La Rassegna d`Ischia 3/2009

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La Rassegna d`Ischia 3/2009
Anno XXX
N. 3
Maggio/Giugno 2009
Euro 2,00
Alla ricerca di tracce
Pittori tedeschi a Sant’Angelo e a Forio
Meristema
Le isole del Golfo di Napoli (1700)
Rassegna Libri
Evoluzione e biodiversità
- --
Rassegna Mostre
Ferrante d’Avalos e Vittoria Colonna
in “Les Dames galantes” di P. Brantôme
Lacco Ameno - La struttura urbana e il paesaggio
Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Dir. responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Anno XXX- N. 3 Maggio/Giugno 2009 - Euro 2,00
Periodico di ricerche e di temi turistici,
culturali, politici e sportivi
Editore e direttore responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Via IV novembre 25 - 80076 Lacco Ameno (NA)
Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.2.1980
Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione
con n. 8661.
Stampa Tipolito Epomeo - Forio
Sommario
2
Colombia - Voci nascoste (Forio)
3
Lacco Ameno.
La struttura urbana e il paesaggio
5
Meristema
Expo internazionale di piante succulente rare
8
10
Il dibattito religioso
tra evoluzionismo e creazionismo
13
Descrizione del seno cratero... (1700)
L'isole di Ischia, Capri, Procida, Nisida
19
Dossier / Alla ricerca di tracce
Pittori tedeschi a Sant'Angelo e a Forio
Dal paradiso perduto alla scoperta dei paradisi
42 Rassegna Mostre
Vincenzo Gemito (Napoli)
Alighiero Boetti (Napoli)
47 Rassegna Cinema
Villa Amalia
Water
50 Rassegna Libri
Villa Arbusto e il suo parco
Camorra e camorristi
Lucio Battisti. Emozioni ischitane
La camorra. Usi, costumi, riti......
Sogni e bisogni
56
Ferrante d'Avalos e Vittoria Colonna
in "Les Dames galantes" di P. Brantôme
58
Ischia Global Film & Global Fest
Ischia eventi 2009
Forio – Giardini Ravino
(5-25 maggio 2009)
Colombia – Voci nascoste
Mostra fotografica di Francesco Zizola *
La situazione umanitaria in Colombia rimane drammatica:
tre milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case a
causa del conflitto. Molti hanno trovato rifugio nei quartieri
poveri ai margini delle grandi città, cercando l’anonimato tra
le masse. La Colombia è il terzo paese su scala mondiale per
un numero di sfollati interni subito dopo il Sudan e la Repubblica Democratica del Congo. Il 75% degli sfollati è composto
da donne e bambine.
La Colombia è inoltre il quarto paese
al mondo per numero di mine antiuomo disseminate sul suo
territorio.
Medici Senza Frontiere opera in Colombia dal 1985 per
portare cure mediche di base alla popolazione nelle zone
colpite dal conflitto o da epidemie e catastrofi naturali, e oggi
lavora nei dipartimenti di Arauca, Buenaventura, Tolima,
Narino, Caquetà, Cauca, Putumayo, Chocò, Ationquia, Sucre,
Norte de Santander, Bolivar e Cordona.
Nelle zone rurali
MSF lavora soprattutto attraverso il sistema delle brigadas,
équipe multidisciplinari composte da personale colombiano e
internazionale che si recano direttamente nelle aree più remote
dove la popolazione civile vive intrappolata nel conflitto. Le
conseguenze sono devastanti: spostamenti forzati, violazioni
dei diritti umani ma anche mancato accesso alle cure, traumi
psicologici, interruzione nei servizi di base come acqua o
elettricità. MSF cerca di garantire una presenza umanitaria
in prossimità alle comunità più colpite dal conflitto armato.
I servizi offerti da MSF sono totalmente gratuiti e comprendono cure mediche di base, appoggio psicologico, campagne di vaccinazione, programmi di salute sessuale e riproduttiva e
di potabilizzazione delle acque.
MSF lavora inoltre in alcune
zone urbane dove si registrano le concentrazioni maggiori di
popolazione desplazada (sfollata) o di persone in situazioni
vulnerabili. In entrambi i casi si tratta di esclusi dal sistema di
salute pubblica ai quali MSF intende così garantire un accesso
alle cure.
* La mostra è stata premiata con il Premio del World Press Photo nella categoria “People in the News” e nasce dalla volontà di Medici Senza Frontiere
e del fotografo Francesco Zizola di testimoniare la situazione drammatica
della popolazione colombiana.
Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista - La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti,
fotografie e disegni (anche se non pubblicati), libri e giornali non
si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le
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Lacco Ameno
La struttura urbana e il paesaggio *
di Dario Vista
La tesi che “voglio” sostenere è che
una struttura urbana, senza una regia,
o meglio senza la regia di un architetto
sensibile è una occasione sprecata, una
opportunità persa con tutta una serie di
implicazioni ad essa collegate. “Voglio”
invece che “vorrei”, per stigmatizzare la
radice di una scelta, quella di studiare
architettura per la presunzione di voler
partecipare ad un processo di presa di coscienza che restituisca all’organizzazione ed all’aspetto dei luoghi e delle cose
in essi contenute un ruolo vincolante per
lo sviluppo della collettività. Nella tribù,
l’architetto svolge un ruolo di servizio
per la comunità… ne parla Renzo Piano
nel suo Giornale di Bordo.
Perché Lacco Ameno? Lacco Ameno
rappresenta il primo insediamento greco
dell’Isola d’Ischia e, probabilmente, della costa campana; l’origine di un processo di civilizzazione e, implicitamente,
di urbanizzazione. In esso si disegna
un percorso che vede degli avventurieri
o dei colonizzatori, la sostanza non
cambia, che si insediano per sfruttare le
potenzialità di un luogo; selezionano il
luogo dell’approdo in base alla propria
cultura e a una specifica progettualità, ne
alimentano lo sviluppo e ne raccolgono
i frutti,
L’abbandonano, quando “altro”
diventa più appetibile, sancendone il
declino. Il declino è inevitabile senza
una progettualità. L’emergenza e la
casualità legate a eventi straordinari
potenziano ulteriormente il declino fino
a quando un nuovo progetto, Le Terme
e un Grande Magnifico Albergo, non
aprono un nuovo spiraglio, poi ancora
ombre ed una architettura-non architettura, fino al tentativo di riqualificare i
luoghi partendo da Villa Arbusto.
* Corso di Laurea in Architettura. Tesi
di Dario Vista in Storia della città e del
paesaggio, lettura morfologica. Relatore
prof. arch. Leonardo Di Mauro, correlatore prof. arch. Carmine Piscopo. Le
tavole illustrative sono esposte a Villa
Arbusto.
Genius loci – Spirito del luogo
Concezione romana in cui ogni essere ha il suo “genius”, spirito guardiano che dà vita ai popoli e
ai luoghi. Denota così che una cosa esiste o che essa vuole esistere (Louis Kahn). Il Genius loci è
una realtà viva, è il fattore determinante di una cultura. Scopo dell’edificare “architettura” è quello
di trasformare un sito in un luogo, cioè di scoprire i significati presenti nell’ambiente. Ma l’abitare
è la complessità delle relazioni dello spazio umano: per capirlo si distingue in carattere-spazio.
Queste due funzioni psicologiche dell’abitare diventano orientamento-identificazione: l’uomo deve
orientarsi, conoscere dove è ed identificarsi con l’ambiente, cioè conoscere il luogo. Abitare presuppone identificarsi con l’ambiente: è la base del senso di appartenenza dell'uomo ad un luogo.
Identità dell’uomo presuppone identità del luogo. Orientarsi-identificarsi sono aspetti di una relazione complessiva ed hanno un certo grado di indipendenza entro la totalità. Abitare significa: Stare
in pace in un luogo protetto – Attraverso l’abitare l’uomo conosce ciò che gli diventa accessibile
– Maniera in cui gli esseri sono sulla terra – Radunare il mondo in una costruzione concreta. L’uomo abita quando ha la capacità di concretizzare il mondo in edifici e cose. L’architettura ha come
scopo aiutare l’uomo ad abitare. Questo significa concretizzare il Genius loci (momento essenziale
dell’architettura è comprendere la “vocazione” del luogo; appartenere ad un luogo significa avere
un punto di appoggio esistenziale, in senso concreto, quotidiano (Christian Norberg Schulz, Genius
loci, Electa, Milano, 1979).
«[…] Per quanto attualmente la città moderna non riconosca più il significato tradizionale della
funzione di incontro, molti cominciano a rendersi conto che una città senza spazi ben definiti non
offre alcun genere di promessa. […] L’identità umana presuppone l’identità del luogo ed è quindi
fondamentale che lo spirito del luogo sia compreso e conservato. Lo spazio urbano visualizza un
mondo sia generale che locale e aiuta perciò gli edifici dell’abitare pubblico e privato a radicarsi
in un dato ambiente. Potremmo anche dire che esso predispone all’adempimento dell’abitare nelle
istituzioni e nelle dimore». (Christian Norberg Schulz, Genius loci, Electa, Milano, 1979).
La tesi è che il progetto urbano, con
l’architettura dei luoghi, funga da incubatore per la collettività che lo vive.
Influenzandone comportamenti, stili di
vita, prospettive ed aspirazioni. Il lavoro,
articolato da un’analisi storiografica e
morfologica del territorio e da un’analisi
dettagliata di progetti realizzati, si apre
con un capitolo dedicato al concetto di
luogo, alla costante ricerca di un difficile
equilibrio tra riflessione teorica e pratica,
tra tradizione e modernità. La tesi analizza il territorio a partire dalle sue origini,
come primo insediamento databile alla
prima metà dell'VIII secolo a.C., e riguarda una colonia di greci euboici che
pose le radici sulle estreme propaggini
del territorio di Lacco Ameno.
La seconda parte del lavoro si articola
in un’analisi degli elementi di formazione e trasformazione del territorio analizzando gli edifici di maggiore interesse
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Lacco Ameno è caratterizzato da uno scoglio chiamato “Fungo”, per la sua forma singolare, situato a breve distanza dalla riva. È un enorme
masso di tufo verde alto dieci metri, precipitato dal Monte Epomeo. Scolpito dall’acqua e dal vento in quella particolarissima forma che ne
ha fatto il simbolo del Comune e che si trova all’inizio del porticciolo della Marina di Lacco.
storico e attrattivo. Essi lo sono per più di una ragione: in
primo luogo sono edifici progettati per svolgere una funzione
pubblica e, dunque, strettamente legati allo sviluppo della
società ischitana; in secondo luogo le date di realizzazione,
coprendo l’intero arco temporale durante il quale fiorì, si consolidò la popolazione indigena, esprimendone pienamente le
tensioni morali ed estetiche; infine ciascuna di esse può considerarsi come un messaggio trasmesso dall’autore attraverso
l’opera architettonica che egli stesso considera come mezzo
storiografico. In questa evoluzione si evidenzia la ricerca di
un nuovo linguaggio architettonico in cui memoria storica
del passato, attenzione consapevole al presente e sguardo
rivolto al futuro sono i cardini di una riflessione coraggiosa
e leale volta a realizzare un’architettura “moderna ed identificabile ”. Le opere presentate sono analizzate in dettaglio,
sia avvalendosi di indagini storiografiche attraverso la ricerca
delle fonti documentali e bibliografiche, sia con sopralluoghi
e visite in sito per ciascuna di esse e con l’acquisizione diretta
dei rilievi fotografici e della cartografia storica.
La terza e quarta tavola analizzano il territorio di Lacco
Ameno, come sistema delle parti e le loro relazioni contestuali, evidenziando i caratteri morfologici della Marina di
Lacco che si configura come una linea quasi continua di case
a schiera dalla punta di Piazza S. Girardi a Piazza S. Restituta; fino ad analizzare uno dei rioni, Ortola-Genala, nello
stato dei luoghi, nelle analisi delle altezze, delle coperture
ed in una sintesi degli interventi, differenziando, invece, per
ciascun rione i nuclei di primo impianto dai nuclei di comple4 La Rassegna d’Ischia 3/2009
tamento. Il lavoro di tesi si conclude con una lettura attenta
dell’identità di Lacco Ameno, associata con l’immagine del
Fungo, da sempre iconografia del territorio. I fotogrammi
dimostrano come in questa terra si fossero custoditi, fino alla
metà del secolo scorso, sia i numerosi contrassegni di quella
natura vulcanica ereditata da fenomeni di tettonica profonda,
sia la visione dell’aspetto insediativo, cresciuto in maniera discreta, proporzionata ai bisogni e dislocata in siti appropriati
con ruoli specifici e distinti. Il tutto in perfetta sintonia con
la visione che il filosofo irlandese George Berkeley aveva
di Ischia e che enunciava nelle sue riflessioni nel 1717.
Ilia Delizia scrive nel suo Ischia: l’identità negata: «Nella
bellezza di una natura incontaminata, indenne dai malefici
altrove indotti da un incipiente industrialesimo, Ischia incarna pienamente l’idea estetica del Berkeley, sulle cui trame
si riammaglia la sua utopia sociale e filosofica, il sogno e il
progetto di uno stato di comunità perfetta». Successivamente, lo sviluppo spesso incontrollato del territorio isolano,
dovuto alla crescita naturale del luogo, accompagnata
da un’incapacità di tutelare gli elementi identitari del
comune, ha reso Lacco Ameno sempre meno icona nel
panorama dell’iconografia classica: cartoline,immagini
non sono più rappresentate dal Fungo ma dagli aspetti
rilevanti della forma urbana, frutto dello sviluppo urbanistico a discapito del paesaggio, confondendolo fino
a nasconderlo tra l’attività devastatrice dell’uomo.
Dario Vista
Meristema - Mostra / Convegno
Expo internazionale di piante succulente rare
Evoluzione e Biodiversità
A Forio, dal 24 al 26 aprile 2009, si è svolta la seconda
edizione di Meristema, una manifestazione articolata in
una mostra-mercato di piante succulente rare e in convegni su aspetti culturali riguardanti la natura, nonché
nel congresso annuale dell’ Associazione Internazionale “Cactus & Co.”
Luogo d’incontro i Giardini Ravino, un parco nato dalla
quarantennale collezione di piante succulente del capitano
Giuseppe D’Ambra, per un evento volto a valorizzare il
tema della biodiversità, argomento di grande attualità e
di promettente sviluppo per il futuro, nonché soggetto
consono all’ambientazione di un giardino botanico che,
per definizione, si qualifica come “arca” della biodiversità.
Alle piante in esposizione permanente presso i Giardini
Ravino, si sono affiancate le rarità portate per l’occasione
da vivaisti e collezionisti privati,
Tra gli espositori, è stato presente Giuseppe Mecella,
proprietario di una spettacolare collezione, nonché presidente dell’Associazione Amacactus. Come vivaisti:
Bracchitta, Longo, Scarascia, Villani, Agrosi, Uhlig.
Vincenti, tra i più qualificati del settore delle piante succulente; e Roberto Telli, uno dei pochissimi coltivatori
di Tillandsie, piante epifite che allignano sugli alberi, in
assenza di terreno e che sembrano vivere di sola aria.
Al vivaio Oasi di Giovanni Longo e Giovanni Bracchitta (Giarratana, Sirausa) è stato assegnato il Premio
Ravino per la pianta succulenta rara di maggiore interesse
botanico, selezionata da una giuria di qualità composta da
(Da sinistra) Andrea Caltabriga, Roberto Vincenti (vincitore del
premio popolare), Anissa Becerra (giornalista di Gardenia), Marco Castagna, Giovanni Bracchitta (primo premio Ravino), Giovanni Longo (secondo premio Ravino), Flavio Agrosi (terzo premio Ravino), Giuseppe D'Ambra (proprietario Giardini Ravino)
Anissia Becerra, giornalista di Gardenia, il più importante
mensile italiano di giardinaggio, da Andrea Caltabriga,
presidente dell’ABC Network, un’associazione particolarmente attenta alla salvaguardia della biodiversità e
alla tutela delle specie minacciate, e da Marco Castagna,
l’anima verde del Parco Idrotermale del Negombo, annoverato tra i Grandi Giardini d’Italia. Inoltre un Premio di
Gradimento Popolare per la pianta più votata dal pubblico
dei visitatori dei Giardini Ravino è stato conferito al vivaio
Rosa del deserto di Roberto Vincent.
In contemporanea alla mostra, si sono svolti i convegni, ispirati, quest’anno, al bicentenario della nascita del
grande naturalista inglese Charles Darwin che, in un certo
senso, può considerarsi lo scopritore della biodiversità in
natura. Inoltre il 2009 è anche il 150° anniversario della
pubblicazione dell’opera capitale di Darwin, L’origine
delle specie, un libro che ha originato un incessante dibattito, non solo scientifico, ma anche religioso, filosofico,
sociologico, politico. Dibattito cui Meristema ha cercato
di dar voce con la collaborazione di eminenti studiosi.
Ha introdotto i lavori la responsabile delle attività
culturali dei Giardini Ravino, Elettra Carletti.
Il primo dei convegni, intitolato Darwin e la scoperta
della biodiversità, si è tenuto il pomeriggio di venerdì 25
aprile. La prof. Barbara Continenza, docente di Storia del
pensiero scientifico presso la facoltà di Lettere e filosofia
dell’Università “Tor Vergata” di Roma, ha parlato de
L’evoluzione biologica secondo Charles Darwin.
Ha fatto seguito il prof. Pietro Greco, un ischitano direttore del Master in Comunicazione scientifica presso la
Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, il quale ha dato al suo intervento il suggestivo titolo
di Crocifiggere Darwin?, alludendo a tutte le polemiche
suscitate dal pensiero del grande naturalista inglese.
- […] Nel 1919 il «New York Times» saluta in prima pagina
il successo della relatività generale di Albert Einstein. Una
teoria, scrive il giornale, che pochi comprendono ma che
scalza Isaac Newton dalla vetta della fisica.
La scienza acquisisce un ruolo privilegiato e sembra risolvere i problemi quotidiani della gente. E agli scienziati la
società comincia a riservare una posizione privilegiata nel
suo seno.
Gli interessi culturali e persino economici intorno alla
scienza diventano forti. Gli scienziati rivendicano piena
libertà di ricerca e totale autonomia culturale: “the flight
of reason”.Ma esplode il conflitto in modo virulento proprio
La Rassegna d’Ischia 3/2009 5
intorno alla teoria darwiniana. Alcuni gruppi evangelici iniziano a sostenere che Darwin, come aveva predicato Charles
Hodge, muove un attacco mortale alla «dottrina del Disegno»
e al modello protestante.
La teoria di Darwin, sostengono alcuni gruppi evangelici,
non può essere una teoria scientifica, perché è in contrasto
con la verità scientifica, rivelata dalle Scritture. La dottrina
di Darwin è immorale. L’idea di evoluzione è stata vomitata
da Satana per erodere le fondamenta morali della società e, in
quanto figlia del diavolo, deve essere bandita dalle scuole.
Crocifiggete Darwin
Nascono movimenti organizzati per raggiungere questo
obiettivo, come la «Anti-Evolution League» del fervente
battista T. T. Martin. Il conflitto raggiunge l’apice nel 1925,
quando John Thomas Scopes viene trascinato davanti al
tribunale di Dayton, Tennessee, per aver insegnato in classe
la teoria dell’evoluzione di Darwin.
Austin Peay, governatore del piccolo stato americano,
spiega orgoglioso che egli fa sua la sacrosanta protesta contro
l’«irrazionale tendenza a esaltare la cosiddetta scienza e a
negare la verità della Bibbia che si verifica in molte scuole».
La verità è che una crisi di fiducia attraversa l’America
degli anni ’20. Questa crisi assume anche connotati morali.
Nel pieno di un’imponente industrializzazione e trasformazione della società, con il conseguente cambiamento di valori, in
molti ambienti, soprattutto della Mid-America, si percepisce
una crisi morale, cui bisogna opporsi.
E così alcuni movimenti protestanti si fanno portavoce di
un nuovo fondamentalismo, che ravvede ora nella scienza la
causa o una delle importanti concause delle proprie incertezze e del disintegrarsi dei fondamenti morali dell’antica
società.
Al pensiero evoluzionista vengono attribuiti tutti i mali: dal
militarismo tedesco al comunismo sovietico, dall’ateismo al
femminismo. La nascita di questo fondamentalismo produce
la teoria creazionista e il tentativo di contrapporre una interpretazione letterale della Bibbia alla teoria di Darwin.
Il conflitto tra creazionismo ed evoluzionismo esplode,
dunque, con violenza inusitata. Ma non ha un vero vincitore.
Nelle università americane, certo, il darwinismo resta l’unica
teoria scientifica. I ricercatori sono (quasi) tutti darwiniani.
O meglio, l’approccio naturalistico resta l’unico approccio ai
6 La Rassegna d’Ischia 3/2009
fatti biologi. Perché il darwinismo si afferma solo intorno agli
anni ’30, come “teoria sintetica” o neodarwinismo (accordo
tra genetica ed evoluzionismo). Ma nelle scuole americane,
magari solo per quieto vivere, quasi sempre si decide di non
insegnare né il creazionismo né l’evoluzionismo. È come se
la società americana, fuori dalle università, avesse scelto di
non scegliere. Di porre sul medesimo piano sia l’ipotesi creazionista che la teoria evoluzionista. Si tratta di un risultato
che, certo, non premia la deriva fondamentalista dell’antico
modello protestante. Ma che non premia neppure il modello
secolare e laico della scienza. […] Il prof. Davide Tarizzo, ricercatore dell’Università di
Salerno e profondo studioso di biopolitica, ha trattato
infine di Come Darwin ha cambiato la filosofia.
Nella giornata di sabato 25, i giardini, come luoghi
custodi della biodiversità, e le piante, come esponenti
della biodiversità stessa, sono ritornati a essere al centro
dell’attenzione, con la conferenza del prof. architetto
Filippo Lapadula, docente di Storia del paesaggio e del
giardino presso l’Università “La Sapienza” di Roma,
intitolata Dal paradiso perduto alla scoperta dei paradisi: il giardino nel secolo delle scoperte scientifiche.
Si è svolto successivamente il XIV Congresso della
Cactus & Co., una delle più prestigiose associazioni
internazionali di amanti e collezionisti di piante succulente. Hanno tenuto le loro relazioni gli studiosi: Laura
Guglielmone, curatrice dell’Erbario dell’Orto botanico
di Torino, che ha trattato dei Pelargoni succulenti e geofiti del Sudafrica; Massimo Meregalli, ricercatore presso
il Dipartimento di Biologia animale dell’Università di
Torino, autore della relazione Alla ricerca di cactacee
tra Argentina e Uruguay.
Domenica 26 il tema della biodiversità è stato sviluppato sotto l’aspetto prevalentemente locale, attraverso
gli interventi del prof. Paolo Guidetti, ricercatore presso
l’Istituto Superiore Universitario di Formazione Interdisciplinare dell’Università del Salento, che ha parlato
de Il Mediterraneo, punto caldo della biodiversità,
e del prof. Giuseppe Sollino, minuzioso conoscitore
della flora isolana, che ha illustrato l’Evoluzione degli
ecosistemi dell’isola d’Ischia: dalla
colata lavica alla pineta, dal vigneto
al parco botanico.
- L’Idroaromaterapia - Curarsi con
l’acqua e con il profumo delle piante è
senza dubbio la terapia più dolce e rassicurante che l’uomo possa immaginare.
Ad Ischia non si viene solo per le cure
termali: l’isola offre opportunità di rara
bellezza tra verdi sentieri che si snodano
tra vigneti e pinete dalle coste fino al
Monte Epomeo (789 slm.)
Oggi le conoscenze scientifiche permettono di definire in maniera rigorosa
le potenzialità terapeutiche delle acque
e delle piante dell’isola. Terapie dolci e
complete, dove Acqua,Terra, Fuoco ed
Aria si fondono in mosaico di benessere
e vitalità.
L’Idroterapia affonda le sue radici
nella storia dell’isola d’Ischia. Le sue
acque minerali sono da sempre sinonimo
di salute e di bellezza. D’altra parte studi
moderni del XXI secolo dell’Idrologia
medica confermano e puntualizzano l’importanza delle cure idropiniche e termali
in aree ecologicamente adeguate in cui
i valori ambientali determinano spesso
quel recupero psicosomatico adeguato
ai ritmi vertiginosi della vita moderna.
La ricchezza e le qualità botaniche
della vegetazione di Ischia costituiscono
di per sé una fonte di Benessere. Diverse
piante della Macchia Mediterranea che
qualificano la Natura dell’Isola Verde
possiedono importanti virtù terapeutiche che possono essere esaltate dopo
un bagno nelle acque termali, mediante
l’assunzione delle sostanze liberate dalle
piante aromatiche.
Il Mirto, l’Alloro, il Lentisco, la
Lavanda, il Corbezzolo offrono, infatti,
se sfiorati e respirati, un contributo di
salute, oltre che di naturale armonia.
L’Aromaterapia è un metodo curativo
che si avvale di oli altamente concentrati
presenti nelle piante.Questi estratti aromatici chiamati essenze o oli essenziali
sono,infatti,ricavati da piccole ghiandole situate nei petali,nelle foglie,negli
steli,nella corteccia o addirittura nel
elgno di numerose piante ed alberi.
In natura il loro profumo si libera
lentamente, mentre quando vengono
schiacciate o riscaldate, è come se esplodessero, liberando tutta la loro potenziale
fragranza.
Francobollo emesso dalle Poste Italiane
per ricordare Charles Darwin
Nel pomeriggio, a chiusura della
manifestazione, è ripresa la celebrazione di Darwin, con un convegno
dal titolo Creazionismo e Darwinismo: un confronto socio-culturale e
religioso, organizzato col contributo
del M.E.I.C. (Movimento Ecclesiale
d’Impegno Culturale), grazie alla
Presidente della sezione locale, la
Signora Rosanna Cervera Di Iorio.
Il sociologo Massimiliano Ruzzeddu, esperto di epistemologia delle
scienze sociali, docente di sociologia
presso l’università “Suor Orsola
Benicasa” di Salerno ha relazionato
su La cultura della natura: creazionismo e darwinismo a confronto.
L’architetto Pasquale De Toro, docente di Economia ed Estimo presso
la Facoltà di Architettura dell’Università “Federico II” di Napoli, presente
come simpatizzante del M.E.I.C. e
studioso di teologia, soprattutto nei
suoi aspetti connessi con la natura e
l’ambiente, ha trattato de Il dibattito
tra evoluzionismo e creazionismo.
Ai convegni ha fatto da cornice
una mostra di quadri del pittore
foriano Mariolino Capuano: una
delle sue opere è stata prescelta
come manifesto per questa edizione
di Meristema: la tela Prima della
trasfigurazione, che declina in chiave darwinista del soggetto preferito
di Mariolino, Pinocchio, che, come
l’Adamo della Cappella Sistina, viene
animato dall’alto dal dito di un Dio,
qui presente però solo in effigie, e
richiamato verso il basso dal dito di
un quadrumane, raffigurato invece in
modo iperrealistico.
Mariolino Capuano
Prima della trasfigurazione
La Rassegna d’Ischia 3/2009 7
Il dibattito religioso tra
evoluzionismo e creazionismo
di Pasquale De Toro
Libro della Genesi
In principio Dio creò il cielo e la terra.
Dio disse: “Sia la luce!” e la luce fu. Primo giorno.
Dio disse: “Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare
le acque dalle acque”. Secondo giorno.
Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un
solo luogo e appaia l’asciutto”. E Dio disse: “La terra produca
germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, ciascuno
secondo la sua specie”. Terzo giorno.
Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere
il giorno dalla notte”. Quarto giorno.
Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino
sopra la terra, davanti al firmamento del cielo” . Quinto giorno.
Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo la loro specie:
bestiame, rettili e bestie selvatiche”. E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza”. Sesto giorno.
Il Corano
Allah è il vostro Signore, Colui che il sei giorni ha creato i cieli
e la terra e poi si è innalzato sul Trono. Ha coperto il giorno con
la notte ed essi si susseguono instancabilmente. Il sole, la luna
e le stelle sono sottomesse ai suoi comandi. Non è a Lui che
appartengono la creazione e l’ordine? (Surah, 7:4).
Non abbiamo fatto scendere il Corano su di te per renderti infelice, ma come monito per chi ha timore di Allah, sceso da parte
di Colui che ha creato la terra e gli alti cieli. (7:2-4).
Traemmo dall’acqua ogni essere vivente (21:4). Dal cielo fa
scendere l’acqua, per mezzo della quale facciamo germinare
diverse specie di piante (20:53). Ed Egli Colui che ha disteso la
terra vi ha posto montagne e fiumi, e di ogni frutto ha stabilito,
in essa, una coppia (13:3).
In verità creammo l’uomo da un estratto di argilla. Poi ne
facemmo una goccia di sperma posta in un sicuro ricettacolo,
poi di questa goccia facemmo un’aderenza e dell’aderenza un
embrione; dall’embrione creammo le ossa e rivestimmo le ossa
di carne (23:12-14).
L’origine delle specie, 1859
Jean-Babtiste Lamark (Filosofia zoologica, 1809) per primo rese
alla scienza il grande servigio di richiamare l’attenzione sulla
possibilità che qualunque cambiamento nel mondo organico,
come pure nel mondo inorganico, fosse il risultato di una legge
e non di un intervento miracoloso.
Quanto alle cause del cambiamento, egli ritiene che consistano
in parte nell’azione diretta della condizioni fisiche della vita, in
parte nell’incrocio di forme preesistenti, ma soprattutto nell’uso
e nel disuso, cioè negli effetti dell’abitudine.
A quest’ultima causa egli sembra attribuire tutti i meravigliosi
adattamenti che si osservano in natura: per esempio il lungo collo
della giraffa, che le permette di brulicare sugli alberi. Ma egli crede anche nell’esistenza di una legge di sviluppo progressivo.
Charles Darwin Autobiografia (1809-1882)
Nel luglio 1837 cominciai il mio primo libro di appunti, e non
tardai a rendermi conto che la selezione era la chiave con cui
l’uomo era riuscito a ottenere razze utili di animali e piante. Ma
per qualche tempo mi rimase incomprensibile come la selezione
8 La Rassegna d’Ischia 3/2009
si potesse applicare a organismi viventi in natura. Nell’ottobre
1838, date le mie lunghe osservazioni degli animali e delle piante,
mi trovavo nella buona disposizione mentale per valutare la lotta
per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto.
Fui subito colpito dall’idea che, in tali condizioni le variazioni
vantaggiose tendessero ad essere conservate, e quelle sfavorevoli
ad essere distrutte.
In quel tempo non afferrai un problema molto importante. Non
riesco a capire come abbia potuto non vederlo e non trovare la
soluzione. Mi riferisco alla tendenza degli organismi discendenti
da uno stesso ceppo a divergere nei loro caratteri, quando si
modificano.
La soluzione, secondo me, consiste nel fatto che la discendenza
modificata delle forme dominanti e in via di sviluppo tende ad
adattarsi a parecchi luoghi che hanno caratteristiche molto diverse
nell’economia della natura.
Non appena mi convinsi, nel 1837 o ’38, che le specie erano
mutabili, non potei fare a meno di credere che l’uomo dovesse
essere regolato dalla stessa legge.
Oggi dopo la scoperta della legge della selezione naturale cade
il vecchio argomento di un disegno della natura secondo quanto
scriveva Paley, argomento che nel passato mi era sembrato
decisivo. Un piano che regoli la variabilità degli esseri viventi e
l’azione della selezione naturale non è più evidente di un disegno
che predisponga la direzione del vento.
Lettere, 1879 e 1880
Il mio giudizio è spesso fluttuante, ma anche nelle mie fluttuazioni più estreme non sono mai stato ateo, nel senso di negare
l’esistenza di Dio. Mi pare che generalmente (e tanto più quanto
più invecchio), ma non sempre, la migliore definizione del mio
pensiero sarebbe: agnostico.
Benché io sia un fervido sostenitore della libertà di opinione in
ogni argomento mi sembra (a torto o a ragione) che attacchi diretti
contro il cristianesimo e il teismo abbiano assai scarso effetto sul
pubblico, e che la libertà di pensiero possa meglio promuoversi
con quella illuminazione graduale dell’intelletto umano che
consegue al progresso delle scienze. Perciò ho sempre evitato di
scrivere sulla religione e mi sono limitato alla scienza.
Leone XIII, 1885
Siccome non c’è alcuna verità naturale che diminuisca la credibilità delle dottrine rivelate e molte anzi se ne danno che l’accrescono; e potendo la scoperta di qualsiasi verità condurre a meglio
conoscere e lodare il Signore, così la Chiesa accoglierà sempre
con gioia e gradimento tutto ciò che venga nel momento adatto
ad allargare i confini della scienza. (Enciclica Immortale Dei)
Isaac Newton (1642-1727)
Cosa c’è in luoghi quasi vuoti di materia, e come è possibile
che sole e pianeti gravitino l’uno verso l’altro, senza materia
densa tra di loro?
Da cosa deriva il fatto che la natura non faccia niente invano; e
da cosa trae origine dell’ordine e quella bellezza che vediamo
nel mondo?
A che scopo esistono le comete, e come si spiega che i pianeti si
muovano tutti allo stesso modo in orbite concentriche, mentre le
comete si muovono in tutte le maniere in orbite molto eccentriche;
e cosa impedisce alla stelle fisse di cadere una sull’altra?
Perché i corpi degli animali sono disegnati con un’architettura
simmetrica? E chi ha progettato organi così complessi come
l’occhio o l’orecchio? Un essere incorporeo, vivente, intelligente,
onnipresente, che sta nello spazio infinito.
Intelligent Design (1988-1998)
La causalità è una nozione derivata, che
può essere compresa soltanto in relazione
al Design, che risulta essere il concetto
fondamentale.
Bisogna voltare le spalle alla lugubre
coppia “caso e necessità”: l’osservazione
scientifica del mondo rivela l’intervento di
un Designer, di una mente superiore che lo
ha progettato e creato.
La straordinaria diversità e complessità degli esseri viventi non può essere il risultato
di un meccanico processo di selezione.
La maggior parte delle mutazioni che
realizzano le grandi strutture delle vita
richiedono una causa esterna e superiore
al processo evolutivo.
Creazionismo della Terra giovane
Si tratta della posizione creazionista più
radicale (Young Earth Creationism).
I suoi sostenitori affermano che la Terra
abbia circa 6.000 anni di età, come si ricava
da una lettura letterale della Bibbia.
Tali creazionisti rifiutano tutti i risultati
della scienza che sono incompatibili con
la presunta datazione biblica: oltre alla
teoria dell’evoluzione, rigettano anche la
datazione delle rocce e dei fossili, in base
alla quale la Terra e le più antiche forme di
vita risalgono a miliardi di anni fa.
Creazionismo della Terra vecchia
Si tratta di una posizione creazionista meno
radicale (Old Earth Creationism).
I suoi sostenitori accettano le scoperte
della geologia. Rifiutano l’evoluzione affermando che tutte le specie viventi, incluso
l’uomo, sono state create originariamente e
direttamente da Dio.
Pio XII, 1950, Humani generis
Il magistero della Chiesa non vieta che in
conformità dell’attuale stato delle scienze e
della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e
due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo,
in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine
del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica
ci obbliga a ritenere che le anime sono state
create immediatamente da Dio).
Però questo deve essere fatto in tale modo
che le ragioni delle due opinioni, cioè di
quella favorevole e di quella contraria
all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione
e misura.
Giovanni Paolo II, 1985
Il concetto polivalente e considerato sotto
il profilo filosofico di “evoluzione” si sta da
tempo sviluppando sempre più nel senso
di un ampio paradigma della conoscenza
del presente. Pretende di integrare la fisica, la biologia, l’antropologia, l’etica e
la sociologia in una logica di spiegazione
scientifica generale.
Per quanto riguarda l’aspetto puramente naturalistico … non creano ostacoli una fede
rettamente compresa nella creazione o un
insegnamento rettamente inteso dell’evoluzione: l’evoluzione infatti presuppone la
creazione; la creazione si pone nella luce
dell’evoluzione come un avvenimento che
si estende nel tempo - come una “creatio
continua” - in cui Dio diventa visibile agli
occhi del credente come Creatore del Cielo
e della terra.
Giovanni Paolo II, 1986
Nei tempi moderni una difficoltà particolare
contro la dottrina rivelata circa la creazione dell’uomo, quale essere composto
di anima e corpo, è stata sollevata dalla
teoria dell’evoluzione. Molti cultori delle
scienze naturali che, con metodi loro propri,
studiano il problema dell’inizio della vita
umana sulla terra, sostengono - contro altri
loro colleghi - l’esistenza non soltanto di
un legame dell’uomo con l’insieme della
natura, ma anche la derivazione delle specie
animali superiori.
Si può dunque dire che, dal punto di vista
della dottrina della fede, non si vedono
difficoltà nello spiegare l’origine dell’uomo, in quanto corpo, mediante l’ipotesi
dell’evoluzionismo. Bisogna tuttavia aggiungere che l’ipotesi propone soltanto una
probabilità, non una certezza scientifica. La
dottrina della fede invece afferma invariabilmente che l’anima spirituale dell’uomo
è creata direttamente da Dio.
Giovanni Paolo II, 1996
Tenuto conto dello stato delle ricerche
scientifiche a quell’epoca e anche delle
esigenze proprie della teologia, l’Enciclica
Humani generis considerava la dottrina
dell’“evoluzionismo” un’ipotesi seria,
degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio
XII aggiungeva due condizioni di ordine
metodologico: che non si adottasse questa
opinione come se si trattasse di una dottrina
certa e dimostrata e come se ci si potesse
astrarre completamente dalla Rivelazione
riguardo alle questioni da essa sollevate.
Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze
conducono a non considerare più la teoria
dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno
di nota il fatto che questa teoria si sia
progressivamente imposta all’attenzione
dei ricercatori, a seguito di una serie di
scoperte fatte nelle diverse discipline del
sapere. La convergenza, non ricercata né
provocata, dei risultati dei lavori condotti
indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo
a favore di questa teoria.
Benedetto XVI, 2007
Vedo attualmente in Germania, ma anche
negli Stati Uniti, un dibattito abbastanza
accanito tra il cosiddetto creazionismo e
l’evoluzionismo, presentati come fossero
alternative che si escludono: chi crede nel
Creatore non potrebbe pensare all’evoluzione e chi invece afferma l’evoluzione
dovrebbe escludere Dio. Questa contrapposizione è un’assurdità, perché da una parte
ci sono tante prove scientifiche in favore di
un’evoluzione che appare come una realtà
che dobbiamo vedere e che arricchisce la
nostra conoscenza della vita e dell’essere
come tale.
Ma la dottrina dell’evoluzione non risponde
a tutti i quesiti e non risponde soprattutto
al grande quesito filosofico: da dove viene
tutto? e come il tutto prende un cammino
che arriva finalmente all’uomo?
Evoluzione ed evoluzionismo
L’evoluzione intesa come teoria scientifica,
fondata su dati empirici, sembra abbastanza
ben affermata, sebbene non è del tutto vero
che ormai non ci sia niente da aggiungere
o completare, soprattutto riguardo ai meccanismi che la regolano.
Invece, non sembra ammissibile l’evoluzionismo come ideologia, che nega il finalismo, e sostiene che tutto è dovuto a caso
e necessità, e sostiene il materialismo ateo.
L’evoluzionismo (e quindi il darwinismo)
non è sostenibile né come verità scientifica né come conseguenza necessaria della
teoria scientifica dell’evoluzione.
Creazione e creazionismo
La creazione è una verità accessibile alla
ragione, in particolare alla filosofia, ma
anche una verità rivelata.
Invece, il cosiddetto creazionismo è
anch’esso, come l’evoluzionismo, un’ideologia, fondata spesso, peraltro, su una teologia sbagliata, cioè su un’interpretazione
letterale di certi passaggi della Bibbia, la
quale, secondo i suoi fautori, riguardo l’origine delle specie sosterrebbe il “fissismo”,
cioè la creazione immediata di ogni singola
specie da parte di Dio, e l’immutabilità di
ciascuna specie nel trascorrere del tempo.
Evoluzione e creazione di per sé possono
essere compatibili; si può parlare infatti di
una “creazione evolutiva”, mentre evoluzionismo e creazionismo sono necessariamente incompatibili.
La Rassegna d’Ischia 3/2009 9
Dal paradiso perduto
alla scoperta dei paradisi
di Bruno Filippo Lapadula (1)
La tradizione ebraico-cristiana concepisce l’universo e
la natura - che riveste di vita la terra - come opere di un
unico Dio create in funzione dell’uomo. Si tratta quindi di
un patrimonio che era stato consegnato all’umanità perché
lo dominasse. Una frase della Genesi aveva segnato da sola
la definitiva superiorità del genere umano su tutti gli altri
esseri viventi (1.26. Facciamo l’uomo a nostra immagine, a
nostra somiglianza, ...). Cosí erano state escluse non solo la
subordinazione ma persino la parità dell’uomo rispetto alla
natura. Senza limitazioni a questa nuova specie vennero dati
grandi poteri (1.28. Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite
la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
terra). Gli uomini e le donne, secondi solo al Dio creatore,
avrebbero dunque avuto sin dall’origine il dominio assoluto
della terra ed il possesso di tutto ciò che vi si trovava.
Ma vi era molto di più (2.19. Ogni sorta di bestie selvatiche
e tutti gli uccelli del cielo... li condusse all’uomo, per vedere
come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse
chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il
suo nome (2).
Spettando all’uomo il compito di attribuire il vero nome
ad ogni essere vivente, ne avrebbe avuto anche la proprietà
più totale. In quasi tutte le culture i nomi tendono a essere
confusi con le cose. Conoscere un nome ed essere in grado
di pronunciarlo a volontà significa avere potere su di esso, e
quindi anche sulla cosa rappresentata. In certe culture, nomi
speciali sono tenuti segreti: vengono usati solo i nomi pubblici, che non sono quelli «veri», di modo che nessuno può
acquistare potere su quella persona. Perciò, portare gli animali
all’uomo perché dia loro il nome, equivale a metterli sotto il
potere dell’uomo e di tutto il genere umano (3).
Di conseguenza è stata aperta al genere umano la strada,
non solo alla conoscenza scientifica, ma anche alle forme
più assolute e globali di selezione, controllo, trasformazione,
manipolazione ed infine alla stessa possibilità di distruzione
della natura. In altre culture ciò non è avvenuto – come in
quelle orientali od in quelle così dette etniche – ma purtroppo
la nostra è diventata quella dominante.
10 La Rassegna d’Ischia 3/2009
La tradizione greco-romana, dal canto suo, riteneva che
l’universo fosse eterno, non fosse stato creato e preesistesse
agli stessi dei e che ognuno di essi regolasse una parte della
natura e dei suoi fenomeni. L’universo e le sue leggi erano
però immodificabili e nemmeno gli dei immortali potevano
opporsi ad esse. Agli uomini mortali era concesso di intervenire su alcune componenti della natura - quando ciò non si
scontrava con il volere o l’invidia di qualche divinità – e di
servirsene, perché questo era il loro fine.
Le due concezioni – l’ebraico-cristiana, che ritiene la trasformazione della natura un dovere, e quella greco-romana,
che la ritiene possibile anche se talvolta eroica ed inattuabile
– avevano qualcosa in comune perché escludevano entrambe
che i rapporti tra uomo e natura avessero fondamenti etici.
Queste posizioni di contrapposizione con la natura, di
dominio su essa e di assenza di eticità nelle azioni che la
coinvolgono sono rimaste a lungo nei comportamenti e
nell’immaginario collettivo del mondo occidentale tanto
che ancora oggi, malgrado la diffusione delle conoscenze
scientifiche e l’accresciuta sensibilità ambientale, si esprimono sia nelle decisioni politiche, sociali ed economiche
che nelle azioni quotidiane. Basti pensare ai paesaggi delle
monocolture coloniali, delle coltivazioni e degli allevamenti
industriali, alla sperimentazione sugli animali ed agli effetti
dell’incosciente dispersione di inquinanti nell’ambiente. Ma
si manifestano persino nelle espressioni artistiche o letterarie
e negli atteggiamenti di una parte della popolazione che, ad
esempio, si trova a disagio in presenza di un animale od è
infastidita dal contatto diretto con la vegetazione. Di qui
l’utilità – prescindendo ovviamente dagli aspetti psicotici e
psicopatici - di approfondire le origini di questo rapporto non
ancora risolto.
Sulle conseguenze di un’interpretazione – che, in sintesi,
riconosce la superiorità dell’uomo sulla natura e gli attribuisce non solo il diritto ma il compito di modificare il mondo
attraverso le sue azioni, ricavandone tutto quello che ritiene
gli possa servire – ha scritto l’etologo inglese Desmond Morris
(n. 1928): «Tempo fa fui criticato per aver detto che più che
“angeli caduti” siamo “scimmie che si alzano in piedi”. E in
questo continuo a credere appassionatamente. Accettare ciò
significa che dobbiamo considerarci parte della natura, non
sopra di essa. In passato si è spesso detto che le “bestie” sono
a nostra disposizione e che la terra esiste per essere soggiogata
e sfruttata. Solo adesso stiamo iniziando a capire la follia di
tutto ciò, a renderci conto che, se non ci considereremo una
semplice componente d’un limitato sistema di vita sulla Terra,
invece che ritenercene i padroni, le future
generazioni potranno ritrovarsi a cercare
di sopravvivere in un pianeta inquinato e
moribondo (4).
Questo ragionamento è la logica prosecuzione delle teorie dello scienziato
inglese Charles Robert Darwin (18091882) che, nel 1859, aveva individuato le
premesse per l’ipotesi di una discendenza
di tutti i primati, uomo compreso, da un
antenato comune, gettando le basi di una
coerente solidarietà almeno con il mondo
animale. A distanza di centocinquanta
anni si pone in maniera drammatica - oggi
più che mai - il problema etico-culturale
di ridefinire la presunta condizione di
superiorità dell’uomo. Anche se, in tempi
recenti, si è passati ad interpretazioni
più consapevoli – ma non ancora universalmente accettate ed applicate - che
hanno riconosciuto l’assoluta necessità
di un rapporto etico con la natura. Segno di questo nuovo atteggiamento è il
concetto di giardino planetario inventato
dal paesaggista-filosofo francese Gilles
Clément (n. 1943):
Il Giardino planetario è una rappresentazione del pianeta come giardino. Il
sentimento di finitezza ecologica fa apparire i limiti della biosfera come lo spazio
concluso di ciò che è vivente (5).
Quindi, in un futuro non troppo lontano, ad un genere umano, redento della
sua follia, potrebbe essere nuovamente
affidata la terra, come ai nostri progenitori era stato affidato il paradiso terrestre.
Paradiso nella tradizione ebraico-
cristiana e mussulmana
I primi orti-giardini realizzati dalle
popolazioni medio-orientali risalgono al
III millennio a. C. Nella stessa regione
geografica, furono elaborate le sacre
scritture delle grandi religioni monoteiste (ebraica, mazdeista, cristiana e
mussulmana) che, come è noto, fanno
riferimento a dei giardini.
Secondo la Bibbia il giardino per
antonomasia era in Eden ad Oriente (di
Israele). Quella regione era abitata in
origine dai Sumeri - nella cui lingua la
parola eden o edim vuol dire pianura - e
che, allora come oggi, è irrigata dai grandi fiumi Tigri ed Eufrate. Tutto ciò non ha
molta importanza per la nostra ricostruzione, serve solo a creare lo scenario di
una terra assolata ma pianeggiante, ben
irrigata e fertile.
La caratterizzazione del paradiso - definita e descritta allora - è esattamente la
stessa utilizzata per il giardino nei secoli
successivi e sino ai giorni nostri. Come
i primi giardini mesopotamici è formato
soprattutto di alberi. Non conta solo l’utilità di questi alberi “buoni da mangiare",
ma anche la loro bellezza perché “graditi
alla vista”. A differenza del paesaggio naturale, nato spontaneamente dall’acqua e
dalla terra, il paradiso è recintato. Questo
giardino è stato piantato, con un’azione
che richiama quella manuale degli agricoltori. Ha bisogno di essere coltivato e
custodito da giardinieri (compiti affidati
ad Adamo ed Eva). Deve essere anche
innaffiato quindi, come in ogni giardino
successivo, vi è la presenza dell’acqua. Vi
nasce un grande fiume che poi si divide
in quattro: Phison, Gehon, Tigri, Eufrate.
Questa presenza e la quadripartizione
si ritroveranno anche nei giardini della
mitologia greca, dei re-sacerdoti persiani,
degli arabi, degli indiani ed in tanti altri
successivi.
L’acqua è importante non solo perché
è indispensabile alla vita delle piante e
degli animali, ma anche perché svolge
funzioni simboliche, estetiche e, insieme
alla vegetazione, mitigatrici del clima.
Nel recinto sono presenti alberi belli
e buoni. Alle funzioni estetiche ed
utilitaristiche si aggiungono gli aspetti
simbolici, sottolineati dalla presenza
dell’albero della vita e dell’albero della
conoscenza. Al giardino sono attribuite
queste due ulteriori funzioni: quella di
rappresentare la vita - in contrasto con
l’aridità del difficile mondo esterno - e la
conoscenza. Infatti, osservare e coltivare
le piante e raccoglierne i frutti - soprattutto quando se ne comprenderanno le virtù
officinali – consente di penetrare i misteri
della natura.
Infine l’aspetto estetico e simbolico è
ulteriormente rafforzato dalla presenza
di altre sostanze: “oro”, “pietra ònice”
(dovrebbe trattarsi dell’onice o della
cornalina) e “bdellio” (probabilmente
una resina odorosa). Cosí l’immagine del
giardino si arricchisce. Insieme all’ombra
degli alberi, alla bellezza dei fiori, alla
dolcezza dei frutti ed alla frescura delle
acque, vi sono anche materiali preziosi
dai colori splendenti e profumi, che pervadono l’aria come nel giardino incantato
di Gilgamesh o nel giardino dell’Eden
descritto dal profeta Ezechiele.
Quando poi gli esseri umani saranno
scacciati dal paradiso, davanti alle sue
porte verrà collocato un custode, come
in molti altri giardini leggendari, la cui
presenza ne rafforza l’aspetto di hortus
conclusus (giardino chiuso).
Adamo ed Eva furono costretti ad
abbandonare la loro condizione di giardinieri per assumere quella di contadini.
Partiti per sempre i giardinieri, il paradiso scomparve – come accade anche
oggi ad ogni giardino - ma ne rimase la
nostalgia (6) e ben presto cominciò ad
essere ricordato, raccontato, descritto in
prosa e poesia, dipinto e poi riprodotto
innumerevoli volte a partire dall’Alto
Medioevo.
Vi erano infatti tutti gli elementi che
avrebbero consentito, nei secoli successivi, l’attribuzione di forti significati
simbolici ai giardini occidentali, ma
qualcosa doveva ancora avvenire. Il concetto di paradiso, come luogo dell’eterna
beatitudine, non esisteva ancora. Per
la religione ebraica l’anima, lasciato il
corpo, riposa dopo il giudizio nello Sheol
(il soggiorno dei morti) che nulla ha in
comune con il paradiso della Genesi. La
mitologia classica aveva immaginato
l’esistenza dei campi Elisi per chi in vita
aveva esercitato le virtù. Ma, in realtà, la
visione prevalente dell’aldilà per i greci
ed i romani era triste e senza speranza,
come si può leggere in Omero e Virgilio. Fu il profeta persiano Zarathuštra
Spitama (630-553 a. C.) che per primo
annunciò la presenza, dopo la morte, di
un meraviglioso paradiso per i buoni e di
un inferno per i cattivi.
Mentre la religione cristiana aveva dato
della vita dopo la morte una interpretazione solo spirituale fatta di pura contemplazione, l’Islam riprendendo proprio
gli insegnamenti di Zarathuštra vedrà nel
giardino l’immagine delle beatitudini del
cielo, secondo la parola del profeta arabo
Muḥammad (570-632).
Il giardino diveniva un premio in terra,
per i credenti nella nuova fede dell’Islam,
ed un’anticipazione della ricompensa
ultraterrena che permetteva loro di
godere un luogo meraviglioso ricolmo
di ogni bellezza, felicità e saggezza. Il
firdaws (paradiso in terra) - derivato dal
termine persiano pairi-daësa e poi dal
greco παραδεισος - era usato, nel mondo arabo preislamico, per indicare una
zolla di terra fertile. Con l’avvento della
nuova religione divenne un ğannat al-ard
(giardino della terra) quindi l’immagine
La Rassegna d’Ischia 3/2009 11
e, nello stesso tempo, l’anteprima del
ğannat ‘adn (giardino dell’Eden) o del
djanna (giardino di Dio) nel cielo. La
bellezza del giardino e la gioia, che da
esso si può trarre, ne diventavano cosí la
principale giustificazione che si caricava
di significati morali e religiosi in quanto
giusto riconoscimento per la persona
virtuosa e saggia che a buon diritto lo
possedeva.
La nuova interpretazione del giardino
come premio, verrà nei secoli successivi
trasferita in Occidente. Non essendo
più oggetto dei severi giudizi morali espressi dagli antichi greci e dai romani
dell’età repubblicana che apprezzavamo
solo gli orti – o di sfrenata ostentazione
della ricchezza e dei piaceri – condannati dai padri della chiesa cristiana che
temevano il paganesimo dell’Ellenismo
e della Roma imperiale – il giardino poteva divenire il locus amoenus: il luogo
ideale per la gioia delle persone giuste
e sapienti, dove trionfavano la bellezza
della natura e l’arte degli uomini.
Paradiso medievale come luogo
d’origine di tutta la flora del mondo
Che i giardini fossero considerati
importanti è confermato anche dalla
predicazione di Zarathuštra che fondò il
Mazdeismo, per secoli religione ufficiale dell’Impero Persiano. Nel Videvdat
(Legge contro i demoni) - l’unica parte
del testo sacro Avesta giunta a noi quasi
integra – lo stesso dio Ahura Mazda
aveva descritto al profeta l’Airyana Vaêjo
(terra delle origini) dove aveva ordinato
al mitico re Yma (28. Proprio là [realizza
un castello e] raduna il seme di tutte [le]
piante, che siano le più alte e più profumate di questa Terra (7).
L’idea di un luogo dove fossero radunate tutte le piante della terra venne
ripresa durante il Basso Medioevo. Dante
Alighieri (1265-1321), incontrando nel
paradiso terrestre donna Matelda, rimane
colpito dai profumi e dai colori dei fiori.
Infatti il poeta immagina che nel paradiso
vi siano tutte le piante della terra, che vi
nascono senza essere seminate, come
continuazione dell’originaria forza creatrice. Dalla cima del monte, su cui è posto
il giardino, il vento trasporta, come da un
universale orto botanico, in ogni luogo i
semi che, se il terreno che li riceve ed il
clima sono adatti, germogliano. L’infinita
molteplicità delle forme di vita vegetali
ed animali, che popolano la terra, qui
era solo immaginata e dovranno passare
ancora quasi due secoli perché iniziasse
l’epoca delle grandi scoperte geografiche
e con esse la consapevolezza dei fenomeni che regolano e moltiplicano la vita.
- descritto da Salomone nel Cantico dei
Cantici.
[...]
Bruno Filippo Lapadula
Architetto esperto in valutazione d’impatto ambientale, professore di Storia del Giardino e del
Paesaggio presso l’Università di Roma 1.
2
Tutti i brani sono tratti da: La Bibbia di Gerusalemme, Ed. Dehoniane, Bologna, 1996.
3
I. Asimov, In principio. Il libro della Genesi
interpretato alla luce della scienza, Mondadori
Ed., Milano, 1981. Asimov, oltre ad essere scrittore e divulgatore scientifico, era uno scienziato
di origine ebraica.
4
D. Morris, Il bastone da passeggio del gorilla
cosí cammina l’evoluzione”, in “La Repubblica”
del 5 ottobre 2005. Dello stesso autore si vedano:
D. Morris, La scimmia nuda, Studio zoologico
sull’animale uomo, Bompiani Ed., Milano, 1999. D.
Morris, Noi e gli animali, Mondadori-De Agostini
Ed., Milano, 2001.
5
G. Clément, Manifesto del Terzo paesaggio,
Quodlibet Ed., Macerata, 2005.
6
Si veda: F. Cardini, M. Miglio, Nostalgia del
Paradiso. Il Giardino Medievale, Laterza Ed.,
Bari, 2002.
7
Zarathustra L’Avesta, Istituto Editoriale Italiano
Ed., Milano, 1914.
1
Giardino come imitazione
del paradiso
I giardini medievali erano di tipo
naturalistico - niente di più che un prato
fiorito, circondato da un muro, con al
centro una fonte e qualche albero da
frutto - esattamente come quello descritto
da Dante.
L’eccezionalità e la bellezza di questi
luoghi ed il loro carattere di premio li
resero sempre più profani, anche se si
rifacevano al modello sacro del paradiso
terrestre od a quello metaforicamente
sacro – ma in realtà profano e sensuale
La pianta premiata
Giardini Ravino . Eritrina in fiore
12 La Rassegna d’Ischia 3/2009
Domenico Antonio Parrino (1700) *
L'isole di Capri, Ischia, Nisida, Procida
Dell’isola d’Ischia,
e suoi bagni
§ VII. Prima di giungere al Monte
Miseno, donde comincia il seno cratero,
termi­nando al Capo di Minerva, o Campanella, dirimpetto a Capri, vi sono due
isole e perché par che servano di corteggio
alla bellissima prospettiva di Napoli, ne
compendiaremo qualche cosa per notizia
de’ signori forastieri. Diversi nomi dunque
ha dagli antichi havuto l’isola, che oggi
d’Ischia si appella, ed i suoi accidenti han
dato luogo a molte favole. Arime o Inarime
da Virgilio vien detta, da Omero e Filostrato, forse da’ popoli arimi di Siria, o vero da
un promontorio de’ Sarpedoni presso l’antro di Corcira. Fu detta Isola delle Scimie,
non perché ve ne fussero giammai, ma per
la favola de’ fratelli Cecropi trasformati in
questi animali secondo Suida ed Ovidio;
Plinio chiama Enaria dall’haver dato luogo
all’armata di Enea, o pure da’ vasi di cre­ta
grandi, detti pithos, che vi si faceano; da’
greci detta Pitecusa, ch’è lo stesso nome
preso dalle scimie. Stefano però dice esser
non una, ma diverse l’Isole Pitecuse, le
quali da Strabone con Ponzo e Ventotene,
dette la bella Partenope, Palmarola ed
altre, vengono dette Enotridi; che vi fusse
sepellito Tifone narrano le favole, forse
allegorizzando per la violenza de’ fuochi
sotterranei e venti, che tifoni chiamano
i greci: anzi dicono che questo Tifone si
estenda sino alla Sicilia, e ciò per esser
Tifeo, ch’è lo stesso Tifone, uno de’ Giganti
che conbatté con Giove, dicono Virgilio e
Lu­cano, che Silio Italico chiama Giapeto.
Il Boccaccio, toltolo da Teodonzio, dice
che fusse il detto Tifeo figlio della Terra e
di Titano, antichissimi re di Cilicia; Esiodo
narra che da’ suoi omeri uscivano cento
capi di dragoni, che mandasse fiamma dagli
occhi, ed ogni capo havesse la sua voce.
Tutte le dette favole sono mitologiche, per
dinotare gl’incendj di detta isola, de’ quali
molti se ne numerano. Fu abitata prima da’
popoli eritrei, calcidici e cumani, cioè quelli
che da Negroponte qua vennero, e che da
qua passassero poi a Cuma edificandola e
dandole il nome, e che si fussero arricchiti
con la fertilità dell’isola, e per le vene
dell’oro; ma poi per una se­dizione nata fra
loro la abbandonassero, scrive il citato più
volte Strabone. Che da Gerone re di Sicilia
occupata, discacciati i detti eritrei e i calcidesi, fusse abitata da’ siciliani, poi da questi
per incendj e terremoti anche abbandonata,
scrive il Fazello, ove haveano fabricato un
castello detto Gironda, portandone sino
ad oggi il nome una parte dell’isola. Il
suo Monte Epomeo, o vero San Nicolò,
che ardesse a tempo di L. Marzio e Sesto
Giulio consoli, poi sotto Tito, Antonino e
Diocleziano, si ritro­vano memorie; si ritrova ancora che sotto Alberto I per due mesi
bruciasse, e da Giu­lio Ossequente, che 89
anni avanti la venuta del Signore havesse
eruttato fiamme. Il circuito di tutta l’isola
è di miglia 18, misurandovi i lidi e i capi,
senza di essi per dritto 15. I suoi promontori
sono: Locio, Sciarillo, Aguglia, Cesaglioni, San Pancra­zio, Cavalleria, Maronzio
Sant’Angelo, Pedaso, Falconara, Scannello, Vecchio, Lo Schiavo, Imperadore, Santa
Maria delle Grazje, Parata, o Pisciazza della
Vecchia, Scrofa, San Pietro, Arena e Cornacchia, che si estendono sopra il mare.
I suoi porti, benché piccioli seni non
buoni per navi grandi ed armate, sono:
Sant’Angelo, Pansa, Montano, gli Scogli,
la Nave, ch’è uno scoglio, Cerruso altro
scoglio, Famoso, Treglio, Scrofa e Gigante
anche scoglio. Sorge nel mezo il monte
detto Epomeo, ora di San Nicola, altissimo, sopra del quale è la chiesa del santo,
in­cavata con piscine d’acque freddissime
e stanze d’abitarvi; da sopra detto monte
si vede tutta l’isola e l’isole circostanti di
Procida, Capri, Vivara, Ventotene, Palmarola, Ponzo e l’altre; con tutti i lidi di
Cuma, Seno di Napoli, Vesuvio, con una
vista inter­minabile. Vicino al detto monte
è il Monte Abuceto così detto, quasi Aviceto per l’abbondanza degli uccelli, dove
scaturisce un fonte d’acqua fredda, chiara
ed esquisita, e perché l’isola è scarsa d’acque dolci, e la detta scaricava a mare, con
gran spesa per aquedotti è stata condotta
al borgo detto Celsa, presso la città, per un
gran tratto di paese.
Sotto il Monte Sant’Angelo, che si stende
in mare come pe­nisola, si fa una gran pesca,
particolarmente di ragoste, e vi sono anche
coralli; sopra il monte detto della Guardia
s’invigila, perché spesso vengono intorno
all’isola i cor­sari per farvi preda. Fra i
Monti Terzani e Capo di Monte vi è una
valle, ove bian­cheggia il nitro, e vi è un
fonte detto Nitroli, la di cui acqua matura
e biancheggia in tre giorni il lino; detta
valle è detta Oscura, con acque fredde e
calde, poi la Valle de­gli Olmitelli, con il
bagno di detto nome, e di Dojano. Dal
Capo di Monte scaturisce un’acqua fresca
e chiara, detta de’ Frassitelli. Vi sono altri
monti detti Belvedere, Stabia, Maronzi,
* Di Napoli il seno cratero esposto agli occhi
et alla mente de’ curiosi, descrivendosi in
questa seconda parte le ville, terre e città
che giacciono all’intorno dell’uno e l’altro
lato dell’amenissima riviera del suo golfo,
o sia cratere, l’isole di Capri, di Procida, di
Nisida e d’Ischia, coll’antichità curiosissime
di Pozzuoli, epilogata da’ suoi autori impressi
e manoscritti che ne hanno diffusa­mente trattato, opera et industria di DomenicoAntonio
Parrino, natural cittadino napolitano. - Volume
secondo. - In Napoli, l’anno del Giubileo
MDCC nella nuova stampa del Parrino a
Strada Toledo, all’insegna del Salvatore, con
licenza de’ superiori e privilegio.
La Rassegna d’Ischia 3/2009 13
Cavalleria, San Pancrazio, per una chiesa
consecrata al santo, Sejano e Vico, ed altri.
Sotto il Monte dell’Aguglia vi è un antro,
o cava, entrandovi il mare, ove possono
nascondersi navi ben grosse; nei Monti
Falconara, Maronzi e della Guardia vi
prendono falconi; appresso il Promontorio
di Sciarillo vi è quello della Pisciazza, cioè
orina della vecchia, per una linea minerale
che discende dal monte sopra il casale di
Campagnano. Delle sue diverse valli, oltre
le dette Oscura e degli Olmitelli, ve n’è una
che ritiene il nome dagli antichi fondatori,
detta di Negroponte, dove si dice che
abitassero i cumani, molto bella, amena
e fruttifera, con acque fresche, e vi sono
l’alumiere cavandosene da 1500 cantara
l’anno; ed in questa la valle sono le ville di
Monte Testa e Casa Cumana. Sotto il Promontorio della Cor­nacchia vi sono alcuni
scogli dette le Formicole, corrottamente le
Foranicole. Vi è poi la Valle e Monte de’
Liguori. In Casa Cumana sudetta, dicono
che abitasse per lungo tempo la Sibilla, e
di altri luoghi anderemo dicendo. Il nome
d’Ischia, che al presente tiene, è dagli
autori diversamente interpetrato: chi dice
dalla fortezza, es­sendo l’isola molto forte,
con rupi scoscese di pietra viva, e la città
sopra uno scoglio situata; chi dall’ancora,
per la sua forma; e chi dalla coscia, o nervo
d’essa, che ikeon si dice in greco. Che fusse
svelta dal continente scrive il Pontano con
al­tri, conghietturandolo dalle caverne e rupi
scoscese, seguendo altri autori prima di lui,
come dicono che Procida anche da questa
per un terremoto si dividesse, dimostrandolo il suo nome, che abscissa vuol dire; il
medesimo Pontano scrive 60 anni avanti de’
suoi tempi haver buttato fuoco la detta isola,
e non vi è dubbio che ci appajono vestigi
d’incendio, particolarmente dalla parte del
bosco di Fontana sino a Celsa, dove si dice
le Cremate, per un miglio di lunghezza e
due di larghezza, vedendosi il territorio, che
era il più bello e fertile dell’isola, bruciato,
asserendo il detto Pontano ed altri autori nel
1301, sotto Carlo II d’Angiò, essere uscito
dalla terra un gran fuoco solfureo che consumò detto paese, bruciando per due mesi
continui, divorando una villa che al fine
s’inghiottì la terra. In un luogo, che oggi
si dice Castiglione, ed appajono rovine di
gran fabriche con piscine uguali a quelle di
Cuma, e vi sono bagni e sudatorj, vogliono
che fusse l’antica città edificata, o da’ cumani calcidici, o eritrei, o pure da Gerone,
o da quello ristorata e cinta di mura, poi abbandonata per terremoti o altro; si ridussero
gli abitanti alle ville di Trista, Casa Miccia o
Nizzola, Lacco, ed altre. Sopra uno scoglio
di viva selce di 7 stadi di giro sta la città e
14 La Rassegna d’Ischia 3/2009
castello, a cui si passa per un lungo ponte
di fabrica da Celsa; s’entra per porte ferrate
custodite da’ soldati paesani, havendo per
la lo­ro fedeltà ottenuto questo privilegio,
e si sale per una cava. Alfonso d’Aragona
la rese più forte con muraglie e guarnilla
d’artiglieria; oggi è la città quasi tutta
diruta, non abi­tandovi troppo i cittadini, e
quando il mare è tempestoso, trapassando
il ponte, non vi si può andare senza periglio
d’esser sommerso. Prefetto o governatore
perpetuo dell’isola è il marchese di Pescara
d’Avalos, con giurisdizione civile e criminale, ottenutolo la ca­sa per li suoi servigi ai
regnanti, e sua fedeltà. Sono i cittadini esenti da’ pagamenti fi­scali. I castelli dell’isola
sono: Celsa, ch’è il borgo della città, nel
lido dell’isola passato il ponte, Panza
Fontana, divisa in due, Testaccio, Barano,
Campagnano, Mono­pane, Piano, Lacco,
Trista o Tresta, Casamiccia o Nizzola, e
Forio detto ancora Forino; è quest’ultimo il
più abitato dalla parte occidentale, guarnito
di dodici torri, e mura con genti di valore.
Vuole Jasolino che dicesi Fiorio perché
fiorì al mancare degli altri per l’incendj;
vi si è fatto ultimamente un picciol molo,
dal quale si trasporta quantità di vi­no per
Roma ed altrove. È l’isola abbondante
di giardini e ville deliziose: vi era presso
Celsa quella di Pontano, della quale ve ne
sono le memorie ed il nome; vi è la villa
det­ta Chiumano, cioè Cumana, amenissima
e fertilissima; il giardino già dei signori
Guevara, detto Ninfario; altro luogo detto
il Giardiniello, ov’è il Bagno del Gradone;
il Gi­glio, dove fassi ottimo vino; essendo
per altro tutto il vino che produce gagliardo
ma fumoso, bench’ei sia Greco, Coda di
Cavallo, ed altri vini, che, traficati e navigati in Roma, Firenze, Genova, ed altrove,
riescono esquisiti. Produce il terreno cardi
e carcioffi in quantità, e buoni; abbonda di
garofali, che per la terra arenosa nascono
in mol­titudine grande, ma tosto seccano; è
abbondante infine di fichi, azzaruoli, pere
moscarelle e di tutte le sorti, e d’ogni altro
frutto desiderabile. Ricca è di cacciagione
di le­pri e conigli, starne ed altri uccelli, e
vi erano i fagiani in gran parte distrutti, e
vi si por­tava a deliziarsi alla caccia il Re
d’Aragona. V’è un largo, detto la Sedia,
dove fu una gran quercia e si dice il riposo
del re; vicino una fontana intagliata nel
sasso, e vicino il castello di Panza erano
gli edificj per delizie del Re. C’habbia
l’isola miniere d’oro lo scrive Strabone,
e dicono essere a Campagnano, vicino la
cappella di San Sebastiano, havendone fatto
prova i signori veneziani, e se ne vedono
ne’ bagni dell’oro, di cui dirassi, i segni.
Le sue arene nere e tirate dalla calamita
dimostrano le miniere di ferro, né altrove si
ritrovano simili. Nel Monte della Guardia vi
sono le miniere dell’alume, cavato ancora
dalle pietre bruciate, da un genovese. In
un luogo detto Crovoni vi è una miniera
di pietre molari, e vi si dice la Molara. Per
l’isola sono undici fonti d’acque fresche,
e trentacinque di calde per bagni, cinque
luoghi d’arene, diciannove sudatorj, ed il
fango medicinale di Fornello. Vi è un lago
d’un miglio, che nudriva folighe in gran
quantità, a’ quali si dava la caccia ne’ tempi
di San Martino, ma per­ché cagionava aria
cattiva, introdottovi il mare, più folighe non
vi regnano, o rarissime, allora che prima
se ne uccidevano delle migliara, ed erano
grasse, o per un’erba che vi mangiavano,
o per l’acque che vi scaturivano salutifere
e buone ad ingrassare.
Nella cala detta di San Montano vi sono
aperture della terra, donde esce un vento
molto caldo. In un altro luogo, detta la
Fichera, vicino al Monte Sant’Angelo, vi è
un sudatorio e bagni, e vi si esalano vapori
con tanto strepito, che inducono timore
agli abitanti convicini. I paesani, perché
forse di natura ignea, sono pronti alle risse
ed allo spargimento di sangue, e benché
per lo più siano poveri, ad ogni modo non
mancano nobili famiglie, come sono: la
Cossa, o Salva Cossa ch’è la medesima,
del­la quale famiglia fu Pietro conte di
Bellante, che resse l’isola per Federico, la
Mellusia della Stella, Incerbera, Incorvera, Mansa, Navarra, Innarza Spagnuola,
Torella, Capece, Lamberta, Palagana, Afflitta, Imfrisca, Rossa, Canuta, Amalfitana,
Guarina, Martina, Pagana, Manozza, che
contendea facendo sequela con la Cossa,
una parte seguendo Alfonso, l’altra Renato,
Malfia, Torre, Pappacoda, Papa, Calasirta,
Barba­ra, Galatola, Mano, Manocchia ed
altre, alcune delle quali sono oggi estinte.
In quanto all’ecclesiastico è retta dal suo
vescovo, ed ha comoda prebenda, benché
fusse anticamente maggiore, e poi per l’incendj diminuita. Tra’ quali vescovi è stato:
monsignor Innico d’Avalos de’ marchesi
di Pescara e Vasto; don Francesco Tontoli
de’ padri somaschi di Manfredonia; don
Antonio del Vecchio, già canonico di Capua; don Girolamo Rocca de’ nobili di Catanzaro, famoso giureconsulto che ha dato
alle stampe diversi trattati legali, col titolo
Disputationum Juris Selectarum; don Michel’Angleo Cotignola, che fu già canonico
della Cattedrale di Napoli, uomo d’integrità
di costumi e di lettere, che rinunciata la mitra è passata in don Luca Tra­pani, vivente,
che dignissimamente la regge. Nella città,
o sia castello, è la Basilica Vescovale, con
le chiese della Santissima Trinità; San Ni-
colò; Santissima Annunzia­ta; Santa Maria
della Torre, edificata dalla famiglia della
Torre, estinta, e dedicata a Santo Stefano;
Santa Maria d’Ortodonico, detta così dal
luogo dove è situata, risto­rata da Costanza
Canetta; ma sono maltrattate dal tempo. Nel
borgo di Celsa vi è Santa Maria della Scala
de’ padri agostiniani, i quali nell’anno 1601,
facendo non so che fabrica, ritrovarono un
vaso di creta ornato d’oro con l’imagine
della Vergine Annunziata e gigli scolpiti,
pieno di monete d’oro. Vi sono le chiese e
conven­ti di San Francesco e di San Domenico, e monisteri di monache.
Nel Lacco la chiesa di Santa Restituta
de’ padri carmelitani dicono haver i corpi
di due santissime vergi­ni e martiri, santa
Restituta ed Oliva, o Olivata; della prima
altrimente dice il Marti­rologio, cioè che
sotto Valeriano nell’Africa fu martirizzata
e posta sopra una navi­cella di stoppa e pece
piena, accioché fusse bruciata, fu portata
miracolosamente nell’isola d’Ischia, ma
che poi Costantino le fabricasse una basilica
in Napoli, ove si stima trasferisse il cor­po,
leggendosi all’altare di detta chiesa attaccata all’Arcivescovato: “Corpus Sanctæ
Restitutæ”. In quanto a sant’Oliva, di due
sante con tal nome fa lo stesso Martirolo­gio
menzione, una di Palermo, l’altra di Anagni: della prima non si è ritrovato anco­ra il
corpo, che dall’Africa, ove fu martirizzata
sotto Genserico, fu trasportato nella sua
patria, e sepellito in un campo, che si dice
di Sant’Oliva; questa d’Ischia esser potrebbe qualche altra santa Oliva o Olivata.
Hanno ancora le chiese qualche cosa di
buono, avvegnaché in Casa Miccia nella
parrocchia dedicata alla Madalena evvi un
quadro della santa del cavalier Farelli; nella
congregazione di essa una Schiodazione del
Signore dalla Croce di Andrea Vaccaro; nella congregazione di San Rocco una tela del
Giordano; nel Rosario del Lacco un quadro
della Vergine del det­to titolo di buonissima
mano, ed un’altra tela d’Agostino Beltrano;
èvvi ancora una Vergine Assunta ed un
Crocefisso molto belli, di legno coloriti,
di Gaetano Patalano, stimabile scoltore in
legno del detto paese (1).
Si celebra festa e fiera di santa Restituta
di maggio, e nel chiostro della sua chiesa
1) Questa fonte, già nota al prof. Agostino
Di Lustro, gli suggerì una più ampia ricerca
sui due scultori lacchesi e ne trovò molte
opere soprattutto in Spagna e in varie località dell'Italia Meridionale. Le sue ricerche,
prima riportate su La Rassegna d'Ischia,
furono successivamente pubblicate nel volume: A. Di Lustro e G. Borrelli, Gli scultori Gaetano e Pietro Patalano tra Napoli e
Cadice, Arte Tipografica, Napoli 1993.
sono alcuni epitaffj di sepolcri di gentili,
e se ne ritrovano con occasion di fabriche
sotto terra. L’urna che serve per l’acqua benedetta era di quei tempi per conservarvisi
le ceneri, come si legge dall’iscrizione.
Da molte guerre è stata l’isola travagliata,
oltre le sue intestine della famiglia Cossa
e Manozza. Nell’anno 1135 la saccheggia­
rono i pisani; nel 1295 per ordine di Carlo
Secondo d’Angiò andarono sotto la condotta del Re d’Aragona, genero di Carlo,
4000 soldati a distruggerla; nel 1328 Giovanni Caracciolo volle più tosto essere in
una torre bruciato che rendersi; ribella­tasi
l’isola a Federico Secondo, Pietro Salva
Cossa la liberò da’ napoletani, che con
nove navi erano venuti ad assalirla, per
aver voluto gl’isolani un ducato per botte
di vino; nel 1301 per due mesi, come si è
detto, bruciò l’isola, come scrivono molti
col Colenuccio; Luigi d’Angiò nella festa di
santa Restituta assaltò il borgo e, prenden­do
le genti, fu d’uopo per riaverli per metterli
il porto. Alfonso, discacciando dalla città
gli antichi abitatori, la fece colonia degli
spagnuoli o catalani, facendoli casare con le
vedove o zitelle, per renderseli amorevoli,
fortificando il castello, e ne diede il governo
a Lucrezia d’Alagni sua donna, havendole
sostituito Giovanni Torella: ne nacque perciò, morto Alfonso e regnando Ferdinando,
una terribile guerra, non vo­lendo Giovanni
restituirla. La resse ancora Francesco Scondito prima per la regina Giovanna. Presa
Napoli da Carlo Ottavo, qui Ferdinando
con le reliquie del suo esercito si ricoverò,
e perché il castellano non volea riceverlo,
il Re dicendo che volea parlarli da solo a
solo, introdotto nella porta del Castello, con
la maestà atter­rendolo, l’uccise di propria
mano, ed introdusse i suoi, impadronendosi del Castello, ove si trattenne finché fu
richiamato al regno. Fatto governatore da
Federico, il Mar­chese del Vasto la ritenne
per lo detto re, ancorché quello gli scrivesse
che si rendes­se al Re di Francia. Tanta è
stata la fede della casa d’Avalos. La sostenne con animo eroico Costanza, sorella
del Marchese di Pescara e del Vasto, contro
l’impeto dell’armata francese. Fu da Ariadeno Barbarossa corsaro, per dispetto del
marchese detto assaltata, e saccheggiate le
ville di Forio, Pansa e Varano, non bastando
alla povera gente salvarsi sopra il Monte
Aboceto, conducendone, i barbari, schiavi
4 mila huomini; come è spesso soggetta a
scorrerie di turchi, mori ed il peggio de’
rinegati. Vanta l’isola sotto Roggiero alcuni
della famiglia Cossa generali dell’armata
marittima di 25 galere; come anche la fa­
miglia Maramaldo, Giudice ed Amalfitana.
Ha prodotto buoni ingegni nelle lettere, ed
ottimi soldati nell’armi; e fra i letterati non
poca lode meritò Fabio Oronzio, che fece
un poema toscano intitolato L’Europa.
E non poco obligo ha l’isola a Giulio
Jasolino, famoso chirurgo, che ravvivò i
suoi antichi bagni, quasi tutti dispersi, descrivendone le virtù diffusamente, che sta
sepellito in Santa Chiara di Napoli; ed altro
tanto obligo deve a Francesco Lombardo,
me­dico napolitano, che gli celebrò in versi,
rendendosi famosa oggi la detta isola più
per li detti bagni salutari, che per le favole
antiche de’ Tifei, o per gli antichi abitanti
eritrei, calcidici e cumani, e dominio di
Gerone, e degli antichi vasi grandi di creta,
de’ quali anche se ne ritrova qualcheduno
e se ne mantiene la memoria in tante fornaci, che ne sanno per haver la comodità
della creta; ma de' bagni scrissero Rainero,
Solenandro, Antonio Baccio, il Savonarola,
Gio­vanni Elisio, ed altri autori antichi e
moderni oltre i sudetti.
[...]
Dell’isola di Procida
§ VIII. È quest’isola deliziosissima detta
di Procida, come vogliono alcuni, perché
vi fusse sepellita la Nudrice di Enea, ma
Plinio dice essere stata divisa dall’Enaria,
o Ischia, quasi abscissa, tanto più che dice
Virgilio haver dato la nudrice d’Enea il
nome a Gaeta, con la sua morte, ma sono
poetiche invenzioni. Il nome npoucim greco par che venga dal dividere, onde esser
per terremoto dalla detta Inarime, o Ischia,
divisa, seguitando Strabone diremo come
Sicilia dal Regno di Napoli, Cipro dalla Siria, Eubea dalla Boezia, e Licosa o Leucosia
dal Promontorio delle Sirene. Il Sannazzaro
poetizando disse che per lo moto di Tifeo
gigante, che volea inalzarsi dal peso dei
monti che tiene addosso, venendo perciò il
terremoto si dividessero le due isole; Silio
dice, che sotto Procida vi sia sepellito un
altro gigante detto Mimante, ma sono poeti;
come il Pontano che “bellissima Ninfa”
l’appella, e descrive con figura vaghissima
e capricciosa. Or lasciando queste favole da
parte, è l’isola 7 miglia di circuito, lontana
da Ischia due, e da Pozzuoli otto, e da
terra ferma al Fumo da quattro o cinque;
per lo più è tutta piana, e particolarmente
nella cima, ove il cardinal detto d’Aragona
seniore edificò un palazzo, nel cui cortile si
può giocare a palla.
Il suo Castello, o palazzo a guisa di castello, fu col disegno di Benvenuto Tortella
architettato, e finito da Giovan Battista Cavagna. Vaghi giardini vi fecero i marchesi
di Pescara e Vasto. Tiene un doppio lido, o
porto, abitato uno verso occidente, detto il
Cattolico, con ospizj, case, chiese e giardi-
La Rassegna d’Ischia 3/2009 15
ni; l’altro verso l’oriente detto Corricella, abitazione di pescadori,
ed in su la cima è il detto palazzo con altre abitazioni e Chiesa
Cattedrale sotto giurisdizione ecclesiastica dell’arcivescovo di
Napoli. Abbondante è l’isola di frutti, dolcissime uve e fichi ottate, che sono i primaticci a maturarvi, che si portano in Napoli;
ha cardi, carcioffi e finocchi, grossi e gustosi a mangiare. Per la
caccia vi abbondano lepri, e gran quantità di conigli selvaggi e
d’uccelli, fra’ quali i fagiani e francolini, riserbati però a’ padroni;
e vi si sono portati alla caccia anche i viceré. Non minore è la
pesca, abbondante di tutte le sorti di pesci, ed in uno scoglio o
isoletta che ha dirimpetto, detto Santo Martinello, vi si fa l’estate
preda di quantità di tonni.
Poco da lei divisa verso Ischia è l’isoletta o Scoglio di Vivara,
prima solo ricetto di conigli, oggi resa fertile con la coltura.
Le chiese di detta isola sono: quella di San Michel’Arcangelo, abbaziale prima del detto cardinal d’Aragona seniore, poi
del cardinal Bellarmino; quella di Santa Margherita, che da un
luogo dove era la caccia, per non disturbarla, fu trasferita tra le
muraglie, e governata da’ padri domenicani, e dicono che hanno il corpo di santa Margherita, ma s’ingannano, essendo stata
quella martirizzata in Antiochia secondo il Martirologio; quella
di San Vincenzio Ferrerio, ove fanno celebrarvi i domenicani
istessi, benché non vi stanziano. Nel mezzo dell’isola è la chiesa
della Santissima Annunziata, che era già metropolitana, e vi era
un monistero di donne, che per timore de’ turchi, che spesso vi
facevano scorrerie, furono trasportate in Santa Patrizia, restando
al luogo il nome di Monastile. Soleano le dette monache celebrare
la festa della Vergine Assunta, e distribuire detto giorno noci e
vino.
Che fusse di Procida quel Giovanni che ordì la terribile congiura del Vespro Siciliano vogliono molti autori, fra’ quali il Petrarca;
il Colennuccio dice che fusse medico di Manfredi re; il Fazello
che fusse il signore di Procida. I salernitani additano un marmo
che fusse loro cittadino, e della famiglia Procida. Qualunque sia
la verità egli è famoso per haver tolto a Carlo d’Angiò un regno
e datolo a Pietro d’Aragona, da cui hebbe, con molti feudi e titoli,
l’onore di gran cancelliero di Valenza. Da questo passò il dominio dell’isola alla famiglia Cossa, che anni sono la permutò con
Presenzano e Pietra Bairana, col consenso di Carlo V, passando
il dominio alla casa d’Avalos. Giovanni sudetto di Procida hebbe
un fratello di nome Landolfo, onde l’Ammirato lo fa di stirpe
lombarda. Si ritrova nominato un Tomaso di Procida, padrone
di Capri, Ischia e Procida. Prima del detto dominio degli Avalos
hebbe un Matteo Cossa gran camerario, giustinziero e generale
dell’armata di Carlo I, di cui ve n’è memoria in un marmo in
Ischia; un Giovanni da cui nacque Baldassar Cossa pontefice,
detto Innocenzo III, e molti altri eroi della detta famiglia, siniscalchi, marescialli e titolati: d’un altro Giovanni signore di Procida
ve n’è un marmo nella Cattedrale d’Ischia, morto il 1390; un
Michele che n’hebbe la giurisdizione dalla reina Giovanna II, che
seguì la parte d’Alfonso contro ser Gianni Caracciolo; un Pietro,
16 La Rassegna d’Ischia 3/2009
figlio di Michele, che fu da Ferdinando liberato dall’assedio di
Giovanni Torella, il quale per dispetto seguì poi le parti degli
Angioini; un altro Michele; un altro Pietro; e l’ultimo Michele,
in cui si fece la permutazione sudetta con i signori d’Avalos.
Teatro di tragedie fu Procida nella morte d’Alfonso I, havendo
il detto Torella, violando la fede, eccitato i militari tumulti. Qui
dicono alcuni che si refuggiasse Ferdinando, fuggendo da Carlo
VIII, e poi passasse ad Ischia.
Saccheggiata fu l’isola dal corsaro Barbarossa, che havea
depredato Sorrento; ed ogni giorno sono molti infelici pescadori
fatti cattivi da’ corsari, particolarmente da’ rinegati, che vengono
barbaramente ad oltraggiare la patria, uno de’ quali fu un infame
detto Coperchiulo. Dirimpetto all’isola è il più vicino terreno del
lido di Cuma, ov’è un luogo che si dice il Fumo, ma Nuovo, perché altro luogo detto il Fumo Vecchio è dirimpetto ad Ischia.
Dell’isola di Nisida
§ IX. Quest’isola è situata dietro la punta di Posilipo verso
Pozzuoli, e proprio dirimpetto al promontorio detto Coroglio.
Vogliono alcuni che fusse anche unita al continente, e che vi
fusse la grotta cavata da Lucullo, che poi caduta restò isola; altri
che per mezzo d’un ponte si congiungesse con terra ferma.
Però sin dal tempo di Cicerone isola è da lui chiamata, tanto
più che lo stesso nome antico di Nisis, o Nesis dal greco, altro
che isola non importa; e dice lo stesso Tullio, che fusse in potere
di Lucullo, onde la grotta che questo vi fece e poi cadde; stimo
che fusse presso l’altra isoletta detta Euplea, ora Gajola cioè
Caveola, o per esser a forma di gabia, o per le cave che vi erano.
Fa menzione d’Euplea come diporto Stazio, dicendo: “Inde Vagis
omen foelix Euplea carinis”.
Finsero ancora Lucano ed il detto Papinio Stazio che eruttasse
aneliti pestiferi esalati da Tifone, lo stesso Gigante sepellito
sotto l’Isola Enaria; e che buttasse fuoco e fumo, essendo parte
di Posilipo, dice lo stesso Stazio; segni di luoghi che buttassero
fuoco qui non si vedono tra i colli che egli dice, né acque calde; di
aere cattivo per alcune selve che vi erano, o più tosto per l’acque
morte che ha dirimpetto de’ Bagnuoli e di Campegna, potrebbe
essere che fusse stata; ad ogni modo d’aria benigna par che oggi
sia, o perché si tagliassero le dette selve, o perché ben coltivata.
Ninfa favolosamente la chiamano il Pontano e Sannazzaro, di
cui fusse innamorato Posilipo.
D’un miglio e mezo è il suo circuito, con due porti: uno dalla
parte di terra verso Campegna, l’altro verso mezo giorno detto
Porto Pavone, perché a guisa della coda d’un pavone. Nel primo
possono ricoverarsi galere e vascelli, ma pochi; nell’altro solo
piccioli legni. Nel porto verso terra vi sono poche abitazioni con
una chiesetta, forno ed osteria. Si sale all’isola per una porta, ove
si legono in marmo questi versi:
Navita siste ratem, temonem hic, velasque.
Meta laborum hæc est, leta quies animo.
Nella sommità v’è un castello che riguarda attorno il mare con
qualche pezzetto d’artiglieria. Potrebbe essere che Niseo fusse
detta da’ greci, giacché vicina a Megara, anche di nome greco. Fu
già nobile abitazione de’ duchi d’Amalfi, indi passò per compra
ad Alfonso Piccolomini, che vi celebrò solenni conviti con spese
alla regale; da Piccolomini passò al Principe di Scilla, e da questi
alla città di Napoli, poi al Principe di Conca, e di nuovo alla città.
Vi è memoria che fusse assignata da Costantino il Grande alla
chiesa di Santa Restituta, e da’ vescovi conceduta in censo, o
con altro titolo, a molti secolari, per fine venduta a diversi; dalla
famiglia Astuto è passata per dote alla Petrone, che la possiede.
Fu la detta isola celebre per gli asparagi, come dicono Plinio e
Stazio; avea caccia di fagiani, ora non ha altro che conigli; è
fertile d’olive ed uve, essendo molto ben coltivata.
L’isola, o scoglio, che tiene dirimpetto detto il Copino, o Chioppino, serve per purgatoro delle robbe e mercanzie che vengono
da luoghi sospetti. Ha molte comode stanze per tal effetto, con
epitaffio del viceré che lo fece per le merci e per le genti. È lo
scoglio tutto voto, entrandovi il mare, di maniera che si può da
un capo all’altro passare con filuca sottile. È poi la detta isoletta
Euplea, o Gajola, e vogliono che vi fusse un Tempio di Venere
Euplea, e vi si vedono infatti molti edificj antichi diruti. Tra lo
stretto dove passa il mare vi è un antico tempio, o fussero terme,
o altro, o il Tempio della Fortuna, o di Venere, che chiamano la
Scuola di Virgilio, come se Marone fosse stato pedante.
Altri segni del Tempio della Fortuna si ritrovano al Capo di
Posilipo, ove sono le case del dottor Francesco Maria Mazza;
vedendovisi case, edificj antichi, piscine, e fabriche d’opra reticulata e laterica, con basi e pezzi di colonne; vi si sono ritrovati
busti, teste di statue, vasi e lapidi sepolcrali cavandosi; essendovi
una picciola chiesa, che un tempo fu detta Santa Maria a Fortuna,
per lo detto tempio, ora detta del Faro Abbaziale, oggi d’uno della
detta casa Mazza. Il padrone del luogo non ha molto ritrovovvi
un mezo busto del figlio di Pollione, e perché si dice che qui
fusse la celebre peschiera di Vedio Pollione, egli imitandolo ve
n’ha fatta una, benché picciola, adornata di mezi busti di marmi
antichi, dove nudrisce pesci domestici. Sicché si può conjetturare
che alla Gajola dove si dice Scuola di Virgilio fusse il Tempio di
Venere Euplea, o Dori, e nel Capo di Posilipo, dove ritrovossi
l’epitaffio che dicea:
Vesorius Zeloius post assignationem Ædis Fortunæ signū
Pantheon sua pecunia D. D.
fusse il Tempio della Fortuna, uno vicino all’altro, che hanno
dato doppio nome alla chiesa di Santa Maria a Fortuna e poi
a Faro, ove si celebra una galante festa con concorso la prima
domenica doppo Pasqua di Resurrezione, essendovi una divotissima e miracolosissima imagine della Vergine; e con questo
termina il semicircolo di Miseno a Posilipo, di cui si disse nella
prima parte di Napoli.
ve ne resta, c’ha l’entrata molto oscura, ma in un lucido seno per
la riflessio­ne dell’acqua termina molto dilettevole.
Nei lidi si vedono vestigj d’edificj antichi del fasto romano, ora
divenuti scogli e ri­cetto di crustacei. Che vi regnassero Telone,
figlio d’Ebalo e della ninfa. Sebetide, e Telabeo lo cava Servio
da Virgilio, e che i popoli teleboi uscissero da Capri, che prima
erano di Samo, come dice Silio; e Stazio dice che v’era il faro,
o linterna, per far lume a’ naviganti. L’occuparono i greci, che
s’impadronirono di tutte l’isole del Mar Tirreno. Fu detta Teleboia dal detto re, e Paphia, secondo Plinio, per detti greci che vi
vennero.
La dominarono i napolitani donde furono discacciati; ce la rese
Augusto cambiando­la con l’Enaria, cioè Ischia. Inutile chiamolla
Dione; illustrata da Augusto la dicono Strabone e Svetonio,
ove portatosi per ricovrar la salute, ne prese fortunato augurio,
vedendo rinverdire un’elce secca; onde vi fece gran palaggi
buttando a terra quello inalzato dalla nipote Giulia, ornandoli
di statue, pitture, giardi­ni, boschi e cose rare, e vi fece celebrare
giuochi e comedie, facendo vestire i romani alla greca ed i greci
alla romana, dal che nacquero le comedie togate e palliate, delle
cose ro­mane e greche, facendovi prefetto Masgaba a lui caro.
Vi si portò poi Tiberio per farla scena delle sue lascivie, chiamandola a ragione perciò, il Petrarca, infame e infelice isola; vi
venne quest’imperadore per allontanarsi dagli affari dell’imperio, lasciatane la cura a Liceo e Sejano, che ne disponea come
signore, chiamando sé imperadore, e princi­pe d’un’isola Tiberio,
che poi fece punire, come si ha dalle Istorie; rilasciato Tiberio il
freno alle sue sceleraggini in detta isola, attendendo alla crapula,
all’ubriachezza ed alle libidini, ne ottenne in vece di Claudius
Tiberius Nero, la versione Caldius Biberius Mero. De’ modi
delle sue lascivie né penna pudica può scriverne né l’onestà lo
permette; ben­ché nelle monete da lui coniate si vedano l’infami
Spintrie, oltre le Sellarie ed i libri d’Elefantide e Sibandici, ed
altri, che per modestia si tacciono. Ridicolo è il fatto d’un pescadore, e lagrimevole assieme, poiché credendosi Tiberio che niuno
potesse a lui an­dare senza passare per le guardie, stimando non
esservi altra che una strada per salire al suo palazzo su la cima
del monte, essendoli il pescadore comparso avanti con due grosse
triglie, stupido l’Imperadore domandò per dove fusse avante di
lui venuto, e rispo­sto da quegli per una strada asprissima a lui
solo nota, comandò allora Tiberio che i sol­dati gli havessero
strufinato in faccia le triglie, e dicendo il pescadore “meno male
che non portai lagoste!”, ordinò Tiberio che, prese due lagoste,
con 100 quelle se li fusse stru-finato il volto. Fece divenire lo
stesso tiranno l’isola una carnificina per la crudeltà, fa­cendo precipitare, per l’altezza delle rupi, nel mare alcuni infelici, ed indi
dalle genti del­la sua armata, se vi restava in essi qualche poco di
spirito, gli facea uccidere con i remi. Cadde a’ suoi tempi la detta
Torre del Faro per un terremoto. Andovvi nell’isola, chiama­to
da Tiberio, Caligola, ove prese la toga, e si levò la barba senza
onore, com’era succes­so a’ fratelli. Vitellio ancora, tra’ fanciulli
Dell’isola di Capri
§ XVII. Infame nido di Tiberio ed altri imperadori, per le sue
delizie, fu già l’isola di Capri, che Caprania disse Sifilino, e Caprina Tolomeo, Capraja Giuliano in Augusto, e Senaria Marziano,
e Telentea, se pure d’altre isole non parlano, come della Palude
Caprea avanti Roma. Tacito “Capreas – dice – se Insula abdidit”,
parlando di Tibe­rio, dove conta dodici ville e spelonche destinate
alla sua libidine. Tito Livio disse le dette ville haver i nomi de’
dei. Strabone però due sole ville l’assegna. Delle spelon­che una
La Rassegna d’Ischia 3/2009 17
cinedi di Tiberio, visse un tempo in Capri.
Lu-culla e Crispina, sorelle di Comodo, vi
furono relegate. Alfonso, contendendo del
Regno con Renato, prese il Castello che
fu già delizia e nascondiglio di Tiberio,
ed impa­dronitosi dell’isola, venendo una
galera di Francia con denari per Renato,
non sapendo che era pervenuto il luogo in
mano d’Alfonso, fu presa dagli aragonesi,
combattendo la fortuna per lo re d’Aragona, come dice Bartolomeo Facio, ed Enea
Silvio. Vi sono in detta isola al presente la
città di Capri, con una rocca per custodirla,
ed Ana Capri casale, o castello, posto sopra
la cima altissima d’un monte, in cui si sale
per sca­glioni intagliati nella pietra viva. Si
dice Ana Capri dalla parola greca ’Aνώ,
che sopra vuol dire. Verso tramontana ha
diverse abitazione disperse, attendendo
gli abitanti alla pesca ed alla nautica, ed
a far galere servendo nell’Arsenale Regio
di Napoli, onde per­ché sogliono lasciar le
mogli sole, ottennero dal re che i relegati
nell’isola la notte fusse-ro astratti a dimorar
in Ana Capri; sono quei di Capri ed Ana
Capri nemici, fa­cendosi dispetti gli uni e gli
altri, onde quei d’Ana Capri, domandando a
Carlo V imperador la confirma de’ privilegj
de’ re d’Aragona, si lagnarono de’ capritani
che loro bruciavano i campi e le barche, e
l’usurpassero la pesca dell’aguglie, onde
chiesero che il governadore dimorasse
tre giorni della settimana in Ana Capri
ad amministrarvi giustizia. Sono liberi da
gabelle e pagamenti fiscali, per privilegio
possono andar armati per l’isola, so­no stati
fedelissimi agli Austriaci e vivono in gran
povertà, essendo i poveri paesani e marinari
spesso preda de’ turchi. Vantano la nobiltà
negli Arcucci, venuti da Amalfi ad abitarvi, ed i Faraci. Eliseo Arcucci fu padrone
di Capri, essendo generale dell’armata di
Federico imperadore, Panzello Arcuccio
signore di molte navi, e Giacomo signor
di Capri, conte di Altamura e Minervino,
gran camerario della regina Giovanna I,
di cui si vede una moneta con l’armi degli
Arcucci da una parte, e quelle della Regina
dall’altra; onore anche concesso alle famiglie del Balzo, Zurli, Piscicelli, Caraccioli,
Capeci e Davali, come maestri della zecca
della nuova moneta. Della famiglia Farace
si ritrovano molti cavalieri e prattici comandanti nella nautica, e vi sono anche nobili
delle famiglie Strina, Poderici, Rossa, Mazzola ed altre, benché alcune estinte. Nello
spiritua­le ha ella il suo vescovo, il quale
per lo più cava la sua prebenda dalle caccie
che vi si fanno, essendo abbondantissima
particolarmente al passaggio delle quaglie,
delle torto­re e di tutti gli uccelli pellegrini.
La sua maggior chiesa era dedicata a San
Costanzo, un miglio e mezzo lontana dalla
città di Capri, ove si venerava il corpo del
detto santo loro protettore, che dicono
quei di Massa preso di loro conservarsi.
Trasferita la basilica nel­la città, fu consecrata a Santo Stefano protomartire, ch’è la
parrocchia maggiore; vi so­no poi le chiese
di San Lorenzo, San Salvadore, San Anello,
San Giovan Evange­lista, San Severino,
San Vincenzo, San Giovan Battista, Santa Maria della Scala de’ Raccomandati,
Sant’Antonio, San Nicolò, Sant’Andrea di
Porto. L’altra parrocchia ha il titolo di San
Pietro; nella chiesa di Santa Sofia sogliono
unirsi i relegati. Il monistero e casa da’ cartusiani consecrati a San Giacomo Minore,
fratello di san Gio­vanni Evangelista, di cui
tengono un braccio, fu edificato e donato
da don Giacomo Arcuccio, fortificato con
torri e fatto ad imitazione di quello di San
Martino ne Monte di Sant’Erasmo di Napoli, ov’è la sepoltura del fondatore Giovanni
Camerario, conte d’Altamura e Minervino;
vi è la memoria ancora di Giovan Nicola
Arcuccio, che morì in Roma, ove si era portato per divozione. Presso il lido, a canto del
monistero di San Francesco, vi sono quattro
fonti, uno de’ quali si dice Acqua del Mare,
l’altro il Truglio, il terzo di Acqua Viva ed
il quarto Marocella, ed ultimamente verso
mezzo giorno è sgorgata una gran quatità
d’acqua. In Ana Capri vi è la chiesa di Santa
Maria Citalia, o a Cetrella, sopra del monte
con un romitagio, ove ultimamente scavan­
dosi si ritrovorono e statue ed un pavimento
di pietre rare commesse, molto stimabile;
vi è Santa Maria parrocchia, la Santissima
Annunziata, San Nicolò un tempo parroc­
chia, Santa Sofia, San Pietro e San Giovan
de’ Romei.
Arianna Huffington è la vincitrice della XXX edizione
del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo
Arianna Huffington, fondatrice di “The Huffington Post”, considerato il sito di opinione più influente al mondo, è la vincitrice della XXX edizione del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo.
Il Premio Ischia per i “Diritti umani” è andato ad Armando Valladares, intellettuale cubano imprigionato per ventidue anni
nelle carceri di Fidel Castro.
Per il giornalismo italiano il Premio Ischia è stato vinto da Mario Calabresi, direttore de La Stampa. Lo ha stabilito la giuria
internazionale del premio composta da Valentina Alazaraki, Lucia Annunziata, Paolo Bonaiuti, Emma Bonino, Emilio Carelli,
Gaetano Coscia, Jean Daniel, Derrick de Kerkhove, Giovanni Di Lorenzo, Giovanni Floris, Timothy Garton Ash, Franzo
Grande Stevens, David Grossman, Joaquin Navarro Vals, Gianni Riotta e Peter Stothard che si è riunita in videoconferenza
mondiale presso la sede della Vodafone Italia a Roma
La motivazione della giuria ha evidenziato come l’Huffington Post abbia ospitato i contributi di personalità appartenenti
al mondo della politica, del giornalismo, dello spettacolo e dell’economia (basti pensare a Barack Obama, Hillary Clinton,
Norman Mailer, John Cusack, ecc.) e sia diventato un modello di giornalismo alternativo.
Nella scelta del vincitore del Premio Ischia per i diritti umani ha influito la decisione di Amnesty International che ha adottato
Armando Valladares come “prisionero de conciencia”, promuovendo una campagna per la libertà sostenuta da intellettuali,
politici e giornalisti di tutto il mondo.
Un riconoscimento speciale è stato assegnato ad Augusto Minzolini.
Tutti i vincitori hanno annunciato la loro partecipazione ai festeggiamenti in occasione della XXX edizione del Premio e la
partecipazione ai convegni di approfondimento su “Informazione e diritti umani nel mondo” e su “Internet, blog quale futuro
per la carta stampata? “ che si terranno ad Ischia dal 1 al 4 luglio.
18 La Rassegna d’Ischia 3/2009
Alla ricerca di tracce
Pittori tedeschi a Forio e a Sant’Angelo
di Hans Dieter Eheim
Traduzione di Nicola Luongo
Ernst Bursche - Carciofi / Artischocken
Da tempo ero alla ricerca di un bel quadro di fiori. In un grigio pomeriggio invernale
scoprii in una galleria di Hannover gli acquarelli di oleandri, carciofi e anemoni che
subito mi affascinarono. Era la galleria di Christoph Kühl, la cui origine a Dresda risale
agli anni Venti del Novecento. Un periodo in cui “La mostra d’arte Kühl “ diventò una
significativa istituzione per gli espressionisti del “Brücke” (il Ponte), in seguito per gli
artisti del Realismo e della Nuova Oggettività.
Compiaciuto per il
mio spontaneo entusiasmo, il gallerista
Christoph Kühl mi
aiutò a farmi conoscere personalmente
il pittore. Lo potevo
incontrare a Ischia
durante i mesi estivi,
molto probabilmente
a Forio.
Così, più di venticinque anni fa, iniziò
una storia che si concluse nel 2006 con
una visita al ristorante “La Conchiglia” di
Sant’Angelo.
Auf Spurensuche
Deutsche Maler in Forio
und Sant’ Angelo
von Hans Dieter Eheim
Seit langem hatte ich für mich ein schönes Blumenbild gesucht. An einem grauen Winternachmittag
entdeckte ich in einer Galerie in Hannover Aquarelle
von Oleander, Artischocken und Anemonen, die mich
sofort verzauberten. Es war die Galerie von Christoph
Kühl, deren Ursprung im Dresden der 1920er Jahre
liegt. Einer Zeit, als dort die „Kunstausstellung Kühl“
zu einer bedeutenden Institution für die „Brücke“ –
Expressionisten wurde, später dann für Vertreter des
Realismus und der Neuen Sachlichkeit. Erfreut über
meine spontane Begeisterung half mir der Galerist ,
den mir unbekannten Maler der Blumenbilder persönlich kennen zu lernen. Auf Ischia könne ich ihn
während der Sommermonate bis weit in den Herbst
antreffen, sehr wahrscheinlich in Forio.
So begann vor mehr als fünfundzwanzig Jahren
eine Geschichte, die 2006 mit einem Besuch des
Ristorante La Conchiglia in Sant`Angelo zu Ende
ging.
La Rassegna d’Ischia 3/2009 19
K. Schneider - Il porto di Sant'Angelo (Hafen in Sant'Angelo)
Sant'Angelo - Photo Karl Schneider
E. Bargheer - Forio: Maria e il Bar Internazionale
(Bar Internazionale mit Maria)
G. Helmholz - Strade di Sant'Angelo (Strassen in S. Angelo)
H. Purrmann - Il porto d'Ischia (Hafen in Porto d'Ischia)
E. Bursche - Veduta di Forio (Blick auf Forio)
20 La Rassegna d’Ischia 3/2009
Ernst Bursche – Un pittore degli uomini e della natura
Durante i preparativi del mio viaggio all’Isola Verde avevo letto su una
guida d’Ischia notizie sul Bar Maria di Forio, già luogo d’incontro di pittori
e di compositori, di scrittori e di registi, che gustavano il vino o il cappuccino
sotto un pergolato. Maria Senese, la proprietaria, era la dominatrice assoluta
di quel popolo di artisti. Mi recai là appena dopo il mio arrivo nell’autunno
del 1982. Un tassista, a cui domandai di Ernst Bursche, così si chiamava il
pittore che cercavo, mi indicò la strada con un sorriso: «Sì, Sì, Don Ernesto,
naturalmente lo conosco». Lo si poteva incontrare ogni sera al ristorante
“Epomeo”.
Già il giorno dopo trovai Don Ernesto. Con la schiena curva sedeva
davanti a una parete di una stanza
che dava sul retro del locale. Vicino
al Bar Maria, come se volesse anche
allora rivivere la vicinanza dei tempi
andati. Bianchi erano i suoi lunghi
capelli intorno a una faccia intensamente abbronzata, bianca la camicia
ampiamente aperta. Era in piacevole
attesa del filetto ordinato. Accanto a
lui sua moglie in una distinta posizione eretta.
Quando gli spiegai chi ero, da dove
venivo, perché lo cercavo e di essere
contento di averlo finalmente trovato,
rise con una gioia irrefrenabile. «Ma
questa è una cosa incredibile». Ripeté
diverse volte queste parole, sottolineandole con le sue forti mani.
Avevo incontrato Ernst Bursche
- un pittore del circolo culturale di
Dresda intorno a Otto Dix, di cui fu
allievo e anche amico per molti anni.
Dipingeva quadri di uomini, di fiori,
di montagne frastagliate e gravide di
miti, di profondi burroni e di paesaggi
costieri. E un nero uccello rapace,
precipitato al suolo da un cielo blu
pallido. Un uccello morente con le
larghe ali aperte, nel mezzo del distretto di caccia di questo mondo.
Ernst Bursche, che - come mi raccontò una buona amica - si recava alla
Ernst Bursche
Ein Maler von Menschen und Natur
Zur Vorbereitung meiner Reise auf die „grüne Insel“ hatte
ich in einem Ischiaführer über die Bar Maria in Forio gelesen, einem früheren Treffpunkt von bildenden Künstlern und
Komponisten, Schriftstellern und Regisseuren, die unter einer
Laube ihren Wein oder Cappuchino genossen. Maria Senese,
die Besitzerin der Bar, war die unbeschränkte Herrscherin
des Künstlervolks. Dorthin begab ich mich kurz nach meiner
Ankunft im späten Sommer 1982. Ein Taxifahrer, den ich nach
Ernst Bursche, so der Name des von mir Gesuchten,fragte,
wies mir mit einem Lächeln den Weg: „Sì,sì, Don Ernesto,
naturalmente lo conosco“. Jeden Abend sei er im Ristorante
"Epomeo" anzutreffen.
Schon am nächsten Tag fand ich „Don Ernesto.“.Mit
gebeugtem Rücken saß er vor einer Wand in den hinteren
Räumen des Lokals. Nahe der Bar Maria, so, als wollte er
die Nähe zu alten Zeiten auch jetzt noch erleben. Weiß war
sein langes Haar um ein tief gebräuntes Gesicht, weiß das
weit geöffnete Hemd. Er war in freudiger Erwartung auf das
bestellte filetto. Neben ihm seine Frau in vornehm-aufrechter
Haltung.
Als ich ihm erzählte, wer ich bin, woher ich komme, warum
ich ihn zu finden suchte und froh sei, ihn schließlich gefunden
zu haben, lachte er in unbändiger Freude. „Das ist ja ein dolles
sua spiaggia di Forio con una borsa,
con dentro sempre una bottiglia
di vino. Talvolta portava anche dei
carciofi, che collocava sulla sabbia
e dipingeva. Un uomo che amava
soprattutto le rose, i fiori arancioni di
melagrana, i fiori di cactus, di agavi
e di oleandri. Spesso i colori dei suoi
acquarelli sembravano esplodere.
Quelle che trascorremmo insieme
furono per me ore preziose. Un giorno
mi invitò nella sua casa di campagna
tra i vigneti di Forio, in via Chiena.
All’ombra della terrazza bevemmo
vino delle pendici dell’Epomeo.
Guardammo i suoi quadri nell’atelier inondato di luce: con vedute su
Forio – uno dei suoi ultimi lavori - e
sul massiccio dell’Epomeo, sulle
pittoresche insenature e le selvagge
formazioni rocciose. E nature morte
con grappoli d’uva.
In una serena atmosfera parlammo dei suoi anni a Ischia. Talvolta
diventava serio, guardava Forio che
lontana si stendeva sotto di noi, guardava l’antica cittadina fino a Punta
Caruso.
Ding.“ Ein ums andere Mal wiederholte er diese Worte, sie
mit seinen kräftigen Händen unterstreichend.
Ernst Bursche war ich begegnet – einem Maler aus dem
Dresdner Künstlerkreis um Otto Dix, dessen Meisterschüler
und auch langjähriger Freund er war. Er malte Menschen,
und Blumen, mythenträchtige, zerklüftete Berge und tiefe
Schluchten und Küstenlandschaften. Und einen schwarzen
Raubvogel, der aus einem blassblauen Himmel zu Boden
gestürzt war. Ein toter Vogel mit weit ausgebreiteten Flügeln,
inmitten des Jagdgeschreis dieser Welt.
Ernst Bursche, der – wie mir später eine gute Freundin
erzählte - an seinen Sandstrand nahe Forio stets mit einer
Tasche, immer darin eine Weinflasche, kam. Gelegentlich
brachte er auch Artischocken mit, die er in den Sand setzte
und malte. Ein Mensch, der Rosen über alles liebte. Die
orangefarbenen Blüten von Granatäpfeln, die Blüten von
Kakteen, von Agaven und Oleander. Oft schienen die Farben
seiner Aquarelle zu explodieren.
Es waren für mich kostbare Stunden, die wir miteinander
verbrachten. Eines Tages lud er mich in sein Landhaus in den
Weinbergen über Forio, in der via Chiena, ein. Im Schatten
einer Terrasse tranken wir Wein von den Epomeo-Hängen.
Wir betrachteten seine Bilder in dem lichtdurchfluteten Atelier: mit Blick auf Forio – eine seiner letzten Arbeiten - und
das Massiv des Epomeo, auf malerische Buchten und wilde
Felsformationen. Und Stilleben mit Weintrauben.
La Rassegna d’Ischia 3/2009 21
Una serata con Ernst Bursche che volentieri avrei rivissuta. Ma, quando
l’anno successivo percorsi in fretta via Roma e via Cardinale Lavitrano e
infine arrivai davanti alla sua casa, le persiane verdi erano chiuse.
Karl Schneider, che sapeva prendere la vita
per il verso giusto, a Sant’Angelo
In uno dei miei primi viaggi a
Ischia scoprii, a Casa Garibaldi, la
mia pensione a Sant’Angelo, un
acquarello, la cui leggerezza e freschezza di colori mi impressionarono.
Pochi giorni dopo, in un mattino
di primavera, incontrai l’autore del
quadro, Karl Schneider, nel suo
atelier. Tutto in quell’ambiente ben
costruito mi sembrò spartano: i pochi
posti a sedere per gli ospiti, il lungo
tavolo marrone scuro, accanto al
quale lavorava. L’unico ornamento
erano gli acquarelli e i disegni a penna
alle pareti bianche: vedute della sua
casa e del giardino, il piccolo porto
di Sant’Angelo e la Torre, il villaggio
nella tempesta, i paesaggi dell’isola,
una veduta di Santa Maria del Monte
a Forio e il pittoresco porto di pe-
scatori di Procida - una delle mete
preferite del pittore. Quadri, sui quali
talvolta con la penna abbozzava delle
strutture, cioè delle ordinate trame e
un riferimento per colori chiari, suggestivi; il che lasciava intuire la sua
professione di architetto.
Quello che non dimenticherò mai:
la sua laconicità, la sua indifferenza
verso possibili acquirenti; quell’uomo alto, di bell’aspetto, sembrava
del tutto disinteressato a ciò. Per noi
fu l’inizio di una lunga amicizia.
Abitava con la sua famiglia in una
casa singolare su un pendio ripido
presso le Terme Aphrodite-Apollon.
Costruita su suo progetto, ispirato
all’antico stile architettonico ischitano, con spessi, protettivi muri di
tufo, con cupole, archi e soffitti a
In heiterer Stimmung sprachen wir über seine Jahre auf
Ischia. Zuweilen wurde er ernst, schaute auf das tief unten
liegende Forio, über das alte Städtchen hinweg bis zur Punta
Caruso.
Gern hätte ich mehr solcher Abend mit Ernst Bursche verbracht. Aber als ich im folgenden Jahr erneut die via Cardinale
Lavitrano und die via Roma hinaufeilte und schließlich vor
seinem Haus stand, waren dessen grüne Fensterläden verschlossen.
Karl Schneider
Ein Lebenskünstler in Sant`Angelo
Bei einer meiner ersten Reisen nach Ischia entdeckte ich
in der Casa Garibaldi, meiner Pension in Sant’ Angelo, ein
Aquarell, dessen Leichtigkeit und Frische der Farben mich beeindruckten. Wenige Tage später, an einem Frühlingsmorgen,
traf ich Karl Schneider, der das Bild gemalt hatte, in seinem
Atelier. Alles wirkte spartanisch auf mich in dem Raum: die
spärlich aufgestellten Sitzgelegenheiten für Gäste; der lange
schmale, dunkelbraune Tisch, an dem er arbeitete. Einziger
Schmuck waren Aquarelle und Federzeichnungen an den
weißen Wänden: Ansichten seines Hauses und Gartens, der
kleine Hafen von Sant` Angelo und der Torre, das Dorf im
Sturm, Landschaften der Insel, ein Blick auf Santa Maria
del Monte hoch über Forio und den pittoresken Fischerhafen
von Procida - eines der Lieblingsziele des Malers. Bilder, auf
denen er gelegentlich mit der Feder Strukturen andeutete,
gleichsam ordnendes Gefüge und Orientierung für fließende,
22 La Rassegna d’Ischia 3/2009
volta che suscitano un senso di sereno
equilibrio. Con terrazze su molteplici
piani, collegate da una scalinata elegantemente arcuata.
Incontrai un uomo, il cui pensiero
era permeato dalla filosofia e dalla
mistica dell’Estremo Oriente. Un
architetto e un artista, un esteta che
amava le donne, il vino e il tango.
Un uomo che si creò una vita piena
di sensualità e distaccata vicinanza.
Spesso abbiamo ascoltato musica
sino a tarda notte, discusso di “Dio
e il mondo”. Immersi nel silenzio
davanti al mare.
Ogni tanto abbiamo bevuto anche
un po’ troppo del suo ottimo vino
rosso. Un uomo a cui restai legato per
molti anni, fino alla sua morte. Vedo
davanti a me il suo carissimo quadro “Sant’Angelo nella tempesta”,
drammatico nella sua composizione,
dai cupi colori sgargianti. Con questo
dipinto si era liberato definitivamente
– tale fu la mia impressione – della
sua vita precedente di architetto.
stimmungsvolle Farben. Sie ließen seinen Beruf als Architekt
erkennen.
Was ich niemals vergessen werde: seine Wortkargheit,
seinen Gleichmut gegenüber möglichen Kaufabsichten; daran gänzlich desinteressiert schien der große, gutaussehende
Mann. Für uns war es der Beginn einer tiefen Freundschaft.
Zusammen mit seiner Familie bewohnte er ein einzigartiges
Haus an einem Steilhang über der Terme Aphrodite Apollon. Gebaut nach eigenen Entwürfen, orientiert am alten,
ischitanischen Baustil. Mit dicken, schützenden Mauern aus
Tuffstein, mit Kuppeln und Bögen und gewölbten Decken, die
ein Gefühl spannungsvoller Ausgewogenheit entstehen lassen.
Mit Terrassen auf mehreren Ebenen, miteinander verbunden
durch eine elegant geschwungene Treppe.
Ich traf einen Menschen, dessen Denken mit fernöstlicher
Philosophie und Mystik verbunden war. Einen Architekten
und Künstler, einen Ästheten, der die Frauen liebte, den Wein
und den Tango. Einen Mann, der sich ein Leben voller Sinnlichkeit und distanzierter Nähe schuf. Oft bis tief in die Nacht
haben wir Musik gehört, über „Gott und die Welt“ diskutiert.
Gemeinsam auf das Meer hinaus geschwiegen.
Gelegentlich auch ziemlich viel von seinem köstlichen Rotwein getrunken. Ein Mann, mit dem ich über viele Jahre, bis
zu seinem Tod, verbunden blieb. Dessen mir liebstes Aquarell
„Sant Angelo im Sturm“ ich vor mir sehe: dramatisch in seiner
Komposition, düster glühend in seinen Farben. Mit ihm hatte
er sich – so mein Eindruck – endgültig von seinem früheren
Leben als Architekt befreit.
La casa di una donna
amante dell’arte
Nel frattempo conobbi anche una
donna che negli anni Cinquanta lasciò
Monaco, per iniziare una nuova vita,
del tutto diversa a Sant’Angelo, per
amore di un uomo di mare del posto.
Mise su una pensione, “Casa Sofia”,
che ben presto diventò un centro per
ospiti di tutti i Paesi: membri di antiche famiglie nobili europee, diplomatici e giramondo, ma soprattutto
scultori e pittori, amici dal tempo in
cui lei viveva a Monaco.
Dopo i miei primi incontri con artisti
come Ernst Bursche e Karl Schneider, questa donna, Dolly Barricelli,
mi aprì le porte per nuove scoperte
nella mia ricerca di tracce per scrivere
un libro sui pittori tedeschi a Ischia.
Nella sua pensione, in una posizione
stupenda su un pendio scosceso sulla
spiaggia dei Maronti, con un’ampia
veduta sul mare fino alla costa amalfitana e a Capri, ammirai acquarelli,
alcuni dei quali in tecnica mista, e
disegni.
Spesso ci incontravamo per lunghi
colloqui nel salone. Una stanza luminosa, aperta, con larghe invitanti
panche. Pavimenti con motivi gialli
e blu su fondo bianco. Una stufa
azzurro-chiara di maiolica in un angolo. Candelabri antichi su librerie
italiane, un comò barocco e quadri.
Guardando insieme quei lavori, venni a sapere la storia dei pittori che li
avevano realizzati molti anni prima.
Scoprii quadri come “Pesce volante”
e “Giorgio il pescatore”, che tendeva
la rete da rattoppare ad un dito del piede. Acquarelli e litografie di Forio, già
luogo d’incontro di artisti. Acquarelli
della piazza di Sant’Angelo, della
Torre e di un “Veliero al chiaro di
luna”. Il villaggio alla luce tenue della
primavera e a quella tremolante di un
giorno d’estate. Coste rocciose che si
ergevano brulle e che bruscamente
s’interrompevano. Disegni a penna
con il porticciolo e una tipica scena di
Das Haus einer kunstliebenden Frau
In der Zeit lernte ich auch eine Frau kennen, die in den
1950er Jahren München verließ, um aus Liebe zu einem
einheimischen Seemann in Sant’ Angelo ein neues, gänzlich
anderes Leben zu beginnen. Sie baute eine Pension - die Casa
Sofia – auf, bald ein Zentrum für Gäste aus vielen Ländern :
für Angehörige alter europäischer Adelsfamilien, für Diplomaten und Weltenbummler, vor allem aber für befreundete
Bildhauer und Maler aus ihrer Münchner Zeit.
Nach meinen ersten Begegnungen mit Künstlern wie Ernst
Bursche und Karl Schneider öffnete mir diese Frau, Dolly
Barricelli, auf meiner Suche nach Bildern für ein Buch über
deutsche Maler auf Ischia weitere Türen. In ihrer herrlich gelegenen Pension an einem Steilhang über dem Maronti-Strand,
mit weiten Blicken über das Meer bis zur Amalfitanischen
Küste und nach Capri, sah ich viele Aquarelle, manche in
Mischtechnik, und Zeichnungen.
Oft trafen wir uns zu langen Gesprächen im Salone. Ein
lichter, offener Raum mit einladenden, breiten Sitzbänken.
Bodenfließen mit gelben und blauen Mustern auf weißem
Grund. Ein blauweißer Fayenceofen in einer Ecke. Alte
Leuchter auf italienischen Bücherschränken, eine bayerische
Barockkommode und Gemälde. Beim gemeinsamen Betrachten der Arbeiten erfuhr ich Geschichten über die Künstler, die
sie vor vielen Jahren geschaffen hatten.
Ich entdeckte Bilder wie „ Fliegender Fisch“ und
„Giorgio,der Fischer“, der die Netze beim Flicken zwischen
strada dei tempi passati. Dolly Barricelli mi fece notare un particolare nel
cosiddetto atelier della sua pensione:
un armadio di legno con una decorazione affascinante, nel frattempo un
po’ sbiadita, che raffigurava Gennaro,
l’asinaio, Zio Giovanni, il pescatore,
il cacciatore Crescenzo e la contadina
Esterina.
Ornavano la pensione opere di
artisti che una volta erano vissuti
nel villaggio di pescatori: Eduard
Bargheer, Helmut Rentschler, Albert
Ferenz, Thomas Niederreuther, Hugo
Kiessling, Hans-Peter Kirchpfenning,
Otto Niesmann, Wernhera Sertüner e
Gertrude Helmoltz. Alcuni di questi
furono anche ospiti di Casa Sofia.
Tutti avevano trovato e raffigurato
nelle loro opere la ricchezza d’Ischia:
natura e uomini.
Tracce sui monti
Tra i pittori ce ne fu uno, il già
menzionato Ernst Bursche, che avevo
conosciuto di persona anni prima. I
einen gespaltenen Zeh spannte. Aquarelle und Farblithos von
Forio, dem früheren Künstlerort. Aquarelle von Sant‘ Angelos
Piazza, dem Torre und einem „Segelschiff im Mondschein“.
Das Dorf im milden Licht des Frühlings und im flimmernden
Licht eines Sommertages. Sich kahl auftürmende, schroff
abbrechende nahe Felsenküsten. Federzeichnungen, die den
kleinen Hafen und eine typische Straßenszene aus vergangenen Zeiten zeigen. Auf eine Besonderheit wies mich Dolly
Barricelli in dem sogenannten Atelier ihrer Pension hin: einen
eingebauten Holzschrank mit einer reizvollen, inzwischen etwas verblichenen Bemalung .Dargestellt waren Gennaro, der
Eseltreiber; Onkel Giovanni, der Fischer; der Jäger Crescenzo
und die Bäuerin Esterina.
Werke von Künstlern schmückten die Pension, die einmal in
dem Fischerdorf gelebt hatten: Eduard Bargheer und Helmut
Rentschler, Albert Ferenz und Thomas Niederreuther, Hugo
Kiessling, Hans-Peter Kirchpfenning und Otto Niesmann,
Wernhera Sertürner und Gertrude Helmholtz. Einige von
ihnen waren auch Gast in der Casa Sofia. Sie alle hatten den
Reichtum von Ischia - Natur und Menschen - gefunden und
in ihren Werken dargestellt.
Spurensuche in den Bergen
Unter den Malern war einer, der schon erwähnte Ernst
Bursche, den ich vor Jahren persönlich kennengelernt hatte.
Seine Aquarelle und Zeichnungen von Landschaften der Insel
und ihrer Bewohner wollte ich dort entdecken, wo er einmal
La Rassegna d’Ischia 3/2009 23
suoi acquarelli e disegni di paesaggi
dell’isola e dei suoi abitanti volevo
scoprirli là dove egli aveva vissuto.
Gli abitanti del luogo, a cui avevo
chiesto informazioni, mi indicarono
Salvatore Mattera che era stato amico
dell’artista e abitava a Succhivo. Lo
era sempre andato a prendere con il
suo microtaxi alla stazione di Napoli
in primavera. Spesso si erano recati
insieme sulle alture.
Poco dopo ci incontrammo al
Bar Ponte a Sant’Angelo. Salvatore
Mattera sembrava felice di potermi
raccontare del periodo con il suo
amico.
Una mattina d’estate di buon’ora
Salvatore col suo microtaxi mi
accompagnò in contrade e osterie
solitarie. Mi voleva mostrare dei
luoghi che gli ricordavano in maniera
particolare Ernst Bursche. Durante il
tragitto scoprii un prospetto dell’ultima mostra del suo amico nel 1966
al Torrione di Forio. Salvatore teneva
ancora infilato dietro il manubrio il
catalogo dal tempo sbiadito. Mi riferì
che naturalmente possedeva quadri
di Bursche, “meravigliosi quadri di
fiori”, come mi disse con orgoglio.
Avrei potuto ammirarli pochi giorni
dopo nella sua casa a Succhivo.
Nelle immediate vicinanze, tra i vigneti, avevo fatto visita regolarmente
anni prima nel suo atelier a Jürgen
Hardtke che, come altri pittori tedeschi, trascorreva i mesi estivi a Ischia;
berlinese di nascita, amava i colori
delle case dell’antico villaggio di
contadini di Panza: il bianco e il blu,
il rosa, il giallo e il rosso pompeiano:
colori sbiaditi, bruciati. In molti acquarelli ha fissato tali colori. Davanti
a un bicchiere di vino parlammo
della sua pittura, dei lavori eseguiti.
Discutemmo delle composizioni figurative e della simbolistica dei colori.
Un colorito sensibilmente distaccato
accanto a composizioni ricche di
contrasti, improntate ad un espressivo
effetto coloristico. Un artista di cui
ammirai la costante ricerca di nuove
forme di comtrasto con la natura, la
spontaneità e la generosità. Ricordi
che si ravvivarono in occasione della
mia visita a Succhivo.
gelebt und gearbeitet hatte. Einheimische danach befragt,
wiesen mich auf Salvatore Mattera hin, der in Succhivo
wohnte. Er sei ein enger Freund des Künstlers gewesen.
Mit seinem Microtaxi habe er diesen im Frühling immer am
Bahnhof in Neapel abgeholt. Oft seien sie gemeinsam in die
Berge gefahren. Wenig später trafen wir uns in der Bar Ponte
in Sant` Angelo. Salvatore Mattera schien glücklich, mir von
der Zeit mit seinem Freund erzählen zu können.
An einem frühen Sommermorgen fuhr Salvatore mit mir in
seinem Microtaxi zu einsam gelegenen Dörfern und Osterias.
Orte wollte er mir zeigen, die ihn in besonderer Weise an Ernst
Bursche erinnerten. Während der Fahrt entdeckte ich einen
Prospekt zur letzten Ausstellung seines Freundes 1986 im
Torrione von Forio. Salvatore hatte den längst verblichenen
Katalog noch immer hinter das Lenkrad geklemmt. Er ließ
mich wissen, dass er naturalmente Bilder von Ernst Bursche
besitze „wunderschöne Blumenbilder“, wie er mir voller Stolz
sagte. Wenige Tage später konnte ich sie in seinem Haus in
Succhivo bewundern.
Ganz in der Nähe, in Weinbergen gelegen, hatte ich Jahre
zuvor regelmäßig Jürgen Hardtke in seinem Atelier besucht,
der wie andere deutsche Maler die Sommermonate auf Ischia
verbrachte. Der gebürtige Berliner liebte die Farben der Häuser im alten Bauerndorf Panza: das Weiß und Blau, das Rosa,
Gelb und Pompejirot – verblichene, ausgebrannte Farben. In
vielen Aquarellen hat er sie festgehalten. Bei einem Glas Wein
sprachen wir über seine Malergebnisse vom vergangenen
24 La Rassegna d’Ischia 3/2009
Il Bar Ponte fu anche il luogo di
un altro incontro con un uomo che
finì a notte fonda a Panza. Dopo una
poco piacevole telefonata a Berlino
da una cabina telefonica -in quel
tempo ancora l’unica possibilità
che il Comune offriva ai suoi ospitisentii il bisogno di bere una grappa.
Cominciai a parlare con una persona
del posto che già dopo pochi minuti
mi rese partecipe delle sue numerose
avventure con le turiste, in prevalenza con quelle dei Paesi nordici. Per
imprimere al discorso una svolta, gli
parlai di Ernst Bursche che aveva
vissuto a lungo a Ischia e vi era stato
felice. Con mia sorpresa, l’uomo di
bassa statura, di bell’aspetto, reagì
subito: lo aveva conosciuto bene,
talvolta lo aveva visto in un vecchio
casale lontano da Sant’Angelo. E lui
era in possesso di molti quadri appesi
alle pareti della sua casa a Panza. Nel
frattempo bevemmo parecchie grappe. E tuttavia decidemmo di recarci
a casa sua. La visione dei quadri non
consentiva alcun rinvio. Dopo un
viaggio spericolato raggiungemmo
Tag und über begonnene Arbeiten. Wir diskutierten über
Bildkompositionen und die Symbolik von Farben. Sensibel
abgestuftes Kolorit neben kontrastreichen Kompositionen,
die sich an expressiver Farbgebung orientierten. Ein Künstler,
dessen ständige Suche nach neuen Formen der Auseinandersetzung mit der Natur, dessen Spontaneität und Großzügigkeit
ich bewunderte. Erinnerungen, die bei meinem Besuch in
Succhivo wieder lebendig wurden...
Die Bar Ponte war auch das Lokal für eine weitere Begegnung mit einem Mann, die tief in der Nacht oberhalb von
Panza endete. Nach einem wenig erfreulichen Ferngespräch
mit Berlin von der Telefonzelle aus - in der Zeit noch die
einzige Möglichkeit, welche die Gemeinde ihren Gästen
bot, hatte ich das Bedürfnis nach einem Grappa. Dabei kam
ich mit einem Einheimischen ins Gespräch, der mich schon
nach wenigen Minuten an seinen offenbar reichen Erfahrungen mit weiblichen Gästen, vornehmlich aus nördlichen
Ländern, teilhaben ließ. Um der Unterhaltung eine andere
Wendung zu geben, erzählte ich ihm von Ernst Bursche, der
lange auf der Insel gelebt hatte und hier glücklich war. Zu
meiner Überraschung reagierte der kleine, gutaussehende
Mann sofort: Er habe ihn gut gekannt, manchmal habe er ihn
in einem alten Bauernhaus fern von Sant` Angelo gesehen.
Und er sei im Besitz vieler Bilder, die in seinem Haus in den
Bergen oberhalb von Panza hingen. Inzwischen hatten wir
beide mehrere Grappa getrunken. Und doch beschlossen
wir, noch am späten Abend dorthin zu fahren. Die Besichti-
la nostra meta. Ancora oggi ho davanti agli occhi i colori e i paesaggi di
quegli acquarelli. Purtroppo - per colpa della grappa - i ricordi si sono un po’
sbiaditi. Anche della casa non rammento molto.
L’Hotel Conte alla Torre – Una casa per artisti
Durante le mie prime visite a
Sant’Angelo trascorrevo la prima
sera alla Torre per ammirare da lì il
tramonto del sole. Un giorno scoprii
opere di Ernst Bursche nell’Hotel ai
piedi della Torre. Una larga parete
all’estremità della sala da pranzo mi
si illuminò davanti. Guardai vedute
del villaggio, di morbide colline, di
bizzarre cime di monti, di profondi burroni. Ma furono soprattutto
i disegni a carbone di abitanti del
posto che mi affascinarono immediatamente. Lessi i loro nomi che il
pittore aveva fissati con una scrittura
amorevolmente accurata alla base
dei suoi fogli. Volevo conoscere il
proprietario di quei quadri di valore.
Il cameriere, a cui lo avevo domandato, pronunciò ad alta voce un nome
in direzione della camera contigua.
Udii un tranquillo, melodioso “Sì”.
E alcuni minuti dopo sentii dei passi
lenti. Un uomo leggermente curvo
mi venne incontro: Michele Zunta,
il proprietario dell’albergo. Con un
sorriso gentile, ma distaccato, mi
domandò che cosa volessi. Quando
si rese conto che il mio desiderio era
di saperne di più su quei quadri appesi alla parete di fronte, i suoi occhi
cominciarono a brillare. Con passi
rapidi mi accompagnò ai dipinti ad
olio, agli acquarelli e ai disegni. Gli
occhi della mia “guida alla mostra”
diventarono ancora più scuri e brillarono in maniera radiosa, quando
iniziò a raccontare.
Ernst Bursche era stato un uomo meraviglioso, amato da tutti. Per qualche
anno aveva vissuto a Sant’Angelo.
Come altri pittori, nell’Hotel Conte,
ma prevalentemente sulla Torre in
una specie di abitazione trogloditica
gung duldete keinen Aufschub. Nach einer wilden Fahrt im
Microtaxi erreichten wir unser Ziel. Noch heute habe ich die
Farben und Landschaften der Aquarelle vor Augen. Leider –
grappabedingt – etwas verschwommen. Auch an das Haus
kann ich mich kaum mehr erinnern.
Hotel Conte am Torre
Ein zu Hause für Künstler
Während meiner ersten Besuche von Sant´Angelo verbrachte ich die frühen Abende oft auf dem Torre, um von dort
die Sonnenuntergänge zu erleben. Dabei entdeckte ich eines
Tages Werke von Ernst Bursche im Hotel Conte am Fuß des
Torre. Eine breite Wand am Ende des Speisesaals leuchtete mir
entgegen. Ich blickte auf Ansichten des Dorfes, von sanften
Hügeln, bizarren Berggipfeln und tiefen Schluchten. Aber vor
allem waren es Kohlestiftzeichnungen von Einheimischen,
die mich unmittelbar faszinierten. Ich las ihre Namen, die
der Maler in liebevoll–sorgfältiger Schrift am unteren Ende
seiner Blätter festgehalten hatte. Den Eigentümer dieser
Kostbarkeiten wollte ich kennenlernen.
Der von mir befragte Kellner rief einen Namen in die angrenzenden Räume. Ich vernahm ein ruhiges, wohlklingendes
Sì. Und einige Minuten später hörte ich langsame Schritte.
Ein leicht gebeugter Mann kam auf mich zu: Michele Zunta,
der Hotelbesitzer. Mit einem freundlich-distanzierten Lächeln
fragte er mich, was ich denn wolle. Als er meinen Wunsch
del contadino Francesco Del Deo,
chiamato Ciubirro. Di sera si sedeva
quasi sempre all’angolo del Ridente
e beveva il suo vino rosso. Di tutti
aveva fatto il disegno o il ritratto:
pescatori e mulattieri e vignaioli: la
gente appunto di Sant’Angelo e dei
borghi vicini. E, mentre lo faceva,
rideva molto.
Ma Michele mi fece vedere altri
quadri che per me potevano essere
interessanti. Innanzitutto un ritratto
del pittore svizzero Ulrich Schmid
eseguito da Ulrich Neujahr di Berlino. Ambedue erano ospiti abituali del
Conte nei mesi estivi ed erano amici.
Mi mostrò delle xilografie dell’antico
villaggio di pescatori incise dal berlinese e - particolarmente espressiva
- quella di Stalino, il famoso proprietario all’ingresso di Cavascura.
Anche acquarelli in colori a tempera
che riflettevano tutto lo splendore
mediterraneo dell’isola.
Mentre eravamo seduti davanti
all’albergo, sorseggiando un cappuccino, mi raccontò del pittore russo
vernahm, über die Bilder an der Wand gegenüber mehr zu
erfahren, begannen seine Augen zu strahlen. Mit raschen
Schritten begleitete er mich zu den Ölbildern, Aquarellen und
Zeichnungen. Die Augen meines „ Ausstellungsführers“ wurden noch dunkler. Und sie leuchteten in warmem Schmelz,
als er zu erzählen begann.
Ernst Bursche sei ein wunderbarer Mensch gewesen, den
alle liebten. Für einige Jahre habe er in Sant` Angelo gelebt.
Wie andere Künstler im Hotel Conte, überwiegend aber in
einer Art Höhlenwohnung auf dem Torre beim Bauern Francesco del Deo, genannt Ciubirro. Abends habe er fast immer
am Ridente-Eck gesessen und seinen Rotwein getrunken. Alle
habe er gezeichnet und gemalt: die Fischer und Maultierführer
und Weinbauern; die Menschen eben von Sant’ Angelo und
den umliegenden Dörfern. Dabei habe er viel gelacht.
Dann führte er mich zu anderen Bildern, die für mich
interessant sein könnten. Zunächst zu einem Porträt des
Schweizer Malers Ulrich Schmid, das von Ulrich Neujahr
aus Berlin stammte. Beide waren während der Sommermonate
regelmäßige Gäste im Conte und miteinander befreundet. Er
zeigte mir Holzschnitte des Berliners vom alten Fischerdorf
und – besonders eindrucksvoll - von Stalino, dem berühmten
Tavernenbesitzer am Eingang zur Cava Scura. Auch Aquarelle
in Temperafarben, die alle mediterrane Heiterkeit der Insel
versprühten.
Während wir bei einem Cappuccino vor dem Hotel saßen,
erzählte er mir von dem russischen Maler Arkady Kusmin.
La Rassegna d’Ischia 3/2009 25
Arkady Kusmin. Nato a Mosca,
lasciò per sempre la sua patria dopo
lo scoppio della Rivoluzione. A
Parigi trascorse anni assai formativi
sul piano artistico, che si conclusero
bruscamente con lo scoppio della
seconda guerra mondiale. All’inizio degli anni Cinquana trovò a
Sant’Angelo una nuova casa. Per due
decenni abitò d’estate principalmente
nella Conchiglia di Agnesina, poi
dal capitano Valerio ai piedi della
Torre. Di solito consumava la prima
colazione nell’Hotel Conte. Insieme
con sua moglie, la nota fotografa
Regina Relang, sedeva sempre allo
stesso angolo a destra dell’ingresso.
Ogni mattina, insieme con il pane, il
burro e la marmellata, metteva in un
bicchiere anche tre uova sode.
L’artista, all’apparenza piuttosto riservato, indossava sempre un foulard
rosso e un berretto a larghe falde per
proteggersi dal sole. Volli alla fine ancora sapere se lui, come altri, avesse
dipinto prevalentemente nella piazza,
sul mare, nei vicini dirupi o sulle
colline circostanti. No, Kusmin aveva
lavorato quasi sempre sulla grande
terrazza del suo domicilio estivo. Lì
erano state eseguite la maggior parte
dei quadri. Purtroppo Michele non
possedeva alcun originale, ma mi
poté mostrare un piccolo catalogo,
apparso alcun i anni dopo la morte
di Kusmin nel 1974. Poche le raffigurazioni che vidi, ma la loro gioia di
vivere tipica del Sud mi suscitò una
forte impressione. Monti irradiati dal
sole diventavano piramidi color arancio, le case blocchi di colori, il sole in
Bar Ridente e ristorante Pescatore – Vita sulla piazza
Dopo le mie visite in Casa Schneider, Casa Sofia e Hotel Conte, le mie tappe
successive furono il bar Ridente e il ristorante Pescatore, due locali con una
ricca storia. L’angolo del Ridente| Qui si sono seduti tutti: pittori e scultori,
giornalisti e scrittori. Come Lothar Diez di Monaco, lo scultore col basco sulla
piazza e con la paglietta sulla spiaggia. Pittori e altri artisti che avevano una
corte come dei principi.
Entrando nel bar mi guardava il leggendario pescatore, “Giovanni il grande
pescatore", con un’espressione lievemente sardonica. Il donnaiolo, nella sua
camicia di un blu sgargiante, le forti braccia conserte davanti al petto, i cui
funerali molti anni fa “sarebbero stati degni di onorare un vescovo” - così una
giornalista in un giornale della Germania meridionale. Il suo ritratto appeso alla
parete sorvegliava fra i tavoli dei giocatori di carte. Quando chiesi a Peppino,
il proprietario, il permesso di fotografare il dipinto, sul suo volto si manifestò
Geboren in Moskau, verließ er nach Ausbruch der Revolution
seine Heimat für immer. In Paris verbrachte er künstlerisch
prägende Jahre, die mit dem Ausbruch des zweiten Weltkrieges jäh endeten. Anfang der 1950er Jahre fand er dann
in Sant`Angelo eine neues zu Hause. Zwei Jahrzehnte lang
wohnte er im Sommer zunächst bei Agnesina im Conchiglia,
später dann beim Capitano Valerio direkt am Fuß des Torre.
Zum Frühstück kam er gewöhnlich ins Conte. Gemeinsam
mit seiner Frau, der bekannten Fotografin Regina Relang,
saß er immer in derselben Ecke rechts neben dem Eingang.
Zu einem Butterbrot mit Marmelade gehörte jeden Morgen
auch ein Glas mit drei hartgekochten Eiern.
Der eher verschlossen wirkende Künstler trug stets ein rotes
Halstuch und zum Schutz gegen die Sonne einen breitkrempigen Hut. Ob er, wie andere, überwiegend auf der Piazza,
am Meer, in den nahen Schluchten und auf den umliegenden
Hügeln gemalt habe, wollte ich schließlich noch wissen.
Nein, Kusmin habe fast immer auf der großen Terrasse seines
sommerlichen Domizils gearbeitet. Dort seien die meisten
Bilder entstanden. Leider besitze er selbst keine Originale.
Aber er könne mir einen kleinen Katalog zeigen, der einige
Jahre nach dem Tod von Kusmin 1974 erschienen sei. Wenige
Abbildungen, die ich sah, doch ihre südliche Lebensfreude
beeindruckte mich. Sonnenüberstrahlte Berge wurden zu
orangefarbenen Pyramiden, die Häuser zu Farbblöcken, die
Sonne in grünen oder lilafarbenen Himmeln. Und Stilleben
mit Fischen, Vasen und Krügen.
26 La Rassegna d’Ischia 3/2009
cieli verdi o color lilla. E nature morte
con pesci, vasi e brocche.
Con molta gioia seguii il racconto
di Michele Zunta. Alla fine l’uomo
molto gentile mi sorprese con un
libro degli ospiti riccamente decorato: storia dell’albergo, ma anche di
Sant’Angelo come meta di artisti da
lunghi anni. Quando, nel salutarci, mi
diede la mano, percepii una netta sensazione: avevo incontrato un uomo
che desideravo avere per amico.
Voller Freude folgte ich der Erzählung von Michele Zunta.
Zum Schluss überraschte mich der liebenswürdige Mann
noch mit einem reich verzierten Gästebuch: Geschichte des
Hotels, aber auch von Sant` Angelo als einem langjährigen
Ziel für Künstler. Als er mir zum Abschied seine Hand gab,
fühlte ich: Ich war einem Menschen begegnet, den ich zum
Freund haben möchte.
Bar Ridente und Ristorante Pescatore
Leben auf der Piazza
Nach meinen Besuchen in der Casa Schneider, der Casa
Sofia und dem Hotel Conte waren meine nächsten Ziele die
Bar Ridente und das Ristorante Pescatore, zwei Lokale mit
reicher Geschichte. Die Ecke am Ridente! Hier haben sie
alle gesessen: die Maler und Bildhauer, die Journalisten und
Schriftsteller. Wie Lothar Dietz aus München, der Bildhauer
mit der Baskenmütze auf der Piazza und mit dem Strohhut
am Strand. Maler und andere Künstler, die Hof hielten wie
Fürsten.
Beim Betreten der Bar schaute mir der legendäre Fischer
„Giovanni, il grande pescatore“ mit einem leicht verschmitzten Gesichtsausdruck entgegen. Der Frauenheld in leuchtend
blauem Hemd, die kräftigen Arme vor der Brust verschränkt,
dessen Begräbnis vor vielen Jahren „einem Bischof zur Ehre
gereicht hätte“ – so eine Journalistin in einer süddeutschen
Zeitung. Sein Porträt hing an der Wand zwischen den Tischen
un lieve sorriso. Naturalmente lo potevo fare, meglio fuori al sole; le sedie
davanti ai tavolini erano certamente
un buon appoggio.
Per compensare, per così dire, il mio
sforzo fotografico per il grande pescatore, l’ultimo “senza motore”, Peppino mi invitò ad accompagnarlo alla
sua abitazione privata situata sopra il
bar. Mi voleva mostrare soprattutto
un quadro che un ospite berlinese,
un amico del pittore Werner Gilles,
aveva dipinto molti decenni prima
sulla piazza. Era Werner Schulz,
cugino di una dottoressa di Berlino,
la quale più di venticinque anni fa mi
aveva raccomandato Sant’Angelo per
le sue benefiche acque termali.
Il bar Ridente di fronte al ristorante
Pescatore. Qui Dolly Barricelli, come
mi raccontò una volta, durante i suoi
primi anni a Sant’Angelo aveva
trascorso ore meravigliose. Alla luce
delle candele e delle lampade a carburo dei pescatori di calamari e alla
musica dei dischi del grammofono
ballava il tango coi pescatori e i pittori
fino notte inoltrata.
Paolo, un figlio del proprietario del
Pescatore, mi offrì subito il suo aiuto
quando gli parlai della mia ricerca di
quadri. Lui aveva un acquarello di
Ernst Bursche. Amava Don Ernesto
e collezionava i suoi quadri. Mentre
serviva i clienti, osservai i dipinti alle
pareti delle stanze alte e ben arredate.
Quadri di Ernst Bursche e di altri pittori, ma anche foto di Werner Gilles,
che sedeva su una scala fumando
la pipa; e foto ingiallite dell’antico
borgo di pescatori, della piazza di
cinquant’anni prima e di persone
mentre trasportavano botti di vino
sulle loro navi, che in quel periodo
arrivavano sino alla costa ligure. Poco
dopo, i lavori di Ernst Bursche da me
prescelti - Vedute del porto d’Ischia
e del Castello Aragonese - furono
staccati dalla parete e portati fuori.
Mentre li fotografavo, essi brillavano
nella luce meridiana autunnale nei
toni blu, come li amo.
Alla ricerca di un pittore del mitico
Werner Gilles
Nel frattempo, nella mia ricerca di artisti che avevano scoperto Sant’Angelo
anni prima e che lasciarono con le loro opere testimonianze di un tempo passato, mi sono imbattuto spesso in situazioni sorprendenti. Ma ce ne fu uno in
particolare, intorno alla cui vita e ai suoi quadri circolano molte storie: Werner
Gilles, un pittore di temi mitologici, pieni di simbolismo e mistica. Uomini
e natura dell’isola, soprattutto di Sant’Angelo con la Torre, non lo avevano
mai lasciato in pace - così avevo letto su di lui. La mia ricerca dei suoi dipinti
sfociò in un viaggio colmo di avventure e scoperte insospettate. Esso diventò
un viaggio nel mondo enigmatico, appagante di questo artista.
Da Dolly Barricelli, la mia sorprendente ospitante e amica, avevo sentito il
der Kartenspieler. Als ich Peppino, den Besitzer, um Erlaubnis
bat, das Gemälde fotografieren zu dürfen, zeigte sich in seinem
Gesicht ein leichtes Lächeln. Natürlich könne ich dies tun,
am Besten draußen in der Sonne, die Stühle vor den kleinen
Tischen seien dafür sicher eine gute Stütze.
Gleichsam als Lohn für mein fotografisches Bemühen um
den großen Fischer, den letzten senza motore - mit einem
Boot ohne Motor, lud er mich danach ein, ihn in seine über
dem Cafe gelegene Privatwohnung zu begleiten. Er wolle mir
noch ein Bild zeigen, welches ein Berliner Gast, ein Freund
von Werner Gilles, vor langer Zeit auf der Piazza gemalt hatte.
Es war Werner Schulz, der Vetter einer Berliner Ärztin, die
mir vor mehr als fünfundzwanzig Jahren Sant’ Angelo wegen
seiner heilbringenden Thermalbäder empfohlen hatte.
Der Bar Ridente gegenüber das Ristorante Pescatore. Hier
hatte Dolly Barricelli, wie sie mir einmal erzählte, während
ihrer ersten Jahre in Sant`Angelo herrliche Stunden verbracht.
Im Schein von Kerzen und Karbidlampen der Tintenfischer
und nach der Musik von Grammofonplatten tanzte sie mit den
Fischern und Malern Tango bis tief in die Nacht. Paolo, ein
Sohn des Inhabers des Pescatore, bot mir sofort seine Hilfe
an, als ich ihm von meiner Bildersuche, berichtete. Er habe
Aquarelle von Ernst Bursche. Er liebe Don Ernesto, und er
sammle seine Werke.
Während Paolo noch Gäste bediente, betrachtete ich die
Bilder an den Wänden der hohen, schön gestalteten Räume.
Bilder von Ernst Bursche und anderen Malern, auch Aufnahmen von Werner Gilles, der Pfeife rauchend auf einer Treppe
saß. Und vergilbte Fotos des alten Fischerdorfes, der Piazza
vor fünfzig Jahren und der Einwohner beim Transport von
Weinfässern auf ihre Schiffe, die in der Zeit bis zur ligurischen
Küste fuhren.
Wenig später waren die von mir ausgewählten Arbeiten
von Ernst Bursche - Ansichten des Hafens von Porto und des
Castello Aragonese in Ponte - von den Wänden abgehängt und
nach draußen getragen. Während ich sie fotografierte, leuchteten sie in der herbstlichen Mittagssonne: in den Blautönen,
wie ich sie liebe.
Auf der Suche nach einem Maler
des Mythischen - Werner Gilles
Inzwischen war ich bei meiner Suche nach Künstlern, die
vor vielen Jahren für sich Sant` Angelo entdeckt hatten und
mit ihren Werken Zeugnisse einer vergangenen Zeit hinterließen, oft Überraschendem begegnet. Aber da war noch
einer, um dessen Leben und Bilder sich viele Geschichten
ranken: Werner Gilles. Ein Maler von mythologischen Themen, voller Symbolik und Mystik. Menschen und Natur der
Insel, vor allem Sant‘ Angelo mit dem Torre, hätten ihn nie
zur Ruhe kommen lassen - so hatte ich inzwischen über ihn
gelesen. Meine Suche nach seinen Gemälden geriet zu einer
Reise voller Abenteuer und unerwarteter Entdeckungen. Sie
wurde zu einer Reise in die rätselhafte, beglückende Welt
dieses Künstlers.
Von Dolly Baricelli, meiner beeindruckenden Gastgeberin
und Freundin, hatte ich zum ersten Mal seinen Namen gehört.
Mit leiser Stimme und ernsten Augen hatte sie mir bei einem
La Rassegna d’Ischia 3/2009 27
suo nome per la prima volta. A bassa
voce e occhi seri mi parlò, in occasione di una mia visita nell’inverno
1997-98, del suo primo incontro con
lui mezzo secolo prima. Con il pittore che spesso sedeva all’ “angolo
di pietra” del Ridente beveva il suo
vino e rivolgeva lo sguardo alla Torre.
I ricordi di Dolly mi affascinavano.
E di nuovo mi misi alla ricerca delle
tracce.
Parecchie persone del posto mi
avevano nominato delle famiglie, che
erano orgogliose della loro amicizia
con l’artista e nelle cui case aveva vissuto nel corso di molti anni. La Villa
Serena e i suoi proprietari venivano
menzionati di continuo. Anche un
certo Sergio, che certamente conoscevo, poiché s’incontra sempre sul
posto, soprattutto sulla piazza.
Qualche anno dopo, durante un
nuovo soggiorno sul tardo inverno,
mi riuscì finalmente di parlare con
un componente della famiglia Serena,
il figlio più grande. L’uomo stava su
una scala, piegato su un muro, per
ripararlo dai danni dell’inverno e
delle ultime tempeste. La sua risposta
fu deludente: no, la sua famiglia non
possedeva alcun quadro di Werner
Gilles. Li aveva già da tempo dati via
o venduti. Non sapeva dove fossero
andati a finire. E l’uomo continuò a
mettere a posto il muro.
Profondamente deluso dalla sua
risposta ero in procinto di rassegnarmi. Ma il pensiero non mi lasciava in
pace: una ricerca delle tracce senza
aver trovato i quadri di quel pittore
che in essi catturò Sant’Angelo come
forse nessun altro? Raccontai a Michele Zunta delle mie ricerche fino
allora vane. Dopo qualche indugio
mi nominò Sergio, il proprietario del
bar “La Brezza”, attaccato alla Torre.
Un angolo sul mare, che è sempre impetuoso e naturale. Aveva sentito che
Sergio possedeva alcuni originali del
famoso pittore e che anche lui voleva
finalmente vedere.
Così ambedue ci mettemmo alla
ricerca dell’uomo. Più volte ci fermammo davanti all’ingresso socchiuso del suo bar. Ma una sera la cosa si
realizzò. Da un edificio illuminato
Besuch im Winter 1997/98 von ihrer ersten Begegnung mit
ihm in den 1950er Jahren erzählt. Mit dem Mann, der oft im
„steinernen Winkel“ des Ridente saß, seinen Wein trank und
auf den Torre blickte. Dollys Erinnerungen faszinierten mich.
Und von Neuem begab ich mich auf Spurensuche.
Mehrere Einheimische hatten mir Familien genannt, die
stolz auf ihre Freundschaft mit dem Künstler waren, und in
deren Häusern er im Laufe der vielen Jahre gelebt hatte. Die
Villa Serena und ihre Besitzer wurden immer wieder erwähnt.
Auch ein gewisser Sergio, den ich doch sicher kennen würde,
da er ständig irgendwo im Dorf, vor allem auf der Piazza,
anzutreffen sei.
Einige Zeit danach, während eines neuerlichen Aufenthalts im späten Winter, gelang es mir schließlich, mit dem
ältesten Sohn der Familie der Villa Serena zu sprechen. Der
Mann stand auf einer Leiter, über eine Mauer gebeugt, um
Schäden von den letzten, ungewöhnlich heftigen Stürmen
auszubessern. Seine Antwort war ernüchternd: Nein, seine
Familie habe keine Bilder von Werner Gilles. Alle habe sie
bereits vor langer Zeit weggegeben oder verkauft. Er wisse
auch nicht, wo im Ort welche zu finden seien. Dann fuhr der
Mann fort, an der Mauer zu reparieren.
Tief enttäuscht von seiner Antwort war ich dabei, zu resignieren. Doch der Gedanke ließ mich nicht zur Ruhe kommen.
Eine Spurensuche, ohne Werke jenes Malers gefunden zu haben, der Sant’ Angelo in ihnen einfing, wie kaum ein anderer?
Ich erzählte Michele Zunta von meinen bisher vergeblichen
28 La Rassegna d’Ischia 3/2009
fiocamente risuonò, dopo aver gridato
più volte il suo nome, dapprima con
un certo indugio, poi in maniera più
forte, un “sì”. Qualche minuto dopo
apparve finalmente Sergio, che aspettava con molta impazienza.
Con un sorriso leggermente imbarazzato ci condusse nel suo domicilio
serale. Invece di soffermarci prima
al bar per una bibita, ci accompagnò
subito per una ripida scala di legno
sopra nelle sue “stanze private”,
come ci tenne a dire. Alla fine potemmo spiegargli la nostra richiesta.
E quell’uomo nel suo pullover giallo
brillante e calzoni lunghi, blu scuri,
che appariva all’inizio mezzo addormentato, all’improvviso sembrò
sveglissimo.
Sì, aveva quei quadri, anche nella
sua casa al villaggio, di fronte alla
pizzeria Pasquale. Naturalmente ce
li avrebbe mostrati. In una delle successive sere sarebbe stato possibile.
Ma ciò doveva avvenire prima del
tramonto del sole, in modo che potessimo vedere i loro colori alla luce
naturale.
Bemühungen. Nach einigem Zögern nannte er den Namen
von Sergio, dem Inhaber der Bar La Brezza, dicht am Torre
gelegen. Einem Winkel am Meer, der noch immer wild und
ursprünglich ist. Er habe gehört, dieser besitze einige Originale des berühmten Malers, auch er wolle sie endlich sehen.
So begaben wir uns gemeinsam auf die Suche nach dem
Mann. Mehrmals standen wir vor dem verschlossenen Eingang zu seiner Bar. Doch an einem Abend ereignete es sich:
Aus einem der Räume des matt erleuchteten Gebäudes ertönte
nach mehrfachem Rufen seines Namens zunächst zögerlich,
dann kräftiger ein Si. Einige Minuten später tauchte endlich
Sergio auf, der voller Ungeduld erwartete.
Mit leicht verlegenem Lächeln führte er uns in seine abendliche Bleibe. Statt zunächst für ein Getränk an der Theke zu
verweilen, bat er uns sofort über eine steile Holztreppe nach
oben - in seine „privaten Räume“, wie er bemerkte. Endlich
konnten wir ihm unser Anliegen erklären. Und plötzlich
wurde der zunächst etwas verschlafen wirkende Mann in
leuchtend-gelbem Pullover und langer, dunkelblauer Hose
hellwach. Ja, er habe solche Bilder; auch in seinem Haus im
Dorf, der Pizzeria Pasquale gegenüber. Natürlich werde er sie
uns zeigen. An einem der nächsten Abende wäre es möglich.
Aber es müsse noch vor Sonnenuntergang sein, damit wir
ihre Farben bei natürlichem Licht sehen könnten.
Hocherfreut verließen Michele Zunta und ich La Brezza.
Soddisfattissimi, Michele Zunta ed
io lasciammo “La Brezza”. Con impazienza crescente e in gioiosa attesa
salimmo tre giorni dopo di nuovo le
scale di legno nel bar. Sergio, con
un sorriso molto eloquente, dispose
su un tavolo velocemente liberato i
suoi tesori. Una natura morta floreale
di Kusmin, il pittore russo, in colori
scuri, armonici. E poi quadri di Werner Gilles: li mostrò sul tavolo, che
gli ultimi raggi del sole al tramonto
sfiorava; dopo una composizione
coloristica astrale, un acquarello di
Sant’Angelo in una prospettiva insolita, abbastanza alterata e veduta sulla
torre. Vista e dipinta durante uno dei
voli di fantasia del pittore: questa era
la supposizione di Sergio.
Questi, durante la sua presentazione, era gioiosamente eccitato,
continuava a guardarmi con i suoi
occhi scuri. Ma sembrava sempre più
irritato dal mio riserbo nel guardare i
quadri. E quando ci accomiatammo
in silenzio, sulla sua faccia non c’era
più gioia né sorriso. Sulla strada per
l’argine che conduce alla piazza, al
mio amato angolo del “Ridente”,
mi ricordai dei racconti di gente
del luogo riguardanti le numerose
falsificazioni dei quadri di Werner
Gilles. E d’un tratto mi resi conto: la
mia ricerca del misterioso artista si
protrarrà ancora a lungo.
La Villa Serena d’inverno, il bar La
Brezza in primavera: tempi di speranza, di delusione. Era infine autunno,
quando Dolly Barricelli aprì un’altra
porta della mia perplessità. Dovevo
recarmi in Casa Giuseppina e parlare
con la proprietaria. La signora Iacono era da decenni un’appassionata
collezionista di lavori di artisti che
avevano vissuto una volta a Sant’Angelo. Si vociferava ogni tanto di un
“cassone con un tesoro” che lei apriva
soltanto dopo lunghe sollecitazioni
e solo per amici del tutto particolari
e fidati. In esso si trovavano anche
opere di Werner Gilles, di ciò lei era
sicurissima.
Lo stesso giorno ancora, all’imbrunire, ero alla reception di Casa
Celestino e domandai della signora.
Con un misto di sorriso di routine
Mit wachsender Ungeduld und voller Vorfreude kletterten
wir drei Tage später erneut die Holztreppe in der Bar nach
oben. Sergio breitete auf einem rasch frei geräumten Tisch
mit vielsagendem Lächeln seine Schätze aus. Ein Stilleben
mit Blumen von Kusmin, dem russischen Maler, in dunklen,
harmonischen Farben. Und dann Bilder von Werner Gilles. Er
zeigte sie auf dem Tisch, den letzte Strahlen der untergehenden Sonne streiften: nach einer abstrakten Farbkomposition
ein Aquarell von Sant‘ Angelo in ungewöhnlicher, seltsam
verzerrter Perspektive und Sicht auf die Erde. Während eines
Fantasiefluges gesehen und gemalt – so die Vermutung von
Sergio.
Dieser war während seiner Präsentation zunächst freudig
erregt, blickte mich immer wieder mit seinen dunklen Augen
an. Doch zunehmend schien er irritiert von meiner Zurückhaltung beim Betrachten der Bilder. Und als wir uns schweigend
verabschiedeten, war keine Freude, kein Lächeln mehr in
seinem Gesicht. Auf dem Weg über den Damm zurück zur
Piazza, zu meiner geliebten Ecke am Ridente, erinnerte ich
mich an Erzählungen von Einheimischen über zahlreiche
Fälschungen der Werke von Werner Gilles. Und mit einem
Mal fühlte ich: Meine Suche nach den künstlerischen Spuren
des geheimnisvollen Malers würde vielleicht noch lange
weitergehen.
Die Villa Sirena im Winter, die Bar La Brezza im Frühling:
Zeiten der Hoffnung, der Enttäuschung. Es wurde schließlich Herbst, als Dolly Barricelli mir in meiner Ratlosigkeit
e una leggera diffidenza, mi venne
incontro una donna giovane, dai capelli neri. Insomma cosa volevo, la
signora non c’era, stava nella sua casa
a Succhivo. Io le spiegai che cercavo
quadri di Werner Gilles. Degli amici
mi avevano detto che la signora ne
possedeva alcuni. Perciò ero lì, pieno
di speranze, lei poteva aiutarmi.
Furono necessari ulteriori e ripetuti
chiarimenti, finché la donna alla fine
ammise: sì, lì c’erano quei quadri
e lei stessa ne possedeva i più belli
della collezione. La sua confessione
mi sbalordì, nel contempo la mia
speranza crebbe. E nei miei occhi
dovette apparire immediatamente
un’espressione di grande nostalgia
giacché la donna all’improvviso, senza perdere un’altra parola, si diresse
in fretta sopra per ritornare un minuto
dopo con un quadro sotto il braccio.
Lo appoggiò alla spalliera di una poltrona nel foyer. Alla vista del quadro
mi mancò il respiro. Sant’Angelo,
La Torre, i monti, il mare: soluzione
della percezione dell’artista, del vissuto in nuove forme e colori. In una
eine weitere Tür öffnete. Ich solle doch zur Casa Celestino
gehen und mit der Besitzerin sprechen. Signora Iacono sei
seit Jahrzehnten eine passionierte Sammlerin der Arbeiten
von Künstlern, die früher in Sant’ Angelo gelebt hätten. Von
einer „Schatztruhe“ werde gelegentlich gemunkelt, die sie nur
nach langem Bitten und nur für ganz besondere Freunde und
Vertraute öffnen würde. In ihr befänden sich auch Gemälde
von Werner Gilles, da sei sie sich ganz sicher.
Noch am selben Tag stand ich gegen Abend an der Rezeption der Casa Celestino und fragte nach der Signora. Mit
einer Mischung aus routinemäßigem Lächeln und leichtem
Misstrauen kam mir eine junge, schwarzhaarige Frau entgegen. Die Signora sei nicht da, sie sei in ihrem Haus in
Succhivo, was ich denn wolle Ich erklärte ihr, dass ich auf der
Suche nach Bildern von Werner Gilles sei. Freunde hätten mir
gesagt, in der Casa Celestino werde ich einige finden. Deshalb
sei ich hier, voller Hoffnung, sie könne mir weiterhelfen.
Wiederholte Erklärungen waren vonnöten, bis die Frau
endlich zu erkennen gab: Ja, hier gebe es solche Bilder, und
sie selbst sei die Eigentümerin des schönsten der Sammlung.
Ihr Geständnis verblüffte mich, zugleich wuchs meine Hoffnung. Und in meinen Augen muss ein Ausdruck von großer
Sehnsucht entstanden sein, denn die Frau eilte plötzlich - ohne
ein weiteres Worte zu verlieren - nach oben, um Minuten
später mit einem Bild unter dem Arm wiederzukehren. Sie
stellte es an die Rückenlehne eines Sessels im Foyer. Und bei
seinem Anblick stockte mir der Atem. Sant‘ Angelo, der Torre,
La Rassegna d’Ischia 3/2009 29
E. Bursche - S. Angelo - Vista della Torre (Blick auf den Torre)
K. Schneider - Rampa di scale a Casa Schneider
(Treppenaufgang zur Casa Schneider)
W. Sertürner - Maronti
A. Ferenz - Barca a vela sotto la luna
(Segelschifft im Mondschein)
H. P. Kirchpfenning - Giorgio, il pescatore (der Fischer)
30 La Rassegna d’Ischia 3/2009
W. Gilles - Oriente I (das Morgenland I)
nuova raffigurazione - la sua propria,
inconfondibile interpretazione. Condensazione di tutto ciò che io amo,
che sogno quando l’inverno a Berlino
non vuole finire.
Con soddisfazione la giovane
donna, Carla, figlia di Celestino, si accorse della mia gioiosa reazione. Con
orgoglio richiamò la mia attenzione
sulla firma di Werner Gilles. E per
dissipare ogni altro possibile dubbio
sull’autenticità dell’acquarello, mi
mostrò anche il retro dell’opera: in
colori sbiaditi, in contorni provvisori
il tema era abbozzato. Secondo la
spiegazione della proprietaria, ciò
era stato tipico per il pittore allora
povero - una prova convincente,
ulteriore del fatto che nessun altro
aveva potuto dipingere quel quadro.
Dopo aver fotografato il quadro, al
tramonto lasciai Casa Celestino. Ero
sicuro: finalmente avevo raggiunto la
meta della mia lunga ricerca.
Qualche giorno dopo conobbi la
signora in persona: la scopritrice originaria, l’acquirente che conservava
testimonianze di quegli anni d’oro
per i pittori. Mi salutò con grande
cortesia e signorile riservatezza. Ben
pettinata ed elegante, l’ex insegnante
elementare mi parlò dei suoi incontri
con i pittori di quel tempo straordinario. Oltre a Eduard Bargheer e
a Franz Markgraf, le drammatiche
raffigurazioni del mare e del cielo
dominavano l’ambiente accanto alla
reception: era sempre Werner Gilles,
il pittore del mitico, di cui lei, come
Dolly Barricelli, continuava a parlare
con un lieve sorriso e gli occhi seri.
L’anziana signora mi aveva definitivamente persuaso a realizzare il mio
desiderio di conoscere più a fondo
questo artista affascinante.
Per occuparmi ancora più intensamente della vita e dell’opera di
Werner Gilles, dopo il mio ritorno a
Berlino, mi incontrai con un amico
esperto di arte. Con mia gioia mi
dischiuse nuove fonti. Confermò anche le informazioni e i racconti della
gente di Sant’Angelo. Mi fece notare
l’ampia diffusione di quadri falsi di
die Berge, das Meer: Auflösung des vom Künstler Wahrgenommenen, Erlebten in neue Formen und Farben, zu einer
neuen Gestaltung – seiner ganz eigenen, unverwechselbaren
Interpretation. Verdichtung all dessen, was ich liebe, wovon
ich träume, wenn der Winter in Berlin nicht enden will.
Mit Genugtuung vernahm die junge Frau, Signora Iaconos
Tochter Carla, meine freudige Reaktion. Stolz verwies sie
auf die Signatur von Werner Gilles. Und um mögliche letzte
Zweifel an der Echtheit der Arbeit zu beseitigen, zeigte sie mir
dann noch deren Rückseite: In matten Farben und flüchtigen
Umrissen war das Thema skizziert. Nach der Erläuterung der
Eigentümerin – dies sei typisch für den damals armen Maler
gewesen – ein überzeugender, weiterer Beweis dafür, dass
kein anderer als er selbst dies Werk gemalt haben konnte.
Nachdem ich es noch fotografiert hatte, verließ ich bei Sonnenuntergang die Casa Celestino. Ich war mir sicher: Endlich
hatte ich mein Ziel erreicht.
Einige Tage später lernte ich dann noch die Signora selbst
kennen, die ursprüngliche Entdeckerin, Käuferin und Bewahrerin von Zeugnissen jener goldenen Jahre. Sie begrüßte mich
mit großer Höflichkeit und vornehmer Zurückhaltung. Sorgsam frisiert und elegant gekleidet, erzählte mir die ehemalige
Volksschullehrerin von ihren Begegnungen mit den Malern
jener außergewöhnlichen Zeit. Neben Eduard Bargheer und
Franz Markgraf, dessen dramatische Darstellungen von Meer
und Himmel einen Raum neben der Rezeption beherrschten,
war es immer wieder Werner Gilles, der Maler des Mythischen, auf den sie – wie Dolly Barricelli - mit leisem Lächeln
Gilles, che quasi nessuno era in grado
di accertare. Anche i problemi giuridici riguardanti i diritti d’autore di una
pubblicazione non dovevano essere
sottovalutati; poteva trattarsi di molto
denaro. Le osservazioni dell’amico
suscitarono in me molti dubbi. Essi
si annidarono nelle mie speranze. La
mia ricerca di quadri in Casa Celestino, in apparenza conclusasi con un
esito così felice, all’improvviso mi
apparve in una nuova luce, piuttosto
cupa. Oltre a verificare una probabile
falsificazione, occorreva evidentemente anche essere in possesso di
cognizioni giuridiche. Perciò, dovevo
innanzitutto consultare gli eredi di
Werner Gilles, così almeno mi disse
un rinomato grafico di Berlino a cui
avevo chiesto informazioni in merito.
Così doveva incominciare un altro
capitolo della mia ricerca dei dipinti
del pittore, della mitologia della Torre, di Sant’Angelo, dei pescatori e dei
dirupi all’interno dell’isola.
Dopo aver formato l’attuale numero telefonico di un erede di Gilles, mi
und ernsten Augen zu sprechen kam. Die alte Dame hatte
meinen Wunsch verstärkt, diesem faszinierenden Künstler
in seinen Werken näher zu kommen.
Um mich noch intensiver mit dem Schaffen von Werner
Gilles zu beschäftigen, traf ich mich nach meiner Rückkehr in
Berlin mit einem kunsterfahrenen Freund. Zu meiner Freude
erschloß er mir neue Quellen. Doch er bestätigte auch die
Andeutungen und Erzählungen von Einheimischen in Sant’
Angelo. Er wies mich auf die weite Verbreitung gefälschter
Bilder von Gilles hin, die kaum jemand wirklich nachweisen
könne. Auch juristische Probleme beim Urheberrecht einer
Veröffentlichung seien nicht zu übersehen, um sehr viel Geld
könne es dabei gehen.
Die Hinweise des Freundes ließen in mir neuerliche Zweifel
entstehen. Sie nisteten sich in meine Hoffnungen ein. Meine Suche in der Casa Celestino, vermeintlich so glücklich
beendet, erschien plötzlich in einem neuen, eher düsteren
Licht. Neben der Prüfung einer möglichen Fälschung waren
offensichtlich auch juristische Kenntnisse vonnöten. Daher
müsse ich – so ein von mir ebenfalls zu Rate gezogener renommierter Berliner Grafiker - nun vor allem den Erben von
Werner Gilles konsultieren. Damit sollte ein weiteres Kapitel
in meiner Suche nach Gemälden des Malers der Mythologie
des Torre, von Sant‘ Angelo, von Fischern und Schluchten
im Inselinneren beginnen.
Nach Erlangen der aktuellen Telefonnummer des Gilles
- Erben klang mir eine distanzierte Stimme entgegen. Ja, er
sei Dr. Kleinheisterkamp, was ich denn von ihm wolle. Ich
La Rassegna d’Ischia 3/2009 31
rispose una voce distaccata. Sì, era il
dottor Kleinheisterkamp, insomma
che cosa volevo da lui. Gli spiegai
la mia richiesta. Infine mi riuscì di
superare il suo evidente scetticismo.
Mi chiese se non volessi andare semplicemente a Krefeld per un colloquio
personale, così si poteva vedere
quanto fosse possibile fare. Quanto
avevo sperato in quella proposta!
Anche la sua richiesta di spedire una
copia del quadro di Gilles in possesso
di Casa Celestino, con mio sollievo,
non causò una nuova distanza tra noi.
Qualche giorno dopo, il dottor Kleinheisterkamp si fece sentire di nuovo.
Aveva i suoi dubbi che si trattasse di
un originale. Anche un gallerista di
Düsseldorf da lui consultato condivideva il suo scetticismo. Io so molto
bene in quale grande misura a Napoli
e nel circondario vengono falsificate
le opere d’arte. Il risultato del colloquio difficile, ma anche molto aperto,
fu il desiderio comune di un incontro
personale entro breve tempo.
Per vivere ancora una volta il caldo e la luce del Sud nell’anno che
volgeva al termine, anche per fare
ancora qualche nuotata nel mare,
andai di nuovo a Ischia per un paio
di giorni. Appena dopo il mio arrivo,
ebbi l’occasione di vedere un film su
Werner Gilles. Dal berlinese KlausDieter Fröhlich, come me ospite di
Ischia da lunghi anni. Lo aveva scoperto qualche tempo prima a Berlino
e messo a disposizione degli “Amici
di Sant’Angelo”. Così conobbe anche
Maria, una figlia dei proprietari della
mia pensione e membro lei stessa
dell’associazione.
Era un pomeriggio di autunno. La
luce sulla terrazza della mia pensione e sul mare era diffusa, senza veri
colori. Ma nel salone della famiglia,
il luogo della prima del film, cominciò a un tratto a risplendere un altro
mondo. Il video del dott. Carl Lampe
“Il pittore di Orfeo, Werner Gilles”
mostrava in immagini e sequenze
tranquille e nel contempo drammatiche un artista silenzioso, sensibile,
immerso nel suo mondo. Per tutta la
vita un giramondo, che trovò a Ischia,
a Sant’Angelo, la sua “casa”. Ischia,
schilderte ihm mein Anliegen. Schließlich gelang es mir, seine
offenkundige Skepsis zu überwinden. Ob ich nicht einfach
mal nach Krefeld kommen wolle, zu einem persönlichen
Gespräch, dann könnten wir weiter sehen. Wie sehr hatte ich
auf diesen Vorschlag gehofft.
Auch seine Bitte um Zusendung einer Aufnahme des von
mir erwähnten Gilles-Bildes im Besitz der Casa Celestino
schuf zu meiner Erleichterung keine neuerliche Distanz.
Einige Tage später ließ Dr. Kleinheisterkamp wieder von
sich hören. Er habe seine Zweifel, ob es sich dabei um ein
Original handele. Auch ein von ihm konsultierter Galerist in
Düsseldorf teile seine Zweifel. Mir sei doch sicher bekannt,
in welchem Maße in Neapel und Umgebung gefälscht werde.
Das Ergebnis des schwierigen, dabei aber auch sehr offenen
Gesprächs war der gemeinsam bekräftigte Wunsch nach
einem baldigen persönlichen Treffen.
Um in dem zu Ende gehenden Jahr noch einmal südliche
Wärme und Licht zu erleben und im Meer zu schwimmen,
reiste ich für ein Paar Tage erneut nach Ischia. Kurz nach
meiner Ankunft hatte ich Gelegenheit, ein Video über Werner
Gilles zu sehen. Von dem Berliner Klaus-Dieter Fröhlich,
wie ich langjähriger Gast auf Ischia, hatte ich von dem Film
erfahren. Er hatte ihn einige Zeit vorher in Berlin entdeckt
und den „Amici di Sant`Angelo“ eine Kopie zur Verfügung
gestellt. So kam er auch zu Maria, einer Tochter meiner Pensionsfamilie und selbst Mitglied des Freundeskreises.
Es war ein Nachmittag im Herbst. Das Licht über der Terras32 La Rassegna d’Ischia 3/2009
tale fu il suo puntuale commento, era
per lui la “quintessenza della bellezza
assoluta”. Nella natura, nelle bizzarre
formazioni rocciose, nei profondi
nascosti dirupi e nelle strade solitarie,
negli uomini semplici, nei pescatori,
trovò i suoi temi. In loro s’incontrarono poesia, musica e sogno. Nei quadri
– non raffigurazioni ma simboli – che
egli rappresentò con “l’occhio esterno
e interno”: “Poesia nell’interpretazione della natura”.
Werner Gilles, il pittore moderno
di Orfeo! In una rappresentazione del
famoso ciclo di Orfeo c’è il lamento
di una donna per il cantore morto,
mentre un uccello dei morti spalanca
le sue ali. Con un suonatore di flauto,
la cui melodia io finanche credetti
di sentire veramente. Una scena che
mi commosse in maniera particolare
che Gilles mi mostrò al momento di
lasciare il suo atelier a Sant’Angelo:
un uomo chiaramente malato, che con
passi stanchi attraversava la piazza.
Il film, sebbene in bianco e nero,
brillava nei colori di una vita che si
riempiva durante i mesi estivi nel
se meiner Pension und dem Meer war diffus, ohne wirkliche
Farben. Aber im Salone der Familie, dem Ort der Vorführung,
begann mit einem Mal eine andere Welt zu erstrahlen. Das
Video von Dr. Carl Lampe „Der Maler des Orpheus - Werner
Gilles“ zeigte in ruhigen, zugleich dramatischen Bildern und
Sequenzen einen stillen, empfindsamen, in seine Welt versunkenen Künstler. Zeitlebens ein Wanderer, der in Ischia, in
Sant`Angelo sein „zu Hause“ fand. Ischia, so der einfühlsame
Kommentar, war für ihn „Inbegriff vollendeter Schönheit“.
In der Natur – den bizarren Felsformationen, den verborgenen tiefen Schluchten und einsamen Stränden – und bei den
einfachen Menschen, den Fischern, fand er seine Themen. In
ihnen begegneten sich „Poesie, Musik und Traum“. In Bildern
– keinen Abbildern sondern Sinnbildern - ,die er „mit dem
äußeren und inneren Auge“ gestaltete: „Dichtungen über die
Natur“.
Werner Gilles, der moderne Maler des Orpheus! Auf einer
Darstellung aus dem berühmten Orpheus –Zyklus die Klage
einer Frau um den toten Sänger, während ein Totenvogel
seine Schwingen ausbreitete. Mit einem Flötenspieler, dessen
Klagemelodie ich förmlich zu hören glaubte. Mich besonders
bewegend eine Szene, die Gilles beim Verlassen seines
Ateliers in Sant`Angelo zeigte: einen offensichtlich kranken
Mann, der mit langsamen, müden Schritten die Piazza überquerte.
Der Film, obwohl in Schwarz-weiß, leuchtete in den Farben
eines Lebens, das sich während der Sommermonate in dem
piccolo borgo di pescatori e poi alla
fine si svuotava. Con la suggestiva
forza delle immagini, la lingua che
le commentava, la musica diventò la
ricchezza di una vita che si concluse
in profonda solitudine.
La conoscenza diretta di questo
film rafforzò di più il mio desiderio
di conoscere il più presto possibile il
dottor Kleinheisterkamp. Un pomeriggio piovoso, un paio di settimane
dopo, nell’autunno del 2003, in una
città della regione della Ruhr, ero
finalmente pervenuto nel mondo
dei quadri di Werner Gilles. In un
elegante quartiere di Krefeld, alle
porte di un’imponente villa in un
parco, incontrai l’erede del pittorepoeta. Vestito con sobria eleganza, il
dottor Kleinheisterkamp mi accolse
con squisita cortesia. Le successive
due ore furono ricche di sorprese. Di
fronte a una parete con quadri di suo
zio, il mio ospite mi aveva offerto
un posto “per il tè con un pasticcino”.
Dopo alcuni convenevoli di cortesia,
eravamo entrati subito in un mondo
gremito di forme, figure e messaggi
spesso enigmatici. Con colori che
ardevano di luce e nel contempo
sprigionavano solitudine.
Il mio interlocutore, tale fu la mia
impressione, diventò sempre più il
nipote che ammirava ancora suo zio.
Mi raccontò tante storie - talvolta interrotte da lunghi silenzi -. Io intanto
osservavo affascinato i dipinti alle
pareti. Già nel momento in cui entrai
nella stanza, una particolarità aveva
attratto la mia attenzione: “Pescatori
con rete”, uno che gettava la rete con
ampi movimenti, l’altro che remava
chino sulla barca. C’era un acquarello
di un “burrone rosso” e un “Ischia paesaggio” dalla cui forza misteriosa
riuscii a distaccarmi a stento.
Dopo un’altra tazza di tè il dottor
Kleinheisterkamp mi accompagnò
alle stanze del piano inferiore della
sua casa. Mi mostrò caterve di studi
di nudi e disegni di corpi di gente
del Suditalia, di pescatori e contadini
sulla costa amalfitana. Essi mi fecero
pensare a famosi modelli, ad Albrecht
kleinen Fischerdorf erfüllte und schließlich erschöpfte. Durch
die suggestive Kraft der Bilder, die kommentierende Sprache,
die Musik wurde der Reichtum eines Lebens fühlbar, das in
tiefer Einsamkeit endete.
Das Erlebnis dieses Filmes verstärkte noch meinen Wunsch,
Dr. Kleinheisterkamp möglichst bald kennen zu lernen. Ein
paar Wochen später, an einem regnerischen Nachmittag im
Herbst 2003, war ich in einer Stadt im Ruhrgebiet endlich
in der Welt von Werner Gilles ganz angekommen. In einem
vornehmen Viertel Krefelds, an der Tür einer in einem kleinen
Park gelegenen Villa, traf ich den Erben des Malerpoeten.
Dezent-elegant gekleidet, mit ausgesuchter Höflichkeit empfing mich Dr. Kleinheisterkamp.
Die nachfolgenden Stunden waren reich und voller Überraschungen. Einer Wand mit Bildern gegenüber hatte mir
mein Gastgeber einen Platz „zum Tee mit kleinem Gebäck“
angeboten. Nach ein paar Höflichkeitsfloskeln waren wir
rasch in einer Welt voller rätselhafter Formen und Gestalten
und Botschaften angelangt. Mit Farben, die vor Leben glühten
und gleichzeitig Einsamkeit ausstrahlten.
Mein Gesprächspartner wurde, so mein Eindruck, zunehmend zu dem Neffen, der seinen Onkel noch immer bewunderte. So viele Geschichten wusste er zu erzählen – manchmal
unterbrochen von längerem Schweigen. Dabei betrachtete ich
fasziniert die Gemälde an den Wänden. Schon beim Betreten
der Räume war mir eines aufgefallen: „Fischer mit Netzen“;
der eine mit weiten Bewegungen das Netz auswerfend, der
andere beim Rudern über das Boot gebeugt. Nun war es ein
Dürer e a Leonardo da Vinci. Schizzi
magistrali nascosti negli armadi.
Verso la fine della mia visita il dottor Kleinheisterkamp mi mostrò quel
film su Werner Gilles che mi aveva
tanto colpito qualche settimana prima
in una proiezione nella mia pensione
a Sant’Angelo. Orgoglioso e compiaciuto, visibilmente emozionato,
mi pregò di vedere il quadro insieme
a lui. L’uomo che, col cappotto già
indosso, mi faceva dimenticare sempre più la sua professione giuridica,
mi accordò un onore particolare. Mi
accompagnò nella stanza da letto
della sua casa: mi voleva mostrare
alcuni “quadri del tutto personali" di
suo zio.
Colpito da tanta fiducia, lasciai
la casa e la città. Ora ne ero certo:
la mia odissea era finalmente finita.
Non avevo trovato nella Sant’Angelo
inondata di luce le opere di Werner
Gilles che aver compreso, forse
come nessun altro, l’anima arcaica,
complessa dell’antico borgo di pescatori. Ciò accadde in una triste città
Aquarell von einer „Roten Schlucht“ und ein Ölbild „ Ischia
– Landschaft“, deren geheimnisvoller Kraft ich mich kaum
entziehen konnte.
Nach einer weiteren Tasse Tee bat mich Dr. Kleinheisterkamp in die unteren Räume seines Hauses. Er zeigte mir
Stapel von Aktstudien und Körperzeichnungen der Menschen
in Süditalien, von Fischern und Bauern an der Amalfitanischen
Küste. Sie ließen mich an berühmte Vorbilder, an Albrecht
Dürer und Leonardo da Vinci, denken. Meisterliche Skizzen,
die in Schränken verborgen waren.
Gegen Ende meines Besuchs führte mir Dr. Kleinheisterkamp jenen Film über Werner Gilles vor, der mich ein paar
Wochen zuvor im Salone meiner Pension in Sant’ Angelo so
sehr berührt hatte. Voller Stolz und sichtlich bewegt, bat er
mich, ihn mit ihm gemeinsam anzusehen. Schon im Mantel,
ließ mir der Mann, der mich seine juristische Profession immer mehr vergessen machte, dann noch eine besondere Ehre
zuteil werden. Er bat mich in das Schlafzimmer des Hauses:
Er wolle mir noch einige „ ganz persönliche Bilder“ seines
Onkels zeigen.
Gerührt von so viel Vertrauen verließ ich das Haus und die
Stadt. Ich war mir gewiss: Nun war meine Odyssee endlich
beendet. Nicht im sonnenerfüllten Sant‘ Angelo hatte ich die
Werke von Werner Gilles gefunden, der vielleicht wie kein
anderer die archaische, vielschichtige Seele des alten Fischerdorfes begriffen hatte. Es war in einer tristen Industriestadt
im Ruhrgebiet. Und auf dem Weg zum Bahnhof sah ich sie
noch immer vor mir: ihr geheimnisvolles Leuchten, ihre
La Rassegna d’Ischia 3/2009 33
industriale della regione della Ruhr. E sulla strada per la stazione la vedevo
sempre davanti a me: la sua luce misteriosa, i suoi messaggi che portano in
altri mondi.
Vivi ricordi: Hotel Miramare e Hotel La Palma
Dopo un lungo e grigio inverno a Berlino, il maggio successivo tornai
sull’isola. Incoraggiato dalla mia visita al dottor Kleinheisterkamp, mi misi
di nuovo alla ricerca di altri pittori tedeschi. Come seppi in seguito, tra essi
ce n’erano alcuni – come Rudolph Levy, Hans Purrmann, Werner Gilles,
Pfeiffer-Watenpfuhl, Eduard Bargheer ed Hermann Poll – che già prima della
seconda guerra mondiale cercavano quella vita, quella luce che fissavano su
tela e carta.
e cortili interni. Sguardi nei locali, in
Il rinomato Hotel Miramare di cui si ritrae la storia della Casa. Con
Sant’Angelo, dal 1930 alloggio di acquarelli di Gertrude Heimholtz,
molti ospiti illustri, fu la mia meta Karl Schneider e altri artisti. E di
successiva. Spesso, durante una continuo quei ripetuti sguardi verso
traversata con una barca-tassì dal l’esterno! Sul porticciolo, sulla Torporticciolo verso la spiaggia dei re, sull’estremità della spiaggia dei
Maronti, avevo osservato lo straor- Maronti e la costa amalfitana. Ampi
dinario impianto. Accompagnato da sguardi sul mare abbagliante fino a
un giovane della reception, iniziò Capri.
un’altra immaginifica esperienza. La mia ricerca di tracce a Sant’AnAnche lì c’erano da vedere dovunque gelo sarebbe stata impensabile senza
tracce di pittori che avevano vissuto una visita all’Hotel La Palma, ricco
a Sant’Angelo alcuni decenni prima. di tradizioni, nel cosiddetto quartiere
Un giro per lunghi corridoi e scale arabo. Carlo Di Iorio, il proprietario,
che collegano diversi piani, terrazze sembrò lieto di potermi aiutare nella
Botschaften, die in andere Welten führen.
Bewahren von Erinnerungen
Hotel Miramare und Hotel La Palma
Nach einem langen und grauen Winter in Berlin kehrte ich
im darauffolgendenMai nach Ischia zurück. Ermutigt durch
meinen Besuch bei Dr. Kleinheisterkamp, begab ich mich
erneut auf die Suche nach Zeugnissen von weiteren deutschen
Malern. Wie ich später erfahren sollte, waren unter ihnen
manche - so Rudolf Levy, Hans Purrmann, Werner Gilles,
Peiffer-Watenpfuhl, Eduard Bargheer und Herrmann Poll –,
die schon vor dem zweiten Weltkrieg jenes Leben, jenes Licht
suchten, das sie auf Leinwand und Papier festhielten.
Das renommierte Hotel Miramare in Sant` Angelo, seit
1930 Herberge vieler illustrer Gäste, war mein nächstes
Ziel. Oft hatte ich bei einer Überfahrt mit dem Taxiboot vom
kleinen Hafen zum Marontistrand auf die beeindruckende
Anlage geschaut. Begleitet von einem jungen Mann an der
Rezeption, begann ein weiteres bilderreiches Erlebnis. Denn
auch hier waren überall „Spuren“ von bildenden Künstlern
zu sehen, die vor Jahrzehnten in dem Ort gelebt hatten. Eine
Wanderung über lange Gänge und Treppen, die unterschiedliche Ebenen, Terrassen und Innenhöfe verbinden. Blicke in
Räume, in denen sich die Geschichte des Hauses abbildet.
Mit Aquarellen von Gertrude Helmholtz, Karl Schneider
34 La Rassegna d’Ischia 3/2009
ricerca. Con grande cortesia mi condusse attraverso le stanze disposte
intorno al suo ufficio. Con quadri del
pittore ischitano Mazzella - Brücke
(Ponti) scintillanti di blu verso gli
acquarelli di Gertrude Helmholtz.
Anni prima avevo visto per la prima volta i suoi quadri a Casa Sofia,
ma mi ero imbattuto occasionalmente
in essi anche in altre case. E sempre
mi chiedevo i motivi di quei colori
che spesso sembravano sbiaditi. Era
quella la maniera di dipingere di Gertrude Helmhotz? Era l’utilizzazione
di colori particolarmente sensibili alla
luce o l’effetto dannoso della luce
stessa nel corso del tempo? Era forse
la qualità probabilmente scadente della carta usata o l’approccio frettoloso
e approssimativo agli acquarelli nella
fase di montaggio delle cornici e al
momento di appenderli alle pareti?
Le spiegazioni pazienti e competenti del proprietario dell’albergo
mi fecero dimenticare presto la mia
domanda. C’era un quadro alla parete
tra il suo ufficio e la sala da pranzo
che egli osservava da tempo. “Questo
und anderen Malern. Und immer von Neuem diese Blicke
nach draußen! Zum kleinen Hafen, zum Torre, zum Ende des
Marontistrandes und zur Amalfitanischen Küste. Weite Blicke
über das gleißende Meer bis nach Capri.
Meine Spurensuche in Sant` Angelo wäre undenkbar gewesen ohne einen Besuch des traditionsreichen Hotels La
Palma im sogenannten arabischen Viertel. Carlo di Iorio, der
Besitzer, schien erfreut, mir bei meinem Anliegen helfen zu
können. Mit großer Liebenswürdigkeit führte er mich durch
die um sein Büro gelegenen Räume. Mit Bildern des ischitanischen Malers Mazzella – blau-schimmernde Brücke zu den
Aquarellen von Gertrude Helmholtz.
Vor Jahren hatte ich in der Casa Sofia ihre Arbeiten zum
ersten Mal gesehen, war ihnen gelegentlich auch in anderen
Häusern des Dorfes begegnet. Dabei fragte ich mich immer
wieder nach den Gründen für die oft verblasst scheinenden
Farben. War es die Malweise von Gertrude Helmholtz? Waren
es die Verwendung besonders lichtempfindlicher Farben und
die schädliche Einwirkung des Lichts über lange Zeit? War
es die möglicherweise mindere Qualität des verwendeten
Papiers oder der allzu sorglose Umgang mit den Aquarellen
beim Aufhängen an oft feuchten Wänden?
Die geduldig-sachkundigen Erläuterungen des Hotelbesitzers ließen mich meine Fragen rasch vergessen. Es war
ein Bild an der Wand zwischen seinem Büro und den Speiseräumen, das er lange betrachtete. „Dies Bild lieben wir
besonders“, sagte er mit leichtem Lächeln. Nie zuvor hatte
quadro noi lo amiamo particolarmente” mi disse con un lieve sorriso.
Mai prima, in occasione di una mia
visita, un proprietario d’albergo si era
espresso in maniera così sommessa
e convincente. Io mi trovavo davanti
a un acquarello, del quale all’inizio
non riuscivo a riconoscere il soggetto.
Ma poi individuai il cielo, il mare, le
colline circostanti, le vecchie case
del villaggio in blu brillante chiaro
e ocra e verde delicato. Vidi la luce
tremolante di una giornata estiva, vidi
il fondersi insieme di cielo, case, terra
e mare.
Come già era avvenuto per le mie
visite in Casa Sofia, nell’Hotel Conte, nel bar Ridente e nel ristorante Il
Pescatore, anche quell’ora trascorsa
presso La Palma mi indusse a pensare
che mi immergevo con la mente in
un tempo ritenuto da tempo concluso. Era uno sguardo in un ambiente
che collegava tra loro atrio e sala da
pranzo. La storia del villaggio adornava le sue pareti. Fotografie storiche
dell’antico villaggio di pescatori appena riconoscibile. La piazza, come
una volta, con Werner Gilles accanto
al capitano all’ingresso del Pescatore.
Fotografie di altra gente del posto,
soprattutto mulattieri, le cui facce si
sono incise nei ricordi dei miei primi
soggiorni. Scoprii anche foto della
famosa fotografa Regina Relang: ritratti di una manniquin famosa in quel
tempo sulla spiaggia dei Maronti. E
foto di case, in cui una volta avevano
vissuto pittori come Gilles, Bargheer,
Bursche, Kusmin, Neujhar.
Ritornai ancora agli acquarelli di
Gertrude Heimholtz che mi avevano
affascinato quella mattina. Come mi
raccontò Carlo Di Iorio, per molti
anni l’Hotel La Palma era stato per
lei come una casa paterna. Così una
foto mostra l’amica fidata in una cena
insieme con tutta la famiglia.
Parole giudiziose del proprietario
dell’albergo, mentre mi allontanavo
dalla sua Casa: "Quello era stato un
tempo felice, con maggior senso
per ciò che realmente è importante,
essenziale. Non questa irrequieta,
continua caccia al nuovo che non può
donare pace".
Uscendo nel sole autunnale, mi domandavo: “Dove continua a battere il
vecchio cuore di Sant’Angelo? Sulla
piazza, davanti a “Il Ridente”- l’amato luogo d’incontro di pittori di quel
tempo o piuttosto qui, nel cosiddetto
quartiere arabo? Con i suoi angoli
silenziosi, incantati, nei quali la notte
l’antico villaggio dei pescatori sembra che continui a vivere…
A Forio
Bar Maria, Ristorante Epomeo e la casa di Bargheer
Le mie visite di case private, bar, ristoranti, pensioni e alberghi a Sant’Angelo
resero più forte il mio desiderio di scoprire altri quadri forse presenti in altri
luoghi dell’isola. Perciò Forio fu la mia meta successiva. Durante i primi viaggi
a Ischia nella metà degli anni Ottanta, le mie escursioni per l’isola mi avevano
portato spesso a questo antico paese di artisti. Sempre ad un cappuccino davanti
al Bar Maria, all’ombra delle acacie vicino alla pittoresca fontana coperta di
sich bei meinen Besuchen ein Eigentümer von Kunstwerken
so leise, zugleich so offen und überzeugend geäußert. Ich
stand vor dem Aquarell, auf dem ich zunächst kaum etwas
erkennen konnte. Doch dann sah ich den Himmel, das Meer,
die umliegenden Hügel, die alten Häuser des Dorfes in hell
-strahlendem Blau und Ocker und sanftem Grün. Ich sah das
flimmernde Licht eines Sommertages, sah das Verschmelzen
von Himmel und Häusern und Erde und Meer.
Wie schon meine Besuche in der Casa Sofia, im Hotel
Conte, der Bar Ridente und dem Ristorante Pescatore, glich
auch diese Stunde im La Palma einer Wanderung zurück in
eine längst verloren geglaubte Zeit. Es war der Blick in einen
Raum, der Eingangshalle und Speisesaal miteinander verband.
Seine Wände schmückte die Geschichte von Sant`Angelo.
Historische Fotografien vom alten, kaum mehr sichtbaren
Fischerdorf. Die Piazza, wie sie einmal war, mit Werner Gilles
neben dem Capitano am Eingang zum Pescatore. Fotografien
von weiteren Einheimischen, vor allem den Mulatieri, deren
Gesichter sich mir seit den ersten Aufenthalten in meine
Erinnerung eingegraben haben. Auch Aufnahmen der Fotografin Regina Relang entdeckte ich: Porträts von zu jener Zeit
berühmten Mannequins am Marontistrand. Und Aufnahmen
von Häusern, in denen einmal Maler gelebt hatten wie Gilles,
Bargheer, Bursche, Kusmin und Neujahr.
Noch einmal kehrte ich zu den Aquarellen von Gertrude
Helmholtz zurück, die mich an dem Morgen verzaubert hatten.
Wie mir der Hotelbesitzer erzählte, war über viele Jahre La
Palma für sie eine Heimat gewesen. So zeigte eine Fotografie
die Freundin und Vertraute der Familie beim gemeinsamen
Abendessen. Nachdenkliche Worte von Carlo di Iorio zum
Abschied: „Es war eine glückliche Zeit, mit mehr Sinn für
das Wichtige, Wesentliche. Nicht diese ruhelose Jagd hinter
beständig Neuem, die keinen Frieden schenken kann“.
Während ich durch die engen Gassen schlenderte, fragte ich
mich: Wo schlägt noch immer das alte Herz von Sant’Angelo?
Auf der Piazza, vor dem Pescatore, im Ridente-Eck - dem
geliebten Treffpunkt der Maler jener Zeit? Oder doch eher
hier, im sogenannten arabischen Viertel? Mit seinen stillen,
verwunschenen Winkeln, in denen in der Nacht das frühere
Fischerdorf noch immer zu leben scheint…
In Forio - Bar Maria, Ristorante Epomeo und das Haus von Bargheer
Meine Besuche von Privathäusern, Bars, Restaurants,
Pensionen und Hotels in Sant’ Angelo ließen meinen Wunsch
immer stärker werden, vielleicht auch Bilder an anderen Orten
der Insel zu entdecken. Daher war Forio mein nächstes Ziel.
Während meiner ersten Reisen nach Ischia Mitte der 1980er
Jahre hatten mich meine Ausflügen über die Insel immer
La Rassegna d’Ischia 3/2009 35
muschio. Occasionalmente anche a
una cena nel vicino Ristorante Epomeo. Mete particolari alle quali devo
il mio primo incontro con il pittore
Ernst Bursche - nel contempo inizio
della mia lunga ricerca di tracce -.
Un violento temporale e una pioggia a dirotto mi avevano accompagnato nel mio viaggio in bus verso
Forio. Entrando nel bar, mi accolse
un insolito silenzio. C’era appena
qualche cliente. Subito notai i cambiamenti rispetto al recente passato,
evidente espressione del desiderio
del nuovo proprietario di ricollegarsi
al significato artistico del locale. Così
all’entrata c’era una tabella coi nomi
altisonanti degli ospiti del tempo in
cui il Bar Maria era il cuore artistico
di Forio. Luogo d’incontro di una
bohème, il cui spirito libero, il cui
senso della vita e la creatività li accumunava per un limitato, meraviglioso
periodo. Foto mostravano Maria, la
leggendaria locandiera, con Wystan
Hugh Auden e altri visitatori di quegli
anni.
Ritratti mai visti prima del pittore
ischitano Bolivar mi affascinarono.
Un artista che, come Luigi De Angelis, Mario Mazzella e Luigi Coppa,
aveva trovato una forma espressiva
inconfondibile. Mi faceva piacere
saperne di più su di lui. Quadri di
Hans Purrmann, che durante il suo
soggiorno sull’isola aveva abitato
prevalentemente a Ischia Porto,
conferivano al bar una luce particolare. I quadri mi fecero pensare a un
piccolo libro che mi aveva regalato
Dolly Barricelli anni prima, un testo
che amavo molto. Edito nel 1963 col
titolo “Estate a Ischia”, mostra delle
riproduzioni di opere del pittore: il
porto e le case sul porto, paesaggi
e coste di Lacco Ameno, “Alberi di
ulivo con muro” e una “Casa rossa
con palma”. Dipinti che raccontano
la bellezza mediterranea dell’isola.
E quei colori! Il giallo luminoso, il
rosso profondo, il blu puro e il verde
tremolante. Quella sera al Bar Maria
mi riuscì difficile staccarmi dalla vista
delle opere originali di Purrmann.
wieder zu diesem alten Künstlerstädtchen geführt. Stets auf
einen Cappuccino vor der Bar Maria, im Schatten der Akazien
am malerischen, moosüberwachsenen Brunnen. Gelegentlich
auch zu einem Abendessen im nahegelegenen Ristorante
Epomeo. Besondere Ziele, denen ich meine erste Begegnung
mit dem Maler Ernst Bursche verdanke – zugleich Beginn
meiner langen Spurensuche.
Schwere Gewitter und strömender Regen hatten mich auf
meiner Busfahrt nach Forio begleitet. Beim Betreten der Bar
Maria, auch „Bar Internationale“ genannt, empfing mich eine
ungewohnte Stille. Kaum mehr Gäste. Doch sofort bemerkte
ich Veränderungen gegenüber früher - offensichtlicher Ausdruck für den Wunsch des Besitzers, an die künstlerische
Bedeutung des Lokals zu erinnern. So entdeckte ich am
Eingang eine Tafel mit klangvollen Namen von Gästen aus
der Zeit, als die Bar Maria künstlerisches Herz von Forio
war. Treffpunkt einer Boheme, deren offener Geist, deren
Lebensgefühl und Kreativität sie für eine wundervolle, bemessene Zeit zusammenfinden ließen. Fotos zeigten Maria,
die legendäre Wirtin, mit Wysten Hugh Auden und anderen
berühmten Besuchern jener Jahre.
Nie zuvor gesehene Portraits des ischitanischen Malers
Bolivar faszinierten mich. Ein Künstler, der – wie Luigi de
Angelis, Mario Mazzella und Luigi Coppa – eine unverwechselbare Ausdrucksform gefunden hatte. Gerne hätte ich mehr
über ihn erfahren. Bilder von Hans Purrmann, der während
seiner Inselaufenthalte überwiegend in Porto gewohnt hatte,
gaben der Bar ein ganz eigenes Licht. Sie ließen mich an ein
36 La Rassegna d’Ischia 3/2009
Nella mia ricerca del pittore di
nature morte floreali, che avevo
scoperto in una galleria di Hannover
più di venticinque anni prima, il
conducente di un pittoresco microtaxi nel frattempo divenuto raro mi
fu di prezioso aiuto. Lui mi indicò
il ristorante Epomeo, dove potevo
incontrare Ernst Bursche ogni sera.
Così il mio percorso personale mi
condusse lì.
Acquarelli, litografie a colori di
Eduard Bargheer, che aveva vissuto a
Forio per molti anni, nella prima stanza. Particolarmente impressionante
un’opera con veduta su un emblema
della città: la più imponente e splendida torre di difesa ancora in piedi
risalente al periodo degli assedi dei
temuti Saraceni. Nel corridoio verso
le camere interne notai un quadro
di Ernst Bursche che avevo sempre
ammirato nelle mie precedenti visite.
Il proprietario Camillo Calise al solo
menzionare il nome di Bursche si
mostrò molto lieto. I suoi bei quadri
di oleandro si trovavano invero nella
kleines Buch denken, das mir Dolly Barricelli vor Jahren
geschenkt hatte; eine Ausgabe, die ich besonders liebte. 1963
unter dem Titel „Sommer auf Ischia“ im Insel - Verlag erschienen, zeigt es Abbildungen von Werken des Malers: den Hafen
und Häuser von Porto, Landschaften und Küsten um Lacco
Ameno, „ Olivenbäume mit Mauer“ und ein „Rotes Haus mit
Palme“. Gemälde, die von der mediterranen Schönheit der
Insel erzählen. Und diese Farben! Das leuchtende Gelb, das
tiefe Rot, das reine Blau und schimmernde Grün. An jenem
Abend in der Bar Maria fiel es mir schwer, mich vom Anblick
der Originale Purrmans wieder zu lösen.
Auf meiner Suche nach dem Maler von Blumenbildern, die
ich in einer Galerie in Hannover vor mehr als fünfundzwanzig
Jahren entdeckt hatte, war mir bei meinem ersten Besuch der
Insel 1982 der Fahrer eines der inzwischen selten gewordenen
malerischen Mikrotaxis eine wertvolle Hilfe. Er wies mich auf
das Ristorante Epomeo hin, wo ich Ernst Bursche jeden Abend
antreffen könne. Dorthin führte mich nun mein Weg.
Aquarelle und Farblithos von Eduard Bargheer, der viele
Jahre in Forio gelebt hatte, im ersten Raum. Besonders beeindruckend ein Werk mit Blick auf ein Wahrzeichen der Stadt:
den mächtigsten und prächtigsten der acht noch erhaltenen
Wehrtürme aus der Zeit der Überfälle durch die gefürchteten
Sarazenen. Am Durchgang zu den hinteren Räumen vermisste
ich ein Blumenbild von Ernst Bursche, das ich bei früheren
Besuchen immer wieder bewundert hatte. Camillo Calise, der
Besitzer kam mir entgegen, zeigte sich schon bei der bloßen
Erwähnung des Namens von Ernst Bursche sehr erfreut. Des-
sua casa privata, fece sapere dispiaciuto. Ma volle mostrarmi un ritratto
di suo zio Pasquale, l’ex proprietario,
appeso alla parete sinistra accanto alla
cucina. Mentre lo guardavo, cominciò a parlare del pittore, un cliente
di vecchia data e amico della casa;
vantò la sua umanità e generosità, la
sua gioia di vivere, la predilezione per
la buona tavola e il vino dell’isola.
Aveva ccasionalmente pagato, come
altri artisti, anche coi suoi quadri. Il
ritratto magistrale di suo zio era un
esempio del genere. Furono rivissuti
quegli anni di Forio, quando artisti di
molti Paesi vivevano nella suggestiva
località. Mentre l’uomo dagli occhi
scuri raccontava, credevo di rivedere
davanti a me Ernst Bursche, come
mi salutò ridendo al nostro primo
incontro.
L’ultima tappa della mia ricerca di
tracce a Forio – la casa di Eduard Bargheer – fu preceduta, alla fine dell’inverno, da una mia seconda visita al dr.
Klinheisterkamp a Krefeld: speravo
in ulteriori informazioni sulla vita
di Werner Gilles a Ischia. Qualche
tempo dopo, poco prima di Pasqua
del 2004, ricevetti da Ischia una sorprendente telefonata di Dirk Justus,
uno degli eredi di Bargheer. Lui aveva
saputo dal dr. Klinheisterkamp del
mio progetto di scrivere un libro sui
pittori tedeschi a Sant’Angelo. Anche
Eduard Bargheer aveva fatto parte
di quel circolo, come certamente
conoscevo. Già alla fine degli anni
Trenta lui aveva scoperto il villaggio
di pescatori, Sant’Angelo, e alloggiava nell’Hotel Minderop. Erano in
suo possesso quadri di quel periodo.
Prendemmo un appuntamento per un
incontro entro breve tempo a Forio.
La luce della primavera permeava
via Cardinale Lavitrano, l’antica
strada che avevo già percorso molti
anni prima per visitare Ernst Bursche
nella sua dimora estiva. Alla fine mi
trovai di fronte alla alta imbiancata
facciata di una grande casa, alla ricerca dell’ingresso dell’ex domicilio
dell’artista. Dopo aver suonato più
volte, mi aprì un uomo di mezza età
sen schöne Oleanderbilder befänden sich zur Zeit in seinem
Privathaus, ließ er mich bedauernd wissen. Doch er wolle mir
ein Portrait seines Onkels Pasquale, des früheren Inhabers,
zeigen; es hänge an der Wand links neben der Küche. Beim
gemeinsamen Betrachten begann er von dem Künstler, einem
langjährigen Gast und Freund des Hauses, zu erzählen. Wie
schon Michele Zunta, rühmte auch er seine Menschlichkeit
und Großzügigkeit, seine Freude am Leben, an gutem Essen
und den Weinen der Insel. Gelegentlich habe er, wie andere,
mit seinen Arbeiten dafür bezahlt. Das meisterliche Portrait
seines Onkels sei solch ein Beispiel. Nur kurz war unser
Gespräch. Doch jene Jahre in Forio wurden dabei wieder
lebendig, als Künstler aus vielen Ländern in dem malerischen
Städtchen gelebt hatten. Während der Mann mit den dunklen
Augen erzählte, glaubte ich, Ernst Bursche wieder vor mir
zu sehen, wie er mich bei unserer ersten Begegnung lachend
begrüßte.
Der letzten Station meiner Spurensuche in Forio – dem
Haus von Eduard Bargheer – war im zurückliegenden Winter ein zweiter Besuch von Dr. Kleinheisterkamp in Krefeld
vorausgegangen: Ich hoffte auf weitere Informationen über
das Leben von Werner Gilles in Ischia. Einige Zeit später,
kurz vor Ostern 2004, bekam ich einen überraschenden Anruf
aus Forio von Dirk Justus, einem der Erben Bargheers. Er
habe durch Dr. Kleinheisterkamp von meinem Plan gehört,
ein Buch über deutsche Maler in Sant` Angelo zu schreiben.
Auch Eduard Bargheer habe zu diesem Kreis gehört, sicher
sei mir dies bekannt. Bereits Ende der 1930iger Jahre habe
er das damalige Fischerdorf für sich entdeckt und im Hotel
vestito decorosamente, Dirk Justus,
che mi salutò con anseatica gentilezza.
Entrata con un corridoio pavimentato in legno. Salita al primo piano.
Lunghi corridoi pavimentati con
mattonelle ornamentali. Una ripida
scala di legno conduceva alla terrazza
sul tetto che il pittore amava particolarmente nelle serate dei caldissimi
mesi estivi. Una terrazza con ampia
vista sul groviglio di case, dove sono
state eseguite molte raffigurazioni di
Forio. Di nuovo giù; all’esterno in un
giardino romantico e selvaggio con
nicchie disposte sotto vecchi alberi
dispensatori di ombra. Un mondo
magico dietro alti muri. Con un’aria
intrisa dei profumi inebrianti della
tarda primavera. Soltanto pochi minuti trascorsi in quell’oasi di pace e di
silenzio. Mi auguravo di trattenermi
lì per lunghe ore.
Passando velocemente per l’ampia
casa, scoprii in una delle stanze per
gli ospiti un acquarello: “Il padre di
Luigi sulla spiaggia di Sant’Angelo”:
Minderop gewohnt. Gemälde aus jener Zeit seien in seinem
Besitz. Wir verabredeten uns für ein baldiges Treffen in Forio.
Frühlingslicht lag über der via Cardinale Lavitrano, die
an der Basilika und dem Konvent vorbei dem Epomeo entgegenführt. Es war derselbe Weg, den ich viele Jahre zuvor
schon einmal gegangen war, um Ernst Bursche in seinem
Sommerhaus zu besuchen. Schließlich stand ich an der via
Roma vor der hohen, abweissenden Fassade eines großen
Hauses, auf der Suche nach Einlass in das ehemalige Domizil
von Eduard Bargheer. Nach mehrmaligem Klingeln öffnete
mir ein Mann mittleren Alters – Dirk Justus, der mich mit
hanseatischer Höflichkeit begrüßte.
Eintreten in einen dielenartigen Torweg. Aufstieg ins Obergeschoß. Lange Flure, die mit ornamental geschmückten
Fließen ausgelegt waren. Über eine steile Stiege hinauf zur
Dachterrasse, die der Maler während der heißen Sommermonate an den Abenden besonders liebte. Eine Terrasse mit
weitem Blick über das Häusergewirr, auf der viele Darstellungen von Forio entstanden sind. Wieder nach unten, nach
draußen in einen wildromantischen Garten mit verwunschenen Nischen unter schattenspendenden alten Bäumen. Eine
Zauberwelt hinter hohen Mauern. Mit einer Luft, erfüllt von
den verführerischen Düften des späten Frühlings. Nur wenige
Minuten verbrachte ich in dieser Oase der Ruhe und Stille. Ich
wünschte mir, dort einmal eine lange Stunde zu verweilen.
Beim raschen Gang durch das weitläufige Haus entdeckte
ich in einem der Gästezimmer ein Aquarell: „Die Luigi Padre am Strand von S.Angelo“ – ein prachtvolles Segelschiff
La Rassegna d’Ischia 3/2009 37
un magnifico veliero sotto un cielo
tempestoso. Uno dei lavori dell’artista degli anni in cui visse lì. Infine
ci sedemmo ancora in un’anticamera
dell’ex atelier di Bargheer arredata
con stile. Durante il nostro colloquio
guardai con insistenza i quadri alle
pareti, al cavalletto, alle cassette dei
colori e agli altri utensili che erano
rimasti sempre nella stanza in tutta
la loro molteplicità e varietà. Ricordi
preziosi di un luogo suggestivo, raro
da vedere anche a Forio. Rivissi un
tempo che mi sembrò essere ritornato.
Una stanza grande scura rivolta
a levante, ma rischiarata dalla luce,
come potei desumere da un contributo in un vecchio catalogo. Mobilio
sobrio, una mensola con libri. Un
tavolo da lavoro con tubetti di colori
e vasi pieni di pennelli. Un cavalletto,
una tavolozza.
Durante il colloquio con Dirk Justus continuavo a guardare gli utensili
per la pittura che nella loro molteplicità erano rimasti ancora nell’atelier e
i quadri alle pareti. In quel momento
mi ricordai di una visita alla Galleria
Del Monte alla periferia di Forio
durante uno dei miei soggiorni negli
anni Ottanta a Ischia.
La mostra era dedicata a Eduard
Bargheer con una selezione dei suoi
lavori eseguiti sull’isola: pescatori
che tiravano le reti, una processione
del Corpus Domini e impressioni
dell’amata Forio. La città del Sud in
una luce tremolante, giardini con fiori
subtropicali e piante, un giardino con
palme. La vista dei quadri dapprima
mi irritò, mi suscitò stupore con le
loro forme geometriche come piante
che si disponevano in mosaici splendenti. Non avevo mai visto prima una
tal maniera di dipingere, in cui un
artista aveva ritratto la natura come
Malinconico commiato:
la Conchiglia a Sant’Angelo
Nella mia ricerca di tracce di opere di pittori tedeschi a Ischia, dopo il mio
incontro con Ernst Bursche, mi ero limitato dapprima a Sant’Angelo. Dovetti
alle mie visite a Forio altre preziose scoperte. Ma alla fine avvertii l’esigenza
di ritornare in quel posto, la cui pittoresca piazza - all’entrata del Pescatore e
nell’angolo pietroso del Ridente - molti anni prima fu uno dei punti d’incontro
di quella piccola comunità di artisti.
Nel mio primo viaggio (autunno del 1982) trascorsi alcune sere nel risto-
unter stürmischem Himmel. Eine der Arbeiten des Künstlers
aus den Jahren, in denen er dort gelebt hatte. Anschließend
saßen wir noch in einem stilvoll eingerichteten Vorraum zum
früheren Atelier von Bargheer. Ein großer, an dem Morgen
abgedunkelter Raum –sonst von Licht durchstrahlt, wie ich
einem Beitrag in einem älteren Katalog entnehmen konnte.
Sparsame Möblierung, ein Bücherbord. Ein Arbeitstisch mit
Aquarellfarbtöpfen, Farbtuben und Gefäßen voller Pinsel.
Eine Staffelei, eine Palette.
Während des Gesprächs mit Dirk Justus schaute ich immer
wieder auf die Malutensilien, die in ihrer Vielfalt noch in dem
Atelier verblieben waren - und auf die Bilder an den Wänden.
In diesem Augenblick erinnerte ich mich an einen Besuch der
am Rande von Forio gelegenen Galerie del Monte während
eines meiner Aufenthalte in den 1980er Jahren in Ischia.
Die Ausstellung war Eduard Bargheer gewidmet und zeigte
eine Auswahl seiner auf der Insel entstandenen Arbeiten:
Fischer beim Einholen der Netze, eine Prozession „Corpus
Domini“ und Impressionen vom geliebten Forio. Die südliche
Stadt in flimmerndem Licht, Gärten mit subtropischen Blumen und Pflanzen, ein Palmengarten. Der Anblick der Bilder
irritierte mich zunächst, setzte mich in Erstaunen: mit ihren
geometrischen, pflanzenartigen Formen, die sich zu schimmernden Mosaiken fügten. Nie zuvor war ich einer Malweise
begegnet, in der ein Künstler die von ihm wahrgenommene
Natur, eine Stadt und Landschaften so vermeintlich offen
38 La Rassegna d’Ischia 3/2009
la percepiva, una città e paesaggi così
apparentemente aperti e trasparenti,
ma nello stesso tempo così misteriosi
e segreti.
Un acquerello in particolare mi
colpì. Era un giardino autunnale con
alberi, cespugli e fiori in ricchi colori
che brillavano scuri. Il loro ultimo
fiorire, prima del definitivo spegnersi.
Credo di vedere davanti a me ancora
oggi quel quadro.
Lasciando la casa di Bargheer ero
consapevole di un cosa: avevo conosciuto con emozione un luogo con
ricordi preziosi, come ce ne sono oggi
ancora pochi anche a Forio. Avevo
respirato un tempo che mi sembrò
rivivere.
und transparent, zugleich so geheimnisvoll, im Verborgenen
ruhend „abgebildet“ hatte.
Ein Aquarell der Ausstellung beeindruckte mich besonders.
Es war ein herbstlicher Garten mit Bäumen, Büschen und
Blumen in reichen, dunkel leuchtenden Farben. Ihr letztes
Aufglühen vor dem endgültigen Erlöschen. Auch heute noch
glaube ich, dies Bild vor mir zu sehen.
Beim Verlassen des Bargheer – Hauses wurde mir bewusst:
Ich hatte einen Ort mit kostbaren Erinnerungen erlebt, den es
auch in Forio heute nur noch selten gibt. Ich hatte eine Zeit
geatmet, die für mich wieder zu leben schien.
Wehmütiger Abschied
La Conchiglia in Sant`Angelo
Auf meiner Spurensuche nach Werken deutscher Maler
hatte ich mich nach meiner Begegnung mit Ernst Bursche
zunächst auf Sant’Angelo beschränkt. Meinen Besuchen in
Forio verdankte ich weitere wertvolle Entdeckungen. Doch
schließlich empfand ich das Verlangen, zu dem Ort zurückzukehren, auf dessen kleiner malerischer Piazza – am Eingang
zum Ristorante Pescatore und in der „steinernen Ecke“ der
Bar Ridente – vor vielen Jahren einer der Treffpunkte jener
Künstlergemeinde war.
Bei meiner ersten Reise im Herbst 1982 verbrachte ich
manche Abende im Ristorante La Conchiglia. Während um
W. Gilles - Das Sommergewitter (Temporale d'estate)
H. Purrmann - Weg mit Palme (Via con Palma)
U. Neujaar - S. Angelo, Arabisches
Viertel (Quartiere arabo))
E. Bargheer - Forio
H. Kiessling - Sonntag (Domenica) in S. Angelo
La Rassegna d’Ischia 3/2009 39
rante La Conchiglia. Mentre intorno
all’antico villaggio di pescatori e
alla Torre imperversavano i primi
temporali d’autunno, trovai in quelle
alte stanze calore e sostegno affettivo.
A cena incontravo ospiti eccezionali,
per lo più signore non più giovani e
signori dei Paesi di lingua tedesca,
ma anche provenienti dall’Inghilterra
e dalla Francia. Con una bottiglia di
vino sul tavolo, in piacevole attesa
delle prelibatezze della cucina di
Agnesina, la locandiera.
Quando in un tardo mattino d’autunno del 2006 fui di nuovo davanti
a La Conchiglia, sentii la lunga,
mutevole storia della più vecchia
Casa di Sant’Angelo - una tabella
accanto all’entrata lo ricorda. Era un
periodo con pittori, le cui opere avevo
già scoperto in occasione della mia
prima visita. Quadri alle pareti, l’uno
sull’altro in parecchie file. Soltanto
nella grande sala da pranzo dell’Hotel Conte avevo incontrato una volta,
anni dopo, una tale profusione di
quadri. Il mio desiderio di vedere le
opere degli artisti mi aveva spinto a
visitare quella Casa.
Dopo un cortese scambio di saluti
cercai di spiegare a Gennaro, l’attuale gestore del locale - un nipote
di Agnesina defunta da molto tempo
- la mia richiesta. Mi fece capire che
“naturalmente” potevo osservare tutti
i quadri alle pareti ed eventualmente
anche fotografarli. Gli acquarelli
ben conservati dello svizzero Ulrich
Schmid, di Ernst Bursche e di Gertrud
Helmholt, mi erano familiari da tempo: Sant’Angelo e la Torre immersi in
colline e monti splendenti, nel verde e
nel blu; l’antico villaggio di pescatori
con le sue case inserite le une nelle
altre come scatole e le viuzze dispensatrici di ombra; Ischia Ponte col Castello Aragonese. Notai la mancanza
di alcuni quadri che conoscevo dalle
mie precedenti visite. In compenso
feci un‘interessante scoperta: un
ritratto della precedente proprietaria
dipinto da Ulrich Neujahr: Agnesina
in un vestito blu chiaro, confezionato
con raffinatezza, nella mano destra
das alte Fischerdorf und den Torre frühe Herbststürme tobten,
fand ich in den hohen Räumen Wärme und Geborgenheit.
Beim Abendessen begegnete ich außergewöhnlichen Gästen.
Vorwiegend älteren Damen und Herren aus deutschsprachigen
Ländern, aber auch aus England und Frankreich: Mit einer
Flasche Wein auf dem Tisch, in freudiger Erwartung der
Köstlichkeiten aus der Küche von Agnesina, der Wirtin.
Als ich an einem Herbstmorgen des Jahres 2006 wieder
vor La Conchiglia stand, spürte ich die lange, wechselvolle
Geschichte des ältesten Hauses von Sant’ Angelo - eine Tafel
neben dem Eingang erinnert daran. Es war eine Zeit mit
Malern, deren Arbeiten ich hier schon bei meinem ersten
Aufenthalt immer wieder betrachtet hatte. Bilder an den
Wänden, in mehreren Reihen übereinander. Nur im Speisesaal des Hotel Conte ist mir Jahre später eine solche Fülle
noch einmal begegnet. In dies Haus führte mich nun mein
Besuch.
Nach einer freundlichen Begrüßung versuchte ich, Gennaro,
dem jetzigen Betreiber des Lokals – einem Verwandten der
längst verstorbenen Agnesina - mein Anliegen zu erklären. Er
gab mir zu verstehen, dass ich naturalmente alle Bilder an den
Wänden anschauen und sie gegebenenfalls auch fotografieren
könne.
Die gut erhaltenen Aquarelle des Schweizers Ulrich
Schmid, von Ernst Bursche und Gertrude Helmholtz waren
mir seit langem vertraut: Sant’Angelo und der Torre, eingebettet in grün und blau leuchtende Hügel und Berge; das alte
Fischerdorf mit seinen ineinandergeschachtelten Häusern und
40 La Rassegna d’Ischia 3/2009
un mazzolino di fiori. Una giovane
donna, quasi ancora una ragazza,
con un viso dai lineamenti aggraziati
e i capelli neri. Con occhi seri e un
po’ tristi. Mentre guardavo il ritratto,
pensai a Dolly Barricelli che qualche
anno prima, d’inverno, mi aveva parlato dei ricordi personali di Agnesina.
Pensavo anche a Michele Zunta, il
mio amico, i cui genitori avevano
alloggiato più di settantacinque anni
rima i loro primi ospiti nelle stanze
prese fittate da Agnesina.
Mentre uscivo, un ultimo sguardo
indagatore. Allora mi balzò agli occhi, di fronte all’entrata della cucina,
proprio sotto l’alto soffitto arcuato,
un altro quadro, i cui colori mi
sembrarono familiari. Osservandoli
più da vicino, mi fu chiaro: era un
acquarello di Ernst Bursche. Presumibilmente dipinto dalle dirupate
formazioni rocciose vicino a Punta
Chiarito, un’ampia veduta sul mare
sino a Sant’Angelo e alla Torre. Un
acquarello nella luce del Sud, che
l’artista amava. Dipinto nel suo blu
schattenspendenden Gassen; Ponte mit dem Castello Aragonese. Ich vermisste einige Bilder, die ich aus früheren Besuchen
kannte. Dafür machte ich eine interessante Entdeckung: ein
Portrait der früheren Besitzerin, gemalt von Ulrich Neujahr.
Agnesina in einem hellblauen, zart gemusterten Kleid, in der
rechten Hand ein kleiner Blumenstrauß. Eine junge Frau,
fast noch ein Mädchen, mit einem fein geschnittenen Gesicht
und dunklem Haar. Mit Augen, die ernst und etwas traurig
blickten. Ein reizvolles Portrait, das durch Stockflecken leider
schon stark gelitten hatte. Bei seinem Betrachten dachte ich an
Dolly Barricelli, die mir vor ein paar Jahren im Winter von
ihren persönlichen Erinnerungen an Agnesina erzählt hatte.
Auch dachte ich an Michele Zunta, meinen Freund, dessen
Eltern ihre ersten Gäste vor mehr als fünfundsiebzig Jahren
in gemieteten Räumen bei Agnesina untergebracht hatten.
Im Hinausgehen ein letzter suchender Blick. Da fiel mir dem Eingang zur Küche gegenüber, dicht unter der hohen,
gewölbten Decke - noch ein weiteres Bild auf, dessen Farben
mir vertraut schienen. Bei näherem Hinsehen wurde mir klar:
Es war ein Aquarell von Ernst Bursche. Vermutlich von den
schroffen Felsformationen bei Punta di Chiarito aus gemalt,
eine weite Sicht übers Meer bis nach Sant` Angelo und den
Torre. Ein Aquarell im Licht des Südens, das der Künstler
liebte. Gemalt in seinem für mich unverwechselbaren Blau,
das wegen einer Staubschicht auf dem Glas eher zu ahnen
war.
Als ich La Conchiglia schließlich verließ, begleiteten mich
per me inconfondibile che per uno
strato di polvere sul vetro era piuttosto da intuire.
Quando alla fine lasciai La Conchiglia, mi accompagnarono diversi
pensieri e sentimenti. In nessun altro
luogo, questa era la mia impressione,
avevo vissuto storie così condensate e
nel contempo così frammentate. Sentivo riconoscenza per la gran quantità
di quadri che mi facevano vedere
con gli occhi degli artisti uomini e
paesaggi dell’isola. Riconoscenza
anche per i molti incontri che talvolta
diventarono amicizia, pur sempre con
la debita distanza critica; sorse in me
un nuovo, più profondo, legame con
Ischia e i suoi abitanti.
Sulla strada, alla luce autunnale la
malinconia mi pervase. Sentivo che
la mia ricerca di tracce di molti anni
era alla fine. Ma restava un deside-
unterschiedliche Gedanken und Gefühle. An keinem anderen
Ort, so mein Eindruck, hatte ich Geschichte so verdichtet,
zugleich so gebrochen erlebt. Ich empfand Dankbarkeit für
die Vielfalt der Bilder, die mich Menschen und Landschaften
der Insel mit den Augen der Künstler sehen ließen. Auch
Dankbarkeit für die vielen Begegnungen, die manchmal zu
Freundschaften wurden. Bei aller immer wieder erfahrenen
kritischen Distanz entstand in mir eine neue, tiefere Verbindung mit Ischia und seinen Bewohnern.
Auf dem Weg nach draußen in das herbstliche Licht war mir
rio: l’esperienza preziosa di quei
pittori doveva essere conservata per
il futuro.
Hans Dieter Eheim
Le considerazioni su Ernst Bursche e
Karl Schneider sono tratte in parte dal
libro di Hans Dieter Eheim, apparso nel
2006 col titolo: “Der Ginsterberg - Leben
in Sant’Angelo d’Ischia”.
wehmütig zumute. Ich fühlte, daß meine Spurensuche über
viele Jahre zu Ende war. Doch es blieb mir der Wunsch: Das
kostbare Erbe dieser Maler werde für die Zukunft bewahrt.
Hans Dieter Eheim
Die Ausführungen über Ernst Bursche und Karl Schneider
sind zum Teil dem 2006 erschienenen Buch von Hans Dieter
Eheim„ Der Ginsterberg – Leben in Sant´ Angelo d´ Ischia“
entnommen.
Verzeichnis der Maler. deren Bilder in dem Beitrag "Auf Spurensuche" besonders erwähnt werden
Pittori i cui quadri sono particolarmente citati nell’articolo "Alla ricerca di tracce".
Bargheer, Eduard (1901 – 1979 ) : Sant`Angelo und Forio: 1936-39, 1946-79
Bursche, Ernst ( 1907-1989) : Sant`Angelo und Forio: 1958, 1962-88
Ferenz, Albert ( 1907-1994) : Sant`Angelo: 1965-ca 1975
Gilles, Werner (1894-1961) : Sant`Angelo: 1931, 1936-41, 1949-61
Hardtke, Jürgen: Sant`Angelo und Succhivo : 1980er und `90er Jahre
Helmholtz, Gertrude : Sant`Angelo: 1927-1966
Kiessling, Hugo (1910) : Sant`Angelo: 1950er und ´60er Jahre
Kirchpfenning, Hans-Peter (1928-1996) : Sant´Angelo: 1950er und ´60er Jahre
Kusmin, Arkady ( 1896-1971) : Sant`Angelo: 1951-71
Neujahr, Ulrich ( 1898-1977) : Sant`Angelo: 1931, ca 1949 -77
Niederreuther, Thomas (1909-1990) : Sant´Angelo: 1960-89
Purrmann, Hans (1880-1966) : Porto, Lacco Ameno, Forio: 1921-26, 1953-58
Sertürner, Wernhera (1913-2001) : Sant´Angelo: 1961-1976
Schneider, Karl (1908-1994) : Sant´Angelo: 1954-94
La Rassegna d’Ischia 3/2009 41
Rassegna
MOSTRE
Napoli, Museo Pignatelli - sino al 5 luglio 2009
Vincenzo Gemito
Sono esposte oltre duecento opere:
dalle terrecotte giovanili, di prodigiosa precocità, fino ai superbi bronzi
della maturità; circa ottanta tra i
disegni più significativi, realizzati
a penna, matita, carboncino, seppia,
acquerello. Le opere provengono da
raccolte pubbliche e private. Sono
esposte anche opere bibliografiche
custodite presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di
Napoli.
La rassegna, ampia e articolata, della produzione di Gemito, costituisce
un’occasione unica per riscoprire e
far conoscere un grande esponente
delle arti e della civiltà a Napoli tra
Otto e Novecento, documentando anche aspetti poco noti della sua attività,
come le piccole sculture cesellate,
con ossessiva precisione, in metalli
preziosi, secondo metodi sperimentali di grande modernità, ma al tempo
stesso eredi di una lunga e fortunata
tradizione locale, che affondava le sue
radici fin in età ellenistico-romana.
Nella mostra al Museo Pignatelli è
presentata, inoltre, un’ampia selezione di opere dell’artista – sculture
e disegni – appartenenti alla celebre
raccolta di Achille Minozzi, che, in
stretti rapporti con l’artista, realizzò, con passione e competenza, tra
fine Ottocento e inizi Novecento.
La collocazione delle opere secondo
criteri sia cronologici che tipologici
consente un percorso che documenta
l’intero itinerario artistico di Gemito,
evidenziando, tra l’altro, affinità e diversità che caratterizzano la sua produzione grafica da quella plastica. Nel
percorso della mostra sono esposte
anche opere di pittori e scultori che
con lui condivisero esperienze umane
e artistiche. Infatti, nel complesso
42 La Rassegna d’Ischia 3/2009
panorama dell’arte dell’Ottocento, tra
istanze realistiche e tensioni simboliste, Gemito - che visse a Parigi tra il
1877 e il 1880 - pur mantenendo una
forte autonomia, intrattenne costanti
relazioni con i maggiori protagonisti del tempo, da Boldini a Rodin.
www.beniculturali.it
A Vincenzo Gemito è intitolata una
strada nel Comune d’Ischia. Pietro
Serra nella sua Bibliografia Isclana
(marzo 1980) cita due opere di Gemito: Il Golfo di Napoli [olio – raccolta V. Colucci (?)] e Casamicciola
[tempera – raccolta Cesiano (?)].
Don Pietro Monti dice che il Signor
Pasquale Angeloni, proprietario di
una parte di Villa Arbusto, ospitò
per un lungo periodo lo scultore
napoletano. Qui «Vincenzo Gemito
dette l’ultimo tocco di martello ad
un bronzeo volto di vecchietto. Un
mattino dell’estate 1928, entrando
nel suo studio al Belvedere il solito
pescatore (Cristofaro Pascale) con
la “spasella” piena di ricci di mare,
Gemito pieno di fervore e di gioia, gli
disse: “Se indovini a chi rassomiglia
questo vecchio, ti regalo”. L’astuto
marinarello, volgendo lo sguardo
sulla parete dello studio tappezzata
di figure, ne intuì subito l’accostamento e avvicinandosi al capolavoro,
rispose: “Professò, chistu ccà è ‘u
pate vuoste”. E Gemito, soddisfattissimo ed agitandosi con i suoi lunghi
capelli che gli pendevano dietro le
spalle, gridò: “Hai indovinato, hai
indovinato, ora ti regalo!”» (Pietro
Vincenzo Gemito - Autoritratto
Vincenzo Gemito - Zingara
Monti, La collina dell’Arbusto e la Villa
del Duca d’Atri, in Ricerche, Contributi
e Memorie, vol. II, 1970-1984, settembre
1984).
Vincenzo Gemito - Pescatoerello
Al Museo Madre di Napoli
Alighiero & Boetti
Osare qualcosa per guardare il cielo
di Carmine Negro
Al Museo Madre visito con Francesco la mostra di un artista
che non conoscevo: Alighieri Boetti. Il lunedì l’ingresso è
libero e questo mi sembra di buon auspicio per una città che
deve cercare anche nell’arte le sue risposte.
Il primo contatto con l’arte di Boetti ha luogo nel grande salone centrale. Una grande istallazione sul pavimento della sala
bianca Alternando da uno a cento e viceversa è composta da
una miriade di Kilim disposti con cura meticolosa. Alle pareti
una rigorosa partitura di opere costituita da serie cartacee che
mi colpiscono perché, per come sono allestite, sottendono la
ricerca di un ordine. Simmetria, unità e dualismo, singolarità
e pluralismo… non riesco a sintonizzarmi con questa miriade
di lavori concentrati in un’opera. Con Francesco gioco sulle
simmetrie e scherzo sulle forme; le trovo discoste. I suoi suggerimenti mi costringono ad una riflessione. In questi lavori
non devo ricercare la tradizionale intenzionalità dell’opera,
la decisione che presiede il fare. Certe volte le opere, grazie
alla disposizione dei suoi elementi, sono costruite in modo
tale da riuscire a sviluppare una catena di nuovi sensi, anche
fuori dal volere e dal potere dell’artista. Mentre salgo le scale
e rileggo la frase di Brancusi: Si è fatta l’arte per dominare,
Alighiero Boetti - Alternando da uno a cento e viceversa
per piangere, per pregare. Noi la stiamo facendo per vivere,
parte integrante di un’opera di Domenico Bianchi, un’altra
riflessione mi passa per la mente. I Kilim sono stati dati in
esecuzione a donne di paesi orientali come l’Afghanistan e il
Pakistan. Affidare l’esecuzione di un’opera ad altri soggetti
vuol dire accrescere l’opera di altre esperienze e di altre sensibilità, farle acquistare una identità plurale, luogo di incontro
tra l’io singolare creativo e il plurale esecutivo del corpo
sociale. Nell’arte di Boetti fatto mentale e manualità, progetto
ed esecuzione non sono in contrapposizione ma coincidono e
si integrano nel fare arte. Nel 1969 decide di sdoppiarsi mettendo la congiunzione “e” tra nome e cognome per ribadire
non un conflitto con sé stesso ma una dualità alla base della
complessità e molteplicità delle cose. Achille Bonito Oliva che
ha curato in modo originale la scrittura espositiva di questa
mostra ha per l'occasione sostituito la congiunzione “e” con
la “&” per sottolineare la relazione tra l’artista che concepisce
l’opera e gli artefici che la realizzano (1).
Il titolo dell’esposizione, “Mettere all’Arte il Mondo”, riecheggia quello di una sua opera famosa e per il curatore vuole
indicare l’attitudine di questo grande artista: far socializzare
la propria creatività, sviluppando come metodo l’interattività
e la comunicazione dell’arte nella società di massa.
« Ci sono cinque sensi e il sesto è il pensiero ovvero la cosa
più straordinaria che l’uomo possieda, e che non ha niente a
che vedere con la natura. Per cui se io devo dire quali sono
state le grandi emozioni della mia vita, confesso che non sono
state di ordine naturale. Una farfalla, un tramonto possono
essere cose bellissime, però le grandi emozioni, secondo me,
si provano ascoltando Mozart, leggendo una poesia, perché
c’è un pensiero fatto di mille coincidenze, sincronismi, ricordi
quasi biologici, forse di tempi antichissimi in cui eravamo
un’altra cosa e forse non eravamo neanche sulla terra. Insomma, di quando eravamo forse più vicini agli dei».
Alighiero Boetti è uno degli artisti che hanno maggiormente
influenzato la scena artistica contemporanea italiana. La sua
figura, inizialmente emersa nell’ambito dell’Arte Povera, dalla
quale si staccò precocemente, e approdata successivamente
all’Arte Concettuale, è difficile da inquadrare nei confini di
un movimento.
Per Boetti l’ispirazione maggiore è sempre venuta dal pensiero, che considerava a tutti gli effetti, come abbiamo letto
precedentemente, il sesto senso. Di qui il suo interesse a interagire con matematica, musica, esoterismo e quanto creato dalla
mente umana per rimanipolarlo con ironia e narcisismo. Un
percorso cerebrale pensato per creare emozione nello spettatore tra arazzi, francobolli, ordine e disordine. Il pensiero come
1 Alighiero & Boetti, Mettere all’arte il mondo, 1993/1962 Catalogo
mostra Electa 2009 pag. 30
La Rassegna d’Ischia 3/2009 43
facoltà superiore, capace di comprendere il “manifestarsi del
disegno delle cose”; l’idea che detiene il primato sull’esecuzione, affidata ad assistenti ufficiali e non ufficiali, alle
donne di Kabul, al libero e casuale succedersi degli eventi (2).
Un flusso di coscienza artistico che rende Boetti un artista
da conoscere assolutamente.
Alighiero Fabrizio Boetti nasce a Torino nel 1940. Approda all’arte dopo aver abbandonato gli studi di Economia e
Commercio. Fra le sue letture preferite filosofia, alchimia e
esoterismo, Hermann Hesse, Paul Klee; si appassiona fin da
giovane alla matematica e alla musica. A diciassette anni scopre l’arte tantrica, gli acquarelli di Wols e poi i tagli di Fontana.
Il suo sguardo è rivolto da subito alle culture extra-europee,
soprattutto orientali, Medio ed Estremo Oriente e Africane.
Grande viaggiatore, subisce il fascino della figura di un suo
antenato del XVIII sec., il monaco domenicano Giovanni
Battista Boetti, missionario in terre caucasiche sotto il nome
di “Profeta Mansur”.
A vent’anni dipinge paesaggi ad olio, influenzato dal pittore
russo Nicholas De Staël. Studia e pratica incisione a Parigi. In
terra di Francia, a Vallauris, dove l’artista si reca per comprare
delle ceramiche da rivendere in Italia, conoscerà la sua futura
moglie Annemarie Sauzeau, è il 1962.
Le sue prime opere sono disegni su carta a china di oggetti
industriali per la registrazione come microfoni, cineprese o
macchine fotografiche.
Sperimenta con materiali quali il gesso, la masonite, plexiglass e congegni luminosi; saggia l’impiego di materiali
industriali come l’eternit. Fa riferimento a oggetti di uso
quotidiano privati del loro scopo, l’applicazione di gesti
semplici come il raddoppiare, l’accumulare, il dilatare.
« Il ‘ 67 è stato un anno esplosivo, per me e per tutti. Era un
momento di grande eccitamento, anche a livello materiale: la
scoperta, l’entusiasmo dei materiali, che hanno portato alla
nausea. Era tutto molto empirico allora...» (3).
Negli anni sessanta spedisce ad una cinquantina di amici
la cartolina postale Gemelli, la quale attraverso un fotomontaggio mostra l’artista che tiene per mano un altro sé stesso.
Sul retro scrive frasi come “De-cantiamoci su” oppure “Non
marsalarti”. Alighiero, quindi, prende per mano Boetti in Corso Peschiera una mattina d’autunno e i due avanzano insieme
nel viale alberato. […] Questo sdoppiamento è all’origine
del principio della delega, della scissione tra ideazione ed
esecuzione dell’opera […].
È degli anni settanta la serie dei Viaggi postali (o Dossier
postale). Inizia i primi lavori in cui i francobolli apposti sulle
buste esaudiscono tutte le possibili combinazioni e permutazioni. «Ho usato i francobolli per i loro colori come un artista
usa un pennello o i pastelli» (4).
Alla fine dell’estate del 1970 si spinge nella catalogazione
di una parte della geografia molto controversa, la lunghezza
dei grandi fiumi. Insieme alla moglie inizia un lungo lavoro
2 http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=26680&IDCate
goria=71
3 Intervista di M. Bandini a A. Boetti in “NAC” n. 3, marzo 1973
4 Interview with Alighiero Boetti, “Art Agency Toyo”, giugno
1980
44 La Rassegna d’Ischia 3/2009
A. Boetti - Gemelli
A. Boetti - Viaggi postali 1969/70 - 19 plichi affrancati e timbrati
contenenti ciascuno le buste delle precedenti tappe.
che sfocerà, appunto solo nel ‘77, nel libro in 500 esemplari
Classificando i mille fiumi più lunghi del mondo. In questo
lavoro che evidenzia in particolare il tema dell’errore, raggiunto però con la tipica ironia di Boetti attraverso il paradosso:
classificando i mille fiumi più lunghi del mondo, e quindi
partendo da una rigorosa ricerca e consultazione di pubblicazioni e istituti geografici, Boetti incontra l’incongruenza
di misurazioni fallaci in cui ci illudiamo di trovare certezze.
[…] La fede nella notizia scientifica vacilla, ma attenzione,
se le misure sono tutte inesatte e quindi false, sono tutte contemporaneamente vere nell’elenco che l’artista ne fa (5).
5 Laura Cherubini da Alighiero Boetti-Quasi tutto Catalogo mostra
Silvana Editoriale 2004.
Realizza il video Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo,
Boetti di spalle è ripreso nell’atto di scrivere questa frase con
entrambe le mani in modo speculare.
Compie una serie di viaggi: Guatemala, Oriente e poi
soprattutto Afghanistan. Considerata dall’artista come una
seconda patria, vi si recherà frequentemente. A Kabul nasce
il suo primo ricamo su tessuto, ma Boetti inizia con la fine, 16
dicembre 2040 - 11 luglio 2023: due pezze di stoffa riportano
il centenario della sua data di nascita e quella presunta per la
sua morte. Intrecciato a questo lavoro è quello dei telegrammi
che prende inizio dopo il suo ritorno.
Il 4 maggio ‘71, primo telegramma (“2 giorni fa era il 2
maggio 1971”) della sequenza che durerà tutta la vita dell’artista. La regola del raddoppio implica, per il 6 maggio, un
secondo telegramma (“4 giorni fa era il 2 maggio 1971”), poi
“8 giorni fa...”, “16 giorni fa...” Così i primi sei telegrammi
sono concentrati nel primo anno, il settimo e l’ottavo nel ‘72...
(6).
A settembre riparte con la moglie per l’Afghanistan con il
progetto dell’opera Mappa, il planisfero del mondo nel quale
ogni nazione è tessuta con i colori della propria bandiera.
Il perimetro del tessuto di questi lavori è arricchito da un
testo ricamato colorato con la firma, la data, il luogo di esecuzione e un’eventuale dedica o elementi narrativi, a volte in
italiano, altre volte in persiano o afgano.
Nel1972 inizia la realizzazione dei lavori a biro con Mettere
al mondo il mondo e i ricami basati sulla quadratura di parole
e frasi, come Ordine e disordine. «Quel che la biro rappresenta (rappresentava) per un occidentale, per un afgano è il
ricamo, che come una memoria sovraindividuale reca in sé
parti della biografia collettiva» (7).
Inizia a firmarsi “Alighiero e Boetti”, compiendo così la
quadratura del suo nome e cognome, che diventa di 16 lettere,
e contemporaneamente il suo sdoppiamento simbolico fra
sfera privata, il nome, e sfera pubblica, il cognome.
Le opere di Boetti proliferano in crescendo espandendosi sia
6 Shaman showman Alighiero e Boetti, Annemarie Sauzeau, Luca
Sassella editore, Roma, 2006
7 J. C. Amman, “Dare tempo al tempo".
per delega, di mani e teste altrui, sia attraverso una personale
realizzazione (8).
« ...che questo lavoro venga fatto da me, da te, da Picasso
o da Ingres, non importa. È il livellamento della qualità che
mi interessa» (9).
Negli Anni ottanta le sue opere si infittiscono di scritte con
la mano sinistra, dove le lettere sembrano disegnate come
nelle calligrafie orientali e arabe.
«Scrivere è disegnare. Le mie scritture sono tutte fatte con
la sinistra, una mano che non sa scrivere, mostrano quindi
anche una punta di sofferenza fisica, ma scrivere è un gran
piacere. Ci sono parole che uccidono, parole che fanno un
male tremendo, parole come sassi, parole leggerissime, parole reali come in numeri. Ma se vuoi veramente qualcosa
mettilo per iscritto. E poi ci sono i colpi di pennello, dati con
semplicità senza nessuna maestria, soprattutto colpi di rosso,
è il primo colore» (10).
Con il contributo delle donne afghane rifugiatesi a Peshawar
in Pakistan proseguono i lavori a ricamo dell’artista: le mappe
aggiornate del mondo, nuove scacchiere di lettere colorate,
arazzi monocromi e il nuovo progetto Tutto.
In questi anni sono presentate per la prima volta le Copertine, 1984, incominciate l’anno prima. Consistono in ricalchi
a matita della prima pagina dei periodici di informazione più
diffusi nel mondo.
«In quel mese, le immagini erano milioni. Oggi, forse
qualche centinaio. Poi, rimarrà solo questa copia sbiadita
di un tempo coloratissimo» (11) (A. Boetti, 1984).
Nel marzo 1990 realizza Passepartout, un grande mosaico
pensato appositamente per il pavimento della galleria francese di Lucio Amelio Piece Unique. L’opera consiste in un
pentagono all’interno del quale, su ogni lato, sono stagliati
8 http://it.wikipedia.org/wiki/Alighiero_Boetti
9 Maurizio Fagiolo dell’Arco, “In quell’artista c’è uno sciamano”,
intervista a Boetti in “Il Messaggero”, Roma, 23 marzo 1977
10 Francesca Pasini, Il gioco del doppio – La giungla colorata di
Alighiero e Boetti, intervista in “Il Manifesto”, 23 aprile 1987.
11 Alighiero Boetti – Quasi tutto, a cura di Giacinto Di Pietrantonio,
Corrado Levi, Silvana Editoriale, Milano, 2004
A. Boetti - Mappa (ricamo su tessuto) - Ogni nazone è presenatata con i colori della propria bandiera
La Rassegna d’Ischia 3/2009 45
A. Boetti - Arazzi: lettere colorate
in negativo cinque tipologie di archi appartenenti a periodi e
culture diverse. Arco romanico, arco gotico, a ogiva, arco a
tutto sesto, arco islamico e arco bizantino a ferro di cavallo.
Nel ‘91 intraprende in Pakistan la tessitura di cinquanta
kilim sul tema Alternando da uno a cento e viceversa precedentemente concepiti nelle variazioni grafiche dagli studenti
di alcune accademie francesi. I kilim incarnano un’idea
matematica secondo le regole dettate dall’artista. Un quadrato bianco, poi due neri, poi tre bianchi e così via fino ai
novantanove dell’ultimo scomparto della scacchiera, dove la
presenza di un unico quadrato di colore opposto suggerisce
un punto di partenza per il percorso inverso. Questo lavoro
ha richiesto la collaborazione di trenta scuole d’arte più altre
venti persone e per una volta i “delegati” di Boetti non restano
anonimi, come pure hanno un volto i tessitori, che appaiono
per la prima volta nelle pagine del catalogo.
Il 24 aprile 1994, Alighiero Boetti si spegne nella sua abitazione in via del Teatro Pace a Roma.
L’esposizione al terzo piano del museo Madre vuole
confermare la peculiarità dell’opera di Boetti che ha
sempre lavorato sulla coesistenza della differenza,
Alighiero e Boetti, Gemelli, Ordine e Disordine, Sale
e Zucchero, Geopolitica e Confine, Classificazione e
Indeterminazione, Scrittura e Numero, Identità e Metamorfosi, Trama e Intervallo, Regola e Imprevisto,
Modulare e Manuale, Organico e Geometrico, Lineare
e Circolare, Concavo e Convesso e riproporre una circolarità i cui punti focali sono ben definiti dalla struttura
stessa. Questo motivo implica che le entrate e le uscite
del percorso espositivo coincidano, in un andamento che
richiama una circolarità, come principio filosofico, che
caratterizza tutta la sua produzione e che non predilige
l’ingresso da destra o da sinistra, proponendo una congiunzione tra oriente e occidente.
Da una parte l’ingresso dominato dalla riproduzione
46 La Rassegna d’Ischia 3/2009
fotografica di Oggi venerdì ventisette marzo millenovecentosettanta, che si fa traccia ideale della specularità
ricercata anche sul piano dell’allestimento; dall’altra la
sala dove sono concentrati alcuni dei lavori più interessanti degli anni ’60, tra i quali Io che prendo il sole a
Torino il 19 gennaio 1969 e il fotomontaggio Gemelli,
primo passo verso quella scissione poi consacrata
dall’aggiunta della “e” tra il nome e il cognome. Il
tutto presentato “a ritroso”, ovvero partendo dagli anni
‘90 per arrivare ai ‘70 e ‘60, forse i più documentati.
Ad accompagnare il visitatore, non ci sono i pannelli
didattici ma le parole di Boetti, chiavi passepartout per
accedere alla profondità della ricerca dell’artista e per
scoprire i passaggi di realizzazione delle opere, come
per i Viaggi postali del 1969-70.
Una ricerca, quella di Boetti, costante e curiosa, che
trasforma gli ordini mentali trascrivendoli in disordini
visivi, rivendicando la componente materica e percettiva
a scapito di quella puramente concettuale.
Ecco la forza di tutto il lavoro boettiano: la perfetta
integrazione di manuale e mentale, la sintesi delle dicotomie in un concetto più grande, generale, collettivo.
La forza “del far parlare il corpo in silenzio” e la forza
del pensiero. Quello che governa le emozioni e che è
in grado di riportarci a quando, in tempi antichissimi,
“eravamo forse più vicini agli dei”.
Nel cortile esterno del Madre è possibile ammirare la
scultura fontana in bronzo “Autoritratto”. Si tratta del
calco in bronzo dell’artista. Con una mano innaffia la
testa che, riscaldata da una resistenza interna, fuma in
una nube di pensiero. L’altra mano indica la terra come
in un movimento di danza “derviscia” che si colloca tra
terra e cielo.
Allude ad un ironico narcisismo dell’uomo ma descrive anche una dimensione più intima quella dell’artista
fatta di ricerca e di poesia.
«Come si può dare la definizione di un artista. Un
artista è… e poi una serie di elementi... Eh, sì. Proprio
di questo si tratta: di osare qualcosa. È un po’ come
camminare a testa in giù. Si vede il mondo capovolto. E
si guarda il cielo. Per un momento si può avere la sensazione di essere altrove, liberi dalla forza di gravità che
ci spinge verso il basso, verso la terra. Ci si può sentire
parte di un mondo più grande, non di questo qui dove
ci tiene fermi la forza di gravità. Forse, a ben pensare,
noi non avremmo mai dovuto essere qui, non era scritto
da nessuna parte che noi dovessimo stare qui. C’è stato
un incidente ed eccoci qui» (12).
Carmine Negro
12 Alighiero & Boetti Mettere all’arte il mondo 1993/1962 Catalogo
mostra Electa 2009 pag. 43.
CINEMA
Villa Amalia
Nel film di Benoît Jacquot “Villa
Amalia”, Isabelle Huppert si evolve in
uno scenario di una bellezza da togliere il
respiro. Grande conoscitore dell’Italia, il
cineasta è riuscito a fare dei paesaggi un
personaggio a pieno titolo. Ci racconta i
suoi retroscena.
di Catherine Schwaab
Paris Match
L’Italia, ci vado il più spesso possibile, soprattutto nel golfo di Napoli, che
conosco dall’adolescenza: vi avevo portato la mia primissima piccola amica. A
quell’età, ero stata già conquistata dalla
forza del luogo. Ho molto viaggiato nella
mia vita, ma questo luogo rimane indiscutibilmente quello che mi entusiasma
di più. Del resto, quando lo sorvolo in
aereo, qualunque sia la mia destinazione,
occorre che mi sposti verso un oblò per
guardare la costa amalfitana: da Ravello
a Positano, Sorrento, da Pompei a Napoli,
Procida, Ischia, Forio... Ogni volta che vi
ritorno, è un nuovo stupore. Allontanan-
A Ischia, un tournage avec Isabelle Huppert
Dans le film de Benoît Jacquot «Villa Amalia», Isabelle Huppert évolue dans un décor
d’une beauté à couper le souffle. Grand connaisseur de l’Italie, le cinéaste a réussi à faire
des paysages un personnage à part entière. Il nous raconte ses coulisses.
Catherine Schwaab - Paris Match
L’Italie, j’y vais le plus souvent possible, surtout dans le golfe de Naples, que je connais
depuis l’adolescence: j’y avais emmené ma toute première petite copine. A cet âge, j’avais
déjà été touché par la force du lieu. J’ai beaucoup voyagé dans ma vie, mais cet endroit
demeure sans conteste celui qui me transporte le plus. D’ailleurs, quand je le survole en
Isabelle Huppert tra le rocce che cesellano l’isola di Ischia
Isabelle Huppert, entre deux prises sur les falaises qui cisèlent l’île d’Ischia.
(Photo Jérôme Prébois)
dosi dai ritrovi turistici, ci si può ritrovare
solo, abbagliato. Non c’è persona che
amo che non l’abbia portato là. E come
amo Isabelle (Huppert)...
Per questo film, cercavo una villa che
l’autore del libro, Pascal Quignard, aveva
completamente inventato. Una colombaia improbabile: appartata sull’isola
di Ischia, a picco sul mare e con vista
panoramica a 180 gradi. Mi dicevo che
non l’avrei trovata mai. L’angoscia e
l’eccitazione delle localizzazioni. La mia
produzione italiana mi aveva proposto
un elenco di sette od otto ville, e, come
in margine, questa baracca inaccessibile.
Evidentemente, è quella che ho voluto
visitare per prima! E là, quale viaggio!
Attraverso strade di villaggio mal fatte
a zigzag sul mare, si raggiunge una gola
dove si teme di incrociare un camioncino
folle e di piombare sulle rocce. È di una
bellezza... pericolosa. La mia produzione
voleva fare dietro-front. Mi son dovuta
imporre per continuare. Si prosegue. Si
avion, quelle que soit ma destination, il
faut que je me déplace vers un hublot pour
regarder cette côte amalfitaine : de Ravello
à Positano, Sorrente, de Pompéi à Naples,
Procida, Ischia, Forio... A chaque fois que
j’y reviens, c’est un nouvel émerveillement.
En s’éloignant des balises touristiques, on
peut s’y retrouver seul, ébloui. Il n’y a pas
une personne que j’aime que je n’aie pas
emmenée là. Et comme j’aime Isabelle
(Huppert)...
Pour ce film, je cherchais une villa que
l’auteur du livre, Pascal Quignard, avait
complètement inventée. Un pigeonnier
improbable : isolé sur l’île d’Ischia, à pic
sur la mer et au large à 180 degrés. Je me
disais que je ne trouverais jamais. C’est à la
fois l’angoisse et l’excitation des repérages.
Ma production italienne m’avait dressé
une liste de sept ou huit villas, et, comme
en marge, cette baraque inaccessible. Evidemment, c’est celle que j’ai voulu visiter
en premier ! Et là, quel voyage !
De routes de village mal foutues en
zigzags au-dessus de la mer, on atteint
un goulot où l’on tremble de croiser une
camionnette folle et de basculer dans les
rochers. C’est d’une beauté... dangereuse.
Ma production voulait faire demi-tour. J’ai
dû m’imposer pour continuer. On poursuit.
On finit par tomber sur un type qui nous
La Rassegna d’Ischia 3/2009 47
finisce per imbattersi in un tipo che ci
aspetta, a torso nudo (si era in novembre!), il fazzoletto annodato intorno alla
sua bella testa di Giove degli altipiani. Ci
conduce verso la sua casa attraverso una
morsa argillosa che si sbriciola, dotato di
una corda di richiamo per aggrapparsi se
si precipita! Venti, trenta minuti di cammino tra le viti, il mare ed il cielo. Un
isolamento vertiginoso e, in lontananza,
Capri. Infine, lo choc: sulla rupe, il tipo,
beffardo, ci mostra un inizio di casa in
costruzione, o piuttosto due blocchi di
cemento. Ho la certezza assoluta che è là,
inutile andare a vedere altro. La squadra
tecnica costruirà la Villa Amalia del mio
film, posta nella luce infinita, nel mezzo
di un mare infinito.
Si tratta il prezzo, mercato concluso.
Ho sognato anche di affittarla al nostro
uomo per le vacanze più tardi. Nessun
problema, dopo il film, ha dovuto tutto
rompere per renderla al suo stato iniziale:
per segnare la sua proprietà senza farsi
classificare zona costruibile dal catasto,
occorre un abbozzo di costruzione!
Quid di Isabelle? La mia produzione si
chiedeva come convincerla. Sebbene
molto robusta, malgrado la sua taglia,
otto ore di lavoro al giorno impongono
un minimo di freschezza. Si è trovato
un sistema di portantina: una specie di
lettiga tirata da un trattore largo quanto
il percorso. Isabelle arrivava così, come
una regina orientale, già truccata, con un
parasole nella sua vecchia automobile! Si
è impegnata poi a fondo, come sempre
quando lavora. Si è anche escoriato il
ginocchio sulla strada. La cinquantina
di persone della squadra si è adattata:
portare i materiali, cineprese, riflettori,
luci su questo minuscolo terrazzo, senza
balaustra! Hanno saputo rendere l’appello irreprensibile ed inquietante di questa
immensità.
Durante la ripresa, Isabelle ed io avevaattend, torse nu (on était en novembre !),
le mouchoir noué autour de sa belle tête de
Jupiter des plateaux. Il nous emmène vers
sa maison à travers un étau argileux qui
s’émiette, doté d’une corde de rappel pour
se rattraper si on dévale ! Vingt, trente minutes de marche entre les vignes, la mer et
le ciel. Un isolement vertigineux et, au loin,
Capri. Enfin, le choc : au bord de la falaise,
le type, goguenard, nous montre un début
de maison en construction, ou plutôt deux
blocs de béton. J’ai la certitude absolue
que c’est là, inutile d’aller voir autre chose.
L’équipe technique va construire la Villa
Amalia de mon film, posée dans l’infinie
lumière, au milieu d’une mer éternelle.
Isabelle, telle une reine orientale dans
la lumière...
On négocie le prix, marché conclu. J’ai
même rêvé de la louer à notre homme pour
des vacances plus tard. Pas question, après
le film, il a fallu tout casser pour la rendre à
son état initial : pour marquer sa propriété
sans se faire classer zone constructible par
le cadastre, il faut une ébauche de construction ! Quid d’Isabelle ? Ma production se
demandait comment la convaincre. Elle a
beau être très robuste malgré sa taille, huit
heures de jeu par jour imposent un minimum de fraîcheur. On a trouvé un système
de palanquin : une sorte de litière tirée par
un tracteur de la largeur de l’étau. Isabelle
arrivait ainsi, telle une reine orientale, déjà
maquillée, avec une ombrelle dans sa teufteuf ! Ensuite, elle a joué le jeu à fond,
48 La Rassegna d’Ischia 3/2009
no affittato una bella villa: due saloni, due
cucine, dieci camere, tre sale da bagni...
per una somma ragionevole, visti i prezzi
di qui, circa 1500 euro per settimana. Ma
ci sono hotel per tutte le borse, ed alcuni
palazzi. Uno ha ospitato Brad Pitt, Matt
Damon e Gwyneth ­Paltrow che giravano “Il talento di M. Ripley”. Lussuosi,
molto cari, ma meno che a Capri. È una
città termale, v’incrontrate dei tedeschi
che fanno le cure termaliu, un po’ rétro,
affascinanti. Evidentemente, bisogna
andarci fuori stagione e provare a trattare
un forfait con un canotto che vi porti a
pranzare nelle baie, a visitare le grotte di
acqua bollente, a bagnarvi nelle spiagge
di sabbia vulcanica. Se volete esplorare
tutta la costa e Napoli, consiglierei di
scegliere Ischia come ancoraggio. Non
andate lì per la giornata, soggiornatevi.
L’isola è grande, la popolazione è varia,
occorre andare a spasso. O non fare niente. Essere, semplicemente. Al paradiso.
comme toujours quand elle s’engage. Elle
s’est même démis le genou dans un chemin.
La cinquantaine de personnes de l’équipe
s’est adaptée : apporter les matériaux,
caméras, réflecteurs, lumières sur cette minuscule terrasse, sans balustrade ! Ils ont su
restituer l’appel irrépressible et inquiétant
de cette immensité.
Brad Pitt a tourné à Ischia
Pendant le tournage, Isabelle et moi
avions loué une villa de rêve – deux salons,
deux cuisines, dix chambres, trois salles
de bains... – pour une somme raisonnable
vu les barèmes là-bas, dans les 1500 euros
par semaine. Mais il y a des hôtels pour
toutes les bourses, et quelques palaces.
L’un a d’ailleurs abrité Brad Pitt, Matt
Damon et Gwyneth ­Paltrow qui tournaient
“Le talentueux M. Ripley”. Luxueux, très
chers, mais moins qu’à Capri. C’est une
ville thermale, vous y croisez des curistes allemands, un peu rétros, charmants.
Évidemment, il faut y aller hors saison
et essayer de négocier un forfait avec un
canot qui vous emmène déjeuner dans les
criques, visiter les grottes d’eau bouillonnante, vous baigner sur des plages de sable
volcanique. Si vous voulez explorer toute
la côte et Naples, je conseillerais de choisir
Ischia comme ancrage. N’y allez pas pour
la journée, séjournez-y. L’île est grande, la
population est diverse, il faut s’y promener.
Ou ne rien faire. Etre, tout simplement. Au
paradiso.
Water
Il racconto è accompagnato da una regia
magistrale e da una fotografia di rara bellezza. Per quanto in alcuni momenti la trama si
lasci troppo facilmente affascinare da tentazioni Hollywoodiane, il film è altamente
apprezzabile per la delicatezza dei toni e
per la rara capacità di aver saputo rendere in
immagini l’atmosfera, i colori e le sensazioni che ieri, come oggi si respirano in India.
Un film di Deepa Mehta, con Lisa Ray,
Seema Biswas, John Abraham, Kulbhushan
Kharbanda, Waheeda Rehman, Raghubir
Yadav, Vinay Pathak.
Produzione: Canada, India - Fotografia:
Giles Nuttgens - Scenografia: Dilip Mehta
- Montaggio: Colin Monie - Costumi: Dolly
Ahluwallia - Musiche: Mychael Danna
http://www.videa-cde.it/water/
Water è ambientato nell’India del 1938.
Gandhi gettava le basi della sua protesta
pacifista, infiammando gli animi di un
paese oppresso dal colonialismo mentre
l’indipendenza dagli inglesi era ancora
lontana da venire. Il film, sullo sfondo di
questo contesto storico, narra le vicende di
una sposa bambina, Chuyia, che all’età di
otto anni, subito dopo essere stata data in
moglie ad un uomo malato, rimane vedova,
e per questo sposa predestinata di un futuro
di miseria e privazioni.
Il film, che ha preso lo spunto dagli
ashram, di Varanasi, la città sacra dell’Uttar
Pradesh nel centro dell’India, è ambientato
nella città di Rawalpur. Racconta la storia
della vedovanza di Chuyia, dall’esilio
forzato dentro l’ashram, termine sanscrito
che indica luogo di eremitaggio, nel quale
viene relegata dalla sua famiglia, sino alla
perdita del diritto ad esistere come persona ed all’annullamento di tutti i pregressi
diritti di casta. Per i testi sacri, infatti, le
vedove indù hanno a disposizione solo tre
scelte: morire bruciate sulla pira del marito,
sposarne il fratello o passare una vita di
castità e privazioni, confinate ai margini
della società e costrette a vivere dentro la
“casa delle vedove!.
Chuya, la protagonista, (interpretata dalla
debuttante dello Sri Lanka, Sarala), si trova
improvvisamente a vivere di elemosina
con le altre vedove, la bella Kalyani (Lisa
Ray), vedova-prostituta che si innamora del
laureato in legge Narayan (John Abraham)
seguace di Gandhi, e la religiosissima
Sadananda (Kulbhushan Kharbanda), che
vive sulla sua pelle il conflitto tra fede e
coscienza. L’innocenza della bambina si
dovrà così scontrare con i destini delle
altre donne, più o meno rassegnate al loro
fato, mentre lentamente il paese prende
coscienza dei propri diritti ed iniziano i
primi movimenti nazionalisti indiani.
Terzo ed ultimo film della trilogia della
regista indiana Deepa Mehta, Water chiude il percorso dedicato dalla regista agli
elementi naturali -- acqua, fuoco e terra - e
grazie alla metafora dell’acqua, tratta il
tema controverso della religione, la dove il
suo film precedente Fire (1998) si occupava
del tema scottante dell’omosessualità tra
donne ed Earth (1999), il primo film della
trilogia, trattava il tema del settarismo, sullo
sfondo della divisione politica del 1947 tra
India e Pakistan.
La chiusura della trilogia non si è rivelata
semplice come previsto, e le riprese del
film iniziate nel 2000 a Varanasi, sono state
interrotte a causa delle ripetute sommosse
dei gruppi di estrema destra induisti che
accusavano Deepa Mehta di offendere la
religione e di denigrarne i contenuti sacri.
Il film è stato ultimato solo nel 2005, dopo
che regista e intero cast sono stati costretti a
lasciare prima Varanasi e poi l’India, per le
continue minacce subite, e a girare in gran
segreto in Sri Lanka, dove è stato ricostruito
il set bruciato a Varanasi.
Il film Water è uno di quei capolavori che
non si scordano, e questo perché ogni immagine trasuda emozioni che difficilmente
riescono a passare inosservati. Vedere
questo film fa provare sensazioni tali che,
anche chi non ha vissuto in India, riesce a
comprendere cosa significhi vivere in un
mondo di tradizioni, dove il colore non
è solo un ornamento, ma parte integrante
della vita di tutti i giorni. Sin dall’inizio del
film lo scorrere delle immagini è accompagnato da un taglio fotografico di una delicatezza talmente inusuale, da incollare allo
schermo anche lo spettatore più distratto,
ed il film, diversamente di quanto accade in
altre pellicole, mantiene le promesse sino
ai titoli di coda.
Questo film consente di leggere la realtà
umana che si cela dietro la pur antichissima
civiltà indiana.
Il matrimonio, ancora oggi, viene deciso
dai genitori degli sposi, che contrattano
sulla dote che la famiglia della sposa dovrà elargire a quella dello sposo, in quella
sorta di matrimonio-contratto che suggella
più i termini di un accordo finanziario
che il coronamento di un sogno d’amore.
E così accade che, anche le bambine in
tenera età, vengano date in moglie per alleviare i genitori da un peso troppo oneroso.
In questo modo, il matrimonio precoce è
visto come un vantaggio economico, come
un’ulteriore dote da portare allo sposo e che
servirà ad alleggerire la dote in gioielli o in
elettrodomestici. Infatti, una figlia bella,
giovane e vergine è la più alta merce di
scambio nelle trattative matrimoniali, per
quanto in questa maniera alle bambine
spose si ruba l’infanzia, l’innocenza ed il
gioco.
Per le famiglie più povere significa una
bocca da sfamare in meno o una serva in
più per quelle più ricche, e può servire a
consolidare i legami familiari e patrimoniali e ad evitare scontri tra clan. Spesso le
bambine restano nella famiglia d’origine
fino alla pubertà e poi si trasferiscono
nella famiglia del marito, ma in molti casi
la bambina lascia subito la scuola e viene
mandata a vivere con la nuova famiglia.
Carmine Negro
La Rassegna d’Ischia 3/2009 49
Rassegna LIBRI
Villa Arbusto e il suo parco
Centro culturale polivalente e sede del Museo Archeologico
di Maurizio Di Stefano
De Luca Editori d’Arte, 2007
(Incontro con una vocazione - Introduzione dell'autore Maurizio Di Stefano) - Dal momento in cui, intorno al 1785, un’antica masseria
si trasforma in casino di cura e di delizie del ventunesimo
duca d’Atri, Carlo Acquaviva, il complesso dell’Arbusto
lega indissolubilmente la sua storia al graduale concretizzarsi
della vocazione turistico-termale di Lacco e più in generale
di Ischia. Già da un secolo, con la fondazione nel 1602 dello
stabilimento di cura del Pio Monte della Misericordia a
Casamicciola, la nobiltà napoletana aveva mostrato piena
consapevolezza del valore terapeutico delle risorse ischitane;
la predilezione del duca - che pure possedeva numerose altre
residenze di villeggiatura nel Napoletano, in Abruzzo e in
Puglia - testimonia una fase importante. Come gli studi su
vari contesti italiani hanno dimostrato, una sorta di ideologia
comune delle città d’acqua si stabilisce (...) nel XVIII secolo,
determinata dall’aristocrazia committente, e ciò costituisce
l’indispensabile prologo della successiva fase di straordinario
sviluppo delle città termali, allorché il pubblico da aristocratico diventa borghese.
La trasformazione della costruzione rurale in comoda dimora contempla tra l’altro la realizzazione di una cappella,
di un corpo secondario, di una stufa per l’uso terapeutico
delle fumarole. Dotata dei necessari spazi e delle strutture
adeguate ai nuovi proprietari, essa non doveva essere però
improntata ai criteri di magnificenza che ad esempio caratterizzano le ville vesuviane, situate in prossimità della corte e
tutte rivolte alla pompa del ricevere e dell’ostentare; in questa
fase le rare dimore nelle isole del Napoletano, come quella
dei baroni di Costanzo a Capri o la Torre dei duchi Guevara
sempre ad Ischia, hanno piuttosto la funzione di un buen
retiro tutto privato. La nuova dignità della fabbrica, e per un
certo periodo anche la presenza del gentiluomo, rendono il
sito di villa Arbusto, già di per sé eccezionale per la posizione
paesistica privilegiata, un luogo imprescindibile della tappa
ischitana nell’ambito del tour della costa napoletana. Una
precoce, eccezionale testimonianza visiva è data dal disegno
del 1792 di Philipp Hackert, A Ischia dalla loggia del palazzo
del sig. Duca d’Atria (sic), già appartenuto alla collezione
personale di Goethe. Si tratta di una veduta che, al di là della
qualità intrinseca, è importante per la sua impostazione: per
la prima volta si individua nella villa un punto privilegiato di
osservazione, fissando quanto diverrà un topos consacrato del
vedutismo isolano, e in particolare nell’ambito della crescente
attenzione riservata a Lacco nella prima metà dell’Ottocento
da artisti come Giacinto Gigante, Jacop Wilhelm Huber,
Teodoro Duclère, Johan Georg von Dillis, Achille Vianelli.
Più raramente invece la villa del Duca diventa oggetto di una
veduta; pertanto, pur in una certa approssimazione del tratto,
assume notevole valore documentario l’acquaforte posta a
corredo illustrativo di A voyage up the Mediterranean, il resoconto pubblicato nel 1802 dal reverendo Cooper Willyams
(1762-1816), relativo ai luoghi toccati da Orazio Nelson e
dalla flotta britannica durante le battaglie napoleoniche (1).
Alla morte del duca d’Atri, per il disinteresse della sua erede, contessa Acquavìva di Conversano, si giunge alla vendita
della proprietà. Ancora la sorte di villa Arbusto testimonia di
una nuova fase dello sviluppo di Lacco. Viene infatti acquistata dall’avvocato giacobino Saverio Biondi, e, mentre si apre
una nuova e intensa stagione del turismo nel golfo di Napoli,
la casa comincia ad accogliere ospiti e clienti; un’attività
che proseguiranno i suoi eredi e i successivi proprietari. Non
stupisce questa destinazione per la residenza di un professionista: basti pensare quanto avviene negli stessi anni a Capri,
dove la casa del notaio Manfredi Pagano comincia in sordina
1) Resoconto riportato ne "La Rassegna d'Ischia" n. 2/2009 alle
pagine 25-31 (nota editoriale)
50 La Rassegna d’Ischia 3/2009
un’attività ricettiva che nel giro di poco
tempo trasforma la piccola locanda in
un albergo di notorietà internazionale.
Certo risulta assai più limitato nel corso
dell’Ottocento lo sviluppo dell’albergo
all’Arbusto - che comunque nella fase
postunitaria accoglie eminenti ospiti
stranieri -inevitabilmente legato alla
più lenta crescita turistica di Lacco che,
mentre sconta la concorrenza della vicina
e accorsata Casamicciola, condividerà
con essa la tragedia del terremoto del
1883. È significativo però che nei primi
del Novecento proprietario dell’Arbusto
sia proprio l’ingegnere Nicola Ciannelli
che nel 1898 ha costruito il nuovo e pretenzioso stabilimento delle Terme Regina
Isabella. Le cartoline degli anni Trenta
mostrano, quale sfondo del giardino e
delle terme di Santa Restituta, Villa Arbusto: articolata in due corpi di fabbrica
principali collegati pittorescamente dal
lungo pergolato panoramico, scandito
da bianche colonne doriche. Più che un
motivo architettonico si tratta di un’icona
tradizionale dell’edilizia del profilo del
golfo di Napoli, a partire dall’albergo
dei Cappuccini a Sorrento per finire alla
Villa San Michele ad Anacapri.
È alla metà del secolo successivo che le
vicende della villa si intrecciano di nuovo
indissolubilmente con un nuovo destino
di Lacco, e più in generale dell’isola. E
un medico milanese, Piero Malcovati, il
primo a maturare la piena consapevolezza delle potenzialità del luogo e delle sue
risorse naturali, impegnandosi a trovare
nel capoluogo lombardo due figure di
primo piano da coinvolgere nel suo
sogno: dapprima un architetto di fama,
Ignazio Gardella (1905-1999), e poi un
imprenditore di successo, Angelo Rizzoli
(1889-1970). Nel giro di poco tempo, ad
inizio anni Cinquanta, mentre l’editore
diviene ideatore e proprietario dei principali stabilimenti termali - Regina Isabella
e Santa Restituta - nonché dell’antica
villa del duca d’Atri, l’architetto elabora
per Lacco un complesso organico di interventi, ispirati all’ideologia imperante
della modernizzazione: la ricostruzione
delle Terme Regina Isabella, la sistemazione della piazza del Muncipio, il
progetto per gli alberghi Arbusto e Santa
Restituta, la ricostruzione del quartiere
Genala e un piano regolatore. Arriva ora
per Lacco - e per una si-nergia di congiunture concomitanti - quel momento
di svolta, in cui un cospicuo programma
architettonico è premessa ad un rilancio
dell’attività termale, momento che altre
località campane - come ad esempio
Castellammare e Agnano - avevano
conosciuto durante la belle epoque.
L’interruzione, nel 1954, dei rapporti di
Rizzoli con Gardella farà sì che in larga
parte progetti e studi di quest’ultimo restino inattuati con l’eccezione dell’edificio
termale dove la posizione conservatrice
della Soprintendenza diventa occasione
per salvare un frammento isolato delle
terme tardo-ottocentesche: il porticato
neoclassico, per farne un segno caratterizzante del nuovo complesso. La felice
soluzione, a lungo incompresa dai critici
di fede intransigentemente modernista
(ivi compreso Giulio Carlo Argan (12),
si configura come poetica interpretazione
del tema allora assai sentito dell’incontro
tra antico e nuovo, e riprende - forse inconsapevolmente - un motivo tipico del
prospetto della chiesa napoletana di San
Paolo Maggiore ai Tribunali. Resta sulla
carta e sommariamente prefigurato quindi anche il progetto per l’albergo Arbusto,
dove si prevedeva la demolizione della
villa settecentesca per realizzare un ampio complesso ricettivo, costituito da una
grande piastra basamentale con i servizi
comuni e di ristoro su cui spiccavano i
corpi delle camere, liberamente disposti
verso il panorama. Sarebbe stata, secondo
quanto documentano i grafici custoditi
nell’archivio di Gardella, dell’architettura di buona qualità, tuttavia non ci si può
rammaricare della mancata realizzazione,
perché avrebbe comportato il sacrificio di
un’antica struttura che, pur priva di un
carattere architettonico o artistico eccezionale, per il suo felice posizionamento
paesitico e per la sua storia, assume un
rilevante valore. Sopravvissuta, Villa Arbusto diviene invece la residenza estiva
di Rizzoli, e come tale pure contribuisce
alla graduale elezione dell’isola verde a
elegante località turistica frequentata dal
“jet-set”. Una interessante sequenza di
immagini scattate da Gardella e custodite
nel suo archivio documentano l’aspetto di
Villa Arbusto allorché viene acquisita da
Rizzoli (13). Nei decenni in cui è abitata
da quest’ultimo, mentre il parco si arricchisce di essenze pregiate, le costruzioni
in cui si articola il complesso vengono in
parte ampliate e in parte sottoposte a inevitabili rimaneggiamenti, senza però rinnegare il suo aspetto tradizionale anche
nelle finiture. Rizzoli si avvale della col-
laborazione dell’architetto Mario (Mosè)
Tufaroli Luciano, un professionista che
negli anni Trenta aveva collaborato con
colleghi del calibro di Luigi Moretti e
Concrezio Petrucci ad opere e a piani di
un certo rilievo e innovativi. Qui però
non esprime uno stile moderno. Nuovi
loggiati e ambienti voltati sono andati ad
aggiungersi agli antichi, così come nei
rivestimenti in maiolica motivi floreali
neo-tradizionali, realizzati dalle botteghe
artigianali napoletane e vietresi degli anni
Cinquanta e Sessanta, sono andati ad
accostarsi ai disegni tardo-ottocenteschi,
tra cui spicca quello notissimo, derivato
da un’idea di Filippo Palizzi, dei petali
di rosa sparsi. Tanto verrà mantenuto
l’aspetto di vecchia dimora senza età,
da potersi accogliere persino una sorta
di replica di buona fattura delle panche
del chiostro maiolicato di Santa Chiara
a cura di Stingo.
La villa torna poi per un breve periodo
ad essere sede di attività alberghiera per
iniziativa dell’ing. Salvatore Leonessa. Si
confrontano nel progetto di recupero valenti tecnici come il prof. Aldo Capasso,
ma la villa ha l’aria di essersi trasformata
nel tempo senza soluzione di continuità
tra una fase e l’altra, senza che vi si possa
scorgere la mano troppo invadente di un
progettista, e nemmeno il gusto troppo
deciso di un committente. Finalmente e
felicemente il Comune di Lacco acquisisce non senza un impegnativa battaglia
legale il complesso grazie agli accorti
programmi di conservazione e di musealizzazione condotti da chi scrive, che
ne curerà l’intera realizzazione per conto
del Comune mantenendo l’impronta che
le stratificazioni storiche le hanno dato e
dotandola delle infrastrutture impiantistiche necessarie per l’utilizzo integrato del
complesso polifunzionale.
Il nuovo destino della villa, al termine di una vicenda complessa divenuta
di proprietà municipale, segna ancora
una diversa stagione dello sviluppo di
Lacco. Acquisendo la villa di un personaggio importante che ha simboleggiato
un’intera fase dello sviluppo turistico,
conservando l’impianto architettonico
complessivo, preservandola tanto da un
temuto frazionamento in mini appartamenti quanto da una pesante trasformazione alberghiera, offrendo alla pubblica
fruizione quegli scorci elevati al rango
di icone dal vedutismo ottocentesco, il
Muncipio fa qualcosa di analogo a quello
La Rassegna d’Ischia 3/2009 51
che, per esempio, farà Capri molti anni
più tardi con l’acquisto di villa Fersen.
Ma fa anche qualcosa di più, e di molto
più importante: perché sin dall’inizio lega
la conservazione dell’antica struttura con
la creazione di una struttura museale in
grado di valorizzare l’eccezionale patrimonio dell’antica Pythecusae. La destinazione d’uso individuata è sicuramente
tra le più prestigiose che i vari comuni
di Ischia scelgono, incoraggiando l’acquisizione di significative dimore quali
Torre Guevara a Ischia Porto, anch’essa
appartenuta al gruppo Rizzoli, la Colombaia di Luchino Visconti di Modrone a
Forio, villa Bellavista a Casamicciola,
inaugurando una nuova fase di sviluppo
turistico dell’isola più attenta ai valori
della cultura.
A questa nuova fase chi scrive ha costantemente partecipato come progettista
dei principali interventi di architettura
urbana nella consapevolezza che, mentre non si può più soltanto contare sulle
pur eccezionali risorse naturali, si deve
operare per conservare queste stesse
risorse creando un connubio tra turismo
e cultura.
A Lacco inoltre si tratta anche di
offrire adeguato riscontro ad un patrimonio dell’isola, inteso oggi come imprescindibile tassello nell’ambito della
Camorra e camorristi
di Ferdinando Russo
Il volume comprende il saggio Camorra e camorristi [da “La lettura”, fasc. 5/maggio
1911] e la raccolta “Tipi e persone di camorristi” [da E. Serao e F. Russo, La camorra,
1907]. Imagaenaria, Ischia, 2009.
di Nicola Luongo
Nel volume “Camorra e camorristi”,
pubblicato dalla Casa Editrice Imagaenaria con illustrazioni di Francesco Galante, sono compresi il saggio “Camorra
e camorristi” (1911) che dà il titolo al
libro e la raccolta “Tipi e personaggi di
camorristi”(1907), scritti da Ferdinando
Russo (lo scrittore e poeta dialettale amico di Gabriele D’Annunzio che tendeva a
conferire una rappresentazione realistica
alla vita napoletana, descrivendo una
galleria di personaggi popolari nobili, ma
anche abietti, frequentando di preferenza
gli strati più bassi della popolazione e non
esitò a infiltrarsi nella “onorata società”
per meglio descriverne le usanze.
Ferdinando Russo fu anche autore di
versi di canzoni famose come “Scetate”,
musicata da Pasquale Mario Costa, di
“Quanno tramonta ‘o sole” con musica
di Salvatore Gambardella e di “Canzone
amorosa” con musica di Leopoldo Mugnone.
Nella prima parte del libro viene riferita l’origine della camorra “trista genìa”,
“idra dalle cento teste”, diffusasi nel Napoletano sotto la dominazione spagnola e
cresciuta a partire dall’Ottocento con lo
scopo di taglieggiare ogni sorta di attività
legale o illegale.
Circa le origini antichissime della
camorra, l’autore concorda con il filo52 La Rassegna d’Ischia 3/2009
sofo Benedetto Croce, secondo il quale
un personaggio di quell’associazione
malavitosa è già presente nella novella
“Andreuccio da Perugia” del Decamerone del Boccaccio, come risulta anche
da un documento del re Roberto risalente
al 1336. Anche il guappo, personaggio
con velleità da camorrista, prepotente
e spaccone, che si vanta di capacità e
imprese poco credibili, per certi aspetti
ricorda il Miles gloriosus di Plauto o il
Don Chisciotte di Cervantes o addirittura
il Capitan Fracassa di Théophile Gautier.
Ma soprattutto il poeta burlesco napo-
complessiva storia del Mediterraneo,
ma che, prima dell’inzio degli scavi di
Giorgio Buchner nel 1952, era quasi del
tutto sconosciuto. Come ancora di recente
ha annotato Stefano De Caro, l’apertura
del Museo di Pythecusae a Lacco Ameno
corrisponde sul piano museale a quella
che è stata una tappa fondamentale nella
storia archeologica della Magna Grecia.
Resta aperto il capitolo della costruzione
del Centro Congressi che è da considerare solo rinviata ad una maggiore maturità
culturale nell’affrontare il rapporto tra
architettura ed archeologia e tra conservazione integrata e tutela ambientale.
letano Giulio Cesare Cortese, inventore
con Bracciolini e Tassoni del genere
eroicomico, amico di Giambattista Basile che dedicò agli smargiassi molti versi
dialettali, riuscì a fornire una visione
realistica, anche se a tratti paradossali,
della plebe napoletana nel suo poema del
1619 “Micco Passaro ‘nammurato“, per
la quale ogni mutamento sociale appare
impossibile, ogni ribellione è punita, il
bene può venire solo dai padroni che
impongono la legge della sopraffazione
e dello sfruttamento tramite i loro sgherri
prezzolati e spietati.
Secondo l’autore, all’interno della
camorra si è verificata una grave degenerazione nel momento in cui cominciarono
a capitare nelle ”mani del popolino le
prime pistole e le prime rivoltelle”per il
cui uso non occorre alcuna particolare
abilità. Invece maneggiare il coltello o
il pugnale richiede straordinarie doti di
destrezza e di sprezzo del pericolo, la
necessità di studiare le mosse dell’avversario per colpire al momento giusto e
imporsi sull’avversario-nemico.
Tra le figure più famose dei camorristi
particolarmente abili nel prevalere con il
coltello nei loro sanguinosi duelli, l’autore rievoca Nicola Alossa che, passato
alla legalità e divenuto commissario di
polizia, ricorrendo anche a metodi poco
ortodossi, costrinse al pagamento alcuni
prepotenti riottosi a pagare il dazio, garantendo a Garibaldi e ai liberali la più
oculata sorveglianza e il più perfetto
ordine.
Un altro personaggio ben noto a
Napoli, “famoso nei fasti del coltello”,
fu Ciccio Cappuccio, un vero e proprio
“camorrista-gentiluomo”, come lo de-
finisce, con un’immagine ossimorica,
l’autore e che ricorda, per certi aspetti “Il
sindaco del Rione Sanità”, interpretato
dal grande Eduardo De Filippo. Ebbene,
Ciccio Cappuccio, avendo saputo che a
un maestro di musica era stato rubato il
pianoforte, unica sua fonte di sostentamento, fece restituire lo strumento musicale al legittimo proprietario che dopo
il furto subìto “quasi moriva di stenti,
di rabbia e di inedia”. Il camorrista non
pretese nulla in cambio, anzi respinse con
sdegno, quasi un oltraggio al suo onore,
la ricompensa del maestro.
Ma Ferdinando Russo non apprezza
affatto tali gesti, anzi non nasconde il suo
disprezzo per i camorristi, i quali “fanno
disonore a Napoli anche all’estero”,
“scuotono le basi dell’edificio sociale”,
anche se sfoggiano abiti lussuosi e si
dimostrano generosi e filantropi al solo
scopo di carpire la buona fede delle
persone in difficoltà economiche per
convincerle a prendere somme di denaro
a interessi sproporzionati nell’ottica perversa e ignominiosa degli usurai.
Per una comprensione più esaustiva
della “onorata società” risultano appropriate anche le cinque lettere che
un fantomatico” V.L .detto lo studente,
amico e ladro” scrive al Cav. Ferdinando
Russo, in cui, tra l’altro, si vanta di aver
turlupinato il prossimo e di conoscere i
modi per fare parte della camorra, tra i
quali quello di farsi giustizia da solo e di
non rivolgersi mai alle autorità costituite,
perché ciò sarebbe segno di codardia e
di debolezza. Inoltre gli svela il gergo
della camorra e le sentenze di punizioni
esemplari che spesso sfociavano nell’assassinio della vittima designata.
Anche in carcere i camorristi im-
Lucio Battisti – Emozioni ischitane
di Anna Maria Chiariello
Valentino Editore, dicembre 2008. Prefazione di Peppino di Capri.
«Nel 1963 Lucio Battisti - scrive
Peppino di Capri nella Prefazione - si
esibiva a Forio d'Ischia, dall'altro lato
dell'isola c'ero pure io. C'era Mina.
Assaporavamo il successo che nel frattempo aveva voluto baciarci. C'erano
grandi artisti di fama internazionale».
Anna Maria Chiariello ha voluto
unire questi momenti (Ischia, Battisti,
artisti che dall'isola salparono per
traguardi nazionali e internazionali...)
e ne ha messo in evidenza le varie emozioni che si vissero in quegli anni. Ecco
come l'autrice ne illustra l'origine.
«Cinquant’anni fa nasceva il Rangio
Fellone. Cinquanta anni fa due giovani
iniziavano a muovere i primi passi nel
mondo dello spettacolo. Quei due giovani
sono diventati due simboli della canzone
italiana. Mina e Peppino di Capri. Tutti
e due hanno cantato a Ischia il primo
successo della loro vita. Mina che si
chiamava Baby Gate e si innamorò della
Tintarella di Luna dei Campioni di Roby
Matano. Peppino con l’interpretazione
magistrale di Nun è peccato di Ugo
Calise. Sempre al Rangio Fellone. E
quando nel ‘63 Lucio Battisti muoveva
i primi passi sull’isola, ad Ischia loro
erano le star. Poi Peppino ha cantato con
i Beatles, ha avuto un successo enorme,
ha messo insieme quello che per Lucio
era il massimo e cioè la grande canzone
napoletana con la musica anglosassone.
E Mina ha cantato, duettando alla grande
con Battisti. Ce n’è abbastanza perché
tutti insieme possano essere il simbolo
di un’estate, dell’estate, di tutte le estati
ischitane.
Ecco perché Emozioni ischitane. Le
emozioni di quando ragazzini ci facevamo accompagnare dalle canzoni di
Battisti-Mogol, mentre i nostri fratelli
più grandi di poco facevano la colletta
per andare a sentire Peppino di Capri al
Castillo d’Aragon.
Io avevo un mangiadischi verde,
probabilmente era fra i regali della prima comunione e me lo portavo dietro
dovunque, sentivo quasi sempre Battisti
ma a quell’epoca non voleva dire essere
battistiani, non ancora per lo meno. Poi
il mangiadischi si ruppe perché mio fratello Michele la notte se lo “fruculiava”
per portarselo in spiaggia dove andava a
ballare. La sabbia mi rovinò un sacco di
dischi ma le canzoni del grande Lucio
mi piacevano lo stesso, pure se dovevo
dare ogni tanto un pugno all’apparecchio,
mentre ero seduta ad ascoltarle con altre
ragazzine davanti al bar Calise, a Ischia.
Allora di fronte al bar c’era soltanto una
pongono la loro legge, comunicano
con l’interno e l’esterno, nonostante
la severissima sorveglianza. I detenuti
ricorrono anche al canto con stornelli
dai versi incomprensibili ai non affiliati
e apparentemente prive di senso, in cui
emerge anche una fantasia poetica.
Nei dieci sonetti alla fine del testo
viene raffigurato un basista il quale inizia
la sua carriera nella malavita facendo da
palo in cambio del terzo della refurtiva
ricavata dagli appartamenti disabitati,
diventa ricco e temuto, ma alla fine viene
colpito a morte a tradimento e, anche nei
suoi ultimi momenti di vita, non disdegna
parole di disprezzo verso i suoi aguzzini,
andando incontro a una fine violenta,
comune a molti che vivono nell’illegalità
e nel ricorso ai reati e alla violenza.
tettoia e lì sotto era il ricovero dei motorini e delle comitive sciamanti di ragazzi.
Non c’erano spinelli, la droga più forte
era un whisky e coca (cola) in discoteca
e una tirata con i mezzi davanti al bar.
Qualche anno più tardi mi sono unita
anch’io a quelli delle moto con la mia
Vespa rossa, faro tondo, ufficialmente 50
ce, in realtà molti di più.
Poi Battisti è stato un po’ la colonna
sonora del mio matrimonio con Paolo:
suonava Fabrizio Fierro con la sua orchestra e a gentile richiesta gli chiedemmo
un po’ di Fiori rosa, fiori di pesca, un
taglietto di Emozioni, una strofa del mio
canto libero. E lui ci accontentò e tutti
ci mettemmo a cantare. Conoscendo le
parole una ad una. Ecco la grandezza di
La Rassegna d’Ischia 3/2009 53
Battisti: giovani, adulti, anziani conoscono le sue canzoni, tutti le cantano e
si sentono liberi di stonarle. Credo che
nessun artista faccia lo stesso effetto e
questo rende Battisti immortale. E aggregante. Tanto che per il sesto anniversario
di matrimonio (a proposito mio marito di
cognome fa Chiariello come me, proprio
come i genitori di Lucio si chiamavano
Battisti e Battisti...) chiedemmo a LucaVicari delle Anime latine di suonare a Is
chia per noi. Avevo conosciuto Le Anime
in forma di duo a Ponza, durante una
brevissima vacanza. Per tre volte avevo
praticamente costretto Paolo a concludere la serata al baretto al porto per sentirli
suonare. Repertorio: solo Battisti. E così
li invitai a suonare a casa nostra, per una
festa con gli amici, fu una serata bellissi-
ma inguaiata dal solito rompiscatole, un
romano che aveva fittato l’appartamento
nel palazzo a fianco che ancora prima che
scadesse la mezzanotte ci fece trovare la
polizia municipale a casa. E pensare che
era sabato 26 agosto, Sant’Alessandro, e
c’era la festa a Ischia Ponte con bancarelle, orchestrine e tanta ammuina dopo
la tradizionale sfilata.
Mi sono sempre chiesta se ce l’avesse
con noi perché non l’avevamo invitato.
O forse non amava Battisti. Così terminammo la serata con un canto libero e
rabbioso che si sarà sentito fin sopra il
Castello Aragonese. Grazie a quella festa,
come leggerete, scoprii che Lucio era
stato a suonare a Ischia.
Ed è nato Emozioni ischitane.
La camorra
Origini, usi, costumi e riti dell’annorata società
di Ernesto Serao
Ristampa dell’opera pubblicata nel 1907 e considerata un classico della storia della
camorra. Imagaenaria, Ischia, 2009
L’opera La camorra. Origini, usi,
costumi e riti dell’annurata suggietà
di Ernesto Serao, caporedattore de “Il
Mattino”, saggista, narratore, poeta,
pubblicata per la prima volta nel 1907
e riedito di recente dalla Imagaenaria
Edizioni, è ritenuta un classico della
storia di questa “associazione delittuosa”. L’autore ne disvela la genesi, la
tipologia degli affiliati, il loro ambiente,
54 La Rassegna d’Ischia 3/2009
i personaggi più noti, “eroi del coltello” e
della loro abilità a “sfregiare l’avversario
dopo averlo stancato con una infinità di
mosse”, la loro bravura nell’inserirsi nei
gangli della politica, nonché altre attività
criminose come l’usura praticata “con
maggior profitto sui meno abbienti che
sugli agiati”, visto che «per il popolo
napoletano l’impulso a ricorrere a questa
forma spietata e abietta di sfruttamento
è come l’assenzio per il popolo di Francia».
Secondo l’autore, l’usura è connessa
indissolubilmente con il gioco del lotto.
Molti napoletani, pur non avendo un
soldo per comprarsi un tozzo di pane,
vogliono trovare ad ogni costo i soldi
necessari per tentare la sorte e perciò
ricorrono all’usuraio sempre in agguato
e, poiché il giocatore non è in grado di
saldare il debito ad interessi altissimi,
spesso diventa lui stesso affiliato alla camorra alle dipendenze del suo creditorestrozzino.
Secondo Ernesto Serao, il primo crimine che suscitò particolare scalpore e
portò la malavita napoletana alla ribalta
nazionale, fu l’efferato omicidio di Gennaro Cuocolo, basista della camorra, e
di sua moglie Maria Cutinelli, un fatto di
sangue avvenuto in una città come Napoli
dove, secondo l’autore, la camorra «esiste ed esisterà fin tanto che permarranno
le profonde condizioni contingenti di depressione sociale, di povertà economica
e intellettuale».
Gli statuti e i costumi della camorra
derivarono dalla Spagna e furono introdotti nel Regno delle Due Sicilie, dove la
losca associazione imponeva la sua legge
con metodi terroristici, spesso con il
tacito appoggio di funzionari dello Stato
conniventi e corrotti che non reagivano
di fronte alle estorsioni sistematiche e
organizzate, ai furti, alla pratica della
prostituzione, del lenocinio e del contrabbando di matrice camorristica.
Ci fu un tempo in cui era titolo di onore
essere “guaglione ‘e malavita”, come
del resto attesta una canzone di grande
successo di Mario Merola, tanto amato
dai napoletani.
Naturalmente anche le carceri, popolate da “colonie di coatti”, fu l’humus
ideale per la malavita che si affermò
appunto nel contesto di una città dove “il
povero popolo non vide luce di libertà,
di benessere, di cultura, di condizioni
abitative decenti” e dove i ragazzi sono
costretti a vivere sulla strada, unica loro
scuola di vita.
Uno dei più famosi camorristi fu
Ciccio Cappuccio ai cui funerali «accorse gente in maggior numero che se si
fosse trattato di un autentico sovrano di
corona». Anche in questo caso Ernesto
Serao lascia trasparire il suo sentimento
di risoluta disistima per i partecipanti a
quei funerali che «Dante avrebbe collocato in un nuovo girone e Lombroso
avrebbe trovato conferme alle sue teorie
riguardanti la personalità fisico-psichica
dei delinquenti, osservando quelle facce
da far rabbrividire».
Un altro segno che connotava il camorrista era il tatuaggio, ritenuto quasi
un emblema nobiliare. Il delinquente si
sente più importante nel suo ruolo di
prevaricazione e di imposizione della
sua volontà. Una pagina del testo riporta
i tatuaggi più importanti che designavano i differenti gradi della camorra, noti
soltanto ai suoi affiliati e a certi strati del
popolino.
Il libro riporta alla fine gli otto articoli
dello statuto della camorra spagnola,
redatto a Toledo nel 1420, in cui sono
elencate le norme più importanti, tra le
quali quella più vincolante di non tra-
dire né denunziare mai un affiliato, ma
piuttosto affrontare la morte quasi come
segno di martirio nel rispetto di un codice
d’onore e di lealtà.
Ernesto Serao ritiene che, per debellare la camorra o almeno circoscriverla
nei suoi nefasti effetti sociali, occorre
coinvolgere tutte le energie sane non
solo di Napoli, ma di tutta la nazione. Le
istituzioni devono vigilare soprattutto sui
giovani detenuti nei carceri per minorenni, nonché sul fenomeno del vagabondaggio, del contrabbando e di altre attività
illecite. È necessario prevenire aprendo
numerose scuole, perché solo la cultura
dischiude la mente a interpretare la realtà
con razionalità ed equilibrio, a rendere
l’uomo consapevole dei suoi diritti e
doveri e a considerare la prepotenza e lo
sfruttamento dei disvalori presenti solo in
individui amorali, refrattari alle norme di
umanità e di educazione.
Questo libro di Ernesto Serao ha avuto
il merito di anticipare molte teorie sul
fenomeno della camorra da lui ritenuta
“pietra infernale della civiltà” e “piovra
Ischia tra sogni e bisogni
L’Isola Verde nel cinema e nell’immaginario
di Luigi Caramiello e Marianna Sasso
Edizioni della Meridiana, prefazione di Gerardo Ragone, aprile 2009.
«In questo bel libro su Ischia e sul
suo sviluppo turistico – scrive Gerardo
Ragone nella Prefazione - Caramiello
e Sasso indagano il modo attraverso il
quale il mondo della cinematografia ha
messo in moto e lungamente sorretto la
trasformazione dell’isola verde, rurale e
povera, in un moderno distretto turistico.
Si tratta di una vicenda storica e
sociologica che forse non è mai stata
investigata con tanta attenzione e dovizia
di particolari. Al cui centro vi è, appunto,
l’industria cinematografica: non solo nel
senso di avere attirato sull’isola notevoli
capitali, ma anche in quanto portatrice
di una cultura imprenditoriale fino a
quel momento sconosciuta a Ischia,
come d’altronde nella gran parte del
Mezzogiorno. Un’industria che scuote il
torpore tradizionale della comunità, che
attenua le resistenze all’innovazione nei
costumi e nelle abitudini di vita, e che
crea nuove aspettative in una popolazione fino a quel momento povera e spesso
rassegnata.
In altre località turistiche nostrane,
altri fattori esogeni hanno favorito
questo passaggio dalla comunità rurale
all’economia turistica. Mentre a Ischia
la grande trasformazione la produsse
l’industria del cinema, a Maratea,
ad esempio, questo ruolo lo svolse il
settore tessile, così come a Ponza fu,
probabilmente, anche la lunga presenza
di confinati politici a favorire lo sbocco
dell’economia locale verso il turismo.
C’è però una significativa differenza
tra questi vari eventi di trasformazione
socioeconomica, essa è rappresentata dal
fatto che, essendo, quella del cinema,
non una qualunque attività produttiva,
ma un’industria con un elevatissimo
riverbero nella moda, nel costume collettivo, cioè con un’altissima capacità
evocativa e comunicativa, a livello di
massa, l’isola verde ha goduto del notevole vantaggio di poter contare, per
lunghi anni, su un apparato assai potente
di promozione dell’immagine, un vero e
proprio attrattore di turisti e viaggiatori.
In effetti, si era già embrionalmente formata, a poco a poco nei secoli - scrivono
gli autori in riferimento alla relativa
notorietà di cui l’isola pure godeva in
passato - un’immagine fertile, una
dimensione della memoria. Insomma,
è anche a causa della sua antica storia,
della sua mitica tradizione, della sua
fascinazione in campo letterario, che
Ischia attrae il mondo del cinema, ma
d’altra parte è proprio questo mondo
ad aprire all’isola verde, molto meglio
e molto più rapidamente di quanto non
abbiano fatto altri tipi di eventi in altri
luoghi, la strada dello sviluppo turistico».
Non manca un repertorio dei film girati
sull’isola, in alcuni dei quali il nome
Ischia compare già nel titolo ed in cui
dai mille tentacoli” e che recentemente
sono state ribadite da scrittori come
Roberto Saviano che ha conferito voce
e ascolto a coloro che ne parlano con coraggio e senza reticenze e il professore inglese Tom Behan dell’università di Kent,
autore de Il libro che la camorra non ti
farebbe mai leggere, secondo il quale
solo una risposta di massa può battere i
clan e affermare i principi della legalità
e della trasparenza civile e morale.
Nicola Luongo
il territorio ha un ruolo fondamentale,
presente dall’inizio alla fine; in altri
sono soltanto alcune vicende che vi si
svolgono marginalmente. Fu soprattutto
il periodo in cui fu preponderante la
partecipazione di Angelo Rizzoli per lo
sviluppo turistico a caratterizzarsi sotto
l’aspetto cinematografico, anche perché
qui confluiva il mondo degli attori, delle
attrici, dei registi. Un contesto che poi
continuò per alcuni anni anche con il
Premio intitolato a Rizzoli, di cui si
parla nel libro, con film proiettati, ad
ingresso libero, nelle varie sale e con una
assegnazione popolare alla migliore proiezione. Peraltro c’è da dire che in epoca
passata non c’erano molta attenzione e
interesse specifico per la localizzazione, come si evidenzia dalla lettura di
qualsiasi riassunto delle trame, in cui è
difficile trovare riferimenti specifici ai
luoghi.
***
La Rassegna d’Ischia 3/2009 55
Ferrante d'Avalos e Vittoria Colonna
in «Les Dames galantes» di Pierre Brantôme
di Giovanni Castagna
Pierre de Bourdeille, detto Brantôme, in una delle sue
opere, «Les Dames galantes», riporta una fra le tante
avventure amorose di Ferrante d’Avalos e, in un’altra
sezione dell’opera, accenna a Vittoria Colonna.
Tutte le opere di Brantôme furono pubblicate per la
prima volta nel 1655 molto tempo dopo la sua morte
(1614). Pochissime le traduzioni in italiano de «Le Dame
galanti» e una delle prime, se non la prima, fu quella di
Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea de Chirico,
fratello di Giorgio (1).
Nel presentare la sua traduzione Savinio definisce «Le
dame galanti» l’opera più significativa di Brantôme: «Per
il carattere, essa opera, vastissima e ciclica, di grande
interesse per la storia del secolo XVI si può qualificare
un trattato naturalistico dell’amore» e lamentava che
«fossero state relegate in certo sconfinamento cauteloso
che puzza di clandestino e di turpe». Ne metteva, fra l’altro, in risalto «gli ammaestramenti di arguzia, di malizia
e d’ironia che vi si trovano».
Nel secondo discorso, Brantôme riporta l’avventura di
Ferrante d’Avalos, avventura che gli era stata raccontata
a Milano (2).
Sembra che il marchese di Pescara si fosse innamorato
d’una bellissima signora, moglie di un nobile di grado
inferiore al suo; altri, invece, sostenevano che fosse la
moglie del suo maggiordomo. Un mattino, pensando
che il marito fosse assente, le fece visita e la trovò ancora a letto, ma ottenne soltanto di poterla contemplare
a suo agio appena velata d’un finissimo lenzuolo e di
sfiorarla con la mano. All’improvviso giunse il marito
e il marchese non ebbe il tempo di ritirare il guanto che
si era perduto fra le lenzuola. Scambiate poche parole,
il marito lo accompagnò alla porta e, ritornato nella
camera, scoprì il guanto, che la moglie non aveva visto,
lo prese, lo strinse, guardò freddamente la moglie e, da
quel giorno «demeura longtemps sans coucher avec elle
ni la toucher».
Ed un giorno, sola nella sua stanza, la dama scrisse
questa quartina:
Vigna era, vigna son.
Era podata, or più non son;
1) Edita a Roma nel 1937 dall’editore Formiggini e ripresentata al
pubblico italiano nel 1967 dagli editori Avanzini e Torraca, con la
traduzione di Savinio, riveduta e annotata da G. Balzi e le illustrazioni della prima edizione dovute a Mario Vellari Marchi.
2) Brantôme, Les Dames galantes, Préface de Paul Morand, texte établi par Pascal Pia, Gallimard, Collection Folio Classique, r. 1260,
56 La Rassegna d’Ischia 3/2009
E non so per qual cagion
Non mi poda il mio patron.
Lasciò questo scritto sul tavolo. Il marito lo lesse, prese
la penna e scrisse la risposta, lasciandola, a sua volta, sul
tavolo:
Vigna eri, vigna sei.
Eri podata, e più non sei.
Per la granfa del leon,
Non ti poda il tuo patron.
Le due quartine furono portate, non sappiamo da chi,
a Ferrante d’Avalos, il quale vi aggiunse una quartina di
risposta e inviò il tutto al marito della dama:
A la vigna che voi dite
Io fui, e qui restai;
Alzai il pamparo; guardai la vite;
Ma, se Dio m’ajuti, non toccai.
Il marito, spogliandosi dei sospetti, fu soddisfatto di
questa risposta e riprese a coltivare la vigna come prima.
Brantôme conclude «ci sono dame, che si compiacciono
di loro stesse, si guardano e si contemplano nude tanto
che vanno in estasi, come Narciso, scoprendosi così
belle. Cosa possiamo fare noi, vedendole e contemplandole?»
Anche nel primo capitolo (Delle dame amorose e dei
mariti becchi) Brantôme parla di Ferrante d’Avalos,
rivelandoci che, venuto a conoscenza della congiura
tramata da Carlo Gesualdo, principe di Venosa, marito di
Maria d’Avalos, cercò di avvertire lei e il suo amante, ma
invano: i due furono trucidati. «Se a costui» (al marchese
di Pescara), scrive Brantôme, «dopo un qualunque dei
suoi molti amori, fosse toccata simile sorte, a quest’ora
sarebbe nella tomba già da molti anni» (3).
Vittoria Colonna viene ricordata nel capitolo, in cui
Brantôme parla di quelle donne nel cui cuore regna
l’ambizione di dominare, di regnare e di comandare e
cercano di soddisfarla con ogni mezzo. Come esempio
contrario cita appunto la marchesa di Pescara, facendo
riferimento alla lettera inviata al marito, nella quale
protestava «ch’ella non desiderava punto essere moglie
di re, ma di quel gran Capitano che, in pace e in guerra,
col suo valore saputo havea vincere i Re» (4).
3) Ibidem, pp. 37-38.
4) Ibidem, pp.410-411. Brantôme cita un brano del testo della lettera
di Vittoria Colonna in spagnolo e, in nota, si fa riferimento a Valles,
Historia del fortissimo y prudetissimo capitan don Hernandez de
Avalos, Marques de Pescara, Anvers 1570.
«Cette femme», afferma Brantôme, «parloit d’un grand
courage, d’une grande vertu et de verité en tout: car de
regner par un vice est fort vilain et de commander aux
royaumes et aux rois par la vertu est très beau.»
A questo episodio, peraltro, fa anche riferimento Honoré
de Balzac in «La cousine Bette»:«Supposez madame
Marneffe vertueuse!… vous avez la marquise de Pescaire! Ces grandes et illustres femmes, ces belles Diane de
Poitiers vertueuses, on les compte» (5).
Sembra, del resto, che Balzac avesse una profonda
ammirazione per Vittoria Colonna.
In questi ultimi tempi, purtroppo, la «Divina marchesa»
ha subito non pochi attacchi per quanto concerne la sua
salute, la sua femminilità e la sua castità.
Romeo de Maio sostiene che si negava al marito, come
traspare dai suoi scritti «sotto veli poetici», non perché
fosse frigida, ma perché affetta da sifilide, malattia che
spiegherebbe la sua poesia coniugale «come eccesso
di nevrastenia», secondo Francesco Galdi. Perché poi
soltanto la poesia coniugale? (6)
Vi sono, è vero, alcuni versi da cui sembra trasparire che
la grande passione fra di loro e di cui spesso si favoleggia
non sia affatto esistita.
(La ragion)
Ella d’un saldo laccio il cor m’avvolse
non fur i sensi semplici e leggieri; (7)
il nostro casto e vero
parrebbe forse amor falso e leggiero, (8)
e forse grida troppo quel suo grande amore per crederlo
sincero
Chi può troncar quel laccio che m’avinse?
Se Ragion porse il stame, Amor l’avolse,
né Sdegno il rallentò, né Morte il sciolse,
la Fede l’annodò, Tempo lo strinse. (9)
Situa, d’altra parte, ad un livello superiore l’amore
che prova per il marito morto rispetto a quello che forse
provava quando lo sposo era ancora in vita. Si legga il
sonetto «Questo nodo gentil che l’alma stringe» (10) con
quell’affermazione nel verso finale: «quest’amor d’ora
è ‘l fermo, il buono e ‘l vero», affermazione che, implicitamente, contiene, se non una condanna, almeno una
svalutazione dell’altro amore: un amore, quindi, traspor5) H. de Balzac, La Cousine Bette, Gallimard, Folio classique
n°138, pag 317.
6) Vittoria Colonna, Rime amorose, prefazione di Romeo di Maio,
Valentino Editore | Il Tirso,2001, pp. 6-7.
7) Vittoria Colonna, Rime a cura di Alan Bullock, Roma-Bari, 1982,
A1, 66,5-6, p.36
8) Ibidem, A1 62,6-7, p. 34.
9) Ibidem, A1,10 1-4, p. 8.
10) Ibidem, A1, 31,p. 18.
tato al di fuori dell’alienazione passionale, cristallizzando
sull’essere ch’ora ama, forse perché assente, tutte le virtù
in un’accumulazione di giudizi estetici e morali.
Nunzio Albanelli vede in lei un’androgina, esitando,
a quanto sembra, tra «monstrum ex viro et femina
construens» e «virago, femina animum virilem agens»
(11).
Perfino la sua tanto lodata fama di castità, di donna
fedele, viene messa in dubbio.
Jean–Noël Schifano, nelle sue «Chroniques napolitaines», parlando delle amanti del cardinale Pompeo Colonna, scrive: ««Una di loro fu la delicata e casta amica di
Michelangelo che l’enorme genio adorava senza poterla
stringere, la Divina, la marchesa di Pescara, Vittoria
Colonna, eterea Egeria per tutti, vase de chair acharné
à l’amour pour son cousin le Cardinal[…]». Da notare
come viene caratterizzata la «Divina»: «vase de chair»,
la parte per il tutto e, per usare una parola dotta d’uso
scientifico, diventa solo «pudendum muliebre» (12).
Gaia Servadio, ne «il Rinascimento allo specchio», le
trova un altro amante, Galeazzo di Tarsia sempre celebrato come il suo «castissimo amante»:
«Vittoria era una donna del Rinascimento, età in cui
l’adulterio era frequente soprattutto tra persone delle
classi alte, e Galeazzo era un uomo con cui era possibile
comunicare e discutere, per chi avesse oltre alla sua
ammirazione, un’affinità di interessi con lui. Il fatto che
fosse più giovane, poi, deve avere stimolato gli istinti
materni frustrati di Vittoria» (13).
La scrittrice parla di adulterio che, secondo lei «allora
era frequente» (solo allora?), il povero Ferrante era, quindi, ancora vivo, perciò l’adulterio dovette avvenire prima
del 1525, specificando, inoltre, che «fosse più giovane di
lei», dobbiamo pensare che si tratti del secondo Galeazzo,
nato nel 1520.
Un papa avrebbe tanto voluto bruciarla sul rogo per
eresia, eresia tutta da dimostrare, la signora Servadio ce
la manda per «détournement de mineur».
Il titolo di donna fedele era caro a Vittoria, ma pur
proclamandolo usa un «forse», sapendo che quella sua
fedeltà per un uomo che poi non aveva tanto amato era
uno scandalo per il suo tempo e per i tempi futuri:
forse avrò di fedele il titol vero,
caro a me sovr’ogn’altro eterno onore. (14)
11) Nunzio Albanelli, Vittoria Colonna e il suo mistero, prefazione
di Giovanni Castagna, Valentino Editore, 2003.
12) Jean-Noël Schifano, Chroniques napolitaines, Gallimard, Collection Folio, n° 2008, p.46
13) Gaia Servadio, Il Rinascimento allo specchio, Salani Editore
2007, p.82. Per quanto concerne Vittoria Colonna in «Rinascimento
allo specchio», si veda anche: «Vittoria Colonna, più fiction che
vita» di Tobia R. Toscano in «Corriere del Mezzogiorno» del 2308-2008, p. 19.
14) Vittoria Colonna, Rime a cura di Alan Bullock. o.c. A2,29,1011, p.70.
La Rassegna d’Ischia 3/2009 57
Ischia Global Film
e Music Fest
La settima edizione dell’Ischia Global Film & Music Fest,
si svolgerà dal 12 al 19 luglio 2009.
Dopo l’omaggio all’universo indiano (2003), all’analisi del
fenomeno Cina (2004), all’esaltazione dell’industria artistica
Russa (2005), all’operazione Germania (2006), al progetto
Brasile (2007), al focus sul Giappone (2008), quest’anno sarà
in primo piano la cinematografia del Sud Africa, in virtù della
progressiva crescita dei suoi talenti e del loro inserimento nel
tessuto dello showbiz.
L’iniziativa 2009 presenterà numerose novità nell’arte,
nello spettacolo e nella comunicazione audiovisiva grazie
ad attività artistiche che faranno tendenza nell’industria e nel
costume coinvolgendo i media globali.
Il programma si articolerà attraverso: anteprime di film,
cortometraggi, video-clip e spot e anche premiazioni, riflessioni e performance artistiche live, che consolideranno il forte
legame tra le star globali e gli operatori dell’industria e dei
mass-media al fianco dei giovani italiani. I numerosi incontri
con artisti, registri e produttori, nel corso di forum, convegni e
conferenze stampa, apriranno una finestra sulla società internazionale in generale, e su quella sudafricana in particolare,
che valorizzerà le realtà culturali globali in un palcoscenico
unico come l’Isola Verde e l’intero golfo di Napoli.
A completamento delle attività culturali saranno allestite
Ischia - Eventi 2009
Ischia Ponte - Piazzale delle Alghe 31 maggio
DEFILE’ DI ABITI DA SPOSA a cura della RADIOSA
S.p.A. (Aprilia-LT) ore 21,00 Presenta Ramona Badescu
Ischia 5-11 Luglio
ISCHIA FILM LOCATION FESTIVAL - 7a Ed. a
cura dell’Associazione Art, Movie & Music. Un evento cinematografico internazionale che attribuisce un
riconoscimento artistico alle opere audiovisive, ai
registi, ai direttori della fotografia ed agli scenografi
che hanno maggiormente valorizzato location italiane
ed internazionali sottolineandone i paesaggi e l’identità
culturale.
Il progetto, nato nel 2003 da un’idea del Direttore Artistico Michelangelo Messina, mira altresì a favorire una
sinergia tra le produzioni audiovisive ed il territorio,
non solo per scopi commerciali, ma anche per salvaguardare e promuovere l’identità dei luoghi, la cultura
e le bellezze del territorio.
Ischia 20-26 Luglio
77a Edizione della Festa a Mare agli Scogli di Sant’Anna
- Programma in allestimento
58 La Rassegna d’Ischia 3/2009
mostre fotografiche sul tema del cinema in generale e sudafricano in particolare.
Sarà, tra l’altro, onorato il mito di Mina con una rassegna
dei suoi film conservati dal Centro Sperimentale di Cinematografia, presentati dall’amico di sempre Tony Renis, e con
una serata d’onore in stile anni ‘60. «È un’ idea entusiasmante,
alla quale sto lavorando con passione – racconta Renis –,
sarà un omaggio solare e originale alla grande Mina, alla
quale mi uniscono ricordi indimenticabili di quegli anni».
L’Ischia Global Fest lancia quindi un’altra grande iniziativa
che coniuga cinema, grande musica e l’atmosfera magica
di Ischia, l’isola che fece da sfondo a tanti “musicarelli” di
quegli anni. Nei luoghi del festival Mina girò con Modugno
il film “Appuntamento a Ischia” (1960). Ma la musica di
Mina ha anche ispirato o accompagnato capolavori della cinematografia mondiale come “Rocco e i suoi fratelli” (1960)
di Luchino Visconti, “La ragazza con la valigia” (1961) di
Valerio Zurlini, “L’eclisse” (1962) di Michelangelo Antonioni
e, più avanti con gli anni molti film di Pedro Almodovar.
Sede della serata d’onore sarà il Piazzale delle Alghe, ai piedi
del Castello Aragonese di Ischia Ponte, che ha già ospitato lo
storico tributo a Pavarotti.
Ischia Global Fest prodotto da Pascal Vicedomini è
promosso dall’Accademia Internazionale Arte Ischia con
l’Ente Provinciale per il Turismo di Napoli e il sostegno della
Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e per le
Attività Culturali.
Ischia 13-30 Agosto
ISCHIA EXPO 2009 Mostra Mercato del mobile e
dell’arredamento. La fiera degli eventi, dello shopping
e dell’estate ischitana.
Negli anni, Expo Ischia, è riuscito a catalizzare l’attenzione dei tanti ospiti dell’isola con eventi di grande
richiamo. Ogni anno cresce il cartellone degli eventi.
Ischia 25-26 Agosto
CORTEO STORICO DEL COSTUME ISCHITANO
A cura della Proloco Sant’Alessandro.
In occasione della Festa di San’Alessandro anche
quest’anno si dipanerà per le strade del centro cittadino
un corteo di centinaia di figuranti in costume storico
dalla Magna Grecia ai Romani, al Rinascimento, ai
Borboni etc
Ischia (Parrocchia di S.Maria delle Grazie in
S.Pietro) 1-8 Settembre
21a Edizione SETTEMBRE SUL SAGRATO - Programma in allestimento
Ischia 6-10 Settembre
ISCHIA JAZZ FESTIVAL 11a Ed. - Programma in
allestimento
***
segue dalla pagina 4 di copertina
DAS HOTEL „CASA ROSA“
Der gesamte rosafarbene Komplex gehört zum 3-Sterne-Hotel
„Casa Rosa“. Das 60-Zimmer-Haus hat einen Privatstrand,
Tennisplätze, Pool und Fitness-Center
L’Hotel „Casa Rosa“
Tutto il complesso rosa appartiene all’Hotel a tre stelle „Casa
Rosa“. La Casa con 60 stanze ha una spiaggia privata, campi
da tennis, piscina e un Centro Fitness.
DIE ANTIKEN THERMEN
Im Herzen der Bucht, 300 Meter ober- halb des Strandes, liegt
„Cavascura“, ein 2000 Jahre altes Thermalbad, erbaut von
den Römern. Es gibt Wasserfälle, natürliche Saunen und die
90-Grad-Quelle, die dem Berg entspringt
Le antiche Terme
Nel cuore della baia, a 300 metri sopra la spiaggia, si trova
Cavascura, un bagno termale costruito dai Romani, che risale
a 2000 anni addietro. Ci sono cascate, saune naturali e sorgenti
a 90 gradi che sgorgano dal monte.
DIE BUCHT
Angela Merkel urlaubt auf der Sonnenseite in Sant’Angelo,
im Süden der Insel, oberhalb der Maronti-Bucht. Der 2,3
Kilometer lange Kieselsteinstrand, einer der schönsten der
Insel, erstreckt sich von der Punta della Signora bis zum Kap
Sant’ Angelo
La baia
Angela Merkel trascorre le vacanze nella parte esposta al
sole di Sant’Angelo, a sud dell’isola, sopra la baia dei Maronti. La spiaggia di chiaia lunga 2,3 km, una delle più belle
dell’isola, si estende dalla Punta della Signora fino a Capo
Sant’Angelo.
DIE HEISSEN QUELLEN
„Fumaroli“ nennen die Italiener die Quellen am Strand, in
denen man sogar Kartoffeln garen kann. Vulkanischer Dampf
tritt aus dem Strand aus (Foto), erhitzt den Sand auf 100 Grad.
An der Stelle ist das kalte Wasser – das Meer hat gerade mal
14 Grad – etwas wärmer
Le sorgenti calde
Gli italiani chiamano fumarole le sorgenti sulla spiaggia,
nelle quali si possono persino cuocere le patate. Un vapore
vulcanico esce dalla spiaggia, riscalda la sabbia fino a 100
gradi. Sul posto l’acqua fredda – il mare talvolta raggiunge
appena 14 gradi – è un po’ più calda.
DIE MERKEL-VILLA
Die „Villa Margherita“ schmiegt sich unterhalb der Straße
an den Hang, von dem aus der Fotograf die Maronti-Bucht
fotografierte, die Angela Merkel und Joachim Sauer von
ihrem Zimmer aus sehen. Was sie für die Villa mit Terrasse
und Garten bezahlen, halten die Vermieter Linda und Alberto
geheim. Ihnen gehört auch das 4-Sterne-Hotel „Miramare“
auf Ischia, in dem Frau Merkel und Herr Sauer viele Jahre
Stammgast waren
La Villa di Merkel
La „Villa Margherita“ si trova sul versante sottostante la strada, da cui il fotografo ha ripreso la baia dei Maronti, che Angela Merkel e Joachim Sauer vedono dalla loro camera. Quanto
paghino per la Villa con terrazzo e giardino, i proprietari Linda
e Alberto lo tengono segreto. A loro appartiene anche l’albergo
a 4 stelle „Miramare“ di Ischia, dove la Signora Merkel e il
Signor Sauer furono ospiti abituali per molti anni.
Der Fischer
Domenico (61) ist wie sein Vater Fischer auf Ischia. Er sagt:
“Signora Merkel kaufte bei mir schon morgens um 7 Uhr
Fisch, den sie später in ihrer Villa zubereitet hat”. Welche
Sorte? “Ich weiss nicht mehr; ich verkaufe das ich gerade
fange, das Kilo kostet 30 Euro”.
Il pescatore
Domenico (61 anni), come suo padre, fa il pescatore a Ischia.
Dice: „La Signora Merkel ha comprato da me la mattina
del pesce che ha preparato poi nella sua Villa“. Che tipo di
pesce? „Non lo so più. Io vendo quello che prendo, al costo
di 30 euro al chilo.
„Lo Scoglio“
In „Lo Scoglio“ isst das Paar oft on zu Mittag. Wirt Ernesto (59) erzählte BamS-Reporterin Sonja Mulitze, dass der
Lieblingsplatz der Kanzlerin ein Ecktisch am Fenster sei.
Lieblingsgericht gegrillter Fisch mit Salat (20 Euro). Dazu
trinkt das Paar Wasser und Weisswein.
Il ristorante „Lo Scoglio“
La coppia pranza spesso allo „Scoglio“. Lo chef Ernesto (59
anni) ha riferito alla fotografa Sonja Mulitze di Bild am Sonntag che il posto preferito della cancelliera è un tavolo in un
angolo vicino alla finestra. Piatto preferito: pesce alla griglia
con insalata (20 euro). La coppia beve acqua e vino bianco.
Angela Merkel und ihr Mann Joachim Sauer spazieren an
Ostersamstag im Maronti-Strand. Über ihre Urlaubsvorlieben
sagte die Kanzlerin eimal: „Wir verbringen unseren Urlaub
grundsätzolich lieber in der Natur als in der Stadt. Mich
faszinieren wilde Landschraften“.
Angela Merkel e suo marito Joachim Sauer passeggiano sulla
spiaggia dei Maronti il sabato di Pasqua. Una volta la cancelliera ha detto a riguardo delle sue preferenze per le vacanze:
„Noi preferiamo trascorrere le nostre vacanze essenzialmente
nella natura piuttosto che in città. Mi affascinano i paesaggi
selvaggi“.
Sant'Angelo e i Maronti
su Bild am Sonntag (19 aprile 2009) - La baia della Cancelliera
Was Sie hier sehen, sah die Kanzlerin von ihrer Ferienvilla auf Ischia. 8 Tage lang machten Angela Merkel (54) und Joachim
Sauer (60) bei rund 20 Grad. Osterurlaub in der Maronti-Bucht. Seit mehr als 10 Jahren reist das Paar im Frühjahr auf die
Inseln im Golf von Neapel. Ischia ist 32 Kilometer von Neapel entfernt. Die Autofähre braucht 90 Minuten, das Tragflächenboot
49. Die Insel ist 10 Kilometer lang und 7 Kilometer breit und hat 62.000 Einwohner. An diesem Wochenende wird die Kanzlerin
wieder in Deutschland erwartet - ihr Mann feiert heute seinen 60. Geburtstag.
Quello che si vede qui lo ha visto la cancelliera dalla sua Villa per le vacanze a Ischia. Angela Merkel (54 anni) e
Joachim Sauer (60 anni) hanno trascorso 8 giorni per le vacanze pasquali nella Baia dei Maronti con circa 20 gradi
di temperatura. Da più di dieci anni la coppia si reca, a primavera, sull’isola del golfo di Napoli. Ischia dista 32 km
da Napoli. I traghetti impiegano 90 minuti, gli aliscafgi 49. L’isola è lunga 10 km e larga 7, ed ha 62.000 abitanti. La
cancelliera è attesa di nuovo in Germania in questo fine settimana - suo marito oggi festeggia il suo compleanno.
DIE THERME
Heißes Wasser machte Ischia berühmt. Rund 200 Quellen sprudeln auf der Insel. Während ihres Osterurlaubs besuchte die Kanzlerin mehrmals die Aphrodite-Apollon-Thermalgärten, die zum 4-Sterne-Hotel „Miramare“ gehören. Tagesticket: 25 Euro. Zu der
Anlage gehören zwölf Thermalschwimmbecken, Naturgrotten-Sauna, Wellness- und Beauty-Center (eine Anti-Stress-Behandlung
kostet 70 Euro, eine Lifting-Behandlung 65 Euro)
Le Terme
L’acqua calda ha reso famosa Ischia. Sull’isola sgorgano circa 200 sorgenti. Durante le sue vacanze pasquali, la cancelliera ha visitato più volte i giardini termali Aphrodite-Apollon che appartengono all’albergo a 4 stelle „Miramare“.
Biglietto per una giornata 25 euro. All’impianto appartengono anche dodici piscine con acqua termale, grotte naturali
per sauna, centro di benessere e beauty (un trattamento anti stress costa 70 euro, un trattamento lifting 65 euro).
continua all'interno - pagina 59