S.Anatolia, Cartore e dintorni

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S.Anatolia, Cartore e dintorni
Sant'Anatolia, Cartore e dintorni
Storia di piccoli villaggi romano-medioevali
Febbraio 2003 - Sant'Anatolia in inverno - Fotografia di Giulio Panei
Roberto Tupone – 2001/2011
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 1/79
Premessa
Il sito di Sant'Anatolia è il frutto di molti anni di ricerche fatte nei ritagli di tempo di tutta la mia vita. E' stato un lavoro lungo e faticoso ma
entusiasmante. Più che un lavoro per me è stato un piacere e, nonostante penso sempre che non sia terminato, ne sono molto orgoglioso. La
soddisfazione di iniziare non avendo nulla e riuscire poi con il tempo a scovare così tanto materiale è veramente grande.
Ho iniziato a raccogliere informazioni da quando avevo 15 anni chiedendo ai miei genitori, zii e nonni di raccontarmi la storia dei miei antenati.
Quando ho esaurito le fonti è stato naturale allargare il cerchio alla storia del nostro paese e quindi ho intervistato molti altri vecchi di Sant'Anatolia e,
sempre naturalmente, ho proseguito andando in cerca di notizie nella biblioteca nazionale di Roma dove io sono nato.
Ho spulciato centinaia di volumi, forse più di mille, alla ricerca di spezzoni di storia. Poi, quando ho esaurito anche le fonti bibliografiche, sono andato
a cercare notizie negli archivi. Da principio sono andato a spulciare nell'archivio della parrocchia di San Nicola a Sant'Anatolia da dove poi in seguito
ho tratto le notizie genealogiche. Poi sono stato nell'archivio del comune di Borgorose ma ancora ci sarebbe molto da cercare. Poi in qualche archivio
di Roma ed infine nell'archivio della Diocesi di Rieti dove ho tratto molte delle informazioni inedite sulle chiese del nostro paese.
C'è ancora tantissimo da fare anzi, quando qualcuno, spero stimolato dal lavoro fatto da me, andrà a frugare bene nello stesso archivio della Diocesi di
Rieti, nell'Archivio Provinciale dell'Aquila e soprattutto nell'Archivio del Reame di Napoli e del Vaticano, potrà far sembrare il mio lavoro quasi
insignificante. E' come se avessi scoperto la punta di una piramide, scava e scava, se avessi tempo ancora il grosso è tutto sotto terra.
Già andando soltanto nell'Archivio di Rieti le notizie da trovare sono infinite. Si arriva tranquillamente al 1500 con informazioni inedite e dettagliate
sulle chiese del paese, sul clero e a volte anche sulla popolazione, con nome e cognome di personaggi vissuti a Sant'Anatolia nel '500. Poi, volendo,
nello stesso archivio si possono trovare notizie fino al 900 d.C. meno dettagliate ma interessanti.
Alcuni anni fà, prima del 2000, pensavo che la naturale concretizzazione di tutto questo lavoro sarebbe stata la pubblicazione di un libro ma, non
conoscendo il mondo dell'editoria, mi ero arreso di fronte alla "burocrazia" della pubblicazione. Ho tenuto tutto fermo per anni alimentando ogni tanto
il "libro" di qualche nuova notizia. Quando ho scoperto internet ho trovato lo strumento che cercavo ed è stato grazie alla voglia di pubblicare le mie
ricerche che mi sono ritrovato ad imparare a costruire siti web.
Una delle mie ricerche è stata quella della genealogia. Il lavoro che abbiamo fatto io e mio fratello Alfredo, con l'aiuto di mia madre e di alcuni parenti
e amici, è forse unico. Qualche anno fa' sono tornato a S. Anatolia per rivedere l'archivio della Parrocchia di San Nicola. Era da poco tempo cambiato il
parroco poiché Don Giovanni Di Gasbarro era andato in pensione. Per fortuna il nuovo parroco (che ha esercitato soltanto un anno a Sant'Anatolia
prima di trasferirsi altrove) si è fidato di me e della mia passione per la storia e mi ha permesso di fotocopiare l'intero archivio.
Ho rilegato le fotocopie, creando così una copia di sicurezza nel caso i documenti originali vadano perduti. Poi grazie a mio fratello Alfredo e ad un
software di genealogia (geneweb - free software), abbiamo registrato quasi 5.000 nomi cioè tutto il popolo di Sant'Anatolia dal 1750 al 1930 (registro
dei battesimi, dei matrimoni, dei morti e degli stati di famiglia). Abbiamo intrecciato i dati mettendo anche i nomi delle madrine o padrini di battesimo,
testimoni di nozze, ecc. ed ora in pochi minuti possiamo inviare alberi genealogici a chiunque ne sia interessato.
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Da quando ho messo questa possibilità nel sito mi hanno iniziato a scrivere molte persone originarie di Sant'Anatolia. La soddisfazione più grande è
stata quando ho visto che la richiesta maggiore proveniva da persone che non vivono in Italia, soprattutto argentini, che poi sono i nipoti degli
emigranti che partirono da Sant'Anatolia all'inizio del secolo scorso. Molti mi scrivono anche dall'Italia, soprattutto da Roma, e sono contento perchè
questa è una bellissima possibilità per riallacciare dei rapporti che altrimenti erano destinati a perdersi.
Per quanto riguarda la genealogia qualcos'altro ancora si può trovare nell'archivio di Borgorose ma non si va più indietro del 1800 (anche i registri di
Borgorose, quelli più antichi, li ho fotocopiati). Forse andando al catasto dell'Aquila qualche nome si può ricavare dai contratti di vendita, dai lasciti
ereditari o dagli affitti dei terreni fatti al popolo di Sant'Anatolia o dai contratti fatti dai duchi che davano la terra in gestione ai contadini.
Mi piacerebbe molto creare un gruppo di lavoro o un'associazione che si occupi di fare ulteriori ricerche e di ricreare un rapporto con i nostri
concittadini che vivono lontano. Mi piacerebbe coinvolgere i ragazzi di Sant'Anatolia che a volte vivono alienati, quasi senza una speranza di lavoro, e
con l'unica possibile via di uscita di andare a vivere in qualche città come L'Aquila, Roma o anche più lontano. Spero in futuro, semmai anche grazie
all'iniziativa di qualcun altro, che quello che ho in mente si possa realizzare.
Roberto Tupone - 19.09.2008
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Introduzione
In questo testo non si parlerà di una città come Roma "Caput Mundi" e neanche di Rieti capoluogo della sua provincia, piene fin dalle origini di storia
globale, di imperi, di capoluoghi, diocesi, province. Qui si parlerà di un piccolo villaggio privo di storie grandi, semplice e povero. La città più vicina
Alba Fucense, ricca di storia d'età romana e medioevale, città vera e fortificata, con la sua fama coprirà il nome di tanti piccoli villaggi a lei adiacenti
che solo ricerche nelle polverose carte degli archivi diocesani, comunali o provinciali, potranno trarre dall'oblio.
S.Anatolia è un villaggio conosciuto da pochi, abitato fin dalle origini da povera gente, contadini e pastori, uno di quei villaggi che pian piano si va
spopolando poichè molti giovani preferiscono scegliere per loro residenza città più grandi quali Roma, che con i moderni mezzi di viaggio è ormai
vicina, oppure Avezzano, ricca città alle sponde del Fucino, lago che in nome del cieco progresso è stato cancellato dall'uomo, oppure Rieti o L'Aquila,
capoluoghi delle omonime province.
S.Anatolia dorme nella valle Cantu Riu vicina al fiume Salto e si risveglia raramente quando, o durante la festa annuale del 9 e 10 luglio o d'estate,
molti dei giovani e meno giovani, che in passato si erano trasferiti nelle città più grandi, tornano con le loro famiglie per passare le vacanze nel loro
paese ricco di ricordi di un passato ormai irripetibile. Le delusioni, nelle città dove si sono trasferiti, sono molte e inevitabili ed ognuno di loro
rammenterà le gioie dell'adolescenza in quel piccolo villaggio pieno di verde, di montagne e di solitudine. Le città moderne non sono a portata d'uomo
e, anche se attraggono per la loro fantasia e diversità, non potranno mai avere quella ricchezza di tranquillità e di emozioni forti che provoca un piccolo
paese di montagna.
Il terremoto del 1915 segnò la fine del villaggio antico di S. Anatolia. Per circa dieci anni i sopravvissuti vissero per lo più in baracche poste nella valle
Cantu Riu, poi il comune costruì delle case antisismiche, sia nella zona alta, sia nella zona bassa del paese. Le case antiche, ruderi del terremoto,
vennero dichiarate inagibili e per ricostruirle i proprietari furono costretti ad abbatterle. Alcune si salvarono, poi, pochi anni or sono, un successivo
bisogno di case spinse i più a restaurarle ma più che di restauro si trattò di scempio. Non potendo ottenere le autorizzazioni per costruirne nuove,
furono allora restaurate le vecchie case, ma per restauro i paesani intesero distruggere l'antico per ricostruire il nuovo in cemento armato. Purtroppo, a
Sant'Anatolia, il culto per la storia è poco sentito.
Oggi chi vi entra troverà un paesino moderno, costruito un po' a caso, con case sparse un po' qua e un po' la, senza l'ombra di un piano regolatore, tutte
o quasi costruite abusivamente e poi condonate. Di antico poco o niente, qualche stalla ha resistito alle distruzioni, le chiese, un fontanile e in montagna
qualche muraglia antica.
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Capitolo I – Tiora Matiene – Pag. 7
Dubbi e riflessioni
Capitolo II – L'epoca romana – Pag. 12
L'origine - Epigrafi romane - Presenze archeologiche
Capitolo III – Medioevo – Pag. 21
Caduta dell'Impero Romano e secoli bui - Il medioevo, il Ducato di Spoleto e la dominazione Farfense - I Saraceni e la formazione dei Castelli
- 1143-1268: Dominazione Normanna e Sveva - 1268-1280: Distruzione di Cartore e invasione degli Zingari
Capitolo IV – L'età dei Castelli – Pag. 32
I Castelli nei dintorni di Cartore dopo il 1268 - 1380: La battaglia di Torano - 1398-1418: Il Castello di S. Anatolia e le sue Chiese - La Contea
di Albe e Tagliacozzo nei secoli XV e XVI - Il Ducato di Tagliacozzo e la famiglia Colonna nel XVI secolo - I castelli di Corvaro, Collefegato,
Poggiovalle, Castelmenardo e Torano fra il XV e il XVI secolo
Capitolo V – Secoli XVI – XVIII – Pag. 41
Cartore e S.Anatolia nel Vicariato del Corvaro: Prime Visite Pastorali - Il Ducato di Tagliacozzo e del Corvaro e la Contea di Alba nel secolo
XVII - Sant'Anatolia e Cartore nelle visite pastorali del '700 - Provvedimenti e decreti fatti nella Sacra Visita del 25 ag. 1783 - Fra la fine del
'700 e l'inizio dell'800
Capitolo VI – La Chiesa – Pag. 53
1828: Visita Pastorale del Vescovo Ferretti al villaggio di S. Anatolia - 1832: Mons. Ferretti visita di nuovo S. Anatolia - 1835: Visita del
Vescovo Filippo de' conti Curoli - 1839: Seconda Visita del Vescovo Filippo Curoli - La chiesa della Madonna Addolorata: errori e curiosità Chiese sepolcrali e cimitero di S. Maria
Capitolo VII – Briganti e viaggiatori – Pag. 65
16 Agosto 1843: Edward Lear - Popolazione nel 1851 - Il brigantaggio - La banda di Cartore - I briganti di S. Anatolia
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Capitolo I - Tiora Matiene
Dubbi e riflessioni
Ancora a Partire da Rieti, per chi procede lungo la Via Latina, dopo 30 stadi si trova Batia, e dopo 300, Tiora, detta Matiene. In questa città si
sostiene che sia esistito un Oracolo di Ares molto antico, le cui caratteristiche erano, sempre secondo quanto narra la tradizione, assai prossime a
quelle che, secondo le trattazioni mitiche, aveva un tempo l'Oracolo di Dodona, tranne che per un particolare. Si dice, infatti, che nell'Oracolo di
Dodona vaticinasse una Colomba, appollaiata su una Quercia sacra, mentre in quello degli Aborigeni lo stesso servizio era reso da un uccello, inviato
dalla Divinità, che loro chiamavano Pico e i Greci invece Drykolapten, che si manifestava su una colonna lignea. A 24 stadi da questa città si trovava
Lista, la madre patria degli Aborigeni (1)
Queste frasi furono scritte circa 2.000 anni or sono da uno storico greco di nome Dionisio la cui città di origine era Alicarnasso. Egli visse nel I secolo
a.C. nel periodo in cui Roma da repubblica divenne impero, parlava e scriveva in lingua greca, e di lui c'è rimasta una "Storia di Roma Arcaica", libri
unici ed importanti nel loro genere. Egli parlando di Tiora ripetè ciò che aveva scritto, in un'opera ora perduta, lo storico reatino Marco Terenzio
Varrone il quale era vissuto circa 50 anni prima (2).
Tiora Matiene è la città di cui parla Dionisio e il cui nome, gli storici del medioevo, tramutarono poi in Tyro, Tyra, Tyriam, Thuriensem, Thora e infine
in Tora. Essa era una delle poche città degli Aborigeni che aveva resistito alle ingiurie degli anni, delle guerre e delle distruzioni e, al tempo di
Dionisio, era considerata, soprattutto per quanto riguardava il tempio di Ares, una città antichissima fondata circa 13 secoli prima da un popolo venuto
dalla Grecia in Italia attraverso il mare: i Pelasgi, un popolo favoleggiato di cui si parlava come di un sogno. Tiora esisteva quindi nel I secolo a.C. e fu
in quel luogo che, il 10 luglio del 251 d.C. al tempo dell'imperatore Decio, una giovane romana di nome Anatolia ed un marso di nome Audace, a causa
della loro fede cristiana, furono processati e condannati a morte. La storia di questi martiri è stata già ampiamente descritta e approfondita da Vincenzo
Saletta nel suo libro "S.Anatolia" ed io, non potendo aggiungere nessun'altra informazione interessante, preferisco rimandare a lui. Ritengo importante
invece, riferire il mio pensiero sulla ubicazione dell'antica città di Thora, visto che per la gente del mio paese essa ha assunto una notevole importanza
storica.
E' da oltre trecento anni che preti, abati e vescovi alla ricerca del luogo del martirio della giovane Anatolia e storici e archeologi appassionati di storia
locale, dibattono ampiamente sull'ubicazione dell'antica città di Thora. La controversia si pone soprattutto se Thora si trovasse nei pressi della chiesa di
Sant'Anatolia a Castel di Tora, o nei pressi della chiesa di Sant'Anatolia nel villaggio omonimo.(3)
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Se si dovesse studiare l'etimologia dei nomi il dubbio non verrebbe soddisfatto poichè l'una si trova nella valle del fiume Turano e l'altra nei pressi del
paese di nome Torano. Il termine Castel di Tora risale al 1864 quando al paese, che allora si chiamava Castelvecchio, fu mutato il nome poichè si era
sicuri che lì vi fosse stata anticamente la città in questione. Anche Colle di Tora era allora chiamato con un altro nome, cioè Colle Piccolo, e il Monte
di Tora a metà dell'800 si chiamava Antuni. Vi era inoltre, nei pressi di Castelvecchio, un luogo nominato nei documenti antichi col nome Rocca Tura
molto somigliante a Thora. Ma anche a Sant'Anatolia di Borgorose vi è un luogo chiamato Cartore ed un altro chiamato al catasto Dentro il Toro, in
dialetto Dentre Tore, anch'essi molto somiglianti al termine Thora.
Chiese intitolate a Sant'Anatolia, la santa martirizzata in Thora, si trovano, come ho già detto, in ambedue le parti e sono molto antiche. Indagini
archeologiche approfondite non sono state fatte, e quindi si sa solamente che in entrambi i paesi sono state trovate delle epigrafi romane che provano
che quelle zone in epoche imperiali erano abitate. Ma quale territorio in Italia non era abitato in epoca imperiale ?
Ponendo la controversia sui documenti, la tesi che Thora si trovasse a Castelvecchio risulta molto più avvalorata, poichè si scopre che essa, in un
documento del 1153, era denominata Plebem S. Anatholia in Tora, mentre la nostra nel 1182 era denominata Monasterio de S. Anatholiae in Vilano (4).
Altri documenti medioevali a partire dall'VIII secolo d.C. ubicano una contrada denominata Massa Turana o Torana nei pressi di Castelvecchio ma un
documento del 1110, riferito al 706 d.C., denomina anche la nostra chiesa con l'appellativo di Turano e cioè: Sanctae Anatholiae de Turanu (5). Ma non
tutte le carte sono state ancora giocate.
E' noto infatti che insieme alla Santa venne martirizzato anche un altro uomo di nome Audace da lei convinto a seguire la religione cristiana. Ebbene,
egli era nativo della Marsica e ciò è confermato anche dal fatto che era un incantatore di serpenti ed è noto che i marsi, vedi la festa dei serpenti a
Cocullo, siano stati maghi ed incantatori di serpenti. Il villaggio di Sant'Anatolia si trova nel Cicolano ai confini della Marsica o addirittura nella
Marsica stessa e, visto che per tutto il medioevo e l'età moderna essa apparteneva alla Contea di Alba che si trovava in piena giurisdizione marsicana, il
fatto che un marso fosse stato chiamato per custodire ed uccidere la nostra santa avvalora la tesi che Thora si trovasse nella nostra zona.
Abbiamo detto che l'unica fonte classica che cita la città di Tiora è la "Storia di Roma Arcaica" di Dionisio d'Alicarnasso. Nella stessa opera un'altra
città di nome Orvinio viene posta alla distanza di 230 stadi da Rieti su una via che prima di raggiungerla attraversava le città di Tribula, Suesbula, Suna
e Mefula.
Orvinio, quaranta stadi da Mefula, città illustre e grande quant'altra mai in questa regione. Si possono vedere le fondamenta delle mura, alcune tombe
di stile molto arcaico ed i recinti con più sepolture che si estendono su tumuli molto alti. Vi si trova anche un antico Tempio di Atena, edificato sulla
sommità. (1)
Ora, la descrizione effettuata da Dionisio si adatta molto bene alla situazione del moderno paese di Corvaro sia per la distanza da Rieti di circa una
cinquantina di Km. (uno stadio greco corrisponde a circa 210 m. odierni: 230 stadi sono circa 49 Km. attuali) sia per la descrizione dei tumuli che
ricalca esattamente la situazione attuale soprattutto dopo le ultime scoperte archeologiche. Nella zona di Corvaro e nei suoi immediati dintorni sono
stati individuati circa una quindicina di tumuli sepolcrali di cui almeno uno pare risulti essere il più grande tumulo d'Europa. Ora, il nome Corvaro si
adatta benissimo al termine antico di Orvinio e forse l'antico tempio di Atena citato dalla fonte potrebbe corrispondere alla rocca del Corvaro, ora in
rovina, situata sulla sommità. Inoltre Orvinio era una delle città più grandi in questa regione ed oggi Corvaro è il paese più grande dell'attuale Cicolano.
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Ora a me sembra che possa prendersi in considerazione, in attesa di prove più sicure, questa tesi, supportata ulteriormente da una epigrafe che recitava
nel seguente modo:
C.CLOELIVS. L. F. CLA. CORVINVS. VESTINAE. HLENAE. CONIVGI. BENEMERENTI.
Questa lapide venne pubblicata dal Martelli che disse di averla osservata in un antico sepolcro rinvenuto tra Corvaro e S. Anatolia. Certo che Martelli
spesso di cose se ne inventava e certo è che da altri archeologi (soprattutto Theodor Mommsen) non venne mai preso sul serio ! Sembra che per
supportare le proprie tesi egli arrivasse a creare lapidi false per poi pubblicarle nella sua opera ! Comunque è molto probabile che il territorio di
Corvaro, fino almeno al Collepizzuto, appartenesse al tenimento di Orvinio e se ciò è vero ne vengono a seguire delle supposizioni contrarie rispetto
alla tesi che asserisce che Tiora Matiene si trovasse nei pressi degli attuali paesi di S.Anatolia o Cartore.
Tiora Matiene viene citata nella stessa opera di Dionisio. Egli scriveva: "Ancora a partire da Rieti, per chi procede lungo la Via Latina, dopo 30 stadi
si trova Batia (Vazia) e, dopo 300, TIORA, detta Matiene...". Poi: "A 24 stadi da questa città si trovava la città che ha il nome di Lista, la madre patria
degli Aborigeni..."
E allora, se Tiora corrispondesse all'attuale paese di S. Anatolia, Dionisio avrebbe dovuto citarla subito dopo aver citato Orvinio (Corvaro) mentre
invece la via che da Rieti portava ad Orvinio, e che passava per le città di Tribula, Suesbula, Suna e Mefula, era diversa da quella che portava a Tiora e
che passava per le città di Vazia, Tiora e Lista. Ora secondo me è impossibile che contemporaneamente Orvinio possa corrispondere a Corvaro e Tiora
a S. Anatolia o Cartore poichè le strade per giungere nelle due città erano diverse mentre nella realtà la strada che arriva a Corvaro e S. Anatolia (la via
Cicolana) attualmente è una sola ! Ebbene, siccome io credo che la tesi di Orvinio quale primitiva città di Corvaro sia molto attendibile mi sembra
improbabile l'altra di Tiora a S. Anatolia.
Per quanto riguarda coloro che ritengono che Tiora fosse posta nei pressi di Castel di Tora quella tesi mi sembra ancora più errata vista la distanza
troppo vicina a Rieti rispetto ai 330 stadi (circa 70 Km.) quale Dionisio la riporta, se non fosse che alcuni storici di quella versione asseriscano che ci
possa essere stato un errore nella traduzione dal greco dell'opera di Dionisio e che la verità sia che Tiora si trovasse a 40 stadi da Reate e quindi nei
pressi di Castel di Tora (6).
La via Calatina era la strada che dall'antica Reate portava verso il mar Adriatico. Se essa corrispondesse alla via Latina di Dionisio, come asseriscono
alcuni, e stando vicino a Rieti un paesino di nome VAZIA in quella direzione, mi sembra non assurdo supporre che forse la Tiora Matiene delle fonti si
trovasse in tutt'altra zona, forse nei pressi di Amiterno visto che lì vi è un paesino nel comune di Pizzoli di nome TEORA o forse nei pressi di Cascia
che si trova a circa 70 Km. da Rieti. Lista, a dire di Dionisio, sembra venisse assalita e conquistata dai Sabini abitanti di Amiterno e quindi supporre la
Teora di Pizzoli quale candidata a Tiora, non mi sembra così improbabile. Lista si trovava a circa 5 Km. da Tiora e quindi se si trovava a 5 Km.
dall'attuale Teora era comunque molto vicina ad Amiterno e quindi facilmente attaccabile.
Certo che fare ipotesi per me è molto azzardato non conoscendo i territori di cui sto parlando, ma magari qualche storico locale, in futuro, su questa
base potrà lavorare e magari scoprire l'antica città in una zona in cui mai ci si sarebbe immaginato che potesse esistere.
I dubbi comunque sono moltissimi ed io ritengo che per almeno altri trecento anni essi non si scioglieranno. A mio parere solo in due modi potrà
risolversi la questione:
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a) Scavando: l'ipotesi è poco praticabile per Castel di Tora dato che la valle dove si troverebbe l'antica città è oggi completamente inondata dal lago
artificiale del Turano. Nel villaggio, di Sant'Anatolia invece è possibile scavare visto che la valle Cantu Riu, dove si trova una delle due muraglie
romane, è ancora libera da abitazioni. Si potrebbe scavare al fianco della muraglia cercandone le fondamenta per scoprire la profondità dello strato
romano. Anche nel villaggio di Cartore è possibile scavare dato che quella valle è rimasta praticamente intatta e libera da costruzioni.
b) Analizzando le reliquie: nel racconto del ritrovamento dei corpi di Anatolia e Audace si narra che i cittadini di Thora, prima di costruire la chiesa,
ebbero in dono dai monaci di Subiaco una reliquia ed esattamente una "Scapola" della Santa che poi custodirono gelosamente (7). Attualmente la
chiesa di Castel di Tora, quella di Sant'Anatolia e chiese in altri paesi, possiedono delle reliquie della Santa. Ebbene se si analizzassero le varie reliquie
e si scoprisse un osso scapolare, si scoprirebbe con molta sicurezza qual è la chiesa costruita dai Torensi e quindi automaticamente anche il luogo dove
si trovava la città di Thora.
Da parte mia, non volendomi esporre a giudizi così incerti, ritengo che i popoli dei due paesi dovrebbero accontentarsi di sapere che in ambedue le
parti in epoca imperiale vi era con certezza un centro abitato e le prove consistono sia nelle epigrafi che nelle muraglie romane ivi esistenti. Nell'uno
queste vengono denominate Mura au pizzu, Mura a' rocca, Mura dei Franili e Rocca del Castellano (8); nell'altro vengono denominate Mura di Cantu
Riu e Ara della Turchetta. Poi, quand'anche si scoprisse che il nostro villaggio corrisponda a Thora o Tiora, non bisogna montarsi la testa visto che
comunque essa non era altro che un piccolo villaggio di provincia, poichè altrimenti, se ne sarebbe certamente parlato più spesso nei testi latini. Io
infine, in attesa dei trecento anni necessari alle Belle Arti per fare ricerche archeologiche nei nostri siti, rinuncerò per il momento all'uso del termine
Thora per denominare il nostro villaggio, preferendo utilizzare i termini Cartore, Vilano o Torano che sicuramente risultano con certezza dai documenti
medioevali.
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Note
1. Dionisio di Alicarnasso "Storia di Roma Arcaica" Lib.1 cap.14,5 (traduz. Rusconi 1984 - pag. 46)
2. Dionisio, figlio di Alessandro, nacque ad Alicarnasso tra il 60 ed il 55 a.C. Alicarnasso era unantica città della Caria nella provincia romana
dellAsia. Egli morì verso il 9-10 a.C. - Marco Terenzio Varrone storico Reatino, nacque nel 116 a.C. e morì il 27 a.C.
3. Vedi Appendice 4 Documenti bibliografici
4. Vedi Appendice 6 Cronologia - anno 1182
5. Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 706
6. Pietro Carrozzoni "Collepiccolo e la valle del Turano" pag. 21
7. Vincenzo Saletta S.Anatolia cap. XIV pag.145-149
8. Pietro Carrozzoni "Collepiccolo e la Valle del Turano" cap.III pag.19-34
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Capitolo II - L'epoca romana
L'origine - Epigrafi romane - Presenze archeologiche
L'origine
L'origine del paese di S.Anatolia è oscuro. Dell'epoca romana sopravvive qualche
ricordo nelle due muraglie ciclopiche, probabili templi pagani, e nelle poche epigrafi che
sono giunte sino a noi, poi, il buio completo del medioevo. La prima notizia ufficiale sul
Castrum di S.Anatolia risale all'anno 1418 quando, in un documento contenente l'elenco
dei castelli sottostanti alla contea di Alba & di Tagliacozzo, viene nominato assieme ai
castelli di Torano, Spedino, Corvaro, Collefegato, ecc. Il villaggio era comunque più
antico. La città più importante della zona era da secoli la colonia romana di Alba
Fucense che, nonostante la caduta dell'impero romano, mantenne una grande importanza
per la sua posizione strategica nel punto di confluenza fra la via Tiburtina - Valeria, che
collegava Roma all'Adriatico, e la via Cicolana che univa Rieti al lago Fucino ed al sud
Italia. Alba, da città militare romana, divenne nel medioevo sede del ducato e della
contea dei Marsi, vi fu costruito un efficiente castello difensivo e continuò ad esercitare
il suo potere in gran parte della Marsica e del Cicolano.
La strada consolare Cicolana, fin dall'epoca romana, collegava per vie interne il nord al
sud d'Italia ed in particolare, seguendo il corso del fiume Salto chiamato Imele dai
romani, collegava la città provincia di Reate alla città fortezza di Alba Fucense ed all'allora più
grande lago d'Italia, il Fucino. C'era un punto in cui la strada, lasciando sulla destra il fiume Salto,
si addentrava per una valle molto stretta e, camminando al fianco delle montagne della catena del
Velino, raggiungeva la Bocca di Teve per poi proseguire velocemente per Alba Fucense.
In quel punto così strategico già in epoca romana era nato spontaneamente un piccolo villaggio
che serviva da sosta e da ristoro per i viandanti e da difesa al brigantaggio e che viveva di
pastorizia e di agricoltura avendo a disposizione molti pascoli, molta acqua e legna, e delle terre
fertili e pianeggianti. La valle, oggi denominata della Ruara, si cosparse di case, di abitanti e di
chiese e il villaggio chiamato Cartore divenne un piccolo centro di passaggio e di scambio. Nel
punto più strategico, dove la via Cicolana incontrava la Bocca della Val di Teve, in epoche
imprecisate venne eretta una rocca difensiva, "il Castiglione" (1), con una chiesa adiacente, il
Santo Sepolcro (2), e nel medioevo, all'inizio della Val di Teve, una grotta molto capiente venne
abitata da un eremita, forse San Costanzo.
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Sempre nel medioevo, ma forse anche in età romana, era sorto il monastero di
San Leonardo a Val di Fua e sotto la valle, sempre sottoposto ai monaci di S.
Paolo fuori le mura a Roma, venne costruita un'altra chiesa dedicata a San
Nicola. La parrocchia di San Lorenzo, al centro di Cartore, lo dominava con
la sua torre campanaria ed altre chiesette rurali, come quella di San
Sebastiano, di Santa Maria di Brecciasecca e di Santa Maria del Colle,
contornavano il villaggio.Circa nel 300-400 d.C., in una zona chiamata Vilano
nelle vicinanze di Cartore, venne costruita una chiesetta dedicata a
Sant'Anatolia e nei suoi dintorni si trasferirono alcuni abitanti di Cartore. Il
territorio di Vilano faceva parte del tenimento di Cartore anche se già in epoca
romana era probabilmente abitato. Nella stessa valle in epoche antiche
scorreva un ruscello, da cui il termine "Cantu Riu", che venne incanalato e
convogliato in un grande fontanile. Ancor oggi scavando a circa 6 o 8 mt.
sotto terra vicino alla casupola della sorgente vi è una cisterna romana fatta in
mura poligonali ed un cunicolo a volta che seguendo la valle chiamata "le
vicenne", sotto l'odierno campo sportivo, sbocca dietro la fontana moderna a circa 4 m. nel sottosuolo (3).
L'acqua in quella valle era molto fresca ed abbondante tutto l'anno e fu accanto a quel rio,
che sorse il primo nucleo di Vilano; intorno ad essa vi erano boschi e foreste e, a circa due
km. dietro un paio di colline, sorgevano le montagne alte 2.000 metri ed anche più; quelle
che oggi vengono chiamate "Duchessa", "Murolungo", "Torricella", e più lontano il
"Velino". In quella valle, molto riparata dai venti, e nei boschi vicini vivevano orsi,
cinghiali, cervi, lupi, volpi, lepri ed altre bestie, ed il cielo era pieno di uccelli. In
lontananza si vedeva il "Murolungo" una parete rocciosa, in quel tempo forse divinizzata,
che aveva la cima raggiungibile solo per una strada stretta ed angusta che passava fra alti
burroni e dietro ad essa, a 1.777 metri d'altezza, c'era un lago limpido e pulito dove si
dissetavano tutte le bestie di quei luoghi.
Nel mezzo di quella valle furono costruiti due edifici, forse templi o grandi ville, con mura
fatte di pietre enormi tagliate irregolarmente ed appoggiate l'una sopra l'altra senza calce.
Un edificio fu costruito nel mezzo della valle e, dopo il 313 d.C., anno dell'Editto di
tolleranza di Costantino che mise fine alle persecuzioni contro i cristiani, venne utilizzato
come base per la prima chiesa di S.Anatolia e in seguito come sostegno per il terreno sotto i Santuari costruiti posteriormente. L'altro, a circa duecento
metri di distanza, all'Ara della Turchetta, serviva probabilmente da tempio o punto di scambio per i viandanti che venivano da Cartore.
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Epigrafi romane
A confermare che in epoca romana il luogo era abitato, oltre alle muraglie e alla cisterna di Cantu Riu, prima del 1900 esistevano anche delle epigrafi
commemorative e sepolcrali che oggi sono quasi del tutto scomparse. Nel pavimento della chiesa di Santa Maria del Colle vi era, fino al 1907, una
lapide scolpita con lettere molto grandi che segnalavano uno dei confini con Alba Fucense:
ALBENS FINES
La lapide fu vista intatta verso il 1850 dal canonico Stephani Anzimi di Scurcola e fu pubblicata nel 1859 da Raffaele Garrucci. Nel 1883 Theodor
Mommsen la trovò segata in due parti e nel 1907 la vide ancora Domenico Lugini (4). La lapide conferma l'importanza che aveva in epoca romana la
città di Alba Fucense e che già in quei tempi, come poi in tutto il medioevo, i territori di Sant'Anatolia e Cartore facevano parte della sua giurisdizione.
Sempre nella chiesa di S.Maria del Colle vi era la seguente epigrafe che, in seguito al crollo della chiesa, venne trasportata nella villa della famiglia
Placidi presso il Santuario. Ora si trova in Avezzano presso il Museo Lapidario comunale.
Fotografia tratta dal sito: www.avezzanodigitale.it.
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 14/79
La lapide venne pubblicata dal Garrucci e dal Mommsen. Nel 1907 Domenico Lugini la descriveva in questo modo: "E' in pietra calcarea e con
paleografia dei tempi Augustei". Il testo è il seguente: [D. M. - L.CALLIO.L.F.CLA – RESTITVTO.VE – TERANO.AVG – EX.CHO.PRI.PR –
MAG.I.D.Q – HOSTILIA.C.F. - PROCVLA.CON.B.M – CVM.QVO.VIX.AN.X// - FACIVNDVM - CVRAVIT]. Vincenzo Saletta la traduceva:
"A Lucio Gallio Restituto, figlio di Lucio Claudio, veterano augustale, della Coorte prima principale, magistrato... duunviro quinquennale, la moglie
Ostilia Procula al marito di buona memoria, con il quale visse 10 anni, curò che fosse fatto" (5).
M. PIO . M...
CALVENO
OSSA.SITA
CALVENA.L.F.
Anche questa lapide sepolcrale si trovava nella chiesa di S.Maria del Colle. Venne pubblicata dal Garrucci e dal Lugini che disse che era "in pietra
calcarea e con arcaica paleografia". Il Saletta la tradusse "A Marco Pio Calveno, figlio di Marco. Qui sono poste le sue ossa. La liberta Calvena fece"
(6). Il fatto che Marco Pio Calveno fosse sepolto nella chiesa di S.Maria del Colle rende possibile l'ipotesi che questa chiesa possa risalire ad epoche
romane.
La chiesa di S. Maria del Colle nel 1907 era già in fase avanzata di decadimento. In quel tempo, o forse dopo il terremoto del 1915, il bisogno di
nuove terre, spinse la famiglia Placidi a coltivare anche sopra il suo sito e, se anche in precedenza vi resistevano le fondamenta, dopo, con l'intervento
dell'aratro, della chiesa non rimase più traccia. Le epigrafi che vi si trovavano non sappiamo dove siano andate a finire, se siano andate distrutte, se
siano state cementate in qualche altra costruzione o se si trovino, si spera, in casa dei sigg. Placidi.
Anche nel Santuario antico di Sant'Anatolia vennero rinvenute iscrizioni romane fra cui una delle più importanti ci ricorda l'imperatore Marco Aurelio
Antonino che probabilmente visitò il nostro villaggio:
IMP. CAES.
M.AVRELIO.ANTONI
IMP.CAES.L.SEPTIMI.SEVERI.PII
PERTINACIS.AVG.ARABICI
ADIABENICI.PARTHICI.MAXIMI
FILIO.COS.III
Fu pubblicata dal Mommsen che la trovò nel pavimento di fronte all'altare della Vergine Anatolia. Anche lui era convinto assertore che la nostra chiesa
si trovava "in ruinis Torae oppidi" soprattutto per la somiglianza del nome della città a quello di Torano. Il Saletta la tradusse nel seguente modo:
"All'imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino, augusto, pontefice massimo, figlio dell'imperatore Cesare Lucio Settimio Severo, Pio, Pertinace,
Augusto, Arabico, Adiabenico, Partico, Massimo, nel terzo anno del suo consolato" (7).
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Sempre il Mommsen vide che l'altare della chiesa antica di S.Anatolia, prima della distruzione del 1877, era sorretto da una grande lapide o colonna in
pietra ("basis magna in vico S.Anatoliae in valle Salti ex altari ecclesiae S.Anatoliae nuper extracta") sulla quale era incisa questa iscrizione. Il Saletta
la tradusse "A Calvena Veneria, figlio di Tito, Lucio (Giunio) Giusto, figlio di Lucio, pose alla moglie di buona memoria" (8).
D.M.S.
CALVENE.T.F
VENERIAE
L/////NIVS
LF IVSTVS
CONIVGI
B.M.P.
La seguente epigrafe "in pietra calcarea" si trova tuttora nella chiesa di Sant'Anatolia incassata nel muro esterno della facciata sopra una delle porte
d'ingresso.
Essa venne pubblicata dal Mommsen il quale asserì che il Petronio dell'epigrafe abitasse nel territori di Alba poichè apparteneva alla tribù Fabia nella
quale erano ascritti gli Equi Albensi. Il testo è il seguente: [L.PETRONIVS.C.F - FAB.EX.TES. - HS. CCCC]. Il Saletta la tradusse scrivendo fabbro
anzichè Fabio: "Lucio Petronio, figlio di Caio Fabio, per testamento 400 sesterzi" (9). Ancora un'altra conferma che il nostro villaggio si trovava in
giurisdizione Albense.
EVLOGI
C.N.T
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 16/79
Nei dintorni del Santuario fu rinvenuto un suggello di bronzo con questa piccola iscrizione; essa venne pubblicata dal Garrucci, dal Mommsen
("Signaculum ad S.Anatoliae in Aequicolis: Eulogi C.N.T."), dal Lugini e dal Saletta (10).
Nel 1877 la chiesetta di Sant'Anatolia, che aveva bisogno di qualche piccolo restauro, venne, alla maniera santanatoliese, praticamente distrutta per
essere ricostruita più grande, accogliente e moderna. Alcune pareti si salvarono e con esse, per pura fortuna, anche l'epigrafe di Lucio Petronio. Essa
si trovava incastonata nella parete esterna nei pressi della porta d'ingresso principale ma, non essendo gradita la sua posizione vicina al portale,
venne ricoperta da un grosso strato di intonaco. Solo alcuni anni or sono l'epigrafe è stata riscoperta durante alcuni lavori di riverniciatura esterna.
Delle altre epigrafi nella chiesa di Sant'Anatolia non se ne trova alcuna traccia.
IOVI.O.M. /
L.SABIDIVS.
TAVRVS
L'epigrafe prima del 1645 si trovava incisa su una colonna "basis parva" della "ecclesia" di Torano. Fu pubblicata per la prima volta dal Febonio nel
1678. Il Mommsen la ritrovò nell'orto della famiglia Cattivera. Il Lugini la vide ancora nel 1907. La traduzione del Saletta è la seguente: "A Giove,
Ottimo, Massimo, Lucio Sabidio, Torense [Tauro]" (11).
A.VARIVS.L.F.CLA.VARRO
CENTHVRIO.LEG.IIII
GAVIA.Q.F.VXOR
EX.TESTAMENTO.SELEVCVS.L
FECIT
Nel 1907 Domenico Lugini la vide nella casa dei sig. Marchesi Antonini-Carradori di Torano (12).
SILVANO.SANCTO
THORANIVS
L.CLOELI
D.D.
Venne pubblicata dal Martelli che disse di averla rinvenuta in un bosco tra le Ville di Borgocollefegato ed il Villaggio delle Grotti. Lugini non la vide
ma la pubblicò comunque nel 1907 (13).
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 17/79
T.ALBIVS.T.F.
Era un frammento di pietra calcarea e nel 1907 Lugini lo ritrovava nelle Peschie di Torano. Era stato in precedenza pubblicato dal Garucci (14).
saBIDIVS.C.F.PAP.PRIM.PIL
leG.V.ET.LEG.X.ET.LEG.VI.ITAVIT.IN
legX.PRIMVMPIL.DVCERET.EODEM
TEMPORE.PRINCEPS.ESSET.LEG.VI.PRAE.[F.Q.]Vinq
C.CAESAR.DIVI.AVG.f.ET.TI.CAESARIS
DO.M.SVA.PECVN.DONAVIT
CORNELIA.PVPILLA.M.P.V.S.K.
CRISPINI.NEPTIS
Fu pubblicata dal Febonio che la vide nel Corvaro alla porta che guardava verso Borgocollefegato. Il Lugini nel 1907 non riuscì a trovarla ma la
pubblicò copiandola dal Febonio (15).
VERANA.C.F.
L.TETTAEDIVS.L.F.FILIVS
VNO.DIE.SEPVLTEI
Fu ritrovata in un terreno di Pietro Rocco di Corvaro insieme ad altre grandi pietre lavorate a scalpello che costituivano un sepolcro. Lugini la descrisse
in questo modo: "è in pietra calcarea ben incorniciata e sormontata da una testa di vitello a rilievo e da una rosa; è lunga cm.59 e larga cm.26" (16).
DIANAE.NEMORESI.VESTAE
SACRVM.DICT
Venne pubblicata dal Martelli che disse di averla osservata sopra Borgocollefegato nell'antichissimo tempio di S.Giovanni in Leopardis. Il Lugini non
la vide ma la pubblicò comunque (17).
C.CLOELIVS.L.F.CLA
CORVINVS
VESTINAE.HLENAE
CONIVGI.BENEMERENTI
Fu pubblicata dal Martelli che disse di averla osservata in un antico sepolcro rinvenuto tra il Corvaro e S.Anatolia. Il Lugini non la vide ma la pubblicò
nel 1907 (18).
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Presenze archeologiche
Nei dintorni di Sant'Anatolia vi erano altri insediamenti romani e pre-romani, testimoniati da fortificazioni, edifici, necropoli e santuari che ancora oggi
si possono osservare.
Nelle vicinanze di Corvaro, sopra il paese di Santo Stefano, sorgeva a quota m. 1.167, l'oppidum di Monte Frontino, imponente insediamento Equicolo
del quale si conserva parte della cinta muraria che lo recingeva con una circonferenza di circa 1 Km. Nei pressi di Spedino ed esattamente al di sopra
del cimitero era situato, a quota m.951, il centro fortificato di Colle Civita del quale rimangono tracce della cinta muraria che si estendeva per una
circonferenza di circa 500 metri. Nei pressi di Villerose a quota m. 932 si ergeva l'altra piccola fortezza o torre di avvistamento Equicola di
Castelluccio.
Lungo la strada che da Cartore porta a Bocca di Teva in località Costarelle e Dentro il Toro si trovano i resti di un vicus
italico-romano testimoniato da terrazzamenti sorretti da muri in opera poligonale, numerosi frammenti di tegole e
anfore, oggetti in ceramica, monete e oggetti in bronzo.
A Bocca di Teve in un boschetto a monte della strada vicinale di Teve si trovano i resti di un Santuario italico-romano
del sec. III-II a.C. di cui rimangono terrazzamenti sorretti da muri in opera poligonale rivestiti con raffinata cortina,
resti murari e una cisterna circolare scavata nella roccia. Nella località S. Erasmo vicino Corvaro si trovano i resti di un
Santuario italico risalente dal IV al I sec. a.C. e nei suoi pressi alcuni anni fa' fu scoperta la grande necropoli preromana di Monteriolo con resti di anfore, statue, armature, scudi, lance, spade, etc. risalente circa al VII secolo a.C. A
Borgorose la chiesa ormai diroccata di S. Giovanni in Leopardis poggia le sue fondamenta sopra i resti di un santuario Italico.
Nella valle di Cartore a Campo di Mezzo o Curolo, lungo l'antica via Cicolana, sono visibili i resti di una villa romana d'età imperiale con murature di
epoca incerta, materiali domestici in ceramica e frammenti di pavimentazione. Sul Colle Pezzuto, lungo la strada Pianara-Cartore, vi sono i resti di
un'altra villa di tarda età repubblicana. A Borgorose, la chiesa di S. Maria delle Grazie utilizza le mura di un'antica villa romana, mentre anche a
Castelmenardo, il cimitero di S.Savino, con i ruderi della sua chiesa, poggia le fondamenta su delle mura poligonali romane.
Infine, lungo la strada comunale Valle del Tordo sotto la villa romana di Colle Pezzuto sono presenti i resti di una tomba monumentale romana alta m.
2,5 e larga circa m. 6 per m. 5. (19)
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Note
1.
2.
3.
4.
Carta catastale del Comune di Borgorose foglio 76 part. 50
Vincenzo Di Flavio "Registro delle chiese della Diocesi di Rieti del 1398" pag.79 n.36 - Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1398
Vedi Appendice 3 - Descrizioni Topografiche
Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.159 - Theodor Mommsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.3930 - Domenico
Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.108
5. Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.179 - Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.4120 - Domenico
Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.106 - Vincenzo Saletta "S.Anatolia" pag.49
6. Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.181 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano"
pag.107 - Vincenzo Saletta "S.Anatolia" pag.50
7. Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.4117 - Vincenzo Saletta "S.Anatolia" pag.52
8. Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.3979 - Vincenzo Saletta "S.Anatolia" pag.50 nota 12
9. Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.4017 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano"
pag.108 - Vincenzo Saletta "S.Anatolia" pag.50
10.Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.181 - Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.394 - Domenico
Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.108 - Vincenzo Saletta "S.Anatolia" pag.51
11.Muzio Febonio "Historiae Marsorum" - Theodor Mommsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.4106 - Domenico Lugini "Memorie storiche
della regione Equicola ora Cicolano" pag.105 - Vincenzo Saletta "S.Anatolia" pag.51 3
12.Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.105
13.Martelli "Antichità de' Sicoli" t.II pag.161 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.107 - Vincenzo
Saletta "S.Anatolia" pag.51
14.Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.180 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano"
pag.106
15.Martelli "Antichità de' Sicoli" t.II pag.159 - Muzio Febonio "Historiae Marsorum" p.177 - Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico
Napoletano" pag.157 - Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.6779 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione
Equicola ora Cicolano" pag.104
16.Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.105
17.Martelli "Antichità de' Sicoli" t.II pag.189 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.107
18.Martelli "Antichità de' Sicoli" t.II pag.160 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.105 - Vincenzo
Saletta "S.Anatolia" pag.48
19.Alcuni archeologi moderni aiutati dalle nuove tecniche di sondaggio del territorio hanno iniziato da alcuni anni a fare ricerche e studi seri su
questi nostri monumenti. C'è ancora molto da scoprire ma nel frattempo chi vuole approfondire l'argomento si legga le loro pubblicazioni:
Grossi Giuseppe "Insediamenti Italici nel Cicolano" L'Aquila 1984 - Andrea Staffa "L'assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda
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antichità e il medioevo", in "Xenia semestrale d'antichità" vol.13 p.45 anno 1987 1 semestre. - Edda Armani Martire "Resti Archeologici in
località Monte Fratta di Alzano", in "Xenia semestrale d'antichità" vol.3 p.37 anno 1982 1 semestre. - Anna Maria Reggiani "Annotazioni sulla
Sabina e sul territorio degli Equicoli" in "Enea nel Lazio, archeologia e mito", Roma 1981, p.56. - G. Filippi "Recenti acquisizioni su abitati e
luoghi di culto nell'Ager Aequiculanus" in "Archeologia Laziale", VI, Roma, 1984, p.165 - G. Alvino "Corvaro di Borgorose: seconda
campagna di scavo al tumulo" in "Archeologia Laziale", VIII, Roma 1986 - Anna Maria Reggiani "Santuario degli Equicoli a Corvaro" in
"Lavori e Studi di Archeologia ..." L.S.A., 11, Roma 1988 - etc...
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Capitolo III - Medioevo
Caduta dell'Impero Romano e secoli bui - Il medioevo, il Ducato di Spoleto e la dominazione Farfense - I Saraceni e la formazione dei Castelli - 11431268: Dominazione Normanna e Sveva - 1268-1280: Distruzione di Cartore e invasione degli Zingari
Caduta dell'Impero Romano e secoli bui
Durante la dominazione romana le notizie sul nostro villaggio sono date solamente da fonti archeologiche ed epigrafiche, mentre l'unica città che viene
citata nei documenti classici è ALBA FUCENSE che già in piena epoca imperiale estendeva la sua giurisdizione fino al nostro villaggio.
L'attuale Valle Caprina, detta in alcune carte topografiche del 1800 Valle Turanense, fa oggi da confine fra i territori di Sant'Anatolia e Cartore con
quelli di Torano e Spedino e la situazione attuale rispecchia esattamente la situazione romana poichè nei suoi pressi, ed esattamente nella chiesa di
Santa Maria del Colle, esisteva fino a circa un secolo fa' un cippo sul quale era indicato il limite territoriale di Alba nella nostra zona: ALBENS FINES.
Il territorio di S. Anatolia e Cartore rientrava quindi già in epoca imperiale nella giurisdizione Albense e questa dipendenza si protrasse per tutto il
medioevo fino alla fine del 1700.
Agli inizi del V secolo d.C. l'Impero Romano d'Occidente, che durava da oltre quattro secoli, si avviava verso una lenta fine. I romani, intenti a godersi
le ricchezze accumulate, non prestavano da tempo il servizio militare affidando la difesa dei propri territori ai barbari confinanti i quali erano gli unici
che per bisogno di denaro si prestavano a quella rude vita. Per tutto il V secolo quasi tutti i generali dell'esercito imperiale avevano cognomi barbari e
ciò creò una forte dipendenza di Roma da essi ma in compenso, le stabili alleanze con questi popoli, avevano creato una sorta di cuscinetto intorno
all'Impero che lo proteggeva da eventuali assalti esterni. La fama della sua potenza giungeva sempre più lontana e ad est, il miraggio della ricchezza
facile, spingeva le orde mongoliche, respinte dalla Cina, a dirigersi verso l'impero. Quando i terribili Unni guidati da Attila si spostarono verso ovest la
loro bestialità mise un tale terrore che i popoli confinanti chiesero asilo e protezione a Roma la quale, per non dispiacere l'esercito composto soprattutto
da barbari, li accolse nei propri confini determinando l'inizio delle prime invasioni.
Odoacre fu l'autore del crollo definitivo dell'Impero. Egli, generale dell'esercito imperiale, e capo del popolo degli Eruli che nel frattempo si erano
stanziati nei territori imperiali, nel 476 d.C. con un colpo di stato, depose l'ultimo imperatore d'Occidente Romolo Augustolo e governò l'Italia col
titolo di patrizio in nome dell'imperatore d'Oriente Zenone. In seguito quest'ultimo, per togliersi di mezzo un altro alleato prepotente e fastidioso qual
era Teodorico re degli Ostrogoti, che spesso invadeva e saccheggiava l'impero nella parte orientale, decise di mandarlo in Italia a spodestare Odoacre
che nel frattempo gli era venuto in disgrazia. Teodorico invase e conquistò l'Italia, vi fondò un regno e la governò saggiamente ispirandosi alla
tradizione romana.
Ma poichè, qualche tempo dopo, gli Ostrogoti volevano affrancarsi dalla dipendenza dell'imperatore d'Oriente, quest'ultimo, che allora era Giustiniano,
nel 535 organizzò una spedizione in Italia con un esercito Greco che pose sotto il comando di Belisario e successivamente di Narsete. In un primo
tempo sembrava che la fortuna arridesse ai Goti tanto che Roma, tenuta da Belisario, fu da essi assediata. A questo riguardo, Procopio di Cesarea
riferisce che "Giovanni, maestro dei militi, inviato da Giustiniano in aiuto di Belisario, nel 537, con 800 cavalli e 1.200 uomini, stabiliva i suoi
quartieri invernali ad Alba Fucense".
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La guerra "Gotica" durò circa venti anni e l'Italia fu traversata continuamente dai due eserciti che occupavano e rioccupavano i territori oggetto di
conquista. La Marsica e le nostre zone non vennero risparmiate dalle incursioni degli avversari i quali massacravano spietatamente tutte le popolazioni
che non si sottomettevano all'uno o all'altro di essi e distruggevano tutto ciò che trovavano nel loro passaggio (1).
Alla fine i Greci ebbero la meglio ma, dopo appena 15 anni, nel 568, scesero dal nord i Longobardi condotti dal loro re Alboino, che provenivano dalla
Pannonia, attuale Ungheria, dove si erano stanziati da diversi anni in qualità di federati dell'Impero. Alboino inizialmente conquistò senza alcun
ostacolo la provincia Friulana e nell'anno seguente, scese nella Venezia, nell'Emilia e nell'Umbria. Infine, impossessatosi di Milano, si dichiarò, nel
settembre di quell'anno, re d'Italia. Pavia resistette per tre anni ma stretta d'assedio alla fine nel 572 si arrese e fu eretta a capitale del regno. In Umbria
Alboino istituì un Ducato e, creata capoluogo Spoleto, vi nominò per primo Duca Foroaldo. Ad Alboino successe Clefi e alla sua morte seguirono dieci
anni di anarchia durante la quale Foroaldo ampliò i suoi domini a tutta l'Umbria e a parte della Sabina. Ariolfo, secondo duca di Spoleto, estese le sue
conquiste, oltre al resto della Sabina, anche nelle regioni degli Equicoli, dei Marsi, dei Peligni, dei Vestini e dei Piceni e fu dunque in quel periodo, tra
il 591 e il 603, anno della sua morte, che i nostri territori furono uniti al Ducato di Spoleto (2).
Il medioevo, il Ducato di Spoleto e la dominazione Farfense
Nell'anno 1110 il prete Adamo di Cliviano (S. Stefano di Corvaro) scrisse una lettera a Berardo, abate del monastero di Farfa, per chiarire la posizione
di alcuni terreni e di alcune chiese che si trovavano sotto la sua giurisdizione:
Al Signore Berardo venerabile Abate il presbitero Adam de Cliviano fedele servo. Per timore di dio e di S. Maria vi indichiamo per l'appunto le terre
che il duca Faroaldus diede a S. Maria [Farfa], cioè il Cliviano e per i suoi vocaboli, moggia millecinquecento di terra coltivata arabile con n. 12
abitanti; fino a Frontinum e fino alla Macchia Felicosam e fino alla grotta Machelmi. Di essa la terza parte di tutto il territorio insieme con la chiesa
di S.Savino, la chiesa di S.Sebastiano e la chiesa di S.Anatolia di Turano. L'abate poi, che c'era in quei tempi, fece uno scambio con Soldone, e diede a
quello la chiesa di S. Anatolia in cambio di quella di S. Maria di Loriano. Tutto il resto rimase al servizio di S. Maria [Farfa]. Ivi è edificato quel
Corvarium. Per l'appunto in realtà gli uomini che ottennero lo scambio si raccomandano a voi affinchè veniate qui per vostra volontà, rimanendo al
vostro servizio, la dove solamente il Signore cancella tutto e Voi modestamente tenere (3)
Nei primi anni dell'VIII secolo d.C., durante la dominazione dei Longobardi, la chiesa di S.Anatolia venne donata da Foroaldo II duca di Spoleto al
monastero di Farfa insieme ad altri territori ad essa adiacenti. Nel documento di cessione, che è il più antico a noi rimasto, essa venne denominata
Sanctae Anatholiae de Turano e già in quell'epoca i territori limitrofi ad essa venivano denominati quasi come attualmente e cioè: Cliviano (S. Stefano
in Cliviano), Macclam Felicosam (forse: Selve della Duchessa), Cripta Machelmi (Grotte di Torano), Frontinum (Monte Frontino), Sancti Savini
(S.Saino, cimitero vicino a Castel Menardo), Sancti Sebastiani (Chiesa di S. Sebastiano un tempo esistente alle falde dei monti della Duchessa),
Turanu (Torano), Sancta Maria de Loriano (S. Maria parrocchiale di Corvaro), e Corvarium (Corvaro).
I termini Clivano e Torano riappaiono nel medioevo in vari documenti del Monastero di Farfa. Nell'anno 791: gualdum nostrum in Eciculis in integrum
seu terram in Cliviliano ubi dicitur ...nuale (4); nell'813: in Eciculis loco qui dicitur Clivigiano (5); nel 957: Clivano, et Placidiscis, et Agello, et
Torano (6)
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Nel frattempo, dopo varie vicissitudini, il regno longobardo d'Italia passò nelle mani dei Franchi di Carlo Magno che, rifacendosi alla tradizione
romana, dettero le fondamenta al Sacro Romano Impero. In Oriente gli Arabi conquistavano l'Africa del nord, la Palestina, la Spagna, la Sicilia, la
Corsica e la Sardegna e creavano l'impero arabo che, sotto lo slogan Allah è il solo Dio e Maometto il suo profeta, diveniva sempre più potente. Il
Mediterraneo, che durante l'impero romano era chiamato Mare Nostrum, era ormai divenuto il mare degli Arabi, un mare pericolosissimo per gli
occidentali poichè pieno di pirati e corsari che, appoggiati dagli Arabi, saccheggiavano ed invadevano continuamente la nostra penisola. Solo Venezia
con le sue possenti e veloci navi riusciva a mantenere dei contatti, soprattutto commerciali, con l'Impero d'Oriente. I porti principali, che durante
l'epoca imperiale erano densi di popolazione, venivano lentamente abbandonati e le città si ritiravano sempre più nell'entroterra. Il Tevere, che da secoli
era luogo di arrivo di ricche navi commerciali, diveniva per Roma una fonte di pericolo e delle grandi catene vi venivano poste per impedire il
passaggio alle imbarcazioni. L'economia lentamente si comprimeva fino a giungere a quel mercato chiuso che caratterizzò l'Europa per tutto il
medioevo.
I Saraceni e la formazione dei Castelli
Nel Chronicon Vulturnense si rileva che fin quando governarono i Longobardi nelle nostre regioni: "...i castelli erano rari, perchè non c'era paura o
timore di guerre, tutti godevano di una grande pace, fin quando arrivarono i Saraceni ..." (7)
Leone Ostiense o Marsicano nel suo Chronicon Casinense fa rilevare come le varie abbazie si preoccupassero delle popolazioni loro soggette facendo
"...innalzare castelli e rocche fortificate nei luoghi di difficile accesso per evitare scorrerie e saccheggi da parte dei seguaci della Mezzaluna". (8)
I Saraceni furono per l'Italia meridionale una grossa calamità. Essi, da veri corsari qual erano, appoggiati dagli Arabi, facevano spesso delle incursioni
nell'entroterra e, guidati dal loro valoroso capo Seodan, risalendo lungo il corso del fiume Garigliano e del Liri, arrivarono spesso fin nella Marsica
dove misero a ferro e a fuoco i nostri paesi. Già nell'anno 846 erano giunti sotto le mura di Roma dove, incontrata una forte resistenza, avevano
depredato la basilica di San Pietro che allora si trovava fuori delle mura. In seguito incendiarono la città di Fondi uccidendo gran parte dei suoi abitanti.
I superstiti vennero ridotti in schiavitù. L'imperatore Lodovico II, per contrastare quelle orde barbariche, dette ordine a Guido duca di Spoleto di
formare un esercito con il quale si spinse a perseguitarli fin sotto le mura di Gaeta; ma, caduto in un agguato, Guido stesso rischiò di cadere nelle mani
nemiche e si salvò per un pelo grazie all'aiuto di Cesario figlio di Sergio duca di Napoli.
In seguito alla vittoria ottenuta, i Saraceni divennero più coraggiosi rinnovando le loro scorrerie fino al fiume
Garigliano dove si stabilirono e si fortificarono. Il papa Leone IV, per arginare il pericolo Saraceno, si decise a porre
delle catene lungo il Tevere per impedire alle imbarcazioni di risalirlo fino a Roma e, per salvaguardare la chiesa di
San Pietro, la circondò di mura, quelle che in futuro delimiteranno la Città del Vaticano. Nell'865 Lamberto duca di
Spoleto, sostenuto da Gerardo conte dei Marsi, attaccò i Saraceni che, in seguito a delle scorrerie nei territori di Capua
e di Napoli, stavano facendo ritorno con un ingente bottino nelle loro sedi a Bari. In quella battaglia i Saraceni ebbero
ancora la meglio e in quella sede venne ucciso addirittura Gerardo conte dei Marsi.
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I Saraceni, ancora più inorgogliti dalle vittorie ottenute, si fecero più audaci tanto da invadere ed occupare parte della provincia Valeria che allora
raggruppava la Marsica, il Cicolano e parte della Sabina. Anche il territorio di Benevento era continuamente messo a ferro e fuoco e, tanto i popoli si
lamentarono, che l'imperatore Lodovico II rinnovò una Crociata contro quei barbari. Ma quel popolo di corsari non si fermava. Incendiarono il
monastero di San Vincenzo del Volturno, di San Salvatore di Rieti e molte chiese. Saccheggiarono ripetutamente i nostri paesi e, nonostante che
nell'anno 886 subirono una grande sconfitta in una battaglia condotta da Guido di Spoleto, si dovette attendere l'anno 916 per vederli definitivamente
sconfitti (9).
Alba Fucense nell'881, in una delle tante incursioni dei Saraceni, venne assalita, saccheggiata e distrutta da un tremendo incendio mentre la
popolazione superstite fu costretta a fuggire sui monti; per questo motivo in seguito vi fu eretto un castello sul colle più alto che resistè fino al 1915
anno del terribile terremoto che sconvolse la Marsica ed il Cicolano. Nelle cronache dei vari monasteri si rileva come i vari abati spingessero i loro
subalterni ad innalzare nei vari villaggi Castelli con Poggi o rocche fortificate nei luoghi di più difficile accesso per poterli garantire dalle aggressioni
dei Saraceni e dei cattivi vicini (10).
Fu dunque da quel periodo che cominciarono ad essere costruiti i vari Castelli della Marsica e del Cicolano fra i quali
quelli che a noi interessano in questa storia di S. Anatolia, Torano, Corvaro, Spedino, Collefegato, Castelmenardo e
Poggiovalle. Nell'anno 1113 Annolino di Oderisio donò il castello di Torano alla diocesi di Rieti: Castrum quod
Toranus vocatur (11) ed in quel periodo probabilmente erano già stati eretti i castelli di Collefegato, Spedino e
Castelmenardo.
Nel 1115 i confini della diocesi marsicana passavano per la zona di S.Anatolia ed infatti in quell'anno papa Pasquale II
confermandoli a Berardo vescovo de' Marsi li individuava nel seguente modo: ... per Scalellas, per Tufum fluvii
Remandi, per Trepontum; inde ad Vulpem Mortuam, per Buccam de Teba, per Campum de Pezza, ... (12). Nel 1182 ancora un papa, Lucio III,
confermando i territori questa volta della diocesi reatina, di nuovo nominava la Bocca di Teva (Tabulam), Cartore (Cartonis) e le Volpi Morte (Vulpem
Mortuam) quali zone di confine. Ancor oggi le Volpi Morte, in dialetto "le Urbi Morte", e la Bocca di Teva, zona di confine fra il Lazio e l'Abruzzo,
sono termini di uso comune per indicare alcuni territori vicini a S.Anatolia.
1143-1268: Dominazione Normanna e Sveva
Nel 1143, con la creazione del regno delle due Sicilie, la nostra zona con tutto il Cicolano passò sotto la dominazione dei Normanni.
Nel 1153 papa Anastasio IV, confermando al vescovo reatino tutti i possedimenti della sua diocesi, nominò per la prima volta l'antichissimo villaggio
ora semi abbandonato di Cartore, Plebem Sancti Laurentii, et Sancti Leopardi in Cartoro (13), la parrocchia (Plebem) di Sancti Stephani in Clavano
(Santo Stefano di Corvaro) e i monasteri di ... sancti Mauri supra Castilione de Valle de Petra (San Mauro a Castelmenardo) e di sancti Leopardi de
Colle Fegati. Nel 1182 papa Lucio III nella sua bolla pontificia, oltre alla conferma dei confini della diocesi reatina, fece anche l'elenco delle chiese,
parrocchie e monasteri, appartenenti alla stessa fra cui: (Parrocchie di) ... S.Laurentij in Cartoro, S.Mariae in Cornio, S.Martini in ... [Turano],
S.Stephani in Clavano - (Monasteri di) ... S.Leonardi in Selva, S.Anatoliae in Vilano, S.Leopardi et S.Anastasiae in Collefecati ... (14).
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Vilano era quindi il nome più antico del territorio ove si adagiava il Santuario "Monastero" antico di S.Anatolia nella
valle Cantu Riu mentre Cartoro o Cartore, termine rimasto invariato nel tempo, era il paese principale visto che nel suo
territorio si trovava la parrocchia principale di S. Lorenzo. Il villaggio di Frontino, con la parrocchia di S. Stefano in
Clavano, dominava il territorio di Corvaro dove era già stata costruita una prima rocca, mentre Cartore, con la
parrocchia di San Lorenzo e con i monasteri di S. Leonardo in Selva e di S. Anatolia in Vilano, predominava
sull'odierno territorio di S.Anatolia. A Torano, dove già si ergeva la rocca, il Castrum, era già nata la parrocchia di S.
Martino e a Collefegato si ergevano i due monasteri di S. Anastasia e di S. Leopardo.
Collefegato (Collem Fecatum), Castel Menardo (Castellum Mannardi) e Spedino (Dispendium) già nel 1183 possedevano un castello e difatti il re di
Napoli Guglielmo II normanno detto il Buono, nell'elenco dei baroni fatto in quell'anno in occasione di una delle Crociate per Gerusalemme, elencò i
primi due come proprietà del barone Gentile Vetulo (15), il terzo come proprietà del conte Ruggero di Alba (16). Nel territorio del Cicolano Gentilis
Vetulus doveva fornire al Re di Napoli, per la spedizione in Terra Santa da lui progettata, i seguenti soldati (militis):
quattro soldati dal feudo di Castrum Pescli, due da Barim, uno da Macclatemonem, uno da Castellionem, uno da Roccam Melitum, uno da Castellum
Mannardi, uno da Collem Fecatum, tre da Sanctum Johannem de Lapidio e uno da Roccam Randisi.
Nel territorio dei Marsi Rogerius, conte (comes) di Albe, doveva invece fornire:
sette soldati dal feudo di Albe, uno da Castellum Novum, tre da Paternum, cinque da Petram Aquarum, 6 da Tresacco e Luco, uno da Capranicum, due
da Pesclum Canalem, sei dal feudo di Carcerem e Podio Sancti Biasii, e uno e dimidii da Dispendium.
Il feudo di Moranum, allora di proprietà di Taynus de Ponte, doveva fornire tre soldati.
Fra la fine del secolo XII e l'inizio del XIII si verificò nelle nostre zone come anche altrove, il fenomeno dell'incastellamento per il quale i centri o
castelli minori si univano, soprattutto per difesa, ai castelli di maggiore importanza. Antonio Ludovico Antinori nei suoi Annali" così si esprime:
...si erano cominciate a fare le incastellazioni. Si chiamavano così le unioni de' Castelli più piccioli alle Città vicine, o ai Castelli più grandi, e
confinanti; acciocchè gli abitatori vivessero con maggior sicurezza, e commodo. Era una specie di ascrizione del Castello minore all'agro, o territorio
del Castello maggiore, e più ricco. In vigore di essa gli incastellati entravano a parte di tutti i commodi, utili, e pesi, che solevano avere gli altri
Castelli della ... terra incastellante, tanto in tempo di pace, quanto di guerra. Per conseguenza, come se fosse l'istesso campo venivano ad avere
comuni, e promiscue le leggi, e gli statuti sull'annona, i pesi e le misure, i Mercati, gli opportuni sussidj, e tal genere di altre cose. Aveva l'aspetto
d'una pubblica confederazione ... L'unione liberamente contratta, concorrendo poi giuste cause, liberamente si poteva disciogliere. (17)
I territori di Cartore e di Vilano non vennero nominati nel Catalogo dei baroni poichè essendo di secondaria importanza rientravano, insieme ai territori
di Rosciolo, Magliano e Torano, nella giurisdizione del castello più vicino di Carcerem in Marsi che a sua volta dipendeva dalla contea di Albe mentre
il territorio di Clivano con la rocca del Corvaro dipendevano probabilmente dai feudi più importanti di Roccam Melitum (odierna Valle di Malito) o di
Collem Fecatum.
Il Monte Carce, situato fra Magliano de' Marsi e Rosciolo, si innalza a circa m. 1.000 d'altezza s.l.m. e visto da Magliano è a forma di cono. Nel punto
più alto c'è una piccola pianura rettangolare sopra la quale ancora oggi si intravedono i resti delle fondamenta di una fortezza, un'antica oppidum preRoberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 26/79
romana, che poi nel medioevo venne trasformata nel castello di Carcerem. Questo, nominato in altri documenti medioevali col nome di Castiri, Cartio,
Carchium, Carchio, Carchi e Carci, era già nel X sec. d.C. un castello di primaria importanza per la sua posizione strategica, tanto importante che il 4
settembre del 970 l'imperatore Ottone I di Germania vi tenne un placito. Esso venne descritto dall'Antinori in questo modo:
... quello che poi si disse Carce nei Marsi era feudo del conte Roggiero d'Albe, incastellato a forma di rocca nell'estrema vetta del monte, interposto
alla valle, onde si passa a Cicoli, e donde scorrendo il fiume Anio scende verso gli Equi. Avendo quella cima una forma ovale, il castello veniva
compitamente d'ogni intorno cinto di mura. Vi si ascendeva per aspro, ed insolito cammino, nè per altra via, che pel giogo, e via così stretta, che
appena vi possono andare tre insieme di lato. Sulle prime era l'ingresso del Castello per una sola porta, ma poi renduto Fortelizio, ne ebbe munite due
di vallo ... (18)
Sopra la Val di Fua (in dialetto "Fiui") a circa m.1.400 s.l.m. fra le montagne della Duchessa sopra il villaggio di Cartore, esiste una grotta con antichi
ruderi di marmi e muraglie. La grotta non ha vie di accesso facili e la mancanza di sentieri e gli strapiombi rendono la ricerca molto difficile anche per i
visitatori più esperti; eppure in quel posto, sconosciuto dalle carte ufficiali, si trovava anticamente un monastero.
Il Monastero di S. Leonardo in Cartore, apparso per la prima volta nella bolla del 1153
e in seguito detto di S. Leonardo in Selva nel 1182, apparteneva ai monaci benedettini
e precisamente ai monaci del monastero di S. Paolo di Roma. Infatti nel 1218 il papa
Onorio III, confermando tutti i beni del suddetto monastero, recitava:
Sanctum Leonardum supra in Cartore cum cellulis, villis
et molis, et alii pertinentiis (19)
La chiesa di S. Anatolia de Turano nell'anno 706 era stata donata da Foroaldo duca di Spoleto ai monaci benedettini di S. Maria di Farfa. Anticamente
esisteva nei pressi di Cartore un altro monastero molto importante denominato S. Maria in valle Porclaneta al quale nel 1048 fu donato il castello di
Rosciolo da Berardo conte de' Marsi (20). Nel 1084 il monastero assieme al castello furono donati sempre dal conte Berardo a Desiderio abate di
Monte Cassino (21) e da quel momento la giurisdizione passò a quest'ultima abbazia. Fu in questo periodo probabilmente che la chiesa di S. Anatolia
di Vilano, divenuta nel frattempo un monastero benedettino come dimostra la bolla del 1182, insieme alla chiesa di S. Lorenzo in Cartore, passarono
sotto la giurisdizione del monastero di S. Maria in Valle Porclaneta.
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Infatti, nel 1250 in un registro delle rendite di tale chiesa, il suo preposto esigeva, dai preposti e rettori delle chiese di S. Lorenzo e di S.Anatolia, che,
nei giorni festivi di quei santi, si preparassero dei pranzi per sè e per i suoi chierici (22).
Il 13 dicembre dell'anno 1240 papa Gregorio IX delegò come Commissari Pontifici don Maccabeo abate di Torano insieme a frà Pietro dè minori
conventuali per prendere informazioni sulla vita e sui miracoli del monaco certosino Oddone venerato a Tagliacozzo qual beato (23).
1268-1280: Distruzione di Cartore e invasione degli Zingari
Nel 1268 le truppe di Corradino di Svevia, nei movimenti di avvicinamento precedenti alla battaglia contro Carlo D'Angiò, passarono per le nostre
zone e ... trovata troppo angusta ed impraticabile la strada che porta a Tagliacozzo, essendo fra dirupi si stretta che appena vi poteano capire due
persone se mai s'incontravano una in faccia all'altra, prese il cammino a sinistra, e avviandosi per la valle di Uppa o Luppa spuntò a Tecle, detto poi
bocca di Tecce, luogo fra colli e valli al di qua di Turano e di S.Anatolia e al di là di Rosciolo: scese quindi al piano senza contrasto, si diresse a
Scurcola... (24)
Le genti di Cartore al passaggio di Corradino per la loro terra, lo accolsero con gioia e, alleandosi a lui, gli diedero manforte alimentando il suo esercito
già numeroso. Purtroppo a Scurcola, nei piani Palentini, Corradino perse la sua più importante battaglia e ciò ebbe grandi ripercussioni sia per la storia
italiana, sia per i molti suoi piccoli alleati.
Chiedendo ad alcune persone anziane del paese se sapevano di come fosse stata distrutta l'antica città di Tora ho scoperto fortuitamente una leggenda
che ha dell'incredibile poichè tramandata oralmente per ben sette secoli; Giovanni Sgrillletti infatti, anziano signore di Sant'Anatolia, mi raccontò:
circa 700 anni fa' c'erano due imperatori in guerra, uno di nome Corradini ed l'altro di nome Carlo d'Escia, con le loro battaglie avvenne la
distruzione di Tora. I cittadini fuggirono nei paesi vicini e pochi rimasero fra i resti della città. Dopo alcuni anni, sui resti di tora si era formata una
folta vegetazione, giunsero alcune carovane di zingari che, vistosi scacciate da tutti gli altri paesi e trovata l'acqua fra i resti della città, vi si
accamparono. Qui dovettero litigare con la gente del luogo ma infine si stabilirono pacificamente e costruirono delle case nel posto ora chiamato
"Case Vecchie". Così iniziò a sorgere il paese.
E' chiaro che il villaggio distrutto da Corradino di Svevia (Corradini) e Carlo d'Angiò (Carlo d'Escia) fosse quello di Cartore, detto in alcuni documenti
Cartora, mentre il termine Città di Tora è sicuramente un'influenza posteriore. Infatti, verso la metà del '700, vennero pubblicati i primi libri di storia
locale quali "La Storia de' Marsi" del Febonio, "La Reggia Marsicana" del Corsignani e, in particolare, le "Memorie di S. Barbara" del Marini che, con
molta puntigliosità, asserivano che l'antica città romana di Tora si trovasse sepolta nelle nostre contrade. Nel nostro villaggio passavano con molta
frequenza vescovi e pellegrini che, avendo letto quei libri, li riportavano ai nostri parroci o ai nostri cittadini più istruiti i quali poi, parlandone con il
popolo, ne influenzavano la memoria storica. Comunque, in nessun documento e in nessun libro di storia locale, risulta la notizia della distruzione di
Cartore e ciò mi sembra una buona garanzia per dimostrare che il racconto di Giovanni Sgrilletti è genuino e sicuramente, perlomeno in generale, non
influenzato.
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Dopo aver ascoltato questo racconto, in un primo momento pensai che esso fosse frutto di pura fantasia, poichè non riuscivo a trovare dei documenti
che avessero una qualche connessione con gli Imperatori Corradini e Carlo d'Escia e la distruzione dell'antica città romana di "Tora"; in seguito,
intuendo la possibilità dell'influenza e quindi della trasformazione del termine di Cartore in Tora, e incappando in alcuni brani di libri e documenti che
parlavano dei dintorni di S. Anatolia fra il 1250 e il 1300, ebbi finalmente la prova inconfutabile che il racconto era vero e che esso si riferiva
veramente al villaggio di Cartore.
Domenico Lugini, storico del Cicolano, nel 1907 nelle sue "Memorie", parlando della famiglia Mareri del Cicolano, scriveva:
Il Re Carlo, dopo la riportata vittoria, si diede a perseguitare e a castigar tutti coloro che erano stati del partito di Corradino, e furono moltissimi
quelli che perirono per tale cagione (25)
poi, sempre lui, parlando della fine di Alba Fucense e basandosi sulla testimonianza di Boezio di Rainaldo, detto anche Buccio Ranallo, scriveva:
Alba Fucense fu fatta devastare da Carlo nel 1268 dopo esser rimasto vincitore di Corradino sia perchè in essa si erano fortificati i Ghibellini, che
favorivano il partito Svevo, e sia perchè gli Albensi avevano acclamato Corradino che, nel primo scontro, era rimasto vincitore degli Angioini (26)
Giovanni Pagani, storico Avezzanese, nel 1979, parlando del santuario di "Pietraquaria" nella Marsica scriveva:
Quale feudo del conte d'Albe, che apertamente era dalla parte di Corradino di Svevia, non mancò di sostenere il suo signore Ghibellino: non dovrebbe
quindi esservi dubbio che l'ira vendicativa di Carlo d'Angiò si abbattè inflessibile su Pietraquaria: lo lascia credere, sopra ogni altra cosa, la terribile
devastazione di Albe medesima, avvenuta ad opera degli Angioini subito dopo la battaglia di Tagliacozzo. (27)
Paolo Fiorani nel suo volume "Una Città Romana - Magliano de' Marsi" scriveva:
Carlo d'Angiò ... non pago del successo ottenuto, fece seviziare i superstiti prigionieri svevi, mentre i soldati francesi si davano a saccheggiare i paesi
limitrofi. Si dice che da essi fu persino distrutto il convento dei benedettini in Valle Porclaneta, sopra Rosciolo. (28)
Dopo la battaglia di Tagliacozzo quindi, fra Corradino di Svevia e Carlo D'Angiò di Francia, anche il villaggio di Cartore, schieratosi a favore di
Corradino, venne distrutto da Carlo verso l'anno 1268 (29).
Da alcuni anni era stata costruita dagli abitanti di Cartore e di Vilano una torre di avvistamento sul colle dominante il monastero di S. Anatolia e questa
rocca sembra che venisse denominata, per la sua funzione, Torre della guardia. Anche gli abitanti di Torano sembra che si schierassero a favore dello
Svevo e quando Carlo, dopo aver vinto a Scurcola la sua battaglia più importante, decise di sottomettere i villaggi a lui alleati, questi non si arresero
immediatamente ma gli diedero molto filo da torcere. Un racconto tramandatoci oralmente narra che:
Al tempo in cui c'erano le guerre civili e da Magliano doveva venire un esercito di centinaia di uomini a cavallo, i nostri per difendersi osservarono il
loro arrivo chi dalla Torre di Torano, chi dalla Torre di Guardia, chi da un altro punto verso Colle Pizzo Dente, e quando il nemico si avvicinò al
centro fra le tre torri, i padroni di queste ultime li circondarono e ne uccisero in molti. In quell'occasione furono uccisi anche moltissimi cavalieri e
tale ricordo rimase impresso nel nome del territorio dove avvenne la battaglia e cioè "Scannacavalli" che è una zona vicinissima a S. Anatolia. (30)
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La zona bassa vicina al Santuario di Sant'Anatolia, ed esattamente l'odierna "Case Vecchie", era in principio l'unica parte abitata della contrada di
Vilano; negli anni seguenti alla sconfitta di Corradino la trascuratezza derivata dalla guerra e un clima troppo afoso fecero sì che quella zona divenisse
rifugio di molte bestie, soprattutto serpenti.
Queste motivazioni, alimentate dal bisogno di ricostruire un villaggio appena distrutto, spinsero gli abitanti di Cartore e di Vilano a trasferirsi sul colle
alto del paese tutt'intorno alla rocca dall'aria più fresca e strategicamente più difendibile. (31).
In quel tempo, una colonia di zingari proveniente dall'Ungheria, scese in Italia e, errando nelle nostre zone, chiese asilo ai vari castelli del circondario.
Bussarono alle porte di Corvaro, di Torano e di Spedino ma non ebbero ospitalità e infine vennero dirottati verso il paese di S. Anatolia ove si
accamparono. Nessuno in quel periodo aveva voglia di altre guerre ed infatti i pochi abitanti del nuovo castello di S. Anatolia, i sopravvissuti di Cartore
e di Vilano, dopo alcune scaramucce e trovando che gli zingari erano abili cacciatori di serpenti, preferirono accordarsi; questi ultimi fecero piazza
pulita di quelle bestie, si stabilirono in quel luogo e lentamente si fusero con gli abitatori naturali (32). S.Anatolia divenne la santa degli Zingari, " la
Madonna nera di Sant'Anatolia", o già lo era, ed infatti attualmente il 9 e 10 luglio a Gerano, un paese vicino Subiaco, gli zingari moderni si
riuniscono a centinaia ogni anno per la festa, poichè anche lì vi è una chiesa in onore della santa. Ancor oggi i paesani limitrofi di Corvaro, Torano,
Spedino, ecc. chiamano con disprezzo gli abitanti del nostro paese: "Zingari di Sant'Anatolia" ("gli zengari"), cosa che viceversa non succede. Dopo il
1268 con la sconfitta di Corradino il villaggio di Cartore non riuscì più a risorgere e quello di Vilano o di S.Anatolia dovette attendere più di un secolo
prima di ristabilirsi.
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Note
1. Procopio di Cesarea De Bello Gotico, lib. II pag.281 in Rerum Italicarum Scriptores - Paolo Fiorani Una città romana - Magliano de' Marsi Dalle origini al medioevo pag. 127-128
2. Paolus Warnefridus De Gestis Longobardorum Lib. III cap. 7 - Giancolombino Fatteschi Memorie istorico diplomatiche riguardante la serie dei
Duchi e la topografia dei tempi di mezzo del Ducato di Spoleto parte I pag. 9-11 - Domenico Lugini Memorie storiche della regione Equicola
ora Cicolano pag. 113-114 - Paolo Fiorani Una città romana - Magliano de' Marsi - Dalle origini al medioevo pag. 129
3. Domno Berardo venerabili abbati praesbiter Adam de Cliviano fidele servitium. pro dei et Sanctae Mariae timore, Indicamus vobis ipsas terras
quas dux Faroaldus dedit Sanctae Mariae, videlicet in Cliviano et per eius vocabula, terras cultas modiorum milium quingentorum arabiles cum
manentibus XII. Usque Frontinum et usque Macclam Felicosam et usque Cripta Machelmi, ipsam tertiam partem ex omnibus rebus una cum
ecclesia Sancti Savini et ecclesia Sancti Sebastiani et ecclesia Sanctae Anatholiae de Turano. Abbas autem qui erat illis temporibus fecit
concambium cum Soldone, et dedit illi ecclesiam Sanctam Anatholiam in Sancta Maria de Loriano. Alia omnia remanserunt ad opus Sanctae
Mariae. Ibique est edificatum illud Corvarium. Ipsi vero homines qui tenent concambium mandant vobis ut veniatis quia per vos volunt retinere
vobisque servire, eo quo modo seniores tollunt omnia et vos modicum tenetis. Regesto Farfense pag.290, fol. MCCXV, V, doc. 1303 Chronicon Farfense di Gregorio di Catino Tomo II pag. 205 n. 8: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 706 d.C.
4. Regesto di Farfa T. II, n.100 - 1227 v p.215 - Lugini p.116
5. Regesto di Farfa n.218 - 201 II p.165 - Lugini p.117
6. Andrea Staffa L'assetto territoriale della Valle del Salto p.54 - in Xenia semestrale d'antichità vol. 13 p.45 e segg. anno 1987 1 semestre - tratto
da Liber Largitorius mon. Farfense doc.180 I p.124-doc.140 I p.103-doc.324 I p.179
7. ...Rara in his regionibus Castella habebantur, nec erat formido aut metus bellorum, quoniam alta pace omnes gaudebant usque ad tempora
Saracenorum... Chronicon Volturnense Lib. II - Secolo IX
8. Chronicon Casinense Lib. I cap. 33
9. Domenico Lugini Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano pag. 120-125
10.Paolo Fiorani Una città romana - Magliano de' Marsi - Dalle origini al medioevo pag. 138
11.Michele Michaeli ;Memorie storiche della città di Rieti libro II, pag. 163 - tratto dall'archivio della Diocesi di Rieti arm. IV, fasc. L, n. 6 Andrea Staffa L'assetto territoriale della Valle del Salto p.72
12.Bolla di Pasquale II a Berardo vescovo dei Marsi Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1115
13.Bolla di Anastasio IV a favore della Chiesa Reatina: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1153
14.Bolla di Lucio III determinante i confini della Diocesi Reatina: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1182
15.Catalogus Baronum: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1183
16.Catalogus Baronum: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1183
17.Giuseppe Di Girolamo La chiesa di S.Lucia in Magliano dei Marsi XVIII Bibliot. Prov. L'Aquila Vol.VIII f.584 sub anno 1230
18.Giuseppe Di Girolamo La chiesa di S.Lucia in Magliano dei Marsi pag. 11 - tratto da A. L. Antinori Annali mss. sec. XVIII Bibliot. Prov.
L'Aquila Vol. VIII f. 69 sub anno 1185
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19.Trifone B. in Archivio R. Soc. Romana di Storia Patria XXXVI - 1908 pag. 294 d. XVI
20.Il conte Berardo de' Marsi offre il castello di Rosciolo a Giovanni abate del monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta: Vedi Appendice 6 Cronologia - anno 1048
21.Il conte Berardo de' Marsi offre il monastero di S. Maria in Valle Porclaneta a Desiderio abate di Montecassino: Vedi Appendice 6 - Cronologia
- anno 1084
22.Registro delle Rendite della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1250
23.Domenico Lugini Memorie storiche pag. 145 - Antonio Ludovico Antinori Corografia... Vol. 41 lett. T.Torano
24.Battaglia di Tagliacozzo: Tommaso Brogi La Marsica pag.216
25.Lugini Memorie pag. 162
26.Lugini Memorie pag. 52 - da Boezio di Rainaldo Cose dell'Aquila stanz. 142
27.Pagani G.Pietraquaria p.21.
28.Fiorani Paolo Una città Romana - Magliano de' Marsi p.141 - Comune di Magliano de' Marsi Santa Maria in Valle Porclaneta pag.8 ... il
monastero fu distrutto ... probabilmente ... nella guerra combattuta nei Campi Palentini tra Corradino di Svevia e Carlo I d'Angiò nel 1268.
29.Vedi Appendice 2 - Racconti e tradizioni orali - Tradizioni orali
30.Vedi Appendice 2 - Racconti e tradizioni orali - Tradizioni orali
31.Vedi Appendice 2 - Racconti e tradizioni orali - Tradizioni orali
32.Vedi Appendice 2 - Racconti e tradizioni orali - Tradizioni orali
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Capitolo IV - L'età dei Castelli
I Castelli nei dintorni di Cartore dopo il 1268 - 1380: La battaglia di Torano - 1398-1418: Il Castello di S. Anatolia e le sue Chiese - La Contea di Albe
e Tagliacozzo nei secoli XV e XVI - Il Ducato di Tagliacozzo e la famiglia Colonna nel XVI secolo - I castelli di Corvaro, Collefegato, Poggiovalle,
Castelmenardo e Torano fra il XV e il XVI secolo
I Castelli nei dintorni di Cartore dopo il 1268
Torano, Corvaro, Spedino, Castelmenardo e Collefegato, forti delle loro posizioni strategiche e delle loro appetitose fortezze,
nonostante la sconfitta riuscirono subito a risorgere. Il 5 ottobre del 1273, in un diploma di Carlo d'Angiò, in cui divise l'ampio
giustiziarato di Abruzzo in due, e cioè in ultra et citra flumen Piscariae, sono ricordati nel nostro Abruzzo ulteriore: Marano,
Spedino, Collefegato, Castellum Maynardi, Corbanum, Maleto, Latuscolo, ecc. (1). Nel 1279 tutti i conti, baroni e feudatari del
Giustizierato d'Abruzzo, quasi completamente sostituiti da Carlo d'Angiò, dovettero passare la mostra dinanzi al giustiziere
Brunello in Sulmona e Penne e furono registrati.
Il 28 aprile del 1279 si presentarono: Sinibaldo de Aquilano nuovo proprietario del Corvaro che fu valutato 1 feudo (2);
Sibilia, mg. di Tommaso Ammone, per Castel Menardo, valutato 1/8 di feudo, e per Castel Maleto, valutato 2 once e 25 tareni;
Guglielmo Stacca provenzale per Collefegato e Tufo valutati 2/3 di feudo; un certo Giovannino si presentò come procuratore
di Maria di Aquino per Marano che fu valutato 1/2 feudo; il 10 maggio Stefano Colonna mandò come suo vicario Giovanni da
Poggiovalle per i feudi che possedeva nel Cicolano, fra i quali Poggiovalle (3).
Carlo d'Angiò morì il 5 maggio del 1309 e gli successe nel regno il figlio Roberto il quale nei suoi registri dell'anno 1316 rammentò vari castelli del
Cicolano. In quel tempo Corvaro e Spedino erano posseduti dalla contessa di Albe e Torano, con altri beni feudali posti nei confini con gli Abruzzi, era
posseduto da Amelio di Corvaro ma faceva parte delle terre della contessa di Albe. Nel 1319 era signore del Corvaro, Gentile di Amiterno (4). Nel
1324 Ugo Stacca di Collefegato vendette a Raimondo di Catania il suo castello di Poggiovalle, ed il re vi prestò il suo assenso (5). Nel 1325 Roberto
Orsini era Conte di Alba (6). Nel 1338 Collefegato "tranquillo castello di campagna" era di proprietà di un certo Fidanza (7)
Il 19 gennaio del 1343 morì il re Roberto d'Angiò e gli successe la nipote Giovanna moglie di Andrea il fratello di Lodovico re d'Ungheria. La sorella
di lei, Maria, ebbe dal suo avo paterno la contea di Albe dei Marsi con molti altri feudi in altri luoghi (8). Il 20 maggio 1366 quest'ultima morì e la
contea di Albe tornò al regio demanio (9). Il 30 settembre 1371 Giuntarello di Poppleto era il signore dei castelli di Corvaro, Collefegato e
Poggiovalle e alcuni anni dopo questi furono ereditati da Antonio suo figlio (10).
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1380: La battaglia di Torano
Il 1378 fu l'anno del grande scisma d'occidente nel quale furono eletti contemporaneamente due pontefici, Urbano VI dai
vescovi romani e Clemente VII dai francesi. La regina Giovanna prese le parti del pontefice Clemente VII mentre Carlo II di
Durazzo, discendente degli Angioini e aspirante al trono del regno, parteggiò per Urbano.
A quel punto anche l'Abruzzo come l'Italia si spaccò in due. L'Aquila parteggiò per la regina Giovanna e quindi per il papa
Clemente mentre il nostro Cicolano per il papa Urbano. Questa situazione provocò vari scontri fra cui una battaglia per noi
molto importante perchè combattuta nei pressi di Torano.
In quel tempo vi erano due grandi famiglie a L'Aquila, i Camponeschi ed i Pretatti, che, per vecchie inimicizie e rancori,
cercavano sempre la scusa per poter andare in guerra. Lo scisma fu preso al balzo e quando la famiglia Pretatti, capitanata da
Francescantonio, si mise dalla parte di Carlo di Durazzo quella dei Camponeschi, capitanata da Antonio, si mise dalla parte
opposta. Francescantonio detto Ceccantonio era figlio di Nicolò e di Pasqua di Poppleto ed era cugino di Antonuccio da
Giunta, signore di Corvaro, Collefegato e Poggiovalle. Dopo una sconfitta avvenuta a L'Aquila nel novembre del 1378 in una
battaglia contro Antonio Camponeschi, Ceccantonio si riparò nel castello di Poggiovalle e da lì a più riprese tentò di riconquistare i suoi feudi Aquilani.
In una delle sue scorrerie mise a fuoco le terre di Pendenza e di Rascino; assalì Antrodoco per prenderne la rocca ma fu respinto; s'impadronì della
rocca di Pelino, vicina all'Aquila; il 22 settembre del 1379 entrò nel territorio di Amiterno scorrendo fino a Pile e facendo danni e rovine; si accampò a
S. Vittorino, a Preturo e a Civita Tomassa, ma poi trovata una forte resistenza dovette uscire, dirigendosi a Leonessa, dal regno di Sicilia.
Gli Aquilani, sdegnati da tali assalti, riunirono un esercito e andarono contro il castello di Corvaro dove fecero molte prede e
prigionieri. La vedova di Giuntarello, signora del Corvaro, riunì un altro esercito e ricambiò l'offesa facendo prede e
prigionieri a Tornimparte. Questi fatti scatenarono una reazione per cui gli Aquilani ripeterono più volte le scorrerie contro i
Corvaresi e, chi più ne pagò, fu la valle di Maleto che rimase molto danneggiata. Ceccantonio, chiamato in aiuto dai
Corvaresi, irruppe nel contado aquilano e, giunto in una villa a Tornimparte, vi predò e uccise alcune persone. Nel gennaio del
1381 Ceccantonio si impadronì della roccaforte di S. Donato al centro del territorio aquilano e ciò creò una situazione
talmente difficile per gli aquilani che anche la potente famiglia Orsini per paura si mise contro di lui.
Nel giugno dello stesso anno l'esercito aquilano, capitanato da Antonio Camponeschi, partì alla volta di Torano e, accampatosi
in quel castello, si diede a fare scorrerie nei luoghi vicini e ad assaltare frequentemente i castelli di Corvaro, Collefegato e
Poggiovalle. Rinaldo Orsini invece si diresse nel suo castello di Tagliacozzo a radunare gente per dare manforte al
Camponeschi.
Ceccantonio, infastidito da tali scorrerie, dopo aver radunato un piccolo esercito a Poggiovalle, il 15 luglio si presentò a Torano e, dopo aver ordinato le
sue schiere ed assegnati i posti ai fanti ed ai cavalieri, si mise a provocare il Camponeschi che accettò la sfida e, uscito dal castello, iniziò la battaglia.
Alcune ore dopo Ceccantonio stava decisamente vincendo la battaglia quando arrivò in soccorso degli aquilani un rinforzo mandato da Rinaldo Orsini
condotto da Gianni di Lello. A quel punto le sorti della battaglia si capovolsero e, dopo poco tempo, l'esercito del Pretatti cominciò a piegare.
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Stanchi del lungo combattimento, molti dei suoi uomini fuggirono nei castelli vicini. Ceccantonio invece, infuriatosi ancor più dall'evidente disfatta,
continuò a combattere ma, alla fine, caduto da cavallo, venne fatto prigioniero. Il seguito fu molto tragico per Ceccantonio che, dopo lunghe trattative
non andate in porto fra gli aquilani, l'Orsini e Pasqua, la madre del Pretatti, il 16 agosto del 1381 fu condannato a morte per taglio della testa (11)
1398-1418: Il Castello di S. Anatolia e le sue Chiese
Nel 1398, nel villaggio abbandonato di Cartore, esisteva ancora la parrocchiale di San Laurento de Cartola, il
monastero di S.Leonardus et S. Nicolaus, dipendenti dal monastero di San Paolo di Roma, la chiesa di S. Sebastiano
alle falde della Duchessa, la chiesa del S.Sepulcro vicino Castiglione a Bocca di Teve e l'eremo di S. Costantio a Val di
Teve. In quel tempo la chiesa di S.Anatholia dipendeva in parte dai benedettini, ma questa volta dai monaci del
Monasterio S. Salvatoris vicino a Rieti. Nelle sue vicinanze sorgeva la chiesetta rurale di S. Maria de Collis (12).
130 anni dopo la battaglia di Corradino la popolazione di Cartore, assimilata a quella degli zingari, si era pian piano
spostata vicino alla rocca sul colle della contrada di Vilano. Il termine Vilano con il passar del tempo andò in disuso e
già ai primi del ‘400 venne definitivamente sostituito con quello della chiesa più vicina, ormai la principale, di
"Sant'Anatolia". 150 anni dopo la battaglia di Corradino nacque ufficialmente il Castello di Sant'Anatolia che, in un documento di tal data (ottobre
1418), veniva nominato quale castello della Contea di Alba (13).
Nel 1366, morta Maria, sorella della regina Giovanna, la contea era tornata al regio demanio. Un documento datato 6
ottobre 1372 nomina Giovanna col titolo di duchessa di Albe ed è probabile che da lei i nostri monti presero il nome di
Montagne della Duchessa (14). Verso l'anno 1390 il re di Napoli Luigi II d'Angiò investì Luigi di Savoia, figlio di
Filippo conte di Piemonte, della Contea di Alba ma già nel 1393 il regno passò nelle mani di Ladislao e la contea tornò
al regio demanio.
Nel 1418 la regina Giovanna II, per gratificarsi il pontefice Martino V, investì suo fratello Lorenzo Colonna della
contea di Albe de' Marsi (15). In quel tempo facevano parte della nostra contea i seguenti castelli: Alba, S. Anatolia,
Rissolo, Luco, Magliano, Castronovo prope Albam, Cappella, Aveczano, Transaquis, Capistrello, Pescocanali, Canistro, Meta, Civitella, Rendinara,
Castronovo de Vallibus, Roccadevivo, et Civitantine. Lorenzo, marito di Sveva Caetani, Conte d'Albe e Gran Camerario del Regno di Napoli, fu il
primo Colonnese ad essere investito della nostra contea e la mantenne fino al 1423 anno in cui, a causa di un incendio, morì. I suoi titoli e tutti i feudi
che gli erano appartenuti furono confermati dalla Regina Giovanna II ai suoi figli Antonio (16) e Odoardo (17).
La Contea di Albe e Tagliacozzo nei secoli XV e XVI
Nel febbraio del 1427, il pontefice Martino V, per prevenire delle liti, divise l'eredità in due parti e la contea d'Albe passò ad Odoardo Colonna gestita
dalla madre poichè quest'ultimo era d'età minore. In quel tempo il contado era così composto:
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Celanum, Piscinam, Canullum, Collum Cerchium, Agellum, S.Petitum, Ovindellum, Roveram, S. Ionam, Paternum, Gallianum, castrum Vetus,
Castrum Deceri, Scinarium, Vendelum, Ortrechiam, Resignam, Archium, Speronasinum, S.Sebastianum, e Capistranum de provincia Aprutij Citra
flumen Piscariae. Baroniam Caropelle, Castrum Vetus, S.Stephanum, Calanu, Roccam Calani. Licium, Ioyam de provincia Apruty ultra flumen
Piscariae, Vasalanum, portam, e serram de provincia terrae Laboris, nen non, e Comitatum Albae, e usque terras castra loca, e fortellitia subscriptas,
videlicet Albam, Sanctam Anastasiam, Risolum, Civitellam, Rendenariam, Castrum Novum de Vallibus, Roccamdenino, e Civitatem Anturae de dicta
provincia Aprutiy ultra
Il 21 febbraio del 1432 la regina Giovanna II confermò a Odoardo Colonna il Ducato di Marsi & Albe e Celano con una quantità di terre nell'Apruzzi
Citrae e Ultra. Sotto il nome di Contea di Celano fu compresa anche la contea di Albe, poichè si legge nel diploma che il ducato e la contea formavano
44 terre e castelli dei quali si menzionarono soltanto: Albe, Avezzano, Capistrello, Castelnuovo della valle, Celano, Civitella, Luco, Sant'Anatolia e
Trasacco. Ora Albe, Avezzano, Civitella, Luco, Sant'Anatolia e Trasacco facevano parte della Contea di Albe (18)
S.Anatolia Fontanile in pietra quattrocentesco
Nel 1436 la contea di Alba passò sotto il dominio di Giacomo Caldora che morì il 25 novembre del 1439 e gli successe il figlio Antonio il quale la
tenne fino al 1441, anno in cui ne fu spogliato da Giovanni Orsini (19). Fra il 1435 e il 1441 ci furono delle grandi lotte per la successione al regno di
Napoli fra Renato d'Angiò ed Alfonso V d'Aragona (1385-1458). Nel 1441, dopo la lunga contesa, Alfonso d'Aragona detto il magnanimo, figlio
adottivo della regina Giovanna II, morta nel 1435, divenne re di Napoli e, nonostante che l'Orsini fosse stato a lui nemico, gli confermò tutti i suoi
domini fra cui le contee di Alba e di Tagliacozzo.
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Nel 1445 fu imposta a tutti i feudatari una tassa sulle terre demaniali che essi possedevano nel regno di Napoli. In quel tempo gli Orsini possedevano
nelle nostre contee i seguenti territori:
Auricola, Rocca de Bucchi, Collefecato, Castrum Mainardi, Teraco, Spidinum, Tagliacotium, Circum Collum, Petra de Venula, Cappadocium, Rocca
de Cerro, Alto, Sancta Maria, Castrum Vetus, Scanzanum, Sanctus Donatus, Podium Filippi, Castellum Paleaiae, Maranum, Scolcura, Collis de
Luppa, Colle, Barrochia, Piccetum, Albae, Cappella, Tarascum, Patuvium, Corvara, cum Magliano, Sancta Natolia, Succem, Avezzanum, Canistrum,
La Meta, Civitas Antoia, Civitella, Castrum Caroli, Castrum de Flumine, Cose, Rocca de Supra, Girgutum, Rocca Randisiu, Podum Sancti Ioannis,
Radicaria, Turris de Taglia, Capradosso (20)
Nel 1456 morì Giovanni Antonio Orsini senza eredi e le contee tornarono per tre anni al regio demanio; in questo intervallo i popoli non obbedivano al
feudatario ma erano direttamente sottomessi al comando del Re (21). Nel 1458 morì Alfonso e gli successe nel regno di Napoli Ferdinando I d'Aragona
(1431-1494). Nel 1461 il re Ferdinando investì i due fratelli Roberto e Napoleone Orsini delle contee di Alba e Tagliacozzo ma, quando questi
morirono, rispettivamente nel 1470 e nel 1480, il re ne riprese il possesso e cedette quella di Alba a Prospero Colonna in cambio di 20.000 ducati. La
contea di Tagliacozzo fu ereditata da Virginio figlio di Napoleone il quale, poichè quella di Alba era stata ceduta al Colonna, si inquietò moltissimo
tanto da giungere a schierarsi apertamente contro il re Ferdinando; per questo motivo fu dichiarato ribelle e gli furono confiscati tutti i feudi. Fra le due
potentissime famiglie si accese un odio furibondo che portò a sanguinose battaglie per fermare le quali dovette intervenire il pontefice e lo stesso re che
mediarono restituendo nel 1484 la contea d'Albe all'Orsini (22)
Nel 1485 la contea di Albe si ribellò all'Orsini alzando l'arma Colonnese e, il 5 gennaio 1486, Fabrizio Colonna, con esclusione della rocca del Corvaro
(23), ne riprese il possesso in nome della chiesa. Contro di lui marciò Virginio Orsini il quale, appoggiato dal duca di Calabria Alfonso, riprese il
possesso della contea (24). Nel 1494 a Ferdinando successe nel regno di Napoli il figlio Alfonso II d'Aragona (1448-1495) ed a lui nel 1495 successe
Ferdinando II (1467-1496) detto il cattolico. Fra le famiglie Orsini e Colonna l'odio si riaccese e, quando Carlo VIII di Francia nel 1494 scese in Italia
e conquistò il regno di Napoli, a Virginio Orsini, dichiaratosi apertamente in suo favore, vennero riconfermate le due contee (25).
Il Ducato di Tagliacozzo e la famiglia Colonna nel XVI secolo
L'Aragonese in quel tempo fu costretto a fuggire dal regno ed a rifugiarsi in Sicilia; in seguito Fabrizio con altri colonnesi, a loro spese, assoldarono
genti per la sua difesa. L'anno dopo (1495) Ferdinando, scacciato Carlo VIII, ritornò sul trono e, per ringraziarlo dei servizi resi, donò a Fabrizio
Colonna fra l'altro le contee di Alba e Tagliacozzo (26). Ferdinando II non ebbe la possibilità di spedirgli il privilegio di tale donazione perchè
prevenuto dalla morte (1496). Fu quindi il re Federico II (1451-1504), fratello di Ferdinando I e suo successore nel regno di Napoli, che, dopo aver
dichiarato ribelle Virginio Orsini, condannandolo a morte, nel 1497 emise a favore di Fabrizio Colonna i due diplomi con i quali gli confermò la contea
di Albe, di Tagliacozzo e la Baronia di Civitella Roveto. In quel tempo facevano parte delle suddette contee i seguenti castelli e villaggi:
Taleacozzi, Alba, Cellanum, Criculae, Roccam de Brato, Perisi, Collis Intermontis, Rochiae de Cerro, Verrechiae, Capadotis, Petrellae, Paleanis,
Castelli de Flumine, Curcumelli, Caesae, Scurculae, Pody, S. Donati, Scanzani, S. Mariae, Castelli Veteris, Marani, Terani, Tusely, Speriandidi,
Corvary, Castelli Manandi, S. Anatoliae, Ricciolo, Magliani, Paterni, Avellani, Luci, Trasacchi, Caressi, Civite Dantinae e Cappellae
Tutte queste terre presero il nome di Stato o Ducea di Tagliacozzo da cui i duchi di Tagliacozzo o de' Marsi (27).
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Fabrizio Colonna (n.1460), gran contestabile del Regno di Napoli, poi comandante degli eserciti di Giulio II, primo duca di Tagliacozzo, morì in
Aversa nel marzo del 1520. Egli aveva avuti dalla moglie Agnese di Montefeltro, figlia del duca d'Urbino, quattro figli dei quali gli era sopravvissuto il
solo Ascanio che ereditò l'intero suo patrimonio.
Nel 1500 un morbo epidemico e contagioso, del quale s'ignora il nome, infierì per ogni dove senza risparmiare le nostre contrade; ribelle ad ogni
rimedio mieteva centinaia di vittime e la cosa più terribile fu che i medici, il parroco e gli assistenti non potevano avvicinarsi senza il certo pericolo di
contrarre la malattia. Per questo gli alimenti, i farmaci e gli stessi conforti religiosi si apprestavano agli infelici per mezzo di una canna per mantenere
la distanza (28).
Ascanio, nato a Roma circa nel 1485, sposò Giovanna di Aragona, figlia del duca di Montalto (1500-1577) e fu duca di Tagliacozzo, dei Marsi e di
Palliano e gran contestabile del regno di Napoli. Egli, uomo d'arma, partecipò al sacco di Roma costringendo Clemente VII a rifugiarsi a Castel S.
Angelo. Morì nel 1557 lasciando la moglie vedova col figlio erede Marcantonio. Marcantonio I Colonna nacque a Civita Lavinia nel 1535 ed ereditò i
titoli del padre; Marcantonio, Principe di Palliano e duca di Tagliacozzo, ammiraglio, sposò Felice Ursina della casa dei duchi di Bracciano, fu capitano
generale dal 1570 della flotta pontificia contro i Turchi ed ebbe massima parte nell'impresa e nella vittoria di Lepanto (1571).
Nel 1577 fu nominato da Filippo II vicerè di Sicilia. Recatosi in Spagna dietro invito vi morì forse avvelenato. Alla sua morte, avvenuta il 2 agosto del
1584, gli successe nei numerosi feudi il nipote Marcantonio II (n.ca.1560), figlio del suo primogenito Federico, ma che morì giovanissimo il 1
novembre 1595.
I castelli di Corvaro, Collefegato, Poggiovalle, Castelmenardo e Torano fra il XV e il XVI secolo
Verso il 1393 il Regno era passato sotto il dominio di Ladislao figlio di Carlo di Durazzo che costituì verso l'anno 1400 la Contea del Corvaro che
comprendeva i castelli di Corvaro, di Collefegato, di Poggiovalle, di Castelmenardo, di parte del castello di Monte Odorisio, delle ville di Castiglione e
di Valle Maleto e di altri feudi nella provincia dell'Aquila.
Il primo feudatario investito di tale contea fu Bonomo di Poppleto, forse fratello di Antoniuccio di Giunta, a cui successe il figlio Piero. Questo ebbe
due figli: Gionata e Paola; Gionata morì senza prole e Paola divenne quindi contessa del Corvaro e ne ebbe l'investitura dalla regina Giovanna II nel
1434. Paola di Poppleto sposò Francesco Mareri, appartenente ad una potentissima famiglia del Cicolano, il quale, nominato a sua volta conte del
Corvaro, ebbe da lei tre figli Filippo, Giovanni e Giulio (29).
Francesco Mareri, da Ferdinando I, con conferma poi di Federico III d'Aragona, ottenne il privilegio di poter disporre ad arbitrio dei suoi feudi fra i
suoi discendenti. Giovanni, il secondogenito, venne riconosciuto dal padre il più abile fra i suoi fratelli e, dopo il suo matrimonio avvenuto nel 1500
con la contessa Laura Cantelmi, gli furono riconosciuti in eredità la metà dei castelli di Collefegato e Poggiovalle ed altri beni. L'altra metà dei castelli
fu ereditata dal terzogenito Giulio. Alla morte di Giovanni i suoi feudi passarono al figlio Francesco e alla morte di Giulio i suoi passarono al figlio
Franciotto. Nel 1527, durante la guerra fra Francesco I re di Francia e l'imperatore Carlo V, Renzo di Ceri, a capo dell'esercito pontificio, invase
l'Abruzzo e si impadronì di Tagliacozzo e di altri luoghi.
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Francesco e Franciotto combatterono sotto le bandiere di Carlo V ma, durante una delle battaglie contro Renzo, Franciotto rimase ucciso (30). I suoi
beni furono ceduti dal vicerè di Napoli a Francesco ma questa donazione non fu valida poichè, non essendo stato avvertito l'imperatore, questi li aveva
già donati a Giovan Giorgio Cesarini. Francesco rimase quindi con la metà dei feudi che già possedeva e l'imperatore, per scusarsi dello sgarbo, gli
assegnò, quale ricompensa ai servigi resi, la somma di trecento ducati annui con la facoltà di prelevarli sui pagamenti fiscali del regno (31). Questi
decise di prelevarli su quelli delle sue terre di Collefegato e Poggiovalle e su altre terre di Raiano e di Pentarsia. Da Francesco, morto verso l'anno
1573, i feudi passarono al figlio Giovanni Antonio che ne fu investito ufficialmente l'anno 1584. L'ultimo dei Mareri, possessore di tale contea, fu
Cesare che nel 1669 venne nominato, nella situazione fiscale del regno, come feudatario dell'Adoe di Collefegato e della metà di Poggiovalle (32).
La rocca di Corvaro
Giovan Giorgio Cesarini figlio di Gabriele, gonfaloniere del popolo romano, nel 1530
era divenuto proprietario dell'altra metà dei feudi di Collefegato e Poggiovalle; nel 1533
essi furono ereditati dal figlio Giuliano, procreato da Marzia di Guido Sforza, che in
seguito, nel 1560 comprò da Lodovico Savelli la terra di Castelmenardo. La famiglia
Savelli era stata investita del feudo di Castelmenardo verso l'anno 1520 dall'imperatore
Carlo V per importanti servigi a lui resi. Da Giuliano Cesarini e dalla moglie Giulia
Colonna, nacque Gian Giorgio che nel 1565 ereditò i beni; Gian Giorgio sposò Clarice
Farnese da cui ebbe un figlio di nome Giuliano che ereditò i beni nel 1585; Giuliano
sposò Livia di Virginio Orsini duca di S. Gemini, da cui ebbe cinque figli: Alessandro,
Ferdinando, Giangiorgio, Pietro e Virginio. Giuliano morì a Roma il 14 gennaio del
1613 (33).
Nel 1520 Fabrizio Colonna aveva concesso, per importanti servizi resi, a Pietro
Caffarelli, cavaliere romano, il feudo di Torano; nel 1585 era signore dello stesso
Ascanio Caffarelli, nel 1610 Giovan Pietro Caffarelli e nel 1669 Gaspare Caffarelli. Ma
il feudo di Torano, la famiglia Caffarelli lo possedeva solo in parte, poichè nel 1533
Ferdinando Rota era possessore dei feudi di Torano, Marano, Rosciolo e Pizzicorno; nel 1546 era signore degli indicati castelli Antonio Rota che ebbe
vari figli e di essi gli successe Ferdinando che morì senza aver lasciato prole; gli successe il fratello Alfonso che morì nel 1565 anch'esso senza aver
lasciato prole e gli successe l'altro fratello Bernardino cavaliere di S. Giacomo che morì nel 1575 (34).
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 39/79
Note
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Lugini Memorie pag. 165
Lugini Memorie pag. 163
Lugini Memorie pag. 164
Lugini Memorie pag. 168-169
Lugini Memorie pag. 170
Corsignani Reggia Marsicana pag.280: Rubertus Ursinus miles Taleacotii, et Albae Comes, armorum Capitaneus in honorem S. Ioannis
Baptistae fieri fecit: anno M. CCC. VI. Septembris. VIII. Indict.
7. Lugini Memorie pag. 179 - da Cirillo Annali Aquilani lib.3
8. Lugini Memorie pag. 179 - da Buccio Rainaldi Cose dell'Aquila stanza 592
9. Lugini Memorie pag. 184 - da Ciarlanti Memorie del Sannio lib.IV, cap.25, p.401
10.Lugini Memorie pag. 185-6 - da da Matilde Oddo Bonafede Storia popolare della città dell'Aquila degli Abruzzi cap.XIII, pag.113,114,
Lanciano 1889.
11.Lugini Memorie
12.Registro delle chiese della Diocesi di Rieti del 1398: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1398
13.Archivio di Napoli Fascicoli Angioini pag.476 fol.58 Fasc.74: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1418
14.Corsignani Reggia Marsicana Tomo 1 - pag.151 : Johanna Ducissa Duratii Albae e Gravinae Comitissa Regni Albaniae et honoris Montis
Sancti Angeli Domina ... - Febonio Hist. Mars. pag.134
15.Lugini Memorie pag.192-193 e pag.243 Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1418
16.Lugini Memorie pag.243 - da Coppi Memorie Colonnesi 1 c.40: documento del 5 luglio 1424 in cui viene ricordato Antonio Colonna conte di
Albe.
17.La Regina Giovanna IIa nel 1423 conferma ad Odoardo Colonna, dopo la morte del padre Lorenzo, l'investitura di tutte le terre a lui
appartenute: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1423
18.Brogi Tommaso La Marsica pag. 263 - Tutini Camillo Discorsi de' sette offici ovvero... pag. 167
19.Lugini Memorie pag.243: Giacomo Caldora ... ebbe l'investitura nell'anno anzidetto [1436] con diploma della regina Isabella, quale vicaria di
Renato suo marito - da Tommaso Brogi La Marsica c.IX pag.265,282,283 - Antinori Raccolta di memorie storiche t.III c.2 p.25
20.All'incoronazione del Re Alfonso viene imposta una nuova tassa -colletta e vengono in questo modo riconfermati tutti i Baroni con le terre a
loro appartenute: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1445 - Lugini Memorie pag.244 - Arch. Vecchio di Napoli quint. I - Aloi Dissertaz.
Stor. sulla Badia Vittoria pag.10 - Brogi Tommaso La Marsica pag.284-285 - Corsignani P. A. Reggia Marsicana Tomo I pag. 307
21.Gattinara G. Storia di Tagliacozzo
22.Lugini Memorie pag.245 - da G. Albino De Gest. Reg. Neap. pag.279
23.Lugini Memorie pag.208-9 - da G. Albino De gest. Reg. Napol. p.89-90 -Infessura Diar. di Roma presso Muratori Rer. Ital. Script. t.XXIII,
c.1202
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 40/79
24.Lugini ;Memorie pag.212 - da G. Albino De gest.reg. Napol. p.334-5
25.Lugini Memorie pag.245 - da F. Sansovino Hist. di casa Orsina lib. 9 pag.119
26.Tutini Camillo Discorsi de' sette offic pag.182 - Domenico Lugini nelle sue Memorie a pag. 245 da una sua versione dell'accaduto
completamente divergente e la trae da Coppi Memorie Colonnesi pag.107, 109 e da Contelori Archivio Colonnese pag.232.
27.Il Re Federico II investe Fabrizio Colonna della contea di Albe e Tagliacozzo Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1497 - [Lugini Memorie
pag. 306 -Tommaso Brogi La Marsica pag. 317]
28.Gattinara Giuseppe Storia di Tagliacozzo 1894 - pag. 94
29.Lugini Memorie pag.202 - 204
30.Lugini Memorie pag.223
31.Lugini Memorie pag.224 - 225, doc. cess.ne da Franciotto a Francesco a pag.434-437 - da De Lellis p.220 e da doc. vari del Regno (arch.
dell'Aquila e di Napoli).
32.Lugini Memorie pag.225 - 228
33.Lugini Memorie pag.228 - 229 - da G. Tascagnota Nuova sit.ne di Napoli p.375
34.Lugini Memorie pag.233 - 234
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 41/79
Capitolo V - Secoli XVI - XVIII
Cartore e S.Anatolia nel Vicariato del Corvaro: Prime Visite Pastorali - Il Ducato di Tagliacozzo e del Corvaro e la Contea di Alba nel secolo XVII
Sant'Anatolia e Cartore nelle visite pastorali del '700 - Provvedimenti e decreti fatti nella Sacra Visita del 25 ag. 1783
Fra la fine del '700 e l'inizio dell'800
Cartore e S.Anatolia nel Vicariato del Corvaro: Prime Visite Pastorali
Nel 1561 il vescovo di Rieti, monsignor Osio, visitò la sua diocesi e, passando per le nostre parti, fece, come suo dovere, l'elenco delle chiese e dei
sacerdoti che esercitavano nei nostri villaggi; in quel tempo i territori della diocesi di Rieti erano stati divisi in Vicariati e nella nostra zona era stato
costituito il vicariato del Corvaro che comprendeva i paesi di Corvaro, Santo Stefano, Castelmenardo, Collefegato, Poggiovalle, Collorso, Spedino,
Latusco, Torano, Cartore, Sant'Anatolia, Grotti e Ville.
Il vecchio borgo di Cartore era ormai ridotto in luogo di nessuna importanza ma la chiesa di S. Lorenzo, detta abbazia e collegiata, era ancora retta da
un abate coadiuvato da ben tre canonici; essa era comunque ridotta, parole del vescovo Osio, in uno stato veramente miserabile. Anche il monastero di
San Leonardo era ridotto in uno stato di completo abbandono, ma ancora si conservava il culto antico per il quale i malati di dolori articolari, dopo aver
percorso con grande fatica il difficile sentiero che vi conduceva, prelevavano, nei pressi dell'altare del Santo, frammenti di minera le di ferro
proveniente dalle rocce soprastanti. In quel tempo l'eremo di S. Costanzo era amministrato da un rettore mentre la chiesa di S.Anatolia era detta
abbazia ed era amministrata da un rettore e tre canonici. (1).
Nel quinquennio 1560-65 diversi appezzamenti di S. Maria del Colle, beneficio del seminario di Rieti, tra S.Anatolia e Torano, restano sodi (incolti)
perchè, come riferisce il vicario di Corvaro, nessuno "ha voluto pigliarli in affitto, ne lavorarli et dicevano che non li possevano lavorare per non
venire in disgratia del si. Giovanni Vincenzo Valignano, quale è padrone di S. Natologlia, et dicevano chel signore predetto non voleva che li
lavorassero, ma non dicevano per che causa il signore non volesse". Nel 1565 il Valignani permetteva che se ne lavorasse una parte, a condizione però,
"che dal frutto di esse terre se ne riparasse la chesia". Per gli anni sfitti il seminario aveva perso circa 50 some di grano e fu sempre per volontà del
Valignani che restarono incolti, in quegli stessi anni, i terreni di S. Lorenzo in Cartore e di S. Maria di Brecciasecca (2).
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 42/79
Negli anni 1570-1580 erano sorti nelle nostre zone vari ospedali fra cui a Sant'Anatolia quello di San Liberatore e di San Martino; gli ospedali
venivano costruiti dai residenti per motivi di origine caritativa ed ecclesiastica e sorgevano in genere nelle immediate vicinanze di una chiesa della
quale poi prendevano il nome; molti di essi non avevano la funzione di raccogliere e curare gli infermi, ma piuttosto quella di ospitare, cioè di
accogliere, rifocillare ed alloggiare i pellegrini, i viandanti, gli accattoni ed i bisognosi.
Carta topografica dell'Abruzzo Ulteriore dell'anno 1590
Particolare della zona nei dintorni di S.Anatolia che però non viene menzionata
La chiesa di San Liberatore era sorta, per devozione del popolo di Spedino, nelle vicinanze di S. Maria di Brecciasecca. Essa passò poi alle dipendenze
dei Santesi di S. Anatolia ai quali si deve probabilmente l'iniziativa di aprirvi un ospizio. Nel 1570 la chiesa era piccola, spoglia e senza porta e ridotta
quasi "ad stabulum bestiarum"; l'ospizio era "nudum et vacuum". Il vescovo Amulio chiamò allora a rapporto i Santesi i quali si giustificarono
asserendo di non avere la avuto possibilità di riparare a tale stato di cose poichè l'ospizio non aveva nessun introito tranne i frutti molto miseri di una
vigna. Il Vescovo, non accontentandosi della giustificazione, li depose dalla carica ed ordinò ai massesi di Sant'Anatolia di sceglierne dei nuovi sia per
la cura della chiesa di Sancte Anatolie che per l'Hospitalis (3).
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Qualche anno dopo i redditi dell'ospedale assommavano a 20 giuli; davvero troppo poco per fornire, secondo i decreti di Sacra Visita, la chiesa della
suppellettile necessaria e di una porta e l'ospizio "de cubilibus et aliis necessariis". In quel tempo, nel 1582, era ospitalaro Giacomo di Giovanni di
Sant'Anatolia.
Nel 1587 a Cartore esisteva ancora la chiesa di S.Lorenzo di cui si ignoravano i sacerdoti, la chiesa di S.Nicola detta di Cartoro, il cui curato era don
Vincenzo Innocentio, l'eremo di S. Costanzo detto di S.Costantio semplice, il cui sacerdote era don Berardino Mario, il monastero di S.Leonardo detto
di S.Paulo semplice, il cui sacerdote era don Giovanni Antonio figlio del notaio Marco e la cappella di S. Sebastiano (S.Bastiano), tenuta dai frati.
A Sant'Anatolia vi era la parrocchia omonima, S.Natoglia, retta da don Vincenzo Innocentio, e tre canonici, don Berardino Mario, don Antonello di
Giovan Marino e don Antonio Di Giovan Battista; nel castello era già nata la chiesa Curata di S. Niccola il cui sacerdote era sempre don Vincenzo
Innocentio; la chiesa di S.Maria del Colle detta semplice, rurale fra i villaggi di S. Anatolia e Torano, era retta da don Bartolomeo Alberti di Bologna e
la Cappella di S.Maria era vacante. Fuori delle mura del paese erano stati costruiti due ospedali che dovevano fornire asilo e riposo ai pellegrini in
visita al nostro santuario (4).
Il Ducato di Tagliacozzo e del Corvaro e la Contea di Alba nel secolo XVII
A Marcantonio II Colonna successe il figlio neonato Marcantonio III (1595-1611) che morì nel 1611 a 16 anni promesso sposo di Eleonora Gonzaga.
Non avendo eredi diretti gli successe lo zio Filippo (1585-1639), figlio di Fabrizio, secondogenito di Marcantonio I il quale, marito di Lucrezia
Tomacella della casa di papa Bonifacio IX, ereditò dal nipote il titolo di principe di Palliano e di Tagliacozzo.
Nei primi anni del '600 Magini Giovanni Antonio, geografo bolognese, disegnò un Atlante Geografico che denominò Italia. Nel 1620 suo figlio Fabio
Magini lo pubblicò dedicandolo al "Serenissimo Ferdinando Gonzaga duca di Mantova e di Monferrato, etc.". Esso si trova ora nella biblioteca
nazionale di Roma e contiene fra le altre, una carta topografica dell'Abruzzo (Citra - Ultra) molto dettagliata, piena di nomi di paesi, cittadelle, castelli,
monti e fiumi. E tra gli altri:
S.Anatoglia, Turano, Latusci, Spendino, Risciolo, Lo Cervaro, Le Grotte,
Vellino, Collefecato, Vil. Col. Fec., C. Monardo, La Duchessa, Coll'Arso, Magliano, etc.
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Carta topografica dell'Abruzzo Citra ed Ultra del Magini nel 1620
Particolare della zona nei dintorni di S.Anatolia
Da Filippo Colonna e Lucrezia Tomacella nacque nel 1601 Federico; questi sposò Margarita Branciforte d'Austria, ed ereditò nel 1639 il titolo di duca
di Tagliacozzo, Principe di Botera e Contestabile del Regno di Napoli. Morì nel 1641 non lasciando figli.
Nel 1646 Beltrano Ottavio, storico e geografo nato in Terranova, città della Calabria, pubblicò a Napoli l'opera Breve descrizione del Regno di Napoli e
a pag. 282 e segg. nominò tutti i paesi e città di Abruzzo Ultra, con tutti i fuochi, cioè le famiglie, secondo l'ultima numerazione avvenuta circa
nell'anno 1595, e secondo il vecchio censimento avvenuto nel 1561. Fra le tante terre registrate si nominano:
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Vecchia
num.ne
1561
NUMERAZIONE DEI FUOCHI
Nuova
num.ne
1595
99
Collefecato
92
82
Castello Minardo
61
164
Corvaro
124
291
Magliano
126
53
Marano
38
26
Poio di Valle
17
141
Rosciolo
121
29
Spedino
21
130
S.Natolia
114
100
Torano
84
1115
TOTALE
798
Marcantonio IV Colonna germano di Federico nacque circa nel 1620 e sposò Isabella Gioieni Cardona; egli ereditò i feudi di Federico nel 1641 circa e
con essi i titoli di Duca di Tagliacozzo, dei Marsi e del Corvaro, e Gran Contestabile del Regno di Napoli. Lorenzo Onofrio Colonna figlio di
Marcantonio IV, nacque circa nel 1649 ed ereditò dal padre nel 1659 i seguenti titoli: Principe Romano, Duca di Tagliacozzo, de' Marsi, e Ernici, e del
Corvaio; Principe di Paliano, Sonnino, e Castiglione, marchese dell'Atessa, e di Giuliana, Conte di Rhegio, d'Albe, di Chiusa, e Manupello; Grande di
Spagna di prima classe, e Gran Contestabile del Regno di Napoli. Egli sposò Maria Mancini (1649-1715), nipote del cardinale Giulio Mazzarino, la
quale gli diede un figlio Filippo erede dei suoi beni.
Nel 1656 la peste orientale, cosiddetta perchè originaria dell'Etiopia o dell'Egitto, assalì nuovamente e con furore le contrade Marsicane e Cicolane. I
suoi sintomi erano bubboni, pustole maligne, petecchie e carboncelli su varie parti del corpo e soprattutto sui gangli linfatici. Per questa epidemia il
villaggio di Gallo, nei pressi di Marano, restò completamente deserto ed in quello di San Donato sopravvissero solo otto persone (5).
Nel 1671 Beltrano Ottavio pubblicò a Napoli un altro libro dallo stesso titolo del precedente ma rimodernato ed attualizzato; le nuove numerazioni dei
fuochi riguardano ora gli anni 1648-1669; ecco alcune delle terre in esso riportate:
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Vecchia
num.ne
1648
NUMERAZIONE DEI FUOCHI
Nuova
num.ne
1669
50
Collefecato
63
50
Castel Minardo
67
124
Corvara del Conte
53
210
Magliano
120
30
Marano
19
12
Poio de Valle
16
121
Risciolo
41
12
Spedino
13
90
S.Natoglia
43
84
Turano dell'Aquila
61
783
TOTALE
496
Dai due libri del Beltrano, e anzi dalla quattro numerazioni da lui riportate dei fuochi del Regno di Napoli, si ottiene il seguente dato statistico: nel
1561 la popolazione di S. Anatolia era di 130 famiglie cioè circa 650 persone; nel 1595 essa diminuì fino a diventare di 114 famiglie cioè circa 570
persone; nel 1656 imperversò la peste orientale e difatti troviamo che la popolazione andò ancora diminuendo: nel 1648 essa era di circa 90 famiglie
pari a circa 450 persone; nel 1669 il paese quasi scomparve riducendosi a 43 famiglie con circa 215 individui. In conclusione la peste e forse altri mali
a noi sconosciuti in un secolo, cioè circa dal 1560 al 1660, ridusse la popolazione da 650 a 215 persone pari al 60 % circa; ed in particolare, nel
ventennio 1648-1669, cioè nel periodo ufficiale della peste (1656), il paese si dimezzò passando da 450 a circa 215 individui. Anche Corvaro,
Magliano, Marano, Rosciolo, Spedino e Torano subirono la stessa sorte di S.Anatolia, mentre gli altri paesi del Cicolano e in particolare Collefegato,
Castelmenardo e Poggiovalle furono risparmiati dal terribile flagello (6).
Il 15 aprile del 1689 morì Lorenzo Onofrio Colonna a cui successe il figlio Filippo II; questi ebbe due mogli: la prima fu Lorenza di Gian Luigi della
Garda Aragona e l'altra Olimpia del principe Giovan Battista Pamphili. Filippo morì il 6 novembre del 1714 e lasciò tutti i suoi beni al figlio
primogenito Fabrizio II Colonna.
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Sant'Anatolia e Cartore nelle visite pastorali del '700
Nel 1712 il vescovo Guinigi visitò il paese di Sant'Anatolia che nel frattempo era passato sotto la giurisdizione ecclesiastica del Vicariato foraneo di
Borgo Collefegato (Vicariati Suburby Collis Fegati) (7).
Il villaggio di Sant'Anatolia, sotto il dominio dell'Eccellentissimo Contestabile Colonna, era governato dal suo capitano Franco Cimoli di Ponticelli e la
parrocchia principale era ormai divenuta quella di Sant'Anatolia col parroco sessantunenne don Giovanni Antonino della terra di Torano. Il villaggio
era popolato da 50 famiglie composte da: 98 uomini e 96 donne adulti, da comunione; 58 fanciulli e 52 fanciulle minori, che non si comunicano; e da 6
sacerdoti secolari e 2 chierici liberi. Anime in tutto 304. Vi erano quindi ben 6 sacerdoti e due chierici: don Giovanni Antonino abbate; don Giacomo
Silvy, don Leonardo Placidi e don Franco Antonio Luce canonici; don Alessio Innocenzi e don Tommaso Luce sacerdoti senza beneficio; Berardino
Luce e Vincenzo Innocenzi chierici.
Inoltre vi erano i benefici semplici che consistevano in vari terreni di proprietà delle singole chiese, chiesette rurali, cappelle o altari con i ricavi dei
quali ne beneficiava il sacerdote prescelto; dai benefici posseduti dalla parrocchia di Sant'Anatolia, consistenti in terre coltivate direttamente o date in
affitto, si ricavavano in totale "salme undici di grano in circa, et uno scudo di prata e venti, inventicinque carlini d'incerti e trentacinque carlini di
vigna". Il sacerdote, in cambio del godimento del beneficio, doveva occuparsi delle riparazioni all'interno ed all'esterno delle chiese o altari e doveva
recitare delle messe in onore del fondatore, donatore dei terreni. I benefici a Sant'Anatolia erano sei e cioè: "San Lorenzo in Cartore e S. Maria del
Colle" con le loro terre godute dal sacerdote Giacomo Silvy; il "beneficio di San Costanzo in Cartore" goduto dal chierico Cesiddio nominato da don
Franco Antonio Luce; "l'altare della Madonna del Loreto" con le sue terre godute da don Leonardo Placidi; la "cappella di San Giovanni battista", jus
patronato della famiglia Spera, goduta dall'abbate Silvy; il " beneficio di San Leonardo sul camino" che veniva goduto dal parroco don Giovanni
Antonino e che dipendeva dai monaci di San Paolo di Roma.
La chiesa parrocchiale era munita di campanile ed al suo interno aveva cinque altari cioè "il capo altare con il titolo della Natività di Nostro Signore
Gesù Cristo, la Cappella della Pietà a latere destro, e a latere sinistro la Cappella di San Sebastiano e nell'ingresso della chiesa la Cappella di Santa
Anatolia e dall'altro lato l'altare della Santa Vergine Maria di Loreto".
I morti venivano seppelliti soprattutto nella chiesa di Sant'Anatolia ma vi erano pile mortuarie anche nella chiesa di San Lorenzo a Cartore. Trovandosi
la parrocchia fuori dal centro abitato, venne costruita dai suoi abitanti, più vicina al castello e proprio nella piazza centrale del villaggio, un'altra chiesa
dedicata a San Nicola. Già in precedenza esisteva una chiesa dallo stesso nome sotto la Val di Fua a Cartore dipendente dai monaci di San Paolo di
Roma ma che, coll'abbandono di Cartore, era ridotta ormai a macerie.
La chiesa di San Nicola nel 1712 era munita del fonte battesimale, privilegio che non aveva la chiesa di Sant'Anatolia, ma in essa non vi si poteva
seppellire. In un certo senso si nasceva nella chiesa di San Nicola e si moriva in quella di Sant'Anatolia.
Nel 1712 l'abbate parroco Giovanni Antonini rispondendo al vescovo sullo stato generale della popolazione del paese scriveva:
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 48/79
"[...] In detta parrocchia non vi sono meretrici ne persone scandalose e ne vi sono bestembiatori ereticali; tutti i maritati abitano assieme; non vi sono
ne usurai ne altre persone malefiche; le feste pare che poco si osservino e l'inosservanza deriva dai lavori che si fanno: le censure e gli sbirri
sarebbero l'opportuno rimedio; la mamma [l'ostetrica] è stata esaminata et in caso di bisogno è prattica della forma del battesimo, si chiama
Margarita Fracassi e sono da otto anni che esercita; Amico di Federico e Beatrice Luce solamente non si sono comunicati fino ad ora; [...] vi è il
maestro di scuola et è di buoni costumi ma non ave fatta la professione della fede essendo scuola di semplici fanciulli e si chiama Claudio Cherubbini;
[...] non vi è medico; [...] non vi sono persone inosservanti; [...] non vi è persona alcuna che tenga libri proibiti; [...]"
Inutile commentare la chiarezza del nostro parroco.
Nel 1742 replicate scosse di terremoto colpirono la nostra zona nei giorni 4, 5 e 6 febbraio causando dei considerevoli guasti; la chiesa di San Nicola
ne risentì alquanto e la sua riparazione fu terminata nel 1749, data ancora impressa sul portale (8).
Il 24 agosto del 1783 il Vescovo Marini venne a far visita nel nostro villaggio (9). In quel tempo si erano formate due congregazione che riunivano i
sacerdoti delle varie parrocchie nel nostro Vicariato; per cui da una parte si era formata la congregazione dei sacerdoti di Collefegato, Borgo, Villa,
Santo Stefano, Castel Menardo, Colle Maggiore e Poggio di Valle e dall'altra la nostra congregazione formata dai sacerdoti di Grotte, Turano,
S.Anatolia e Spedino. Corvaro dapprima apparteneva alla nostra congregazione, poi, dato il cattivo esempio che davano alcuni sacerdoti di S.Anatolia,
si spostò nell'altra congregazione di Collefegato.
I preti che a S. Anatolia davano scandalo erano soprattutto don Urbano Innocenzi, don Arcangelo Amanzi e don Urbano Amanzi. Il primo di anni 50
era "di poco buoni costumi e ignoranza". Il secondo era "dedito al vino e dai costumi cattivi". Don Arcangelo Amanzi aveva poi dei rapporti con una
donna del paese Antonia Scafati con la quale pare che avesse avuto un figlio. Poi c'era don Urbano Amanzi che "si ubbriaca sempre e dice parole
scandalose", parola di Leonardo Pozzi testimone. Fulgenzio Peduzzi invece testimonia al vescovo che sia Urbano Amanzi che Urbano Innocenzi
"pubblicamente s'ubbriacano e strapazzano li secolari ".
Per il povero Abbate don Germano Amanzi la situazione era pesantissima; alcuni anni prima aveva perso la pazienza tanto che, in piazza San Nicola
davanti a tutto il paese, aveva dato una sonora sberla a Urbano Innocenzi che completamente ubriaco faceva scandalo. Per questo fatto il povero abbate
venne inquisito ma, avute le opportune informazioni, il vescovo decise di archiviare il caso. Infine, per la situazione così grave, il vescovo dopo aver
accusato i sacerdoti Amanzi e Innocenzi, scriveva nel suo resoconto: "Bisogna mandare la missione in questo paese, a Turano, Corvaro e
Collefegato !!!"
Nel 1783 la popolazione ascendeva a "circa 430 anime, molte delle quali sono sparse fuori dalla terra benchè non in molta distanza". Il curato o
abbate era don Germano Amanzi e gli altri sacerdoti oltre a don Urbano Innocenzi, a don Arcangelo e a don Urbano Amanzi erano: don Agapito
Placidi di anni 84 canonico; don Gennaro Luce di anni 70 canonico; Luigi Placidi chierico di anni 18; Francesco Maria Luce e Carlo Scafati
nuovissimi inabili.
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Provvedimenti e decreti fatti nella Sacra Visita del 25 ag. 1783
Provvedimenti e decreti fatti nella Sacra Visita dei 25 ag. 1783 a riparo di molti disordini accaduti in S. Anatolia diocesi di Rieti, in ordine alle pie
oblazioni, e sodisfazioni di messe
1. [...] nella chiesa di S. Anatolia che spetta all'abb.e e can.ci, che sta fuori della terra, la chiave della sagrestia debba stare in mani dell'abbate e
di qualche can.co. Intanto si è affidata altra chiave al can.co Luce, che deve dipendere anche dall'abbate.
2. Niun sacerd.e nei giorni festivi potrà celebrare la messa prima della messa parochiale.
3. Per la festa di S. Anatoglia concorrendo molto popolo a venerare la Santa, e a prendere l'oglio, che arde nella lampada, quest'oglio dovrà
distribuirsi o dall'abbate, o qualcuno dei due canonici, o da altro prete deputato dall'abbate, e non da verun altro, che non sia stato deputato
dall'abb.e e can.ci tutti.
4. Solendo il popolo fedele portare le oblazioni o per messe o per altro sacro culto, queste si dovranno in chiesa ricevere dall'abbate o da uno dei
can.ci di modo che da uno solo non si devono ricevere, ma da due, cioè dall'abb.e, e da un can.co, o in luogo del can.co da un prete deput.o dai
can.ci, e non altrimenti.
5. Queste oblazioni si devono notare a libro, subito alla presenza dell'abb., e collocare in deposito [...] con due chiavi, una delle quali si tenga
dall'abb.e, e l'altra da uno dei can.ci.
6. Nel detto libro deve notarsi l'erogazione delle oblazioni secondo la pia mente dei fedeli e la sodisfazione della messa col giornale di mano del
sacerdote che celebrerà; però si faccia il libro e si osservi la nostra prescrizione sotto pena di sospensione.
7. Li preti, chierici, e novizi nei giorni festivi vadano ad assistere alla messa solenne, ed ad altre sacr. funzioni, che si fanno nella parrocchiale. Se
saranno negligenti i novizi e chierici non saranno promossi agli [...] maggiori; li preti poi resteranno privi delle oblazioni che sogliono
ripartirsi e dal vescovo non saranno considerati nelle vacanze dai benefizi e impieghi ma in altra contingenza. Fin qui le provvidenze generali.
Fra la fine del '700 e l'inizio dell'800
Il 28 ottobre del 1755 Fabrizio II Colonna duca di Tagliacozzo morì lasciando la moglie, Caterina Zefirina di Antonio Salviati, vedova con ben sedici
figli. Suo figlio Lorenzo, erede nei suoi feudi, morì il 2 ottobre del 1779 e dei suoi tre figli, che aveva avuti da Marianna di Carlo Filippo d'Este, fu suo
erede Filippo. Nel 1784 ci fu un altro assalto del morbo epidemico che molte vittime trasse alla tomba (Gattinara Giuseppe Storia di Tagliacozzo 1894 pag. 95) e difatti, negli anni subito appresso, la popolazione di Sant'Anatolia scese di nuovo al di sotto dei 400 abitanti.
Nel 1795 l'abate don Francesco Sacco pubblicò il 'Dizionario geografico-istorico-fisico del Regno di Napoli' dove alla pagina 301 del terzo tomo così
si esprimeva:
"San Natoglia (Sancta Anatolia): Villaggio nella provincia dell'Aquila, ed in diocesi di Rieti in regno, situato sopra una collina, d'aria buona, e nella
distanza di ventidue miglia in circa dalla città dell'Aquila, che si appartiene in feudo alla famiglia contestabile Colonna di Roma. In esso è da notarsi
soltanto una chiesa parrocchiale sotto il titolo di San Natoglia. La produzione del suo terreno sono grani, granidindia, vini, e ghiande. La sua
popolazione ascende a trecento ottantasei sotto la guida spirituale di un parroco, che porta il titolo di abate, e di due canonici coadiutori"
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 50/79
Carta topografica dell'Abruzzo citeriore ed ulteriore e della contea del Molise nel 1790
Particolare della zona nei dintorni di S.Anatolia
Nel 1806 Filippo III Colonna, erede dei feudi di Tagliacozzo, Albe, Corvaro, etc., a causa della rivoluzionaria legge sull'abolizione dei feudi, pubblicata
da Giuseppe Bonaparte e da Gioacchino Murat, rimase spoglio di tutti i feudi che possedeva nel regno di Napoli. In quel tempo le terre e le ville
comprese nel ducato dei Marsi, erano:
Albe, Androsciano, Atessa, Avezzano, Canistro, Capistrello, Cappadocia, Cappelli, Carsoli, Castel a Fiume, Castel Nuove, Castel Vecchio, Cese,
Civita d'Antino, Civitella, Val di Roveto, Colle, Corcumello, Corvaro, Fara Filiorum Petri, Forme, Gallo, Luco, Magliano, Manopello, Marano,
Massa, Meta, Morono, Oricola, Orsognia, Paterno, Penna, Pereto, Peschio Canale, Poggio San Filippo, Puggitello, Pretoro, Rapino, Rocca de' Vivi,
Rocca di Botte, Rocca di Cerro, Rocca di Monte Piano, Rosciolo, San Donato, San Giovanni, San Pelino, Sant'Anatolia, Sante Marie, S.to Stefano,
Scanzano, Scurcula, Sorbo, Spedino, Tagliacozzo, Trasacco, Torre Reccio, Tremonti, Tubione, Villa Romana, Villa Sabinese, Villa San Sebastiano.
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Nel 1811 l'intera provincia del 2 Abruzzo Ulteriore fu divisa in tre distretti e cioè in quelli dell'Aquila, di Cittaducale e di Sulmona; tutte le università
del Cicolano furono aggregate al distretto di Cittaducale e per esse furono stabiliti due circondari, cioè quello di Mercato, in cui vennero compresi i
comuni centrali di Mercato e di Petrella, e quello di Borgocollefegato, in cui vennero compresi i comuni centrali di Borgocollefegato e Pescorocchiano.
Nello stesso anno venne eseguito il censimento dell'intera popolazione del Regno e il numero complessivo degli abitanti del circondario di
Borgocollefegato risultò essere 6.169 ripartiti secondo il quadro statistico seguente:
1811 - Censimento del circondario di Borgocollefegato - 6.169 abitanti
Borgocollefegato
502
Pescorocchiano
756
Castelmenardo
520
Leofreni
307
Torano
480
Tonnicoda
283
S.Anatolia
398
Macchiatimone
652
Corvaro
809
Torre di Taglio
582
Spedino
156
Poggio S.Giovanni
250
Poggiovalle
127
Girgenti
347
Comune di Borgocollefegato 2.992
Comune di Pescorocchiano 3.177
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Note
1. Comunità Montana San Francesco nella civiltà medioevale Rieti 1983 pag.200 -Arch. Vesc. di Rieti, visita della Diocesi Reatina del Vescovo
Osio, a.1561, posiz.X, cart.2, n.2, f.81-82-83v.
2. Vincenzo di Flavio La patria di Niccolò V nelle visite pastorali del '500& p.63 - da: Arch. Vesc. Rieti Sacra visita varii anni 1565-1687 c. 3
fondo Visite X, 15 A5651124
3. Vincenzo Di Flavio Antichi ospedali nella valle del Salto pag.424
4. Nota delle chiese sottoposte al Vescovato di Riete estratta dalla visita di Ms. Malvaglia visitat. [...] aplico dell'Umbria nell'anno 1587 esist. nel
Vaticano Archivio Diploma. Tratto da A.V.R. Cart.50 Visita Marini Anno 1783-1788 Visita città Montereale, Scai e Cicolano Vedi Appendice 6
- Cronologia - anno 1587
5. Lugini Memorie pag. 170
6. Gattinara Giuseppe Storia di Tagliacozzo 1894 - pag. 95
7. Lugini Memorie pag. 313
8. VISITA VICARIATO SUBURBY COLLIS FEGATI: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1712 [Estratto da Visita Guinigi - Anno 1712 Risposte dei parroci - Archivio Vescovile di Rieti - Cartella 17 - Volume V, pag. 29-30]
9. Gattinara Giuseppe Storia di Tagliacozzo 1894 - pag. 95
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 53/79
Capitolo VI - La Chiesa
1828: Visita Pastorale del Vescovo Ferretti al villaggio di S. Anatolia - 1832: Mons. Ferretti visita di nuovo S. Anatolia - 1835: Visita del Vescovo
Filippo de' conti Curoli - 1839: Seconda Visita del Vescovo Filippo Curoli - La chiesa della Madonna Addolorata: errori e curiosità - Chiese sepolcrali
e cimitero di S.Maria
1828: Visita Pastorale del Vescovo Ferretti al villaggio di S. Anatolia
Nel 1828 il vescovo di Rieti Gabriele Ferretti visitò la nostra regione Cicolana posta all'interno della sua diocesi e, come di consuetudine, scrisse il
resoconto dello stato delle chiese, dei sacerdoti e della popolazione delle varie parrocchie. Attualmente nell'Archivio Vescovile di Rieti, posizionato
nella cartella n. 66 titolata Visita Ferretti Anno 1828, è archiviato il manoscritto originale e, esattamente dalla pag.179 alla 187, vi è il resoconto della
situazione della parrocchia di S. Anatolia. Poichè il documento è molto chiaro e scritto in un italiano praticamente perfetto e soprattutto non è noioso
ma è pieno di molte curiosità interessanti, in particolare per la descrizione dettagliatissima della struttura delle chiese, lo riporterò qui di seguito
integralmente e senza inutili commenti:
Prima visita pastorale nel Cicolano fatta nell'anno 1828 da Monsignore Gabriele de' Conti Ferretti
Sant'Anatolia - 27 aprile 1828 - Da Torano Mons. Vescovo col suo seguito passò alla terra di S. Anatoglia e venne accolto nella casa del Sig. Abate d.
Pietro Placidi dove si trasferì dopo di aver gravemente orato nella chiesa parrocchiale. La terra di S. Anatoglia dista circa un miglio e 1/2 da Torano.
E' situata sopra una amena collina alle falde degli Appennini non molto lungi dall'agro Torense. E' composta di 443 anime, divise in 64 famiglie circa.
Era feudo di Colonna, ora è unita alla comune di Borgo Colle Fegato.
CHIESA PARROCCHIALE
La C. P. posta dentro il paese è dedicata a S. Niccola. E' di moderna architettura a volta, lunga canne 10 larga canne
4. Ha 10 archi aperti, ed uno chiuso per parte. - In fondo è l'altare Magg. elevato dal resto della chiesa, per mezzo di
due gradini con un ovato al di sopra ove in un quadro è dipinta la Vergine S.ma e San Niccola ed ai lati due statue di
legno dorate ed inverniciate, rappresentanti San Niccola e Santa Anatoglia; sotto le quali sono 2 porte che danno
l'ingresso alla Sagrestia. E' dedicata a S. Niccola di Bari: ed in esso conservasi il S.mo Sagramento.
Il Sagramento aveva un monte frumentario di 15 salme, che ora è soppresso; e possiede alcuni beni dalla cui rendita
l'amministratore deve render conto alla pubblica beneficenza. Con tal vendita si deve mantenere la lampada; si deve
provveder la cena per tutte le Sante Domeniche, e solennità dell'anno, e per soddisfare gli obblighi seguenti: quattro
messe all'anno per Antonio Placidi. Una messa all'anno per Francesco Gentili. Quattro messe all'anno per Antonia Amanzi. - Non si sono soddisfatte;
onde si è risoluto di scrivere al Sig. Intendente affinchè faccia metter questi obblighi nei cosiddetti Stati discussi, onde almeno in avvenire siano
adempiti. In oltre colle medesime vendite si danno 4 carlini a parroco per la messa solenne, ed un tarino a ciascun canonico nel dì del Corpo del
Signore, e a' 4 maggio, giorno dedicato a San Atanasio.
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 54/79
Il primo altare a cornu epistule è del S.mo Suffragio. Possedeva quell'altare un piccolo fondo che più non esiste. - Il secondo altare
è dedicato alla Madonna S.ma del Carmine, ed è patronato della famiglia Placidi. Vi è un beneficio semplice patronato della
medesima famiglia, fondato da Antonio, e Camilla Placidi coll'obbligo di 2 messe al mese, e di altre 3 all'anno. Si possiede dal Sig.
don Giuseppe Placidi, il quale ha giurato di averle sempre celebrate. - Il terzo altare è dedicato a S. Luigi Gonzaga; - Il quarto alla
nascita di Maria Santissima, che fu eretto nel 1785 dalla congregazione di alcune zitelle, che tutt'ora ospita, e che ogni anno fa
celebrare la festa. - Il primo altare a cornu evangelii è dedicato alla Madonna del Rosario. Aveva un monte frumentario di venti
salme di grano, che ora è dissipato. Possiede ancora de' beni particolari, colle di cui rendite si devono far celebrare due messe
all'anno per Carlo Amanzi che lasciò alcuni pezzetti di terra ascendenti a coppe 44.
Anche nella prima domenica di ottobre si danno 14 carlini all'abate, ed un tarino a ciascun canonico. L'abate per altro è obbligato
a provvedere la cena per la messa, e per i primi, e secondi vesperi della solennità del rosario; a recitare il rosario in tutte le feste
dell'anno, a celebrarvi in ogni prima domenica del mese, e farvi la processione. - Le due messe per Carlo Amanzi non si sono
celebrate; onde siccome il procuratore del Rosario deve ogni anno render conto alla pubblica beneficienza; si è risoluto di scrivere al Sig. Intendente,
affinchè faccia porre anche questa partita negli Stati discussi. Il Sig. Presidente della Commissione Diocesana ci ha assicurati, che in quest'altare
trovasi eretto sin dal 1640 un beneficio semplice, che si possiede dal Sig. d. Angelo Falcioni. - Il secondo altare è dedicato a S. Gio. Battista. E' senza
pietra sacra. Appartiene alla famiglia Spera. Ha un beneficio semplice patronato col peso di una messa al mese, che si possiede dal Sig. abate d.
Pietro Placidi, il quale ha giurato di aver soddisfatto.
CAPITOLO
Questa chiesa parrocchiale è ancora collegiata; ed il Capitolo è composto dell'abate, e di tre canonici. Devono per antica
consuetudine assistere alle messi solenni, ai Vesperi, ed alle altre funzioni; intervenire alle processioni; ed associare i cadaveri.
Partecipano coll'abate alle decime, ed agli emolumenti de' funerali. Tanto l'abbazia, quanto i canonicati sono patronati della
casa Colonna. Ma il diritto resta in sospeso, perchè non ha ancora questa casa mostrata la fondazione. - La Bolla dell'abbazia
è stata spedita da Mons. Ascenzi al Sig. Pietro Placidi nominato dagli eredi Colonna, e ritrovato idoneo per esame ad formam
concussy ma siccome non è certo il diritto della casa Colonna, la Bolla non fu eseguita. Onde presentemente l'abazia viene
amministrata dal prelodato Sig. d. Pietro Placidi in qualità di economo. Egli è nell'età di circa 46. Il canonico più anziano è il
Sig. d. Arcangelo Amanzi di anni 80. Il secondo can.o è il Sig. d. Giuseppe Placidi di anni 52. Il terzo can.o è il Sig. d. Angelo
Falcioni di anni 54. Non vi sono altri ecclesiastici.
Circa le ore ventitrè Monsig. Vescovo si portò in questa chiesa parrocchiale ove accolto dalle solite cerimonie, fece le consuete
aboluzioni, tenne un lungo eloquente discorso, ed amministrò il sagramento della Cresima a più di 230 persone. Tornato a casa
parlò con molti di vari rilevanti affari; e dopo di aver cenato andò a riposare.
28 Aprile 1828 - Monsignor Vescovo ha questa mattina celebrata la messa nella chiesa di S. Anatoglia, nell'altare dedicato alla Santa. Terminata la
messa ha cresimato altre 15 persone; è tornato a casa ha procurato di conciliare varie discordie, ha dati dei consigli a chi lo ha consultato, ha
paternamente ammoniti coloro che tengono pratiche scandalose.
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 55/79
CHIESA DI SANTA ANATOGLIA
Questa stessa mattina si è fatta la visita della chiesa di S. Anatoglia. Rimane in poca distanza fuori del paese. L'antichissima
e Consagrata. Ha di lunghezza circa 11 canne, di larghezza cinque. E' a tre navate con diversi archi; e tutte le navate sono a
volta. Era qui un monastero di Monaci Benedettini; ma presentemente non ne rimangono che pochi indizi. - L'altare
maggiore ha una pittura a fresco, che rappresenta la nascita di nostro Signore con alcuni angeli che tengono in mano gli
emblemi della Passione, l'Annunciazione di Maria S.ma da un lato, dall'altro l'adorazione dei Magi. Questa pittura è stata
recentemente ritoccata, e solennemente deturpata.
In fondo alla navata a destra di chi entra in chiesa, vi è una cappella con altare dedicato alla S.ma Pietà. E' umilissima,
recinta da una balaustra di legno; e vi sono due sepolture. Il quadro rappresenta Gesù già deposto dalla Croce. Aveva
quest'altare un monte frumentario, che a tempo di Mons. Camanda ascendeva a 80 salme di grano. Ora è dissipato. Possiede
però alcuni beni stabili; e deve far celebrare una messa in ogni mercoledì pel G. Fabio Di Domenico. Queste messe si
celebrano dall'abate per due porzioni, per la terza porzione da' canonici. - A cornu evangelii esiste un'altra Cappella in
fondo alla navata. E' dedicata a S. Sebastiano, di cui evvi una statua di legno. La comune celebrava la festa di questo Santo; e dava il conveniente
stipendio all'abate, ed a Canonici. Ora non più. Nell'altare vi è un ciborietto inservibile, e dentro il recinto della cappella, due sepolture.
Nella parete a cornu epistole si vede dipinto un Santo Vescovo, e S. Antonio Abate; sotto le quali figure leggesi: Le redi
de Marchittu lasciò ducati dui per lascite de lu patre es.
A cornu Evangelii è rappresentato il Paradiso, il Purgatorio e l'Inferno. Nell'alto è il Paradiso, nel quale vedesi Gesù
nostro signore cinto da vergini, angeli, arcangeli alcuni dei quali nuotanti fra le nuvole suonano cetre, timpani. Il
Purgatorio è a sinistra. E' diviso come in due piani. Nel più basso vedesi un grande stagno, ove stanno immerse le
anime purganti, alcune delle quali co' piedi in sù. Nel più alto scorgesi come un forte cinto di
mura, dalle quali sono accerchiate alcune anime di cui due sono già uscite, e vi sono
incamminate verso il Paradiso, avendo a tergo un angelo, che è in atto di pregare con una
palma. Mirasi la porta del Purgatorio in mezzo ad un'alta torre; ed innanzi ad essa un sacerdote colle chiavi in atto di
aprirla; e presso al sacerdote una turba di fedeli, che genuflessi stanno pregando. A destra è l'Inferno diviso parimente in due
piani. Nel piano inferiore vedesi il principe de' demoni Satanasso, che a destra, e a sinistra ha i capitani de' peccati capitali. A
destra Rubiconte capit. dell'accidia, Farfarelli cap. dell'invidia, Anciacciu cap. della lussuria; a sinistra Boccarotta capit. de'
lira, Gammarotta cap. del usuria; Calcabricu capit. della gola. Nella parte inferiore mirasi molti dannati tormentati in varie
guise. Sulla porta leggesi: Lassate onne speranza o voi che intrate, e più sotto Ecco il vecchiu Caronte, intu alla riva. Vicino
alla porta dell'inferno la barca di Caronte. Fra l'inferno e il Purgatorio l'arcangelo S. Michele, che co' piedi calpesta il drago
infernale; e colla destra regge una bilancia, in cui pesa le anime. A lui dappresso vedesi una persona sospesa in aria, che
afferra l'anima posta nel disco più vicino all'inferno.
L'altare di S. Sebastiano aveva un monte frumentario di circa dieci salme di grano, che trovasi disperso; e possiede alcune rendite particolari. Nella
navata a cornu evangelii trovasi un altro altare dedicato alla Madonna SS.ma di Loreto. E' senza pietra sagra, e senza ornati; e perciò è interdetto. In
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 56/79
quest'altare è fondato un beneficio semplice di Jus-Patrono della casa Colonna, che presentemente si possiede dal Sig. d. Angelo Falcioni. E' stato
decretato, che il beneficiante dentro tre mesi lo ristauri, lo provvegga di pietra sagra, e di ornati.
Nell'arco medio tra la navata grande, e la navata a cornu epistole, esiste una cappellina, con 4 colonne di stucco, recinta da un bel cancello di ferro
inverniciato, entro la quale esiste un altare dedicato a S. Anatoglia con pittura a fresco rappresentante la Santa. Nella volta della Cappella è dipinto il
Redentore, e ha quattro lati, i 4 Evangelisti. Questa pittura è stata di fresco ritoccata, e deturpata. Vicina alla immagine della Santa leggesi in
caratteri gotici Anatolia.
CHIESA SANTA MARIA DEL COLLE
Evvi ancora un'altra chiesa rurale tra Torano e S. Anatoglia, chiamata S. Maria del Colle. E' lunga circa 4 canne, larga 2. Ha un solo altare ed è
siffatto. Il tetto e le mura minacciano rovina. L'ingresso è senza porta; il pavimento fracassato; l'altare semi diruto. In questa chiesa suoleva
processionalmente portarsi, l'abate di S. Anatoglia col popolo due volte all'anno, cioè nel giorno di Pasqua, e nel
giorno della Visitazione della Madonna; e vi cantavano. - Anche il popolo di Torano vi accedeva in processione nel
lunedì di Pasqua. - In questa chiesa trovasi retto un beneficio semplice di Jus-patron. della casa Colonna; che
presentemente si possiede dal Sig. Don. Franco Fabrizi di S. Stefano del Corvaro. E' a carico del beneficiato la
manutenzione di questa chiesa (Vis. del 1777 pg. 436 a Far.). Perciò è stato ordinato sotto pena della sospensione Ipso
facto incurrendo al Sig. d. Franco Fabrizi, di riattare dentro il mese di settembre questa chiesa col suo beneficio.
Questa violenta misura si è resa indispensabile; perchè egli ad onta delle preghiere e delle minacce del Sig. Vicario
Gen. Pacifici, e ad onta delle promesse, che egli stesso ha più volte fatto, ha sempre temporeggiato, ne mai ha posta la
mano all'opera permettendo che la chiesa ogni giorno più deteriorasse. Intanto la chiesa è interdetta.
GROTTA DI SAN LEONARDO
Nel territorio di S. Anatoglia e precisamente nel monte Fiui, vi è una grotta con un altare diruto, dedicato a San
Leonardo. Ha un beneficio semplice padronato della casa Colonna la cui istituzione spettava all'abate di San Paolo di
Roma. Il beneficiato aveva l'obbligo di contribuire al predetto abate 11 once di zafferano all'anno. Oggi dì è
padronato reggio; si possiede dal Sig. Canonico don Giuseppe Placidi e le once di zafferano non più si pagano.
CHIESA DI SAN LORENZO IN CARTORA
Altra chiesa rurale è quella di San Lorenzo in Cartora. E' patronato della casa Colonna. Ha un beneficio semplice
similmente patronato, che rende 4 salme di grano all'anno; e gli è annesso il peso di una messa al mese. Ora questo
beneficio è presso la commissione diocesana. La chiesa è larga c. 3; lunga 5. Ha un solo altare ha 2 sepolture. Tutto in cattivo stato.
CHIESA DI SANT'ATANASIO
Sotto le mura del paese esisteva un'altra chiesa dedicata a S. Atanasio, che da Mons. Vincenzo Ferretti venne interdetta. Ora è affatto rovinata. Vi era
l'obbligo di una messa solenne, e di 3 lette. Quest'obbligo ora appartiene alla compagnia del Sacramento, da cui si fa soddisfare per mezzo
dell'abbate, e dei Canonici.
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1832 - Mons. Ferretti visita di nuovo S. Anatolia
Il 29 giugno del 1832 il vescovo di Rieti monsignor Gabriele Ferretti, dopo aver concluso la sua visita a Torano, partì su un cavallo alla volta di
Sant'Anatolia dove vi giunse alle ore 13.00 accolto dal popolo e dal clero col suono dei sacri bronzi e collo sparo dei fucili. Sant'Anatolia era divenuta
in quel tempo uno dei vicariati principali del Cicolano che all'epoca, oltre a S.Anatolia, erano Petrella, Baccareccia e Marmosedio. Nel Vicariato
Foraneo di Sant'Anatolia erano comprese le parrocchie dei seguenti villaggi: S. Anatolia, residenza del Vicario Foraneo, Spedino, Corvaro, S. Stefano
del Corvaro, Borgo Colle Fegato, Collefegato (che non era una parrocchia), Castel Menardo (che invece aveva due parrocchie), Colle Maggiore,
Collorso, Ville Collefegato, Poggio di Valle, Grotte di Torano e Torano. Essa faceva parte del Comune di Borgocollefegato nel Regno di Napoli.
A Sant'Anatolia la casa parrocchiale non era mai esistita, essendo stati i parroci sempre nativi del luogo, e quindi il vescovo prese ristoro e si trattenne
nel palazzo dei signori Placidi alla quale famiglia apparteneva il Vicario Foraneo nonchè Abate e parroco del paese don Pietro. Lo stesso giorno celebrò
la messa alle Ville di Collefegato dove cresimò 32 fanciulli; in seguito rientrò in paese e dopo aver visitato le varie chiese impartì la benedizione colla
sacra pisside. In quel tempo la chiesa principale era quella di San Nicola e dentro il suo recinto parrocchiale vi erano altri quattro luoghi di culto e cioè:
il Santuario di Sant'Anatolia, la chiesa di S. Maria del Colle, la grotta di S. Leonardo e la chiesa di S. Lorenzo in Cartora.
Nella parrocchia di S. Anatolia, Vicariato principale dei paesi dei dintorni, oltre a don Pietro Placidi abate curato di 50 anni, vi erano altri due sacerdoti:
don Giuseppe Placidi canonico di 55 anni e don Angelo Falcioni canonico di 56 anni; tutti e tre i sacerdoti erano nativi del luogo. Il vescovo Ferretti in
questo modo descriveva i tre sacerdoti di Sant'Anatolia:
- don Pietro Placidi abate curato di S. Anatoglia; è un sacerdote di media scienza, ma attento ai suoi doveri ed, al pari, di una condotta irreprensibile;
- don Giuseppe Placidi canonico, così detto, di S. Anatoglia; è un sacerdote che fa gli affari di sua casa e poco vale nel ministerio ecclesiastico; frasi
ricorse si ebbero contro di esso in materia morale, ma ora sembra cambiato; - don Angelo Falcioni canonico, così detto, di S. Anatoglia; è un
sacerdote di qualche talento, ma di poco studio; anch'esso è stato accusato in passato in materia morale; ora non si hanno reclami.
1835 - Visita del Vescovo Filippo de' conti Curoli
Il 7 luglio del 1835 intorno alla mezzanotte, allo scampanare dei sacri bronzi e al frastuono di 150 botti di mortali commissionati dal parroco don
Pietro, giunse a Sant'Anatolia su un cavallo e con gran seguito il nuovo vescovo di Rieti monsignor Filippo della famiglia dei conti Curoli.
Egli prese alloggio nel palazzo della famiglia Placidi ove pernottò anche la notte seguente. La mattina dell'8 luglio celebrò la santa messa nella
parrocchia di S. Nicola assistito dal clero di S.Anatolia e dal suo seguito e amministrò il sacramento della Cresima a 15 fanciulli tutti diocesani. In
seguito visitò il Santuario di Sant'Anatolia, la sepolcrale, dove, dopo la predica, benedì il popolo del paese.
Si dispiacque il vescovo di una pratica scandalosa che c'era da alcuni anni fra una certa Irene Pozzi, moglie di Marco Fracassi, e il vedovo Nicola
Amanzi. Per riparare a questo scandalo il suo segretario, vicario Carlo Pacifici, spedì la seguente lettera di lamentela al sottintendente di
Borgocollefegato:
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 58/79
Al Sott'Intendente, lì 8 luglio 1835. - Signore, è in questo paese una prattica scandalosa ed inveterata tra il vedovo Nicola Amanzi, ed Irene Moglie di
Marco Fracassi. Questo infelice invano si è adoperato per richiamare la moglie al suo dovere, e finalmente per quieto vivere, ha dovuto abbandonare
la propria casa, e mettersi a servire in qualità di garzone in Castelmenardo. Li due scandalosi protervi hanno amareggiato il cuore di questo mio
monsignore vescovo di Rieti, anche perchè li medesimi da cinque anni in qua sono lontani dai sacramenti, ed io ne fò rapporto perciò a lei
Illustrissimo Sott'Intendente, perchè si compiaccia di adottare contro di essi le misure le più forti ed energiche in linea di pulizia. - f.to Carlo Pacifici
La chiesa di Santa Maria del Colle andava sempre più degradandosi e già nel 1828 il vescovo Ferretti, dopo averla interdetta, aveva ordinato
all'arciprete don Franco Fabrizi di Santo Stefano del Corvaro, che aveva il dovere della manutenzione, di restaurarla per riadattarla agli scopi
ecclesiastici; nel 1835 i restauri ordinati erano stati eseguiti solo parzialmente e per questo motivo il vicario Carlo Pacifici spedì la seguente lettera
ingiuntiva a don Franco ordinandogli di completarli:
Curia Vescovile di Rieti in Regno - Borgo Collefegato, 10 luglio 1835 - S. Anatolia, beneficio di S. Maria del Colle ritenuto da don Franco Fabrizi.Signor Arciprete, con decreto del 25 agosto 1828 ella fu precettata a restaurare la chiesa di S. Maria del Colle titolare del beneficio, che ella possiede.
I restauri è vero che sono stati fatti da lei, ma è vero ancora, che i restauri medesimi non sono finiti, e che manca il paracielo nell'altare, che deve
restaurarsi la statua della Madonna SS. ma, e che deve finalmente provvedersi l'altare di sei candelieri almeno, di Croce, di vasetti, di fiori e di
tovaglie. Le fu ingiunto di più di restaurare la chiesa di S. Croce, dove ella ha pure un beneficio semplice. Ma anche in questa chiesa manca tuttavia il
paracielo sopra l'altare, e lo stesso altare ha bisogno di essere provveduto come quello di S. M. del Colle, di candelieri, Croce, vasetti, fiori e tovaglie.
Pel compimento finale di tutti i restauri dell'una, e dell'altra chiesa, e per la provvista di tutti gli oggetti espressi di sopra, io le do tempo sino a
maggio venturo, scorso il quale ella verrà immediatamente sospeso se non avrà ubbidito. Carlo Pacifici Vic. St.e. Al Sig.r Arciprete Fabrizi (S.to
Stefano).
Il sacerdote don Franco Fabrizi non si scompose, ma rispose alla lettera nel seguente modo:
Borgo Collefegato 10 luglio 1835. - Monsignor Vicario Illustrissimo, oggi predetto ho ricevuti i suoi ordini in quanto debbo adempiere per la chiesa di
S. Maria del Colle nel distretto di S. Anatoglia, e di S. Croce di Corvaro. Ubbidisco a tutto ciò che mi prescrive, e spero eseguirlo prima del tempo
stabilito tanto per i miei doveri, quanto per ubbidire cecamente ai suoi ordini. E nell'atto che le recuso la vocazione della sua stimatissima passo a
baciarle le sue mani e sono al Sig. Vicario Illustrissimo di Rieti in Regno. - f.to Franco Arciprete Fabrizi.
1839 - Seconda Visita del Vescovo Filippo Curoli
Nell'anno 1839 il vescovo Filippo Curoli fece una seconda visita pastorale nella sua diocesi e, il 19 luglio proseguendo il viaggio, si volse verso S.
Anatolia; ivi vi giunse al tramontar del sole. La prima chiesa che egli visitò fu quella di S. Maria del Colle, situata sulla strada che viene da Torano, per
la quale, siccome don Franco Fabrizi non aveva eseguito praticamente quasi nessuno dei lavori prescritti, furono emessi i decreti che qui sotto riporto:
Che fornisca l'altare dell'occorrente per la celebrazione dei divini misterji; che formasse un armadio, che gli arredi sacri, e per potersi vestire il
sacerdote celebrante, e si provvedino i medesimi sacri arredi. Che alla fenestra a cornu epistole si mettesse un'impannata almeno, che si eseguisse
tutto ciò entro due mesi, ed il Vicario Foraneo Placidi ne riferisse l'esito.
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La sera, il vescovo con la sua comitiva, fu accolto in casa dei Sigg. Placidi ove alloggiò e terminata la cena, dopo aver pregato nella cappella della
famiglia Placidi, andò a dormire. La mattina il vescovo visitò la chiesa parrocchiale di San Nicola, da dove benedì il popolo di Sant'Anatolia; in seguito
per questa chiesa emanò i seguenti decreti:
Si riatti la fronte dell'altare di S. Nicola e del Carmine: si pongano le nuove stampe alle carta-glorie dell'altare di S.Luigi e del SS.mo Rosario: si
mettano ai due confessionali i casi riservati in diocesi stampati, e il caso manoscritto contra alienantes non retinentes, etc. etc.
In seguito il vescovo, avendo parlato con l'abate Placidi e avendo saputo che c'erano dei problemi in parrocchia per la distribuzione delle elemosine dei
fedeli e dei pellegrini che, soprattutto durante la festa di S.Anatolia il 9 e 10 luglio, erano considerevoli, emise il seguente decreto:
Decreto emesso per la regolare distribuzione delle elemosine di messe offerte nella chiesa di S. Anatolia
1. A cura del rettore della chiesa si aprirà un registro di tutte le elemosine che verranno offerte tanto nella vigilia che cade ai 9 di luglio quanto
nella festa della Santa che ricorre nel giorno 10 dello stesso mese.
2. Si provvederà del pari un libro in cui si noteranno le distribuzioni che si faranno di elemosine ai sacerdoti, coll'indicazione del giorno, mese, e
del nome del sacerdote a cui si faranno, e si ritirerà dal medesimo la corrispondente dichiarazione che verrà inserita nel libro.
3. Tanto il registro quanto il libro suddetti si presenteranno in atto di S. Visita a noi e ai nostri successori per apporvi i convenienti decreti.
4. In conseguenza sarà ufficio dei sacerdoti confessori di dirigere in quei ed in ogni altro tempo all'ecclesiastico destinato a registrare tutte le
elemosine i penitenti, che intendono di darle per le messe, e di consegnare al suddetto quelle che saranno loro offerte dai fedeli che non
amassero presentarsi alla sagrestia, sotto pena della sospensione a Divinis da incorrersi ipso facto in caso di contravenzione.
5. Viene espressamente proibito di distribuire siffatte limosine ai sacerdoti del clero secolare o regolare i quali non appartengano alla nostra
diocesi.
6. Il presente decreto verrà dal rettore communicato all'uopo ad ogni sacerdote, e si terrà affisso alla porta della sagrestia nella chiesa di S.
Anatolia, affinchè ogni ecclesiastico ne abbia la piena conoscenza sotto la responsabilità del Rettore suddetto.
S.Anatolia in visita lì 20 luglio 1839.
Il 20 luglio 1839, dopo pranzo, il vescovo andò a far visita alla famiglia dei Baroni Masciarelli a Magliano de' Marsi con l'obbiettivo di andare poi a
vedere il lago Fucino ed, in particolare, l'emissario eseguito dagli imperatori romani e ripurgato in quel tempo dai re di Napoli. La mattina del 21 luglio
il vescovo andò a far visita a questo lago e poi a pranzo andò a mangiare da don Giovanni Battista Masciarelli a Paterno; la sera tornò a dormire a
Magliano. Il 22 luglio, dopo aver celebrato la messa nell'oratorio privato dei Sigg. Masciarelli, tornò a Sant'Anatolia dove, dopo aver cresimato tre
bambini, si trattenne tutto il resto della giornata ad ascoltare sia i sacerdoti che tutte le persone che volevano parlare con lui, soprattutto per cercare di
comprendere lo stato morale della popolazione del villaggio; la notte dormì ancora in casa dei Sigg. Placidi e la mattina del 23 luglio, dopo aver
celebrato la messa, si diresse verso Spedino.
In seguito, dopo aver visitato Spedino, e prima di deviare per Corvaro, passò a far visita al villaggio semi abbandonato di Cartore ed in particolare alla
chiesa di San Lorenzo e alla chiesa di S. Maria di Brecciasecca:
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 60/79
Visita di San Lorenzo in Cartore
Fu visitata la chiesa di San Lorenzo in Cartora la quale trovasi a poca distanza da S. Anatolia da chi parte da questo
paese e va al Corvaro per la strada della valle lasciando a manca Spedino. Com'è tradizione in questo luogo era un
monastero di monaci: i pochi beni rimasti sono stati riuniti alla chiesa parrocchiale di S. Anatolia. Dicesi inoltre
essere qui stata l'antica città di Tora ove conseguì il martirio S. Anatolia. A poca distanza da questa chiesa si
osservano alcuni ruderi con un fonte ove i fedeli sono chiamati per devozione onde guarire dai loro malori: essendovi
forse anticamente qualche chiesa evvi un benefizio sotto il nome di S. Costanzo, ora riunito alla parrocchia di
S.Anatolia. Decreti: nella visita della chiesa di San Lorenzo in Cartora si decretò che: Si ponesse sull'altare un quadro
in tela essendo espressamente proibito dai sacri riti di porre alla pubblica venerazione immagini fragili come sono quelle di carta.
S. Maria di Brecciasecca
A poca distanza da S. Lorenzo in Cartora vi è l'altra piccola chiesa rurale di S. Maria di Brecciasecca: per questa si decretò che < Si facesse la chiave
alla porta > essendosi asserito non essersi mai detto messa in tale chiesa, non essendovi altare con pietra consacrata, ma una semplice mensa non si è
dettagliato il bisogno che avrebbe al fine di potervi celebrare i sacri misterj.
La chiesa della Madonna Addolorata - Errori e curiosità
(Ecclesiae Beatae Mariae Virginis Dolorosae)
Nel 1968 Vincenzo Saletta a pag. 114 del suo libro su S. Anatolia scriveva:
... il piccolo colle, denominato Noce di Cristo, su cui sorge l'abitato di S. Anatolia con la chiesa parrocchiale, dove si custodisce
una statua di S.Anatolia e presso la quale occhieggiano i ruderi della distrutta chiesa dell'Addolorata (3) ... - nota (3): Su questa
chiesa, un tempo forse utilizzata come cimitero per i membri di qualche confraternita religiosa o quando la popolazione era tutta
compresa entro le mura e di cui restano quattro sepolcreti a ridosso delle mura perimetrali, ci sarebbe da spendere più di una
semplice nota. L'esame del portale superstite ci dice che essa venne eretta l'anno 1507.
Andrea R. Staffa nel suo capitolo La topografia pievana del Cicolano nei secoli XI-XIV inserito in San Francesco nella civiltà medioevale convegno di
studi Borgorose 18-19 dicembre 1982 a pag.200 scriveva: ... Da S. Martino di Torano, situata fuori del borgo medievale, dipendevano nel 1398 le
chiese di S. Maria di Torano, oggi Madonna Addolorata, antichissima in quanto attestata in un documento dell'VIII secolo, controllata dall'abbazia di
Farfa almeno sino all'XI secolo (Regesto Farfense doc.1303), e risalente nel suo attuale impianto al XIV secolo ...
Sempre Andrea R. Staffa nel sua monografia L'assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda antichità ed il medioevo edito nella rivista Xenia
semestrale d'antichità (1 semestre 1987) vol.13 pag. 74 scriveva: ... n.112: Chiesa di S. Maria de Torano, menzionata in una memoria dell'XI secolo di
fatti riferiti all'VIII, oggi detta Madonna Addolorata, è completamente in rovina, e presenta una facciata a coronamento rettilineo riferibile al XIV
secolo ed un portale databile agli inizi del Cinquecento. E' anch'essa ormai del tutto isolata nella campagna, mentre in passato (ben prima del XVI
secolo) doveva essere collegata ad un insediamento aperto poi abbandonato.
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 61/79
Chi conosce il villaggio di Sant'Anatolia non può non aver notato questa chiesetta e non può non esserne rimasto affascinato dato
che essa si trova completamente isolata e sulla cima di una collina; la chiesa è a tutt'oggi un rudere senza pavimento, senza
finestre e senza tetto. A prima vista, come asserì il Saletta, essa sembrava risalire ai primi del '500, se non prima, ma in seguito
l'archeologo Andrea Staffa, sulla base di documenti farfensi, determinò l'origine della chiesetta al VII secolo d.C. e, in base ad
indagini eseguite sul luogo, collocò la struttura attuale al secolo XIV. In effetti in vari documenti dei secoli VII e XI viene
nominata la chiesa di S. Maria de Turano, controllata dall'abbazia farfense, e poi, nel 1398, viene nominata più di una chiesa
chiamata S. Maria situata nella nostra zona; in seguito non venne più nominata tale chiesa e questo ci farebbe supporre che essa
già aveva perso importanza ed era ridotta a rudere.
Il Saletta non era un'archivista e difatti chi legge attentamente il suo libro intuisce facilmente che egli prese le informazioni
esclusivamente per mezzo di ricerche bibliografiche; Staffa invece è un bravo archivista ed un esperto archeologo e questo si
desume con grande evidenza dai suoi scritti. Quasi sempre gli storici del reatino, che attingono informazioni dall'archivio della
diocesi di Rieti, preferiscono cominciare le proprie ricerche dai documenti più antichi e, trovandone moltissimi e a volte inediti, vi si ritrovano spesso
invischiati e tralasciano completamente i documenti più moderni.
L'archivio della diocesi di Rieti contiene centinaia di documenti in cui viene menzionato il villaggio o la chiesa di Sant'Anatolia. Dal 1560 ca. vi sono
poi le visite pastorali che consistono in un centinaio di incartamenti divisi per anno, ognuno dei quali contiene decine di pagine su S.Anatolia e paesi
adiacenti. Non essendo io un bravo latinista fui costretto a cominciare le mie ricerche all'inverso e cioè iniziando dai documenti più moderni perchè
scritti in italiano ed in una calligrafia più comprensibile e poi pian piano scendendo ai documenti più antichi e più difficili da tradurre; ed ecco la
sorpresa: il 19 luglio del 1839 monsignor Filippo de' conti Curoli nella visita effettuata nella diocesi di Rieti, relazionando sul villaggio di S.Anatolia,
non fa alcuna menzione della chiesa della Madonna Addolorata.
Il 21 maggio del 1851 monsignor Gaetano Carletti, vescovo di Rieti, in visita al nostro villaggio, scriveva: ... Chiesa dell'Addolorata. A devozione del
popolo, su di un colle di fronte al paese, per una grazia di Maria Vergine, si diè principio vari anni dietro ad una chiesa. Mancarono i mezzi nel
meglio, e tuttora resta incompleta. Si invitò il popolo al proseguimento, e soprattutto ad assegnare una dote al mantenimento, onde non vederla
rovinare nel nascere ...
Dopo 23 anni, il 16 giugno del 1874, il vescovo Egidio Mauri scriveva:...Chiesa dell'Addolorata. Si trovò tuttora incompleta la fabbrica di essa. Non
se ne può sperare la continuazione. Si vuole rendere sepolcrale invece del Santuario. Non vi si è mai funzionato nè
celebrato ...
Il 22 agosto 1897 monsignor Bonaventura Quintarelli ripeteva: ... Chiesa della SS. Addolorata. Trovasi a sud-ovest del
paese alla distanza di 7 od 8 cento metri. Fu fabbricata da circa 60 anni; e fino a pochi anni or sono, ossia fino a che
fu costruito il camposanto fu la sepolcrale della parrocchia. Non ha, ne ebbe mai altro che mura e tetto. Sta in cattivo
stato, massime nel tetto: può ritenersi che tra non molti anni andrà in rovina; non se ne ebbe cura per lo passato, e
così sarà per l'avvenire, atteso che il popolo è tutto impegnato nel compiere, ornare, e provvedere la chiesa di S.
Anatolia ...
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 62/79
La chiesa della Madonna Addolorata, senza il tetto, il pavimento e le finestre, ha sempre avuto l'aspetto di un rudere antichissimo e questo ha ingannato
sia storici che archeologi.
La popolazione di S. Anatolia nelle sue tradizioni non ricorda il periodo della sua
costruzione ed in genere la chiesa, probabilmente per influenza del libro del Saletta,
viene ricordata dagli abitanti come antichissima. Fu invece fra il 1840 ed il 1850 che,
per una grazia di Maria S.S. avvenuta su quella collina adiacente al paese, il popolo di
S. Anatolia decise di costruire questa chiesa. Dapprima furono scavate le fondamenta e
le stanze sotterranee per le pile mortuarie, poi fu tirato il piano al di sopra della stanza
mortuaria e furono alzate le mura. Infine fu costruito il tetto e ci si riprometteva di
mettere al più presto le finestre e di costruire l'altare. Per quanto riguarda il portale esso
probabilmente fu decorato con materiali di riutilizzo tratti dalle rovine della chiesetta di
S. Maria del Colle ed infatti alcuni caratteri impressi sulla pietra orizzontale del portale
sembrano richiamare la data 1518.
Pietra orizzontale del portale - E' plausibile che nei 4 segni posti
sulla sinistra e sulla destra si possa riconoscere la data del 1518
Intorno al 1860 vennero iniziati i lavori per la ricostruzione e l'ampliamento del
Santuario di S. Anatolia. La popolazione, non avendo a disposizione energia sufficiente
alla costruzione di due chiese, preferì tralasciare la "Madonna Addolorata" e finanziare
i lavori per il Santuario e fu per questo motivo che la chiesa della Madonna Addolorata
venne lasciata incompleta. Per circa un decennio, dal 20 maggio 1877 al 12 gennaio
1888, essa divenne sepolcrale ma in seguito, dal 15 febbraio 1888, cioè da quando
venne finito di costruire il cimitero di S.Maria nella valle verso Torano, venne
definitivamente abbandonata. Crollò il tetto, la chiesa si riempì vegetazione e prese
lentamente l'aspetto di rudere dall'apparenza antichissimo. Sul finire del 2009, la chiesa
è stata finalmente restaurata e, grazie all'intervento del patrimonio Pubblico, ha
finalmente il tetto, la porta e le finestre.
La chiesa dopo il restauro - Fotografia del 29.11.2009
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 63/79
Chiese sepolcrali e cimitero di S.Maria
Prima del 1877 tutti gli abitanti del paese venivano sepolti regolarmente presso la chiesa sepolcrale di S.Anatolia che si prestava meglio in quanto si
trovava nella valle e distante dal centro abitato. Le case erano allora situate sulla collina intorno alla chiesa parrocchiale di San Nicola e al palazzo
feudale. La chiesa di San Nicola, proprio per lo stesso motivo cioè la vicinanza delle case, non fù mai sepolcrale. In alcuni casi molto rari, coloro che
morivano a Cartore venivano sepolti presso la chiesetta di S.Lorenzo. Il documento che ci consente con maggior chiarezza di capire quali siano le
evoluzioni ed i cambiamenti riguardanti i luoghi di sepoltura lo troviamo nel Libro dei Morti anno 1875-1908 conservato nell'archivio della parrocchia
di San Nicola:
Parrocchia: S. Nicola di Bari - in S.Anatola
Libro dei Morti - anno: 1875 – 1908
Acta Defunctorum
Ecclesiae Parochialis S.ae Anatoliae
ab anno 1875
La prima persona che appare nel registro è Francesco Fracassi morto il 2 gennaio del
1875 di anni 85 vedovo di Bernardina Fracassi (Libro dei Morti n. 1). L'ultima è Giovanni
Sgrilletti morto il 7 dicembre del 1908 di anni 56 figlio di Vincenzo e Giuditta Peduzzi (Libro dei Morti n. 717). In totale, nei 34 anni riportati nel
registro, sono registrati 717 morti. Curioso è che per tutta la durata dei 34 anni il parroco che registrerà gli atti sarà sempre lo stesso: Giovanni Battista
Pani che si firma Joanny Baptista Panei Abbas Parochus. Tra i personaggi riportati in questo registro, ci piace ricordare il Reverendo Abate Don
Costantino Placidi morto il 18 luglio del 1888 e sepolto nel Cimitero di S.Maria (Libro dei Morti n. 283).
Nel registro rileviamo che l'ultima persona sepolta nella chiesa di S.Anatolia in maniera regolare e cioè prima che iniziassero i lavori di restauro, fu
Giuseppe Stornelli figlio di Domenico e Bernardina Peduzzi, morto all'età di otto anni il 10 di aprile del 1877 (Libro dei Morti n. 46). In seguito, la
chiesa venne completamente restaurata ed i lavori durarono quasi dieci anni.
A lavori ultimati ci fu solamente un caso in cui, nonostante la sepolcrale fosse ormai divenuta la Madonna Addolorata, venne sepolta un'altra persona
nella chiesa di S.Anatolia. Fù Antonio Placidi morto il 6 dicembre del 1884, figlio di Nicodemo e Maria Giovanna Argantini, morto all'età di 66 anni. A
commemorazione di questo personaggio importante di Sant'Anatolia che contribuì al restauro della chiesa, fu posta una lapide ma, chi la scolpì fece un
piccolo errore ed invece di mettere la data di dicembre scolpì "VI SETTEMBRE MDCCCLXXXIV". (Libro dei Morti n. 207).
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La prima persona che venne sepolta nella chiesa della Madonna Addolorata (nei
registri: Ecclesia rurali o sepolcrali Beatae Mariae Virginis Dolorosae) fu Gabriele
Piccinelli figlio di Pietro e Vittoria Rubeis, morto all'età di 92 anni il 20 maggio del
1877 (Libro dei Morti n. 47). L'ultima fu Rufina Scafati in Peduzzi, figlia di Sebastiano
e Anatolia Scafati, morta all'età di 70 anni il 12 gennaio del 1888 (Libro dei Morti n.
274). Dal 1877 al 1888 vennero sepolte presso la stessa chiesa 217 persone.
In quell'anno, a norma delle nuove leggi, leggi in realtà napoleoniche ma mai attuate,
vennero ultimati i lavori per la costruzione di un cimitero condiviso tra la popolazione
di S.Anatolia e quella di Torano. Il cimitero venne posto a metà strada tra i due paesi e
venne chiamato cimitero di S. Maria (nei registri Coemeterio di S.Mariae).
La prima persona sepolta nel cimitero di S.Maria fu Pietro Vincenzo Falcioni, figlio di
Nicola e Lucia Rosati, morto all'età di 86 anni il 15 febbraio del 1888 (Libro dei Morti
n. 275).
Come abbiamo detto sopra anche la chiesa di San Lorenzo in Cartore era sepolcrale ma,
in quei 34 anni riportati, vi furono sepolte solamente 8 persone che qui di seguito elenco:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
28 maggio del 1876: Angela Boccia, di Civita d'Antino diocesi di Sora, moglie di Giovanni Panella, di anni 70;
3 ottobre del 1880: Nicola Lanciotti vedovo di Caterina Luce, di anni 84;
10 gennaio 1883: Pasquale Panella di anni nove figlio di Luigi ed Angela Di Cesare;
11 gennaio 1883: Lucio Panella di anni due figlio di Luigi ed Angela Di Cesare;
13 marzo 1883: Luigi Luce figlio di Angelo e Angela Amanzi di cinque anni;
20 agosto 1887: Pasquale Panella di anni uno, figlio di Luigi ed Angela Di Cesare
20 agosto 1887: Anatolia Lanciotti di 3 anni, figlia di Bernardino e Rosa Argantini;
1 gennaio 1888, Luigi Panella di 50 anni di Civita d'Antino diocesi di Sora, figlio di Giovanni e Angela Boccia, marito di Angela Di Cesare.
Per completare ciò che si rileva dal Libro dei Morti (anni 1875 -1908) riportiamo di seguito un elenco di persone native di Sant'Anatolia ma sepolte in
luoghi diversi:
1. Ubaldo Lanciotti di 55 anni, figlio di Vincenzo e Francesca, morto il 12 novembre 1879 presso "la maddalena" nella casa di Vincenzo
Majanelli, viene sepolto nel cimitero di "Malleani" presso S.Martino.
2. Giuseppe Panei, figlio di Antonio e Maria Blasetti, morto il 15 novembre 1880 nella casa materna in Massa d'Albe all'età di 4 anni e sette mesi,
viene sepolto a Massa d'Albe.
3. Domenico Antonio Peduzzi di 23 anni, figlio di Lorenzo e Caterina Amanzi, morto il 27 dicembre 1883 nell'ospedale militare di Mantova e ivi
sepolto.
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 65/79
Capitolo VII - Briganti e viaggiatori
16 Agosto 1843: Edward Lear - Popolazione nel 1851 - Il brigantaggio - La banda di Cartore - I briganti di S. Anatolia
16 Agosto 1843 - Edward Lear
Il 16 agosto del 1843 un viaggiatore inglese di nome Edward Lear,
famoso in Abruzzo per le stampe che ha lasciato rappresentanti molti
dei paesi abruzzesidi quel periodo, partì a cavallo da Antrodoco alla
volta di Tagliacozzo e a metà del viaggio, fece tappa a S. Anatolia dove
fu accolto dalla famiglia Placidi. Qui di seguito riporterò le memorie di
questo viaggio, scritte di suo pugno, che non mi sento di riassumere
poichè molto leggere, scorrevoli e curiose:
15 Agosto 1843 ... Dopo il pasto di mezzogiorno, che fu abbastanza
allegro, a casa Todeschini, sonno e musica riempirono le ore fino a che
fu tempo di ricominciare a disegnare. L'immobilità di un centro
italiano in queste ore è impressionante. Tre o quattro bambini giocano
con una mansueta pecorella sotto la mia finestra, facendo centinaia di
graziosi gruppi e figure; le due vedove canticchiano debolmente al
suono della chitarra; tutto il resto di Antrodoco sembra sprofondato nel
sonno. Verso sera la magnificenza del passo, che è sopra il paese, è
maggiore; tranne che nelle opere di Tiziano o Giorgione, raramente si
possono vedere tali sfumature di rosso purpureo, azzurro e oro, come
quelle che rivestono queste alte colline in un tramonto italiano.
Decisi di andare l'indomani col seguito dell'Intendente a Tagliacozzo
(sebbene la mia prima intenzione fosse stata di tornare ad Aquila)
poichè pensai che, con questo programma, avrei potuto vedere molto
più persone. Così mi congedai dal barone Caccianini e, dopo aver
pagato per il mio alloggio da Bagnante, mi ritirai a riposare; ma per
metà della nottata fui svegliato ogni quarto d'ora dalla domanda:
Eccellenza, a che ora vuole alzarsi ? di uno scocciatore, un vecchio
domestico del Segretario, le cui ossequiose attenzioni mi avevano
soffocato durante tutto il soggiorno. Permettete! Scusate! Eccellenza! erano continuamente sulla sua bocca; ma non ti rendeva alcun servizio.
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 66/79
16 agosto 1843. - Poichè s'era stabilito di partire un'ora prima del sorgere del sole, ci adunammo nel luogo del mercato all'ora fissata; ciononostante,
due ore dopo che il sole s'era levato completamente, non eravamo ancora pronti. Grande era il fracasso nella stretta via dove l'Intendente era
alloggiato: la sistemazione del suo bagaglio, il continuo rabbonire o minacciare muli testardi e cavalli nervosi, la raccolta di tutto il seguito di
domestici di Sua Eccellenza, il caffè tutti insieme all'ultimo momento e gli interminabili addii degli spettatori Antrodochesi.
Quante selle si dovettero poi invertire, ponendole nel giusto verso sulla groppa di chi le portava! Quanta corda fu necessaria per fissare le parti
malferme del bagaglio! E quante volte tutti i cavalli, i muli, gli asini, le valigie, gli staffieri, le guide, gli spettatori furono coinvolti nella più selvaggia
baraonda dall'improvvisa impennata di uno o due quadrupedi imbizzarriti! Questi sono fatti che possono essere capiti solo da chi ha soggiornato in
Italia. Alla fine fummo pronti: il Segretario e il Giudice su muli dall'aspetto molto trasandato; il cuoco e tutti i familiari di sesso maschile, con
l'elaboratissimo accompagnamento di cibo e di utensili, su cavalcature di ogni genere; il Maestro di cavalleria con uno staffiere in sella, che
conduceva il cavallo grigio del Principe Giardinelli, e altri due su piccole bestie tanto brutte quanto indemoniate (senza coda e con occhi un bel po'
fuori dalle orbite), nobilitate col nome di cavallini della Pomerania e riservati a Donna Caterina. Quanto a me, avevo un cavallo nero molto decoroso,
con una sella scomodissima, le cui staffe cedettero nel giro di un quarto d'ora, rotolando senza speranza giù in un burrone. Dietro venivano i
gend'armes con le guide e i muli col bagaglio. Una cavalcata molto pittoresca la nostra, sebbene l'equipaggiamento mancasse di quella necessaria
dignità, che è lecito aspettarsi dal seguito di un governatore.
Procedemmo lentamente a zig-zag, su verso il passo, fino a Rocca di Corno, dove ci fermammo per circa un'ora (ma per quale scopo, non ebbi la più
pallida idea); in seguito, dopo aver proseguito per due o tre miglia sulla via per Aquila, piegammo su una mulattiera che conduceva a destra.
Nell'ultima parte del nostro cammino avevamo variato il lento incedere del nostro viaggio con il trotto o il piccolo galoppo su una buona via maestra;
ma, come cominciammo a scalare un'aspra e ripida montagna, pian piano ci rimettemmo in fila al passo, ad eccezione di quei maledetti cavallini
Pomerani, che erano particolarmente svelti sia nello scalare i sentieri rocciosi che a tirare calci a profusione verso tutti quelli che sorpassavano. Ci
sorbimmo un po' dell'accecante caldura del giorno per conquistare faticosamente questa montagna e, quando ci riuscimmo (ad eccezione di una
fugace apparizione della catena del Gran Sasso, simile ad una muraglia), non ci fu niente che ci ripagasse della nostra sfacchinata: una lunga e
monotona distesa di terreno irregolare, e nessun luogo attraente degno di ricordo. A mezzogiorno ci fermammo per il riposo e il pasto in una tenuta
(cioè riparo per il bestiame) in rovina.
C'è sempre da divertirsi molto in un'eccitante e disordinata spedizione di questo tipo. L'eccellente montone freddo, il pane e gli agli non furono certo
meno buoni per il fatto che li mangiavamo sul piano di un barile e seduti sul tronco di un albero. Il nostro vino, ahimè!, era quell'infame vino cotto,
allo stesso tempo disgustoso e malsano; infatti, per poco che ne bevvi, dal momento che non c'era acqua, la pagai cara con un bel mal di testa.
Ripartimmo nel pomeriggio, mentre la maggior parte della compagnia si lamentava amaramente per la fatica e non partecipava minimamente al mio
entusiasmo per la bellezza delle vedute, che, scendendo, si aprivano su pianure dorate, racchiuse tra meravigliosi boschi di querce, che si stendevano
da ogni lato ai piedi delle magnifiche montagne Marsicane; eravamo infatti entrati nell'antico territorio dei Marsi.
La nostra via si snodava attraverso uno di questi boschi sotto il caratteristico paese di Corbara del Conte; lasciando a distanza, alla nostra destra,
Torano, le cui torri risplendevano al tramontare del sole, ci dirigemmo verso Sant'Anatolia, un paesino che si presentava pulito, dove dovevamo
passare la notte. Tutta questa parte degli Abruzzi abbonda di antichissime vestigia, e gli studiosi fissano in queste valli l'ubicazione di molti
insediamenti degli aborigeni d'Italia. Anche la storia dei Sicoli del Martelli dà molte informazioni in merito, se si ha il coraggio di setacciare queste
notizie dai suoi due volumi, pieni di elaborate ricerche di scarsa importanza.
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 67/79
Parte della compagnia, ed io con essa, cavalcò avanti per annunciare il nostro arrivo e per sollecitare a riceverci gli ospiti che non ci aspettavano;
ma, poichè tutti i Don e le Donne Placidi (le persone più importanti del luogo) erano fuori per una passeggiata, non ottenemmo nulla col nostro
affrettarci, e dovemmo attendere un bel po' in mezzo alla strada. Quanto a me, caddi in un sonno ristoratore; quando mi svegliai, il resto della nostra
carovana, giunto in uno stato di grande spossatezza, era occupata a bere acqua fredda con liquore di anice, servito da una varietà di cortesi
vecchiette, senza scarpe e senza calze.
Subito dopo arrivò la famiglia Placidi: un gruppo molto singolare, composto da una venerabilissima vecchia signora di 98 anni, con i lunghi capelli
bianchi sciolti sulle spalle, e da due figli, entrambi sui settanta e, in apparenza, vecchi come la loro madre, che li chiamava fanciulli miei e figliuolini.
Da questa buona gente fummo accompagnati al Palazzo Placidi, una casa enorme, irregolare e antica; le stanze degli ospiti erano sporche e scure,
piene di vecchi mobili sistemati tutt'intorno alle pareti, divani di damasco, sedie di cuoio e tavole dalle gambe dorate; ma tutto sembrava che non
fosse stato più usato fin dal tempo dei primi re Sicoli, i cui nomi D. F. Martelli cita diligentemente in una lista da Sem in poi. Il vuoto nelle stanze di
questi palazzi, l'assenza di libri, di lavori ad ago, di un qualunque segno di occupazione mentale, così costante nelle nostre case, lo si nota sempre e
suscita nel nostro animo inglese un'impressione di freddo disagio, tutt'altro che piacevole.
S.Anatolia nel 1894 - dettaglio - Fotografia di Albert Schaff - L'originale è nella casa della famiglia Placidi
Niente, tuttavia, avrebbe potuto essere più accogliente e ben fornito della tavola da pranzo, che con piacere raggiungemmo. Donna Serafina de'
Placidi era una meravigliosa vecchia signora, in pieno possesso di tutte le sue facoltà, e, mentre conversava, lavorava alacremente a maglia. Una
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 68/79
camera dall'aspetto disordinato mi fu mostrata per la notte; conteneva un largo letto con velluto cremisi tutt'intorno, tanto da poter bastare per tre
letti di quel genere; preferii riposarvi sopra, avvolto nel mio mantello, visto che la sua comodità e il suo decoro erano del tutto esteriori.
17 agosto 1843. - Ci alzammo presto. Prima che fosse giorno riprendemmo la nostra via senza caffè, circostanza insolita in Italia, dove, benchè
nessuno mangi prima del giorno inoltrato, la mattutina tazza di caffè viene raramente dimenticata. Dopo aver visitato la cappella di Sant'Anatolia, la
nostra cavalcata si trascinò per una o due ore in mezzo alla piacevole frescura dei boschi. Superato il paese di San Donato, scendemmo verso
Tagliacozzo ...
[estratto da: Edward Lear - Viaggio nei tre Abruzzi - pag. 67-70 - Biblioteca comunale di Rieti]
Popolazione nel 1851
Nel censimento del Regno di Napoli fatto il 1 gennaio del 1851, la popolazione nella Provincia dell'Abruzzo Ulteriore Secondo, della quale capoluogo
era L'Aquila, era di 329.131 abitanti. La media rispetto al territorio era di 273 abitanti per miglio quadrato. La provincia era suddivisa in quattro
distretti e cioè il distretto dell'Aquila, di Sulmona, di Avezzano e di Città Ducale. I distretti a loro volta erano suddivisi in 32 circondarii e questi in 124
comuni centrali e 141 comuni riuniti. A loro volta i comuni erano divisi in villaggi. Il Circondario di Borgocollefegato, facente parte del distretto di
Città Ducale, raccoglieva nella propria giurisdizione sia il proprio comune che quello di Pescorocchiano. Le frazioni facenti parte del Comune di
Borgocollefegato erano: Borgocollefegato, Castelmenardo, Torano, S.Anatolia, Corvaro, Spedino e Poggio di valle. Quelle facenti parte del Comune di
Pescorocchiano erano: Pescorocchiano, Leofreni, Tonnicoda, Torre di Taglio, Poggio S.Giovanni, Girgenti, Macchiatimone e Roccaberardi. L'intero
distretto di Città Ducale era popolato da 56.680 abitanti. Infine, la popolazione del Circondario di Borgocollefegato, che rientravano nella giurisdizione
religiosa della Diocesi di Rieti (Stato Pontificio), era ripartita secondo la seguente tabella:
1 gennaio 1851 - Censimento del circondario di Borgocollefegato - 8.285 abitanti
Borgocollefegato
858
Pescorocchiano
1066
Castelmenardo
732
Leofreni
372
Torano
599
Tonnicoda
388
S.Anatolia
572
Torre di Taglio
728
Poggio S.Giovanni
247
Corvaro
1171
Spedino
187
Girgenti
346
Poggio di valle
138
Macchiatimone e Roccaberardi
881
Comune di Borgocollefegato
4.257
Comune di Pescorocchiano
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 69/79
4.028
Carta topografica del 1853 dell'Abruzzo Ulteriore II
Con dettaglio del numero degli abitanti per singola frazione e comune
Particolare della zona nei dintorni di S.Anatolia
Il brigantaggio
Gli anni posteriori al 1860 furono molto travagliati per il nostro Cicolano. La conquista del regno di Napoli da parte dei Savoia dette origine ad una
reazione fra chi, ancora nostalgico verso il vecchio regno, rimase fedele al re Francesco II di Borbone e chi, per motivi di interesse verso lo Stato
Pontificio, tentò di rimettere sul trono il vecchio re consapevole di essere il prossimo obiettivo di conquista piemontese. La reazione inizialmente
politica e militare ebbe culmine nel fenomeno del brigantaggio che fu favorito soprattutto nelle nostre contrade dal territorio montagnoso e poco
accessibile e dalla posizione geografica quale zona di confine con l'ancora non annesso Stato Pontificio.
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Lo Stato Pontificio ed a sua volta una gran parte del clero offrì rifugio e assistenza alle bande di briganti che, considerate come eroiche squadre
militari, venivano premiate ed incitate nelle loro azioni. Anche il Re Francesco dopo la conquista del regno si rifugiò nello Stato Pontificio e spesso
invitava, nella sua dimora a Roma, i capo-briganti offrendo aiuti in armi e denaro, incitandoli alla rivolta contro i piemontesi (1).
Già nel 1861 una squadra di reazionari borbonici di parvenza militare comandata dagli zingari Fiore e Nicola di Giorgio di Pescorocchiano, dopo esser
passati per Villecollefegato e Torano, per disarmare i paesi e comporre una truppa in favore del re Francesco Borbone, erano giunti il 15 gennaio alle h.
3:00 di notte a suon di tamburo alla volta di S. Anatolia. Lì avevano tolto a Ferdinando Scafati, a Costantino Placidi e ad Alessandro Panei i fucili che
possedevano aggregando alla loro truppa Angelo Passalacqua e dirigendosi poi verso Tagliacozzo. Nella casa di Alessandro Panei essi ebbero anche da
mangiare e da bere (2).
Il giorno seguente un'altra squadra comandata da Ascenzo Napoleone di Corvaro giunse a Borgocollefegato dove sostò fino al giorno seguente. Il 18
gennaio effettuarono il disarmo di Spedino e nello stesso giorno circa in quindici entrarono in S. Anatolia dove si presentarono a Ferdinando Scafati,
cassiere comunale di Borgocollefegato, per sapere quali somme fossero nelle casse comunali. Questi rispose che nelle casse comunali non vi erano
denari visto che nessun contribuente adempiva al proprio dovere a causa degli sconvolgimenti reazionari ma Ascenzo Napoleone volle comunque che
gli fossero consegnati 30 ducati per far fronte alle urgenze di massa. Lo Scafati si recò da Costantino Placidi per chiedergli i trenta ducati ma questi non
li volle prestare ed allora Ascenzo Napoleone si dovette accontentare di quattro ducati per i quali rilasciò formale ricevuta (3): Dichiarò io qui sotto
scritto di aver riceuto docati quattro dalle sig. Fiore Scafati - lì 18 gennajo 1861 - Santa Anatolia - Il commandante delle truppe a massa Ascenzo
Napoleone (4)
In seguito, sopraggiunto il resto della squadra di circa duecento individui, Ascenzo Napoleone seppe che Ferdinando Scafati aveva incassati, il giorno
precedente, 150 ducati per un cespite comunale. Allora egli assumendo un'aria molto truce pretese altri 100 ducati che lo Scafati, sotto minaccia di
fucilazione, dovette farsi prestare da Costantino Placidi (5): Dichiaro io qui sotto scritto di avere riceuto la somma di docati cento dal signore Fiore
Scafati nella qualità di casiere comunale di questo comune di Bolgo Collefecato, i quali docati cento servono per pacare la reggia massa - S. Anatolia
li 18 gennajo 1861 - Il commandante della reggia massa di Francesco secondo Ascenzo Napoleone (6). In seguito una parte della squadra passò in casa
di Alessandro Panei che dovette consegnare un fucile e la somma di 50 piastre (7).
Nel febbraio del 1861 le truppe piemontesi giunsero nel Cicolano per reprimere la reazione e già nel marzo dello stesso anno le fucilazioni ed il carcere
avevano definitivamente sbandato le piccole truppe borboniche e Ascenzo Napoleone, arrestato la notte del 19 marzo 1861 presso Civitella di Nesce,
venne fucilato due giorni dopo (8). Ad aprile del 1861 la reazione ormai repressa si era trasformata definitivamente in brigantaggio. Non era più una
guerra di carattere militare ma poteva forse assomigliare ad una guerriglia dall'apparenza partigiana.
La banda di Cartore
La maggior parte dei briganti nel periodo invernale, cioè dai primi di novembre fino alla fine di aprile, rimanevano ospiti nello Stato Pontificio
occupandosi di lavori campestri o di pastorizia ma, quando giungeva la primavera, col clima meno rigido e con la possibilità di nascondersi meglio nei
boschi ricoperti di foglie, tornavano in piccole bande nel nostro Cicolano per sfrenarsi in ogni tipo di violenza soprattutto contro quelli che erano
ritenuti fautori del nuovo regime (9).
Roberto Tupone - Sant'Anatolia, Cartore e dintorni - Parte I: Storia - Pag. 71/79
Le montagne della Duchessa erano, nei nostri dintorni, sede di rifugio di alcune bande di briganti. C'era una banda in particolare detta banda di
Cartora che scorrazzava sulle nostre montagne; essa era composta da venti o trenta individui e fra essi si distinguevano i briganti Baldassarre Federici
e Giuseppe e Gaetano Luce di S. Anatolia ed altri sette provenienti dai paesi subito intorno: Michele e Berardino Pietropaoli, Stefano Casagrande e
Domenico De Felice di Poggiovalle, Carmine Marcelli di Grotti, Fiore Salvatore di Torano e Giuseppe Nicolai di Rosciolo (10).
In quel tempo i più influenti personaggi di S. Anatolia erano l'abate parroco don Costantino Placidi nato il 6 aprile 1817, figlio di Nicodemo,
appartenente alla famiglia più ricca del paese e Alessandro Panei nato il 1 luglio 1808, figlio di Giuseppe, anch'egli molto ricco e apparentato con i
sacerdoti del paese.
La notte del 18 maggio 1863, nel molino del barone Francesco Antonini presso Torano, sei o sette briganti della banda di Cartore sequestrarono
Alessandro Panei, lo condussero sulla montagna della Duchessa ed andarono a chiedere alla sua famiglia un pesante riscatto in denaro. Questi si
affrettarono a consegnare ai briganti una somma di circa tremila lire che i briganti accettarono ma, nonostante questo, invece di essere lasciato libero,
Alessandro Panei fu torturato, legato ad un faggio ed infine bruciato vivo. Il primo giugno di quell'anno il suo cadavere quasi irriconoscibile fu
ritrovato sulla montagna Duchessa nella valle Giaccio della Capra tra il Colle Cardito e Fonte della Vena (11).
La notte fra il 7 e l'8 giugno 1863 circa trenta briganti della stessa banda di Cartore riuscirono a penetrare nel palazzo dei signori Placidi dove si
trovava il sacerdote don Costantino. Dopo aver saccheggiato il palazzo ed aver rubato tutto ciò che sembrava avere un certo valore, i briganti presero la
strada che conduceva verso Rosciolo tenendo sequestrato il parroco con i suoi due garzoni. I tre vennero rilasciati dopo poche ore con la promessa che,
entro 24 ore, il Placidi avrebbe spedito ai briganti mille ducati e non avrebbe fatto denuncia del sacco sofferto. Costantino si rifugiò a Luco de' Marsi.
Sembra che egli inizialmente cercò di mantenere la promessa fatta ma pare che la persona incaricata della consegna della somma richiesta non riuscì a
ritrovare i briganti poichè questi si erano spostati in altro luogo. In seguito dopo una lunga trattativa con i briganti non andata in porto don Costantino
Placidi venne punito per la mancata promessa con l'uccisione di circa 15 buoi. (12)
I briganti di S. Anatolia
Giuseppe e Berardino Luce erano figli di Gaetano e Maria Peduzzi. La loro era una famiglia numerosa composta dai genitori Gaetano e Maria, da sette
figlie femmine e da quattro maschi. La famiglia era agiata, possedevano terreni che coltivavano con profitto, greggi di pecore e presumibilmente anche
mucche. Le donne tessevano la canapa ed il lino, che coltivavano nei loro campi e che "raffinavano" nel fiume Salto. Avevano cantine piene di
formaggi, grano, granturco e vino.
Siamo nel Regno di Napoli attorno al 1861, i due giovani della famiglia, avevano già fatto due anni di servizio militare sotto i Borboni. Dopo l'unità
d'Italia, il nuovo governo li richiamò alle armi. Come si può immaginare essi non ne furono affatto felici essendo fedeli ai Borboni per i quali avevano
combattuto. Non avendo nessuna intenzione di riconoscere il nuovo governo Savoia, come molti altri nella loro situazione, si diedero alla macchia.
La storia di Bernardino Luce fu breve e tragica. Era nato a S.Anatolia il 4 marzo del 1843 e morì nello stesso giorno in cui decise di darsi alla macchia
alla giovane età di circa 18 anni. Si stava dirigendo verso Rosciolo insieme ad un gruppo di altri ragazzi come lui, passando per Valle Maiura (Valle
Maggiore) che poi sarebbe la strada che si dirige verso la fonte Valoce. Verso mezzogiorno, assetati ed affamati (si era nel periodo estivo), videro una
capanna di pastori e pensarono di fermarsi per rifocillarsi e riposarsi.
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Erano tranquilli, sia perchè si conoscevano tutti, che perchè era il primo giorno della loro latitanza e non pensavano di doversi preoccupare più di tanto,
inoltre erano giovani e incoscienti. Si avvicinarono, dunque, ridendo e scherzando, ma improvvisamente, dalla capanna uscirono dei gendarmi armati
che senza profferire parola, puntarono loro addosso i fucili e fecero fuoco. I ragazzi non ebbero neanche il tempo di reagire e, d'altronde, non avrebbero
potuto perchè erano disarmati. Qualcuno morì, Bernardino fu ferito gravemente. I soldati (forse carabinieri) lo presero e lo caricarono di traverso, come
un sacco, sul dorso di un asino e si diressero verso Sant'Anatolia. Bernardino mancato e sfortunato, soffriva talmente tanto sul dorso di quell'asino che
non potendone più disse ai gendarmi: "O me cambiete posizione o m'accidete!". A quel punto uno dei gendarmi, senza pensarci un attimo, fece fuoco,
mettendo fine alle sue sofferenze! (13)
Giuseppe Luce era nato a S. Anatolia il 20 ottobre del 1840. Era "giusto di statura, colore cretaceo, poca barba". Era stato soldato sbandato
dell'esercito borbonico fin dall'anno 1860. Si dette al brigantaggio per non passare all'esercito italiano (14). Nell'ottobre del 1860 era sottocapo delle
truppe reazionarie comandate da Ascenzo Napoleone (15) e il 18 gennaio del 1861 faceva probabilmente parte delle truppe di quest'ultimo
partecipando forse alla raccolta dei denari e delle armi anche a S. Anatolia. Nell'estate del 1862 era uno dei componenti della banda di Cartore
composta da Michele e Berardino Pietropaoli di Poggiovalle, Stefano Casagrande anch'egli di Poggiovalle, Carmine Marcelli di Grotti ed altri (16).
Nella notte fra il 9 e il 10 settembre di quell'anno insieme ad altri venti briganti giunse a Pagliara presso Castelmenardo dove partecipò al saccheggio
delle case dei fratelli Domenico e Giuseppe Chiarelli e al furto di trenta piastre commesso contro Franco Pozone fu Marco "bettoliere" (17).
Nell'ottobre dello stesso anno, come buona parte dei briganti, si rifugiò nello Stato Pontificio (18). Nel maggio del 1863 Giuseppe Luce tornò nel
Cicolano aggregato alla banda Colajuda ma, mentre la banda transitava per la montagna di Valdevarri, si unì alla banda di Pietropaoli che poi era
sempre la comitiva che scorrazzava sul monte di Cartora.
La notte del 18 maggio, insieme ad altri sei o sette briganti, partecipò al rapimento ed all'uccisione di Alessandro Panei. Dai documenti ufficiali sembra
che i veri assassini del Panei fossero stati oltre al Luce, Fiore Salvatore di Torano, Giuseppe Nicolai di Rosciolo ed Albino Ruscitti di Castelnuovo
(19).
La storia orale tramandata dai vecchi di S.Anatolia ricorda questi fatti in maniera un po' diversa dalla versione ufficiale riportata nel paragrafo
precedente. Pare infatti che nel gruppo dei briganti della banda di Cartore, ce n'era uno che si chiamava Baldassarre Federici ( "parente de quissi de
Mazzucchittu"). I briganti, rapito Alessandro Panei, lo portarono nel loro covo sulla Montagna della Duchessa. Un giorno Baldassarre dovette
assentarsi per sbrigare vari affari. In sua assenza, Giuseppe Luce insieme agli altri, presi da timore e rimorso (forse anche perchè il prigioniero aveva
promesso loro qualcosa), decisero di liberare il prigioniero e lo stavano riaccompagnando giù, attraverso la val di Fua (Fiui) quando, a metà strada,
incontrarono Baldassarre che risaliva verso il loro covo.
Vedendo Don Alessandro Panei in mezzo ai briganti disse: "Do ju portete quissu?!!" (dove lo portate questo?). Giuseppe ripose: "Eh, ju seme liberatu,
è meglie!" (eh, lo abbiamo liberato, è meglio!). Baldassarre, allora, li guardò torvo e disse: "Camminate, reggiratevi e reportateju arrete. Quissu,
appena arriva abballe, ci manna subbitu i carabbinieri e ci fannu fore tutti" (Camminate, rigiratevi e riportatelo indietro. Questo, appena arriva alla
valle, ci manda subito i carabinieri che ci fanno fuori tutti). Così lo riportarono indietro e poi fu ucciso in quella maniera orribile (20).
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Carta dell'Istituto Geografico Militare - Allegata alla "Guida dell'Abruzzo" di Enrico Abate - edizione Roma 1903
Narra la tradizione che in seguito il brigante Baldassarre, dopo aver passato un lungo periodo lontano dalle nostre contrade, tornò di nascosto a S.
Anatolia per ritrovare i suoi parenti. Era inverno e la terra era ricoperta di neve. Il brigante si nascose in una grotta nei pressi delle Case Vecchie dove
venne accolto dai familiari. Fu fatta la spia ad Antonio, il figlio di Alessandro Panei, che, con un fucile in mano, si avviò verso la grotta per vendicarsi.
Quando il brigante Baldassarre vide il Panei, lo salutò dicendo: Come sta sor'Anto? - E questi gli rispose: Lo sai solo tu!!! - e gli sparò uccidendolo
(21). Baldassarre Federici era figlio di Giovanni e Anna Siena Luce ed era nato il 18 aprile del 1824.
Nella notte fra il 30 e 31 maggio 1863 la banda Pietropaoli, di cui faceva parte Giuseppe Luce, rubò nella casa di Francesco Silvi di Alzano poi, in
Collemaggiore, sequestrò le armi a quattro elementi delle guardie nazionali piemontesi e infine, dopo averlo derubato, rapì il parroco Alessandro De
Sanctis. Il parroco venne rilasciato il 1 giugno dopo aver sborsato trecento ducati di riscatto. Nel pomeriggio del 31 maggio, nella zona S. Francesco
Vecchio (presso Corvaro), la stessa banda penetrò nel casolare di Carlo Musier e nella vicina casa rurale di Niccola Romano rubando dal primo del
pane, olio e sale e dal secondo una bottiglia di olio per mangiare (22).
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La notte fra il 7 e l'8 giugno del 1863, sempre insieme alla banda Pietropaoli di Poggiovalle, composta in quella occasione di circa trenta individui,
Giuseppe Luce partecipò al sacco del palazzo di don Costantino Placidi parroco di S. Anatolia.
Nel mese di luglio la repressione militare verso le bande brigantesche divenne molto più efficace. Il 2 luglio si costituì ai granatieri distaccati a
Borgocollefegato il brigante Domenico di Cesare. Il 5 luglio venne arrestata sulla montagne di Poggiovalle Angela Pietropaoli moglie del brigante
Stefano Casagrande. Il 6 luglio dopo uno scontro a fuoco quest'ultimo venne arrestato insieme al piccolo brigante Domenico De Felice tredicenne;
Stefano Casagrande venne fucilato lo stesso giorno. Fra il 14 e il 17 luglio altri tre briganti della stessa banda si costituirono alle forze militari. Il 20
luglio, in un conflitto a fuoco con il distaccamento di granatieri di Borgo-collefegato, sulla montagna di Poggiovalle, fu ucciso il capo banda Michele
Pietropaoli (23).
Il 22 luglio, alla morte di questi, il fratello Berardino e l'amico Carmine Marcelli delle Grotti si costituirono nel paese di Pace a Vincenzo de Felice
sottoprefetto del Circondario di Cittaducale (24). Vedendo la gravità della situazione, sul finire del luglio 1863, Giuseppe Luce, Albino Ruscitti di
Castelnuovo, Giuseppe Nicolai di Rosciolo e Ferdinando Salvatore detto Fiore di Torano, si rifugiarono nello Stato Pontificio dove rimasero per circa
un anno.
Il 26 aprile del 1864 Giuseppe Luce ed Albino Ruscitti che si trovavano a Roma s'incamminarono sulla via Valeria Tiburtina diretti verso le loro terre
natie. Albino Ruscitti in seguito raccontò: "Partii da Roma domenica ultima di mattino, e, passando per Tivoli, giunsi con Giuseppe Luce al confine
presso Verrecchie sul far della sera, e continuando sempre pe' monti, scendemmo per le pianure di Scurcola, giungendo alle ore sei della stessa notte a
Castelnuovo" (25). Giuseppe ed Albino presero alloggio a Castelnuovo in casa del compare di quest'ultimo Angelo De Andreis e lì, probabilmente
seguiti o spiati, vennero catturati ed arrestati.
Con sentenza del 15 ottobre 1865 Giuseppe Luce fu condannato alla pena dei lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti politici e alla interdizione
patrimoniale, solidamente alle spese del procedimento a favore dell'erario dello Stato e alle indennità dovute alle parti lese (26). I suoi amici briganti
più intimi ebbero quasi la stessa sorte: Albino Ruscitti fu condannato a dodici anni di carcere, Ferdinando Salvatore ai lavori forzati a vita (27) e
Giuseppe Nicolai, arrestato nel dicembre del 1870, venne condannato a 25 anni di lavori forzati (28).
Le ritorsioni per la famiglia di Giuseppe furono durissime. Tutti i loro beni furono confiscati. Si racconta anche che i carabinieri, o chi per loro,
prendessero tutti i rotoli di tela tessuti dalle sorelle di Giuseppe e li sfettucciassero con le baionette, riducendoli a brandelli e facendoli rotolare lungo la
strada insieme alle pezze di formaggio.
I genitori di Giuseppe, Gaetano Luce e Maria Peduzzi, vennero considerati fuori legge e briganti, anche perchè presero certamente le parti di Giuseppe
coprendolo ed aiutandolo. Maria Peduzzi, la chiamavano la Brigantessa. Era figlia di Beniamino e Caterina Spera ed era nata a Sant'Anatolia il 6
novembre del 1814. Si racconta che avesse lunghe trecce di capelli corvini. Una volta, per sfuggire alla cattura da parte dei carabinieri, ella si infilò nel
letto insieme alle sue figlie ed i carabinieri, pensando che fosse una delle ragazze, la lasciarono andare. Poi, però, fu presa ed imprigionata nell'Isola del
Giglio ma fu rilasciata dopo poco tempo.
Anche Giuseppe venne imprigionato nell'isola del Giglio e da lì scrisse delle bellissime lettere alla famiglia ridotta in povertà. Dopo qualche anno ci fu
una amnistia, probabilmente per la nascita di una figlia del Re d'Italia, e Giuseppe scrisse felice alla madre, contento perchè di lì a poco sarebbe tornato
a casa.
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Era allora sindaco di Santa Anatolia un certo Luce forse di nome Alfonso. La moglie di costui venne a conoscenza del fatto che con l'amnistia
Giuseppe sarebbe stato liberato e andò dalla famiglia Panei dicendo loro: "Le sapete, mo liberanu Giuseppo Luce! (disse proprio Giuseppo, perchè non
era originaria di Santa Anatolia).
I Panei si dettero subito da fare per impedirne la liberazione e misero in moto tutte le loro conoscenze, motivati dalla paura che se liberato Giuseppe si
sarebbe poi vendicato. A Giuseppe fu negata la libertà ed il colpo fu talmente duro per il poveretto che si ammalò e di lì a breve morì di crepacuore
(29).
La famiglia di Gaetano Luce e Maria Peduzzi
Beniamino Peduzzi
Caterina Spera
1790
1784
|_____________ _____________|
|________________ ____________|
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Gaetano Luce
Maria Peduzzi
1811-1878
1814-1897
|______________________________________________________________|
______________________________________________________||________________________________________________________
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Loreta
Caterina
Pasquale
Domenica
Giuseppe
Bernardino
Antonia Annunziata Angela
Giacomo
Carolina
18531834-1899 1836-1907
Rosa 1838
1840
1843-ca 1861
1846
1848
1850
1853-1893 1858-1888
1885
Pasquale Luce
Ascenza D'Orazio
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La famiglia di Baldassarre Federici e Antonia Peduzzi
Giovanni Federici
1792-1879
|____________
Anna Siena Luce
1794-1832
____________|
Beniamino Peduzzi
Caterina Spera
1790
1784
|____________ ____________|
|
|
Baldassarre Federici
Antonia Peduzzi
1824-1875
1823-1902
|__________________________ __________________________|
______________________________________________|_____________________________________________
|
|
|
|
|
Anna
Bernardina
Anna Siena
Pasquale
Ascenza
1852
1855
1859
1861
1863
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Note
1. Le notizie sul brigantaggio sono state prese da: Lugini Domenico Memorie storiche della regione Equicola, ora Cicolano Rieti 1907 e Luciano
Sarego Reazione e brigantaggio nel Cicolano (1860-1867) Rieti 1976.
2. L. Sarego pag. 76 - 77
3. L. Sarego pag. 75 - 76
4. L. Sarego pag. 101
5. L. Sarego pag. 76 - D. Lugini pag. 378
6. L. Sarego pag. 101
7. L. Sarego pag. 76
8. L. Sarego pag. 91-92 nota 25 - D. Lugini pag. 390
9. D. Lugini pag. 395
10.L. Sarego pag. 37-39
11.L. Sarego pag. 116 - D. Lugini pag. 403
12.L. Sarego pag. 117 - D. Lugini pag. 403 - Per altre notizie vedi:Appendice I - Le famiglie Spera e Luce - piccole storie a S. Anatolia D'Ascenzo Maria e Piccinelli Pietrantonio
13.Appendice II - Racconti e tradizioni orali - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero
14.L. Sarego pag. 184
15.D. Lugini pag. 371 e 476: "nell'ottobre 1860 bande di patrioti nel Cicolano avevano formato un piccolo esercito con quartier generale a
Fiamignano, con capi e vari sottocapi (in tutto circa 2000 individui): " Era sottocapo ... Giuseppe Luce per Sant'Anatolia..."
16.L. Sarego pag. 133 n. 19
17.L. Sarego pag. 115
18.L. Sarego pag. 184
19.L. Sarego pag. 116 - 136 n. 37 - 184
20.Appendice II - Racconti e tradizioni orali - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero
21.Da un racconto di Angelo Amanzi figlio di Ercole e Candida Fracassi
22.L. Sarego pag. 117 - 139 n. 41-50
23.L. Sarego pag. 117 - 118
24.L. Sarego pag. 118
25.L. Sarego pag. 200 n. 42
26.L. Sarego pag. 184 - 185
27.L. Sarego pag. 185
28.L. Sarego pag. 174
29.Appendice II - Racconti e tradizioni orali - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero
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