Scarica pdf - SentireAscoltare

Transcription

Scarica pdf - SentireAscoltare
SENTIREA SCOLTARE
online music magazine
OTTOBRE N. 36
DIRTY
PROJECTORS
DOVE MAHLER VA D’ACCORDO
CON I BLACK FLAG
P. J . H a rv e y
Va n D y k e P a rks
J o sé Go n zá l es
Ta lib am!
Super Furry Animals
Derek Bailey
Vert
s Jens
e n t i r e a Lekm
s c o l t a r an
e 1
Oren Am b ar ch i
sommario
4 News
8 The Lights On
José Gon zá les, Sir Ric har d Bis hop,
Talib am!, Wh ite R ainbow
8
1 2 Speciali
Jens Le kma n, Ve r t , Dis c o Dr iv e, Daf t
G en era tion , Oren Am bar c hi, Dir t y Pr ojec t ors, Sup er Furry Anim als , P. J . Har v ey
38 Recensioni
A e so p Ro ck, Amar i, Baby s ham bles ,
B e irut, Fiery Fu rnac es , Digit alis m . . .
1 0 1 Rubriche
(Gi)An t Step s
Cecil Ta ylo r
We Are De mo:
Che ste r Polio , M y M or ning Needle,
32
Desert Mo tel, Far m er Sea. . .
Classic
Van Dyke Pa rks, Pink Floy d, Tr unk
Re co rds
Cinema
I Simp so n, Sicko , Soff io. . .
I cosiddetti conte m p o r a n e i
De rek Baile y
Direttore
Edoardo Bridda
Coordinamento
Teresa Greco
Consulenti alla redazione
Daniele Follero
Stefano Solventi
104
Staff
Valentina Cassano
Antonello Comunale
Antonio Puglia
Hanno collaborato
Gianni Avella, Davide Brace, Filippo Bordignon, Marco
Braggion, Gaspare Caliri, Nicolas Campagnari, Roberto
Canella, Alessandro Grassi, Paolo Grava, Manfredi
Lamartina, Alarico Mantovani, Massimo Padalino, Giulio
Pasquali, Stefano Pifferi, Andrea Provinciali, Stefano Renzi,
Costanza Salvi, Vincenzo Santarcangelo, Giancarlo Turra,
Fabrizio Zampighi, Giuseppe Zucco.
Guida spirituale
Adriano Trauber (1966-2004h)
Grafica
Edoardo Bridda, Valentina Cassano
in copertina
Dirty Projectors
SentireAscoltare online music magazine
Registrazione Trib.BO N° 7590 del 28/10/05
Editore Edoardo Bridda
Direttore responsabile Antonello Comunale
Provider NGI S.p.A.
Copyright © 2007 Edoardo Bridda. Tutti i diritti riservati.
La riproduzione totale o parziale, in qualsiasi forma, su qualsiasi
supporto e con qualsiasi mezzo, è proibita senza autorizzazione
scritta di SentireAscoltare
118
sentireascoltare 3
news
a c u r a d i Te r e s a G r e c o
Robert Wyatt, protagonista del nostro TRANSMISSION di questo mese
e al suo ritorno con l’album Comicopera, si è esibito dal vivo per la
p r i m a v o l t a a d i s t a n z a d i 2 5 a n n i . L’ e v e n t o è a c c a d u t o p r e s s o l a D r i l l
Hall di Lincoln, in Inghilterra; il Nostro è comparso sul palco durante
un concerto del Dylan Howe Quintet, gruppo che promuove ( e il cui
b a t t e r i s t a è i l f i g l i o d i S t e v e H o w e d e g l i Ye s ) p e r c a n t a r e R o u n d M i d n i g h t d i T h e l o n i u s M o n k . L’ a r t i s t a s i è d e t t o m o l t o d i v e r t i t o p e r l ’ e s i b i zione…
Debuttano su Thrill Jockey gli School Of Language, gruppo di David
Brewis dei Field Music; un album (Ships) è in completamento e uscirà
nel 2008…
To r n a n o g l i U n d e r t o n e s , i l g r u p p o p o s t - p u n k p r e f e r i t o d a J o h n P e e l
( Te e n a g e K i k s e r a l a s o n g p r e f e r i t a d a l D J ) : i l g r u p p o n o r d i r l a n d e s e
a p p r o d a a l l a C o o k i n g V i n y l p e r c u i e s c e i l 1 5 o t t o b r e D i g Yo u r s e l f D i p ,
i l p r i m o d a l l a r e u n i o n d e l 2 0 0 3 c o n G e t W h a t Yo u N e e d ( i l g r u p p o s i
era sciolto nel lontano 1983)…
Undertones
La Universal pubblicherà prossimamente in cofanetto due raccolte per
celebrare i 10 anni dei californiani Eels; Meet The Ells: Essential Eels
Vo l . 1 è u n b e s t e u n D V d c o n i l o r o v i d e o , m e n t r e i n U s e l e s s T r i n k e t s
saranno raccolti b-sides e rarità; il tutto sarà accompagnato da un
DVD che testimonia la esibizione del gruppo al Lolappaloza Festival
del 2006; il leader E pubblicherà intanto il primo romanzo, Things The
Granchildren Should Know nel gennaio 2008 in America…
Morto un fan a un concerto degli Smashing Pumpkins: è successo il
2 4 s e t t e m b r e s c o r s o a Va n c o u v e r, p r o b a b i l m e n t e d o p o u n c r o w d s u r f i n g
che è stato fatale a un ventenne. Non sono state ancora rese note le
circostanze esatte in cui è avvenuto il fatto…
Ep in uscita per i White Magic: i quattro pezzi contenuti in Dark Stars
saranno pubblicati il 23 ottobre prossimo su Drag City…
G r o s s e n o v i t à s u S o u t h e r n L o r d . L’ e t i c h e t t a h a i n r a m p a d i l a n cio i nuovi album di due gruppi da segnalare: gli Om, transfughi dalla Holy Mountain, con il nuovo Pilgrimage e i dilatatissim i b l a c k - m e t a l W o l v e s I n T h e T h r o n e R o o m c o n Tw o H u n t e r s …
Nuovo lavoro per lo stakanovista Ninni Morgia. Questa volta in duo
con Massimo (Mego Recs.) uscirà su No Fum Production il lavoro a
nome S.X. Appeal…
George Harrison sarà raccontato in un prossimo documentario del regista americano Martin Scorsese; la moglie del musicista, Olivia, è
stata coinvolta nel progetto come consulente…
4 sentireascoltare
Nuovo album, il quarto, per gli svedesi Hives: The Black And White Album, prodotto da Pharrell Williams, Jacknife Lee (Bloc Party, U2, Editors),
Dennis Herring (Modest Mouse, Elvis Costello) e il prezzemolo Timbaland
uscirà il 15 ottobre…
Album nuovo in uscita il 2 novembre prossimo per i Sigur Rós: Hvarf/Heim
(accompagnato dal DVD Heima con esibizioni live islandesi risalenti all’anno scorso) è pubblicato dalla EMI (in America da XL) e contiene reinterpretazioni di vecchi pezzi e tre inediti…
Nuovo disco anche per i canadesi Picastro: Whore Luck è uscito su Polyvinyl l’11 settembre, con la partecipazione di Jamie Stewart (Xiu Xiu) e
Owen Pallet (alias Final Fantasy, ex- componente del gruppo)…
Andrei W.K. (come coproduttore e arrangiatore) è al lavoro per un nuovo
disco della leggenda reggae Lee “Scratch” Perry che uscirà su Narnak a
metà del prossimo anno, con collaborazioni di altri artisti (fra i quali Aimee
Allen e Ari Up delle Slits) e pezzi originali…
Per gli irriducibili dei Cure, due concerti italiani del loro nuovo 4Tour 208: il
prossimo 29 febbraio 2008 a Roma e il 2 marzo a Milano. Biglietti in vendita
dal 4 ottobre…
La terza reunion dei Sex Pistols (dopo quelle del ’96 e 2003) si terrà il
prossimo 8 novembre alla Brixton Academy a Londra (in formazione originale con Glen Matlock al basso), l’occasione è data dai trent’anni dalla
pubblicazione di Never Mind The Bollocks - che esce in special edition…
The Hives
Si terrà il 26 novembre prossimo alla 02Arena di Londra il live-reunion dei
Led Zeppelin (Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones e Jason Bonham) in onore dello scomparso boss dell’Atlantic Records Ahmet Ertegun.
Ci saranno anche Pete Townshend e Bill Wyman tra gli altri…
Per la serie Don’t Look Back, i Sebadoh - dopo la reunion live della primavera scorsa - rifaranno il classico lo-fi Bubble And Scrape (Sub Pop, 1993)
il prossimo 7 maggio a Londra all’All Tomorrow’s Parties, in formazione
originale (Lou Barlow, Eric Gaffney e Jason Loewenstein) …
Incredibile ma vero: venerdì 21 settembre presso la Fiera di Milano a Rho,
nell’ambito del MEET (manifestazione in corso dal 21 al 24 del mese) e con
la collaborazione del festival MiTo (Milano Torino), la London Sinfonietta
ha eseguito lo spettacolo unico Remembering The Beatles: Sgt. Pepper ’s
And More…, uno speciale tributo con ospiti d’eccezione. Tra i nomi che
hanno preso parte all’evento: Residents, Marianne Faithfull, Jarvis Cocker, Robyn Hitchcock, Russell Mael degli Sparks, Alex Chilton, Peter
Murphy, Beth Orton, Badly Drawn Boy. Ha diretto Jurjen Hempel su arrangiamenti di Matthew Scott…
sentireascoltare 5
news
a c u r a d i Te r e s a G r e c o
I Death Cab For Cutie si apprestano ad entrare in studio per registrare il
successore di Plans (2005), che dovrebbe uscire entro la primavera del
2008…
Il Chrome Dreams II di Neil Young (album in studio inedito che riecheggia
sin dal titolo un lavoro mai pubblicato risalente al 1977, Chrome Dreams,
appunto) di cui abbiamo già dato notizia il mese scorso, uscirà su Reprise
il prossimo 16 ottobre…
L’11 settembre è scomparso a 75 anni Joe Zawinul, compositore e pianista
fondatore dei Weather Report e collaboratore del Miles Davis elettrico…
È in uscita a novembre per Black Dog Publishing il volume No-Wave di
Marc Masters, penna di “The Wire” e titolare del sito Noiseweek (http://noiseweek.blogspot.com/). L’autore propone uno sguardo attento sul fenomeno musicale con tanto di approfondimento dei suoi risvolti cinematografici.
Non resta che attendere una traduzione italiana...
Da YouTube, il video di Peacebone, primo singolo estratto dal controverso
Strawberry Jam degli Animal Collective, uscito il 14 settembre su Domino
/ Self (http://www.youtube.com/watch?v=fxvGHQHiY70)...
Death Cab For Cutie
Gli Einstürzende Neubauten (www.neubauten.org/) tornano dopo 3 anni
dall’ultimo Perpetuum Mobile con Alles Wieder Offen, il nuovo album che
sarà pubblicato in Europa il 19 ottobre prossimo su Potomak / Kizmaiaz…
Primo disco solista uscito il 20 agosto per Susanna Karolina Wallumrød, già
cantante di Susanna And The Magical Orchestra: Sonata Mix Dwarf Cosmos comprende pezzi inediti ed è pubblicato, come per il gruppo madre,
dalla norvegese Rune Grammofon (www.runegrammofon.com)...
La stessa etichetta ha pubblicato il 17 settembre il nuovo dei Supersilent,
8, il primo in studio da cinque anni…
Un album dal vivo per i Daft Punk: Alive 2007 in uscita il prossimo novembre in versione CD unico o doppio più un DVD, mostra il concerto tenuto dal
gruppo a Parigi lo scorso14 luglio…
I Grizzly Bear pubblicheranno un EP il 6 novembre prossimo dal titolo
Friend, con ben 10 pezzi, in attesa del successore di Yellow House dell’anno scorso…
Secondo album per Beirut dopo il debutto con Gulak Orkestar: The Flying
Club Cup esce su 4AD l’8 ottobre…
Da YouTube il video del singolo Seahorse di Devendra Banhart, un ritorno
in pieni anni Settanta dall’ultimo disco Smokey… in uscita il 25 settembre
(http://www.youtube.com/watch?v=sFMIYz0TZ-U)...
6 sentireascoltare
I Deerhoof hanno partecipato alla colonna sonora del film Dedication di
Justin Theroux (Six Feet Under), uscito a fine agosto in America, in cui
sono presenti parecchi loro brani e un inedito composto per l’occasione,
Match book Se eks Man iac. La col onn a son ora è u sci ta l’ 11 se ttemb re , a nche
con Cat Power, The Strokes, Fischerspooner e Lightning Bolt tra gli altri…
A n n u n c i a t e 6 n u o v e u s c i t e p e r i Ta l i b a m ! d i K e v i n S h e a : u n a t r i p l e t t a
di album (Ordination Of The Globetrotting Conscripts su Azul; The
Excusable Earthling su Pendu Sound e Buns And Gutter per la franc e s e G a ff e r ) , u n l i v e s u B l a c k e s t R a i n b o w ( L i v e A t T h e To n i c , N e w
Yo r k ) e u n p a i o d i c a s s e t t e d i c u i u n a p e r l a ! K 7 s e r i e s d e l l a n o s t r a n a
No=Fi…
Ritorno alle origini per Jon Spencer? Sembrerebbe di si, visto che la
In The Red ha in uscita a breve Jukebox Explosion, raccolta dei singoli pubblicati sulla stessa etichetta.
Dopo le numerose date seguite alla reunion dei Jesus And Mary Chain,
arriva ora la notizia confermata di un nuovo disco: ritorneranno infatti
in studio a oltre nove anni dall’ultima volta…
Collaborazione tra Lou Reed e i Killers per un brano di quest’ultimi,
Tr a n q u i l i z e , c h e u s c i r à a f i n e a n n o s u u n a l b u m d i l a t i b e r a r i t à c h e i l
gruppo sta preparando…
Deerhoof
Disco solista per Dave Gahan dei Depeche Mode: Hourglass è pubblicato da Mute-EMI in ottobre…
Come molti sapranno già, è stata finalmente annunciata l’uscita del
settimo album dei Radiohead. Dalla mattina del 1 ottobre, In Rainb o w s è u ff i c i a l m e n t e d i s p o n i b i l e a l p u b b l i c o i n d i v e r s i f o r m a t i , t u t t i a c q u i s t a b i l i e s c l u s i v a m e n t e d a l s i t o u ff i c i a l e ( w w w. r a d i o h e a d . c o m )
della band. Già, perché almeno in questa fase, non c’è nessuna casa
discografica a sostenere il progetto: dopo la fine del contratto con la
Emi, i Radiohead non hanno infatti firmato per nessuna label. Pertanto
il nuovo album verrà inizialmente lanciato come download legalizzato
a partire dal 10 ottobre; l’aspetto più interessante è che non è stato
f i s s a t o u n p r e z z o , m a l ’ o ff e r t a è l a s c i a t a c o m p l e t a m e n t e l i b e r a a l l ’ a c quirente. Dal 3 dicembre in poi, invece, In Rainbows sarà disponibile
- sempre per corrispondenza - in uno speciale Discbox contenente l’album in versione cd e doppio vinile, un cd extra contenente altri 8 brani
inediti, foto digitali e l’artwork, più i booklet con le liriche. Prezzo: 40
sterline (circa 57 euro). La band fa sapere che il cd verrà infine rilasciato nei negozi presumibilmente a inizio 2008; non si sa ancora a chi
v e r r à a ff i d a t a l a d i s t r i b u z i o n e . P e r u l t e r i o r i i n f o s u t r a c k l i s t e d e t t a g l i :
w w w. i n r a i n b o w s . c o m . . .
sentireascoltare 7
The Lights On...
josé gonzáles
Una chitarra e una voce calda, avvolgente, solitaria. Un sentire personale e
intimo che si affaccia sul mondo. Tempo ne è passato da quando un semplice
folksinger poteva scuotere coscienze e
cuori semplicemente con la forza di pochi, genuini accordi. Ora che il muro di
indifferenza e impossibilità è diventato
sempre più alto, che fine ha fatto il menestrello, quella figura tra lo schivo e
il leader che parlava a nome di tutti? È
ancora plausibile fantasticare sulla sua
esistenza? Una risposta non c’è, ma un
dato è certo: il singolare ha rimpiazzato
il plurale. Chiunque abbia l’esigenza di
dire la propria lo fa guardando esclusivamente se stesso allo specchio.
Nessuna comunità alle spalle, nessun
sentimento comune, ma tanti, distanti
interrogativi. Nonostante la strada percorsa oggi sia questa, c’è ancora chi,
di quella esperienza, ha fatto tesoro e
prova a declinarla nel presente. Meno
facile pensare che un simile esempio
possa provenire dalla Svezia, terra di
malinconie tutte private dall’algida essenza (l’universo pop della Labrador).
Eppure José Gonzáles nonostante
mantenga qualcosa di quella glaciale
vena, evidenziata nella ossessiva circolarità degli accordi, nella semplicità nella costruzione delle canzoni, nel
suono così scarno, disadorno, accende
il tutto con le sue origini paterne argentine, con il fuoco della vita che una voce
dalle tonalità passionali e latine tradisce. Credere che abbia mosso i primi
passi in una band ispirata ai Black Flag
e proseguito poi con l’hardcore nei Gothenburg’s Renascence riesce alquanto
improbabile, ma questi passaggi obbligati, seppur contorti, gli hanno dimostrato quanto giocare di sottrazione non
sia poi tanto male. Tutt’altro. Come chi
scopra per la prima volta la propria di-
8 sentireascoltare
scendenza, José si avvicina a quanto
di più tipico e radicato nella sua cultura
latina: la chitarra classica. Da questo
momento in poi la strada del Nostro
sarà tutta in discesa: intraviste le potenzialità di un’artista con una chiara e
ben delineata cifra stilistica, la britannica Peacefrog lo mette sotto contratto, pubblicando l’ep Crosses (Peacefrog, 14 marzo 2005), che traccia con
tre brani su quattro le linee spartane
di quello che sarà il debutto ufficiale.
Tempo un mese e Veneer (Peacefrog,
25 aprile 2005) viene lanciato sul mercato. Un esordio messo in piedi con una
scarna strumentazione (chitarra acustica, percussioni appena accennate, una
luminescente tromba in Broken Arrows),
che punta tutto su un fingerpicking di
estrema delicatezza e precisione (il
desolato profumo di Slow Moves), che
sa animarsi di influenze brasiliane (la
bossa di Remain) e fare di un semplice
hand clapping il suo miglior contraltare
(Lovestain), mostrando tutta la sua originalità nella preziosa Crosses, che allontana Gonzáles dagli altisonanti nomi
a cui è stato subito associato (Drake in
primis, ma anche Elliott Smith, qualcuno ha scomodato addirittura Tim Buckley…) grazie ad un suono carnoso,
che si riempie di tensione e ritmo ad
ogni accordo (Deadweight On Velveteen e All You Deliver). Una voce grave
ma sinuosa a decantare liriche sfumate e immaginifiche, come sfumata è la
società di oggi, poche parole reiterate
in perfetta simbiosi con le note che le
accompagnano. (7.0/10) Un disco che
richiede attenzione e affinità d’animo
per essere compreso e sublimato, che
però è riuscito a valicare i confini del
circuito indie, conquistando il primo posto nelle charts inglesi, con la deliziosa
cover di Heartbeats dei conterranei The
Knife inserita in uno spot televisivo. Un
colpo di marketing ben assestato (non
così deprecabile in questo caso…) che
gli ha permesso di girare il globo, confermando un talento che ha fatto della
Hand On Your Heart di Kylie Minogue
(dall’ep Stay In The Shade, Peacefrog,
15 agosto 2005) un piccolo gioiello per
i non avvezzi alla disco della starlette.
Un anno intenso, il 2005, che vede il
Nostro prestare voce e chitarra nell’ep
Black Refuge (Teme Shet, 2005) dei
Junip (vero e proprio progetto collaterale), trio nel quale il suono del Nostro si
complica di moog e batteria all’insegna
di un pop dall’imprinting sempre folky,
ma senza troppo mordente. Meglio riesce la collaborazione, l’anno successivo, con gli Zero 7, anzi, proprio la presenza di Gonzáles salva in extremis un
album altrimenti trascurabile come The
Garden, che invece sembra donargli o
comunque suggerire aperture intriganti
per il futuro (i delicati innesti elettronici di Future e i tropicalismi sintetici di
Today). Non è, dunque, del tutto fuori
luogo aspettarsi qualcosa di più da In
Our Nature (Imperial / Family Affair, 24
settembre 2007, in spazio recensioni),
un guizzo innovativo che possa colmare
un suono già denso che rischia però di
rimanere un po’ in superficie con il passare del tempo, ma che ad un più attento ascolto sa rilasciare sensazioni tanto
ambigue e confuse quanto reali, e quale
modo migliore per raccontare il presente se non immergendosi completamente
nei sui dilanianti dubbi? Non soluzioni
o canti di rivalsa e incitamenti, come
succedeva a fine Sessanta, ma interrogativi pesanti, sofferti a cui risposta
non c’è, questo il compito del moderno
troubadour e tanto basta per portargli
rispetto e ascolto.
Va l e n t i n a C a s s a n o
The Lights On...
sir richard bishop
Sull’arte dell’improvvisazione molto è
stato scritto. Fondamentale, però, rimane ancora oggi, e a distanza di più
di settant’ anni, un testo scritto da T.
Carl Whitmer. Edito nel 1934, il saggio contiene affermazioni, oggi evidenti per verità e chiarezza, che bene
esemplificano quali siano le modalità
nell’improvvisazione di sempre:
“In generale ci sono due modi di improvvisare. Il primo è per espansione,
il secondo è per forme già stabilite”.
Il saggio uomo non citava (e non
avrebbe potuto farlo, visto che sarebbero state definite solo 30 anni
dopo nell’ambito dell’improvvisazione libera anglosassone) le “composizioni istantanee”, sebbene di fatto
esse siano implicite, per astrazione,
nella summenzionata definizione. Sir
Richard Bishop è divenuto, nell’arco di quasi un decennio, un maestro
nell’arte dell’improvvisazione “per
forme già stabilite”. Dopo esserlo stato - e continuare ad esserlo - dell’improvvisazione tout court (anche di
quella free) in quella anomala, deviante ad ogni classificazione, creatura del deserto che ebbe nome Sun
City Girls. Lui alla chitarra, il fratellino Alan al basso e Charles Gocher
(RIP) a dar giù di tamburi, furono le
glorie sotterranee che da Phoenix,
Arizona, abbracciarono idealmente
le musiche di tutto il Mondo in una
sorta di worldfusion psichedelica
a tinte desertiche. Tanti gli stili che
Richard ha assorbito nel suo modo
unico di suonare lo strumento. E ce
ne accorgemmo bene al suo esordio
solista. Geniale sin dal titolo, Salvador Kalì, l’album esce nel 1998. È
patrocinato dalla Revenant del compianto John Fahey. Riconoscimento
implicito d’un talento alla sei corde
dell’eredità ideale imbracciata dal più
giovane. Burning Caravan apre il disco. Ed è un colpo di genio assoluto. Come se Pepe Romero suonasse
l’Allegro Moderato del Quintetto Per
Chitarra e Archi n°1 In Re Minore
di Luigi Boccherini flirtando, nello
stesso tempo, col suon de la risacca del buon vecchio Dick Dale. Ma
è il valore della composizione in sé
che lascia una traccia duratura. Così
come i nove minuti di musica indianeggiante di Rasheed, o ancora le
“spagnolerie” di Cadaqués. Il flamenco, come radice di certa improvvisazione libera alla 6 corde, passa dal
magistero di Derek Bailey - mediato
forse dalle istanze roots di un Fahey
- alle musiche del nostro Sir. Molto
filmiche, invero. Pedro’s Last Ride ne
testimonia. Superbamente. L’atteso
seguito di cotanta meraviglia si fa attendere. È solo nel 2005, infatti, che
Improvika vede la luce. Maggiormente devoto al fingerpicking faheyano,
il disco palesa meno genio del precedente, addentrandosi però molto
più nel profondo dei suggestivi antri
dell’improvvisazione.
Provenance
Unknown, di fatto, è un tour de force
della chitarra fra temi abbozzati e poi
non rifiniti sui quali le dita di Bishop
arpeggiando allo strumento donando mirabilmente azione e anima alla
“divagazione”stilistica
virtualmente
infinita. Un po’ tutto l’album si muove
così. Ostico, prezioso. Lo strumento,
vale ricordarlo, è una “single string
wooden guitar”, la musica è autodefinita come “1 parte di muscolarità
a la Peckinpah, 2 parti di illuminato
simbolismo jodorowskiano”. Chi ha
orecchie per intendere, intenda.
A partire da questo album, la produzione discografica si infittisce. Ri-
chard incide tanto, ufficialmente e
anche su cd-r. Fingering The Devil
(Latitudes, 2005), ispirato al chitarrismo raga di Jack Rose e di Stephen
Basho-Jugans, torna al virtuosismo
improvvisativo lirico del passato. Almeno in parte, se si tiene fede ad
Abydos, composizione notevolissima per tecnica e maestria esecutiva,
imbevuta d’un pathos colmo d’attese
mai dissoltesi. È la colonna sonora
d’una terra immaginaria, un paradiso
latino e caldo dove dissolvere le allucinazioni desertiche cui c’avevano
abituato i Sun City Girls. I cd della
serie Vault, e soprattutto l’albo All
Strung Out, datano 2006. Il lavoro
prosegue con pervicacia nell’ambito
del lirismo chitarristico lirico ed epico. Ha un che di eroico questo suo
far musica così antispettacolate e
così fedelmente ancorata alle teniche
e alle possibilità del proprio amato
strumento. Echoes Of Spain, come al
solito già dal titolo palese, è il racconto in note d’un paese fantastico,
fatto di mille e mille spartiti visti e
rivisitati da Richard, tanto reali da
sostituire l’immaginario d’un paesaggio al paesaggio stesso. Mass Of The
Jack al chiude il cd soffocandolo, atipicamente, nei riverberi della chitarra
trattata. L’atmosfera è davvero demoniaca qui! While My Guitar Violently Bleeds e l’ultimissimo Polytheistic Fragments (Drag City, 2007, in
spazio recensioni) pongono il nostro
Sir al rango di maestro fra i chitarristi odierni. Sono esercizi tecnici che
focalizzano la vera vocazione (negli
anni sempre più chiara) di Richard:
nobilitarsi anche come “composiotore
contemporaneo”. Progetto ambizioso
ma non velleitario per il nostro eroe!
Massimo Padalino
sentireascoltare 9
The Lights On...
talibam!
Una delle definizioni più azzeccate
f o r m u l a t e s u i Ta l i b a m ! s u o n a c o s ì :
“Ornette Coleman playing on Soft
M a c h i n e ’s F o u r t h I n H e l l ” . K e v i n
S h e a , a n i m a v e r a d e i Ta l i b a m ! e
batterista sonico nei prime mover
del rock de-composto Storm And
Stress, è sempre passato sotto silenzio durante quell’esperienza. A
parlare per tutti c’era il chitarrista
Ian Williams. Damon Che Fitzgerald (batteria) era, di fatto, con lui
i Don Caballero. Chi ricorda i primordi della scena chicagoana nel
segno del post rock ad inizi anni
‘90 non ha bisogno certo di ulter i o r i d e l u c i d a z i o n i . L’ i n c o n t r o f r a
Kevin e Matthew Mottel, poi ai sint e t i z z a t o r i n e i Ta l i b a m ! , e u n a n n o
dopo Ed Bear si aggiunge ai due.
L’ i n c i p i t d e l l a b a n d s t a t u t t o q u i .
Il “feedbacksaxophone” di Bear
rappresenta forse il suono più
caratteristico nel bailamme freej a z z e n o i s e d o n a t o c i d a i Ta l i b a m !
a l l ’ e p o c a d e l l ’ e s o r d i o l u n g o . Ta libam! (Evolving Ear) data 2006.
È uno strepitoso saggio free su
come la musica, e i segni sonori
che ne compongono i significanti,
siano oggetto d’una precisa strategia teoretica e comunicativa da
parte di Kevin: “È come quando
l e g g o L’ U l i s s e d i J o y c e , t r a e n d o ne piacere dalla manipolazione del
linguaggio e ispirazione dal suo
h u m o u r. Q u a n d o h o s u o n a t o p e r
la prima volta con Matt e Ed, ho
avvertito lo stesso tipo di curiosità
divertita”.
I gruppi di casa Load tremano.
Gli Orthlem avrebbero di che imparare all’ascolto. Forse anche
i Lightning Bolt. Un caleidoscopio inesausto di rock cangiante ed
10 sentireascoltare
e s c o r i a n t e . Tr o p p o “ i n b a l l o ” p e r
ballare una sola danza alla volta.
Il noise newyorkese di quest’ultimo quinquennio ha i suoi nuovi
profeti. E bello anche il gioco dei
packaging per il cd-r omonimo su
E v o l v i n g E a r. C o p e r t i n e d i a l b u m
più o meno noti avvolgono il cd,
chicca speciale: un frammento di
vinile aggiunto. I pezzi inclusi sono
tre ma fanno il diavolo a quattro
nell’arte della decostruzione stilistica. Non è jazz, ma è “free”, non
è noise, ma picchia duro, è articolatissimo, ma epidermico, si sbriciola di continuo, ma è solido come
roccia, si riconosce in forme astruse di worldmusic, eppure ha solide
r a d i c i r o c k . I l s u o n o d e i Ta l i b a m ! s i
m o s t r a c a m a l e o n t i c o , d i ff i c i l m e n t e
arpionabile all’uncino di qualsivolglia categorizzazione di comodo.
Così come le ultime sortite a nome
Ta l i b a m ! . I n i z i a m o d a l c a p o l a v o r o
Ordination Of The Globetrottering Conscripts (Azul Discografica, 2007, in spazio recensioni),
p r i m o d i s c o “ u ff i c i a l e ” d e l c o m b o .
Ancora una volta il jazz viene sottoposto ad un attacco batteriologic o d i a n t r a c i t e a r i t m i c a . Va r i a n t e
indistruttibile derivata dal genio
di Kevin e Mat soprattutto. E per
i curiosi ci sono in giro anche i 34
minuti di Buns And Butter (tratti dalle session d’esordio) e il cd
Misbegotten Man dei People (I &
Ear Records, 2007) , sempre con
Kevin coinvolto. Cercateli e non ve
ne pentirete!
Ad Ordination Of The Globetrottering Conscripts spetta il posto
d ’ o n o r e . Tr a t t a s i d i u n p i c c o l o c a polavoro di sgrammaticatura post
(noise, jazz, e perché no... anche
rock). La vertigine free è anzi talmente potente che farebbe, in un
f i l m d i s c i - f i , l ’ e ff e t t o d i u n a b o c cata di ossigeno troppo puro su organismi abituati ad inalare azoto.
Uccide! I componimenti killer sono
tanti. La metronimica Guns And
Butter, che sfrigola via su intermittenti segnali sintetici mentre sax
coltraniani (e non solo) s’arrampicano ad unghie strette sul suonorumore sovraesposto. Spettacolari poi i 13 minuti, a sipario quasi
c a l a t o , d i T h e S p e c t r e O f Wa t e r
Wa r s , m o d e l l o d i f u s i o n n u c l e a r e
inaudita e senza lo scampolo di un
riferimento stilistico che sia uno.
The Excusable Earthling (12”
L P, P e n d u S o u n d s R e c o r d i n g s ,
2007) raccoglie invece due improvvisazioni live (registrate in UK
nell’estate 2007) – Explosive Soul
e O n e Wa y F o o t – c h e m a t e r i a lizzano la buonanima del vecchio
Sun Ra quando decideva di fare il
cazzone on stage. Suoni sintetici
che si perdono fra loro, un mulinar di bacchette discreto e alla
spicciolata, vuoti incomprensibili
e pieni “a sfiatare”. Piacevole ma
non essenziale, quindi. Così come
B u n s A n d B u t t e r s ( G e ff e r R e cords, 2007), che nella sua mezzora abbondante di divagazioni
improvvisate rimanda diretti diretti
alle sessioni Evolving Ear da cui
è estrapolato. Davvero singolare,
invece, il connubio Mary Halvorson/Kevin Shea nei People. Solo
voce e batteria che richiamano da
vicino, torturandone ancor più la
mimica astratta, gli esperimenti
vocali presenti nell’esordio che fu
degli Storm And Stress.
Massimo Padalino
The Lights On...
white rainbow
“FULL SPECTRUM VIBRATIONAL
HEALING AUDIO IS PRISMATIC
POSITIVE LIFE ENERGY”. “MORE
ADVANCED THAN MEDITATION!!
FASTER
THAN
MEDITATION.
ABOVE AND BEYOND MEDITATION”. Dal Teatro della Musica
Eterna al Prisma dell’Eterno Presente il passo è molto breve. Più
veloce della luce. Un attimo. Il profeta dell’Eterno Presente non è La
Monte Young, ma Adam Forkner,
bizzarro habitué della scena psichedelica dell’Oregon. Si fece un
rapido cenno a lui, alcuni mesi or
sono, parlando di Honey Owens aka
Valet. Honey e Adam fanno infatti
coppia fissa e sono due tra i più
interessanti personaggi della scena avant americana di questi anni
2000, anche se entrambi hanno
“curricula importanti” e non sono
certo nati ieri. Forkner lo avvistiamo
già sul finire degli anni ’90 alla guida della compagine di space rock
psichedelico denominata Yume Bitsu (“battiti sognanti” in giapponese). Sono in quattro. Con lui ci sono
Franz Prichard, Alex Bundy, Jason
Anderson e parlano argomenti inequivocabili: chitarre spacey, tastiere eteree, battiti ipnotici. Gli Yume
Bitsu fanno surf su acuminate jam
trancedeliche che si allungano in
eterno come nella migliore tradizione psichedelica. Quattro dischi per
quattro capitoli distinti di un loro
personalissimo volume dedicato
alla trascendenza musicale. Di questi, probabilmente, il più completo e
fantasioso rimane il disco omonimo
del 2001. Ma Adam è già altrove.
A fare comunella con compagni di
mentalità e di idee che rispondono
al nome di Landing, con cui fon-
da i Surface Of Eceyon o Surface
Of Eceon. Due dischi, due versioni
diverse dello stesso moniker, ma
stessa pasta psichedelica. Le chitarre di Dragyyn (Strange Attractor, 2003) coprono il vasto terreno
che separa il languore “al delay” di
David Gilmour dalla mistica dreamy
di Robin Guthrie. Sembra una delle
migliori vie di fuga dalla folla postrock di quegli anni, ma Adam scappa già via verso nuove imprese. Nel
frattempo la sua padronanza strumentale e il suo orecchio finissimo
da tecnico gli permettono di attivarsi come ingegnere del suono presso i Dub Narcotic Studio della K
Records, dove partecipa a registrare svariati personaggi come Calvin
Johnson, Greg Weeks e Kinski. Si
nasconde dietro un moniker quanto
mai bizzarro per quello che è il suo
vero debutto come solista, ovvero
la sigla [[[[VVRSSNN]]]] da pronunciarsi come “version”. L’apparizione
di White Rainbow arriva con l’inizio
delle danze per la Yarnlazer la piccola etichetta di cdr che il Nostro
condivide con la sua donna. Il primo risultato con la nuova ragione
sociale è Zome, un diamante dream che ritorna sui passi interrotti
con gli Yume Bitsu e che si beneficia ancora una volta dell’aiuto dei
Landing. Post-rock con il cuore in
mano nel peggiore dei casi, ma anche elettro-beat pulsanti su chitarre iper riverberate. Adam si sposta
lentamente verso una possibile musica dance per angeli a due passi
dalla new age bella e buona. Un
incredibile box di cinque cd + dvd
viene poi smerciato l’anno scorso
da Marriage Records. È il primo
parto vero e proprio che può dir-
si completamente figlio del nuovo
corso. L’unico paragone possibile
è con Kesto dei Pan Sonic, ma la
musica è completamente diversa. Il
lavoro non potrebbe essere più dispersivo. Dopo tutto è una raccolta
di provini e micro-sketch. È White
Rainbow che prende dimestichezza
con White Rainbow. Nel dvd appaiono collaborazioni con videoartisti
e dimostrazioni delle performanceinstallazioni dal vivo di White Rainbow, sempre più intenzionato a far
vivere un’esperienza psichedelica
a 360° con il supporto di strumenti
ottici, luci, tubi e filmati. Con la sua
Yarnalazer all’inizio di quest’anno pubblica Sun Shifts, un vero
antipasto del disco autunnale su
Kranky. La musica di Adam Forkner
è diventata ormai una via di mezzo tra l’ambient in odor di new age
e il kraut rock più etereo e onirico. Certi tribalismi dance non possono che agevolare ancora di più
la riuscita dell’operazione. Musica
che potrebbe tranquillamente essere usata come colonna sonora
chill-out dopo infernali sessioni di
goa-trance rave. Narcotica, tribale,
new agey… osserviamo attentamente l’arcobaleno che si scioglie
nel bagliore bianco del prisma e
lasciamoci abbindolare oltre che
dalla musica, dai proclami propagandistici che addobbano l’artwork
in stile “Dream Syndicate” di Prism
Of Eternal Now (Kranky / Wide, 1
ottobre 2007, in spazio recensioni)
“Enjoy only 2 cosmetics, enough
sleep & White Rainbow’s ‘Eternal
Now’ sounds to cleance and relax
body-mind-soul-spirit instantly uniting Now! Infinite Now!”.
Antonello Comunale
sentireascoltare 11
Jens Lekman
EUGENETICA POP
di Stefano Renzi
Vedi alla voce ineffa b i l e . U n r a g a z z o p i a c e v o l m e n t e p r i v o d i p r e c o n c e t t i e p i a c e v o l m e n t e p o r t a t o v e r s o l e m e l o die
più carezzevoli e ac c a t t i v a n t i . U n a v o r a c i t à i n e s o r a b i l e s o t t o l ’ i n d o l e n z a b l a s é . S c i n t i l l e d i g e n i o c o m e t i z zoni
nella bambagia. Con l ’ o p e r a s e c o n d a J e n s L e k m a n s t a c c a u n b i g l i e t t o s o l a a n d a t a v e r s o l ’ o l i m p o d e l p o p .
Quello tra la Svezia e la musica
pop pare un connubio destinato a rinnovarsi all’infinito. Dai
tempi del pre-pop-disco degli
Abba sino alle recenti scorribande di una etichetta geniale
e sottovalutata come la Labrador Records, questi ex-barbari
dalle folte chiome dorate figli
d i B j i o n B o r g e d e l l a Vo l v o ,
della dinamite e del mobilio a
basso costo, sono sempre riusciti a reinventare il proprio
abbecedario musicale finendo
con il generare “fenomeni” che
alle nostre latitudini manco ci
immaginiamo.
Probabilmente
è una questione di geni o di
genetica applicata alla materia musicale, oppure il frutto
di una solidità economica con
pochi paragoni al mondo, di
uno stato efficiente e di servizi puntuali, di nove milioni di
persone distribuite su di una
superficie grande quasi quanto
l’Italia nel suo complesso che
si spartiscono risorse naturali
inesauribili vivendo cullati nella bambagia anche con il solo
sussidio di disoccupazione.
Sarà quello che sarà, in fondo
non ce ne frega niente, anzi sì,
per dirla tutta siamo un po’ gelosi poiché vorremmo che Genova somigliasse un po’ più a
Malmoe, che a Palermo si vivesse come a Stoccolma e che
magari, un giorno, da qualche
parte in questo disgraziato Paese nascesse uno come Jens
Lekman. Un fuoriclasse, uno di
12 sentireascoltare
quelli che anche se ti stanno
sul cazzo non puoi fare a meno
di dire che ti piacciono. Uno
con i controcoglioni, uno che
i colleghi americani ed inglesi
li guarda negli occhi senza imbarazzo e che nel camerino gli
dà pure qualche dritta su come
aggiustare le canzoni. Sogni,
forse speranze, per il momento
sicuramente illusioni che con
ludico piacere ci costringono
a guardare altrove e a scrivere l’ennesimo articolo su questo ventiseienne di Goteburgo
anziché sul Mario Rossi della porta accanto che un disco
“della Madonna” - massì, diciamolo - come Night Falls Over
Kortedala non è ancora (forse
non lo sarà mai) in grado neanche di pensarlo.
Alchimista dell’arrangiamento,
folletto della melodia, artigiano dell’ironia, questo ventiseienne dai tratti aristocratici e
dall’aria talvolta assonnata, è
quanto di più di distante si possa immaginare dal prototipo
di moderno cantautore, e non
soltanto per quello che scrive
e per come lo scrive ma anche
per una visione ed un culto della propria arte totalmente agli
antipodi rispetto a quello dei
suoi colleghi.
“Ho provato a farmi piacere
My Space ed ancora oggi cerco di avvicinarmi alla sua logica mettendo on line una sorta
di audio diario e altro materiale ma credo che si tratti di
un insulto nei confronti di tutto
quello che io amo della musica
p o p . Vo g l i o e s s e r e p e r s o n a l e ,
originale, e comunicare con
le persone che amano la mia
musica ma i contatti che ho su
my space si riducono a conversazioni e commenti stupidi ed
insignificanti…. Non puoi intavolare una discussione creativa ed intelligente con una persona attraverso una telefonata
ad un cellulare oppure con un
sms…”.
Fuori dal tempo, direbbero i
Bluvertigo se ancora avessero pallottole da sparare. Fuori dal tempo come i suoi ipot e t i c i m a e s t r i : S c o t t Wa l k e r ,
il Jonathan Richman solista,
Stephen Merritt e, perché no,
M r. M o r r i s s e y , g e n t e , c h e c o n
il pop ha sempre avuto un rapporto particolarmente stretto
anche se contorto e non certo
immediato.
“Mi piacerebbe essere Jonathan Richman probabilmente
quanto a lui piacerebbe essere
Lou Reed, ma siccome Jonathan non sarà mai Lou io non
diventerò mai Jonathan per il
semplice motivo che non potrei
mai essere così spensierato.
E forse è giusto che sia così.
Probabilmente amerei la musica di Sthephen Merritt, ma ho
avuto il tempo di sentire soltanto 69 Love Songs molto prima
che la gente mi paragonasse a
lui ed adesso non riesco più ad
ascoltare le sue canzoni”.
Contorsioni e immediatezza:
qualità che non mancano certo
allo svedese, capace di essere
sofisticato ma allo stesso tempo incredibilmente accessibile,
intelligente (per quanto può
palesarlo uno che scrive canzoni “pop”) ma disincantato,
quasi come se tutto quello che
facesse e scrivesse non fosse
altro che un agevole gioco di
citazioni ed incastri, come una
costruzione con il Lego di cui
si possiede già lo schema definitivo. Ascoltare un suo album genera quindi la solita,
incredibile, sensazione di déjà
vu, come se quelle melodie e
quegli arrangiamenti a volte
così sfrontati facessero parte
del nostro patrimonio musicale
da una vita e che per qualche
strano gioco del destino fossero state messe da parte, in un
angolo della casa in attesa di
tempi migliori per poter essere
fruite.
“Sono solito campionare dalle
fonti più disparate, è per questo che le mie canzoni prendono delle direzioni insolite. Se
trovo dei suoni pesanti di batteria che mi piacciono, campiono e metto da parte dicendomi
“beh, un giorno li utilizzerò per
qualche cosa”, e magari ci costruisco sopra un calypso.”
Arte del campionamento che lo
pone al fianco di personaggi
maestri e pionieri del genere,
come ad esempio l’olandese
Solex che, seppur con modalità
e finalità differenti, ha ispirato
il Nostro in questo riciclaggio
onnivoro che assume pop per
rigenerarne di nuovo, che ingurgita immondizia per rivomitare diamanti, un varco dimensionale aperto sul luogo fatato
dove Mariah Carey comincia
ad avere un senso. “Fantasy è
una delle mie canzoni preferite. Amo tutte le sue ballate del
primo periodo, si tratta di canzoni semplici, storie d’amore
incredibili. Ascoltarle equivale
a sognare”.
Che Mariah abbia avuto un
peso nella formazione del Nostro pari a quella del Moz non
deve
scandalizzare,
perché
Jens è e rimarrà sempre un ragazzo di campagna, talentuoso
e bravo fino all’eccesso ma pur
sempre un sempliciotto e come
tale al di sopra di tutte le forme di snobismo musicale unanimemente riconosciute. Per
lui una canzone è soltanto una
canzone, e una bella canzone
è prima di tutto una bella canzone, non conta se ad interpretarla è una popputa mulatta coi
glutei ipertrofici o un essere
asessuato con dei fiori che gli
pendono dalle tasche. La cosa
principale è quello che si vuole
trasmettere, il messaggio. Comunicare è il fine e per farlo
si segue il cuore, non la mente
degli altri. Se poi si finisce per
s o m i g l i a r e p i ù a S c o t t Wa l k e r
c h e a P a u l Yo u n g b e n v e n g a ,
ma non è questo il punto.
Jens-mente illuminata verrebbe
da dire, talmente pura e priva di
spocchia da finire col piacere a
chi la spocchia la mangia persino a colazione, talmente “oltre” da riuscire a vendere come
carne fresca cose che fino a
ieri avrebbero fatto rabbrividire le orchestre da ballo della
Costa Crociere, siano queste
ispirate da un Bacharach in
versione love boat (Sipping On
The Sweet Nectar) oppure da
u n o S c o t t Wa l k e r i n c a t a l e s s i
(And I Remember Every Kiss).
È il prezzo da pagare quando
si fa (o si torna a fare) i conti con il pop, con quello vero
che chiede semplicemente di
raccontare storie e nel farlo
riuscire a farsi piacere il più
possibile. Elementi di secondaria importanza per alcuni, vitali
per altri che forse non riusciranno mai a capitolare di fronte
all’evidenza di una manciata di
canzoni come quelle contenute nell’opera seconda di Jens,
Night Falls Over Kortedala
(Secretly Canadian, settembre
2007, in spazio recensioni):
brani dentro ai quali puoi precipitare come riparato da una
rete di sicurezza, scoprendo
ad ogni rimbalzo possibilità
nuove, sfaccettature tanto insospettabili quanto inusuali.
Qui sta la forza delle canzoni,
qui sta la forza di Lekman, il
ragazzo qualunque che chiede
solo di scrivere canzoni. Come
gli pare. Se vi pare.
sentireascoltare 13
Vert
BACK TO THE THIRTIES
di Edoardo Bridda
Inghirlandato lo scorso anno con l’entusiasmante Some
tournée. Il musicista garantisce soprattutto inediti che
sconosciuta.
Nel frattempo lo abbiamo preceduto via mail: il ragtime è
il Mac riflesso in faccia? Lui garantisce: salirò sul palco
To r n i a m o a p a r l a r e d i S o m e B e ans... a un anno di distanza.
Sorprende ancora quel pastiche
post-moderno, anzi, facciamo
retro-contemporaneo… senza offesa.
L’ h o p r o d o t t o d a s o l o . A l m i x e r c ’ e r a
A n d i To m a d e i M o u s e O n M a r s c h e
naturalmente mi ha aiutato a metterlo assieme. Sicuro. È stata una
roba da diventare matti e per venirne ha capo ho applicato delle
strategie. Ho cercato d’inventarmi
delle regole. Giusto per darmi dei
confini. Quando mi accorgevo che il
lavoro prendeva una piega la facevo diventare una regola. Per dire:
non ci sono cimbali di nessun tipo
nel disco perché a un certo punto
ho realizzato che non ne avevo mai
utilizzati fin lì. Dunque quella era
diventata una regola…
Some Beans... non è così differente dai tuoi lavoro precedenti.
Beh, lo è, però ci sono i ragtime da vecchio saloon che in un
modo o nell’altro ritornano sempre come pure quel fare minimalista…
Tu t t o v i e n e d a l r a g t i m e ! S u l s e r i o ,
quel genere è stato lo starting point
di così tanto pop a venire! Sapev i c h e l a m u s i c a d i v e n t ò u n a ff a re commerciale proprio attraverso
la vendita dei suoi spartiti? Erano
tunes dell’epoca. Un meccanismo
e un certo modo di pensare era
nato, dunque quando poco dopo
arrivò il grammofono i concetti e le
strutture di cui aveva bisogno era-
14 sentireascoltare
B e a n s A n d A n O c t o p u s , Ve r t è i n I t a l i a p e r u n a p i c c o l a
faranno parte di un prossimo lavoro dalla data ancora
p r o p r i o c o s ì i m p o r t a n t e ? E c o m ’ è Ve r t d a l v i v o ? U n o c o n
da solo ma sarà come un hip hop trio …degli anni ’30.
no già state avviate. Il ragtime poi
non era un genere puro, esisteva
c o m b i n a t o i n d i ff e r e n t i m o d i , c o n
il jazz e il blues principalmente.
Senza queste tre forme musicali
non ci sarebbe stata la pop music.
Poi. Ancora. Ci sono molti paralleli tra ragtime e la musica attuale:
sempre negli anni ’30 alcuni pianisti s’incontravano ad Harlem per
sfidarsi. Chi era il migliore? E chi
il più veloce? Proprio come accade
oggi con gli show open mic dove i
rapper si sfidano a colpi di rima.
Sempre rispondendo alla tua domanda: le uniche pièce al piano
che ricordo sono The Entertainer
di Scott Joplin e la Gymnopedie
1 di Satie. Credo che definiscano
bene la musica che faccio adesso.
Sembra che il tuo pop sia molto
versatile. Molti lo hanno paragon a t o a B e c k , a l t r i a Wa i t s . A m e
sembra una sorta di ritorno alla
belle époque (charleston, mambo, ballroom, ecc.) con in mezzo
le battaglie per l’antiproibizionismo (comiche ragtime, frizzo
electro…)...
Ve r s a t i l i ? L e c a n z o n i d o v r e b b e r o
esserlo sempre. Amerei pensare
che fosse possibile per la gente
fare cover delle mie canzoni. Se
ci pensi è un po’ triste che non ci
sono cover nell’hip hop, o nella
musica elettronica. È una cosa che
manca. Poco prima di scambiare la
mia chitarra per un sampler mi ricordo d’aver cercato di convincere
la band dove suonavo di fare una
c o v e r d i A p h e x Tw i n . P o i , d a s o l o ,
ho fatto cover dei Can. È successo un bel po’ di tempo fa, tuttavia
sono sempre dell’idea che la musica può essere presa in uno spirito
completamente diverso. E poi sono
un tipo anti-generi. C’è la musica
bella e quella brutta. La cosa interessante infine è che i due estremi
sono in un flusso costante… in un
certo senso hai ragione.
October è una bella confident
song. È una calda canzone inv e r n a l e . Ti n P a n A l l e y. S e m p r e
anni ’30 eppure con una punta di
passione pop che fu l’humus di
lavori come Deserters Songs dei
M e r c u r y R e v. C o s a a m i d i q u e l
periodo della storia?
C’è veramente troppo da amare tra
gli anni ’20 e gli anni ’30. Prend i G o o d F o r W h a t A i l s Yo u , u n a
compilation di musica dei medicine shows di quel periodo che ho
nel lettore in questi giorni, è fantastica. Se poi parli del songwriting, beh c’è uno special feeling
quando nasce un certo modo di
intendere la scrittura. E inoltre,
dentro ci torvi quello stupore che
oggi è completamente soppiantato
dal cinismo. Non che io abbia nulla
contro il cinismo, ma è importante mantenere un senso di natività
e trepidazione, anche in faccia al
peggiore dei destini.
È chiaro che il trend più hype
nella musica elettronica sia di
suonare acustico. Considerare il
laptop come uno degli strumenti
in campo e non più come il più
facoltoso…
Il computer è uno strumento come
gli altri. A me per dire non interess a p r o p r i o l a d i ff e r e n z a t r a a n a logico e digitale. Meglio ignorarla
non credi? Prendi lo “snare”. Sarà
figlio di una drum machine o è il
field recording dello sbattere di
una portiera di un auto? A parte per
i musicisti e i musicologi, ha così
importanza questa distinzione?
Chiacchierando con Drew dei
Matmos era venuta fuori questa
frase “non voglio suonare musica che in futuro la gente possa
irrimediabilmente legare a un
sound specifico di un’annata.
Questa suona 1995 o 2002 …”.
Non pensi che un musicista che
cerchi oggi di affascinare con un
misto di glitch, shortwaves e Satie abbia rotto le palle?
È complicato. Da una parte nessuno vuole essere così riconoscibile e catalogabile al primo ascolto.
Però, d’altra parte, gosh, non vogliamo essere tutti così moderni?
E lo sai, è un bel sentire… essere
contemporanei. Essere qui e ora.
La cosa noiosa è confondere forma
e contenuto. Assumere che usando
i linguaggi della contemporaneità
rimuova la possibilità di dire qualcosa. Così sì, se tu musicista pensi che la formula glitch più Satie
sia abbastanza. Beh allora sei nel
“wrong business”. E di più: se onestamente credi di poter fare musica
in questo modo pensando che gente non la riconosca come figlia di
un particolare tempo o luogo, beh
allora magari cominciamo a sentire
un po’ l’odore dell’arroganza (Ciao
Goldie sto ancora ridendo della
t u a d e f i n i z i o n e d i Ti m e l e s s c o m e
here-today-gone-tomorrow-album)
o della pazzia (Ciao Moondog).
Potresti mettermi in fila, come
in una sequenza astratta, tutti
gli strumenti che hai scoperto e
amato partendo dal grembo materno?
Prima è arrivato il piano. Ho studiato piano dall’età di sei anni. Poi
per poco arrivò l’oboe. Diciamo un
paio di anni. Uno strumento orrib i l e , p u r e d i ff i c i l e d a s u o n a r e . A
quattordici anni ho scoperto la chitarra elettrica che poi ho suonato
costantemente per sei o sette anni.
Amavo collezionare i pedali della
distorsione. Ne ho uno veramente
bello tenuto da uno spago di non
so cosa, mai scoperto di che materiale fosse. Poi mi sono scocciato
anche di quella e una sera pieno di
LSD l’ho scambiata in un negozio
c o n u n s a m p l e r, u n c o m p u t e r A t a r i ,
e una drum machine. Dopo averci
giocato per un paio di anni sono
passato a un computer più serio.
E infine sono finito a vivere in una
grande casa con dentro un vecchio
piano. Ho iniziato a suonare il piano again.
s y n t h ? Ti s t a n n o a n t i p a t i c i ? L a
vera domanda è: ma parti da un
sound o da un feeling?
Ho sempre comprato Pc. Sono più
economici mica per altro. E poi non
mi interessa… manco sono un fan
dei sintetizzatori. Ho sempre utilizzato tutto quel che mi capitava,
soprattutto software. Poi per la domanda più interiore parto alle volte
con un sound e altre con un feeling. Altre ancora con il beat o una
linea di testo, e soprattutto spesso
non ne ho idea. Continuo a pigiare
finché non salta fuori qualcosa di
interessante.
Ti s e i a p p l i c a t o a n c h e u l t i m a mente in questa pratica?
Per il nuovo lavoro ho cercato di
concentrare il mio autismo in un
range limitato di strumenti. Però
ho registrato con Fedor Ruskuc,
Gianni Legrottaglie e alcuni ottimi
musicisti per i fiati. A dire il vero
ho lavorato molto con le librerie di
sample per piano. Sto facendo in
modo di scrivere tutta la musica
prima di far entrare i musicisti.
Chi ti porterai con te in tour?
Non è stato possibile portare Fedor e Gianni con me per ragioni
logistiche. Sarò da solo ma non ve
ne pentirete spero.
( Ve r t s a r à i n t o u r l ’ 11 o t t o b r e a C o droipo-UD, il 12 A Cesena, il 13 a
Faenza, il 14 a Milano)
Continuando con gli strumenti
sei uno che usa Pc o Mac? E i
sentireascoltare 15
Disco Drive
LA LUNGA STRADA VERSO LA CIMA
di Manfredi Lamartina
Music a, imma gin e, st ile per un gr uppo in c os t ant e e v o l u z i o n e .
I l nostro incon tro con il c hit ar r is t a Ales s io Nat aliz i a c h e c i s v e l a c o s ’ è p e r l o r o l ’ h i p h o p .
Incidere da indipendenti e pensare in
grande è qualcosa che agli occhi della
cerchia indie italiana suona quasi come
una bestemmia. Tant’è che chi lo fa si ritrova ad essere suo malgrado – o forse
di proposito – il bersaglio principale degli
strali degli integralisti in musica. Parlate
male di me, purché parliate di me, disse
qualcuno. Prendiamo il caso dei Disco
Drive. Un paio di anni fa pubblicarono un
album che già dal titolo – What’s Wrong
With You, People? – sembrava voler
prendere in contropiede tutte le discussioni che di lì a poco sarebbero nate, cresciute e alimentate intorno alla band. La
prima, per inciso, che è riuscita a sdoganare in Italia in maniera credibile il verbo
del punk-funk, senza dover passare per
patetici wannabe (scritto, per ovvie ragioni, rigorosamente in inglese).
Un gruppo più inglese che italiano, quindi, per come è stato concepito. I Disco
Drive sono musica, immagine, stile. Loro
ne sono convinti e consapevoli. Pure
troppo, secondo molti, che infatti mostrano qualche segno di insofferenza quando
vede il gruppo che posa per un servizio di
moda (sic!) in una rivista patinata musicale. Per non parlare di quelli che quando
passa un loro video su MTV cominciano a
soffiare manco fossero gatti idrofobi. It’s
a long way to the top, cantano d’altronde
i DD in Things To Do Today, naturale
evoluzione del percorso cominciato con
il disco d’esordio. Un lavoro che all’urgenza dell’hardcore preferisce di gran
lunga le lusinghe del dancefloor. Pur
mantenendo, e questa è la sorpresa, un
approccio dissonante di fondo. Il risultato
è senza dubbio interessante. Anche se è
ben lontano dalla ventata di novità che
16 sentireascoltare
inizialmente promettevano i Disco Drive.
Nel frattempo, tra cambi di formazione
(Matteo Lavagna che sostituisce al basso
Andrea Pomini), EP passati sotto silenzio (The Very EP, pubblicato lo scorso
anno, ultimo lavoro registrato dal trio originario) e più di trecento concerti in curriculum, riusciamo a beccare la band nel
bel mezzo del loro tour in Gran Bretagna.
Dove, manco a dirlo, pare stia andando
tutto davvero bene. Il chitarrista Alessio
Natalizia ci svela cos’è l’hip hop secondo
i Disco Drive. E soprattutto si dichiara un
po’ stufo del volemose bbene che sembra imperare nei rapporti tra i complessi
italiani.
Parliamo di titoli. Qual è l’idea che
sta alla base di Things To Do Today?
E soprattutto, questa idea è inserita
in un ipotetico continuum con quanto
espresso da What’s Wrong With You,
People?
No, non c’è nessun continuum con l’album precedente. Tutt’altro. È un disco
con nuove idee e nuove tematiche.
Things To Do Today si riferisce alle
cose che abbiamo bisogno di fare oggi,
qui e ora nel 2007.
Qualche tempo fa avevate detto che
il nuovo disco sarebbe stato diverso
rispetto al primo. Parlavate addirittura di hip hop. A me Things To Do
Today pare un album dei Disco Drive
in tutto e per tutto (per fortuna). Mancano i ruggiti hardcore, e in qualche
episodio siete più atmosferici e meno
ritmici, ma la sostanza è quella. Indubbiamente. Di’ la verità. Ci volevate prendere per il culo?
Non volevamo prendere in giro nessuno. Il nostro obiettivo era quello di fare
un album dei Disco Drive in tutto e per
tutto ma in un modo completamente diverso. Magari l’hip hop non si sente e
chiaramente la nostra intenzione non
era quello di fare un disco di hip hop
puro, ma è stato uno dei nostri punti di
riferimento maggiori (vedi i beat di Fingers And Nails, Things To Do Today e
Grow Up!, e la metrica di molti cantati).
In questo disco ci sono diversi strumenti
e quindi nuovi timbri, diversi riferimenti,
abbiamo prodotto, registrato, e mixato
i pezzi in maniera totalmente diversa.
Anche il modo di scrivere è cambiato
e abbiamo inserito molti loop su cui si
regge la struttura di intere canzoni.
Grow Up è il pezzo che apre il disco.
Ed in effetti si nota una crescita, questo sì, in fase di scrittura. Quanto è
stato difficile comporre questo cd? È
vera la storia del secondo, difficile
album?
Non è stato difficile ma piuttosto naturale e fisiologico. Paradossalmente
sarebbe stato più complicato cercare di
fare un’altra volta lo stesso disco che
comunque non avremmo voluto e potuto
fare.
La cosa interessante è che anche se
avete rallentato un po’ il ritmo dei
brani, questi risultano più dissonanti
e complessi rispetto a quelli di What’s
Wrong With You, People…
Esatto. È proprio il risultato che volevamo ottenere. I ritmi sono meno serrati
per lasciare spazio a soluzioni diverse.
Prima il ritmo era elemento portante e
primario, adesso contribuisce alla struttura del pezzo insieme a tutti gli altri
elementi.
Perché l’anno scorso avete pubblicato un EP? Non era meglio concentrarsi direttamente sul nuovo disco?
No. Quei pezzi sono nati insieme durante il tour del primo album e abbiamo
preferito registrarli subito piuttosto che
farli invecchiare aspettando che ne arrivassero altri.
Si dice che vi sentite i più bravi e i
più fighi di tutti. Perché date questa
impressione, secondo voi?
Forse perché quando sei convinto e sicuro di quello che fai puoi dare l’impressione di sentirti più figo degli altri. Noi
non ci sentiamo più bravi e più fighi di
nessuno ma neanche il contrario. Magari siamo persone che se ne stanno abbastanza per i fatti loro e anche questo
nell’angusto contesto italiano può dare
l’impressione di spocchia e senso di superiorità, ma non si tratta di questo. Il
fatto è che il carattere di una persona
nel momento in cui suona in un gruppo
viene percepito in maniera diversa: se
te ne stai per i fatti tuoi rischi di venire
etichettato come uno stronzo. Oltretutto
in Italia c’è questa regola non scritta del
“volemose bbene”. E ogni volta che ti ci
sottrai sei di nuovo visto come l’arrogante di turno. Ma per noi è più importante
essere sinceri piuttosto che sfoderare il
complimento preconfezionato. In Italia
c’è troppo vittimismo e poco coraggio.
Voi avete fatto un servizio fotografico di moda su “XL”. Non è un po’
pericolosa questa deriva “modaiola”
dell’indie? Come se si desse troppa
attenzione all’estetica e nulla alla musica…
L’estetica e la musica sono due cose che
da sempre vanno di pari passo e non si
escludono a vicenda. È chiaro che ci
sono degli eccessi e basta andare in
giro per l’Inghilterra per farsene un’idea.
Ma il mondo indipendente italiano è talmente piccolo e chiuso in se che non ci
si può permettere di escludere nessuna
possibilità di arrivare ad altre orecchie
(ed altri occhi).
Molti dicono che ormai l’indie sta morendo, che è sulla bocca di troppi,
spesso a sproposito. Che ne pensate?
Non è forse una visione troppo milanese della questione, dato che, al di fuori delle grandi(ssime) città, a vedere
i concerti indie sono sempre quattro
gatti? E poi, che male ci sarebbe se la
musica indie riuscisse ad abbattere la
barriera che si è autocostruita?
Esatto. Non farebbe male a nessuno e
molte barriere inutili sarebbero abbattute.
È pur vero però che oggi si fa a gara
per far diventare indie qualsiasi artista. Il M.E.I. per esempio lo scorso
anno definì Pupo un cantante “neo indie”. Concordate?
Non siamo mai stati al Mei ma diciamo
che l’idea che ci siamo fatti a leggerne
non è delle migliori.
Ma ai vostri concerti la gente balla?
O si limita a scuotere la testa ritmicamente? Non è una cosa esasperan-
te per una band, soprattutto per una
come i Disco Drive che fa del ritmo la
propria bandiera?
Sì, può portare all’esasperazione. Ma,
dopo quasi trecento concerti, te ne fai
una ragione. Di certo non ballano tutti
come se fossero in discoteca ma per fortuna non stanno neanche immobili. C’è
capitato anche di fare un pezzo e vedere
qualche testa muoversi e poi ascoltarlo
messo dal DJ due ore dopo e vedere tutti
ballare scatenati. E la cosa comunque
ha anche il suo senso.
C’è un fenomeno molto strano che
sta accandendo nella musica. Ci sono
molte più band rispetto a prima, ma
queste hanno una carriera molto più
breve rispetto ai gruppi nati qualche
anno fa. Come ve lo spiegate? È tutto
legato alla piaga dello scambio illegale di mp3? O c’è dell’altro? Davvero
nell’indie italiano non è possibile fare
progetti a lunga scadenza?
Che il cambio delle tecnologie abbia
influito è innegabile. Non solo per lo
scambio di file ma anche per la facilità di fare musica, registrarla e metterla
online. Oggi un gruppo è un gruppo se
ha una pagina su myspace e non se ha
un disco fuori. A queste condizioni fare
progetti a lunga scadenza è molto complicato, soprattutto se l’intenzione è di
limitarsi solo all’Italia.
Sinceramente, che prospettive hanno
i Disco Drive? Come vi vedete tra dieci anni?
I Disco Drive vogliono continuare a fare
musica interessante e sempre diversa
per il più lungo tempo possibile.
sentireascoltare 17
DAFT GENERATION
di Edoardo Bridda e Marco Braggion
Da una pa rte la sp ac e dis c o a pir oet t ar e nella r ob o d i s c o t e c a , d a l l ’ a l t r a l a D a f t G e n e r a t i o n . C h i ? J u s t i c e , D i g ita lism e Simia n Mob ile Dis c o Chiam iam oli f igli di ast r o n a u t i f r a n c e s i , d e l d a n c e f l o o r e d i q u e s t i t e s i a n n i D u e m i l a .
Gli anni del qualunq u i s m o m i r a b i l a n d i a p o s t p o s t . O v v e r o d e i r i a v v o l g i m e n t i i p e r c i n e t i c i t r a p a l c o e s t r o b o .
D a icone a culto
Un suono apparentemente facile. Che
affonda le radici in campionamenti
funk oculatissimi compressi nella cultura dell’E. Un’immagine iconografica
di kraftwerkiana memoria e assieme
un’identità trasfigurata in man machine. Eppoi. Il binarismo robotico che
si riaggancia al modernariato cartoon
Jap e torna indietro al groove e alla
scatoletta del circuito elettronico di
base. Uno e Zero. Basta così: sono
i Daft Punk, un culto, un fenomeno
transgenerazionale che non conosce la parola storicizzazione. Di più,
sono l’Università di scienze elettrodance, e a più di 10 anni dal primo
singolo The New Wave (datato 1994)
e dall’esordio Homework la cui eco
non smette di pulsare nei cuori digitalizzati di mezzo mondo, i frequentanti sono sempre più numerosi.
I corsi attivati? Quello Old School
fine Ottanta dove si studiano i suoni
di beatbox Roland 303, e nel quale
si comprende il passaggio dall’estetica hip-hop a quella Acid e Techno. Il
corso avanzato Novanta dove s’imparano le tecniche dj, la sociologia dello scazzo, il revival della lounge. Poi
c’è quello sulla musica da ballo nera
nel quale si comprendono le radici
groove del verbo di Chicago. Infine,
e non può certo mancare, il seminario
d’estetica e semiotica tedesca basato sulla figura dei Kraftwerk, la base
di tutto. Chiaramente.
La scuola non insegnata tutto: i segreti s’imparano sul campo ma il
primo di questi è noto: l’abilità nello
stemperare la serietà dei manichini di
18 sentireascoltare
Düsseldorf rendendola semplicemente un gioco, e dietro questa matrice
c’è il tocco kitsch, magari con un retrogusto psych. Facile a dirsi difficile
due Daft scocca una scintilla che
porta ancora altrove. È punk. Una rivoluzione tutta all’interno del dancefloor. Una bomba chiamata Da Funk.
a farsi. La kitschedelia con la quale
veniva descritto il primo Daft Sound
è uno stile dance collagista antitetico alla cultura di stampo futurista
della città dei Motori e da gente con
la fissa droide come gli Autechre.
Arduo per i cultori dance spogliarsi
di un credo serissimo abbracciando
il kitsch. Prendersi gioco della cassa
in quattro pur amandola. Non sono
cose che s’insegnano queste, magari i Basement Jaxx lo potranno pure
spiegare in slide show ma parliamo di
un’arte, proprio come quella del settare le voci filtrandole con vecchi aggeggi presi al mercatino. Quelli sono
segreti. Segreti très francois che
s’imparano sul campo, oltre a punti di contatto con una l’altra scuola,
quella degli Air, anch’essi influentissimi. Ma non divaghiamo e facciamo
parlare lo stesso Bangalter, uno dei
due uomini robot: “One of the cool
things about the house music spirit is
that it inspired musicians to use instruments for things they weren’t designed to do”. Dunque l’inconfessato
è trovare vecchie machine e farle
suonare in modi diversi, campionare
vecchi dischi e sporcarli fino a renderli ferramenta Futurama. Giocarci
su senza ideologia. Un gioco-concetto. Non proprio una cosa da nerd e
basta. Eravamo a metà Novanta con
una Screamadelica oramai lontana,
l’Aphex Twin in avvicinamento al
pop (Windowlicker). Negli occhi dei
Il funk appunto. Il resto è storia. Il
verbo è stato trasmesso Around The
World, e la parola ha raccolto migliaia di adepti. Gli apostoli della chiesa,
gli eletti, per quest’oggi sono solo 3.
Tre gruppi, doppi che si specchiano,
coppie d’assi che rispettano l’ortodossia robotica. La messa è appena
cominciata. Ma andiamoci calmi con
i paragoni.
G e n e r a z i o n e Da ft
Eccoli qui, gli apostoli, adepti scafati, pronti da un momento all’altro a
scardinare il trono dei sommi profeti:
Justice, Digitalism e Simian Mobile Disco. Tre strade diverse, tre
specchi riflettenti pronti a sfoderare
gli electro ranocchi di una synthology rigorosamente d’antan. Citazioni
e imbastardimenti figli della fintasemplicità Daft. Pochi ingredienti diretti alla base acida di quello che è
stato e di quello che sarà (la disco?):
cassa dritta e divagazioni melodiche,
filtri in progressione e aperture cosmiche (vedi pure Music Sounds Better With You, progetto parallelo di
Bangalter, che nel 1998 sbancava),
vocoder che nel frattempo sono diventati dominio DFA mescolato ad un
attitudine (nu)rave che dai Chemical
Brothers porta all’oggi. Poi il French
Disco con incursioni p-funk, ancora
DFA passati al colino di Rapture e
derivati. Ritorno al dancefloor quindi, ma attenzione...
Da sinistra: Daft Punk, Digitalism, Siman Mobile Disco, Justice.
C r oce e d e lizia
E partiamo con le promesse mantenute a metà: Justice. Credenziali:
un duo (Gaspard Auge e Xavier de
Rosnay). Segni particolari: vengono dalla madrepatria daftpunkista, la
Francia. Un paio di mosse divine, tra
cui l’esordio: il remix di Never Be Alone (guarda caso proprio dei Simian)
e successivamente la firma/marchio
di fabbrica su voci e ritmi dell’olimpo mainstream, come Britney Spears,
Fatboy Slim e N*E*R*D. Quest’anno
registrano un album pomposamente
barocco che ai robot deve moltissimo, che al loro sound si genuflette e
si specchia in narcisistiche pose. Un
giochino di stucchi e paillettes riflettenti. Luci stroboscopiche a bassa
velocità per chi vuole lasciarsi travolgere dai ricordi. Tastierine e suonini
senza quel quid. Senza la visione del
Darkel (metà solista e gaia degli AIR)
più cosmico e stellare. Tutte consapevolezze che il duo pare avere in testa
ma reagisce macinando tutto vorticosamente, bruciando così tutto e subito. E di nuovo: leak ammiccanti buoni
per qualche vecchia superclassifica,
archi disco e vocine per loliti e lolite
tutti vodka e red bull (che dicono che
al fegato fa malissimo. Più dell’eroina). Quel che non era possibile insegnare non è stato metabolizzato. È
mancato il tempo e questo fa molto
Duemila. Meglio va con i Digitalism.
Ideal( ism ) P a radise
Digitalism, ovvero Jens Moelle e
Ismail Tuefekci. Sangue krauto dalla fredda Amburgo proteso verso le
robo tastiere francesi con un po’ di
aceeed! che non guasta mai di questi
tempi, e miele sintetico. Però: innesti
rock nella pasta sonica. Triangolazioni Out Hud e nu-rave (Klaxons). Poi
ci sono gli Ottanta: Digitalism In Cairo
per dirne una, è un omaggio alla wave
targata Robert Smith, il minimalismo
art-dark da cui tutto riparte sempre e
comunque. Ma se l’onda si trasforma
in bioritmo, il ricorso porta ai manichini e nonsoloDaft, ovvero chitarre.
Nessuna novità? Più o meno si va
d’addizione, tuttavia, sotto le progressioni melodico ritmiche qualcosa
c’è, s’apre alla psichedelia cosmica.
Un ponte con la kraut disco nordica di
Lindstrom è gettato, ma tutto traballa quando c’è la febbre scanzonata e,
appunto, kitsch a dominare il platter.
Ci siamo quasi. I Digitalism sentono il
polso del presente. E quasi arrivano
alla sintesi (quasi però).
Disc o Mo b i l e
Altra coppia infine, l’ultima, la più
completa: il duo James Shaw e James
Ford che approda quest’anno all’agognato disco d’esordio sotto il moniker
di Simian Mobile Disco. Location: la
scazzata Bristol del fu trip hop. Prima,
è vero, c’erano i Simian (e basta), un
ibrido di Broadcast e Beta Band. La
febbre del remix nata per gioco però
cresce sempre più, finché i due lasciano da parte l’istinto rock per tardoadolescenziali pastiere sudaticcie.
Il gancio arriva con un DJ di grido (Erroll Alkan) che li porta in casa Kitsuné Music e I’m A Cliché. Dal 2004
in poi, i remix sono per le star: Air,
Klaxons, Björk, Muse e Rapture. E di
pari passo si forma un gusto che non
può fare a meno dell’old skool e persino di gente straignorante come i Technotronic. Dunque ritmo robot liquefatto e rapping riesumato dalla cricca
Snap, ovvero dalla scuola nera NRG a
cavallo tra gli Ottanta e Novanta. Così
la linea dei daftpunkiani si lega direttamente al ghetto-funk e rinasce altra.
Techno-truzza con stile. Sì. Ecco il disco Attack Decay Sustain Release,
le partecipazioni alle compilation Bugged Out e le serate del Fabric.
Il suono Simian Mobile Disco è sincopato, aceeed!, funk, ma soprattutto pregno di negritudine e un tocco
dance brit (senza rinunciare ad alcuni
pezzi white per bianchi come Love).
Di fatto è il duo meno emulo del lotto, più consapevole della potenza del
remix, vario nelle soluzioni (Scott
per dire è un balletto futurista e una
piece contemporanea assieme! Love
parte dai Klaxons e sfreccia a Ottanta all’ora, I Believe è bass Miami al
ralenti…), sapiente nell’uso dei filtri
(gli inserti Phuture in Hustler), nella realizzazione dei climax (It’s The
Beat: un ponte tra electro Kraftwerk
e Pump Up The Jam). In altre parole
è il più smaliziato nel frullare i vibe
con i rhythm. Un set poshy bastard,
puttano come la coppia Beckham, ma
pronto a convertire lo chic in kitsch
technotronico. “I know it’s good, it’s
the beat”, dicono loro, ma che siano
pre tutte le etichette che vi rintronano
in testa ora (e che vi fanno odiare le
recensioni) a noi tutti interessa il tocco. Loro ce l’hanno più di tutti.
sentireascoltare 19
Oren Ambarchi
NELLA MORSA DEL PENDOLO
di Vincenzo Santarcangelo
Un excursus tra a lcu ni t it oli della s t er m inat a dis c o g r a f i a d a s o l i s t a d e l c h i t a r r i s t a e s o u n d - a r t i s t a u s t r a l i a n o O r e n
A mbarchi. Espe riment i t onali e r if les s ioni ( m et a) f i s i c h e a l l a r i c e r c a d e l p u r o s u o n o , c o n l a g u i d a d e l l ’ i n c e s s a nte
vagare d ella sfe ra d i un pendolo.
Fu allora che vidi il Pendolo. La sfera,
mobile all’estremità di un lungo filo
fissato alla volta del coro, descriveva
le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà.
Non conoscevo l’australiano Oren
Ambarchi (Sydney, 1969) e la sua
arte della seicorde. Quando dedicavo
anima e corpo - più corpo che anima, i pensieri non perdevano tempo
a vagare lontano - allo studio della
chitarra classica, non potevo immaginare che lo strumento che tenevo
abbracciato come fosse una donna
da sedurre (così mi aveva insegnato il maestro) potesse trasformarsi in
un pendolo. Me ne stavo seduto, con
una gamba a mezz’aria sostenuta da
un ben disposto sgabellino poggiapiede, a decifrare ghirigori su righe
orizzontali. Tra un Giuliani ed un Sor,
mi chiedevo se fosse davvero quello
lo strumento che avevo scelto di imparare a suonare. Ma era lungi da me
l’idea che si potesse trasformare in
un pendolo. Dopo qualche ora puntualmente rivestivo quella donna con
cui - siamo sinceri - non avevo avuto
poi grande fortuna, riponevo i libri in
uno scaffale che presto sarebbe diventato il loro luogo naturale e fermavo il metronomo - o forse si trattava
di un pendolo.
Lo sapevo - ma chiunque avrebbe
dovuto avvertire nell’incanto di quel
placido respiro - che il periodo era regolato dal rapporto tra la radice quadrata della lunghezza del filo e quel
numero π che, irrazionale alle men-
20 sentireascoltare
ti sublunari, per divina ragione lega
necessariamente la circonferenza al
diametro di tutti i cerchi possibili così che il tempo di quel vagare di
una sfera dall’uno all’altro polo era
effetto di una arcana cospirazione tra
le più intemporali delle misure, l’unità
del punto di sospensione, la dualità
di una astratta dimensione, la natura
ternaria di π il tetragono segreto della radice, la perfezione del cerchio.
Forse davvero per poter riscoprire
un qualunque artefatto nella sua natura di semplice oggetto tra gli altri,
bisogna condurlo allo stremo delle
possibilità funzionali, forzarne le potenzialità al massimo grado. Forse
solo allora, tra le mani del virtuoso,
l’artefatto torna, recalcitrante, ribelle,
a reclamare il suo status originario di
oggetto, si svela nel suo essere mera
materia. Ma queste sono solo sofisticherie. Quando si parla di Oren Ambarchi si finisce sempre per tirare in
ballo il minimalismo storico, in special
modo la propaggine estrema di quel
movimento d’avanguardia che ha finito per confondere giustificazione teorica e aspirazione al sacro in un ricercare che ha presto condotto musicisti
borghesi di razza bianca e di buona
famiglia ad un peregrinare inquieto e
spesso incostante, geografico - sulle
tracce della spiritualità incontaminata dell’estremo Oriente, alla ricerca
delle origini dell’uomo e del ritmo,
nel continente africano - prima ancora che spirituale. La musica di Oren
Ambarchi ha sicuramente a che fare
con la sfera del sacro e della medi-
tazione: quei suoni primigenei iterati
all’infinito simboleggiano senz’altro il
prostrarsi del fedele, sono indubbiamente feticci della sillaba sacra; ma
prima e forse più, quei suoni simulano
il movimento infinito del pendolo. La
musica di Oren Ambarchi, a ben pensarci, è pura fisica del suono.
Se qualcuno avesse provato a farmi
ascoltare Insulation (Touch, 1999)
all’epoca dei miei infruttuosi tentativi
accademici, difficilmente mi avrebbe anche convinto del fatto che quel
disco era, in sostanza, un disco per
sola chitarra. Se ancora non risulti
chiaro cosa si debba intendere quando si parla di un processo in grado
di “condurre allo stremo delle possibilità funzionali” un semplice artefatto, si ascoltino Insulation o i quattro volumi della serie Stacte (Jerker
Productions, 1998, 1999 i primi due,
Jerker Productions/Plate Lunch, 2000
il terzo, En/Of, 2002 il quarto). Qui la
chitarra è neutrale sorgente di suono,
oggetto spogliato di qualsiasi specificità artistica, dispositivo generatore
di rumore volutamente pre-culturale
colato in architetture improvvisate e
cangianti. Qualcuno, è pur vero, potrebbe riconoscere in simile ardire il
già ascoltato di un Morton Feldman
o di un La Monte Young, ma Insulation è uno di quei dischi che cancella
in un sol colpo (di spugna) interi manuali di storia delle correnti e degli
strumenti musicali.
Ancora sapevo che sulla verticale del
punto di sospensione, alla base, un
dispositivo magnetico, comunicando
il suo richiamo a un cilindro nascosto
nel cuore della sfera, garantiva la costanza del moto, artificio disposto a
contrastare le resistenze della materia, ma che non si opponeva alla legge del Pendolo, anzi le permetteva di
manifestarsi, perché nel vuoto qualsiasi punto materiale pesante, sospeso all’estremità di un filo inestensibile e senza peso, che non subisse
la resistenza dell’aria, e non facesse attrito col suo punto d’appoggio,
avrebbe oscillato in modo regolare
per l’eternità.
La costanza del moto di un corpo
sospeso a mezz’aria. Un artificio disposto a contrastare le resistenze
della materia. Questo è Suspension
(Touch, 2001), il primo lavoro in cui
si inizia a definire compiutamente il
suono dell’Oren Ambarchi solista.
Sprazzi di melodia vivissima germogliano, quasi per caso, sullo sfondo
della logica binaria dominante - le
due estremità della traiettoria tracciata dalla sfera (Wednesday, Suspension). Al suono degli armonici
della chitarra, vero e proprio fil rouge dell’intero lavoro, si alterna quello dei bassi profondi, come se una
mano scavasse e l’altra lanciasse il
terriccio lontano, per aria; come se le
leggi della statica fossero applicate a
quel punto immateriale che è la nota
musicale (Vogler, As Far As The Eye
Can See).
Il miglior esempio dell’incessante ricerca di purezza di Ambarchi è senza dubbio Grapes From The Estate
(Touch, 2004): alle meditazioni per
sola chitarra (Corkscrew, la monumentale Stars Aligned, Webs Spun),
vengono addizionate con il solito processo graduale di scuola minimalista
un organo alla Terry Riley (Remedios
The Beauty) e un brush di batteria
jazz (Girl With Silver Eyes), prima
grande passione dell’artista da giovane - determinante, per la formazione del musicista, un soggiorno-studio
come batterista free jazz a New York,
nel lontano 1988, alla scuola di quel
John Zorn che diverrà uno dei suoi
primi mentori.
Il recente In The Pendulum Embrace (Touch, 2007) si colloca coerentemente sulla scia dei due predecessori, pur non raggiungendone i picchi
espressivi. Fever, A Warm Poison
si tinge di umori depressi ed oscuri, giocherà forse un ruolo la recente collaborazione con i Sunn O))) di
Black One? Ci pensa Inamorata a
ristabilire, grazie ai consueti armonici, quello stato di trance a cui siamo
assuefatti; l’ingresso degli archi, a
metà minutaggio, conferisce un certo
dinamismo al monolite, sì che il brano
finisce quasi per diventare saggio del
migliore post-rock. È un album variegato rispetto agli standard, In The
Pendulum Embrace, frastagliato in
mille sfumature cromatiche (la chitarra folkish di Trailing Moss In Mystic
Glow), curatissimo nei particolari;
eppure manca quella solennità severa che aveva fatto grandi, pur nella loro immobilità espressiva, lavori
come Suspension e Grapes From
The Estate. Se si apprezza l’afflato
melodico mai rinnegato da Ambarchi
- e perfettamente assecondato grazie
alla liaison con Chris Towned a nome
Sun, esperimento sfociato nell’omonimo disco (Staubgold, 2004) dal sapore decisamente pop - si accoglieranno di buon grado le concessioni
accordate all’intelligibilità di alcuni
elementi (addirittura la voce sussurrata del cantautore tormentato, sempre
in Trailing Moss In Mystic Glow). Ma
l’impressione è che la sfera, stavolta,
abbia dovuto faticare più del dovuto a
fendere la resistenza dell’aria.
II Pendolo mi stava dicendo che, tutto
muovendo, il globo, il sistema solare, le nebulose, i buchi neri e i figli
tutti della grande emanazione cosmica, dai primi eoni alla materia più
vischiosa, un solo punto rimaneva,
perno, chiavarda ,aggancio ideale,
lasciando che l’universo muovesse
intorno a sé. E io partecipavo ora di
quell’esperienza suprema, io che pure
mi muovevo con tutto e col tutto, ma
potevo vedere Quello, il Non Movente, la Rocca, la Garanzia, la caligine
luminosissima che non è corpo, non
ha figura forma peso quantità o qualità, e non vede, non sente, né cade
sotto la sensibilità, non è in un luogo,
in un tempo o in uno spazio, non è
anima, intelligenza, immaginazione,
opinione, numero, ordine, misura, sostanza, eternità, non è né tenebra né
luce, non è errore e non è verità.*
(* I brani in corsivo sono tratti da Umberto Eco - Il Pendolo di Foucault Bompiani, 1988)
sentireascoltare 21
DIRTY PROJECTORS
dove Mahler va d’accordo con i Black Flag
di Daniele Follero
Non ha compiuto ven t i c i n q u e a n n i e a l l e s p a l l e h a g i à u n a c a r r i e r a d i t u t t o r i s p e t t o e u n “ p r o g e t t o ” m u l t i f o r m e che
porta avan ti d a qu alc he anno. Dav e Longs t r et h, lea d e r a s s o l u t o d e i “ s u o i ” D i r t y P r o j e c t o r s , c o n f e r m a , c o n l ’ u l t i mo
R ise Abo ve di e ssere una f igur a di pr im a im por t an z a d e l l a m u s i c a i n d i p e n d e n t e t a r g a t a U . S . A . .
F accina p allid a e br uf olos a, m ascella prominente, ca p e l l i s c u r i , i r t i ,
sparati confusamen t e v e r s o l ’ a l t o ,
smorfia da Sid Vicious poc o c onvinto: g ua rda nd o un a f ot o di D a v e
L o n gstr e th a i temp i degli es or di,
si inco ntra u n gio vin c ello am er ic ano appena ventenn e c o m e c e n e
sono tanti, cresciuti a s u o n d i I P o d
ed mp3 , un o stud en t ello qualunque
che può permettersi d i a t t e g g i a r s i a
pseudo-intellettuale s o l o p e r c h é è
iscritto a Yale con i s oldi di un papà
più c he b en estan te. Nulla del s uo
aspetto farebbe pe n s a r e , v o l e n d o
giocare con le le gg i della f is iognomica, che dietro que l l ’ a p p a r e n z a d i
adolesce nte disimpegnat o s i nascond a in rea ltà u n m us ic is t a già
maturo e completo, u n g e n i e t t o d e l
post-tutto, uno che s i t r o v a a s u o
agio sia con Mahler c h e c o n i B l a c k
Flag, con compless e c o m p o s i z i o n i
corali e gre zze schitar r at e neo- f olk .
In realtà, Dave non m e t t e s u b i t o i n
most r a le su e po liedr ic he qualit à
musicali, seguendo, a n c h e s e m a i
pedisseq ua men te, la s c ia del f ilone neo-acustico di i n i z i o m i l l e n n i o ,
D eve n dra Ba nh art in t es t a. Le s c elte del primo alb um a s uo nom e, The
Graceful Falle n Man go, s e m b r a n o ,
infat ti, tu tte o rien tat e alla s em plicità estrema dei me z z i : r e g i s t r a t o
nella sua camera d a l e t t o c o n u n
semplicissimo 4 p is t e e il c om puter del frate llo, l’e s or dio dis c ogr afico di Longstreth no n s t u p i s c e p e r
originalità, né per p a r t i c o l a r i i d e e .
U na strizzata d’o cchio ai B e a c h
B o ys e un’imposta z i o n e s t i l i s t i c a
tipica della tanto in v o g a “ c a n z o n e
da cameretta”, tengo n o p a r a l i z z a t o ,
nelle strette maglie d e l l a s e m p l i c i t à
e della casua lità, l’ es t r o c om pos i-
22 sentireascoltare
tivo vulcanico di questo ragazzo di
New Haven che di lì a poco sarebbe
es plos o. M a s p u l c i a n d o n e i s o l c h i
di un disco dalle modeste pretese,
c i s i im bat t e i n s c i n t i l l e d i g e n i a l i t à , s c h i z z e t t i d i f o r t e a ff e r m a z i o n e
di una per s o n a l i t à m u s i c a l e a n c o ra troppo timida per venire a galla:
ballat e s gh e m b e a l l a B a rre t t ( F o l low M e Not I f Yo u S t i l l C a r e , I D o n ’ t
Know) , s i n g o l a r i i n t e r p r e t a z i o n i d e l
pos t - r oc k ( E a s i l y R e s i g n e d ) , i l p r o g
della t it le t r a c k , s o n o i m o m e n t i p i ù
interessanti di questo esordio, oltre
a rappresentare il lato stilistico di
Longstreth più vicino al suo futuro
pr os s im o, f i r m a t o D i r t y P r o j e c t o r s .
Dav e las c ia p r e s t o Ya l e , p e r d e d i c ar s i alla m u s i c a a t e m p o p i e n o ( a n che se, a considerare il suo attuale
s t at o di s e m i - s c o n o s c i u t o , i l s u o
es s er e os t in a t a m e n t e u n d e r g r o u n d ,
qualc he lav o r e t t o e x t r a a v r à d o v u t o pur f ar lo ) e d e c i d e d i t r a s f e r i r si a Brooklyn. È qui che nasce e
prende vita il “progetto”: creare una
f or m az ione a p e r t a , u n a b a n d i n t e r c am biabile c h e p o t e s s e e s p r i m e r s i
attraverso generi molto diversi tra
lor o, dalla m u s i c a c a m e r i s t i c a a l
pop. Un gruppo di esecutori che
m et t es s er o i n p r a t i c a l e s u e i n v e n z ioni c os t an t e m e n t e i n f i e r i .
The G l ad F a c t ( We s t e r n Vi n y l ,
2003), però, sebbene sia uscito con
il nuov o nom e , è u n a l b u m q u a s i i n teramente suonato e prodotto da
Dave, che in questa occasione si fa
aiut ar e dal c o l l e g a d i P o r t l a n d A d a m
For kner ( Yu m e B i t s u , S u r f a c e O f
Eceon, Wo r l d ) . A n c h e i n q u e s t a
oc c as ione, D a v e a p p a r e p r e v a l e n t em ent e c o n c e n t r a t o s u l l a r i c e r c a
di originali soluzioni melodiche e
r im ane ben s t r e t t o a d u n g e n e r e f a -
c i l m e n t e r i c o n d u c i b i l e a r i f e r i m enti
p r e c i s i : i l n e o - f o l k d i B a n h a r t e so ci
(neo-acustica, acoustic lo-fi o chiam a t e l o c o m e p r e f e r i t e , m a , v i p r e go,
n o n p r e - w a r f o l k ! ) , i l B a r r e t t p ostP i n k F l o y d e u n p o p s f a c c i a t a m e nte
a v a n t , q u a s i l a n e g a z i o n e s t e ssa
d e l t e r m i n e . L a c o m p o s i z i o n e s tr u m e n t a l e a p p a r e p i ù c u r a t a r i s p etto
a l p r e c e d e n t e T h e G r a c e f u l F a l len
Mango, ma sono ancora lontani gli
a r r a n g i a m e n t i c l a s s i c h e g g i a n t i e il
g r a n d e l a v o r o s u i c o r i c h e c a r a tte r i z z e r a n n o i l p e r i o d o p i ù m a t u r o di
D i r t y P r o j e c t o r s . I n q u e s t o “ s e c on do” esordio, Longstreth somiglia a
u n C a p i t a i n B e e f h e a rt c h e g i oca
a f a r e R o y H a rp e r. S i p a s s a d a l l a t r a n q u i l l i t à p s y c h - f o l k d i G r o und
U n d e r f o o t e O f f S c i e n c e I l l a l f u nky
z o p p o e s t r a s c i c a t o d i B o r e d o m Is
A Product, giungendo fino alla follia
pura della title track, uno strano inc r o c i o d i a v a n t h i p h o p , p s i c h e d elia
e i C o n t o rs i o n s . S e n o n f o s s e p e r
l’eccessiva presenza di nenie per
c h i t a r r a e v o c e , i n t e r e s s a n t i , per
c a r i t à , m a a l l a l u n g a u n p o ’ n o i ose,
s i p o t r e b b e g i à g r i d a r e a l m i r a c olo.
S l a v e ’s
Graves
Ballads:
piccoli
crescono
An d
geni
M a l ’ e s u l t a n z a è s o l o p o s t i c i p ata
d i u n a n n o . A s e g u i t o d e l l ’ u s c i t a di
M o rn i n g , B e t t e r, L a s t ! , u n a r a c co l t a d i m a t e r i a l e i n e d i t o r e g i s t r a t o tr a
i l 2 0 0 1 e i l 2 0 0 2 , p u b b l i c a t a p e r la
S t a t e s R i g h t s e v e n d u t a s o l o s u In t e r n e t , i l g i o v a n e D a v e d e c i d e che
è a r r i v a t o i l m o m e n t o d i f a r e l e c ose
i n g r a n d e e a r r u o l a l a O r c h e s tr a l
S o c i e t y F o r t h e P r e s e r v a t i o n O f the
O r c h e s t r a ( s i c ) , ( u n a f o r m a z i one
c o m p o s t a d a u n f l a u t o , u n o b o e , un
clarinetto, un c o r n o , d u e v i o l i n i , u n
violo ncello e per c us s ioni) per r egistrare il ta nto or goglios am ent e annunciato albu m p e r “ v o c e , q u a r t e t t o
d’archi e qua r t e t t o d i f i a t i ” ( a n c h e
se in qu esto c as o, a v oler es s er e
p recisi e pig noli, m anc her ebbe la
viola a comp let ar e i quat t r o ar c hi…
vab bè , picco lez z e… )
Do po du e a lbu m c he lo av ev ano inq ua dra to in una c or r ent e neo- f olk
tanto attiva q u a n t o v a r i e g a t a , c o n
Sla ve ’s Gr av es And Bal l ads ( We stern Vinyl, 20 0 4 ) i l v e n t u n e n n e d e l
Connecticut s i a v v i a g i à v e r s o u n o
stile p lasmato ad im m agine e s om ig lian za d ella s ua v alanga di idee
mu sicali, pre ndendos i s ot t o br ac cio il Rober t Wyat t più is pir at o e
la migliore tr a d i z i o n e c a n t a u t o r a l e
a merican a, d a Ti m Buckl ey a To m
Waits . Chi si as pet t av a una r ic onfe rma d i qu ell’appr oc c io “ c as aling o” ch e aveva c ont r addis t int o The
Gla d Fa ct sa r à r im as t o delus o alme no pe r met à v is t o c he, s e par t e
d ell’a lbu m (p r odot t o della r is c r it t ura e re inte rpre t az ione di due pr ec edenti EP) si c o n f e r m a i n p i e n o s t i l e
lo -fi, il resto p ar la un linguaggio or che stra le ch e per r aff inat ez z a e f r eschezza degli a r r a n g i a m e n t i q u e s t a
volta sì che fa gr idar e al m ir ac olo.
Le parti orche s t r a l i , s c r i t t e e d i r e t t e
dallo stesso L o n g s t r e t h ( c h e r i m a n e
l’unico e inco n t r a s t a t o p r o t a g o n i s t a
del “progetto” ) p i ù c h e f u n z i o n a r e
come semplic e a c c o m p a g n a m e n t o
d i u na me lod ia- c ondut t r ic e ( abus o
tipicamente p o p ) , s o n o u s a t e c o n
un’espressivit à p i ù u n i c a c h e r a r a
n eg li a mbie nti “ popular ” : dalla legg ere zza (On The Beac h) ad una
g estua lità qu as i oper is t ic a ( Slav es ’
G r av e s ) l ’ o r c h e s t r a s i m u o v e a t t r a v er s o p a s s a g g i a r m o n i c i c h e l a s c e r ebbe r o a b o c c a a p e r t a a n c h e G e or ge M a rt i n .
La d i s t o r s i o n e a c u s t i c a d i ( T h r o w
On The) Hazard Lights piomba in
una s o r t a d i l o - f i o r c h e s t r a l e e v i e ne riproposta a mo’ di ripresa per
c hiud e r e i l p r i m o c a p i t o l o d i q u e sto album. È a questo punto che
la one-man-band Dirty Projectors
viene fuori nella sua versione più
int im i s t a e L o n g s t r e t h r i m a n e q u a si totalmente solo con la chitarra
a sussurrare le sue “homemade
s ongs ” . P r e v a l e l a d o l c e z z a i n L a dies , Yo u H a v e E x i l e d M e e O b s c ur e Wi s d o m , m e n t r e l ’ a t m o s f e r a
c upa d i S i n c e I O p e n e d è p e r f e t t a
per chiudere un album che non cala
m ai d i i n t e n s i t à .
Dav e c o m i n c i a a f a r p a r l a r e m a g gior m e n t e d i s é p u r r i m a n e n d o n e l la s u a n i c c h i a d i e s t i m a t o r i s t a t u nit en s i , m e n t r e q u a l c u n o c o m i n c i a
ad aff i a n c a r l o a d a l t r e i n t e r e s s a n tissime figure di spicco della scena
av ant - p o p o r c h e s t r a l e c o m e S u f j a n
St ev e n s , R u f u s Wa i n w ri g h t e
Andr e w B i rd . I n c u r a n t e , a l m e n o
in ap p a r e n z a , d i q u e s t a a t t e n z i o ne crescente nei suoi confronti,
Longstreth continua imperterrito il
s uo c a m m i n o v e r s o l a s p e r i m e n t a z ione o r c h e s t r a l e e , n o n p a g o d e i
risultati stilistici (delle vendite si sa
poc o) r a g g i u n t i c o n S l a v e ’s G r a v e s
And B a l l a d s , p r o v a a s u p e r a r s i e ,
di conseguenza, a complicarsi la
v it a, a n n u n c i a n d o u n a g r a n d e o p e ra corale. La ricerca di una maggiore complessità formale lo spinge
verso i territori del concept album,
m a l’ a p p r o d o è d i ff i c i l e e i n c e r t o .
Il
passo
p r e t en z i o s o
d e l l a g l i tc h o p e r a
“ U n a g l i t c h o p e r a s u l l e ader degli
E a g l e s , D o n H e n l e y, e s ul conflitto
t r a H e r n a n C o r t e s e g l i A ztechi del
1 5 1 9 - 2 1 ” . S t a v o l t a D a v e Longstreth
p r o v a p e r g r a n d i s a l t i a d are la sua
visione dell’America, racchiudendol a t r a d u e p e r s o n a g g i c h e non hanno
n i e n t e i n c o m u n e s e n o n il fatto di
a p p a r t e n e r e e n t r a m b i a l l a vi ta d e g l i S t a t i U n i t i . C h e c o s a s ia poi una
g l i t c h o p e r a ( ! ) n o n è d a t o saperlo,
a n c h e p e r c h é , a p a r t e q u al ch e e l a b o r a z i o n e e l e t t r o n i c a ( P onds And
P u d d l e s s ) , l a m u s i c a h a ve r a m e n te
p o c o a c h e v e d e r e c o n q u ello che si
d e f i n i s c e g l i t c h . P e r n o n parlare dei
riferimenti all’opera…
D o p o i b u o n i l i v e l l i c o m p o si ti vi r a g g i u n t i l ’ a n n o p r e c e d e n t e , i l p r i n ci p a l e D i r t y P r o j e c t o r, r i c hiamata a
s e l ’ O r c h e s t r a l S o c i e t y, s i fa p r e n d e r e d a a m b i z i o n i “ c o l t e ” , cadendo
i n u n t r a n e l l o m o l t o i n s i dioso per
g l i a r t i s t i p o p u l a r. P e r s ua fortuna
Longstreth non si mette a emulare
n e s s u n o ( a p a r t e a l c u n i momenti di
s c r i t t u r a o p e r i s t i c a d i i m p r o n ta ta r d o r o m a n t i c a ) , m a l a s u a originalità
non è coinvolgente.
L a d d o v e l ’ a l b u m p r e c e d e nte e r a o r g a n i z z a t o i n c a n z o n i , a c corpate in
d u e p a r t i i n b a s e a s c e l t e str u m e n t a l i , T h e G e t t y A d d re s s (Western
Vi n y l , 2 0 0 5 ) s i p r e s e n t a co m e u n a
l u n g a s u i t e , c o n i l c o i n vo l g i m e n t o d i u n o r g a n i c o s t r u m e n ta l e i m p r e s s i o n a n t e p e r v a r i e t à : un ottetto
d i v i o l o n c e l l i , f i a t i , p e r c ussioni di
t u t t i i t i p i e c o r o f e m m i n i l e , i l tu tt o s c r i t t o e d e l a b o r a t o ( guarda un
p o ’ ! ) d a L o n g s t r e t h s t e s s o, che ha
l a v o r a t o l e p a r t i a l c o m p u ter e le ha
sentireascoltare 23
ricostruite sovrappo n e n d o c i l a s u a
voce. Una voce che n a v i g a p e r t u t t i
i cinq ua nta e p assa m inut i dell’album su uno stile a m e t à t r a R o b e r t
Wyat t e Je ff Buc kle y.
A pa rte q ua lch e ric hiam o m elodico qua e là, The G et t y Addr ess,
non dà l’imp ressio ne di un pr oget to organico (quello c h e d o v r e b b e
essere un’opera). U n a m u s i c a c h e
si sfo rza d i e ssere e v oc at iv a, int ellettuale, ma ch e risu lt a s t at ic a, “ legnosa”, ingessata d i e t r o u n a f o r m a
tropp o pretenziosa. N o n c h e s i a u n
brutto la vo ro, è se nz ’alt r o un operazione co mple ssa, ques t a, c on un
risultato ch e h a b is ogno di t em po
per esse re meta bo liz z at o. M om ent i
come Time Birth ed Spilled Blood,
con le sue sovrappo s i z i o n i d i p a r t i ,
met t on o in risa lto una gr ande f antasia comp ositiva , c he per ò s i per de nella no iosa le nt ez z a di I Wi l l
Truck o di Wa rho lian Wigs . R i t m i
lenti vicini al trip h o p , m a s p e s s o
elabora ti co n p ercuss ioni dal s apore etnico co me mari m bas e c am panacci (Jo lly Jo lly Jo lly Ego) . Un album a volte stucchev o l e , a l t r e v o l t e
affascinante, un per c o r s o m u s i c a l e
pieno di ferma te, dis c ont inuo, m a
che se attraversato a p i c c o l i t r a t t i
rivela meglio il suo f a s c i n o , t r a i l
cervello tico e il se m plic iot t o. For se il gio va ne Da ve av r ebbe dov u-
to aspettare qualche annetto di più
per cimentarsi in un’avventura che
non sembra essere stato in grado
di gestire fino in fondo, alla quale
non è bastato il suo approccio tra il
colto e il naїf, che pure aveva dato
linf a v it ale a i d u e l a v o r i p r e c e d e n t i .
Un passo falso, un’esagerazione,
m a f is iologi c a , c o m p r e n s i b i l e , p o tenziale preludio ad una ulteriore
fase di crescita artistica. Da uno
come Longstreth, che di idee ne ha
da v ender e, c ’ è d a a s p e t t a r s e l o .
Uno s gu a r d o a l l ’ i n d i e tr o
Rispettando ancora una volta la
cadenza biennale delle sue uscite,
Dave Longstreth, dopo la faticaccia
di The G et t y A d d re s s , s i c o n c e d e
un anno s ab b a t i c o p e r g u a r d a r s i i n diet r o e s c o p r i r e c o m e è c a m b i a t a
la sua musica dopo una manciata
di dis c hi. È f o r s e q u e s t a l a m o t i v a z ione più f o n d a t a d e l l a p u b b l i c a z i o ne dell’EP N e w A t t i t u d e ( We s t e r n
Viny l, 2006 ) , u n v e r o e p r o p r i o r i as s unt o in m e z z ’ o r a d i m u s i c a , d e l la carriera di Dirty Projectors. Una
s i n t e s i p r ec i s a , c h e e s p l o r a c o n
gr ande c on s a p e v o l e z z a , l e s t r a de via via intraprese: dagli esordi
elet t r oac us t i c i ( F u c k e d F o r L i f e ;
Two Sheep A s l e e p ; I m a g i n e I t ) a l l e
c om pos iz ion i o r c h e s t r a l i d e l p e r i o do più r ec e n t e ( L i k e n e s s O f U n -
c l e s ; D a r k e n e d C a r ) . C h e q u esto
s g u a r d o a l l ’ i n d i e t r o s i a a n t i c i p a t ore
d i u n c a m b i a m e n t o , l o s i i n t u i s ce
n o n s o l o d a q u e s t e “ r i v i s i t a z i o ni”,
p i ù a s c i u t t e e f r e e - f o r m , m a a n che
d a l l e d u e p e r l e c h e c o m p l e t ano
u n l a v o r o b r e v e m a r i c c o d i s p un t i : i l f u n k p r e s o i n p r e s t i t o d a B illy
P re s t o n d i Tw o Yo u n g S h e e p s e il
sound sfacciatamente pop anni ’80
di Katy At The Mall Pts. 1 & 2, lasciano intravvedere già nuovi territ o r i i n e s p l o r a t i , p r o n t i a s o s t i t u i r si
n e l l ’ i m m a g i n a r i o c a l e i d o s c o p i c o di
Longstreth.
U n a l t r o i n t e r e s s a n t e m o m e n t o di
q u e s t o v i a g g i o a r i t r o s o n e l t e mpo
a t t r a v e r s o i “ s a l t i ” s t i l i s t i c i , è r ap p r e s e n t a t o d a u n a c h i c c a , c h e ha
p r e c e d u t o d i p o c o l ’ u s c i t a d i R ise
A b o v e : l e D a y t ro t t e r S e s s i o ns ,
p u b b l i c a t e s o l o s u l l ’ o m o n i m o s i to
i n t e r n e t ( w w w. d a y t r o t t e r. c o m ) , u n
s i t o c h e p u b b l i c a s e s s i o n i n e di te
d i p r o p r i a p r o d u z i o n e e c h e può
vantare già un catalogo di tutto ris p e t t o , c h e c o m p r e n d e n o m i c ome
G ri z z l y B e a r, Vi e t n a m , C a s i o t o n e ,
O f M o n t r e a l , B o n n i e ‘ P ri n c e ’ B ill y , M y B r i g h t e s t D i a m o n d , P o n ys ,
L o w. U n a s o r t a d i J o h n P e e l i n pi cc o l o , c h e p r o v a a d “ a c c a l a p p i ar e ”
i m u s i c i s t i d i p a s s a g g i o i n I l l i n ois
p e r f a r g l i r e g i s t r a r e q u a l c h e s ess i o n i n e d i t a . C o s ì è s t a t o p e r D irty
Projectors che, in viaggio per il tour
d i T h e G e t t y A d d re s s h a n n o f atto
un salto al Futurappletree Studio
O n e d i R o c k I s l a n d , p e r r e g i s t r are
quattro brani, tre dei quali tratti da
N e w A t t i t u d e e u n i n e d i t o c h e r i s ale
a l p e r i o d o d i S l a v e ’s G ra v e s A nd
B a l l a d s , A L a b o r M o r e R e s t fu l .
B r a n i c h e , i n p r e s a d i r e t t a e co n
d i v e r s i a r r a n g i a m e n t i , a s s u m ono
t u t t ’ a l t r o a s p e t t o , p i ù p r o p r i a m e nte
r o c k , r i s p e t t o a l l e e l a b o r a z i o n i in
studio.
Un a v i r a ta a 3 5 0 °
Almeno stando ad alcune sue dichiarazioni in un’intervista di qualc h e a n n o f a , g l i i n t e r e s s i m u s i c a li d i
D a v e e r a n o t u t t i c o n c e n t r a t i , d opo
i l p r e t e n z i o s o s f o r z o d i T h e G etty
A d d re s s , s u l l a f i g u r a d i K r z y s z tof
P e n d e re c k i , l ’ a u t o r e d e l l a c e l e bre
Tre n o d i a p e r l e v i t t i me d i H i ro shima , c o m p o s i t o r e t r a i p i ù i n t e r ess a n t i d e l l ’ a v a n g u a r d i a p o s t - b e l l i ca.
24 sentireascoltare
Ma pro ba bilme nt e, l’ir r equiet o m us icista orig ina rio di New Hav en, Conn ecticu t, de ve av er c am biat o idea
a ll’ultimo mom ent o, poic hé il s uo
ultimo album è q u a n t o d i p i ù l o n t a n o
si p ossa imm aginar e da quella c he
comu ne men te v iene def init a “ c las sica ” co nte mpor anea. Eppur e la log ica avreb be v olut o c he, dopo gli
e sp erime nti c am er is t ic i di S l a v e ’s
Gr a ve s And Bal l ads e i l p r o g e t t o
corale dell’alb u m s u c c e s s i v o , c i s i
sare bb e p otu t i as pet t ar e qualc os a
d i simile . E inv ec e, m ir ac olo del
g en io musica le c he, s e v uole, può
e ssere illog ic o ( nel s ens o di andare contro le re g o l e d e l l a l o g i c a ) c o n
Ris e Abov e ( Dead O c eans , 11 s et te mbre 2 00 7, r ec ens ione s ul #35) ,
L on gstreth si pr es ent a alla pr ov a
(fo rse ) de finitiv a della s ua m at ur azion e artistic a c on un s ound c he,
g razie ad u n or ganic o s t r um ent ale
rid otto a ll’oss o ( c hit ar r a in ev idenza, b asso e b at t er ia, c on c or o f em minile) strizza l ’ o c c h i o i n m a n i e r a
del tutto pers o n a l e e s c h i z o f r e n i c a
alla “negritu d i n e ” : r y t h m ’ n ’ b l u e s ,
fu nky e so ul in s t ile M ot own. M a,
al cospetto di u n a p e r s o n a l i t à c o s ì
estrosa e mu s i c a l m e n t e o n n i v o r a ,
questi riferim e n t i v a n n o p r e s i c o n
le mo lle, tan t o s ono am algam at i e
me tab olizza ti ( e, di c ons eguenz a,
n asco sti) a ttrav er s o s t r ut t ur e e s t ili
che ne rap pre s ent ano l’es at t o c ontrario. Tra qu e s t i , u n a c e r t a v e n a
p rog , che p er v ade t ut t o l’album e
con ferisce fo r s e il m ar c hio più peculia rmen te dis t int iv o a ques t a ennesima piccol a - g r a n d e s v o l t a ; c o s ì
come le sferzate noise e i passaggi
dal s a p o r e p o s t - r o c k ( D e p r e s s i o n ,
Spr a y P a i n t ) , a i q u a l i è d a t o i l c o m pito di rompere improvvisamente
un’atmosfera generale che si può
definire piuttosto pacata (in questo
s e n s o s p i c c a l a b e ff a r d a t e n e r e z z a
di Th i r s t y A n d M i s e r a b l e e d i G i m me Gimme Gimme), anche se i toni
s ono q u a s i s e m p r e s o p r a l e r i g h e .
Vo l e n d o t i r a r e l e s o m m e , c o m e s i
fa in genere per gli artisti arrivati
ad un c e r t o g r a d o d i m a t u r i t à , r i s u l t a a b b a s t a n z a d i ff i c i l e t r o v a r e
stili, aggettivi e riferimenti che in
p o c he p a r o l e r i e s c a n o a d e s c r i v e r e
e s a ur i e n t e m e n t e l a m u s i c a d i D i r t y
Pr oje c t o r s s e n z a r i s c h i a r e d i s t i l a r e ele n c h i i n t e r m i n a b i l i d i c o m p o s i tori, band, generi, nel tentativo di
aff er r a r e l e n u m e r o s e r e l a z i o n i e
gli intrecci culturali che animano
la c r e a t i v i t à d i L o n g s t r e t h . U n a d i s c r et a f o r m a z i o n e c l a s s i c a , m e s c o lata ad una curiosità inesauribile
e ad u n ’ a t t i t u d i n e m u s i c a l e n e l l a
quale c o n v i v o n o i g e n i d e l r o c k e
dell’avanguardia, completano una
p e r s o n a l i t à m u l t i f o r m e , c h e a ff o n d a
le s ue r a d i c i n e l l a C a n t e r b u r y w y a t t iana , n e l s i n f o n i s m o d i G u s t a v
M ahl e r, n e g l i e s p e r i m e n t i d i H a rr y Pa rt c h , n e l l o s t i l e v o c a l e d i J e ff
Buckley e nell’attitudine folk di suo
p a d r e Ti m . D a v e L o n g s t r e t h s t e s s o ,
dall’alto della sua eccentricità, ha
provato a definire la sua musica
con gli appellativi più strampalati
(glitch folk, wabi sabi, dun-songs)
fallendo sistematicamente. Forse
per c h é n e a n c h e i l m e n t o r e d e i D i r -
t y P r o j e c t o r s s i è r e s o c onto della
grandezza del suo lavoro. Un prog e t t o m u s i c a l e t a l m e n t e ap e r to d a
f a r c o n v i v e r e X i u X i u c o n o r ch e s t r a z i o n i i n s t i l e t a r d o - r omantico,
l ’ u k u l e l e e i l q u a r t e t t o d ’ a r ch i , l ’ i r r i v e r e n z a d i C a p t a i n B e efheart e
q u e l l a d i S t ra v i n s k i j .
Certo è che un artista di questo spessore meriterebbe maggiore visibilità
e riconoscimento. Ma si sa, la notorietà non va quasi mai di pari passo
con i meriti artistici e il nome Dirty
Projectors, nonostante le prove e
le conferme di essere una delle migliori realtà musicali dell’avant pop
del nuovo millennio, rimane relegato alla penombra dell’underground.
Di suo, Dave Longstreth ci mette
un atteggiamento restìo alle voraci
necessità del mercato: poche interviste, un sito Internet che si limita
alle informazioni di base (concerti e
discografia), una piccola label alle
spalle e, per ora, una presenza sul
territorio che riesce con molta fatica
ad oltrepassare l’oceano.
P e n s a n d o c i b e n e , p e r ò , i n fondo in
f o n d o l a s u a è a n c h e l a condizione
o t t i m a l e d i c h i f a m u s i c a per il puro
fine espressivo, senza scendere a
c o m p r o m e s s i d i n e s s u n ti p o . Pr o b a b i l m e n t e , r a g i o n a n d o eg o i sti ca m e n t e d a a s c o l t a t o r i , c o n vi e n e sp e r a r e c h e l a s i t u a z i o n e n o n cambi e
c h e i l m u s i c i s t a d i N e w H a ve n p o ss a c o n t i n u a r e a p e n s a r l a co sì, a n c h e a d i s c a p i t o d i m i g l i o r i guadagni
e c o n o m i c i : m e g l i o f a r e o t timi dischi
c h e a s p i r a r e a m e t t e r e la propria
f a c c i a a d i s p o s i z i o n e d i M TV.
sentireascoltare 25
SUPER FURRY ANIMALS
meta-pop 4 everyone!
di Antonio Puglia
Quatto rdici an ni d i inar r es t abile c r eat iv it à m et a- po p .
Proviamo a racconta r v i i S u p e r F u r r y A n i m a l s ; p i ù c h e u n a m o n o g r a f i a , u n t e n t a t i v o d i g u i d a i n u n a d i s c o g r afia
incredib ilmen te d en s a, da s pulc iar e t r ac c ia per t r a c c i a .
They don’t give a fuck
a b o ut anybody els e
Va l l i a c a p i r e , c e r t i p e r c o r s i d e l l a
c r i t i c a . C i v o l e v a l ’ u l t i m o H e y Ve nus! (recensito sul numero scorso) per ricordarci ancora una volta
quanto grandi fossero - non, badate, fossero stati - i Super Furry
Animals, fra gli astri meno celebrati del Britpop. Anzi, del pop tutto,
che diamine, perché se attraversi
indenne gli anni ’90 e non solo
puoi raccontarlo in giro, ma continui pure a collezionare cascate
di elogi (quando il 99 percento dei
tuoi contemporanei, nella migliore
delle ipotesi, si è perso per strada
o sta ancora raccogliendo i cocci),
allora non ti schioda nessuno. In
teoria. In pratica, quando il discorso cade sui grandi della musica albionica recente, si tirano fuori i soliti Suede, Oasis, Pulp - tra l’altro,
solo da poco collocati in their right
p l a c e - , B l u r, R a d i o h e a d , p e r f i n o
i Ve r v e . L o r o , g l i A n i m a l i S u p e r
Pelosi, sono considerati al massimo un’anomalia; per la maggior
parte del pubblico restano “quelli
che cantano in gallese” (con tutto ciò che ne consegue in termini
di diversità / freakerie), “quelli di
50 volte fuck dentro una canzone”
e c c e t e r a . Tu t t o s a c r o s a n t o , p e r c a rità, ma ci sarebbe dell’altro. E poi
certo, si è sempre saputo che sono
valenti e talentuosi; a dirla tutta
s o n o i p r o v e r b i a l i c r i t i c ’s d a r l i n g s
(fatevi un giro per la rete e vedete
un po’ che media voti hanno TUTTI
i loro dischi), al punto che ormai
ogni loro uscita viene data quasi
per scontata e plausi e complimenti, pur meritati, diventano addirittura routine. Paradossalmente, sono
26 sentireascoltare
così bravi che la maggior parte della gente non se ne accorge; e dire
che in patria il pubblico li ha più
volte premiati, e lo fa tuttora, con
dignitosi piazzamenti nelle charts.
Ora, verrebbe quasi da pensare
che in fondo a loro non frega un
cazzo di nessuno (“they don’t give
a fuck about anybody else”, quella frase scippata agli Steely Dan
divenuta vessillo di una carriera),
visto che dopo oltre due lustri i
Furries
restano
costantemente
immersi in quella catena di montaggio creativa che li ha portati a
realizzare quasi un album all’anno,
s e n z a c o n t a r e s i n g o l i , E P, p r o g e t t i
visuali, side-projects e ovviamente incessanti tour intorno al globo
terraqueo. Senza mai esaurire le
batterie. Per loro, e soprattutto,
nostra, fortuna.
Questo in teoria farebbe di loro la
più grande pop band del pianeta,
se il mondo fosse un posto migliore. O almeno, la migliore band
b r i t a n n i c a d e g l i u l t i m i 1 0 a n n i . Vo lendo andare un po’ più a fondo,
s i p o t r e b b e a n c h e d i r e c h e i S FA
sono stati fra i primi, nel pop, ad
anticipare quella tendenza di ultraassimilazione/rielaborazione che è
poi - da un punto di vista snob-nostalgici e un po’ pigro - la cifra dei
nostri tempi. Peccato che (quasi)
nessuno sappia farlo bene quanto
loro. Eppure, non basta.
Sia come sia, non dovete stupirvi se
questa monografia probabilmente
somiglierà a un interminabile elenco, a una ragnatela potenzialmente
infinita, e perché no, opinabile, di
r i f e r i m e n t i i n c r o c i a t i . Tr o v e r e t e u n a
riga sì (e l’altra pure) una quantità pantagruelica di nomi di artisti,
album e canzoni, perché è proprio
q u e s t o c h e s o n o i S FA : u n m e g a frullatore pop, un potentissimo sintetizzatore di almeno quarant’anni
di musica, stilisticamente apolidi e
onnicomprensivi eppure riconoscibilissimi nell’approccio, nei suoni,
nell’attitudine. Le Mothers del Britpop? I Beck d’Oltremanica? I Beach Boys degli anelli di Saturno? I
Roxy from Mars? (E le libere associazioni possono continuare). Probabilmente il segreto sta nell’enciclopedico background dei cinque
(Gruff Rhys, voce e chitarra, Huw
“Bunf” Bunford, chitarra, Guto
Pryce, basso, Cian Ciaran, tastiere e aggeggi assortiti, Dafydd Ieuan, batteria), fonte inesauribile di
input per ogni output degli Animali.
Basta scorrere la tracklist del volume di Under The Influence da loro
curato nel 2005: Dennis Wilson e
Sly Stone, Undertones e Underworld, E.L.O. e MC5, Beach Boys
e Datblygu…
Questi ultimi, misconosciuti new
wavers attivi fra ’80 e ’90, erano
stati tra i pochi alfieri di una sparuta quanto seminale scena indie
r o c k g a l l e s e ( p o s t - Yo u n g M a r b l e
Giants, per capirci), a cui i Nostri si
riallacceranno direttamente al momento di muovere i primi passi nell a C a r d i ff d i i n i z i o d e c e n n i o s c o r s o .
Nel 1993, anno in cui Rhys, Ieuan
e Pryce sono già noti nell’ambiente
come sovversivi techno-ambient, è
tempo di rinascite, a livello locale e nazionale. Il Parlamento ing l e s e a p p r o v a i l We l s h L a n g u a g e
A c t , d a n d o u ff i c i a l m e n t e i l v i a a l l a
riscoperta della cultura e della lingua del Galles e, di lì a venire, una
serie di band della regione assur-
gerà a gloria patria: Catatonia, Manic Street Preachers e, in misura
m i n o r e , G o r k y ’s Z y g o t i c M y n c i . È a
loro, i più fieri e tradizionalisti, ma
anche i più obliqui, del lotto che
guardano i Furries quando si comincia a fare sul serio, ovvero una
volta fissata la classica formazione
a cinque dopo alcuni assestamenti
(ad occupare il posto di lead singer
per un breve periodo c’è stato persino l’attore Rhys Efans, quello di
Tw i n To w n e , p e r i m u s i c o f i l i , d e l
video di Importance Of Being Idle
degli Oasis).
I G o r k y ’s i n c i d o n o p e r l a A n k s t ,
storica label locale - già casa dei
sunnominati Datblygu - specializzata in indie rock dalla forte
matrice psych; e psichedelico è
l ’ e s o r d i o d e i S FA , u n E P d i q u a t t r o
tracce in gallese il cui titolo pare
studiato apposta per entrare nel
Guinness dei primati (cosa che, effettivamente, avviene).
Show M e Magic!
Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogochochynygofod
(In
Space)
esce nel giugno del 1995, portando
in sé i semi del tipico suono dei
p r i m i S FA f r a f u z z , c o r e t t i , b a l l a t e
a l l a M a j o r To m e d e ff e t t i s p a z i a l i
a iosa. Il successivo Moog Droog,
sempre per Ankst, presenta la prima canzone in inglese, God! Show
Me Magic; un cambiamento non
da poco visto che l’idioma locale,
p e r q u a n t o a ff a s c i n a n t e , l i q u i d o e
incredibilmente musicale è anche
incomprensibile alla maggior parte
degli ascoltatori. Il sig. Alan McGee
l o f a n o t a r e a G r u ff & C o . a l m o -
mento di scritturarli per la sua Creation, richiedendo che le prossime
canzoni siano scritte nella lingua
della BBC; nel giro di pochissimo
- siamo a inizi 1996 e i cinque non
hanno praticamente esperienza al
d i f u o r i d e l G a l l e s - , i S FA s i r i t r o vano già parte di uno dei roster più
prestigiosi e celebrati della storia
della musica britannica, seppure
prossimo all’estinzione (che arriverà inevitabile nel 1999, quando
McGee dovrà chiudere baracca e i
v a r i P r i m a l S c r e a m , Te e n a g e F a n c l u b , R i d e , M y B l o o d y Va l e n t i n e e
Oasis sono già leggenda).
A undici anni di distanza, il debutto su LP dei superpelosi sorprende ancora: Fuzzy Logic (Creation,
giugno 1996) è certamente figlio del
suo tempo, ma va anche oltre quel
limite, grazie agli scintillanti gioiellini meta-pop che lo costellano.
God! Show Me Magic (ri-registrata
per l’occasione e pubblicata su 45)
sembra la partenza di una navicell a s p a z i a l e a l i m e n t a t a a p o p p e r, i
N e w Yo r k D o l l s c h e s u r f a n o c o n
i fratelli Wilson; Something 4 The
We e k e n d è u n a b o c c a c c i a a i B l u r
d i a l l o r a , c o n A l l T h e Yo u n g D u des a fare da canovaccio (laddove Gathering Moss è già l’Albarn
del futuro, citazione morriconiana
i n c l u s a n e l l a c h i o s a ) ; I f Yo u D o n ’ t
Wa n t M e To D e s t r o y Yo u , b a l l a t o n a
stringicuore ’70 con finale d’archi
cinematico... E questi sono solo i
singoli, ché la lunga distanza consente ai gallesi di allargare il ventaglio delle possibilità espressive,
incorporando
inoltre
funk&soul
(Mario Man, Fuzzy Birds), chitarre
Pixies su cori dementi (Frisbee),
reminescenze di Madchester (Hangin’ With Howard Marks) e parecchia altra roba, mescolando estro
e ironia in un marchio di fabbrica
già riconoscibile.
L’ a l b u m n o n d e c o l l a n e l l e c h a r t s
come vorrebbero gli interessati
(idea poi abbandonata col tempo,
salvo alcune gratificazioni), ma i
Furries sono già una cult-band:
lo dimostra un’esibizione durante
l o S m a s h H i t s To u r ( r e p e r i b i l e s u
Yo u Tu b e ) c h e v e d e i N o s t r i , n e l
delirio generale, salire sul palco
in costumi da animaloni di peluche, in una via di mezzo fra i colleghi Supergrass e i Flaming Lips
yet to come.
A consolidare tale status su scala nazionale arriva nel novembre
1995 il singolo al quale il quintetto
deve una buona fetta della propria
mitologia, The Man Don’t Give A
Fuck. Ingredienti: una front cover
dedicata a una leggenda del calcio
politicamente scorretta (lo scomp a r s o R o b i n F r i d a y, r i p r e s o n e l l ’ a t t o d i m a n d a r e a ff a n c u l o l ’ o b i e t t i vo), un irresistibile sample di Show
Biz Kids degli Steely Dan come
ritornello (su base ballabilissima),
e soprattutto quella parolaccia,
che prevedibilmente compromette
l’airplay ma garantisce un enorme
successo in termini di costume (e
un altro record da Guinness). Culto totale.
È il preludio a quello che ancor oggi
viene considerato il miglior album
della fase “pop” (o meglio, di inizi
carriera) dei Super Furry Animals,
quello a cui il neofita si deve assolutamente rivolgere, per farla breve
(in secondo luogo va bene anche
sentireascoltare 27
Quando esce, Guerrilla (Creation,
giugno 1999) fa cadere più di una
mandibola, a colpi di una produzione impressionante (a cura della
sola band) e una palette stilistica
a n c o r a p i ù a m p i a . Ve d i a m o : a c i d
lounge (Check It Out), Genesis in
B r a z i l ( T h e Tu r n i n g T i d e ) , t r i p h o p
(A Specific Ocean), salsa (Northern Lite), electro-ballad à la Zero
7 (Some Things Come From Nothing), John Cale se avesse suonato
sul terzo disco dei VU (Fire In My
H e a r t ) , g a r a g e g l i t t e r a t o ( N i g h t Vi s i o n , Te a c h e r ) , F l a m i n g L i p s c a t a pultati in Smiley Smile (Chewing
Chewing Gum), Beatles a base di
mellotron (l’hidden track Citizen
Band), Zombies in giro sulla luna
( K e e p T h e C o s m i c Tr i g g e r H a p p y ) .
Basta? No, perché c’è anche, soprattutto, l’electro-dance stupida e
contagiosissima di Wherever I Lay
S o n g b o o k Vo l . 1 , c h e r a c c o g l i e
tutti i singoli fino al 2004). Classico sin dalla copertina di Pete Fowler - titolare della grafica di tutti
gli output dei Nostri fino al 2005 -,
Radiator (Creation, agosto 1997)
è un ricettacolo ultraconcentrato di
arte compositiva e creatività in 14
atti, la cui freschezza e immediatezza restano ineguagliate (primato forse conteso solo dall’attuale
H e y Ve n u s ! ) . R i s p e t t o a l l ’ e s o r d i o ,
la produzione è meno “pastosa”
e più calda nel mescolare tinte
elettriche e acustiche, mantenendo comunque quel suono corposo
e pieno che, coi dovuti distinguo,
a v r e b b e f a t t o l a f o r t u n a d i a c t a ff i ni come la Beta Band (fino alla sua
attuale incarnazione The Aliens).
L’ e n t i t à S FA è u n b l o b b o n e c h e a s sorbe tutto ciò che lo circonda, si
tratti di passato, presente o futuro:
sentite come suona Pulp Hermann
Loves Pauline, in un arrangiament o v o c a l e i m p o s s i b i l e , o c o m e G r u ff
si trasforma in un clone di Peter
Gabriel in Placid Casuals, o ancora come International Language Of
Screaming è de facto una delle migliori canzoni di Beck, senza parl a r e d e l l e s o l i t e c o n v e r g e n z e B l u r,
in vena folk, di Different River, o
dell’epos-psych filtrato Fab Four
della conclusiva Mountain People.
Demons è una gemma che defini-
28 sentireascoltare
sce una carriera, ma si potrebbe
d i r e l o s t e s s o d i S h e ’s G o t S p i e s
(The
Ve l v e t s + s o u l + S FA p u n k )
o
Play It Cool (acid disco exotica su
falsetto impossibile). Come ficcare
una bomba dentro il proprio lettore
cd, insomma; ed è solo l’inizio. In
un crescendo frenetico, gli sforzi
discografici saranno sempre più
improntati su un imperativo “nessun limite alla creatività”, in una
sfornata continua di singoli assurdamente catchy e album minimo da
4 stelle. No, questi Animali decisamente non sono umani.
Cosmic Tr i g g e r
U n a n n o s c a n d i t o d a u n s o l o E P,
Ice Hockey Hair (Creation, maggio 1998), che scalerà le classifiche grazie a una vocoderizzata e
popadelica title track e alla blaxploitation di Smokin’, e dall’extra
catalogo Out Spaced, (Creation,
novembre 1998), vendemmia di bsides e rarità straripante di gemm e , e r i t r o v i a m o i S FA i n t e n t i a
bissare lo strike di Radiator più carichi e pompati che mai. La prima
parola che viene in mente è “ambizione”, anche se è lecito pensare
che per i Furries si tratti solo di
ordinaria amministrazione, vista
la naturalezza con cui attraversano il luna park marziano che hanno allestito nel loro terzo disco.
M y P h o n e ( I t ’s M y H o m e ) , a b a s e
d i s l o g a n , l o o p e v o c o d e r, m e s s a
assieme con l’arte dei dj più scafati. A sentirla oggi fa tanto anni ’90,
ma resta puro genio. Che è pure
l’opinione che la maggior parte
della critica del tempo ha, giustamente, formulato sull’album, anche
se non si riesce più a capire cosa
c’entrino questi eccentrici gallesi
con l’allora morente Britpop. Niente, è chiaro, come dimostra la mossa successiva.
We l s h fo r Z e n
Complice lo scioglimento della
Creation, i Pelosi si tolgono infatti
uno sfizio mica da poco: un disco
tutto in gallese, in aperto omaggio
al loro eroe Meic Stevens, solitario folksinger d’altri tempi e galassie di cui hanno spesso coverizzato la hit (se può definirsi tale) Y
Brawd Houdini. Uno dei suoi EP di
fine ’60 si chiamava Mwg, ed ecco
allora Mwng (per la loro Placid Casuals, maggio 2000), che si traduce come mane, “criniera”. Le stranezze finiscono qui, ché, a parte
l’iniziale cazzeggio di Drygioni,
questo è anzi un lavoro apparentemente sottotono, laddove si cerca una via più semplice e rilassata
all’arrangiamento con una predilezione per i toni acustici. La perla
del caso è fra i brani più lineari ed
orecchiabili del repertorio, Dacw Hi
(velvettiana alla Rock And Roll, nel
m o m e n t o i n c u i Y Te i m l a d - i n r e altà una cover dei Datblygu - è la
loro versione di New Age, restando
in tema Reed & co.); non mancano i colpi di coda, vedi Gwreiddiau
Dwfn / Mawrth Oer Ar y Blaned
Nefion, una ballata prog-folk-jazz
a s p e r s a d i b r i c i o l e Ti m B u c k l e y ,
o P a n D d a w ’ r Wa w r, i l f a n t a s m a
di Pet Sounds che si vaporizza
in psichedelie acustiche assortite,
mentre il singolo Ysbeidiau Heulog
rischia decisamente meno propon e n d o i l t i p i c o s u o n o S FA ( u n a r o b a
alla primi Roxy Music + i Floyd del
p i ff e r a i o ) ; i n Y m a e l o d i  ’ r Y m y l o n ,
Y Gwyneb Iau e Nythod Cacwn c’è
perfino un relativo antipasto di cart u c c e a n c o r a d a s p a r a r e ( i l G r u ff
Rhys gigione e folk-barrettiano di
Candylion più certo mellow pop ’70
e classic country di Rings Around
The World e Phantom Power). Beh,
non si può certo parlare di passo
falso: l’album venderà anche bene
( 11 ° i n c l a s s i f i c a , r i s u l t a t o i n s p e r a to per un album in gallese), e riceverà inoltre una menzione d’onore
in Parlamento per meriti linguistico-culturali; nondimeno, presenta
alcuni fra i brani più gradevoli del
canzoniere degli Animali. Sai mai
che, giocando di ripiego, han fatto
persino meglio di Guerrilla?
Let ’s G et Jux taposed!
Parrebbe di sì, e Rings Around
T h e Wo r l d ( E p i c , l u g l i o 2 0 0 1 ) è l a
controprova che il viaggio è ancora in salita. Messe da parte velleità
indie di sorta, adesso si alza il tiro
coinvolgendo perfino gente come
Sir Paul McCartney e sua maestà
John Cale, re del Galles; ma non
bisogna farsi abbagliare dai nomi,
c i ) , I t ’s N o t T h e E n d O f T h e W o r l d
(la ballatona romantica che i Blur
non hanno mai inciso), il capolavor o J u x t a p o s e d W i t h Yo u ( i l s o u l d i
Barry White su una Love Boat in
r o t t a v e r s o i l p i a n e t a Ve n e r e ) . S e
proprio vogliamo trovare un apice
nella carriera dei Pelosissimi, questo è Rings, un disco che sembra
nato per raccogliere applausi, e
infatti arriva a sfiorare il Mercury
Prize e frutta ai gallesi la posizione più alta di sempre (#3).
visto che quello di Macca è un cameo per filologi (rosicchia verdure
in Receptacle For The Respectable,
in ricordo della sua analoga perf o r m a n c e i n Ve g e t a b l e s d e i B e a c h
Boys, versione inedita dello Smile
o r i g i n a l e ) , e q u e l l a d e l l ’ e x Ve l v e t
(al piano in Presidential Suite) è
più una partecipazione abortita,
una toppa messa sopra il diniego
ad arrangiare gli archi del disco.
Un’opera invece splendidamente
condotta dall’High Llama Sean O’
Hagan che, sommata a un budget
d a m a j o r, s i t r a d u c e n e l d i s c o p i ù
magniloquente e, stavolta sì, ambizioso del gruppo.
La solita, inarrestabile emorragia
di idee si unisce a una nuova visione del suono, che adesso si vuole
il più cinematico e ampio possibile:
a p a r t i r e d a l c a m p o l u n g o d i A l t e rn a t e R o u t e To Vu l c a n S t r e e t , f i n o
a l l o s p l e n d i d o s o g n o i n Te c h n i c o lor di Presidential Suite (gli Steely Dan sulla spiaggia di Malibu
insieme a Brian Wilson), la mus i c a d e i S FA d à p r o p r i o l ’ i m p r e s sione di prendere letteralmente il
volo. Non bastasse, gli input psych
e sperimentali vengono tutt’altro
che meno, dal trip-hop sci-fi di [A]
To u c h S e n s i t i v e a l l a p a s t o r a l / p a rodistica Shoot Doris Day, per poi
far convivere nello stesso brano
kitsch ’70, folk e drum’n’bass (No
Sympathy), surf pop, hard-psych e
thrash metal (Receptacle For The
Respectable), infiniti suoni elettrici e acustici, analogici e digitali
(Sidewalk Serfer Girl). E, ovviamente, fanno da corollario di lusso i singoli estratti, tutti e tre da
punteggio pieno: (Drawing) Rings
Around The World (gli Stereolab
a braccetto coi Beach Boys classi-
S l o w L i fe
A questo punto appare quasi fisiologico allentare la presa, lasciare
la via maestra per imboccare un
sentiero laterale, tranquillo e in
apparenza indisturbato. Phantom
Power (Epic, luglio 2003) sembra
infatti nascere da un istinto di conservazione, un’urgenza di semplicità, che non è la stessa di Mwng,
ma le è parente, non più rinviabile;
dall’altro lato però, il sodalizio stip u l a t o c o n M a r i o C a l d a t o J r. ( c o m pagno di lungo corso dei Beastie
Boys) e rinnovato con O’Hagan
(chiamato ancora ad arrangiare
gli archi) dimostra che la guardia
non si è del tutto abbassata, che
lo sguardo è ancora rivolto oltre
l’orizzonte. A fronte di una forte virata verso placidi lidi country rock
(Hello Sunshine), folk (le Drake-iane Father Father #1 e #2, la oppiac e a e D o n o v a n - i a n a S e x , Wa r A n d
Robots) e pop classico (la Wilsoniana Piccolo Snare, dove l’High
Llama sciorina meraviglie), l’album
in realtà non fa altro che rinnovare il mood da grande schermo di
Rings, prefiggendosi altri obiettivi.
Non mancano infatti alcune incursioni in territorio rock come Golden
sentireascoltare 29
30 sentireascoltare
Z o o m m e t t e a s s i e m e N e i l Yo u n g
e d A i r , Wa l k Yo u H o m e S t e e l y D a n
e (ovviamente) High Llamas… Non
mancano alcuni scivoloni, come il
reiterare un suono trippy che ormai
puzza un miglio di ’90 (Pscylone!),
e ma quando produzione e songwriting si mantengono sui livelli di una
meraviglia popadelica come Atomik
Lust, non è proprio il caso di mettersi a cercare il pelo nell’uovo. Se
questa non è la fatidica “maturità”,
le somiglia parecchio.
Retriever (parte CSNY e prosegue
proto-metal) e Out Of Control (gli
Hawkwind dell’era Lemmy), assieme a intrattenibili sfoghi di un’indole gigiona impossibile da tenere
a freno (Undefeated, la samba di
Va l e t P a r k i n g ) , f i n o a l l a c o n c l u s i v a
ed epica Slow Life che mette assieme electro, pop orchestrale per
poi ammiccare pesantemente alla
Beetlebum di blurresca memoria.
Slow sì, ma mica tanto.
Un album irrimediabilmente mellow - leggi: rilassato - per gli stand a r d S FA ; f o r s e p e r q u e s t o ( o p e r
per puro e semplice sfizio) subirà
un drastico restyle in Phantom
Phorce (Placid Casuals, aprile
2004), remix concessi da signor i c o m e F o u r Te t , B r a v e C a p t a i n
e l o s t e s s o C a l d a t o J r. N e s s u n a
abiura di quanto fatto, per carità;
il progetto successivo vede infatti
nuovamente all’opera la medesima
s q u a d r a , c o n l a d i ff e r e n z a c h e s t a volta, e per la prima volta in assoluto, il songwriting è equamente diviso fra Rhys, Bunf, Ieuwan e
Ciaran, chiamati anche a spartirsi il microfono. Come dichiara la
stessa band, il modello per Love
K r a f t ( E p i c , a g o s t o 2 0 0 5 ) è S u r f ’s
Up dei Beach Boys e questo, oltre
che nella pluralità dei autori, si riflette in un quanto mai massiccio
uso di archi da parte di O’Hagan,
maestro nel ricreare quei nostalgicissimi landscape tardo-californiani. Ecco quindi un lavoro dalle
atmosfere intense e dal carattere
marcatamente classico e rétro, in
cui proprio il singolo scelto, Lazer
Beam, stona nell’insieme riproponendo certi cliché dei Furries; per
il resto Cabin Fever sembra proprio
uscita da quel disco dei BB del ’71,
Run -Aw a y !
Ma i nostri cari Animali di crescere e mettere la testa a posto non
ne vogliono proprio sapere, anzi.
Dal 2005 le loro attività collaterali sembrano moltiplicarsi magicamente, in un dispendio inesauribile
di energie, un rinnovarsi continuo
di stimoli, un entusiasmo da seconda adolescenza. Gruff comincia una personalissima carriera
solista con Yr Atal Genhedlaeth,
dischetto di pop sperimentale su
quattro tracce, rigorosamente in
lingua madre; a inizio 2007 ha
fatto il bis con Candylion, che
fa ancora meglio con le sue freakerie folk tinte di rosa-pastello
barrettiano, con l’amico O’Hagan
sempre presente a dipingere il
paesaggio. Intanto è in corso una
collaborazione - che è già tutta un
programma - col maniaco electro
’80 Boom Bip nel progetto Neon
Neon, di cui si attende presto il
primo parto; nel frattempo Rhys
sta curando il secondo volume della compilation Welsh Rare Beat il primo risale al 2005 - e si diletta
a ripescare improbabili album di
progressive turco. Il tastierista
Cian Ciaran non è da meno, dato
che a inizio 2006 ha finalmente
pubblicato Omni, l’esordio del suo
side project Acid Casuals, vecc h i o q u a n t o i S FA ; p e r n o n r e s t a r e
indietro, anche Dafydd Ieuan ha
messo su un’altra band, i Peth, in
cui torna dietro al microfono nientemeno che Rhys Efans.
È in questo scenario adrenalinico
che si colloca il più recente capit o l o d e l l a s a g a , H e y Ve n u s ! , c h e
segna anche un cruciale passaggio
d e i P e l o s i a l l a R o u g h Tr a d e , o l t r e
all’alleanza con nuovi compagni di
viaggio come il producer dei Broken Social Scene David Newfield
e l’illustratore giapponese Keiichi
Ta n a a m i . N e a b b i a m o g i à p a r l a t o
in sede di recensione, ma val la
pena di rimarcare i punti segnati
da questo disco anche qui. Dove
i d u e p r e d e c e s s o r i s o ff r i v a n o d i
una certa pesantezza (in durata e talvolta in sostanza), nonché
dell’eredità gravosa (anche in termini di suono) di Rings Around The
World, oggi si recupera in agilità e
scioltezza, selezionando una tracklist di poco più di mezz’ora in cui
i singoli brani sono uno strike pop
dietro l’altro. Oltre alla solita critica, anche il pubblico finalmente
gradisce e premia l’album con un
b u o n 11 ° p o s t o i n c l a s s i f i c a ; i n a t tesa di vederli prossimamente sui
palchi d’Europa, sappiate che Suc k e r s , R u n - Aw a y , S h o w Yo u r H a n d
e Baby Ate My Eightball sono i nomi
dei nuovi classici, e se qualche mis c r e d e n t e p e n s a c h e i S FA o r m a i
sono belli che alla frutta, ebbene
sappia che c’è già un nono album
in fase di rifinitura. Insomma, sembra che non ci sbarazzeremo facilmente degli Animaloni. Per loro, e
soprattutto, nostra, fortuna.
sentireascoltare 31
p.j. harvey
Alice nel Paese
delle meravigliose
atrocità (e ritorno)
di Stefano Solventi
WILCO
32 sentireascoltare
Che fine ha fatto Polly Jean?
Ce lo potevamo legittimamente chiedere, prima che White Chalk, sesto album firmato
dall’irrequieta ragazza del Dorset, ci suggerisse una risposta.
Una risposta sconcertante: Polly Jean è implosa in una dimensione intima, friabile, schiva.
A ben guardare però le canzoni girano attorno alla stessa anima nuda e corazzata.
Quelli che hanno seguito in diretta la parabola di
Polly Jean Harvey fin dagli inizi, portano dentro una
consapevolezza feroce, il marchio di una collisione
inaudita. Quel modo di traslocare i rovelli atavici del
blues sul pianerottolo del punk rock più rude... Da
non credere che muscoli e nervi femminili potessero
tanto. Invece, la giovane Harvey – classe ’69 da Corscombe, Dorset – ci riusciva benissimo, immolando
la propria femminilità con tanto slancio da annullare
quel senso minimo di finzione che siamo soliti attenderci - che in fondo esigiamo - quando ascoltiamo canzoni. Forte di una screanzata immediatezza,
Polly dava fondo alle smanie iraconde, al malanimo
cocente, all’esplosiva turbolenza erotica. Pescando
nella pignatta del passato - nel fetido minestrone da
streghe e diavoli al crocicchio, tra i fenomeni della mitologia terrigna - senza concedere sconti alla
contemporaneità. Come una Alice di periferia che si
getta nella tana del diavolo, solo perché non farlo
significa arrendersi ad una realtà peggiore.
Alla musica Polly si prestò fin da giovanissima, spinta da un’atmosfera familiare favorevole - i genitori
sono due reduci del ’68 con la discoteca zeppa di
sano acidissimo rock’n’roll. A soli quindici anni suonava il sax nell’ensemble Boulogne, avventura curiosa (otto dilettanti in cerca d’eccentricità) ma breve.
Ti m b r ò q u i n d i i l c a r t e l l i n o n e i P o l e k a t s e – s o p r a t tutto - negli Automatic Dlamini di Bristol, band in
cui militava un certo John Parish, di cui riparleremo. La giovane Harvey si occupava di sax, chitarra
e backing-vocals: non poteva bastarle. Il tempo di
p u b b l i c a r e u n a l b u m , F r o m A D i v a To A D i v e r , e s e
ne andò per dare forma alle proprie composizioni,
alla propria musica. La accompagnarono il bassista
S t e v e Va u g h a n e d i l b a t t e r i s t a R o b e r t E l l i s : c o n l e i
a v o c e e c h i t a r r a , e r a n a t o i l P J H a r v e y Tr i o .
Spezzarsi l’anima
Ne uscì musica come brandelli d’anima e particole viscerali a squassare una morale profonda, incarnita.
Cruento cerimoniale d’autoflagellazione. Cercando
l’infimo, la degradazione, come una guerra concentrata sul proprio metro quadro, tanto veemente - con
la chitarra elettrica scorticata, col canto posseduto e
carnefice - da coinvolgere il mondo. Un primo singol o , D r e s s , o v v e r o u n g r a ff i o p e r i c o l o s a m e n t e v i c i n o
all’iride. Quanto all’album d’esordio, è ancora oggi
u n ’ e s p e r i e n z a s c o n v o l g e n t e . D r y ( To o P u r e , 1 9 9 2 ;
(7.3/10) sembra fin dalle prime note un’invocazione al demone del blues perché accolga, esorcizzi e
se possibile risolva il dissidio cosmico tra l’amore
e la sua insostenibilità. Di più, il suo corollario crudele, la carnefice propensione al dominio dell’Uno
sull’Altro, conflitto atavico dalla valenza simbolica
pressoché intatta. Undici pezzi selvaggi e disperati:
strategie post punk imbrattate di misteri folk-blues,
blues e ancora blues, sgranato, rallentato, devastato, elevato a grido catartico, a cerimoniale pagano
(la produzione di Head azzecca l’enfasi cruda dei
bassi, il crogiolo sonnecchiante ed esplosivo di chit a r r e e d r u m m i n g ) . Tr a i t i t o l i s p i c c a n o l a c r u d a O h
My Lover, il sabba garage della già citata Dress e la
giga amfetaminica di Joe. Poi, soprattutto, SheelaN a - G i g e Vi c t o r y , a t t i a l f u l m i c o t o n e d ’ u n a c o m m e d i a
epica e uterina ad un tempo, tra rigurgiti di mitologia
e f e m m i n i l i t à s o t t o s c h i a ff o . D i s c o r s o a p a r t e m e r i ta Plants And Rags, viluppo nevrastenico del violoncello che s’impiastra sui pensieri, una specie di
consiglio di sfuggita a tutto il cantautorato folk-rock
passato, presente e futuro. È solo l’ansito iniziale,
preliminare di un amplesso di cui è già facile intuire
il fuoco.
Col successivo Rid of Me (Island, 1993; 7.2/10) cambiano “solo” l’etichetta ed il produttore - la benemerita Island ed uno Steve Albini in fase di consacrazione. Quanto al resto, stessa band e stesso piglio.
F o r s e l e e s p l o s i o n i s u o n a n o a p p e n a p i ù d i ff e r i t e ,
come se la lama fosse penetrata di qualche altro
millimetro e la carne e il metallo imbastissero un dialogo fatto di dolore, di adattamento, di confidenza.
Musicalmente, quanto detto si riflette nella densità
melmosa di episodi come Missed o Ecstasy (brontolii
cupi di un grembo senza pace), nella straordinaria
“ f i s i c i t à a e r e a ” c h e M r. A l b i n i r i e s c e a i m p r i m e r e s u
nastro (come il basso che in Legs aleggia sul frinire
del violoncello), il canto appena meno viscerale in
una cappa di volume sensibilmente attenuato.
Ma il conflitto è pur sempre in atto, indigerito e indigeribile, pronto ad aggredire ogni ipotesi di quiete.
E può contare su una scrittura più matura e strutturata, in equilibrio instabile su improvvisi squarci
umorali. Emblematiche in tal senso le due versioni
di Man-Size, una allucinata e urticante, l’altra cameristica arrangiata per sestetto d’archi. Quanto al
sentireascoltare 33
resto, indimenticabili le gighe hardcore di Me Jane
e le stordenti lacerazioni di Snake, mentre la sordida strategia valzer di Rub ‘Til It Bleeds ed il crescendo fino allo sconquasso ovarico della title track
tracciano uno schema senz’altro risaputo - il rilascio
progressivo della tensione, la veemente esplosione
- di cui la Harvey s’impossessa senza sforzo. Se Dry
suonava come un’anima sul punto di spezzarsi, Rid
Of Me sembra la consapevolezza di questo trauma.
Polly cresce letteralmente con la propria musica,
s’indaga, si costruisce attorno quel guscio che non
ha mai avuto e forse mai avrà del tutto.
Quasi a rimarcare la propria natura di sanguigna
p e r f o r m e r, o l t r e e n o n o s t a n t e l ’ a c c a s a m e n t o p r e s s o
I s l a n d , e s c e 4 - Tr a c k D e m o s ( I s l a n d , 1 9 9 3 ; 7 . 1 / 1 0 ) ,
raccolta di demo registrate in totale autarchia, versioni embrionali e scalcianti di pezzi che avrebbero
trovato versione definitiva su Rid Of Me, lati “B” e
qualche inedito. Sorta di “unplugged” primordiale, si
struttura su pochi ingredienti, ma la formula non lascia scampo: il canto come un sortilegio sgraziato,
la ruggine sfocata delle chitarre, talora l’organo inacidito o il frinire maligno del violoncello. Il quattro
tracce raccoglie tutto, giustappone gli elementi con
malferma fragranza, ma fa anche altro: intercetta
(crea?) un riverbero stretto da bugigattolo squallido, getta luci deboli e improvvise sulla fisionomia di
Polly Jean, mai tanto nuda, in masochistica rivela-
34 sentireascoltare
zione (come nel retro copertina, il broncio apatico,
la magrezza inconsolabile avvolta in orrido cellophane). Le versioni scollacciate e sferraglianti dei pezzi già noti sono quindi un’esperienza tutt’altro che
trascurabile. Quanto agli inediti, la Harvey non si
risparmia: è auto-esorcizzante in Reeling, è uterina
e f l e m m a t i c a i n H a r d l y Wa i t ( t r a s c i n a n t e o v v i e t à g i à
rivelata nella OST di Strange Days per l’interpretazione di una puttanissima Juliette Lewis), capricciosamente mesmerica in Driving, angolosa e spiritata
in M-Bike, mentre nella conclusiva Goodnight cavalca lasciva il dio serpente del malanimo. Episodio
per nulla accessorio anzi piuttosto inevitabile, ossa
e polpa Polly Jean Harvey da gustare addentando
anche il dolore.
I vestiti nuovi del dolore
Come è tipico di tutte le carriere “importanti”, ad un
certo punto arriva il disco topico che conferma, pot e n z i a o s m e n t i s c e . N e l c a s o d i To B r i n g Yo u M y
Love (Island, 1995; 8.0/10) accadono tutte queste
cose. Nel migliore dei modi. Polly si sposta, trasloca
in uno status nuovo, muta la pelle armonizzandosi
allo status di matrona d’una stirpe antica e maledetta. È Alice che conosce la maturità, raccoglie il sangue nell’urna e compone la propria “persona”. Reclutati Flood ed il vecchio amico John Parish (assieme
ai quali co-produce il disco), ingaggiato il “seme
c a t t i v o ” M i c k H a r v e y, a d o t t a t o u n i m p a t t o e s t e t i c o
r a ff i n a t o e d e c a d e n t e ( v e d i l a l a n g u i d a p o s a p r e r a f faelita in copertina ed il raso rosso degli abiti vamp
per lo sconcerto dei fan), sembra che Polly tenti di
incendiare le consuete polveri aggiungendo additivi
teatrali e umori moderni, definendo una cortina iconica sempre più spessa che la rivela e la nasconde
allo stesso tempo. Conseguentemente, l’ossessione
blues-rock sembra consumarsi in un’atmosfera da vivisezione emotiva, destrutturazione psichica-archetipica (e quindi - al solito - mitologica) e ricostruzione
accurata e accorata (organi, vibrafoni, percussioni
d’ogni ordine e grado, archi). Una sorta di iperblues
lancinante e carezzevole che racconta la femminilità
violata, la musicista preda di un formidabile circolo
vizioso stilistico (da spezzare), l’immagine massmediatica sempre più aliena a se stessa.
Il vecchio e il nuovo in Polly Jean toccano lo zenit,
si ridefiniscono a vicenda, sublimando l’impossibilità dell’uno e la necessità dell’altro. La “vecchia”
Harvey portata ad implacabile compimento è tanto
la travolgente Long Snake Moan - sovraccarica di
minacciose metafore sessuali - quanto l’appassionato romanticismo di C’mon Billy, per non dire della
cavernosa title track o della crudele Down By The
Wa t e r . I l “ n u o v o ” s i p r e s e n t a c o m e u n a r i d d a d i i p o tetici umori dal tasso urticante già elevato, tempesta
interiore le cui avvisaglie germogliano dai cincischi
vischiosi di I Think I’m A Mother (dove sembra la ni-
p o t i n a d i Wa i t s i n o v e r d o s e d i v a l i u m ) o d a l l a m o r b o s a l i t a n i a d i Te c l o ( i n c u i c o n v e r g o n o g l i s t r u g g i m e n ti del Cave più sordido). Su questi sostrati, come
sul pastoso languore della conclusiva The Dancer e
sull’acidità robotica di Meet Ze Monsta, si innesteranno i costrutti sonori degli episodi futuri.
Il sodalizio con Parish si rivelò azzeccatissimo, al
punto da fruttare un album in condominio, l’ottimo
Dance Hall At Louse Point (Island, 1996; 7.8/10).
Undici tracce a firma di Parish più la fascinosa cover di Is That All There Is?, classico a firma Leiber
& S t o l l e r. L a H a r v e y s i c a l a n e l l a p a r t e c o n t u t t a s e
stessa, donandosi completamente, facendone materia propria, tanto che in queste trasfigurazioni postpunk, in queste congetture blues claudicanti, languide e vetrose, puoi scorgere un ulteriore tentativo
di confondere le acque, di togliersi dal centro del
m i r i n o . I l n e b u l o s o i n c e d e r e d i C i v i l Wa r C o r r e s p o n dent o le fluorescenti striature di Rope Bridge Crossing, per non dire di un delirio fantasmagorico come
Ta u t , p r o p o n g o n o u n a P o l l y J e a n i n c e r c a d e l p u n t o
di equilibrio tra vacuo e sanguigno, tra stregoneria
vocale (à la Diamanda Galas) e urlo liberatorio, tra
crudezza e incantesimo alla luce di un istinto che
poco o nulla concede al mestiere.
A quel punto Polly poteva vantare un repertorio già
considerevole, che obbligava e obbliga gli addetti ai
lavori a registrare i parametri su nuove frequenze.
La Harvey era sì considerata una sorta di appendice
sentireascoltare 35
li (Joy), dolenti crescendo (la title track, il sordido
melodramma di Angelene) e languide cospirazioni
di piano e tromba (The River), melme cibernetiche
frastagliate da brezze jazzy (The Wind) e un singolo sì commestibile ma irrimediabilmente indolenzito
(A Perfect Day Elise), mentre The Sky Lit Up e No
Girl So Sweet consumano con una certa brutalità lo
zenit energetico della scaletta. Una stessa febbre in
ogni canzone. Anime illuminate dall’interno, schegge
di sensazioni, stralci di pensiero minimo, una pietà
muta ad aleggiare ovunque, unificando ritratti ora
malinconici, ora disperati, ora brutali. Scenari che
si squadernano aprendosi all’urbanità senza appigli,
in cui Polly sembra smarrirsi come Alice nel Paese
d e l l e A t r o c i t à . Tu t t a v i a c o n s a p e v o l e d i d o v e r l o f a r e ,
per non perdersi davvero.
Mimetismi in traslato
f e m m i n i l e d i N i c k C a v e , a c u i f u a n c h e e ff e t t i v a m e n te legata e col quale collaborò in un pezzo di Murder
Ballads, ma per quanto riguarda il rock al femminile
la sua intransigenza, l’intensità uterina e la veemente presenza artistica la elessero a riferimento irrinunciabile.
Proprio questa straordinaria compiutezza espressiva
e iconografica fu probabilmente il motivo per cui Polly Jean si sentì intrappolata, avvertì il pericolo di un
cul de sac. I tempi erano maturi per un vero e proprio
cambio di rotta. Così, annusato l’estro dei tempi nella compenetrazione stilistica e tecnologica, azzardò
Is This Desire (Island, 1998; (7.0/10). Album che
deve molto alle ugge ruggenti del trip-hop bristolian o , i n p r i m i s d e l l ’ a m i c o Tr i c k y ( c o n c u i a v e v a a p p e na collaborato in Angels With Dirty Face), senza
però tradire l’amore primo, il blues. Blues colto nel
riflusso, dissanguato, sovraesposto e incrudito, ma
pur sempre blues (vedi le cupe ossessioni circolari
di Electric Light e The Garden). Una vera e propria
continuità nel cambiamento, come testimonia anche
l a c o n f e r m a d e l l o s t a ff ( F l o o d , P a r i s h , E l l i s , H a r vey) a cui si aggiunge il multistrumentista Eric Drew
Feldman, già al lavoro con Captain Beefheart, mito
p e r s o n a l e d e l l a H a r v e y.
Scrittura, interpretazione e arrangiamento vivono
quindi una tensione implosiva, tra grugniti in slowmotion (My Beautiful Leah) e scudisciate digita-
36 sentireascoltare
Polly si stava quindi adattando, pagando lo scotto di
un necessario rito iniziatico. Non le mancava certo il
carattere per superare la prova. Infatti, la Polly Jean
c o l t a i n f r a g r a n t e d a S t o r i e s F r o m T h e C i t y, S t o r i e s
From The Sea (Island, 2000; 6.5/10) dimostra nuove,
sorprendenti mutazioni. Alice ha imparato la strada,
o v v e r o l e s t r a d e d e l l a G r a n d e C i t t à . N e w Yo r k – d o v e
per mesi vive, scrive, incide - è sfondo ed emblema,
gravida di presente in bilico su qualcosa (l’ecatombe
d e l l e Tw i n To w e r s s a r e b b e a v v e n u t a l ’ a n n o s u c c e s s i vo). Polly mimetizza la fragilità selvaggia da animale
periferico sotto abiti decisamente urbani. Più sicura,
felino metropolitano corazzato Prada, decide di fare
a meno di Flood e Parish per co-produrre l’album
a s s i e m e a d E l l i s e M i c k H a r v e y, c o l n o n c e r t o p i c c o l o
aiuto del redivivo Head alla consolle.
Ne risulta un sound d’impatto wave, flessuoso e tosto, riesumazione Patti Smith – giustificando chi a lei
l’aveva spesso paragonata - sfrondata di lirici deliri
(Good Fortune) o rigurgito U2 corroborato Iggy Pop
(Big Exit), per non dire di quella Kamikaze (a proposito di preveggenze undicisettembre...) che sembra
una frenesia Bad Seeds in procinto di farsi Prodig y . L’ a l t r a c a m p a n a s o n o q u e l l e b a l l a d s p a l m a t e s u
una strisciante frenesia, come Beautiful Feeling o
T h i s M e s s We ’ r e I n ( i n e n t r a m b e l a p a r t e c i p a z i o n e d i
u n i n v e r o p i u t t o s t o r i s a p u t o T h o m Yo r k e ) o a n c o r a
quella Horses In My Dream che caracolla nel solco
tra angoscia e liberazione, tra scorie blues e farragini jazz. Quanto Polly abbia lavorato sulla voce,
addomesticandola per conseguire un’impostazione
cui non sembrava votata, è evidente soprattutto in
A P l a c e C a l l e d H o m e e n e l l a c o n c l u s i v a We F l o a t ,
nelle quali alterna il registro tumido e flessuoso ad
u n f a l s e t t o l i r i c o e g r a ff i a n t e . I n e v i t a b i l m e n t e , q u a l cosa sembra perdersi. Nel riflesso l’immagine cede
intensità, si rilassa compiaciuta. Anche per questo,
in un certo senso, è un disco paradigmatico.
Questa “stabilizzazione” in un corpo urbano non poteva durare. Ancora una volta, ancora di più, ciò che
Polly era diventata sembrava non appartenerle. Lo
rifiutò. Si rifiutò. Per spostarsi, di nuovo. Uh Huh
Her (Island, 2004; 6.4/10) si sostanzia di fotogramm i i n t r a s l a t o . L’ e n n e s i m o s t r a p p o , s t a v o l t a p e r ò “ i n
fieri”, che azzarda tirare le fila, coinvolgendo nella cesura tutto il passato, come dimostrano esplicitamente gli autoscatti del libretto. Il più recente
dei quali è forse quello utilizzato in copertina, lei
sdegnosissima seduta in un’auto guidata da un tale
che forse è Josh Homme, così come lo sfondo pot r e b b e e s s e r e q u e l J o s h u a Tr e e n e l q u a l e p r e s e r o
vita le irresistibili Desert Sessions vol. 9 - 10 cui
Polly regalò ragguardevoli performance. Movimenti
i m p r e n d i b i l i e a n t i g r a z i o s i . N o n - d e f i n i z i o n e . Ve r i t à a
squarci. Alice si muove verso nuove atrocità. Non
importa dove, importa andare. Non farsi intrappolare. E lo fa, finalmente, nuovamente, da sola. O
q u a s i . L a p r o d u z i o n e è d i P o l l y, r e s t a n o a d a r e u n a
mano Head (missaggio, backing vocals) e Rob Ellis
(tamburi, backing vocals). Sono indubbiamente suoi
q u e i b l u e s s p u t a t i , s t r i d e n t i , a c c a r t o c c i a t i ( I t ’s Yo u ,
T h e L i f e A n d D e a t h O f M r. B a d m o u t h ) , c o s ì c o m e i l
punk villano di Who The Fuck – lezioncina di stile en
p a s s a n t a i t r o p p i Ye a h Ye a h Ye a h ’s i n c i r c o l a z i o n e .
La scaletta persegue una sconcertante per quanto comprensibile estemporaneità stilistica, bazzica
b r u m e i n d u s t r i a l - b l u e s ( C a t O n T h e Wa l l ) e f o l k n o made (The End), esplora sonorità esotiche a base di
x i l o f o n o e t a s t i e r e n e l l a s p l e n d i d a Yo u C o m e T h r o u gh oppure persegue la più classica delle palpitazioni acustiche in The Disperate Kingdom Of Love. Di
q u e s t o m o o d i n a ff e r r a b i l e e d i s a g i a t o , d i q u e s t o a p proccio sgarbato all’esigenza espressiva, il disco si
n u t r e m a i n e v i t a b i l m e n t e s o ff r e , s c i o r i n a n d o e p i s o d i
oziosi come la danza pellerossa di The Pocket Knife (estremo rigurgito Patti Smith?) o la prevedibile
folk-wave di Shame. Il disco di chi se ne sta andando
e ti guarda dallo specchietto retrovisore. Srotolan-
doti le polaroid d’una vita passata e amen. E ti va
bene che non ti mostra il dito medio.
Alta indefinizone
Dopo quel disco, Polly Jean era un rovello inestinguibile, un’immagine ad alta indefinizione. Cui si accompagnarono dichiarazioni shock circa il ritiro dalle attività live (figuriamoci, lei che sul palco ci sta
come un ragno nella ragnatela). Faceva tutto parte
del gioco: ritirata strategica, stracciarsi l’ennesima
maschera, il trucco lavato via col sapone, i capelli
tagliuzzati da sola. Scappare verso dove puoi essere di nuovo, sempre più vicina all’Io che fugge,
sfugge, si confonde. E dove, ancora? White Chalk
(Island, 24 settembre 2007; 7.1/10, in spazio recensioni) propone l’ennesima tappa. È il ritorno al paese
natio, un luogo dove ciò che è stato conta meno di
ciò che sei. Perché non sei mai stata tanto sola. Ma
è anche un costrutto mentale, dove puoi provare a
raccogliere i cocci di una carriera ancora viva, organizzare l’esperienza e il talento in una calligrafia, se
possibile, nuova. Con sforzo. Snaturandosi al punto da farlo sembrare una naturale necessità. Poche
chitarre (argh!), un pianoforte malfermo - suonato da
lei - al centro della scena, la voce appesa a registri
più alti e rarefatti. Il corpo che prova a indagarsi
s e n z a i l c o r p o , c o m e u n a ff a r e p i ù d i s p i r i t o c h e a l tro. Di coscienza. D’anima.
Dove, in quale luogo esiste White Chalk? Non esiste. È solitudine nutritiva, abbandono sotto controllo.
Distanza dal mondo che sostanzia la trepidazione di
colmarla. È la Nebraska che le covava dentro. Piedà-terre sopra un mondo meraviglioso e atroce, irresistibile richiamo per anime fameliche di vita malgrado
la vita. Nido costruito sulla desolazione di esistere,
che ci restituisce un’artista in qualche modo rinata.
DISCOGRAFIA
Dry
(Too Pure, 1992)
Rid Of Me
(Island, 1993)
Is This Desire?
(Island, 1998)
Stories From The City, Stories
From The Sea
(Island, 2000)
4-Track Demos
(Island, 1993)
To Bring You My Love
(Island, 1995)
Dance Hall At Louse Point
(With John Parish)
Uh Huh Her
(Island, 2004)
The Peel Sessions 1991-2004
(Island, 2006)
White Chalk
(Island, 2007)
(Island, 1996)
sentireascoltare 37
turn it on
Aesop Rock - None Shall Pass (Definitive Jux, 2007)
Genere: hip hop
E c hi lo s c o r d a A e s o p R o c k c h e c o n i l s u o f l o w z i g z a g a n t e r u b a v a l e t t e ra l m ent e la s ce n a a i C a n n i b a l O x d u r a n t e i l t o u r d i T h e C o l d Ve i n ? A n c ora
v i v i d o è i l r i c o r d o . L o s a p e v a m o c h e e r a u n g r a n d e m a c i a v e v a l a s c i ato
lo s t es s o t u t t i a b o c c a a p e r t a . Q u e l l a s c i o l t e z z a , q u e l l a f a c i l i t à d i l i n g u ag gio, quella c o n s a p e v o l e z z a d e i p r o p r i e n o r m i m e z z i q u a s i s f r o n t a t a m a a l
c ont em po ca r i c a d i r i s p e t t o . E p o i l ’ i n c o n f o n d i b i l e t i m b r o v o c a l e . E r a n o i
t em pi del s u o t e r z o a l b u m , u s c i t o n e l 2 0 0 1 , q u e l c a p o l a v o r o c h e r i s p o nd e
al nom e di L a b o r D a y s .
È t r as c or s o u n l u s t r o e n e l f r a t t e m p o i l N o s t r o s i è t r a s f e r i t o d a N e w Yo r k a
San Fr anc is c o , s i è a ff e r m a t o p r e s s o u n p u b b l i c o p i ù a m p i o e d h a p u r e i n c i s o u n d i s c o p e r l a N i k e s e n z a t u t t a v i a s p u t t a n a r s i , r e s t a n d o a s u o m odo
un ar t is t a u n d e r g r o u n d . A e s o p , c o s ì c o m e f o t o g r a f a t o o g g i d a l s u o q u i n to
full leng ht, è un arti s t a m a t u r o e p i ù m i s u r a t o , m e n o f u n a m b o l i c o e s b a r a z z i n o f o r s e m a b e n p i a z z a t o e s e m pre
stilos issimo. Evid en t e c om e l’appor t o di c olleghi i n d i s c u t i b i l m e n t e b r a v i d i a q u e l q u i d i n p i ù a N o n e S h a l l P a ss .
A prod urre u na b uo na m et à dei pez z i c i pens a Bl o c k h e a d , s u o u o m o d i f i d u c i a s i n d a l s e c o n d o a l b u m , i l q u ale
svolg e u n la vo ro com e al s olit o egr egio: bas t a s en t i r e F u m e s e G e t a w a y C a r p e r r e n d e r s e n e c o n t o . D a s e g n a l are
parecchi altri pe zzi: G un f or t he W hole Fam ily , pr o d o t t o d a E l - P ( p a r e i n f a t t i u s c i t o d a I ’ l l S l e e p Wh e n Yo u ’r e
D ead) e po i 3 9 Th iev es , c on lo s t es s o bos s della D e f J u x i n c o m b u t t a a l m i c ; o p p u r e D a r k H e a r t N e w s , a c ura
di un altro camp ion e della s c uder ia c om e Rob Son i c ( a p r o p o s i t o , n u o v o d i s c o i n u s c i t a p e r l u i p r o p r i o i n q u e sti
giorni). E alla fin e, c on Cof f ee ( oc c hio alla ghos t t r a c k ) , c ’ è a n c h e s p a z i o p e r J o h n D a rn i e l l e d e i M o u n t a i n Goats, a suggellare un d i s c o c h e s i d i s t i n g u e r i s p e t t o a l p a s s a t o p e r l ’ u t i l i z z o d i u n a n o t e v o l e s t r u m e n t a z i o n e l ive
mixata co n synth e c am pionam ent i ( as c olt at e No C i t y … ) . C i l i e g i n a s u l l a t o r t a l ’ a r t w o r k d i J e re my F i s h ( ! ) . U n
rit orn o con vin ce nte dopo il non ent us ias m ant e Ba z o o k a To o t h e s e t t e p u n t i e m e z z o i n p i ù d a a g g i u n g e r e alla
D ef Jux ne lla classific a c os t r ut t or i. Q ues t o è quel c h e s i s u o l d i r e u n b u o n l a v o r o d i s q u a d r a . ( 7 . 5 / 1 0 )
Alarico Mantovani
38 sentireascoltare
pas s a g g i s e g r e t i .
Sicuramente dedicato a tutti quelli
che pensavano non avrebbero mai
m es s o u n C D Tr o n i k s n e l l o r o l e t t or e. M e n t r e a c h i a v e v a g i à a v u to modo di apprezzare le 16 bitch,
non molti per la verità, diciamo che
le Nostre non si sono ammorbite, il
loro suono si sta solo evolvendo in
qualcosa di più terrificante ma ad
un liv e l l o p i ù s u b l i m i n a l e . ( 7 . 2 / 1 0 )
Nicolas Campagnari
16 Bitch Pile-Up – Bury Me Deep
( Tr o n i k s , m a g g i o 2 0 0 7 )
Genere: noise isolazionista
L e 1 6 Bitch Pi l e- up s o n o u n t r i o
all-female ch e p r o v i e n e d a l l ’ O h i o ,
ha nn o alle spalle una dis c ogr af ia
tanto stermin a t a q u a n t o d i d i ff i c i l e
rep erib ilità, e s i t r ov ano a f ar us c ire p er la Tron ik s di Paul Blank ensmith s (The Cher r y Poi nt ) i l p r i m o
CD co n u na t ir at ur a di “ ben” 1000
co pie (che p er gli s t andar d dell’unde gro un d ame r ic ano s ono un’enor mità).
Ma n on aspe t t at ev i l’ennes im o autocompiacime n t o h a r s h - n o i s e t i p i c o
della label so p r a c i t a t a , s i a m o p i ù
dalle parti di u n c u p o i s o l a z i o n i s m o
di sta mpo :z ovi et * f r ance e The
Ha fler Tr io. I n e ff e t t i r i s p e t t o a l l e
u scite pre ce dent i in c ui l’im pr ov v isazion e no ise f ac ev a la par t e del
le on e, in Bury M e Deep c ’è m aggiore calcolo e p r e c i s i o n e , c o m e c i
si aspe ttere bbe da un Al va Not o
o da u n Ryoji I keda; pr endet e Some thin g Po ke Up c h e p a r t e c o n i l
me tron omico bat t it o del c uor e per
p oi incorp ora r e dur ant e la s ua c or sa suoni di ca m p a n e , l a t r a t i d i l u p i ,
per chiudersi c o n i l s o l o s u o n o d i
un orologio a p e n d o l o , t u t t o c i ò
b en e se mplifi c a ques t a m ut az ione:
meno rumore m a u n s u o n o c h e s i
fa se mpre pi ù m agm at ic o e t eneb roso. Opp ur e il t appet o di bas s e
fre qu en ze Th e Dead Boy W ould
No t Go Away, c h e p a r e u s c i t o d a l l o
stu dio di u n Br i an Eno per iodo O n
Land, sop ra i l quale s i s ov r appong on o picco le m iniat ur e di m us ique
con crè te. Un a par ola pot r ebbe defin ire Bur y M e Deep: int ens o. Ripetuti ascolti a i u t e r a n n o a s c o p r i r e
sempre nuove a r c h i t e t t u r e s o n o r e e
A A . V V. – T h e K i n g s O f E l e c t r o
(Rapster / Audioglobe, 24 settembre 2007)
Genere: old school electro
Nuova uscita per la pregevolissima
s er ie T h e K i n g s O f … d e l l a R a p s t e r
R e c o r d s . L’ e t i c h e t t a – a ff i l i a t a a l l a
!K7- aveva già da tempo coniato il
modello perfetto: doppio CD scelto
e mixato da due personaggi culto
delle rispettive scene che vanno a
r iem p i r e i p u n t i n i d i s o s p e n s i o n e
dopo il titolo. Questa volta tocca a
due p r o t a g o n i s t i d e l l ’ e l e c t r o : P l a y gr oup e A l t e r E g o . L a c o s a c h e s o r prende di questa lunga selecta è il
r ic hia m o c o s t a n t e a l l ’ o l d s c h o o l .
Nel primo CD il ricordo si orienta
più verso nomi black-80, vicini alla
break-dance e alle sonorità hip-hop
di Afrika Bambaata o delle prime
s t r ee t c r e w, c o m e c o n i l s u p e r t u r nt abi l z m d i D y n a mi x I I , l a p s e u d o wav e i p n o t i c a d i M r & M rs D a l e , i l
f unk r o b o t i c o d e i F e a rl e s s 4 , l e t a s t ier i n e o r i e n t a l e g g i a n t i d i R y u c h i
Saka mo t o , l a c a v a l c a t a s p a c e y c h e
pr elu d e a i ‘ 9 0 d i D e e e - L i t e . S u o n i
v int a g e c h e p o s s o n o s e m b r a r e d a tati e naïf, ma che a guardar bene
stanno tornando alla grande in
qualsiasi genere: dal rock al pop,
dall’h i p - h o p a l l a t e c h n o .
Nel secondo CD si respira invece
l’ar ia d e i p r i m i c l u b , d e l l e s p e r i m ent a z i o n i a c i d , s p e c c h i o d e l l a m u tazione elettronica degli anni ‘80:
danc e c h e s i t r a s f o r m a i n t e c h n o ,
anima black che conserva le radici
afro ma che spinge il confine contro
le pa r e t i a s p e c c h i o d e l c l u b . I l s u o no s i s p e z z a e c o m p a i o n o l e p r i m e
figure che porteranno il germe alla
m at u r a z i o n e : M a u ri z i o ( c o n l a s t o r ic a h i t M 4 , p u l s a z i o n e b a s e p e r
q u a l s i a s i D J ) , P l a s t i k ma n , i primi
s e n t o r i d e l m i n i m a l i s m o ch e o r m a i
è v e r b o t e c h n o ( l a s t u p e nd a M i n u s
d i R o b e rt H o o d e l e i n c u r si o n i su p e r f i l t r a t e d i D o p p l e re f f e k t ) e a l cu n e p u n t a t i n e s u l c l u b b i s m o più soul
(Jupiter Jazz).
I n d u e o r e è d i ff i c i l e r i a s s umere più
d i v e n t ’ a n n i d i c u l t u r a m u sicale; qui
s i v a a l l a r i c e r c a d i c h i c c h e n a sco ste, pezzi più o meno underground
c h e c o s t i t u i s c o n o u n a b u on a i n tr o d u z i o n e p e r i n e o f i t i e u n a b e l l a r a cc o l t a d i r i c o r d i p e r c h i m a ngia onde
s i n u s o d i a l i a c o l a z i o n e . ( 7 .0 /1 0 )
Marco Braggion
A A . V V. – B o x e r 5 0 J u b i l e e
(Boxer Recordings / Family Aff a i r, 2 1 s e t t e m b r e 2 0 0 7 )
Genere: compilation minimal technodreaming
G r a n d e f e s t a i n c a s a B o xe r p e r i l
c i n q u a n t e s i m o a l b u m i n uscita.
L’ e t i c h e t t a u b e r m i n i m a l di Colonia
c i s f o r n a u n d o p p i o d i c l a s se mixato
d a l l e s a p i e n t i m a n i d i F r a nk M a r tiniq.
M o l t i i n o m i i m p o r t a n t i s ia sul mix
c h e s u l l ’ o r m a i c l a s s i c o bonus CD
d i r e m i x : l a t r a n c e o n i r i c a d i We s s l i n g & S c h ro m, i l m i n i m a l i sm o
d i Z e n t e x , l ’ i n c u r s i o n e n ell’acid di
H a n d y c ra f t , l e r i v i s i t a z i o ni acide di
G u i B o ra t t o , l a p r o g r e s si vi tà à l a
Vi b ra s p h e re d i M . A . N . D . Y., l o sci ccosissimo remix di Michael Meyer
( c h e r i c o m p o n e A d r i a n o , la traccia
c o n c u i h a p r e s o i n i z i o l ’ avventura
B o x e r ) e i l r i c o r d o a n n i ‘ 80 d i The
S h o c k , f a n n o d i q u e s t o doppio un
g i o i e l l i n o d i s t i l e m i n i m a l ch e ci r i v e l a c o m e g i à s e t t e a n n i fa q u a l cu n o s t a v a m u t a n d o i n c o n sciamente
sentireascoltare 39
(?) le sorti d ella ca s s a- Det r oit , at traverso sonorità ra r e f a t t e , c a m e r e
met allizza te pe r cy ber m aniac i del
danceflo or, pu r con s er v ando un’at titudi ne pienamente i n d i e , u n o s t i l e
che in molti p assa ggi s i av v ic ina
alla soft-trance onir i c a , a l l o s b a l l o
da decompressione.
Uno degli slogan ch e r i c o r r e d i p i ù
nei blo g è: “se n on è m inim al non
è techno, se non è t e c h n o n o n è
minimal”. Questa c o m p i l a t i o n l o
riconferma in p ien o. I l 2007 c om e
anno b ipo larme nte n u- s oul e m inimal. Gli estremi che s i t o c c a n o . U n
bookm a rk pe r le n uov e gener az ioni. 50 di questi disc h i , c a r a B o x e r.
(7. 2/1 0)
uggioso al limite del malinconico a
far propendere l’ago della bilancia
a f av or e di R a i n y D a y s . ( 7 . 0 / 1 0 )
Stefano Pifferi
Massimo Padalino
Marco Braggion
Airportman – Rainy Days (Lizard / Audioglobe, giugno 2007)
Genere: post post-rock?
I qua ttro ae rop ortuali piem ont esi propongono come d a t i t o l o u n a
musica da giorni d i p i o g g i a e l o
fanno con la n on c om une c apac ità di tocca re le co rde più s ens ibili del l’ascoltatore. M u s i c a i n p u n t a
di st r u men to ch e per s em plif ic ar e
definia mo po st-ro ck, m a c he è ben
lungi d all’e ssere la s em plic e r ipr oposizio ne d i q ue i suoni c he nel decennio sco rso fecer o gr idar e alla
ennesima morte (o r i n a s c i t a , c h e è
la stessa cosa) del r o c k .
Colonna sonora im m a g i n a r i a e d
ideale p er bru mose gior nat e nella
pianu ra d ell’Oltre pò , c onc ent r at o
di em ozion i sussu rr at e per aut unnali tra mon ti, Rainy Days e s a l t a l e
doti stru men tali de l quar t et t o dis egnand o lan de d i q uiet e or a f olk y,
ora ind ie, o ra a l lim it e del c ant autorato afo no . C’è inf at t i m olt o della musica che hann o ( e a b b i a m o )
amato negli ultimi an n i n e l l e f r e c c e
di quest’album: melo d i e s o ff o c a t e e
deser tich e a mbizion i, ec hi s ognanti e u mora li d i Sm og e T h e P a p e r
C h ase , pa esag gi a c us t ic i am plif icat i da glo cken sp iel e f is ar m oniche, lievi increspatu r e e l e t t r o n i c h e ,
strugge nti e fun ere e nenie ( O c t ober, u na de lle vette dell’album ) .
Ma è la maturità d e i q u a t t r o n e l
saper coniugare qu e s t i l i n g u a g g i
verso un mo od in tim o e per s onale,
te, caldo, africano. Disco armonic a m e n t e r i c e r c a t i s s i m o . P a r e nte
s t r e t t o d e l l a 4 t h Wo r l d M u s i c d i J on
H a s s e l l . D i s c o i n t r i s o d i u n a sp i r i t u a l i t à a n t i c h i s s i m a , a n c e s t r ale.
(7.5/10)
Alejandro Franov – Khali (Staubgold, 2007)
Genere: world
Ar gent ino, 3 5 e n n e , A l e j a n d r o F r a nov ha già alle sue spalle una
carriera discografica onorevole.
Innanzitutto come collaboratore di
Juana M ol i n a , i n b e n t r e d e i s u o i
bei album ( S e g u n d o , Tre s C o s a s
e Son) , e i n s e c o n d a b a t t u t a c o n
t ant e alt r e t e s t e ( m u s i c a l i ) p e n s a n t i della c on t e m p o r a n e i t à ( L i l i a n a ,
Her r er o, F e rn a n d o K u b a s a c k i ,
M ono Font a n a e c c ) . K h a l i è s e gnato dall’incrociarsi, ed ibridarsi,
dei s uoni d i t r e s t r u m e n t i d i v e r s i. O gnuno p r o p r i o d i u n d i ff e r e n te continente: mbira (Africa), sitar
(india) e l’arpa paraguaiana. Khali
è anc he un a i s o l a c r o a t a , d o v e i l
nonno dell’autore è nato, ed uno
dei cicli della musica Hindustani. Il
s uono c he d a l l a v o r o s g o r g a f u o r i r im anda, i n e v i t a b i l m e n t e e f e l i c em ent e, a l l e m u s i c h e d e l M a l i , a
quelle degli indios centroamericani
e ai raga indiani. Qualche chitarra
di contorno, qui e là una tastiera,
giochi di voce al femminile talvolta
(Lea Franov) e l’ibrido prodottosi,
c om e nel c a s o d i G a n d a n g a , a s s u m e il v olt o d i u n a s o r t a d i m i n i m a l i s m o et nic o. U n P h i l i p G l a s s s p a r s o
fra una miriade di spezie esotiche.
Tuonam i D i a b a t e , s o m m o a r t i s t a
africano, potrebbe anche fungere
da riferimento specifico (un brano
c om e Pas a n d o E l M a r ) n e l l i r i s m o
c os ì s off ic e m e n t e , e s o ff u s a m e n -
Amor Fou – La stagione del
cannibale (Homesleep, ottobre
2007)
Genere: elettronica
A l e g g e r e i l n o m e d e i m u s i cisti
c o i n v o l t i n e l p r o g e t t o A m o r F o u ci si
r e n d e c o n t o , a n c o r p r i m a d i s c h i a cc i a r e p l a y s u l l e t t o r e , d i q u e l l o a cui
s i a n d r à i n c o n t r o c o n L a s t a g i one
del cannibale: un cantautorato eleg a n t e , f o r t e m e n t e “ l e t t e r a r i o ” , dal
p a s s o l e n t o m a r a ff i n a t o , v e n a t o da
s t r i a t u r e e l e t t r o n i c h e . U n a m u s ica
i n e v i t a b i l m e n t e l e g a t a a l c a r a tte r e d e i s i n g o l i , c h e i n q u e s t o c aso
h a n n o i l n o m e d i C e s a re M a l fa t t i ( L a C r u s e T h e D i n i n g R o o ms),
A l e s s a n d ro R a i n a ( e x f r o n t man
d e i G i a r d i n i d i M i r o ’ e p a r o l i e r e di
i n t e r e s s a n t i p r o s p e t t i v e ) , L e z i ero
R e s c i g n o ( m u l t i s t r u m e n t i s t a c o ll a b o r a t o r e d i F r a n c e s c o D i B e l l a dei
2 4 G r a n a e M a r a R e d i g h i e r i d egli
U s t m a m o ’ ) e L u c a S a p o ri t i ( t i t o l a re del progetto Lagash).
Nelle undici tracce del disco si parla d’amore. Un rapporto di coppia
c o n s u m a t o s i t r a S e s s a n t a e S e tt a n t a c h e è a n c h e u n a s t o r i a d i ab b a n d o n i e r i t o r n i , p a s s i o n i e c on f l i t t i , n o n c h é i l p u n t o d i p a r t e nza
p e r u n a r i f l e s s i o n e s o c i o l o g i c a su
q u a r a n t ’ a n n i d i v i t a i t a l i a n a . Vi s su ti
d a i d u e p r o t a g o n i s t i t r a d i ff e r e nze
d i c l a s s e , i n f a t u a z i o n i p o l i t i c he,
s p i n t e c u l t u r a l i , d o v e r i e m e s ch i -
turn it on
A m a r i – S c i m m i e d ’ a m o r e ( R i o t m a k e r / Wa r n e r M u s i c , o t t o b r e
2007)
Genere: soulgazing pop hip
“In fon do ti av ev o av v er t it o, dic ev i c he s ar e b b e a n d a t o t u t t o b e n e … ” A p p un ti di viag gio dal pr es ent e off - c ant aut or a l e i t a l i c o . S e t t e a n n i d i A m a ri. Sette a nn i lungo t ut t o lo s t iv ale. Lo s c o r s o a n n o p o i , h a n n o b i s s a t o
l’e xp loit ind ie degli O ff laga in quant o a ban d c o n p i ù d a t e e a ff l u e n z a d i
pubblico; ogg i , q u e s t o è i l d i s c o d e l l a m a t u r i t à , q u e l d i s c o c h e f a p a u r a
a tutti. Stacca r e o f a r s i t r a v o l g e r e . E l a g e n t e c h e d i c e : n o n c ’ è g a r a c o n
l’a rrog an za e la pr opos it iv it à dei due pr ec e d e n t i . D o p o i p r i m i v a g i t i c o n
Apothek e e Cor por al i , G am er a è s t at a la sp e r i m e n t a z i o n e , G ra n d M a s t e r
Mogol il bo tto pop. E or a? Adoles c ent pop f a t t o d a t h i r t y s o m e t h i n g b o y s .
Non servono p i ù l e p r o v e d i f o r z a s p e r i m e n t a l i , n o n s e r v e s t r a f a r e , g l i
Amari convert o n o l a s c u o l a r o m a n a m a s t i c a n d o N o r d - E s t e p o s t h i p h o p , r i u s c e n d o a f a r e q u e l c h e n o n ti aspetti:
n on u n’a ltra m anc iat a di c olor at is s im e c ar t o l i n e d e l “ p r o p r i o c o m e a l l o r a ” ( C o n o s c e r e g e n t e s u l t r e n o u ber alles),
ma un po ’ d i quel “ poi” da v ec c hi/ giov ani c h e a s c o l t a n o l a t a r d o a d o l e s c e n z a c o n d i s t a c c o , m a c o n i m m e n se vo ra gin i di n ostalgia. “ Q uant i am ic i ho per s o n e l l a n e b b i a ” , “ v o r r e i c o n o s c e r t i t r a q u i n d i c i a n n i ” e n a t u r a l m e n te tu tti
q ue i “e se…”, più s ot t ot r ac c ia c he t r ac c iat i. I l r e v i v a l b u o n o i n s o m m a . L’ i m p i a n t o a g r o d o l c e a l i t a d i e t r o la nuca e
la musica ch e ne es c e è più v iv a c he m ai, c o n l ’ e l e t t r o a g r a ff i a r e q u a n d o s e r v e , i g r o o v e a m u o v e r t i l e g a m b e , i l
to cco ro ckista nella s t anz a da let t o e le pir o e t t e c a m p - p e r c h é n o - p e r i l p u b b l i c o p i ù o m o s e x ( c h e f u rb a str i …) .
Meno plastici e g a i , P a s t a e D a r i e l l a r i e s c o n o a m a n t e n e r s i l e g g e r i i n u n m o d o n u o v o , u n p o ’ c o m e i personaggi
d ella le ttera tur a c ont em por anea giappones e . L e s t o r i e d i B a n a n a Yo s h i m o t o o d i H a r u k i M u r a k a m i . Q u e ll e d e scr i zion i d i u n attim o. La bellez z a diabolic a de i d e t t a g l i ( “ n e s s u n o d i n o i a v r à p i ù c a m i c i e s t i r a t e … … Q u an to l e h o
sog na te”). E n at ur alm ent e quel t oc c o naï f c o m e d o v r e b b e e s s e r e : u n p o ’ B e r s a n i ( m a s e n z a s p o c c h i a ) e u n p o ’
Ba ustelle (ma s enz ’es s er i s olit i m audit , pe r d i o ) . L a c u t e g e n e r a t i o n i t a l i a n a t r o v e r à n e g l i A m a r i i s u o i a l fi e r i . L i
ha già incontr a t i , è v e r o . O r a ( g r a z i e a n c h e a u n a d i s t r i b u z i o n e m a j o r ) l i c o n s a c r e r à m e t t e n d o l i c o m e uno scudo
stella re pe r tu t t o c iò c he è adult o… e s ar à u n c a s i n o , s a r à u n a n u o v a s t a g i o n e i n t i m i s t a , p u r o c o n c e n tr a to so u l g azing .
Prima ch e tu tt o c iò ac c ada, i nos t r i her oes c o n v e r t o n o t e m p o e s p a z i o i n u n m i s t o d i s y n t h p o p a l c o mp r e sso r e ,
indie Ottanta e N o v a n t a e u n a n d a m e n t o d a b - b o y e m o z i o n a t i , d a s c i m m i e i n a m o r e ( s i n g o l o e r i t r a t t o fauve di
n oi voi tu tti). È il t op ar t is t ic o e neanc he a d i r l o , i l s i n g o l o L e g i t e f u o r i p o r t a l o f i s c h i e t t i a m o g i à t u t t i . L o ste sso ,
ved rete , acca dr à c on t ant e alt r e c anz oni d i q u e s t ’ a l b u m , p e r c h é è s o l o u n r a ff r e d d o r e . N o n è s a n g u e di naso.
Ve dra i fra q ua lc he gior no non c i f ar ai più c a s o . P e r q u e s t o s c a p p a v i a . ( 7 . 5 / 1 0 )
Edoardo Bridda e Marco Braggion
sentireascoltare 41
nità. A dar spessore a l l e p a r o l e u n
elet t r op op so gn an te, m alinc onic o,
liquor o so , vicin o per indole alle
leggere zze de i No t w i st , dec or ato da nuvole di chi t a r r a e t a s t i d i
pianofo rte, solcato da v oc i s uadenti e cornici sintetich e . U n a m u s i c a
che guadagna in fam i l i a r i t à a s c o l t o
dopo a scolto , q ua nd o anc he i det tagli più nascosti ve n g o n o a g a l l a ,
e che n elle fin ali L’anno luc e e L a
S t rag e – si pa rla di quella di Piaz za Fontana - raggiun g e f o r s e i l s u o
zenit h q ua litativo. (7 . 0/ 10)
Fabrizio Zampighi
I n ques t o n u o v o e p i s o d i o i t r e s e m brano procedere per sottrazione,
gioc ando c o n s i l e n z i e p a u s e , v u o ti pneumatici in cui far riverberare
anc or più p r e p o t e n t e m e n t e i b r e v i
momenti di presenza che danno il
t it olo al lu n g o f l u s s o s o n o r o . R i c hiedono c o i l o r o s p a s m i l ’ a t t e n zione dell’ascoltatore, costretto a
vedere con l’orecchio frammenti di
s uono, s f ila c c i a m e n t i d i n o t e , a b o r ti di strofe che assumono il proprio
s ens o s e v i s t i c o m e c o n t i n u u m c o n
i v uot i.
La stimolante sensazione che se ne
ha è quella d i u n a v e r s i o n e o l t r e jaz z dei 4’3 3 d i c a g e i a n a m e m o r i a
o una r ilet t u r a d i c e r t i m o m e n t i r i ley ani in c h i a v e a n a t r o j a z z . L a c e r t ez z a è c he g l i A n a t r o f o b i a h a n n o
eff et t uat o su l “ j a z z ” l o s t e s s o p e r corso che gli Starfuckers/Sinistri
eff et t uar ono m a n d a n d o I n f ra n t u mi
il r oc k . Ent r a m b i , o v v i a m e n t e c o n
ec c ellent i r i s u l t a t i . ( 8 . 0 / 1 0 )
mani esperte? Diciamolo subito Set
T h e Wo o d s O n F i re n o n s o d d isfa
l e a s p e t t a t i v e . N o n c h e s i a u n b r u tt o d i s c o : m o l t e c a n z o n i ( I T h o u ght
I Wa s F r e e , S e t T h e Wo o d s O n Fi r e
e T h e G a m e ) s o n o d i o t t i m a p r esa
c o n f e r m a n d o l ’ i s p i r a t a v e n a c r e ati v a d i O r e n d a F i n k . M a è t u t t o qui.
N o n c o l p i s c e . N o n a g g i u n g e n i en t e d i n u o v o . L e c a n z o n i s o n o t utte
a d a g i a t e s u u n t a p p e t o t r a d i z i o na l mente folk che sa tanto di manier i s m o . C i ò c h e n e s c a t u r i s c e s on o
i r e c e n t i t r a s c o r s i d e l l e A z u r e R ay,
q u a l c h e t i m i d a d e r i v a p o p a l l a Fe is t e s o p r a t t u t t o q u e l g u s t o m e l od i c o p r o p r i o d e i C a rd i g a n s . I l t utto
m i s c h i a t o e c o n d i t o c o n u n f a r e fin
t r o p p o a n t i c o e p r e v e d i b i l e . F o sse
stato un disco solista avremmo potuto pensare, almeno, che qualcosa in futuro potesse cambiare. Ma
così… (5.2/10)
Andrea Provinciali
Stefano Pifferi
Anatrofobia – Brevi momenti di
p r e s e n z a ( Wa l l a c e / A u d i o g l o be, ottobre 2007)
Genere: anatrojazz
S ono ce nte llina ti i m om ent i di pr esenza ch e g li Ana tr of obia dis pensano a l me rca to mus ic ale, m a degni della più totale a t t e n z i o n e . I n
partico lare qu an do , c om e nel c as o
di Br ev i m om e nti d i pr esenz a, l o
scart o d alle pre ce de nt i pr ov e è notevole. Un un icu m s u d d i v i s o i n 1 4
tracce frutto d i u na s es s ione di r egistrazione in presa d i r e t t a i n c u i i
tre (la chitarra di S a s s i n o n è p i ù
della partita) presci n d o n o d a o g n i
sovrain cision e.
P rescin do no pe rò i c anav es i, anche da loro stessi, a ff i d a n d o s i n o n
più unicamente alla l o r o p e c u l i a r e
sintas si ja zz, ma ri f er endos i quasi alla colta con tem por anea. E lo
fanno consapevolme n t e a l l a l u c e d i
un percorso orma i q uas i dec ennale
che li h a visti e li ve de t ut t or a t r at tare la materia fino a p l a s m a r l a a
propr io p iacimen to.
42 sentireascoltare
Art In Manila – Set The Woods
On Fire (Saddle Creek, 7 agosto
2007)
Genere: indie-folk
Dopo lo s ci o g l i m e n t o d e l l e A z u r e
Ray av v en u t o n e l 2 0 0 4 , O r e n d a
Fi nk – la m e t à d e l d u o – , i n t r a p r e s e una br e v e c a r r i e r a s o l i s t a c h e
la condusse alla pubblicazione del
debut t o The I n v i s i b i l e O n e , s e m pr e pr es s o l a S a d d l e C r e e k , o n n i comprensiva etichetta di Omaha,
Nebr as k a. D u r a n t e i l t o u r p r o m o z ionale del d i s c o l a N o s t r a s i a c c or s e, gr azi e a l l ’ a c c o m p a g n a m e n t o
strumentale di molti amici/colleghi
t ut t i gr av it a n t i i n t o r n o a l l ’ e t i c h e t t a
succitata, che la veste di solista le
calzava stretta. Ecco così nascere
gli Ar t I n M a n i l a . E c c o c o s ì n a s c e re una piccola sintesi di molte band
della Saddl e C r e e k . I n f a t t i a d a f f ianc ar e la F i n k c i s o n o m e m b r i d e i
G ood Li f e, M a y d a y , B ri g h t E y e s
e Neva Di n o v a . S e n z a c o n t a r e a n c he alt r i m e m b r i d i b a n d c o m e T h e
Anni ver sar y , L i t t l e B ra z i l , D a n ce M e Pr eg n a n t , n o n p r o p r i a m e n te colleghi di etichetta. Ora, come
non as pet t a r s i i l m e g l i o d a u n s i f fatto album composto da così tante
B a b y s h a m b l e s - S h o t t e r ’s N a tion (Capitol, 12 ottobre 2007)
Genere: pop’n’roll
I l t i t o l o n o n d e v e i n g a n n a r e . S h ot t e r ’s N a t i o n c h e t r a d o t t o d allo
s l a n g s i g n i f i c a “ l a n a z i o n e d eg l i
s p a c c i a t o r i ” , è i l p o s t D o w n I n A lb i o n . N o n i l c a p i t o l o s u c c e s s i v o ma
un nuovo libro. Un lavoro che si dir e b b e m a t u r o , f o r m a c a n z o n e d en tro i ranghi, partiture anche comp l i c a t e , r i ff o r a m a e c a m b i t e m p o ,
pulizia formale.
L a s c i a t o s i i l c l a u d i c a n t e d e b u tto
a l l e s p a l l e a s s i e m e a i v e c c h i t e ssitori (Mick Jones dei Clash, il dis c r e t o P a t r i c k Wa l d e n a l l a c h i t a rra,
a n d a t o s e n e n e l 2 0 0 5 p e r p r o b l emi
di eroina…), un Pete ripulito in-
traprende un c o r s o p o p p u n k ’ n ’ r o l l
d al restylin g m olt o pr of es s ional.
C’è Stephen S t r e e t ( S m i t h s , B l u r e
Kaiser Chiefs ) d i e t r o a l d e s k e s i
sente, ma c’è u n b e l b u c o ( e n o n
sul b raccio qu es t a v olt a) : Deliv er y,
singolo apripi s t a , t r a p r i m i K i n k s a
un ritornello n o r m a l i z z a t o ( p i ù c o d a
q ua lun qu ista ) , è m oder nar iat o per fe tto pe r l’IPo d, non l’hit più o m eno
g en era zio na le Fuc k For ev er .
In sostanza, i l p r o b l e m a d e i n u o v i
Babyshamble s s e m b r a p r o p r i o u n
fa ttore d ’attitu dine e c ont r ollo: s uonano con il m o t o r e d i u n a m a c c h i n a
a pp en a u scita dal c onc es s ionar io,
quando a gui d a r l a c i s o n o s e m p r e
i soliti d rog ati. Sono t ut t i c int ur at i
p erò , e cco pe r c hé il gioc het t o v ocale a ttorn o a You Talk n e l c l a s s i c o
rh yth m’n’b lue s è s t uc c hev ole, il s alisce nd i d i Un s t ook ie Tit led aut om atico, il ja zzino Ther e She G oes u n
d ive rtisseme nt per pr ender f iat o.
Neanche il D o h e r t y 2 . 0 è p e r ò u n
manichino, qu a l c o s a l a d i c e e n o n è
ta nto il bra no Side O f t he Road ( un
tra sch pu nk s guaiat o e goliar dic o
ripescato da u n a v e c c h i a s e s s i o n
assieme a Ba r a t ) q u a n t o u n d o l c e
a nth em, Bad dies Boogie, a r egalarci qualcosa a s s i e m e a l l a v a l i d a
De ft Le ft Han d ( f u n k s v a g a t o d a l
sap ore cab are t t is t ic o) e L o s t A r t O f
Mu rde r (una b a l l a d c o n l ’ i d o l o f o l k
in gle se Ber t Jansch) , il f inale ideale tra autobi o g r a f i s m i e s q u a r c i d i
vita bruciata.
Sono gli epi s o d i m i g l i o r i d i u n a
ba nd ch e p un t a ad allar gar e l’audience (la ro c k b a l l a d c a n o n i c a
Unb ilo Titled ) . A f ar s i un f ut ur o ( le
cla ssich e manier e r oc k di F r e n c h
Dog Blu es). D el r es t o una r oc k s t ar
non prende S t e p h e n S t r e e t a c a s o
e Glastonbury c e l ’ h a r i v e l a t o : p e r
Pete è l’ora d ’ i n i z i a r e u n a c a r r i e r a ,
una fortuna p e r l a s u a s a l u t e e u n a
bad news per c h i a m a v a l ’ A l b i o n e
ch e b rucia. (5 . 5/ 10)
Edoardo Bridda
B a n d O f H o r s e s – C e a s e To B e gin (Sub Pop / Audioglobe, 9
ottobre 2007)
Genere: indie-pop
L’unica cosa c h e n o n d o v e v a n o
fare e ra arre nder s i all’aut oc om pia-
c i m en t o . E d è p r o p r i o q u a n t o h a n n o
f at t o. D e t l e f S c h r e m p f è u n a c a z z o
di ballad compiaciutissima e non è
l’unic a a h i m é . E n e l l ’ e c o n o m i a d i
un di s c o d i 1 0 p e z z i n o n s i p o s s o no spendere tre cartucce in questo
m odo . N o p e r c h é M a r r y S o n g è u n
gr an p e z z o a n c h e s e è u n o s c i m m iot ta m e n t o p a l e s e d e g l i S h i n s
s enz a a v e r e l a l o r o c l a s s e , e O d e
To LR C è u n a b u o n a t r a c c i a a n c h e
s e pu z z a d i B u i l t To S p i l l d ’ a n n a t a ,
e No O n e ’s G o n n a L o v e Yo u è u n a
grande ballad commovente degna
di stare nel loro primo disco, che
diciamocelo, aveva tutt’altra grinta
e t ut t ’ a l t r a i s p i r a z i o n e .
Sì pe r c h é Wi c k e d G i r l e r a u n p o ’ I n t er po l m a a v e v a c a r i c a d a v e n d e r e ,
The F u n e r a l a v e v a d e l l e a p e r t u r e
s onor e p o r t e n t o s e e T h e G r e a t S a l t
Lak e e r a s e m p l i c e m e n t e u n a g r a n de c a n z o n e . E ’ t r i s t e p e n s a r e c h e
il de b u t t o d i E v e r y t h i n g A l l T h e
Ti m e a v v e n i v a s o l o l ’ a n n o s c o r s o ,
m a qu e s t o C e a s e To B e g i n s i g u a r da al l o s p e c c h i o e s i s o r r i d e a m miccante, ed è tutto quello che sa
f ar e. ( 4 . 9 / 1 0 )
Alessandro Grassi
c u p . c o m / ) . I l n o d o d e l l a f accenda è
t u t t o q u i , d a q u e l l e p a r t i è r a cch i u s a l a b o n t à d e l p r o g e t t o Beirut, la
s u a p e c u l i a r e v a r i a n t e r ispetto ai
l a v o r i d e i c a p o f i l a d e l m o vi m e n to
q u a l i J e r e m y B u r n s e ( a l a to ) Matt
E l l i o t t , l a f a s c i n o s a s e n s ibilità pop
c h e l o c o n t r a d d i s t i n g u e , l ’attitudine
a p o l i d e / s t r a d a i o l a c h e l o alimenta.
G i r a t o a B r o o k l y n , è p r o b abilmente
N a n t e s i l c l i p a s p i c c a r e p e r r e sa
a c u s t i c a e v i s i v a : Z a c h sce n d e l e
s c a l e d ’ e m e r g e n z a d i u n a p a l a zzi na industriale intonando una ballat a n e l l o s t i l e d e l P a t ri c k Wolf più
dolente e intimista. Piano dopo pian o , p a s s o d o p o p a s s o , l a canzone
i n c o n t r a i s u o i m u s i c i s t i d iventando
s e m p r e p i ù c o r p o s a . P r i ma chitarra
e v i o l i n o , p o i i l t r i o d i f i ati, infine
l a f i s a r m o n i c a e l a b a t t e r i a . Fa n ta s t i c o . C ’ è t u t t o l ’ a ff l a t o l i ve ch e ci
v u o l e e l a p e r f o r m a n c e di Condon
è s e m p l i c e m e n t e m a g n i f i c a . Im p a r i a m o c h e d i N a n t e s c ’ è u n a ta ke
p r e c e d e n t e p e r n u l l a m a r ziale e su
d i s c o c e n ’ è u n ’ a l t r a a n c or a d i ve r s a c o n u n a p i a n o l a r e g gae style,
u n a n d a m e n t o p i ù l i n e a r e ( b a tte r i a s c h e m a t i c a , l a t r o m b a in docile
c o n t r a p p u n t o ) e u n a s e z i o n e d ’ o tto n i p i ù c o m p o s t a . T h e P e n a l i ty (e gli
a l t r i v i d e o ) c o n f e r m a n o : è come se
i n s t u d i o t u t t o s i f o s s e r a ffr e d d a to o p e g g i o - i b r a n i s i a s s o mi g l i a sse r o . I n q u e s t ’ u l t i m o v i d e o , catturato
i n u n p a r c h e g g i o ( i n p r e sa diretta
p i ù c h e m a i ) , v o c e e u k u l el e i n so l i t a r i o p e r i l p r o d i g i o e l ’ e n semble da
s t r a d a i n a c c o m p a g n a m e nto b a n d i s t i c o . Tu t t i i n p a s s e g g i a t a co n l ’ a u d i o c h e v a e v i e n e , m a l a vibrazione
è p a p a b i l e . È c o m e e s s ere li con
l u i . L a c a n z o n e è v i v a . S u d i sco ,
l a b a s e s ’ è t r a s f o r m a t a i n u n va l z e r e d i v a l z e r c e n e s o n o p o i ta n -
Beirut - The Flyng Cab Cup (Ba
Da Bing / Goodfellas, 9 ottobre
2007)
Genere: folk-pop mediterraneo
Per a c c o m p a g n a r e i l n u o v o l a v o r o, Z a c h C o n d o n e l a s u a b a n d d a
strada “allargata”, hanno girato per
New Yo r k u n a s e r i e d i v i d e o c l i p r i gorosamente homemade. Pare che
lo scopo sia quello di filmarne uno
per ogni canzone e attualmente
quell i d i s p o n i b i l i s o n o s t a t i r a c c o l t i
in un s i t o d e d i c a t o ( h t t p : / / f l y i n g c l u b -
sentireascoltare 43
tissimi altri, tutti un p o ’ i m b r i g l i a t i .
C ’è il risch io che Fl y ing Cup a n n o i
gli scafati mediterra n i s t i f r u s t r a n d o
propr io l’ap pe tito liv e c he da s em pre li co ntra dd istin gue.
D ’altro can to, è inn egabile c he a
favore d elle tracce in s t udio c ’è
il bel lavoro d ’archi di O w en Pal lett (Final Fantasy) , g e n e r a l m e n t e
presen te a mo’ di v alor e aggiunt o
(l’at t acco d i In The M aus oluem , )
ma do mina nte in U n Der nier Verre (P ou r L a Rou te), u n a t r a c c i a s u
base jazzy da l fasci no c hans on s ublimata dall’orchest r a z i o n e . E p o i
c’è la qualità della s c r i t t u r a : Z a c h
ha dichiarato di ave r a s c o l t a t o u n
sacco di Brel e can z o n e f r a n c e s e
prima di comporre il d i s c o , c o m e d e l
rest o i Flying Cab so no i palloni aerost atici all’in tern azionale di Par igi
degli anni ’10 che i l n o s t r o a v e v a
visto in foto. Non a s p e t t a t e v i c o s e
tipo Ne me qu itte p as ( l a s e n s i b i l i t à
passa comunque att r a v e r s o Wo l f o
Wainwrigh t) ma b el le epopee c orali/ t asca bili qu elle s ì . I nt elligent e
poi lo spostamento v e r s o O v e s t c o n
le em b lema tich e Fo r k s a n d K n i v e s
e S t . Apo llon ia a pre f er ir e f is ar m onica e xilofono alla t r a c o t a n z a d e i
fiati. Fatevi i vostri c o n t i e s e a v e t e
pochi soldi spendet e l i a l c o n c e r t o .
C ondo n co mun qu e è un gr ande.
(7. 0/10 )
Edoardo Bridda
B e n j a m i n B i o l a y - Tr a s h Y é Y é
(Virgin / Emi, 21 settembre
2007)
Genere: nuova chanson d’autore
Potenzialmente, Bio l a y è u n o c h e
può far diventare ve r d i d a l l ’ i n v i d i a :
bello e talentuoso, o c c u p a s a l d o
una posizione di ass o l u t o r i l i e v o t r a
le nu ove g en era zio ni di “ c hans onniers” fran ce si. Lio nes e e c on un
background di studi c o n s e r v a t o r i a l i
(eviden ti n ell’e cle ttis m o s t r um ent ale e nel gusto con c u i a r r a n g i a g l i
archi), s’è affacciato a l l a r i b a l t a c o n
discre zio ne , scriven do e pr oduc endo per Ker e n Ann, Henr i Sal vador
e Ju liette Gr éc o.
Giunge qui al quart o a l b u m , d o p o
aver brillantemente s u p e r a t o d u e
anni or sono la diff i c i l e p r o v a d e l
44 sentireascoltare
terzo, il quale resta nondimeno il
s uo apic e i n s u p e r a t o . L o h a f a t t o
però dubitare l’autore, fino a una
buona m et à a b b o n d a n t e d i s c a l e t t a
in c ui non s i b u t t a v i a n i e n t e , d a l la s t at ic a, o m b r o s a L a G a r ç o n i e rr e c he r inn o v a S e rg e G a i n s b o u rg
(un mito per Biolay: gli si crede,
eccome) all’autentico capolavoro
di ballat a d a c a m e r a L a C h a m b r e
D’Am is , a l l a s c a n s i o n e m o d e r n i s t a
s ot t o Doulo r e u x D e d a n s a u n a R e gar der La Lu m i e r e c h e d i c i s o t t r a t t a
a un Songs O f F a i t h A n d D e v o t i o n
più r om ant ic o . S p l e n d i d o a t a l p u n t o, e non è d a m e n o q u a n t o g l i f a
c om pagnia i n u n ’ a z z e c c a t a s i n t e s i
t r a pr es ent e e f u t u r o .
Per ò: s uc c e d e c h e d a l s e n s a z i o n a le pic c o int i m i s t a s o p r a m a g n i f i c a to, il “trash” del titolo si imponga
d’un tratto e appesantisca quasi
tutti i brani che lo seguono. Non si
p u ò r e s t a r e i n d i ff e r e n t i e s o r d i d i
f r ont e al bo l s o d i s c o - r o c k Q u ’ e s t c e Q ue ç a P e u t F a i r e , a l l o s t u c c h e v ole av v it ar s i p r i v o d i c e n t r o C a c t us Conc er t o , a u n p o p l i n e a r m e n t e
m odes t o c h e s i r e d i m e s o l o c o n l a
m or bida Lai s s e A b o y e r L e s C h i e n s
e in una s ec o n d a m e t à d i D e B e a u x
Souv enir s c h e u n i f i c a N i c k D ra k e
e M om us. U n p o ’ t r o p p o i n e g u a l e
Tr as h Yé Y é , p e r r a c c o g l i e r e p i ù
di una pr om o z i o n e c o n r i s e r v a , d i
quelle che fanno benedire il tasto
di av anz am e n t o v e l o c e d e l l e t t o r e; pec c at o , p e r c h é d i c a n z o n i s e duc ent i o s l a n c i a t e c o m e D a n s L a
M er c o Benz e B i e n Av a n t n o n s e
ne ascoltano ogni mese. Che t’è
pr es o a un c e r t o p u n t o , B e n j a m i n ?
( 7. 0/ 10)
M a p e r c h é d o p o d o d i c i a l b u m in
s o l i t a r i a , i l p i ù r e c e n t e d e i q u ali,
i l d o p p i o F a s t M a n R a i d e r M an,
r i s a l e a d d i r i t t u r a a l 2 0 0 6 , e d opo
l’annunciato tentativo (mancato?)
di riunire la sua vecchia band in
s t u d i o d o p o u n t o u r c h e h a f atto
sobbalzare i cuori dei fans più nos t a l g i c i , C h a rl e s T h o mp s o n I V si
p r e s e n t a o g g i s e m p r e c o m e s o l ista
m a c o n i l s u o p r i m o n o m e d ’ arte
B l a c k F r a n c i s , p r o p r i o q u e l l o u s ato
c o n i P i x i e s ? C h e s i a g i à u n p r im o
passo di avvicinamento alla reunion tanto attesa, oppure, al contrario, un segnale per annunciare
l a t o t a l e r i n u n c i a a t a l e p r o g e t to?
M i s t e r o . C i b a s t i s a p e r e p e r ò , che
Bluefinger (dedicato al pittore e
musicista olandese Herman Brood),
r i s p e t t o a l l e d e r i v e c o u n t r y, b l u e s e
s o u l d e g l i u l t i m i a l b u m , s a n c i s ce
u n s e m i - r i t o r n o a c e r t e s o n o rità
g r a ff i a n t i e v i s i o n a r i e c h e f e c e r o la
f o r t u n a d e l l a p r i m a b a n d . L e p r i me
d u e c a n z o n i d e l l ’ a l b u m r a p p r e s en t a n o u n v e r o p u g n o n e l l o s t o m a co :
i v o l u m i s o n o a l t i s s i m i , l a c h i t arra
tagliente e la voce si perde in del i r i f u o r i s q u a d r a d e g n i d e i m i g l iori
tempi andati. Threshold Apprehen-
Giancarlo Turra
Black
Francis
–
Bluefinger
(Cooking Vinyl, 4 settembre
2007)
Genere: indie-rock
Chit ar r is t a e c a n t a n t e d i q u e l l a s b i lenc a c iur m a c h e e r a n o i P i x i e s ,
ne r appr es e n t a v a i n d u b b i a m e n t e i l
deus ex m a c h i n a . E m b l e m a t i c a d i
ciò è la lunga e prolifica carriera
s olis t a c he i l N o s t r o i n i z i ò n e l 1 9 9 3 ,
dopo lo scioglimento del gruppo
m adr e, s ot to l o p s e u d o n i m o F r a n k
Bl ack.
s i o n n e r a p p r e s e n t a l ’ e p i s o d i o più
riuscito facendo quasi gridare al
m i r a c o l o : r e n d e p a l p a b i l e l ’ i l l u s i one
d i u n v i a g g i o n e l p a s s a t o s u l f i nire
d e g l i O t t a n t a , q u a n d o i m p r e v e d ib i l i t à s c h i z o f r e n i c a e u r g e n z a s o nica
d e t t a v a n o c r i t e r i s t i l i s t i c o - e s t e t i ci .
I l l u s i o n e c h e p e r ò p i a n p i a n o p e rde
d i e ff i c a c i a . G i à a l l a t e r z a t r a c cia
Francis aggiusta il tiro tornando
a sonorità recentemente a lui più
c a r e , a n c h e s e c a r i c h e e v i t a l i c ome
d a t a n t o n o n a v v e n i v a . C o s ì c i tr o -
turn it on
Fiery Furnaces - Widow City (Thrill Jockey / Wide, 10 ottobre
2007)
Genere: rock opera revisited
Nulla si crea e nulla s i dis t r ugge m a le f or n a c i , a n c o r a u n a v o l t a a l l e p r e se con u na ro c k oper a, s i m uov ono. Canz o n e e n a r r a z i o n e . C a m b i t e m po come gioc a r e a f l i p p e r. M o m e n t i g r a n d g u i g n o l e s c h i e m a r c e t t e . E c ’ è
po co da fa re, M at t hew Fr i edber ger v u o l e e s s e r e i l m i g l i o r a r r a n g i a t o r e d i
questi anni e s e n o n c ’ è r i u s c i t o a n c o r a è s o l o p e r c h é d o b b i a m o a b i t u a r c i
all’id ea . Da u n paio di album a ques t a par t e s o t t o i s u o i f e r r i r e s t a p o c o
da arrangiare : m a g a r i u n a s p o l v e r a t a i n p r o d u z i o n e ( B i l l S k i b b e e J e s s i c a
Ruffins), un g i r o d i m a n o p o l a a l m i x e r ( J o h n M c E n t i r e ) , o p p u r e l a s c i a r e
tutto com’è, p e r c h é s o u n d & f o r m a t s o n o i n c o n f o n d i b i l m e n t e e f i e r a m e n t e
Fie ry Furn aces . Ar r iv at o dopo il s ont uos o B i t t e r Te a , Wi d o w C i t y p a r e l a
so lita me na ta da pr im o della c las s e: anc or a c a n z o n i - c o l l a g e , a l s o l i t o m a t r i o s c h e d i s t i l i , s t r a p p i , m e l o d i e . Ep p u re… No n stia m o par lando c er t o del Cham be r l a i n , l a n o v i t à p i ù a p p a r i s c e n t e d e l d i s c o , u n o s t r u m e n t o a ta sti e r a
ch e riman da l oops di alt r i s t r um ent i e per m e t t e d i c r e a r e t e s s i t u r e m a e s t o s e ( E x G u r u ) , p r e n d e t e p i u t t o sto i testi:
il cut up b ou rr oughs iano di r iv is t e f em m inili e m a g a z i n e c u l t u r a l i d e g l i a n n i S e t t a n t a d o v e s ’ a l t e r n a n o i n co m u n i ca bilità di cop pia e t em i polit ic i t r as v er s ali , è u n c o n t i n u o c o r t o c i r c u i t o t r a s i g n i f i c a t i e s i g n i f i c a n d i , s op r a ttu tto
quanto l’inter a z i o n e t r a t e s t o e a r r a n g i a m e n t o , s i f a p i ù m a r c a t a , c o n E l e a n o r p i ù v e r s a t i l e e l ’ a r r a ngiamento
più fo ca lizzato nel r ender e s onic am ent e qu e l c h e s t a a c c a d e n d o . I n o l t r e Wi d o w è u n a l b u m d i h i t , a modo loro
s’in ten de , a nzi a m odo di am a la m us ic a e i l s u o n a t o : p r e n d e t e M y E g y p t i a n G r a m m a r , o p p u r e l a b u ff i ssi m a The
Old Ha g Is Sleeping ( c he s pedis c e in c anti n a t u t t i i c a m p i o n a m e n t i d e l l e C o c o ro s i e ) . I r i t o r n e l l i t i r imangono
in testa su bito c om e quel “ I t ’s a Clear / I t ’s a C l e a r / S i g n a l F r o m C a i r o ” c h e g i à u n c l a s s i c o , e l o è pu r e p e r i
memorabili in t e r v e n t i h a r d c o r e c h e c o s t i t u i s c o n o l ’ e n n e s i m o b a t t i t o d ’ a l i . S p o s t a n d o i l c u t u p d a l l a musica ai
testi e farcen d o l a p r i m a d i g e s t i l i b e r a t o r i d a s c a f a t a l i v e b a n d ( a s s o l i , r a s o i a t e h a r d c o r e , r i ff h a r d r o ck) i brani
diventano ass o l u t a m e n t e p o p s e n z a p e r d e r c i i n g u s t o “ a v a n t ” . P o t e v a n o t a c c i a r l i d i e c c e n t r i c i t à e d i eccessiva
framme nta rietà m a or a non lo pos s ono più f a r e ( s e n o n s t o l t a m e n t e ) . L’ a v a n g u a r d i a p e r l e “ m a s s e ” è f in a l m e n te
raggiunta. Co s e d a G r a n d i . A l t r o c h e “ s e m p r e l a s o l i t a m i n e s t r a ” . S e m p r e i n d i e t r o t u t t a . S e m p r e a v a n t i ancora. I
Fu rna ce s son t or nat i. ( 8. 0/ 10)
Edoardo Bridda
sentireascoltare 45
viamo d inn an zi a ncor a a un m is c uglio di pop, rock, b l u e s , c o u n t r y e
soul m a sta vo lta co ndit o da una f r esca tensione punk, c h e n o n v i e n e
rilasciata neanche n e i m o m e n t i p i ù
intimi dell’album. Qu e s t a è l a v e r a
novit à di Blue finger , q u e l l a c h e
sicuramente si cela a n c h e d i e t r o
la sce lta d i ch iama r s i anc or a una
volta Black Fran cis. Per pot er ancor d elirare urlando i n p i e n a l i b e r t à
su zig za ga nti traie tt or ie r um or is t iche, tra con trocan ti f em m inili e linee di ba sso p ulsan t i, m a c on una
maturità raggiunta c h e g l i e v i t a d i
scimmiottare l’omon i m o s e s t e s s o
di vent’anni fa. Vi s e m b r a p o c o ? I l
Grande Folletto è a n c o r a i n o t t i m a
forma: inconfondibilm e n t e i r o n i c o e
frene tica men te pu ngent e olt r em odo. ( 6.7/1 0)
Andrea Provinciali
Brian Ellis - The Silver Creature (Benbecula / Wide, 20 agosto 2007)
Genere: post-fusion
S ul po st-ro ck si conc or da un po’
tut t i: vive di g lorio s i r ic or di, m ediocrità po co au rea , r it or ni di pr otagonisti ed emula t o r i r i t a r d a t a r i .
S ignifica tivo re sta , t ut t av ia, quanto del suo spirito s i s i a r a d i c a t o
con forza nell’attual i t à , d i c o m e l a
commistione totale t r a g e n e r i - c h e
iniziò n ei primi Ottant a e v olò altissima n el de ce nn io s uc c es s iv o si sia con esso del t u t t o c o m p i u t a .
La trovate incuneata s o t t o p e l l e a g l i
sperim e nta tori o die r ni, a c hi t r aff ica con idio mi ibrid i c er c ando di f ar si capire. Che poi i p i ù t r a c o s t o r o
cadano ne ll’au tore f er enz ialit à, è
da imputarsi nella p o c a c u r a p e r
la scrittu ra: con ce ntr at i s ul s uono,
chi ci p en sa più alla c anz one? Anche se “post”, sareb b e s e m p r e r o c k
e come tale a qual c h e c o s a d e v e
appogg iarsi, an ch e q uando lo s i intende in sen so mo lt o lat o, o dov e
non ve n’è più tracci a .
S orta di “o ne man band” dalla c osta ovest degli U.S. A . , B r i a n p a r e
essern e fin tro pp o c os c ient e quando t raffica atto rno ai c onf ini ec c ellent i d i ja zz e d ele ttr onic a, puls ioni
kraute e percussion i l a t i n e , f u n k e
rock co me si faceva nella Chic ago
46 sentireascoltare
d i u n d e c en n i o e p a s s a f a . C o m e
M i l es Davi s a c a v a l l o t r a S e s s a n t a
e Set t ant a, c o m e c h i g l i t e n n e d i e t r o a r uot a ( a n c h e i n o s t r a n i P e ri geo… ) C ’ è , n o n d i m e n o , u n a c e r t a
oleografia in più, una palla lunga
ac id jaz z di t r o p p o t i r a t a n e l s a l o t t o
buono, perché il futuro è diventato
p r e s e n t e e p a s s a t o p r o s s i m o . Va
benissimo se non ci si attendono
rivoluzioni e, magari, sarebbe ora:
s i può r im e d i a r e i n s e g u e n d o l e c i tazioni o apprezzare la condizione
p i a c e v o l m en t e a c c e s s o r i a d i d i s c h i
come questo.
Se la personalità è carente e lo
s f or z o di m o d e r n i z z a r e p e r l o p i ù
as s ent e, g l i s c e n a r i d i p i n t i s o n o
s ugges t iv i q u a n t o b a s t a e i l o r o c o lori vividi e sapientemente dosati.
Cinquant aqu a t t r o m i n u t i d a f r u i r e
nell’insieme (magari privilegiando
la s lanc iat a N i g h t Tr a i l s , i l r u t i l a r e
di c hius ur a C o o k i e s A n d C r e a m e
quello jaz z f u n k d i H o m e C o o k i n ’ )
che scorrono abbastanza rapidi
sono cosa oggi insolita, pur nella
f at ic a a im p o r s i e i n c i d e r e s u l s e r i o .
M ic a t ut t a c o l p a d i B r i a n , s a p p i a t e lo. ( 6. 6/ 10)
Giancarlo Turra
Burnt Friedman – First Night
Forever
(Nonplace
/
Audioglobe, 21 settembre 2007)
Genere: electro-dub nujazz ambient-soul
Dopo le pr o v e c o n l ’ a m i c o S y l v i a n
nel pr oget t o / s u p e r g r u p p o N i n e H o rses, F r i e d m a n r i t o r n a a l p r o g e t t o d i
pr oduz ione i n s o l i t a r i a , r i u n e n d o
una c ongr e g a d i m u s i c i s t i d a i p a lat i c om ple t a m e n t e d i v e r s i : S t e v e
Spacek, la v o c e s o u l d a l l a I s l a n d ;
Eni k, il pr od u t t o r e d a l l a k r a u t i s s i m a
M o n a c o ; B a rb a ra P a n t h e r, l a c an t a n t e d a l c u o r e d i B e r l i n o , a l suo
e s o r d i o s u d i s c o ; T h e o A l t e n b e rg il
s e m p r e v e r d e b e r l i n e s e g i à f r e q u en t a t o r e d i c o m u n i h i p p i e s n e g l i anni
Settanta, amico di Joseph Beuys e
f o n d a t o r e d e l g r u p p o a m b i e n t O der
N i c e ; i l c a n t a n t e d ’ o p e r a a m e r i c ano
D a n i e l D o d d - E l l i s . Q u e s t e m e nti /
v o c i , a g g i u n t e a d a l t r i s t r u m e n t i tra
c u i c l a r i n e t t o , v i o l i n i , c h i t a r r e e di a v o l e r i e e l e c t r o , v a n n o a c o m p or r e
i l m a g m a s u c u i i l N o s t r o c o s t ru i s c e v i s i o n i d i u n d u b i n f l u e n z ato
d a l l ’ e l e t t r o n i c a p e r l ’ a m b i e n t e e dal
soul/jazz.
U n m o d o d i s v i n c o l a r s i d a l l e s o no r i t à d i q u e s t o 2 0 0 7 ( e l e c t r o ) d ub ,
u n a s t r a d a c h e d i ff e r i s c e d alle
t e n d e n z e g r i m e / d u b s t e p ( B u ri a l e
soci) o mat/hop (Anticon, Subtle e
c o m p a g n i a ) c h e s t a n n o s p a z z a ndo
e f a c e n d o n a s c e r e n u o v i s e m i n ella
s e m p r e m u t a n t e s t o r i a d e l l a b l a ck
m u s i c . Wh e r e S h o u l d I G o è u n r i c h i a m o a q u e l l o c h e Tri c k y h a a n n u n c i a t o c o n i l s u o a l b u m p i ù o s cu r o , q u e l P re - M i l l e n n i u m Te n s ion
s n o b b a t o d a m o l t i , m a c h e h a pr e v i s t o m o l t e d e l l e i n c r i n a t u r e m u si c a l i ( e n o n s o l o ) c h e s t i a m o v i v en d o o g g i , M a c h i n e I n T h e G h o s t è un
i n n o a c o u s t i c - b l u e s c o n r i c h i a mi e
s o n o r i t à c h e t o c c a n o l a v o c e d i Ca t
Power (stupenda l’interpretazione
d i B a r b a r a P a n t h e r ) e d e g l i a r r an g i a m e n t i c h e r i c o r d a n o ( g u a r d a ca s o ) i P o l i c e p i ù w a v e . A Wa l k With
M e m a n c a s o l o l a p a r o l a F i r e per
d i v e n t a r e u n l a m e n t o a d a t t o a l l e a tm o s f e r e d a r k d i Ly n c h , N e e d I s All
Yo u L o v e u n d u b - b l u e s d a s c a r i ca tori di porto per il prossimo disco di
To m Wa i t s c o n u n T h e o A l t e n b erg
in estasi.
U n g i o c o c i n e - d u b c h e r i m e s c o l a ti t o l i e s o n o r i t à j a z z ( i n p a r t i c o l a r e gli
u l t i m i l a v o r i d i S y l v i a n ) c o n u n gu s t o s o u l - f u n k d e c i s o ( a s c o l t a t e ad
e s e m p i o l a m i s u r a t i s s i m a g r a z i a di
H e a l e r , o i l r i ff i n c a l z a n t e d i b a sso
d i T h u m b S e c o n d ) , c o l o n n a s o n ora
c o o l p i e n a d i s u o n i a c u s t i c i e v oci
d a g u s t a r e c o n c a l m a . U n m a e stro
d e l n u - d u b c h e a t t e n d e p a z i e nte m e n t e 6 a n n i p e r s c o l p i r e i n s t udio
u n d i s c o e c c e l l e n t e . I n u n m o ndo
fatto di produzioni velocissime e
d i s i n g o l i c h e s i s u s s e g u o n o o r mai
a l l a v e l o c i t à d e l s u o n o , F r i e d m a n ci
riporta a un a r t i g i a n a t o p r o d u t t i v o
b asato su lla q ualit à e s ulla m edit azion e. Un a via da s eguir e. ( 7. 3/ 10)
qua co m e o g n i c o s a p e r f a r s i p o i d i
n u o vo , e t e r n a m e n t e e m a g i c a m e n t e
s c iar a d a d i s e s t e s s a . C a m u s i c a M us i . ( 8 . 0 / 1 0 )
Marco Braggion
Stefano Pifferi
Camusi – Self Titled (Setola Di
Maiale, luglio 2007)
Genere: ur-jazz
È il d uo Ste fano G ius t - Pat r iz ia O liva (a .k.a . Madam e P) la s or pr es a
più stimolant e d e l 2 0 0 7 . C a m u s i ,
sciarada di s i g n i f i c a t i l o n t a n i , o r a
rinoceronte, o r a p r o f i l o u m a n o , s i
p resen ta sotto le c angiant i f or m e
dei due prot a g o n i s t i . L a m a d a m a
dell’elettronic a i t a l i a n a c i m e t t e
rumori, loops , e l e t t r o n i c a d e v i a n t e
e soprattutto l a v o c e : c r i s t a l l i n a ,
p ura , su ssurr at a, dis t or t a, dev iata . Il de us-ex - m ac hina delle m us iche non conv e n z i o n a l i d i S e t o l a d i
Ma iale invece per c uot e, c olpis c e,
sbatte, sbuffa , a c c e l e r a e d e c e l e r a
su tutto ciò ch e pos s a dar e un s enso ritmico a l tut t o, t ant o da div enir e
il vero cu ore puls ant e d e l l ’ o p e r a .
L’un ion e in ce s t uos a t r a i due, la
fu sio ne estatic a t r a due s pir it i af fini genera un m o s t r o a m i l l e t e s t e ,
tentacolare m e d u s a p o s t m o d e r n a
al cui ascolto s i r e s t a p i e t r i f i c a t i .
Trip -ho p de for m e quant o un Elep ha nt Man su pent agr am m a, s c hiz zi di una Diam a n d a G a l a s l u c i f e r i n a
ma atipicame n t e j a z z , P o r t i s h e a d
in deliquio, b r a n d e l l i d i r u m o r i s m o
d igita l-pe rcu s s iv o, m ant r a or ient ale gg ian ti. Mad am e P c he s i aut of agocita in cont i n u i c o n t r o c a n t i i n c u i
campiona e r i m a n d a i n v o r t i c e l a
sua stessa voc e. I l G ius t c he s t ende un tappeto r i t m i c o c h e h a d e l l o
strao rdin ario m a s opr at t ut t o dell’or d ina rio (me talli, f or c het t e, penne…
tanti, tantissi m i o g g e t t i ) . L a v o c e
d i No stra Sig nor a Elec t r o c he s i r ifra ng e e divent a più v oc i, più angolazioni, cas a m a t t a d i s e s t e s s a ,
Min a + Dia m anda G al as + M eir a
Ashe r + o gn i c os a.
L e aritmie d el l’uom o- r it m o c he t enta no d i fre na r la, c onf inar la, inc luderla in un p e r i m e t r o r i c o n o s c i b i l e
ma che finis c o n o p e r d e r a g l i a r e
a nch’e sse su l s ot t ile f ilo della f ollia. La music a c h e a v v o l g e m o n d i
lo nta ni, che m oder na s ir ena inc anta g li ig na ri n av igant i, c he s i f a ac -
h a rt , m e n t r e T h r e e M o nth s Pa i d
n o n s t r a p p a g l i a p p l a u s i che forse
c e r c a v a e S o u n d e d L i k e A Train,
Wa s n ’ t A Tr a i n h a d a l s u o u n m e l o d i a r e m o n o c o r d e , s t r i n g a to all’osso
ma vincente.
E p i s o d i o i n t e r l o c u t o r i o d u nque, con
q u a l c h e a p i c e r e g a l a t o alle stelle
e q u a l c h e r i e m p i t i v o d i t roppo per
essere un disco sopra la media, e
p r o p r i o d a q u e l l ’ e s o r d i o d i cu i se m b r a c o s ì f r a t e l l o n o n r i e s ce a e vi n c e r n e l a v e r v e e l a p r o f o nd i tà to ta l e , c h e l à e r a p r e g n a n t e , e qui solo
accennata. (6.1/10)
Alessandro Grassi
Castanets – In The Vines (Asthmatic Kitty / Wide, 23 ottobre
2007)
Genere: folk-rock
Ray m o n d R a p o s a è c a n t o r e d o l e n te, un folkster perduto nell’abisso,
un’ombreggiatura scura che si erge
lungo l a l u c e d i u n a n o t t e p a r t i c o larmente buia ed intrisa di pericolo.
I n Th e Vi n e s , t e r z a p e r l i n a d e l l a
f ilier a C a s t a n e t s , s i r i c o n g i u n g e
s im b i o t i c a m e n t e c o n l ’ e s o r d i o d e l
2004 , q u e l C a t h e d ra l s c u r o , g o c c iolan t e s a n g u e .
Fi r st L i g h t ’s F re e z e p o i è s t a t a l a
sperimentazione che usciva da un
c las si c i s m o f o l k r o c k , p e r a b b r a c c iar e u n c a n t a u t o r a t o s e m p r e f o l k
ma poggiato su strascinamenti rumoristi, su basi campionate e su
frenesie quasi kraute, ma sempre
con un occhio di riguardo verso le
t e n e b r e . Te n e b r e c h e t o r n a n o q u i
ossessive nel cadenzare doloroso
dell’o p e n i n g R a i n Wi l l C o m e , c h e
v a pe r d e n d o s i i n u n a c o l t r e d i r u more bianco, accecante come un
nodo a l l a g o l a .
E mentre This Is The Early Game e
Wes tb o u n d , B l u e s o n o d u e n u m e r i
f olk s e n z a i n f a m i a n é l o d e , S t r o n g
Anim a l c o n l e s u e p e r c u s s i o n i s i nis t r e e l e s u e a t m o s f e r e c a r a c c o lanti ha il marchio di una grandeur
emotiva che gioca a nascondino
c on f a n t a s m i B l a c k H e a rt P ro c e s si on e H o w e G e l b . S w a y t o c c a i l
c uor e c o m e i l p r i m o D e v e n d ra B a n -
C e e p h a x - Vo l u m e O n e & Tw o
(Rephlex / Goodfellas, giugnoluglio 2007)
Genere: acid, IDM
Sul portale di discografie Discog,
Ceephax c’ha una foto niente male:
capello lungo stile Aphex bisunto,
birra da sessantasei in mano e
maglione di merda. Come se non
bastasse un’espressione da metallaro idiota per la serie “facci una
f a c c i a a l l a O z z y, A n d y ! ” . A n d y d i
cognome fa Jenkinson e suo fratell o m a g g i o r e è To m , o v v e r o S q u a repusher. Metti pure sul piatto le
ultime due fatiche del ragazzo,
tutte acid e sperimentazioni Universal Indicator (la serie più avant
della produzione Rephlex) e già te
li vedi litigare quei due. “Lo stile
slap fa schifo e pure tutte quelle
trovate jazz-fusion elettro-acustiche!” Mi sa che Andy è un gran
freak, di quelli che nei Sessanta si
sarebbero fottuti di acidi.
Altro che quella fighetta di Luke
Vibert, l’approccio del nerdone al
classico sound di Chicago non è
per nulla morbido, anzi, Ceephax
praticamente è un esperimento di
clashing tra due elementi: ambient
di stampo IDM minimale da un lato,
e trip/orge Roland e drum machine dai settaggi hardcore dall’altro.
Sono lame a doppio taglio: alle volte
si creano delle strane convergenze,
altrimenti convivono forzatamente due anime incompatibili. Questa
la magia/limite del doppio volume
tutto, un gioco che tuttavia quando
riesce è tanto brutto quanto terribil-
sentireascoltare 47
mente fascinoso. Senza dimenticare
che Andy è un efficace tessitore di
incubi post rave come Ravenscar,
nello stile di Aphex depurato dai
breakbeat. Probabilmente Ceephax
è il miglior acid-maker della sua generazione, capace anche di dialogare con il fratello tramite certe cose
easy listening rullate dentro il miasma analogico-lisergico. Per una
volta abbiamo due album che non
basano tre quarti dell’arrangiamento
su un putiferio di breakbeat in tutte
le salse. Basta drill. Datemi l’acido.
Anche se forse è tardi… (6.5/10)
Edoardo Bridda
C e l e b r a t i o n – T h e M o d e r n Tr i b e
(4AD / Wide, 12 ottobre 2007)
Genere: wave
Probabilmente in un’altra vita Katrina è stata una regina del funk. Un
super-concentrato-sexy di ormoni
urlanti e curve cromate come una
Plymouth Fury rosso fuoco del ‘58.
In un’altra vita Katrina è stata qualcuna che ha furoreggiato sui palchi
come una via di mezzo tra Mahalia
e Sharon Jackson. Puro e semplice
Soul-Power, la cui forza trova valvole di sfogo anche negli algidi anni
del download con gruppi più bianchi
dell’ebano come i Celebration. The
Modern Tribe è il secondo disco
del gruppo di Baltimora, quello che
stavamo aspettando con ansia, per
lasciarci di nuovo prendere dall’onda d’urto della sezione ritmica, dalle
dolci maree dell’organo e dalle zuccherosissime sillabe della voce. Una
prima ricognizione ci dice che è tutto
come lo avevamo lasciato. La pasta
strumentale è esattamente quella
che t’aspetti da loro. Semmai, l’attenzione per le parti di basso si è fatta ancora più meticolosa. Brani come
Evergreen, Pressure e Hearbreak,
ascoltati come comanda il Sacro Dio
del Rock - in uno stereo di qualità e
al massimo del volume concepito agitano le più recondite cellule del
tuo corpo rendendoti praticamente
impossibile restare fermo. Eppure
c’è qualcosa che non va. Il singolo
apripista del disco di debutto si chiamava WAR e faceva da apertura a
un’infuocata giostra di invettive, che
per quanto edulcorate e lucidate,
48 sentireascoltare
erano pur sempre invettive. Ma quelle di questo lavoro sembrano tutte
ballate, un po’ movimentate un po’
troppo melodiche. Sembra di vedere un musical ambientato nel Crazy
Horse e con i colori caricatissimi e
posticci del buon vecchio Technicolor. Pony e Fly The Fly riportano
la febbre ad una giusta gradazione
“hot”, ma si dimostrano due fuochi
di paglia. I Celebration ci mandano
per altro a dire che questo disco lo
hanno concepito in due battute differenti. Nel mezzo David Sitek dei Tv
On The Radio, chiamato a produrre
come avvenuto per il precedente, se
ne è andato in vacanza in Grecia,
lasciandoli a metà del lavoro e con
solo le parti ritmiche messe su nastro. Ma Hands Off My Gold, manco
a dirlo, strizza l’occhiolino proprio ai
Tv On The Radio. Del resto, Katrina
ci confessa che la tribù moderna del
titolo sono proprio loro “The title is
homage to friendships with the people we’ve worked and connected
with. Bands like Antibalas, Dragons
of Zynth, TV on the Radio, and the
Yeah Yeah Yeahs – all good friends
and musical collaborators, along with
others. Together, we’re the modern
tribe.”. E se per il party serviva una
colonna sonora, eccola servita, ma
il sudore del primo disco viene qui
edulcorato da un termostato regolato
a temperatura ambiente. (6.5/10)
Antonello Comunale
Charalambides
–
Likeness
(Kranky / Wide, 29 ottobre
2007)
Genere: psych folk
Arrivati a questo che è su per giù
il 24° disco dei Charalambides, si
s a r e b b e a n c h e t e n t a t i d i g i r a r e l oro
l e s p a l l e , s t o r c e r e i l n a s o , t r o v a re il
p e l o n e l l ’ u o v o , m e t t e r e i n c a m po i
s e e i m a e s n o c c i o l a r e l a s o l i t a ti r i t e r a c h e p r i m a è b e l l o , d o p o è b r u tt o . I n q u e s t ’ o p e r a d i r e v i s i o n i smo
c o a t t o e s n o b , p o t r e b b e r o a i u t arci
i p r i m i d u e b r a n i d i L i k e n e s s . Un c l o u d y D a y è u n ’ i m p a c c i a t a n e nia
c o n C h r i s t i n a a l p i a n o e To m a l wah
w a h . D o Yo u S e e u n b l u e s c l a ud i c a n t e p e r d o p p i e v o c i . N o n e s a tta m e n t e l e c o s e m i g l i o r i c h e a b b i a mo
a s c o l t a t o d a l o r o . P o i a r r i v a Figs
A n d O r a n g e s : a r p e g g i o c i r c o l are,
d e l a y c o s m i c o , v o c e d i C h r i s tina
a v o l a r e a l t i s s i m a e a r a d d o p pi a r e u n a s e c o n d a t r a c c i a d i c h i ta r r a . A 2 ’ 5 0 ’’ n o t i a m o c h e l e c h i t arre
s i s c i o l g o n o , v a n n o i n r e v e r s e , si
f o r m a u n a m a r e a o n d e g g i a n t e che
c i i n v e s t e d o l c e m e n t e . L’ e ff e t t o è
piacevolmente suggestivo. Memor y Ta k e s H o l d p r o s e g u e i l d i s c o rso
p e r a l t r i t r e d i c i m i n u t i d i v o c a l izzi
e cori fantasma. Su Saddle Up The
P o n y s i p e r m e t t o n o a n c h e d i u sa r e l o s t e s s o r i t a r d o n e l d e l a y u s ato
d a i P i n k F l o y d s u A n o t h e r B r i c k In
T h e Wa l l . Q u e s t o e d e n f a t a t o c h i a mato Likeness prosegue lungo la
s c i a d i u n o n i r i s m o s f a c c i a t o e di
u n a n a r c o - p s i c h e d e l i a d ’ a m b i e nte
d i g r a n a f i n i s s i m a . L a c h i u s u r a è di
q u e l l e i n g r a n d e s t i l e c o n Wa l k ing
T h r o u g h T h e G r a v e y a r d e W hat
Yo u D o F o r M o n e y , c h e s o n o i ti p i c i “ b l u e s l u n a r i ” i n c u i s i è o r mai
specializzata Christina. Likeness è
n a t o i m p r o v v i s a n d o i n s t u d i o p oco
d o p o a v e r c h i u s o A Vi n t a g e Bur den. Quest’ultimo era un disco di
“ c a n z o n i ” , m e n t r e q u i c ’ è i l t a glio
c r u d o d e l l ’ i m p r o v v i s a z i o n e a me tt e r s u u n p o n t e c h e c i r i p o r t a d ritti
dritti a Joy Shapes, Huston e Mark e t S q u a re . L a d i ff e r e n z a è c h e i l
g e n e r a l e m a r e d i e c h o i n c u i q uasi
t u t t i i b r a n i v e n g o n o a ff o g a t i è lo
stesso degli ultimi dischi di Chris t i n a . D e l r e s t o c i p e n s a s e m pre
l e i a d a g g i u n g e r e u l t e r i o r e f a s cino
all’operazione, usando per le liriche parole prese in prestito da canzoni popolari americane del 19° e
d e l p r i m o 2 0 ° s e c o l o , r i a s s e m b l ate
i n u n n u o v a s t r u t t u r a e i n u n n u ovo
s i g n i f i c a t o . U n o d e i l o r o l a v o r i mi g l i o r i , c h e è c o m e d i r e l ’ e n n e s i mo.
C ’ è p o c o d a s t o r c e r e n a s i e f a r e gli
turn it on
Jens Lekman - Night Falls Over Kortedala (Secretly Canadian,
settembre 2007)
Genere: pop
Il caro , ve cchi o J ens . St r ano, eppur e nas c on o p r o p r i o s e n s a z i o n i d i q u e s t o
tipo ascoltand o i l n u o v o l a v o r o l u n g o - a pp e n a i l s e c o n d o - d e l g i o v a n e
can tau tore svedes e, c os ì f or t e la s ens az ion e c h e p r o c u r a l ’ i m b a t t e r s i
n uo va men te c on ques t a c alligr af ia t ant o c io n d o l a n t e q u a n t o m a r c a t a , l a n g uid a e fron dos a, c az z ona e s of is t ic at a. U n a s c a l e t t a c h e n e i s o l i p r i m i
d ue pe zzi sq uader na af r or i da Scot t Wal ker i n d o r m i v e g l i a ( A n d I R e m e m b er Eve ry Kis s ) e danc e s oul da Bachar ach s u l l o v e b o a t ( S i p p i n g O n T h e
Swe et Ne cta r ) , s enz a t r alas c iar e quella c e r t a i n c l i n a z i o n e p o s t - w a v e d a
Mor r iss ey sc ar aboc c hiat o s ul diar io ( la m a l i n c o n i a d o l c i s s i m a e s t r a p a z zata d i Shirin ) . Palpit i e t r em or i s t em per ati t r a s o g n i e s o t i c i ( A P o s t c a r d
To Nina ) e rig ur git i dis par at i ( i REM di Nea r Wi l d H e a v e n n e l l a s t r u g g e n t e Yo u r A r m s A r o u n d M e , u n a inopinata
L a Cole gia la nell’ineff abile I nt o Et er nit y ) f in o a u n a g e n i a l e r e g r e s s i o n e n e l l a n i n n a n a n n a b e l l e a n d s e b asti a n a d i
It Wa s A Stra nge Tim e I n M y Lif e.
Certo, la scrit t u r a p a g a p e g n o i n e v i t a b i l m e n t e a d u n a c e r t a r i p e t i t i v i t à , f o r s e a n c h e u n p o ’ d i q u e l l a f reschezza
ra ffazzo na ta e c ar bonar a s i dis per de nel c e s e l l o s e m p r e p i ù d e f i n i t o d e g l i a r r a n g i a m e n t i ( a r c h i e t r o m b e, vi b r a fo nini e percuss i o n i , s t r a n i c a m p i o n i c o m e m i r a g g i a l r a l e n t i ) , q u a s i c h e i l N o s t r o a v e s s e m e s s o s u l s e r i o il maestro
Ste phen Mer ri t t nel m ir ino. Alla f ine per ò t o c c a c a p i t o l a r e d i f r o n t e a l l ’ e v i d e n z a , p e r c h é è u n l a v o r o
che ti ci tuffi c om e nella r et e di s ic ur ez z a, s c o p r e n d o a d o g n i r i m b a l z o p o s s i b i l i t à n u o v e , s f a c c e t t a t u r e ta n to i n sospe ttab ili quant o inus uali, c om e nelle c on c l u s i v e K a n s k e Ä r J a g K ä r I D i g - f u n k y s o u l p e r v a s o d i s t ra n e
a llucina zio ni TV O n The Radi o - e Fr iday N i g h t A t T h e D r i v e - I n B i n g o , i l s a x d a o r c h e s t r i n a d i p e r i f e ria per un
p iccolo inn o a l dis im pegno t r af elat o.
Ad accompag n a r l o i n q u e s t a s t r a o r d i n a r i a c a v a l c a t a a l t r e d u e t e s t e p e n s a n t i d e l l a c o n t e m p o r a n e a scena pop
sve de se , le a m ic he El Per r o Del M ar e Fr i d a H y v o n e n , c h e h a n n o i n c i s o s u l l a g e s t a z i o n e d e l l ’ a l b u m m ol to d i p i ù
d i qu an to si pos s a int ender e e pens ar e. O v v e r o , i n q u e l m o d o p a r t i c o l a r e c h e n o n p u ò n o n c a r a t t e r i z za r e tu tto
ciò ch e circon da l’univ er s o s c om bic c her at o e i n e ff a b i l e d e l c a r o J e n s . I l q u a l e h a i n f a t t i d i c h i a r a t o : “ El Perro e
Frida) sono d u e g e n i . E l P e r r o d o v e v a p r o d u r r e l ’ i n t e r o a l b u m m a a l l a f i n e h a d e c i s o l e i s t e s s a c h e si sarebbe
trovata molto p i ù a s u o a g i o i n u n r u o l o p iù d e f i l a t o . C i s i a m o r i t r o v a t i n e l s u o s t u d i o , l e i s i è s e d u t a dietro di
me limitandos i a d a n n u i r e c o n l a t e s t a , s o r s e g g i a n d o u n a t a z z a d i c a f f è … E r a t u t t o q u e l l o d i c u i a v e v o realmente
b iso gn o.” Ch e dit e, c ’è bis ogno di c om m enta r e ? ( 7 . 2 / 1 0 )
Stefano Solventi
sentireascoltare 49
snob. Questi due tex a n i a n d r e b b e r o
glorificati nella Hall O f F a m e d e l l a
psich ed elia . (7.3 /10 )
Pre-Emptive False Rapture lo si
può ascoltare anche privi di amianto. (6.0/10)
Antonello Comunale
Gianni Avella
Chrome Hoof – Pre-Emptive
False
Rapture
(Southern
/
Goodfellas, 23 luglio 2007)
Genere: arty-metal
Un logo che sembra la storpiatura di quello degli Accept (teutonici
metallici di un tempo) e una cantante colored molto denim e tanto
blaxploitation, nove elementi dalla
mise richiamante parimenti i Gwar
e Slipknot come anche il guardaroba di Sun Ra. Giocano molto
sull’appariscenza i Chrome Hoof,
che dicendosi non di meno ispirati
da Mc5, lo stesso Sun Ra, George Clinton, Goblin, il doom eppure
le Esg punzecchiano la nostra, libidinosa fantasia; ma se una rondine non fa primavera, imbracciare
qualche fiato non è suonare p-funk
cosi come una figura progressiva
non fa Goblin fuori tempo (massimo).
Diciamo più volentieri che i Nostri
s a n n o d i s e g n a r e o s s u t i r i ff c h i r u r g i c i ( To n y t e ) e p e r d e r s i i n g r a n i t i c i
pseudo funk-rock (Spokes of Uridium) forti di veemenza e principio, con una versatile Lola Olafisoye convincente nei toni medi e
g r a ff i a n t e ( s e m b r a K a r y n C r i s i s d e i
Crisis) nello screaming di Death Is
Certain, un doom scritto coi Cathedral (il bassista Leo Smee da lì
proviene) a far da garante. Dei loro
show si dice un gran bene e pare
che si circondino di ballerini, teatranti, fuoco e fiamme, ma questo
50 sentireascoltare
Cobblestone Jazz – 23 Seconds
(!K7 / Audioglobe, 18 ottobre
2007)
Genere: nu-jazz minimal ravetronica
Il trio di Mathew Johnson, Danuel
Ta t e e Ty g e r D h u l a a r r i v a s u ! K 7 ;
d o p o l a m i l i t a n z a s u Wa g o n R e p a i r, i l j a z z e l e t t r i c o d e i c a n a d e s i
entra quindi nel mercato major ed
è pronto per fare il botto. Ascoltando il lungo doppio 23 Seconds
viene in mente la piccola grande
rivoluzione di Kruder & Dorfmeister costruita sul remix sampledelico. Da quel piccolo grande disco
– che, guarda caso, usciva sempre
su !K7 -, sono nati milioni di cloni.
Tu t t o p a r t i v a d a l l ’ A u s t r i a , d a u n a
delle periferie mitteleuropee di tradizione essenzialmente techno e/o
minimal, rivoluzionare spostando
lo sguardo. Oggi la storia sembra
ripetersi, ma questa volta l’ago
della bilancia si sposta a Ovest.
Questa crociera salpa da oltreoceano, e cambia rotta. Non più remix,
anche live music. Sì, i nostri amici
d i e l e t t r o n i c a n e u s a n o a b i z z e ff e ,
s p a r a n o s a m p l e s e d e ff e t t i c o m e
se piovesse, ma in più aggiungono
p i a n o f o r t i R h o d e s , v o c o d e r, p e r cussioni e un basso caldissimo.
Atmosfere che attingono dalla cultura da club e dal funk blues di
fine Settanta. Ascoltate che cosa
riescono a fare in 45 minuti di
performance, nel secondo preziosissimo disco quasi interamente
live: sorprendente il dialogo tra
elettronica e strumenti, mood che
si intrecciano in maniera graduale,
senza break, senza bisogno di superproduttori, un po’ come quando
Herbie Hancock si metteva a scov a r e r i ff d a p e l l e d o c a , o q u a n d o
Davis sparava quegli inni stellari
su Bitches Brew. Ovviamente la
nuova generazione non prescinde da quello che sta succedendo
n e l d a n c e f l o o r. S i v a q u i n d i p e r l a
strada grondante sudore del deep
rave, attaccandoci patches blues
da sogno.
Se il primo disco inizia tutto concentrato sull’electro, basta attendere qualche minuto per vedere
come il blues sia ancora l’anima
che muove il suono idealmente
black. Lime In Da Coconut è inno
minimal per eccellenza e singolo per il prossimo set di Ricardo
Vi l l a l o b o s , C h a n g e Yo u r A p e s u i t
un funkettino spacey con una base
da far invidia a Medeski Martin &
Wo o d , g l i e c h i a f r o d e l i c i d i S a t u rday Night e di W sono pronti a farci
sognare notti infinite a base di vocoder e filtri risonanti, brevi detriti
old school.
Una sorpresa. Un gruppo doubleface che eccelle nella pura tecnica
strumentale e nella sapiente arte
del rhythm making. Il nuovo modo
di pensare e di fare jazz è servito.
Re-Birth of the cool. (7.3/10)
Marco Braggion
Dave Gahan - Hourglass (Mute,
22 ottobre 2007)
Genere: electro blues/rock
Il Paper Monster di quattro anni fa
rappresentò un debutto solista più
che dignitoso, in cui Gahan mostrava una scrittura forse non geniale
ma ben innestata sul fusto della
propria ossessione, ovvero il blues
nient’altro che il blues. Una certa
franchezza anche imbarazzante
svolgeva il ruolo di valore aggiunto, vizietto che non perde questo
Hourglass, scritto e prodotto assieme a due turnisti depechiani, il
chitarrista Andrew Phillpott ed il
b a t t e r i s t a C h r i s t i a n E i g n e r. E ’ g r a zie a loro, presumo, che la barra si
sposta sensibilmente verso solu-
zioni electro più strutturate quand o n o n r a ff i n a t e , v e d i i l t r a m e s t i o
lasco e vetroso in un inquieto chiarore Notwist di Insoluble oppure le
omeopatie Badalamenti nella vaporosa trepidazione di Miracles.
Ma il “manico” ovvero la penn a d i M r. G a h a n è q u e l l a c h e è ,
i limiti sono evidenti per quanto
li dissimuli aggrappandosi ad un
vissuto di tutto rispetto e graffiando con una certa personalità. E’
i l c a s o d e l l a s d e g n o s a U s e Yo u ,
quasi una versione cibernetica di
B l a c k Ve l v e t d i A l a n n a h M y l e s , o
di quella Kingdom perfettamente
inscritta nella minacciosa mitologia industrial/pop/wave così cara
ai fans dei Depeche (per quanto il
chorus sembri ispirato a certi Duran Duran).
Quanto al resto, il sound pesca
spesso dalle gotiche scenografie
periodo Songs Of Faith And Devotion (l’ebbra A Little Lie, la torva
Saw Something), ammiccando talora l’assedio sfrigolante imbastito
dagli U2 dei Novanta (se i ghigni
tribali di Deeper And Deeper ricordano vagamente Mojo, la sferzante
21 Days caracolla ombrosa come
una The Fly al ralenti). Immagino
sia anche il caso di sottolineare
quanto le strofe della conclusiva
Down siano pressoché identiche a
quelle della radioheddiana Creep,
ma questo non vi suoni come una
condanna. In fondo Hourglass è il
prodotto dignitoso di un non-genio
con molto appeal, impegnato a non
sconfessare un rispettabilissimo
passato. (6.4/10)
Stefano Solventi
Devendra Banhart - Smokey
Rolls Down Thunder Canyon
(XL, 24 settembre 2007)
Genere: folk psych
Uno di quei dischi che tenta di raccogliere tutto quel che c’è da raccogliere in un dato tempo in un dato
luogo. Pensate a qualche celebre
doppio vinile del passato - non fatemi citare titoli - e capirete dove voglio andare a parare. Devendra Banhart consuma una fatidica resa dei
conti con se stesso, ordisce un eremitaggio irrequieto assieme alla sua
band di musicisti e compari fricchettoni (tra i quali l’attore Gael García
Bernal - il Che Guevara de I Diari
Della Motocicletta! -, Nick Valensi
degli Strokes e Chris Robinson già
Black Crowes), srotola il tappeto
delle meditazioni e ci lascia cadere
qualsiasi demonietto gli passi tra la
testa e il cuore: folk, blues, samba,
psichedelia, progressive, funk, dub,
rumba, caro vecchio rock’n’roll... Un
trip folle e scentrato, spiazzante e
inafferrabile. Un dare fondo e vita
a qualsiasi scintilla valida, ad ogni
particella sonora che giustifichi il
Devendra Banhart musicista ora e
qui, in questo mondo più folle di lui.
Difficile trovare il bandolo del filo che
attraversa tutti questi sedici pezzi,
a meno che non si decida d’averlo
già trovato in questa tensione accumulatrice, rivelatrice e liberatoria, in questo darsi totale, in questo
cercarsi visionario nel pelago delle
(proprie) visioni. Nell’affermare se
stesso - uomo e artista, una cosa
sola - attraverso musica che sembra uscire dalle pieghe d’un sogno
storto, alambiccato, a tratti febbrile.
Pur sempre un sogno gioioso, anche
quando le trame s’infittiscono di mistero e umori inesprimibili. Perché
Devendra conosce il segreto della
leggerezza, un equilibrio ebbro ma
saldo tra i flutti che schiaffeggiano
con liquida disinvoltura ora la placida e incontenibile inquietudine del
Caetano Veloso londinese (Samba
Vexillographica, Rosa), ora brume
doorsiane spiritati glam (Tonada
Yanomaminista), ora funk-glam tipo
Bolan & The Family Stone (Lover),
ora schivi capricci Grant Lee Buffalo (Bad Girl), ora adorabili e inquietanti chimere fifties (So Long Old
Bean, Shabop Shalom).
Un micragnoso sdrucciolare tra suggestioni contigue ma eterogenee
che azzeccano talora combinazioni
di stordente bellezza - come l’incantevole ninna nanna incantata mexico di Cristobal, i filamenti spersi
Tim Buckley a ordire il folk mistico
di Seaside o ancora le placide illuminazioni d’archi e slide Mojave 3
sulla spiaggia younghiana di Freely
- oppure soltanto divertenti, come la
rumba elettrica di Carmencita o il gospel asprigno nel baraccone loureediano/lennoniano di Saved. Nel caso
di Seahorse c’è addirittura l’azzardo
della suite-manifesto, otto minuti di
solenne folk psych morbidamente
ammorbato soul, il Van Morrison
giovane sbilanciato prog con naturale movimento black, nel gorgo imbastito da piano, organo, flauti, cori (ai
quali partecipa l’immancabile Vashti
Bunyan), nell’oppiacea tracotanza
Traffic frastagliata Jethro Tull, tra
elettricità doorsiane dalla ieratica
quadratura (assolo acido compreso), galleggiando come un piccolo
prodigio di Madre Natura concesso
a questi strani giorni rock.
I fantasmi - quei fantasmi prewar
che Devendra raccattava da chissà
quali cassetti di chissà quali stanze
dimenticate - finalmente ha imparato
a cavarseli di sana pianta dal cuore. Senza che sembrino per questo
meno sconcertanti. (7.4/10)
Stefano Solventi
Digitalism – Idealism (Virgin,
giugno 2007)
Genere: dance electrofunk post-daft generation
L e c i t a z i o n i i n c a s s a d r i t t a . L’ e m blema robotico per eccellenza:
sentireascoltare 51
il tributo alla seconda metà dei
Novanta dominati dall’Homework
daftpunkiano. Non solo: un gusto
per la rivisitazione indie che risiede nella mente dei Rapture e
n e g l i a r c h i v i d e l l a D FA , p a s s a n d o
per qualche remix dei Soulwax.
Questo è il nuovo suono rock dance minimal del 2007.
E questo è quello che fanno i due
amici krauti Jens Moelle e Ismail
Tu e f e k c i . N e l l a l o r o o p e r a p r i m a
sulla lunga distanza sparano anthem come fossero noccioline.
L’ i n c i p i t s p i e g a g i à t u t t o : i l v o c o der spacey di Magnets in quattro
e quattr ’otto dichiara un amore incondizionato verso il classico dei
padrini francesi, il delay di Zdarlight è tutto costellato di paillettes
post-BiggerBetterFasterStronger.
Ma se è vero che la storia (in)segna il suono, in I Want I Want scopriamo che le coordinate dance
non possono prescindere dall’ind i e - p - f u n k d i N e w Yo r k , i n I d e a l i stic ricompaiono fantasmi Ottanta
filtrati dall’acido, in Pogo (il singolone da lacrime e sangue) riparte la baracca rock’n’acid che abbiamo sentito dalle parti dei !!!.
Un substrato che ammicca ai Daft
Punk (il quasi plagio di Moonlight
o i crescendi di Anything New e
The Pulse) ma che non li emula
fino in fondo. È ancora lunga la
strada per staccarsi dalle radici. Consideriamo questo esordio
come un esercizio ben riuscito.
Una dimostrazione di reverenza e
rispetto. Un lungo inchino che per
53 minuti farà sorridere i ventenni
dei Novanta e farà pensare a più
di qualcuno che la meteora francese non è ancora scomparsa. Più
che una meteora, una costellazio-
52 sentireascoltare
ne che brilla di luce propria. Digitalism ancora in viaggio. Ma il loro
Galaxy Express è pronto a stupirci. Li aspettiamo, guardando un
tramonto dall’acidissima Jupiter
Room, aspettiamo i loro racconti
digitali, le loro scorribande attraverso il tempo. Viaggiate ancora,
piccoli nipotini. Daft Generation is
t h e w a y. ( 6 . 7 / 1 0 )
Marco Braggion
D i s c o D r i v e – T h i n g s To D o
To d a y ( U n h i p / A u d i o g l o b e , 3 0
agosto 2007)
Genere: punk-funk, dub, indie
Grow Up!, dicono subito i Disco
Drive, mentre in sottofondo la
musica si fa ipnotica, lenta, dissonante. E per un attimo sembra
realizzarsi la profezia che la band
d i W h a t ’ s W r o n g W i t h Yo u , P e ople andava ripetendo in giro da
un po’ di tempo a questa parte. “Il
nuovo disco – ammonivano – sarà
completamente diverso rispetto a
quello che eravate abituati a sentire da noi”. Ma è una sensazione che accompagna l’ascolto solo
per qualche minuto. La successiva
The Flower Stall infatti riporta la
questione in ambiti più realistici e
sobri. I Disco Drive sono tornati. E
sono sempre loro. Niente pericolose inversioni a U. Niente derapate hip hop. Niente cambiamenti
e p o c a l i . P i u t t o s t o , T h i n g s To D o
To d a y è l a n a t u r a l e e v o l u z i o n e
del discorso iniziato un paio d’anni fa col CD d’esordio. Un’attitudine punk-funk che tende a contaminarsi e ad allungare il proprio
raggio d’azione.
Evoluzione, quindi. Che porta stavolta il trio Unhip – con Matteo Lavagna che prende il posto di Andrea Pomini al basso – a lasciare
a casa il poster dei Fugazi, a subire le fascinazioni lisergiche dei
primi Liars e ovviamente a tenere
nel portafoglio – manco fosse una
reliquia – una fototessera autografata di LCD Soundsystem. Si
continua a ballare, dunque, battendo le mani e dicendo – ça va
sans dire – yeah. Gonna Love This
è la Stayin’ Alive dell’indie rock.
I t ’ s A L o n g W a y To T h e To p è a l l o
stesso tempo una festa caciarona,
un inno d’amore eterno al quattro
quarti e uno scioglilingua pop. E
la canzone che dà il titolo al disco
è un pezzo che se lo sentissero
quelli di Pitchfork lo innalzerebbero a brano dell’anno, con buona
pace delle band angloamericane
che credono di saper suonare la
grancassa e il charleston meglio
di tutti gli altri.
Se da una parte allora si assiste al perfezionamento di una
formula che aveva fatto gridare
al miracolo alla sua prima apparizione, dall’altra si nota come il
gruppo abbia inserito il freno a
mano per gettare un ponte verso
la sperimentazione. Find Me Animal sembra provenire dal periodo
psichedelico dei Beatles. Cholsey
è in bilico tra pop e dub, prima di
deragliare nelle distorsioni assordanti del finale. Finger and Nails
è come sentire i Clash rallentati di
London Calling in versione electro, ipotesi di una prossima evoluzione dei Disco Drive. Che confermano a questo giro di essere
una band dalle buone potenzialità,
pienamente espresse peraltro dal
proprio repertorio. Anche se li preferivamo quando ci permettevano
talvolta di sfogare i nostri istinti
con qualche sacrosanto, violento
pogo sotto il palco. Ma non si può
avere tutto dalla vita. (6.8/10)
Manfredi Lamartina
D o n Tu r b o l e n t o – S p e n d T h e
Night On The Floor (Autoproduzione, luglio 2007)
Genere: electro p-funk
Dispositivo per il lancio obliquo di una sferetta – La Gente
turn it on
Mother And The Addicts – Science Fiction Illustrated (Chemikal
Underground / Audioglobe, 23 agosto 2007)
Genere: indie post punk
E 10 0. To cca un num er o di c at alogo im por t a n t e a l s e c o n d o a l b u m d i M o th er And Th e Addic t s , una c if r a t onda t ond a c h e s a d i r i p a r t e n z a d o p o i l
recente ricam b i o g e n e r a z i o n a l e i n c a s a C h e m i k a l U n d e r g r o u n d ( a s e g u i r e
De lga do s e Ar ab St r ap, per f ino gli Aer eogr am m e h a n n o g e t t a t o l a s p u g n a ) .
Vuo i ved ere c he s ar anno ques t i quat t r o a m a b i l i d e b o s c i a t i g l a s w e g i a n i
a risolle va re le s or t i della label? Par r ebbe d i s ì , d a l m o m e n t o c h e S a m
Sm ith (o vver o M ot her – il M adr e Super ior a d i Tr a i n s p o t t i n g , l a d d o v e g l i
a dd icts sono i c o m p a g n i d i b a n d ) s t a v o l t a l ’ h a f a t t a g r o s s a . N e l s e n s o
che h a bu ttato v ia i t oni s guaiat i dell’es or d i o - Ta k e T h e L o v e r s H o m e
Tonight, tutt’ a l t r o c h e i l l u m i n a n t e - p e r s b a t t e r c i i n f a c c i a u n o d e i m i g l i o r i
d ischi di po st punk m oder no ( in alt r i t em pi a v r e m m o d e t t o e m u l , m a g a r i i n s e n s o u n p o ’ d i s p r e g i a t i v o ) che ci sia
capitato di as c o l t a r e u l t i m a m e n t e .
Ch e Scie nc e Fi ct i on I l l ust r at ed nas c a da u n ’ i n d u b b i a i n f a t u a z i o n e p e r l a n e w w a v e i n g l e s e d e l l a p r i m i s si m a o n d ata , con Ma gaz i ne e Bans hees s ugli s c udi ( i r o m a n t i c i s m i d i R o l l O n M e O v e r e Ye a h N e x t , i t r i b a l i s m i d i Going
Na tive ), non è c e r t o u n m i s t e r o ; i l p u n t o è c h e , o l t r e a l l ’ a m o r e p e r q u e l l a m u s i c a , c i s o n o g u s t o e c r e d i bilità nella
lu ccica nza Fa l l + O r ange Jui ce dell’inc ipit A l l I n T h e M i n d , o n e l k r a u t - p o p d i S o To u g h , o n e l f a l s e t t o punky pop
d i qu el g ioie llino di s c r it t ur a c he è Car t hag e . E c i s o n o – c o s a p i ù i m p o r t a n t e d i t u t t e – p a r e c c h i e p o t e n zi a l i h i t
in die , da ll’ine ff abile dis c o t alk ingheads iana d i A r e O t h e r s a q u e l l a s o r t a d i m o s t r o s y n t h p o p c h e è Wa tch Th e
L ine s, come dir e i New O r der g u i d a t i d a M a r k E . S m i t h . B r i l l a n t e . D a q u a n t o l a C h e m i k a l n o n l i c e n z i a v a un album
così? È p rop r io il c as o di dir lo: alt r i c ent o d i q u e s t i d i s c h i . ( 7 . 5 / 1 0 )
Antonio Puglia
sentireascoltare 53
Mormora (Spastic Guru, agosto
2007)
Genere: follia prog-metal
Go Down Moses – Welcome
Idiots (Produzioni Sante, settembre 2007)
Genere: noise-rock
Italian gu itar atta ck! Tr e nom i nuovi e belli caldi che s i m u o v o n o s u
coordinate diverse m a p u r s e m p r e
parte ndo dal terren o c o m u n e d e l
guit ar so un d. Pe r pr im i i Don Tur bolento , d uo b resci ano pr ot agonista di un cu rioso e pis odio legat o
alla Discho rd e de l quale pot r et e
leggere ovunque su c a r t a e w e b .
L’E P d ’esord io si muov e s u t er r it ori p-funk con l’urge n z a d i u n p a i o
di ann i fa : la title trac k è u n a p u r a
bomba di syn th-ro ck r ot ondo e f unkissimo che in un m o n d o a p p e n a
propon ibile gire reb be s u t ut t e le
radio. Non d a men o gli alt r i pez zi, con il ritornello r o b o s p a s t i c o d i
Take It Up u na spa nna s opr a i r estanti due. A fare la d i ff e r e n z a c o n
gli altri p -fun ke rs è il per iodo di r iferimento: questi sta n n o v e r a m e n t e
in fis sa con gli ?80, m a q u e l l i s e r i .
P romossi. (6 .5/1 0)
P alma d ’oro pe r il nom e più as s ur do, i Dispositivo ven g o n o d a R o m a ,
esord iscon o co n un 3 pez z i in c ui
dimos tran o ap pie no di m er it ar e la
fama d i Usa Is A Monst er i t a l i c i ( a i
quali ha nn o pu re fat t o da s uppor to senza sfigurare) . S t e s s a f o l l i a
nell’app roccio “pro g” a c om pos iz ioni che assu mon o d i v olt a in v olt a
i contorni del metal p i ù c r e a t i v o e
fuori binario, dell’ind i e p i ù s p a s t i c o ,
dell’art-co re p iù ro vi nat o. A f ar la da
padron e so no i bre ak s s t r um ent ali in cui a comanda r e è i l d i a l o g o
tra synth e batteria, m a è i l s e n s o
di ve lata follia evoc a t a d a i q u a t t r o
che la scia pia ce vo lm ent e im pr es -
54 sentireascoltare
s ionat i. Un q u a r t o d ’ o r a s c a r s o è
troppo poco per dare un giudizio
m a l’im pr es s i o n e è d a p o l l i c e a l t i s s im o. ( 6. 5/ 1 0 )
Dulc is in f u n d o , s i f a p e r d i r e , i t r e
scellerati lombardi che prendono
nom e da un a n o v e l l a d i F a u l k n e r e
is pir az ione d a l g u i t a r s o u n d a m e r i cano. Post-punk strillato, potente e
lanciato a mille all’ora debitore di
t r oppi nom i p e r e s s e r e s o l o d e r i v at iv o. Q ui s i t r a t t a d i a n n i d i d e voti ascolti, non di mere fotocopie
f unz ionali. S c h e g g e d i F u g a z i , G S L
s ound, m a t h e m a t i c h e e v o l u z i o n i
alla Shel l ac , i n t r e c c i c h i t a r r a / b a s s o c om e li fa c e v a n o s o l o i L u n g f i s h
per un dis c o o t t i m a m e n t e p r o d o t t o
( da G iulio F a v e r o ) e m o l t o b e n s u o nat o. E il b a t t e r i s t a è u n v e r o m o s t r o! ( 6. 8/ 10 )
Stefano Pifferi
Dylan
Donkin
–
Food
For
Thoughtlessness (Pias / Self, 1
ottobre 2007)
Genere: folk-pop
Quella di Dylan Donkin è musica
f iglia dell’E l l i o t t S mi t h p i ù s m a l i z iat o e dei 3 E p d e l l a B e t a B a n d .
Musica aerea, punteggiata di poco,
c he par t e d a u n ’ a c u s t i c a n a r r a n t e
per poi f lu i r e a t t r a v e r s o q u a l c h e
arco monocorde, qualche tastiera a
delineare le linee del panorama. Un
f olk - pop po v e r o , f i n t r o p p o r i l a s s a t o e r ipiega t o i n s é p e r e s s e r e a b bas t anz a es p r e s s i v o .
Un ep di d e b u t t o c h e n o n c o n v i n ce, che non sottolinea un talento in
f a s e d i s c r it t u r a e c h e e v i d e n z i a l e
ancora notevoli mancanze in fase
di ricerca melodica e proposizione
s o n o r a d e l N o s t r o . Ve d i a m o c o s a
riesce a fare su un lavoro completo.
M a per ades s o ( 4 . 5 / 1 0 ) .
Alessandro Grassi
Efterklang – Parades (Leaf /
Wide, 15 ottobre 2007)
Genere: elettronica
Il primo disco degli Efterklang,
Tr i pper ( 20 0 4 ) , e r a s t a t o u n i n a s pet t at o be s t s e l l e r. I l c o m b o d a nese sembrava arrivare dal nulla
con una vagonata di argomenti in
p e r f e t t a l i n e a c o n l ’ a r i a d e i t e mpi.
E l e t t r o n i c a c o l t a , s e n s i b i l e , e m oti v a m e n t e “ c a r i c a ” , a s t u t a m e n t e ap p i c c i c o s a . D i l o r o i d a n e s i c i me tt e v a n o u n ’ a t t e n z i o n e i n e d i t a p e r le
p a r t i v o c a l i , s u o n a n d o a t r a t t i né
più né meno che come un coro polif o n i c o d a o r c h e s t r a . P a ra d e s a r riva
3 a n n i d o p o p e r s b a n c a r e i l b o tte ghino come tutti i sequel che si ris p e t t a n o , m a c o m e s p e s s o a c c a de,
i l n u m e r o u n o e r a p i ù o r i g i n a l e pur
n e i l i m i t i d i u n ’ o p e r a d i d e b u t t o . Il
v e r o d i f e t t o d i P a ra d e s è p r e m ere
a t a v o l e t t a l ’ a c c e l e r a t o r e s u l l e voci
e s u g l i a r r a n g i a m e n t i o r c h e s t r a l i. Il
d e t t a g l i o c h e s i f a “ o p e r a ” . L’ u n ica
c o s a c h e d a v v e r o e r a o r i g i n a l e ne l l a p r o p o s t a d e g l i E f t e r k l a n g v i ene
elevato all’ennesima potenza come
c i f r a “ a u t o r i a l e ” . M a c o s ì f a c e ndo
s i s m a r r i s c e i l s e n s o d e l l a m i s ura.
P o l y g y n e i n i z i a c l a s s i c a m e n t e alla
l o r o m a n i e r a . U n g l i t c h c i r c o l are,
l ’ i n n e s t o s e m p r e p i ù p r o g r e s s ivo
delle voci e dell’orchestra a disegnare un’aria da melodramma. I dan e s i v a n n o s e m p r e a l l a r i c e r c a d ella
m e l o d i a f i c c a n t e , c e r c a n d o d i f arla
uscire da strati e strati di tracce ric o l m e d i s u o n i . I l p r o b l e m a s t a l i. A
volte gli scappa la mano e sembran o u n a b a n d a d i p a e s e ( M i r a d o r ),
a l t r e v o l t e g l i a r r a n g i a m e n t i o r c he strali sono davvero fuori controllo e
c o p r o n o a n c h e l a m e l o d i a ( H o r se b a c k Te n o r s , M a i s o n D e R é f l e x i o n ).
I n f a t t i , l a d r a m m a t i c a e d a r k F rida
F o u n d A F r i e n d , q u e l l a c h e p i ù si
a v v i c i n a a l l a m a n i e r a d i Tri p p e r ,
c o l p i s c e n e l s e g n o e s e m b r a una
b o c c a t a d ’ a r i a f r e s c a i n t a n t o ba i l a m m e s i n f o n i c o . I l d i s c o è s t a to
c o n c e p i t o p r o p r i o p e r e s s e r e g o nfio
e pesante. Parti di coro e organo
s o n o s t a t e r e g i s t r a t e i n u n a c h i esa
e i n s t a n z e m o l t o g r a n d i e s g o m bre
in modo che r e s t i t u i s s e r o u n g i u s t o
e co . In fa se d i m is s aggio c i ha m es so mano anch e D a r r e n A l l i s o n c h e
g ià aveva lavor at o s u Lovel ess d e i
My Bloody Val ent i ne p e r d i r e d i u n
altro disco da v v e r o f u o r i m i s u r a , i n
senso buono p e r ò . A d i s c o l p a d e g l i
Efte rkla ng si può c er t am ent e dir e
che quello ch e a v e v a n o i n m e n t e
di fare - una p a r a t a f r a c a s s o n a ,
pestona e gio i o s a - s o r t i s c e i l s u o
e ffetto , ma p r opr io c om e nella pr ocessio ne pe r il Sant o Pat r ono del
Pa ese, alla fin e quando t i s ei f at t o i
tu oi sacri km e s ei ar r iv at o in c hiesa, ti fa così m a l e l a t e s t a c h e n o n
c’è p iù spa zio nem m eno per as c olta re il Sig no re. ( 6. 3/ 10)
Einstürzende Neubauten – Alles
Wieder Offen (Potomak / Audioglobe, 19 ottobre 2007)
Genere: industrial neubaten
So no p assa ti t r e anni da Per pet uum Mobile . Tr e a n n i d u r a n t e i q u a l i
la b an d no n è r im as t a c on le m ani
in mano, coin v o l t a c o m ’ e r a n e i v a r i
progetti, sia t e a t r a l i c h e m u s i c a l i ,
che h an no te nut o oc c upat i i m us icisti tedeschi , l o n t a n o d a l l a M u t e :
Alle s Wa s Ir g endw i e Nüt z t , la s erie Muste r ha us e a l t r e i n i z i a t i v e
spesso riserva t e a d u n a p i ù o m e n o
ristretta ce rc hia di f an, s ar anno
ricord ate sop r at t ut t o per av er inn esca to un m ec c anis m o di aut of inanziamento a t t r a v e r s o l a r e t e , c h e
h a pe rmesso alla band di lav or ar e
lo nta no da lle es igenz e delle c as e
d iscog rafiche e di pr odur r e in t ot ale libe rtà.
Alle s Wie de r O ff en, c he è pubblicato da lla Po t om ak , et ic het t a per sonale degli E i n s t ü r z e n d e , n a s c e i n
questo clima e s i p r e s e n t a c o m e u n
rito rno , ma a nc he c om e s int es i di
un percorso c h e h a v i s t o l a b a n d
berlinese int e r a g i r e e d i s c u t e r e
d ella p rop ria pr oduz ione m us ic ale
d iretta men te c on il pubblic o. Un r ito rno che , p er ò, al di là delle nov it à
in termini di p r o d u z i o n e , d a l p u n t o
di vista strett a m e n t e m u s i c a l e , n o n
riserva n essu na s or pr es a par t ic olare, visto e co n s i d e r a t o c h e l ’ a l b u m
è la lo gica c ont inuaz ione del s uo
p red ecesso re.
Atte nzion e al la pr os odia, alla paro la e al g est o t eat r ale, ar r angiamenti raffinati , m i n i m a l i s m o , s i l e n z i
“ s ex y ” , a d i s t a n z a d i t a n t i a n n i , r i m ang o n o a n c o r a , a n c h e i n q u e s t ’ a l bum, elementi imprescindibili dello
stile della band tedesca. In questo
contesto, il passato espressionista,
l’angosciosa furia industriale degli
esordi, divenuta ormai da tempo
immemore un elemento espressivo
come tanti, viene relegata alla pura
d e l l e o n d e d e l m a r e i n D i e We l l e n );
i r o n i c i e g r o t t e s c h i ( c o m e definire
a l t r i m e n t i L e t ’s D o I t A D a d a , co l l a g e d a d a i s t a n e l q u a l e t r o va spazio
a n c h e u n a d i v e r t e n t e p r e sa in giro
i n i t a l i a n o d e i “ s i g n o r i Russolo e
M a r i n e t t i ” d i r i t o r n o d a l l ’ Ab i ssi n i a ) ;
s t r a n a m e n t e a p o c a l i t t i c i ( o r i vo l u z i o n a r i ? ) ( i l m o t t o “ t u t t o è ancora
a p e r t o ” d e l l a t i t l e - t r a c k ) o cr e p u s c o l a r i ( l a d e s c r i z i o n e d ella morte
i n U n v o l l s t a e n d i g k e i t ) , c reano un
m o n d o p a r a l l e l o a i s u o n i ch e d i v e n t a i m p r e s c i n d i b i l e p e r cogliere
l’essenza di un disco che pur non
e s s e n d o u n c a p o l a v o r o m a n ti e n e l a
s u a d i g n i t à d i p r o d o t t o f i n ito, opera
c o m p i u t a e , d i c i a m o c e l o p u r e , fa ci l m e n t e c o m m e r c i a b i l e . ( 6 . 4 /1 0 )
Daniele Follero
funzione estetica, una parentesi da
apr ir e s o l o q u a n d o s e r v e .
For s e a B l i x a B a r g e l d , u n a v o l t a l a s c iati i B a d S e e d s , è v e n u t a v o g l i a
di sperimentare direttamente sulla
sua creatura la “literature in music”
di Nic k C a v e . S t a d i f a t t o c h e i n
alc un i s u o i e p i s o d i , A l l e s Wi e d e r
O ff en r i c o r d a m o l t o i l C a v e s o n gwr it e r d i M u rd e r B a l l a d s ( N a g o rny Ka r a b a c h ) . E , c o m u n q u e , i n t u t to l’album è evidente la centralità
c onf e r i t a a l l a p a r o l a e a l l a s u a d e c l a ma z i o n e . B l i x a p i ù c h e c a n t a r e ,
r ec it a , s u a c c o m p a g n a m e n t i m u s i c ali s p e s s o c o s t i t u i t i d a p a t t e r n r i t mici minimali e ripetitivi. C’è molto
senso del teatro in questo continuo
s us s e g u i r s i d i r e l a z i o n i f i g u r a s f o n do tra l’attore-cantante-creatore e
il s uo a m b i e n t e , f a t t o d i s u o n i e r u mori, di atmosfere placide e battiti
martellanti dall’incedere ossessivo
e claustrofobico (Unvollstaendigk eit) , c l i m a x c h e r a g g i u n g o n o i n
progressione picchi di intensità da
c ar di o p a l m a ( D i e We l l e n ) . F i n o a
s f o c ia r e n e l l ’ a m b i g u a c a n z o n e t t a
I c h H a t t e E i n Wo r t , c h e c o g l i e s u bito di sorpresa, tanto è lontana da
qualsiasi idea si possa avere degli
Eins t ü r z e n d e .
Per il r e s t o , d o v e n o n a r r i v a l a p o l i s em i a d e l l a m u s i c a , l a c h i a v e i n t e r pr et a t i v a d e l l ’ a l b u m s i r i t r o v a n e i t e s t i . Ve r s i a l t a m e n t e l i r i c i ( l ’ a p o l o g i a
Eisley – Combinations (Reprise
/ W a r n e r, 7 a g o s t o 2 0 0 7 )
Genere: fake alternative rock
U n ( b r u t t o ) a ff a r e d i f a m i glia quello
d e l l e D u p r e e . Tr e s o r e l l e tr e : b i o n d e , t e x a n e , g i o v a n i s s i m e e ca r i n e
i n p e r f e t t o s t i l e “ a l t e r n a ti vo ” , o cc u p a t e - c o n u n c u g i n o e u n a l tr o
f r a t e l l o a r i m o r c h i o - i n qualcosa
c h e s a d i s u c c e s s o a l e tte r e m a i u s c o l e . U n c o a c e r v o d i a sso r ti ti
l u o g h i c o m u n i , s e è d i m u si ca ch e
p a r l i a m o , d a l r o k k e t t o n e em o - g r u n g e ( c o r r e n t e r i m p i a z z o d i quello da
F M ) a i g o r g h e g g i c h e v o r rebbero la
M i t c h e l l m a p o s s o n o p ermettersi
s o l o M i c h e l l e B ra n c h o , al limite,
J e w e l . Tr a b a l l a t e p o p u l i ste , co u n tr y s v e n e v o l e e s v o l a z z i f o l k, se d o t a t i d e l l a p a z i e n z a n e c e s sa r i a r a cc a t t a t e p e r s t r a d a l a r e g o lamentare
s t r i z z a t i n a d ’ o c c h i o a l l a new wave
e u n k a r a o k e i n o d o r e d i Tor i A m os
( l a t i t l e t r a c k , d i g r a n l u n g a l ’ u n i ca
cosa decente).
M o l t a p l a s t i c a u s a e g e t t a ma poca
c u r a , f i g u r i a m o c i l a d i g n i tà: troppo
i m b e r b i p e r s a p e r e c o s a sia. Ha
a l l e s p a l l e u n a l t r o a l b um e una
m a n c i a t a d i E P, l a f o r m azione, e
m e l a s c o m m e t t e r e i l a n c i a ta ve r s o l a g l o r i a , c o n s i d e r a n do ch e h a
a p e r t o t o u r n e e d i C o l d p la y e H ot
H o t H e a t i n p a t r i a , G r a n Br e ta g n a
e A u s t r a l i a e d i e t r o h a u n’etichetta
p o t e n t e ( c h e f a u s c i r e l o r o e dice di
n o a g l i Wi l c o … ) . O t t i m e p o ssi b i l i -
sentireascoltare 55
tà di trovarli presto s u M T V c o n l a
Lavinia e i bambolo t t i f r a n g e t t o n i ,
o nell’episodio fina l e d e l l a n u o v a
serie d i Th e O.C. Ro ba da f ar s em brare i Fle etwood M ac di Tango I n
T he Nigh t gli Slint. ( 3. 5/ 10)
Giancarlo Turra
Enon - Grass Geysers… Carbon
C l o u d s ( To u g h & G o / S e l f , 8 o t tobre 2007)
Genere: indie-rock
Gli Enon sono una bizzarria nel panorama indie rock americano. Veicolano le istanze j-pop dei Deerhoof e
le stralunatezze soniche dei seminali Brainiac (ex band del cantante e chitarrista John Schmersal) in
una serie di uptempo rock viscerali
e obliqui che fanno dell’alto tasso
di bpm il loro cavallo di battaglia.
Come al solito è tutto incentrato
nella creatività del duo SchmersalYasuda e come al solito i Nostri cercano di costruire la pop song perfetta e possibilmente che sia pure
ballabile. Peccato che la lezione sia
sempre quella e che i migliori fasti
li abbiano già raggiunti con il mai
troppo celebrato High Society ormai vecchio di 5 anni. Hocus Pocus
era un degno erede di quel disco e
ne riassumeva la verve dando in pasto agli ascoltatori altre ottime tracce, cosa che sicuramente fa anche
questo nuovo episodio ma quello
che viene a mancare è la zampata
decisa, la traccia convincente che si
abbia realmente a che fare con del
materiale esplosivo e non con delle
miccette di seconda mano.
Tra scarti e pe zzi d i r ic am bio s em bra di a dd en trarsi in un Lost M ar b les… (la loro racco l t a d i b - s i d e e d
inediti de l 20 05 ) e si ha la s ens azione che tutto qu es t o indie r oc k
sconquassato sia a b b a s t a n z a u n a
cosa da fine anni ’ 9 0 , r e a l m e n t e
fuori temp o massim o. Det t o questo non tutto è d a but t ar e e bene
o male Grass Gey s e r s … C a r b o n
C l o u ds è u n disch et t o c he s i c onquista la sua fetta d i s u ff i c i e n z a .
Quindi “rigorosame n t e p e r f a n ” …
I curio si vad an o a r ipes c ar s i H i g h
S o ciety … (6 .0/1 0)
Alessandro Grassi
56 sentireascoltare
Eric Copeland – Hermaphrodite
( P a w Tr a c k s / G o o d f e l l a s , a g o s to 2007)
Genere: noise-pop?
Si trastulli per qualche mese con
questo giochino, chi brama impaziente il nuovo Black Dice ché qui
ce n’è abbastanza per ingannare
l’attesa. Eric (uno dei due fratelli
Copeland della formazione newyorchese), si sa, riveste, in quel
gruppo, il ruolo di ideale paciere
tra pulsioni free-noise e vezzi accademici da laboratorio di ricerca
sul ritmo; si scopre il membro più
a r t i s t i c a m e n t e a ff i n e a l l e d e r i v e
folk dell’Animal Collective e, non
a c a s o , d i v i e n e c o n Av e y Ta r e l a
m e n t e d e l p r o g e t t o Te r r e s t i a l To nes.
E allora, nel suo primo album da
solista: echi e gocce riverberate,
arcobaleni colorati di suono primitivo e démodé (Hermaphrodite,
Scraps); elettronica a basso cons u m o , e ff e t t i s t i c a a p r e z z i m o d i c i ,
la più economica attualmente sul
m e r c a t o ( O r e o , Wa s h U p , Tr e e
Aliens); rumore, dunque, ma assai
trattenuto, e sempre circoscritto
nel perimetro dell’ultima parvenza
di una forma-canzone (FKD, Dinca); ipotesi di cantautorato che
sappia ancora stupire come solo
le melodie concepite da bambini
(Mouthhole); e ancora, dub astratti (La Booly Boo, Green Burrito) e
nenie tribali (Spacehead).
Gli ingredienti già li conosciamo, e il progetto è indubbiamente
estemporaneo (Hermaphrodite è
il progressivo sedimentarsi di registrazioni accumulatesi negli ultimi due anni), ma stupisce come
l’insieme sia architettato con la
serenità dello sperimentatore pa-
cificato con se stesso (quale ossimoro più azzardato), forse con il
solito aiuto delle droghe, comunque nel riflusso di quella pace ondivaga - eppure quanto rilassante
- che gli stessi Black Dice vanno
conquistando album dopo album,
stemperatesi ormai definitivamente le inutili foghe degli esordi.
(6.8/10)
Vincenzo Santarcangelo
Faris Nourallah – Gone (Kitchen - Blog Up Musique - Awful
Bliss, 2 luglio 2007)
Genere: pop
C h e c i s i a v v i c i n i a G o n e s p i n t i da
un sentimento di condivisione - i
proventi della vendite finiranno nell e c a s s e d e l l a K n k , u n ’ a s s o c i a zi o n e u m a n i t a r i a c h e o p e r a n e l l ’ a re a
asiatica –, per semplice curiosità o
magari perché già si conosce qualcosa della produzione di Faris Nour a l l a h , d i u n f a t t o c i s i r e n d e r à c on t o b e n p r e s t o : c h e l e t r e d i c i t r a cce
in scaletta lasciano senza fiato. E
n o n t a n t o p e r l e q u a l i t à e s t e t i che
– d i q u e l l e n e m m e n o c i s i a c c o rg e
i n b r a n i d e l l a d u r a t a m e d i a d i due
m i n u t i e v e n t i s e c o n d i - q u a n t o per
l a f r e s c h e z z a c h e c o n t r a d d i s t i n gue
l a p o e t i c a d e l m u s i c i s t a d i s t a nza
a Dallas.
Un’attitudine lo-fi che lo spinge a
generare
pop
i n a s p e t t a t a m e nte
c a m e r i s t i c o ( F o r g i v e n e s s ) , p i a ce v o l m e n t e “ s t o n a t o ” ( E l e p h a n t i n e ),
vagamente Sixties (Anticipation Anx i e t y e T h e R o p e ) , c o n l ’ a u s i l i o di
chitarra, basso, batteria e poco alt r o . Tr a q u e l “ p o c o a l t r o ” , g e n e r ose
d o s i d i i n v e n t i v a , q u e l l a c h e i n Ay
C a r l o f a c o e s i s t e r e z e r b i n i d i d r um
turn it on
Polly Jean Harvey - White Chalk (Island, 24 settembre 2007)
Genere: folk rock
Visti i nomi c o i n v o l t i , s e m b r e r e b b e p r o p r i o u n r i t o r n o a l p a s s a t o : F l o o d ,
Joh n Parish, Er ic Dr ew Feldm an. Q uas i per i n t e r o i l t e a m c h e r e a l i z z ò I s
this Des ir e?, più il non t r as c ur abile c ont r i b u t o d e l b a t t e r i s t a J i m Wh i t e ,
me mbro de gli s pir it i aff ini Di r t y Thr ee. M a l a P o l l y J e a n c h e t o r n a a m a n ifestarsi con W hi t e Chal k n o n è p i ù l a r o c k e t t a r a a c u t a e s p a u r i t a a l l e
p rese co n le br um e m et r opolit ane di f ine m i l l e n n i o , q u e l l a s p e c i e d i A l i c e
a lla sco pe rta della c it t à- m ondo dopo le m ille b a t t a g l i e c o n g l i s p i r i t i a t a v i c i
e terrigni del b l u e s . L a H a r v e y d a a l l o r a s i è f a t t a d o n n a c o r a z z a t a , s e m p r e
p iù p ad ron a d i s é m a anc he inev it abilm ente p r e d a d e l m e c c a n i s m o . F i n o
a l pu nto di n on ac c et t ar s i più e s br ac ar e s p r e z z a n t e c o l t r a f e l a t o U h H u h
He r , il disco d e l v a ff a n c u l o , d e l r a c c a t t a r e i c o c c i e l e v a r e l e t e n d e .
Po lly rico mincia quindi dal pr opr io m et r o q u a d r o , a c c o g l i e n d o t u t t o c i ò c h e n e l f r a t t e m p o - d e n t r o e a tto r n o - è
camb iato . Pe r f ar lo, az z ar da una t abula r as a s c o n c e r t a n t e : i l p e r n o d i q u e s t e u n d i c i c a n z o n i è i l p i a no fo r te , d i
chita rre ap pe na qualc he ac c enno, il m ood è i n t i m o e p i u t t o s t o d e s o l a t o . Q u a n t o a l l a v o c e , t r a t t e g g ia u n a se quela di mala n i m i p u n t u t i , a c c e n n a s o l t a n t o a i c a v e r n o s i v i l u p p i d e l p a s s a t o s p i e g a z z a n d o s i p e r l o p i ù i n falsetto,
concedendo r a r e - p e r a l t r o i n t e n s i s s i m e - d e f l a g r a z i o n i , c o m u n q u e m a i d e l t u t t o f u o r i c o n t r o l l o ( v e d i quella, pur
la ncina nte , ne lla c onc lus iv a The M ount ain) .
Po treb be ram m ent ar e la Tor i Am os più s c h i v a ( D e a r D a r k n e s s , T h e P i a n o ) , a l t r o v e a d d i r i t t u r a l a B j ö rk p i ù p a n i ca/a rca ica (Br ok en Har p) . All’iniz io, per c hi l ’ h a c o n o s c i u t a e a m a t a , è u n v e r o s h o c k . P o i s c o p r i c h e i p e zzi , q u e ste fantasmat i c h e c o n c r e z i o n i d i e r r e b ì o m e o p a t i c o , q u e s t e b a v e f o l k - b l u e s i m p r e g n a t e d i g o t i c a i r r e quietezza,
p alp eg gia no lo s t es s o c uor e f er it o di s em pr e . C o m e è e v i d e n t e n e l l ’ o s t i n a z i o n e i n d o l e n z i t a d i G r o w G ro w Gr o w ,
tra ro mbi di pelli ed ev anes c enz e angos c ios e . O p p u r e n e l l a v i t a l i t à d e s o l a t a d i S i l e n c e , a t e s t a b a s s a nel senso
di perdita e ab b a n d o n o . M a , s o p r a t t u t t o , i pe z z i c i s o n o . L u n g i d a l l ’ e s s e r e ( s o l t a n t o ) d i m o s t r a z i o n i d i u n percorso
e ste tico n uo v o da par t e dell’ex inc az z at is s i m a d e l b l u e s - r o c k , c o v a n o b u o n i m o t i v i p e r e s i s t e r e , s o n o i sp i r a ti . A
p artire da lla p s y c h languida, inaff er r abile de l l a t i t l e t r a c k , p e r n o n d i m e n t i c a r e l ’ i p n o s i j a z z y s c o s t a n t e d i To Ta l k
To You e la scar na t r epidaz ione di Bef or e D e p a r t u r e .
Mi p iace p en s ar e a ques t o dis c o c om e al Ne b ra s k a d i P o l l y, u n r a c c o g l i m e n t o ( q u a s i ) s o l i p s i s t i c o p e r r i mettersi a
fu oco, p er to rnar e al noc c iolo della ques t ion e d o p o l e t r o p p e t e m p e s t e c h e n e h a n n o m e s s o a l l e c o r d e la p o e ti ca ,
il lin gu ag gio , la v it a s t es s a. ( 7. 1/ 10)
Stefano Solventi
sentireascoltare 57
machine e vo ci alla Beck, in G a l l a
sonda i punti di cont a t t o t r a r e g g a e
e pop ma lincon ico , in T h i n g s We
R eally See a vvicin a l’aut or e ai c antori s gh emb i di casa Sub Pop – in
partico lare Shins e Rogue Wave e in generale regala p i c c o l e g e m m e
sot t o forma di me lod ia.
Mezz’o ra d i musica c he dov r à bastarvi, in atte sa d el nuov o R a d i o
F aris in uscita a g e n n a i o 2 0 0 8 .
(7. 0/1 0)
Fabrizio Zampighi
F e u T h e r e s e – Ç a Va C o r n e r
(Constellation, 8 ottobre 2007)
Genere: art-rock
I l disco ch e ci aspe t t av am o da Sebastian Tellier. Sicu r a m e n t e n o n i l
disco che ci aspett a v a m o d a i F e u
T herese . Avan t-rock er or am ai pent iti (il primo d isco), il gr uppo c apitanato da Jonathan P a r a n t ( F l y P a n
Am) e Alexandre St - O n g e ( K l a x o n
G ueule ) se ne la va le m ani, s i am monisce . Rico mincia.
Quanto Bowie av r a n n o s e n t i t o
nell’ultimo pe riod o? Q uant o t ar do
krautro ck (le gg asi Cl ust er ) av r anno consumato? asc o l t a n d o l i o r a ,
a più d i un an no da l debut t o, par rebbe veramente mo l t o . D i ff e r e n z e :
la forma canzone si s n e l l i s c e e s i
abban do na no le te nd enz e f r ee- f or m
di un a volta ; la voce, t ut t a in f r ancese, si scopre mél o e d e c a d e n t e
e l’atmosfera analo g i c a d e l l a v o r o
non si discosta da q u a n t o e s p r e s s o
dal B o wie a rido sso del m ur o.
L’inizio di À No s Am our s l a s c i a i n
verità un tantino int e r d e t t i n e l s u o
essere fu nkettin a, ins ipida s enz a
avere capo quanto c o d a ; p o i p e r ò
una dig ressio ne im pr ov v is a e Vi sage Sou s Nylon e v o c a M o r o d e r,
K raft we r k e orizzon t i s p a c e - d i s c o
(se la se ntisse Lindst r om … ) . S i
apre, o ra, u no scenar io m it t eleuropeo ch e è pu ro a r t - r oc k m id- s eventies: Le s Dé se rts Des Az ur s , i l
B ow ie/L a Du sseld or f di L e b r u i t d u
pollen la nu it, l’an co r a Bowie – s t avolta però Young Am e r i c a n s - e r a –
nella soffice, be llissim a Nada t u t t a
sorretta da synth ova t t a t i e b a s s l i n e
white-funk, l’ auster a e a m b i e n t a l e
Ç a Va Co rne r ch e fa il paio c on la
Warz awa del Duca B i a n c o o p p u r e
58 sentireascoltare
la r it m ic a m o l t o S o u n d a n d Vi s i o n
di Les Enf a n t s .
Se Fer r ar i E n F e u P t . 2 r i c h i a m a l e
per ples s it à d e l l a t r a c c i a i n i z i a l e , l a
r om ant ic her i a c o s m i c a ( c h i h a d e t t o Roy k s opp ? ! ) d i L a N u i t E s t U n e
Fem m e e la c h i u s a d i L a i s s e B r i l ler Tes Yeu x D a n s e L e S o l e i l i l c u i
c lim ax r ic or d a m o l t o , m a m o l t o d a
v ic ino Abbr a c c i a l a , A b b r a c c i a t i A b br ac c iali di B a t t i s t i ( p r o v a t e a c a n ticchiarci sopra il motivo del Lucio
naz ionale e p o i m i d i t e . . . ) c o n g e dano c om e m e g l i o n o n s i p o t r e b b e .
For s e nelle m a n i d i q u a l c u n a l t r o
questo disco sarebbe di diversa
v alut az ione , m a v i s t o c h e a d o c c u par s ene è il s o t t o s c r i t t o l a s c i o t u t t o
all’em pat ia. E u r o n e u e n p o p . S e m bra un giorno dei Seventies, oggi…
( 7. 5/ 10)
Gianni Avella
e l a r g i r e r o c k s i m i l e a q u e l l a d i ce r t i u l t i m i O n e i d a c o n u n a v e n a t ura
d i p o p s c h e r z o s o i n m e z z o ( f o r s e il
p e z z o m i g l i o r e ) . I l s i n g o l o B e L ess
R u d e h a u n f r a s e g g i a r e l e g g i a dr a m e n t e S o n i c Yo u t h s e n z a o m b r a tu r e n o i s e o c h i t a r r i s m i m a n i e r i s t i ci e
c o n i n s e r t i d i t a s t i e r i n e t r a s p a r enti
e leggere che ben rendono l’atmosfera in che di trasognante.
Ya w n s è q u a s i s u s s u r r a t a , m e ntre
B e h a v e t e n t a s t r a d e d i v e r s e per
u n p e z z o c o m a n d a t o d a u n ’ a c u sti c a e d a u n ’ a t m o s f e r a m a l i n c o nica
e s o ff i c e m e n t e f o l k r o c k , d i s t u r b ata
da un basso distorto e sta a Squar e 9 t r a c c i a r e u n a l t r o t r a g i t t o per
un crescendo fragoroso e mai invadente di tastiere e di chitarra.
Q u e s t o d e b u t t o m o s t r a u n g r u ppo
f r e s c o c h e s a a p p l i c a r e a l l a f o rma
c l a s s i c a d e l l ’ i n d i e r o c k i d e e i nte ressanti e sa trasfigurare al meg l i o c a n o v a c c i u l t r a n o t i i n s c e nari
s t i m o l a n t i ; m a n c a n o l e z a m p ate
c h e l a s c i a n o v e r a m e n t e i l s e g no,
m a f o r s e , s e s o n f i o r i , f i o r i r a n no.
(6.4/10)
Alessandro Grassi
Frightened Rabbit – Sing The
Greys (Fat Cat / Wide, 25 ottobre 2007)
Genere: indie rock
I Frightened Rabbit sono un trio e
v engono da G l a s g o w c o m e i M o g w ai e i Be l l e A n d S e b a s t i a n , m a
non c ’ent r a n o a s s o l u t a m e n t e n u l l a
con loro, anzi. I Nostri fanno indie
rock, di quello puro e diretto senza
t r oppe dec l i n a z i o n i o f r o n z o l i .
The G r ey s i n i z i a i n p o m p a m a g n a
crescendo sempre di più in mood
c on un s alir e d i c h i t a r r a c h e r i c o r da m olt o a l c u n i p a s s a t i S e b a d o h
e anche nella voce Scott rimanda
not ev olm en t e a q u e l l a d i u n L o u
Bar l ow . M u s i c N o w è u n m i d t e m po um or ale m o l t o a l l a T h e Wre n s ,
m ent r e G o- G o G i r l s è i n q u a l c h e
modo assonante ad una maniera di
F. S . B l u m m M e e t s L u c a F a d d a
- Self Titled (Autopilot / Wide,
ottobre 2007)
Genere: loose jazz
I l f a s c i n o i n d o l e n t e e d i n o c c o l ato
del fiato di Fadda e le minuterie a
p e r d i t a d ’ o c c h i o d i F. S . B l u m m . Il
j a z z d a a f t e r d i n n e r e l a p l a c e nta
di animaletti sonori. I suoni dei gioc a t t o l i , d e i “ f i e l d s ” e d e l l a t r o mba
t r a i l “ t r o v a t o ” e i l “ r i t r o v a t o ” . La
r i f l e s s i o n e e i l r i l a s c i o s u l / d e l q uo t i d i a n o . S p r o f o n d a r e n e l l a p i ù co m o d a d e l l e p o l t r o n e c o n i n m a n o il
m i g l i o r e d e i l i q u o r i , o p p u r e l ’ i m ma g i n e d e l r o b o t c o n i l j o i n t i n m ano
simbolo dell’IDM reincarnato uomo
c h e s i f a c o c c o l a r e d a u n a g r o ssa,
g r a s s a m a n o . O p p u r e . P e n s a r e che
d a l b u c o p i ù p r o f o n d o e o n i r i c o sia
p o s s i b i l e l e v a r s i i n a r i a e r i m a n erci
a l l ’ i n f i n i t o . I l s o g n o d i Wy a t t .
F. S . B l u mm M e e t s L u c a F a d d a è,
a l m e n o p e r t r e q u a r t i d e l l a s u a du rata, pura alchimia sulfurea come
s e i d u e m u s i c i s t i s i f o s s e r o c a piti
e c o m p l e t a t i d a s u b i t o . G i o r g i and
L u c y , p o s t a i n c a p o a l l a s c a l e tta,
tratta proprio d a l p r i m i s s i m o l i v e
set n ewyorches e, ne è la r ipr ov a:
u na so rta d i s t r eam ing f us ion t r opicalista pe r chit ar r a, bas s o e t r om b a “inn atu rale ” diff ic ile da dim enticare. Trans - e t n i c a l e g g e r m e n t e
sporcata d’ele t t r o n i c a c o m e l a a m a
il mu sicista tedes c o m a dec is am ente p iù esotic a- am niot ic a r is pet t o
a lla p rod uzione quar t om ondis t a di
u n Hasse ll. C ’è dent r o la s ens ibilità indietroni c a e l ’ e l e g a n z a N e w
York like de l jaz z e t ut t o s em br a
suo na to e pu lit o, pur e quando c ’è
il “processo” d i m e z z o , q u a n d o c i o è
l’intervento de l l a t r o m b a d i F a d d a è
filtrato (ma no n c o m e q u e l l a d i J o n )
e i suoni di Bl u m m m a n i p o l a t i c o m e
un bravo zoo l o g o d e l s u o n o . I n f i n
d ei con ti è com e s e i due s m as c herassero conti n u a m e n t e l a s t e r i l i t à
di certi dibatt i t i s u l l a m u s i c a c a l d a
e quella fred d a . S c h i z z a n o s u l l a
te la u na va riet à di c olor i e s f um ature senza vo l e r r i c o m p o r r e f i g u r e
o narrazioni. N i e n t e p o p . P i u t t o s t o
sen sa zio ni. U m or i anc he c om ples s i
d a scio glie re il t im pano c om e ac cad e ne ll’ab bac inant e R i c k e a n d
Din a, l’altro b r a n o l u n g o p r e s e n t e
in scaletta. U n a s a v a n a i n t e r i o r e .
Se nz’altro u na pas t ella dolc is s ima e n on è u n c as o c he la t r ac c ia
sia sta ta pe ns at a per un’audienc e
di bambini, e n u l l a c i f a s e F a d d a
l’ha suonata a d u e m i l a c h i l o m e t r i d i
d ista nza me nt r e Blum m er a a Ber lin o. An Ide al f or a leav ing r oom .
(7 .0/1 0)
Edoardo Bridda
Fugu – As Found (Third Side
/ Audioglobe, 17 settembre
2007)
Genere: pop
All You Need I s P o p . Q u e s t o v i e n e
da dire se nte ndo il s ec ondo c apitolo de lla sag a Fugu di c ui s i f r egia come pro t a g o n i s t a p r i n c i p a l e i l
po lied rico co m pos it or e M ehdi Zanna d, d i orig ini f r anc es i. I l Nos t r o s i
muo ve fra sinuos it à Br i an Wi l son,
melo die frizza nt i Beat l es e un c er to gu sto ré tro per i r it or nelli ed i c oretti che fan no t ant o Six t ies .
Here To da y, s i m p a t i c o o p e n i n g , è
una traccia s e m p l i c i s s i m a , d i r e t t a
che ben illustr a c i ò c h e a n d r e m o a d
aff r on t a r e l u n g o t u t t o i l d i s c o , f r a s eggi d i t a s t i e r e e d i c h i t a r r e c h e s i
inc r o c i a n o e g i o c a n o s i b i l l i n i a r i n c or r e r e l e n u v o l e e u n a l t r o “ A n o t her S u n n y D a y ” d i m e m o r i a B e l l e
And S e b a s t i a n . P o i a r r i v a n o l e b a l lad ( S t r a i g h t F r o m T h e H e a r t o P a rk ing L o t s ) d o v e s e m b r a d i s c o r g e r e
la penna commossa di un vecchio
Paul M c C a rt n e y , s e n z a t u t t a q u e l la sofisticata grandezza espressiva
che ben conosciamo nel quartetto
di Liverpool e nei suoi momenti più
t oc c a n t i . Q u a l c h e u p t e m p o b e l l o c cio e ben curato piazzato qua e
qualch e m o m e n t o p i ù r i f l e s s i v o a p poggiato sulle note di una giornata
di t e m p o c o n f u s o e n u v o l e r a p i d e ,
ed ec c o s e r v i t o A s F o u n d .
Fugu è un progetto laterale nel
senso che si occupa di ripescare
una c e r t a v e n a p o p l a s c i a t a s p e s so in disparte, ma laddove finisce
l’em o z i o n e d i f a r p a r t e d i u n s o s t r at o o r m a i s e p o l t o , r i e m e r g e l a
pedissequità del risultato, che ben
s i a cc o m p a g n a a p l u r i m i a s c o l t i m a
s t ona i n f a t t o d i n e c e s s i t à . A l l a f i n e
quell a c h e r i m a n e è l a s e n s a z i o n e
che il compitino è stato fatto e che
ques t o b a s t i e a v a n z i . ( 6 . 0 / 1 0 )
Alessandro Grassi
Future Of The Left – Curses
( To o P u r e / S e l f , 2 8 s e t t e m b r e
2007)
Genere: noise ‘n’ roll
D a l l e c e n e r i d e i g l o r i o s i M c L u s k y,
la nuova creatura del cantante/
chitarrista Andy Falkous, ancora una volta nel segno del noise’n’roll più smaliziato e corrosivo
in circolazione.
Non m u t a n o i p u n t i d i r i f e r i m e n t o
d e l l ’ u o m o , s e m p r e a n c orato alla
m a g i c a t r i a d e c o m p o s t a d a B ig
B l a c k , G a n g O f F o u r e Fa ll, e,
f o r t u n a t a m e n t e p e r n o i , n o n si a l t e r a n o n e a n c h e i v a l o r i d e l l e si n g o l e c o m p o s i z i o n i , a n c o r a u n a vo l ta
s c h e g g e a n f e t a m i n i c h e di due/tre
m i n u t i r i c o l m e d ’ a u t o i r o n i a ( Friges
B e c o m e T h u m b s , F u c k T h e C o u n tr y s i d e A l l i a n c e , M a n c h a s m con un
g i r o d i t a s t i e r e c h e v a l e il prezzo
d e l b i g l i e t t o ) , e s p l o s i v i t à ( Wr i n g l e y
S c o t t , P l e g u e O f O n c e s , ovverosia
l ’ e q u i v a l e n t e d e i B e a s t i e B oy s in
s t u d i o c o n i F u g a z i ) e sch i zo fr e n i a ( T h e L o r d H a t e s & C oward, My
G y m n a s t i c P a s t ) , c o m e s em p r e d o v r e b b e r o e s s e r e i d i s c h i c h e si p r o c l a m a n o f e d e l i a l l a m a t e r i a r o ck.
I l f u t u r o d e l l a s i n i s t r a , a lmeno da
q u e s t i p a r t i , è c e r t o i n b uonissime
mani. (7.0/10)
Stefano Renzi
Giuseppe Ielasi – August (12k,
agosto 2007)
Giuseppe Ielasi / Nicola Ratti –
Bellows (Kning Disk, settembre
2007)
Genere: microsuoni, elettronica
Q u a n d o è s o l o d a v a n t i a macchine
e s t r u m e n t i , G i u s e p p e I e l asi non è
u n i c a m e n t e l o s p e r i m e n t ato r e a u d a c e e r a ff i n a t o c h e c o n t inuiamo a
r i c o n o s c e r e n e l l e f r e q u e n ti co l l a b o r a z i o n i c h e l o v e d o n o c o i nvolto; è,
p i u t t o s t o - c e n e s i a m o accorti già
c o n l ’ e p o n i m o l a v o r o d e l 2006 –, il
b r i l l a n t e a r r a n g i a t o r e d i disparate
f o n t i s o n o r e , r u m o r i e m icrosuoni,
r e c r u d e s c e n z e a m b i e n t e g u i zzi o r c h e s t r a l i , s p r a z z i d i a c u t o lirismo e
s u s s u l t i d i i n f i n i t a d e s o l a zione che
s i a l t e r n a n o i n s t r u t t u r a t e m i cr o su i te dagli infiniti dettagli.
A u g u s t è l a n a t u r a l e p r o se cu zi o n e d e l d i s c o r s o i n t r a p r e s o nel suo
p r e d e c e s s o r e : c i n q u e n uovi brani
s e n z a t i t o l o , l u n g h i i n m edia sette
m i n u t i , c u r a t i s i n n e l m i n i m o p a r ti c o l a r e ; m i n a c c i o s a m e n t e r i g o r o si ,
n e l l a l o r o d i n a m i c a , e p p ure capaci
d i f e r i r e l ’ a s c o l t a t o r e n e l c ontesto di
u n a v e r a e p r o p r i a g u e r r a d i sfi a n c a m e n t o , p s i c o l o g i c a e d emotiva.
G e n e r a n o a t t e s a , p e r p oi d i si l l u d e r l a ( i l p r i m o b r a n o ) , r a sserenano
sentireascoltare 59
per c us s iv a p s i c h e d e l i c a , 2 ’ 2 4 t r i b u t o es plic it o a D e re k B a i l e y . R i s t o ra la quiete raggiunta dalle ampie
v olut e di d r o n i d e l l ’ u l t i m o 1 0 ’ 5 7 ,
br ano m em o r e d e i f a s t i d i A u g u s t .
D i s c o a ff a s c i n a n t e , m a s o l o p e r
or ec c hie be n d i s c i p l i n a t e . M e r a v i gliosa l’immagine di copertina dal
v ago s apor e p a s o l i n i a n o . ( 6 . 5 / 1 0 )
Vincenzo Santarcangelo
con sta si d i freq ue nz e o m edit az ioni pianistiche, dopo i l l e v a r s i d i u n
crescendo ansiogen o , f i n i s c o n o p e r
inabissarsi in un ma r e d i m e s t i z i a
senza fondo (il seco n d o b r a n o ) .
La fo rmu la è orma i collaudat a e I elasi u n mae stro n ell ’ac c os t ar e s t ati d’a nimo , ne ll’evoc ar e paes aggi
e visioni: discrete t r a m e d i t i m i d i
glit che s si alte rna no - in una dialettica ch e è orma i quas i pr olet t ica - ad ap ertu re di m aes t os i dr ones
dall’amp io re sp iro sinf onic o ( la s econda e la te rza tracc ia) . Più s pes so sim ile all’u ltimo M ur cof , d u n q u e ,
che a quegli improvv i s a t o r i r a d i c a l i
a cui si è abituati a d a c c o s t a r e i l
suo nome; ma semp r e p i ù s i m i l e a
se stesso, al Giuse p p e I e l a s i c h e ,
da solo, n on è u nicam ent e lo s perimentatore audace e r a ff i n a t o c h e
abbiamo imparato a d a p p r e z z a r e .
(7. 5/1 0)
In questo senso, le c o l l a b o r a z i o n i
con artisti dalla se n s i b i l i t à a ff i n e
paiono assu mere il r ango di es er cit azio ni e stu di p rep ar at or i in v is t a
di que ll’op us ma ius p e r e n n e m e n t e
in co struzione che è i l p e r c o r s o i n
solitaria del chitarr i s t a l o m b a r d o .
La più recente, que l l a c o n l ’ a l l i e v o
e soda le Nicola Rat t i ( già in Pi n
P i n Sugar e Ronin, m a anc he autore di interessanti d i s c h i a p r o p r i o
nome ), è u n lavoro d i pr ec is ione ar tigianale pazienteme n t e o ff e r t o a l l e
potenzia lità d ello str um ent o pr im at trice – sebbene si a s c o l t i n o , o l t r e
alle chita rre, pe rcu s s ioni, t ur nt ables, e lettro nica. 4 ’27’’ è i p n o t i c o
girare a vuoto di ch i t a r r a e ff e t t a t a
su sfo nd o sinte tico , 7’30’’ l o o p d i
arpegg io a lla Gas tr del Sol e s uc cessiva risacca d i feedbac k , 6’19’’
improvvisazione su r i t m i c a d u b ,
07’01’’ noise digital e e l u n g a c o d a
60 sentireascoltare
G o l d m u n d - Tw o P o i n t D i s c r i m i nation (Western Vinyl, 10 settembre 2007)
Genere: ambient
M ent r e il pr o g e t t o H e l i o s c o n t i n u a
egr egiam en t e c o n A y re s , i l p i a n i smo astratto dell’altro moniker di
J enniff ov v e r o G o l d m u n d è t o r n a t o
inas pet t at am e n t e a f a r c i v i s i t a , q u e s t a v o l t a n o n p i ù p e r l a Ty p e b e n s ì
a c a s a We s t e r n Vi n y l . I l c a m b i o d i
et ic het t a è p u r a m e n t e f o r m a l e , Tw o
Poi nt O f D i s c ri mi n a t i o n , s e g u i t o
s ulla lunga d i s t a n z a d i C o rd u ro y
Road, s i c o m p o n e d i u n d i c i p i è c e s
di più br ev e d u r a t a e d a l l ’ a p p r o c c io – m a s on o i n e z i e - m a g g i o r m e n te intimista e minimale. Il solco è
il medesimo, tra Feldman, Harold
Budd e una spruzzata di classica
c ont em por a n e a , m a i l f o c u s d i c h i a r at o del m u s i c i s t a d i v e n t a q u e l l o
d’indagar e l e r e l a z i o n i t r a i l s u o n a re (toccare i tasti) e il suonato (il
suono che esce). Il risultato è più
ambiguo rispetto all’ottimo esordio
ma il risultato è più che dignitoso.
( 6. 5/ 10)
Edoardo Bridda
Hair Police – The Empty Quarter
(Harbinger Sound, luglio 2007)
Genere: drone/noise/industrial
Considerati a torto un side-project
di M i ke Co n n e l l y ( Wo l f E y e s ) , g l i
Hai r Pol i ce ( c h e p e r l a p r e c i s i o n e
nascono prima della sua entrata
n e i Wo l f E y e s ) m e r i t e r e b b e r o u n a
diversa considerazione, soprattutto
in un m om e n t o c o m e q u e s t o , i n c u i
la s c ena f r e e - n o i s e s t a o t t e n e n d o
la m as s im a e s p o s i z i o n e m e d i a t i c a .
Las c iat i or m a i a l l e s p a l l e g l i a s s a l t i
all’arma bianca delle prime temibili
us c it e dat a t e 2 0 0 2 , o g g i g l i H a i r
P o l i c e s o n o u n a m a c c h i n a i n fe r n a l e c h e p r o d u c e c l a u s t r o f o b i che
t r a c c e s u l l e q u a l i s o ff i a n o v e n t i di
p u r a m a l i g n i t à . R e g i s t r a t o a Yp si l a n t i , M i c h i g a n , n e i p r i m i m e s i del
2 0 0 7 , T h e E mp t y Q u a rt e r p arte
c o n A D e a d B e l l e i m m e d i a t a m e nte
v e n i a m o c a t a p u l t a t i n e l l o r o t e r r i fi c a n t e e d e g r a d a t o u n i v e r s o : d r o nes
d a l l e t o n a l i t à b a s s i s s i m e , s u o n i che
s e m b r a n o p r o v e n i r e d a o s c i l l a to r i
malfunzionanti, grida disumane e
vorticose spirali dissonanti.
N o n c ’ è u n r a g g i o d i l u c e i n T he
E mp t y Q u a rt e r, n e s o n o l a p r ova
l e s u c c e s s i v e I n t e r r u p t i o n a n d In v a s i o n e B r e a t h i n g i n C o n f l i c t i n cui
p a r e s e n t i r e c r e a t u r e m i t o l o g i ch e
muoversi nell’oscurità.
P e r c h i h a d i m e s t i c h e z z a c o n la
discografia del gruppo, qui siamo
d a l l e p a r t i d e i v a r i D ra w n D e a d e
C o n s t a n t l y Te rri f i e d , s t e s s a p er i z i a n e l c o s t r u i r e m o s t r u o s i t à n o ise
a b a t t u t a b a s s a . P o t r e b b e e s s ere
una perfetta colonna sonora per inc u b i c i n e m a t o g r a f i c i d e l t i p o N e kr o m a n t i k m a f o r s e i l v e r o o b i e t t i v o del
trio del Michigan è quello di lasciare all’ascoltatore la libertà di legger e i n q u e s t e t r a c c e l e s u e p e g g iori
paure e fantasie.
Un disco consigliato chiaramente a
t u t t i g l i e s t i m a t o r i , m a a n c h e a t utti
quelli che hanno amato le sonorit à s u b l i m i n a l i e m e d i t a t e d i H u man
A n i ma l d e i Wo l f E y e s . ( 7 . 0 / 1 0 )
Nicolas Campagnari
Hollywood Pornstars – Satellites (Naïve / Self, 7 settembre
2007)
Genere: rock (?)
Possibile trovare un nome più or-
turn it on
S i r R i c h a r d B i s h o p - P o l y t h e i s t i c F r a g m e n t s ( D r a g C i t y, 2 0 0 7 )
Genere: indian raga guitar
Il Pa nth eo n d i r if er im ent o, in c oper t ina, è qu e l l o d e l l e d i v i n i t à i n d u i s t e . R i cha rd, le cu i or igini f am iliar i inc r oc iano da v i c i n o q u e l l a p o r z i o n e d i m o n d o, in du gia di f at t o nel s uo pr iv at is s im o Pa n t h e o n d i e r o i a l l a s e i c o r d e .
J ac k Rose , S t e p h e n B a s h o - J u g a n s , J o h n F a h e y, D j a n g o R e i n h a r d t ,
Ra vi Shanka r ( r aga, alapa, gat ) , il f lam en c o , l e m u s i c h e z i g a n e . . . C r o s s
My Palm With Finger s non dev e inv ent ar e n u l l a , d e v e s o l o l a s c i a r s i e s e g uire , te ne nd o f ede ai neum i per s onali dell’ a u t o r e , a q u e l l a p u n t e g g i a t u r a
tutta sua per s o n a l e , f a t t a d i i n t e r v a l l i e p a u s e f r a l e n o t e i m p r o v v i s a t e
su stili e tem i b e n d e f i n i t i . L’ a l b u m h a u n a s u a g r a m m a t i c a p r e c i s s i m a ,
dunque. E le c o m p o s i z i o n i s o n o i l r i f l e s s o , i n f o r m a s t r u t t u r a t a , d i q u a n t o
h a in ve stito negli anni l’im m aginar io del nos t r o Ve s c o v o . H e c t a t e ’s D r e a m
rip ren de (e vviv a ev v iv a! ) il s uono dilat at o, l i s e r g i c o , s p o r c o , d i c e r t o c h i t a r r i s m o c h e f u d e l g l o r i o s o Torch Of
The Mys tics ( 1990) . I Sun Ci t y G i r l s n o n s o n o p a s s a t i i n v a n o n e l l a v i t a d e l N o s t r o ! Q u i s i f a n n o s o s p ensione di
g lissan di fa ntas t ic a e appic c ic os a c om e gla s s a . U n q u a d r o d ’ e s p r e s s i o n i s m o p u r o a f i r m a S R B . I l r e s to d e l l ’ a l bum suona de s e r t i c o , v i s c e r a l e , f i l m i c o c o m e d a a n n i ( d a l l ’ e s o r d i o ) n o n e r a d a t o s e n t i r e . E ( f i n a l m ente, sitar
in clu so ) c’è un r aga v er o e pr opr io, Sar as wa t i , i n c h i o d a t o a l l e s u e a r m o n i e d a u n p i a n o f o r t e a l l u c i n a t o . Sp e r i a m o
n on sia no qu es t i gli ult im i f r am m ent i del po l i t e i s m o a p o l i d e d e l l ’ o t t i m o R i c h a r d B i s h o p . D i l u i n o n s e n e a vr à m a i
a bb astan za . ( 7. 5/ 10)
Massimo Padalino
sentireascoltare 61
rendo di Hollywoo d P o r n s t a r s ?
Come si possano s p e n d e r e s o l d i
per pro du rre e far c ir c olar e por c ate di questa portata ? U n b e l p a c c o
di sold i, ve rreb be da pens ar e, v isto che per dare lus t r o a l l a c o s a s i
è convocato pe rso no un t ec nic o di
richiamo come J ohn G oodm anson
in passato al serviz i o d i b i g q u a l i
Wu Ta ng Clan, Blon de Redhead e
S l eat er Kinne y.
D enaro b utta to. Ci s ar ebbe v olut o
l’ennesimo miracolo d i P a d r e P i o
ed il bu on Goodm a nson nat ur almente , che d i mira c oli anc or a non
ne f a. Un alb um inu t ile t r a nef andezze gla m rock (An dy ) , polpet t oni
new wave in sa lsa I nt er pol ( I s lands) e d u n bra no com e The Fugit iv e
dove semb ra di asc olt ar e gli A r t i c
Mo n ke ys co n la dia r r ea. ( 3. 0/ 10)
Stefano Renzi
Hototogisu - Chimärendämmeruns (De Stijl / Goodfellas, 26
settembre 2007)
Genere: drone rock,
post industrial
U no: Se tte min uti d i m onolit e per
mugu gn i d i sola chi t ar r a, non una
variaz ion e to na le, non una c oncessione al colore. G r i g i o c a t r a m e ,
fumo, lo rdu me e de tr it i di lav or o pesante: ciò che resta d e l l a f a b b r i c a
smantella ta. Due : a ppena un leggero dinamismo si im p a d r o n i s c e d e l
molosso, pa rve nza di not e, là s ot to, sepolte da tonne l l a t e d i r u m o r i ,
sfrigolii e dissonanze c h e n e m m e n o
i prim i Einsturzend e N e u b a u t e n
arrabbiati. E’ un gio c o a l m a s s a c r o
che va avan ti q ua si per v ent i m inuti. Tre : chita rra effe t t at a, r iv er ber i
di dron e come Pau l i ne O l i ver os
62 sentireascoltare
pr es t at a pe r u n a v o l t a a l l a s e i c o r de.
Poi di nuovo tutto in frantumi, la
c hit ar r a r es t a p u r s e m p r e l o s t r u m ent o da s p a c c a r e s u l p a l c o , q u e l lo con cui distruggere quel rock che
ha c ont r ibu i t o a f a r n a s c e r e . S i s i mula un crescendo, se è lecito, qui,
par lar e anc o r a i n t e r m i n i m u s i c a li, se a infinito si può addizionare
m aggior e. Q u a l c u n o p o t r e b b e a n che inventarsi di ascoltare assoli, è
passato quasi un altro quarto d’ora,
m a c his s à, f o r s e s i t r a t t a s o l o d i a l luc inaz ioni i n d o t t e . Q u a t t r o : s i o d o n o v o c i e ff e t t a t e i n s o t t o f o n d o , m a
anc or a una v o l t a i l t u t t o s i c o n f o n de nel c on s u e t o , a m o r f o f a s c i o d i
frequenze irremovibili pur nel loro
fluire. Coda rumorosissima, come
di c ant ier e i n d u s t r i o s o a p i e n o r e g i m e. Cinque : f r e q u e n z e p i ù b a s s e ,
quas i un s o l l i e v o ; v o l e n d o , t a l v o l t a, s i pos s o n o i s o l a r e s c i e d i s u o no che tracciano percorsi consueti
- a m im ar e l ’ a b b o z z o d i u n a m e l o dia, a inseguire tonalità che uno si
aspetta -, ma il processo necessita
di grande pazienza e capacità di
as t r az ione, c h é i l r e s t o d e l l ’ o r c h e s t r a – c hit ar r a , c h i t a r r a , a n c o r a c h i t ar r a – c ont i n u a f r a t t a n t o a p i c c h i a re assai duro.
Se c os ì de v e a n d a r e , s e q u a l c u no, c ic lic am e n t e , d e v e a r r i v a r e e
d i s t r u g g e r e t u t t o a ff i n c h é s i a p o i
pos s ibile r ic o s t r u i r e s u q u e l l e m a cerie (ne abbiamo parlato anche
a pr opos it o d e l l ’ u l t i m o P ru ri e n t ) ,
ebbene noi staremo stoicamente
a guar dar e s e n z a a l i m e n t a r e c a t a s t r of is m i, s e n z a s i m u l a r e e n t u s i a smi. Ci si venga a spiegare, però,
per c hé l’av e r m i l i t a t o i n D o u b l e
Leopar ds ( M a r c i a B a s s e t t , l a m e t à
f em m inile d e l d u o ) o S u n ro o f ! , Vi br acat hedr a l O rc h e s t ra ( M a t t h e w
Bower) debba costituire condizione
s u ff i c i e n t e p e r f a r s i c a r i c o d e l ( s i n
troppo allettante, ci pare di capire)
s ac r if ic io de l l ’ i c o n o c l a s t a . ( s . v. / 1 0 )
Vincenzo Santarcangelo
T h e H o w l i n g H e x - X I ( D r a g C i t y,
28 agosto 2007 )
Genere: psych rock
St av olt a Ne i l M i c h a e l H a g e r t y è r i uscito a tenere a bada l’estro per
un anno intero, e infatti questo XI o t t a v o l a v o r o s o t t o l ’ e g i d a H o w l ing
H e x - h a i l p i g l i o d i u n a m p l e s so
dopo lunga astinenza. Però l’età e
l ’ e s p e r i e n z a s o n o q u e l l e c h e s o no,
e l a f o g a t r o v a i l m o d o d i c o m p i ersi
c o n u n c e r t o s t i l e . P a r t i c o l a r m e nte
a z z e c c a t a l ’ i n t r o d u z i o n e i n o r g an i c o d e l s a s s o f o n i s t a R o b b i e L e e, il
c u i s t i l e n a i f v a g a m e n t e G e t a t c hew
M e k u ry a r e a l i z z a u n c o n t r a p p un t o r u s p a n t e e b l a s é c o n l a f r e gola
delle chitarre. Ne viene fuori un ling u a g g i o g u s t o s o e a g g r e s s i v o , un a
f e s t a m o r d a c e i n n a ff i a t a c o n a cidi
s t o n e r, g a r a g e e f u n k , a n c h e s e tra
le tartine puoi trovare folk rock corr u s c h i t i p o i G ra t e f u l D e a d i m pa s t a t i C re e d e n c e ( M a r t y r L e c t u res
Comedian), oppure rock-blues à la
K e i t h R i c h a rd s s t r a t t o n a t o M C 5
(Ambulance Across The Street) o
a n c o r a s o u l - r o c k t i p o i l B o w i e di
Yo u n g A me ri c a n s i r r o r a t o d i s m a n i a J o n S p e n c e r e d i m p u d e nza
P ri ma l S c re a m ( F i f t h D i m e n s i o nal
Johnny B. Goode).
C i s i d i v e r t e s ì , m a n o n t r o p po,
p e r c h é u n ’ a r i a s u r r e a l e a l e g g i a su
tutto, non ti fa abbassare la guard i a , a d e s e m p i o q u a n d o i m p r i g i on a
i l b l u e s - r o c k v i s i o n a r i o d i T h e 8 8 in
u n a s c o s t a n t e t r a m a p o s t , o p p ure
q u a n d o s p i n g e i l b o o g i e - p s y c h in
s t i l e P a t t o t r a l e f a u c i d i u n t o s s ico
a s s o l o n o i s e . C o n s i d e r a t e p o i q ue l l a s o r t a d i L e n n y K ra v i t z s b a l lo tt a t o B e a s t i e B o y s d i D r. S l a u g hte r
o l a s o r n i o n a o s s e s s i o n e L i a rs di
Save/Spend, e finirete per consider a r l a u n a b o l g i a s u l b a t t e l l o e b bro
verso dove non si sa bene. D’alt r o n d e , p a r e c h e a d H a g e r t y p i a ccia
p a r e c c h i o q u e s t o n a v i g a r e a v i sta.
(6.4/10)
Stefano Solventi
I a n B r o w n – T h e W o r l d I s Yo u r s
(Universal, 24 settembre 2007)
genere: soul orchestrale, r’n’b, indie
Se ci guardiamo intorno, agli ex lea d e r d e i g r u p p i i n g l e s i d i s u c c e sso
d e g l i a n n i ’ 9 0 s o n o t o c c a t e l e so r t i p i ù d i s p a r a t e . C ’ e c h i a t t r a v e rsa
t e r r i b i l i c r i s i d i m e z z a e t à ( B rett
A n d e r s o n ) , c h i v e l e g g i a t r a n q u i llo,
g r a t i f i c a t o d a g l i o d i e r n i t r a g u ardi
Beh, pare che padre Brown abbia
t r ov a t o f i n a l m e n t e l a s u a s t r a d a ,
andando oltre quell’abbagliante
bolla d i s a p o n e c h e e r a s t a t a l ’ i n gom b r a n t e b a n d d i c u i a v e v a f a t to parte tanto tempo fa. Come si
chiamavano? Ah già, Stone Roses.
Bene c o s ì I a n , e c h e n o n t i v e n g a
in m e n t e d i f a r e l a “ c l a s s i c a t e l e f o nat a” a J o h n S q u i r e p e r r i m e t t e r e
as s ie m e i c o c c i ( v e d i u n p o ’ i l p a pocchio che hanno combinato i tuoi
am ici M o n d a y s … ) . ( 7 . 0 / 1 0 )
(Jarvis, Alb ar n) , c hi dopo av er c i
p rovato d a solo f a la c las s ic a t ele fon ata ag li old pals : “ r im et t iam o
su la band?” ( R i c h a r d A s h c r o f t ) . E
il “re scimmia ” d i M a d c h e s t e r, c o m e
se la pa ssa? Fr a alt i e bas s i, è ar rivato tra nq ui llo t r anquillo al quint o
cap itolo d i u na c ar r ier a s olis t a s enza infamia né l o d e , s p e s a p e r l o p i ù
in u na d ign itos a t er apia di m ant en imen to.
Preambolo dovuto, perché per Ian
Brown questo è l’album della scommessa più grande, il suo What’s
Going On. Almeno, per come lo
vede lui. Per come la vediamo noi,
ci è andato parecchio vicino: The
World Is Yours mette assieme soul,
hip hop, r ’n’b, parlando proprio di
quello che succede. Più che nei
contenuti, la forza del disco sta in
un sound mirato e fortemente ammiccante ai ’70, che mischia archi a
cascata (la memorabile title track),
upbeat (On Track) e riff cicciuti e
trascinanti (Sister Rose); la presenza nell’edizione deluxe dei 12 brani
in versione puramente orchestrale
non fa che dimostrare quanto il suo
autore abbia mirato in alto in termini
di suono e concetto. La produzione
azzeccatissima, coi fiocchi, va infatti a braccetto con una personalità che stavolta è difficile da ignorare, anche quando si cimenta nel
più classico ballatone britpop come
Goodbye To The Broken. Non per
niente, per l’occasione Ian si e’ fatto
aiutare da vecchi amici come Andy
Rourke degli Smiths e Paul Ryder
degli Happy Mondays, Steve Jones
e Paul Cook dei Sex Pistols, nonche
la pasionaria per eccellenza Sinead
O’Connor nel singolo antibellico Illegal Attacks. Retorica a parte, questo e’ un disco potente e - alleluia!
– credibile di soul moderno.
Antonio Puglia
i L I K E T R A I N S – E l e g i e s To L e s son Learnt (Beggars Banquet /
Self, 5 ottobre 2007)
genere: post-rock storicista
Sì , o k , i l c o s i d d e t t o p o s t - r o c k - o
quan t o m e n o , l a s u a d e r i v a e m o t i v a
di m a r c a M o g w a i - S i g u r R ò s - E x p l o sion in The Sky - è passato di moda
da u n p e z z o e d è i r r i m e d i a b i l m e n te caduto dalle grazie della critica.
A l l o ra p e r c h é q u e s t o d e b u t t o s u l l a
lunga distanza degli iLIKETRAINS
( d i cu i a b b i a m o t r a t t a t o s u q u e s t e
pagine l’anno scorso, all’epoca del
m ini d ’ e s o r d i o P ro g re s s / R e f o rm) ,
c he s i c o l l o c a i m m e d i a t a m e n t e n e l
s udde t t o e v i t u p e r a t o f i l o n e , d o vrebbe mai fare eccezione? Beh,
anzitutto perché ha un fascino tutto
suo, nella scelta del liricista David
Martin di trattare di precisi episodi
s t or ici i n u n a “ e l e g i a p e r l e l e z i o ni imparate” (quelle della Storia,
non quelle di storia). Poi, perché
s i all o n t a n a d a c e r t i c l i c h é d i g e nere, aggiungendo a una musica
che nasce prevalente strumentale
delle liriche narrative e colte, che
accentuano l’aspetto puramente
ev oc a t i v o e c i n e m a t i c o d e i s u o ni. Immaginifiche, queste canzoni,
che sanno di pellicole in bianco
e ne r o , d i i n c e s s a n t i t o r m e n t e d i
n e v e, d i c a p p o t t i l u n g h i e p e s a n t i
c o p r i c a p i d a Tu n d r a . C o n l a s t e s s a
band a produrre e la mano di Ken
Thom a s ( S i g u r R ò s , m a n c o a d i r lo) ad aggiungere magniloquenza
e solennità (vedi i fiati e gli archi
in Co m e O v e r ) , l e c o o r d i n a t e s o n o
quell e d e g l i i s l a n d e s i f u n e r e i d i ( ) ,
c on u n a c o l t r e d i m a l i n c o n i a D i s i n t egr a t i o n a r i c o p r i r e . Tu t t o m o l t o
s u g g e s t i v o , c e r t o , p e c c a to ch e l a
l u n g a d i s t a n z a m e t t a duramente
a l l a p r o v a l ’ a s c o l t a t o r e n o n a vve zz o a d a t m o s f e r e t a n t o monocordi
- o v v e r o n a r c o l e t t i c h e e d i n e so r a b i l m e n t e i n m i n o r e ( c o n l ’ eccezione
d e l l a m i n a c c i o s a We G o H u n ti n g ),
c o n i s u o i b e i c r e s c e n d o e p i ci a l
p o s t o g i u s t o ( We A l l F a l l D o w n ) .
I l c h e s i t r a d u c e p i ù o m eno in: gli
iLIKETRAINS non sono male, e
q u e s t o E l e g i e s F o r L e s s on Learnt
m e r i t a l ’ a t t e n z i o n e c h e g l i compete
( o v v e r o , p i ù d i o g n i a l t r a uscita di
g e n e r e ) ; p e r ò , a l u n g o a n d a r e , o cchio alla noia. (6.4/10)
Antonio Puglia
I m p e r i a l Te e n – T h e H a i r T h e T V
The Baby & The Band (Merge,
21 agosto 2007)
Genere: indie-pop
D o p o c i n q u e a n n i d a l d ebutto su
M e r g e d i O n , t o r n a n o g l i Imperial
Te e n , l a b a n d d i R o d d y B o ttu m ( e x
F a i t h N o M o re ) c o n i l l o r o p o p so p r a ff i n o , s c r e z i a t o d i n o n sense e di
m e l o d i e d e n s e e c a r e z z e vo l i e sp i g o l o s e s o l o a t r a t t i . I r i f e r imenti più
vicini sono alle delicatezze melodic h e d e g l i u l t i m i Yo L a Te n go e allo
s c i a b o l a n t e o n d e g g i a r e note dei
s e m p i t e r n i B e l l e A n d S e b a s t ia n.
E v e r y t h i n g t a c a b a n d a c o n un soft
p o w e r p o p d e c l a m a n t e , tastiere e
s o l i d i c h i t a r r a c o m e p i o ve sse , Do
I t B e t t e r f a t a n t o Yo L a Te ngo su i t e c a s a l i n g a , S h i m S h a m r i sp o l v e r a l a g e n e r a z i o n e “ B i g Muff” dei
m e t à a n n i ’ 9 0 e B a b y A n d Th e Ba n d
è a n c o r a u n n u m e r o a l l a maniera
d e l t e r z e t t o d i H o b o k e n . Co n Room
Wi t h A Vi e w a r r i v a l o s pettro dei
B e l l e A n d S e b a s t i a n , d o ve i co r i
l a f a n n o d a p a d r o n a e i l pianoforte
sentireascoltare 63
e la batteria con un r i t m o u p t e m p o
conducon o il tu tto d ent r o t r adiz ionalismi pop d’oggi, n i e n t e p i ù c h e
soffic i e sba razzin i.
La minestra non cambia quando i Nostri provano a mutarsi in
fantasmi glam-pop (la “grandeur
plasticosa e zuccherina” di Fallen
Idol) o ritentano il numero power
(la coda di It’s Now e Sweet Potato), ma il meglio lo danno quando
si limitano a toccare il cuore con
melodie soffici e con cori dolci da
regalare ai primi vagiti di autunno
come nella conclusiva e deliziosa
W h a t Yo u D o . .
U na ba nd che è in g ir o dal 1996 e
che ha attraversato i l p o w e r p o p
più “disgraziato” per p o i a p p r o d a r e
ad una forma canzo n e p i ù c o n s o n a
e più coerente, fino a d a v v a l o r a r e
una strad a fatta d i squis it o pop m oderno, delicato, trad i z i o n a l e s e n z a
essere vecchio den t r o … Q u e s t o è
uno di qu ei disch i c he f anno bene
al cuore . (6.2 /10 )
a fuoco della calligrafia. Scaletta
di soli tre pezzi inaugurata da una
We Roc k ch e è s u a d e n t e i n t r u g l i o
Depeche M o d e / M a s s i v e A t t a c k /
Japan, il p a s s o b l a n d o e i n e s o r a b i l e t r a r i ff e t t i n i d i s y n t h e b r u s i o d i
chitarre, il canto setoso di Johanna
Tham a s p a r g e r e f l e m m a s u l l ’ i n quietudine.
C’è ques t a s p e c i e d i e n e r g i a t r a t tenuta sotto la patina, di sensualità
c o c c i u t a m e n t e d i ff e r i t a , c h e a t t r a e
r is c hiando p e r ò u n ’ e c c e s s i v a a l g i d i tà. Lo stesso accade nella più tesa
Kam a ( s or t a d i K i m Wi l d e r e i n c a r nat a t r a ugg e w a v e , a r z i g o g o l i D a f t
Punk e v a m p e d i o t t o n i ) e n e l l a
r um ba r obo t i c a d i C r a c k ( s c r e z i a t a
di umori jazzy e additivi chill-out).
Alla ricetta manca forse un pizzico
di cattiveria, ma ti viene voglia lo
s t es s o d’inf i l a r c i i l d i t o . P i ù d i u n a
v olt a. ( 6. 8/ 1 0 )
Alessandro Grassi
Jakob Olausson – Moonlight
Farm (De Stijl-Sub Pop / Audioglobe, ottobre 2007)
Genere: weird folk
Jakob Olausson è un ragazzone
s v edes e c h e l a v o r a i n u n a f a b b r i ca di zucchero da barbabietola. Nel
tempo libero Jakob strimpella la sua
chitarra acustica e biascica parole
introverse con un piglio da crooner
ingobbito e l’aria di chi è talmente
depresso che le parole escono fuori
dir et t am ente i m p r e g n a t e d e l s a p o r
d i J a c k D an i e l s . N o n s i s a c o m e ,
ma De Stijl lo nota e l’anno scorso
dis t r ibuis c e M o o n l i g h t F a rm s o l o
in v inile. D a l m o m e n t o c h e i l m e r cato del weird folk si è allargato a
s uff ic ienz a e i n v i r t ù d i u n a t i r a t u r a
comunque esigua, Jakob riesce a
piazzare qualche disco. Quest’anno
De St ijl non p a g a d e l l o s f o r z o c o m piuto l’anno passato, fa una joint
v ent ur e c on S u b P o p e o r a d i s t r i b u isce il disco a tiratura più elevata
e in pratico formato compact disc.
E’ in ques t a v e r s i o n e c h e a s c o l t i a m o M oonl i g h t F a rm. L a p r i m a c o s a
che salta all’orecchio è la chitarra
s c or dat a e l ’ a s s o l o d i s i t a r d e l p r i m o br ano. I m m e d i a t a m e n t e p e n s i a m o c he per u n J a n d e k c h e c i r i e s c e
c i s o n o 1 00 J a n d e k - w a n n a b e c h e
Inina Gap – We Rock EP (Automat, 7 settembre 2007)
Genere: electro fusion
Il buon d eb utto Sof t w ar e Soci et y
(Automat, 2005) ci l a s c i ò i l t i p i c o
formicolio d elle p rom es s e s t uz z icanti, in virtù d i qu ella f r egola dance cath cy be nché s t r ut t ur at a, s atura di memorie ele c t r o i n d i ff e r i t a
dagli Ottanta con c o p i o s i r i m b a l z i
N ineties. Nell’a ttesa del s ec ondo
lavoro lungo, il quin t e t t o a u s t r i a c o
(il cu i nome, per inc i s o , è P a g a n i n i
al contrario) ci offre l a p o s s i b i l i t à
di ap rire il file su di lor o c on un ep
che testimonia il pro c e s s o d i m e s s a
64 sentireascoltare
Stefano Solventi
v u o i p e r m a n c a n z a d i m i s t e r o , ca r i s m a e s t i l e , v u o i p e r l a p i ù t o t ale
d e f i c i e n z a d i s e n s o d e l l a m i s ur a ,
n o n t o c c a n o l e s t e s s e c o r d e e il
g i o c a t t o l o w e i r d i m m e d i a t a m e n t e si
r o m p e s o t t o i n o s t r i o c c h i n e l l a g o ff a g g i n e p i ù t o t a l e . C o n J a k o b no n
s i a m o p r o p r i o s u q u e s t i t e r m i n i , ma
p o c o c i m a n c a . L’ a r r a n g i a m e nto
d i q u e s t e s e r e n a t e d a “ f a b b r i c a” è
completamente fuori fuoco, comp l e t a m e n t e s b a l l a t o . N e l l e o c c a si o ni migliori possiamo andare a par a r e d a l l e p a r t i d e l M a t t Va l e n t ine
p i ù b u c o l i c o e “ h i p p i e ” m a d i l u i non
c ’ è c e r t o l a s t e s s a m a e s t r i a . P r eso
come esperimento estemporaneo e
“ n a i f ” s i p o t r e b b e a n c h e p e r d o n are
a J a k o b i l d e l i r a n t e a c c u m u l o d i fr e akerie che coprono melodie folk invero abbastanza scialbe, ma se De
S t i j l e S u b P o p a d d i r i t t u r a s i un i s c o n o p e r d i s t r i b u i r e u n d i s c o del
g e n e r e , a l l o r a c i c o n v i e n e t o r n are
a b u s s a r e a l l a p o r t a d e l l a C o r w ood
Industries (5.0/10)
Antonello Comunale
Jeffrey Lewis – 12 Crass Songs
( R o u g h Tr a d e / S e l f , 5 o t t o b r e
2007)
Genere: protest indie folk
C h e s u c c e d e s e m e t t i a s s i e me
L o u R e e d , A d a m G r e e n , J o n a t han
R i c h m a n , Wi l l O l d h a m e D a niel
Johnston? Succede che ti compar e d a v a n t i u n p e r s o n a g g i o n e c o me
J e ff r e y L e w i s , a l l u c i n a t o – e p p u r
l u c i d i s s i m o – t r o v a t o r e m e t r o p o l i ta n o , f o l k s t e r, f u m e t t i s t a e , p i ù s e m p l i c e m e n t e , a r t i s t a a t u t t o t o n do.
A r r i v a d r i t t o d a l c u o r e d e l l a G r a nde
M e l a , d a q u e l l a f u c i n a a n t i - f o l k che
u n i s c e i d e a l m e n t e M o l d y P e a c hes
e R o a d r u n n e r d e i M o d e r n L o v ers,
turn it on
Sunburned Hand Of The Man – Fire Escape (Smalltown Supersound, 2 ottobre 2007)
Genere: weird funk
Cosa p osso no m ai av er e in c om une J ulian C o p e e K i e r a n H e b d e n ? P r o b a bilme nte n ien t e, s e non f os s e c he ent r am b i h a n n o u n a p a s s i o n e s v i s c e rata p er i Su nbur ned Hand O f t he M an. C o m e o g n i a v a n t - m u s i c i s t a c h e
si rispe tti Kier an c om pr a r egolar m ent e Th e Wi r e e p r o p r i o l e g g e n d o u n
articolo della r i v i s t a i n g l e s e , s i i n c u r i o s i s ce a p r o p o s i t o d e l l a c o m p a g i n e
ame rica na , p or t apandier a – c om e s i legge n e l l ’ a r t i c o l o - d e l l a c o s i d d e t t a
”New Weird Am er ic a” . A quant o par e Kier an d i v e n t a r a p i d a m e n t e u n e s t i mato re d el g r uppo. Segue un t our in c ui i S u n b u r n e d f a n n o d a s p a l l a a
Four Te t e po i n e l m a r z o 2 0 0 6 q u e s t ’ u l t i m o r o m p e g l i i n d u g i s i a v v i c i n a a l
Revere nd o Jo hn M alony e gli c hiede s pas s i o n a t a m e n t e d i p o t e r p r o d u r r e
un lo ro disco , in m odo da dar e la s ua per s o n a l e v i s i o n e d e l l a b a n d . Q u e s t o d i s c o è q u i n d i i l r i s u l t a t o d i q u e sta
stra mba stori a d’am or e. Q uat t r o or e di r egi s t r a z i o n e c o n d e n s a t e d a F o u r Te t i n u n d i s c o d i p o c o m e n o d i 5 0 m i nuti, in cui c’ è u n a f u s i o n e i n t e g r a l e e p e r f e t t a t r a l a p s i c h e d e l i a f r e e f o r m d e l g r u p p o a m e r i c a n o e l ’ approccio
free jazz indie t r o n i c o d i F o u r Te t . C o s ì c o m e l o s c i e n z i a t o S e t h B r u n d l e s i f o n d e v a c o n l a m o s c a p e r d i ventare un
mostruo so ib r ido nel v ec c hio f ilm s ul Dot t o r K r i f a t t o d a C r o n e n b e r g , c o s ì F i re E s c a p e f o t o g r a f a i n t e gr a l m e n te
la cro na ca d i ques t a f us ione di s t ili, v is ioni e s u o n i . I S u n b u r n e d e F o u r Te t i n u n u n i c o o r g a n i s m o s o n i co . Su l l a
ca rta po teva v enir e f uor i una m os t r uos it à ab e r r a n t e c o m e q u e l l a d e l f i l m , m a i r i s u l t a t i s o n o d e l i z i o s a m en te d e g n i
di no ta. Il loro è un m at r im onio dec is o all’in f e r n o e p i ù p r e c i s a m e n t e n e l m i s t e r i o s o G i r o n e I n f e r n a l e d e l Gr o o ve .
Kieran la sa tr o p p o l u n g a p e r n o n p r e m e r e l ’ a c c e l e r a t o r e s u l p r o f i l o f u n k d e l b a s s o . C o n t e s t u a l m e n t e l ’ attenzione
pe r le p ercus s ioni v iene enf at iz z at a dal t a g l i o n e r v o s o c o s ì t i p i c o d e l m u s i c i s t a a n g l o - i r a n i a n o . D i c on tr o l ’ i n fern ale e fe rrat is s im o jam m ing dei Sunbur n e d , a d i s p e t t o d e l b r u t t i s s i m o Z p u b b l i c a t o a p p e n a a l c u n i mesi fa su
Ecsatic Peace , r e g a l a q u i u l t e r i o r i c a p i s a l d i n e l l a l o r o p e r s o n a l e s t o r i a d e l l o s b a l l o p s i c h e d e l i c o , i n i z iata con il
fen ome na le Jaybi r d e p r o s e g u i t a c o n r i s u l t a t i c o s t a n t e m e n t e a l t e r n i . P e r q u e s t o d i s c o d a n n o p e r a l t r o una mano,
co me memb ri eff et t iv i della band, M ic hael F l o w e r e B r i d g e t H a y d e n d e l l a Vi b r a c a t h e d r a l O r c h e s t r a . È co sì ch e
si otte ng on o br ani c om e Nic e But t er f ly M as k , T h e P a r a k e e t B e a t , F i r e E s c a p e e R a w B a c k w a r d s , a l l u c in a ti d e l i r i
psych fu nk, c on il bas s o in pr im a linea e la r i t m i c a a m a r c i a r e s p e d i t a v e r s o l a r o v i n a t o t a l e . Wh a t C o l o r i s th e
Sky in th e Wo r ld You Liv e I n? e The Wind h a s E a r s s o n o i b r a n i s u c u i p i ù s i a v v e r t e l a m a n o d i F o u r Te t. Oa si
lisergiche per c a l m a r e i l c a r d i o p a l m a t r a u n a f r e n e s i a e l ’ a l t r a . C h e i l d i s c o s i a r i f i n i t o i n o g n i d e t t a g l i o è presto
dimo stra to a nc he dall’ar t wor k oper a di Yam a t s u k a E y e d e i B o r e d o m s . U n a l t r o s p i r i t o a ff i n e c h e q u i n o n a vr e b be affatto sfig u r a t o c o m e m u s i c i s t a . U n l a v o r o d e l g e n e r e , i n u n m o d o m o l t o s o t t i l e e c o n n e s s u n a s u pponenza
retorica, chiu d e i n e v i t a b i l m e n t e i l d i s c o r s o s u l l a p r i m o c i c l o d e l l a N e w We i r d A m e r i c a . D i f a t t o , g i à d a un po’, si
po teva p arla r e di s ec onda gener az ione, m a m a n c a v a a n c o r a u n i m p r i n t i n g u ff i c i a l e . E c c o l o . ( 7 . 5 / 1 0 )
Antonello Comunale
sentireascoltare 65
il Dylan visio na rio del G r eenwic h
Village e il Lou sul m a r c i a p i e d e d i
Lexing ton 12 5.
Ha praticamente tut t i i n u m e r i p e r
farsi incoro na re d a pubblic o e c r itica come definitivo p e r s o n a g g i o d i
culto de i pro ssimi an ni, ed è pos s ibile c he ciò avve ng a c on 12 Cr ass
S o n gs , su o qu arto dis c o uff ic iale
- sen za co nta re le tant e aut opr oduzioni a partire dal 19 9 7 - s u R o u g h
Trade, che tra l’altro a r r i v a d o p o l a
mietitu ra d i co nsen s i del pr ec edente C ity & Eastern Songs ( f i r m a t o
insieme al fra tello J ac k ) e un t r ionfale tour in UK di s u p p o r t o a l s u o
maestro Da nn y.
N on vie ne men o il suo s ongwr it ing
intellig en te, b uffo , ac ut o, c olt o, divert ente e imp eg na t o, e nella c onsueta attitudine sim i l - s l a c k f a t t a d i
cori, coretti e filast r o c c h e - f a n n o
adess o l’occh iolin o ar r angiam enti ac curati e sugge s t i v i ( v e d i g l i
archi in cresce nd o di W h e r e T h e
N ext Co lumb us), q uando non s em pliceme nte e ccen tric i ( Wa l l s I n T h e
Oven). Ne l mirin o delle s ue per sonalissime pro test s ongs c ’è ov viamente l’amminist r a z i o n e B u s h ,
la gue rra, i ma ss m edia, lo s t at o
generale delle cose ; a m e t t e r c i a l
riparo dalla retorica i n t e r v i e n e l a
terrifican te ca tch yn es s d i b u o n a
parte de lle can zo ni ( quas i una c ontropa rte schierata d e i p r i m i B i s h o p
Allen, diremmo). E p o i , s e p r o p r i o
cercavate qu alcun o c he v i s piegas se co me, q ua nd o e per c hé “ P u n k I s
D ead”, l’avete final m e n t e t r o v a t o .
(6. 7/1 0)
Antonio Puglia
Je Suis France – Afrikan Majik
(Antenna Farm / Goodfellas, ottobre 2007)
Genere: miscellaneous rock
Da A thens, Georgia , c o m e B - 5 2 ’s ,
R . E .M., Pylon e il c ollet t iv o Elephant 6. Si n omin an o J e Suis Fr ance e sono al terzo fu l l l e i g h t , m a a l
sot t oscritto – mi si per doni la negligenza – suonano nu o v i c o m e d e l l a
prima o ra.
Li ignora vo in so mm a, m a gir ov agando per il web h o s a p u t o d i u n
loro sp lit con g li Aci d M ot her Tem ple e l’id ea su l lo ro c ont o c om in-
66 sentireascoltare
c i a v a a p r en d e r f o r m a . Tr a l a s c i o i l
wor ld wide w e b e m i c o n c e n t r o s u l
dis c het t o, l a s c i a n d o p a r t i r e l a p r i m a t r ac c ia d i A f r i k a n M a j i k , S u f f i c ient ly Br ea k f a s t , u n a s u p e r n o v a d i
s e d i c i m i n u t i c o n r i ff i n g p r o t o - s p a c e
e s olis t a le r c i a c o m e i l J a m e s Wi l liam s on deg l i S t o o g e s ; c ’ è a n c h e
un t int innio m o n o t o n o d i t a s t i e r a
c he s a m olto S c o t t T h u r s t o n ( s e m pr e St ooge s ) e l a c o s a , c o n f e s s o ,
piace a me come al pulsare delle
m ie v ec c hie J b l .
Ce ne vuole di coraggio a piazzare
un m onolit e d e l g e n e r e a d a p e r t u ra disco e giocarsi buona parte del
minutaggio; ma il coraggio, si sa,
spesso collima con incoscienza e
ques t i J e S u i s F r a n c e n e h a n n o d a
v ender e pe r c o m e s a l t a n o c o n a r dir e dalle p a r t i d e i B e l l e A n d S e bast i an ( T h a t D o n ’ t W o r k T h a t We l l
For Us ) e s y n t h - p o p ( m i c a f a c i l e
evocare all’unisono The Perfect
Kis s dei Ne w O r d e r e E v e r y Ti m e
dei Radio D e p t , e p p u r e T h e L o v e O f
The Fr anc e c i r i e s c e ) c o n d i s i n c a n tata attitudine mista a scazzo come
dei Violent F e m m e s n e l g a r a g e a f f ianc o ( Che m i c a l A g e n t s ) .
Giocano molto, si divertono (vedasi
le f ot o int e r n e d e l b l o o k e t ) e z i g z agano dai Tr a n s A m ( Wi z a r d O f
Point s ) a l l a s i n t e s i p i n k f l o y d - i a n a
– un po’ Ba r r e t t e m o l t o R u n L i k e
Hell – di W h a l e b o n e , c h i o s a n d o i l
t ut t o c on un n u m e r o i n l e v a r e , N e v er G onna To u c h T h e G r o u n d , p a c ione c om e l o e r a n o c e r t i X T C . D a
qualche parte ho letto una cosa tipo
“ H e r e C o m e t h e Wa r m J e t s p l a y e d
by Super c h u n k ” e v i s t a l a n a t u r a
c ent r if uga d e i N o s t r i , n o n c h é l a v or ando di f a n t a s i a , c i p u ò a n c h e
s t ar e. L’ide a f a t t a s i a l p r i n c i p i o v a
a f ar s i bene d i r e . A n o i s o n o g a r b a -
t i . E m u l ( p r o g ? s p a c e ? p o p ? ) r ock
meets smiling. (7.0/10)
Gianni Avella
Jenny Hoyston - Isle Of (Southern / Goodfellas, settembre
2007)
Genere: wave folk rock
U n d i s c r e t o s h o c k c e l o r e g a l ò già
H a l l w a y s O f A l w a y s , l a v o r o a q ua tt r o m a n i a s s i e m e a Wi l l i a m E l liot
Wh i t mo re , n e l q u a l e l a H o y s ton
r i v e l a v a u n ’ i n o p i n a b i l e a t t i t u dine
c o u n t r y r o c k . D a u n a E ra s e E rrat a
è p r e s s a p p o c o l ’ u l t i m a c o s a c h e mi
s a r e i a s p e t t a t o . P a r e t u t t a v i a che
a f o l k p i ù o m e n o r o o t s J e n n y si a
e ff e t t i v a m e n t e c r e s c i u t a , l a q u a l
c o s a d e v e a v e r l e l a s c i a t o i n e r ed i t à b a t t e r i c h e o g g i s b o c c i a n o d opo
l u n g a i n c u b a z i o n e . G l i s t e s s i ch e
o g g i c o n t e n d o n o i l t i m o n e d e l l a sua
c i f r a s t i l i s t i c a a l l a v e r v e l o - f i / n oise
e a l l e u b b i e g r r r l / w a v e . L a r a g azz a , v a d e t t o , s e m b r a m a r c i a r c i alla
g r a n d e . S a p e n d o d i a v e r e u n bel
c r e d i t o d i s t i m a e v e r g i n i t à i n d i e da
s p e n d e r e , f a i n m o d o c h e l e d o dici
t r a c c e d e l d e b u t t o s o l i s t a a l t e r nino
tutto il campionario.
C o s ì , s c o r r e n d o q u e s t o I s l e Of
p a s s i d a l l i v i d o q u a d r e t t o Wi re di
I D o n ’ t N e e d E m ’ a l l a s o r d i d e zza
e l e c t r o b l u e s - u n p o ’ Wa i t s , u n p o ’
P J H a rv e y - d i R u f f . . R u f f . . / R ai n b o w C i t y , d a l l a f i l a s t r o c c a L a urie
A n d e rs o n / S t e re o l a b d i E v e r y o ne’s
Alone al folk/blues pressoché Lan e g a n d i S e n d T h e A n g e l s , d alla
J o a n J e t t s t r a t t o n a t a S o n i c Yo ut h
d i S p e l l D - O - G a i g u i z z i d a n i p o t ina
s c r e a n z a t a d i L o re t t a Ly n n i n E ven
In This Day And Age.
Co nvincon o i pez z i, s ia quelli dalla scrittu ra br us c a ed es s enz iale
(ved i Bring B ac k Ar t , u n p i z z i c o d i
Stooges via Sl eat er Ki nney) c h e
q ue lli stra na m ent e ibr idat i ( la r it imica bossa tr a g r u g n i t i d i c h i t a r r a
d i No ve list). C o n v i n c e u n p o ’ m e n o
il fatto che sti a n o i n s i e m e , o m e g l i o
non è chiaro c o s a l i f a c c i a s t a r e u n o
a ccan to all’a lt r o, uno dopo l’alt r o. I
prossimi lavo r i d i J e n n y d o v r a n n o ,
tra le a ltre cos e, dar c i qualc he r ispo sta in p rop os it o. ( 6. 8/ 10)
Stefano Solventi
Ma non tutte le ciambelle vengono
c ol b u c o . E q u e s t a v o l t a i l c a n t a u tore americano lascia un po’ troppo
il filo della propria ispirazione ad
epis o d i c h e b a l l a d d a l s a p o r e c o u n t ry o cavalcate folk oscure, territori
c he h a g i à b a t t u t o m a c o n u n a c a pac ità d i s c r i t t u r a s i c u r a m e n t e m i gliore. Qui manca il piglio melodico
v inc e n t e , l a b o u t a d e r i u s c i t a c h e
riesca pienamente a convincere. Ci
sono episodi buoni, come il cantare
la libertà della mente che vola oltre
le ba r r i e r e d i u n a J a i l b i r d s u s s u r r at a, o c o m e l ’ o p e n i n g A To w n C a l led A m e n c h e t r a s u d a s o u l d a o g n i
poro e che respira sincerità da ogni
ant r o .
M olt i e p i s o d i m e d i m a i l f a s c i n o l a t i ta e il coinvolgimento emotivo a cui
av ev a a b i t u a t o è s t a t o m o m e n t a neam e n t e m e s s o i n d i s p a r t e , f o r s e
per una fruizione migliore che però
ha traghettato il livello di qualità ad
uno s t r a t o d e c i s a m e n t e p i ù b a s s o .
Si rimane speranzosi per il futuro
ma per adesso non si va oltre un
( 5. 5. / 1 0 ) .
Alessandro Grassi
Jim
White
–
Tr a n s n o r m a l
Skiperoo (Luaka Bop – V2, 1 ottobre 2007)
Genere: folk-rock
Jim White è u n u o m o c o m p l e s s o e
un cantautore e c c e l l e n t e . D a u n a
pa rte la ten s ione v er s o la r eligione e i fu riosi dubbi c he ne c onse gu on o, da ll’alt r a una v is c er ale
passione alla d e s c r i z i o n e f i g l i a d i
quell’America m e m o r e d i F a u l k n e r
e di Hemingwa y. E p o i c ’ è i l J i m c o n
la sua chitarra e l e t t r i c a e i l s u o f o l k
rock de lica to c om e f os s e la m anna
più semplice, f i g l i a d e l l a t r a d i z i o n e
Nine ties ch e ha agglom er at o es pone nti come i Wi l co f r a le s ue gem me più p rezios e. Dopo quel m ez zo ca po lavoro c he è D r i l l A H o l e
In That Subs s t r a t e A n d Te l l M e
Wha t You Se e W h i t e s i è c o n c e s s o
tre a nn i di p aus a per t ir ar e le r edini a se. Quell o c h e e s c e n e l n u o v o
Tr a ns nor m al Ski per oo è u n o s t a t o
nu ovo d i evanes c enz a alla s ens azio ne di sen tir s i liber i e r es pir ant i,
un n uo vo d esc r iv er e un r oc k delicato, speziat o d i s o ff i c i a t t i m i d a
cristallizzare e d e d i c a r e a l l ’ i n f i n i t o .
Joe Henry – Civilians (Anti /
Self, 14 settembre 2007)
Genere: songwriting
Ar r iv a t o a l d e c i m o a l b u m e a l s e c ondo s u A n t i , i l s o n g w r i t e r e p r o dut t o r e J o e H e n r y ( A l l e n To u s s a i n t /
Elv is C o s t e l l o , A n i D i F r a n c o ) s i
c ir c o n d a d i u n m a n i p o l o d i c o l l a b o r a t o r i e c c e l l e n t i ( Va n D y k e P a r k s ,
Bill Frisell per citarne alcuni) per
un di s c o d i r o c k c l a s s i c o i m p a r e n tato da un lato al songwriting del
pr im o To m Wa i t s , q u i n d i c o n t u t t e
le t e n s i o n i b l u e s y e n o t t u r n e d e l
c as o ( s i v e d a l ’ i n c i p i t c o n C i v i lians ) , d a l l ’ a l t r o c o n t u t t a l a t r a d i zione della canzone d’autore che
v a da D y l a n i n g i ù ( P a r k e r ’s M o o d ) ,
pas s a n d o p e r i l C o s t e l l o a m e r i c a no e le sue orchestrazioni solenni
( l’ele g i a d i C i v i l Wa r , c o n P a rk s a l
piano) e il pianismo classico di un
Rand y N e w ma n ( O u r S o n g , I Wi l l
W r it e M y B o o k ) .
La c r e m a d e l l a s o n g d ’ a u t o r e a m e r ic an a q u i n d i . A c u i H e n r y s i a v v i c i na per osmosi ed esperienza, con
un d i s c o g o d i b i l e e b e n p r o d o t t o .
C h e s u o n a b e n e e s i l a s c i a a sco l ta r e c o m e t u t t i i c l a s s i c i d e l su o g e nere. (6.8/10)
Te r e s a G r e c o
José Gonzáles - I n O u r N a t u r e
( I m p e r i a l / F a m i l y A f f a i r, 2 4
settembre 2007)
Genere: folk songwriting
I numeri, José Gonzáles se li è conquistati tutti, diciamolo. Con le 700
mile copie vendute di Veener il quasi trentenne ha sbancato tutti i tavoli più prestigiosi e ambiti, dal South
By Southwest di Austin ai vari dischi
di platino e oro in diverse parti del
mondo, fino a conquistare letteralmente il Nuovo Mondo. E c’è di che
essere contenti per un successo più
che meritato, quando le doti e le capacità sono così evidenti. Per cui
non suona più di tanto eccezionale
l’attesa che si è montata all’indomani delle prime indiscrezioni sulla sua
ultima fatica. In Our Nature, un titolo dall’aura tanto universale quanto
personale in realtà è l’approccio. Era
già affiorato quel modo introverso e
quasi maniacale nella costruzione
dei brani, quel ripiegamento su se
stessi alla ricerca della perfezione
formale che senza forzatura alcuna
si apre alla facilità d’ascolto, alla
limpidezza di certe soluzioni che
trovano nello stile classico il volano
per la modernità. Segni particolari,
che istigano ad una qualche reazione, che sia spegnere il lettore, andare avanti o ricominciare daccapo.
Ecco, il più delle volte capita con lo
svedese proprio quest’ultima, del
tipo: “forse qualcosa mi è sfuggito,
riascoltiamo”. Non è certo da meno
questo secondo lavoro, dunque, che
sentireascoltare 67
lascia perplessi e quasi allontana,
o cerca di tenere a distanza, nonostante l’intenso richiamo sgusci via
da quella porta socchiusa appena
dietro le nostre spalle. Ė così con
The Nest e Fold che nulla aggiungono alla storia scritta dalla sei corde del Nostro, un po’ Drake un po’
Simon & Garfunkel, episodi minori
che dischiudono l’oscura intensità
che si nasconde tra gli accordi di
How Low o Down The Line (voce
profonda e guizzi chitarristici quasi percussivi per un’accusa verso la
stupidità umana che stenta ad imparare dai propri errori), nelle aperture quasi Sixties della title track,
nel lungo crescendo della conclusiva Cycling Trivialities (risplende
una volta di più l’impennata ritmica
della chitarra), nel perverso e attraente ipnotismo di Teardrop, densa e
sinistra proprio come l’originale dei
Massive Attack. Il resto scorre via
senza troppo rimanere impresso,
ciò che avevamo assaporato nella
collaborazione con gli Zero 7 non
si è trasformato in realtà, lasciando
in stand by la curiosità di vederlo e
sentirlo in altre vesti, deludendo in
parte le aspettative riposte e riproponendo uno stile sempre ammaliante e ben congeniato (e il carattere deciso di Down The Line o How
Low lo dimostrano ampiamente), ma
fin troppo circolare e riconoscibile,
soprattutto quando assestato su
toni pacati come nelle già citate The
Nest o Fold. Resta comunque la certezza di una scrittura matura, in cui
ghiaccio e fuoco, natura e artificio,
fede e disperazione, vengono condensati in una precisione artistica di
appena 33 minuti, ma saremmo stati
ben più soddisfatti se José avesse
imparato ad osare di più. E chissà
che la prossima volta non ci prenda
in considerazione. (6.8/10)
Va l e n t i n a C a s s a n o
D e v a s t a t i o n s – Ye s , U ( B e g gars Banquet / Self, 19 ottobre
2007)
genere: songwriting electro-noir
Di questo trio australiano trapiantato
in Europa se ne è parlato di recente, quando l’anno scorso la Beggars
68 sentireascoltare
Banquet ha ristampato il loro Coal;
è bastato per far sì che nascesse un
piccolo culto anche dalle nostre parti. Quello era già il secondo album
dei Devastations, formazione debitrice in larga parte al romantico songwriting noir del conterraneo King
Ink e dei cari vecchi Tindersticks;
adesso, per il primo album rilasciato direttamente dalla storica label
inglese, quelle atmosfere rarefatte
e fumose si fanno liquide, dense e
sfuggenti come il mercurio.
I n Yes, U s i d e l i n e a i n s o m m a u n a
s v olt a a t utt i g l i e ff e t t i , i n d i r e z i o ne di una personalità più marcata;
m er it o dell’e l e t t r o n i c a ( i l c u i u s o c i
r ipor t a dr it t i d r i t t i a g l i u l t i m i s s i m i
Low , c om e i n O h M e O h M y ) , c h e a l tresì vira il sound verso certa wave
’80, quando non verso il trip hop (il
dens o t app e t o d i T h e P e s t ) , s e n z a
t im or e di n a s c o n d e r e c e r t e v e l l e i t à da s ound t r a c k ( g l i A i r i n f a t u a t i
G ains bour g d i A s S p a r k ) ; a l t r o v e l e
t int e s i f ann o d i s t o r t e ( R o s a ) , p o p p y
( M is t ak e) , a c u s t i c h e ( T h e F a c e O f
Lov e) . N e s s u n m i r a c o l o , b e n i n t e s o ,
ma i segni di una bella crescita non ancora completa, ci sembra - ci
s ono t ut t i. ( 6 . 8 / 1 0 )
pero dell’estro compositivo il quale
però, ripulito di quelle bizzarrie psichedeliche che oggi non hanno più
ragione d’essere, porge il fianco a
una poco coinvolgente semplicità.
Only Heaven Knows, Baby Come
Home, Unfairground sono l’Ayers lezioso e pop, adagiato su una morbidezza che gli anni potevano come
minimo accentuare. Arrangiamenti
con archi a cantare melodie risapute,
spezie latine a ricordarci che il sole
di una spiaggia è preferibile a una
vecchiaia maledetta. Fa piacere alle
orecchie la psichedelia della porta
accanto di Cold Shoulder. Quando il
discorso si fa appena più spedito e
rock (Wide Awake) il Nostro si rivela
uno dei tanti cantautori di talento (e
oggi è già molto). Episodio più riuscito: Brainstorm. Tutto viene messo
a tacere con una Run Run Run che
non ci vorrà molto per dimenticare.
Intervengono alla festicciola: Phil
Manzanera, Jeff Baron, Euros Childs,
Gus Franklin, Graham Henderson,
Isobel Knowles, Kellie Sutherland,
Bill Wells, Wyattron, Dave McDonald, Luca Cantucci… Ripescato in
sala di registrazione Hugh Hopper,
Ayers dovrebbe tornare a circondarsi
degli Allen, Oldfield, Coxhill ecc. per
sperare in un ritorno che coinvolga
i più disillusi. Ma forse i tempi sono
cambiati, per tutti. (6.5/10)
Filippo Bordignon
Antonio Puglia
K e v i n Ay e r s – T h e U n f a i r g r o u n d
(Lo-Max, settembre 2007)
Genere: songwriting
Erano in pochi ad attendere un capolavoro dal nuovo album di Ayers.
Solo i nostalgici meno smaliziati. Gli
altri non si alzeranno dalla sedia per
la standing ovation. Vero è che questo The Unfairground, confrontato
con gli album più recenti (si fa per
dire; l’ultimo, Still Life With Guitar,
risale a 15 anni fa) dimostra un recu-
K K N u l l – F e r t i l e ( To u c h / F a m i l y A f f a i r, a p r i l e 2 0 0 7 )
Genere: noise / field
recordings
R i c o r d a t e i l d i s c o N u mb e r O n e ? La
collaborazione tra KK Null, z’ev e
C h r i s Wa t s o n , u s c i t a s u To u c h un
anno e mezzo fa, che univa sapien-
turn it on
Ta l i b a m ! - O r d i n a t i o n O f T h e G l o b e t r o t t e r i n g C o n s c r i p t s ( A z u l
Discografica, 2007)
Genere: post noise/jazz
Or dina tion O f The G l obet r ot t er i ng Consc ri p t s è i l p r i m o d i s c o “ u ff i c i a le” del combo d o p o l ’ e s o r d i o o m o n i m o s u E v o l v i n g E a r d e l l ’ a n n o s c o r s o .
Ancora una v o l t a i l j a z z v i e n e s o t t o p o s t o a d u n a t t a c c o b a t t e r i o l o g i c o d i
antracite aritm i c a . Va r i a n t e i n d i s t r u t t i b i l e d e r i v a t a d a l g e n i o d i K e v i n e M a t
sop rattu tto. Il lor o c onnubio ai r is pet t iv i s t r u m e n t i d e v a s t a ( R e v o l u t i o n a r y
Bu mmer We ed ) , il r es t o c e lo m et t e la s f ilz a d i o s p i t i p r e s e n t i : M o p p a E l liott, Michael E v a n s , P e t e r E v a n s , J o n I r a b a g o n , S a m K u l i k , R o b b i e L e e .
L’album è un p i c c o l o c a p o l a v o r o d i s g r a m m a t i c a t u r a p o s t ( n o i s e , j a z z , e
perchè no... a n c h e r o c k ) . L a v e r t i g i n e f r e e è a n z i t a l m e n t e p o t e n t e c h e
fa reb be , in u n f ilm di s c i- f i, l’eff et t o di un a b o c c a t a d i o s s i g e n o t r o p p o
p uro su org an is m i abit uat i ad inalar e az ot o . U c c i d e ! I c o m p o n i m e n t i k i l l e r s o n o t a n t i . L a m e t r o n i m i c a Guns And
Bu tter, che sf r i g o l a v i a s u i n t e r m i t t e n t i s e g n a l i s i n t e t i c i m e n t r e s a x c o l t r a n i a n i ( e n o n s o l o ) s ’ a r r a m picano ad
u ng hie stre tte s ul s uono- r um or e s ov r aes pos t o . S p e t t a c o l a r i p o i i 1 3 m i n u t i , a s i p a r i o q u a s i c a l a t o , d i T h e Spectre
Of Wa ter Wa r s , m odello di f us ion nuc lear e i n a u d i t a e s e n z a l o s c a m p o l o d i u n r i f e r i m e n t o s t i l i s t i c o c h e si a u n o .
Ca po lavoro ( 8. 0/ 10)
Massimo Padalino
sentireascoltare 69
temente field recor d i n g s a s u o n i
digitali? Ecco , q ue s t o Fer t i l e, c o n
tit olare il solo KK N ul l , s i p r o p o n e
come u na n atu rale p r os ec uz ione di
quell’e sp erie nza, an c he s e le diff erenze restano eviden t i . I n f a t t i t a n t o
N u mber One p un tav a all’iper t r of ia
sonor a , tan to Fe r til e f a del m inimalismo la sua ca rat t er is t ic a pec uliare; pochi elemen t i c o i n v o l t i m a
sempre significativi: s u o n i r o b o t i c i
che si in treccia no co n r igur git i liquidi (03), ep ilettiche s inewav es unit e
a dron es urb an i (05) , d i s s o n a n z e
metalliche che irrom p o n o s u t a p p e t i
di bleep s e glitche s f ut ur is t ic i ( 06) .
Il tutto in una fusio n e p e r f e t t a t r a
suono an alo gico e s uono digit ale,
tanto da renderli indi s t i n g u i b i l i l ’ u n o
dall’altro . Pro prio q ues t o è uno degli elementi più si n g o l a r i , i n f a t t i
pur presentando u n a m o l t i t u d i n e
di fonti sonore, dal c i n g u e t t i o d e g l i
uccelli alle batterie i n d u s t r i a l , d a l
crepitio del fuoco ar d e n t e a d r o n e s
di rumo re bia nco, F er t i l e d i m o s t r a
una, forse inspera t a , o m o g e n i t à ,
un’unica vision e di un m ondo dis umanizzato in balia d e i s u o i i s t i n t i
più primordiali e terr i f i c a n t i .
La ric erca musica le di KK Null s em bra no n co no scere p aus e: r ic or diamo anche la recente c o l l a b o r a z i o n e
con Daniel Menche e l o s p l i t c o n
gli Earth del 2005, d o v e i l N o s t r o
ci dimostra come g l i s i a d i ff i c i l e
fossilizza rsi su g en er i, s t ili o pr at iche ma che al contra r i o s i a s e m p r e
aperto a n uo ve sfide e or iz z ont i s onori. (6 .5/1 0)
de del Br it P o p , s o l t a n t o g l i E l e c ktroids si erano genuflessi al Kling
Klang con tanta devozione.
Anche all’interno di uno stesso
i d i o m a , l e d i ff e r e n z e t u t t a v i a n o n
m a n c a v a n o: r i s p e t t o a l l ’ e s o r d i o d i
ques t ’ult im i ( E l e k t ro w o rl d u s c i t o
peraltro un anno dopo), il sound
dei Komputer si caratterizzava per
la f as c inazi o n e f u t u r i s t a / c o s t r u t t i v is t a piut t o s t o c h e p e r l a c o m p o nente elettrica-robotica (divulgata
in m odo m a s s i c c i o d a i D a f t P u n k ) .
Dunque più u n a ff a r e d i S p u t n i k e
m ac c hine d a c a l c o l o c h e u n ’ a t t i t u d i n e c a r t o on a u t o i r o n i c a .
L’at t uale Sy n t h e t i c , a l b u m d i r i t o r no pr opr io a l l e s o n o r i t à d e l l ’ e s o r dio The Wo rl d O f To mo rro w , d i
ironia infatti non è ha per nulla,
anz i, l’es t e t i c a r i m a n e l a m e d e s i m a in r is po s t a / f u s i o n e a l l e s o n o rità rinnovate del rientro in studio
dei M anneq u i n s d i D ü s s e l d o r f . N o n
s or pr ende t r o v a r e S i r E n o e p i ù
indiet r o s ua m a e s t à S t o c k h a u s e n
tra le influenze dichiarate piuttosto
che Gary Numan e i suoi anthem
t ec hno- adol e s c e n z i a l i , e p p u r e p a r -
70 sentireascoltare
Edoardo Bridda
La Sornette – Etnoacustica (Etnoacustica, settembre 2007)
Genere: etnico
Se non apprezzate il suono dell a f i s a r m o n i c a , d e l l a g h i r o n d a , del
b o u z o u k i o d e l b a g h e t , s e l a s v olta
e t n i c a d i D e A n d r è n o n v i h a mai
c o n v i n t o , s e l ’ u n i c a f o r m a d i d a nza
che concepite è quella che si ball a s u i r i ff e l e t t r o n i c i d e i F a i n t , te n e t e v i a l l a l a r g a d a q u e s t o d i sco.
Qui si parla la lingua della terra, il
d i a l e t t o d e l l e c a m p a g n e d e l l ’ I t alia
s e t t e n t r i o n a l e , e l o s i f a v e s t e ndo
l e m e l o d i e c o n g l i a b i t i a m p i d elle
c l a s s i p o p o l a r i e q u a l c h e c o p r i c apo
v i s t o s o i n s t i l e P F M ( l e t a s t i e r e di
C a r n i v è ) . S o t t o l a s u p e r f i c i e , folk
a u t o g r a f o , b r a n i t r a d i z i o n a l i , w orld
m u s i c , s u o n a t i d a u n g r u p p o di
s t r u m e n t i s t i c a p a c i e d a l l a p r e p ar a zione classica. (6.5/10)
Fabrizio Zampighi
Nicolas Campagnari
Komputer - Synthetic (Mute, 16
agosto 2007)
Genere: Kraftwerk, indietronica
I Komputer non fann o m i s t e r o d e l l a
loro fede indefessa p e r i K r a f t w e r k .
Loro stessi d ich iara v ano nel 1998
che l’unico modo p e r c o n t r a s t a r e
lo strapotere degli O a s i s e r a q u e l l o
di formare una ban d c h e t o r n a s s e
a far sog na re g li am ant i del s y nt hpop ge rman -brita nn ic o. Er ano t em pi non sospe tti: il pr im o album at terrava quell’anno, g i u s t o p r i m a d e l
rit orn o Ottan ta di iniz io Duem ila
e anteced en teme nte, nella dec a-
o l ’ a p p r o p i n q u a r s i a u n a t e o r i a di
trancedub in Synthetik aprono int e r r o g a t i v i s u l l a b r a v u r a i n e s p r e ssa
appieno dal duo.
Rifare i Kraftwerk oggi è un’impres a f a t t i b i l e : b a s t a p a r t i r e d a una
s c r i t t u r a s o l i d a . Q u e s t o s i s t e ma t i c a m e n t e l o d i m e n t i c a n o t u t t i . Un
c o n s i g l i o p e r c h i – c o m e p o c h i - non
p o s a : l ’ u l t i m o R i g h e i r a . C ’ è d ella
farina propria nel sacco. (5.0/10)
liam o pur se m p r e d i p o p . P o p s o n g
depur at e de l l a c u p e z z a s y n t h f i n e
Set t ant a, a t u t t o f a v o r e d e l l ’ i n d i e tronica leggera della laptop music
ma – tocca dirlo - senza catchyness
( il s ingolo d e b o l u c c i o L i k e A B i r d ) .
A l m a s s i mo d e l l o r o p o t e n z i a l e ,
i Komputer potranno anche venir
s c am biat i p e r g l i o r i g i n a l i ( i n v e r sione Duemila chiaramente), ma
più pr opr iam e n t e v i e n e d a p e n s a r e
a un dis c o d i b a s t a r d p o p Ta rw a t e r
( Headphone s a n d R i n g t o n e s u n s e m iplagio) v e r s u s T h e M a n M a c h i ne ( Blak ie) , p u r e q u a n d o l e t o s t e
s per im ent az i o n i c o m e G l o o p y , R a i n
Luke Vibert - Chicago Detroit
Redruth (Planet Mu / Goodfellas, ottobre 2007)
Genere: aceed, ambient drum’n’bass
S e m p r e i n p r i m a f i l a n e l m i s s are
o n d u l a z i o n e d a n c e e I D M , L uke
Vi b e r t , i l r a g a z z o g e n t i l e d e l l ’ e le ttronica albionica, è uno dei figli più
e m b l e m a t i c i d e l l a m e n t a l i t à m e s co lona e scazzona dei Novanta. È da
c i r c a u n l u s t r o c h e i s u o i a l b u m si
c a r a t t e r i z z a n o p e r u n ’ a l t e r n a nza
d i a c i d t r a c k c h i c a g o a n e ( P h utu r e , Tr a x R e c o r d s ) e u n i n d i e t r on i c a m a d e i n P l a n e t M u , N i n j a Tu n e ,
Wa r p e R e p h l e x , c o m e è n o t a la
z a m p a t a n e l l a s e r i e d i 1 2 ’’ A n a l ord
a f i r m a A F X c h e p r e n d e v a n o i l t i tolo
proprio da una canzone dell’album
Lov er ’s Acid.
Chica go Detroi t Redr ut h è m e n o
a cid di q ue st’ ult im o e pr obabilm ente più vicino a Yoseph ( c h e t u t t a v i a
g li riman e super ior e) , m a s os t anzialmente le c o o r d i n a t e s o n o d a t e :
b allo d i te sta e ballo di piedi, c it azion i old skool e t r am e t as t ier is t iche stile On (Aphex Twin) e L u n a t i c
Har nes s (Mu- Ziq) . I l per c or s o del
resto, è quel l o d i m o l t i r e d u c i d e i
Novan ta: ferm at a una gr iglia di s t ilemi, il la vo ro s i c onc ent r a s ui det tagli e sulla ci f r a s t i l i s t i c a a c q u i s i t a
dove senz’altr o n o n m a n c a l ’ e s t r o e
la timidezza, i l s o r r i s o e l a z a m p a t a
na ïf d i cui il n os t r o è c apac e. Cor rosiva Argu m ent Fly ( p e r R o l a n d
radioattiva e r i b o l l e n t e ) , l a n g u i d o
l’inte rlud io jaz z y alla M u- Ziq di Rot tin g Fle sh Ba gs , c om e eff ic ac i le
citazioni can t i e r i s t i c h e - a n a l o g i c h e
à la Ric ha r d D. Jam es in C l i k i l i k .
D’a ltro can to non m anc ano le ideuzze abusate c o m e i l r o b o t p a r l a n t e
d i Bre akbe at M et al M us ic , oppur e
i camp ion ame nt i s c i- f i di G od. L a
classe però p u n g e a n c o r a i n u n a
scin tillan te Com phex ( a c i d , l i r i s m i
ambient e disc o - f u n k m e s c o l a t i c o n
leggerezza) o n e l c a l e i d o s c o p i o
Swe t (jazz, h o u s e , p s y c h , e l e c t r o ,
exotica alla N i n j a Tu n e ) c o n t a n t o
d i fin alo ne iro nic o di un c ant ant e lirico. Un Viber t s e m p r e g o d i b i l e m a
u n p o’ ripe titiv o. ( 6. 5/ 10)
Edoardo Bridda
Madlib – The Beat Konducta
vol.3-4: In India (Stones Throw
/ Goodfellas, 28 agosto 2007)
Genere: indian hop
Il nu ovo lavor o di M adl i b, The Beat
Konducta v ol. 3- 4: I n I ndi a, è s per -
s onal i z z a n t e c o m e l a c o l o n n a s o n o r a di u n f i l m . È u n p a s t i c h e d i r o b b a
india n a , d i b e a t h i p - h o p , d i u n p r e s s appo c h i s m o f i l o l o g i c o e a n t r o p o l o gico simile a un b-movie, appunto.
M a, co m e g i à è a c c a d u t o d i r e c e n t e, il M a d l i b n o s t r o g i o c a c o n l a r e lazione tra individuale e collettivo,
e a noi ci piace abbastanza.
Come in altri suoi lavori, infatti, è
l’individualità autoriale a emergere,
e proprio nel lavoro di produzione;
d’alt r a p a r t e , p e r ò , è u n a c o l l e t t i v it à e s o t i c a c h e p a r l a , a n c o r p r i m a
c he a c a u s a d i c i ò c h e v i e n e s u o nato, ovvero musica indiana; anche
per c h é , c o m e g i à a c c e n n a t o , n o n è
per nulla una musica indiana valida
( s ent i t e p e r e s e m p i o l ’ i n c r o c i o s c i v a- s c i - f i d r u m ’ n ’ b a s s d i E a r l y P a rty, che, dai, è divertente), ma piena
di f il t r i o c c i d e n t a l i , c u l t - i s m i r i c c h i
di inse r t i c h e c i r i p o r t a n o a n o i . è
un flusso di inserti che blatera –
caratteristica proprio della cultura
dell’hip-hop da cui Madlib proviene;
un gioco di inserti giocato da una
f or m a m e n t i s f o r t e m e n t e c h i u s a i n
s é ep p u r e a g g r e s s i v a m e n t e r i v o l t a
all’es t e r n o . I n s o m m a l a r i p r o d u z i o ne d e l l ’ a r r o g a n z a c u l t u r a l e d i u n
m ond o c h e h a s u b i t o a r r o g a n z a . Vi s t a l’ i d e a d i f l u s s o ( e i l n u m e r o i m bar az z a n t e d i b r a n i ) , d u n q u e , n o n
ha senso citare un brano piuttosto
c he u n a l t r o ; T h e B e a t K o n d u c t a è
Madlib dietro che sta facendo il dj
per n o i , n e l l a r i c o s t r u z i o n e d i B a n gk ok c h e s i c u r a m e n t e c i d e v ’ e s s e r e a Ve g a s , e n o i s i a m o n e l l o c a l e
dove suona, potremmo benissimo
f ar e a l t r o , b e r e u n a b e v a n d a a l g u sto di tè alla menta in polvere, sent ir e u n p r o f u m o a r t i f i c i a l e d i s p e z i e ,
anc he g g i a r e … p e r p o i u s c i r e d a l l o c ale e r i t r o v a r c i t r a i m a l l e l e B r i t ney. ( 6 . 5 / 1 0 )
Gaspare Caliri
M . A . N . D . Y. - 1 2 G r e a t R e m i x e s
F o r 11 G r e a t A r t i s t s 2 0 0 1 – 2 0 0 7
(Get Physical / Audioglobe, settembre 2007)
Genere: electro/deep house
Se non avete confidenza con il
n o m e M . A . N . D . Y. , p r o b a b i l m e n t e
non avete molto a cuore le vicende
della d a n c e m u s i c . O p i n i o n e r i s p e t -
t a b i l i s s i m a e p e r c e r t i versi pure
c o n d i v i s i b i l e m a q u a l o r a vo r r e ste
m e t t e r e d a p a r t e , a l m e n o mo m e n ta n e a m e n t e , c h i t a r r e e d a mplificatori
p e r f a r p o s t o a d u n a s a n a iniezione
d i B P M , b e h , q u e s t o d i s c o è quanto
d i p i ù c o n s i g l i a t o o g g i i n ci r co l a zi o n e p e r a p p r o c c i a r e l e d e r i ve p o st
house.
P e n s a t o e g e n e r a t o ( o l t r e che per i
soldi) per tutti coloro che non aman o s b a t t e r s i a d a c q u i s t a re l e ve r s i o n i i n v i n i l e , 1 2 G r e a t Remixes
F o r 11 G re a t A rt i s t s 2 0 0 1 – 2 0 0 7 ,
r a c c o g l i e q u a n t o d i m e g l i o h a sa p u t o f a r e i l t e a m t e d e s c o nel corso
d e l l a p r o p r i a c a r r i e r a , d e str e g g i a n d o s i a b i l m e n t e t r a s p i g o l osi tà e l e ct r o e p r o f o n d i t à d e e p h o u se.
D i ff i c i l e c o n s i g l i a r e u n b r a n o r i spetto ad un altro, tanta è la qual i t à m e s s a s u l p i a t t o , a n c he se D a m a g e d i Ti e f s c h w a rz F e at . Tr a c e y
T h o rn , l a c l a s s i c a R o u n d R o u n d di
S u g a b a b e s e T h e T h r i l l Of It Al l dei
R o x y M u s i c s e m b r a n o possedere
q u e l t o c c o d i s e n s u a l i t à e sinuosità
i n p i ù c a p a c e d i f a r e l a d ifferenza.
Da avere. (7.7/10)
Stefano Renzi
Marhaug/Asheim – Grand Mutat i o n ( To u c h / F a m i l y A f f a i r, g i u gno 2007)
Genere: drones/minimal/noise
G ra n d M u t a t i o n o v v e r o s i n fo n i a e
r i t u a l e p a g a n o a s s i e m e . Prendete
u n p o d e r o s o e d i m p o n e n te organo
da chiesa (proprio come quello in
c o p e r t i n a ) c h e s i m e t t e a dialogare
c o n u n c o r r e d o d i o s c i l l ato r i si n u s o i d a l i e d i n t o n a r u m o r i de l Ve n tu nesimo secolo.
S i p o t r e b b e s i n t e t i z z a r e c o sì l ’ e so r d i o d i L a s s e M a r h a u g s u To u ch ( i n
c o a b i t a z i o n e c o n i l c o mpositore
n o r v e g e s e N i l s H e n r i k A s he i m ) ch e
p r e n d e l e m o s s e d a l p r o g etto Spir e
( c h e s i p r o p o n e d i i n d a g a r e l e a ffi n i t à e l e d i v e r s i t à t r a , u n an ti ch i ssi m o s t r u m e n t o , o v v e r o l ’ o rgano e le
o d i e r n e s p e r i m e n t a z i o n i e l e ttr o n i c h e , d o c u m e n t a t e d a e s i b izioni live
e p u b b l i c a z i o n i i n c d ) m a a l te m p o s t e s s o s e n e d i s t a c c a se n si b i l m e n t e ; i n G ra n d M u t a t i o n tr o vi a m o
m e n o c a l c o l o , p i ù c u o r e e l a vo l o n t à d i c r e a r e u n d i s c o c h e possa fare
sentireascoltare 71
della comp atte zza e della m onolit icit à la sua ba nd iera .
Per fare questo ai d u e n o r v e g e s i è
bastata un a n otte c hius i nella s eicentesca cattedrale d i O s l o , c h e
ospita il già citato o r g a n o ( u n o d e i
prefe riti da Ashe im), per m et t er e insieme questa cavalc a t a m i n i m a l i s t a
e dronante di un’ora , r e g i s t r a t a n e l
giugno d el 20 06 e suc c es s iv am ent e
mixata e divisa in cinque c apit oli.
E cco allo ra la so len ne Phoneum a,
la f ramme nta ta e no is y M agnat on,
la quie ta ma mina ccios a Philom ela,
che ci introducono in s t a n z e o s c u r e
dove si d imen an o inquiet ant i f antasmi g otici. Un d isco c he s i c olloca a cavallo tra la r i c e r c a c o l t a e
il noise, e che ci di m o s t r a a l m e n o
due cose: la prima ch e To u c h r i e s c e
ancora a sorprender e e a l i c e n z i a r e
dischi eccellenti, la s e c o n d a è c h e
la carriera “vera” di L a s s e M a r h a u g
sia app en a a gli a lbo r i. ( 7. 5/ 10)
Nicolas Campagnari
M e a t P u p p e t s - R i s e To Yo u r
Knees (Anodyne Records, 13
settembre 2007)
Genere: american indie-rock
N ella fo to in tern a d i R i s e To Yo u r
K n ees il viso d i Cr i s Ki r kw ood è
torvo, quasi da re d u c e , i n n e t t o
contrasto con la più r i l a s s a t a p o s a
del fratello. Ne ha t u t t i i m o t i v i ,
consid era nd o q ue l c he ha pas s at o,
e sembra di legger g l i e l o i n f a c c i a
l’infer n o in terra d el l’ult im o dec ennio. Rescisso il cont r a t t o m a j o r d e i
Burattini Di Carne, s i s p a l a n c ò p e r
lui un a bisso esiste nz iale s em pr e
più fo sco: orre nd e s t or ie di c r onaca - anche nera, pu r t r o p p o - s u l l e
quali no n vog liamo r it or nar e. Pr e-
72 sentireascoltare
feriamo raccontarvi come l’uomo
s e ne s ia s o t t r a t t o e a b b i a m e s s o
ogni bruttura alle spalle, di quanto
s ia in r agio n e d i c i ò a n c o r p i ù g r a dito il suo ripresentarsi tra le fila
del gr uppo c h e f o n d ò p i ù d i v e n t i
anni f a c on C u rt e i l b a t t e r i s t a D e rr i ck Bost r o m ( q u i r i m p i a z z a t o d a l
dis c r et o Ted M a rc u s ) .
Un altro nome da aggiungere, quindi, sulla lista delle vecchie glorie
dell’underground americano riaffacciatesi sulle scene nel corso del
2007, per di più tra quelli che meritano da sempre caratteri maiuscoli. Fantastica quella “sexy music”,
come loro la etichettavano in mancanza d’altro, sfuggente e sospesa tra hard, folk, psichedelia, jazz.
Così eclettica che non credevi fosse
l’evoluzione di un ipercinetico, contorto punk. Cosa resta nel terzo millennio, di tanta meraviglia? Più di
quel che si potrebbe ragionevolmente pretendere ma meno che nell’ultimo dispaccio, il pregevole Golden
Lies che sette anni fa trovava il solo
Curt Kirkwood al timone. Pesano infatti su questi sessantasette minuti
alcune lungaggini strumentali e un
pugno di brani sfocati, cui tuttavia
risponde l’efficace poker inaugurale
all’altezza - se non di II o Mirage almeno di Too High To Die.
Da Fly Lik e T h e Wi n d , O n T h e R i s e ,
Radio M ot h e Ti n y K i n g d o m s a l g o no v apor i d a r e s p i r a r e a p i e n i p o l moni, stonato intruglio tra chitarre
alla Jer r y G a rc i a , r i v i s i t a z i o n i p o c o
or t odos s e d e l l e r a d i c i e p i g l i o s q u a dr at o m a a g i l e d a p r i m i Z Z To p .
Anima di un disco che, nel tanto
di buono che comunque dispiega,
s i f a r ic or da r e s o p r a t t u t t o p e r T h e
Ship, c apol a v o r o d ’ o p p i a c e a b a l l a ta e tempo sospeso sopra le sabbie
dell’Arizona. Le stesse che li videro
nascere decenni fa e alle quali si
rivolgono oggi, rughe e scricchiolii
d’os s a c om p r e s i . U m a n i , d o p o t u t t o. ( 6. 8/ 10)
Giancarlo Turra
Metric – Grow Up And Blow
Away (Gronland / Audioglobe, 2
ottobre 2007)
Genere: indie-pop
Metric. Canada. Amici dei Broken
S o c i a l S c e n e . G r o w U p A n d B low
A w a y d o v e v a e s s e r e i l l o r o p r im o
a l b u m . N a t o f r a i l 1 9 9 9 e d i l 2 0 0 1 ad
o p e r a d e i s o l i E m i l y H a i n e s ( v oce,
t a s t i e r a ) e d i J a m e s S h a w ( c h i t arra
e d e ff e t t i s t i c a d i g i t a l e ) , q u e s t o d i s c o è s t a t o r i g e t t a t o d a l l ’ e t i c h etta
R e s t l e s s e d è p o i s t a t o a c c a n t o na t o f i n c h è l a L a s t G a n g ( l ’ e t i c h etta
canadese dei Metric) ha deciso di
pubblicarlo nel giugno di quest’ann o . D a q u i p o i l a G r o n l a n d h a f atto
il resto.
Com’erano i Metric all’inizio? Un
d u o i n d i e p o p c h e s i d e d i c a v a ad
u p t e m p o d e l i z i o s i m a p r i v i d i ne r bo, che spruzzava qualche melodia
d i s a p o r e e l e c t r o - p o p c o n q u a l ch e
base campionata e qualche nota di
p i a n o b u t t a t a l ì i n m a n i e r a s p a va l d a . E a l l o r a l a t i t l e t r a c k a p r e con
i l s u o f a r e p u t t a n e s c o e s b a r a zzi n o , u n a s o f t - d a n c e p e r p a l a t i p oco
e s i g e n t i c o s ì c o m e R o c k M e No w
s h o c k a p e r i l s u o v e r b o s c o s t a nte,
u n r e c i t a t o s u u n a b a s e v a g a m e n te
s l o w - d a n c e c o n t a n t o d i c o r e t t i in
f a l s e t t o … R i c o n o s c i a m o f o r t u na tamente la band che poi partorirà
q u e l l a d e l i z i a d i a l b u m c h e è Old
Wo rl d U n d e rg ro u n d , Wh e re A r e
Yo u N o w ? n e l l a c a d e n z a m a l i zi o s a d i H a r d w i r e , c o n i s u o i g i ochi
d i p i a n o e c h i t a r r a e i l s u o s o l o di
t a s t i e r a s o ff u s o m a a n c h e e s o p ra tt u t t o n e l l a d e s o l a z i o n e p u r a m e n te
p o p d i O n T h e S l y , b e l l i s s i m a nel
s u o a n c h e g g i a r e c h i t a r r i s t i c o e vo cale che traghetta il pezzo a ben alt r i l i d i r i s p e t t o a q u a n t o s e n t i t o pr i m a . S o f t R o c k S t a r è u n a p i a c e v ole
e s o ff i c e s e m i - b a l l a d d ’ i n t e r m e zzo
m e n t r e c o n R a w S u g a r s i r a s c hia
i l b a r i l e d i u n t r i p - h o p v e l o c i z z ato
d i q u a r t a g e n e r a z i o n e . Wh i t e G o l d
turn it on
White Rainbow – Prism Of Eternal Now (Kranky / Wide, 1 ottobre
2007)
Genere: ambient kraut
Il pa ckag ing è già un om aggio. Pr i sm O f E t e rn a l N o w s c r i t t o a c a r a t t e r i
cub itali, in vio la s u f ondo r os a. Un c olpo in u n o c c h i o c h e r i c h i a m a l a l i n e a
g rafica d el pr im o Dr eam Sy ndic at e di Joh n C a l e , To n y C o n ra d , A n g u s
Ma cLise , La M ont e Young e M ar i an Zaz e e l a . I n s o m m a i m a e s t r i a c u i
Ad am Fo rkn er f a qui es plic it am ent e r if er im e n t o e d a c u i a t t i n g e p e r d i s e g na re la su a fant as ios a t ela as t r at t a. Una v e r a e p r o p r i a f i l o s o f i a m e t a f i s i co-esistenzial e c h e s a l t a f u o r i a n c h e d a g l i i r o n i c i p r o c l a m i p r o p a g a n d i s t i c i
a mmassa ti n el r et r o di c oper t ina: “ Pr is m O f E t e r n a l N o w = 1 0 0 % To t a l N o w
Vib ratio na l Pr es enc e! Cent ur ies old Eas t er n Wi s d o m s p r o v e t h a t S o u n d Vi brations conta i n Va s t , P o w e r f u l , P o s i t i v e H e a l i n g E n e r g y ! W h i t e R a i n b o w
is Fu llest Spe c t r um Pos s ible of Healing Ray s o f S o u n d , L i g h t a n d E t e r n a l
No w Life -Vibe s . Wide Rainbow! W hit e Wav e s ! ” . L e o n d e b i a n c h e d i W h i t e R a i n b o w r i d u c o n o t u t t i i c o l o r i dell’iride
in u n meta fisi c o baglior e et er no. Puls es c o m i n c i a s u l r i t m o d i u n a d a n z a t r i b a l e e s c i a m a o r d i n a t a e d enfatica
verso la più c las s ic a delle ipnos i k r aut . M id d l e g i o c a c o n i d r o n i c o m e f a r e b b e u n b a m b i n o c o n i b a s t o ncini dello
sha ng ai. For Ter r y s t r iz z a l’oc c hiolino a Ril e y f i n d a l t i t o l o . L’ E t e r n o A d e s s o d i Wh i t e R a i n b o w è u n a sca l tr a m i scela di territ o r i a ff i n i : d r o n e m u s i c , n e w a g e , m u s i c a c h i l l o u t , k r a u t r o c k , m i n i m a l i s m o . P e r e r i g e r e a rchitetture
comp lesse ma dall’im pat t o im m ediat o c om e M y s t i c P r i s m o c c o r r e a v e r e u n a d i m e s t i c h e z z a c o n i l m e z z o costruita
con an ni d i as c olt i e pas s ione. Dopo t ut t o, i l m o n d o d i Wh i t e R a i n b o w n o n è c o s ì l o n t a n o d a q u e l l o d eg l i Yu m e
Bitsu. Ad am F or k ner s gom it a c on as t uz ia pe r d i v e n t a r e i l n u o v o g u r u d e l l o y o g a s o u n d . ( 7 . 2 / 1 0 )
Antonello Comunale
sentireascoltare 73
è il numero intimista c o n l a n o s t r a
prota gonista al pian o e c o n i l v o c a l
quasi su ssurra to, m ent r e L o n d o n
H alf life tocca le ste s s e c o r d e c o n
un’acu stica pa racul a al c ent r o ad
accomp ag na re le no t e di piano.
Quello ch e si dip an a in ques t o disco “ripescato” è un d u o s i m p a t i c o
e dalle capacità abbo z z a t e c h e p e r ò
non ha ancora intra p r e s o l a s t r a d a
giust a o ssia q ue lla c he poi s ar ebbe giun ta con l’ind ie r oc k s im il- inyour-face dei due dis c h i s u c c e s s i v i .
Nell’attesa di un nuo v o v e r o d i s c o ,
questo rima ne un c apit olo int er locut orio. Un ve zzo p er f an. ( 5. 5/ 10)
Alessandro Grassi
Che sia colpa della maturità, di una
stanchezza generalizzata o magari soltanto una questione di scelte, sembra chiaro, tuttavia, che il
musicista senza fronzoli ma meravigliosamente diretto di qualche
tempo fa ha lasciato il posto ad una
nuova creatura, attratta dalle mezze luci, intima ma aristocratica, disposta a sacrificare sull’altare della
cura esteriore - e della reiterazione
- ogni forma di progresso (nei testi
quanto nelle musiche).
L’EP Io non sono come te non fa
eccezione in questo senso, dal momento che recupera il discorso lasciato aperto con l’ultimo Toilette
Memoria senza tuttavia ampliarlo.
Affidandosi invece, ancora una volta, al binomio chitarra acustica-Wurlitzer per dare colore alle sfumature
(Felce), incorniciare i particolari,
perdersi in strumentali (Il risveglio)
o macerare in suadenti lentezze.
Col rischio di dar vita a un disco apprezzabile, capace forse di regalare
qualche buon momento di raccoglimento, ma lontano dall’apparire memorabile. Peccato. (6.5/10)
nelle tenebre, il tutto accompagnato
da un contrabbasso suadente e da
tocchi di chitarra ammalianti, ma la
sensazione di pericolo è ovunque
e l’armonica è lì a dipingere questa
sensazione che si fa sempre più tattile. Febbrile è lo stato di coscienza
a cui spingono i Nostri e Fireday è
uno swing delizioso, dal sapore antico, pura stilosità alla Mrs. Mitchell e
la conclusiva Jaywalker apre la strada ad un piano sconsolato ed ad un
melodiare la luna e quello che potrebbe dire.
I Moriarty sono una band da tenere
d’occhio perché mette in tavola ingredienti comuni in certo folk, ma con
una capacità di scrittura sicuramente
sopra la media e con una notevole ricerca melodica che rende il risultato
veramente degno di ogni attenzione.
Guardiamoli crescere. (7.1/10)
Alessandro Grassi
Fabrizio Zampighi
Moltheni – Io non sono come te
E P ( L a Te m p e s t a / Ve n u s , 8 s e t tembre 2007)
Genere: indie-rock
Non comprendiamo davvero per quale motivo la musica di Moltheni, che
fino a due anni fa riservava strette
al cuore, lacrime e sorrisi, oggi non
riesca più a penetrare quella corazza fatta di cinica disillusione e costante incazzatura con cui ci troviamo quotidianamente a fare i conti su
questa Terra. Per quale strana congiunzione astrale insomma, uno che
ai tempi di Natura in replay cullava
la nostra integrità con parole nuove, in Fiducia nel nulla migliore ci
faceva urlare a squarciagola, con
Splendore Terrore prospettava - a
ragione - una nuova forma di canzone d’autore, ora non sia in grado di
meritarsi più di un cenno d’approvazione per qualche arrangiamento
riuscito o una pacca sulle spalle per
una progressione armonica indovinata.
74 sentireascoltare
Moriarty – Gee Whiz But This Is
A L o n e s o m e To w n ( N a i v e / S e l f ,
9 ottobre 2007)
Genere: folk rock
Una voce assonante a quella di Joni
Mitchell e una maniera di declinare un certo folk rock con atmosfere
fumose e con orchestrazioni dissonanti, non possono che far risplendere questo debutto degli americani
Moriarty.
Le ambientazioni sono bucoliche,
l’armonica conduce i giochi e la voce
di Rosemary è quanto di più ammaliante ci possa essere per entrare in
questo microcosmo fatto di chitarrine jingle-jangle e di un folk maestoso, cullante, a tratti tenebroso.
Jimmy racconta la migliore austerità
made in Black Heart Procession,
Lovelinesse ha un tocco alla Ani Di
Franco di un tempo e Private Lily è
una ballad per slide guitar accesa
come un fuoco in mezzo alla foresta,
occhi che si ammaliano a guardare
uno spettacolo di colori e luci dissonanti. Cottonflower apre la strada
MV & EE With The Golden Road
– Getting Gone (Ecstatic Peace,
9 ottobre 2007)
Genere: psych folk
Forse è la volta buona che Matt Valentine vende qualche disco anche
fuori dal ristretto cerchio di amici e
appassionati. In tanti anni di carriera, Getting Gone è la cosa più accomodante e facile da ascoltare su
cui abbia messo mano. La coppia più
bella del mondo weird folk, MV & EE,
torna quindi con un lavoro nuovo su
Ecstatic Peace e con una compagnia
mutata, al punto che non si parla più
dei Bummer Road, bensì dei Golden
Road. C’è ancora una colonna fondamentale come Samara Lubelski,
mentre saltano all’occhio J. Mascis
(già nel precedente disco “vero” su
Ecstatic Peace, dove suonava il mellotron su un paio di tracce) e John
Maloney dei Sunburned Hand Of
The Man, entrambi chiamati a suonare la batteria. Come preannunciato
da Green Blues, c’è voglia di andare
oltre il solito bailamme psyco-freak.
Voglia di smettere di farsi d’erba, rimanere più sobri e fare musica con
tutti i crismi del suono americano.
Voglia di prendere la chitarra distorta
e di lanciarsi in cavalcate acid roots.
Insomma…c’è voglia di copiare Neil
Young. Il riff di Susquehanna che
apre il disco ti fa subito sorridere. La
cadenzata marcia di Hammer sembra uscita fuori da On The Beach
o Harvest Moon. E ancora ci sono
Mama My, Coaled Out, Speed Queen, Home Comfort, Sweet People
tutte trattate alla maniera del grande
canadese. Non so proprio cosa gli
sia venuto in mente, ma è tutto così
apertamente scoperto che per uno
come Matt Valentine non può trattarsi semplicemente di provare a fare
Neil Young per vedere cosa viene
fuori. La copia è talmente spudorata
e precisa che sembra una serigrafia
di Warhol o Gus Van Sant che rifà
Psycho identico in ogni fotogramma.
Poi però tra una strizzatina d’occhio
e l’altra i Nostri piazzano quelle deliziose ballate da hippie fuori tempo
massimo, che ce li hanno fatti amare
in tutti questi anni. Brani folk leggerissimi e soffici come nuvole acide a
pascolare su un campo di fiori fioriti.
The Burden è la prima. I Get Caves
in There è la seconda. Easy Livin’ è
la terza. Motorin’ la quarta. Country
Fried la quinta. Matt Valentine e Erika Elder fanno ancora “blues lunari”,
ma stavolta hanno provato a fare la
rock band e a presentarsi in pubblico. Del resto, Matt ha indossato la
giacca buona e si è fatto anche la
barba! (7.1/10)
Antonello Comunale
My Awesome Mixtape - My Lonel y A n d S a d Wa t e r l o o ( M y H o n e y
Records / I Dischi Dell’Amico
Immaginario,
7
settembre
2007)
Genere: indie-geek-pop
Chi n on ne ha anc or a s ent it o par lare? I My Awe s om e M ix t ape da Bo-
logna n e l g i r o d i p o c h i m e s i s o n o
pas s a t i d a b e n i a m i n i d e l l a b l o g o sfera a next-big-thing dell’universo
indie . R e v e n g e o f t h e N e r d s . M e r i t o de l p a s s a p a r o l a ( r e a l e e v i r t u a le) m a a n c h e d e l l ’ i n c e s s a n t e a t t i v i t à liv e , c h e l i h a p o r t a t i a c a l c a r e i
palc h i d e i p r i n c i p a l i f e s t i v a l i t a l i a n i , M i A m i , S p a z i a l e e I t a l i a Wa v e .
Dopo l ’ E P S o n g s o f S a d n e s s Song s o f H a p p i n e s s u s c i t o p e r l a
Uf o H i - F i i n e d i z i o n e v i n i l e + c d a l l a
Al bi n i , e c c o l i a l l a p r o v a d e l n o v e
c on l ’ a l b u m i n q u e s t i o n e , p r o v a s u perata in maniera brillante grazie a
m elo d i e a p r e s a r a p i d a , r i t m i d a n z er ec c i e i n c a s t r i a z z e c c a t i d i e l e t tronica vintage e strumenti classici.
M aol o e c o m p a g n i h a n n o p o c o p i ù
di vent’anni ma il loro immaginario
s em b r a q u e l l o d e i t h i r t y s o m e t h i n g
cresciuti a pane e C64, gli anni di
War G a m e s e S p a c e I n v a d e r s , g l i
anni d i Tr o n e d e l l e t a s t i e r i n e g i o c a t t o l o c h e t a n t o a ff a s c i n a n o i g e e k
del n u o v o m i l l e n i o . I l s u o n o i n v e ce è quanto mai attuale, un frullato di hip hop sbilenco, indie-pop,
micromusic che non sfigurerebbe
nei c a t a l o g h i To ml a b e A n t i c o n .
Pr en d e t e H i l a r i o u s , d o v e i l p a e s aggi o p l u m b e o , d e n s o d i c a r i che elettrostatiche si dissolve in
un clap & beat isterico e un finale
v or t ic o s o e c o r a l e o l ’ i n c a n t e v o le dr e a m - h o p d i S i l e n t l y A p r i l L e f t
Us Wi t h o u t A K i s s , p r o s s i m o a n t hem d i o g n i l o s e r c h e s i r i s p e t t i .
I testi di Maolo parlano di piccole
battaglie quotidiane, notti insonni,
pom e r i g g i i n c a m e r e t t a e t r a c i t a z ioni d i E d g a r L e e M a s t e r ( F r a n c i s
Tur ne r ) e g i o c a j o u e r 2 . 0 ( N a p a l m
on B *** G ****) , a t a r i - s p l e e n e f i l a s t r oc c h e a 8 b i t ( A s t h e c l o u d s m a k e
my mood fall down, the beat makes
i t s u d d e n l y r i s e U p ) l ’ a l b um sci vo la via che è un piacere. Dormire,
p i a n g e r e , g r i d a r e , p e r d e re, low-fi,
d e b u g g a r e , p i x e l , c a s s e t ti n e , r i a vv o l g e r e , k o r g , c u o r e , b a l l are, insert
c o i n , s m a n e t t a r e , m y s p a ce , sp a m m a r e , a m i c i , b a c i a r e , m o ri r e , w h y?
(7.2/10)
Paolo Grava
Nervous Cabaret – Drop Drop
(Naive
/Self,
11
settembre
2007)
Genere: art-rock
Immaginate un miscuglio del Captain Beefheart più oscuro e sperimentale, la tromba del Miles Davis
più invasato e l’estrosità dei Tv
On The Radio ed avrete un’idea
di cosa sono i Nervous Cabaret.
Insomma una creatura deforme,
musicalmente una via di mezzo tra
singulti hardcore, smanie avantjazz e momenti di art-rock. Conditi tutti dalla voce semplicemente
irritante e fastidiosa del cantantechitarrista Elyas Khan.
Ed immagino che con queste prerogative il gruppo avrebbe già la
copertina di qualche rivista underground blasonata, ma il problema
qui è che proprio il loro miscuglio
non convince per nulla. Melodicamente non dicono niente, ritmicamente possono essere interessanti e i loro momenti di tragedia
da cabaret da quattro soldi con
gli incroci di tromba, trombone e
sassofono baritono possono essere intriganti, ma ai fini della fruizione risultano troppo indigesti e
semplicemente inascoltabili. Singulti jazz per atmosfere noir nella deprezzabile Flamegirl, scenari
sentireascoltare 75
da bolgia in stile Gogol Bordello
nella carente Les Enfant Du Papillon e cori alla luna in mezzo a
fantasie post punk nel tremendo
cadenzare della dolorosa Sleepwalkers.
Questo è il mondo dei Nervous
Cabaret, ed è veramente troppo
difficile da digerire anche per chi
ha a cuore un certo tipo di avanguardia. In una parola, inutile.
Ergo (3.0/10).
Alessandro Grassi
Northern State - Can I Keep
This Pen? (Ipecac, 2007)
Genere: indie-rap
Immaginate Le Tigre che giocano
a fare i Beastie Boys ed avrete
una riproduzione piuttosto fedele
di quel che realizza questo trio
femminile di Long Island giunto al
terzo album, il primo su Ipecac.
Non a caso le Northern State hanno già aperto concerti per le tigrotte (un pezzo come Cold War è
più realista del re, da questo punto di vista) e non a caso dietro
Oooh Girl e Suck a Mofo c’è proprio lo zampino di Adrock dei Beastie Boys. La produzione di uno
che ha a che fare col mainstream
come Chuck Brody emerge prepotentemente in un pezzo come
B e t t e r A l r e a d y, p u r a p a r a c u l a g g i n e d a M t v, r o b a d a g e t t a r e i n
pasto al pogo di liceali ubriachi.
Ta l v o l t a i n v e c e a f f i o r a u n q u a l c o sa che è uno strano ibrido tra Madonna e le Breeders. Quando le
Nostre, a dispetto delle tendenze
riot, abbassano i toni e recuperano melodia canora e fragilità
femminili, esce infatti qualcosa
di buono: Run Off the Road, Fall
Apart e Away Away - con accenti
da all-female bands K e Kill Rock
Stars anni ‘90, tipo Sleater Kinney - sono infatti i pezzi che risollevano le sorti di questo disco
assai leggero, talvolta carino e
carezzevole e sovente scimmiottante, di cui presumibilmente non
ci ricorderemo in futuro. Anche se
Away Away non smetto proprio di
canticchiarla... (5.5/10)
Alarico Mantovani
76 sentireascoltare
N u m b e r s – N o w Yo u A r e T h i s
(Kill Rock Stars, 21 agosto
2007)
Genere: indie-rock
M et à Velv e t W h i t e L i g h t / W h i t e
Heat , m et à S t e re o l a b . E c c o i n p o c he par ole i N u m b e r s . G i à c i s o n o
gli Electralane direte voi, e noi con
voi. E non solo gli Electralane, per
giunta. Un gruppo, questo di Frisco,
c he ho s em p r e s e g u i t o d i s t r i s c i o
( qualc he v id e o n e l l a p r o g r a m m a z i o ne not t ur na d i M T V o p p u r e s p o r a d i che visite al loro My Space) in virtù
di un attrazione mai nata. Ricordo,
c he nel r ece n t e c l a m o r e n e o - n e w wav e v eniv a n o c o n s i d e r a t i c o m e l a
n e x t b i g t h in g a l l a s t r e g u a d i E r a s e
Er r at a et s im i l a , p o i p e r ò i l n u l l a .
Comunque siamo qui a dirvi del loro
quar t o lav or o – s e c o n d o p e r l a r i n o m at a Kill R o c k S t a r s – e l a f a n t a sia già scricchiola, dato che quello
che dovevo dire è nell’incipt di cui
s opr a, os s i a : Ve l v e t M e e t s S t e r e o lab, un equazione appariscente e
dai frutti oramai essiccati. Il Nuovo
Num ber s , in t e r e s s a ? ( 5 . 0 / 1 0 )
Gianni Avella
Overmood – Sorry For The Setbacks (Suiteside / Audioglobe,
20 settembre 2007)
Genere: indie
M es s a da p a r t e o g n i v e l l e i t à i n n o vatrice su una musica tanto usurata
q u a n t o v i t al e c o m e i l r o c k - f o r s e
anc he per r a g g i u n t i l i m i t i d i e t à d e l la stessa -, alle nuove leve spesso
non rimane che optare per quello
c he obiet t iv a m e n t e s e m b r a i l m a l e
m inor e. Es p l o r a r e c i o è g l i a n g o l i
meno illuminati di questa creatura
v ec c hia più d i m e z z o s e c o l o e s a l -
t a n d o i p u n t i d i c o n t a t t o p r e s enti
t r a l e s u e n u m e r o s e r a m i f i c a z io n i
i n t e r n e , c u r a n d o p a r t i c o l a r m e n t e la
f o r m a , a d a t t a n d o l e v e c c h i e s ca l e
pentatoniche ai ritmi feroci e al rumore dei giorni nostri.
I n t e r m i n i p i ù p r o s a i c i , i n c r o c i are
i linguaggi, o come direbbero gli
a m e r i c a n i , f a r e c r o s s o v e r, m a g a r i
a ff i d a n d o s i a u n a b a t t e r i a i n l e v are
q u i e a q u a l c h e d i s t o r s i o n e d i ch i t a r r a l à , f a c e n d o s e m p r e b e n a t t en z i o n e a r i m a n e r e i n e q u i l i b r i o sul
filo della decenza estetica.
G l i O v e r m o o d d a A l e s s a n d r i a non
f a n n o e c c e z i o n e i n q u e s t o s e n so,
m e s c o l a n d o , n e l l o r o e s o r d i o d i s co g r a f i c o s u l l a l u n g a d i s t a n z a , c h i ta r r e e l e t t r i c h e r u g o s e , s y n t h ( G rain
O f H o p e ) e i n c e d e r e p u l s a n t e in
s t i l e d i s c o ( F l a m e – R e d L a w n ),
d i s s o n a n z e ( O d d s & E n d s ) e p unk
s t r u m e n t a l e ( C l i m b T h e D a y s ) , Hip
H o p e a c c e n t i R & B ( P a l e l y e R ub b e r ) . I l t u t t o c o n d i t o d a q u a l c h e bit
di elettronica sparso e parecchio
e n t u s i a s m o g i o v a n i l e , q u e s t ’ u l t i mo
i n g r a d o d i e s a l t a r e q u a n d o l a mu s i c a c o l p i s c e a f o n d o – i P i x i e s di
Wi n n i n g G u i t a r – e d i s o p p e r i r e su ff i c i e n t e m e n t e a l l e c a r e n z e q u a nd o
i n v e c e c a l a l a l u c i d i t à ( R e s t l ess
Song). (6.5/10)
Fabrizio Zampighi
P. C . S o l a l – P r e s e n t s T h e M o o n s h i n e S e s s i o n s ( Ya B a s t a ! /
Self, 28 ottobre 2007)
Genere: country
Questa è una di quelle faccende
che, per raccontarle, si deve prima
prender fiato: il sig. Solal, DJ fran-
cese fondatore del famigerato Gotan
Project, ha deciso di scrivere e pubblicare un disco country. Tutto vero:
però dimenticatevi i modernismi laccati da Buddha Bar che - pur insopportabili - proponevano un approccio
consapevolmente inedito alla musica
argentina. Qui c’è il classico armamentario di slide, duetti uomo/donna,
violini e armoniche oleografiche che
impazza nelle frange più edulcorate
della musica d’oltreoceano. Un manuale seguito a puntino, fatta eccezione per qualche rara intromissione
affossata dalle aggiunte posticce di
un sottofondo di grilli e fruscii tipici
del vinile, paradosso che va contro i
presupposti di genuinità sbandierati
da Solal.
Il disco è ben eseguito, e come potrebbe essere diversamente, dato
che a supervisionare l’operazione
c’è Bucky Baxter (da anni a fianco di
Dylan e prima ancora di Steve Earle)
e al canto ecco autentiche star delle
stazioni radio specializzate, ma non
è questo il punto. Manca di autenticità e anima che in un supermercato non trovate e che latita nel 90%
dei dischi da catena di montaggio di
Nashville. Un mero divertissement,
Presents The Moonshine Sessions,
appartenente per nostra sfortuna
alla categoria che diverte solo chi li
fa e non chi li deve ascoltare: lo dimostrano le cover di Dancing Queen
degli ABBA e della pistoliana Pretty
Vacant, inferiori all’idea di partenza
(e se gli Hayseed Dixie han stufato
al secondo disco, vedete voi…). Bel
tentativo, Monsieur, ma si rimetta le
scarpe da ballo, se proprio deve farsi vedere in giro. (4.5/10)
Giancarlo Turra
Pluramon - The Monstrous Surplus (Karaoke Kalk / Wide, 28
settembre 2007)
Genere: shoegaze pop
E così insistiamo. A distanza di quattro anni da Dreams Top Rock, Pluramon ritorna a quella formula shoegaze (adult) pop che poco aveva
entusiasmato il pubblico indie. Il plot
s’allarga inglobando ospiti nuovi, ma
i problemi d’allora rimangono. Stessa divisione in due della medaglia
feedback: da una parte una sorta di
Badalamenti meets Ride (per inciso
la musa Cruise infatti è proprio quella che canta nel famoso episodio di
Twin Peaks), dall’altra una narrazione androide à la Blade Runner.
Il problema non sta tanto nella produzione, certamente potente e dai
riverberi ben amplificati. E neanche
le performance vocali - che questa
volta vedono protagonisti anche Julia Hummer (un’attrice tedesca), l’artista e scrittore Jutta Koether e (novità) lo stesso Marcus - deludono,
semmai è una questione d’abuso.
Specie sul versante estatico (Border, If Time Was On My Side), queste canzoni sono troppo note, troppo patinate, troppo perfettine e ok,
pure troppo commerciali. Rientrano
in quella brutta categoria di adult
quando per adult s’intende l’assetto
mentale di chi non rischia più ma ti
fa le cose con infinita precisione (e
per tutti).
Sarebbe stato più intelligente approfondire il discorso letterario. So
infatti disegna percorsi interessanti
attorno al testo di Koether. Ma se un
Badalamenti non si tocca, Schmickler
certamente sì: quest’idea di “nuovo”
soul metropolitano bianco per bianchi tra sottili amarezze e sferzate
blasé non è altro che un’elegante retroguardia. (5.0/10).
Edoardo Bridda
Pram - The Moving Frontier
(Domino / Self, 5 ottobre 2007)
Genere: avant lounge
Da meravigliosa anomalia trip hop
a ensemble morriconiano su Marte.
Troppo riduttivo. Da splendida formazione neo canterburiana a mirror band
degli Stereolab. Stupidamente snob.
Da frullato di jazz, psych, kraut e etnica come i King Crimson di Island, il
Robert Wyatt di Dondestan e gli AIR
di Premiers Symptomes in un unico
box, a una dignitosa formula che tutto comprende e tutto sublima. Non ci
siamo ancora ma capirete senz’altro una cosa: i Pram sono una band
spessa come una quercia. Perlomeno
lo erano. Attualmente sono quel luogo raffinatissimo in cui è sempre bello accamparsi. Dove non si rimarrà
mai delusi. E fin qui ci siamo.
Il nuovo The Moving Frontier appunto si muove, su se stesso ma va
bene così, il gusto di queste marmellate difficilmente annoierà e gli stilemi imbastiti saranno pur sempre imburrati dalla parte giusta. Per capirci
fate conto che i Pram sono il gruppo
esotico più complicato che ci possa
essere. E nessun fan di Canterbury
potrebbe resistergli. Tuttavia non si
può negare che gli ultimi quattro dischi di questi signori di Birmingham
rappresentano la coda di una gloriosa epopea iniziata nel 1993 con una
tripletta d’album di devastante bellezza. Il confronto con quelle creature è
pesante assai ma non c’è pericolo,
neppure se l’iniziale The Empty Quarter inizia con una morriconata trita
e ritrita, fatta da loro suona ancora
come dovrebbe. Come pure tacciare
Sundew di discoverychannelismo sarebbe una cattiveria gratuita. Piuttosto poggiate l’orecchio su Iske, come
dire il miglior jazz-rock calato in Messico, oppure Hums Around Use, una
straniante gemma minimal psych, oppure ancora la finale The Silk Road,
country come si farebbe a Bombay.
Pensate che quest’album, scioglie le
tessiture più aspre del precedente
concedendosi al sale e alla sabbia,
ai deserti e alla frontiera appunto. I
punti molli, l’abbiamo detto, ci sono.
Le proprietà di linguaggio anche. E i
Pram parlano una gran bella lingua
meticcia. (6.8/10)
Edoardo Bridda
P r e f u s e 7 3 - P r e p a r a t i o n s ( Wa r p
/ Self, 14 settembre 2007)
Genere: glitch hop
C o m e o g n i d i s c o d i P r e f use anche
questo quarto nuovo album è un lav o r o c h e p i ù l o m a n d i g i ù e più si
t i r a s u . E h s ì , p e r c h é c o me ben si
sentireascoltare 77
a l i v e l l o c er e b r a l e e p a s s i o n a l e g l i
highlight s d e l d i s c o : G i r l f r i e n d B o y f r iend, Pr o g Ve r s i o n S l o w l y C r u s hed e Let I t R i n g . N e l l ’ u l t i m a p a r t e
ar r iv ano i n u m e r i p i ù “ s p e r i m e n t a li” : Pom ade S u i t e Ve r s i o n O n e h a
struttura e sapore prog ed è proprio
qui c he s i p e r c e p i s c e m a g g i o r m e n t e l ’ a ff i n i t à c o n i c o m p a r i B a t t l e s .
Alla f ine, c o n P r e p a r a t i o n O u t r o
Ver s ion, s i l a s c i a d a p a r t e l ’ h i p h o p
v er s o s c en a r i e d i m m a g i n a r i e l e t troacustici ancora da definire. Bene
c os ì . ( 7. 5/ 1 0 )
sa, qu i n on stiamo par lando di un
parven u ma di u n tip o c he ha c oniato uno stile . Uno da annov er ar e nella cerch ia d i qu ei p r odut t or i es t r osi, obliqui e raffina t i c h e , c o m e i l
colleg a Da br y e, si s o n o g u a d a g n a t i
la stima incondizion a t a d i u n ’ a m p i a
schie ra d i rap pe r di r az z a.
E dunq ue e cco Pr epar at i ons, c he in
CD u scirà doppio, in c o p p i a c o n u n
altro d isco “omb ra”, I nt er r egnum s,
una r a ccolta d i com pos iz ioni c las siche moderne comp o s t e e s u o n a t e
da Herren, utilizzan d o v i o l o n c e l l o ,
clarinetto, piano ed a l t r i s t r u m e n t i ,
tot alm en te p rive di beat s , in per fetta dialettica con P r e p a r a t i o n s .
Per ora non ci è dat o s a p e r e d i p i ù
ma le reazioni di al c u n i s u o i a m i c i
lo immortalano com e u n “ s a d - a s s
soundtra ck” e q ue sto bas t a per ac cresc ere la n ostra cur ios it à.
Le collaborazioni s o n o p o c h e e d
oculate: non più la p a r a t a d i s t e l l e
- peraltro efficace - di S u r r o u n d e d
B y Silence , bensì l a v o l o n t à d i
conce ntra rsi to talme nt e s ulla r ic er ca musicale. Non ri l e v a n t i s s i m e l e
novit à stilistich e, be nc hé il t our c on
gli amici Ba ttles ab b i a c r e a t o p i ù
di un po sitivo fee db ac k in ques t o
senso . E se ne ll’alb um pr ec edent e
il compagno di mer e n d e e r a s t a t o
Ti o n day Br a xton, i n q u e s t o c a s o
uno degli apici del d i s c o G u i l l e r m o
Scott Herren lo toc c a i n s i e m e a l
grande J ohn Sta nie r ( e x b a t t e r i s t a
degli He lm et,): sent i t e c h e r a z z a d i
bomb a è Smoking Red e d a n n u i t e
quando a d un tra tto una v oc e c am pionata recita: “Ever y d a y i s j u s t a n
ext ension of yester day . . . ” . P a r o l e
sante. Eccitante an c h e i l s i n g o l o ,
S chool of 73 Be lls, c on la par t ecipaz ion e de gli Sch o o l o f S e v e n
B ells , così come s o n o g r a t i f i c a n t i
78 sentireascoltare
Alarico Mantovani
Prinzhorn Dance School - Prinz h o r n D a n c e S c h o o l ( D FA R e cords-EMI, 2007)
Genere: empty-funk
I n u o v i p r o t e t t i d i M r. M u r p h y
s i c h i a m a n o To b i n P r i n z e S u z i
Horn e vengono da Brighton.
Nonostante il Dance piazzato in
m ez z o al no m e d e l g r u p p o , s i t r a t t a di uno d e i d i s c h i m e n o p i s t a o r i e n t e d d e l c a t a l o g o D FA , i l b a s s o
di Suz i c he s c a v a p i ù c h e s m u o v e re, le voci che declamano triplici
slogan (Up! Up! Up!, Crash Crash
Cr as h) inc h i o d a n o l ’ a s c o l t a t o r e i n vece di lanciarlo in balli sfrenati.
O lt r e a Cr a c k j a c k D o c k e r, g i à u s c i ta su singolo e in versione remix,
s o n o d e g n e d i n o t a Yo u A r e T h e
Spac e I nv a d e r d a l l a c h i t a r r a s l a b br at a e Wo r k e r, d o v e i l t i m b r o e n f a t i c o e b e ff a r d o d i To b i n r i c o r d a
Hugh Cor nw e l l .
Oltre agli Stranglers di No More
Her oes v en g o n o i n m e n t e a i s o l i t i n o m i d el l a s t a g i o n e p o s t p u n k
e della r ece n t e o n d a r e v i v a l i s t a ,
W ir e, Slit s , E r a s e E r r a t a , N o N e w
Yor k e M et a l B o x . P a r l a n d o i n v e c e
dei dischi di quest’anno si avvicina
a due r ec e n t i e s p e r i m e n t i d i p o s t core minimale usciti su Dischord, il
dis c o s olis t a d i J o e L a l l y e R e f l e c t o r
degli Antelope. Album caratterizzati
da vuoti e riduzioni strumentali, con
il bas s o in p r i m o p i a n o a p u l s a r e
s pes s o da s o l o . I P r i n z h o r n D a n c e
Sc hool s em b r a n o p r o p o r r e u n a v e r s ione m inim a l e e n a r c o t i c a d e l l ’ o r m ai dem odé p u n k - f u n k , s e n z a f u n k ,
s enz a punk, s e n z a f u t u r o . ( 6 . 5 / 1 0 )
Paolo Grava
Róisín Murphy - Overpowered
(Emi, 15 ottobre 2007)
Genere: wave dance
L a b e l l a R ó i s í n , e x - M o l o k o , s co tt a t a d a l l a p o c a e n e r g i a s p e s a pe r
p r o m u o v e r e l ’ a m b i z i o s o e s o r dio
s o l i s t a R u b y B l u e d a l l a E c h o Re c o r d s , h a s c e l t o s t a v o l t a u n a c i li n d r a t a d i l u s s o c o m e l a E m i e s c om m e t t o c h e l a m u s i c a c a m b i erà.
Q u a n t o a l l a m u s i c a v e r a e p r o p ria,
f a d i t u t t o p e r e s s e r e q u e l l ’ o r d i gno
c a t c h y, s f e r z a n t e e s t i l o s o c a p ace
d i a r r a m p i c a r s i s u l l e c h a r t p i ù c ool
d e l l a p a r t e g o d e r e c c i a d e l p i a n eta.
S u l l e o r m e , s e v o g l i a m o , d e l l a Gold f ra p p p i ù c a c i a r o n a d e l s e c o ndo
album: c’è un simile impasto di nos t a l g i a f a s t o s a e m o d a l i t à c a r i c a tu r a l i d o v e v a l e p i ù l ’ e m p i t o c h e non
l ’ o g g e t t o d e l l a n o s t a l g i a , t a n t o che
u n a M o v i e S t a r e v o c a u n a p a r ata
s y n t h w a v e s o v r a c c a r i c a , m u r o di
s y n t h d e p e c h i a n i e p i g l i o f u n k - g l am
colorato, plastico, onirico, languid o , f e s t o s o e s p a c e y, u n a m e s si n s c e n a v e r a e p r o p r i a c o n n e s s una
pretesa di plausibilità.
L a q u a n t i t à e q u a l i t à d e i c o l l a bo r a t o r i ( d a A n d y C a t o d e i G r o ove
A rma d a a M i k e P a t t o n - c h e d i s t r i b u i s c e v o c a l i z z i i n v e r o p i u tto s t o a d d o m e s t i c a t i - p a s s a n d o dal
s e m p r e p i ù l a n c i a t o R i c h a rd X fino
a l v i o l o n c e l l i s t a e b r o k e n b e a t ers
S e i j i ) g a r a n t i s c e c i r c a l a q u a l i t à di
questo gioco tra intelletto, adrenal i n a , t e n d i n i e o r m o n i . E l e c t r o c l ash
metabolizzata, meditata, meno prop e n s a a l l o s h o c k c h e a l p u n g olo.
S t o r m o d i v i s i o n i d a n z e r e c c e che
scrutano gli Eighties attraverso i
Novanta più evoluti (giochini iperc r o m a t i c i e p r a g m a t i s m o i n c a l z a nte
i n Yo u K n o w M e B e t t e r ) , M a d o nna
i n g r a v i d a t a D e p e c h e M o d e v i a Eu-
r y thm ic s (la t it le- t r ac k ) , i D e a d O r
Alive immischiat i in un r av e Chem ic al Br othe r s ( la f in t r oppo c hiru rgica Cry B aby ) , f u n k s o u l t o r v i
irro rati di fals et t i jac k s oniani ( Pr imitive) e car n o s e p a t i n a t u r e à l a
Gr a ce J ones t r a agili pat ur nie Nel ly Fur tado (Tell Ev er y body ) .
Ne esce d ecis am ent e bene, l’es t r osa gn occa irl andes e, v oc e di s et a
e ca rne , um or i e af r or i m im et iz zati dalla cos m e s i a l n e o n . F a c i l e
p ron ostica re s f r ac elli, s e le legg i d el mercat o f os s er o equaz ioni.
(6 .9/10 )
Stefano Solventi
Robert Wyatt - Comicopera (Domino / Self, 12 ottobre 2007)
Genere: avant/jazz
E’ lo ste sso Wy at t a s piegar c i la
frag ran za di ques t o dis c o, s uggeren do d ’esse r s i is pir at o alla s t r aripante comu n i c a t i v a d e g l i a l b u m
di Char le s M i ngus c o n b a n d d i
cinque, sei, u n d i c i e l e m e n t i . Va l e
a dire , a ll’atm os f er a am ic ale c he
pe rmea nd o lo s t udio f iniv a inev itab ilmen te pe r c ont agiar e la m us ica. Gli amici c o i n v o l t i n e l p r o g e t t o
so no i “so liti” Phi l M anz aner a ( n e l
cui studio cas a l i n g o s o n o a v v e n u t e
le re gistrazioni) , Br i an Eno, P a u l
We ller , l’otti m a t r om bonis t a Annie White he ad e il pianis t a D a v i d
Sincla ir tra g li alt r i. Wy at t ins om ma può perm e t t e r s i d i c o n s e g n a r e
se stesso (co n t u t t o c i ò c h e q u e s t o
significa, e no n s i a l e t t a c o m e u n a
frase fatta) a l l e g r a z i e d i c o t a n t a
b en eme rita atm os f er a, e c os ì s f or nare ciò che l ’ e s t r o - d e l m o m e n t o ,
n el mo men to - s ugger is c e e c onsente.
Po i pe rò n on dev e s t upir e s e Com i c oper a si stru t t u r a c o m e u n a v e r a
e propria… o p e r a i n t r e a t t i . A t t i
d’accusa, a d i r l a t u t t a . R i v o l t i a d
u n mon do d i uom ini c he per s eguono con ostina z i o n e l a d e c a d e n z a ,
la rovina, la tr a g e d i a . E v i t a n d o c o n
naturalezza - c o n g r a z i a w y a t t i a n a
- le trap po le della r et or ic a, per s ino quando ne l f i n a l e s i p e r m e t t e d i
rispo lve rare il c om m os s o r ic or do/
rimp ian to di Che G uev ar a ( lo av eva già fa tto c on Song For Che i n
Ruth Is Str anger Than Ri char d) .
At t i d i v i t a c o n s a p e v o l e e p a r t e c i pe, potremmo quindi dire. Il primo
dei q u a l i ( d a l t i t o l o L o s t I n N o i s e )
s i ap r e c o l d e l i r i o b l u e s d i S t a y Tu ned a f i r m a A n j a G a rb a re k , r i p o r tato sulla terra tra coretti angelici
e quel contrabbasso che scomoda
alluc i n a z i o n i B a d a l a me n t i , l a v o c e
r appr e s a i n u n a s o r t a d i g e l a t i n a
sintetica, gli ottoni a scompaginare
le c o o r d i n a t e e m o t i v e . Tr e p i d a z i o ne c a l d a e u n b e l p o ’ a n g o s c i o s a ,
c he il v a l z e r j a z z a t o d e l l a s u c c e s s i v a J u s t A s Yo u A r e ( s c r i t t a a s s i e m e
alla moglie Alfreda) sbaraglia con
aria da solenne banalità, in virtù
anc he d e l c a n t o s o a v e d i M o n i c a
Vasc o n c e l o s .
E’ un inizio a dir poco disarmante.
Siam o a l l ’ e s a s p e r a z i o n e d i q u e l la tipica facilità d’approccio che
c ar at t e r i z z a Wy a t t f i n d a l l ’ e p o c a
M at c h i n g M o l e . L’ a t t o s e c o n d o ( T h e
Her e a n d T h e N o w ) n o n s m e n t i s c e
ques t a i m m e d i a t e z z a , s c h i u d e n d o s i c o l f o l k e l e t t r o a c u s t i c o d i A Be aut if u l P e a c e ( u n D y l a n p a c i f i c a t o )
e os p i t a n d o u n o s w i n g s f e r z a n t e e
s t ilos o ( B e S e r i o u s ) c h e r i c o r d a i l
Lou R e e d d i T h e B e g i n n i n g O f t h e
G r ea t A d v e n t u r e . P o i p e r ò O n T h e
Town S q u a r e è u n o s t r u m e n t a l e c a raibico vetroso che giochicchia tra
im pa l p a b i l i c i a n f r u s a g l i e c o v a n d o
una m a l i n c o n i a c h e s o m i g l i a a l l ’ a n gos c i a , l a s p e t t r a l e O u t O f T h e B l u e
è un a g i u s t a p p o s i z i o n e e n i a n o /
bjor k i a n a d i t e c n o l o g i a ( v o c o d e r,
s y n t h , t r o m b a e ff e t t a t a . . . ) e n a t u r a
(la manifestazione analogica di sax
e t r om b a ) c h e s i s p e c c h i a n o s e n z a
c om p e n e t r a r s i .
Sembra uno schema consueto, per
quan t o u n p o ’ a n n a c q u a t o : l a s p e r im en t a z i o n e i n s o u p l e s s e , i l d e c o l lo verso sfere sempre più astratte
e astruse. Invece, in realtà, non è
così. Difatti la terza e ultima parte
( Awa y Wi t h T h e F a i r i e s ) s i c o m p i e
all’in s e g n a d i u n a n o s t a l g i c a m e stizia, rinuncia all’idioma inglese
e con questo compie una garbata
ma ferma dissociazione. Rilegge
la s o l e n n e g r a v i t à C S I d i D e l m o n do - s t o r d e n t e e i n e ff a b i l e t r a a r c h i
piz z ic a t i e s y n t h - , p a l p e g g i a l a n guor e i n e l u t t a b i l e c o n C a n c i o n D e
J uliet a - t e s t o d i G a r c i a L o r c a - e
infine, come già detto, ci saluta con
la rumba allarmata tra spasmi jazz
e a t m o s f e r i c a c o m m o z i one della
c l a s s i c a H a s t a S i e m p r e C om a n d a n te.
Ti r a t e l e s o m m e , f o r s e i l disco più
l e g g e r o m a i l i c e n z i a t o d a Wya tt, tu tt a v i a c o m e a l s o l i t o p o r t a tore sano
d i n u t r i t i v e c o m p l e s s i t à , da i n d a g a r e n e l t e m p o e c o l t e m p o . Ta n to R o b e r t s a r à s e m p r e l ì , c o l s uo sorriso
s e n z a s c a m p o , a i n d i c a r c i la strada
senza alzare un dito. (7.0/10)
Stefano Solventi
Scout Niblett – This Fool Can
D i e N o w ( To o P u r e - B e g g a r s /
Self, 19 ottobre 2007)
Genere: alt.folk, songwriting
U n p o ’ C a t P o w e r e u n p o ’ Polly Jean
(ma in fondo solo se stessa), la pol i s t r u m e n t i s t a i n g l e s e S c out Niblett
a r r i v a a l t r a g u a r d o d e l q u arto album
c o n a l l e s p a l l e u n c u r r i c u l u m d i tu tt o r i s p e t t o , s p e s o t r a I n ghilterra e
A m e r i c a , c h e v a n t a c o l l ab o r a zi o n i
e c c e l l e n t i c o m e q u e l l e con Steve
Albini e Jason Molina.
E A l b i n i l o s i r i t r o v a a n c h e d i e tr o
T h i s F o o l C a n D i e N o w, i l cl a ss i c o d i s c o c h e a r r i v a a d u n ce r to
m o m e n t o d i u n a c a r r i e r a, in cui
l ’ u r g e n z a p r i m i g e n i a c a l a a favore
d e l l a r i f l e s s i o n e . L’ i r r u e nza della
N o s t r a i n c o n t r a i n f a t t i i l f lemmatico
B o n n i e P ri n c e B i l l y , e a llora sono
q u a t t r o i n t e n s i d u e t t i - di cui due
c o v e r, C o n f o r t Yo u d i Va n Morrison
e R i v e r O f N o R e t u r n d a l l’ o m o n i m o
f i l m c o n l a M o n r o e - p i e n i d i p a l p i ta z i o n i f o l k - r o c k a c c o m p a g nate dalla
s o l a c h i t a r r a , o r a a c u s t i c a ( Do You
Wa n n a B e B u r i e d Wi t h M y Pe o p l e ),
o r a e l e t t r i c a ( K i s s , c h e f inisce per
e s p l o d e r e n e l l e l a c e r a z i oni vocali
d e l l a N i b l e t t ) ; a l t r o v e è pu r o p sy-
sentireascoltare 79
ch rock agitato da p u l s i o n i o s c u r e
(N evad a), b alla d n er v os e t r a PJ e
S hanno n Wrig ht (Ba by Em m a) , inquieto lirismo a gita to dai s uoi et er ni
fanta smi (Din osau r Egg) e t u t t o u n
saliscendi di implos i o n i / e s p l o s i o n i ,
fino alla co nclusion e c on una s t r egata ninn an an na fin ale al piano ( Fishes An d Ho ne y). C on t ut t o il s uo
consu eto hu mou r da pièc e dell’as surdo (“Dinosaur E g g , w h e n w i l l
you ha tch ? ‘Co s I g ot a m illion people coming on Friday w h o e x p e c t t o
see a d ino sa ur, n ot an egg” ) .
A lbum disomo ge ne o m a non per
questo frammentario , t e s t i m o n i a l a
conferma di u n’e sp r es s iv it à or m ai
mat ura e comp iuta . ( 7. 1/ 10)
Te r e s a G r e c o
S e m i n o l e – N o n Tu t t i I Ve r m i
Diventano Farfalle (Seminole,
giugno 2007)
Genere: anarco-noise-rock
A utoprod uzion e a ba s e di luc ide liriche e chita rre tag lient i, f ier am ente indipendente e cru d a m e n t e n i t i d a
nella su a d isa mina della c ont em poraneità. Nessu no cant er à ( e ne ha
cantato in 10 anni di a t t i v i t à ) l e l o d i
di Seminole, colletti v o t o r i n e s e d e l
giro de i ce ntri sociali, ed è un pec cat o. Non Tutti I Ve r m i D i v e n t a n o
F arfa lle è un d isco br ev e, int ens o e
orgogliosame nte con t r o c he s eppur
sfruttando un impian t o t i p i c a m e n t e
noise-rock ha dalla s u a u n a l u c i d i t à
nelle lirich e che se m br a r iac c endere qu el fuoco mai sp e n t o n e l v e n t r e
della Torino antagon i s t a .
La tensione è semp r e a l t a g r a z i e
alle ch itarre che rie c heggiano alc uni pa ssag gi alla Ma ssi m o Vol um e
ma è g razie a gli in t r ec c i t r a s t r u-
m ent i e pen s i e r o c h e l o s c a r t o a s s um e i t oni d e l l a s o r p r e s a .
La c os a peg g i o r e – s u g g e r i s c o n o –
è r es t ar e in d i f f e r e n t i . E n o i c o n f e r m iam o in pi e n o .
Dura è la vita della provincia, ma
f inc hé gent e c o m e S e m i n o l e s c a t t er à is t ant a n e e d i t a l e p o r t a t a r i echeggerà sempre quel senso di
vaga comunione spirituale che se
non r is olv e i l p r o b l e m a a l m e n o a i u ta a sentirsi parte di una comunità.
( 7. 0/ 10)
Stefano Pifferi
Shitmat – Grooverider (Planet
Mu, settembre 2007)
Genere: drum’n’bass,
breakcore
Henr y Col l i n s e i l r i t o r n o d e l l ’ h a r dcore plunderfonico più estremo
c h e m a i . L a s c u o l a Wr o n g M u s i c ( i l
r agga jungl e d i p e r s o n a g g i o s c u r i
c om e Dj S c o t c h E g g , R o g e r S p e c ies o Chez n y H a w k e s ) , s i r i a s s e t ta dopo i fasti del dubstep e ritorna
qui c on poc o p i ù d i 4 0 m i n u t i c h e
v anno da A mo n To b i n a l m e l t i n ’
pot della fine dei Novanta operato
dall’underground londinese, il tutto
rigovernato da qualche puntatina
pos t - bhangr a c h e i n M . I . A . h a r i t r o vato da pochissimo la necessaria
c ons ac r az io n e .
M a s e a un p r i m o a s c o l t o l ’ o p e r a zione può sembrare per lo meno
m er it ev ole, d o p o u n p o ’ c i s i a c c o r ge c he i t em p i d e g l i A t a ri Te e n a g e
Ri ot s ono t r o p p o d i s t a n t i e l a v i o lenz a punk c h e a g g i u n g e v a p e r s o nalit à al ga b b e r u n d e r g r o u n d s e m bra essere (oggi) priva di valenza
es t et ic a. Ni e n t e d a d i r e p e r l a t e c nic a: s iam o a i l i v e l l i d i d e c o s t r u z i o ne di Ki d 60 6 e d e i C o l d c u t ( s p l e n didi gli ins e r t N o v a n t a i n B e n s o n &
Hedges , il l o o p a r a b o i n Z a g r e b , i l
r ic hiam o ag l i A s i a n D u b F o u n d a t i o n
in M or e Fir e ) , m a l a m o n o t o n i a e l o
s ballo non a t t i r a n o p i ù .
Se il dubs t e p h a r i d a t o v i t a a l l a
scena londinese, non è detto che
con qualche campione più o meno
et er ogeneo e c o n q u a l c h e d r u m - s e t
scintillante sia matematico riuscire
a pr odur r e u n b u o n d i s c o . ( 5 . 5 / 1 0 )
Marco Braggion
80 sentireascoltare
Sic Alps – Description Of The
Harbor (Awesome Vistas, settembre 2007)
Sic Alps – Strawberry Guillotine 7” (Woodsist Records, settembre 2007)
Genere: psichedelia out
D e i d u e S i c A l p s , u n o d e i s e g r e ti
m e g l i o c o n s e r v a t i d e l l ’ u n d e r g r o und
a stelle e strisce, avevamo app r e z z a t o i l p r e c e d e n t e P l e a s u res
A n d Tre a s u re s ( A n i m a l D i s g u ise ,
2 0 0 6 ) , p u n t a d e l l ’ i c e b e r g d i u s cite
i n f o r m a t i m i n o r i c h e c i a v e v ano
c o n s e g n a t o u n g r u p p o c a p a c e di
f o r n i r e u n a v e r s i o n e m o d e r n a d ella
p s i c h e d e l i a r o c k c o n i u g a t a p e r ò se c o n d o i p r o p r i c a n o n i . O r a i c a l i fo r n i a n i s i r i p r e s e n t a n o c o n d u e u s cite
i n c u i c o n t i n u a n o l e l o r o i n c u r s ioni
n e i v a s t i t e r r i t o r i d e l g e n e r e : i l v in i l e 1 2 ” p e r i l c o l l e t t i v o a r t i s t i c o Aw e s o m e Vi s t a s v e d e s u l l a t o B n ove
brevi pezzi che scivolano con nonc h a l a n c e t r a d e r i v e c o u n t r y - n o ise,
boogie’n’roll pestone, litanie semia c u s t i c h e e g r a n d i o s i p e z z i r o c k in
s l o w - f i ( l ’ a r r a p a n t e D r. B a g A n d The
P o m a d e N a t u r e G i a n t s ) c h e s a nno
t a n t o d i Wo o d s t o c k q u a n t o d i J e sus
& Mary Chain.
A sorprendere però è il lato A occupato dalla lunga suite che intitola il
v i n i l e e c h e d a s o l a o c c u p a l a m età
d e l l ’ i n t e r o m i n u t a g g i o . D e s c r i p tion
O f T h e H a r b o r i n i z i a c o m e u n p e zzo
d i p s i c h e d e l i a r o c k c o m e p o t e v an o
intenderlo, per capirsi, i primi e più
s c o n n e s s i M e rc u ry R e v , m a p o i si
s f a l d a i n r i v o l i d i s u o n i s c r e mati
d e b i t o r i t a n t o d i u n a f o r t e p u l s i one
a v a n t q u a n t o , i n a l c u n i m o m e nti,
d e l l a c o n t e m p o r a n e a p s i c h e d elia
p i ù a s t r a t t a . I l 7 ” p e r Wo o d s i s t i n vece incarta un esperimento di ru-
mo rismo fre e- r oc k ( RATRO Q ) t r a
d ue p ezzi di pac hider m ic a ps ic hedelia come po t r e b b e r o i n t e n d e r l a i
Me lvins se fo s s er o dei f r ik k et t oni.
Dopotutto non c ’ è d a m e r a v i g l i a r s i
dell’approccio p o c o o r t o d o s s o a l l a
ma teria ro ck, v is t o c he della par t ita era fino a poc o t em po f a anc he
Adam Stoneh o u s e d e i d e v a s t a n t i
Hospitals … Com e dir e, la gar anzia. (6 .8/1 0)
Stefano Pifferi
Simian Mobile Disco – Attack
Decay Sustain Release (Wichita, 18 giugno 2007)
Genere: electro postdaft generation
Da electropop p e r s a r e m i x a t o r i . D a
re mixa tori a s eguac i del c ult o Daf t
Punk . E il titolo è già dic hiar az ione
d ’inte nti mini m al. Super t ec hno da
sba llo rock m es c olat a a una m or b osa simbio s i c on le m ac c hine, la
p erfe zio ne che c os t r uis c e s uoni oltre l’impasse p - f u n k p e r u n a n u o v a
dimensione vi c i n a a l l ’ e u r o d i s c o e a l
suono ibizenc o .
L a lun ga e sp er ienz a c om e r em is c elatori di capi s c u o l a r o c k - f u n k n o n
p uò che g iovar e, e qui s i s ent ono
tu tte le intu iz ioni dei v ar i Rapt ur e,
Kla xons e Bl oc Par t y. M a il r is ultato supera il p u r o d i v e r t i s s e m e n t e
d ive nta atto di s f ida c ont r o la t r adizion e. Se in alt r i c as i ( v edi Just i c e) la meta r i m a n e l ’ e s i b i z i o n i s m o
p ura men te d is c opop, qui s i r im as t ica la acid hou s e e l a s i r i c o n f i g u r a
n ell’u nico a ct pos s ibile dopo le av ven ture di !!! e LCD Soundsyst em .
Pe r no n socc om ber e s ot t o la s er ie
in finita d i e m uli, qui s i s pinge t ut to al massim o , s e n z a p e s a n t e z z e ,
senza barocchismi. Il suono pulito,
dritto, puro e semplice inviluppo.
Pr ec e d u t o d a d u e c o m p i l a t i o n ( r i spettivamente su Bugged Out e Go
Com m a n d o ) , d o v e i l d u o b r i t a n n i c o
ci aveva già fatto capire che aria
si sarebbe respirata, il disco parte
alla g r a n d e c o n S l e e p D e p r i v a t i o n ,
un crescendo che spara misticismo,
un op e n e r c h e n o n l a s c i a s p a z i o a
niente che non sia movimento o
es t as i c o n t e m p l a t i v a . I G o t T h i s
Town è u n f o t t u t o i n n o b r e a k d a n c e an n i N o v a n t a c o l v o c o d e r, t r a c ce di storia dance-hop, sapiente e
am m i c c a n t e , s u p e r s i n g o l o m a r a n z a; I t ’s T h e B e a t r i p o r t a l a v o c a l i s t
( Ninj a ) d e i G o ! Te a m a u n p u n k e t t ino i n d i e c h e r i c o r d a t a n t o l e u l t i m e c o s e d e L e Ti g re , C h a r J o h n s o n
c he c a n t a s e x y s s i m a i n H u s t l e r i n
una performance che fa gara con
M ado n n a . Ti t s & A c i d è q u e l l o c h e
i Che mi c a l B ro t h e rs n o n o s a n o p i ù
s c r ive r e d a a n n i , p u r a e n e r g i a a c i da, I B e l i e v e ( c h e c o i n v o l g e i l v e c c hio c o m p a g n o d i g r u p p o S i m o n
Lor d ) è u n m i d - t e m p o o t t a n t i s s i m o
c on c o r i e h a r m o n i z e r g i à n e l l ’ o l i m po, Wo o d e n u n a v i s i o n e o l d s c h o ol di A rma n d o e P h u t u re , L o v e e
Sc ot t d o p p i o e p i l o g o r o b o t i c o f u o r i
dal t e m p o .
G li e r e d i d e i D a f t s o n o a r r i v a t i .
Sopr a ff i n i e s c i c c o s i s s i m i , s e n z a
sbavature. Pura energia in 4. Disco
m inim a l d e l l ’ a n n o p e r c h i s c r i v e .
( 7. 6/ 1 0 )
A p a r t e u n r a g a - p s y c h l i sergico in
c o d a ( S u r v i v i n g I n 4 5 B e l o w ) , Ska l l a n d e r è u n p r o g e t t o d i r a ffi n a to
s e m i - i s o l a m e n t o , l o n t a n o d a l l e fr e a k e r i e n e o c o s m i c h e , e più vicino
a l p o p S i x t i e s c a l i f o r n i a no ( Flesh
B o r n C o n s t e l l a t i o n , M i s e ry), come
a i m i g l i o r i K i n g s O f C o nv e nie nc e v i r a t i s e p p i a ( D u s t i n g Th e Ga l l o w s ) , o p p u r e a l l e r i f l e s s i o n i a d u l te
di stampo Low (Ingrain), il brio di
c e r t o f o l k b a r o n e t t o ( D i sm e m b e rm e n t , Ti m e I s O n l y A R evo l u ti o n ).
C i ò c h e c ’ è d i b u o n o è u n a scrittura
s o p r a l a m e d i a , p e r d i p i ù b a sa ta
s u p o c h i s s i m o : a r p e g g i e calibrati
i n s e r t i a m b i e n t ( c o m e d ’ a rchi “finti”
e p p u r c a l d i s s i m i ) . È l a t e rza prova
o m o n i m a a f i r m a S k a l l a n d e r, l a p r i m a s u Ty p e . E s e q u a l c uno pensa
c h e l ’ e t i c h e t t a a b b i a p r e so u n p r o d o t t o m e d i a n o s i s b a g l i a di grosso.
(7.0/10)
Edoardo Bridda
Marco Braggion
S k a l l a n d e r - S e l f T i t l e d ( Ty p e
/ Wide, 27 agosto 2007)
Genere: folk
Uscita decisamente drakeiana per
l’etichetta inglese specializzata in
elettronica e foreste nere, come
dir e c h e i d u e n e o z e l a n d e s i M a t thew Mitchell (chitarra) e Bevan
Smith (elettronica) unici detentori
del p r o g e t t o , p r e f e r i s c o n o r i m a n e re vicini alle bronze del focolare
che addentrarsi nel thrilling della
c as a ( X e l a e S v a rt e G re i n e r) . L a
loro musica si nutre di crepuscoli e
dell’intimità di pochi amici ma non
as pet t a t e v i l a s o l i t a p a r a t a d i s p e t tri dal volto gentile, incensi gotici e
t r ov a t e b a r o c c h e .
Spokane - Little Hours (Jagjaguwar / Wide, 7 agosto 2007)
Genere: american indie-rock
E n n e s i m o s e g n a p o s t o s ulla lunga
s t r a d a d e i s i n g o l i a r t i s t i nascosti
d a p s e u d o n i m i d i “ g r u p po ” , Spok a n e è d a l 2 0 0 0 c r e a t u r a del solo
R i c k A l v e rs o n , n e l l a q u a le infonde
t u t t a l ’ a m m i r a z i o n e p e r f ormazioni
c a p i t a l i c o m e L’ A l t ra , L o w e, più
in controluce, verso gli esperiment i c a m e r i s t i c i d i R a c h e l ’s e 3 3 .3 .
A t m o s f e r e t e n u i e d i l a t a t e, soffuse
e d o l e n t i , n o n d i r a d o p e rcorse da
b r i v i d i e s o t t o l i n e a t u r e d ’ archi che
s o n o f o n d a l e d i s t o r i e s o ffe r te e
m e d i t a t e . L’ e ff e t t o è u n o s to r d i m e n t o m a l i n c o n i c o , o p p i a c e o e simile a
sentireascoltare 81
quei pigri pomerigg i d ’ i n v e r n o c h e
paiono alvei in finiti.
Registrato nell’isola m e n t o - c h e f a
tanto Big Pink - di u n c o t t a g e d e l l a
Virginia , Little Ho urs s i s is t em a s ulle medesime coordin a t e d e i q u a t t r o
lavori che lo hanno p r e c e d u t o m a l i
super a q ua nto a sc r it t ur a ed equilibrio . Be ne ficia nd o in m olt i episodi delle corde vo c a l i l e g g e r e d i
C o u rtne y Bowles , g i à o s p i t e n e l
più rece nte Mea su rem ent d e l 2 0 0 3 ,
le sonorità sied on o all’es at t o inc r ocio t r a le p rime d ue f or m az ioni c it ate poche rig he sop r a: s ono s t anz e
abitate da pianofort i f a n t a s m a c h e
si stringono violini e v i o l o n c e l l i ,
dove le voci su ssur r ano c onf idenze e la ritmica si aff ida es c lus iv amente a un rullante e a l c u n i p i a t t i
polverosi. Pescando q u a s i a c a s o
in un a sca letta b rev e m a s olidis s ima, sa pp iate a llora c he i s ei m inuti di Build ing inquie t a n o c o n t a s t i
e car illo n sospe si a m ez z ’ar ia, I f
There Is Hope, It Lie s I n T h e P r o l e s
si spezza in due so p r a u n a b i s s o
di em otività e Mid dl e Sc hool è u n a
rivelazione pura per v o c e , p i a n o e
pulviscolo sonoro.
Altrove si frontegg i a n o s c h e l e t r i ,
ma dalle ossa robu s t e e i n c a p a c i
di spaventare: sem m a i i n d u c o n o
benvenuti a tirare i l f i a t o p e r u n a
manciata di min uti d el nuov o s ec olo, ch e - fre ne tico e dis t r at t o - f aticher à a p restare or ec c hio t ant o
alla minimale solenn i t à c h i e s a s t i c a
di A dde nd um che a Tell M e, g e m m a
memore de ll’Alex Chi l t on int ent o
a guard arsi a llo sp ec c hio e doler sene. Vo i siate p iù s aggi: non r inunciate a queste or e , p i c c o l e p e r ò
profo nd e, in time e r ar e. Di c ons eguenza, da assapo r a r e a l l ’ i n f i n i t o
senza an no iarsi mai . ( 7. 7/ 10) via dalla palude dell’improduttività
sia stato il boss in persona della
Bella Union R e c o r d s , S i m o n R a y m onde ( ex C o c t e a u Tw i n s ) , i l q u a l e
ha anc he m e s s o m a n o a l l a c o m p o s iz ione di A L i l y F o r T h e S p e c t re .
Nel frattempo si registra anche una
c om par s a d i u n a s u a c a n z o n e n e l l a
s er ie t elev is i v a D a w s o n C r e e k . C h e
dir e della su a p r o p o s t a m u s i c a l e ?
Che la sua passione per i fantasmi
è in ques t o d i s c o d e l t u t t o g i u s t i f i c at a. I nf at t i p i ù d i u n o s p e t t r o a l e g gia diet r o le t r a c c e c h e c o m p o n g o -
Giancarlo Turra
Andrea Provinciali
Stephanie Dosen – A Lily For
The Spectre (Bella Union / V2,
4 giugno 2007)
Genere: folk
La biondissima sta t u n i t e n s e d e l
Wisconsin Stephanie D o s e n g i u n g e
al suo secondo alb u m a d d i r i t t u r a
cinque an ni d op o il s uo debut t o autopro do tto Ghos ts, M i ce And Vag ab onds . Si narra c h e a t r a s c i n a r l a
Sunset Rubdown – Random
S p i r i t L o v e r ( J a g j a g u w a r, o t t o bre 2007)
Genere: psych pop obliquo
A pochi mesi dalla distribuzione
it aliana del s e c o n d o a l b u m ( S h u t
Up I Am Dr e a mi n g , u s c i t o i n r e a l t à l’anno s c o r s o s u R o u g h Tr a d e ) ,
ec c o anc or a i l c o m b o d i p o p o b l i quo Sunset Rubdown, questa volta
82 sentireascoltare
no l’album. Su tutti spicca quello di
Pol l y Paul u s ma : i l t i m b r o v o c a l e
della Dosen è talmente identico da
pr ov oc ar e im b a r a z z o . M a n o n s o l o :
anc he quell o d i E mi l i a n a To rri n i e ,
più nella pe n o m b r a , q u e l l o d i F e i s t
spirano tra le pieghe del disco. In
più s e s i a g g i u n g e a n c h e u n a e c cesssiva omogeneità tra le canzoni,
i fantasmi diventano insopportabili.
Cer t o l’iniz i a l e T h i s J o y e D e a t h
And The M a i d e n s o n o e p i s o d i c h e
per la lor o b u o n a i n c i s i v i t à a v r e b b e ro sicuramente impreziosito l’ultimo
lavoro dell’ectoplasmica Paulusma.
Parafrasando il titolo dell’album: un
dis c o per lo s p e t t r o . ( 5 . 0 / 1 0 )
s u J a g j a g u w a r. L a s t o r i a d e g l i i n t r e c c i i n c a s a c a n a d e s e è n o t a , e il
d e u s e x - m a c h i n a d e l g r u p p o , S p e nc e r K ru g , c h e c o m e s i s a , g r a vi ta
i n v a r i a l t r i e n s e m b l e ( S w a n L ake,
Wo l f P a r a d e … ) a p p a r e c c h i a u n a l t r o s t r a m b o p i a t t o a l l ’ i n s e g n a del
melting pot, questa volta ponendo
p i ù d e l s o l i t o l ’ a c c e n t o s u l v e r s a nte
psych pop.
Pezzi dilatati e stratificati, con lung h e j a m a c i d e ( M a g i c v s . M i d as),
c r e s c e n d o a l l a A rc a d e F i re f iati
e v o c e c o m p r e s i ( T h e M e n d i n g Of
T h e G o w n ) , m a r c e t t e a l l a B o wie
p o s t - Z i g g y i n a c i d o ( U p O n Your
L e o p a r d … ) , e t u t t a u n a s e r i e di
s t r a m b e r i e p s y c h o r a a l l a B a rr e t t
( T h e C o u r t e s a n H a s S u n g ) o r a e l e ttrificate e rielaborate alla Beck e
M e r c u r y R e v ( S t a l l i o n ) , c o n t u tta
l ’ e s a g e r a z i o n e d e l c a s o ( F o r The
P i e r … ) . U n a d e r i v a c h e , r i s p etto
al precedente, li fa peccare in dis p e r s i o n e m a n c a n d o d i u n i t a r i e tà ;
vengono ripetuti alcuni spunti e
s e l a s c i a n o i n d i e t r o a l t r i , c o m e le
s v e l t e p o p s o n g d e s t r u t t u r a t e ma r c h i o d i f a b b r i c a . P e c c a t o , p e r ch é
K r u g s e m b r a c r e d e r c i p a r e c c hio.
(6.3/10)
Te r e s a G r e c o
Supersilent – 8 (Rune Grammofon, 17 settembre 2007)
Genere: future jazz
N o n s e m b r e r e b b e , m a i S u p e rsi l e n t m a n c a v a n o d a u n o s t u d i o di
r e g i s t r a z i o n e d a l l o n t a n o 2 0 0 3 . Nel
m e n t r e , t r a u n a t o u r n é e c h e h a t o cc a t o l ’ I t a l i a ( i d u e c o n c e r t i i n s u cc e s s i o n e l a s e r a d e l n o v e f e b b r aio
2 0 0 6 n e l l a c o r n i c e r o m a n a d e La
Casa del Jazz ) e u n c d / d v d l i v e d a
p osse de re e c us t odir e gelos am ente, le primave r e s i f a n n o d i e c i e l a
d iscog rafia a c c oglie il nuov o ar r ivato. La tavol o z z a d e l l ’ a r t w o r k o r a ,
d op o gli an t er ior i blu, t ur c hes e,
n ero e le du e t onalit à di v er de pr op on e un ro sa f em m ineo e la s olit a
g rafica e ssen z ialis t a.
I Weather Rep o r t c y b e r p u n k , i l j a z z
d ell’a nn o 30 00 c he as c olt i oggi e
a nche in u n m is t er ios o dom ani par te sub ito co l doom di 8. 1 c he f are bb e rab briv idir e pur e l’ac c oppiata Ktl di Step h e n O ’ M a l l e y e P e t e r
Reh be rg.
Il misticismo di 8. 2 e l ’ a n s i o g e n o
dru mming di 8. 3 s em br ano, anche in virtù d i u n a c i d i s s i m o S t a l e
Storløkken all’or gano, v ar iaz ioni
de co mpo ste dell’A l i c e C o l t r a n e
di Unive r sa l Consci usness. A r v e
Hen riksen , si nor a r im as t o nelle r etrovie, d ise gn a c on quella t r om ba
se mpre p iù has s ell- iana la s educe nte e p arim ent i des olant e t r am a
di 8.4 e la co m p i u t e z z a ( d e n t r o c ’ è
tutto: jazz, ter z o m o n d i s m o , r o c k ) d i
8.5 ch e staziona una s panna s opr a
le a ltre.
Non si p uò di r e alt r et t ant o di 8. 6 e
del suo glitch d i m a n i e r a ( a n c h e s e
il ca nta to pa gano r ias s es t a un po’
il tiro ) né de l nois e di nov e m inuti (se fossero s t a t i l a m e t à … ) a l à
Sto og es/L.A. Blues di 8. 7. Chiude
lo stran ian te am bient , c on t as t ier in e tipo Pie ro Um iliani, di 8. 8. P e r
d irla co me Ar v e Henr ik s en: un disco ch iaro scur o. ( 6. 5/ 10)
Gianni Avella
Susanna – Sonata Mix Dwarf
Cosmos (Rune Grammofon, 20
agosto 2007)
Genere: alternative pop
Encomiabile la produttività artistica di questa norvegese dal nome
atipico. Appena un anno fa, infatti,
usciva la sua seconda fatica Melody Mountain, album di cover messo su insieme alla sua metà Morten “Magical Orchestra” Qvenild.
E pensare che per Susanna Karol i n a Wa l l u m r ø d u n a n n o p o t r e b be essere considerato addirittura
come un anno luce, data la percezione cosmica che la dilatazio-
ne e la sospensione sonora delle
sue canzoni riescono a infondere
nell’ascoltatore.
Per d i p i ù , s t a v o l t a l a N o s t r a è u f f ic ial m e n t e s o l a . M o rt e n O v e n i l d
e gli a l t r i m u s i c i s t i – t r a i q u a l i a l
piano spicca anche il fratello della
Wal l u mrø d , C h ri s t i a n – c o l l a b o rano all’album in maniera del tutto
or nam e n t a l e . L a s e m p l i c i t à s t r u t t ur ale d e l l e t r a c c e è e m b l e m a t i c a
di ciò. Non che i precedenti lavori
f os s e r o c o m p l e s s i , m a q u e l l a c o m ponente elettronica che in passato
arricchiva il suono e che andava a
“ s por c a r e ” l a l i m p i d e z z a d i s t r u m e n ti classici come l’arpa, il piano, la
c eles t a e t c . , è o r a d e l t u t t o i m p e r cettibile se non in rare eccezioni. È
la voce, accompagnata sempre da
un’es s e n z i a l i t à s t r u m e n t a l e s c h e letrica, a dare densità, a dettare il
pas s o d i o g n i s i n g o l o e p i s o d i o , i m pregnando l’album di una classicità
anc or a p i ù m a r c a t a r i s p e t t o a i l a v or i p r e c e d e n t i . C l a s s i c i t à c h e s o r pr end e n t e m e n t e p e r ò n o n a p p e s a n tisce il risultato finale. Anzi, proprio
quell a l e g g e r e z z a m a l i n c o n i c a d e l la componente vocale rende tutte
le c a n z o n i c o m e s o s p e s e n e l v u o t o
cosmico, in assenza di gravità.
I nt r ud e r c i d à i l b e n v e n u t o i n p a e s a gg i l u n a r i c h e d e l i n e a n o g i à
quale sarà l’atmosfera dell’album:
c u p am e n t e l e g g e r a e q u i e t a m e n t e
m alin c o n i c a . D e l l a q u a l e P e o p l e
Liv ing e F o r Yo u n e r a p p r e s e n t a n o
s enz a d u b b i o g l i e p i s o d i m i g l i o r i
toccando picchi emotivi altissimi.
Solt a n t o a l c u n e s f u m a t u r e p o p q u a
e là, c h e e m e r g o n o s o p r a t t u t t o i n
quegli episodi nei quali è il suono
s om m e s s o d e l l a c h i t a r r a a d e t t a r e
il pas s o , S t a y e B e t t e r D a y s , f a n n o
s c or g e r e c o d e d i c o m e t e c h e c o l o -
r a n o d i c o b a l t o i l v u o t o c i rcostante.
M a g i u s t o i l t e m p o d i v e d er svanire
l a l o r o s c i a c h e g i à q u e l l a b u i a a tm o s f e r a , i l l u m i n a t a s o l t a nto d a l ti m i d o b a l u g i n a r e s i d e r e o , ci avvolge
m a t e r n a . M a t e r n a , s ì : p e r ch é i n ve c e d i o p p r i m e r e e a n g o s c i are, essa,
c o n q u e l s u o i n c e d e r e c o mp a ssa to ,
n o n r a p p r e s e n t a c h e u n d o l ce r i s c a l d a r e . L a b a l l a t a p i a n i sti ca L i l y,
p o s t a i n c h i u s u r a d e l l ’ a l bum, ne è
l a c o n f e r m a l a m p a n t e : 2 : 34 d i ca n dore etereo.
C e r t o , o c c o r r e u n ’ i n d u b bi a p r e d i s p o s i z i o n e d ’ a n i m o p e r a ddentrarci
n e l l e t r a m e d i S o n a t a Mix Dwarf
C o s mo s , m a u n a v o l t a d en tr o , sta t e p u r c e r t i , v i s e n t i r e t e in pace,
a l l e g g e r i t i d i q u e l l e z a v o rre inutili
c o n l e q u a l i l a v i t a t e r r e s tr e ci l e g a
a s é . B e n v e n u t i n e l l ’ u n i v er so . Be n v e n u t i n e l l ’ a n t i g r a v i t à . ( 7 . 3 /1 0 )
Andrea Provinciali
Swod – Sekunden (City Centre Offices / Wide, settembre
2007)
Genere: piano music
D o t a t o d i e v i d e n t e r e s p i r o ci n e m a ti c o - n o t e c h e e s p r i m o n o i l massimo
d e l l e p r o p r i e p o t e n z i a l i t à solo se a
m u s i c a r e i m m a g i n i , c o m e te sti m o n i a t o d a l l e d u e t r a c c e v i d eo ch e i n t e g r a n o l a s e c o n d a o p e r a del duo
b e r l i n e s e - S e k u n d e n è disco che
s i f a t i c a a d a s c o l t a r e p e r intero, se
n o n c o m e s o t t o f o n d o a d a l tr e a tti v i t à o c o a d i u v a n t e d i e s e r ci zi m e d i t a t i v i . È i l p i a n o f o r t e d i Stephan
Wö h r m a n n i l p r o t a g o n i s t a a sso l u to
d e i n o v e b r a n i , u n p i a n o fo r te ch e
o d o r a d i E r i k S a t i e , Ya n n Tiersen,
B l a c k Ta p e F o r A B l u e G i r l, persino,
talvolta, di Ludovico Einaudi.
sentireascoltare 83
U n’ambie nt e leg an t e e dis c r et amente pretenziosa, d a l l ’ a t t i t u d i n e
spiccata men te ne oclas s ic a ( Deer ) ,
venata da effettistic a e l e t t r o n i c a e
scariche sinte tich e - è O liv er Doerell ad o ccup arsen e - buone, s e
non altro, a mitiga r e l e p r e t e s e
orato rie e ca pa rbia m ent e m onologanti dello strument o p r i n c i p e . N o n
mancan o fran ge nti di ogget t iv a bellezza (Pa tina ge ), sla n c i d i o s t i n a t o
lirism o (Exit, coin vo lt i anc he bas s o
e batte ria, u no de i br ani più r ius c it i
in scaletta) o soluz i o n i i n d o v i n a t e
(S ekun de n: il p ian o c om e p a t t e r n
ritmico oltre che stru m e n t o s o l i s t a ) ,
ma risulta difficile c o n s i g l i a r e p e r
intero u n d isco che al più può s edurre filmmaker e v i d e o a r t i s t i d a i
gusti no n tro pp o d iff ic ili. ( 5. 7/ 10)
Vincenzo Santarcangelo
S y l v a i n C h a u v e a u – S . ( Ty p e /
Wide, settembre 2007)
Genere: modern composition
L’approdo di Sylvain C h a u v e a u a l l a
corte di John Twells è p r o c e s s o d e l
tutto naturale se si p e n s a a l l ’ u m o r e
di certe recenti usci t e i n c a s a Ty p e
R eco rd ing s (De af C ent er , J u l i e n
N eto , Goldm und). I n at t es a della
rist ampa pe r l’etichet t a m anc uniana dell’accla mato Le L i v r e N o i r D u
C ap italis m e (Disque s D u S o l e i l E t
D e L’Acie r, 2 00 3) un v ar iegat o antipasto: dalle ultime c o n c e s s i o n i a l
post-rock (gli sp aru ti baglior i di c hitarra preparata su fo n d a l e s i n t e t i c o
di Comp osition 8), allo Chauv eau
che già co no sciamo , l’er ede angelicat o d ella trad izio ne m audit ( P. ,
N , br evi comp osizio ni per piano e
poco altro); e poi l e p r o p o s t e p i ù
84 sentireascoltare
audac i: lo s t e t o s c o p i o b i a u r i c o l a r e
ad auscultare gli ultimi battiti del
m oder nis m o i n m u s i c a , u n ’ e l e t t r o n i c a t a n t o m i n i m a l e q u a n t o e ff i c a c e ,
il riannodarsi ciclico di glitches e
f r equenz e ( E / R , A) . N u o v e d i r e z i o n i
c he s i s per a v e n g a n o a p p r o f o n d i t e
in f ut ur o. ( 6 . 5 / 1 0 )
Vincenzo Santarcangelo
Te l e p h o n e J i m J e s u s – A n y where Out Of The Everything
(Anticon / Goodfellas, 25 settembre 2007)
Genere: avant hip hop
Tr e a n n i d i d i s t a n z a t r a u n d i s c o e
il s uo s uc c e s s o r e p o s s o n o r a p p r e sentare un tempo molto relativo, a
s e c o n d a d el c o n t e s t o m u s i c a l e a c u i
ci si riferisce. Per una band ormai
agli s goc c io l i i n q u a n t o a c r e a t i v i tà, che si ritrova a fare dischi per
accontentare contratti discografici
decennali, possono anche essere
poc his s im i, c o n s i d e r a t o i l p e r i c o l o - d i s a ff e z i o n e d e l p u b b l i c o . S e s i
par la inv ec e d i a v a n g u a r d i e , d i m u s ic is t i c he i n q u a l c h e m o d o r a p p r e sentano il futuro della musica, un
triennio equivale a un’eternità, a un
t em po dens o c h e p r o v a a r i a s s u m e r e int ens it à e c r e a t i v i t à .
Se c i s i gua r d a a l l e s p a l l e , e s i f i s sa l’attenzione sulle trasformazioni
av v enut e in s e n o a l l a s c u d e r i a A n ticon rispetto a quel fatidico 2004
che ha visto la dissoluzione del
pr oget t o cL O U D D E A D , c i s i a c c o r ge di quant o s i a c a m b i a t o , i n q u e s t a m anc iat a d i a n n i , i l p a n o r a m a
dell’av ant h i p h o p e , p i ù i n g e n e rale, dell’elettronica che volge lo
sguardo alla contaminazione.
Q ues t a br ev e d i g r e s s i o n e p u ò a i u t ar e a c om p r e n d e r e l e e v i d e n t i d i f ferenze
ch e
contraddistinguono
Anyw her e O u t O f T h e E v e ri t h i n g
r is pet t o al s u o p r e d e c e s s o r e , A
Poi nt Too F a r To A s t ro n a u t , e s o r d i o p e r l ’ et i c h e t t a s t a t u n i t e n s e d i
G e o r g e C h a d w i c k , a k a Te l e p h o n e
Jim Jesus. Un album, il nuovo, che
r is ent e del c a m b i a m e n t o d i r o t t a s t i listico che ha contraddistinto molti
degli ar t is t i c h e s i r i c o n o s c o n o n e l la famiglia-Anticon, come fosse una
sorta di filosofia del fare musica:
già nei dis ch i s o l i s t i d i Wh y ? A l i a s ,
S o l e e O d d N o s d a m, c o s ì c o m e nei
n u o v i a r r i v i T h e e M o re S h a l l o w s e
B ra c k e n , a v e v a m o n o t a t o u n ’ a t t e n z i o n e m e t i c o l o s a a l l a r a ff i n a t e zza
n e l l a s c e l t a d e i s u o n i , m a a n che
u n a p e r i c o l o s a t e n d e n z a a g i o c he r e l l a r e c o n m e l o d i e d e c i s a m e nte
t r o p p o “ e a s y l i s t e n i n g ” . U n r i s chio
che si sente di correre anche Georg e c h e , a b b a n d o n a t i q u a s i d e l t utto
i r e s i d u i e l e c t r o e i b e a t s p r e s i in
p r e s t i t o d a A p h e x Tw i n , p r o v a a
mettersi in riga con i colleghi, reg i s t r a n d o u n a l b u m c h e v i r a d eci s a m e n t e v e r s o i l r i t m o , r i s p e t t o alla
p a c a t e z z a e a l l e a t m o s f e r e s t a t i che
d e l p r e c e d e n t e l a v o r o d i s c o g r a f i co.
T J J c o n t i n u a l e s u e e l a b o r a t e co s t r u z i o n i d i s a m p l e , m a q u e s t a v olta
l e s o v r a p p o n e a u n a s e z i o n e r i t mi ca più accentuata, pronta a marcar e l ’ a c c e n t o s u p a s s a g g i l e n t i s s i mi,
a l l i m i t e d e l d o o m ( D i d Yo u H e ar ? ;
H i t B y N u m b e r s – m a a l l o r a s i può
d a v v e r o p a r l a r e d i d o o m - h o p ? ) , su
p a r e n t e s i h i p h o p o l d s c h o o l ( D ice
R a w , c o n l e v o c i d i P e d e s t ri a n e
W h y ? ) o p p u r e s u s c h i z z i d i f u nky
( A M o u t h O f F i n g e r s ) . I n a l c u n i c asi
s e m b r a q u a s i d i a s c o l t a r e P r e f use
73.
L a m a n o p e s a n t e e r i s o l u t a d i A l ias
s i f a n o t a r e s i a a l i v e l l o c r e a t ivo
c h e p r o d u t t i v o . I n B i r d s t a t i c , i n pa r t i c o l a r e , s i r i t r o v a n o p e r f e t t a m e nte
t u t t i g l i e l e m e n t i m u s i c a l i c h e c on t r a d d i s t i n g u o n o i l s u o s t i l e : a r p eggi
r e i t e r a t i a m o ’ d i t a p p e t o s o n oro,
u n ’ a t m o s f e r a g e n e r a l e i n c o n f on d i b i l m e n t e d r e a m y e p e r c u s s i oni
l e n t e e p e s a n t i . M a n c a s o l o l a v oce
d e l l a Ta rs i e r, a c o m p l e t a r e i l q u a dro.
M a n o n è s o l o A l i a s a m e t t e r c i le tt e r a l m e n t e l e m a n i i n q u e s t o d i s co.
N e i c r e d i t s s i l e g g o n o n o m i o r ma i
turn it on
Ye a s a y e r – A l l H o u r C y m b a l s ( N o w W e A r e F r e e / W i d e , 2 2 o t t o b r e
2007)
Genere: wave rock
Si pa rte co n una Sunr is e c h e s e m b r a u s c i t a f u o r i d a u n d i s c o d i G e o r g e
Micha el. Pa re quas i di v eder lo anc heggia r e s u l c l a p c l a p i n m i d - t e m p o
della ritmica, q u a n d o C h r i s K e a t i n g a t t a c c a l a p a r t e v o c a l e s u b i t o d o p p i a t a
d a u n g ioio so c or et t o gay. Tut t o ques t o potr e b b e t r a n q u i l l a m e n t e s u o n a r e
in mo do o rribi le, m a inv ec e f unz iona alla pe r f e z i o n e . Wa i t F o r t h e S u m m e r
p ag a in ve ce t r ibut o a Pet er G abr i el c om e b u o n a p a r t e d e i b r a n i r e s t a n t i .
È lu i la stella polar e v er s o c ui t endono br an i f a n t a s i o s i c o m e N o N e e d To
Wo rry e Fo rgi v enes s . 2080, il pr im o s ingol o p e r l e r a d i o , t i a p p i c c i c a s u bito ad do sso la s ua m elodia in m anier a v igl i a c c a e s e m b r a u n a S h o c k T h e
Mo nkey rifatta da Paul Sim on m ent r e jam m a c o n g l i A n i ma l C o l l e c t i v e .
Pa rte d el fa scino della m us ic a degli Yeas ay e r è d i n a t u r a p r e t t a m e n t e p o s t - m o d e r n i s t a . M u s i c a c h e s t r i zza l ’ o cchio lino in ma nier a s ubdola ad un t r ilione d i r i f e r i m e n t i e p u o i t a n t o s t a r e a l g i o c o q u a n t o l a s c i a r t i a n d a r e a l l ’ i n ced ere d elle m elodie e c eder e al m inut aggio d e l d i s c o . S o t t o q u e s t o p u n t o d i v i s t a l a t e n u t a s u s t r a d a è d i q u e l l e
d a a uto di p rim a linea. G er m s è un’alt r a od e e t n o - e i g h t i e s c h e s i a n i m a s u c o r i d a g i u n g l a i n s t i l e R e a l Wo r l d .
Win tertime è un’epic a m ar c et t a indiana m a s u o n a t a c o m e l a s u o n e r e b b e r o g l i A k ro n / F a mi l y . G l i Ye a sa ye r q u e sto sono. Un m a t r i m o n i o a s t u t o t r a p a s s a t o ( g l i a n n i ‘ 8 0 ) e i l p r e s e n t e ( t a n t o t r i b a l i n d i e d i q u e s t i a n n i ) Riuscite
a d immag ina r v i un ibr ido t r a i Fine Young C a n n i b a l s , P e t e r G a b r i e l e g l i A n i m a l C o l l e c t i v e ? S e n o n c i r iu sci te g l i
Yea sa ye r po s s ono es s er e una r is pos t a. ( 7. 2 / 1 0 )
Antonello Comunale
sentireascoltare 85
familiari a ch i h a un po’ di c onf idenza con qu ella ch e si pot r ebbe def inire la “sce na d i Oa k land” : O dd Nosdam, Ped estrian , W hy ?, Doseone
(che p resta il suo r apping a U g l y
K nees), Ale x Kort dei Subt l e ( v ioloncello ele ttrico in Feat her f all) ,
B o ma r r , che ci me tt e lo z am pino in
parecchi brani. Con t i n u a d u n q u e ,
la filosofia dell’ unit i - s i - v i n c e ( e s i
crea) che h a se mpre c ont r addis t into le produzioni Anti c o n . E ’ p r o p r i o
per il cooperativismo p e r f e t t a m e n t e
riuscito che esprime , n o n c h é p e r l a
(disom o ge ne a) comp at t ez z a e l’infinit à di sfuma ture c he lo c ont r addisting uo no , ch e Any wher e O u t O f
T h e Ev er y thing si c andida s enz ’altro ad essere la m i g l i o r e u s c i t a
dell’anno per la lab e l c a l i f o r n i a n a .
(7. 2/1 0)
Daniele Follero
The Brunettes – Structure And
Cosmetics (Sub Pop / Audioglobe, 5 novembre 2007)
Genere: indie-pop
U n albu m tu tto zu cc her o e ar c obaleni, miele e bubble g u m , i n t r i s o d i
una no sta lgia pa ste llo dal r et r ogusto do lce ama ro. Giu nt o f in da noi
dalla Nuova Zelan d a s o s p e s o a
mezz ’aria da pa llon c ini m ult ic olori passando attrave r s o c i e l i g r i g i o
autunnali. I Brunette s s o n o u n d u o
compo sto d a He at her M ansf i el d
e Jo na tha n Br ee , aff ianc at i nelle
loro m orb ide trame pop da div er s i
strum en tisti mai tr oppo inv as iv i.
S tru c tur e And Cosm et i cs r appr esenta la loro terza fa t i c a e s a n c i s c e
molto probabilmente i l l o r o l e g i t t i m o
coronamento interna z i o n a l e . I n f a t t i
dopo due album e u n a m a n c i a t a d i
86 sentireascoltare
EP pubblic a t i p r e s s o l a l o r o c o n t e r ranea etichetta Lil’ Chief Records,
è nientedimeno che la Sub Pop a
s c om m et t er e s u d i l o r o s d o g a n a n doli al m on d o i n t e r o . Tr a t t o d i s t i n t i v o d e l l a ba n d è q u e l l ’ a l t e r n a r s i d i
v oc i m as c h i l i e f e m m i n i l i c h e r a g giunge l’ap i c e q u a l i t a t i v o q u a n d o
diventa un vero e proprio duettare.
Se la pr im a c a n z o n e p o t r e b b e d i s or ient ar e m u o v e n d o s i s u u n p a r ty pop all’insegna di band come
Ar chi t ect ure I n H e l s i n k i e G o !
Team c on t a n t o d i c o r i e h a n d c l a p ping, s o n o l e s u c c e s s i v e t r a c c e a
riassestare il tiro spostandosi su
binari più decisamente twee pop.
I nf at t i St er e o ( M o n o M o n o ) , S m a l l
Town Cr ew e C r e d i t C a r d M a i l O rder c o n i l l o r o d e l i c a t o p o p a c u s t i c o
da c am er ett a , c o n d i t o q u a e l à d a
allegr i ins er t i t a s t i e r i s t i c i , e v o c a n o
t ant o i pae s a g g i r a ff i n a t i d e i B e l l e And Seb a s t i a n q u a n t o i b o z z e t t i
s bar az z ini d e l l e C o c o ro s i e , f i n a n c he i Beach B o y s e i B e a t l e s p i ù
c o m p a s s a t i. N o n s o n o p a r a g o n i d a
poco; le canzoni funzionano e la
loro facile orecchiabilità è tenuta a
bada da un approccio lo-fi che non
appesantisce mai il risultato finale.
Her Hair aga m i S e t è l ’ e s e m p i o c o m piuto della giusta misura pop: strofa
pimpante e spensierata, ritornello
dilat at o e m a l i n c o n i c a m e n t e a m a r o
a pr es a r ap i d a . N o n m a n c a n o n e p pur e epis od i p i ù c u p i c o m e l ’ o n d e g giant e Wall P o s t e r S t a r : q u a s i u n a
r iv is it az ione p o p d e i B l a c k H e a r t
Pr ocessi on . Q u e s t ’ a l b u m r i e s c e a d
addolc ir e l’ a u t u n n o s e n z a i n n e s c a r e diabet ic i a l l a r m i . ( 7 . 0 / 1 0 )
p e r q u e s t i o n i l e g a t e a d u n a n e c e ss i t à i n t e r i o r e e n o n c o m e a t t i vità
c o l l a t e r a l e , d a i n t r a p r e n d e r e tr a
u n ’ a g g i u s t a t i n a a i c a p e l l i p r i m a di
s a l i r e s u l p a l c o e u n ’ i n t e r v i s t a r osa
shocking da rilasciare alla stampa.
T h e re I s L i f e I n T h i s O l d L a nd
r i e n t r a i n q u e s t a c a t e g o r i a , c o n il
s u o f o l k i n g i a l l i t o i n b i l i c o t r a tr a d i z i o n e a m e r i c a n a e c a n z o n e d ’ au t o r e , l ’ i n c e d e r e l e n t o e r u r a l e , il
country sottopelle, il potere taumat u r g i c o d e l l e o t t o s t a z i o n i d i q u e sto
v i a g g i o v e r s o O v e s t . O t t o t a p p e più
à l a M o j a v e 3 c h e i n s t i l e D y l a n,
sospese e ristoratrici (It Ain’t), eleg a n t i e i n t e n s e ( S t a r s h u t t l e e J ust
S e m p t e m b e r ) , m a l i n c o n i c h e e mi surate (Through Rivers e New Mac h i n e ) . A l l a g u i d a d e l l a B u i c k s c a ss a t a m a i n d o m i t a c h e a t t r a v e r sa i
c i n q u a n t a m i n u t i d e l d i s c o , R o ger
R i d e l b a u e r ( Tr a n s m i s s i o n , J olie
H o l l a n d , B o x c a r S a i n t s ) e C h a r les
S o mme r ( H a l i f a x P i e r ) , p i ù q u a l c h e a m i c o d e l l a B a y A r e a f a t t o acc o m o d a r e s u i s e d i l i p o s t e r i o r i tra
c o n t r a b b a s s o , b a t t e r i a , v i o l o n c ello
e t r o m b a . U n g r u p p e t t o s c a p i g l i ato
e s e n z a a s p i r a z i o n i p a r t i c o l a r i , ca pace tuttavia di perdersi piacevolm e n t e t r a l e p i e g h e d i u n a m u s i ca
d i s c i p l i n a t a , e s s e n z i a l e , d a l p a sso
elegante. (6.7/10)
Fabrizio Zampighi
Andrea Provinciali
The Cannery – There Is Life In
This Old Land (Awful Bliss, 15
settembre 2007)
Genere: folk
A volte basta poco per regalare
em oz ioni: u n a c h i t a r r a a c u s t i c a i n dolenz it a, u n a p e d a l s t e e l u n p o ’
r uff iana, qu a l c h e c o l p o b e n a s s e stato di fingerpicking, la voce di
chi si è svegliato presto la mattina
s enz a av er d o r m i t o a s u ff i c i e n z a .
O magari la sensazione che chi sta
s uonando lo f a c c i a e s c l u s i v a m e n t e
The Focus Group – We Are All
P a n ’s P e o p l e ( G h o s t B o x , a p r i l e
2007)
Genere: pop/lounge/dance/folk
T h e F o c u s G r o u p , l a c r e a t u r a d i J ul i a n H o u s e ( f o n d a t o r e d e l l ’ e t i c h e t-
ta Gho st Bo x, as s iem e a J im J upp)
ra pp resen ta for s e la par t e più r adicale e in teg ral is t a dell’int er o c at alogo. Già il titol o è u n a d i c h i a r a z i o n e
d ’inte nti. We ar e Al l Pan’s Peopl e
fa riferimento s i a a l d i s m e s s o c o r p o
d i ba llo d el Top O f The Pops degli anni Setta n t a , s i a a l c a p o l a v o r o
d ella lette ratu r a hor r or The G r e a t
God Pan (1 89 4) dell’aut or e galles e
Ar thur Ma chen ( 1863- 1947) .
Il mon do in c ui s i m uov e The Focus Grou p è popolat o da f ant as m i,
fantasmi di u n p a s s a t o p r o s s i m o ,
dei programm i r a d i o e d u c a t i v i d e l l a
BBC, serie tv s c i - f i , r o m a n z i e f i l m
horror. Un pa n t h e o n d i p e r s o n a l i t à
musicali-letterarie-televisive-cinematografiche o ff , c o m e J o e M e e k ,
Nig el Kn ea le, Alger non Blac k wood,
C. S. L ewis, M B Dev ot . La m us ica pu ò esse re ad un pr im o as c olt o
spig olo sa ne lla s ua f r am m ent ar ietà e varie tà di s t ili: lounge, m us iq ue con crè te, t ec hno, m a l’idea è
p rop rio qu ella di r ic r ear e una s or ta di zapping r a d i o t e l e v i s i v o , c h e
p ossa ind urre l’as c olt at or e ad un
p rocesso d i r iat t iv az ione della m emoria. Non s i t r a t t a p e r ò s o l o d i
uno sguardo n o s t a l g i c o e p a s s i v o
d ella Sto ria, m a s i t r at t a s em m ai
di un tentativ o d i r i - s c r i t t u r a d e l l a
stessa a ttraver s o la r i- c er c a e la r isco pe rta d i una Pas s at o alt er nat ivo, parallelo.E c c o p e r c h é s i a m o u n
p asso o ltre alla Rec her c he pr oustiana. Unico v e r o l i m i t e d i q u e s t e
25 tracce, dov e r i s u o n a n o r i v e r b e r i
di un passato t a n t o g l o r i o s o q u a n t o
poco conosci u t o , s t a n e l f a t t o , d a
non sottovalu t a r e , c h e l ’ a s c o l t a t o r e
ita lian o p otrà av er e qualc he diff icoltà a ricono s c e r e e l e m e n t i d i u n a
tradizione che n o n g l i a p p a r t i e n e , i l
cui contesto c u l t u r a l e e g e o g r a f i c o
è q ue llo de lla G r an Br et agna anni
’6 0 e ’70 . (7.0 / 10)
Nicolas Campagnari
T h e G o o d L i f e – H e l p Wa n t e d
N i g h t s ( S a d d l e C r e e k , 11 s e t tembre 2007)
Genere: indie-folk
Quarto album per il progetto parallelo di Tim Kasher, cantante e chitarrista dei più conosciuti Cursive.
Rispetto a quest’ultimi, i Good Life
rappresentano la parte più intima
e folk del Nostro. La loro proposta
musicale si basa su un incedere
chitarristico quasi del tutto acustico
sorretto da una sezione ritmica che
difficilmente prende il sopravvento.
Come nei dischi del gruppo madre,
protagoniste assolute sono le liriche. Ma qui, grazie a una più marcata semplicità strutturale delle canzoni e all’attenuazione dei volumi,
quel modo estremamente personale
di interpretare le canzoni di Kasher
diventa ancor più profondo e commovente. Dobbiamo ammettere che
dopo il salto qualitativo fatto con il
precedente Album Of The Year, ri-
spetto ai primi due dischi (Novena
On A Nocturne e Blackout), questo
Help Wanted Nights ne rappresenta un’ottima conferma. Certo, niente
di nuovo sotto il sole: un indie folk
che si muove sulla stessa strada
del suo amico Conor “Bright Eyes”
Oberst. Ma composto da canzoni
tanto semplici quanto delicate da
insinuarsi sottopelle con una facilità
disarmante. Si va dalle pacate melodie dell’iniziale On The Picket Fence
a quelle più melodrammatiche di So
Let Go, passando dall’allegra bizzarria del singolo Heartbroke fino allo
sfarzoso crescendo finale di Some
Tragedy. Ma è You Don’t Feel Like
Home To Me, tutta dolcezza e sospiri, a rappresentare al meglio l’ottimo
stato di forma di Kasher. Un lavoro
ispirato e poco pretenzioso che si
muove in punta di piedi su territori
morbidamente folk. Messo su con
una semplicità che forse persino il
suo caro amico Oberst ultimamente
invidierebbe. (6.9/10)
Andrea Provinciali
T h e T h r i l l s – Te e n a g e r ( V i r g i n ,
settembre 2007)
genere: sunshine pop, folk rock
Ci sono voluti quasi tre anni per
d a r e u n s e g u i t o a L e t ’s B ot t le B oh e mi a , c o n t r o v e r s o s o p h o m o r e di
q u e i T h r i l l s c h e f i n o a c i nque anni
f a s e m b r a v a n o d e s t i n a t i a dominare
l e c h a r t s p o p ; i n v e c e , g l i irlandesi
h a n n o s c e l t o u n c a m m i n o l a te r a l e ,
m e n o c l a m o r o s o , f a c e n d o amicizia
con i R.E.M. e band minori – e gem e l l e – c o m e T h e Ty d e . Sbagliato
p e r ò p e n s a r e c h e , n e l frattempo,
s i a n o i n t e r c o r s e m a t u r a z i o n i o cr e s c i t e d i s o r t a : Te e n a g e r ( guarda un
p o ’ c h e t i t o l o ) c i r e s t i t u i s ce i soliti
T h r i l l s , s e m p r e i n t e n t i a costruire
u n p o n t e f r a l e c o l l i n e d ella verde
I r l a n d a e l e s p i a g g e d i M al i b u . C e r t e d o t i d i s c r i t t u r a p o p , così come
l a s o l a r i t à p r e v a l e n t e d e l la musica,
s o n o s o s t a n z i a l m e n t e c onfermate
( s e n t i t e u n p o ’ T h i s Ye ar ); i toni
sono per lo più delicati, e nonos t a n t e l ’ a n d a m e n t o d i a l cuni brani
f a c c i a e m e r g e r e c e r t i f r emiti rock
sottopelle, non c’è niente di immed i a t o c o m e B i g S u r , a n z i è a tratti
u n l a v o r o q u a s i i n t r o s p e t t i vo . Il l o r o
F a b l e s O f T h e R e c o n s t r uc t ion?
N o , v i s t o c h e c o m e n e l f o r tu n a to So
M u c h F o r T h e C i t y c ’ è l o zampino
d e l v e t e r a n o To n y H o f f er (Beck,
Belle And Sebastian, Sondre Lerc h e ) e s i s e n t e , n e l l a p r o d u zi o n e
l u c i d a e n e l m o o d i n d u bbiamente
c a l i f o r n i a n o . D a l c a n t o s uo, Conor
D e a s e y c o n t i n u a a d i m personare
u n i b r i d o n e r d y f r a i l g i o v ane Brian
Wi l s o n e R i v e r s C u o m o d e i We e ze r,
m e n t r e i l c h i t a r r i s t a D a n i el Ryan fa
d i t u t t o p e r s u o n a r e c o me il suo
i d o l o d i c h i a r a t o P e t e r B u c k, fr a R i c k e n b a c k e r, m a n d o l i n i e ukulele di
sentireascoltare 87
sorta . Tutto al suo p o s t o , q u i n d i ;
che sia q ue sta la r agione per c ui
questo disco sta pa s s ando pr at ic amente ino sservato ? ( 6. 5/ 10)
nuare ad apprezzare nonostante
non siano il massimo dell’originalità. Un onesto gruppo devoto ai
padri che divulga ai figli il verbo
country rock. Con un precipuo
mood malinconico (si veda Emo
Country Rock, per esempio, ballad di atmosfera crepuscolare tra
Yo u n g e D y l a n ) c h e i n q u e s t ’ u l t i m o
album si accentua, a favore della
consueta foga. Un episodio che li
potrebbe portare verso altre direzioni, o semplicemente una pausa
di riflessione. (6.5/10)
Antonio Puglia
To K i l l A P e t t y B o u r g e o i s i e –
The Patron (Kranky / Wide, 15
ottobre 2007)
Genere: post 4AD
Nell’incastro tra il trip hop più
atmosferico e sexy (Massive Attack, Portishead, Lamb) e certo dark etereo griffato 4AD (His
Name Is Alive, This Mortal Coil,
Durutti Colum) nascono le canz o n i d e i To K i l l A P e t t y B o u r g e o i sisie, ennesimo duo uomo-donna,
Mark McGee e Jehna Wilhelm,
arrivato su Kranky per il debutto
sulla lunga distanza. Dediti a un
sound elettronico, avvolgente, misterioso e decisamente chic, i due
costruiscono complicate e ipnotiche trame elettro eteree. Piccoli
labirinti che sembrano cercare costantemente una forma più definita. The Patron, per esempio, parte
su una base di elettronica molto
pesante ai limiti di certo post-industrial anni ’90 e procede in un
costante gorgoglio di frequenze.
In altre occasioni possono essere
più tenui e languidi, creando pic-
cole romanze oniriche come Long
A r m s , I B o x Tw e n t y , e l ’ u l t i m i s s i ma Window Shopping. Certe trovate non possono non ricordare da
vicino altra gente di Bristol, come
i primissimi Third Eye Foundation e in special modo gli Amp, di
cui sembrano una versione moderna e hi-tech. La voce da lolita fan-
88 sentireascoltare
tasma di Jehna, fascinosa ma un
po’ anonima, ha le stesse qualità
cripto-erotiche dell’ugola di Karyn
Charff e ammanta tutto il suono di
un ombra eterea da sirena dream.
infatti se non avessero dedicato
tanta attenzione al taglio crudo di
certi beat potevano tranquillamente essere inseriti nella categoria
dream-pop, ma ora come ora, per
quanto stretti, sono solo dei parenti. (7.0/10)
Te r e s a G r e c o
Antonello Comunale
Tw o G a l l a n t s – S e l f T i t l e d ( S a d dle Creek / Self, 5 ottobre
2007)
Genere: alt.country rock
Solidamente cristallizzatosi tra
le coordinate Conor Oberst, Neil
Yo u n g , D y l a n t o r n a - a d i s t a n z a
di qualche mese dall’EP acustico
The Scenery Of Farewell - il duo
Tw o G a l l a n t s c o n i l t e r z o l a v o r o
sulla lunga distanza. Questa volta agli ingredienti si aggiunge un
impatto decisamente più classic
rock, insieme all’usuale alt.country e questo si avverte sin dall’incipit con The Dealer, ballad in forte
odore Pearl Jam, e in altri episodi
del lotto, in cui è piuttosto forte la
somiglianza ritmico-vocale con il
g r u p p o d i E d d i e Ve d d e r.
Stemperatasi leggermente l’urgenza espressiva che li aveva caratterizzati finora, a favore di una
forma più adulta di country rock
(ma non di maniera e pur sempre
più grezza di un Oberst, per dire)
restano alcune pregevoli intuizioni melodiche e un’omogeneità di
fondo, insieme alla solita epica
del racconto, che ce li fa conti-
Ungdomskulen – Cry Baby (Ever
/ Audioglobe, ottobre 2007)
Genere: rock alternativo, wave
P i ù c h e u n d i s c o , s e m b r a u n a co r s a s u l l e m o n t a g n e r u s s e . C ry B aby
d e g l i U n g d o m s k u l e n t i d i s o r i e nta
c o n i c o n t i n u i s b a l z i r i t m i c i , c o n la
v o c e t e n o r i l e d e l c a n t a n t e , c o n i r i ff
di chitarra che spesso lambiscono
i l c o n f i n e c h e s e p a r a l a r u ff i a n eria
c o n l a p a c c h i a n e r i a . E , p e r l a v er i t à , q u a n d o c o m i n c i a d a p p r e z z are
l ’ a p p r o c c i o s b r u ff o n e e m u s c o l ar e
d e l l a b a n d n o n c a p i s c i s e s i a un
bene o un male, se è da interpretare come un campanello d’allarm e c h e t i a v v e r t e c h e l a t u a s a l ute
mentale vacilla pericolosamente.
P e r c h é a c o n t i f a t t i l ’ a l b u m è i n die
r o c k c a s i n i s t a , t a m a r r o , f e s t a i olo.
A t r a t t i p e r s i n o s p e r i m e n t a l e . G l ory
Hole è un tornado che mescola voc a l i z z i e s t r e m i , s c h i t a r r a t e a p alla
e s p i a z z a n t i i n t e r m e z z i s t r u m e n ta l i i n q u a t t r o q u a r t i c h e s e m b r an o
f a r e i l v e r s o a i g r u p p i p u n k - f unk.
F e e l s L i k e H o m e p a r t e a c e nto
all’ora per po i l a s c i a r s i a n d a r e a d
u no sco ncerta nt e r it or nello c he m escola in un m o d o q u a s i s u b l i m e i
Sonic Youth c on i Dar kness ( l ’ o r o
col p iomb o – s c egliet e v oi qual è
l’oro e quale i l p i o m b o , b e n c h é n o n
dovrebbero e s s e r c i d u b b i , n o ? ) .
Un gd omsku len r a s e n t a a d d i r i t t u r a
l’h ard co re, q uello della c os t a or ienta le de gli Stati Unit i, r is ult ando c r ed ibile e serra t o.
Un disco che s u o n a r o c k , a l l o r a .
Con quegli st a c c h i d i b a t t e r i a c h e
hanno fatto u l t i m a m e n t e l a f o r t u n a
d ei Mus e. Con q u e l l e s o l u z i o n i r o c k
che sembran o p r o v e n i r e d a l r o c k
mainstream d e i p r i m i a n n i 2 0 0 0 .
Con quel sen s o d e l r i t m o – c o s ì
d en so d i g roo v e – c he già appar te ne va a i Ra pt ur e. F o r s e s t a n c a n o
un po’ dopo q u a l c h e a s c o l t o , m a
q ue sti otto pe z z i s uonano v alv olari e maestosi c o m e D i o c o m a n d a .
No n fon da men t ali, c er t am ent e c ar in i. (6.8 /10 )
Manfredi Lamartina
Ve g a s M a r t y r s – F e m a l e M i n d
( Tr o u b l e m a n U n l i m i t e d , l u g l i o
2007)
Genere: noise
I Ve g a s M a r t y r s s o n o l a n u o v a
creatura a cui partecipa Dominick Furnow (insieme a Richard
Dunn e Joe Potts), figura mica
da poco del noise estremo newyorkese (non troppo lontano da
un incrocio malato di hardcore e
Black Metal), soprattutto noto ai
più come Prurient. Se a qualcuno questo nome dice qualcosa, ha
capito anche di cosa tratta questo Female Mind (già uscito come
demo nel 2005, ora disponibile
in uscita ufficiale in un’edizione
limitata di 750 vinili); se invece
non gli dice nulla, si lasci andare
dall’onomatopea epidermica del
suono, la trasmetta dalla pelle
alle orecchie e di nuovo a tutto il
corpo; sappia insomma che di rumore vero qui si parla.Un monolite di rumore. Una distorsione praticamente omnipervasiva, la cui
unica controparte sono gli squarci
creati dalle urla; come fosse una
ricerca sui timbri del rumore allo
stato finale, a cui risulti accessorio il lavoro compositivo, tranne in rari casi (Levothroid parte
dall’archetipo di Heroine e lo sviluppa secondo un muro distorto di
puro fastidio; in Banalg ci sembra di riconoscere un tentativo
di velocità). Il problema è allora
aggrapparsi a una fonte di comprensibilità, che esuli dal classico (e fin troppo bonario, a dirla
tutta) leit-motiv dell’esternazione
di un malessere esistenziale. Che
palle. Ci si potrebbe appellare al
titolo, pensare ai gender studies
e via, ma si appiopperebbe un’interpretazione forse sovradimensionata all’oggetto che ci sta martoriando. Piuttosto è interessante
notare una cosa, e cioè che in
tutto questo marasma incomprensibile succede, cosa ben strana,
che si rimane stranamente turbati
quando il rumore viene interrotto,
quando riemerge un filo di umanità, verso l’ascoltatore, verso un
capello di intelligibilità. E ciò avviene tra un brano e un altro, per
qualche attimo di silenzio.
La sufficienza andrebbe data
di default a chi arriva in fondo
all’ascolto, per passione o anche
s o l o p e r l a v o r o . F o r s e c h e i Ve gas Martyrs meritano meno, allora? Il punto è che negare ogni
argomentazione è un’argomentazione fortissima, che a me basta.
(6.5/10)
Un girovago dalle orecchie ricettive, Vinicius è in ciò perfetto
esempio per i fecondi incroci del
villaggio globale: nato nel profondo dell’Amazzonia, ha suonato
p r o g r e s s i v e n e g l i O Te r ç o , p r e s t a t o l ’ a b i l i t à s t r u m e n t a l e a Ve l o so, Buarque e Gil, infine scritto
fior di successi altrui. Da qualche
tempo risiede nel crocevia cultur a l e d i N e w Yo r k , d o v e g o d e d e l l a
stima dell’intellighenzia più acuta, da David Byrne ad Arto Lind s a y e B r i a n E n o . Tu t t i a t e s s e r ne le lodi, e ne han ben donde:
senza toccare gli spigoli di Zé o il
classicismo velosiano, il suo accostarsi alla musica verdeoro è di
quelli che le cartoline le schivano. Anzi, le prendono con ambo le
mani e le stracciano sorridendo.
Succede nella maggior parte di
questi quaranta minuti agili e
guizzanti, toccanti e delicati, allegri e mesti come la migliore
musica d’autore deve essere a
prescindere dalla provenienza
geografica. Ben accompagnato
da un parterre di strumentisti eccezionali nell’integrarsi (tra i più
noti un Brad Meldhau non troppo
ligio alla tradizione, Bill Frisell,
il superbo Eric Friedlander al
violoncello), Cantuaria si dedica a impreziosire di dettagli ogni
brano, aggiungendo elementi che
inscenano piccole rivoluzioni stilistiche in brani gradevoli. Galope
scende spigliata da Cuba al continente sottostante, per risalire
verso la Grande Mela; l’agrodolce
Gaspare Caliri
Vinicius Cantuaria - Cymbals
(Naive / Self, 21 settembre
2007)
Genere: pop brasiliano
Vo ç e E E u i n n e s t a p i a n i s m o j a z z
su una bossanova sospesa e impalpabile; Chuva è motore ritmico
e fiatistico in trascinante progres-
sentireascoltare 89
so punteggiato da pause solari.
Perfetto amalgama d’avanguardia
e tradizione che non rinuncia a
comunicare, Cymbals si volge efficace al passato (Vivo Sonhando
è vergata da Jobim e percorsa da
archi felpati) e altrettanto fa col
futuro di scenari poco uditi: valgano, a mo’ di splendidi esempi,
l’infelicità romanticamente aguzza che dona l’anima a Prantos e
l’abbraccio tra echi dub e percussioni da giungla di un’autobiografica O Batuque, a quattro mani
c o n N a n a Va s c o n c e l o s . U n a m u sica siffatta, capace di indagare
l’attualità senza la minima traccia
di forzature e distacco emotivo,
andrebbe inculcata in tanti sedicenti innovatori incapaci a comporre canzoni. (7.6/10)
Giancarlo Turra
di zecca mollate i virtuosismi progressivi e la confusione stilistica
zappiana, preferendo abbracciare
una briglia sciolta in cinque brani
tra loro così radicalmente diversi
che sembra una compilation.
Siete danzerini (Friends: inenarrabile, tra Rednex e Bloodhound
Gang) e reggae (una King Billy
sfiatatissima, e dire che produce
King Jammy…), camuffati da balera latina (Light Me Up) e infine infilati nell’abito degli Ottanta (Slow
Down Boy potrebbe esser tranquillamente un demo degli Spandau
B a l l e t d i Tr u e ) . Vo r r e s t e f a r c r e dere di conoscere il segreto del
“nerd pop” arguto e perspicace,
Gene e Dean, ma per promuovervi bisogna essere di bocca buonissima. Oppure non capire niente di musica come il sottoscritto.
(4.5/10)
Giancarlo Turra
Ween – The Friends EP (Schnitzel / Goodfellas, agosto 2007)
Genere: indie pop demenziale
Forse sono io che non ci arrivo,
che sono privo dei mezzi adatti a
comprendere. Eppure non mi fanno
ridere gli Ween, con i loro sketch
triti e le battute sagaci degne del
Bagaglino. Però il fatto che, tra
una ristampa e l’altra, siano ancora sulle scene qualcosa dovrà pur
dire; ci dovranno pur essere annidati da qualche parte una morale,
un significato, un motivo che ne
giustifichino l’esistenza.
Sì, perché non è davvero possibile
che basti la musica, cari i miei Mickey Melchiondo e Aaron Freeman, anche se in questo EP nuovo
90 sentireascoltare
Ya r o n H e r m a n Tr i o – A T i m e F o r
Everything (Naive / Self, 12 ottobre 2007)
Genere: jazz
Coniugare il verbo jazz coverizzando dei pezzi parte dell’immaginario pop commerciale non è impresa da poco, ma non è neanche
inusitata, dato che è stata abbondantemente portata avanti negli
anni scorsi ed in maniera eccelsa
da gruppi come i Bad Plus (di cui
si ricordano con piacere le cover
d i S m e l l L i k e Te e n S p i r i t d e i N i r vana e Heart Of Glass dei Blondie).
I l t r i o d i Ya r o n H e r m a n n o n p o r t a
avanti solo questo verbo e fagocita strada facendo anche pezzi
propri, suite che vivono della brillantezza del Miles Davis aureo
del primo periodo, brani pregni
di swing e di incastri suadenti di
basso, batteria e pianoforte. Che
i Nostri ci sappiano fare è palese
ma è il lato emotivo a non giovarne pienamente, dato che si perdono spesso in dialoghi troppo schematici ed in manierismi da primi
della classe abbastanza noiosi e
con pochissima verve…
Paradossalmente il gioco vale la
candela solo quando coverizzano
pezzi come Army Of Me di Bjork
per quanto possibile fedele all’originale, Message In A Bottle dei Pol i c e e s o p r a t t u t t o To x i c d i B r i t n e y
Spears, che non perde per strada
la brillantezza della versione madre. Nota favorevole a parte per
la chiusa veramente emozionante
con la cover del Leonard Cohen
migliore ossia quello della sempre
eterna Hallelujah.
Da rivedere in un contesto più degnamente loro per vedere se la
bravura tenderà ancora a prevalere sul cuore. (5.0/10)
Alessandro Grassi
Ye l l o w C a p r a – C h e z D é d é ( P i loft / Wide, ottobre 2007)
Genere: prog-post
D e l p r i m o d i s c o d i q u e s t i Ye l l o w
Capra (self titled), avevamo segnalato delle tendenze di composizione, che miravano a integrare
gli strumenti meno rock utilizzati
di brano in brano. Sembra che con
questo Chez Dédé gli YC si siano
lasciati andare a quelle tendenze;
il che è una buona notizia, va detto subito. C’è di meno buono che
questo secondo disco è la conferma di una doppia natura, che
ancora un po’ fa fatica a convincere, fatta di una certa progressività primi Settanta dell’approccio, da un lato, e dello struggente
“bellezza” mogwaiana, dall’altro.
Certo, meglio loro che la miriade
di cloni dei Mogwai. Anzi, questo
disco rivela le loro potenzialità di
ergersi sopra il mare magnum postrockorum, senza che però decidano di ergersi veramente.
Si sente poi un ottimo allena-
mento nella capacità compositiva
– un allenamento che gli deriverà, plausibilmente, dalle colonne
sonore che sono stati chiamati a
scrivere e suonare in questi anni;
la variazione improvvisa di Porco
Io (che vince la palma d’oro al titolo), per esempio, sembra voglia
accompagnare un colpo di scena
cinematico, pur con il persistente
tema in tono minore tipico della
band di Glasgow a cui non si fa
meno di ritornare. Califoggia, poi,
pare una bossa violoncellata suonata da dei timidissimi Stratovarius.
Ma abbiamo detto sopra “primi
Settanta”, e fermiamo a rifletterci sopra. Pensiamo alla parabola
dei Meat Puppets, che partirono
dal punk hard-core americano (a
cui aderirono nel suo momento aurorale) e si rivolsero poi ai
seventies acidi, dimenticandosi
in superficie dell’hard-core, ma
conservandone qualcosa, l’atteggiamento, la sensibilità, o anche
solo il fatto di averci passato i
v e n t ’ a n n i . G l i Ye l l o w C a p r a p o trebbero fare questo, e sarebbe
molto più interessante, in quel
caso, cogliere dove e come il
post-rock, una volta rimosso, tornerebbe ad affiorare. (6.4/10)
Gaspare Caliri
Yo u n g G a l a x y – S e l f T i t l e d ( A r t s
& Crafts / Audioglobe, 13 settembre 2007)
Genere: space-pop
G l i Yo u n g G a l a x y s o n o u n d u o g r a vitante intorno alle personalità di
Stephen Ramsay (voce/chitarra)
e Catherine McCandless (voce/
tastiera). Il loro è uno spacepop etereo, speziato di sinuosità
psych, viscosità Spiritualized e
qualche singulto shoegaze. E il risultato è comunque molto interessante perché uniforme, delicato e
preciso nella propria esposizione
e mediamente emozionante.
S w i n g Yo u r H e a r t a c h e è l ’ o p e n i n g
perfetto per aprire le danze, tempi lenti e una tastiera sparata alla
luna per una coralità di voci in un
crescendo emotivo denso. Outside
The City con il suo basso suadente gioca agli incastri melodici tipici dei compagni di scuderia Stars
come fa la limpida Searchlight,
Wailing Wall è decisamente un
numero che inframezza le chitarre migliori degli Stone Roses più
aerei con la soffice delicatezza
declamante degli Spiritualized
e Come And See è un rockettino
in tempi dispari per spacerockers
più intransigenti.
Ma il meglio lo si raggiunge alla
fine con The Alchemy Between
Us, la vera summa espressiva
di quanto sa fare questo duo, il
vero connubio che sa di screziature shoegaze e che profuma alla
lontana delle nuvole e di quel
gocciolare sottile che era l’anima
di brani come Sometimes dei My
B l o o d y Va l e n t i n e .
Insomma un debutto solido, un
disco quadrato che fa di una formula unica il suo vero punto di
forza e che trova nella sinergia
del duo la vera valvola propulsiva
per un narrare stolto e inebriante.
(6.6/10)
Alessandro Grassi
Yo Z u s h i - N o t e s F o r H o l y L a r ceny (Pointy / Goodfellas, 3
settembre 2007)
Genere: folk
Un rampante atipico, il londines e Yo Z u s h i , g i à a p p r e z z a t o p e r
l’album di debutto Songs From
A D a z z l i n g D r i f t ’ ( P o i n t y, m a r z o
2006). Occhi a mandorla rivolti all’altra sponda dell’Atlantico,
verso quella sciarada di sogni
spersi che un tempo erano America e oggi sono un luogo mentale
tappezzato di nostalgia e lap stee l ( i M o j a v e 3 i n s e g n a n o ) . Tu t t o
buono comunque affinché il giovinotto - 26 anni compiuti il 3 settembre, giorno di uscita di questo
Notes For Holy Larceny - si lasci incantare e decida d’incantare
noialtri in ascolto. Il folk di Zushi
possiede una ferrata indolenza,
ciondola con trepida disinvoltura
tra emerite folk ballad talora maculate da un piglio swing-blues
(che fa outing in Bright Lucifer,
sezione fiati compresa). La voce,
a metà strada tra il Cohen giovane, il Bright Eyes più posato ed
i l M a t t Wa r d d e i m i r a g g i f i f t i e s ,
snocciola terse mestizie e rigurgiti d’allegria, senso di perdita e
accorata speranza. Mantenendo
quel tipico “distacco partecipe”
da narrastorie consumato (è o non
è il profilo di Dylan quello che
spunta nell’illustrazione del booklet?) che permette ad esempio
a l l a l u n g a T h e Tr e e s , T h e y G r o w
High di non scadere nel tedio. Se
questi sono i frutti, forse le stagioni del NAM e del prewar non
sono passate invano. (6.8/10)
Stefano Solventi
sentireascoltare 91
Backyard
Like Me, Umi De No Jisatsu), quasi lounge nei casi migliori (Taiyō è
forse la canzone più convincente di
tutto il disco), è tutto dire, sia per le
pieghe che il gruppo avrebbe potuto
prendere (sì, sto tendenziosamente
suggerendo: “che avrebbe fatto meglio a prendere”), sia per un’opinione personale dello scribacchino che
in questo momento li sta ascoltando.
Come già per il postpostrock mogwaiano (che fra l’altro fa espresso
capolino in It’s Too Late), è tempo
di severità. (5.0/10)
Asobi Seksu – Self Titled (One Little Indian / Goodfellas, 2007)
Genere: indiepop/shoegaze
Tempo di ristampe a passo di gambero per gli Asobi Seksu. Dopo Citrus, seconda prova dei newyorkesi
un po’ giapponesi, ora la One Little
Indian ne ristampa anche l’esordio
self titled, che uscì inizialmente
nel 2002 (ma per pochi fortunati)
e poi già fu ripubblicato nel 2004
da Friendly Fire. Senza cattiveria,
uno a volte si chiede il perché delle
cose. Procedendo anche noi all’indietro, riprendendo Citrus
prima
di questo disco, scopriamo l’origine
della vena shoegaze della band, e
onestamente non è una festa. Certo, uno può dire che anche i My Bloody Valentine non hanno fatto solo
cose brillanti prima dei due diamanti che uscirono in long playing. Ma
loro erano in medias res, decidevano (anzi: hanno deciso) dello shoegaze; e comunque il paragone, mi
si perdoni, non reggerebbe neanche
coi vari This Is Your My Bloody Valentine o Sunny Sundae Smile.
Insomma l’origine di quella vena è
poco incisiva, e il fatto è che alla
fine i risultati migliori sembrano
emergere dai brani che, sì, sono
potenzialmente shoegaze, ma in definitiva indie pop pseudonipponico
(l’iniziale I’m Happy But You Don’t
92 sentireascoltare
Gaspare Caliri
Awesome Color – Self Titled (Ecstatic Peace, 2007)
Genere: retro-noise-rock
Ristampa sui generis per Awesome
Color, album che l’anno scorso vide
il debutto dell’omonima band americana e che da noi non era circolato affatto. Il trio scoperto dal talent
scout più rumoroso del pianeta appartiene al versante più accessibile
della Ecstatic Peace e si pone sulla scia del suono grunge-oriented
dell’altro gruppo del roster, i Black
Helicopter, di cui abbiamo parlato
qualche tempo fa. Anch’essi come i
label-mates sono micidiali dal vivo,
anche essi su coordinate noisy e
rétro, ma con qualche peculiarità
in più rispetto ai compari. Già a vederli, infatti, si dovrebbe capire il
pesante accento posto sul versante
psichedelico: nastri, lustrini, lunghi
capelli tenuti su da fasce multicolore; insomma gli hippy del terzo millennio in salsa noise-rock.
L’incipit di Grown non lascia dubbi
in proposito: batteria piena, chitarra e basso che seguono sempre lo
stesso giro ipnotico e una voce che
sembra quella di Iggy Pop prima che
si friggesse il cervello e diventasse
la pantomima vivente di se stesso.
Il problema però è che se al primo
pezzo ci si diverte, già al secondo
si comincia a dubitare; al terzo ci
si stanca visto che se ogni tanto si
esce dal tunnel stoogesiano/mc5iano lo si fa per imboccare quello
caro al padrone di casa: Free Man
è de facto un vero e proprio outtake
dall’epoca Goo/Dirty. Non basta la
dilatazione psichedelica della conclusiva Animal a risollevare il tutto.
Awesome Color è un album non
brutto, ma sostanzialmente inutile.
(5.5/10)
Stefano Pifferi
Brainbombs – Singles Collection
Vol. 2 (Load Records / Goodfellas,
ottobre 2007)
Genere: garage/trash rock
Per tutti gli amanti delle chitarre
sature e del garage più rumoroso:
attenzione, i Brainbombs sono tornati. La Load fa uscire in occasione
dei vent’anni di carriera del combo
svedese questa compilation che
racchiude vari 7 pollici usciti per
Wabana, Tumult, Ken Rock, Anthem
e Big Brothel, più una manciata di
pezzi live. È sufficiente scorrere i titoli della raccolta, Stinking Memory,
The Grinder, I Need Speed, per capire come i Brainbombs ricalchino in
pieno tutti gli stereotipi del rock and
roll più anti politically-correct.
Musicalmente non ci discostiamo
molto da un mid-tempo garage con
sane chitarre distorte e voce tra il
lamentoso e l’indolente, basta poi
aggiungere qua e là il suono di un
sax anarchico e si avrà un quadro
più o meno completo del disco.
Difficile capire se sia un prodotto
destinato anche alla nuova LoadGeneration, che forse è già in trepidazione aspettando il prossimo
disco dei Lightning Bolt, decisamente avanti anni luce rispetto alla
musica ivi contenuta. (5.0/10)
Nicolas Campagnari
Derek Bailey – Standards (Tzadik,
2007)
Genere: standard revisited
Negli ultimi anni della sua vita la
Tzadik di John Zorn ha rappresentato un punto di riferimento importante per l’ultimo periodo compositivo
del chitarrista inglese. Un periodo in
cui il suo stile, mai sceso a compromessi, ha cominciato a concedere
qualcosa alla tradizione, in particolare a quella jazzistica. Ballads
(Tzadik, 2002) rappresentò il manifesto di questo sguardo all’indietro
verso i classici: per la prima volta,
Bailey si confrontava con gli standard, abbandonando il radicalismo
dell’improvvisazione libera. Aperture melodiche, accordi dal sapore
inconfondibilmente jazz, si intrufolavano nei meandri di una tecnica
chitarristica divenuta inconfondibile, dando vita all’ennesimo capolavoro del musicista di Sheffield, che
sarebbe presto divenuto il disco più
venduto della sua carriera. Classici
inossidabili della canzone afroamericana come Body & Soul, Stella By
Starlight, Georgia On My Mind, venivano qui presi e trasformati dalla
testa ai piedi, resi assolutamente irriconoscibili. Non un tema né un giro
armonico a ricordare ciò che queste
melodie avevano rappresentato in
passato per i jazzisti dal be-bop in
poi, tanto che veniva da chiedersi
il perché di quei riferimenti, impenetrabili ad un ascolto superficiale.
In fin dei conti, la libertà assoluta
che si era concesso Bailey in tutto
il corso della sua vita da musicista,
era ancora lì a gridare ancora più
forte al mondo il senso vero, quello
più recondito, dell’improvvisazione:
l’espressività senza limiti.
Sarà per il successo che quell’album è riuscito ad ottenere, sarà
perché quel Natale di due anni fa,
quando Derek Bailey ha deciso di
lasciarci per sempre, è ancora molto vicino e la voglia di ascoltare la
sua musica ancora forte come quella di baciare una donna che ti ha
appena lasciato; sta di fatto che la
Tzadik, senza timore di essere accusata di speculare sulla sua morte,
ha deciso di pubblicare un album
gemello di Ballads, una raccolta di
materiale inedito che fa riferimento
alle session precedenti di due mesi
la pubblicazione di quel disco. Ce
n’era davvero bisogno? Probabilmente sì, visto che si tratta di materiale assolutamente inedito e che
quindi, considerata l’unicità di ogni
performance del chitarrista, riesce a
dire qualcosa in più su un musicista
mai completamente compreso.
L’approccio è lo stesso di Ballads:
il tocco raffinato, una tecnica quasi
convenzionale e un flebile richiamo ad armonie costruite sulla sovrapposizione di intervalli di terza,
fanno da collante ad uno stile che
abbandona, ma non del tutto, il radicalismo degli anni precedenti.
Ma, attenzione. È sempre di Derek
Bailey che si sta parlando, per cui
non aspettatevi di ascoltare nulla
che possa ricordare il passato o un
tentativo di nascondersi dietro la
sicurezza dei classici. La chitarra
rimane uno strumento polifunzionale, che nelle sue mani, attraverso lo
sfregamento delle corde, la percussione, lo scuotimento e l’evasione
da qualsiasi successione melodica
consonante, diventa strumento di
liberazione da tutto ciò che è standardizzato. Un paradosso, rispetto
ad un titolo e ad un progetto che si
richiamano proprio agli standard,
quelle canzoni che sono diventate,
dopo gli anni ’40, il pane per tutti
i jazzisti. Ma che per lui sono soltanto un pretesto, semplici titoli per
dare, una volta ancora, l’ultima, un
nome alla sua splendida anarchia
sonora. (8.0/10)
Daniele Follero
Glenn Branca – Symphony Nos.
8-10 - Live At The Kitchen DVD
(2004 - Atavistic / Goodfellas, settembre 2007)
Genere: no wave/contemporanea
Un conto è pensare Glenn Branca
ai tempi della no-wave, un intellettuale prestato alla violenza e al nichilismo, un compositore che si inserisce in un colpo di mazzo (cioè
con un paio di lesson e quel primo
monolite che è The Ascension) con
una scarpa nella contemporanea e
nell’altra nella storia del rock. Uno
a cui viene l’idea di un esercito di
chitarre la cui scordatura è un’arma
da controllare e usare, non un difetto da minimizzare.
Un conto è ritrovarselo a teatro, con
la serietà che si confà al luogo e
che comunque merita la musica di
Branca; e questa seconda possibilità è leggermente straniante. In definitiva, comunica una punta di noia.
Sono gli occhi che si annoiano, perché a chiuderli – durante l’ascolto
– le scordature colossali di Glenn
ipnotizzano lo spirito, lo tengono
in costante stato di ammonimento;
certo diciamo che le due sinfonie
contenute in questo DVD, cioè Symphony Nos. 8-10 – Live At Kitchen
(registrato al Kitchen, appunto, di
New York nel 1995), soprattutto la
ottava, sono un po’ sottotono rispetto ad altre (giustamente) più blasonate – sempre da un ristretto nume-
sentireascoltare 93
ro di blasonatori, certo; anche se la
mistura tra potenza e raffinatezza è
indiscutibile.
Per concludere, giudicando solo
l’operazione audiovideo, non riesco
a non pensare che quell’esercito di
chitarre prende la forma (non me ne
vogliano) di musicisti un po’ ingessati; e allora qui si propone un timido (6.5/10). Che passa a (7.0/10)
man mano che si riascolta (ma non
vede) la seconda parte della Symphony No. 10, mentre ci si sussurra
The Horror.
Gaspare Caliri
AA. VV. – John Barleycorn Reborn
(Cold Spring / Woven Wheat Whispers, settembre 2007)
Genere: dark britannia
È certamente una stagione fertile
per il doom folk. A confermarlo arriva una poderosa compilation assemblata da Marc Coyle del Woven
Wheat Whispers e distribuita da
Cold Spring. Un lavoro minuzioso
che cerca di fare il punto sulla componente britannica del dark folk. Nel
momento in cui la colonna sonora di
The Wicker Man diventa sempre più
di culto e le nuove leve della weird
generation prendono a piene mani
dal suono della tradizione, John
Barleycorn diventa una chiave di
lettura privilegiata per indagare tra
le pieghe del suono folk anglosassone. Traditional tra i più celebri del
repertorio britannico, riletto e rifatto
migliaia di volte, John Barleycorn
offre l’opportunità a Marc Coyle di
disegnare un affresco in due (anzi
tre) dischi sullo stato dell’arte di
quella che fin dal sottotitolo, non ha
paura a chiamare, Dark Britannia. Il
pregio di questa raccolta è quello di
94 sentireascoltare
fornire una panoramica trasversale di approcci alla materia. Ci sono
weird folk, dark folk, traditional folk,
apocalyptic folk, psych folk e così
via a illustrare tutte le sfaccettature di un sound che nel corso del
tempo si è fatto multiforme, ma non
ha mai perso quelle qualità mitiche
che lo legano alla notte dei tempi.
John Barleycorn è del resto basata
sulla trasformazione del grano, sul
ciclo delle stagioni e dei raccolti.
Musica che ci parla delle nostre radici e della terra su cui poggiamo
la nostra presenza. La raccolta offre
anche l’opportunità di dare spazio a
piccoli artisti legati a website specializzati come The Unbroken Circle
e Terrascope. Figure ancora poco
conosciute come The Horses of the
Gods, Damh the Bard, The Triple
Tree, Alphane Moon, English Heretic, The Straw Bear Band, The
Purple Minds of Lazeron. Accanto
a questi ci sono poi sigle più conosciute come The Owl Service, che
offrono per l’occasione una rilettura filologia di North Country Maid; i
Sol Invictus densi e marziali come
al solito; una Sharron Kraus delle
migliori con Horn Dance; e ancora i Pumajaw, Peter Ulrich, Sand
Snowman (probabilmente l’episodio
migliore del lotto), Clive Powell,
Xenis Emputae Travelling Band
e dulcis in fundo Martyn Bates. La
compilation si suddivide in due dischi, il primo intitolato “Birth” e il
secondo “Death”, ma per gli avventori del sito Woven Wheat Whispers
c’è anche un terzo disco, disponibile
solo in download e intitolato, manco
a dirlo, “Reborn”, giusto per non far
morire la tradizione e dirne quattro
ai Traffic. (7.3/10)
Antonello Comunale
Lee Perry and The Upsetters –
Apeology: Super Ape/Return Of
The Super Ape/Roast Fish And
Cornbread (1976/1978 - Trojan /
Goodfellas, 25 giugno 2007)
Genere: reggae dub
Il Lee Perry che arriva a proporre a
Chris Blackwell Super Ape è un Genio affermato, che ha apposto il suo
inconfondibile marchio produttivo
sui maggiori capolavori della battuta in levare e ha tenuto a battesimo
i primi sottovalutati passi di Marley.
Che è tra gli inventori di quel dub
oramai infiltratosi come un benefico
virus dentro a rock, dance e derivati. Chiuso nel suo studio Black Ark,
Perry si è creato rudi strumenti capaci di fornire un’immagine visionaria - perciò psichedelica nel senso
più autentico - del reggae, ottenuta
per sottrazione invece che aggiungendo elementi. Rivoluzione epocale della quale è (stato) tra i protagonisti assoluti.
Strettamente parlando, non si tratta di materiale completamente dub,
ma neppure roots o reggae classico,
e va bene così, perché i tre dischi
(i primi due in particolare) siedono
sul crinale e ne osservano ambo i
lati, confondendosi la vista e mescolando tutto. Lee è al suo meglio
nel trafficare con dilatazioni, inserti
di fiati, piste duplicate e accatastate
una sull’altra, rumori sparsi ovunque
come punti interrogativi (muggiti e
ronzii, pianti di bimbi e cigolii…).
Stranezze che non diventano mai
gratuite, innestate sul corpo di una
scrittura di alto lignaggio in dischi
che appartengono a una dimensione
unica, allucinata e vaneggiatrice di
un futuro che sarà. Del quale Clash
e Primal Scream - così, giusto per
buttar lì un paio di nomi - faranno
tesoro per riscrivere le regole. Cosa
che accade già qui, casomai non
l’abbiate ancora chiaro a sufficienza. Imperdibile, Super Ape viene
oggi ristampato assieme al “sequel”
di poco inferiore Return Of The Super Ape e a un album da tempo irreperibile ancorché pregiato come
Roast Fish And Cornbread.
Il rifiuto da parte della Island di pubblicarlo (una pazzia seconda solo al
no opposto ai Congos di Heart Of
The Congo: indovinate chi lo pro-
dusse…) sarà l’ennesimo inciampo
in un rapporto da sempre difficile
(con chiunque: uomo difficile, Mr.
Perry) e una delle gocce che renderanno l’eccentricità una pazzia
traboccante. Preda di una folle ira,
“Scratch” darà fuoco al Black Ark e
sparirà, recuperando il senno con
Adrian Sherwood (altro grande che
gli deve tutto o quasi) e il Dub Syndicate all’altezza dell’ennesimo capolavoro Time Boom For De Devil
Dead. Fate il conto e capirete che
si tratta di una ristampa essenziale,
anche se di reggae avete in casa sì
e no dieci dischi. (8.5/10)
Giancarlo Turra
Mercury Rev – Yerself Is Steam/
Lego My Ego CD + DVD (Mint /
Goodfellas, 21 maggio 2007)
Genere: psych
In un fiume sonnecchiante possono
accadere molte più cose di quello che ci si potrebbe aspettare. Ci
sono acque lisergiche ma inquietanti, docili e scherzose ma spaventevoli e imprevedibili; calmissime e
dolci ma capaci di diventare fragorose. Ci sono mulinelli imprevedibili, note che non sanno se guardarsi
le scarpe o rivolgersi paganamente
al mondo e agli astri. Un satiro, seduto su un sasso che affiora dall’acqua, suona il flauto, dopo aver inseguito con cupidigia un infante. Lì di
presso, bela una pecora, si lamenta
sorniona.
In questo paesaggio ci sono tanti,
tutti i colori, tra cui anche quello che
li racchiude tutti, cioè il nero (“I see
blue, I see black”, recita Blue And
Black). Come tutti i colori ci sono
del video(-documentario? Non è
così lontana la testimonianza ripresa del primo acido di Syd Barrett) in
35 mm di Chasing A Bee, presente –
insieme al video della splendida Car
Wash Hair – nel DVD della riedizione in cofanetto di Yerself Is Steam
dei Mercury Rev, ristampata dalla
Mint. I commenti su questo disco
potrebbero essere solo parabolici; a
quelli abbiamo preferito il racconto
di un’Arcadia, che comprende anche
Lego My Ego (peraltro già uscito in
abbinamento a YIS nel 1992 per la
Beggars Banquet), altra raccolta di
pietre mercuriali preziose.
Se in quel fiume tutto passa, allora
passa la psichedelia, passa lo shoegaze, passa un senso di terreno ultraterreno e insieme amatoriale (si
ascolti la versione da camera automobilistica di Chasing A Bee, che in
Lego My Ego recita “Chasing A Girl
/ Inside A Car”, con il belare della
chitarra); si dà insomma conferma
di una cosa che già noi di SA avevamo segnalato: la natura ectoplasmatica delle canzoni dei MR, che
mantengono cristallina personalità
attraverso ogni alternate take. E
dunque ha senso ascoltare un alternate take (o un live, di cui Lego è
pieno) dei Mercury Rev. Allo stesso
modo, la coppia di video in 35 mm
presenti nel DVD sono una forma
di conoscenza ulteriore del gruppo,
più che una chicca da nerd.
Certo, due soli video sono pochi,
per giustificare il valore aggiunto
di una ristampa. Ne vale la pena?
Se qualcuno non avesse il CD, e se
avesse intenzione di comprarlo, direi di sì. Poi, certo, il voto dovrebbe essere ponderato all’operazione,
ma non ce la faccio a pensarlo meno
di (9.0/10).
Gaspare Caliri
Tarentel – Ghetto Beats On The
Surface Of The Sun (Temporary
Residence / Goodfellas, agosto
2007)
Genere: kraut-psych rock
A partire almeno da We Move Through Weather (Temporary Residence,
2004) i Tarentel si sono gradualmente emancipati dai manierismi
post degli esordi per accasarsi nei
pressi – più perigliosi – di un rock
strumentale di chiara impostazione
krauta. Ghetto Beats On The Surface Of The Sun, poderoso doppio
CD che racchiude la serie di quattro
LP a tiratura limitata licenziati dalla
Aquarius Records, è un estenuante
e avventuroso tour de force - lungo
più di due ore – fra territori musicali (più o meno esplorati) di ieri e
di oggi, avanguardia e tradizione,
influenze lampanti o velate, citazioni dotte e temerari esperimenti che
diresti di spregiudicato e curioso
apprendista.
Disorientato da interminabili cavalcate tribali sostenute da drumming
à la Can (Sun Place, All Things
Vibrations, Everybody Fuck With
Somebody), da folate ambientnoise esalate come ultimo respiro
di elettronica non troppo invadente
(Cosmic Noise), da interludi psichedelici (You Do This. I Do That, Dreamtigers) e divagazioni cosmiche
abbondantemente disseminate, da
episodi che ammiccano pericolosamente alle avventure sonore più
audaci degli ultimi tempi (i field recordings di Sleep Map, i drones di
Somebody Fucks With Everybody,
l’attitudine improv di Tied ToTree
In A Jungle Of Mistery ), il frequentatore di dischi come From Bone
To Satellite (Temporary Residence, 1999) o The Order Of Things
(Neurot, 2001) faticherà non poco
a ritrovare nei solchi di questi due
dischi i propri Tarentel.
È a g l i i n t r e p i d i s p e r i m e n t atori della
G e r m a n i a d e l k r a u t r o c k c h e i q u a tt r o v o l g o n o o g g i l o s g u a r d o , a This
Heat o 23 Skidoo più che alla pac i f i c a t a a m b i e n t d i u n B ria n Eno o
a l l e d i l a t a z i o n i s p a c e y d i ce r ti Pink
F l o y d . F o r n e n d o i n d i s c u t i bile prova
d i c o r a g g i o , s e b b e n e a c o sto d i l u n g a g g i n i e l e z i o s i t à c h e d i cono di un
g r u p p o a n c o r a a l l a r i c e r ca d i u n a
n u o v a , d e f i n i t a i d e n t i t à . ( 7.0 /1 0 )
Vincenzo Santarcangelo
sentireascoltare 95
Independent Days 2007
Dal vivo
Independent
Days
Festival
2 0 0 7 : M a x i m o P a r k , To o l , N i n e
Inch Nails - Bologna (2 settembre 2007)
È la storia di un’opinione negativa che nasce, che si rafforza, che
diventa nervosismo, per quanto è
corroborata, ma che poi si spegne
all’improvviso. L’Independent Days
Festival, consueta giornata di concerti all’aperto dell’inizio settembre
bolognese, è un po’ così. Ha spesso
un cartellone che perplime, mette il
dubbio, e poi si finisce per andarci,
attratti da qualcosa. Quest’anno quel
qualcosa sono i Nine Inch Nails –
non se la prendano i fan dei Tool.
E anche per questa edizione arrivare
agli headliner non è stato facile. Una
coda improponibile per prendersi
una birra; un volume altalenante per
tutto il pomeriggio prima dei tre nomi
di punta; non si può uscire da Parco
Nord una volta entrati; fuori c’è una
fiera campionaria, anzi no, la Festa
dell’Unità/umidità.
96 sentireascoltare
C’è da aspettare quei ruffiani dei
Maximo Park per divertirci un po’
(ma poco), proprio come il rinfrancante episodio Franz Ferdinand avvenuto qualche anno fa in circostanze molto simili (prima della gioventù
sonica); eppure i sorrisi compiaciuti
e le teste che tengono il tempo continuano a latitare, mentre attorno
alle mura delimitate dell’area decine di ragazzi, per saltare la fila del
bagno, sono lì a dieci metri l’uno
dall’altro pronti per l’esecuzione.
Disatteso l’hype inglesoide, abbiamo la conferma che il 60% dei ragazzi sono qui per i Tool, famosi
per i loro show video-sonici e per la
tosta massa sonora che riescono a
far vibrare. Lo spettacolo, un teatro
cyber-dark per drumming tostissimo, è irrimediabilmente rétro, come
di chi è stato troppo puntuale a suo
tempo e a quel tempo resta ancorato. I fedelissimi cantino a memoria tutte le canzoni della band, ma
è meglio che Trent faccia qualcosa,
pure con quella pancetta post-ripulisti alcolico.
Bam. Il Signor NIN spinge sulla
pura memorabilia cyber-noise-rock
sfoderando l’intero repertorio di
cavalli da battaglia. Aggredisce il
microfono, se la prende con una
chitarra che gli si frantuma tra le
mani, tiene il palco come un vero
leader e la voce bella, potente, carismatica è proprio quella dei film
audio della sua discografia. La
band? Non è da meno: spavaldissima, sfascia strumenti, li lancia in
aria, digita tasti sui computer; ma
se ci si aspetta semplicemente uno
spettacolo da professionisti c’è il
colpo da maestro; un flash brucia
retine che a metà show cala sul
palco sottoforma di 16/9 in pesante griglia metallica. A quel punto,
pure chi non è riuscito a prendersi
una birra in sei ore non si preoccuperà della sete. È uno schermo
gigante senza retroilluminazioni.
Un plasma da 1000 pollici. La band
ridotta a trio si piazza davanti ad
esso in un set minimal di macchine
(che tanto deve ai Kraftwerk, nella disposizione, ma con un surplus
di contemporaneità). Si apre un
inside show di potentissimo noise
elettronico fatto di grafiche aliens,
zapping velocissimo d’esplosioni e
a s s e n z a d i s e g n a l e t v. È l ’ a p o t e o s i ,
e proprio su quest’ultima sequenza
Reznor si piazzerà dietro allo screen bucandolo come un Poltergeist.
La chicca nell’apoteosi.
Detto tutto questo, suonato praticamente tutto Downward Spiral,
Dead Souls, la cover dei Joy Division, e Hurt, che importa del triste
siparietto a proposito del downloa d q u a n d o Tr e n t , t r a m i t e l a v o c e
del tastierista Alessandro Cortini,
ci dice che a lui importa più che
si ascolti la sua musica, piuttosto
che la si compri. Certo, proprio lui
che ha pubblicato l’ultimo album
con un materiale termosensibile
(lo metti nel lettore e ci leggi cose
che a freddo sono invisibili). Lo
stesso personaggio che ha messo online tutto l’album giusto prim a d e l l a p u b b l i c a z i o n e u ff i c i a l e .
Contraddizioni? Forse. I Nine Inch
Nails sono un tramite tra la semplicità argomentativa dell’adolescenza e ciò che di quella resta qualche anno dopo. Quelle esplosioni
hollywoodiane viste in TV che poi
ti scoppiano in faccia. Realmente.
Ye a r Z e r o . L a f i n e d e l m o n d o . S u bito!
Gaspare Caliri e
Edoardo Bridda
Dalla Main Street al Main Stage:
u n a s e r a t a a d I t a l i a Wa v e ( S e s t o
Fiorentino, 19 luglio 2007)
Cominciamo sul lirico? Massì, vai.
A l l o r a : a l l ’ o r a i n c u i i Ti n a r i w e n
salgono sul palco, il colore del
cielo è lo stesso che decora le
loro tuniche. E’ giovedì sera,
siamo davanti al Global Stage,
il secondo palco per importanza
d e l f e s t i v a l I t a l i a Wa v e , a l s u o
primo anno lontano dalla sede
storica di Arezzo.Ma le linee
guida del festival sono rimaste
le stesse, ovvero presentare la
musica più interessante e curiosa
in circolazione, magari ricorrendo
alla presenza di qualche grosso
nome anche del mainstream (tra
virgolette, ovvio) come volano per
l’intera manifestazione. E questa
è proprio una di quelle serate
giocate su un tale equilibrio, con
che successo vedremo.
Si comincia, per quanto riguarda
le proposte pregiate, con i suddetti
“uomini blu”, sull’onda dell’entusiasmo suscitato anche in orecchie
importanti (Robert Plant, per dirne uno) dalla loro proposta, che
r i b a d i s c e q u a n t o a ff e r m a t o n e i d o cumentari di Scorsese sull’origine
africana del blues. Qua e là infatti, mentre nel giro di tre canzoni il
gruppo finisce di salire sul palco,
tra i ritmi ipnotici del loro natio
Mali, fanno capolini echi Cooderiani e fraseggi che ricordavamo di
aver ascoltato sulla Main Street
degli Stones (prima che rientrassero dall’esilio per accomodarsi sulle
sonorità più mainstream che caratterizzano quasi tutta la loro produzione post-’72). Il pubblico c’è e
segue, sebbene una gran parte sia
in giro a guardare il festival, o in
fila per Mika o a farsi dare da mangiare altrove, visto che i prezzi dei
due stand vicino al Global Stage
n o n s o n o c e r t o d a Te r z o M o n d o .
La scaletta del Festival -che giustamente non vuole sovrapporre i
concerti- purtroppo non ci concede
più di un’oretta di afroblues magico
ed ipnotico; così ci accomodiamo
alla tavola calda che al costo di
due global-birre ci imbandisce una
cena di tutto rispetto, in una postazione da cui possiamo ammirare,
pur da lontano sui maxischermi, il
suddetto Mika che invece ci imbandisce i risultati del suo frugare tra
e rielaborare quella parte di storia
del pop che si muove tra acuti, fals e t t i e u n g r a m m o d i c l a s s e . Tu t t o
pulito, tutto preciso, anche qualche
passaggio più accorato, ma certo il
confronto col concerto precedente
più che paragoni suscita stupore,
visto che ci troviamo davanti a un
pur bravo e preparato interprete della musica più occidentale e
meno contaminata possibile.
Finita la cena finisce anche Mika, e
così torniamo al Global Stage, dove
s t a n n o p e r s u o n a r e g l i Av i o n Tr a vel, purtroppo - accidenti del (e al)
festival- in contemporanea con gli
Yo - Yo M u n d i c h e m u s i c a n o S c i o pero! del maestro Ejzenstejn: non
che il pubblico dei due gruppi sia
esattamente lo stesso, per quanto
Tinariwen ad Italia Wave
sentireascoltare 97
entrambi si muovano a grandi linee
sul crinale tra rock e folk, ma certo l’accoppiamento suscita qualche
r a m m a r i c o . To r n a n d o a i c a s e r t a n i ,
la loro oretta è dedicata principalmente all’ultimo Danson Metropoli
(l’omonimo brano apre il concerto)
e, misteriosamente, a quasi dieci
minuti di assolo del vibrafonista
(bello, ma su un’ora...), che è uno
dei musicisti che supportano i nostri, come detto ormai in quattro (e
in forma smagliante).
La quale formazione a quattro,
supporti o meno, lascia molto più
spazio a Mesolella. Il quale però,
curiosamente, non ne approfitta
tanto sulle canzoni dell’ultimo disco
(registrato con questo organico)
quanto su due vecchi classici come
Sogno biondo e soprattutto Aria di
t e : p i ù d e l l a c o n s u e t a , a ff a s c i n a n t e
teatralità di Servillo, infatti, stavolta a caratterizzare il loro act è la
prova stellare del chitarrista, che
ci porta in mondi lontani tirando
fuori da una chitarra classica con
p o c h i e ff e t t i p i ù o m e n o t u t t o q u a n to è possibile tirarci fuori, come un
guitar-hero d’altri tempi ma senza
sguappare come spesso fanno i
suoi colleghi di categoria (ci sarà
un motivo per cui da venti anni abbondanti è confinata al metal...): e
sì che sarebbe anche campàno...
Ma a portarci lontano è anche il
piacevole disorientamento davanti
all’impossibilità, a un certo punto,
di capire che genere stiano suonando i quattro (più annessi) e come si
può chiamare questa sintesi, anche
qui magica, di stili e geografie. C’è
poco da fare: nell’arte come in biologia, la mescolanza e il meticciato
significano forza (come evidentemente sapeva anche Presley, che
dalla mescolanza di country folk e
blues diede vita al R’n’r).
Poi anche loro se ne vanno, e mentre facciamo un giro per le bancarelle prima di andar via (il viaggio
di ritorno lo impone), sul Main Stage iniziano gli attesi, chissà perché, Kaiser Chiefs. Dalle bancarelle si sentono benissimo, ma non
è certo un bene: quello che esce
dal Main-stream-stage infatti è il
rock più banalmente occidentale
sentito da anni a questa parte, con
un cantante che oltre a introdurre
98 sentireascoltare
le canzoni con una voce da ultrà
ubriaco ce le canta anche (non gli
hanno spiegato che il festival da
quest’anno non si tiene più in uno
s t a d i o ? ) , e u n g r u p p o i c u i r i ff , g i r i ,
stacchi e passaggi si collocano
s u l l o s t e s s o g r a d o d i r a ff i n a t e z z a
(ci fosse stato un gallagherometro
a misurare la banalità musicale sarebbe saltato per aria). Un rock che
sarebbe stato vecchio già nell’81,
a parte forse qualche dettaglio sonoro peraltro non pervenuto: forse
perché eravamo lontani, ma meno
di quanto questo gruppo lo sia dalla verve di uno qualsiasi dei mille
gruppi altrettanto classici ma dotati
di una penna capace di rivitalizzare la tradizione.
Av e v o c o m i n c i a t o s u l l i r i c o , m a
tocca finire sul polemico. Lasciando perdere le ovvie domande sul
perché del loro successo e le altrettanto ovvie risposte, infatti, durante la lunga mezz’ora di strada
per il parcheggio (sempre ahimé
seguiti dalla musica dei KC) non
si può fare a meno di chiedersi: a
questo gruppo farebbe meglio una
settimana chiusi in una stanza con
Fear of Music e Sandinista! a ripetizione o, più semplicemente, basterebbe consigliargli, la prossima
v o l t a c h e g l i Av i o n Tr a v e l o q u a l s i a si altro gruppo davvero degli anni
2000 (già Mika sarebbe un passo
avanti) suona nei loro dintorni, di
andarli ad ascoltare con un minimo
di attenzione? Ma soprattutto: chi è
stato quel sadico che, inserendoli
in questa giornata, li ha sottoposti
a questo confronto impietoso?
Se alla fine, infatti, l’equilibrio tra
ricerca e pubblico di cui dicevamo all’inizio si è numericamente
tradotto in un successo degli “occidentali”, il bilancio artistico invece riflette al contrario quello del
pubblico. Forse, è equilibrio anche
questo.
Giulio Pasquali
London Sinfonietta + Guests –
Remembering The Beatles: Sgt.
P e p p e r ’s A n d M o r e ( F i e r a m i l a n o Rho, 21 set t e mb re 2 0 0 7 )
Che è, uno scherzo? Jarvis Cocke r, P e t e r M u r p h y, R u s s e l l M a e l
degli Sparks, Robyn Hitchcock,
Alex Chilton, Marianne Faithfull,
B a d l y D r a w n B o y, B e t h O r t o n , i
RESIDENTS (!!!) tutti insieme? Dal
vivo? In un concerto dedicato al
S g t . P e p p e r ’s ? a R H O ! ? ? ! É t u t t o
vero, caspita. A fine serata li vedi
lì, in fila sul palco, che intonano
s o r r i d e n t i A l l Yo u N e e d I s L o v e
mentre la London Sinfonietta sciorina uno ad uno i motivi orchestrali
del brano, ripresa finale di She Lov e s Yo u c o m p r e s a . I r r e a l e . I m p o s sibile. Bellissimo, a suo modo.
La notizia era talmente inverosimile - e, ahimé, mal pubblicizzata
- da passare per la proverbiale bufala, ma non parleremo delle grandi pecche organizzativo-logistiche
del caso; anzi sì, giusto per dire
che il costo popolarissimo di 5
euro, di per sé stupefacente, ha
piuttosto fatto sì che buona parte
degli avventori fosse del tutto casuale e poco interessata a quanto
stesse accadendo, dalla classica signora annoiata (con tanto di
seggiola portata da casa) al marito
di lei, incazzato con l’organizzazione perché “non ci sono i posti
a sedere”. Peccato, ché l’evento
è di quelli irripetibili - in senso
proprio: è una rappresentazione
unica - e avrebbe meritato la dovuta attenzione e rispetto per gli
a r t i s t i c o i n v o l t i . Vi r i s p a r m i a m o l a
retorica esterofila (che pure non
guasterebbe), così come vi risparmiamo il solito pippone sul valore
della sostanza del concerto in sé,
ovvero un tributo a quel colorato e
lisergico dischettino inglese su cui
gravano già 40 primavere (no, non
The Piper At The Gates Of Dawn;
quell’altro), e ai quattro musicisti
che lo hanno partorito. Non é tanto
il cosa viene tributato; é il come, e
soprattutto il chi.
Da un lato una delle più acclamate
orchestre di contemporanea, le cui
incursioni in ambito pop-rock non
sono mai scontate o banali (la rec e n t e r i l e t t u r a d e l c a t a l o g o Wa r p ,
la collaborazione con i Radiohead
nel 2005); dall’altro – come s’è visto - un cast stellare ma non propriamente “all star”, di estrazione
piuttosto obliqua e cult-oriented.
Fanno da ponte i Baby Lemonade,
quintetto di valenti (-issimi) musicisti americani visti alla corte del
compianto Arthur Lee, cui tocca
London Sinfonietta + Guests
riprodurre con massima fedeltà le
Sacre partiture. Niente spericolate riletture o azzardate sperimentazioni insomma, anche se certi
nomi avrebbero fatto sperare il
contrario: è una pura celebrazione
in cui tutto il disco viene rivissuto
in diretta sul palco, dall’accordatura dell’orchestra all’inizio della
title track all’accordo tonante che
chiude A Day In The Life (c’é perfino un allestimento floreale che
ricrea la scritta Beatles, come in
copertina); in sostanza, pur con gli
arrangiamenti di Matthew Scott e
la conduzione di Jurjen Hempel,
la musica è quella (la Sinfonietta
esce dai ranghi giusto quando riempie certi vuoti o sottolinea alcuni passaggi, ma basta così).
E allora parliamo dei protagonisti,
cominciando dai meno probabili,
ovvero un Badly Drawn Boy un po’
troppo sottotono - in ogni senso - e
una spaesata, emozionata e titubante Beth Orton. Fa piacere trovare tutta baci e sorrisi la Signora
della serata, Marianne Faithfull,
specie dopo la brutta avventura
passata di recente (un male oscuro da cui si è pienamente ripresa);
peccato che la suggestività delle
sue interpretazioni - specie A Day
in The Life - non sempre è all’altezza della resa. Lo stesso vale
per un deludente Peter Murphy,
troppo teatrale e poco concentrato sul pezzo, tanto da commettere alcuni vistosi errori nella pur
d i ff i c i l e W i t h i n Yo u W i t h o u t Yo u a
l u i a ff i d a t a i n s i e m e a d e i m u s i c i sti indiani. Fa ancora più piacere
r i t r o v a r s i a s o r p r e s a m r. B i g S t a r
Alex Chilton – una partecipazione
last minute -, la cui Fixing A Hole
si fa ricordare per il solo doppiato
di chitarra, che per l’interpretazione in sé, ma tant’è.
Adesso, solo in base alle apparizioni di Residents, Russell Mael,
Jarvis Cocker e Robyn Hitchcock,
potremmo spendere righe su righe.
Basterà dire che: l’aplomb dinoccolato di Jarv sta bene indosso sia
a Ringo che a Macca (magistrali le
sue Help From My Friends e l’inciso di Day In The Life); la classe
della voce degli Sparks (sciarpamunito come ai bei tempi) spazza
via buona parte della concorrenza,
sia che impersoni il dandy divertito
simil-Ferry in When I’m Sixty Four,
s i a c h e a t t a c c h i u n a v i g o r o s a I t ’s
A l l To o M u c h n e i b i s ; r i p r e n d e r s i
dallo shock di vedere le teste d’occhio su un palco mentre inscenano una pantomima della fanfara
c i r c e n s e d i M r. K i t e , d e c l a m a z i o n i
da fiera e atmosfera da vaudeville inclusi, non è per niente facile
(rarità estrema dell’evento a parte,
l ’ e s e c u z i o n e p i ù e ff i c a c e ) ; s e g i à
in cuor nostro sapevamo che nessuno meglio di Hitch avrebbe potuto addentrarsi nei brani del Pepper
(impresa che ha compiuto di suo
qualche mese fa), figurarsi quando
si è messo nei panni del Lennon
v i s i o n a r i o d i I A m T h e Wa l r u s , c o n
tanto di orchestra alle spalle. Con
il rischio - anzi, la certezza - di
farci odiare a vita da chi legge,èé
proprio il caso di dire: beato chi
c’era.
Antonio Puglia
Morgan & Le Sagome - Prato, 25
luglio 2007
Un semicerchio di tastiere in mezzo
al palco, e gli altri musicisti intorno: la postazione da cui Morgan ci
guida nel suo circo (pop, staccandosene ogni tanto per suonare il
basso o per cantare e basta, è una
via di mezzo tra un trono, un sedile
da pilota e la poltrona del padrone
di casa. Anche l’atteggiamento è
da salotto: l’ex leader dei Bluvertigo chiacchiera, scherza, tira fuori
da una borsa stile “tascapane” anni
‘70 improbabili strumenti con cui a
volte scherza e a volte li usa sul
s e r i o , s i l a s c i a p o r t a r e d a g l i e ff e t t i
delle tastiere che un paio di volte
vanno per conto loro e ci accenna
su qualche vecchio classico (anni
‘80, ovviamente), dice che in realtà lui e il gruppo preferiscono le
chiacchiere e gli intermezzi tra le
canzoni alle canzoni stesse - forse
perché è la seconda data del tour
e, confessa testuale, stanno “suonando con le chiappe strette”.
Ma è un gioco: sebbene qualche
imperfezione qua e là si senta, il
composito gruppo de Le sagome
ormai sa come seguire i percorsi
del signor Castoldi, e alcuni brani suonano anche meglio dal vivo
c h e s u d i s c o ( I l s i n g o l o Tr a 5 m i nuti per dirne una). E’ un viaggio
quindi per le strade curiose del
pop (tipo la filastrocca di Animali
familiari), condotto con atteggiamento di citazione giocosa e sbruffoncella (per quanto con un senso
sacrale dell’arte della canzone) più
netto rispetto ai tempi dei Bluvertigo, quando il tutto era incanalato in
coordinate stilistiche più definite.
Nella sua carriera solista invece
l’approccio si è liberato, pur avendo mantenuto un’impronta netta e
riconoscibile: è questa impronta
che spiega sia l’idea di rifare interamente un disco di De André
(che vista la beatificazione in atto
del cantautore genovese comportava più rischi che altro), sia il fatto che nella scaletta del concerto
sentireascoltare 99
Z’ ev, Piombino eXperimenta 2007
quelle canzoni, anche se magari
inferiori alle originali, calzino perfettamente in mezzo alle composizioni del Nostro (e alla cover di
If dei Pink Floyd già su Canzoni
dell’appartamento); anche più di
una Sovrappensiero la cui bellezza
non toglieva un senso di irrisolto
nell’arrangiamento nella versione
su disco ancora più forte in questa
versione dal vivo.
Ma non è - pur rigoroso - tutto gioco: verso la fine Morgan abbandona lo scherzo per far posto alla
confessione di Contro me stesso
condotta, ma senza “citare”, un po’
con lo sguardo deciso di Per niente stanca della Consoli e un po’
al ritmo della rapsodia dolorosa di
Povero me di De Gregori.
Poi, con la chiusura di Altrove, si
torna al classico, con il gusto per
il testo arguto e tutti gli armamentari stilistici soliti; ma quella canzone mostra un’altra faccia di quel
talento di cui lo accusano di compiacersi, ma che di sicuro non gli
manca.
Giulio Pasquali
Piombino eXperimenta3 – Piombino (29/30/31 agosto - 1 settembre 2007)
Giunto alla terza edizione Piombino eXperimenta, rassegna di
sound art e sperimentazione elettronica, ha messo a confronto due
diverse generazioni: da una parte
quella dei maestri John Duncan e
Z’ev e dall’altra quella delle giovani leve come Fabio Orsi, Pietro
Riparbelli, Radical Matters e An-
100 sentireascoltare
tonio Della Marina; e proprio dalla
seconda sono arrivate le note più
liete del festival.
Come dimenticare, infatti, l’infuocato live set di Fabio Orsi assieme
all’ex leader dei Limbo Gianluca
Becuzzi, che ci hanno dato dimostrazione di come si possa colpire
al cuore anche utilizzando due laptop e una chitarra. Molto convincente anche l’installazione a Palazzo Appiani di Pietro Riparbelli con
la sua Camera Sonora for 4 Radiodramas, incentrata sullo studio del
rapporto pensiero/percezione, grazie a cinque radio modificate poste
all’interno di una stanza buia. Lo
stesso Riparbelli assieme a Sandro Gronchi/Radical Matters ha
dato vita a quattro installazioni
site-specific in una stanza del palazzo in ristrutturazione, dove tra
field recordings, giradischi locked
groove ed evocazioni di demoni
(Goetia), i due hanno dato saggio
delle potenzialità del progetto/etichetta Radical Matters. Sempre a
Palazzo Appiani si è potuto assistere al Lt. Murnau Music Mixer di
Vi t t o r e B a r o n i , g r a z i e a l q u a l e t u t t i
avevano l’occasione frantumare e
sminuzzare fotocopie che rappresentavano trent’anni di scorie musicali. Sul fronte “maestri” John
Duncan con la sua installazione
site-specific in un capannone industriale del porto di Piombino,
all’interno del quale aveva sistemato degli altoparlanti da cui fuoriuscivano drones metallici, non ha
convinto fino in fondo; al contrario il suo live, dal tono austero e
cupo, ha dato conferma della sua
capacità nel maneggiare bordoni
noise. Nella serata di giovedì un
folto pubblico è stato chiamato a
raccolta dall’icona dell’industrial
a m e r i c a n o , M r. S t e f a n J o e l We i s s e r, i n a r t e Z ’ e v , i l q u a l e i n p o c o
più di un’ora ci ha dato saggio della sua arte di percussionista alle
prese con i famosi gong e piatti in
titanio autocostruiti; un live set tra
il ritualistico e il minimalista.
Da segnalare inoltre il Long String
Instrument di Ellen Fullman per
la prima volta in Italia, installato
all’interno della torre Rivellino. La
stessa Fullman per tre sere consecutive, nel suo live set ha accarezzato del suo particolare strumento,
con corde lunghe 16 metri, produc e n d o s o ff i c i e d e l i c a t i d r o n e s .
Ha raccolto molti consensi Christina Kubisch e la sua installazione nei giardini del castello, dove
i n d o s s a n d o c u ff i e w i - f i m o d i f i c a t e
e seguendo le trame dei cavi elettromagnetici posti sopra gli alberi, si potevano creare, a seconda
della posizione, delle composizioni
sonore. Degna chiusura della rassegna toscana è stata l’esibizione
dell’organico audiovisivo Cellule
d’intervention Metamkine, che
grazie al loro consueto armamentario fatto di magnetofoni, sintetizzatori, microfoni a contatto e proiettori di pellicola, hanno fornito
uno spettacolo d’impatto figlio diretto della tradizione delle lanterne magiche create nel Seicento da
Christiaan Huygens.
Nicolas Campagnari
CONQUISTADOR!
#10
di Fabrizio Zampighi
Alle sog lie de i Ses s ant a poc hi m us ic is t i s epp e r o r a c c h i u d e r e n e l t e r m i n e f r e e j a z z i m p e t o m u s c o l a r e e d e l e g a n za ,
a ton alità e d es inenz e c las s ic he, liber t à di p a r o l a e r i g o r e .
Ce cil Taylor fu uno di ques t i.
una rubrica jazz a cura di Stefano Solventi e Fabrizio Zampighi
“Penso alla mia musica in termini di
possessione e di trance [...]. Ho bisogno di creare delle circostanze [...]
che dipendono dal modo in cui vivo,
che si riferiscono sia al pianoforte sia
ad altro, in maniera tale che lo sviluppo della musica possa continuare”.
Vita e jazz vanno di pari passo nell’arte di Cecil Taylor. Lo scorrere del
tempo, l’evolversi del quotidiano, la
sofferenza, la nascita e la morte diventano colori, sfumature, declinazioni di un sound furente e inarrestabile.
Un sound talmente umorale da poter
essere circoscritto soltanto dai limiti
fisici del buon vecchio vinile, sulla cui
superficie si postano senza ritegno al
massimo un paio di sillogismi (uno per
lato). Un sound massiccio, dall’aspetto poco invitante, summa del lavoro di
un pianoforte che scalpita, si impenna, viene battuto a sangue, galoppa
come un purosangue imbizzarrito. Secondo un illustre studioso della materia come Arrigo Polillo, tre sono i nomi
che cambiarono forma al jazz all’inizio
degli anni sessanta: John Coltrane,
Ornette Coleman e, appunto, Cecyl
Taylor. Tre cavalieri dell’Apocalisse
che rivoltarono dal basso la vecchia
musica afroamericana domiciliando
il futuro free tra le istanze politiche
progressiste del periodo e la voglia di
rinnovamento di un gruppo di musicisti fuori dagli schemi. Taylor fu forse,
dei tre, quello che raccolse meno consensi, in virtù di uno stile spigoloso,
ostico, vicino all’atonalità, difficilmente digeribile, tuttavia affascinante,
elegante, anarchico.
Uno stile che in Conquistador! (Blue
Note, 1966) rivela tutte le sue potenzialità. A dar manforte al padrone di
casa nelle due tracce che costituisco-
(Gi)Ant Steps
Cecil Taylor
no il corpus del disco vengono chiamati Bill Dixon alla tromba, Jimmy
Lyons al sax alto, Andrew Cyrille alla
batteria e Henry Grimes / Alan Silva
al contrabbasso. Musicisti dall’animo affine capaci al tempo stesso di
esaltare le storture armoniche del pianoforte e di indirizzarne i passi con
un contorno strumentale adeguato.
A cominciare dai diciassette minuti e
cinquantuno del lato A, in cui i fraseggi veloci posti in apertura da Taylor
svegliano gli ottoni, chiacchierano tra
loro, per poi seguire – si fa per dire –
la batteria in un’orgia ritmica sudata
e distonica tra saliscendi di tromba e
sax. Passa un terzo della title track
ed è già tempo di fermarsi a pensare:
si rilassano i muscoli, si sciolgono le
dita, si dà aria ai polmoni, per poi riprendere gradualmente il match con
una danza serrata di tastiere e piatti
prima e un omaggio alle attese spasmodiche di Charles Mingus poi.
Due battiti di ciglia ed è gia ora di girare l’LP. Si scopre allora che il contrabbasso di Alan Silva non disdegna i
volteggi controllati e le pattinate sulla
tastiera, che il pianoforte di Cecil Taylor puo’ anche sciogliersi in cascate
di note classiche, che gli strumenti a
fiato sono più libertini di quanto non
fosse sembrato inizialmente. Una
sensazione che guadagna in consistenza con i minuti che passano, finché i tasti bianchi e neri non rubano la
scena agli altri strumenti accelerando
Monk da trentatrè a quarantacinque
giri, imprecando contro le spazzole,
perdendo gradualmente di intensità
fino al termine del disco. Un silenzio
conclusivo che, tuttavia, ha il sapore
di un nuovo inizio.
sentireascoltare 101
WE ARE DEMO
a cura di Stefano Solventi e Fabrizio Zampighi
WE ARE DEMO
Side A
Giovani virgulti dell’entroterra soglianese
tutti umiltà, disagio e panzette da birra.
Power trio d’assalto, i Chester Polio.
Grande desiderio di venire allo scoperto. Grande urgenza di spaccare tutto.
Hardcore noise strumentale (tuttavia una
voce sarebbe un gran bel passo avanti)
strutturato come da scuola math rock ma
suonato con inevitabile attitudine punk.
Le figure geometriche ci sono, semplici
se vogliamo, ma ci sono. Il problema (se
problema lo si vuol chiamare) e che sono
su piani cartesiani differenti: impressiona
come spesso chitarra e basso siano completamente dissonanti e paralleli. Viene
quasi il dubbio che non si siano accordati
gli strumenti prima di registrare. Oppure
che ognuno suoni quel che gli va buttando appena l’orecchio al putiferio che lo
circonda. Mi piace comunque pensare
che sia tutto voluto e studiato al centimetro. La batteria sferraglia e mattona a dovere. Pesante e precisa. La registrazione
è molto buona ed adeguata al genere.
Come prima prova insomma c’è da divertirsi e da godere forte, magari con qualche dubbio e riserva. Sono giovani e si
sente, in senso del tutto positivo comunque. Una maggiore esperienza, coesione
e qualche struttura più complessa gioveranno in futuro al disastroso combo. Per
ora la cosa migliore è andarseli a vedere
dal vivo. Candidi quanto brutali. (6.5/10)
Gioacchino Turù da Ivrea ora Firenze è
un ragazzo pigro, molesto, un tipo poco
102 sentireascoltare
#20
raccomandabile, amante delle provocazioni (anche gratuite) e dell’osceno. E’
il solito gioco a cercare di capire quanto ci è e quanto ci fa. Lasciamo ad altri.
Ci concentreremo piuttosto su questo
C’è chi è morto sul Tagadà, concentrato di canzoncine svogliate e sboccate
fino all’eccesso, minimalismi elettronici,
puntilli di tastierine vintage, micromusic
8 bit, electro cafona ed autoreferenzialità hip hop. Su tutto questo ambaradàn
svetta la voce di Gioacchino che per-
zoni sono sempre più compiute e sembra
che finalmente ci sia anche la voglia di
comunicare e piacere, che ricordiamo,
non è male alle volte. In più c’è da segnalare che la canzone Girls from Ronta
è veramente e finalmente una meraviglia,
singolo riuscito e maturo. Bello che pronto per i vostri I-pod. Inevitabile il consiglio
di continuare su questa strada. Molto bella anche Paul Rock che richiede a gran
voce una linea vocale adeguata. Inutile
aggiungere che fa piacere constatare i
lopiù canta-parla-delira estemporaneo
come fosse un karaoke con il solo scopo
di divertire una stretta cerchia di amici
ubriachi nel suo appartamento. Eppure
nonostante l’atmosfera completamente
disimpegnata e cazzona sembra di intuire che il ragazzo sappia il fatto suo ed
abbia le idee abbastanza chiare in fatto
di stile e attitudine. Viene il dubbio che
se smettesse di giocare e si impegnasse
un po’ di più potrebbe essere in grado
di sfornare vere e irriverenti hit bomba.
Anzi, mi arrischio ad affermare che su
questo dubbi non ce ne siano poiché
L’uomo + bello del mondo e soprattutto
la splendida Forza Marco Prandi delle hit
bomba lo sono già. Le ascolti, le vuoi riascoltare e non te le scolli più dalle cervella. E allora, Gioacchino! (6.7/10)
Di Mark Zonda si era già parlato nel We
Are Demo di aprile. Sembra che ora il talentuoso cesenate abbia voluto dividere
la sua produzione in due diversi progetti:
M’Ar(o per quel che concerne la produzione solista in italiano e per l’appunto Tiny
Tide che invece vedrà il Nostro affiancato
da valenti compagni di squadra. Le coordinate di questo Zonda Feb Demos sono
sempre le stesse: ultrapop deviato molto
Eighties, melodie appiccicosissime e riuscite ma sfasate e dall’effetto straniante
e psichedelico. Strati di tastiere fluttuanti, cori angelici, basi elettroniche, voce
lontana, sommersa e spesso imprecisa,
come se stessimo assistendo ad un karaoke casalingo nell’iperspazio. La novità è
che i progressi ci sono. Eccome. Le can-
progressi di un’artista sul quale si era già
scommesso. Forza Mark! (7.0/10)
Davide Brace
Side B
I My Morning Needle sono un trio bresciano coagulato nel 2002 attorno a
quest’idea psych eterea e pastosa, tipo
un blues (mal)digerito a post e dark di
cui resta una vena pietosa e scura, un
battito che batte flebile ma incessante, chitarre che indagano il silenzio tra
esplosioni differite e distorsioni pittoriche. Le tracce di While A Beautiful
Autumn Fell sono quattro ma bastano
a raggiungere i tre quarti d’ora canonici,
grazie soprattutto a quella Venus Blue
che sfiora i venti minuti al modo d’una
suite tutta assorti ciondolamenti, sussurri, sospensioni sigurrossiane, una tromba che scomoda il Miles di Solea, palpiti
Kozelek nella penombra For Carnation,
B o n u s Tr a c k
certa rabbia moderna manteca la devozione (This Town, In Your Time Of Need),
soprattutto c’è un voler stare con tutti e
due i piedi in questo sogno alla frontiera
di tutti i sogni disillusi ma evidentemente
ancora vivi. Tutto ciò me li fa amare subito e senza condizioni. Sarà che sono
sensibile a certe cose. (7.0/10)
Come già segnalato in un vecchio WAD,
i torinesi Farmer Sea suonano come una
fantomatica “next big thing” già accaduta, solo che non se n’è accorto nessuno. Almeno, per me che ho amato il
precedente Where People Get Lost And
Stars Collide questo quartetto è “accaduto” eccome. Tornano con Helsinki Under The Great Snow, un mini cd - due
brani appena – bastevole ad assodare
le buone sensazioni. Prima ciondolando trepido sulla grazia slo-fi della title
track, sorta di fusione tra lo sciropposo
languore dei Pavement più quieti, il “tepore algido” della miglior folktronica, il
dipanarsi orizzontale delle inquietudini
Yo La Tengo e nel cuore forse - chissà
- un po’ dello spazio dilatato Red House
Painters. Eppoi con l’incedere dinoccolato di Neil Young Is Watching Me, gentilezza remmiana dedita a turgori Malkmus
cantata a mezza voce intanto che monta
l’emulsione di chitarre Teenage Funclub
nel giaciglio elettronico, ma considerate che con un titolo così mi piacerebbe
anche un rutto di topo. Recuperando la
serietà, vorrei sottolineare come la loro
forza non stia - lo avrete capito - nell’originalità della proposta, quanto nella padronanza, nella disarmante disinvoltura
con cui mettono assieme la loro cosa,
senza clamori gratuiti, una lucidità estetica che va al sodo senza mai perdere
la tenerezza. Non potrebbero che migliorare, se qualcuno investisse su di loro.
Casomai quel qualcuno si decidesse ad
accorgersene. (7.2/10)
Contrariamente a quello che potrebbe sembrare dalla copertina piuttosto
spartana, Does It Make You Smile?
degli Shine è un EP che poco ha del
demo e molto del disco finito. Merito di
una proposta musicale matura basata
su una sfida a colpi di riff tra basso,
chitarra (due) e batteria, un po’ Television, decisamente Cure – soprattutto nel cantato -, non troppo distante
dagli Smiths. Nei tredici minuti del
disco, tra grooves uncinanti (la title
track) e parabole venate di acid jazz
e funk (Close To The Ground), i Nostri
trovano anche il tempo per una dedica
“speciale” riservata alla stampa di settore (Music Press) (voto: 6.7/10, web:
www.shineplace.it). Dialetto siciliano
e rock si uniscono nell’omonimo demo
dei Tramuntana, per nove episodi in
bilico tra toni riflessivi (In cattività) e
mid-tempo energici (A Prisenza), dissonanze (8/10) e intermezzi cantati in
italiano (Dal profondo), chitarre acustiche (Sonata triste) e vapori noise
(Dumani). Se il cuore suggerisce di
chiamare in causa i 24 Grana come
illustri predecessori, la testa ci fa invece notare come la band possegga
una personalità musicale peculiare,
veicolata da buone doti di scrittura e
capacità tecniche nella media. Per un
suono che ha ancora bisogno di crescere, pur mostrando di avere agevolmente superato i turbamenti ormonali
dell’adolescenza (voto: 6.5/10, web:
www.myspace.com/tramuntana)
Zerovolume è invece sinonimo di
elettronica nell’accezione più generica del termine, ovvero musica in
cui programmazione industrial e cornici sintetiche di basso vanno di pari
passo con chitarre elettriche e batteria. A dar vita ad una formula che
più che i Bluvertigo sembra ricordare
i meno noti Dorian Gray, tre musicisti innamorati della techno applicata
agli overdrive (Silenzi Radio), dei
Subsonica (Effetti collaterali), delle
narcosi in forma di beat (Fotografia),
dei paesaggi cosmici (lo strumentale
Echoes Of Emotive Interferences).
Cinquanta minuti che da un lato non
lasciano trasparire cadute di stile
e dall’altro non soddisfano appieno causa soluzioni musicali talvolta
troppo asettiche (voto: 6.4/10, web:
www.zerovolume.it).
Stefano Solventi
Fabrizio Zampighi
sentireascoltare 103
WE ARE DEMO
finché non deflagra al modo di un accorato folk-rock gilmouriano (l’assolo però
tende al noise) e s’acquieta di soul triphoppato. Capito che roba? Quanto ad
Halogen 1200, il pezzo più breve coi suoi
“soli” sei minuti e mezzo, è una marcia
tra schiva apprensione e livide inquietudini, una carica sotterranea che promette
minacce sul punto di accadere e invece
si limita a piantarti una falce di luna giusto nella giugulare. Ok, basta così. I restanti due pezzi più che altro ribadiscono
per altri venti minuti - più morbidamente
jazzy Cable Swing, in liquido crescendo
psych-post Coal Day. I ragazzi hanno
fatto le cose per bene, registrando live
(chapeau) a Milano con Lorenzo “Milaus”
Monti per poi affidare il mastering alle
cure dell’inglese Alan Ward in quel di
Bruxelles. Direi che ne valeva la pena.
(6.9/10)
Tocca poi a questo duetto da Aprilia, Cristiano (voce, chitarre e tastiere) e Fabrizio (batteria, basso, cori), coadiuvati
nelle esibizioni live da Massimo e Roberto, rispettivamente bassista e chitarrista.
D’altronde, c’è o non c’è da suonare qualcosa che suoni caldo e pieno? Un sound
covato negli anni in cui i due fondatori
si sono trovati a collaborare in progetti vari, finché la brama folk rock impregnata di Seventies si è concretizzata nei
Desert Motel, al debutto con questo Out
For The Week End ep. Già il titolo dice
molto. Sette tracce in cui puoi vedere
neanche tanto in filigrana la sagoma della Band (What About You), di Petty, dei
Calexico, qualcosa di Young e dell’imprescindibile Gram Parsons (Paths). Il
suono è pasturato ad organo, slide, armonica, c’è persino una tromba tex-mex.
Sfilano ballate acidule col cuore che si
spalma on the road (A Song For When
You’re Blue, Resurrection), la vibrazione analogica incombe su tutto, la voce
rammenta vagamente Willie Nelson, una
Classic
Van Dyke Parks
FIABA DEL GENIO D’ANTAN
di Filippo Bordignon
S enza b iso gn o d ei clam or i della c r onaca o d el tribu to di qualc he c om pilation cele bra tiva Va n Dyke Par ks
si è infiltrato nelle t r a m e d e l l e p i ù
importanti situazioni d e l r o c k e d e l
pop. Tracce d el su o oper at o nelle
canzo ni di de cin e e dec ine di ar t isti diametralmente o p p o s t i t r a l o r o :
B yrds, U2, Le o Kottk e, St an Ridgway, Laurie Anderso n , F i o n a A p p l e ,
Grat efu l De ad , Ph il O c hs , Tim Buc kley, Bru ce Sp ring s t een per c it ar ne a lcu ni. Pian ista , c om pos it or e,
arran gia tore , p rod utt or e e par oliere, egli ha incarnato i n m a n i e r a d e l
tut t o p erson ale la fig ur a dell’ar t is t a
che parte dal passa t o ( n e l c a s o l a
musica tradizionale a m e r i c a n a ) p e r
giunge re a l co nio di c his s à quale nuova estetica. L a r i s u l t a n t e d i
questo viag gio inim it abile è bene
espressa da un a ma nc iat a di album
che, con sid era ti p er la v alidit à della
loro pro po sta mu sic ale, m er it er ebbero d i ve nire an al iz z at i nei Conservatori di ogni dov e .
Van Dyke Pa rks n asc e il 3 gennaio 1943 a Ha ttiesbur g ( M is s is s ipi) cittadina nota se n o n a l t r o p e r
l’attribuzione, da pa r t e d i q u a l c h e
giornalista, del tito l o d i “ l u o g o d i
nascita d el rock’n ’roll” , per v ia delle registrazioni effe t t u a t e n e l ‘ 3 6
dai Mississippi Jook B a n d , u n t r i o
acustico. Lu ng o tu tt a la s ua inf anzia Van Dyke re sp ira a pieni polm oni musica , arte e spet t ac olo. I pr imi passi “profession a l i ” r i g u a r d a n o
quest’ultima categor i a : t r a i l ’ 5 3 e i l
’58 s i p resta p er com par s at e t elevisive e cinematogr a f i c h e ; i l r u o l o
che o gg i vien e più m enz ionat o gli
capit a, tred ice nn e, per I l ci gno,
con protagonista G r a c e K e l l y. L a
sua pre dispo sizion e m us ic ale invece è sviluppata pr i m a g r a z i e a l l a
frequ en tazion e d ell’ Am er ic an Boy choir School di P r i n c e t o n ( n e l l a
quale si disting ue co m e v er o e pr o-
104 sentireascoltare
pr io enf ant p r o d i g e ) e p o i a l C a r negie Institute di Pittsburgh dove,
abbandonat o i l c l a r i n e t t o , s u o p r i m o s t r um en t o , s i d e d i c h e r à a l p i a nof or t e dipl o m a n d o s i .
Con il fratello Carson però decide
d’im br ac c ia r e l a c h i t a r r a a c u s t i ca, tentando l’approccio del folk a
nom e The S t e e l t o w n . S i i n i z i a c o n
un duo, un trio, poi tutto si allarga
c o m e G r e en w o o d C o u n t y S i n g e r s .
Le pr im e r e g i s t r a z i o n i u ff i c i a l i ( ’ 6 6 )
a proprio nome sono due singoli per
la M G M di c u i u n o i n p a r t i c o l a r e ,
Num ber Nin e / D o Wh a t Yo u Wa n t a, m et t e in l u c e u n e l e g a n t e a r r a n giamento pop su un celebre tema
della Nona d i B e e t h o v e n . G r a z i e
a u n c a m b i o d i e t i c h e t t a ( Wa r n e r
Bros) Parks ha modo di conoscere
ed entrare in sintonia con il leader
dei Beach B o y s , B ri a n Wi l s o n .
Q ues t i i f at t i : r e d u c e d a l m a s t e r p i e c e Pet Sou n d s e d a l l a r e p l i c a d e i
Beat les Rev o l v e r i l p o v e r o B r i a n s i
s t a s c er v ell a n d o n e l t e n t a t i v o d i s u per ar e Lenn o n e s o c i c o n u n o p e r a
che vorrebbe fosse “una sinfonia
adoles c enzi a l e p e r i l S i g n o r e ” a t i t olo Dum b A n g e l ( “ A n g e l o S o r d o ” ) .
Par k s , inga g g i a t o c o m e p a r o l i e r e ,
c am bia s ub i t o i l t i t o l o n e l p i ù b e n e augur ant e S mi l e e r e a l i z z a i t e s t i
di Sur f ’s Up , H e r o e s A n d Vi l l a i n s ,
W onder f ul, C a b i n E s s e n c e e d e l l a
dr ogat a Win d C h i m e s ( b r a n i c h e , r i cordiamo, Wilson pare abbia scritto
al pianoforte, all’interno di un box
r iem pit o di s a b b i a n e l p r o p r i o s o g giorno). In casa Beach Boys però
il suo approccio stravagante con
le lyrics viene spesso freddato da
Mike Love che bolla certe immagini
c om e “ allit e r a z i o n i i n p r e d a a l l ’ a c i do” .
L’us c it a de l l ’ i m b a t t i b i l e S g t . P e p per ’s è p e r W i l s o n l a g o c c i a c h e f a
t r aboc c ar e i l v a s o e c a d e i n p r e d a
a un dev as t a n t e e s a u r i m e n t o n e r -
v o s o . D o p o u n a s e r i e d i r e g i s t r a zi o n i i n e ff i c a c i n o n s e n e f a p i ù n u lla;
S mi l e d i v e n t e r à l ’ a l b u m f a n t a s ma
p i ù f a m o s o d e l l a s t o r i a . N e u s cirà
u n a v e r s i o n e a b o r t i t a a t i t o l o S m il e y S mi l e e s o l o n e l 2 0 0 4 W i l son
t r o v e r à l a f o r z a p e r d a r e u n a ve s t e d e f i n i t i v a a l l ’ a l b u m a g o g n ato,
c o n s e g n a n d o u n a v e r s i o n e s u o na t a e x - n o v o s e n z a i n f a m i a e s e nza
l o d e . P a r k s n e l f r a t t e m p o n o n si
p e r d e d ’ a n i m o , r e a l i z z a n d o i l su o
p r i m o a l b u m s o l i s t a , u n a n i m e m en te considerato il suo capolavoro.
S o n g C y c l e ( Wa r n e r B r o s , ’ 6 8 ) è
u n c a l e i d o s c o p i c o a l t a l e n a r s i di
g e n e r i m u s i c a l i c h e i m p i e g a u n ’o r c h e s t r a d i 6 0 e l e m e n t i e p i ù . L’ i n t e r p r e t a z i o n e d i Vi n e S t r e e t ( s c r itta
dall’amico Randy Newman del qual e h a a p p e n a p r o d o t t o l ’ o m o n i mo
e s o r d i o ) i n a p e r t u r a p a r l a 1 m i n uto
d i b l u e g r a s s p e r p o i m u t a r e i n s pi e gabilmente verso arrangiamenti in
b i l i c o t r a B r o a d w a y e i l t r i p l i se r g i c o . P a l m D e s e r t p r o s e g u e , a ffa b u l a t a d a l c a n t o d i P a r k s , s p e ci e
d i e n t e r t a i n e r d i s n e y a n o i n v ena
d i s u r r e a l t à . Wi d o w ’s Wa l k , L au rel Canyon Blvd., Public Domain
s f r u t t a n o o g n i t r u c c h e t t o i m p i e g an d o e ff e t t i , s o v r a i n c i s i o n i e u n uso
d e l l ’ o r c h e s t r a ( s p e c i a l m e n t e d egli
a r c h i ) o r i g i n a l e e m a g n i l o q u e nte .
Tu t t i i b r a n i s o n o i n c a s t r a t i l ’ uno
n e l l ’ a l t r o ( “ s o n g c y c l e ” , a p p u nto)
l a s c i a n d o l ’ a s c o l t a t o r e e s t e n u ato
da una complessità strutturale calcolata fino al parossismo. La vers i o n e s t r u m e n t a l e d e l l a C o l o ur s
d i D o n o v a n f a s e m b r a r e L e t ’s Go
Aw a y F o r Aw h i l e ( u n i c o s t r u m e n tale
n e l l ’ o s a n n a t o P e t S o u n d s ) p o c o più
d i u n e s e r c i z i o i n c o m p i u t o . To c c a n t e i l b r e v e Va n D y k e P a r k s : s i t r atta
d e l l ’ i n n o c r i s t i a n o N e a r e r, M y G od,
To T h e e , l ’ u l t i m a c a n z o n e s u o n a ta
d a l l ’ o r c h e s t r i n a d e l Ti t a n i c p r i ma
d i c o l a r e a p i c c o , a l q u a l e v e n g ono
v es t i t o d i t u t t o p u n t o c o m e u n s o u t her n m a n p r i m i ‘ 9 0 0 . L a t i t l e t r a c k
( unic o p e z z o o r i g i n a l e d e l l a r a c c o l ta) è uno dei momenti più semplici
ed eff i c a c i d e l l ’ i n t e r o r e p e r t o r i o . L a
riedizione Rykodisc contiene inoltre
il c o m m o v e n t e s t r u m e n t a l e A m a z ing G r a c e - S l o w Ve r s i o n . J u m p !
( Wa rn e r B r o s , ’ 8 4 ) e h a i l m e r i t o d i
dis t o g l i e r e i l n o s t r o d a u l t e r i o r i t e n t az io n i e t n o m u s i c o l o g i c h e e r i c o n giung e r l o c o n l a c r e a t i v i t à d e l g i o co, del sogno, della fiaba. Si tratta
d i 11 p e z z i c o n c e p i t i p e r u n m u s i c a l
m ai r e a l i z z a t o e i s p i r a t i a l l a r a c c o l t a pe r b a m b i n i U n c l e R e m u s d e l l o
scrittore Joel Chandler Harris. Il
m elt i n g p o t d i u m o r i i n r o t a z i o n e
ha r i n u n c i a t o a l l ’ e l e g a n t e o m b r o s i t à di S o n g C y c l e , p u r c o n t i n u a n d o
a farci apprezzare l’ecletticità del
nos t r o . B l u e g r a s s , j a z z e Ti n P a n
Alley s t y l e r a c c o n t a n o a p i c c o li e grandi le vicende del coniglio
Br ’er. To k y o R o s e ( Wa r n e r B r o s ,
’89) sposa plasticamente sapori
or ien t a l i a v a p o r i d i B r o a d w a y, a n a l i z z an d o c o n i r o n i c a i n t e l l i g e n z a i
rapporti Giappone - Stati Uniti in
c anz o n i s p a s s o s e c o m e Ya n k e e G o
H o m e e M a n z a n a r. T h e F is he r m a n
& H i s Wi f e ( W i n d h a m H ill, ’91) è
p i ù c h e a l t r o u n t e n t a t i v o m u l ti m e d i a l e p r e s t o d i m e n t i c a t o nel quale
P a r k s s c r i v e i l t a p p e t o s onoro per
u n a f i a b a r e c i t a t a d a J o d i e Fo ste r.
N e l ’ 9 5 s i r i p r i s t i n a l a p artnership
c o n Wi l s o n p e r O ra n g e C r a t e A r t
( Wa r n e r B r o s ) ; p u r b o l s a e m a m m o n a l a v o c e d i Wi l s o n t o r n a a i n te n e r i r e g r a z i e a l l e c o n v i n ce n ti co m p o s i z i o n i d e l l ’ a m i c o . L a b e l l a title
t r a c k , S a i l Aw a y e Wi n g s Of A D o ve
a l z a n o l a p o l v e r e d e i “ b e i ve cch i
t e m p i ” , c o n l e t i p i c h e a r m o n i zza z i o n i v o c a l i d i c a s a B e a ch Bo ys e
i l m e s t i e r e d i P a r k s . L u l l a by d i Ge r s h w i n i n c h i u s u r a v a l e d a so l a l ’ a cq u i s t o d e l l ’ a l b u m . L a “ c r ate art” è
a n c h e u n s o t t o g e n e r e a r ti sti co d a
n o i s c o n o s c i u t o c h e s i r i f erisce alle
i l l u s t r a z i o n i p e r l e c a s s e de l l a fr u tt a , t e s t i m o n i a n z e d a i c o l ori accesi
d i u n m o n d o b u c o l i c o t u t t o allegria
e s e r e n i t à . I l s o r p r e n d e n te M oonl i g h t i n g ( Wa r n e r B r o s , ’ 9 8) palesa
l a v a l i d i t à d e l l ’ e s t e t i c a parksiana
a n c h e n e l c o n t e s t o l i v e c on d e l i ca t e c o n f e r m e ( D a n z a ) e i n te r p r e ta z i o n i s u p e r i o r i a l l e v e r s i o n i d a stu -
sentireascoltare 105
Classic
sovrap po sti i bom bar dam ent i della
g ue rra in Viet nam . The All G olden
è sinte si pe rf et t a di r ic er c a ar m onica e capacit à m e l o d i c a ( p u r n e l l a
frammentazio n e , n e l l o s c h e r z o e
n el g ioco a lla c it az ione c olt a) .
Stimo lan ti sor pr es e s ono pr ev is t e
p ure ne i ’70 , all’indom ani della pr od uzion e pe r u n’alt r a gr ande pr om es sa, Ry Cooder, c on il quale s i instaurerà una v i v a c e c o l l a b o r a z i o n e
che dura fino a i g i o r n i n o s t r i ( v e d i
My Na m e Is Buddy del 2007) . L’unico d ifetto de l s uc c es s iv o Di scover ing Am e r ica ( Wa r n e r B r o s , ’ 7 2 ) è
di suonare un p o c o e s t r a n e o a i n o n
conoscitori de l l a m u s i c a t r a d i z i o n e
a merican a. Tit oli e t es t i c it ano per sonaggi politi c i ( J . E d g a r H o o v e r ) ,
d ello spe ttacolo ( J ac k Palanc e) e
della musica ( i l q u a r t e t t o j a z z d e i
Mills Brother s ) a m e r i c a n i c h e a l
pubblico d’olt r e o c e a n o d i c o n o p o c o
o nulla. L’inda g i n e m u s i c a l e s i a p r e
verso le orch e s t r i n e d i c a l y p s o i n
comp osizio ni più r ilas s at e e dec isamente eso t i c h e . E s t r e m i z z a n d o
i ton i d ella sua r ic er c a Par k s f inisce sulla cop er t ina di C l a n g O f T h e
Yanke e Rea per ( War ner Br os , ’76)
Van Dyke, la tua m u s i c a h a u n
fo rte im pa tto vis ivo t ut t avi a non
mi ris ulta sia m ai st at a abbi nat a
a d ei videoclip…
N ei ta rdi a nn i ’60 - iniz io dei ’70 ho
calza to le ve sti d i pr odut t or e per alcuni video usciti per l a Wa r n e r B r o s
e la Reprise Record s , m a s i t r a t t ò
sempre di un lavoro s v o l t o p e r a l t r i
artisti. Nessuno ha m a i p e n s a t o d i
produrne uno per me c o s ì h o d e c i s o
di arrangiarmi. Ne re a l i z z e r ò u n o i n
occasione del mio p r o s s i m o a l b u m
la cu i u scita è pre v is t a nel 2008.
Cosa ricordi del periodo di Song
Cycl e?
Quell’album lo composi che avevo
24 anni; ero piuttosto abbattuto a
causa della morte di mio fratello.
Ne r is ult ò u n ’ o p e r a d i g r a n d e i n t e n s it à, del t utt o p e r s o n a l e .
C l a n g O f Th e Ya n k e e R e a p e r : u n a
canz one pre s s o c h é p e rf e t t a ; v e n t i l ast i l ’ i po t e s i d i f a rn e u n h i t s i n gl e?
Non ricordo precisamente come
andò ma sta sicuro che ignorare
le possibilità di farne un singolo fu
una dec is io n e d e l l a c a s a d i s c o g r a fica. Non si può proprio dire che mi
s uppor t as s e r o i n m a n i e r a e ff i c i e n t e .
Prima apparizione sullo schermo
nel ’ 53; l ’ ult i ma v o l t a c h e t i h o v i sto in TV è stato in un episodio
d i Tw i n P e a k s n e l ’ 9 0 ( s t a g i o n e 2 ,
epi sodi o 12 ) . Q u a l i a l t ri “ c a me o ”
m i sono pe rs o ?
Beh quei piccoli cameo (che non
r ic hiedono s p e c i f i c h e a b i l i t à i n t e r pretative) mi si sono presentati di
t ant o in t an t o s e n z a c h e s t e s s i a
c er c ar li. M e l a s o n o s p a s s a t a m e t tendomi alla prova e, unitamente a
ciò, quelle “apparizioni” mi danno
la pos s ibilità d i c o p r i r e l a m i a f a m i glia con un’adeguata assicurazione
s anit ar ia.
Dal t uo s i t o i n t e rn e t h a i l a n ci at o l a p ro v o c a z i o n e d e i G o l d e n M i k e Aw a r d s : c h i p o t r e b b e
esser e i l p ro s s i mo c a n d i d a t o ?
Beh quei p r e m i s o n o n a t i u n p o ’
p e r g i o c o , a ff i n c h é c e r t e p e r s o n e si
f e r m a s s e r o u n a t t i m o a d a s c o l t ar e
q u e l l o c h e s o n o r i u s c i t e a d i r e…
m a g a r i q u a l c u n o d i q u e l l i n o m i nati
r i l e g g e n d o s i p o t r e b b e v e n t i l a r e la
p o s s i b i l i t à d i f i c c a r s i u n a c i a b atta
i n b o c c a p r i m a d i u s c i r e c o n c erte
dichiarazioni.
D a d o v e s a l t a f u o ri l a s t o ri a n a r r a t a n e l l ’ a l b u m T h e F i s h e r man
A n d H i s Wi f e ? S i t r a t t a d i una
f i a b a t e d e s c a d e l 1 8 s i m o s e c olo
ra c c o l t a d a i f ra t e l l i G ri mm.
L a c o p e r t i n a d e l l ’ a l b u m G re a t es t
H i t s d i P h i l O c h s l o r i t r a e c ome
una rock star tutta lustrini e disimp e g n o . C h e r a z z a d i s c h e r z o era
q u e l l o ? Tu t t o p u o i d i r e d i P h i l O chs
tranne che scherzasse. Fu uno dei
p i ù s o t t i l i c o m m e n t a t o r i d e l l a s c ena
s o c i o - p o l i t i c a a m e r i c a n a . A B o b D yl a n s a r e b b e p i a c i u t o e s s e r e c ome
Phil Ochs! Di sicuro se fosse ancor a v i v o o g g i n o n s i s a r e b b e p r e sta t o p e r a p p a r i r e i n u n a p u b b l i c i t à di
Vi c t o r i a ’s S e c r e t o d e l l a C a d i l l ac.
Quelle sì che sono prese in giro.
“ Q u e l l o c h e n o n a mma z z a f or tifica”.
Bello
s a re b b e
sapere c o s ’ h a t e n t a t o d i a mmazz a r t i n e l c o r s o d e l l a t u a v ita.
L’ i n t o l l e ra n z a n e i c o n f ro n t i d e ll a mu s i c a d a p a rt e d e l l ’ i n d u s tr ia
d e l l a mu s i c a .
D e l i c a t o s t a b i l i r e d u r a n t e l a f a s e di
c o m p o s i z i o n e q u a n d o u n p e z z o sia
v e r a m e n t e t e r m i n a t o . I l r i s c h i o è di
d i l u n g a r s i o d i l a s c i a r e u n s e nso
d’incompletezza.
Qualche puntualizzazione?
N o n m e l a s e n t o d i d a r e c o n s i g li a
u n c o m p o s i t o r e . S e p r o p r i o d o v essi darne uno sarebbe un sentito ric h i a m o a l l a m o d e s t i a c h e t u t t i noi,
successivi a J. S. Bach, dovremmo
praticare senza esclusioni.
Q u a l è l a d i f f e r e n z a s o s t a n z i ale
t r a s c r i v e r e l a c o l o n n a s o n o r a per
u n f i l m o p e r u n ’ o p e ra t e a t ra l e ?
S t a t u t t o n e l f a t t o c h e s i t r a t t a di
d u e c o s e d i v e rs e .
S e l ’ a r t e è u n o s p e c c h i o , c o s a v edi
r i f l e s s o n e l l ’ a s c o l t o d e l t u o To kyo
R o s e ? D i p i n g e l a d e c a d e n e l l a q ua l e i l G i a p p o n e r a g g i u n s e i l s u o “ ze i t g e i s t ” d i v e n t a n d o u n a s u p e r p o t en -
Van Dyke Parks e Brian Wilson
Classic
dio c ome Th e All Golden, p e r s o l o
piano e vo ce . Se la pr oduz ione discografica del Nostro p u ò s e m b r a r e
centellinata è a cau s a d e l l ’ i n f i n i t à
di collaborazioni e a t t i v i t à m u s i c a l i
collate rali n elle qu ali è c os t ant emente immerso.
Tra le tan to colo nn e s onor e v a r icordato il tocca nte es or dio c inematografico alla reg i a d i A n g e l i c a
H uston Bas tar d Out O f Car ol i na
e i da n oi p iù n oti Ver so i l sud e
Il g rande inganno, dir et t i e int er preta ti da Jack Nicho l s o n . M a p o i c i
sono le musiche pe r g l i s p e t t a c o l i
teatrali, quelle per p i c c o l e e g r a n d i
produzio ni te levisive e le s em pr e
più nutrite co mpa riz ioni nei pr oget ti di amici e collegh i i n q u a l i t à d i
pianis ta o arra ng iator e. Com e non
rest arne affa scina ti? Q ues t o pic c olo grande uomo cela i n s é i l m i s t e r o
di una creatività co n t a g i o s a , d e l l a
quale possiamo spe r a r e d i v e n i r e
colpiti, rispolverand o i n q u a l s i a s i
punt o la sua impre sa m us ic ale.
106 sentireascoltare
Classic
za econ omica. Tent ai di es pr im er e
la mia a pp ren s ione di allor a r iguar d o q ue ll’evolu z ione. A ques t o pr oposito vorrei r a c c o m a n d a r e i l l i b r o
Hocus Poc us dello s c r it t or e am erican o Ku rt Vonnegut c he, qualc he
anno dopo la p u b b l i c a z i o n e d e l m i o
album, affron t ò l a s t e s s a t e m a t i c a
con grande hu m o u r.
Non ti s em b r a che l e pr i m e r egistrazioni b l u e s ( B l i n d L e m o n
Jefferson, B l i n d Wi l l i e J o h n s o n
ecc.) pur nei l i m i t i d e l l e t e c n i c h e
di registrazio n e c o n t e n e s s e r o u n
fe eling che i l bl ues cont em por aneo non r ie sce a cat t ur ar e?
Da q ue lle pr im e r egis t r az ioni t r aspira una tris t e z z a s i n c e r a e m o l t o
d iretta ch e è poi il f ulc r o del blues .
Si sente un s e n s o d i u r g e n z a c h e
sca turisce da una r abbia quas i palp ab ile.
Qualc he nom e?
Il mio pre ferito è Howlin’ Wolf c on il
q ua le h o co nd iv is o ( in f or m a pos t uma p er lui) l’ins er im ent o nella M is sissipi Mu sician Hall of Fam e.
Er i a m ico di Ti m Buckl ey…
Ma non abbastanza da impedirgli
di cadere nella trappola dell’eroina. Gli ero molto vicino, ma al
tempo non sospettavo che ci fosse
cascato.
Dopo 30 anni una nuova collaborazione con Brian Wilson
per Orange Crate Art; com’è
stato tornare a confrontare le
vostre creatività dopo il casino
di Smile?
Sentivo di d o v e r d a r e u n a m a n o
a lla ca rriera d i Br ian, in nom e della fiducia che m i a v e v a d i m o s t r a t o
prendendomi c o m e s u o p a r o l i e r e
n ei tard i ’6 0. Nel ’95 non s t av a r egistrando nul l a . M i s e m b r a v a u n a
fo llia e pe nsai c he un po’ di at t enzion e mass-m ediat ic a s ar ebbe s t ata utile per st i m o l a r e l a s u a v i t a . E
avevo ragione .
Parlando de l l ’ e d i z i o n e 2 0 0 4 d i
Sm ile Dav id Thom as ha det t o:
“Smile non è m a i u s c i t o . Q u e l l o
c he tr ov i ne i negoz i cont i ene al c une de lle ca nz oni scr i t t e dur ante quelle ses s i o n . N o n è l a s t e s s a
cosa ” . D o ma n d a : c o s a t i a p p a s si onò n e l l a f a s e d i re a l i z z a z i o n e
di Sm i l e n e l ‘ 6 7 c h e n o n h a i ri t ro vat o i n q u e l l a d e l 2 0 0 4 ?
Sec o n d o m e l a v e r s i o n e 2 0 0 4 r i s pec c h i a l ’ i d e a o r i g i n a l e , n o n d e lude le mie aspettative. Semmai la
cosa che mi ha infastidito è che la
v es t e g r a f i c a o r i g i n a l e d i s e g n a t a
da Frank Holmes è stata sostituita
da una diversa. Frank era coinvolto
e c hi a m a t o a d i r e l a p r o p r i a n e l p r o getto quanto il sottoscritto. Ci mise
una s o r t a d i “ c o s c i e n z a f u m e t t i s t i ca” che risultò fondamentale. Però
che opportunità fantastica lavorare
c on B r i a n n e g l i a n n i ’ 6 0 !
C’ è il t u o z a mp i n o p u re n e l l ’ o t t i mo YS di Joanna Newsom. Come
ti è parso lavorare con questo
gi ova n e t a l e n t o ?
J o a nn a h a t u t t o i l m i o a p p o g g i o . M a
a dire il vero io “lavoro” solo per
c ont o m i o .
Moonlighting prova la validità
della tua musica anche in un
contesto live. Quali sono i tuoi
limiti?
Beh, mantenere una piscina (con
t ut t o c i ò c h e c o m p o r t a l a m a n u t e n zione ecc.) sembra al di sopra delle
m ie ca p a c i t à . È u n p e c c a t o p e r c h é
vivo nel sud della California dove
un genere di attività fisica come il
nuot o è d e c i s a m e n t e l ’ i d e a l e .
Cosa credi esprima la tua musica?
M i p i a c e l ’ i d e a d i e s p r i m e re ciò che
e s i s t e m a c h e r i s u l t a i n e sprimibile
attraverso il linguaggio verbale.
E s i s t e l a v o l g a ri t à i n a m bit o m usicale?
C o m u n q u e a n c h e l a m u si ca p i ù
i d i o t a è p r e f e r i b i l e a l p i ù r a ffinato
dei
b o m b ardamenti.
C o s ’ h a n n o l a s c i a t o d i buono gli
anni ’60?
L a l o r o i n o s s i d a b i l e f o r za vitale.
Ta n t i d e g l i i d e a l i d i a l l o r a so n o sta t i a b b a n d o n a t i m e n t r e s a re b b e sta t o n e c e s s a r i o b a t t e r s i p e r essi fino
a l l a m o r t e . N a t u r a l m e n t e q u e sta è
l ’ o p i n i o n e d i u n s i m p a t i zzante del
così detto “comunismo”.
L a v i t a è t ro p p o b re v e ?
N o n p e r t u t t i i c a s i ; a v olte è fin
t r o p p o l u n g a , p r o v a n e è quella di
p e r s o n a g g i c o m e H i t l e r e tanti altri
uomini politici americani.
Q u a l è l ’ a s p e t t o p i ù s t r a ordinario
d e l l ’ e s s e re u n a rt i s t a ?
R e a l i z z a r e c o n a p p a g a m e nto i frutti
c h e p u ò g e n e r a r e u n c e r to ti p o d i
empatia. Per chi l’accoglie, la mus i c a è u n d o n o c h e n o n s i esaurisce
m a i . P e r i m u s i c i s t i i n v e ce è se m p l i c e m e n t e t u t t o , f i n o a l l oro ultimo
respiro.
sentireascoltare 107
Classic
Pink Floyd
THE PIPER AT THE GATES OF DaWN
di Stefano Solventi
Troppo grande e importante questo disco. Sono quarant’anni che
ci fa trasecolare, gli fanno un baffo
certe operazioni puramente speculative, pur se confezionate benissimo, con cura e gusto come la qui
presente edizione deluxe in triplo
CD. Triplo CD, già: e come ti riempio tre dischi? Facile. Alla versione
originale rimasterizzata (nulla di rilevante in merito) ne aggiungo una
mono (“the original mono version”
nientemeno, pare sia stato lo stesso Syd a curarsene: ok, la prendo
con ampi benefici d’inventario, accolgo con curiosità una scheletrita Pow R Toc H, ma non so cosa
farmene di una Bike o di una Matilda Mother senza ondeggiamenti
stereo!), quindi affastello in un terzo dischetto i singoli del ‘67, lati
B compresi (di cui una Apples And
Oranges piacevolmente stereo, eh
eh), più due versioni alternative di
Interstellar Overdrive (una ovviabile “french edit” e una take inedita
scossa da un estro selvaggio, svisante, capace di regalare in soli 5’
qualche strano brivido in più).
108 sentireascoltare
L’ o b i e t t i v o , p e r a l t r o r i u s c i t o - c o n v e r r e t e c h e n o n e r a d i ff i c i l e - , e r a
restituire una fotografia esaustiva di quei primissimi strabilianti
Pink Floyd. Ben fatto. Chapeau.
Di pseudo-floydiani che ignorano
in tutto o in parte la fase pre-scrigno dei segreti (per non dire prelato scuro della luna) ce ne sono
a frotte, probabilissimo che molti finiranno nelle spire di questa
a corroborare le già clamorose
spinte pop-syke di Chapter 24,
di The Scarecrow, di Matilda Mother, quel loro vorticare tra colori
sovraesposti e strali d’un oriente
oleografico, la concrezione molle
e febbricitante dentellata di insidie e intuizioni e squarci. Un gioco a disorientare, a spostare gli
appigli e centri di gravità come nel
tunnel vorticoso di Lucifer Sam,
ghiottoneria e buon pro gli faccia.
Se dunque vogliamo trovare un
senso alla cosa, dobbiamo guardare a questa sorta di reinvenzione del disco, un po’ come se
ipotizzassimo la scaletta di Sgt
Pepper rinforzata dalle due songs
“monstre” ad esso contemporanee, quelle Strawberry Fields Forever e Penny Lane che andarono
a costituire il 45 giri con più lati
“A” di ogni tempo. Una forzatura
che possiamo permetterci con la
nonchalanche di questi giorni di
bastard-music, di post-modernità
sovra-realista che d’emblé osa
denudare Let it Be solo perché
sarebbe stato meglio anziché tutti
quegli stronzissimi fronzoli spectoriani (salvo poi rimpiangerli di
nascosto, perché c’è una ragione
per ogni cosa, anche per le meno
opportune). Ok. Procediamo. Facc i a m o l o p u r e . Ta n t o g l i f a u n b a f f o , a l P i p e r.
Ecco dunque i deragliamenti garruli e vischiosi di Arnold Layne
e See Emily Play, l’ebbrezza errebì minacciosa e fumettistica di
Candy And A Current Bun (che in
o r i g i n e s ’ i n t i t o l a v a L e t ’s R o l l A n o ther One, i riferimenti non erano
occasionali), la marcetta pepperiana (ovvero scombiccherata di
ruspante e febbrile delirio) di Apples And Oranges ed i mesmerismi
stropicciati di Paintbox che vanno
che giusto un gatto può riuscire
a starci in piedi, o come quando
l a m a r c e t t a b e ff a r d a d i T h e G n o me spalma d’oppio l’arcobaleno, o
come la stordente fantasmagoria
squadernata dalla placida (forse)
Flaming.
Una tavolozza di colori che non
puoi sostenere a lungo, e quando
ti arrendi al caleidoscopio (perdonatemi, prima o poi dovevo scriv e r l o ) a ff o n d i n e l l a t a z z a s b r e c c i a ta del cappellaio matto, galleggi
nel siero intangibile respirando il
lato vuoto del pieno, senti le cose
ravvivarsi di sensi diversi perché
è semplicemente arrivato il tempo che le cose cambino, scosse
dall’immobilità come un piedistallo
che si stiracchia, sbocciate come
fiori sul pavimento a rivestire d’un
s o ff i c e d e l i r i o l a s o l i d a e i n v e r o
stolida normalità del reale.
Cosa era accaduto? Fu un po’
come se in una diga riempita accumulando il pop, il blues elettrificato e tutta una tradizione di fanfare
e ballate popolari, si fosse messa in moto una reazione druidica
i r r e v e r s i b i l e . E d a l l ’ e ff e r v e s c e n za fin troppo rapida. Difatti, quei
Floyd eminentemente barrettiani
dureranno appena il tempo di attraversare i cancelli del tramonto
seguendo la rotta tracciata dal piff e r a i o i n e ff a b i l e . H o s c r i t t o F l o y d
eminentemente barrettiani, certo,
Classic
ma non voglio con ciò tralasciare
q u e l l a Ta k e U p T h y S t e t h o s c o p e
A n d Wa l k f i r m a t a Wa t e r s c h e p u r e
rielabora la scelleratezza del beat
(attra)verso un motorismo angoloso e ipnotico in cui percepisci
e s o t e r i c i c o n t a g i Ve l v e t U n d e r ground e Can. C’è qualcosa che
brucia, nel piglio del bassista,
un’ansia di futuro da fustigare nel
presente con lo scudiscio del passato (invertite pure i fattori) che
il folle Syd semplicemente ignora
perché già impegnato a costruirsi,
a percorrere la propria dimensione parallela, nella quale passato,
presente e futuro sono semplici
s o u v e n i r.
Un
viaggio
nel
profondo-accanto che da un lato attraversa
quelle canzoni come altrettanti
specchietti verso il paese delle
meraviglie, dall’altro simula i decolli tremebondi e immaginifici di
Astronomy Domine e - soprattutto - Interstellar Overdrive. Dove
le strutture rinnegano se stesse
implodendo disarticolate per poi
esplodere formidabili, canzoni se volete - rapite da una corrente
ascensionale che le annichilisce e
libera nel vuoto pneumatico della
visione spaziale. Più che il tempo – malgrado il tempo – conta
lo spazio, appunto. La sua reinvenzione attraverso il suono che
si compie in un tempo ciclico (in
quest’ottica può essere letta anche la sperimentazione della quadrifonia nelle esibizioni live, che
convoglia e distribuisce il suono a
360 gradi), abbozzando un’allucinazione d’infinito .
Va l e a d i r e , I n t e r s t e l l a r O v e r d r i ve: firmata da tutta la band, è una
suite tribale e cosmica innescata
d a u n r i ff c h e d a s o l o v a l e t u t t o
il grunge poi si sfilaccia, si sdilinquisce seriale, compie un’orbita
mutante prima di tornare “jazzisticamente” sul tema con sbalordit i v i q u a n t o i n g e n u i e ff e t t i s t e r e o .
Sembra di vederlo, Norman Smith
– il produttore “con la testa sulle
spalle” imposto dalla EMI in sostituzione del mai troppo lodato Joe
Boyd - che non sa darsi pace di
tutto il bailamme, di quell’apparentemente scervellato & scellerato smanettare con le leve del
m i x e r. E g l i o c c h i d i S y d i m m e r s i
nel rituale (quegli stessi occhi che
ne saranno ingoiati, indicando per
primi i sintomi della sua “assenza”), impegnato a balbettare assieme a tutto lo studio-strumento
quel linguaggio inaudito, quei
suoni senza gravità, unico limite
la fine dell’orecchio come indicherà qualche anno più tardi lo spirit o t u t t o s o m m a t o a ff i n e d i R o b e r t
Wy a t t .
Ok, non poteva durare. Giusto
così. Diamante pazzo in buca,
largo alle apocalissi atmosferiche
Wa t e r s - G i l m o u r, c h e c o m u n q u e r i empiranno altrettanti imprescindibili spazi. Per anni. Per sempre.
Basti però non scordare quanto dal Piper si diparte, quanti ne
hanno attinto, glam, kraut, wave,
neo-psych, popadelici d’ogni ordine e grado. Dite, non vi sembra
forse che ovunque il rock abbia
osato ipotizzare realtà alternative, si scorga più o meno in filigran a l ’ o m b r a d e l p i ff e r a i o p a s s a r e
come uno stormo di spaventapasseri ridanciani?
sentireascoltare 109
Classic
Trunk Records
Così ieri che sembra oggi
di Giancarlo Turra
PopNonStop
C ’è un ’ide a con divis a da em inent i
critici e avvertiti asc o l t a t o r i : c h e l a
musica po p sia per d e f i n i z i o n e u n a
faccenda sfuggente e a t e m p o r a l e .
Insomma, pa re ch e r ies c a nell’im presa di ap rirsi un a c av it à, c r es c ere dentro una dimen s i o n e p a r a l l e l a
a sé stan te do ve ricic la in allegr ia i
cascami della cultur a d i c u i è p a r t e
integrante e - moren d o o g n i g i o r n o
- rinasce in eterno. P e r m a g i a , c i ò
che è “re tro” si pe rm ea d’una c om ponente nostalgica, c o n f o r t e v o l e e
affet tu osa come la p olt r ona pr ef er ita di quando eravam o b a m b i n i .
Ma c ’è un trucco: n e i “ n o n l u o g h i ”
della riten zio ne ce rt e s onor it à m editano, si rinnovano e t o r n a n o c o m e
risacca a cancellare l e c e r t e z z e , l e
stess e ch e cre de va m o inc r ollabili
ed erano al contrari o s u l l a s a b b i a .
Lavorano sull’immag i n a r i o c o m u n e
di un passato pross i m o c o s ì v i c i n o
da sembrare antico , t e n e r a m e n t e
e illusoria men te o tt im is t a s e c onfrontato al presente a r r i v a t o i n s u a
vece, che no, non è e s a t t a m e n t e
come lo aspettavam o . U n a f u g a c e
ombra di inquietudin e r i p o s a p r o n t a
all’agguato, anche n e i m o m e n t i p i ù
allegr i e sp en sie rati ( anc he in quello che vien e con sid er at o “ m ains t r eam” e invece osa: a s c o l t a t e l a b e n e
U mbre lla d i Riha nn a, poi dit ec i… )
110 sentireascoltare
Un’autentica ossessione dello scavo, preferibilmente in un passato
immaginario, che è particolarmente
viva in alcune frange appartenenti
(ancora per poco) all’under-underground d’oltremanica, come puntualizzato a fine 2006 da Simon
Reynolds in un articolo apparso in
T h e Wi r e . P e r s u a s i v o , c o m e s u o
solito, da indurci a prendere in esame una delle etichette simbolo di
- è bene precisarlo da subito - un
c h e s t r a n e ” , c u r i o s i t à e s o t i c h e che
dopo il boom di metà Novanta sono
p e r l o p i ù r o b a d a r i g a t t i e r e . Non
è così: Jonathan Benton-Hughes
( c h e p r e f e r i s c e f a r s i c h i a m a r e J o nn y Tru n k ) h a p o s t o l e b a s i d e l l ’ eti c h e t t a n e l 1 9 9 5 m o s s o d a u n a non
c o m u n e c a p a c i t à d i s c e l t a , d a un
d i s e g n o p r e c i s o c h e m i r a v a s u b i to
a l c u o r e d e l p r o b l e m a . I n s e g u iva
q u e l m a t e r i a l e d a p e c u l i a r e “ l i br a r y ” ( m u s i c a d ’ a c c o m p a g n a m e nto
“non movimento”. Nessuna scena
da eleggere a hype e abbattere di
lì a poco: la questione abita casomai dalle parti di un comune sentire, di un abbeverarsi a sorgenti
accomunate dallo spirito originario
nonostante le modalità stilistiche.
I n q u e s t o p a n o r a m a , l a Tr u n k R e cords ci sembra - per catalogo, ampiezza delle vedute e un decennio
di attività fresco di festeggiamenti - il caso da portare a esempio,
parallelamente a quel Focus Group
c o n c u i c o n d i v i d e a ff i n i t à e l e t t i v e
ed istruzioni per l’uso.
Appr of it t and o d e l l a p u b b l i c a z i o n e
di Now We A re Te n ( Tr u n k / G o o d f ellas ; agost o 2 0 0 7 ; 7 . 8 / 1 0 ) , r a c c o l t a c elebr at iv a r i c c a d i i n e d i t i c h e n e
r ias s um e a g r a n d i l i n e e i t r a t t i s t i l i stici, l’abbiamo posta sotto la lente
del m ic r os c o p i o . N o n v e n e r a c c o n teremo la storia: a quello ci pensa
già M r. Tr u n k n e l l e n o t e d i c o p e r t i n a d e l C D . Vi d i r e m o p i u t t o s t o d i
c o m e , n o no s t a n t e o g n i p o s s i b i l e
cautela, ci abbia dato da grattare
il capo, confortando con amorevole
r iev oc az ion e u n m o m e n t o e a g i t a n doc i a c olpi d i d e t o u r n e m e n t s i t u a z ionis t i que l l o s u c c e s s i v o .
p e r p u b b l i c i t à , j a z z s a l o t t i e r o ma
t a g l i e n t e e d e l e t t r o n i c a t e l e v i s i va)
g e n i a l m e n t e s t r a v o l t o e s t r i d e n te
n e i d e t t a g l i . M u s i c a s t r u m e n t a l e al
q u a d r a t o , i n s o m m a , p e r l o p i ù p riva
d e l c a n t o e s p e s s o a s s e r v i t a a una
f u n z i o n e p r e c i s a . L a d d o v e m o l t i si
limita(va)no a ritrovamenti dissenn a t i o b a s a t i s u l l a m e r a s t r a n ezz a , o g n i d i s c o p u b b l i c a t o d a J o nny
a r r i v a d a l u o g h i a ff a t t o a n o n i mi e
c o n f u s i , m a i r a d i c a t i i n u n v u o to
autoreferenziale. Sono i figli sper i m e n t a l i d e l l ’ a r t e v i s i v a e s o n ora
tipica degli ottimistici “tempi mod e r n i ” , a n n i i n c u i s i l a v o r a v a col
meta-pop. Ci trovate la speriment a l e t e l e v i s i o n e b r i t a n n i c a d e i S essanta e dei primi Settanta (serie e
p u p a z z i a n i m a t i v i s i o n a r i e i n q ui e t a n t i c o m e D r. W h o , T h e C l a n g ers,
U . F. O . , T h e To m o r r o w P e o p l e ) , il
c i n e m a i n g r a d o d i m o s t r a r e una
d i ff e r e n t e p e r c e z i o n e d e l l a r e altà
( G o l a p r o f o n d a , T h e Wi c k e r M a n , il
c u i s o u n d t r a c k d i c u l t o è d i v e n t ato
u n s u c c e s s o , L a n o t t e d e i m o r t i vi v e n t i ) , i s u g g e s t i v i s u o n i c h e a tu tt o q u e s t o s ’ a b b i n a n o . O c h e , i n un
g i o c o d i r i m a n d i e d e c h i i n c e s s a nti,
s e m b r a n o p r e c o n i z z a r n e e p e r ce p i r n e l o s p i r i t o , s i a n o e s s i j i n gle
p u b b l i c i t a r i , m o s s e c a b a r e t t i s t i che
o i n d a g i n i d a s c i e n z i a t i d e l s u ono
c o m e D e l i a D e rb y s h i re , B B C Ra d i o p h o n i c Wo rk s h o p o i l m i s c o no s c i u t o p r e c o n i z z a t o r e d e l l ’ a m b i ent
Ye s terday …
S e s i a n a l iz z a c o n s u p e r f i c i a l i t à i l
c a t a l o g o Tr u n k c i s i p u ò f a r e l ’ i d e a
c he s i t r at t i s o l o d i u n a d e l l e s o l i t e
label dedit e a l r e c u p e r o d i “ m u s i -
Da John Ca m er on, O r r i el Sm i t h e
compagnia be l l a s i l e v a l a p o l v e r e e
lì si scopre luc e n t i a r c a n i d a s o ff i t t a
p sichica, si è inv es t it i da im m agini sonore rad i c a t e i n n o i a n c h e s e
ma i se ntite né v is t e dav v er o al t em po in cui c’er a n o . N e a l e g g i a s o l o
il misterioso, n o n d i r a d o s t r i d e n t e
magnetismo, e q u a n d o o c c o r r e c ’ è
la tele vision e c he “ una t ant um ” s er ve al recuper o . I n u n p a r a g o n e d a l
sap ore d i madeleine p r o u s t i a n o , è
come se arti s t i nos t r ani par t is s ero d alle ip no s i m us ic ali del m onoscopio Rai, d a i c o m m e n t i s o n o r i a i
documentari a n n i ’ 7 0 e d a l l e f o l l i e
visive de lla Tv Sv iz z er a per indag arle e cap ir ne i s egr et i. Veder e
l’e ffetto ch e fa.
Da quando J o n a t h a n h a m e s s o i n
Classic
… And Tod ay
Jonny Trunk
Ba sil Kir c hi n. D i f a t t i , l ’ i n t e n t o
iniziale della l a b e l b r i t a n n i c a f u d i
preservare e d i v u l g a r e l a m e s s e
d i mate riali d ella Bosw or t h Li br ar y , il più lon g e v o a r c h i v i o s o n o r o
d i musica “da c om m ent o” es is t ente oltremanica . C o m e n o n v e d e r v i
un’ideale rico n g i u n g e r s i a l l ’ e p o c a
dell’intrattenim e n t o i n g e g n o s o , d e i
dettagli subli m i n a l i i n s e r i t i d e n t r o
q ue lla ch e pa r e, m a non è, s em plice sotto cu ltur a us a- e- get t a? Per ché non ridar e v i t a a d i s c h i i n c i s i
d a virtuo si ja z z is t i e genialoidi d i
u n’e lettro nica a bas s o s v iluppo t ec n olo gico, p erc iò dal pot enz iale ev ocativo inversa m e n t e p r o p o r z i o n a l e ?
Un ’op era zio ne s im ile a quella por ta ta a va nti d a St er eol ab, B o a r d s
Of Ca na da e Br oadcast , c on la
differenza ch e q u i s i s c a n d a g l i a i l
cu ore d i q ue lla c he è s t at a s plendida men te etichet t at a c om e “ m em oriad elia ”. L à s i r ipr oduc e c r eat iv amen te pa rten do dalla s ugges t ione,
prossima all’ o n i r i c o , d e l r i c o r d o ,
qu i se ne stu dia per lo più il r eper to (ri)generati v o . L’ i n t e n t o n o n è d a
amanuense, s e m m a i d e l l ’ u m a n i s t a :
pro va ne sia c he J onny, pr im o c ontrosen so che t ir a le f ila, ha pubblica to a nche int er es s ant e m at er iale
di sua compos i z i o n e , p e r f e t t a m e n t e
scamb iab ile p er v int age. O gni us c ita, grondante s t i l e f i n d a l l ’ a r t w o r k ,
rappresenta u n g e s t o d ’ a m o r e p e r
epoche dime n t i c a t e e d i m e n s i o n i
parallele.
piedi l a Tr u n k , i l m o t t o è s t a t o “ m u s ic a, n o s t a l g i a e s e s s o ” , i n f o r z a
del q u a l e h a t r o v a t o s u b i t o u n b a c i no d’ u t e n z a t r a c o l l e z i o n i s t i e c u l t o ri terminali, ma anche tra chi cerca
nella musica un valore aggiunto di
arguzia e spirito dei tempi (andati).
Aiut a t o f i n a n z i a r i a m e n t e d a l s u c c es s o d i O h B o y d e i Tra n s c a rg o
( us at a p e r u n a n o t a p u b b l i c i t à d i
automobili, ed ecco che il cerchio
si chiude…), ha allargato pian piano il c e r c h i o d e g l i i n t e r e s s i . F i n q u i
nulla di male o anormale, se non
c he i n u n ’ o p e r a z i o n e f e d e l e a u n a
linea che forse c’è e forse no (ma
si vede), il Nostro ha sentito la necessità di andare alla fonte con lo
s c r up o l o d e l l ’ a v v e n t u r i e r o , p o r t a n do in s a l v o i n t e r e c o l l e z i o n i d i m u s ic a f a l s a m e n t e a c c e s s o r i a , v i c e versa in grado di reggersi in piedi
alla perfezione.
Del c a m p i o n a r i o d i s c o g r a f i c o , n o n
ricchissimo ma di qualità media
c ons i d e r e v o l e , N o w We A re Te n
off r e a d e g u a t o e s t i m o l a n t e c o m pend i o . N e s s u n a t r a c c i a d i a r c h i v is m o , r i b a d i a m o , p e r c h é l ’ “ u n d e r -
s t a t e m e n t ” a n g l o s a s s o n e bilancia i
p o c h i e c c e s s i , c o m e g i à accadeva
p e r l a E l , e t i c h e t t a d a l l e non poche
a ff i n i t à v o c a z i o n a l i c o n quanto fin
q u i e s p o s t o . D a l t o r b i d o sg r a n a to
s e v e n t i e s s o p r a g g i u n g o n o ta n to l a
c o l o n n a s o n o r e d i G o l a Pr of onda
( p e l l i c o l a d a l s o t t o t e s t o o g g i b u ffa m e n t e i r o n i c o ) c h e l e a n t o logie di 7”
a l l e g a t i a r i v i s t e s c o n c e , culminanti
n e l g r a d o z e r o d i s p a z z a t ur a o n a n i s t a D i rt y F a n M a l e . I d e a spassosa,
q u e l l a d i m e t t e r e s u d i s c o letture di
m i s s i v e i n v i a t e a l l a s o r e l la d i Jo n n y, a n o n i m a a t t r i c e p o r n o , tr a sfo r m a t a s i i n “ f a t t o ” m e d i a t i co e in un
l i b r o c h e r e i n i e t t a n o i l v eleno nel
corpo che lo ha prodotto.
Cosa resta, infine, oltre a musica di
gradevolezza e intuito non comuni? Una certezza, per lo meno: la
memoria si ricicla autonomamente
nell’immaginario e il pop le tiene dietro. Sembra confortante, ma appena
scruti dietro la facciata appare sempre qualcosa che scricchiola. È lì che
avete ottime possibilità di incontrare
Jonathan e, siatene certi, sta alacremente lavorando per voi.
sentireascoltare 111
112 sentireascoltare
Satchel- Reservoir Dogs Of Soul
In fondo, ogni artista impara a scrivere il lavoro a cui sta lavorando solo
nel momento in cui vi mette mano. In qualche modo, è l’opera d’arte
stessa che gli insegna come vuole essere realizzata, di che necessita,
cosa meglio può oliarne i meccanismi interni e renderla perfettamente
funzionante. I Satchel, grandi dimenticati del grunge di Seattle, ebbero
a che fare con questa forma di apprendistato rudimentale, ma necessario, proprio nella preistoria delle singole carriere d’ognuno dei membri
fondatori. Per capire, però, un minimo da dove sbucassero fuori questi
signori che, durante la mareggiata chitarristica heavy-psych del grunge,
o s a r o n o r i f a r s i a n o m i q u a l i M a r v i n G a y, Te m p t a t i o n s e P r i n c e , b i s o gna rivangare un pochetto gli strati della geologia grunge più remota e
rilevarne alcuni carotaggi. Nomi quali Mother Love Bone e Fire Ants vi
dicono nulla? Allora, passando all’analisi il primo campionamento fatto,
si dà il caso che tal Regan Hagar avesse militato, in qualità di batterista, in entrambe le seminali formazioni. Poi, terminata con queste la proficua esperienza artistica, si diede a
nuovi progetti. Altri due nomi da sottoporvi: i Bliss e i Brad. Semiobliati i primi, laddove dei secondi, animati
quali fossero sua personale marionetta hard dal Pearl Jam Stone Grossard, si ricordano un po’ tutti.
La prima metà importante dei futuri Satchel l’abbiamo quindi individuata. Adesso tocca spendere un paio di
parole anche sul cantante Shawn Smith. Smith fu colui il quale volle, assolutissimamente volle, che i Satchel
fossero e, soprattutto, suonassero così neri, black e groovy quale mai nessun altra band in quei paraggi.
Certo, Shawn aveva avuto anche lui il suo apprendistato musicale colto. I Pigeonhed, in combutta col produttore Steve Fisk, furono autori di un paio di album a loro nome, fra il 1993 e il 1997. Come suonavano?
Campionamenti, soul, filamenti sperimentali sguscianti via da ogni singola partitura, devoti al genietto di Minneapolis Prince e fieri nella prassi loro imposta di decostruzione armonico-melodica ad oltranza. Un oltraggio
al grunge d’allora, una speranza per quello a venire. E di questa ipotesi artistica ”’speranzosa” si nutrirono
i Satchel. Eccentrici, ispirati, devoti all’arrangiamento jazz sofisticato (il magistero degli Steely Dan non
ha certo fatto il suo tempo), pop nel senso maggiormente nobile, psichedelici di straforo e moderatamente
inficiati da inserti electro, i Satchel del debutto suonano così. EDC contiene 13 canzoni che hanno il pregio sicuro della varietà. E della raffinatezza (cosa inusuale per una band di Seattle nell’anno domini 1994).
La casa discografica, una major (la Epic), evidentemente non sa bene se i nostri eccentrici venderanno o
meno, se la formula sia funzionale al successo di classifica o no, ragione per cui, nell’incertezza, adotta una
p o l i t i c a s o l a . . . l a s c i a f a r e ! M r. B r o w n a p r e i l d i s c o e s u o n a c o m e u n B r a i n D a m a g e d e i P i n k F l o y d s e s o l o
P r i n c e n e v o l e s s e f a r e u n a c o v e r. S p a z i a l e ! M e g l i o a n c o r a E q u i l i b r i u m , c o i s u o i f a l s e t t i a r i v e r b e r o , e q u e l
m u r o d i t a s t i e r e v i n t a g e t a n t o a n n i ’ 7 0 . Ti t o l i d i c a n z o n i q u a l i M r. P i n k , M r. B l u e n o n c h é l a m i r i a d e d i i n s e r t i
( d i a l o g h i ) p r e s i d a R e s e r v o i r D o g s d i Ta r a n t i n o , n o n l a s c i a n o s c a m p o s u q u a l e s i a l ’ i m m a g i n a r i o ( f i l m i c o m u s i c a l e ) c h e i s p i r i i n o s t r i . M a t o r n i a m o a l l e c a n z o n i : l a c i r c o l a r e f i l a s t r o c c a s o u l d i Tr o u b l e C o m e D o w n ,
l’hard-rock sornione in More Ways Than 3, esperimento di rarefazione dell’ossigeno soul nella colonnina
rock dei Satchel, sono solo altri modi in cui si esprime l’eclettismo del gruppo. Album memorabile quanto
pochi altri, nella storia del sub-genere grunge, EDC fu seguito, a un paio di anni di distanza, da un secondo
cd. The Family esce nel 1996 e, purtroppo, non raccoglie l’attenzione che meriterebbe. Né di pubblico, né
di critica. La cometa grunge si è quasi disintegrata del tutto, durante la sua folle corsa nei cieli rock di inizi
‘90, ed adesso i Satchel son poco meno che pesci fuor d’acqua, se solo li si pensa legati alla storia di quelle
musiche. Punto focale del nuovo disco, come tutto sommato dei precedenti, è la vocalità di Smith. Qui meno
gigioneggiante, leggermente più “focalizzata”. Isn’t That Right, che apre il cd degnamente, è una sorta di
esperimento, riuscito, di fusione soul-psichedelica con forti tinte confidenziali. Quasi una torch song che
bruci lenta sull’ostinato del piano e il sottofondo chitarristico dilatato. Without Love suona grossomodo identica, solo aumenta i giri di marcia e scorre via uptempo. La sofisticazione più barocca la si tocca in Criminal
Justice, piccolo gioiello d’arrangiamento che non soffoca la canzone (essa c’è! Il suo ritornello pulsa lento
e dolente). È il canto del cigno. Altro i Satchel, agli annali del rock, non vollero lasciare. E forse fu un bene
fermarsi così, al momento giusto.
Massimo Padalino
sentireascoltare 113
Classic
Lost Grunge Heroes
l a s e ra d e l l a p r i m a
VISIONI
4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (di Cristian Mungiu - Romania,
2007)
I l Fes t iv al d i C a n n e s s e m b r a e s s e r e q u a l c o s a d i p i ù d e l c l a s s i c o b a r a c c o n e p u b b l i c i t a r i o s a t u r o d i s t a r. B a s t a g u a r d a r e i f i l m p r e m i a t i n e g l i u l timi
a n n i c o n l a P a l m a d ’ O r o – p r e m i o n u m e r o u n o d e l l a m a n i f e s t a z i o n e – per
c apir e c he tr a q u e i t i t o l i s i a n n i d a u n ’ i d e a d i c i n e m a c h e r i c o r r e n e l t e mp o
e s i r ipr opon e n o n o s t a n t e i l c a m b i o d e l l e g i u r i e i n t e r n a z i o n a l i . L’ i d e a è ch e
i l c i n e m a mi g l i o r e s i a q u e l l o c h e s c a t u r i s c e d a l c o r p o a c o r p o t r a m a c c h ina
da pr es a e r e a l t à . S e i l c i n e m a n o n i n d a g a l a r e a l t à , s e n o n p r o d u c e c h i a r e z z a s u u n f a t t o s t o r i c o , s e n o n i n q u a d r a i l p r e s e n t e e i s u o i d r a m m i , non
è adat t o ad u n r i c o n o s c i m e n t o u ff i c i a l e – u n p a r a d o s s o p e r i l f e s t i v a l c h e
ha os annat o Ta ra n t i n o e Ly n c h . E p p u r e , n e a n c h e Ta r a n t i n o , u n a v o l t a a
c a p o d e l l a g i u r i a , h a f a t t o d i v e r s a m e n t e : i l s u o v o t o è s t a t o d e t e r m i n ate
nell’as s egn a z i o n e d e l p r e m i o a F a h re n h e i t 9 / 11 .
Cos ì 4 m es i , 3 s e t t i ma n e , 2 g i o rn i , v i n c i t o r e d e l l a P a l m a d ’ O r o n e l 2 0 07 ,
è un f ilm c h e s ’ i n s c r i v e n e l s o l c o d e l n e o - r e a l i s m o c a r o a l F e s t i v a l d i C an nes . Ed è u n f i l m p o t e n t i s s i m o , c a p a c e i n m e n o d i d u e o r e d i s q u a d e r n a r e
un m ondo, d i r i o r d i n a r e u n p a s s a t o , d i s v e g l i a r e l a m e m o r i a . S e c c o e f o r te
c om e un pu g n o , t i s i a s s e s t a d e n t r o f i n d a l l e p r i m e b a t t u t e . I l p u g n o è l a
s t o r i a d i G a b i t a e O t i l i a , n e l l a R o m a n i a d e l 1 9 8 7 , a i t e m p i d e l l a d i t t a t ura:
di Gabita decisa ad a b o r t i r e e d i O t i l i a c h e l ’ a i u t a , f i n o i n f o n d o . A g u a r d a r e b e n e , è l a s t o r i a d i u n ’ a m i c i z i a s e nza
pari tra d ue do nn e che s c opr ono s ul lor o c or po, de n t r o i l l o r o c o r p o - l ’ a b o r t o , l a v i o l e n z a d e l l o s t u p r o - i l d o m in i o
feroce d el p ote re.
Ed il film è spettaco l o s e n z a e s s e r e s p e t t a c o l a r e . G l i o r r o r i d e l l a s t o r i a s o n o t e n u t i f u o r i c a m p o . L a m a c c h ina
da pre sa , rig oro sa m ent e t enut a a m ano, alt er na lu n g h i s s i m e i n q u a d r a t u r e a c a l c o l a t i s s i m i p i a n i s e q u e n z a – be l lissim o e insosten ibile quello della c ena. G li at t o r i s o n o s u p e r l a t i v i , a t a l p u n t o m i m e t i z z a t i d e n t r o i l f i l m , ch e
le lor o e sp ressio ni s v elano i s ent im ent i e m ar c an o u n e p o c a s t o r i c a . L e m u s i c h e s o n o c o m p l e t a m e n t e a s s e n ti ,
ed il controllo quant o l ’ e s p l o s i o n e d e l l a t e n s i o n e , d e l l a s u s p e n c e , d e l l e e m o z i o n i , s o n o a ff i d a t e u n i c a m e n t e alla
sapienza narrativa d e l l a s c e n e g g i a t u r a , c h e n o n s i s f i l a c c i a m a i , m a c h e p r e v e d e a l s u o i n t e r n o e l e m e n t i c h e di
continuo potrebbero r i a p r i r e i l f i l m v e r s o u l t e r i o r i s v i l u p p i ( i l c o l t e l l o r u b a t o , i l d o c u m e n t o d ’ i d e n t i t à d i m e n t i c ato
in albe rgo ).
U n f ilm ne ce ssario , ques t o di M ungiu: c os ì c om e n e l 2 0 0 6 e r a s t a t o i m p o r t a n t e P ro p ri e t à p ri v a t a d i L a f o s s e, e
ancor a p rima i film dei f r at elli Dar denne. O per e t e s e , a s c i u t t e , s p o g l i e , c h e r i p o r t a n o g l i u o m i n i , l e l o r o s t o r i e , l a
mat eria lità de lla loro v it a, dent r o il c uor e dell’im m a g i n a r i o c o l l e t t i v o . È u n b u o n s e g n o s e l a r e a l t à , o r g a n i z z ata
nella n arra zio ne , in gigant it a dalle t ec nic he di r app r e s e n t a z i o n e , t o r n a a i l l u m i n a r c i d a i b o r d i d i u n o s c h e r m o . Se
il cinema svela cosa s i a m o o c o s a s i a m o s t a t i , t o c c a a n o i s p i n g e r e q u e s t a c o n s a p e v o l e z z a n e l p r o g e t t o d i un
fut uro diverso e più gius t o e più um ano.
Giuseppe Zucco
114 sentireascoltare
Costanza Salvi
sentireascoltare 115
l a s e ra d e l l a p r i m a
I Simpson – Il film (di David Silverman - USA, 2007)
Do po d icio tto s t agioni e quat t r oc ent o epis o d i e c c o l a f a m i g l i a p i ù a m a t a
d ’America a pp r odar e al gr ande s c her m o. Ne s s u n ’ a l t r a s p i e g a z i o n e c i i n t e re ssa se n on quella gioia un po’ ignor ant e d i v e d e r e p r o i e t t a t o s u l g r a n d e
sch ermo l’in no all’indolenz a, alle dipendenz e e a l l e u m a n e d e b o l e z z e r a p presentate da q u e s t o a d o r a b i l e c a p o f a m i g l i a .
È un po’ inuti l e r a c c o n t a r v i l a s t o r i a : c o m e a c c a d e d i s o l i t o n e g l i e p i s o d i
tv, si tratta d i un inanellar s i inf init o di ev ent i s u r r e a l i . H o m e r d e v e s a l v a r e
l’in tera città di Spr ingf ield da una c at as t r o f e d o v u t a a l l ’ i n q u i n a m e n t o d a
lui stesso pro v o c a t o .
La più grande s c o m m e s s a d e g l i i d e a t o r i e r a q u e l l a d i e v i t a r e d i c o n c e p i r e
il film come u na s equenz a di t r e epis odi: per f a r q u e s t o c i s o n o v o l u t i m o l t i
me si d i riscrit t ur e e la pos s ibilit à di allar ga r e i l “ c a s t ” . P e r t u t e l a r e l ’ o r i ginalità del fil m r i s p e t t o a l t v s h o w c h e i n t a n t o p r o s e g u i v a , v e n n e r o p r e s i
accordi secon d o c u i n e s s u n e l e m e n t o d e l p l o t a v r e b b e d o v u t o f u o r i u s c i r e
dallo studio b l i n d a t o i n c u i g l i s c r i t t o r i l a v o r a v a n o . D i f a t t o l ’ a c u m e d e l
te am si è rivelat o ec c ellent e nelle bat t ut e p i ù c h e , o v v i a m e n t e , n e l l a s t o ria , pre testo p er un per f et t o m ec c anis m o ad o r o l o g e r i a d e l l a r i s a t a b a s a t o
sul ritmo delle b a t t u t e a g g a n c i a t e l e u n e a l l e a l t r e . I m p o s s i b i l i d a r i c o r d a r e
tutte, alcune s f u g g o n o , m o l t e e s p r i m o n o q u e s t o p r o f o n d o s e n s o d i s f i d u c i a
che i cin ea sti ( M oor e, Li nkl at er , Spur loc k ) s e n t o n o u l t i m a m e n t e n e i c o n f r o n t i d e l l ’ e r a B u s h . P e r n o n p a r l a r e ,
poi, dell’acum e c o n c u i G r o e n i n g r i e s c e a t r a t t e g g i a r e i c o s t u m i e l e a b i t u d i n i a m e r i c a n e , l e t e n d e n z e di certe
comunità ristr e t t e a t r o v a r e i l c a p r o e s p i a t o r i o , i l g u s t o p e r l e s o f i s t i c a t e z z e t e c n o l o g i c h e : t u t t i e l e m enti su cui
s’inn esca no le bat t ut e m iglior i.
Un a ltro pro bl em a del t eam er a quello di esa l t a r e l e p o t e n z i a l i t à d e l g r a n d e s c h e r m o c h e p e r m e t t e v a u n r a d d o p p iame nto de llo s paz io a dis pos iz ione per il l a y o u t d e i d i s e g n i . C o s ì l o s c h e r m o s i r i e m p i e d i “ g r a n d i s s im e sce n e
d i ma ssa” (hu ge m ob s c ene) , elem ent o di n o v i t à r i s p e t t o a i t a g l i c l o s e - u p d e l t v s h o w. N o n s i p o s s o n o co n ta r e
poi le citazion i d i f i l m c h e G r o e n i n g f a e h a f a t t o n e l c o r s o d e i 1 8 a n n i d i p r o g r a m m a z i o n e d e i S i m p s o n. Grande
cine filo, a man t e di f ilm s c i- f i di c ult o c om e G l i i n v a s o ri s p a z i a l i ( M e n z i e s , 1 9 5 3 ) o B e y o n d T h e Ti m e B a r r ie r
(Ulme r, 1 96 0) inedit o da noi, inc ent r at o s u l t i m e - t r a v e l c h e i n f l u e n z e r à a n c h e F u t u ra ma , G r o e n i n g è anche
g ran de con su m at or e di t v e ov v iam ent e di c a r t o o n : D o n a l d D u c k ( d i B a r k s ) e M i c k e y M o u s e ( d i D i s n ey) e a l tr i
d ecisa men te m eno c onos c iut i da noi. M a Di s n e y, n o n è m a i s t a t o f r a i s u o i f a v o r i t i : p a r a g o n a t o i n u n e pi so d i o tv
a Hitler e acc u s a t o d i a v e r s p a v e n t a t o a m o r t e g e n e r a z i o n i i n t e r e d i b a m b i n i i m p r e s s i o n a b i l i ( ! )
Insomma non i m p o r t a e s s e r e t r a i f e d e l i c h e n o n s i p e r d o n o u n a p u n t a t a o t r a g l i a c c u l t u r a t i c h e b i s t rattano un
intratteniment o d a c u l t u r a p o p o l a r e , a n d a t e c o m u n q u e a v e d e r e q u e s t o f i l m c o n u n s e c c h i e l l o d i p o p c o r n o magari
con uno zucch e r o s i s s i m o d o n u t r o s a : n o n v e n e p e n t i r e t e !
l a s e ra d e l l a p r i m a
VISIONI
Sicko (di Michael Moore - Usa, 2007)
La s aga di M i c h a e l M o o re c o n t i n u a . D o p o l ’ i n c u r s i o n e n e l m o n d o d el l a
dis oc c upaz i o n e i n R o g e r A n d M e , d o p o l a s c o r r e r i a n e g l i S t a t e s d alle
pis t ole f ac i l i d i B o w l i n g a t C o l u mb i n e , d o p o i l p a m p h l e t s c a c c i a - B ush
s par at o poc h i g i o r n i p r i m a d e l l e e l e z i o n i p r e s i d e n z i a l i d i F a h re n h e i t 9 /11 ,
ec c o il plur i p r e m i a t o M o o r e a v v e n t u r a r s i n e g l i i m p e r v i s c e n a r i d e l s i s t e m a
sanitario americano.
M a non è s o l o u n c i n e m a , q u e l l o c h e n e v i e n e f u o r i . I l f i l m , d e n u n ci a
dopo denun c i a , c o n s t a t a z i o n e d o p o c o n s t a t a z i o n e , d i v e n t a l a r a d i o gr a f ia im piet osa d e l d i s a s t r o s a n i t a r i o c h e h a s p e d i t o i l p a e s e p i ù p o t e nte
d e l p i a n e t a a l 3 7 ° p o s t o n e l l a c l a s s i f i c a m o n d i a l e c h e c e r t i f i c a l a q u a lità
d e l l ’ a s s i s t e n z a m e d i c a . M a , c o n t r a r i a m e n t e a q u e l l o c h e d o v r e b b e e s s ere
un r ef er t o, u n a r e l a z i o n e c l i n i c a , n o n v i è n u l l a d i a s e t t i c o e d i m p e r s o n a l e ,
i n q u e s t a r a d i o g r a f i a , p o i c h é t u t t o i l d o c u m e n t a r i o è f i l t r a t o d a l l o s g u a rdo
c inic o, m olt o i r o n i c o , d i M o o r e . M a n o n b a s t a . M o o r e n o n è s o l o i l r e g i sta
dell’oper az i o n e . M o o r e è a n c h e l ’ a t t o r e n u m e r o u n o d e l l a r a p p r e s e n t a zi o n e . È l ’ i n d i s p e n s a b i l e r a c c o r d o i n c a r n e e o s s a c h e p e r m e t t e d i c u c ire,
legar e ins ie m e , t u t t e l e s t o r i e e g l i s c e n a r i - d a l l o c a l e a l g l o b a l e : A m e r i c a, Canada , I n g h i l t e r r a , F r a n c i a , C u b a – c h e i l r a c c o n t o o s p i t a . P e r c hé ,
in f ondo, M o o r e n o n è s o l o i l f i l t r o a t t r a v e r s o c u i p a s s a i l n o s t r o s g u a r do.
Ma è a nche il se tac c io at t r av er s o c ui pas s a la no s t r a p e r c e z i o n e d e l l ’ a m e r i c a n o m e d i o . C o m e n e l l e s u e o p er e
preced en ti, Mich ae l M oor e, c on il c appellino r oss o , l a g i a c c a d i p e l l e , l e s n e a k e r a i p i e d i , è l ’ i d e n t i f i c a z i on e
dell’americano medi o .
Non è un dettaglio d a p o c o . A n z i , q u e s t o c i p e r m e t t e d i c o g l i e r e m e g l i o l e s u e i n t e n z i o n i . M o o r e s i t r a v e s t e da
Americano Medio pe r t r e r a g i o n i . P r i m a r a g i o n e : p e r p o t e n z i a r e i l s u o p u n t o d i v i s t a . U n a v o l t a t r a v e s t i t o , lo
sguar d o d i Moo re a ppar e s it uat o all’int er no del s i s t e m a , c o m e q u e l l o d i u n t e s t i m o n e . S e a v e s s e i n d o s s a to i
panni del Regista da O s c a r, i l s u o s g u a r d o s a r e b b e s t a t o p e r c e p i t o f u o r i d a l s i s t e m a , a l d i s o p r a d e l s i s t e m a : da
test imon e sa reb be p as s at o a giudic e. Sec onda r ag i o n e : p e r f a r s i a c c o g l i e r e d a l l a c o m u n i t à d i a m e r i c a n i m e d i i n guaiati dal sistema s a n i t a r i o s e n z a e r g e r s i a p a l a d i n o o s a n t o n e . Te r z a r a g i o n e : p e r p o r s i i m m e d i a t a m e n t e c o me
contrad dizion e, co m e una c ont r opar t e div er s a e di s t u r b a n t e , a n c h e s o l o a l i v e l l o f i s i c o - p e r i l t i p o d i c o r p o r a t ura,
per il mod o in cu i pa r la o v es t e - quando il doc um e n t a r i o l o p o r t a i n g i r o p e r i l m o n d o p e r s a g g i a r e a l t r i s i s t em i
sanitari.
C on l’atte nzion e cost ant e r iv olt a al c or po dei paz ie n t i , m a a n c h e a l c o r p o d e l r e g i s t a - a t t o r e , q u e s t o d o c u m e n t a r i o
ricorda gli stud i di M ic hel Fouc ault . Lui s t es s o av r e b b e p e n s a t o i l f i l m c o m e u n a b u o n a a n a l i s i d e l l a b i o p o l i ti ca
- cioè d el mod o in c ui il pot er e am m inis t r a e dis po n e d e l l a v i t a d e g l i u o m i n i . L a g e s t i o n e d e l c o r p o u m a n o n el l a
società americana, i l s u o i m p i e g o , i l s u o c o n t r o l l o , s e m b r a n o n l a s c i a r e s c a m p o a g l i i n c u b i d i u n n e o l i b e r i smo
applicato e pervasiv o c o m e m a i p r i m a .
Giuseppe Zucco
116 sentireascoltare
Antonello Comunale
sentireascoltare 117
l a s e ra d e l l a p r i m a
Soffio (di Kim Ki-duk – Corea del Sud, 2007)
Tu tto il mo nd o è paes e. Le s oc iet à indus t r i a l i z z a t e h a n n o t u t t e g l i s t e s s i
p rob lemi. La c oppia non c om unic a, m a po t r e m m o a g g i u n g e r e s e m p l i c e me nte il ce leb r e adagio: “ Non dr am m at iz z i a m o . È s o l o q u e s t i o n e d i c o rn a”. Kim Ki-d uk av v er t iv a l’im pellenz a di dov e r p r e s e n z i a r e p e r l ’ e n n e s i m a
volta al festiv a l d i C a n n e s e p e r e s s e r c i h a f a t t o i l c o n s u e t o f i l m i n t e m p i
re co rd. Soffio è s t at o ac c olt o c on gener os it à d a “ r a ff i n a t i ” e s t e t i d e l c i n e ma d’a uto re cont em por aneo c om e Kez ic h e M e r e g h e t t i e h a t r o v a t o u n a
ra pid issima v ia dis t r ibut iv a a s t agione app e n a i n i z i a t a . O r m a i p e r c e r t o
cinema corea n o i l m e r c a t o , e i n p a r t i c o l a r e i l n o s t r o m e r c a t o , è t u t t o i n
d iscesa. Po trem m o dir e c he t ut t o il c inem a o r i e n t a l e g o d e d i u n ’ a t t e n z i o n e ne l n ostro paes e alt is s im a ( Ang Lee c h e t r i o n f a a n c o r a a Ve n e z i a è
lo sco nfo rtan t e eff et t o di t ut t o ques t o) . Sa r à p u r v e r o c h e s i a m o s e m p r e
stati all’avang u a r d i a ( M i z o g u c h i c h e v i n c e p e r t r e v o l t e d i f i l a a Ve n e z i a è
un vanto da p o r t a r e a l l ’ o c c h i e l l o ) , m a m a i c o m e o r a s i c a d e v a a i p i e d i d i
qualsiasi cosa a b b i a g l i o c c h i a m a n d o r l a e s i a i n q u a d r a t a c o n u n c e r t o
g usto ra ffina to ps eudo c hic . I l f at t o c he il n u o v o K i m K i - d u k s i a s t a t o d i stribuito imme d i a t a m e n t e a s e t t e m b r e a p p e n a i n i z i a t o , c o m e M u n g i u ( c h e
p erò h a do vu t o v inc er e a Cannes , s ennò… ) , c o m e S h re c k e i S i mp s o n …
è u n de ttag lio non ir r ilev ant e. Negli anni p a s s a t i , p e r v e d e r e c o s e c o m e
Addr e ss Unk now n e L’ i sol a dov ev am o as p e t t a r e c h e E n r i c o G r e z z i c i f a c e s s e l a c o r t e s i a , a g e v o l a n d o ci l a vi si o n e via Fuo ri O r ar io, m a or a bas t a ent r ar e in u n a l i b r e r i a F e l t r i n e l l i p e r p o t e r s c o r g e r e v a g o n a t e d i Ti me e L’a r c o
in comode ed i z i o n i D V D . S e f o s s e i l K i m K i - d u k d i u n t e m p o s a r e b b e u n b e l s e g n a l e , m a p u r t r o p p o è l’ombra
d ell’a uto re ch e er a. O r m ai ha m es s o il pilo t a a u t o m a t i c o e S o ff i o è l a d i m o s t r a z i o n e l a m p a n t e c h e i su o i fi l m
sono teoremi f r e d d i e p i l o t a t i . C o m e p o t e r p r e n d e r e s e r i a m e n t e l ’ e n n e s i m a s t o r i a d i c o r n a e d i i n c o m unicabilità
tra co pp ie? Com e pot er s oppor t ar e s ilenz i s u s i l e n z i i l c u i u n i c o s c o p o è q u e l l o d i b e a r s i d e l l a p r o p r i a ap p a r e n te
p rofo nd ità? C om e f ar e a las c iar s i pr ender e d a m e t a f o r e l o g o r e e t e l e c o m a n d a t e ( l e s t a g i o n i , l e f o t o , l ’ i n ci si o n e
sul mu ro d ella c ella, il r appor t o om o- aff et ti v o t r a i d u e c o n d a n n a t i ) . N o n c ’ è v e r s o d i l a s c i a r s i p r e n d e r e d a u n
film che è più f r e d d o d e l g h i a c c o s i b e r i a n o e d i u n a t e c n i c a c o s ì g o ff a m e n t e a r t i s t i c a d a s e m b r a r e t e l evisiva (lo
spe cchio n ell’ angolo c he inquadr a i pr ot ago n i s t i d i r i f l e s s o d a l s a l o t t o è u n a c o s a d i u n i n f a n t i l e a l l u c in a n te …) .
Pe r Kim ci vo r r ebbe una paus a e un bel po ’ d i u m i l t à i n p i ù , e p e r i l p u b b l i c o i t a l i a n o u n a d i s i n t o s s i c azi o n e d a
tu tto q ue sto es ot is m o s uper f ic iale di plas t ic a .
Derek Bailey
L’ANARCHIA DEL GENTLEMEN LIBERTARIO
i c o s i d d e t t i c o n t e m p o ra n e i
a cura di Daniele Follero
di Daniele Follero
“Deve esserci un qualche grado non
solo di mancanza di familiarità, ma
proprio di incompatibilità con un
partner. Altrimenti, che improvvisi a
fare?” (Derek Bailey)
Non è possibile introdurre un pers o n a g g i o c o m e D e r e k B a i l e y, s e n za accennare al suo concetto di improvvisazione libera. E’ stato così
importante questo concetto per lui
e la sua musica, che sarebbe inconcepibile anche solo percepire il
suo modo di suonare, senza prima
sforzarsi di capire cosa intendesse
il chitarrista inglese per improvvisazione. Niente a che vedere con
le “variazioni sul tema” proprie del
jazz più convenzionale, né con la
combinazione estemporanea di archetipi stilistici. Per Bailey il concetto di improvvisazione coincide
con quello di anarchia e supera
qualsiasi limitazione all’espressione libera e incondizionata. Improvvisare vuol dire, in questo senso,
essere totalmente padroni delle
proprie volontà, senza interessarsi
minimamente alla convenzione. Ma
nessuno meglio di lui stesso (caso
più unico che raro in ambito artistico) è riuscito a dare una definizion e d e l l a s u a m u s i c a e d e l l a d i ff e renza tra quella che normalmente
viene definita improvvisazione e
ciò che lui intendeva per “freely
improvised music”:
“La prin cip ale d iffere nz a t r a la m usica liberamente im p r o v v i s a t a ” e
ciò che normalmente v i e n e d e f i n i t a
impro vvisa zio ne su pat t er n r it m ic omelodici “è che q ue s t ’ult im a è idiomatica laddove l’im p r o v v i s a z i o n e
libera no n lo è p er n ient e. [ Le m usiche improvvisate] s o n o c o s t i t u i t e
da un idio ma, no n dall’im pr ov v is azione stessa e si fo r m a n o c o m e i
118 sentireascoltare
dialetti nei confronti di una lingua.
Sono il pr o d o t t o d i l o c a l i s m i c h e
possiedono le caratteristiche di una
det er m inat a s o c i e t à . L’ i m p r o v v i s a z ione es is t e n e l l a m u s i c a d i q u e s t e s oc iet à ( e q u i c i s i r i f e r i s c e a l
jaz z c las s ic o q u a n t o a l l e m u s i c h e
et nic he) n e l l a m i s u r a i n c u i s e r v e
a d a ff e r m ar e u n ’ i d e n t i t à c e n t r a l e ,
che rifletta una particolare regione
ed una par t i c o l a r e p o p o l a z i o n e . E
l’im pr ov v is a z i o n e d i v e n t a u n o s t r u mento (foss’anche lo strumento più
im por t ant e) . L e r a d i c i d e l l ’ i m p r o v visazione libera, invece, stanno
nell’oc c as io n e p i ù c h e n e l l u o g o .
For s e l’im p r o v v i s a z i o n e , q u i , p r e n de il posto dell’idioma. In pratica,
in un’improvvisazione di questo
tipo, una miriade infinita di stili può
mescolarsi, ma senza dare vita a
un idiom a, b e n s ì a d u n ’ i d i o s i n c r a sia, cioè un incrocio estemporaneo
e assolutamente imprevedibile di
linguaggi m u s i c a l i ” .
Forse è proprio questa la ragione
p r i n c i p a l e d e l l a d i ff i c o l t à c o n l a
quale, nella maggior parte dei casi,
la musica di Bailey è giudicata
estremamente ostica ad un ascolto
che potremmo definire convenzionale, cioè legato a parametri condivisi dalla maggioranza. Nessuna
struttura formale, nessuna gerarchia timbrica, melodica e armonica
a l l a b a s e . Tu t t o , m a p r o p r i o t u t t o ,
regolato unicamente dalla libertà
espressiva di chi interagisce nel
processo improvvisativo. Anche
per questo Bailey è stato definito
il John Cage della chitarra (in maniera un po’ troppo semplicistica,
a d i r e l a v e r i t à , c h é l e d i ff e r e n z e
tra i due sono tantissime, ma non è
questo il luogo per metterle in evidenza).
Dal jazz alla liberazione
totale della musica “non
idiomatica”
Eppure la carriera di musicista di
Derek Bailey, inglese di Sheffield,
classe 1930, è cominciata con
tutt’altre premesse. Formatosi alla
corte di chitarristi classici e di jazzisti, tra cui spicca la figura di John
Duarte, gli esordi professionali del
giovane Derek sono legati al lavoro
di turnista nei più svariati contesti:
sale da ballo, radio e tv, prevalentemente. Il suo primo trio, insieme a
Tony Oxley e Gavin Bryars, fondato nel 1963, si muove ancora in un
contesto jazzistico “classico”, anche se lascerà presto queste sicure
sponde, per intraprendere il cammino della “liberazione”.
Nel 1966, Bailey, allora trentaseienne, decide di trasferirsi a Londra,
dove trova un ambiente piuttosto
consono alle sue ancora embrionali idee sull’improvvisazione. Nella
capitale, infatti, il chitarrista comincia un periodo fruttuosissimo di
collaborazioni e prende parte a diversi ensemble dediti al verbo della libertà improvvisativa, tra i quali
vale la pena di ricordare, almeno: lo
Spontaneous Music Ensemble, cui
presero parte anche Evan Parker, il
contrabbassista Dave Holland e il
trombettista Kenny Wheeler; la Music Improvisation Company (con
Parker, Jamie Muir e Hugh Davies)
la Jazz Composers’ Orchestra e
gli Iskra 1903, un trio con il contrabbassista Barry Guy e il trombonista Paul Rutherford.
Ma la sua formazione è legata anche
alla musica “colta” europea, che influenzerà i suoi primi lavori solisti.
In particolare, la fascinazione per la
musica di Anton Weber è evidente
Quando l’arte si confonde
con la vita. Fino alla
morte
Qu est’attitu di ne liber t ar ia, t eor iz zata ne l 19 80 c on il libr o I m pr ovi s ation: It’s Nat ur e And Pr act i ce,
i c o s i d d e t t i c o n t e m p o ra n e i
in quella ricerca di parcellizzazione
della composizione in momenti (attimi) separati e indipendenti tra loro,
in cui il silenzio è parte integrante
del suono. E’ questo l’approccio che
contraddistingue le sue prime registrazioni (riedite successivamente
da Tzadik con il titolo di Pieces For
Guitar) e i due album solisti Solo
Guitar Voll. 1 e 2 (rispettivamente
del 1971 e dell’anno successivo).
Due dischi , questi ultimi, che figurano tra le prime uscite per la Incus,
etichetta da lui fondata a Londra nel
1970 insieme a Tony Oxley, Evan
Parker e Michael Waters e che dalla sua fondazione e fino alla morte
di Bailey rappresenterà, oltre alla
sua principale occupazione, anche
il punto di riferimento di una generazione di improvvisatori i cui soli
nomi possono dare l’idea della portata di un movimento che ha condizionato e continua a condizionare
l’avanguardia musicale. Tutti musicisti che nel 1976 confluiranno nella
Company, una vera e propria congregazione di improvvisatori: Antony Braxton, Tristan Honsinger, Misha Mengelberg, Lol Coxhill, Fred
Firth, Steve Beresford, Steve Lacy,
Johnny Dyani, Leo Smith, Han Bennink, Eugene Chadbourne, Henry
Kaiser, John Zorn (ma la lista potrebbe essere molto più lunga). Personaggi legati in maniera diversa al
mondo dell’improvvisazione, molti
dei quali cresciuti, non a caso, con
il jazz, emblema occidentale dell’arte di improvvisare.
Per Bailey, ogni incontro di musicisti, anche tra realtà molto diverse
tra loro (anzi, soprattutto tra queste), genera potenzialmente sempre
qualcosa di interessante, se è liberato dalle strette maglie degli schemi
preordinati. Il momento dell’improvvisazione, il vero qui-ed-ora della
musica, se non è strumento di una
struttura, può dire cose veramente
nuove, il non-detto, il cui fascino è
anche dovuto al fatto che non si ripeteranno mai più come prima.
ha spinto il chitarrista inglese ad
apr ir e l a p o r t a a c h i u n q u e , d a n d o
v it a a d u n a s p e r i m e n t a z i o n e i n c e s s ant e , c h e l o h a p o r t a t o a c o n f r o n tarsi con mondi diversi, a volte agli
ant ip o d i c o n i l s u o c o n c e t t o d i m u s ic a e c h e h a d a t o v i t a a d u n a d i s c o g r a f i a d i ff i c i l m e n t e c a t a l o g a b i l e :
dal sa x d i A n t h o n y B r a x t o n ( i l D u o
pubblicato nel 1974 dalla Emanem
r im an e u n a p i e t r a m i l i a r e n e l l a c a r riera di entrambi) a quello di John
Zor n; d a l s u o d i r e t t o d i s c e n d e n t e
Fr ed F r i t h a l l a b a n d n o i s e g i a p p o nes e R u i n s ( To h j i n b o , P a r a t a c t i l e ,
1 9 9 7 ) f i n o a l l e r a ff i n a t e “ c a n z o n i ”
di Da v i d S y l v i a n , r a c c o l t e i n q u e l
Bl em i s h ( S a m a d h i s o u n d , 2 0 0 3 , a
c ui h a p a r t e c i p a t o a n c h e F e n n e s z )
c he h a f a t t o c o n o s c e r e l a s u a c h i t ar r a ( i n m o l t i c a s i , p e r l a p r i m a v o l ta) ad un pubblico di profani della
s ua m u s i c a .
Questa frenetica ricerca del nuovo
si rifletteva benissimo anche nel
suo stile, assolutamente estraneo
a qualsiasi riferimento possibile.
Bailey è stato il primo ad esplorare le possibilità timbriche non convenzionali della chitarra, sfregandola, grattandola, percuotendola,
e in questo rappresenta il padre
di una lunga serie di discepoli, diretti e indiretti, che vanno da Fred
Frith a Bernard Falaise dei canadesi Foodsoon. Ma la sua maniera
di suonare non si limitava ad intervenire sul timbro, bensì provava a
stravolgere anche gli altri parametri
musicali, attraverso l’uso del ritmo
libero, di distanze intervallari ampissime ottenute con l’uso alternato
di armonici e di corde pizzicate in
maniera tradizionale, e di feedback
(se si trattava di strumenti elettrici).
Il tutto, manco a dirlo, costruito su
un tessuto melodico-armonico atonale, che si butta alle spalle circa
nove secoli di teorie sulle relazioni
verticali e orizzontali tra le note, lasciando il campo libero da qualsiasi
costrizione. Qualsiasi.
Anche quando la costrizione diventa
fisica, Bailey cercherà di eluderla. Il
rifiuto di farsi operare alla sindrome
del tunnel carpale (neuropatia dovuta all’irritazione del nervo mediano e preludio della sclerosi laterale
amiotrofica che lo avrebbe ucciso
in poco tempo), che gli impediva di
impugnare il plettro, per apprendere una nuova tecnica che si potesse adattare alla limitazione fisica, è
indicativo di quanto la sua voglia di
sperimentare con la musica fosse in
realtà un atteggiamento esistenziale. Carpal Tunnel (Tzadik, 2005),
oltre ad essere l’ultimo album registrato in vita da Bailey (in questi due
anni sono già stati pubblicati alcuni
album postumi, tra cui il più recente
è Standards (uscito per la Tzadik,
nella sezione Backyard), è anche la
testimonianza diretta di quella sua
lotta contro il male. Una lotta impossibile da vincere. Ma forse era
proprio questa sfida all’impossibile
che lo aveva sempre affascinato.
sentireascoltare 119
120 sentireascoltare