamo una definizione, ci fa comodo definirci come appartenenti a qualcosa e questo può essere una sovrastruttura, in realtà siamo molto più uguali di quanto non pensiamo, in senso naturale appunto.” La percentuale di accettazione e adattamento è relativamente bassa se considerata la specificità dei progetti considerati. 49 Dal multiculturalismo al diversity management Azienda consortile comuni provincia MI - Worldview curve iniziale 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Azienda consort Azienda consortile ile Normati No rmative ve 1 2 3 DD/R M AA 50 Fig. 6.1 La comparazione con la curva normale rivela un livello praticamente uguale di DD/R ma una minimizzazione più elevata nel gruppo esaminato. L’AA è invece leggermente più basso di quello normativo. Azienda consortile comuni provincia MI - Trailing Issues 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 33% 15% 12% 1 2 3 Den Def Rev Rev Fig. 6.2 Dietro un livello alto di M2 si cela spesso una trailing issue significativa nella difesa al contrario, bene illustrata da questa affermazione “Le differenze 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi vanno solo comprese. Bisogna comprendere chi vive, chi pensa diverso da noi, ma poi una volta che c’è la conoscenza e la comprensione, poi si riesce a superare qualsiasi ostacolo” e ancora alla domanda cosa pensa che la sua organizzazione potrebbe fare “fare in modo che si possano investire risorse (…) che quindi l’opinione di tutti sia che questi interventi sono assolutamente necessari per il benessere della comunità nel suo insieme, per il benessere di queste persone. E che in fondo quello che noi facciamo per loro è quello che ci aspetteremmo che farebbero per noi se fossimo stranieri in un’altra terra, insomma, il principio che un po’ mi guida è questo, che guida le persone che lavorano con me.” A volte anche la negazione, quando sottostà a processi di assimilazione, diventa tutt’uno con la difesa al contrario, come nelle parole di questo operatore straniero “per me credo che non hanno valore queste differenze, non le vedo. Anche sul lavoro non c’è differenza , non vedo nessuna differenza. Quando per esempio mi presento in un ufficio pubblico non c’è differenza perché sono straniero, perché rappresento una comunità straniera, o sono lì per risolvere dei problemi, ma sono trattato… più degli altri anche. Per quello che ho detto che non vedo nessuna differenza.” 5.6 Il Comune dell’hinterland milanese Comune hinterland milanese - Worldview iniziale (n. 5) 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% Fig. 7 4 % 40 4 % 40 20 % 1 2 3 4 DD/R M1 M2 AA 51 Dal multiculturalismo al diversity management 52 Il gruppo preso in considerazione all’interno di questa organizzazione è molto piccolo e consta di sole cinque persone. Le persone coinvolte sono un dirigente e i responsabili di alcune aree amministrative, oltre a degli impiegati allo sportello. Nessuno ha formazione pregressa nel campo dell’interculturalità. Il dato di spicco in questo gruppo è senza dubbio l’assenza di persone in accettazione o in adattamento. È interessante inoltre che, coprendo la minimizzazione ben l’80% del profilo, la M1 e M2 siano equamente distribuite. Ciò può essere meglio interpretato attraverso le trailing issues della fig. 7.2. Ancora una volta la minimizzazione è la strategia con cui risolvere il rapporto con la differenza per la maggior parte delle persone, usando il principio che faremmo agli altri ciò che vorremo fosse fatto a noi-. Fino a che le differenze non toccano da vicino è una modalità potenzialmente vincente, quando tuttavia la risposta che si ottiene dagli altri non è quella che ci si aspetta si rimane non solo delusi, ma spesso arrabbiati. È il caso di impiegati allo sportello che si sentono spesso manipolati poiché le continue e pressanti richieste per esempio di alcuni stranieri arrivano mediante uno stile comunicativo che le rende intollerabili per loro e quindi, nonostante la buona predisposizione iniziale, finiscono con l’evitamento di un certo tipo di relazione con gli utenti. Comune hinterland milanese - Worldview curve iniziale 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Comune hinterland hinterland milane ilanese se Normative Normati ve 1 2 3 DD/R M AA Fig. 7.1 Nella comparazione emerge chiaramente il livello più alto della norma della minimizzazione e il livello zero dell’AA. La negazione, difesa e difesa al contrario appaiono invece nella norma. 5. La ricerca empirica: i dati descrittivi Comune hinterland milanese - Trailing Issues 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 36% 12% 13% 1 2 3 Den Def Rev Rev Fig. 7.2 I servizi comunali qui presi in considerazione non sono caratterizzati dalla relazione di aiuto. Si tratta piuttosto di aiuto materiale o di informazioni che vengono fornite a persone solitamente in casi di disagio economico, ma non solo. La worldview delle persone intervistate riflette spesso, come in altri casi già visti, una condizione passiva, subìta, di approccio con un altro che non si conosce e che non si ha l’opportunità di conoscere. Questo porta a un’idealizzazione positiva per alcune culture e una assoluta squalificazione di altre. Questo sentire altalenante è un freno all’evoluzione della sensibilità interculturale, poiché l’unico modo per mediare questo conflitto interno è proprio la minimizzazione delle differenze per sopravvivere: “sotto sotto siamo tutti esseri umani”. 53 Dal multiculturalismo al diversity management 6. LA RICERCA INTERVENTO All’interno delle varie organizzazioni sono state selezionate alcune persone in base al loro profilo personale emerso dal test IDI. Il criterio è stato quello di scegliere un numero equilibrato di soggetti che rappresentassero tutte le posizioni misurate dall’IDI. Cinquanta dei soggetti selezionati hanno dato la loro disponibilità a partecipare a un corso di ventiquattro ore di comunicazione interculturale e a venire ritestati alla fine del corso con l’Intercultural Development Inventory (IDI). I corsi sono stati organizzati all’interno delle strutture sanitarie esclusivamente per gli appartenti a quelle organizzazioni. Due corsi con persone di provenienza mista tra le realtà scelte sono stati organizzati presso l’ente Provincia di Milano. Non è mai stato selezionato un partecipante che avesse già seguito programmi educativi dei docenti utilizzati per questi corsi. I contenuti, le modalità e le esercitazioni sono state ideate per ciascun gruppo sulla base del profilo IDI dei partecipanti a ogni differente corso. Il principio guida è stato quello di non “traumatizzare” i partecipanti attraverso contenuti o esercitazioni shock, ma di lavorare sulle trailing issues di ogni gruppo per poi procedere alla parte di sviluppo. Per ogni stadio del MDSI è stato quindi considerata la “questione da risolvere” al fine di accompagnare l’evoluzione della sensibilità interculturale degli individui e del gruppo. I gruppi sono solitamente misti, ossia contengono una rappresentanza di tutti gli stadi, anche se mai in maniera proporzionale: un eccesso di DD/R tende a trascinare il gruppo intero verso tematiche di difesa, mentre un eccesso di AA creerebbe una spaccatura insanabile nel gruppo. Non era mai stato fatto, fino a questo momento, un gruppo cosiddetto targeted, costituito da persone in un unico stadio come quello proposto in questa ricerca con il gruppo in minimizzazione degli operatori sociali: sebbene il gruppo sia molto piccolo, il risultato è molto incoraggiante. Gli stessi temi trattati con gli altri gruppi sono stati rivisti in un’altra chiave, che dava per scontato la risoluzione delle prime fasi etnocentriche. Il modello dinamico di sensibilità interculturale non è mai stato presentato all’interno dei corsi, né è stato consegnato alcun materiale ad esso relativo, al fine di non inficiare i risultati del post test. 55 Dal multiculturalismo al diversity management 6.1 Il gruppo sperimentale Pre-course Group's Worldview (n. 50) 56 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 38% 32% 24% 6% 1 2 3 4 DD/R M1 M2 AA Fig. 8 Il gruppo è pressoché simile rispetto al gruppo iniziale (n.239). Secondo il Ttest la differenza tra i due gruppi non è statisticamente significativa (two tailed P= .3153 17), pertanto il campione rappresenta il gruppo iniziale18. Il profilo presenta il 24% di partecipanti in negazione, difesa e difesa al contrario, il 70% delle persone in minimizzazione e il 6% in accettazione/adattamento. 17. Intervallo di confidenza: La media del gruppo iniziale pre corso meno il gruppo sperimentale pre corso è uguale a -2.9177813148 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da -8.6280143277 a 2.7924516980 t = 1.0060 df = 271 standard error of difference = 2.900 18. Per convenzione: • * statisticamente significativo • ** statisticamente molto significativo • *** statisticamente estremamente significativo • nessun asterisco: non statisticamente significativo 6. La ricerca intervento Worldview curve 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Pre-Coursee Group Pre-Cours Group Normati Norm ative ve 1 2 3 DD/R M AA 57 Fig. 8.1 Il confronto con la curva normale IDI mostra un livello leggermente più alto di DD/R e uno un po’ più alto di minimizzazione. Anche l’AA è più baso della norma, riflettendo così la tendenza del gruppo sottoposto inizialmente al test. Post-course Group's Worldview (n. 50) 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% Fig. 8.2 34% 26% 28% 12% 1 2 3 4 DD/R M1 M2 M2 AA Dal multiculturalismo al diversity management Il risultato a fine corso è di estremo interesse: la DD/R si è dimezzata passando dal 24% al 12%. La minimizzazione è diminuita del 16%, facendo balzare l’AA al 34%. Pre/Post Comparison (n. 50) p=.0001 (two-tailed, paired) *** 58 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 38% 34% 26% 24% 32% 28% 12% pre-test pre-test post-test posttest 6% 1 2 3 4 DD/R M1 M2 AA Fig. 8.3 Diventa qui importante fare la distinzione tra M1 e M2 perché chiarisce i passaggi: le persone in difesa sono passate in M1 e quelle in M1 in M2. Il 28% delle persone in M2 prima del test è invece confluito in AA. Il Ttest 19 risulta estremamente significativo e conferma che il cambiamento è effettivamente avvenuto grazie alla formazione e che non ci sono stati eventi o situazioni esterni tra il pre e il post test tali da modificare la worldview dei partecipanti come dimostrato ne grafico del gruppo di controllo della fig. 13. 19. Intervallo di confidenza: La media del gruppo sperimentale pre corso meno il gruppo sperimentale post corso è uguale a -9.7594458746 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da-10.6691404817 a -8.8497512675 t = 21.5592 df = 49 standard error of difference = 0.453 6. La ricerca intervento Worldview curve 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Post-Course Group Post-Course Normative Norma tive 1 2 3 DD/R M A 59 Fig. 8.4 La curva del gruppo si è molto modificata, soprattutto per il cambiamento della minimizzazione, che la rende più piatta rispetto a quella normale e per lo scambio avvenuto in AA. IL CAMBIAMENTO NEI SINGOLI CORSI: 6.2 RSA della provincia di Milano Pre/Post Comparison (n. 18) p=.0030 (two-tailed paired) ** 90% 80% 70% 60% 50% 40% 44% 39% pre-t re-test est post-test posttest 39% 39% 28% 30% 22% 17% 7% 20% 11% 10% 0% 0% 1 2 DD/R Fig. 9 M1 3 M2 M2 4 AA Dal multiculturalismo al diversity management Il campione è rappresentativo della popolazione iniziale indagata in questo istituto, pertanto non vi era nel gruppo nessun partecipante in AA. La DD/R ha avuto una riduzione dell’11% , la M1 del 28%, mentre la M2 ha avuto un incremento di 22 punti percentuali. Il dato più significativo è senza dubbio il 17% acquisito in AA partendo da zero. Il gruppo è stato molto compatto durante la formazione che ha avuto giornate abbastanza ravvicinate nel tempo sempre con la stessa docente. Tale cambiamento dimostra anche un punto giusto di maturazione, soprattutto per quanto riguarda la tarda minimizzazione, che aspettava solo di essere stimolata per potersi evolvere. Il risultato del Ttest 20 è molto significativo. 60 6.3 Ospedale del centro città Pre/Post Comparison (n. 16) p=.1809 (two-tailed, paired) 90% 80% 70% 60% 50% 44% pre-test pre-test post-test posttest 44% 40% 30% 25% 25% 19% 20% 19% 19% 6% 10% 0% 1 2 3 4 DD/R M1 M1 M2 AA Fig. 10 20. Intervallo di confidenza: La media del gruppo RSA pre corso meno il gruppo Rsa post corso è uguale a -10.4697969228 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da -16.8438717278 a -4.0957221177 t = 3.4655 df = 17 standard error of difference = 3.021 6. La ricerca intervento Sebbene il pre-post Ttest non sia statisticamente significativo, il trend dei dati è verso un’aumentata sensibilità interculturale. DD/R è ridotta del 6% e la M2 è passata dal 25 al 19% e, dato molto interessante, AA ha avuto un incremento del 13%. È chiaro il movimento tra M2 e AA. Una possibile spiegazione è che il gruppo fosse polarizzato tra partecipanti che hanno largamente apprezzato il corso e persone che non hanno ricevuto da esso nessuno stimolo, per le quali il movimento all’interno di DD/R non è stato sufficientemente grande da creare una differenza nel punteggio DS. Il gruppo sperimentale di sedici persone è però rappresentativo di tutto il gruppo dell’Ospedale in quanto il two tailed P value equivale a .2083 21, ossia il gruppo non è statisticamente differente. Se si confronta il dato pre corso di tutto l’ospedale con il dato post corso del gruppo sperimentale si ha un two tailed P value uguale a .0204 22, ossia a un risultato statisticamente significativo. 21. Intervallo di confidenza: La media dei partecipanti Ospedale pre corso n55 meno il gruppo sperimentale ospedale n 16 pre corso è uguale a -5.1319623189 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da -13.1919869661 a 2.9280623282 t = 1.2702 df = 69 standard error of difference = 4.040 22. Intervallo di confidenza: La media dei partecipanti Ospedale pre n 55 meno il gruppo sperimentale ospedale post corso è uguale a -9.8838923183 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da -18.1922056353 a -1.5755790013 t = 2.3733 df = 69 standard error of difference = 4.165 61 Dal multiculturalismo al diversity management 6.4 Corso misto per operatori sociali Pre/Post Comparison (n. 10) p=.0006 (two-tailed, paired) *** 90% 80% 70% 70% 60% 50% pre-t re-test est post-test posttest 40% 40% 30% 30% 20% 62 20% 20% 10% 10% 10% 0% 0% 1 2 3 4 DD/R M1 M1 M2 M2 AA Fig. 11 Senza dubbio l’intervento di maggior successo è stato il caso di questo gruppo misto di operatori sociali con vari livelli di responsabilità insieme a degli impiegati amministrativi. La DD/R è stata portata a zero e allo stesso tempo si è ottenuta una riduzione del 30% della M1. Il dato ancora una volta più sensazionale è quello dell’accettazione/adattamento che incrementa di cinquanta punti percentuali, dimostrando il travaso di M1 e M2. Il risultato del Ttest è estremamente significativo 23. 23. Intervallo di confidenza: La media del gruppo sperimentale misto operatori sociali pre corso meno il gruppo sperimentale misto operatori sociali post corso è uguale a -17.3165878180 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da -24.9384758287 a -9.6946998073 t = 5.1395 df = 9 standard error of difference = 3.369 6. La ricerca intervento 6.5 Corso operatori sociali esclusivamente in minimizzazione (M1+M2) Pre/Post Comparison (n. 6) p=1098 (two tailed, paired) 90% 83% 80% 66% 70% 60% 50% pre-test post-test post -test 40% 30% 7% 17% 17% 20% 63 17% 10% 0% 0% 0% 0% 1 2 3 4 DD/R DD/ R M1 M2 M AA Fig. 12 Questo gruppo sperimentale è numericamente molto piccolo. Le cause sono dovute alla promessa di impegno da parte delle persone selezionate che invece non si sono presentate al corso. La comparazione pre-post del gruppo stesso pertanto non è statisticamente significativa. Tuttavia il cambiamento è evidente dai grafici: il numero delle persone in M1 è rimasto uguale a causa di forti trailing issues in difesa che trattengono queste persone in una condizione di incertezza. Le persone in M2 invece passano dall’83% al 17%, con uno scarto del 66%. Ciò significa che esattamente questa percentuale di persone si è riversata in AA. Esaminando il caso più nel dettaglio, è stato fatto un Ttest per capire se questo piccolo gruppo poteva essere rappresentativo di tutte le persone in minimizzazione prima del corso: il two tailed P value è di .0506 24, 24. Intervallo di confidenza: La media di tutti i partecipanti in minimizzazione pre-corso meno il gruppo target in minimizzazione pre-corso è uguale a-6.7332297723 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da -13.4860292051 a 0.0195696606 t = 2.0310 df = 32 standard error of difference = 3.315 Dal multiculturalismo al diversity management non statisticamente significativo, quindi i due gruppi sono simili. Se prendiamo tutte le persone in minimizzazione prima del corso e le mettiamo in relazione al post test del gruppo target otteniamo un two tailed P value 25 di .0001, considerata convenzionalmente estremamente significativa. Ciò implica che rispetto agli altri corsi, il corso “speciale” solo per persone in minimizzazione è stato di grande successo e ha un grande potenziale. La novità di questa sperimentazione, la prima a livello mondiale è la esatta taratura dei contenuti per ottimizzare i risultati desiderati nell’ambito di una formazione così delicata come quella interculturale. 6.6 Gruppo di controllo 64 RSA provincia - control group (n. 18) 90% 80% 70% 55% 60% 50% 40% 30% 22% 22% 20% 10% 0 0% 1 2 3 4 DD/R M1 M1 M2 AA Fig. 13 25. Intervallo di confidenza: La media di tutti i partecipanti in minimizzazione pre-corso meno il gruppo target in minimizzazione post-corso è uguale a -15.1197615973 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da-22.2672610022 a -7.9722621924 t = 4.3089 df = 32 standard error of difference = 3.509 6. La ricerca intervento È stato somministrato il test IDI a un gruppo di controllo, che l’ha compilato in maniera valida per la prima volta nello stesso momento in cui il gruppo sperimentale compilava il test post-corso. Il risultato è che la differenza tra il gruppo di controllo e il gruppo sperimentale prima del test non è statisticamente significativa 26. Il cambiamento è dunque avvenuto con altissima probabilità in conseguenza al corso e non per altre variabili. 65 26. Il valore della two-tailed P è uguale a .9838 Intervallo di confidenza: La media del gruppo controllo RSA meno il gruppo sperimentale RSA pre corso è uguale a 0.0716230676 95% dell’intervallo di confidenza di questa differenza: da -6.9634742640 a 7.1067203992 t = 0.0203 df = 66 standard error of difference = 3.524 Dal multiculturalismo al diversity management 7. CONCLUSIONI Le organizzazioni dei servizi sociali e sanitari sono gli ambiti da più tempo a contatto con la diversità, sia per quanto riguarda l’utenza straniera, sia per la presenza di lavoratori e lavoratrici straniere al loro interno; inoltre la professionalità all’interno di tali organizzazioni è estremamente femminilizzata. Eppure la lettura offerta da questa ricerca dimostra come non sia la convivenza coatta con la diversità a rendere un’organizzazione più aperta: come già dimostrato attraverso le politiche di azioni positive l’inclusione è un passo necessario ma non sufficiente. È il lavoro individuale e collettivo sul significato che la diversità riveste nell’esistenza delle persone e nel lavoro che può cambiare la worldview e l’atteggiamento nei suoi confronti. Per inferenza, essere aperti a ciò che appare ed è diverso, significa anche essere pronti al cambiamento. I risultati di questa ricerca sono utili per aprire un dibattito sulla necessità di tarare gli sforzi di formazione non solo sui contenuti da erogare, ma sulla sequenza, sulla quantità e sulla forma che gli argomenti dovrebbero avere al fine di creare evoluzione nei partecipanti discenti. La riprova offerta dall’interpretazione dei dati pre-post corso supporta con forza questa ipotesi e pone le basi per un lavoro più serio, almeno nel campo delle relazioni interculturali. Una seconda applicazione è quella di stimolare un dibattito nel mondo della cura e dei servizi alla persona e alla famiglia sulla necessità di attrezzarsi in maniera adeguata ad un’utenza in trasformazione ma anche ad organizzazioni in accelerato cambiamento. Infine, l’impeto di questa ricerca è quello di cominciare a identificare standard professionali nell’area della competenza interculturale per professionisti dei servizi sociali e sanitari per arrivare a creare indicatori certificabili in ambito di qualità. Questa ricerca si pone come un invito alla riflessione sull’allocazione delle risorse sia per quanto riguarda la formazione, sia per la visione che può essere stimolata nei servizi per il prossimo decennio nell’ottica di una preparazione intenzionale a una società multiculturale matura e non più di emergenza. 67 Dal multiculturalismo al diversity management BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO Beccalli B. (a cura di), (1999). Donne in Quota. Fetrinelli, Milano Bennett M. J. (2004). “Becoming interculturally competent”, in Wurzel J. S. (Ed.) Toward multiculturalism, IRC: Boston Bennett M.J., Bennett J.M.(2004). “Developing intercultural sensitivity: an integrative approach to global and domestic diversity.” in Landis D., Bennett J.M., Bennett M.J., (Eds.) Handbook of Intercultural Training, Sage, Thousand Oaks Bennett M.J., Castiglioni I. (2004).“Embodied ethnocentrism and the feeling of culture: a key to training for intercultural competence” in Landis D., Bennett J.M., Bennett M.J., (Eds.) 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