artigianato46 - Città dei Mestieri
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46 LUG/SET 2002 A ARTIGIANATO tra arte e design NUMERO 46 Luglio/Settembre 2002 Trimestrale Anno XII E 6,20 ENGLISH TRANSLATION Spedizione in abb. post. 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Milano ARTIGIANATO tra arte e design CORRISPONDENZE MEDITERRANEE PEZZI UNICI ARTI APPLICATE ARRESOJAS JOSIf DROBONIKU ARREDO URBANO A CURsI PROGETTARE E’ DONNA CARLO DE CARLI I ROSONI D’ABRUZZO PANE DI MATERA DANIELA CANNELLA NELLO FERRIGNO Edizioni Imago International Segreteria Generale, Amministrazione e Abbonamenti Edizioni Imago International S.r.l. Corso Indipendenza, 6 - 20129 Milano Tel. 02.70009474 - 02.70009480 Fax 02.71092112 e-mail: [email protected] Segreteria di Redazione Via Guercino, 7 - 20154 Milano Tel. 02.33608400 - Fax 02.33608389 Direttore Responsabile Ugo La Pietra Direttore Editoriale Adriano Gatti Comitato Scientifico Enzo Biffi Gentili, Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Anty Pansera UFFICIO STAMPA Claudia Ferrari, Federico Gatti Hanno collaborato a questo numero Testi: Eduardo Alamaro, Simona Cesana, Maria Teresa Chirico, Gianmaria Colognese, Claudia Ferrari, Enzo Fiammetta, Adriano Gatti, Federico Gatti, Florinda Gaudio, Ugo La Pietra, Alfonso Leto, Murilo Fernando Moro, Simona Pagliari, Aurelio Porro, Enrico Salvadè, Celestino Sanna, Manuela Scisci, Isabella Taddeo, Osvaldo Valdi. Fotografie: Archivio della Fondazione Orestiadi, Giuseppe Cappellani, Fabio Donato, Giovanni Ricci, Sandro Scalia, Filippo Tagliarino, Torrini Fotogiornalismo, Raffaele Venturini. Inserzioni pubblicitarie C.F.C Daum Italia II cop. e pag. 1; Florence Gift Mart pag. 2; Corrispondenze Mediterranee - Fondazione Orestiadi pag. 3; Abitare il Tempo pag. 4; I.S.O.L.A. pag. 5; Mostra Mercato dell’Artigianato - Lario Fiere pag. 6; Artisanexpo - Promos pag. 7; Taormina Gift Fair Mirco srl pag. 79; Imago Shop & Fair pag. 80; Unicef pag. 87; Koinè III cop.; Morelato IV cop. Traduzione testi in inglese Spaziolingue s.r.l., Milano Realizzazione e stampa SATE s.r.l. Zingonia - Verdellino (BG) Stampa su patinata opaca senza legno PUBBLICITÀ E COMUNICAZIONE Corso Indipendenza, 6 - 20129 Milano Tel. 02.70009474 - 02.70009480 Fax 02.71092112 Distribuzione Italia - EDICOLA inter orbis S.p.A. Via Benedetto croce, 4 - 20094 Corsico (MI) Tel. 02.48693228 - Fax 02.48693213 Distribuzione Italia - LIBRERIA JOO Distribuzione - Via F. Argelati, 35 20143 Milano - Tel. 02.8375671- Fax 02.58112324 Distribuzione Estero A.I.E. Agenzia Italiana di Esportazione S.p.A. 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TRANSLATION CORRISPONDENZE MEDITERRANEE PEZZI UNICI ARTI APPLICAT E ARRESOJAS JOSIF DROBONIKU ARREDO URBANO A CURSI P R O G E T TA R E E’ DONNA C A R L O D E CARLI I ROSONI D’ABRUZZO PA N E DI M AT E R A DANIELA CANNELLA NELLO FERRIGNO Edizioni IMAgO INTERNATIONAL Con il patrocinio del Ministero dell’Industria Commercio e Artigianato ENGLISH ARTIGIANATO TRA ARTE E DESIGN Anno XII, Numero 46 luglio/settembre 2002 Registrazione al Tribunale di Milano n. 45 del 30.1.1991 A A A R T I G I A N AT O Nello Ferrigno, tra arte e design 46 LUG/SET 2002 ARTIGIANATO TRA ARTE E DESIGN “Amazzone” di ispirazione mitologica (2000), maiolica, smalti vetrosi e ingobbio (foto: Raffaele Venturini). S O M M A R I O Editoriale IL DESIGNER ARTISTA-ARTIGIANO di Ugo La Pietra 10 Storia CARLO DE CARLI di Aurelio Porro e Enrico Salvadè 12 Didattica ARTI APPLICATE di Manuela Scisci 18 Mostre CORRISPONDENZE MEDITERRANEE di Enzo Fiammetta e Alfonso Leto PROGETTARE E’ DONNA di Maria Teresa Chirico PEZZI UNICI di Murilo Fernando Moro 22 26 30 Concorsi ARREDO URBANO A CURSI di Ugo La Pietra 34 Progetti e territori ARRESOJAS - ARTE ARTIGIANATO E CULTURA DEL COLTELLO SARDO di Simona Pagliari IL PANE DI MATERA di Celestino Sanna 39 44 Autori INQUIETANTI FORME DEL POETICO di Massimo Bignardi JOSIF DROBONIKU di Adriano Gatti Fiere e Saloni 48° FLORENCE GIFT MART di Claudia Ferrari I ROSONI DELLE CHIESE D’ABRUZZO di Osvaldo Valdi 66A MOSTRA MERCATO INTERNAZIONALE DELL’ARTIGIANATO di Federico Gatti 48 52 58 60 62 Rubriche MATERIALI E TECNICHE di Gianmaria Colognese AREE REGIONALI OMOGENEE SEGNALAZIONI CONCORSO EUROPEO CALENDARIO DELLE MOSTRE 64 70 72 81 84 English text 86 Indirizzi 88 9 editoriale di Ugo La Pietra Il designer artista-artigiano Il forte interesse intorno alle arti applicate che registriamo in continua crescita, testimoniato da una rinnovata attenzione dei sindacati e di alcune istituzioni, il fiorire in ogni angolo di gruppi di lavoro, cooperative e varie aggregazioni finalizzate a ridare valore ed importanza alla cultura del fare, ci riempiono di entusiasmo e ci fanno sperare per il futuro. La manifestazione Artigianato Metropolitano a Torino, il nuovo corso di laurea “Progettazione Artistica per l’Impresa” presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e la grande presenza, durante l’ultimo Salone del Mobile di Milano della produzione artigiana europea (craft) di alto livello artistico e fattuale, ci confermano questa tendenza. Sempre più, di fatto, artisti/designer si presentano sulla scena con la loro “autoproduzione” rinnovando quella che, per molto tempo, è stata definita la figura dell’artigiano/artista, da Ron Arad al Gruppo Droog Design, dalla “Produzione Privata” di Michele De Lucchi alle esperienze di moltissimi giovani che si autopropongono al Salone del Mobile nel padiglione a loro riservato, ci confermano che siamo di fronte ad un vero fenomeno nuovo e ad una attenzione da parte del designer verso l’arte, verso le nuove materie, verso le nuove tecniche (povere o ricche) verso i sistemi di 10 autoproduzione (spesso anche autarchici e comunque riferiti alle proprie capacità). È un nuovo artista/artigiano che ha saputo introdurre nel proprio lavoro tutte le componenti di un’impresa moderna: la qualità del progetto, le tecniche e i procedimenti innovativi, la comunicazione e la commercializzazione. La vecchia struttura dell’artista/artigiano quasi sempre riusciva a sviluppare le prime due caratteristiche, e non sempre il progetto era aggiornato, mentre i procedimenti tecnici e di lavorazione si tramandavano da generazione a generazione spesso perdendo, nel tempo, valore. Così oggi possiamo indicare questi nuovi modelli come degli “indici” importanti da suggerire a tutte quelle scuole di carattere artistico che sembrano avere difficoltà di collocazione all’interno del nostro sistema di sviluppo e di lavoro. Mi riferisco quindi ai vari Istituti Statali d’Arte, agli ISIA e alle Accademie che potrebbero trovare una più chiara definizione se sapessero guardare a ciò che sta succedendo ormai da tempo al di fuori della loro realtà. In questa pagina: Bozzetti per “Amore Mediterraneo” Nella pagina a fronte: La realizzazione di Alessi, Caltagirone (CT), 2001. 11 STORIA di Aurelio Porro ed Enrico Salvadè Carlo de Carli Architetto sensibile e colto attraverso informazione didattica e progettazione è stato una delle figure più impegnate nella valorizzazione e riqualificazione delle strutture produttive della Lombardia L' architetto Carlo De Carli ha progettato diversi mobili per artigiani, lasciando un'indelebile memoria di sé nei luoghi dove ha lavorato, sia per la qualità degli oggetti disegnati sia, e maggiormente, per il suo modo di operare direttamente in laboratorio in sintonia con l'esecutore. I suoi mobili sono il risultato di un’approfondita, ma soprattutto appassionata ricerca creativa ed espressiva, dal carattere rigoroso e spesso intensamente poetico. In occasione della presentazione di alcuni suoi progetti alla Decima Selettiva del Mobile di Cantù del 1973, scrive: "Ho l'amore per qualsiasi forma di architettura purchè sia studiata, sperimentata, sia essa essenziale, oggi vorrei dire "niente" per essere tutto, anche "mobili". Infatti, sembra che rappresentino un costume di vita. Ne ho disegnati molti, ma accennerò a questi ultimi che come i primi cercano soltanto la loro misura umana: non cercano nessun effetto. Ripeto, cercano la misura. Soprattutto la misura che trova la relazione con lo spazio della casa, con il senso dell'albero". Tra questi mobili sono da ricordare il cassettone in frassino per Porro di Montesolaro e il letto in massello di frassino per Frigerio di Intimiano. Il cassettone è costituito da un'esile ossatura strutturale a 12 telaio a vista con montanti alleggeriti da una fresatura verticale, elementi che evidenziano, senza sovrastrutture di mascheramento, tipiche tecniche costruttive artigianali. Ma l'intervento più pregevole risulta la smussatura del piano orizzontale, fatto direttamente in laboratorio in collaborazione con l'artigiano, teso a togliere la spigolosità e ottenuto attraverso lo spontaneo passaggio della mano umana. In un’intervista De Carli afferma: "Io ho la mania di lavorare direttamente con le persone che costruiscono. Allora ti viene in mente di finire con una sottigliezza a cui si dà una certa “ditata” che, magari, sembra una stupidaggine, però è bello perchè ti è venuta spontaneamente alla mente: è un creare le cose partecipando con chi le costruisce". Ecco che il suo lavoro si anima del segno tipico della “ditata”, come la sedia presentata alla mostra “La casa abitata” a Firenze nel 1965. Il letto, con testata e pediera in doghe di massello a vista, alte e curvate verso l'interno, risulta una sorta di invaso protettivo, un guscio modellato per il ricovero dei corpi nell’intimità domestica. Vengono alla mente le parole del poeta Paul Valery: “Un cristallo, un fiore, un guscio si distaccano dal disordine ordinario dell’insieme delle cose sensibili. Essi sono per noi oggetti privilegiati, più intelligibili alla vista, benché misteriosi alla riflessione, di tutti gli altri che noi scorgiamo indistintamente”. Un terzo oggetto, eseguito da Serafino Arrighi nel 1957 per la Selettiva del Mobile di Cantù, riconducibile a questa prassi operativa è la proposta e la sperimentazione costruttiva di due splendide, per eleganza e snellezza, poltroncine dalla forma organica con una leggera e sottile struttura in legno di frassino curvato, di cui una con il bracciolo scavato per favorire il naturale appoggio del braccio. Sono oggetti che trascendono ogni volontà di apparenza e rappresentatività, per ricercare un equilibrio misurato nel rapporto con l'uomo e con lo spazio dell'abitare, e che evidenziano un’attenzione al dettaglio che Nelle due pagine: sedia “683” in massello di frassino, compensato curvato e metallo, produzione Cassina, premio Compasso d’Oro 1974. 13 Dall’alto: cassettone in frassino, esecuzione Porro 1973; pediera di letto in ottone con cassettone laccato rosso, produzione Sormani 1962/63. invita anche alla piacevolezza del contatto tattile con il mobile. La luce fa vivere gli oggetti “Perché forme di moto e forme veloci? Perché espresse con i minimi mezzi, per le linee più rapide, col materiale tenuto ancor vivo, come il legno è nella pianta, quasi colmo di linfa novella; …la materia non è più soltanto lo scheletro meccanico utile ma già una forma d’arte che risponde rigorosamente alle regole tecniche.” La materia che costituisce gli oggetti di De Carli vuole essere viva, lavorata in forme “organiche”, che cercano un costante rapporto vitale con la luce, attraverso il continuo variare delle sezioni e la diversa luminosità del legno, tagliato longitudinalmente e trasversalmente come nel caso della sedia per Cassina del 1957. Ma anche gli oggetti caratterizzati da forme “analitiche” (che riprendono il concetto delle “unità singolari” dell’architettura) sono sottolineati da piani di luce e linee d’ombra, come nella serie di elementi di arredo prodotti da Sormani nel 1965 ed esposti alla mostra “La casa abitata” a Firenze, ottenuti accoppiando due listelli di palissandro a sezione rettangolare, con una incisione a “V” sui piani frontali, utilizzati per costruire una serie di nodi spaziali (nel tavolo) o telai piani (nei contenitori) in grado di creare le varie tipologie di mobili. 14 Dall’ alto: mostra “La casa abitata” Firenze 1965; tavolo in legno massello, 1940. La ricerca di uno stile italiano del mobile Carlo De Carli, in qualità, prima di direttore della rivista "Il Mobile Italiano", poi di Docente del Corso di Arredamento oltre che di Preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, inizierà un intenso rapporto con i centri di produzione italiani dell’arredamento. Condurrà un lavoro sistematico di ricerca indirizzato alla valorizzazione, ma anche alla riqualificazione, delle strutture produttive locali, soprattutto artigianali, per attivare un rapporto organico e continuativo fra cultura del progetto e produzione, troppo spesso confinato in situazioni occasionali e casuali. De Carli è tra i promotori e gli organizzatori del Concorso Internazionale e Mostra Selettiva del Mobile di Cantù (1955); della Biennale dello Standard nell’Arredamento di Mariano Comense (1958); della Settimana Lissonese per la Casa. Con la rivista "Il Mobile Italiano", da lui fondata nel 1957, intende proporre la progettazione e la costruzione di un mobile italiano con una precisa identità figurativa e costruttiva, e quindi affrontare: "I problemi attuali della produzione del mobile in Italia per estendere il rinnovamento tecnico e formale al campo dei mobili, in crisi per la 15 concorrenza scandinava e per il persistere di antiquate concezioni estetiche". Le proposte attivate dalla rivista sono finalizzate ad organizzare "centri di produzione", legati ai diversi contesti produttivi del mobile (Cantù, Lissone, Lurago d’Erba, Mariano Comense, Trento) per configurare momenti associativi tra produttori e progettisti, capaci di svolgere un'attività coordinata: dall'analisi del mercato all'approvigionamento delle materie prime, dal progetto alla realizzazione del prototipo, dalla produzione alla diffusione e alla vendita del prodotto. "In tal modo si tende a riconoscere e a garantire autonomia culturale e di mercato ai centri mobilieri periferici (rispetto ai centri metropolitani, dalle cui attività espositive e culturali internazionali, come le Triennali, rischiavano di restare sempre più emarginati)”. Spazio primario “…lo spazio è in ogni caso… un atto di qualificazione, una autentica attribuzione o donazione di senso…non è qualcosa di esterno (su cui si ritaglia) e neppure una pura interiorità, poiché nasce intriso di vissuto di tutta l’esperienza vissuta. Proprio per questo avviene in Architettura che lo spazio cosiddetto interno non è mai tale per rapporto o per semplice inversione logica dello spazio esterno ma è la stessa interiorità genetica dello spazio, la genesi stessa e quindi la qualificazione dello spazio come tale. …Ciò fa sì che questo spazio, con il suo qui ed il suo ora, non solo involga nel proprio atto costitutivo la temporalità e la storia, ma privatizzi anche il nostro io che lo vive: questo spazio, infatti, non è né può essere solo il nostro spazio, ma il più oggettivo, storico ed etico spazio della intersoggettività … questo a buon diritto può anche 16 Dall’alto: strutture per poltroncine in frassino tinto, esecuzione Arrighi 1957; poltrona e divano con struttura in manila, produzione Vittorio Bonacina 1974. essere chiamato, in sede di architettura, spazio primario: non già in quanto debba godere di qualche primalità valutativa, ma per la sua vicinanza all’originarietà primaria che lo costituisce nella genesi progettuale ed operativa…” Le ricerche di De Carli hanno portato alla metà degli anni sessanta all’idea di “spazio primario”: spazio di relazione, della genesi del progetto, o meglio del gesto umano semplice e autentico che si apre agli altri e al mondo. I mobili di De Carli nascono con queste attenzioni e né è testimonianza la capacità comunicativa, sempre discreta e rispettosa, dei mobili dei primi anni ’60, come ad esempio il cassettone “rosso” caratterizzato dalla lunga dimensione del fronte, dalla delicata sagomatura del coperchio e dal discreto appoggio a terra (quasi in punta di piedi), o il letto in ottone, con ritti in tubolare a sezione quadrata e un semiarco rovesciato (ottenuto dalla curvatura di una piattina a sezione rettangolare), uniti ad un pannello di legno impiallacciato in palissandro, che creano un telaio al cui centro è posto un disco, sempre in ottone, con superficie convessa, in grado di creare giochi quasi “metafisici” di riflessione, deformando le immagini che vi si specchiano. A ragione si può affermare che i mobili di De Carli sono “microarchitettura”, non nel senso di rivestire un oggetto d’uso con forme degli stili storici miniaturizzati, ma nel loro stesso atto genetico, che dà vita ad organismi animati e viventi, in grado di resistere al tempo, al variare del gusto e alle mode: questo dimostra che le forme degli oggetti progettati da Carlo De Carli sono forme di relazione. Creare in continuità “Io desidero segnare la necessità dell’immanenza del concetto di “continuità” in ogni forma creata in qualunque tempo, perché sia possibile giungere all’arte…” La continuità per De Carli è un concetto che attraversa tutto il suo operare e il suo esistere: dalla progettazione alla didattica, dalla natura alla città, dalla tradizione all’innovazione, dalla fede alla vita. Il suo rapporto con l’artigianato è attento e discreto: studia le caratteristiche e la storia di ogni centro produttivo per poi proporre temi di riflessione, idee, per proseguire in “continuità”, stimolando la crescita delle singole realtà. Il concetto di “continuità”, puntualizzato nella prima metà degli anni ’40, è una costante nell’opera di De Carli, già presente nel tavolo scrittoio del 1940 caratterizzato dal piano con sagoma ad “ali di farfalla” e dalla forma curvilinea continua degli elementi della struttura, è ancora presente nell’ultimo progetto di imbottiti per Vittorio Bonacina del 1974, dove il ritmico arretramento delle canne di manila che formano il bracciolo, creano una particolare continuità con la mano. Da sinistra: Sedia smontabile in pressofusione di alluminio progettata per la mostra “La casa abitata” Firenze 1965, produzione Sormani; Carlo De Carli, ritratto da Roberto Sambonet. Nota biografica Nato a Milano nel 1910, si laurea in architettura nel 1934. Pubblica brevi saggi su "La Velocità, nuovo tempo musicale dell'Architettura" e la "Continuità fra architettura e natura". Il maggior numero delle sue opere di architettura, arredamento, allestimento e design si concentra tra il dopoguerra e gli anni sessanta. Dal 1940 al 1957 collabora attivamente con la Triennale di Milano. Vince il Compasso d’Oro alla prima edizione del 1954. Direttore della rivista “ll Mobile Italiano”, promuove il rinnovamento culturale dei centri di produzione mobiliera in rapporto con l'Università. Nel 1962 sostituisce Gio Ponti nella cattedra di Architettura degli Interni, Arredamento e Decorazione alla Facoltà di Architettura del Politecnico Milano. Dal 1965 al 1968 è Preside presso la stessa Facoltà, dove insegna fino al 1986. Fra gli scritti più importanti: gli editoriali della rivista Interni (1967-71) di cui è stato anche direttore; Architettura. Spazio Primario (1982); Creatività (1989); Corollario (1993). Dopo l’abbandono dell’insegnamento vive a Bogliaco sul Lago di Garda dedicandosi all’attività pittorica; muore a Milano nel 1999. 17 didattica di Manuela Sisci Sotto la direzione di Fernando De Filippi e coordinato da Ugo La Pietra, il nuovo dipartimento non deve essere letto come l’ennesima scuola di disegno industriale. Già la definizione “Progettazione Artistica per l’Impresa” indica che l’iter didattico tende ad orientare lo studente all’interno di una progettualità aperta: dalla bottega artigiana all’industria, passando per committenze istituzionali come Comuni, Regioni, Enti privati e pubblici. Ma la vera novità di questo dipartimento sta nella forte attenzione nei confronti di quelle Arti Applicate che il Disegno Industriale aveva da troppi anni dimenticato. Sono ormai diversi anni che stanno riaffiorando tematiche legate al fare “artistico” all’interno della progettazione, basterebbe ricordare tutte quelle operazioni sviluppate all’interno del “sistema design” da Ugo La Pietra: mostre come “Abitare con l’Arte” (ex chiesa di San Carpoforo a Milano), “Progetti e Territori” e “Genius Loci” (Abitare il Tempo a Verona), mostre e seminari sulla cultura del progetto in rapporto alla cultura del fare nelle varie aree di produzione artigiana, oltre all’intenso dibattito sviluppato negli ultimi vent’anni con la direzione delle riviste: Area (1987-1990), Abitare con Arte (1990-1994), Artigianato tra Arte e Design (1995-2002). 18 Arti Applicate All’Accademia di Belle Arti di Brera da alcuni anni il nuovo dipartimento “Progettazione Artistica per l’Impresa” riapre il rapporto cultura progettuale-cultura artistica La maggior attenzione nei confronti dell’arte che sembra quindi essere sempre più presente all’interno della produzione degli oggetti trova la sua naturale definizione in questo nuovo corso sperimentale fondamentalmente caretterizzato: dal recupero delle Arti Applicate all’interno del sistema del design, Laboratorio progettuale II Prof. Ugo La Pietra Nella pagina a fronte dall’alto: progetto per souvenir di Lodi Vecchio; progetto per souvenir di Lecco (Manuela Vertenati). In questa pagina dall’alto: souvenir della città di Roma (Valentina Guerrini); “La modifica dell’ambiente” lo studente (Andrea Chessa) progetta un intervento di decodificazione o trasformazione rispetto a ciò che gli appare inadeguato nella città. dalla forte presenza di laboratori e dall’esaltazione dell’autogestione e autoproduzione. Per realizzare tutto questo i corsi si stanno sviluppando in tre grandi aree: 1) teoria e storia con materie come la storia dell’arte, la storia del disegno industriale e delle Arti Applicate (Prof. Gualdoni, Di Pietrantoni, Vitta, Pansera); 2) laboratori progettuali e tecnologici (Prof. La Pietra, Grassi, Santachiara), logica d’impresa (Prof. Bucci, Messina), risorse del territorio, ambito disciplinare (Prof. Ferreri, Mantica); 3) e infine, nella profonda convinzione che all’interno della cultura del fare si muovono due grandi filoni espressivi (il reale ed il virtuale), laboratori che privilegiano il rapporto individuo-strumento (disegno, modellistica, computer) e il rapporto individuo-materia (gesso, bronzo, ceramica tra le prime materie introdotte “con convenzioni” nei confronti di reali laboratori esterni). Come è possibile notare le grandi novità di questo corso sono l’interesse verso un percorso storico riferito all’arte e all’arte applicata per approdare al disegno industriale da una parte e all’autogestione e produzione del prodotto artistico dall’altra. L’introduzione di una materia come “risorse del territorio” che consente di dare allo studente 19 In questa pagina, sopra e a lato: Laboratorio progettuale II Prof. Ugo La Pietra recupero e reinvenzione di Andrea Chessa per la mostra “L’oggetto travestito” (Firenze). Sotto: Laboratorio fusione bronzo Prof. Simoncini diverse fasi di lavorazione. Nella pagina a fronte, dall’alto: laboratorio gesso Prof. Jonny Dell’Orto “Il labirinto” (I anno); “L’architettura negli Euro” (II anno). 20 la possibilità di vedere da vicino le realtà che lo circonda: dalle esplorazioni nella bottega artigiana all’industria, dal negozio alla mostra, attraverso i seminari e i dibattiti, una sorta di laboratorio attivo che il professore con gli studenti sviluppa all’esterno della sede didattica; l’avvicinamento dello studente nei confronti della logica del sistema, per aiutarlo a capire quali sono i grandi temi della disciplina legata all’economia e allo sfruttamento delle risorse, alla comunicazione, commercializzazione di un prodotto; i laboratori del fare, utilizzando convenzioni esterne (tutti sanno che nelle scuole superiori non ci sono veri e propri laboratori!); i laboratori di progetto in cui si affrontano temi che vanno dal “souvenir” per una manifestazione, un Comune o una Regione, ai sistemi di intervento urbano per “abitare meglio la città”. Tutto questo nei primi tre anni propedeutici a cui seguiranno alcune specializzazioni nei due anni successivi: Progettazione artistica dell’oggetto, Progettazione artistica dell’abbigliamento, Progettazione artistica dell’ambiente urbano, Progettazione artistica dei sistemi allestitivi. L’Accademia di Brera diventa quindi, con questo corso sperimentale, un luogo in cui sviluppare, a livello universitario, un percorso didattico che porti lo studente verso ambiti progettuali e professionali che le Accademie europee da tempo stanno sviluppando, recuperando inoltre la sua antica predisposizione al “progetto artistico”. Basterebbe ricordare che, ancora negli anni venti, esistevano in tutte le Accademie italiane, oltre a pittura, scultura e scenografia, anche materie progettuali come architettura e ornato. 21 MOSTRE di Enzo Fiammetta e Alfonso Leto Corrispondenze mediterranee Vasta rassegna di opere all’Akhenaton Gallery del Cairo accompagnata dal progetto espositivo itinerante “L’Islam in Sicilia, un giardino tra due civiltà” promossa dal Ministero degli Affari Esteri Italiano la Regione Sicilia e la Fondazione Orestiadi di Gibellina L a mostra “ Corrispondenze” vuole rappresentare il contributo della Fondazione Orestiadi di Gibellina per la costruzione comune di una sensibilità mediterranea, attraverso le forme della creatività e dell’intelligenza estetica di cui questa Istituzione è, da oltre vent’anni, testimone e depositaria. Già dal 1996, l’insieme delle opere presenti nel complesso delle Case Di Stefano, sotto il nome di Museo-Officina ”Trame Mediterranee”, esplicitava i dati caratteriali che la Fondazione Orestiadi intendeva tracciare per comporre la propria fisionomia: ricostituire la centralità della nostra Isola nel contesto dell’Europa e dell’Africa mediterranee, dove per “centralità” si intenda il recupero di uno “sguardo mediterraneo” nel vivere e vedere la cultura del nostro tempo. È così che è nato, ancora dall’impulso di Ludovico Corrao, l’insieme delle attività che nel teatro, nella musica e nelle arti visive hanno coinvolto maestri di tutte le arti e di tutto il mondo: personalità che hanno contribuito a dar vita a qualcosa di più di un “progetto organico”, qualcosa che per la sua storia, per il contesto geopolitico, antropologico, per l’elemento utopistico che ne è alla radice e persino per la sua complessità poetica, presenta naturalmente, senza forzare i propri tratti, una fisionomia leggendaria. Inserita nel più ampio contesto 22 Sopra: “Palmizio”, portaombrelli di Viviana Trapani per Maestri Evola. Sotto: “Tegola poetica” di Enzo Rullo per Caleca-Italia. del settore arti visive della Fondazione, da molti anni affidato alla direzione di Achille Bonito Oliva, questa collezione si propone, di fatto, come il più concreto spazio museale pubblico, in Sicilia, nel settore della creatività contemporanea, prospettando al pubblico dei visitatori, degli studiosi e delle scuole la stabilità dell’offerta culturale, che viene così ad integrarsi con l’altro settore delle arti applicate. Le opere oggi presentate, sotto il titolo di Corrispondenze, provengono dalla vasta collezione del Museo delle Trame mediterranee di Gibellina. Riproducendo un analogo criterio selettivo visibile nella sezione “arte contemporanea” del Museo: l’idea è ancora quella di una intenzionale e proficua promiscuità creativa tra generazioni, sensibilità e discipline dell’arte contemporanea, attraverso le opere dei maestri italiani già presenti nel Museo delle Trame Mediterranee. Tra queste, ne sono state selezionate alcune che maggiormente presentano le tracce di una concezione che rimanda alle comuni e intrecciate radici di una mediterraneità che, dalle idee primigenie di Caos e di Logos riesce a trarre le molteplici categorie dell’invenzione artistica contemporanea, rappresentate con estrema sintesi nelle sezioni di questa mostra. Dall’alto in basso e da sinistra: “Lampada” di Paolo Di Vita per Centro del Papiro; “Vaso antropomorfo” di Ugo La Pietra per Alessi Ceramiche; “Ziggurat” lampada da soffitto di Alex Titone per Baroni; “Medioevo fantastico” tenda in lino di Mariella La Guidara per Arte del Ricamo. 23 In questa pagina, dall’alto: “Pouf” in midollino di Michele Argentino e Giuseppe Di Nicola per Giano; “Chiarenza”, candeliere di Angelo Pantina per Antonino Amato. Nella pagina a fronte, dall’alto: “Etnalemmo” di Enzo Fiammetta per Alessi Ceramiche; “Gasena”, contenitore di Alfonso Leto per Caleca Italia; “’ssetto”, scatola di Enzo Castellana per Franzone. A queste opere del più libero pensiero artistico si affiancano, cercando corrispondenze talvolta palesi e altre volte più misteriose, le creazioni venute fuori dall’incontro tra i migliori designers ed aziende della Sicilia, alla ricerca di una lingua comune che trovi nella ricerca formale, la sua fonte concettuale primaria che riconduca il gesto artistico al suo dialogo primigenio (e sempre insoluto) con le forme cangianti della Natura, dentro e fuori di noi. I prototipi realizzati provengono dalla recente e felice esperienza espositiva, coordinata e curata dall’Istituto del Disegno Ind.le della Facoltà di Architettura di Palermo, che ha già avuto nei padiglioni del MACEF, a Milano (febbraio 2002), la sua prima entusiastica accoglienza. Leggendo queste Corrispondenze, da un cuore all’altro del Mediterraneo, si possono anche cogliere gli “ultrasuoni” di un dialogo non soltanto basato sui segni, sui materiali, sull’iconografia, sull’identità, sulle diverse generazioni di artisti, -una corrispondenza interna all’arte- ma anche un dialogo che scavalca le categorie merceologiche dell’arte stessa legate al consumo culturale occidentale, per considerare le funzioni primitive dell’arte come merce simbolica e virtuosa di uno scambio di pace e di amicizia, qualcosa che si mostra e si dona allo sguardo altrui come ad offrire un lampo di gioia e di energia 24 positiva. L’arte è l’espressione più elaborata del concetto di umanità dialogante, è essa stessa paradigma visivo di un dialogo universale, di cui oggi si fa interprete la città del Cairo nell’ accogliere con esemplare fraternità la Fondazione Orestiadi di Gibellina nella sua opera di civiltà, resa ancor più esaltante dall’evento della riapertura della biblioteca di Alessandria d’Egitto. Le opere scelte per comporre questo bottino di pace e di cooperazione tra le culture del Mediterraneo, ribadiscono per se stesse e per la Fondazione Orestiadi, l’offerta di un segno di resistenza dell’arte in un contesto mondiale che sembra scoraggiare e inibire questa attitudine profonda e inarrestabile dell’uomo, riducendola ad impulso marginale e voluttuario, a fronte di ben altre più drammatiche urgenze. Voluttuarie e sopprimibili, in tempi critici, saranno semmai quelle forme d’arte contemporanea occidentale che sono state create per il grande indotto del consumismo globale delle idee e dell’estetica, incapaci strutturalmente di sopravvivere in regimi di crisi. Gli artisti che, invece, hanno fondato il loro linguaggio su una comunicazione dalle radici primarie e autonome rispetto ad un’idea consumistica, asservita e globalizzante dell’arte e dell’economia, non temono nulla, come i puri di cuore: per eccesso analogico mi risuonano, come estremo ed ammirevole attaccamento alla vita, le stoiche parole pronunciate da Allah Dad Noori, giovane capitano della Nazionale di cricket afgana, al quale è stato chiesto come si sentisse a giocare la partita in un clima come quello attuale: Il mio paese è in guerra da vent’anni -ha risposto- se dovessi aspettare la fine della guerra quando potrò giocare? 25 MOSTRE di Maria Teresa Chirico L a progettazione dalla parte delle donne -senza nessuna valenza polemicamente femminista, ma consapevole dell’impegno e delle energie che le donne sanno (e devono) profondere per riuscire ad affermarsi- è l’oggetto dell’indagine condotta da Anty Pansera e Tiziana Occleppo per la X Biennale Donna “Dal Merletto alla Motocicletta. Un percorso fra le Artigiane/artiste e designer dell’Italia del Novecento”. 26 Progettare è donna X Biennale Donna - Dal Merletto alla Motocicletta un percorso fra le Artigiane/artiste e designer nell’Italia del Novecento La Biennale nasce a Ferrara nel 1984 da un’idea dell’UDI (Unione Donne Italiane) allo scopo di promuovere un momento espositivo riservato alle donne, che abbracci varie espressioni dell’arte. La ricorrenza della decima edizione, prima del nuovo secolo e del nuovo millennio, è stata l’occasione per sondare con un taglio decisamente innovativo il mondo del design, da sempre oggetto di studio e di ricerca delle curatrici. Un mondo tradizionalmente riservato agli uomini, fortemente legato alle realtà aziendali e produttive. In verità, invece, la presenza femminile si è rivelata qualitativamente, ma anche quantitativamente, assai significativa -sono più di cento le figure presentate in mostrafin dai primi anni del XX secolo: spesso nascosta, poco appariscente, ha mostrato contorni ben definiti e caratteristiche molto interessanti. Nella pagina a fronte: motocicletta Naked V-Per di Anna Visconti, anni 2000. In questa pagina, dall’alto e da sinistra: merletto di Aemilia Ars (primi ’900); tappeto di Luce Balla; “Camicetta” di Irene Kowaliska (primi ’900); “Natura vivissima” di Gigia Corona, 1931; “Credere, Obbedire, Combattere” arazzo di Gegia Bronzini. Una progettazione non raramente realizzata in sordina, rivelatrice però di una sensibilità acuta, sempre più attenta negli anni alle esigenze del vivere quotidiano, preparata ad affrontare la diffusione di nuovi materiali e tecnologie avanzate. La rassegna -allestita nel Padiglione di Arte Contemporanea su progetto naturalmente di una donna, Dida Spano- si apre con una parte storica cui molto si deve all’instancabile ricerca di Paola Franceschini: i reperti documentano l’attività delle donne artigiane-artiste dagli inizi del secolo alla fine della seconda guerra mondiale. Apre il secolo la produzione di pizzi e merletti “di gusto moderno” della Aemilia Ars, realizzati anche su disegni di anonime creatrici. Legate alle esperienze futuriste, puntualmente indagate in catalogo –Silvana Editorialeda Anna Maria Ruta, le opere di Benedetta Cappa Martinetti e delle sorelle Elica e Luce Balla. Attiva negli anni Venti è Rosa Giolli Menni, creatrice di tessuti e abiti realizzati all’insegna de “Le stoffe della Rosa”; sempre a Milano si afferma l’attività di Fede Cheti, attenta a coinvolgere per le sue realizzazioni firme prestigiose, da Gio Ponti a Gruau. Anche il campo delle ceramiche vede una qualificata progettazione femminile tra cui le 27 Dall’alto e da sinistra: “Foglia”, tessuto di Fede Cheti; statuetta di Antonia Campi; “Manhattan” servizio da the in argento di Olga Finzi Baldi. Nella pagina a fronte, dall’alto e da sinistra: “Tundra”, arazzo di Renata Bonfanti, 1992; “Discobolo”, oggetto pluriuso di Anna De Plano; “Draped”, specchi di Nanda Vigo. sculture di Clelia Berretti, le originali, giocose proposte di Emma Bonazzi, le raffinate, eleganti figurine di Elena Koenig Scavini per la Lenci di Torino. Un video, curato da Lola Bonora e Anna Quarzi, introduce la rassegna, la commenta e ne fa da guida. La seconda metà del secolo, dal 1945 al 1999, è presentata nella sezione successiva della mostra. Sempre più numerose sono le donne che si affermano nel mondo del disegno industriale, che firmano i propri progetti, che ottengono posizioni anche di rilievo all’interno delle aziende, come Antonia Campi, direttore artistico negli anni Settanta della Richard-Ginori. Non c’è nessun settore che non veda l’intervento nel progetto di una donna: dai tessuti all’arredo, dai complementi al packaging, dai gioielli al computer, dagli elettrodomestici al car design con la moto V-Per di Anna Visconti. Sono donne che hanno lasciato un segno indelebile nel mondo degli oggetti, da Anna Castelli Ferrieri autrice di una ricca serie di oggetti in plastica prodotti dalla Kartell, a Cini Boeri -sua con il giapponese Tomu Katayanagi la famosa poltrona Ghost in cristallo float del 1987-, da Gae Aulenti, che ha sempre affiancato la progettazione architettonica a quella del disegno industriale, a Ornella Noorda, 28 a Federica Marangoni, sensibile artista del vetro che disegna per Christofle, fino alle più giovani Marina Paul, Sonia Pedrazzini, Giovanna Talocci, Bruna Rapisarda e Alessandra Sciurba, impossibile nominare tutte le figure presentate. Lica Covo Steiner, da sempre affiancata al marito Albe, ma che si è saputa riservare un ambito progettuale personale (ancora attiva oggi) è, infine, curatrice con la figlia Anna Steiner Origoni dell’immagine coordinata della rassegna.La terza sezione, a cura di Giovanna Bergamaschi, è un omaggio a quelle donne che hanno contribuito alla diffusione e alla conoscenza del design e dell’architettura d’interni attraverso riviste e giornali: sono giornaliste, direttori o addirittura fondatrici di testate che hanno creduto nella cultura del progetto. A integrare l’esposizione, oltre al già citato video, è disponibile in mostra anche un Cd-rom, cui ha collaborato Antonia Mealli, che permette di “navigare” lungo 100 anni di disegno industriale italiano dalla parte delle donne. 29 MOSTRE di Murilo Fernando Moro Pezzi Unici Alla sua prima edizione dal 6 al 16 settembre 2002 l’evento ripropone il valore dell'artigianato artistico in un territorio di antiche tradizioni con il patrocinio ed il sostegno del Comune di Lanciano - Assessorato Attività Produttive V oluta fortemente da Roberto Pepe (artista-artigiano orafo in Lanciano dal 1980, delegato poi dal Comune alla realizzazione della mostra), la manifestazione “Pezzi Unici”, che si terrà a Lanciano (CH), presso le sale dei sotterranei della Chiesa della Madonna del Ponte, dal 6 al 16 settembre 2002, tende a svolgere due ruoli. Il primo é quello di dare agli interessati un’opportunità in più per visitare un insediamento d'Abruzzo ricco di capolavori d’architettura gotica e romanica come Santa Maria Maggiore e Sant’Agostino, con i meravigliosi portali dell’architetto lancianese Francesco Pertini, ma soprattutto il complesso monumentale del Ponte dedicato all'imperatore Diocleziano nel III secolo, la cui storia é intimamente connessa alla costruzione di Santa Maria del Ponte. Un complesso monumentale unico nella sua affascinante storia civile e religiosa: una struttura realizzata con alterne vicende nell'arco di ben 15 secoli. Il secondo obiettivo é quello di riuscire ad esprimere il profondo disagio di molti artigiani, che operano con un alto quoziente di artisticità, nell'essere considerati (dalle strutture istituzionali e dai sindacati) "artigiani" al pari di altre categorie (idraulici,muratori, carrozzieri ecc...). In questo senso la mostra raccoglie opere di una serie di artigiani che con molto orgoglio e determinazione rivendicano la loro artisticità 30 definendosi "artisti-artigiani". Un orgoglio espresso anche attraverso una sorta d’autogestione e che, pur con l'aiuto del Comune, é leggibile nell'organizzazione dell’evento e quindi in alcune caratteristiche della mostra. Dal titolo stesso "Pezzi unici" si capisce che la mostra non vuole essere solamente occasione di tipo commerciale, ma più chiaramente espressione di ricerca. Così l'evento non solo individua una categoria di operatori (artistiartigiani regolarmente iscritti alla camera di commercio) escludendo i generici artigiani e gli hobbisti, ma mette in evidenza la necessità di fare ricerca e sperimentazione introducendo componenti che vanno dall'arte al design. "Pezzo unico" vuol dire opera che ancora non é in produzione, opera firmata dall'autore e quindi con evidente definizione del valore aggiunto, ottenuto attraverso il personale "segno" dell'artista ed espressione dell'unicità dell'opera. La mostra raccoglie quindi una selezione degli artisti di tutti i settori (orafi, ceramisti, ebanisti mosaicisti, ecc.) che si sono iscritti; così 20 artisti su 200 saranno presenti con le loro opere a questa prima edizione. La manifestazione di settembre rappresenta per gli organizzatori una prima occasione a cui dovrebbero seguire (ogni 6 mesi) una serie di mostre dedicate di volta in volta a settori specifici: orafi, scalpellini, vetrai, corniciai, mosaicisti, fotografi, stilisti, ecc... "Pezzi unici”, tra arte e design: un messaggio dall'Abruzzo perché tutti gli artisti-artigiani riprendano la strada della sperimentazione e della ricerca, dell'orgoglio della propria professione, facendo sentire la propria voce affinché le Istituzioni comincino seriamente a dare valore e significato a questo settore, con interventi finalizzati a promuoverlo e non limitati a generiche forme di assistenza. Nella pagina a fronte: Lanciano (CH), il Ponte di Diocleziano (305 d.C.) con Torre Campanaria e Basilica di Maria Santissima del Ponte. In questa pagina e nelle successive: opere di una parte degli artigiani-artisti presenti alla manifestazione. Un elogio speciale è dovuto all’Assessore alle Attività Produttive Felice Paolucci e a tutta l’Amministrazione Comunale di Lanciano ma, in particolare, al Sindaco Filippo Paolini che, fin dal primo incontro con Roberto Pepe, si è dimostrato aperto e disponibile all’iniziativa, diventando poi paladino e spronatore dell’iniziativa. NICOLA STEFANO D’ALTOCOLLE ALDO ANGELUCCI - Arte e Design LUCIANO DI CORINTO - Ars Antiqua GABRIELE AMOROSO Via Cesare Battisti 2 - 66034 Lanciano CH Tel. 0872.46207 - 0872.717828 Artista-doratore, ha iniziato l’attività nel ’47. Le sue opere d’arte tipica religiosa: altari, colonne, volte ecc.., sono di ideazione propria, decorate con oro foglia a 23 carati. Foto: volta eseguita con argento e mecca a bolo lucido. Laghetto dei Gradoni 7 - 66034 Lanciano CH tel./fax 0872.44574 - 0872.711206 - www.ars-antiqua.it Artista-musivo, inizia l’attività con tessere in cemento colorato assemblate a tarsia ma, da oltre 10 anni, utilizza tessere di vetro colorato. Talento naturale, “cattura la luce e ne diviene padrone trasferendola nelle sue opere”. Viale Cappuccini 136 - 66032 Castel Frentano CH Tel. 0872.715122 Artista-ebanista, in molti casi disegna personalmente le sue opere. Ha tenuto una personale nel 1986, alla quale sono seguite varie partecipazioni a mostre in tutta l’Italia. Nella foto: scrittoio in faggio massello (pezzo unico). Contrada Iconicella 224/a - 66034 Lanciano CH tel. 0872.45098 Artista-ebanista, da sempre nel settore, è particolarmente esperto nella creazione di mobili in stile. Nel tempo, si è distinto nella zona “frentana” per i suoi pezzi unici. Nella foto: un tipico esempio del suo stile. 31 IVANA PEPE Via Corradino Marciani 61 66034 Lanciano CH tel./fax 0872.41856 Diplomata operatore commerciale, da commessa responsabile approda nel settore creativo distinguendosi nella creazione di borse e accessori. Nella foto: un esempio del suo stile. Antea Spose Angela Civitarese CaterinaVentimiglia Via Duca degli Abruzzi 15 66034 Lanciano - Tel. 0872.716334 Dopo l’Accademia d’Alta Moda e Arte del Costume “Koefia”, insieme si dedicano alla creazione di abiti da sposa dalle linee essenziali e raffinate. PATRIZIA PESOLILLA LUCA MADONNA DAVIDE DI STEFANO LINO DI CIANO Via Iconicella 179 - 66034 Lanciano tel. 348.8287091 All’età di 15 anni costruisce il suo primo strumento. Dopo importanti collaborazioni crea i primi prototipi e, nel 2000, nasce Lace Works, ditta di chitarre e bassi elettrici interamente costruiti a mano. 32 Via Bergamo 2 66034 Lanciano CH tel. 0872.45444 - Fax 0872.702892 Artista vetraio è da anni impegnato nella progettazione e realizzazione di vetrate artistiche con nuove soluzioni. Nella foto: “Pavone”, tecnica Tiffany e pittura a gran fuoco. Contrada Colle Capuano 12 66038 San Vito Chietino CH Tel. 338.9044124 Recuperando la tradizione musiva italiana, attualizza temi e suggestioni del passato in una sintesi originale e personale. Nella foto: “Crocefisso” in pietre varie, marmo e corteccia. Contrada Nasuti 45 66034 Lanciano CH tel. 0872.44818 Artista diplomato all’Istituto d’arte (sez. legno) e all’Accademia di Belle Arti (scuola di scultura), ha partecipato a svariate collettive in tutta l’Italia. Nella foto: “Natività” in pietra. ROBERTO e STEFANIA PEPE DARIO TADDEO Rione Gaeta - 66034 Lanciano CH Tel./Fax 0872.712282 Artista-ceramista, ha costituito a Lanciano il laboratorio “La Tana dell’Arte” specializzato in ceramiche artistiche e terracotte: pezzi unici nella forma e realizzazione eseguiti interamente a mano, decorati con preziosi smalti e ricottura a fuoco. Nella foto: vaso di forma particolare decorato con colori tipici “frentani”. IDEAL FOTO CINE s.n.c. Via Ferro di Cavallo 42 66034 Lanciano CH tel./fax 0872.709767 I coniugi Pepe, dopo aver conseguito la maturità artistica, sono artisti-orafi in Lanciano dal 1980. Nella foto: “Io presentosa”, gioiello in filigrana e diamanti taglio brillante in oro bianco. Questa collezione di straordinaria bellezza, che prevede spille, orecchini, anelli, contribuisce all’arricchimento dell’oreficeria abruzzese. Lo slogan della collezione: abbiamo guardato al passato per rifare il nuovo. Viale Cappuccini 102 - 66034 Lanciano CH Tel./Fax 0872.712282 - www.idealfotovideo.it Fotografia di Roberto Colacioppo, unica foto italiana delle 100 selezionate per la pubblicazione del libro “Family” edito da Edicart, vincitrice del concorso M.I.L.K. (17.000 fotografi partecipanti di 164 Paesi del Mondo per totali 40.000 immagini, presidente della giuria Elliot Erwitt, membro della Magnum), esposizioni New York (luglio/ agosto 2001), Londra (ottobre 2001), mostra itinerante nelle maggiori capitali del mondo. STEFANIA BATTISTELLA Corso Roma 104 a/b 66034 Lanciano CH Tel. 0872.717692 Artista-orafa, dopo avere conseguito la maturità artistica e dopo alcuni anni di “gavetta”, trascorsi nel settore orafo, si è specializzata in particolare nella creazione di pezzi unici eseguiti rigorosamente a mano. Nella foto: ciondolo in oro 18 carati facente parte della “Linea armonia”. MICHELE CIANFRONE Arte del ferro e vetro Contrada San Iorio 16/a - 66034 Lanciano CH tel. 0872.710880 Artista del ferro e del vetro, iniziata l’attività seguendo gli schemi classici del settore, si è man mano indirizzato verso opere di completamento ed abbellimento dell’architettura esterna di edifici pubblici e privati. Progetta direttamente le proprie opere ed ultimamente si dedica allo studio ed ideazione di innovativi sistemi per esterni in stile liberty. Nella foto: tenda-tettoia in ferro e vetro legato a piombo. 33 CONCORSI di Ugo La Pietra V erso la fine degli anni settanta si incominciò a parlare di “arredo urbano” nelle università, negli studi professionali, nelle amministrazioni pubbliche. Nasceva la figura dell’Assessore dell’arredo urbano e i professionisti guardavano con rinnovata speranza alla committenza pubblica. La città, in quegli anni di crisi, sembrava Arredo urbano a Cursi Un esemplare progetto per la Piazza di Cursi (LE) ripropone all’attenzione il problema del rapporto individuo-ambiente ambiente-risorse del territorio ormai immobile, nessuna espansione edilizia! Si stavano perdendo anche le speranze per interventi nei centri storici; l’arredo urbano sembrò l’ultima spiaggia. Molti professionisti si improvvisarono esperti dello argomento ed incominciarono ad esplorare e a rispondere alle prime commesse da veri pionieri! Pionieri che esploravano senza sapere cosa era stato fatto e detto in 30 anni di esperienze, ricerche, teorie e progetti nell’area urbana (dai Situazionisti a Constant, dagli Archigram a Hollein, dalla Coop. Himmelblau a Hans Hake, fino alle mie teorie “tra il concettuale e lo spettacolare”); così, i nuovi esperti si buttarono a capofitto a riprogettare tutte le attrezzature (forniture di oggetti per l’uso Comune di Cursi / Arredo urbano di Piazza Pio XII Planimetria generale Diagramma solare polare - latitudine 44° N Collocazione degli elementi in funzione del soleggiamento COMUNE DI CURSI (LE) / Arredo Urbano di Piazza Pîo XII, Capogruppo: Arch. Casali Loris; Collaboratori: Arch. Cipriani Marialuisa, Arch. Neulichedl Bernhard, Arch. Serafini Roberto. 34 Progetto vincitore Gruppo Loris Casali Nella pagina a fronte: distribuzione planimetrica degli arredi nella Piazza Pio XII a Cursi. In questa pagina, dall’alto: “Porta biciclette”; “Panchina” composta da due semplici monoliti. della strada) che hanno sempre caratterizzato i vincoli stradali delle nostre città. Oggi l’arredo urbano, per molti progettisti, appare come una nuova area disciplinare che si aggiunge all’urbanistica e all’architettura, per altri viene considerato un falso problema. Il problema esiste: troppa città è stata progettata dimenticando tutti quegli spazi tra edificio ed edificio che rappresentano i nostri luoghi collettivi. Così gli spazi urbani attendono la loro riqualificazione! Ma attenzione, non possono essere solo una serie di attrezzi ridisegnati secondo il “buon gusto” del designer, o qualche monumento, a connotare di “abitabilità” gli spazi della città. Io mi sono sempre interessato 35 Dall’alto: “Cestino” composto da monolite che sostiene simbolicamente un contenitore per rifiuti standard; “Vaso per alberi” costituito da monoliti di diverse dimensioni accostati e sovrapposti. dell’ “ambiente urbano” e della sua abitabilità, qualcuno ricorderà le mie ricerche sul trasferimento delle qualità dell’arredo interno verso l’esterno (tra spazio privato e spazio pubblico), così posso dire che fin dagli anni sessanta mi sono interessato a recuperare, studiare, progettare elementi ad una microsala, e da questi definirne “effetti ambientali” o da questi ultimi procedere fino alla definizione di fenomeni spesso considerati secondari o, comunque, ad una scala che non è quasi mai praticata dall’architetto. Naturalmente, i particolari di cui parlo sono anche spesso i gesti di una persona, i rituali di gruppo, un insieme di suoni, una frase 36 scritta, il contatto con una certa materia, ecc.: un insieme di dettagli la cui suggestione o aggregazione riesca a dare un effetto ambientale ed architettonico, cercando sempre di introdurre due componenti che ritengo capaci di caricare di significati le situazioni progettuali: la spettacolarità e la concettualità. Due componenti progettuali filtrate da una particolare ottica, che è quella dell’attenzione e dell’intenzione. Dall’alto: “Pali d’illuminazione” realizzati con monolite la cui parte terminale inclinata assorbe e rilascia energia sotto forma di luce (pannelli fotovoltaici); “Dissuasore” movibile (scorre su un doppio binario); “Bacheche”. 37 A lato: lavorazione della pietra leccese, Cursi (LE). In questo senso gli spazi urbani dovrebbero essere progettati come luoghi da fruire nel senso più completo della parola: spazi per sostare, per educare, per incuriosire, per sorprendere, ecc... Così una particolare panchina non è più concepita solo come un oggetto d’arredo per sostare, ma un luogo da cui guardare... “un osservatorio”; da questo modo di concepire la panchina possono nascere stimoli progettuali per la costruzione di particolari prospettive (vere o false), in quanto dalla panchina il progetto si sposta al suo intorno e a ciò che si vuol fare vedere, intravedere o celare! In sintesi vorrei consigliare la regola fondamentale a cui attenersi per progettare uno spazio urbano: fare qualcosa per rendere lo spazio abitabile, nella consapevolezza della profonda differenza che esiste tra usare uno spazio e abitarlo, “si usa una camera d’albergo, si abita la stanza della propria casa”, ricordando sempre, a me e agli altri, lo slogan che mi ha accompagnato in tutti questi anni, “Abitare è essere ovunque a casa propria”. Sulla base di queste mie convinzioni sono molto felice che il Comune di Cursi, attraverso il concorso per l’arredo di Piazza Pio XII, potrà arricchirsi di un insieme di elementi arredativi progettati proprio per dare valore e significato al luogo. Come membro della giuria ho valutato positivamente (con tutti i membri 38 della commissione) il progetto di Loris Casali e Serafini Roberto che supera di fatto le singole “tipologie di fornitura stradale” per entrare più nella dimensione arredativa: citando la pietra leccese, la sua lavorazione e collocandola con estremo rispetto nel contesto urbano. Un bell’esempio di “arredo urbano”: per l’uso essenziale del materiale, la coerenza formale (blocchi tagliati e accostati) delle varie tipologie, il rapporto armonico delle varie installazioni nello spazio urbano. Loris Casali, Marialuisa Cipriani, Bernhard Neulichedl, Roberto Serafini “Il progetto proposto per l’arredo urbano di Piazza Pio XII di Cursi ha come finalità quella di esaltare il genius loci locale e perseguire obiettivi di sostenibilità in senso lato. Cursi, come è noto, è il centro dell’antico bacino di estrazione della pietra leccese, è “la cittadina della pietra leccese”, per cui la Piazza Pio XII -sulla quale si affacciano la chiesa Madre, il Municipio, il palazzo De Donno ”Museo della Pietra”- deve evocare fortemente il genius loci. Gli elementi di arredo sono stati quindi pensati per la loro forte carica emotiva e simbolica che possono comunicare singolarmente ed articolati fra loro nella piazza. I monoliti in pietra in forma diversa e in alcuni casi di grandi dimensioni sono in grado di creare un paesaggio suggestivo, capace di evocare questa peculiarità di Cursi. Elementi semplici, anche scarti, presi direttamente in cava come si trovano o con basilari “coltivazioni”, integrati da finiture tipiche delle cave di estrazione come le fasciature in metallo (che si usano ancora oggi per impacchettare le lastre), binari (che rimandano agli antichi e ancora attuali metodi di trasporto della pietra) o elementi semplici -come il cestino standard- che non vanno ad intaccare il messaggio forte e simbolico della pietra come monolite. Evidenziamo alcuni principi di sostenibilità che hanno indirizzato l’ideazione e la progettazione dell’arredo: - efficienza energetica: utilizzo di materiali come si trovano in cava, anche di scarto, senza ulteriori lavorazioni (se non per alcuni elementi); - riciclaggio: riduzione della quantità di rifiuti non solo per l’utilizzo di eventuali elementi monolitici, scarti di tagli e lavorazioni, ma anche utilizzo di finiture (sostegni mediante cerchiature, cestini standard, ecc...) recuperabili e riutilizzabili che permettono il “disassemblaggio” delle parti che compongono l’arredo, eventualmente per un loro futuro riutilizzo; - sfruttamento dell’energia solare: i pali d’illuminazione sono pensati per utilizzare l’energia solare mediante pellicole fotovoltaiche (si ricorda che l’utilizzo di fonti energetiche alternative può consentire all’Amministrazione di chiedere eventuali finanziamenti pubblici per la realizzazione: cfr. Ministero dell’Ambiente-ENEA)”. PROGETTI E TERRITORI di Simona Pagliari Arte artigianato e cultura del coltello sardo Arresojas - Biennale del coltello sardo mostra mercato giunta alla sua VI° edizione si terrà a Montevecchio (CA) dal 27 luglio al 4 agosto confermandosi appuntamento atteso e importante per la cultura e l’economia dell’isola Forgiare lame è arte antica, colma di fascino, ammantata dal mistero dell’origine del fuoco, carica della fatica di cavare metalli dal cuore della terra. E’ espressione di una cultura che in tutta la Sardegna, e soprattutto a Pattada, Guspini, Gonnosfanadiga, Santulussurgiu, Arbus e Dorgali, è rimasta viva nelle mani di abili coltellinai che nella forza della tradizione trovano motivo per continuare a creare pezzi unici di grande valore e oggetti d’uso quotidiano, ma anche innovare tecniche, proporre nuovi disegni e materiali, aprire nuovi orizzonti commerciali. Sono questi artigiani che ogni due anni, animano “arresojas” mettendo in mostra una produzione variegata e ricca, preziosa rappresentazione della complessità di un’isola che non si chiude nel proprio passato ma cerca momenti di incontro e di scambio ospitando maestri coltellinai e collezionisti di altre regioni del mondo. Mostra d’arte, “arresojas”, ma anche una porta aperta su Guspini, la sua storia, la sua cultura e il suo territorio con le incontaminate bellezze ambientali e l’antica presenza dell’uomo. La chiesa di San Nicolò, con facciata in stile gotico-aragonese su cui spicca il bellissimo rosone traforato, la chiesa di Santa Maria di Malta, antica sede dll’omonimo ordine cavalleresco, le colonne basaltiche a prismi esagonali, raro e spettacolare monumento naturale popolarmente noto col nome di Canne d’Organo, il nuraghe Melas, la fortezza S’Arrueci, il pentabolato Brunku ’e S’Orku. I monumenti dell’ archeologia industriale, patrimonio diffuso in tutto il territorio a testimoniare il lavoro in miniera, lotte e coscienza di classe con Montevecchio, piccolo borgo di struggente bellezza e Ingurtosu, vecchio e pressoché disabitato villaggio minerario che si attraversa per giungere alle splendide dune di Piscinas, ove le grandi montagne di sabbia si spingono fino al mare contendendo il territorio al bosco abitato dal cervo e cinghiale sardo. 39 Nella pagina precedente, dall’alto e da sinistra: immagine del pieghevole e della locandina della mostra; cantiere di Piccalinna; dune di Piscinas. In questa pagina, dall’alto e da sinistra in senso orario: punta di freccia di ossidiana; ricostruzione ideale della fortezza nuragica di Su Nuraghe Arrubio a Orroli; pugnaletto nuragico in bronzo ad elsa gammata; lama di pugnale in bronzo; matrice di fusione bivalve fabbricata in steatite con impronta di un pugnale; bronzetto raffigurante un capo tribù. Arma di offesa e di difesa, ma anche strumento di lavoro e, nel corso dei secoli oggetto simbolo sempre più raffinato della cultura materiale di contadini e pastori, il coltello fa la sua comparsa in Sardegna fin dal paleolitico. Da quelle prime lame in osso e selce sbozzati, attraverso la lavorazione successiva della più dura ossidiana locale, fino alle raffinate “opere uniche” dei moderni artigiani, la storia del coltello è storia d’arte, di cultura, di lavoro. E’ con l’attività estrattiva iniziata in periodo nuragico che la produzione raggiunge alti livelli di ricercatezza realizzando oggetti di sicuro valore rituale, come documentano i bronzetti di capi e guerrieri rappresentati spesso con il pugnale ad elsa gammata atracolla sul petto. Fenici, Punici, Romani e Pisani, intensificando l’attività estrattiva danno ulteriore impulso alla produzione e al commercio di questi manufatti, ma è con l’arrivo dei Templari, tra il 1130 e il 1138, che in Sardegna si approfondisce e si diffonde la conoscenza dell’arte di forgiare le lame che questi Cavalieri avevano avuto modo di acquisire in Medio Oriente durante le Crociate. Un’arte che in alcuni paesi dell’isola, come Guspini, si è tramandata fino ad oggi. Il passaggio dalla produzione di coltelli a lama fissa a quella di coltelli a serramanico, le cui tecniche di lavorazione erano già note presumibilmente nell’isola dalla metà del XVII secolo, può trovare una valida motivazione 40 Dall’alto e da destra in senso antiorario: il Castello di Cagliari secondo un disegno contenuto in un registro del XIV secolo (dell’Arxiu della Corona d’Aragò di Barcellona); Daga e Stillu sardi della prima metà del secolo scorso; combattimento tra bizantini e arabi davanti alle mura di Euripos (manoscritto greco della “Cronaca di Scilitze” XIII secolo); cavalieri Templari in una illustrazione ottocentesca; cacciatori, probabilmente in costume di Sinnai (dal cartiglio della “Carta dimostrativa dè contorni di Caliari”, manoscritto acquerellato, XVIII secolo). nel susseguirsi di leggi che Spagnoli e Piemontesi promulgarono per arginare problemi d’ordine pubblico legati all’uso delle armi bianche. Il coltello a serramanico poteva essere facilmente nascosto e quindi estratto solo all’occasione. Ma il suo impiego era, assai più concretamente, legato alla quotidiana attività lavorativa di chi, come il contadino e il pastore, si trovava solo e lontano da casa in ambienti spesso ostili. Fu nel 1908 che una legge regia fissò un nuovo limite per la libera detenzione dei coltelli: la lama appuntita non doveva superare i 4 centimetri di lunghezza, mentre quella senza punta poteva misurarne fino a 10. Il coltello senza punta, poi detto “Sa Guspinesa”, trovò largo consenso tra i minatori che, sottoposti a ferrei controlli per via del nascente movimento operaio, si limitavano a portare il coltello in miniera per provvedere al proprio pasto. La stagione di forte crisi attraversata dai coltellai isolani in conseguenza della dura repressione 41 Dall’alto, in senso orario: coltello con manico in corno di montone proveniente da Gonnosfanadiga; vecchia leppa sarda (o “spadinu”) con impugnatura in legno; due esemplari di “Sa corrina” (il nome deriva dal corno di cui era fatto il manico); coltello con manico in corno di montone, con lama a foglia; coltelli sardi di recente fabbricazione (dall’alto: Guspinese senza punta, Guspinese, Pattadese, Foggia Antica o Gonnese-Arburese); tre vecchi coltelli di Pattada sequestrati dai carabinieri nel 1920 durante la repressione del banditismo sardo; Guspinese (il coltello degli intrepidi della Brigata Sassari) con schema della struttura; coltelli “tipo sardo” prodotti a Scarperia all’inizio del secolo. 42 che accompagnò la legge e della contemporanea concorrenza dei grandi centri italiani che, con grande fortuna, immisero sul mercato coltelli ad imitazione di quelli sardi, viene superata soltanto in quest’ultimo decennio grazie soprattutto all’affermarsi in tutto il mondo della “pattadesa”, divenuta il coltello sardo per antonomasia. Sull’onda di questo successo e con la conseguente netta ripresa di tutto il comparto produttivo, l’artigianato del coltello segna un momento di espansione; tradizioni dimenticate e che in alcuni casi sembravano ormai perdute si rivitalizzano, nuovi e valenti artigiani si affacciano in un mercato sempre più apprezzato da estimatori e collezionisti concorrendo a trasformare l’arte del coltello in una manifestazione della cultura di tutta la Sardegna. LA STORIA DI Arresojas Promossa per la prima volta nel 1994 dal Comune e dalla Pro Loco di Guspini, allo scopo di riscoprire e promuovere un patrimonio che rischiava di scomparire, quello legato alla cultura e alla storia delle lame sarde, la mostra Arresojas è diventata oggi un appuntamento atteso e importante per la cultura e l’economia dell’isola. Suo obiettivo culturale è quello di raccontare l’antichissimo percorso storico delle lame sarde, dal neolitico antico alla dominazione punica e romana, dal medioevo alla rivoluzione industriale, proponendo interessanti parallelismi con culture vicine (Francia, Germania, Inghilterra e alcune regioni italiane) o lontane (Giappone, Africa). Ovunque, ai primordi della storia, quando l’uomo preistorico si trasforma in Homo Sapiens e comincia a inventare e a produrre oggetti utili alla sua sopravvivenza, compaiono i primi utensili. La storia dei popoli è anche la storia dei suoi utensili, oggetti elementari ma carichi di certezze la cui evoluzione svela il progredire della civiltà. Uno dei primi utensili dell’uomo fu certamente il coltello. Serviva per cacciare, per scuoiare animali, per costruire oggetti per la casa e per difendersi. La mostra Arresojas si terrà nell’antico palazzo direzionale delle Miniere di Montevecchio e la scelta non è casuale. A Montevecchio c’era un ricchissimo giacimento minerario, conosciuto sin dai tempi della civiltà nuragica, a cui attinsero tutti i popoli che via via occuparono l’isola. La miniera conobbe la sua stagione d’oro nel XX sec. sia per la quantità di minerale estratto che per la bellezza del suo ambiente naturale, per l’eleganza delle sue strutture architettoniche, tanto da essere promossa dall’UNESCO a “Patrimonio culturale dell’umanità”, insieme ad altri sette siti che tutti insieme costituiscono il Parco geominerario della Sardegna. 5. IL COLTELLO NELLA LETTERATURA SARDA Verranno riproposti brani significativi delle opere letterarie di scrittori sardi: Grazia Deledda, Giuseppe Dessì, Sergio Atzeni e altri, che parlano del coltello sardo. I testi sono inseriti in un contesto iconografico con immagini di importanti fotografi. LE DATE E GLI ORARI La mostra verrà inaugurata il 27 luglio 2002 e durerà fino al 4 agosto, con i seguenti orari di apertura: - da lunedì a venerdì solo pomeriggio, dalle 16.00 alle 21.00; - sabato/domenica dalle 09.00 alle 13.00, dalle 16.00 alle 21.00. La penultima edizione (2000), ha visto la presenza di: 70 espositori, 4.000 prodotti, 10.000 visitatori. Insieme alla mostra sarà possibile visitare i centri minerari, l’antico villaggio, musei e splendide vestigia lungo una strada che dalla montagna digrada fino al mare, alle dune di Piscinas dove il paesaggio è ancora magico come lo era secoli fa. 11. I GRANDI MAESTRI DEL COLTELLO Dodici tra i più grandi maestri mondiali del coltello. Nella mostra si potranno ammirare oggetti di grande livello qualitativo, accompagnati da una scheda personale: Francesco Pachi, Antonio Fogarizzu, Ron Lake, Des Horn, James A. Schimidt, Steve R. Johnson, Ditmar F. Kressler, Warrer Osborne, Steve Schwarzer, Charles Bennica, Bob Loveless, Michael Walker. I TELEFONI - 070 97 25 37 = Informacittà Guspini - 070 97 03 84 = Associazione Pro Loco Guspini - 3355797943 = Francesco Marras, Assessore al Turismo - 3383316533=Rossella Dessì, Presidente della Pro Loco IL PERCORSO DELLA MOSTRA 1. MOSTRA MERCATO DEL COLTELLO SARDO Oltre 70 coltellinai provenienti dalla Sardegna esporranno i manufatti, rigorosamente artigianali e realizzati in Sardegna. 2. LE COLLEZIONI PRIVATE Verranno esposte alcune tra le più importanti collezioni private di coltelli di origine sarda o tematici. 3. MONTEVECCHIO MINIERE E METALLI Montevecchio è stata fin dalla notte dei tempi un’importante miniera, che ha attirato potenze straniere e avventurieri, per lo sfruttamento. Nel territorio segreti e tecniche sulla lavorazione dei metalli si sono sedimentate, di generazione in generazione, e ancora oggi persistono attraverso la lavorazione dei coltelli. 4. IL COLTELLO IN SARDEGNA Partendo dal Paleolitico, si ripercorrerà la storia del coltello in Sardegna, dall’ossidiana fini ai nostri giorni. Frutto di un’accurata ricerca, la mostra spiega il perché questo utensile è diventato in Sardegna un oggetto identitario. 6. L’ITALIA DEI COLTELLI L’Italia è una nazione ricca di produzioni e tipologie di coltelli. Non vi è regione che non abbia coltelli tipici. La mostra propone una rappresentativa approfondita di coltelli regionali, soffermandosi nelle realtà produttive di Maniago/Friuli, Premana/ Lombardia, Scarperia/Toscana, Frosolone/Molise, Sardegna. 7. GLI STILISTI DEL COLTELLO Una mostra particolare verrà dedicata a 10 coltellinai tra i più bravi e famosi d’Italia. Una rappresentativa significativa dell’elevata qualità e creatività del coltello made in Italy. 8. IL COLTELLO IN EUROPA Uno sguardo all’Europa: storia, tipologie e centri produttivi più importanti di Spagna, Francia, Germania e Inghilterra. 9. IL GIAPPONE, LA VIA DELLA SPADA Una mostra verrà dedicata all’antichissima tradizione di lame e spade giapponesi. Cultura e tecniche costruttive di questa lontana realtà, con l’esposizione di manufatti e suggestivi pannelli. 10. L’AFRICA TRA LAME E CULTURA Il continente africano offre un panorama vastissimo di lame, utensili e armi, mantenute intatte fino a oggi nelle tecniche e nei significati rituali e antropologici. Sezione allestita in collaborazione con l’Associazione cagliaritana “Amici del Sahara”. 12. LE SPADE DEI SANTI NELLA PITTURA DELLA SARDEGNA Un’interessante mostra e conferenza verrà dedicata al significato della spada nella simbologia religiosa. In particolare verranno presi in considerazione i Santi guerrieri o armati: San Paolo, Michele, Martino, Caterina d’Alessandria e Barbara, rappresentati in splendidi retabli del 1500-1700, realizzati da artisti sardi. 13. SUL FILO DEL RASOIO Una particolare mostra illustrerà la storia di quest’oggetto che nel corso del tempo ha subito profonde trasformazioni. 14. METALLA - IL DAMASCO E IL FERRO BATTUTO Verrà allestito un work shop sulla forgiatura dell’acciaio damasco. Una particolare lavorazione attraverso la speciale tecnica della battitura e assemblaggio, di più strati d’acciaio, a diverso tenore di carbonio. Alla forgia due maestri di livello internazionale: il corso Alexandre Musso e il francese Charles Bennica. Altra sezione vedrà artigiani sardi del ferro battuto che, oltre a esibirsi nelle lavorazioni, esporranno i loro manufatti artistici. 15. BIBLIOTECA INTERNAZIONALE DEL COLTELLO I visitatori avranno a disposizione una biblioteca con centinaia di volumi e riviste di tutto il mondo. 16. IL COLTELLO SU INTERNET Verrà allestita una postazione dove si potrà navigare tra centinaia di siti sul coltello di tutto il mondo. 17. LE MATERIE PRIME E LE ATTREZZATURE Le più importanti ditte per coltellerie allestiranno stand per la vendita di prodotti e attrezzature per la produzione del coltello. 43 GENIUS LOCI di Celestino Sanna Nell'ambito della cultura mediterranea della panificazione, il territorio materano presenta aspetti molto interessanti che meritano un approfondimento e non solo riguardo l'aspetto puramente alimentare. Il pane di Matera è sicuramente uno dei più integri e gustosi nel panorama italiano ed ancora oggi permangono tracce della "sacralità" attribuitagli dalla sensibilità popolare. E’ un prodotto della cultura locale da preservare nelle sue caratteristiche di gusto e qualità, ma soprattutto per il retroscena culturale e simbolico in cui si è sviluppato e che ne ha conservato l'integrità fino ai 44 Il pane di Matera Alla scoperta di una delle risorse più importanti e caratteristiche del territorio materano portatrice di significativi valori storici culturali ed artistici giorni nostri. Sono infatti molti gli elementi culturali ed artistici che rendono unico il pane di Matera, prima fra tutte la sua forma caratteristica a cornetto, sintesi di simbolo ed esaltazione del gusto. La forma del cornetto è frutto di una grande abilità manuale tramandata da generazioni di panificatori e che esclude la riproducibilità meccanica, garantendone la lavorazione artigianale. La forma del cornetto rimanda simbolicamente ad archetipi di culture ormai scomparse, legate ad antichi riti lunari e solari, aspetti leggibili più chiaramente nei comignoli dei forni comuni, alcuni dei quali ancora visibili negli antichi rioni dei Sassi e scolpiti nel materiale fondante della città vecchia, il tufo, da abili artigiani che hanno saputo interpretare, esaltandole, le simbologie proprie della panificazione: la fecondazione e la lievitazione. Il gioiello di questa cultura è il timbro del pane, che meriterebbe una posizione di rilievo nella storia dell'artigianato italiano. Legato al mondo pastorale, dai pastori creato e scolpito nel legno, era utilizzato per imprimere un segno di riconoscimento del proprio pane al ritiro dalla cottura nei forni comuni. Il gesto di "marchiare" acquistava un significato rituale e allusivo, legato agli antichi riti di fecondazione. Questa forte valenza simbolica si evince ancor più se si pensa che il timbro del pane, in alcuni casi, veniva portato in dote dall'uomo, con la duplice funzione simbolica di recare cibo e nutrimento (il pane) ma anche virilità nella procreazione (la fecondazione). Formalmente, il timbro del pane è costituito da un blocco unico scolpito nel legno, di dimensioni variabili dai dieci ai trenta centimetri, a sviluppo verticale; è articolato in due sezioni, l'inferiore e la superiore. La prima, parte marcante, porta inciso un segno distintivo forte, in origine derivato dalla stilizzazione del simbolo solare fecondante ed in seguito sintetizzato nelle iniziali del capo famiglia; la seconda, superiore, da intendere come manico, in cui si ravvisano decorazioni simboliche a sviluppo fallico e antropomorfo, ma anche 45 zoomorfo, architettonico o sacro. La persistenza simbolica si è mantenuta nel corso dei secoli finché è sopravvissuta la cultura pastorale e contadina; con la sua scomparsa, il timbro si è svuotato di ogni significato rituale per divenire un puro contrassegno di proprietà. La scomparsa dei forni comuni, sostituiti da panettieri commercianti, ha reso poi inutile l'utilizzo del timbro, che è stato pian piano dimenticato come oggetto e come simbolo. Perché questo mondo ricco e affascinante non vada perso del tutto, è fondamentale oggi impegnarsi per creare operazioni culturali e, perché no, anche commerciali, che attraverso nuove chiavi di lettura operino una reinterpretazione del vasto tesoro culturale posseduto dal territorio materano. 46 47 autori di Massimo Bignardi Inquietanti forme del poetico Le opere di Daniela Cannella e Nello Ferrigno si segnalano sulla scena della nuova ceramica d’arte mediterranea Il tema del confronto e del rapporto con la tradizione è tornato, in particolare quando si parla di ceramica, uno dei punti dolenti. Lo è stato e lo è ancora, avvolto da un alone di incertezza e di preoccupata adesione, spesso forzata, alla contemporaneità, divenuta quest'ultima, cifra di spinte verso un’omologazione, disposta ad accogliere sia una disinformata conoscenza della realtà, sia l'inconsistenza di prospettive gonfie di una genericità raccapricciante, così come segnalano alcune recenti iniziative, tenutesi in area salernitana, promosse dalla Fondazione Carisal. A sentire le relazioni del convegno "Ceramicarte", svoltosi dal 31 maggio al 1° giugno dello scoso anno, la linea che unisce la tradizione all'attualità, almeno per il caso della ceramica vietrese, è tutta ancora da costruire, dondolando fra l'ambiguità e l'uso strumentale del termine tradizione o, peggio, senza definirne una possibile anima (che non è solo lo sterile e "nominale" elenco dei decori e delle forme, tracciato su affrettate geografie), bensì quell'humus del luogo, con le sue atmosfere, le sue "leggende", i suoi aneddoti e le "vicende" della comunità che sono, ricordava anni addietro Paolo Apolito (al quale si deve una delle letture più interessanti, 48 in chiave antropologica, della ceramica vietrese), la vera linfa della tradizione. A questa linfa si rapportano i lavori di due giovani artisti, Daniela Cannella e Nello Ferrigno, le cui sperimentazioni annodano i fili con un ambito creativo, ove lo studio e l'analisi della tradizione diviene motivo di sondaggi sia nella sfera di un nuovo naturalismo, sia riprendendo la vivacità di un'ironia narrativa, propria delle manualità povere dell'immaginario mediterraneo. Daniela Cannella è un giovane architetto salernitano, da anni attento design con lo sguardo rivolto all'elaborazione di una possibile strada da aprire alla ceramica d'arte, senza, però, volgere le spalle alla tradizione per inseguire tracciati distanti dalla sua origine. La tradizione, soprattutto quella vietrese, è assunta come matrice mentale, vale a dire quale terreno poetico, una sorta di atmosfera "primigenia" da respirare; tutto ciò con una ben decisa identità critica che spinge la giovane artista a sondare terreni posti fra la scultura e l'oggetto funzionale. In tale ambito si collocano i vasi realizzati in questi ultimi mesi, connotati da una forte "azione" poetica, di valenza narrativa, ove le forme, costruzioni arbitrarie di quel fantasma che abita la mente dell'artista, assumono i contorni di un velato discorso amoroso, Nella pagina a fronte: Daniela Cannella, “Coppia” terracotta, 2000 (foto: R. Venturini). In questa pagina, da sinistra: Daniela Cannella, “I due fratelli” terracotta e maiolica, 2000; “Insieme” terracotta, argilla nera, argilla bianca, argilla rossa, 2000. 49 sospeso fra l' occhio "interiore" del progetto (con l'implicito desiderio di creare nuove forme, quindi, ulteriori presenze) e la natura. Sono, per lo più, oggetti poetici che evocano le forme di elementi naturale, tronchi d'albero recuperati, nella loro torsione di corpi, dalla fragile consistenza dell'argilla ed animati dalla porosità di una superficie che assorbe ogni scarto di luce, accentuandone le nervature, le pieghe, insomma attivando immaginativamente la materia. Diversamente a quanto facevano registrare i suoi primi lavori, penso a quel "servizio da caffè" esposto anni fa in occasione del Premio Nazionale di Ceramica di Vietri sul Mare o, anche, a "Punto e virgola" una composizione da tavolo in verde ramina, nei quali l'interesse era maggiormente rivolto al design, dunque a risolvere in chiave funzionale il dettato delle forme, nelle opere esposte in mostra l'attenzione si sposta sulla capacità evocativa che esse hanno. In pratica se nei primi lavori era il progetto -affidato ad una sorta di leggerezza immaginativa sottesa, però, da un rigoroso dettato compositivoa sollecitare l'artista, in questi ultimi "vasi", invece, è una componente "animistica" a farsi largo, a schiarire le linee di quell'orizzonte al quale guarda 50 Daniela Cannella. Scelta resa ben evidente sia dalla composizione strutturale, che rinunzia tanto al lucignolo tanto alla rigida architettura del tornio, sia dall'azzeramento del dettato cromatico, insomma del decoro orchestrato dagli ossidi sugli smalti. Infatti questi vasi a mo' di tronchi sono sottili sfoglie di argilla, stese come carte increspate e colorate ora dal rosso naturale della terra cotta, ora dagli impasti di argille nere. Ad una linfa, intesa nel suo radicato valore di origine dell'immaginario collettivo, guarda Nello Ferrigno, attento dai primi anni Ottanta, dopo una, se pur appartata e defilata, esperienza di "operatore culturale" - a declinare, in ceramica, un repertorio di forme della mitologia mediterranea, sollecitato dal desiderio di ripercorrere tracciati in parte noti, senza farsi rapire dalla nostalgia, anzi mantenendo la curiosità rivolta verso il futuro, verso i nuovi linguaggi. Una scelta che Ferrigno fa affidando la capacità narrativa, propria della figura, ad un inquietante dettato ironico, ad una compiacente ma graffiante silhouette, pronta a sedurre lo spazio, con il nascosto fascino di quel mondo classico dal quale essa è attinta. Ferrigno riprende il suo confronto con l'immaginario collettivo, quello dell'habitat originario, a distanza di quasi venticinque anni, da quando con altri artisti salernitani -penso ad Ignazio Collina (passato oggi nelle file dei ceramisti), Davide, Rescigno, Marano, Vecchio, Nobile e Salvatore Autuoriaveva aderito a quel progetto di "partecipazione sociale" lanciato a Marigliano nel 1975 in occasione della mostra "Napoli Situazione '75". Ambito di ricerca meglio documentato nella specifica sezione allestita alla Biennale di Venezia del 1976: è questo un momento per l'arte a Salerno, ancora oggi tutto da studiare, le cui tracce restano nel volume di Enrico Crispolti “Arti visive e partecipazione sociale”, apparso nel 1977. Già nelle opere e negli interventi di quegli anni la cifra ironica, propria di un'azione corrosiva diretta contro le apparenze di "estetiche" mondanità, era stata assunta da Ferrigno quale misura del desiderio di ritrovare un dialogo creativo con la tradizione, guardata da una postazione critica, intenta a capire i rivoli vivi, i flussi legati al battito del tempo. È questa la radice dalla quale prendono l'avvio le sue figure, i suoi cavalieri, le sue donne sottratte ad un repertorio di scene circensi, i cavalli sintetizzati, quasi, come forme monolitiche, rassicurate da una Nella pagina a fronte: Nello Ferrigno, “Cavallo Alato” maiolica e smalti vetrosi, 2001. In questa pagina, dall’alto: “Cavaliere” terracotta e ingobbio, 2000; “Amazzone” maiolica, smalti vetrosi e ingobbio, 2000 (foto: R. Venturini). geometria compositiva, repentinamente, però, messa in discussione dalle sensuali sagome di bianche amazzoni. Le opere recenti, esposte in occasione della mostra "Nuove Terre", organizzata al Museo Città Creativa di Salerno, testimoniano di un'ulteriore sintesi formale, già ampiamente avviata nei piatti, nei vasi e negli oggetti esposti nella personale allestita la scorsa estate a Palazzo Genovesi a Salerno. Una sintesi che non è solo compositiva o, meglio, della forma oggetto -registrata dalla rinuncia dei movimenti dettati dai rilievi- bensì cromatica evidenziata dal ricorso all'ingobbio, alle sue possibilità di graduare la luminosità delle superfici. 51 AUTORI di Adriano Gatti Josif Droboniku Pittore ritrattista e mosaicista ispirato da un grande retaggio spirituale e culturale inizia la sua attività artistica nel 1977 interpretando con professionalità e maestria la secolare tradizione dell’icona e del mosaico bizantino Il fare mosaico è ancora considerata una delle specialità più nobili dell’artigianato artistico: dalla grande tradizione friulana (mosaici di fattura aquileiese, forse i mosaici più numerosi nell’area padana orientale) a quella di Monreale (il celebre Duomo) e di Ravenna (Basilica di S. Vitale, Basilica di S. Apolinnare, Mausoleo di Galla Placidia), il nostro territorio è ricco di testimonianze di quest’antica arte. Testimonianze legate alla storia e ai modelli figurativi spesso eredi di antiche scuole di mosaico paleocristiane, teodoriciane e bizantine. Oggi il mosaico trova sempre più occasioni di rinnovamento figurativo e tipologico e quindi è con notevole interesse che ci avviciniamo al lavoro di Josif Droboniku in quanto le sue opere evocano tutta la storia della grande tradizione del mosaico e della pittura monumentale quale è l’affresco. Nato a Fieri (Albania) Droboniku si è presto trasferito a Tirana dove ha frequentato, con ottimi risultati, il Liceo Artistico e poi l’Accademia di Belle Arti specializzandosi in pittura monumentale, affresco e mosaico. Ha iniziato quindi la sua attività nel 1977 e la sua abilità in questa arte gli ha procurato subito riconoscimenti: è stato invitato a partecipare alle più importanti mostre nazionali in Albania, a cui sono seguite committenze, 52 Nella pagina a fronte: “Madonna Odigitria”, icona su tavola Monastero di San Basile (CS). soprattutto per la realizzazione di grandi mosaici eseguiti in molti edifici statali e pubblici di Tirana, ai quali si sono spesso aggiunti ritratti, paesaggi e tele di carattere storico e sociale. Ma è nell’affresco e nel mosaico che Droboniku si afferma raggiungendo risultati di altissimo livello: i lavori eseguiti per il Museo Civico e il Polifunzionale di Lushnje e Peshkopia; i mosaici del Palazzo della Cultura, quello Sotto: “Cristo Pantocratore”, mosaico diametro mt. 11, superficie mq. 115 cupola centrale della Cattedrale di San Nicola di Mira in Lungro (CS). della Facoltà di Agraria della Università di Tirana di cui è coautore e, soprattutto, il grande mosaico (500 mq) della facciata del Museo Nazionale di Tirana. Ciò che appare estremamente affascinante nel lavoro di questo artista è la capacità di rifarsi ai modelli “bizantini” riferiti alle immagini sacre della chiesa. Il grande Cristo su fondo oro con le braccia aperte, le complesse “pale” d’altare, i polittici: queste e altre opere sono spesso realizzate come antica aspirazione di “decorare” in armonia con l’architettura. Di fatto il mosaico e la pitturaaffresco hanno proprio la caratteristica di modellarsi su piani, cupole, volte, absidi, archi, adattandosi al corpo costruito come una pelle, come un vestito che ridisegna gli elementi di un nuovo spazio. Così il decoro musivo di 53 Sotto, dall’alto e da sinistra: “Trittico la vita del Signore”, icona su tavola, collezione privata, Civita (CS); “La Cappella di battesimo”, mosaico mq. 32, Cattedrale di Lungro (CS); “Scena dell’Ascensione”, icona su tavola, mt. 4x8, San Costantino Albanese (PZ). Nella pagina a fronte: “Madonna Odigitria” e “Gesù con Vangelo” mosaici su tavola, cm. 60x100 collezione privata, Lamezia Terme (CZ). Droboniku, che si sviluppa attraverso le immagini della grande tradizione orientale, fa cambiare le regole dello spazio architettonico attraverso il sapiente gioco di luci e di ombre di ori splendenti. Dal 1990 Droboniku è in Italia (da otto anni vive a Lungro) e si può dire che in questa comunità italo-albanese ha ritrovato un lembo della sua patria, stimoli e motivazioni nuove per il suo impegno artistico, forme antiche, ma intimamente connesse ad un grande retaggio spirituale e culturale, in cui cercare ed interpretare l’arte sacra dell’icona e del mosaico bizantino. Così in questi ultimi anni ha eseguito grandi pitture murali in molte chiese della Diocesi di Lungro, rifacendosi ai modelli tradizionali dell’arte sacra bizantina, arricchiti dalla lezione che proviene da un grande maestro iconografo, suo conterraneo, di fama universale come Onufrio. Ha realizzato le icone per molte iconostasi di Chiese della Diocesi di Lungro, Fascineto, Plataci, S. Benedetto Ullano, Marri di S. Benedetto Ullano, Falconara Albanese, Sofferetti, ma soprattutto ha realizzato il grande mosaico della cupola centrale della Cattedrale di Lungro che presenta la maestosa figura del Cristo Pantocratore. E sempre nella stessa cattedrale, il mosaico dell’abside della 54 Cappella del Battistero, altro splendido e maturo esempio di realizzazione di mosaico bizantino, oltre ai mosaici di S. Andrea, dei 4 Evangelisti, del Credo, degli Angeli e 5 mosaici all’interno del Vima realizzando complessivamente circa 300 mq di nuovi mosaici. Altre importanti opere musive sono state eseguite per le Chiese parrocchiali di Civita e S. Sofia d’Epiro. In fase di ultimazione sono il mosaico centrale della chiesa Mater Domini di Catanzaro (50 mq), il Cristo Pantocratore della Chiesa di S. Benedetto Ullano e la pregevole e unica opera musiva di 85 mq del “Giudizio Universale” (tempio della Cattedrale di San Nicola di Mira di Lungro). Retaggio delle varie dominazioni bizantine o tentativo di ricreare lo sforzo e le meraviglie artistiche della corte di Costantinopoli? In ogni caso la presenza storica in Italia del mosaico ritrova oggi, con Droboniku, una continuità secondo quei modelli consolidati che gli “Ortodossi” hanno sempre voluto mantenere intatti al di sopra dell’evoluzione della storia dell’arte. Così, malgrado ci sia ancora, nel nostro territorio, un’avversione iconoclasta (espressa da certa cultura ufficiale) nei confronti della decorazione e delle arti applicate in genere, che ha spesso limitato lo sviluppo e la diffusione dell’arte musiva sul nostro territorio, il lavoro di Droboniku, per la sua qualità, sta sempre più convincendo e conquistando estimatori. Sue opere, soprattutto icone, sono presenti in diverse chiese o collezioni private, congregazioni per le chiese orientali, seminario regionale di Catanzaro, parrocchia di Genzano, a cui si aggiungono numerose mostre in diversi centri (anche piccoli) come Firmo, Frascineto, Lungro, Altomonte, Acquaformosa, Roseto Capo Spulico, ma anche Lucca, Roseto degli Abruzzi, per far conoscere e propagandare 55 Dall’alto e da sinistra: iconostasi e affresco catino dell’abside in pittura, San Costantino Albanese (PZ); iconostasi e mosaico sull’abside, mq. 50, San Benedetto Ullano (CS); iconostasi, Chiesa di Santa Lucia Frascineto (CS). 56 Nella pagina a fronte, dall’alto: Josif Droboniku e la moglie Liliana all’opera nel laboratorio di via San Leonardo a Lungro (CS); Beato Daniele Comboni icona su tavola, cm. 50x70, Brescia. l’arte sacra dell’icona, cui dedica ormai il meglio di sé e del suo impegno artistico. Una grande lezione per salvaguardare e conservare, rinnovandolo, il patrimonio artistico del mosaico della tradizione orientale bizantina. Nella primavera del 2000 la trasmissione “Bell’Italia” di RAI 3 gli ha dedicato un esaustivo ed interessante servizio e, sempre nello stesso anno, l’artista ha partecipato, nel padiglione dedicato all’artigianato artistico italiano, alla manifestazione “Ambiente” tenutasi presso la Fiera di Francoforte. Oggi Josif Droboniku si avvale della preziosa collaborazione della moglie Liliana, scrupolosa ideatrice ed esecutrice di ieratiche figure e solenni soggetti della tradizione religiosa orientale. “Arberart” è il laboratorio nel quale il nostro maestro, affiancato dalle due giovani figlie, progetta e realizza le opere più nobili dell’artigianato artistico e conferisce la solennità che soloil mosaico riesce a dare alle immagini sacre. Il mosaico e l’icona sono le forme artistiche che Droboniku predilige ed è proprio al mosaico e all’icona che Josif vuole dedicare particolare attenzione. Sulla scorta delle innovative prospettive demandate dalla nuova legge della Regione Calabria (15 marzo 2002) sulla tutela dell’artigianato artistico, ha voluto istituire una bottega-scuola per educare e formare i giovani all’arte musiva e all’iconografia. Ad Altomonte, città d’arte conosciuta a livello nazionale, il maestro Droboniku ha voluto inaugurare un laboratorio, punto di esposizione permanente, per gettare le basi della sua nuova idea imprenditoriale di bottega-scuola, in un luogo che ha scoperto da poco tempo i tesori del mondo bizantino. 57 FIERE E SALONI di Claudia Ferrari Dopo il grande successo della 47° edizione del Gift di febbraio che, con oltre 18.000 presenze, ha saldamente mantenuto le posizioni acquisite nel settembre 2001, si avvicina ora la prossima edizione, rivolta in particolare al Natale, che può essere presentata in 3 parole: Firenze, regalo, mercato e altrettante buone ragioni per decidere di incontrarsi alla Fortezza da Basso dal 13 al 16 settembre prossimo, 58 48° Florence Gift Mart Alla Fortezza da Basso di Firenze dal 13 al 16 settembre si ripresenta l’evento dedicato al regalo, oggettistica e artigianato artistico che per proposte e servizi personalizzati non ha paragoni nel settore complice l’aspettativa creata dalla ricorrenza del Natale, a cui nessuno vuole mancare. Perchè Firenze? Perchè città ideale per quella sintesi di natura e arte, cultura e vocazione imprenditoriale, che nel tempo le ha tributato una centralità non soltanto geografica e che oggi ne fa il luogo deputato, spontaneamente incline all’ospitalità e per di più facilmente raggiungibile per un appuntamento fieristico a carattere internazionale. Cosa presenta il Gift? Il settore regalo: un settore multiforme, evocativo di quell’antico rito del dare e del ricevere che è comunicazione, vivere insieme, rappresentato al Gift nelle sue molteplici declinazioni, dalla tavola alla bigiotteria, dalla decorazione al complemento d’arredo, dall’oggettistica più sfiziosa e segnatamente contemporanea all’artigianato artistico, che proprio a Firenze ha profonde radici, punto di forza e motivo trainante del made in Italy; ma anche tante gustose incursioni nell’esotico, nell’etnico, suggestioni da terre lontane che accendono di sfumature inedite la tradizionale atmosfera natalizia. C’è aria di festa? Natale: lo scambio dei doni, il piacere di una casa accogliente, vestita di nuovo, clima festoso a cui neanche un mercato, tuttora per molti versi titubante, può sottrarsi. E’ il momento clou, una scadenza immancabile. Per chi produce, grande azienda o piccola impresa, è settembre il mese più azzeccato per presentare in anteprima le ultime creazioni, proposte che buyers e dettaglianti potranno agevolmente apprezzzare alla Fortezza da Basso, entro una cornice espositiva elegante e funzionale, come poche al mondo. Nella pagina a fronte: una visuale dello stand “Ceramiche di Miss Dora”. In questa pagina, dall’alto: interno di un padiglione da una precedente edizione; ciotole di “Le Sibille”; immagine di un allestimento della “Industria Vetraria Valdarnese” dalla precedente edizione. Quali servizi? Servizi funzionali ed efficienti. Una ragione in più per esserci, comunque protagonisti: il Florence Gift Mart garantisce ai suoi espositori e visitatori servizi personalizzati, un’assistenza efficiente, curata nei dettagli, disponibilità al dialogo, presenze qualificate di operatori. Garanzie che si traducono per i compratori in altrettanti vantaggi, primo fra tutti la facile e rapida visibilità, che solo una mostra di dimensioni contenute e spazi razionalmente organizzati può assicurare. Ente Mostre Monza e Brianza Via G.B. Stucchi 64 - 20052 Monza Tel. 039.2842310 fax 039.2842312 59 Fiere e saloni di Osvaldo Valdi Dal 1971 ad oggi, la Mostra dell’Artigianato della Majella è giunta alla XXXII edizione, che si svolgerà dal 1° al 20 agosto 2002. La sede è, come sempre, Guardiagrele, cittadina alle falde del maestoso anfiteatro della Majella, il centro dell’artigianato abruzzese che diede i natali a Nicola da Guardiagrele, Maestro Orafo del XV secolo. L’anno 1981 ha segnato una tappa importante per l’affermazione dei valori rappresentati dall’Ente, a seguito del riconoscimento legale offerto dalla Regione Abruzzo, premessa di ulteriori traguardi: quali la legge che conferirà piena autonomia all’Ente Mostra, l’istituzione delle “Botteghe-scuola”, con la prospettiva di uno status per l’artigianato artistico e per gli allievi, necessari per la continuità del processo generazionale, ed infine la Mostra permanente che possa riunire i reperti degli oltre trent’anni di attività finora laboriosamente trascorsi. Particolare importanza riveste il concorso biennale a tema, organizzato dall’Ente, dedicato ai settori dell’artigianato artistico, della ceramica, del ferro battuto, della pietra lavorata, del legno, del tombolo e dell’oreficeria. “Rosoni e simboli solari 60 I rosoni delle chiese d’Abruzzo Rievocazione storica a confronto con la creatività degli artigiani d’oggi nel tema stimolante del concorso bandito per la XXXII Mostra dell’Artigianato della Majella Nella pagina a fronte: sedia in ferro battuto di Filippo Scioli, I° premio settore ferro battuto, 1998. In questa pagina, dall’alto, in senso orario: scorcio della Mostra; brocca in ceramica di Paola Iannucci, I° premio settore ceramica, 1998; piatto in ceramica di Juvanum Ceramiche e vaso in rame di Nicola Vitullo; foglie ornamentali in ferro battuto di Luciano Prinzio con brocca e anfora in ceramica di Andrea Bontempo; orecchini in filigrana d’oro tradizionale di Gianluca Macino (Pescocostanzo). d’Abruzzo”: è questo l’affascinante soggetto del concorso di quest’anno, in cui si porranno a confronto nuove opere create sull’esempio degli antichi artigiani, che hanno interpretato per secoli la bellezza ed il profondo significato simbolico del tema. Tutte le opere presentate verranno esposte dal 1° al 20 agosto, nel corso dell’annuale Mostra dell’Artigianato. L’architettura romanica abruzzese offre ancora oggi esempi di splendidi rosoni; ma il tema è ricco di implicazioni ed evocazioni culturali, e non è sfuggito ai critici più attenti lo stretto rapporto fra la simbologia solare del disco radiante, tipica dei rosoni, con quella analoga, ma miniaturizzata nelle opere d’oreficeria, rappresentata dalle celebri “presentose” abruzzesi, gioielli celebrativi femminili che ci riportano al singolare patrimonio culturale regionale, con radici comuni alla tradizione del filo d’oro, del ricamo e dei merletti. Un’occasione rara, dunque, per i turisti che potranno coniugare l’ammirazione per i tesori d’arte proposti ai visitatori della Mostra, con i panorami incontaminati offerti dalla natura nel vasto territorio riservato e curato dal Parco Nazionale della Majella. 61 FIERE E SALONI di Federico Gatti 66a Mostra Mercato Internazionale dell’Artigianato La qualità dei prodotti presenti in mostra l’ottima accoglienza delle 9 mostre collaterali e l’innovativa ripartizione degli spazi hanno reso più attraente e godibile l’ultima edizione organizzata da Firenze Expo & Congress dal 20/4 all’1/5 alla Fortezza da Basso di Firenze Nella splendida cornice della Fortezza da Basso di Firenze, oltre 25.000 visitatori, nell’ultimo giorno di apertura della 66a Mostra Internazionale dell’Artigianato, hanno suggellato il successo della manifestazione che si è chiusa il 1° maggio battendo ogni record. E’ stato superato per la prima volta il tetto delle 200.000 presenze, con 207.000 visitatori italiani e stranieri. Anche i visitatori professionali hanno segnato un forte aumento, con 11.000 unità che svilupperanno acquisti anche nei prossimi mesi, sulla base dei contatti stabiliti in fiera con i 750 espositori, di cui ben 250 stranieri provenienti da 62 paesi. Fra i principali motivi del successo della mostra, oltre alla qualità dei prodotti presenti, frutto della selezione, l’ottima accoglienza avuta dalle nove mostre collaterali e dall’ innovativa ripartizione degli spazi che -grazie al layout curato dall’architetto Allori- ha saputo rendere la mostra più attraente e godibile. Un successo particolare ha saputo raccogliere la Piazza del Gusto che ha concentrato una offerta di specialità gastronomiche da tutto il mondo, a partire dalla cucina toscana a quella brasiliana. La prima edizione del Premio dell’Artigianato ha riscosso grande interesse fra espositori e visitatori, mettendo in luce opere di grande pregio come, nella sezione tradizionale, quella del maestro 62 Nella pagina a fronte: un’ambientazione dalla mostra “Frammenti d’oro, schegge d’argento”. In questa pagina, dall’alto e da sinistra: vasi antropomorfi di Ugo la Pietra dalla mostra “L’oggetto travestito”; vasi-scultura di Bruno Gambone e vasi di originalissima fattura dall’evento espositivo “Visioni”. artigiano Franco Barucchieri di Castiglion Fiorentino. Molta soddisfazione è stata espressa dall’Assessore al Turismo del Rio Grande do Sul che rappresentava il Brasile, paese ospite d’onore, portatore a Firenze del fascino dei gauches, del churrasco e del samba. Ricordiamo gli eventi organizzati: - Visioni: quando l’artigianato è d’autore (Va edizione); - Artigiani brasiliani “in diretta”; - Sculture d’aria (Ballon Art); - L’oggetto travestito, a cura dall’ar- chitetto Ugo La Pietra; - Naturalmente!, in collaborazione fra Firenze Expo & Congress e la GHM di Monaco di Baviera; - Frammenti d’oro, schegge d’argento; - Tipico, La piazza del gusto; - Artigiani all’opera; - Progetto giardino; - Green Home, in partnership fra Regione Toscana, Consorzio Casa Toscana e Università di Firenze; - Artigiani in diretta; - Il Treno dell’Artigianato da Siena a Santa Maria Novella. “Con questo successo” - dichiara Federico Galdi, amministratore delegato di Firenze Expo & Congress- “la nostra società ha dimostrato una forte vitalità, al di là delle polemiche strumentali di questi ultimi giorni e in un momento in cui tante fiere, anche internazionali, segnano il passo. Ai nuovi amministratori, che si insedieranno prossimamente, consegnamo una Mostra dell’Artigianato e una Fortezza in buona salute ed in decisa crescita". 63 M a t e r i a l i e t e c n i c h e le tecniche dei maestri FUSIONE ARTISTICA DEL BRONZO di Gianmaria Colognese Definizione e componenti Il bronzo è una lega metallica composta da rame (Cu: 87,94%), stagno (Sn: 7,22%), zinco (Zn: 4,73%), antimonio Sb: 0,06%). Per rendere il bronzo più fluido, era consuetudine fino a pochi anni fa, fondere nella lega piccole quantità di piombo, il cui uso fu proibito a causa dell’alta tossicità dei suoi fumi e polveri. Il grado di fusione è di 1200°C e, in fase di raffreddamento, si ha un ritiro del 2% circa al mq; prima della colata si aggiunge rame fosforoso allo scopo di disossidare il metallo. Il termine “bronzo” sembra derivare dalla denominazione che i romani davano al rame “aes brunum”, poi trasformato nel medio evo in “aes brundium”. Le percentuali dei componenti della lega possono variare a seconda delle necessità cui deve far fronte il fonditore per ottenere particolari tipi di fusione e di colorazioni. Queste dipendono dall’utilizzo finale, che nell’arco dei secoli è passato dall’utensileria alle fusioni artistiche e statuarie, dalle campane alle armi da fuoco, da accessori decorativi a parti meccaniche di motori. Infatti le colorazioni classiche, di base, sulle quali si stenderanno le patinature finali, sono ottenute con meno del 5% di stagno per il “rosso-rame”; con stagno variabile tra 5 e 10% per il colore “giallooro” e con oltre il 22% di stagno per il “bronzo-bianco”. Così, nel bronzo da campane, l’alta percentuale di stagno e zinco provoca la massima resa nella sonorità da battuta. Cenni storici Gli storici dell’antropologia hanno fissato l’età del bronzo all’incirca tra il 2200 e il 700 a.C., individuando nelle regioni mediorientali (Mesopotamia, Egitto) le sedi originarie dalle quali il metallo si è diffuso in Occidente e nel bacino mediterraneo. Nel periodo più antico, le fusioni venivano fatte in stampi aperti di pietra o argilla cotta, risultando così un lato modellato e l’altro piatto. In un periodo successivo si utilizzarono degli stampi chiusi su una forma positiva (generalmente in argil- 64 la) per ottenere delle fusioni modellate tridimensionalmente. È dell’inizio del III° millennio l’invenzione della tecnica di fusione a cera persa. All’inizio questa tecnica si usava plasmando una forma di argilla su una forma di cera: mediante cottura si eliminava la cera che lasciava un vuoto che veniva riempito dalla colata della lega fusa. In questo modo però, essendo il modello pieno, l’opera in bronzo risultava essere molto pesante e non consentiva di realizzare oggetti o sculture di grandi dimensioni, e la quantità eccessiva di metallo provocava ritiri incontrollabili con conseguenti deformazioni e crepe del pezzo. Attraverso ulteriori perfezionamenti, nel VI secolo a.C. si elaborò un sistema di fusione a cera persa in cui la scultura in cera è modellata su un corpo di terra (anima). Su questo modello si collocano i canali per la colata del getto e per la fuoriuscita dei gas, quindi si copre tutto con argilla. Con la cottura si fa sciogliere la cera che viene scaricata fuori attraverso dei fori e il bronzo fuso riempie il vuoto lasciato dalla cera. Con questa tecnica il modello originale viene distrutto, consentendo la realizzazione di un pezzo unico. Va fatto notare che lo spessore del bronzo non risultava essere ancora abbastanza sottile (da 1 a 2,5 cm circa). Un notevole perfezionamento si raggiunse nel III° sec. a. C. con la formatura tassellata del negativo, che consente di conservare il modello che può essere così riprodotto più volte. Questo metodo, chiamato anche indiretto, procede dalla forma verso il nucleo, con successivi riempimenti, mentre l’altro metodo di cui si è parlato precedentemente, detto diretto, parte dal nucleo per arrivare alla forma con varie stratificazioni. Con questo sistema, si giunse nella Roma imperiale ad ottenere fusioni che raggiungevano i 2 mm di spessore. La tecnica sopra descritta, nel Medio Evo viene dimenticata, e si ritorna alla modellazione diretta, per una produzione scarsa e grossolana, limitata soprattutto alla realizzazione di campane e di porte per le chiese. Dal tardo Rinascimento in poi, con il Cellini, la tecnica di fusione riprese ad espandersi anche se con molte difficoltà tecniche (vedi la descrizione della fusione del “Perseo” in un solo getto, fatta da Benvenuto Cellini nella sua autobiografia). Ne segue la riscoperta del calco a tasselli, il migliorarsi delle leghe, l’ottenimento di spessori molto sottili e fedeli al modello con l’eliminazione di faticosi interventi di finitura a freddo. Nel XVI° sec., con il Giambologna, il procedimento a tasselli viene adottato sistematicamente, cominciando a scindere il lavoro dell’artista da quello del fonditore. La tecnica a cera persa rimasta invariata fino ai giorni nostri, viene eseguita in fonderie artistiche, dove mano d’opera specializzata esegue tutte le varie fasi di lavorazione che possono essere così riassunte: formatura (preparazione di fonderia), fucinatura e finitura a freddo. All’artista ormai rimane l’intervento del ritocco delle cere. Alla tecnica tradizionale si è aggiunta la scoperta delle gomme siliconiche, che consente la facile riproduzione di numerose copie e una più rapida e precisa operazione di calco, e quella delle conchiglie ceramiche che permette una maggiore maneggevolezza delle forme e velocità di esecuzione. A quanto detto, si aggiunge anche un’altra tecnica, più simile ai sistemi della fusione industriale, quella detta “a staffa”. Fusione a cera persa Ad ognuna delle sezioni già citate precedentemente corrispondono altrettante fasi di lavorazione. Formatura Il calco del modello (fatto in gesso, legno o altro materiale consistente) viene realizzato dopo aver valutato la sua complessità. Se semplice, si può fare in due valve, se complicato si può sezionare l’opera in più parti. In passato i calchi venivano realizzati in gelatina animale, materiale elastico e riciclabile, che veniva colata negli M a t e r i stampi e che per la sua elasticità poteva sfilarsi facilmente dai sottosquadri dei modelli e riprendere la propria forma originaria, una volta riposta nella madreforma. A causa della sua facile deteriorabilità, dovuta all’origine organica, la gelatina è stata sostituita da gomme siliconiche, nate negli anni ’40, e che hanno il vantaggio di essere molto elastiche, precise nell’impronta e di facile applicazione sia per colaggio che a spatola o a pennello. Si ottiene così uno stampo di pochi millimetri, leggero, che consente di ottenere numerosi modelli mediante il colaggio anche di materiali diversi (gesso, cera, cemento, ecc.) e di durare a lungo conservato nella madreforma. Nuove ricerche hanno portato alla scoperta di un particolare distaccante (MACRO 2000), che non viene assorbito dalla superficie del modello, e facendo corpo unico con i vari siliconi, consente di attuare stampi anche su preziose opere d’arte in marmo, terracotta e bronzo, senza provocare danni. La sequenza delle operazioni per la formatura di un modello a tutto tondo di gesso sono descritte in seguito. Calchi I calchi si possono realizzare in gomma siliconica liquida, in gomma siliconica pastosa, in solo gesso nel caso in cui l’opera sia priva di sottosquadri, calco misto in gesso da un lato e dall’altro in gomma siliconica e controstampo in gesso. Qui si descriverà quello in gomma siliconica liquida che è uno dei più usati. Il modello pulito, viene posato fino a circa metà su una base di argilla o plastilina, e si costruisce una parata di 3 o 4 cm lungo il suo contorno. Si copre il modello emergente con un piano di argilla di 7-8 mm, lasciando libera la parte esterna del bordo che viene arginato per delimitare la colata di gesso. Questo piano sarà successivamente rimosso, lasciando un’intercapedine tra il modello e il controstampo in gesso che si va a realizzare. Quest’ultimo si rinforza con pezze di juta e una volta gettato si rifinisce. Si capovolge il lavoro e si livella l’argilla con il bordo del controstampo ottenuto, sul quale si realizzano delle chiamate con una spatola di acciaio e si collocano i cunei che serviranno per aprire lo stampo. Sul bordo in gesso del controstampo si spalma il distaccante, si copre con un piano di argilla l’altra metà del modello e sulle zone più sporgenti si applicano ad una distanza di circa 15 cm dei cilindretti di argilla di 2-3 cm di diametro che serviranno a l i e t Fase della formatura: da un modello in gesso alla cera con calchi in gomma siliconica e controforme a due valve. e c n i c h e da imbuti di colaggio e da sfiatatoi della gomma liquida; si ricopre tutto con gesso rinforzato lasciando in evidenza la bocca di colaggio e i fori di sfiato e si rifinisce il gesso prima dell’indurimento. A questo punto si stacca il controstampo con il piano di creta che viene asportato dal modello, si applica il distaccante sui bordi e all’interno del controstampo, che viene riposto sul modello e fissato con graffe o filo di ferro. I bordi vengono sigillati con gesso e sui fori di immissione e sfiato, si pongono degli imbuti. Si compongono in precise quantità catalizzatore e gomma, che viene versata nella bocca di colaggio per riempire l’intercapedine tra modello e controstampo. Dagli sfiatatoi fuoriesce l’aria, impedendo così la formazione di bolle. A questa operazione segue l’apertura e la rimozione dell’argilla dal secondo controstampo. Vengono eseguiti i fori di sfiato e colaggio direttamente sul gesso, si spalma il distaccante e un sottile strato d’olio sul bordo della gomma versata precedentemente, per evitare di farla aderire con quella del secondo guscio. Alla base dello stampo di gomma e del controstampo si ricava un’apertura per il colaggio della cera, per uno spessore di 5 mm circa. Riproduzione in cera e ritocco. La cera (composta da pece greca, paraffina e cera d’api) è formata da due strati. Il primo esterno è più plastico perché più facilmente ritoccabile, il secondo è di cera dura per rendere il modello più solido. Estratto il modello in cera dallo stampo di gomma, si eliminano le colate e le bave e si procede a ritoccare il modello. A questo punto vengono inseriti a caldo chiodi d’acciaio o spilli di ottone che serviranno da supporto dell’anima interna, una volta volatilizzata la cera. I sistemi di colata più usati sono quello “diretto” e quello “a risalire”. Applicazione di sfiati e colate Nel metodo diretto l’imbuto di immissione è direttamente collegato alla cavità da riempire, e per questo la penetrazione violenta del metallo liquido può causare a volte delle lesioni. Nel metodo “a risalire”, si provvede alla cannulazione, cioè al fissaggio sulla cera del modello di tante cannule di bambù (canali di drenaggio), quante il fonditore ritiene necessarie; questo al fine di ottenere i giusti “sfiati”, soprattutto nelle parti “sottosquadra”, raccordati tra loro con un sistema che prevede la canna principale di carico (materozza) e quella generale di sfiato. 65 M a t e r i Preparazione della forma Si pone l’insieme del modello in cera con le canne su un piano sopra un foglio di carta che impedisce al luto di attaccarsi al piano. Si predispone un rinforzo di rete metallica attorno al complesso. Si forma il luto miscelando in un recipiente con acqua, due parti di polvere di mattone o terra refrattaria e una parte di gesso alabastrino. Si getta dell’impasto per formare la base intorno all’opera, poi si cola all’interno del modello in cera del luto più liquido, per formare l’anima. Quindi si completa tutto il rivestimento della cera e si applica un ulteriore rivestimento di rinforzo con un impasto, in parti uguali, di gesso, terra e materiali refrattari, finendo il mantello esterno. Fucinatura Cottura nella muffola: la forma, insieme ad altre preparate, viene sollevata, trasportata all’interno della muffola e collocata su file di mattoni distanziate per formare dei tunnel. Al di sopra dei blocchi, le canne sporgenti degli sfiatatoi vengono tagliate a livello delle forme e i fori coperti da lamierini per impedire l’intrusione di corpi estranei. Chiuso il forno, lo si collega col camino di scarico attraverso il quale si liberano “i fumi delle cere”. Infatti il calore del forno, portato a 400° C per 48 ore, in modo da disidratare uniformemente i refrattari dei blocchi, e successivamente aumentato a circa 800° C, brucia le cere liberando tra anima e mantello l’interstizio entro il quale sarà colato il bronzo fuso. Durante la cottura, naturalmente, bruciano anche i canali di drenaggio. Quando il camino non fuma più è segno che le cere sono completamente volatilizzate; a questo punto si spegne il forno e lo si lascia raffreddare per più di due giorni. Fusione e colata: la forma cotta viene depositata in una grande buca assieme ad altre forme, e lo spazio tra di esse viene riempito con una terra speciale, composta di un impasto di sabbia e di un 10% di bentonite inumidita. Questo procedimento serve a rinforzare le forme aumentandone la resistenza alla pressione esercitata dal metallo fuso. Nel frattempo nel forno a crogiolo, acceso, si pongono i pani di bronzo, in una quantità pari a 10 volte il peso della cera usata per il modello, con un incremento per gli sfiatatoi e le colate. Il forno funzionante a gas, viene portato gradualmente ad una temperatura di 1200° C. Bisogna tenere presente che l’umidità presente nell’aria, a 66 a l i e t Fase della formatura: ritocco delle cere, fissaggio delle cannule, realizzazione dell’anima e del mantello esterno della forma. e c n i c h e contatto con le alte temperature si divide in idrogeno e ossigeno. L’idrogeno sciolto nel bronzo fuso, espulso nel raffreddamento provocherà delle porosità sulla superficie delle opere, mentre l’ossigeno forma degli ossidi sul metallo che si possono eliminare con l’aggiunta di disossidanti nell’ultima parte della fusione. Sempre mentre il bronzo è fuso, si aggiunge una polvere depurante che ha la caratteristica di raccogliere in superficie le scorie e le impurità presenti che possono essere tolte con lo schiumatoio. Il metallo liquido viene travasato in un crogiolo semovente dal quale si versa nelle materozze delle varie forme affioranti dalla buca. Durante la colata, il personale addetto deve indossare accessori di protezione. Finita l’operazione di colata, i blocchi vengono lasciati raffreddare e successivamente si procede a smantellare lo stampo liberando i tracciati di drenaggio che risultano pure fusi, si libera l’interno del modello dall’anima terrosa e si elimina lo strato di luto residuo dalla superficie con un getto d’acqua ad alta pressione (50-100 atm). Finitura a feddo Per finire l’opera si tagliano le colate e gli sfiatatoi con una mola con un disco per il ferro; con una mola più piccola si pareggiano le superfici di attacco e con una tenaglia si tolgono i chiodi che reggevano l’anima. Con una saldatrice elettrica, a filo continuo di bronzo, è possibile otturare eventuali fori, ricostituire pezzi mancanti e assemblare i vari elementi di una stessa opera fusi separatamente. M a t e r i Molte volte per pulire la superficie di una scultura si utilizza una sabbiatrice a microsfere. Con frese meccaniche con punte d’acciaio e al corindone, e con paste abrasive si tolgono le sbavature fino a levigare la superficie. Con punte di feltro o dischetti di gomma siliconica speciale si possono lucidare le parti in rilievo. Finite le operazioni di pulizia e lucidatura, si completa l’opera con le patine. Patinatura Le patine che vengono applicate sono di tre specie: naturali, false e chimiche. Le patine naturali si formano lasciando il bronzo all’aperto esposto all’aria e all’umidità. Le patine false risultano dall’applicazione di smalti e vernici che non provocano alcuna reazione chimica con il bronzo. Le patine chimiche invece si ottengono attraverso reazioni tra il bronzo e solfuri, ossidi e cloruri che provocano un invecchiamento artificiale. Le patine chimiche si possono ottenere anche per seppellimento, per esalazione di fumi da soluzioni chimiche e per immersione. Inoltre le varie combinazioni, tutte in soluzioni acquose, possono essere applicate a freddo o a caldo e, a seconda dei loro componenti, possono dare delle colorazioni varie. Col solfuro di potassio (“fegato di zolfo”) si hanno varie tonalità marroncine, col solfuro di ammonio un colore nero-blu, con nitrato di ferro e nitrato di rame toni che vanno dal marrone chiaro all’arancione-verde, con cloruro di ammonio e cloruro di rame un verde-blu, ecc. Protezione delle patine: per proteggere le patine ottenute è importante eliminare ogni residuo di umidità, e applicare, dopo aver riscaldato la superficie, cera d’api pastosa. La cera, una volta asciutta, si può spazzolare ottenendo così una superficie luminosa. Fusione in conchiglia ceramica Questa tecnica utilizza materiali e attrezzature innovativi rispetto a quelli usati nella abituale fusione già descritta. Tali materiali formano una miscela semiliquida di silice colloidale (legante) e farine e sabbie refrattarie (zirconio, silice fusa, molochite, argilla calcinata). I modelli in cera, ottenuti con le lavorazioni già descritte, vengono immersi in questa composizione e poi ricoperti da un sottile strato di sabbia refrattaria sia esternamente che internamente. In questo modo gli spessori delle forme risultano essere molto sottili, leggeri, resistenti e a bassa deformabilità. Si elimina rapidamente la cera in muffole ad alta temperatura senza problemi di a l i e t Fase della fucinatura: forme depositate nelle buche, fusione e colata shock termico. Si hanno meno difficoltà anche nella colata del metallo, in quanto le parti interne hanno la proprietà di espellere i gas, per cui servono poche cannule e sfiati. Dopo la fusione, l’involucro ceramico si toglie facilmente; con la sabbiatura si eliminano le parti residue e le opere di finitura sono più veloci, in quanto le colate e gli sfiati da eliminare sono pochi e la superficie del bronzo risulta liscia e compatta. Realizzazione della conchiglia ceramica: in una prima fase, si effettua una pulizia accurata della cera, degli sfiati e colate. La tazza di colata ha inserito al centro un tondino metallico per rendere maneggevole il complesso durante la e c n i c h e preparazione della conchiglia. Nella seconda fase, dopo aver preparato due impasti refrattari, si immerge il modello in cera in quello a base di silice colloidale e farina di zirconio. Su questo poi, si applica un primo tipo di sabbia fine che formerà i primi due o tre strati della conchiglia. Applicati i primi strati, si immerge la conchiglia così formata nel secondo impasto, composto da silice colloidale e da farina costituita da materiali meno costosi. A questo punto si applica sulla conchiglia la sabbia del secondo tipo, più grossolana. Il complesso del modello in cera, con sfiati e colate, viene immerso nei due impasti refrattari per 15-20 secondi. Estratto, si fa ruotare per migliorare la distribuzione del legante e si eliminano le bolle d’aria soffiando la superficie con aria compressa. I successivi strati si ottengono con lo stesso procedimento del primo. Il terzo strato si immerge nella silice colloidale sino a completo assorbimento, poi si applica il quarto e quinto strato. L’essicazione completa di tutto varia da un’ora a un giorno a seconda della temperatura, umidità e complessità del modello. Su modelli di grandi dimensioni meglio inserire un rinforzo di rete metallica e impasto refrattario dopo il sesto e settimo strato. Anima per conchiglia ceramica: è molto importante eliminare dalle cavità interne della cera l’umidità. I materiali che vengono usati per costruire l’anima sono già confezionati dalle ditte distributrici della silice colloidale. L’impasto finale viene versato nel modello in cera attraverso il foro per l’anima; si inseriscono i chiodi o gli spilli per reggere l’anima che in tre o quattro ore dovrebbe essiccare completamente. Evacuazione della cera e colata: il sistema usato in genere per evacuare la cera è l’utilizzo di un forno ad alta temperatura (900–980° C) e di uno a bassa temperatura (150–250° C) con il fondo aperto per la fuoriuscita della cera. La conchiglia, assicurata con dei fili d’acciaio inossidabile ad un’asta metallica da impugnare, viene esposta per 20-30 secondi nel 1° forno; quando la cera comincia a fuoriuscire, si trasferisce la conchiglia nel 2° forno per 30–45 minuti e a completamento dell’operazione si rimette la conchiglia nel 1° forno per 20 minuti. Avvenuta la fusione e raffreddato il metallo, la conchiglia ceramica, in parte già lesionata dalla contrazione 67 M a t e r i del bronzo, viene completamente frantumata con uno scalpello e con un martello. Le parti residue si eliminano con la sabbiatrice. Fusione a staffa Come già accennato all’inizio, un’altra tecnica di fusione è quella detta “a staffa”. Normalmente si utilizza per fondere parecchi pezzi o molti piccoli oggetti contemporaneamente. Il modello può essere a due facce ma non deve avere sottosquadri. Dal momento che molte volte non vi è l’anima interna, lo spessore non deve essere eccessivo in quanto la fusione sarà piena. In questa tecnica si usano principalmente delle forme a perdere che si fanno volta per volta con sabbie e terre che devono avere le seguenti caratteristiche: refrattarietà, plasticità e coesione, consistenza, permeabilità (per trattenere il metallo fuso e lasciar sfuggire l’aria e i gas). La sabbia e la terra però, non hanno corpo sufficiente per sostenersi da sole; per questo vanno sostenute con staffe. Le staffe sono telai di ghisa, di forma generalmente rettangolare o quadrata, aperte sopra e sotto; provviste di maniglie e di orecchiette, nei fori delle quali si inseriscono gli spinotti. Gli spinotti servono a collegare le due staffe, ad assicurare l’esatta posizione e, tramite una chiavetta, a tenere saldamente chiuse le due staffe. Inoltre, affinchè la sabbia sia meglio trattenuta dalle staffe, queste sono dotate internamente di due bordini e sul fondo di griglie amovibili. Le dimensioni delle staffe sono assai variabili, da pochi decimetri a vari metri di lato. Forma chiusa di un modello a due facce: il modello è una piastra lavorata su due facce e dovrà essere leggermente più grande del pezzo finito a causa del ritiro nella fase di raffreddamento. Formatura della prima staffa: le operazioni da compiere sono le seguenti: si predispone su un piano la prima staffa riempita con sabbia ben pigiata col rincalzatoio e si completa il riempimento con uno strato di sabbia fresca e fina setacciata, che andrà a diretto contatto con una faccia del modello; si raschia con una riga di ferro la sabbia eccedente e si spiana lungo tutto il perimetro della staffa; si imprime con precisione e fermezza il modello da una parte in modo da far aderire perfettamente i rilievi sulla sabbia. Formatura della seconda staffa: si copre con sabbia asciutta finissima tutta la superficie della prima forma per impedire che la sabbia della secon- 68 a l i e t In questa pagina: fusione in conchiglia ceramica; realizzazione della conchiglia ceramica. Nella pagina a fronte, dall’alto: finitura a freddo; patinatura. da staffa si attacchi alla prima.. Sovrapposta la seconda staffa, si procede alla sua formatura, calcando l’altra faccia del modello. Inoltre si dispone in posizione opportuna il cono per la colata e quello per lo sfiato. Dare aria alla forma: si eseguono due serie di uscite, una all’esterno e una all’interno delle forme. Per quelle esterne, si pratica nel corpo della sabbia delle due staffe, una serie di tirate di aria con un ago specifico, cercando di non andare a toccare il modello. Per le tirate d’aria interne, si aprono le staffe, con una spatola si scava un piccolo solco intorno alla forma che si fa e c n i c h e comunicare in alcuni punti con i bordi della staffa. In fondo al solco si praticano altri fori con l’ago. Sformatura o scassettatura: questa è un’operazione assai delicata e consiste nel togliere il modello dalla forma. Questo si fa dopo averlo scosso orizzontalmente con leggeri colpi di martelletto per distaccarne la terra che vi fosse rimasta aderente. Nel farlo, molte volte si rompe qualche parte della forma che va riparata a mano con spatole, con molta abilità e pazienza. Per ultimo si finisce e si liscia la forma. Colata: ultimata la forma, si sovrappongono nuovamente le due staffe, si caricano di pesi per vincere la pressione idrostatica, e col crogiolo si versa il metallo nella forma dal canale di colata fino a che non si vede risalire il bronzo per il montante. Appena il bronzo è raffreddato si libera dalle staffe e dalla terra che lo circonda, si tagliano colata e montante e si procede alla pulitura e finitura. Glossario Anima: materiale refrattario inserito all’interno dei modelli in cera. Argilla calcinata: argilla che trattata termicamente ad alta temperatura acquista doti di refrattarietà. Bocca per la colata della cera: punto di ingresso del calco in cui si versa la cera fusa. Bocca di fusione: imbuto attraverso il quale viene colato il metallo fuso. Canale di scarico: condotto di evacuazione della cera nella fase di cottura delle forme nel procedimento tradizionale. Catalizzatore: sostanza in grado di accelerare le reazioni chimiche, come l’indurimento delle resine e delle gomme siliconiche. Cera d’api: prodotta dalle api per costruire i favi, rappresenta uno dei componenti della cera morbida utilizzata in fonderia. Chiavi di incastro: sistema di incastri semisferici per far ricombaciare perfettamente le valve delle controforme in gesso. Cilindri di ancoraggio: prolungamenti dello stampo in gomma siliconica che servono ad ancorarlo al guscio di gesso. Colate: condotti necessari alla distribuzione del metallo fuso. Colla di coniglio: colla animale ottenuta dalla bollitura di pelli e ossa (è commercializzata in scaglie da sciogliere in acqua a bagnomaria). Corindone: ossido di alluminio, durissimo, usato per costruire strumenti abrasivi. Depurante: sostanza in grado di amalgamare le scorie del metallo fuso. Disossidante: sostanza, generalmente rame fosforoso, usata per eliminare gli ossidi dal bronzo fuso. Distaccante: ele- M a t e r i mento separatore usato per impedire l’adesione di un materiale alla forma (olio di vaselina, shampoo, sapone, cera, ecc.). Fegato di zolfo: solfuro di potassio usato nella fase della patinatura per formare colori neri o marroni. Formatura: esecuzione di un’impronta. Gelatina animale: sostanza gommosa (in genere colla di coniglio) utilizzata in fonderia per prendere l’impronta sul modello. Getto di fusione: canale che permette al metallo fuso di raggiungere la forma della scultura. Gomma siliconica: composto sintetico (elastomeri) di notevole elasticità, utilizzato per prendere l’impronta sul modello con precisione e facilmente estraibile dai sottosquadri. Legante: termine usato per indicare la silice colloidale o il silicato di etile. Luto: sostanza refrattaria usata per costruire le forme nelle fusioni a cera persa. Madreforma: supporto rigido in gesso o resina, utilizzato per le forme a tasselli, in gelatina e in gomma siliconica. Materozza: serbatoio atto a garantire l’afflusso del materiale fuso e la fuoriuscita di eventuali scorie durante la colata in una forma. Modello: scultura realizzata in creta, plastilina, legno, gesso o marmo. Microsfiati: fori microscopici praticati in particolari zone della conchiglia ceramica. Muffola: speciale forno in cui si mettono a cuocere le forme o altri oggetti che non debbano stare a diretto contatto con la combustione. Paraffina: derivata dalla distillazione del petrolio è uno dei componenti della cera usati in fonderia. Pece greca o colofonia: resina vegetale che si ricava dalla trementina, rappresenta uno dei componenti della cera usata in fonderia. Portantina: attrezzo utilizzato per trasportare il crogiolo. Refrattario: detto di materiale che può resistere a elevate temperature senza fondere o disgregarsi e con variazioni minime di volume. Risucchio: fenomeno fisico che avviene in fase di solidificazione del metallo, consistente in una diminuzione del volume e quindi in un riassorbimento del metallo liquido sovrastante. Schiumatoio: attrezzo necessario per eliminare le scorie dalla superficie del metallo fuso. Sfiati o sfiatatoi: condotti applicati nei punti più alti dell’opera che permettono la fuoriuscita di aria o gas durante il colaggio. Siviera: strumento che serve a trasportare il crogiolo pieno di metallo fuso e facilitarne il colaggio nello stampo in polvere. Sottosquadro: punto di un’opera nascosto all’osservazione da un punto di vista perpendicolare e pertanto difficile a l i e t da calcare. Stampo in gomma: parte del calco, in gomma siliconica, che riproduce fedelmente in negativo i particolari del modello. Tassellatura: operazione di divisione in più parti del calco (generalmente in gesso) di un’opera che presenta dei sottosquadri. e c n i c h e Indirizzi delle più importanti fonderie artistiche di Verona e Provincia Baroni Fonderia Artistica Via Galilei 8 - 37133 Verona tel. 045 521087 Briman Arte Vicolo Cicale 6 - 37123 Verona tel. 045 8034585 Fonderia Brustolin Via Barsanti 4 - 37139 Verona tel. 045 8510147 e.mail: [email protected] Fabris E F.lli Folla Via Staffali 15, Dossobuono 37062 Villafranca di Verona tel. 045 8600080 In Bronzo F.lli Bonvicini Via Artigianato 41 37066 Caselle di Sommacampagna (VR) tel. 045 8581274 Arte Bronzo Via l maggio 55 37069 Villafranca di Verona tel. 045 6303747 Bampa Gianpietro Via Apollo 11- 37059 Zevio (VR) tel. 045 7850936 Bibliografia - “Fonderia artistica a cera persa” di F. Lucidi, Ed. Hoepli 1943. - “Fonderia” di A. Galassini, Ed. Hoepli 1943. - “I modi della scultura” di P. di Gennaro, Ed. Hoepli 1997. 69 LA NUOVA TERRITORIALITÀ “Opus incertum” L’Italia frantumata in tanti territori, luoghi omogenei di attività legate alla cultura materiale. È sempre più chiara la frantumazione per ragioni etniche, culturali, economiche, filosofiche...; siamo tanti e sempre più diversi, e la diversità non è più privilegio, non è più emarginazione, ma è diritto. Diritto a sviluppare ed esaltare le proprie convinzioni e le proprie appartenenze senza prevaricazioni. A R E E R E Ceramica CAMPANA CAPODIMONTE (A DISPENSE) GLOBALIZZATO Ho qualche competenza nel settore dell’arte/industria e nelle produzioni artigianali, tipiche e di tradizione, della ceramica italiana: indi, sono esperto dell’attuale prodotto “Capodimonte”, confezionato a Napoli e fuori-Napoli. In questa veste ho recentemente presentato in catalogo l’iniziativa di solidarietà antiterrorismo della Regione Campania-C.N.A./Asnaart “Artigiani per New York”, che tanto successo ha riscosso in America, anche per la presenza popolare di Renzo Arbore; in particolare ho coordinato la sezione del “Capodimonte”, ove ho tentato di dare qualche input ad un settore connotato da troppo tempo da scarse novità, che vive sulle forme (alla lettera) del passato ed ha raschiato il fondo del barile (della porcellana, s’intende). Ma la vera bomba per il “Capodimonte” è scoppiata a marzo, in Italia, quando l’Editore De Agostini di Novara, ha lanciato in edicola, a tre euro, il primo numero -promozionale- della sua “Collezione Capodimonte, la storia, i soggetti, la collezione”, con annesso gadget siglato dal produttore Carlo Savastano, membro del “Consorzio Capodimonte”. Il Savastano ha fornito il prototipo di una ventina di piccoli fiori “Capodimonte” singoli, raccolti a 70 La ricerca della differenza ci porta a leggere un’Italia frantumata in tanti territori, luoghi omogenei di attività legate alla cultura materiale. Vengono qui presentate le aree che, in questi ultimi anni, hanno dimostrato una volontà di affermazione della propria identità e, contemporaneamente, il bisogno di rinnovamento. G I O N A L I O mazzetti o in cestino, e li ha fatto replicare dagli operosi cinesini della Repubblica Popolare Cinese, riservandosi il controllo della qualità finale del prodotto in “Stile Capodimonte” (e non “Capodimonte”). In proposito registro un autorevole intervento pubblico dell’economista Mariano D’Antonio, (“Se la porcellana di Capodimonte è Made in Cina”, in “Il Mattino”, Napoli, quotidiano, 17 marzo); da tale articolo apprendo che i produttori del “Consorzio Capodimonte”, per tutelarsi verso questo prodotto d’artigianato globalizzato, avvieranno “ricorsi legali nei confronti dell’Editore De Agostini di Novara”. Ricorreranno -cioè- all’avvocato, com’è nella tradizione più antica e verace del nostro paese. Sbagliano. Sono sulla difensiva, mi sembrano perdenti, almeno nell’immagine, che è quello che più conta oggi. Dovrebbero invece inaugurare una inedita (per Napoli e l’Italia) strategia d’attacco, se hanno la stoffa -come credo- degli imprenditori odierni. Dovrebbero, cioè, investire in qualità, in progetto. Invece che dall’avvocato dovrebbero chiedere lumi ad artisti e designer, a storici e critici del settore “Capodimonte”, a gente dell’arte-industria e della comunicazione, cosa che non hanno mai fatto, al tempo delle vacche grasse. Dovrebbero “picchettare” il Museo di Capodimonte e quello della Floridiana, oltre che il “civico” Filangieri, tutti di Napoli, per chie- M O G E N E E dere conto a quei dirigenti perché sono stati abbandonati a se stessi, senza il conforto dell’immagine (e sostanza) museale, tanto utile oggi a garanzia delle degne produzioni “Capodimonte”, in divenire. Dovrebbero andare al “Caselli” ed al “Palizzi”, istituti specifici dell’arte ceramica in Napoli, e domandare perché da lì dentro non esce nulla di buono -come affermano- per le loro fabbriche. E, dato che stanno all’ISA “Palizzi”, dovrebbero domandare al “Reggente” di quell’antico Istituto artistico perché la collazione dell’inventario del Museo dell’Istituto, prezioso nel settore specifico dell’arte-impresa, va avanti tristemente da ben 12 anni, senza che nessuno obietti niente. Insomma i produttori dovrebbero creare nuove vie infrastrutturali, progettuali, al “Capodimonte” d’oggi, da sempre fatto internazionale, mai locale (o peggio “localistico”). Ma -evidentemente- è più comodo e consolatorio stare nel piccolo, ricorrere all’avvocato, il quale sarà l’unico che ci guadagnerà in questa emblematica vicenda dell’artigianato a scala globale. Scommettiamo? Inserita in questa logica “difensivistica” mi pare la successiva richiesta dei produttori del “Consorzio Capodimonte”, che emerge dal detto articolo: quella di essere “tutelati” dalla Regione Campania rispetto agli esiti dell’iniziativa editoriale della “De Agostini” e dalla “Carlo Savastano Porcellane Capodimonte”; ciò perché il “Capodimonte” rientra nei prodotti A R E E R E tipici “locali” europei, da difendere attraverso un marchio doc ed un apposito disciplinare. Ma la questione è complessa e si sa che il disciplinare specifico del settore “Capodimonte”, approvato a Ro-ma, è stato impugnato proprio dal Consorzio perché ritenuto inadeguato alla realtà dei fatti e dei profili professionali attuali della produzione “Capodimonte”. E poi, in questo mercato avvelenato, Bozzetto per la sagoma/statua “Il signor Capodimonte” di Eduatdo Alamaro. G I O N A L I O non ci son più marchi che tengano, questo è già ampiamente dimostrato. Francamente, questa vicenda della De Agostini e della Carlo Savastano, la considero qual è: un’operazione industriale dei giorni d’oggi a scala globale; parte del “Capodimonte a dispense”, e del “Capodimonte senza Capo né Monte” che con quello aulico di Carlo III e di Ferdinando ha poco o nulla a che fare. Questi fiorellini sono solo canzonette, gadget promozionali che non fanno fesso nessuno, mi pare. Il fiore Capodimonte attuale non ha nulla a che fare col Capodimonte antico, è un’altra cosa, i fiori sono un’invenzione del ’900, del nostro secolo, il “Capodimonte per campare”, il “Capodimonte delle bomboniere”, democratico, prima locale, poi nazional-popular ed infine internazional-popular. Insomma, oggi bisognerebbe avere il coraggio di girare pagina, lasciare stare gli avvocati ed i sindacati (che hanno già tanto da fare), smettere di difendere il vecchio (che mi pare indifendibile): quelli in edicola della “De Agostini” mi paiono saldi di fine stagione, e il settore “Capodimonte” a Napoli deve ampiamente rifondarsi, pena la scomparsa: la Cina non è più vicina (come trent’anni fa), è arrivata (nel mercato globale!). E chi è stato recentemente al “Ma-cef” di Milano lo sa bene! Quei fiori “Capodimonte” sono il passato, son seccati, cari produttori. Datevi una mossa, non fate barricate di porcellana! Iniziate a fare qualità! Mi pare l’unica via “europea” praticabile. Eduardo Alamaro CERAMICA DI VIETRI Viaggio attraverso la Ceramica 2002 La manifestazione Viaggio attraverso la Ceramica ha dato vita a una serie di obiettivi e azioni di sviluppo di una delle aree artigiane più significative del territorio italiano. Innanzitutto la riscoperta di alcune eccellenze della “scuola vietrese” e salernitana nella storia della ceramica del Novecento attraverso una serie di mostre: la prima, intitolata “La ricerca della forma”, dedicata a Carmine Carrera, si è svolta presso il salone espositivo della Ceramica Vietri Mare M O G E N E E Opera di Manuel Cargaleiro il più grande progettista vivente di azulejos e primo vincitore nel 1999 del Premio “Vietri attraverso la Ceramica” . dal 25 marzo al 28 aprile 2002. In secondo luogo la consegna del IV Premio Internazionale Vietri sul Mare 2002. Quest’anno gli enti organizzatori del Premio hanno chiesto al Direttore artistico, Enzo Biffi Gentili, di segnalare per l’attribuzione del riconoscimento, un grande ceramista attivo sull’altra sponda del Mediterraneo. E’infatti nelle intenzioni della Pubblica Amministrazione manifestare considerazione per espressioni artistiche dei paesi musulmani per stimolare, proprio in una fase storica di drammatica tensione, un dialogo culturale contro ogni conflitto o pregiudizio razziale o religioso. Il premio di quest’anno è stato assegnato a Khaled Ben Slimane, nato nel 1951 a Nabeul, il più grande centro storico della Tunisia. Ceramista e pittore si è diplomato presso l’Istituto Tecnologico di Architettu-ra, Arte e Urbanistica di Tunisi. La caratteristica più profonda della sua opera consiste nella manifestazione di una profonda religiosità attraverso la decorazione calligrafica, innestandosi così agli inizi della tradizione islamica. Infine la manifestazione ha dato un segnale forte di storicizzazione attraverso la pubblicazione di una monografia dedicata al lavoro di Manuel Cargaleiro a Vietri sul mare, primo vincitore del Premio nel 1999. Un’opera dedicata non solo al più grande progettista vivente di azulejos destinati a interventi di “ceramica architettonica” ma anche l’artista che più ha lavorato e donato a Vietri, tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nostro, opere di significativa importanza e bellezza. Simona Cesana 71 S 72 E G N A L A Z I O N I S E G N A L A Z I O N I 73 S 74 E G N A L A Z I O N I S E G N A L A Z I O N I 75 S 76 E G N A L A Z I O N I S E G N A L A Z I O N I 77 C O N C O R S O bando di concorso per il nuovo logo dell’Associazione Internazionale per la Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo Il Comitato Internazionale della Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo (costituito in associazione nel luglio 2001) raggruppa la maggior parte delle città, istituzioni culturali e associazioni che hanno partecipato alla manifestazione in questi anni. L’associa-zione rafforzerà la rete di contatti e lavoro comune tra i soci, seguirà la preparazione delle edizioni della Biennale e permetterà di sviluppare le attività tra le manifestazioni (scambi, residenze d’artista, atelier, esposizioni). Si tratta di preparare un logo per l’associazione, di cui una presentazione è unita a questo bando. La Biennale riunisce, in una città del Mediterraneo, tra 600 e 1000 artisti inferiori ai trent’anni, che per 10 giorni presentano le loro produzioni. Atene 2003 sarà l’XI edizione di questa manifestazione. Le discipline rappresentate nella Biennale sono: Architettura, Arti Visive, Arti Applicate (Grafica, Moda , Design), Cinema-Video, Gastronomia, Lettera-tura e Poesia, Musica, Spettacolo dal vivo. Condizioni di partecipazione al concorso - Essere giovane artista con meno di 30 anni, il 15/11/02 - Vivere o lavorare in un paese del Mediterraneo - Inviare il dossier di candidatura entro il 15/11/2002 - Accettare la cessione dei diritti per l’utilizzo del logo Premio Il vincitore sarà invitato alla prossima Biennale che si terrà ad Atene nel 2003 e riceverà un premio di 2000 euro. Obblighi del partecipante Il logo: dovrà essere semplice, dinamico, evocare l’energia propria della giovane arte, il Mediterraneo, i legami nordsud, i raggruppamenti di città e associazioni, l’Europa; va proposto in 3 versioni: quadricromia, 2 colori, B/N. Titolo Associazione Internazionale per la Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo. Declinazioni Carta intestata, buste, adesivi, inserito nei materiali di comunicazione (locandine, cataloghi), biglietti da visita, home-page di sito internet. Presentazione del lavoro Cartoncini max A4, declinazione e simulazioni (su cataloghi, cartoncini d’invito, carta intestata, etc..).a intestata, buste, adesivi, inserito nei materiali di comunicazione (locandine, cataloghi), biglietti da visita Utilizzo del logo Utilizzo internazionale per una durata indeterminata su tutti i tipi di supporti: cataloghi, manifesti, depliant, internet, TV, oggettistica, stampa scritta, etc. Selezioni Un comitato di esperti si riunirà a Roma per una prima selezione e poi il Consiglio di Direzione dell’Associazione si riunirà con il Presidente, al più tardi il 31/12/2002, per scegliere il logo definitivo. Il progetto può essere inviato ad una entità aderente alla Biennale oppure a Zone Attive, P.zza Vittorio Emanuele II 47 00185 Roma, con la scritta “Logo Competition”, o via mail a Associazione Biennale Giovani Creatori dell’Europa e del Mediterraneo. E U R O P E O Presentazione L’Associazione si è costituita nel luglio 2001 a Sarajevo, durante la X Edizione della Biennale, per rafforzare il lavoro comune tra Ministeri, Enti Locali Istituzioni e Associazioni Culturali del Mediterraneo: comprende sinora 45 aderenti di 15 paesi, che rappresentano realtà locali e nazionali dei paesi mediterranei. L’Associazione BJCEM vuole promuovere gli scambi internazionali, lo sviluppo di relazioni pacifiche e di euro mediterranee. In particolare: “…L’obiettivo specifico della BJCEM è la promozione dei giovani creatori: essa cerca di dinamizzare il loro prodotto culturale e espressivo e di facilitarne l’accesso ai circuiti del mercato internazionale attraverso la creazione di spazi di incontro, scambio, riflessione e formazione sulla realtà artistica contemporanea...”. E’ una rete ampia e articolata che realizza relazioni culturali al di là dei confini politici e geografici: la Biennale propone un'idea di Europa e di Mediterraneo molto stretti, che vuole unire i paesi che si affacciano su questo mare in un continuo lavoro comune sui temi della cultura e giovane arte. La Biennale nasce nel 1984 da un'idea dell'Arci Kids, (settore giovanile dell'Arci), che vuole radunare i giovani creativi europei e mediterranei per un meeting itinerante nelle principali città del Mare Nostrum. DopoTendencias (Barcellona 1984), prologo alla manifestazione, la città catalana ospita la I Edizione della Biennale (1985), cui partecipano già artisti di sei paesi (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia e dell’allora Jugoslavia) insieme a invitati dell’area balcanica e araba: già durante la prima edizione si riunisce il Comitato Internazionale della Biennale dove sono presenti ministeri, città e associazioni. Le edizioni seguenti si sviluppano a Salonicco (1986), a Barcellona nuovamente (1987), a Bologna (1988), a Marsiglia (1990), a Valencia (1992), a Lisbona (1994), a Torino (1997), a Roma (1999) e a Sarajevo (2001). Inoltre sono state realizzate varie manifestazioni collaterali, tra cui ricordiamo Anteprima Rock a Torino (1990), Rotte Mediterranee in Algeria (1990), Six Workshop a Sarajevo (1998). La XI Edizione della Biennale si svolgerà dal 6 al 15/6/2003 ad Atene, realizzata dal Segretariato Gioventù Greco, all’interno delle Olimpiadi Culturali, che annunciano i Giochi Olimpici di Atene 2004. Fanno parte della Associazione Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo: ABIT (Association Amis de la Biennal de Tipasa)/Algeria; IPC (International Peace Center), Sarajevo/Bosnia Erzegovina; Moderna Galeria, Rijeka/Croazia; Ministero Educazione e Cultura, Nicosia/Cipro; Città di Helsinki/ Finlandia; Città di Montpellier, Espace Culture Marsiglia/ Francia; Ministero Educazione, Segretariato Gioventù Greco, Atene/Grecia; Città di Salonicco/ Grecia; Città di Ancona, Bologna, Campobasso, Catania, Ferrara, Firenze, Genova, Messina, Milano, Modena, Roma, Padova, Parma, Pisa, Torino,Arci Nazionale, Arci di Bari, Milano, Napoli, Pescara, Salerno, Sicilia, Torino/ Italia; Iniziamed/ Malta; ARTES et IDEIAS/Portogallo; Ministero Cultura/ San Marino; SKUC, Lubiana/ Slovenia; Città di Barcellona, Madrid, Malaga, Murcia, Siviglia, Valencia, RAI (Recursos Animaciò Cultural) Barcellona/Spagna; Sabanci Universitate, Istanbul/ Turchia; Center Youth Creativity, Belgrado/Yugoslavia. 81 82 E N G L The Artist-Artisan Designer (page 10) The strong attention paid to the applied arts, demonstrated by renewed interest in guilds and other institutions, and the flourishing of work groups, cooperatives and various aggregations all over the place, fill us with enthusiasm and give us hope for the future. The Artigianato Me-tropolitano (Metropolitan Crafts) event in Turin, the new degree in “Artistic Bu-siness Design” at the Brera Academy and the considerable presence of European craft production of a high artistic and production standard during the last Furniture Exhibition in Milan, confirm this trend. More and more artists/designers are coming into the picture with their “auto-production”, renewing that which, for a long time, was defined as the figure of the craftsman/artist. Names such as Ron Arad, the Droog Design Group, Mi-chele De Lucchi’s “Produzione Privata” and the experience of many young people who put themselves forward at the Furniture Exhibition, confirm that we are facing a new phenomenon and that desi-gners are demonstrating a renewed interest in art, new subjects, new techniques and new production systems. Only a new artist/ craftsman would know how to introduce all the components of a modern business into his work: quality of the project, techniques and innovative procedures, communication and marketing. Carlo de Carli (page 12) The architect, Carlo de Carli, designed various pieces of furniture for artisans, leaving an indelible memory of himself in the places where he worked, both because of the quality of the objects that he designed and, to a greater extent, his way of working directly in the workshop together with the manufacturer. His pieces of furniture are the result of indepth, but above all passionate, creative and expressive research, of a vital and often intensely poetic nature. Amongst these pieces of furniture, we should remember the chest of drawers in ash wood for Porro di Montesolaro and the bed in solid ash for Frigerio di Intimiano. His work is animated by the typical “finger mark”, such as the chair presented at the “Casa Abitata” exhibition in Florence in 1965. The bed, with head and footboard in visible tall solid wood staves, curved towards the inside, is a sort of invaded protection, a shell shaped for sheltering bodies in domestic intimacy. 84 I S H They are objects that transcend all desires for appearance and representativeness, in order to seek a measured balance in the relationship with man and with living space. They demonstrate an attention to detail that simply invites you to experience the pleasure of touching the piece of furniture. The material that makes up De Carli’s objects wants to be alive. It is worked in “organic” forms, which seek a constant vital relationship with light, through the constant variation of the sections and the different luminosity of the wood, cut lengthways and transversally, as in the case of the chair for Cassina of 1957. But even the objects characterized by “analytical” forms are highlighted by illuminated surfaces and shady lines, as in the series of furnishing elements produced by Sormani in 1965 and exhibited in the “Casa Abitata” exhibition in Florence. Carlo De Carli, in the function, initially as director of the magazine “Il Mobile Italiano”, then Teacher of the Furniture Course as well as Head of the Faculty of Architecture at the Milan Polytechnic, began an intense relationship with the Italian furniture production centres. De Carli was amongst the promoters and organizers of the International Competition and Selective Furniture Exhibition of Cantù (1955), the Furniture Standards Biennial in Mariano Comense (1958) and the Lissonese Home Week. With the magazine “Il Mobile Italiano”, founded by him in 1957, he intended to propose the design and construction of Italian furniture with a precise figurative and constructive identity. The proposals activated by the magazine were aimed at organizing “production centres”, linked to the different furniture production contexts (Cantù, Lissone, Lurago d’Erba, Mariano Comense, Trento) in order to set up associative moments between producers and designers, able to carry out coordinated activity. De Carli’s research led to the idea of “primary space” in the mid1960s: relationship space, of the genesis of a project, or better still, of the simple authentic human gesture that reaches out to others and the world. De Carli’s furniture was created with these attentions as is testified by the discreet and respectful communicative ability of the furniture of the early 1960’s, such as the “red” chest for example. One can confirm that De Carli’s furniture are pieces of “microarchitecture” with good reason, not in the sense of covering a useful object with miniaturized historical forms, but in their very genetic make-up, which gives life to animated and living organisms, able to resist time, the variation of tastes and fashion. For De Carli, continuity was a T E X T concept that crossed through all of his work and existence: from design to didactics, from nature to the city, from tradition to innovation, from faith to life. His relationship with crafts was attentive and discreet: he studied the characteristics and the history of every productive centre in order to then propose subjects for reflection and ideas, in order to advance in “continuity”, stimulating the growth of the individual realities. The concept of “continuity”, made clear in the first half of the 1940s, is a constant factor in De Carli’s work, already present in the writing table of 1940 and in the last upholstery project Vittorio Bonacina in 1974. Applied Arts (page 18) The new “Artistic Business Design” department at the Brera Academy of Fine Arts has been rediscovering the relationship between the design culture and the artistic relationship for some years now, under the direction of Fernando De Filippi and coordinated by Ugo La Pietra. The didactic process tends to orientate the student within an open design procedure: from the artisanal workshop to industry, passing through institutional commissions such as Municipalities, Regions and private and public Corporations. But the real innovation is in the strong attention paid to Applied Arts, which Industrial Design had forgotten for too many years. The increased interest in the art that seems to be more and more present within the production of objects, finds its natural definition in this new experimental process, fundamentally characterized by the recuperation of Applied Arts within the design system, through the considerable presence of workshops and the promotion of selfmanagement and self-production. In order to achieve all this, the courses are being developed in three main areas: 1) theory and history with subjects such as history of art, history of industrial design and Applied Arts (Profs. Gualdoni, Di Pietrantoni, Vitta, Pansera); 2) design and technological workshops (Profs. La Pietra, Grassi, Santachiara), business logic (Profs. Bucci, Messina), territorial resources, disciplinary field (Profs. Ferreri, Mantica); 3) and finally, in the deep conviction that two great expressive veins are at work (the real and the virtual) within the culture of doing, workshops that promote the individual-tool relationship (design, modelling, computer) and the individual-material relationship (plaster, bronze, ceramics). The introduction of a subject such as “territorial resources” that makes it possible to give the student E N G L the chance to see the reality that surrounds him from close up: from exploring the artisanal workshop to industry, from the shop to the exhibition, through seminars and debates; the approach of the student as far as regards the logic of the system, in order to help him understand the major themes of the discipline linked to the economy and the use of resources, to communication and product marketing; the practical workshops, using external conventions; the project workshops in which they deal with themes that range from the “souvenir” for an event, a Municipality or a Region, to urban intervention systems for a better quality of “city living”. All this in the first 3 introductory years, which will be followed by specialization in the 2 successive years: artistic object design, artistic clothing design, artistic urban environment design, artistic set-up systems design. Mediterranean Connections (page 22) “Connections” is a vast exhibition of works displayed at the Akhenaton Gallery in Cairo in the travelling exhibition “Islam in Sicily, a garden between two civilizations”, promoted by the Italian Fo-reign Office, the Region of Sicily and the Fondazione Orestiadi di Gibellina. The “Connections” exhibition aims to represent the Fondazione Orestiadi’s contribution in the communal construction of a Mediterranean sensibility, through the forms of the creativity and the aesthetic intelligence of which this Institution has been the witness and custodian for more than twenty years. The works presented today come from the enormous collection belonging to the Museo delle Trame Mediterranee of Gibellina. By reproducing an analogous selective criterion visible in the “contemporary art” section of the Museum, the idea is still that of an intentional and profitable creative promiscuity found in the generations, the sensitivity and the disciplines of contemporary art, through the works of the Italian masters present. A selection was made of some artists among these, who best demonstrate the traces of a conception that refers to the communal and interwoven roots of a Mediterranean nature that is able to draw on the multiple categories of contemporary artistic invention. These works of the freest artistic thought are flanked by creations by the best designers and companies of Sicily, with sometimes evident and other times more mysterious connections. The prototypes come from the successful recent exhibition experience, I S H coordinated and organized by the Institute of Industrial Design at the Faculty of Architecture in Palermo, which has already had its first enthusiastic reception, in the halls of MACEF in Milan in February. By reading these Connections, from one side to the other of the Mediterranean, one can also grasp the “ultrasounds” of a dialogue not only based on signs, on materials, on iconography, on identity, on the different generations of artists, but also a dialogue that surpasses the product categories of the art itself linked to western cultural consumption, in order to consider the primitive functions of art as a symbolic and virtuous product of an exchange of peace and friendship, something that shows itself and offers itself to others like offering a flash of joy and positive energy. Art is the most elaborate expression of the concept of interactive humanity, it is itself the visible paradigm of a universal dialogue, of which the city of Cairo is acting as interpreter today in welcoming the Fondazione Orestiadi in its work of civilization with exemplary brotherhood, made even more exciting by the reopening of the Alexandria library. Female Design (page 26) Female design is the subject of the research carried out by Anty Pansera and Tiziana Occleppo for the X Biennale Donna, “Dal Merletto alla Motocicletta Un percorso fra le Artigiane/artiste e designer dell’Italia del Novecento” (“From Lace to the Motorbikes. A journey amongst the Craftswomen/artists and designers of Twentieth Century Italy”). The Biennial was started in Ferrara in 1984 following an idea of the UDI (Unione Donne Italiane) for the purpose of promoting an exhibition reserved for women, embracing various forms of artistic expression. The tenth edition provided the opportunity for surveying the world of design, which has always been a subject for study and research by the organizers, in a decidedly innovative fashion. The female presence has shown itself to be qualitatively, but also quantitatively, highly significant from the earliest years of the twentieth century: often hidden, not very showy, it has demonstrated well-defined edges and very interesting characteristics. The event, housed in the Contemporary Art Hall designed by a woman, opens with a historical part, much of which is due to painstaking research: the exhibits document the activity of craftswomen-artists from the beginning of the century to the end of the Second World War. The century opens T E X T with the production of “modern style” lace by Aemilia Ars. The works of Benedetta Cappa Martinetti and the Elica sisters and Luce Balla are linked to the futurist experience. Rosa Giolli Menni, creator of fabrics and clothing marked by “The fabrics of Rosa”, was active in the Twenties; Fede Cheti’s activities were also affirmed in Milan, where she was careful to involve prestigious labels in her creations, from Giò Ponti to Grauau. The field of ceramics also involves quality female design, including the sculptures by Clelia Berretti, the original, playful proposals by Emma Bonazzi, and the refined, elegant figurines by Elena Koenig Scavini for Lenci of Turin. The second half of the century, from 1945 to 1999, is presented in the successive section of the show. There are more and more women who affirming themselves in the world of industrial design, signing their own designs, and even obtaining important positions inside companies, such as Antonia Campi, artistic director of Richard-Ginori in the Seventies. Women have left an indelible mark in the world of objects, from Anna Castelli Ferrieri, author of Kartell plastic objects, to Cini Boeri, from Gae Aulenti, to Ornella Noorda, from Federica Marangoni, the sensitive glass artist who designed for Christofle, up to the younger Marina Paul, Sonia Pedrazzini, Giovanna Talocci, Bruna Rapisarda and Alessandra Sciuroa, etc. The third section is a tribute to the women who contributed to the diffusion and the awareness of interior design and architecture through magazines and journals: journalists, directors or even founders of papers that believed in the design culture. In addition to the video, a CD-Rom is also available to complete the exhibition, which enables you to “navigate” through 100 years of female Italian industrial design. Unique Pieces (page 30) The “Unique Pieces” event, which will take place in Landano (CH) at the Chiesa della Madonna del Ponte from the 6th to 16th September 2002, intends to carry out two roles. The first is that of giving interested people an additional opportunity for visiting a settlement in Abruzzo rich in masterpieces of Gothic and Romanesque architecture. The second, to be able to express the deep discomfort of many craftsmen, who work at high artistic levels, at being considered “artisans” at the same level as other categories (plumbers, builders, mechanics, etc...) The very title, “Unique Pieces”, tells us that the exhibition does not only wish to 85 E N G L be a commercial event. Therefore the event does not only identify a category of workers (artists-craftsmen duly registered at the chamber of commerce), excluding generic artisans and weekenders, but highlights the need to carry out research and experimentation, introducing components that range from art to design. “Unique piece” means a work that is not yet in production, a work signed by the creator and therefore with evident definition of the added value, obtained through the artist’s personal “mark”. The exhibition collects together a selection of artists from all sectors (goldsmiths, ceramicists, cabinet-makers, mosaicists, etc.) who are registered: therefore 20 artists out of 200 will be present at this first edition, which should be followed by a series of exhibitions dedicated to specific sectors from time to time (every six months). “Unique Pieces” in art and design: a message from Abruzzo telling artists-artisans to make their voices heard so that the Institutions begin to seriously value this sector, with operations aimed at promoting it. Street Furniture in Cursi (page 34) At around the end of the Seventies, people began to speak about “street furniture” in universities, in professional studios, and in public administration. The figure of the Councillor for street furniture was born and professionals looked at public purchasing with renewed hope. The city, in those years of crisis, seemed by now immobile, no building expansion! Hope was also being lost for operations in the old towns: street furniture seemed very far off. Many professionals acted as experts on the subject and began to explore and meet the first commissions of the true pioneers! Pioneers who explored without knowing what would be done and said in 30 years of experience, research, theories and projects in the urban area. In this way the new experts rushed headlong into redesigning all the things that have always characterized the streets of our cities. Today street furniture, for many designers, appears as a new disciplinary area that is added to town planning and architecture, for others it is considered as a false problem. The problem exists: too much city has been designed, forgetting all those spaces between buildings that represent our collective places. Therefore urban spaces are waiting to be redesigned! But attention should be paid, as they cannot only involve a series of equipment redesigned according to the “good taste” of the designer, or some monument, to connote the “inhabitability” of the city. Urban 86 I S H spaces should be designed as places to be used in the most complete sense of the word: spaces for stopping, for educating, for arousing interest, for surprising, etc. Therefore a particular bench is no longer only conceived as a piece of furniture to sit on, but a place from which to watch... “an observatory”; this way of conceiving the bench project can produce stimuli for the construction of particular prospectives (true or false), in as much as the project moves from the bench inside itself and towards that which one wants to display, make out or conceal! In brief, I would like to advise the fundamental rule to keep to when designing street furniture: do something to make the space inhabitable, in the awareness of the profound difference that exists between using a space and inhabiting it, always reminding myself and others of the slogan that has accompanied me through all these years, “Inhabiting is being at home anywhere”.. On the basis of my convictions I am very happy that the Municipality of Cursi, through the competition for the furnishing of Piazza Pio XII, will be able to enrich itself with an ensemble of furnishing elements designed to increase the worth and importance of the place. As a member of the jury I have positively judged (together with all the members of the commission) the project by Loris Casali and Serafini Roberto that surpasses the individual “types of street supply” in order to enter further into the furnishing dimension: citing the Lecce stone, its working and positioning with extreme respect in the urban context. It is a wonderful example of “street furniture” because of the essential use of the material, the formal coherence (cut blocks drawn together) of various types and the harmonious relationship between the various installations in the urban space. Arressojas Sardinian Knife Biennial (page 39) This trade fair, which has reached its 5th edition, will take place in Montevecchio (CA) from the 27th July to 4th August, confirming itself as a much awaited and important event for the island’s culture and economy. Forging blades is an ancient art, full of charm, cloaked by the mystery of the origin of fire, full of the ancient tradition of extracting metals from the heart of the earth. It is the expression of a culture that has remained alive in the hands of talented knife makers throughout Sardinia, and above all in Pattada, Guspini, Gonnosfanadiga, Santulussurgia, Arbus and Dorgali. In the strength of tradition, these knife makers find a reason for continuing to create T E X T unique pieces of great value and objects of daily use, but also innovative techniques, propose new designs and materials, and open new commercial horizons. Every two years, these artisans enliven “arressojas”, displaying varied and rich production, a valuable representation of the complexity of an island that does not close itself to its past, but seeks moments of meeting and exchange by hosting master knife makers and collectors from other areas of the world. “Arressojas” is an art exhibition, but also an open door on Guspini, its history, its culture and its territory with its uncontaminated environmental beauty and the ancient presence of man. The Bread of Matera (page 44) The bread of Matera is surely one of the most whole and tasty in the Italian scene, and even today, it retains traces of the “sacredness” attributed to it by the popular thinking. It is a product of the local culture that should be preserved with its characteristics of taste and quality, but above all for the culture and symbolic behind-the-scenes activity in which it was developed and has conserved its integrity up to our times. In fact there are many cultural and artistic elements that make Matera’s bread unique, including, in first place, its characteristic horn shape, a synthesis of symbol and exaltation of taste. The horn shape, the result of great manual skill handed down by generations of bread makers, symbolically refers to archetypes of cultures that have now disappeared, linked to ancient moon and sun rites, aspects that can be more clearly read in the chimneys of the communal ovens, some of which can still be seen in the ancient districts of Sassi and sculpted in the foundation material of the old town, the tufa, by skilled artisans who were able to interpret and exalt the symbols of bread making: fertilization and rising. The jewel of this culture is the bread stamp, which deserves an important position in the history of Italian crafts. Linked to the pastoral world, created and sculpted by the shepherds in wood, it was used to impress a sign in order to be able to identify one’ own bread when collecting it from cooking in the communal ovens. The disappearance of communal ovens, replaced by commercial bakers, then made the use of the stamp redundant, and it was slowly forgotten as an object and symbol. The act of “marking” acquired a ritual and allusive meaning, linked to ancient fertility rites. This strong symbolic value can be seen even further if one thinks that the bread stamp, in some cases, was brought E N G L as a dowry by the man, with the double symbolic function of bearing food and nutrition (the bread) but also virility in procreation (the fertilization). Disturbing Poetic Forms (page 48) The theme of the comparison and relationship with tradition has returned, in particular when speaking of ceramics, one of the sore points. To hear the reports of the “Ceramicarte” convention, the line that unites tradition to the current times, at least in the case of Vietri ceramics, is still to be built, swaying between ambiguity and the instrumental use of the term tradition or, worse, without defining a possible soul, but rather that humus of the place, with its atmospheres, its “legends”, its anecdotes and the “doings” of the community that make up the true lifeblood of the condition. The works of two young artists, Daniela Cannella and Nello Ferrigno, are connected to this lifeblood and their experimentations tie together the threads with a creative field. Daniela Cannella is a young architect from Salerno, producing careful design for years while looking towards the development of a possible route to be opened towards artistic ceramics, without, however, turning her back on tradition in order to follow trails distant from her origin. Tradition, especially that from Vietri, is taken on as a mental matrix, with a well-decided critical identity that pushes the young artist to probe grounds between sculpture and the functional object. The vases created over the last few months can be placed in this field. They are connoted by a strong poetic “action” and by a narrative value, where forms assume the outlines of a veiled love discourse, suspended between the “interior” eye of the project and nature. They are, moreover, poetic objects that evoke the forms of natural elements, recuperated tree trunks, in their torsion of bodies, from the fragile consistency of clay and animated by the porous nature of a surface that absorbs every bit of light, accentuating the veins, the folds, and in short, imaginatively activating the material. Unlike her first works, in which the interest lay mainly in the design, the works on display attract attention for their evocative capacity. This decision is made very clear by the structural composition and the complete reduction of the chromatic dictation. In fact, these vases in the form of trunks are thin leaves of clay, spread out like rippled pieces of paper coloured at times by a natural earthen red, then by mixtures of black clay. Nello Ferrigno looks towards I S H a lifeblood, understood in its well rooted value of origin of collective imagination, and provides, in ceramics, a repertory of forms of Mediterranean mythology, without letting himself be taken over by nostalgia, keeping his curiosity directed towards the future, towards new languages. Ferrigno takes up his confrontation once again at a distance of almost twentyfive years from when, together with other artists from Salerno, he joined that “social participation” project launched in Marigliano in 1975 upon the occasion of the “Napoli Situazione ’75” exhibition. A field of research better documented in the specific section set up at the Venice Biennial in 1976. Already in his works and operations of those years, Ferrigno took on the ironic figure as a measure of his desire to find a creative dialogue with tradition. This is the route from which his figures start, his cavaliers, his women removed from a repertory of scenes, the synthesized horses, almost, like monolithic forms, reassured by a compositional geometry, suddenly, however, put into discussion by the sensual forms of white Amazons. His recent works testify to a further, not only compositional, but also chromatic development, highlighted by the use of glaze and his possibilities of graduating the luminosity of the surfaces. Josif Droboniku (page 52) Making mosaics is still considered one of the noblest specialities of artistic crafts. We draw near to the work of Josif Droboniku with considerable interest, in as much as his works evoke all the history of the great tradition of mosaics and monumental painting such as frescoes. Born in Fieri (Albania), he soon moved to Tirana where he went to the Art School and then the Fine Arts Academy, specializing in monumental painting, frescoes and mosaics. His ability in this art awarded him with instant recognition: he therefore began his activity, invited to participate in the most important national exhibitions in Albania, which was followed by commissions, primarily for the creation of large mosaics to be carried out in many state and public buildings of Tirana, to which were often added portraits, landscapes and paintings of a historical and social nature. But it was in frescoes that Droboniku affirmed himself, achieving results of a very high level, such as the works carried out for the Civic Museum and Polifunctional of Lushnje and Peshkopia, in the mosaics of the Culture Building or in that of the Faculty of Agriculture at the University of Tirana of which he is the co-author and, above all, in the great mosaic on the T E X T facade of the Tirana National Museum. Since 1990, Droboniku has been in Italy and over the last few years he has carried out great mural paintings in many churches in the Diocese of Lungro, following traditional model of sacred Byzantine art, enriched by the lesson that comes from a great iconographical master, his compatriot of universal fame such as Onufrio. He has made the icons for many iconostases of the Churches in the Dioceses of Lungro, Fascineto, S. Benedetto Ullano, Marri di S. Benedetto Ullano, Plataci, Falconara Albanese, Sofferetti, but above all, the great mosaic in the central dome of the Lungro Cathedral, which presents the majestic figure of Christ Omnipotent. And in the same cathedral, he made the mosaic in the apse of the Baptistery Chapel, as well as the mosaics of Saint Andrew, of the 4 Evangelists, of the Creed, Angelus and 5 mosaics inside the Vima, making an overall total of around 300 m_ of new mosaics. Other mosaic works were carried out for the parochial churches of Civita and S. Sofia d’Epiro. Currently in the phase of completion are the central mosaic in the Church of Mater Domini di Catanzaro (50 m_), the Christ Omnipotent in the Church of S. Benedetto Ullano and the unique praiseworthy mosaic work of 80 m_ of the “Last Judgement” (temple of the Cathedral S. Nicola di Mira di Lungro). The historical presence of the mosaic in Italy is currently rediscovering, with Droboniku, a continuity following those consolidated models that the “Orthodox” have always wanted to maintain intact, over and above the development of the history of art. The quality of his work is constantly convincing and winning over more and more admirers. A great lesson for safeguarding and conserving the artistic heritage of the mosaic of the Byzantine eastern tradition while renewing it. Today Josif Droboniku avails himself of the valuable collaboration of his wife Liliana, scrupulous creator and executor of hieratic figures and solemn subjects of the eastern religious tradition. “Arberart” is the workshop in which our master, flanked by his two young daughters, designs and creates his best works of artisan art. The mosaic and icon are the artistic forms that Droboniku favours and to which Josif wants to dedicate particular attention, and it is for this reason that he wanted to institute a workshop-school (in order to train and educate young people in the art of mosaic and iconography), laboratory, and permanent exhibition point in Altomonte, in a place that discovered the treasures of the Byzantine world a short time ago. 87