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INFINITI MONDI I QUADERNI DI MICROCINEMA © 2012 Microcinema s.p.a., Legnano (MI) www.microcinema.eu [email protected] prima edizione I QUADERNI DI MICROCINEMA 5 INFINITI MONDI Microcinema - un progetto sostenibile per il cinema digitale italiano “Di maniera che non è un sol mondo, una sola terra, un solo sole; ma tanti son mondi quante veggiamo circa di noi lampade luminose”. Giordano Bruno, De l'infinito, universo et mondi (1584) Prefazione dell’editore Prefazione dell’editore Con la pubblicazione di questo quaderno siamo arrivati al nostro quinto appuntamento editoriale, diventato ormai, non solo una consuetudine, ma piuttosto un vero e proprio appuntamento con un pubblico assai vasto. Benvenuti quindi, cari Lettori, tra le pagine di Infiniti mondi, una breve storia tascabile del cinema di fantascienza raccontata da Microcinema. Lo scorso anno avevamo dedicato la nostra attenzione al cinema italiano, in occasione del 150mo dell'Unità d'Italia e, lavorando alle note di quel libro, ci eravamo resi conto di quanti premi e riconoscimenti la nostra cinematografia avesse ricevuto nel mondo. La nostra speranza era (e resta) quella di un nuovo "rinascimento", di una novella fioritura culturale che riporti la nostra cinematografia – perché no? – ai fasti del passato e, non a caso, siamo impegnati anche noi ad assicurare la migliore visibilità ai giovani registi emergenti del cinema italiano. Quest'anno abbiamo voluto tentare qualcosa di diverso. Abbiamo provato a raccontare la nascita e lo sviluppo di un “genere” che, pur poco frequentato dalla tradizione italiana, continua a rappresentare uno snodo centrale della cinematografia mondiale. Da un lato abbiamo voluto allargare le nostre prospettive fortemente al di fuori dei confini nazionali e, d’altro canto, ci è sembrato interessante – perfino entusiasmante – raccontare come si proiettano nel futuro (e sullo schermo) i problemi, le speranze, le contraddizioni dell'umanità contemporanea. La fantascienza, dura e poeticissima al tempo stesso, ci ha rapiti, ci ha trascinati in Infiniti mondi lontani. Vogliamo sperare che ci teniate compagnia. L'avventura cartacea di quest'anno è stata portata a termine anche grazie al vostro aiuto e alla vostra fedeltà. A noi piace l'idea di contribuire a salvare il cinema dal buco nero che lo sta risucchiando, proponendo a un settore, troppo spesso penalizzato, alcune soluzioni concrete per far fronte all'impoverimento culturale, ai disagi pratici, allo scarsissimo interesse dimostrato dalle istituzioni. Ma a sostenerci siete voi, lettori, esercenti, distributori, produttori, giornalisti, 7 responsabili privati e pubblici: voi appassionati e voi che avete amato il cinema al punto di farne un mestiere. Voi che ora avete fra le mani il nostro piccolo libro di squillante arancione, un piccolo segno della nostra gratitudine nei vostri confronti. Anche queste pagine raccontano la nostra passione e l'impegno che ci mettiamo. Speriamo siano degne dell'attenzione che, una volta di più, ci state dimostrando. Ancora una cosa: noi ci siamo davvero divertiti, ora tocca a voi. Poche righe per dare conto di alcune scelte più prettamente editoriali. Il Quaderno è suddiviso in tre sezioni. La prima, Infiniti mondi, una vera e propria rassegna del cinema di fantascienza fino ai giorni nostri, è stata curata da Eleonora Belligni del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino. La seconda, che rappresenta ormai un vero e proprio appuntamento con i nostri lettori, è Il Cinema Ritrovato che affronta, attraverso le esperienze vissute da alcuni operatori del mondo cinematografico, le tematiche legate all’idea centrale del nostro lavoro quotidiano: il sostegno all’esercizio, alla distribuzione, alla produzione e quindi al pubblico. Un progetto che, malgrado le evoluzioni rese necessarie dai mutamenti del mercato, rimane sempre fedele a tre parole: sostenibilità, flessibilità, interoperabilità. Chiude il libro il consueto, atteso Dizionario essenziale che è stato, come sempre, aggiornato e integrato. Per illustrare questo libro abbiamo scelto spettacolari fotografie di galassie. Il tema trattato era troppo ghiotto e offriva infiniti luoghi dove spaziare, è proprio il caso di dirlo, con la fantasia. Si tratta di immagini che a noi sono piaciute molto in sé e nelle quali, tutte, abbiamo cercato e trovato le ragioni di un qualche “contrappasso” col tema di quest’anno, ragioni che lasciamo gioiosamente ad ogni più personale lettura. Nel cielo sono presenti miliardi e miliardi di galassie, stelle, pianeti e corpi celesti di ogni forma, dimensione e colore. Un numero che noi, poveri terrestri, non riusciamo neanche a concepire e tantomeno a scrivere. Ma confessiamo tuttavia che noi sentiamo quella dimensione, pur così difficilmente immaginabile, più come una possibilità che non come uno spettro. Sono le distanze che ci stupiscono e ci acquietano. Anche questo Quaderno viene pubblicato in 7.500 copie, una tiratura di tutto rispetto che significa – ne siamo ancora una volta compiaciuti 8 – che i quaderni di Microcinema hanno pieno titolo per aspirare al rango dei bestseller. E poi, davvero in chiusura, ci vengono in mente alcune fortunate coincidenze. Questo è il quinto quaderno di Microcinema, cioè il V in numeri romani. Ma anche V come Visitors, ricordate? Era il 1983. E come non notare l'uscita sugli schermi italiani, nello stesso anno nel quale è edito questo libro, di Hugo Cabret, geniale film di Martin Scorsese ispirato alle vicende di Georges Méliès, il pioniere del cinema di fantascienza. Ancora una coincidenza la troviamo proprio nei nostri quaderni. Lo scorso anno, il quarto quaderno si apriva con una frase rubata ad uno dei film che affrontano nel modo più interessante il nostro futuro. “…E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”. Non conoscevamo ancora l'argomento del quinto quaderno, ma forse è stato proprio Ridley Scott che inconsapevolmente ci ha guidato sin qui. Probabilmente e, ancora più inconsapevolmente, ci ha condotto alla fantascienza proprio la fantascientifica avventura di Microcinema, passata in pochi anni dal sogno alla realtà. Buona lettura e buon cinema a tutti. 9 La fantascienza nasce due secoli or sono di Roberto Bassano Georges Méliès il geniale prestigiatore illusionista di fine ottocento trasferendo sullo schermo le sue idee visionarie ci porta, per primo, nel mondo della fantascienza. E con Segundo de Chomon che dipingeva a mano singolarmente ogni fotogramma della pellicola ci porta nel mondo del cinema a colori. Méliès e de Chomon realizzano moltissime pellicole, che i due chiamano “fantasmagorie”. Il montaggio diviene sinonimo di metamorfosi in un’apoteosi dell’arte delle meraviglie. La fotografia in movimento dà grande realismo e credibilità ai trucchi mostrati, cosicché le leggi della natura sembrano annullarsi, in un mondo fantastico irreale, dove la libertà è totale e le possibilità infinite. Grazie all’incontro con il tecnico spagnolo Segundo de Chomon, Méliès riesce a reinventare il cinema, trasformandolo da semplice riproduzione della realtà in pura magia, grazie ai così detti effetti speciali. Nasce un "mondo virtuale" dove tutto è possibile. L’incredibile avventura di Méliès e de Chomon nel magico mondo del cinema e degli effetti speciali da loro inventati negli ultimi anni del 1800, raggiunge il suo culmine con quello che viene considerato il capolavoro della filmografia di Georges Méliès: Viaggio nella luna. Il film è una parodia basata liberamente sul romanzo di Jules Verne “Dalla Terra alla Luna”. La trama è molto divertente. Un congresso di astronomi decide di sparare una navicella a forma di proiettile sulla Luna, alcuni di loro s'imbarcano e vengono sparati da un cannone. Il proiettile arriva sulla Luna, conficcandosi direttamente nell'occhio della faccia dell'astro e provocandogli una visibile irritazione. Una volta scesi, i viaggiatori incontrano i Seleniti, vengono catturati e presentati al loro Re. Riescono a scappare, e ripartono facendo cadere il proiettile verso la Terra. La navicella atterra in mare e viene trascinata in un porto. Proprio come sarebbe avvenuto settant'anni dopo. Una delle scene iniziali del film, la navicella spaziale che si schianta sull'occhio della Luna dal volto umano, entra nell'immaginario collettivo ed è una delle sequenze che fanno la storia del cinema. L'immagine la conosciamo tutti. Proprio tutti grazie a Martin Scorsese e al suo Hugo Cabret. 11 Con l’avvento del sonoro, al film viene aggiunto un commento musicale e le descrizione dei fatti. Viaggio nella luna è la prima opera di finzione cinematografica ad avere un successo mondiale, ma ha anche un altro primato: è, infatti, il primo esempio di pirateria della storia del cinema. Alcuni agenti di Thomas Edison corrompono il proprietario di un teatro di Londra, per ottenere una copia del film. Ne fa poi stampare centinaia per proiettarle a New York, senza pagare nulla a Méliès. La pirateria, l'ossessione dei nostri giorni ha radici nel passato, antiche. E possiamo anche dire che la pirateria è nata negli Stati Uniti, non lontano dai Caraibi, patria dei pirati raccontati al cinema. A Edison tra le altre mille cose si deve lo standard della pellicola da 35mm: 35 mm di larghezza pari a 1 pollice e 3/8, con 4 fori sul bordo di ogni immagine. Sul finire dell'ottocento Segundo de Chomon ritorna nella sua terra di origine, dove intende portare la sua esperienza e creare un cinema spagnolo. La sua indubbia abilità lo porta ad essere definito “il Méliès spagnolo” ed è ricordato per aver inventato il carrello cinematografico, che viene utilizzato per la prima volta sul set torinese del colossal muto “Cabiria” del regista Giovanni Pastrone. E rieccoci in Italia, una delle patrie del cinema. Non percependo alcun diritto d’autore, Méliès non trae alcun guadagno dalla riproduzione delle sue pellicole, ma solo dalla vendita singola e quando, con lo scoppio della prima guerra mondiale, la sua produzione si deve fermare, il suo Teatro va in bancarotta. Il grande inventore subisce un tracollo finanziario tremendo, si vede costretto addirittura a vendere dolci e giocattoli in un chiosco alla stazione di Paris-Montparnasse e solo anni più avanti viene riabilitato grazie all’intervento di un giornalista, ricevendo la Legion d’Onore direttamente dalle mani di Louis Lumière. I suoi 1500 film e la impagabile collaborazione con Segundo de Chomon rappresentano tutt’oggi un patrimonio ricchissimo di spunti incredibili, di fantasia unica e di incredibile capacità creativa. Liberamente tratto da un casuale ascolto di Radio 24 - Destini incrociati: Georges Méliès – Segundo de Chomon. “Un incontro dagli effetti decisamente speciali” di Simona Capodanno. 12 Cartwheel distanza dalla Terra: 500 milioni di anni luce INFINITI MONDI 13 Infiniti mondi di Eleonora Belligni Premessa L'universo e i pianeti. Il tempo e lo spazio. Le ipotesi e gli esperimenti. I terrestri e gli alieni. Il presente e il futuro. Come dalla dimora londinese del filosofo cinquecentesco Giordano Bruno, anche dalla poltrona di un cinema si possono scorgere infiniti mondi. Questo libro vuole raccontarli, attraverso la storia e l'evoluzione di un genere cinematografico oggi molto amato e frequentato dal grande pubblico: la fantascienza. Oggi, appunto. La verità è che l'interesse degli spettatori è sbocciato lentamente negli anni, frutto di una lunga assuefazione a temi, a scenari e personaggi che, all'inizio, figuravano troppo lontani, estranei alla loro sensibilità. Per gli operatori cinematografici la questione si è posta, fin dagli esordi, in maniera del tutto diversa. In ben centodieci anni dalla sua nascita, cioè da un celebre Viaggio nella luna del 1902, la fantascienza non ha mai smesso di sollecitare l'immaginazione dei registi e dei montatori, di stimolare gli sceneggiatori e i compositori di colonne sonore, di stuzzicare i creatori di effetti speciali, gli scenografi e i designers. La realizzazione di questi film ha sempre costituito per un artista, o per un artigiano della pellicola, una sfida emozionante a confrontarsi con trame difficili da rappresentare e scenari impossibili da rendere. Questa sfida è stata il vero motore del lavoro – accanito, qualche volta testardo – di pochi eccezionali individui: una nicchia dell'industria cinematografica che sapeva di cimentarsi con un filone ostico, spesso destinato ai soli appassionati di letteratura fantascientifica. Da qualche tempo, più o meno un trentennio, la situazione è completamente stravolta. Ora le pellicole di fantascienza si producono, si girano e si recitano nella certezza del guadagno. Si affrontano nella sicurezza che il computer risolva la maggior parte dei problemi tecnici: quelli che, qualche anno fa, rendevano difficile realizzare ambientazioni così lontane, azioni così speciali ed estreme, personaggi così inconsueti. Soprattutto, però, questi film si propongono oggi al pubblico ben sapendo di parlare la sua lingua; 15 perché non esiste più una categoria di persone, dai nonni ai bambini, che possa trovare estranei, scioccanti e paurosi quegli infiniti mondi. Le ragioni di questo mutato atteggiamento del pubblico – un lento addomesticamento – vanno cercate in una serie di fattori: un insieme troppo complesso perché se ne possa trattare in queste pagine non superficialmente, senza scomodare quelle discipline che vi hanno a lungo riflettuto. Ciò che si può fare, invece, è disegnare una fisionomia del cinema di fantascienza attraverso la sua lunga storia: ripercorrendone per sommi capi le vicende alterne, tra capolavori e B-movies, tra successi e fiaschi, tra momenti gloriosi e secche sterili, tra colpi di genio e patetici remake. Una delle vie possibili, intrapresa in questo libro, è quella di seguire l'ordine cronologico: è ciò che fanno, perlopiù, i manuali di storia del cinema. È solo un approccio tra gli altri che permette, però, di mostrare più facilmente quanto e come è cambiato, dai primi anni del secolo ventesimo, il film di fantascienza. La scansione per cicli decennali aiuta a definire il contesto e a considerare come variano nel tempo alcune coordinate che, fin dagli esordi, si sono rivelate fondamentali per il genere. A un primo, macroscopico livello bisogna tenere conto della dimensione internazionale: politica, economica, sociale. A un secondo livello occorre guardare ai progressi della scienza e della tecnologia. Questi aspetti possono agire in due modi sostanzialmente diversi: ispirando e sollecitando temi, contenuti e trame; oppure, su un piano più sottile, meno evidente, insinuando un modo di vedere, uno sguardo "filosofico" generale, ottimismo contro pessimismo, inquietudine contro speranza. C'è poi un terzo livello da mettere in conto: quello dei progressi del genere letterario fantascientifico, che con il cinema realizza, fin dagli inizi, un matrimonio difficile, tuttavia imprescindibile. Un quarto livello, non meno importante, è quello più propriamente cinematografico: l'evoluzione della settima arte, intesa come l'impegno delle case di produzione e poi degli autori, ma anche come l'insieme delle tecniche di realizzazione dei film. Un discorso a parte, che sarebbe troppo lungo per un solo libro, è quello degli effetti speciali: ciò che li lega alla fantascienza è un rapporto complesso di uso-abuso reciproco, per cui il genere e la sua tecnica si sperimentano reciprocamente, qualche volta con ben poca delicatezza. Mille altri aspetti, infine, potrebbero essere considerati per definire un contesto, ma queste quattro coordinate sono sufficienti a definire il mutamento nel tempo. Di questi parametri e non di altri, comunque, si è tenuto conto nel libro. 16 Il contesto influisce sui temi trattati nel cinema di fantascienza. Gli argomenti sono eterogenei: alcuni rappresentano delle situazioni, altri insistono sulla peculiarità dei personaggi. Lo scenario futuro, dalla metropoli al deserto; la catastrofe, per mano dell'uomo, della natura o di entrambi; il viaggio nelle sue varie dimensioni esterne o interne all'individuo; la realtà virtuale e il multiverso. E poi l'uomo artificiale, nelle sue varianti possibili, dal robot, all'androide, al cyborg; i mutanti, tra metamorfosi da contagio e manipolazioni indotte; gli alieni, amichevoli o ostili, antropomorfi o bestiali, graziosi o orripilanti. Sono solo alcuni degli elementi che hanno percorso la storia del genere: quelli che questo libro ha scelto di focalizzare. È stato necessario considerare che anche questi temi, con il passare dei decenni, si sono trasformati. Alcuni contenuti, semplicemente, hanno preso il posto di altri: ma forse è più corretto dire che ne hanno inglobati altri che, lungi dallo scomparire, sono sopravvissuti al loro interno. Né i mostri tanto cari agli anni venti, né gli scienziati pazzi dei primordi si sono del tutto dileguati dall'orizzonte della filmografia. E non solo perché quella recente è l'epoca dei remake. La verità è che altri grandi temi – la realtà virtuale, la mutazione, gli universi multidimensionali – li hanno posseduti, in virtù di quel meccanismo tanto caro agli ultracorpi di Don Siegel1. Ci sono ancora, ma sono qualcos'altro. Contesti e temi forniscono la materia prima della narrazione che segue, articolata per decenni. Ciascuno dei capitoli è dedicato a dieci anni di storia del cinema di fantascienza. Il primo, invece, riassume l'intera epoca dei primordi: un'epoca nebulosa, in cui il genere, alla ricerca di autonomia, si produceva in una serie di esperimenti, con il rischio continuo di sconfinare in quelli contigui (il film di paura, soprattutto, e il film fantastico per ragazzi). Dagli anni cinquanta in avanti, i capitoli raccontano una vicenda diversa. La situazione è più lineare: la fantascienza al cinema acquisisce una fisionomia peculiare, un proprio statuto. Di lì in avanti, essa sarà in espansione, magari non sempre lineare. Eventuali regressioni sono state finora compensate da altre evoluzioni: negli ultimi anni, per esempio, la professionalità degli operatori cinematografici non si è realizzata tanto nelle sceneggiature e nei contenuti, come avveniva in passato, quanto nell'esercizio di una tecnologia sempre più sofisticata, di 1 Ne L'invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, di Don Siegel, USA 1956) gli extraterrestri si impossessano degli esseri umani prendendone le fattezze, dopo uno stadio larvale all'interno di enormi baccelli. 17 grande richiamo per il pubblico. Oggi, cioè, le sale proiettano spesso film poco impegnati, ma esteticamente perfetti; una volta se ne vedevano magari di molto intelligenti, ma sguarniti, con scenografie sghembe e alieni rattoppati. La varietà dei temi, soprattutto dagli anni cinquanta in avanti, costringe a operare una selezione. Non è sempre possibile definire con precisione i confini di una categoria che, come si vedrà, ha tra le sue principali caratteristiche quella di essersi compromessa – in modo perlopiù fecondo – con quasi tutte le altre. Si è reso necessario, in queste pagine, operare un taglio netto tra la fantascienza classica, quella più codificata, e alcuni generi che finiscono con l'assomigliarle molto. Un film come Alien2, per esempio, non può che essere incluso. È vero: aderisce in parte alle logiche del film dell'orrore, ma la fantascienza ha il sopravvento, perché l'ambientazione spaziale non è un pretesto, ma una necessità narrativa. Per amor di sintesi non sono qui compresi quei film che appartengono, esplicitamente o meno, a un altro filone: l'horror, il filone fantasy3, i film che hanno come protagonisti i supereroi e la fantascienza di animazione; ma anche i film che derivano dichiaratamente dalla trama di un videogioco. Nonostante contengano gli elementi principali del cinema fantascientifico – una visione del futuro, la scienza immaginata – questi film sono ascrivibili ad altri generi, anche se la fantascienza deve riconoscere loro un doveroso tributo. Blob4 è un'informe gelatina che viene proprio dallo spazio, anche se potrebbe venire da una qualsiasi cucina americana: 2 Alien (di Ridley Scott, USA, Gran Bretagna 1979). Al pari della fantascienza, il Fantasy parla di mondi immaginati, creature intelligenti non umane o esseri mostruosi: l'azione non è però, di norma, basata sulla scienza o sulla tecnologia, bensì sul mito e sulla fiaba. Tuttavia, come nel caso della cosiddetta science-fantasy, si sono creati filoni ibridi tra i due generi, in cui sono presenti sia la scienza sia la mitologia. Il cinema rende particolarmente difficile fare una distinzione quando gli elementi sono mescolati: è il caso, per esempio, della saga di Guerre Stellari (Star Wars, di George Lucas, USA 1977). 4 Blob- Fluido mortale (The Blob, di Irvin S. Yeaworth Jr., USA 1958) parla di una creatura aliena vischiosa e senza forma che terrorizza una città della Pennsylvania inglobandone gli abitanti. Grazie alla sua passione per il cinema (si dirige, infatti, a mangiare esseri umani in un cineteatro) le è stato dedicata la trasmissione di Rai 3, Blob. Il programma, nato da un'idea di Angelo Guglielmi e di altri critici e autori, è fatto interamente dal montaggio di spezzoni audio e video delle televisioni italiane ed estere. 3 18 non è cinema di fantascienza in senso stretto. Akira5, un film cyberpunk più coraggioso della maggior parte delle pellicole dei suoi anni, resta pur sempre un anime, un cartone animato che deriva da un manga giapponese6, è tale è stato considerato. E così via. Un altro taglio, forse ancora più drastico, è stato operato in questa rassegna. Non tutti i film di fantascienza, cioè, sono presenti. Solo alcuni sono stati citati, selezionati fra una miriade di altri possibili. In qualche caso il criterio della scelta è stato quello del successo di critica, in qualche altro quello ottenuto presso il pubblico. Nel catalogo la fantascienza europea e americana, con qualche sporadica eccezione, prevale su quella del resto del mondo: così come, per la verità, la letteratura e il cinema occidentali hanno spesso governato i destini di questa categoria. La selezione è stata spietata. Ciascuno dei film considerati in queste pagine si è segnalato all'attenzione degli spettatori, delle riviste specialistiche o degli storici del settore per almeno un aspetto: la raffinatezza estetica o tecnologica, la genialità dell'idea, la profondità del messaggio, il ritmo dell'azione, il pianeta più rosso, il cyberspazio più ostile, l'utopia più stravagante, l'eroe più anomalo e originale. Molti buoni film, che qui non sono menzionati, avrebbero meritato la stessa considerazione. Forse, però, la stanno ottenendo: in un universo parallelo può essere che altri ne scrivano proprio ora, coprendo le lacune, gli errori di prospettiva e le dimenticanze. 5 Akira (アキラ, di Katsuhiro Ōtomo, Giappone 1988) è un film d'animazione scritto ediretto da Katsuhiro Ōtomo, autore anche dell'omonimo fumetto, molto diverso dal film. Akira è stato l'anime che ha conquistato l'Occidente all'animazione giapponese dei lungometraggi: è considerato un capolavoro del genere. 6 Anime, abbreviazione di animēshon (traslitterazione giapponese della parola inglese animation, "animazione"), è la parola con cui in Giappone, dagli anni settanta, si indicano i cortometraggi, i film di animazione e le serie di cartoni animati, mentre in Occidente viene usato per definire la produzione giapponese di animazione. 19 UGC1810 distanza dalla Terra: 300 milioni di anni luce 21 Il cinema di fantascienza Dopo Blade Runner. Molti umani se lo ricordano ancora con emozione. Trent'anni fa. Los Angeles, 2019. Sui tetti della megalopoli allucinata, maledetta da un'eterna notte e da una pioggia torrenziale, un albino statuario dagli occhi d'iceberg guarda ansimare, ai suoi piedi, l'avversario che ha appena salvato da una caduta mortale. Roy Batty, l'androide crudele, il replicante senza pietà, ha risparmiato la vita di Rick Deckard, il detective-cacciatore. Un gesto inspiegabile. Deckard ha ucciso i suoi compagni, lo sta braccando per disattivarlo, per «ritirarlo» dal mondo perché ne minaccia la sicurezza. Ma in quei suoi ultimi istanti Roy ama la vita, «qualsiasi vita», anche quella del nemico. «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi», gli confessa prima di spegnersi per sempre, «navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser»7. Un inno alla dignità di ogni esistenza, tradotto in tutte le lingue del mondo, che da quel lontano 1982 – data in cui Blade Runner fu distribuito – migliaia di persone hanno citato e recitato. «E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». Un addio che suona struggente tanto nell'asprezza dell'originale quanto nella cantilena più dolce del doppiatore italiano; così nella forma come nel contenuto. L'umanità è una splendida invenzione, ci vuole dire l'androide, ma disumana. Non mantiene le sue promesse. Gli umani non la meritano. Non ci sono dubbi: Roy, eroe tragico di fine secolo, ha consegnato alle masse degli spettatori una delle uscite di scena più celebri della storia del cinema. Famosa quanto quella che più di quarant'anni prima aveva immortalato Rhett Butler, in Via col vento, nel suo benservito a Rossella o' Hara,: «Francamente, me ne infischio»8. 7 È la versione doppiata in italiano. Nella versione originale si recita: «I've seen things you people wouldn't believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhauser Gate. All those... moments will be lost... in time, like tears... in rain. Time to die» (Roy Batty in Blade Runner, di Ridley Scott, USA 1982). 8 Via col vento (Gone with the Wind, di Victor Fleming, USA 1939) codiretto da George Cukor e Sam Wood, è stato prodotto da David O. Selznick e distribuito dalla Metro-Goldwyn Mayer. La sceneggiatura di Sidney Howard è tratta dal romanzo di 23 2019-1982. All'uscita nelle sale, il regista Ridley Scott fu salutato come un genio: se non da un gran numero di spettatori, dai cinefili e dagli amanti del genere. In molti pensarono che oltre – oltre quel triste addio all’umanità, oltre quella filosofica e amara consapevolezza di un replicante senza speranza – non fosse possibile andare. In fondo Blade Runner era stato distribuito in tempo per festeggiare gli ottanta anni dalla nascita del film di fantascienza. Ottant'anni di futuro già trascorsi. Nel 1902 il francese George Méliès aveva confezionato, girato e montato il suo irresistibile Le Voyage dans la lune9 e aveva suggerito a generazioni di spettatori un modo nuovo di emozionarsi e, al tempo stesso, di interrogarsi. Riflettere sul futuro possibile, sulla tecnologia e sulla natura umana: soprattutto, su quanto sia veramente strano ed estraneo lo straniero, a partire dalla luna, maldestramente accecata dalla navicella spaziale. Molti decenni più tardi, un biondo replicante sembrava aver chiuso il discorso, tutti i discorsi possibili. A ruota, a pochi giorni dall'uscita dal film, moriva Philip Dick, uno dei maggiori scrittori di fantascienza del dopoguerra. Sembrò un segnale funesto. Blade Runner pareva un traguardo inarrivabile; sicuramente lo era Dick, da cui il soggetto era stato tratto con molta libertà. Questo genere cinematografico aveva detto tutto? Tutto, cosa? Per rispondere a questa domanda bisogna ripercorrere non solo gli otto decenni che separano Méliès da Ridley Scott, ma estendere lo sguardo a quei tre che ormai ci separano dal «cacciatore di androidi» Rick Deckard, e dalle sue vittime. Occorre cercare di capire che cosa ha reso il cinema di fantascienza quello che è, che è stato e che rappresenta, attraverso il suo passato glorioso e le innovazioni, ma Margaret Mitchell, Gone with the Wind, vincitore del premio Pulitzer nel 1937. È uno dei film più famosi della storia del cinema per l'enorme successo di pubblico e critica: nelle intenzioni del produttore voleva essere un grande affresco storico dell'America della Guerra di Secessione. Finisce tuttavia con l'essere ricordata soprattutto la storia d'amore dei due protagonisti: la bella e ambiziosa Rossella o'Hara e lo spregiudicato e ironico Rhett Butler. 9 Viaggio nella luna (Le voyage dans la lune, di George Méliès, Francia 1902) è il primo film di fantascienza e, contemporaneamente, la prima parodia del genere. Fu prodotto dalla Star Film, la casa di produzione (con studi annessi) fondata dallo stesso Méliès. Nel 1904 il regista-illusionista gira il suo secondo film del genere, Viaggio attraverso l'impossibile (Le Voyage à travers l'impossible, di Georges Méliès, Francia 1904). In realtà alcuni individuano il primo film di fantascienza ne La Charcuterie mécanique, (di Louis Lumière, Francia 1895), storia di una macchina ipertecnologica che trasforma un maiale vivo in vari salumi e prodotti di macelleria. 24 anche attraverso le pause e le repliche di formule trite: banalità, trivialità, noia, alternate a palpiti, genio, meraviglia. Per prima cosa bisogna capire di che si tratta. «L'exotisme dans le temps, l'exotisme dans l'espace»: questo è il punto di partenza dei primi cineasti, che si avviano alla ricerca del futuro raccogliendo una vasta eredità: quella pluricentenaria della letteratura utopica e della letteratura di viaggio; quella ottocentesca del romanzo avventuroso e del filone avveniristico, rappresentato dalla contrapposizione (in realtà fittizia) tra il modello di Jules Verne e quello, posteriore, di Herbert G. Wells. La fantascienza vera e propria si farà avanti con una certa timidezza e solo qualche anno più tardi: è il difficile incontro tra un genere letterario che cerca di guadagnare autorevolezza e un'arte (la settima, detta anche la decima musa) che cerca di essere riconosciuta come tale. Quasi contemporaneamente alla nascita del cinema, il mondo scientifico sta intraprendendo un viaggio che lo porterà ben oltre i confini del senso comune, nei mondi esotici dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo. Negli stessi anni in cui si sperimentano ancora le potenzialità del mezzo cinematografico, i registi pionieri del futuro non possono ignorare le suggestioni che arrivano dal mondo della scienza. La fine del positivismo coincide sostanzialmente con il tramonto della Belle Époque, è l'età che prelude ad Albert Einstein, a Niels Bohr e a Werner Heisenberg, alla meccanica quantistica e alla relatività10. Le scienze della natura si interrogano sui propri fondamenti e sulle proprie possibilità mettendo in luce i paradossi e l’«indeterminazione» delle leggi che governano l'universo. Per il popolo del cinematografo delle origini lo scienziato diventa pazzo, o sfrenato, oppure eroico. Ma c'è di più: sullo schermo il progresso ripropone i misteri, esoterici e talvolta terrificanti, del mondo magico. Non a caso è un illusionista di professione come Méliès colui che intuisce le capacità della macchina da presa di immaginare infiniti mondi: di fare, in una parola, fantascienza. Il geniale francese è anche il primo a proporre una codificazione di genere: nei suoi due film sono già presenti alcune intuizioni sfruttate dalla filmografia 10 Nel 1971 Werner H. Heisenberg scrisse una famosa sintesi di quegli anni di fermento scientifico: Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti (1920-1965). 25 fantascientifica nei decenni a venire. L'assurdo, il controfattuale11 e il diverso diventano frequentatori assidui delle sale cinematografiche. La fascinazione di questa magia sembra, però, prevalere sulla riflessione. Il cinema di fantascienza fatica a emanciparsi, ad affrancarsi dalla sua origine ludica e spensierata, alla ricerca dello stupore puro. Ci vorrà del tempo perché riesca a varcare le soglie del grande cinema, quello costellato (almeno talvolta) di sublimi registi, attori eccezionali, sceneggiatori senza rivali. Dovrà dimostrare di essere una categoria che non mira a perseguire esclusivamente lo svago e l'evasione. Solo gli sforzi congiunti di molti operatori, la devozione del pubblico e qualche grande talento permettono, in più cinquant'anni, che venga considerata una forma d'arte. Stenta ad affermarsi come genere autonomo, ma finisce col guadagnare la stima dei critici più severi, mettendosi alla pari con il cinema cosiddetto colto per la varietà di soggetti e di tematiche, per la profondità dei problemi affrontati. Ma la sua sensibilità verso i temi sociali e i dilemmi esistenziali non ha ucciso la sua vocazione all'intrattenimento. Alcuni dei film migliori possono essere goduti e capiti a diversi livelli; può anche capitare, nella stessa proiezione, di morire d'angoscia, di trattenere il respiro per la tensione e di sorridere (o ridere) per le battute degli attori. Anche se, ovviamente, non tutti i film di fantascienza sono profondi e divertenti allo stesso tempo. Anzi, è vero che esiste un mare di opere brutte al punto che si proiettano e si guardano con imbarazzo. I soggetti di questo cinema, perlopiù, riflettono luoghi, idee e personaggi che sono stati trattati dall'omonima letteratura: quella di fantascienza. La loro sorte sembra la stessa. Libri e film di science fiction sono distanti anni luce – è il caso di dirlo – dalla rigida serietà delle arti nobili. Sembrano nati sotto il segno di un esotismo di seconda scelta. È vero, tuttavia che, dopo un avvio sofferto, letteratura e cinema fantascientifico si uniscono in un destino comune: due sottoprodotti, due scarti della produzione artistica occidentale che generano (qualche volta) dei capolavori. Carta o celluloide12, i temi sono gli stessi: nascono una mescolanza di fantasia, da una parte, e di nozioni, teorie, ipotesi scientifiche o 11 È controfattuale qualcosa di soltanto ipotizzato e concepito come un’alternativa possibile, che non si è però realizzata, rispetto a ciò che è davvero successo o a ciò che davvero è. 26 invenzioni tecnologiche, dall'altra. È una scienza prefigurata, una tecnologia immaginata, temuta o auspicata nei suoi sviluppi, che dà vita a mondi sconosciuti, a fenomeni inaspettati, a esiti imprevisti o controintuitivi13. Una scienza fantastica, una serie di fantasie scientifiche. Scienza e futuro sono fatti interagire sul grande schermo, ripresi nelle loro varianti possibili o impossibili, nelle loro infinite declinazioni, nelle ricadute sulla natura e, soprattutto, sul genere umano, inteso come individuo o come società. La vicenda raccontata nel film prende di regola il suo avvio da una serie di dati su cui si esercita una proiezione nel futuro: elementi immaginati, ma quasi mai del tutto improbabili. Altre volte, la narrazione si sviluppa dalla descrizione di un contesto estraneo agli occhi dello spettatore. Lo scenario delineato si differenzia per almeno un aspetto dalla realtà quotidiana: è un tempo di là da venire, prossimo o meno; è uno spazio sconosciuto, più o meno lontano. Anche i meccanismi narrativi vengono condivisi a lungo tra la pellicola e la carta stampata. Nel cinema di fantascienza, come nella letteratura analoga, l'azione si sviluppa in dipendenza da alcuni elementi che definiscono il contesto: lo spazio, il tempo, la società, la natura, l'individuo. Di solito è l'intervento della scienza o della tecnologia a costituire il motore della vicenda, agendo proprio su tali coordinate: esse sono sottoposte a trasformazione, la trasformazione genera un conflitto o un paradosso che, in qualche modo, deve venire risolto o superato. Nell'arco di qualche decennio – entro gli anni cinquanta – molti, se non tutti i grandi temi della fantascienza di ogni tempo vengono adattati alla macchina da presa e consegnati al grande pubblico, sfruttando le possibilità offerte dalle immagini in movimento e la loro capacità seduttiva. La maggior parte dei contenuti è già presente nel cinema delle origini o viene comunque sviluppata nei primi decenni: il viaggio; l'esperimento scientifico e la sfida tecnologica; gli scenari 12 La celluloide è, per eccellenza, il materiale per la fabbricazione delle pellicole cinematografiche. In realtà, dal 1954 la celluloide non è più usata, perché troppo infiammabile. È stata sostituita dal triacetato di cellulosa (ormai non più usato) e poi dal poliestere (polietilene tereftalato) tuttora utilizzato. 13 L'espressione science fiction è usata per la prima volta da Hugo Gernsback, che nel 1926 fonda negli Stati Uniti la prima rivista della categoria, Amazing Stories. Gernsback parlò in realtà di scientific fiction, poi contratta in scientifiction, infine science fiction (nel mondo anglosassone abbreviata in Sci-Fi). La traduzione «fantascienza» è attribuita a Giorgio Monicelli, primo curatore de I romanzi di Urania, la più famosa collana italiana dedicata al genere, inaugurata dalla casa editrice Mondadori il 10 ottobre 1952 con Arthur C. Clarke, Le sabbie di Marte. 27 prossimi venturi (la città del futuro, la catastrofe); l'alieno, inteso non tanto come extraterrestre, ma come tutto ciò che è diverso, che scatena orrore, turbamento o pietà. Non a caso alcuni grandi registi accettano di cimentarsi con la nuova narrativa cinematografica: René Clair e Fritz Lang raccontano metropoli immaginate14, James Whale si specializza in mostri (e relativi congiunti) generati da macabri esperimenti15, George Wilhelm Pabst riproduce la vicenda della regina Antinea proponendo, dopo Lulù, un'altra delle sue donne fatali 16. Fin qui, sembrerebbe, si tratta di un processo già noto alla storia delle immagini in movimento: un filone cinematografico che si sviluppa come espressione visiva e replica della corrente letteraria da cui è stato generato. Ma c’è di più. La fantascienza al cinema è un genere unico, reso tale fin dai suoi esordi da due caratteri peculiari. Il primo è proprio, aldilà delle apparenze, la costante ricerca di autonomia dai referenti letterari: uno sforzo che ha avuto, bisogna riconoscerlo, ottimi risultati. I film di fantascienza sono spesso indipendenti dai romanzi ai quali si sono ispirati: ancor più di quanto non lo sia di norma il cinema nei confronti della letteratura. Il secondo fattore è una straordinaria flessibilità, intesa come capacità di mescolarsi agli altri generi cinematografici e di dar vita a opere di grande complessità narrativa, o di notevole spessore filosofico o, ancora, in grado di colpire l'attenzione di un pubblico molto più vasto di quello degli appassionati e degli specialisti. Il giallo, il noir, lo storico, l'horror; e poi lo spionaggio, il dramma sentimentale, la commedia classica, la parodia, il western; l'umoristico demenziale, l'avventuroso, il film di guerra, il musical; e ancora, il prison movie, il road movie, addirittura il peplum (il film in costume) e molti altri a 14 La Parigi surreale e spopolata, ma vera, di Paris qui dort (di René Clair, Francia 1923) inedito in Italia, trova il suo contraltare nella irreale città, tutta artificiale e avveniristica, ritratta in Metropolis (di Fritz Lang, Germania 1927). 15 Nel giro di cinque anni l'inglese James Whale, trasferitosi negli Stati Uniti, gira il suo bellissimo Frankenstein (di James Whale, USA 1931) e poi dà in sposa alla creatura mostruosa una compagna altrettanto attraente, La moglie di Frankenstein (The bride of Frankenstein, di James Whale, USA 1935). Nel frattempo dà vita a L'uomo invisibile (The Invisible Man, di James Whale, USA 1933): mostro sì, ma meno ingombrante dei primi due. 16 I precedenti filmici della leggenda (narrata dal romanzo L'Atlantide di Pierre Benoît) a cui si è ispirata la vicenda di L’Atlantide (Die Herrin von Atlantis, di Georg Wilhelm Pabst, Germania, Francia 1932) e i film che vennero realizzati in seguito sono analizzati nel sito francese dedicato al mito di questa città e alla sua realizzazione nelle arti http://www.atlantide-films.net/accueil/accueil.htm. 28 seguire. Non c'è quasi categoria cinematografica a cui il cinema di fantascienza non abbia ammiccato, con cui non si sia compromesso, con cui non abbia intrecciato ardite relazioni, per dar vita qualche volta a veri capolavori, qualche volta a polpettoni indigesti e deplorevoli. Dalla carta allo schermo. L'autonomia tra cinema e letteratura fantascientifica è un elemento di fondamentale importanza per la storia dei film di fantascienza. Ciò non significa ovviamente che gli autori abbiano rinunciato a ispirarsi a romanzi e a racconti. Anzi, la trama di ogni pellicola, anche quando il soggetto è originale e rivendica una totale indipendenza, è tributaria di un'idea che, nella maggior parte dei casi, è stata concepita o sviluppata da uno dei grandi scrittori del filone. Questo tipo di cinema è figlio della pagina scritta quanto altri mai. D’altra parte, per lungo tempo si è verificata una sfasatura temporale tra film e letteratura: come se le due arti si inseguissero, senza riuscire mai a raggiungersi, a identificarsi in modo definitivo. L'esempio primo, e forse il più significativo, riguarda non tanto gli esordi del genere, nei primi decenni del Novecento, che scontano un'ovvia confusione iniziale e diverse sperimentazioni, sia in campo letterario, sia in campo filmico. Riguarda, invece, la cosiddetta «età dell'oro» della fantascienza letteraria, gli anni trenta e tutti gli anni quaranta, quando, dopo i primi timidi successi17, emergono i grandi autori riuniti intorno alla rivista, Astounding Stories18 come Isaac Asimov, Ray Bradbury, Robert A. Heinlein, Clifford D. Simak, A. E. Van Vogt, Theodore Sturgeon. Sulla loro scia si pongono giganti 17 Olaf Stapledon (1886 – 1950), (Last and First Men, 1930; Odd John, 1935; Star Maker, 1937; Sirius, 1940), fu la prima grande miniera di temi e soggetti fantascientifici per gli scrittori successivi. Poco dopo di lui, John Wyndham (1903 – 1969) e i suoi pseudonimi si lanciarono alla conquista della critica e del grande pubblico, varcando i confini dello specialismo di settore. 18 La rivista (il cui nome cambia in Astounding Science-Fiction nel 1938; Analog Science Fact & Fiction nel 1960; Analog Science Fiction and Fact nel 1992) e la sua popolarità tra gli amanti del genere è legata al nome di John W. Campbell che, alla fine del 1937, ne assunse la direzione e ospitò i più grandi autori del momento della cosiddetta fantascienza hard. È autore di La "cosa" da un altro mondo (Who Goes There?, 1948) dal quale è stato tratto il film La cosa da un altro mondo (1951). È stato sostenitore delle carriere di Asimov e Heinlein e delle teorie dianetiche di L. Ron Hubbard già nel 1950. 29 come Arthur C. Clarke, autore di quel The Sentinel che ispirerà il capolavoro di Kubrick 2001: Odissea nello spazio. È un ventennio di idee geniali, di invenzioni di luoghi, soggetti e problemi consegnati, nella maggior parte dei casi, a una scrittura eccellente. Questi pionieri diventeranno il riferimento obbligato per tutti gli autori dei decenni successivi. Paradossalmente però, proprio in questi anni, il cinema di fantascienza sembra arenarsi, con qualche raro picco d'eccellenza, in una palude fatta di vuote repliche, spesso ingenue o banali. Lo spettatore fa conoscenza con un vero esercito di mostri improbabili, scimmieschi o fantasmatici, da King Kong a L'uomo invisibile; con qualche scienziato pazzo19 affetto da manie di grandezza, come il Dottor Cyclops20 che "restringe" i suoi assistenti con un raggio. Altre volte si tratta di un avvenire sotto le bombe, come nel film catastrofico di William Cameron Menzies, La vita futura21. Si tratta spesso di trovate un po' stanche o ripetitive, affidate al virtuosismo dei registi, degli attori o degli sceneggiatori. Il cinema non sembra avere la voglia, le capacità o le energie di affiancare la letteratura nel viaggio avventuroso da questa intrapreso 22: seguire – spesso una 19 Mostri e scienziati pazzi vanno spesso a braccetto, essendo i primi, talvolta, il prodotto delle aberrazioni dei secondi. Tra i più famosi esperimenti teratogeni (che, cioè, generano mostri) della prima età della fantascienza cinematografica è d'obbligo ricordare ancora quello di Frankenstein (v. nota 15) e quello del Dottor Moreau (interpretato da Charles Laughton) de L'isola delle anime perdute (Island of Lost Souls, di Erle C. Kenton, USA 1932). Quest'ultimo, in verità, ne produce tantissimi, un'isola intera, e diventa un vero pioniere della manipolazione su larga scala. 20 Dr. Cyclops (di Ernest B. Schoedsack, USA 1940). 21 La vita futura (Things to Come, di William Cameron Menzies, Gran Bretagna 1936), prodotto dal regista ungherese Alexander Korda, è ispirato dal romanzo di H. G. Wells The Shape of Things to Come (1933). Wells viene chiamato nel ruolo di supervisore per ogni singolo aspetto del film, tanto che nelle locandine è affiancato il suo nome al titolo La vita che verrà. In Italia è distribuito una prima volta nel 1937 dalla Mander Film e una seconda volta nel 1953, con il titolo Nel 2000 guerra o pace? (Vita futura), dalla Minerva Film. 22 Riccardo Valla individua tre caratteristiche nella fantascienza della golden age, valide anche per i decenni successivi: «Secondo i teorici degli anni ‘50, la caratteristica della fantascienza americana era il suo contenuto di "estrapolazione", nel senso di riconoscere da alcuni elementi una tendenza in atto e proiettarla nei suoi sviluppi futuri. Ossia era futurologia romanzata. Altri spunti critici erano il riferimento al "sense of wonder", che noi tradurremmo "la meraviglia", perché è lo stesso concetto che faceva dire "è del poeta il fin la meraviglia". [...] In seguito la definizione più convincente è stata quella di Suvin, che individuava la fantascienza per il suo "novum", ossia l'innovazione su cui si basava tutta la storia. Questa definizione dava però l'impressione di potersi applicare solo a un numero limitato di 30 buona dose di capacità profetica, ma anche con perizia e competenza – le piste tracciate dalla scienza e dalla tecnologia; immaginare il mondo futuro a partire dai paradossi e dalle contraddizioni originati dalle nuove teorie o dalla loro applicazione; sconvolgere la prospettiva dell'uomo del ventesimo secolo aggiungendo coordinate estranee: il cosmo, la vita aliena, la robotica. Per mettersi alla pari con queste le nuove sfide del futuro (quelle vere e quelle immaginate), l'industria cinematografica impiegherà un po' di tempo, almeno fino agli anni cinquanta. Eppure, tra gli inizi della Guerra Fredda e il ventennio successivo questo ritardo permane, sebbene meno pronunciato. Negli anni cinquanta, la letteratura del genere fantascientifico passa abbastanza rapidamente dall'«hard sci-fi» (la fantascienza legata alle scienze esatte, alla logica matematica, allo sviluppo tecnologico) a quella «soft», un sotto-filone più attento alle implicazioni sociologiche e psicologiche degli eventi futuri e delle innovazioni possibili. Ancora una volta, il cinema sembra adeguarsi a questo nuovo modo di vedere le cose con qualche anno di ritardo. In modo indipendente (perlopiù) la fantascienza delle immagini in movimento si costruisce la sua strada: un percorso che si snoda tra prove d'autore – quando cioè intervengono i grandi registi, per cimentarsi in quello che pare ormai un filone promettente – e film mediocri, tra produzioni seriali di B-movies e dimostrazioni di sgangherato dilettantismo. Di tanto in tanto, di solito per illuminazione di un regista, essa sembra recepire un contenuto nuovo, che la pagina scritta suggeriva da tempo: la distopia, per esempio, cioè gli orrori di una società futura; o i paradossi dell'evoluzione (che spesso si rovescia in involuzione e ritorno alle origini); o le presenze aliene tra gli umani inconsapevoli o attoniti. La verità è che la settima arte reagisce con una certa calma, riflette con relativa lentezza i cambiamenti di scenario che la parola scritta racconta. Del resto, lo schermo è un medium che deve tenere conto dei gusti e delle aspettative di una massa di spettatori molto più grande di quella costituita dai lettori di fantascienza; e anche, ovviamente, delle loro fragilità e delle loro paure. Il cinema di fantascienza può proiettare molte, molte persone in un'altra realtà, a volte tragicamente, paurosamente diversa da quella che lo spettatore storie di alto livello, perciò il corollario suviniano che il novum deve essere totalizzante non corrisponde al concetto comune di "fantascienza"». 31 ha modo di vivere nella sua quotidianità. L'estrema verosimiglianza del mezzo di comunicazione suggerisce cautela: lo spazio sembra davvero immenso, i pianeti davvero vicini, gli alieni davvero inquietanti, voraci e viscidi. Questo non significa che la fantascienza per compiacere il pubblico, si ponga come unico obiettivo il distacco dal mondo reale, la separazione dal presente e dai suoi problemi. Sarebbe un errore pensare che, nonostante la sua apparenza "spensierata", di genere d'intrattenimento, non sia in grado di fare ciò che fanno altri generi dichiaratamente seri: raccogliere con prontezza la sfida che viene della storia per rielaborarla in un linguaggio specifico. Come e meglio degli altri film, quelli fantascientifici si fondano sulla consapevolezza che il ventesimo secolo, dopo un esordio tragico e perfino dopo uno, poi due conflitti mondiali, si dibatte tra prospettive di miglioramento, di cui la scienza e la tecnologia possono farsi carico, e segnali di deriva della condizione umana. Mentre le macchine promettono di sostituire l'uomo e la medicina di sconfiggere la malattia e la morte, la guerra si è fatta totale e, almeno così sembra, è diventata l'ultima guerra prima della fine della specie. Più che dalla letteratura a cui dovrebbe fare riferimento, il cinema di fantascienza assorbe come una spugna dagli eventi e dai sussulti della storia, imbevendosi delle speranze e delle paure del genere umano, che crescono con la coscienza del potenziale distruttivo dell'uomo. In Occidente come in Giappone, la logica sembra la stessa. Specchio delle angosce dei suoi spettatori, il cinema sopra ogni altra cosa obbedisce a loro, ne interpreta i desideri, le preoccupazioni e le ambizioni, ma anche li amplifica. Lascia che essi si addomestichino a un'idea – sia essa un pianeta lontano, una teoria genetica, un contatto alieno o uno scenario catastrofico – e gliela ripropone in forma esteticamente trasformata mantenendone i contenuti. Fino a quando l’irruzione di nuove immagini del futuro non costringerà il vecchio arsenale fantascientifico a farsi da parte. La svolta si verifica, per la storia del cinema, quando la Guerra Fredda è ormai un lontano ricordo: al sopraggiungere, cioè, di quell'età di relativo ottimismo e prosperità economica per l'Occidente definita (scherzosamente) «edonismo reaganiano», dal nome di quel Ronald Reagan che, prima di diventare presidente repubblicano degli Stati Uniti, aveva a lungo (e non sempre in modo impeccabile) recitato per il grande schermo. Solo con gli anni ottanta del ventesimo secolo, funestati dalla tragica fine del replicante Roy Batty, la fantascienza in pellicola raggiunge la letteratura, la affianca e 32 addirittura la supera, almeno nella percezione del pubblico di massa, per innovatività e profondità. Siamo di fronte alla fine di un'era, alla morte di un certo modo di intendere la science fiction e all’insorgere di un’epoca in cui il cinema smette di adattarsi ai gusti e alle aspettative di futuro degli spettatori per proporre, di pari passo con una certa narrativa e una certa saggistica, scenari e problematiche spesso traumatizzanti. La realtà viene frammentata, decostruita, riprodotta infinite volte e spesso artificialmente duplicata; stessa sorte subiscono l'individualità, la memoria, il senso e la logica dell’esistere. Pian piano, nel corso di un trentennio che sembra brevissimo, il cinema di fantascienza si fa più difficile da capire, più impegnativo, a volte solo più complicato; così come il cyberpunk degli anni ottanta può sembrare meno amichevole della fantascienza precedente al lettore occasionale. Il cyberspazio, la realtà virtuale, la matrice: il grande schermo non esita a creare contesti perfino più estranianti di quanto non lo siano mai stati un satellite lontano, una base spaziale orbitante, un pianeta arido e ostile. Un alieno nella pancia sembra una prospettiva meno minacciosa della possibilità di perdersi con la mente in un universo bidimensionale, mentre il corpo se ne sta intubato e prigioniero di cavi in qualche materialissima poltrona23. Forse è vero che il nuovo cinema appare più profondo, più geniale, anche laddove è sgangherato e superficiale, anche quando si produce in semplici remake. Ma questa sensazione, paradossalmente, è un merito che possiamo assegnare alla tecnologia: non tanto a quella narrata, delle realtà virtuali e degli innesti di memoria, quanto a quella molto concreta della grafica computerizzata, degli effetti speciali. Negli ultimi trent'anni l'assuefazione al trucco cinematografico ha fatto sì che tecnici e progettisti si siano impegnati in maniera forsennata per rendere la rappresentazione del futuro realistica, spettacolare, scioccante: fino all'avvento del 3D, che porta all’estremo l'immedesimazione dello spettatore davanti allo schermo. Non c'è quasi più nulla di ingenuo nella scenografia e nell'estetica dei 23 I libri più famosi in traduzione italiana appartengono alla trilogia cosiddetta dello sprawl (della dispersione urbana) di William Gibson: Neuromante, 1993 (Neuromancer, 1984); Giù nel cyberspazio, 1992 (Count Zero, 1986); Monna Lisa Cyberpunk, 1991 (Mona Lisa Overdrive, 1988); e ancora la raccolta di novelle di William Gibson, La notte che bruciammo Chrome (Burning Chrome, 1986). Un cult in Italia è diventato la raccolta Mirrorshades, a cura di Bruce Sterling, Bompiani, Milano 1986. 33 film di fantascienza: la perfezione alberga nelle città future, nei viaggi interstellari, nei trifidi (e tripodi) marziani, in tutte le stazioni del multiverso. Qualche volta è perfino difficile capire se, dietro il luccichio asettico di pianeti e di universi paralleli, di alieni atletici e di città future, vi siano contenuti di qualche spessore. Ogni tanto, ovviamente, capita di trovarne. Il cinema di fantascienza e gli altri generi. Posto che la versione musicata da Giorgio Moroder 24 non vi abbia abbagliato e imbambolato, come usavano fare alle loro vittime certi scienziati pazzi o certi raggi fantasmatici nei film degli anni venti, provate a raccontare la trama di Metropolis25. La vicenda è così intricata, gli elementi in gioco così tanti, i contenuti così complessi che si fa fatica, almeno sulle prime, a trovare un punto d'inizio, un motivo conduttore, un'interpretazione coerente, che si adatti perfettamente a tutte le parti del film senza snaturarne il senso. Non è un film sui prodigi della tecnica, né sull'intelligenza artificiale, né sulla città del futuro, né sulla condizione della classe operaia o delle donne, né sulle aberrazioni dell'umanità. A rigor di logica, non è un'utopia, ma non è nemmeno il suo contrario, una distopia. È tutto questo insieme, ovviamente, e molto altro ancora. È uno sguardo sulla società che non dimentica gli individui, perché è difficile restare insensibili alla struggente storia dei suoi protagonisti, Maria e Freder Fredersen, tra cui sboccia un delicato amore che rompe i confini di classe. I grandi capolavori, è vero, abbattono quasi sempre le barriere di forma e quelle di sostanza anche più dell'amore. Ma un fatto bisogna considerare: è anche merito delle straordinarie capacità del film fantascientifico se non si riesce a riassumere facilmente la trama di Metropolis. Fin dai suoi esordi durante l'epoca del muto – a differenza di molti astronauti sbarcati su pianeti sconosciuti – il cinema di fantascienza 24 Nel 1984 il musicista trentino Moroder, dopo aver collaborato a molte colonne sonore, fece uscire una versione del film Metropolis da 87 minuti, che restaurò personalmente con nuovi colori e una nuova colonna sonora rock. Tale versione suscitò moltissime polemiche per il suo approccio dichiaratamente anti-filologico, che faceva del film di Lang un'opera nuova, più psichedelica e ansiogena. 25 Di Metropolis, (v. nota 14) si conoscono molte versioni, in cui varia principalmente la colonna sonora apposta alle immagini e la lunghezza della pellicola, e di conseguenza il montaggio. 34 non ha mai avuto paura della contaminazione con il diverso. Un metagenere, è stato definito: cioè un genere che attraversa gli altri. Ha cercato, senza dubbio, il connubio con gli altri filoni cinematografici e, con estrema liberalità, ha lasciato spazio nelle trame dei film a ogni possibile sviluppo della fantasia. Si sono così a poco a poco inseriti nella fantascienza quegli elementi che, pur collocati in un contesto futuribile o scientifico-tecnologico, rappresentano la caratteristica peculiare di altri tipi di film. Prendendo a prestito temi e modalità narrative, la fantascienza non mostra alcuna paura di affrontare il diverso. Non tutto ciò che viene dallo spazio profondo, si potrebbe dire, risulta cattivo: anzi, nella maggior parte dei casi l'incontro tra culture distinte si rivela fecondo. Fin dagli anni dieci del Novecento – a partire dal goffo, bellissimo Frankenstein degli Edison Studios26 – l'invenzione fantascientifica flirta con categorie di confine. Per primo, in ordine strettamente cronologico, viene l'horror, sposatosi con la fantascienza proprio quando ha deciso di raccontare la storia di Mary Shelley: la storia di un mostro prodotto, con l'ausilio della corrente elettrica, da uno scienziato pazzo e dalle sue ambizioni di immortalità. A breve altri matrimoni fecondi seguono quel primo connubio: il mistero tipico del giallo; l'azione violenta del noir, alla ricerca dei colpevoli di un misfatto; il sentimento amoroso, che più che la cifra del film sentimentale sembra essere il lievito di qualsiasi trama che voglia accattivarsi gli spettatori; l'avventura romanzesca ed esotica à la Jules Verne. I due grandi film degli anni venti, Paris qui dort di René Clair e Metropolis di Fritz Lang, sono opere in cui è massimo il livello di contaminazione. Il documentario urbano, il comico slapstick, il dramma allegorico, la fantapolitica, il romanzo sentimentale: è questo impasto di categorie che si mescolano alla fiction di genere che concorre a farne dei capolavori. In seguito, altri elementi estranei s'infiltrano progressivamente, come virus alieni, nella fantascienza del grande schermo, contribuendo a riprodurre questa proficua mescolanza. Tra questi "dispositivi infiltrati" vi sono, per esempio, i meccanismi tipici della commedia, anche dove il lieto fine non risulta poi così lieto: la rivelazione e il riconoscimento (un padre scomparso, una fidanzata sostituita dai marziani, un buon diavolo che è in realtà un extraterrestre); 26 Frankenstein (di J. Searle Dawley, USA 1910) è un cortometraggio muto che per alcuni decenni si credette perduto. 35 l'equivoco e lo scambio di persona (già preannunciati, in qualche modo, dall'inquietante identificazione tra Maria-umana e Maria-robot in Metropolis). Oppure si fa avanti, a dettare legge in modo abbastanza perentorio, l'ossessione per la frontiera, motivo conduttore del western che, nel film fantascientifico, viene complicata dalla vastità degli spazi e dalla relazione con la dimensione temporale. Il viaggio è pur sempre un'impresa, un cimento che, come l'Ulisse dantesco, costringe l'uomo a seguir «virtute e canoscenza» e a confrontarsi con l'altro. L'astronauta e il crononauta sono pionieri a cavallo di macchine, che galoppano nello spazio o nel tempo. Le stazioni orbitanti sono diligenze o stazioni postali ai confini dell'esperienza umana, isolate in silenziosi deserti siderali, assediate da creature certo più originali, ma in fondo non molto diverse dagli indiani di John Ford in Ombre rosse27. Passeranno molti anni prima che lo scrittore cyberpunk William Gibson osi scrivere di questa identità tra spaceman (uomo dello spazio, astronauta, cosmonauta) e cowboy. È singolare che ciò accada proprio nel momento in cui lo spazio, così come lo si legge nei romanzi o lo si vede al cinema, si sta trasformando in cyberspazio, in realtà virtuale28. È un periodo di svolta: lo stesso in cui muore Roy Batty, lo straniero, il fuorilegge del futuro, inseguito da Rick Deckard, il cacciatore di taglie. Il processo di contaminazione si estende rapidamente all'influenza esercitata dai film di guerra, con la logica amico-nemico, il culto della battaglia e dell’eroismo, i miti del patriottismo che ne conseguono. La fantascienza deve così confrontarsi con il tema secolare che la guerra si porta dietro: quello dell'ambiguità che risiede in ogni conflitto, che si dibatte tra bellezza e orrore, tra esaltazione della qualità umana e annullamento del concetto stesso di umanità. Il matrimonio tra i due generi rivela in poco tempo la sensibilità degli autori e, probabilmente, quella del pubblico nei confronti delle conseguenze militari della politica. Con l'avvento dei totalitarismi lo scontro con il nemico sembra inevitabile, in Europa come in America: eppure fa paura. Si parla di ordigni potentissimi in grado di uccidere porzioni gigantesche della vita sulla terra. Il primo film a parlare degli orrori 27 Ombre rosse (Stagecoach, di John Ford, USA 1939) è forse il film più famoso del cinema western, in cui sia lo spazio esterno (gli indiani che minacciano la diligenza) sia quello psicologico, dei singoli individui, scatenano il terrore e l'apprensione, poi la riflessione e infine si aprono a un possibile riscatto. 28 Nel romanzo culto di William Gibson, Neuromancer (1984), Case si definisce un console cowboy, un cowboy informatico. 36 della guerra – a farne, cioè, il tema conduttore – è quello già citato di William Cameron Menzies La vita futura (1936): ma il più famoso è certamente il film di Robert Wise del 1951, Ultimatum alla terra29, che contiene un messaggio esplicitamente pacifista e identifica la guerra, nell'avvertimento del saggio, benevolo alieno Klaatu, come sintomo di stupidità, cecità e arretratezza culturale. Il conflitto. Per il cinema di fantascienza, la guerra è un'ambientazione, un elemento della vicenda come qualsiasi altro. È dalla categoria di conflitto, invece, che il genere non può prescindere. Sono concetti ben diversi, anche se sembrano sinonimi. Con buona pace di Robert Wise e del suo Klaatu, il conflitto è forse ciò che davvero contrassegna e distingue il film di fantascienza dagli altri. È la sua cifra: non è, come (quasi) sempre accade al cinema o nella letteratura, un semplice dispositivo narrativo che, delineando un protagonista e un antagonista, dà l'avvio alla storia. E non è nemmeno da identificarsi con la guerra: né quella dei mondi; né quella che produce un disastro atomico; né quella condotta per arginare un fenomeno ingovernabile; né quella che si ingaggia contro gli extraterrestri o contro i mostri, dentro e fuori di noi. Il conflitto è ciò che si produce dal cambiamento e che, a sua volta, lo produce; è la conseguenza di una metamorfosi in direzione del futuro; è ciò che risulta da una tendenza che viene seguita e realizzata. Il conflitto sta al futuro immaginato come l'Alien di Ridley Scott sta agli esseri umani: sulle prime non si vede, è solo una presenza percepita, inquietante. Poi, pian piano, inizia a germinare e crescere nella sua pancia: ciò succede proprio quando, nella vicenda, si avvia un processo di trasformazione, quando una variazione minaccia l'equilibrio degli elementi (tempo, spazio, natura, società, individuo) che compongono il contesto. Ma è quando Alien esce dal ventre confortevole che lo aveva ospitato che iniziano davvero i guai. È qualcosa che non va come dovrebbe. Si tratta di un principio secolare: una società immaginata (come quella futura) genera conflitto. Può trattarsi di un meccanismo che si sviluppa al suo interno, tra le sue singole parti, oppure all'esterno, quando l'occasionale osservatore, che approva o disapprova la differenza con il proprio mondo, si trova nei panni di giudice-antagonista. La città 29 Ultimatum alla terra (The Day the Earth Stood Still, di Robert Wise, USA 1951). 37 immaginata, come Metropolis, rivela una falla, oppure la falla è aperta dallo straniero che vi approda. Qualcosa, appunto, non va come dovrebbe. Qui risiede la vera affinità tra la fantascienza e la letteratura dell'utopia (e della distopia), che normalmente disegna mondi ideali. Si tratta, in entrambi i casi, di sviluppi possibili. Ma nell'utopia il panorama è immobile: il visitatore può solo giudicare, restare o fuggire di fronte al conflitto di cui è spettatore. Si tratta di un'esperienza statica, come la visione di un quadro. Nella letteratura fantascientifica il lettore partecipa, è chiamato non solo a riflettere su qualcosa d'improbabile, ma a calarsi in un futuro che è già presente, che certamente sarà. Nella fantascienza proiettata al cinematografo, lo spettatore è costretto non solo a immaginare e a pensare, ma a vedere e a sentire, grazie allo straordinario potere d'immedesimazione che lo schermo possiede, primo fra le arti visive. È anche una questione di gradi di verosimiglianza. Al cinema il pubblico viene divorato dal futuro, che lo attende senza alcuna pazienza, per abbracciarlo con i suoi tentacoli verdi, per brancicarlo con i suoi artigli laceranti. Il conflitto, amplificato dal medium, è ciò che anima la fantascienza al cinema e, allo stesso tempo, avvia la riflessione che scaturisce dalla storia narrata. Per questo, soprattutto, i film fantascientifici raccontano un futuro prossimo, individuato da una data precisa. È più facile immaginare l'avvenire quando lo si contestualizza con esattezza; ancor di più quando lo si rappresenta vicino a chi vede. Il brivido inizia dal titolo: 2001: Odissea nello spazio; 2000: La fine dell'uomo; 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra; 2022: I sopravvissuti; 1997: Fuga da New York; 1984; 2010-L'anno del contatto; 2012. Sono solo alcune delle date più famose, qualche volta indicate solo nella traduzione italiana. Non sono anni troppo remoti per gli spettatori: questo espediente enfatizza la possibilità reale che quelle determinate circostanze si verifichino, che ciò che si vede sullo schermo possa essere di monito o di sprone. La New York del 1997 non è molto diversa da quella degli anni ottanta e sembra, pertanto, a portata di mano. Tale necessità narrativa – rappresentare un tempo vicino per collocarvi un conflitto e le sue probabili conseguenze – ben si adatta al principale problema della fantascienza al cinema: quello di realizzare una realtà molto diversa da quella in cui ci troviamo a vivere. Non è un problema della letteratura, che può permettersi, infatti, di collocare le sue storie in contesti lontani nel tempo e nello spazio, architettandoli con la forza delle parole senza limite alcuno. 38 Ma è un problema del cinema, che non dispone, talvolta, né delle tecniche né soprattutto (perfino nell'era della «computer grafica») del repertorio di immagini adatte a essere tradotte, sullo schermo, in mostri, scenari, vestiti, armi, strumenti tecnologici. Nei film, molto spesso, l'immaginazione va riciclata, gli immaginari vanno riutilizzati: rappresentare visivamente è difficile. Ogni standard di successo segna le opere successive per almeno una decina d'anni, a volte per decenni: la città verticale di Metropolis, gli xenomorfi (Alien) di H. R. Giger, le atmosfere di Blade Runner. Ma sono icone create con estrema difficoltà, talvolta frutto di talenti inarrivabili e colpi di genio estemporanei. Costa meno ed è comunque più efficace – anche se non sempre – ambientare le storie in un realistico dopodomani. Che cosa avviene, però, quando la data nel titolo viene superata dalla realtà, quando allo scadere dell'anno fatidico possiamo constatare che non è successo nulla? Che cosa accade quando comprendiamo che le aspettative tecnologiche, politiche e sociali che il cinema di fantascienza riesce a creare sono puntualmente deluse dalla lentezza del progresso? Di solito si ricomincia, spostando la fantasia un po' più in là. Anche quando i tempi sembrano ormai compiuti – per esempio, quelli del fecondo rapporto tra la fantascienza e il grande schermo – un nuovo inizio è in agguato dietro l'angolo. Il genere fantascientifico non è morto nemmeno con l'ineguagliabile Roy Batty, nemmeno con le sue amare parole. Certo, l'epoca dei remake lo ha fatto pensare più di una volta. La fine della fantascienza era attesa, così come, nell'ultimo decennio del secolo, sono state profetizzate la fine della storia30 e la fine della scienza31 e perfino la fine della politica, cioè di tutti quegli ambiti che, fin dagli esordi, ne hanno costituito la materia prima. Ma, come è oggi evidente, tutto ciò che sembrava esaurito, terminato, morto non lo era affatto: le teorie scientifiche, i sistemi politici, la storia universale, le civiltà continuano a esistere, a incontrarsi, soprattutto a generare conflitti. Per un po', almeno, è probabile che lo schermo del cinematografo e i suoi spettatori insisteranno per farli vivere ancora. 30 Il concetto di fine della storia è il titolo di un celebre saggio di Francis Fukuyama del 1992, The End of History and the last man, pubblicato in italiano come La fine della storia e l'ultimo uomo. Il testo di Fukuyama trattava la fine della storia universale dopo il suo culmine nel capitalismo da una parte e nel liberalismo democratico dall'altra. 31 John Horgan, La fine della scienza, è pubblicato in lingua italiana dal 1998. 39 Collisione distanza dalla Terra: 69 milioni di anni luce 41 La scienza nuova (1902-1949) «"Pericolosa"? Povero professore... Lei non ha mai desiderato fare qualcosa di "pericoloso"? Dove saremmo, se nessuno cercasse di scoprire cosa c'è al di là? Non ha mai desiderato di guardare oltre le nuvole, le stelle o di scoprire che cosa fa fiorire gli alberi? E cosa trasforma in luce l'oscurità? Ma se uno parla così, la gente dice che è un pazzo». (Victor Frankenstein in Frankenstein, di James Whale, 1931) I quadri generali. Non è fantascienza, ma le somiglia. Un negozietto polveroso che vende giocattoli, nascosto in un angolo buio della vecchia gare de Montparnasse. Sul bancone, un topolino meccanico che si muove come un automa32. A pochi metri da lì, un treno che per errore non ferma, schizza fuori dai binari, prosegue la sua corsa oltre la banchina distruggendo e travolgendo merci e arredi: poi sfonda il muro di facciata dell'edificio e inizia a volare, cadendo dieci metri più in basso, sulle rotaie del tram 33. Fuori dalle vetrate, oltre il sottotetto, vedute aeree quasi spaziali riprendono una Parigi che non esiste più, in cui le case art nouveau luccicano nuove di zecca e la neve cade a terra ancora pulita. Dentro, nelle soffitte di Montparnasse, enormi lancette che ruotano incessantemente, corone che ingranano con i pignoni, gabbie metalliche che girano, mentre ruote dorate scappano una dopo l'altra, generando meccanismi a catena. Toc, toc, toc, scandisce l'impianto sonoro in sala. La macchina del tempo corre. Sono i giganteschi, implacabili orologi di una stazione degli anni 32 Il regista Martin Scorsese ha chiesto a Rob Legato, creatore di effetti speciali, di rendere nel movimento del topo meccanico (e degli altri ordigni, i giocattoli e l'automa) l'effetto "a scatti" del procedimento di animazione noto come stop-motion. 33 È la copia di un famoso incidente avvenuto in quella stessa stazione nel 1895, di cui resta un'eccezionale fotografia, con i vagoni incastrati nel finestrone infranto e la locomotiva con il muso a terra. La scena è riprodotta perfettamente nel film. 43 trenta del Novecento. Tra loro, figlio della stessa meccanica, un vero robot luccicante. Trucchi, trucchi, trucchi. Oggi si chiamano effetti speciali, o visivi (visual). Per il film Hugo Cabret (2012)34 diretto dal regista americano Martin Scorsese, li ha creati Robert Legato, che non è solo un artigiano o un esecutore materiale, ma un vero inventore di espedienti filmici: lo ha già dimostrato nell'impresa impossibile di Avatar35. Risucchiato dal 3D più nitido e sorprendente che si sia mai visto – una trovata di Legato – lo spettatore s'immerge nell'inganno di quelle riprese sorprendenti e di quelle sontuose scenografie (in buona parte frutto della postproduzione) e ne diventa complice. Tutti i trucchi sono permessi, perché il film di Scorsese è proprio la loro storia. È la storia, cioè, dell'inventore degli effetti speciali, l'ex cineasta George Méliès, e del suo piccolo salvatore Hugo, che lo riscatta dall'oblio e gli permette di recuperare la dignità e le vecchie pellicole. Il secondo è un personaggio nato dalla penna di uno scrittore per ragazzi36: il primo fu colui che, centodieci anni fa, inventò la fantascienza al cinema. È quasi tutto vero ciò che nel film di Scorsese si racconta su George Méliès. Illusionista, prestigiatore e genio del varietà 37, negli ultimi anni dell'Ottocento Méliès vede nel cinema, appena diffuso a Parigi dai fratelli Lumière, uno strumento più flessibile del teatro, in cui migliori sono i trucchi – gli effetti speciali, appunto – più efficace diventa la magia che il pubblico richiede. Il montaggio, in particolare, gli permette di creare situazioni e azioni irreali e surreali. Per raccontare una storia la cinepresa non è costretta a riprenderne lo 34 Alla premiazione dei Golden Globe (gennaio 2012), al film Hugo Cabret (di Martin Scorsese, USA 2012) è assegnato il premio per la miglior regia. Ai Premi Oscar 2012 si aggiudica cinque statuette su undici nomination (fotografia, scenografia, effetti speciali, sonoro, montaggio sonoro). 35 Realizzato in 3D con un misto di filmato e animazione, Avatar è il film di James Cameron campione di incassi del 2009. 36 Il film Hugo Cabret è tratto dal romanzo illustrato per ragazzi La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, che racconta la storia di un orfano che vive nella stazione dei treni di Montparnasse a Parigi, facendo la manutenzione degli orologi. 37 Egli dirige a Parigi il Teatro Robert-Houdin (già di Jean Eugène Robert-Houdin), con spettacoli di magia, proiezioni di lanterna magica e del kinetoscopio di Thomas Edison. Presente alla prima del 28 dicembre 1895, s'innamora dell'invenzione dei fratelli Lumière. Cerca di farsi vendere dai due un apparecchio, ma al loro rifiuto se lo fa costruire dal suo ingegnere di fiducia e lo impiega a modo suo. 44 svolgimento dall'inizio alla fine: la pellicola permette di compiere salti spaziali e temporali che l'occhio dello spettatore comprende naturalmente, senza le difficoltà del cambio scena che il palcoscenico teatrale comporta. Se questa innovazione avvantaggia tutta la narrazione cinematografica, non è forse ancor più utile per quegli spettacoli che raccontano di mondi lontanissimi, di creature meravigliose e invenzioni mirabolanti? Dopo aver sperimentato per qualche anno l'invenzione dei Lumière, a Méliès viene l'idea di cimentarsi con il futuro possibile. Il parere degli storici è unanime: i suoi film Viaggio sulla luna (Le voyage dans la lune, anche tradotto Viaggio nella luna, 1902) e Viaggio attraverso l'impossibile (Le Voyage à travers l'impossible, 1904) rappresentano gli esordi del cinema di fantascienza. Sono esordi all'insegna del comico. A dirla tutta, uno spettatore del XXI secolo potrebbe trovare questi cortometraggi (lunghi una quindicina di minuti, ma ancora non si chiamano "corti") poco più che un insieme di buffi, frenetici e spesso sconclusionati "quadri viventi". Eppure, dietro a una sceneggiatura farsesca, in stile vaudeville, e molti numeri da cabaret, si può leggere una tradizione recente ma già grande, quella della letteratura fantastica continentale. È chiamata in causa una gloria francese, lo scrittore Jules Gabriel Verne, apprezzato da adulti e ragazzi in tutto il mondo. Verne, da molti considerato il primo scrittore di fantascienza, agli inizi del Novecento ha ormai alle spalle una lunga, prolifica carriera, nel corso della quale ha dimostrato capacità quasi profetiche nel guardare al progresso scientifico. La sua fantasia ha immaginato sviluppi possibili per invenzioni tecnologiche che, nella maggior parte dei casi, ancora riposavano in forma di brevetto o nella testa dei loro inventori: il sottomarino e la navicella spaziale ne sono gli esempi più famosi. Egli sa «estrapolare» una tendenza del presente fino a proiettarla nel futuro: è ciò che, si dirà, fanno i veri autori di fantascienza. È ciò che fa anche il grande concorrente di Verne: l'inglese Herbert George Wells. Non è seriamente un antagonista: ha una maniera diversa di scrivere libri che parlano di progresso scientifico. È più giovane del collega francese di una generazione ma, agli inizi del secolo, è già da un pezzo nel Gotha dei lettori d'avventure. Pur essendo uno scienziato di formazione, è uno scrittore meno tecnico di Verne: gli interessa il messaggio più delle spiegazioni scientifiche complesse, dell'armonia narrativa o di una trama mozzafiato. I suoi libri hanno spesso un'impronta pedagogica, di critica sociale. 45 Figli di un'era in fermento, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, Verne e Wells rappresentano i due volti di una letteratura in bilico tra realtà scientifica e avventura, che ispira il cinema di fantascienza degli esordi, ma che non mancherà di estendere la propria influenza ancora per lunghi decenni38. Essi interpretano, a dire il vero, due modi di intendere il rapporto tra la scienza e le altre dimensioni dell'esistenza umana: da una parte, lo spazio e il tempo; dall'altra, la natura, l'individuo, la società. I romanzi di Verne (anche grazie all'intervento dell'editore Pierre-Jules Hetzel) evocano di continuo la fede nel progresso; Wells registra i primi sintomi della crisi di quella stessa fede. Non è strano: aldilà dell'appartenenza politica – l'inglese è socialista – tra di loro ci sono ben trent'anni. Da Verne deriva la componente ottimistica del cinema di fantascienza. Egli muore nel 1905, portando con sé l'immagine di 38 I più famosi film di fantascienza (o pseudo-fantastici) tratti da Verne sono: Viaggio nella Luna (Le voyage dans la Lune, di Georges Méliès, Francia 1902); Viaggio attraverso l'impossibile (Le voyage à travers l'impossible, di Georges Méliès, Francia 1904), con sceneggiatura tratta da Jules Verne; Ventimila leghe sotto i mari (20,000 lieues sous les mers, di Georges Méliès, Francia 1907); Viaggio nella Luna (A Trip to the Moon, di Georges Méliès e Vincent Whitman, USA 1914), remake dell’omonimo film del 1902; Ventimila leghe sotto i mari (20,000 Leagues under the Sea, di Stuart Paton, USA 1916). E ancora, più avanti: 20.000 leghe sotto i mari (20,000 Leagues under the Sea, di Richard Fleischer, USA 1954); La diabolica invenzione (Vynález zkázyìì, di Karel Zeman, Cecoslovacchia 1958); Viaggio al centro della Terra (Journey to the Center of the Earth, di Henry Levin, USA 1959); Sulla cometa (Na kometě, di Karel Zeman, Cecoslovacchia 1970), ispirato al romanzo Hector Servadac. E ancora Viaggio al centro della Terra 3D (Journey to the center of the earth, di Eric Brevig, USA 2008) e molti altri film meno famosi di questi. I film più famosi tratti o ispirati da Wells sono: Viaggio nella Luna (v. sopra); The First Men in the Moon (di Bruce Gordon e J.L.V. Leigh, Gran Bretagna 1919); L'isola delle anime perdute (Island of Lost Souls, di Erle C. Kenton, USA 1932); L'uomo invisibile (The Invisible Man, di James Whale, USA 1933); L'uomo dei miracoli (The Man Who Could Work Miracles, di Lothar Mendes, USA 1936); La vita futura (Things to Come, di William Cameron Menzies, Gran Bretagna 1936); La guerra dei mondi (The War of the Worlds, di Byron Haskin, USA 1953); L'uomo che visse nel futuro (The Time Machine, di George Pal, Gran Bretagna, USA 1960); Base Luna chiama Terra (First Men in the Moon, di Nathan Juran, Gran Bretagna 1964); L'isola del dottor Moreau (The Island of Dr. Moreau, di Don Taylor, USA 1977); L'isola perduta (The Island of Dr. Moreau, di John Frankenheimer, USA 1996); The time machine (di Simon Wells, USA 2002); La guerra dei mondi (War of the Worlds, di Steven Spielberg, USA 2005). Altri film si ispirano ai suoi romanzi come L'uomo venuto dall'impossibile (Time after Time, di Nicholas Meyer, USA 1979), ma hanno un soggetto originale. 46 un'epoca dorata, in cui la scienza ha fatto pieno sfoggio del suo potere salvifico, della magia buona. La Belle Époque, pur nelle notevoli contraddizioni, ha accompagnato l'ultima parte della sua vita. Nel giro di pochi decenni, al termine della guerra franco-prussiana, la sensazione di vivere nel futuro – in un bel futuro, di pace e prosperità – coinvolge una parte sempre crescente della società: è amplificata dal progresso tecnologico, dall'espansione dell'industria e del commercio, che a cavallo del secolo quasi raddoppiano. La rete ferroviaria mondiale arriva a coprire, prima della guerra, un milione di chilometri. L'illuminazione elettrica, la radio, il fonografo, oltre naturalmente all'aeroplano, alle prime carrozze a motore; la pastorizzazione, il vaccino per la tubercolosi, la lotta sistematica alle grandi epidemie e, dunque, la ripresa demografica. L'America e l'Europa, quasi simultaneamente, si danno al cinema. Il divertimento, l'intrattenimento e la vita notturna iniziano a cambiare i costumi degli europei. Seducono, soprattutto, il cosiddetto demi-monde, quello degli artisti, degli intellettuali e dei gaudenti che si entusiasmano per i balli sfrenati e per le nuove danseuses, che mostrano le calze e i mutandoni. Uno di loro è proprio Méliès. Nessuno crede come lui nella nuova invenzione, il cinema, per rivoluzionare lo spettacolo. Nessuno crede come lui nel potere delle ballerine – quelle dello Châtelet, nella fattispecie – per stupire e far ridere, anche quando si tratta di un viaggio sulla luna. La sua idea di divertimento nasce dall'incontro della tradizione con l'innovazione. Ma, insieme con i fasti della Belle Époque, il suo mondo è destinato a spegnersi tragicamente. Il grande George Méliès va in rovina. Pieno di frustrazione e amarezza, mentre i suoi film e soprattutto il Voyage dans la lune guadagnano fama in tutto il mondo, egli è costretto a chiudere gli studi e la casa di produzione da lui fondata, la Star Film, a causa dei debiti. Non ha pensato – povero genio sprovveduto – a riscuotere i diritti d'autore per le proiezioni: le copie vengono vendute singolarmente, per pochi soldi, mentre gli attori, le danzatrici e le imponenti scenografie ne richiedono tanti. La Grande Guerra pone fine a molti sogni, tra i quali quello di Méliès è solo uno dei più celebri. In effetti, fino agli anni venti il cinema di fantascienza europeo e americano non consegna ai posteri grandi capolavori: in senso letterale, perché molti di quei film, forse eccezionali, sono andati perduti. L'Europa del nord, soprattutto il mondo anglosassone, sembra voler accogliere la sfida che arriva dalla Francia. Abbiamo una fine del mondo in versione danese, Verdens 47 Undergang, diretta da August Blom nel 1916, mentre Himmelskibet è un viaggio su Marte datato 1918, girato dal danese Holger-Madsen. Sappiamo che nel 1919 in Inghilterra viene proiettato un altro viaggio sulla luna: The First Men in the Moon, ancora una volta basato sul romanzo omonimo di Herbert G. Wells. Ci sono film tratti da Verne, come Ventimila leghe sotto i mari; una serie inglese di fantaaeronautica (con tante bombe, immaginate in tempi non sospetti, nel 1909-1911); perfino due fantahorror con i primi scienziati pazzi e le loro creature, Homunculus di Otto Rippert (1916) e Alraune (in ben due versioni, entrambe austroungariche, del 1918 39). Nessun mostro, però, può competere con il Frankenstein distribuito da Thomas Edison già nel 1910: la tenerezza che la sua figura contorta e scarmigliata ispira allo spettatore del XXI secolo è probabilmente proporzionale alla pena che dovevano provare i contemporanei per la sua triste vicenda40. Salta subito agli occhi un dato per certi versi eccezionale: a questi primi saggi non manca il coraggio di sperimentare molti dei temi che saranno tipici del cinema di fantascienza successivo. Il viaggio verso mondi lontani; la creatura mostruosa; la scienza buona e malvagia (nei suoi intenti e nelle sue conseguenze); la vita nel futuro e perfino, sebbene marginalmente, la catastrofe: negli anni dieci, almeno in potenza, questo genere già possiede un arsenale straordinario, se non completo. Del pubblico, invece, si può dire ben poco. Soprattutto, non è dato sapere che cosa davvero – se brivido, apprensione, orrore – queste pellicole suscitassero negli spettatori. Oggi siamo portati a immaginare mute sequenze di figure che si muovono a scatti, perse in un silenzio assordante, scandite dallo sferragliare ritmico di un proiettore, ma la verità è ben diversa. La proiezione è una situazione caotica, che si anima di mille musiche e rumori. Le persone entrano alla spicciolata a farsi proporre, come a una fiera, il progresso e l'avvenire o le loro tragiche conseguenze. Gli imbonitori e i musicisti di sala diventano, di colpo, mercanti, agenti, avvocati e giudici di quello stesso futuro: dei mostri, degli scienziati 39 A queste due versioni del film Alraune ne seguiranno altre tre, del 1928 e del 1930 (Repubblica di Weimar) e del 1952 (Germania Est). 40 Il primo Frankenstein (v. nota 26) è un cortometraggio del 1910 prodotto dalla Edison Studios, scritto e diretto da J. Searle Dawley, con Augustus Phillips, Charles Ogle e Mary Fuller. Girato in tre giorni, negli studi della Edison nel Bronx, a New York, è stato creduto perduto più o meno fino agli anni settanta. Thomas Edison ne figura talvolta come il regista: in realtà non dirige mai i film da lui prodotti. 48 pazzi, di avveniristici bombardamenti e dei razzi che, con la flemma di un tramvai, scaricano passeggeri dalla terra alla luna. Il viaggio. Non è un accoglienza amichevole quella che la luna sembra promettere ai suoi primi visitatori terrestri, quelli che viaggiano sulla navicella spaziale ideata da George Méliès. Il faccione lunare – in realtà quello dell'attore Victor André – è infuriato perché l'astronave l'ha colpito proprio in un occhio. Il montaggio e i primi trucchi41 consentono al regista – senza dubbio al culmine del divertimento – la metamorfosi dalla luna alla faccia umana. Il risultato è una delle più belle e più famose immagini della storia del cinema, datata 1902, anno in cui esce per la Star Film il Viaggio nella Luna (Le voyage dans la Lune). Il razzo vettore è, come in Verne, un proiettile sparato da un cannone lunghissimo, che lo manda dritto nell'occhio del costernato satellite. A bordo di questo buffo veicolo, un gruppo di astronomi compie il primo allunaggio di cui siano giunte le immagini ai posteri. Nessun problema a respirare: siamo ancora lontani dai caschi spaziali. Il repertorio delle stranezze è però notevole: stelle in forma umana scorrazzano nella volta celeste; ovunque fumano crateri, si materializzano funghi giganti (che fumano anche loro) e meraviglie d'ogni tipo. Gli astronomi sembrano vagamente perplessi, ma l'atmosfera lunare è tutt'altro che pesante: diventa tale solo quando i Seleniti li catturano e li trascinano davanti al proprio re. Costui ha le chele e non sembra intimidito di fronte agli scienziati: lo choc culturale secondo Méliès. La fuga e il ritorno alla terra dei nostri eroi precedono non uno dei primi premi Nobel – per la fisica, visto che la navicella si lascia cadere dalla luna sulla terra sfidando la gravità – ma una gloriosa, quasi nostalgica, incoronazione. È la scienza che trionfa, sì, ma nella sua versione caricaturale. Gli scienziati sembrano di gran lunga più svampiti (e meno professionali) delle ballerine. Il Viaggio non vuole essere, forse, una feroce critica alla mentalità positivistica, ma tradisce una vena sarcastica. In realtà, 41 La scena è la prima conosciuta a mostrare un trucco di tipo cinematografico e non di tipo teatrale: prima la luna s'ingrandisce nella cornice delle nuvole grazie a una doppia esposizione con "carrello" nella parte interna, poi, grazie al montaggio, diventa una faccia. Quando è ormai in primo piano, la navicella le si conficca nell' occhio. 49 la pellicola fa davvero ridere: spopola anche in America, piratata e distribuita da Thomas Edison42. I due autori ai quali il film si ispira – Jules Verne (Dalla terra alla luna, 1865) e Wells (I primi uomini sulla Luna, 1901) – hanno creato situazioni grottesche, ma non volevano certo raggiungere risultati comici. Per George Méliès, il grande intrattenitore del teatro Robert-Houdin, suscitare il riso è, invece, una questione di abitudine professionale. In più, crede che una storia, per quanto interessante, debba venire allietata da acrobati e da qualche figuretta femminile, tra cui le immancabili danzatrici, pronte a celebrare il trionfo della scienza con le loro arti seduttive. Pressoché identico – nella struttura e negli intenti – è il secondo grande film di fantascienza di Méliès, Viaggio attraverso l'impossibile (Le voyage à travers l'impossible, 1904). In esso la presa in giro dello scienziato-tipo e delle istituzioni scientifiche è ancora più evidente. L'Istituto di «Geografia Incoerente» progetta un nuovo viaggio straordinario affidandosi a uno scienziato pazzo (l'ingegner Mabouluff nella versione francese o Craziloff, in inglese) che ha inventato un mezzo di trasporto fantastico, sintesi di tutti i mezzi di locomozione conosciuti. Come in una frenetica rassegna, danzante e piroettante, sfilano le ambientazioni, le macchine e le trovate geniali dei migliori libri di Verne e Wells: automobili che si riducono, un treno tra le stelle trascinato da mongolfiere, un sottomarino, un viaggio spaziale. In Jeanne d'Arcy, che diventerà più tardi sua moglie, Méliès trova la sua musa ispiratrice, la sua primadonna: la prima, per la verità, che il neonato cinema abbia mai avuto. Ma né lei, né le ballerine dello Châtelet o delle Folies-Bergère hanno un ruolo rilevante nella fantascienza degli esordi. Lo scienziato è uomo, il Selenita è uomo, dal guerriero al re: maschio, a dispetto del nome, perfino la lune. Il cinema successivo, tuttavia, cambierà segno rapidamente, o per meglio dire, cambierà sesso. Non c'è dubbio: negli anni venti e trenta per i cineasti del genere fantascientifico, l'avventura è donna, e altrettanto lo è la scoperta che segue il viaggio. Forse è la concessione, un po' tardiva, a quel gusto per l'esotismo, «dans le temps et dans l'espace», che muove i registi verso i soggetti che raccontano storie di donne in paesi 42 È il primo caso di furto di diritto d'autore. Edison se ne procura una copia corrompendo un operatore in un cinema francese e lo fa proiettare in America senza corrispondere un soldo a Méliès. 50 lontani. In un mondo ancora dominato dai maschi della specie, l'universo femminile è il primo grado (o forse l'ultimo) della diversità. La donna è l'altra faccia del mondo, un pianeta inarrivabile, un mistero incessante, così nella sua parte angelica come in quella diabolica. È ormai più strana degli indigeni, dei selvaggi e dei cannibali: ora, poi, che la moda coloniale ha già detto tutto ed è venuta a noia anche in quegli Stati europei che hanno iniziato dopo gli altri la corsa verso «un posto al sole». O forse, nell'epoca del razzismo, della xenofobia e dell'antisemitismo, si rivaluta l'estraneità del gentil sesso. O ancora, più semplicemente, i registi di fantascienza realizzano in men che non si dica quello che già i romanzieri dell'Ottocento avevano intuito: anche in una storia avventurosa, una presenza femminile, magari protagonista di un amore, rende la trama più allettante. Né Wells, né soprattutto Verne avevano avuto sempre il coraggio di violare questa legge ferrea della narrativa contemporanea. Qui non si tratta, però, di uno specchietto per le allodole. Negli anni quaranta, una bella ragazza (terrestre o extraterrestre) che indossi un succinto costume spaziale sarà la migliore pubblicità per riviste destinate a un pubblico di adolescenti e giovani maschi. Ma i film che vengono girati tra le due guerre non immaginano le loro protagoniste come un'esca per gli appetiti di spettatori di sesso maschile, frustrati dall'inflazione o dalla crisi economica. Forse sono i due film dedicati ad Alraune nel 191843 a ispirare un modello femminile di incredibile forza suggestiva. Alraune nasce dall'esperimento genetico di uno scienziato folle e da una radice di Mandragola e cresce irresistibile e sfrenata per natura: un soggetto che fa impallidire senza difficoltà la Lola Lola dell'Angelo Azzurro 44. Sulla sua scia nasce la giovane regina Antinea, seduttrice e predatrice di esploratori: dal 1921 alla fine degli anni quaranta vengono prodotte ben tre versioni cinematografiche di Atlantide, il mediocre romanzo di Pierre Benoît (1919): nel 1921 L'Atlantide di Jacques Feyder; nel 1932 L'Atlantide (Die Herrin von Atlantis) del grande regista austriaco Georg W. Pabst; nel 1948, ben più convenzionale, L'Atlantide (Siren of Atlantis) di Gregg C. Tallas. L'Unione Sovietica risponde, nel 1924, con il personaggio di Aelita del 43 Uno di Michael Curtiz, ungherese; l'altro tedesco, di Eugen Illés e Joseph Klein. L'angelo azzurro (Der Blaue Engel, di Josef von Sternberg, Germania 1930) ,tratto da un romanzo di Heinrich Mann, racconta la tragica storia del professore tedesco Rat, insegnante in un ginnasio di provincia, che perde la testa per una disinibita cantante di varietà, impersonata da Marlene Dietrich, che lo irretisce e poi lo rovina. 44 51 regista Jakov Aleksandrovič Protazanov, tratto dal romanzo di Aleksej Nikolaevič Tolstoj, che è considerato il primo kolossal sovietico di fantascienza45. Può darsi che qui prevalga la propaganda: l'idea dell'esotismo femminile, però, è la stessa. L'Antinea di Pabst, interpretata dall'algida Brigitte Helm (Maria in Metropolis), e l'Aelita di Protazanov sono bellissime, nondimeno sono due mantidi dell'altrove: sembrano un monito contro il progresso o, addirittura, contro la fuga verso mondi lontani. In piena crisi economica, a un passo dal crollo di Weimar e subito dopo la morte di Lenin, le due creature non esprimono tanto la seduzione della donna-archetipo, quanto la paura per il diverso, per ciò che sta per arrivare a grandi passi. Ben altro sentimento ispira, tra i film dedicati al viaggio, Una donna nella Luna (Frau im Mond) del geniale Fritz Lang, uscito nelle sale nel 1928, l'anno dopo Metropolis. La donna in questione è l'assistente di un impresario: insieme con un eccentrico scienziato, i due partono alla ricerca di miniere d'oro sulla luna. Friede Velten, interpretata da Gerda Maurus, non ha nulla delle regine dei mondi lontani: è seria, ma tenera. La sua posa concentrata mentre, vestita in giacca, cravatta e calzoni alla zuava, riprende il paesaggio lunare è uno dei fotogrammi che hanno fatto la storia del cinema. Ciò nondimeno, è un'immagine che non ha nulla dell'Eterno Femminino: la sua femminilità è funzionale alla storia d'amore che interpreta. Non a caso, Una donna nella Luna è stato considerato il prototipo del melodramma spaziale46. La pellicola contiene di tutto: razzi a perfetta imitazione degli originali, fabbricati con la consulenza di celebri "missilisti"; il primo conto alla rovescia, ideato da Lang per accentuare la suspence; crateri di sabbia creati in studio. Ma anche tutti gli ingredienti di un romanzo d'appendice: antagonismi, rivalità, sfide, scazzottate, eroismi dell'ultimo minuto, un amore lunare. E una notizia: sulla luna si respira benone. Bisognerà attendere il 1936 per trovare tutto questo in un film solo, e in un solo pianeta: sarà il Flash 45 Nel 1924 la casa cinematografica Mezrabpom decide di produrre film tratti dai classici e sceglie per il romanzo di Tolstoj il regista Jakov Protazanov (1881-1945), tornato dalla Francia dove era emigrato nel 1920. Il film viene considerato propagandistico e la sua diffusione limitata. 46 Il soggetto del film è tratto dall'omonimo romanzo della moglie di Lang, la scrittrice e sceneggiatrice Thea von Harbou. I consulenti per la costruzione di razzi sono i celebri Hermann Oberth e Willy Ley, impiegati nel cinema successivo. Fritz Lang racconta in seguito a Willy Ley di avere inventato proprio in questo film, per accrescere la suspence della partenza del razzo, il «conto alla rovescia». 52 Gordon di Frederick Stephani47, una pellicola tratta dal fumetto di Alex Raymond, a ricordare al pubblico che la fantascienza può anche essere divertimento puro. Lo scienziato pazzo. L'amore per l'evasione non è finito con la Belle Époque, né la Grande Guerra riesce a uccidere le nuove forme di divertimento. Tra i due conflitti, la gente inizia ad apprezzare la visione del futuro al cinema, anche quando fa paura; forse perché il futuro vero, quello che attende fuori dalle sale, ne fa molta di più. I cineasti se ne accorgono, iniziano a considerare le potenzialità del genere come forma di intrattenimento, ma non solo. Alcuni grandi registi – il boemo Georg W. Pabst, il tedesco Fritz Lang, il francese René Clair – guardano alla fantascienza con occhi nuovi: quelli di chi sa che può riempire di sostanza una forma che si sta rivelando estremamente duttile; ma anche di chi sa che la fantascienza sfida l'inventiva degli operatori e stimola la qualità delle immagini. Il genere suscita un certo tipo di riflessione, che in anni di ferro e fuoco non può che riguardare il rapporto tra la scienza, l'individuo e la società. Il progresso scientifico è solo uno dei tantissimi elementi che contribuiscono a minare le certezze delle persone comuni. Si direbbe, anzi, che non è certo il più importante. La maggior parte della gente ignora quello che sta accadendo alla fisica, alla chimica, alla genetica, alla matematica, all'astronomia, alla medicina. L'insicurezza non nasce dal pensiero filosofico o dal dibattito scientifico. Bastano guerre, disoccupazione, miseria, le ultime epidemie; e poi razzismo, deportazioni, persecuzioni politiche e stragi di civili. Nel giro di tre decenni l'Europa compie una drammatica traversata e dalla Belle Époque approda ai totalitarismi, poi alla guerra civile; l'America passa dall'ebbrezza del fordismo nelle braccia funeste di una lunghissima crisi economica e poi, direttamente, alla paura della bomba atomica. Però la scienza esiste e mai come ora si rifiuta di rimanere confinata alla cultura alta. Nella vita di tutti i giorni le scoperte scientifiche vengono tradotte, grazie a uno sviluppo senza precedenti della 47 Flash Gordon (Spaceship to the Unknown, di Frederick Stephani, USA 1936) è un film di 97 minuti, ma è un condensato dei 13 episodi di 245 minuti del serial cinematografico Flash Gordon dello stesso anno. Vede l'atletico Buster Crabbe nel ruolo di Gordon. 53 tecnologia, in invenzioni che migliorano la vita o provocano eccidi di massa: spesso non c'è soluzione di continuità tra le conseguenze positive e quelle funeste di un'innovazione. E poi, per quanto sembri strano, ciò che accade al mondo scientifico diventa occasione di angoscia per parti sempre più consistenti della popolazione. Un processo rivoluzionario è stato innescato dai primi anni del Novecento: entra in crisi quell’ideale di scienza nato nel XVII secolo. Max Planck è il primo, nel Novecento, a problematizzare la fiducia nella ragione, che è non solo un dogma dell’illuminismo e del positivismo ma, più in generale, la base del pensiero occidentale e dei suoi miti di progresso. La teoria degli insiemi e la crisi dei fondamenti in matematica; i raggi X e la radioattività; i quanti e il modello dell'atomo: le teorie e le scoperte si susseguono in pochi anni a ritmo incalzante. Albert Einstein, con la relatività “speciale” (1905) e “generale” (1916), stabilisce che spazio, tempo e velocità non sono principi assoluti, ma relativi al sistema di riferimento. Dopo il 1927 altri fisici, Bohr, Heisenberg, Pauli e Born, parlano di un mondo (quello dei fenomeni atomici) che nega la realtà causale e spaziotemporale. Sembra un dibattito tra tecnici: in realtà il «principio di indeterminazione di Heisenberg» non mette in crisi solo la meccanica quantistica e la relatività, ma un intero modo di pensare. Gli scienziati vengono risucchiati dalla politica, qualche volta costretti a tacere, qualche volta impiegati per contribuire a scopi di morte e distruzione. È la prima volta nella storia che fanno paura. Quello che dicono fa paura. Quello che possono fare, soprattutto, fa paura. La letteratura di fantascienza si appropria rapidamente di queste meraviglie. Accade, però, uno strano fenomeno, che in men che non si dica si trasferisce dalla carta stampata allo schermo cinematografico. Dal momento, cioè, che gli uomini di scienza hanno incominciato a realizzare che le categorie scientifiche non possono spiegare tutto quello che accade nell’universo, né possono spiegare tutto riguardo all’uomo, vengono in primo piano gli aspetti irrazionali e le pulsioni della natura umana. Il cinema fantascientifico si appassiona non solo e non tanto a ciò a che è spirituale, interiore, soggettivo, quanto alla cara, vecchia componente magica, quella ingovernabile, tipica dell'apprendista stregone. In questi decenni, mentre nei laboratori e nella società si aprono tutti i possibili vasi di Pandora, il genere trova nello scienziato pazzo una sorta di capro espiatorio, di spiegazione universale a tutti i disastri possibili. È una moda che non tramonterà. 54 Nel 1924 Paris qui dort, del grande René Clair, è una città addormentata da un criminale, che accidentalmente è anche un uomo di scienza. Suo complice è un raggio che lascia la città nel sonno e nel silenzio, per favorire il gioioso saccheggio dei pochi rimasti svegli48. Più tragica, senza dubbio, l'opera di due autori di esperimenti fallimentari, nati entrambi dalla penna feconda di Wells. Il primo, diretto dell'americano Erle C. Kenton nel 1932, è il dottor Moreau49 – qui impersonato da Charles Laughton – che ne L'isola delle anime perdute (Island of Lost Souls) decide di dar vita a un esperimento non di genetica, ma di vivisezione creativa. Grazie al suo bisturi si mescolano, senza anestesia, uomini e bestie: a volte con buoni risultati, come nel caso della sensuale Lota, la donna pantera. Le creature, ovviamente, si ribellano al chirurgo-demiurgo e lo fanno a pezzi con i suoi stessi strumenti. Il secondo, uscito nelle sale nel 1933 è L'uomo invisibile (The Invisible Man, di James Whale): un mad doctor americano che approfitta della sua invisibilità in tutti i modi non consentiti dalla legge e dalla morale50. Dopo questi saggi di grande cinema, per un decennio circa l'esperimento folle diventa un mero pretesto per una bella avventura e qualche brivido. Nel 1935 esce La città perduta (The lost city, di Harry Revier) in cui lo scienziato è complice di un criminale, ma solo perché ne è prigioniero. Perfino Flash Gordon sarà più inquietante di questo fumetto cinematografico. E poca stima riscuote anche il dottor Thorkel, creato nel 1940 dalla regia di Ernest B. Schoedsack, che rimpicciolisce le sue vittime per usarle come cavie: tanto che il film si intitola Dr. Cyclops, perché lui sembra grande e feroce agli sventurati 48 Il film è una favola fantascientifica sulla libertà e sul senso di responsabilità. È famoso anche per le meravigliose immagini riprese dalla Tour Eiffel. 49 L'isola del dottor Moreau (The Island of Dr. Moreau) è un romanzo di fantascienza di Herbert George Wells, scritto nel 1895 e pubblicato nel 1896. Da questo libro sono stati tratti: L'isola delle anime perdute (The Island of the Lost Souls, di Erle C. Kenton, USA 1932); L'isola del dottor Moreau (The Island of Dr. Moreau, di Don Taylor, USA 1977); L'isola perduta (The Island of Dr. Moreau, di John Frankenheimer, USA 1996). 50 Tratto da un romanzo omonimo di Wells, il film è noto per gli eccezionali effetti speciali di John P. Fulton, mago del visual e del trucco (con il supporto di John J. Mescall e Frank D. Williams). L’invisibilità è realizzata in questo modo: l'attore protagonista Claude Rains recita coperto interamente da una tuta di velluto nero su uno sfondo anch'esso nero. Poi viene ripreso il set senza di lui, e infine le due riprese sono combinate con il matte painting. Nel 2008 il film è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti: ha ispirato almeno cinque tra remake e sequel. 55 eroi. Sembra un triste epilogo per i mad doctors. In fondo, violare le leggi della natura è un lavoro duro, ma qualcuno deve pur farlo. Per fortuna, a riscattare gli scienziati pazzi, restano i mostri. I mostri. Il primo prodotto dello scienziato pazzo, in ordine d'importanza, è certamente il mostro. Mostro inteso in senso letterale, non come creatura brutta e orrorifica, ma come cosa che suscita meraviglia, che non si è mai vista in precedenza. Va da sé, però, che raramente i laboratori degli scienziati pazzi sfornano grandi bellezze. Eppure, tra gli anni venti e i trenta, il pubblico inizia ad amarli. Forse perché altri mostri si avvicinano, ben più tremendi di quelli del grande schermo. Dopo la depressione post bellica, che mette in ginocchio la Germania, l'ascesa dei nazionalismi e il dilagare del razzismo investono tutta Europa e si propagano oltre il continente. Nel 1933 il regista espressionista Fritz Lang decide che mostri, scienziati pazzi e catastrofi sono il vero futuro dell'ex repubblica di Weimar, ora governata da Hitler, e decide di fuggire a Hollywood. Ma l'America non è un'isola felice: da parte sua, sta trasmettendo al vecchio continente gli effetti della più grande crisi economica che abbia toccato il capitalismo fino a quel momento. Il mito del progresso vacilla ancora. Il cinema di fantascienza registra nuovi orrori e li traspone sullo schermo, che diventa una specie di inconscio collettivo. I mostri sono figli della scienza cattiva: ma per la gente comune, tutta la scienza è cattiva, dal momento in cui diventa incomprensibile e abbandona le sue certezze per mondi infinitamente piccoli o instabili. Darwin e le prime scoperte della genetica, all'inizio del secolo, autorizzano a pensare che la follia del dottor Moreau sia una possibilità non così remota. In più, rimbalzano al cinema, con qualche ritardo, le teorie di un ebreo viennese sull’interiorità umana. Freud scopre che la psiche altro non è se non un terreno di scontro fra forze avverse. Un altro colpo all’immagine rinascimentale dell’uomo, visto come equilibrio e razionalità, che ora coltiva nell'anima pulsioni oscure. Un altro punto per i mostri, che ormai un'incredibile somiglianza rende indistinguibili dagli esseri umani. Non è un caso che essi siano oggetto di una campagna di grande solidarietà da parte dei registi. 56 La scienza è stupida o avventata o crudele: cavie, vittime e risultati spesso non si distinguono. Essa è la fabbrica degli infelici. Il cinema, invece, li riscatta, ridà loro la dignità perduta. Nei primi anni trenta si affermano due creature che resteranno per sempre nel cuore degli spettatori e nell'empireo della mostruosità. Nel 1931 nasce per la regia impeccabile di James Whale il Frankenstein più famoso dopo quello degli studi Edison. Il successo che riscuote induce il regista a replicare nel 1935 con La moglie di Frankenstein: certamente per renderlo ancora più infelice e degno di pietà51. Nel 1933 King Kong, per la regia di Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, rapisce la sua prima bionda, una disoccupata della Grande Depressione che si è riciclata come attrice. La porta sull'Empire State Building, dove si fa ammazzare dalla solita aviazione statunitense. Conosciamo la storia. Più interessante è che l'interprete della nobiltà dei suoi sentimenti sia per l'appunto un regista, Denham, che decreta: «È stata la bellezza che ha sconfitto la Bestia».52 Questo atteggiamento di indulgenza permane almeno fino agli anni cinquanta. Il cinema coccola i suoi mostri. Negli anni quaranta spopolano una serie di film che si collocano a metà tra l'horror e la fantascienza come Mostro pazzo (The mad monster, di Samuel Neufeld, USA 1942) in cui la pazzia è contesa tra il dottor Cameron, i nazisti che combatte e l'uomo lupo che crea in seguito a un esperimento. Oppure come un filmaccio di George Sherman del 1944: La donna e il mostro (o La signora e il mostro, riedizione de Il cervello mostro, ovvero The Lady and the Monster) dove lo scriteriato professor Mueller, interpretato però da uno splendido Eric von Stroheim, mantiene in vita il cervello di un miliardario deceduto che, forse perché abituato a comandare, assume con la telepatia il controllo di chi gli sta intorno. Quasi sempre, dunque, sullo scienziato 51 Frankenstein è tratto dal capolavoro di Mary Shelley e dal suo adattamento teatrale Frankenstein: an Adventure in the Macabre di Peggy Webling del 1927. Nel 1991 la pellicola è stata scelta per il National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Jack Pierce, mago del trucco della casa di produzione e distribuzione Universal Pictures, truccava ogni giorno il protagonista Boris Karloff per quasi quattro ore: a lui si deve l'immagine più accreditata del mostro, compresi gli elettrodi ai lati del cranio. 52 Nella realtà, la bestia è un pupazzo articolato alto cinquanta centimetri, ricoperto di peli di coniglio, filmato, immagine per immagine, da Willis O'Brien e dalla sua équipe, su modellini in plastica della giungla e di New York. In questa circostanza vengono inventate tecniche che saranno poi utilizzate fino a quando verranno soppiantate dagli effetti digitali negli anni '90. 57 ricade gran parte della colpa. La fiducia nella scienza, sullo schermo e nella vita reale, declina progressivamente. Non perché essa sembri lontana o inadeguata a risolvere i problemi della gente comune; bensì perché la seconda guerra mondiale, più della prima, ha mostrato come il progresso tecnologico e scientifico possano trasformarsi in armi di distruzione di massa. Scenari futuri. Dagli anni venti in avanti spira innegabilmente un'aria di tragedia, che travolge l'Europa e, piano piano, l'America. In entrambi i continenti (e in parte dell'Asia) l'odore della crisi economica si mescola a quello dell'odio e della repressione delle minoranze, religiose, etniche o razziali. E la situazione volge rapidamente al peggioramento, alla guerra. È stato chiamato «il secolo breve» ma, appena iniziato, sembra già un incubo senza fine. Molta più gente che in passato, in effetti, è informata dei cambiamenti che stanno avvenendo. Il Novecento rappresenta l'avvento della società di massa: l'affermarsi dei grandi partiti sulla scena politica; lo sviluppo del movimento sindacale in occidente; i media, l'informazione e la cultura che raggiungono la gente comune; la diffusione dei consumi e della pubblicità su larga scala. Il cinema, uno dei nuovi mezzi di comunicazione, registra questi cambiamenti. La fantascienza sembra chiamata in causa più degli altri generi, perché ad essa spetta il compito di rappresentare per lo schermo la vita futura. Nel 1931 il grande regista francese Abel Gance dirige la sua idea di futuro: il titolo del film, il suo primo sonoro, è La fine del mondo (La fin du monde, di Abel Gance). Uno scienziato scopre che una cometa sta per distruggere la terra: quello scienziato, guarda caso, è proprio Abel Gance, che si riserva una parte tristemente profetica per i destini del genere umano. Molto meno funesto è il titolo del film uscito nel 1936 per la regia dello statunitense William Cameron Menzies: La vita futura (Things to come). Eppure qui le prospettive sono anche peggiori: protagonista è la città di Everytown, che assiste, in un intero secolo di guerra (1936-2036), alla completa devastazione della civiltà e dello sviluppo umano. Famosa è la scena dei cavalli che trascinano l'automobile, simbolo di un futuro sciagurato, che ricaccia il progresso in un passato lontanissimo. Dissipato il patrimonio di sapere ed energia del XX secolo, Everytown 58 sprofonda in un medioevo sociale, dove le risorse dei potenti sono spese nel trovare i mezzi per un nuovo conflitto: infine gli aerei – triste premonizione – bombardano le città e le riducono in macerie. Il genio di Herbert G. Wells, da cui il film è tratto, ha previsto ancora una volta un avvenire (la guerra aerea) che si realizza nel giro di pochi anni53. Il domani sembra amaro, oltre che vicino. Nel 1927 esce in Germania il capolavoro espressionista dell'austriaco Fritz Lang, Metropolis, che, a quell'amarezza, aggiunge il frutto di una riflessione politica. Il film, che ha ispirato pellicole quali Blade Runner e Guerre stellari è riconosciuto come modello del cinema di fantascienza successivo. La megalopoli del futuro è spietata, incalzante, gerarchica: è costruita per livelli (i ricchi verso il cielo, i miserabili nell'abisso), ruota intorno alle macchine industriali e il loro ritmo non ha tregua. La geniale fotografia di Karl Freund; le costruzioni tecnico-architettoniche ispirate a correnti diverse del Novecento, europeo e americano; gli espedienti del teatro d'avanguardia, le scale di Jesner e gli ascensori di Piscator. Cultura, tecnica e ispirazione concorrono a creare la città avveniristica per eccellenza, quella che plasma l’immaginario fantascientifico di tutto il ventesimo secolo. In più, gli effetti speciali di Eugen Schüfftan utilizzano modellini della metropoli in cui gli attori vengono collocati grazie a un gioco di specchi (una tecnica detta «effetto Schüfftan»), rendendo iperrealistiche le scene di massa e di distruzione. La fantascienza sfodera ambizioni che, fino a quel momento, non aveva mai dimostrato. Metropolis costa alla Repubblica di Weimar oltre cinque milioni di marchi (un record), richiede migliaia di comparse e più di un anno di lavorazione54. In Metropolis c'è proprio tutto, anche il messaggio. La megalopoli verticale è sintesi di tutte le possibili tensioni, sociali e individuali: ci sono i proletari sfruttati, il capitalista cattivo, il leader carismatico (un'insegnante, Maria), il traditore in cerca di vendetta, il figlio 53 Wells parla della guerra aerea nei suoi Anticipations (1901), The War in the Air (1908) e The World Set Free (1914), dove spunta la bomba atomica. Si dice che alle prime proiezioni il pubblico, a pochi anni dal secondo conflitto mondiale, deridesse il film per il suo contenuto catastrofista. 54 Girato dal 22 maggio 1925 al 30 ottobre 1926, scritto da Lang a partire da un romanzo della stessa Thea Von Harbou, il film si avvale di operatori prestigiosi: il direttore della fotografia Karl Freund, considerato il vero autore delle scene più belle della città, e il compositore Gottfried Huppertz, che scrive un’imponente colonna sonora per orchestra per la versione originale. 59 pentito del padrone. Mentre disegna l'esatto contrario della città ideale, Lang dimostra un'attenzione notevole al tema del riscatto sociale delle classi povere. Peccato che a Metropolis la rivoluzione scoppi per sbaglio, per un inganno degno di un feuilleton, ordito da un cattivo – lo scienziato pazzo, ovviamente – e che tutto poi si sistemi in un'improbabile pacificazione tra operai e padrone, secondo una morale riformista e cristiana. Il film in effetti piace molto al partito nazista, meno al resto del pubblico e alla critica. In effetti, è un fumetto espressionista ingenuo e paternalistico, se ci si ferma alla trama; zeppo, tra l'altro, di simboli fin troppo leggibili che richiamano la Bibbia (la macchina-Moloch, la torre di Babele, il robot-Maria che diventa Meretrice di Babilonia, l'Apocalissi dell'ultima parte). Non è un film molto sottile, Metropolis, o che lusinghi l'intelligenza dello spettatore. Ma non può non piacere: la sua sconvolgente bellezza – di immagini, di scenografie, di ritmo narrativo – ha segnato la storia. Il suo Maschinenmensch («uomo-macchina»), il robot femmina55 che è la copia di Maria, è il prototipo di tutti i successivi androidi. E il padroncino Freder che, scambiandosi con un operaio, per un turno di dieci ore combatte con le gigantesche lancette di una «macchina orologio», aggrappato, trascinato, quasi crocifisso, ci riporta fino a Martin Scorsese, al suo bambino Hugo Cabret che in fuga dagli adulti si appende all'enorme orologio di Montparnasse, restando sospeso su Parigi. Altri tempi, altri trucchi, lo stesso amore per la cinepresa. 55 Nel romanzo originale di Thea Von Harbou si chiama Parodia o Futura, e viene progettato da uno scultore, Walter Schulze-Mittendorff, secondo modelli art decò e influenze tecno-futuristiche. Ha ispirato la realizzazione dell’androide C3PO (D3BO) di Guerre stellari, che però è un maschio. 60 Sombrero distanza dalla Terra: 29 milioni di anni luce 61 Noi e gli altri (1950-1959) «Klaatu barada nikto!» (Helen Benson in Ultimatum alla terra, di Robert Wise, 1951) I quadri generali. «Questo giorno quando ha fatto chiaro la mamma mi ha chiamato vomito. "Vomito" ha detto. Le ho visto negli occhi la rabbia. Mi chiedo che cosa è un "vomito"». Gli anni cinquanta si aprono con l'angoscia di questo piccolo, che come tutti i bambini desidera solo essere amato dai suoi, e che invece viene respinto e maltrattato. Nel 1950 Richard Matheson, autore di fantascienza tra i più amati dal grande schermo56, ne consegna la storia straziante alle pagine di Nato d'uomo e di donna. E, intanto, rivolge ai lettori del «Magazine of Fantasy and Science Fiction» la domanda che sarà il motivo conduttore di un intero decennio nell'occidente post-bellico. Come dobbiamo trattare ciò che è differente, ciò che è altro da noi? Il piccolo chiuso in cantina riscuote tutta la tenerezza di chi legge, ma non è tanto piccolo. È gigantesco, per la verità, e si attacca alle pareti e perde bava verdastra. I genitori si possono capire, se non scusare perché, come dice papà, «Ha solo otto anni». La sensazione, comunque, è che se la caverà: «Mi metterò a gridare e a ridere forte. Mi arrampicherò su per i muri. Alla fine penderò per le gambe con la testa all’ingiù e gocciolerò verde tutt’attorno finché non saranno dispiaciuti di non essere stati gentili con me. Se proveranno a battermi di nuovo farò loro del male. Lo farò». Povero mostro, vuole solo giocare e stare in compagnia, ma nasce in un periodo sfortunato, circospetto e diffidente. Negli anni cinquanta in Occidente prevale l'idea che il diverso sia nemico e che il nemico si possa annidare ovunque: anche nella propria casa, in cantina o in salotto. 56 È il primo racconto di Matheson. Già negli anni cinquanta egli diventa uno degli scrittori più amati dal cinema. Nel 1954 scrive Io sono leggenda (I am Legend), che avrà alcune famose trasposizioni cinematografiche. Nel 1956 esce Tre millimetri al giorno (The Shrinking Man), di cui la Universal acquista subito i diritti per realizzare il film Radiazioni BX: distruzione uomo (The Incredible Shrinking Man, di Jack Arnold, USA 1957). Nel 1959 il produttore televisivo Rod Serling convoca Matheson per le sceneggiature di Ai confini della realtà (The Twilight Zone). 63 A ben guardare, le percentuali dicono il contrario: Stati Uniti ed Europa controllano una bella fetta di pianeta. Però, a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta, la situazione è in rapido, inarrestabile cambiamento. Il dominio delle potenze europee si sta sfaldando, anche per merito (o per colpa, a seconda dei punti di vista) della Seconda Guerra Mondiale, che pure le ha viste vittoriose. I mezzi di comunicazione – la radio, la stampa, i primi apparecchi tv, i cinegiornali – riportano le notizie della terra in rivolta contro le antiche potenze. Lo smantellamento degli imperi è lungo e sanguinoso, la decolonizzazione ha costi impensati: un'idea che Stati Uniti e URSS cavalcano con piacere, per estendere le proprie sfere d'influenza. L'autodeterminazione dei popoli non è più solo un espediente retorico: è ormai considerato un diritto come altri – in un'epoca di rivendicazione dei diritti civili – e contrasta non solo con il vecchio colonialismo, ma anche con la politica di "influenza" delle due superpotenze. Il monito giunge all'America dal suo interno: come accade alla Galassia Centrale, gli imperi collassano e decadono, racconta il grande scrittore Isaac Asimov nella trilogia della Fondazione57. L'imperialismo spaziale sarà il tema di decine di romanzi e racconti, oltre che di film epocali come Guerre Stellari58. Da docili schiavi, i colonizzati (e perfino i coloni) possono diventare nemici duri a morire, infrangendo la solidità di un potere che si credeva eterno e intoccabile. Nel 1950 lo scrittore di fantascienza Ray Bradbury pubblica gli struggenti racconti di Cronache marziane: gli esseri umani (gli americani in particolare) sono colonizzatori violenti e grossolani che, messi di fronte a una civiltà più raffinata (quella marziana), prima la distruggono per trasformare Marte a loro immagine e somiglianza, poi lasciano tutto per andare a combattere sulla Terra un'altra guerra atomica. 57 È composta da Fondazione o Cronache della galassia o Prima fondazione (Foundation, 1951); Fondazione e Impero o Il crollo della galassia centrale (Foundation and Empire, 1952); Seconda Fondazione o L'altra faccia della spirale (Second Foundation, 1953). 58 Il principale ispiratore pare di Jack Williamson con il ciclo Legione dello Spazio (Legion of Space): è anche il nome del primo romanzo, del 1934, seguito da Quelli della cometa (The Cometeers, 1936) e L'enigma del basilisco (One Against the Legion, 1939). Considerato uno dei classici della space opera, ripreso dopo molto tempo da L'incognita di spazio-no (Nowhere Near, 1967), e da un romanzo del 1983 intitolato La regina della Legione (The Queen of the Legion). 64 Appena scampata alla Grande Depressione, l'America ricomincia a preoccuparsi dei nemici interni ed esterni. La Seconda Guerra Mondiale è stata un'occasione non solo per uscire dalla crisi dell’economia, ma per esercitare il controllo sul Vecchio Continente e, in accordo con la «teoria del dominio» del presidente Truman – che teme l'effetto domino del comunismo – su tutta la terra. Peccato che l'Unione Sovietica l'abbia intesa allo stesso modo 59. L'Europa non è più l'antagonista per eccellenza degli Stati Uniti: esiste il Secondo Mondo, un pianeta ancora più lontano e alieno, dove tutto è diverso, dall'economia al sistema politico all'ideologia. E i suoi marziani non sembrano languidi, azzurri e arrendevoli, come quelli di Bradbury. All'interno dei confini americani il senatore repubblicano Joseph McCarthy promuove una «caccia alle streghe» per prevenire o smascherare presunti «complotti comunisti» contro gli Stati Uniti: è il famigerato Maccartismo. In questo clima, la fantascienza nel cinema americano finisce con il recepire e ritrasmettere a un pubblico di massa (con diversa efficacia, a seconda degli autori) il messaggio d'inquietudine, quando non di vero e proprio terrore, che arriva dalla politica e dalle relazioni internazionali. Sembra un paradosso: mentre il grande schermo – con piogge di UFO, «ultracorpi» e «ultimatum alla terra» – si affanna a esorcizzare la paura per il diverso, l'America è percorsa dal red scare (la paura rossa), che si trasforma in un'isteria collettiva anticomunista e che travolge Hollywood, mettendo a repentaglio la vita e il lavoro di molti cineasti. Con la fine del maccartismo e con l'avvento alla presidenza dell’URSS di Nikita Kruscev comincia a farsi strada la prospettiva di una «distensione» fra le grandi potenze antagoniste. Ma per lo storico incontro di Camp David bisognerà aspettare la fine del decennio. Per lungo tempo il futuro dei rapporti USA-URSS sembra essere uno solo: il conflitto. «Guerra fredda» è chiamato questo scontro tra mondi che, in attesa di collidere, si attrezzano con arsenali atomici. Il nuovo elettrodomestico da intrattenimento, la televisione, amplifica le notizie rispetto alla radio: nei primi anni cinquanta inizia a diffondersi nelle case degli americani e, a ruota, in quelle del vecchio continente, portando nei salotti la coscienza della precarietà e il senso 59 Negli anni cinquanta la morte di Stalin non sembra avere effetti negativi per l'Unione Sovietica. La Germania si spacca in due; nasce il Patto di Varsavia contro il Patto Atlantico; Cuba sotto Fidel Castro si propone come naturale alleata dell'URSS. La Cina di Mao Tse Tung – prese di distanza a parte – diventa per la Russia un'ideale "sorella" politica per condizioni e intenzioni. 65 d'impotenza. Con vero terrore la gente comune apprende del potenziamento della bomba atomica, la cosiddetta H all'idrogeno, che nel giro di pochissimo tempo viene sperimentata da tutto l'Occidente; anche se in posti lontani, come le isole Marshall 60. L'ordigno evoca la distruzione dell'intero genere umano, e suggerisce un'idea tremenda: una volta innescata la macchina bellica, non vi sarà un vincitore e uno sconfitto, come nel caso di Hiroshima, perché i due mondi risponderanno bomba su bomba, annientandosi a vicenda. A questo si aggiunge un'altra angoscia: il pericolo delle radiazioni e dei loro effetti sconosciuti. Comunque le si consideri, non sono prospettive rosee quelle che si aprono al mondo. Lo scrittore Philip Dick, agli esordi della sua carriera, ritrae le due superpotenze che, nella foga di distruggersi, alle bombe atomiche fanno seguire un'arma ancor più micidiale, l'essenza dell'autolesionismo: gli screamers, resi famosi dall'omonimo film nel 199561, macchine umanoidi (almeno nel più sofisticato degli aspetti che assumono) che hanno l’inconveniente di voler sterminare gli umani creatori. Alcuni ambiti dell'esistenza umana sembrano ispirare particolare diffidenza: insieme con la politica – che sembra consegnata alle male arti dell’inganno e dello spionaggio – c'è sicuramente la scienza. L’uomo della strada identifica le conseguenze del progresso scientifico con la bomba e le radiazioni. In realtà, anche altre questioni sono in ballo. La biologia approda alla scoperta della doppia elica, cioè della struttura della vita, facendone intravvedere possibili inquietanti sviluppi. La tecnologia registra uno sviluppo che sembra inarrestabile: si rivolge ai consumi e alla comunicazione di massa (la tv), ma prospetta orizzonti ben più fantascientifici, come la conquista dello spazio. Il 4 ottobre 1957 viene lanciato dall'URSS lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale. Ma lo spazio non è il solo territorio che prema agli scienziati in questo decennio: da Berkeley, a Pisa, a Ginevra i fisici sferrano un massiccio attacco al mondo subatomico, per studiarne con l'aiuto dei nuovi acceleratori gli abitanti (le 60 Ivy Mike è il test statunitense della prima bomba all'idrogeno, o bomba H, fatta esplodere sull'atollo di Enewetak (nelle isole Marshall, occupate militarmente dall'esercito americano) il 1º novembre 1952: essa libera 10,4-12 megatoni, un'energia quasi mille volte superiore a quella della bomba di Hiroshima. 61 Screamers di Christian Duguay è un film canadese del 1995 liberamente ispirato al racconto di Philip K. Dick, Modello Due (Second Variety, 1952). L'attore Peter Weller interpreta il colonnello Joseph A. Hendricksson, primo a rendersi conto che i soldati dei due blocchi sono stati abbandonati dai loro alleati. 66 particelle) e i meccanismi (le forze che li legano). La ricerca si concentra su alcune parole chiave: energia, intensità, frontiere spaziali; esse rappresenteranno, fino almeno agli anni settanta, gli stessi campi d'interesse della letteratura e del cinema fantascientifico. Nello stesso tempo, con gradualità, avviene il passaggio dai calcolatori elettromeccanici ai computer elettronici: quasi subito, come avevano predetto gli scrittori, queste macchine iniziano a rivelare le loro possibilità, ben oltre il calcolo. Grandi passi per la scienza, un salto enorme per la fantascienza: le nuove scoperte, una volta digerite e assimilate, saranno un potentissimo carburante per l'immaginazione degli autori, dei registi e degli sceneggiatori. In questo periodo, però, il cinema sembra impegnato su un solo fronte: quello dell'alterità. Restano, è vero, i temi cari agli anni quaranta: il viaggio e i mostri, pur con qualche differenza; ma le questioni che s'impongono su tutte le altre sono senza dubbio due: la guerra dei mondi e il contatto con gli alieni. La guerra dei mondi. Negli anni cinquanta circola un'idea ossessiva: l'ultima parola spetterà agli Stati Uniti o all'Unione Sovietica. Ma le armi nucleari, potendo raggiungere qualsiasi parte del mondo trasportate dai razzi intercontinentali, minacciano la sopravvivenza non di due Stati, bensì di tutti gli esseri umani62. E la minaccia è per sempre: indietro non si torna. Quarant'anni di esperimenti di fisica teorica e applicata hanno lasciato al mondo una sinistra eredità. Il cinema di fantascienza negli anni cinquanta è ancora, prevalentemente, un genere di serie B, che è riuscito a succhiare solo in minima parte la linfa della sontuosa science fiction letteraria degli anni quaranta, la cosiddetta «golden age». Non è ancora capace di emanciparsi, di sondare a pieno i misteri del cosmo (sopra e sotto la luna) per ricondurli all'esistenza umana: cosa che già fanno da un decennio i racconti e i romanzi dei grandi scrittori di Sci-Fi. Risulta spesso ridicolo, triviale, tristemente debitore dei film horror e della paura a basso costo, speculando sulle fobie e sulle paranoie che ormai sono diventate parte dell'inconscio collettivo, almeno in Occidente. C'è un messaggio semplice da trasmettere, che è la fuori, 62 «Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso» (Robert Oppenheimer, direttore scientifico del «Progetto Manhattan» dal 1942 al 1945). 67 pronto per fare paura: la tecnologia è mortale, la guerra dei mondi può iniziare da un momento all'altro; la civiltà – la nostra - può essere distrutta dal nemico completamente, irrevocabilmente. Partendo da queste premesse, molti film di fantascienza non si guadagnano una buona reputazione. Per la verità, i limiti tecnologici (e, dunque, di budget) nelle realizzazioni sono spesso tali da stroncare qualsiasi velleità d'impegno o anche solo di decoro. Fanno eccezione alcuni casi, come i film finanziati dal produttore George Pal, che influenza le scelte di registi e sceneggiatori. Gli altri, quelli più poveri, rischiano invece risultati imbarazzanti. Emblema di questa china è un film del 1959: Plan 9 From Outer Space, del celebre Ed Wood, noto come «il peggior regista di tutti i tempi» 63. Questa pellicola, diventata un vero cult per la sua inaudita bruttezza, mostra degli extraterrestri permalosi che, offesi per essere stati ignorati dai terrestri, attuano il famoso Piano 9: una bomba solare per distruggere l'universo, onde elettromagnetiche per riportare in vita i morti. Zombie, ghouls. Con intenti ben più ambiziosi, tratto da un soggetto dell'intramontabile Wells, nel 1953 esce il film emblema di questa stagione: La guerra dei mondi (The War of the Worlds, di Byron Haskin)64. È un film che sembra mettere in scena tutti gli stereotipi della guerra fredda, mescolati a quelli della fantascienza: nemici mostruosi e crudeli, bombe atomiche, il genere umano minacciato. Gli extraterrestri giungono da Marte a bordo di meteoriti: quando ne escono, sfoggiando macchine da guerra che si muovono su tre raggi, dimostrano di avere poca pazienza e scarsa considerazione nei confronti degli ospiti terrestri. Gli umani scappano, lasciano le città in grandi scene di panico collettivo. I protagonisti si barcamenano in 63 Edward Davis Wood Jr. (Poughkeepsie, 10 ottobre 1924-Hollywood, 10 dicembre 1978) è un regista, attore, montatore, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense con la passione per il travestitismo e le produzioni low budget. È amico dell'attore ungherese di horror Bela Lugosi, che conosce quando questi è ormai in pieno declino, e che vuole interprete dei suoi film, tra cui Bride of the Monster (1955) e Plan 9 from Outer Space (di Edward D. Wood Jr., USA 1959. È considerato uno dei padri del genere dei B-movies. La sua storia è raccontata da Ed Wood (di Tim Burton, USA 1994), con Johnny Depp nella parte del regista e con Martin Landau in quella di Bela Lugosi. Il film è liberamente tratto dalla biografia di Rudolph Grey. 64 Del film viene creata una trasposizione radiofonica, trasmessa l'8 febbraio 1955 per il programma Lux Radio Theatre: è ispirata a quella più celebre di Orson Welles del 1938, che ha scatenato il panico tra i radioascoltatori simulando (involontariamente) un attacco alla terra. 68 una Los Angeles apocalittica, abbozzando rimedi di ogni tipo. Invano: i marziani vengono fermati solo da un istantaneo, provvidenziale shock microbico, di quelli che di solito ammazzano i conquistati e favoriscono i conquistatori. Non un trionfo: nemmeno per l'America, che deve dir grazie non ai soldati, non agli scienziati del Progetto Manhattan65, ma ai virus e ai batteri che «Dio nella sua infinita saggezza aveva messo su questa Terra». La semplicità del messaggio contrasta però con la meraviglia degli effetti speciali, grazie a cui il film vince il premio Oscar l'anno successivo. Sono belli i tripodi volanti; ma addirittura bellissimi sono i marziani, di colore rosa antico, creature a metà tra un polmone e un tubo digerente, con le vene a fior di pelle e i due occhi diversi, luminescenti. Essi forniscono un irrinunciabile canone estetico per la fantascienza successiva: primo fra tutti, per l'E.T. di Steven Spielberg. Sulla scia di questo film ne escono altri con pretese simili, ma pochi contenuti. Giocano sul terrore del diverso e sull'emergenza dell'invasione straniera Gli invasori spaziali (Invaders from Mars, di William Cameron Menzies)66, uscito sempre nel 1953, e il film che sedimenta l'immagine degli UFO così come li conosciamo ancor oggi: La Terra contro i Dischi Volanti (Earth vs. the Flying Saucers, di Fred F. Sears, USA 1956)67. Sarà la fine del decennio a portare una speranza di conciliazione nello scontro tra civiltà. Nel 1958 esce I figli dello spazio (The Space Children, di Jack Arnold), in cui un gruppo di bambini aiuta un alieno (che ha la forma di un cervello) a sventare un piano militare distruttivo per l'intero universo. Il film non è bello, ma l'aria che si respira è meno catastrofica che in precedenza. Per brutti che siano, di qui fino a E.T. anche gli alieni potranno giocare con i bambini. 65 Il Progetto Manhattan (Manhattan Engineering District) è il programma di ricerca condotto dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale che realizza le prime bombe atomiche. 66 Ben diverso dalla prima prova del genere di Menzies, La vita futura, questo film è considerato un saggio di fantascienza per ragazzi: la storia è vista con gli occhi del piccolo David e la mente suprema extraterrestre è immaginata in modo francamente puerile (un volto con tentacoli in una boccia di cristallo). 67 Il film verrà citato (con spezzoni interi) da Tim Burton in Mars attacks! del 1996. 69 L'alieno. Sentinella (Sentry) è forse il più celebre racconto di fantascienza di tutti i tempi. Scritto da Fredric Brown nel 1954, è stato letto da migliaia di ragazzi nelle antologie scolastiche. Sentinella è il prototipo di una fantascienza pedagogica, che prima costringe chi legge a identificarsi col protagonista, poi lo rimprovera: ne mette in discussione i pregiudizi, utilizzando il fantastico per rovesciare la prospettiva, per presentare altri punti di vista su questioni concrete (la guerra, il ribrezzo per un «nemico disgustoso»). La sentinella in questione – lo sappiamo – combatte in una guerra interplanetaria contro gli alieni, di stanza su uno sperduto pianeta, a cinquantamila anni luce da casa. Sorveglia la sua posizione in trincea, mentre avverte i disagi, la lontananza, la paura. Ci immedesimiamo: è un povero diavolo, ha ragione lui, è tutti noi. Ma il nemico che si avvicina troppo, e che il soldato impaurito riesce a uccidere, è nientemeno che un essere umano: «con solo due braccia e due gambe e la pelle di un bianco ributtante e senza squame». Il nemico siamo noi. Ancora sorpresi, non riusciamo a rientrare subito nei panni degli umani: percepiamo l'orrore della sentinella e lo condividiamo. È il miracolo della fantascienza, reso ancora più potente dal cinema. È un miracolo che già inizia a funzionare negli anni cinquanta, quando i mezzi a disposizione dei cineasti sono pochissimi, gli appassionati non molti e i preconcetti sul genere davvero tanti. È il miracolo di un mondo razzista, aggressivo, fobico, chiuso, che pian piano inizia a riconoscere agli alieni, ai diversi, all'altro da sé una qualche forma se non di cittadinanza, quantomeno di diritto all’esistenza. Nel 1947 è stato avvistato il primo UFO e l'industria missilistica e aerospaziale è in pieno fermento. Siamo soli nell'universo? diventa una domanda ricorrente. Alcuni film raccontano di alieni buoni, collaborativi o, talvolta, fraintesi nelle loro intenzioni, guardinghi ma miti: una presenza benigna dallo spazio. Altri invece narrano di alieni ostili, che vogliono prendere possesso (letteralmente) del genere umano. Ma anche il loro, per quanto discutibile, è pur sempre un tentativo di integrazione che occorre considerare: lo scopo è quello di rendersi simili ai terrestri. Tra gli alieni buoni, la palma d'oro spetta senza dubbio a Klaatu, il protagonista di un famosissimo film del 1951: Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still, di Robert Wise). L'alieno dall'aspetto umano sbarca da un disco volante in compagnia di un robot alto e minaccioso, Gort: il suo scopo è avvertire che la 70 Confederazione Galattica ha predisposto la distruzione della terra (per mezzo di automi come Gort) se non cesseranno tutti i conflitti. Trattato come un nemico, inseguito, colpito dalle armi terrestri, Klaatu trova però in altri individui marginali (una vedova, suo figlio, uno scienziato screditato) dei validi alleati, con i quali riesce a scongiurare la fine del mondo. Per fermare il robot giustiziere, l'attrice Patricia Neal pronuncia la prima frase marziana comparsa in un film: «Klaatu, barada, nikto!». A parte la formula non molto chiara, il contenuto è evidente: orrore del conflitto, dell'emarginazione, della caccia alle streghe; paura dell'ostilità verso l'altro, paura della paura stessa. Una distensione a tutto campo: un vero sospiro di sollievo. Il clima di distensione diventa vera e propria collaborazione in due altri grandi classici della fantascienza cinematografica. Il primo è del 1953 e in italiano prende il titolo Destinazione... Terra (It came from Outer Space, di Jack Arnold)68. Ma la destinazione è già stata raggiunta e non è quella corretta: gli alieni hanno sbagliato pianeta, forse galassia, e dalla terra non riescono a ripartire. Clonano gli umani, ma solo perché ne hanno bisogno. Niente di personale. L'eroe del caso, John Putnam, grazie alla sua opera di mediazione, sventa la possibilità di una guerra. C’è un’ironia involontaria nel fatto che la prima occasione di contatto tra terrestri e alieni sia una panne spaziale. Nel 1955 esce un film ancora più pacifista negli intenti: Cittadino dello spazio (This Island Earth, di Joseph M. Newman)69. Un scienziato terrestre, che ha ordinato per posta un misterioso «interocitor», si trova coinvolto nel tentativo di un extraterrestre di salvare il suo pianeta, Metaluna, che soffre per mancanza di energia e per l'attacco di forze nemiche. Non ci riesce, ma è il pensiero che conta. Alla fine del film ciò che resta è una sensazione inquietante: che anche gli 68 Fu il primo film della Universal ad essere girato in 3-D. È considerato uno dei classici del cinema di fantascienza. È un film «umanista» e tollerante (c'è una soggettiva della terra vista dall'alieno): infatti la sceneggiatura è di Ray Bradbury. 69 È considerato la prima vera space opera cinematografica, tratta da Il cittadino dello spazio (This Island Earth) di Raymond F. Jones. In questo film appare uno dei più strani congegni della fantascienza, l'«interocitor», arma, apparecchio radio, TV e ancora, con raggi neutrini, strumento per attraversare il piombo. Può fare tutto, anche le strade, come recita il catalogo arrivato nel laboratorio di Cal Meacham: «Non ci sono limiti a ciò che può fare». 71 alieni abbiano i loro alieni; che da qualche parte, nello spazio, ci sia sempre un alieno cattivo. Ed eccoli, i cattivi. Nel 1951 La cosa da un altro mondo (The Thing from Another World, diretto ufficialmente da Christian Nyby, ma in realtà dal grande Howard Hawks) ci presenta un alieno in forma vegetale, che viene casualmente risvegliato dai membri di una spedizione in Alaska70. Il meccanismo ben noto del vaso di Pandora, che libera il caos. A volte, tuttavia, il caos si presenta spontaneamente. Nel 1956 esce il celeberrimo L'invasione degli Ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, di Don Siegel)71, diventato un cult per la storia del cinema. Gli alieni replicano gli esseri umani covando la nuova forma in giganteschi baccelli, e iniziano dalla cittadina americana di Santa Mira. I sostituti sono gelidi, senza emozioni, e uccidono gli originali: i baccelli si preparano a invadere il resto del mondo. Il film è incalzante, claustrofobico e ha una meravigliosa fotografia: con una spesa ridottissima, a parte il costo degli enormi baccelli, trasmette a meraviglia il crescendo di orrore che anima il racconto del dottor Miles J. Bennel, il protagonista, l'unico sopravvissuto di Santa Mira. È un clima noto, in quegli anni. Se dobbiamo credere a Don Siegel, il regista, il film non è stato pensato né in chiave anticomunista, né antimaccartista72: è solo lo specchio della generale angoscia, dell'incapacità di distinguere tra amico e nemico. Anche nella propria casa. Anche in camera da letto? Due anni dopo, nel 1958, esce a questo proposito un film molto più scadente, che però a Don Siegel deve tutto: Ho sposato un mostro venuto dallo Spazio (I Married a Monster from Outer Space, di Gene Fowler Jr.). Il titolo della pellicola, sintesi esauriente della trama, trattiene anche lo spettatore più distratto dal fare gli auguri alla giovane sposa. 70 Basato sul racconto breve Chi va là? (Who goes there?) di John W. Campbell, è considerato uno dei classici del genere. Il regista John Carpenter ha girato nel 1982 un altro adattamento del racconto, dal titolo La cosa (The Thing). 71 Nell'epoca dei kolossal, L'invasione degli ultracorpi viene girato in bianco e nero e con pochi soldi. La sceneggiatura è revisionata da Sam Peckinpah e dallo stesso produttore Walter Wanger. All'uscita nelle sale, gli incassi sono modesti, ma la pellicola diviene in breve un film culto, di cui si sottolinea la mancanza di effetti speciali (dovuta al modesto budget della piccola casa di produzione, la Allied Artists) per evidenziare la bellezza della sola regia. 72 Don Siegel, anni dopo, dichiara: «Né lo sceneggiatore, né io pensavamo a un qualunque simbolismo politico. Nostra intenzione era attaccare un'abulica concezione della vita». 72 Mostri davvero mostruosi. Ben più ridicoli degli alieni, negli anni cinquanta i mostri perdono la tragica compostezza che avevano avuto nei decenni precedenti. Spuntano mostri d'acqua dolce e salata: come Il mostro della laguna nera (Creature from the Black Lagoon, di Jack Arnold, USA 1954)73 e Il mostro dei mari (It Came from Beneath the Sea, di Robert Gordon, USA 1955). Si scatenano insetti mortiferi, come in Tarantola (Tarantula, di Jack Arnold, USA 195574); come in Assalto alla Terra (Them!, di Gordon Douglas, USA 1954) con delle formiche davvero notevoli; o come nel famoso film del 1958: L'esperimento del dottor K (The Fly, di Kurt Neumann), celebre anche per il remake La Mosca che ne ha fatto David Cronenberg nel 198675. Il vantaggio dei nuovi mostri è che non sempre sono animali, per quanto immaginari: nel film del 1957 La meteora infernale (The Monolith Monsters), del regista John Sherwood, le creature orrorifiche sono dei sassi dallo spazio che succhiano il silicio dalla pelle dagli esseri umani, disseccandoli a morte. Per quanto assurti alla storia dei B-movies, questi film sono davvero terribili. Un certo interesse possono destare, invece, altre mostruosità degli stessi anni: il primo Godzilla giapponese del 1954 diretto da Ishiro Honda76 in cui – nel ricordo di Hiroshima - è presente una vibrante denuncia agli armamenti nucleari e alle loro funeste conseguenze. Fa mostro a sé l'ennesima creatura del regista Jack Arnold. Appare in un film del 1957 che ha un brutto titolo – Radiazioni BX: 73 Viene girato in bianco e nero e in formato stereoscopico ed è subito considerato un film cult del genere. Dal suo successo scaturisce la produzione di due seguiti e Jack Arnold si specializza in mostri di ogni tipo. 74 I ragni sono uno degli animali preferiti del regista Arnold, come si nota dalla loro presenza in due altri film del periodo: Destinazione...terra e Radiazioni BX. 75 Il film parla di due grandi temi del cinema successivo: il DNA modificato e il teletrasporto. La moglie (Patricia Owens) dello scienziato-mosca (David Hedison) lo schiaccia in una pressa (come una mosca, appunto) sotto gli occhi di un compassato cognato, Vincent Price. 76 Godzilla (ゴジラ Gojira, di Ishiro Honda, Giappone 1954) ha inaugurato il genere Kaiju Eiga (cinema dei mostri) e ha meritato una lunga serie di sequel (oltre al recente Godzilla di Roland Emmerich). Vi compare il «dinosauro atomico» (detto Showa) che, nel primo progetto, doveva invece assomigliare a un'enorme piovra. Il verso della bestia è stato ottenuto unendo il suono di un contrabbasso a quello di una corda da strumento di un'ottava sotto la norma e strofinata con un guanto di cuoio grezzo. Il produttore Tomoyuki Tanaka ha insistito per entrare in diverse scene nel costume di Godzilla. 73 distruzione uomo (The Incredible Shrinking Man) – ma un grande valore cinematografico. Tratto da un racconto di Richard Matheson, il film racconta l'esperienza dell'infinito, e più precisamente dell'infinitamente piccolo, attraverso la storia di Scott Carrey 77. L'uomo subisce le conseguenze di una nube tossica: il suo corpo rimpicciolisce progressivamente, causandogli problemi con il lavoro, poi con la moglie, poi con un'amica nana, poi con il gatto di casa che vuole mangiarselo, poi con un ragno a cui contende una briciola di torta. A ogni riduzione corrisponde una difficoltà da superare e, soprattutto, un nuovo senso di frustrazione e impotenza. Il film si conclude con una nuova consapevolezza: «Più piccolo del più piccolo avevo un significato anch’io. Giunti a Dio non vi è il nulla: io esisto ancora»78. Uomini nello spazio. Almeno fino al 1956 e alla rivolta ungherese, una buona parte del mondo, quello di simpatie socialiste, guarda con attenzione e speranza al modello sovietico. Aldilà della politica, la competizione tra i blocchi investe il progresso scientifico e tecnologico. La corsa allo spazio, che culmina con il lancio dello Sputnik e il trionfo dell’URSS in questo campo, suscita reazioni in Occidente che rimbalzano nella science fiction cinematografica, dove gli astronauti americani pian piano diventeranno antagonisti dei loro colleghi russi, i cosmonauti. Nel 1950 il film Uomini sulla Luna (Destination Moon, di Irving Pichel) diventa sinonimo di viaggio spaziale. Alcuni lo considerano il vero esordio della fantascienza al cinema, per il massiccio uso di effetti speciali che, per una volta, vengono impiegati per ricostruire lo spazio cosiddetto outer, quello cosmico, stellare, profondo, esterno alla terra. La storia non è davvero appassionante, ma illustra perfettamente l'iter di un'impresa spaziale: l'aspetto finanziario, l'organizzazione, i problemi scientifici e tecnologici che la preparazione e la realizzazione comportano79. 77 È una delle più celebri pellicole del cinema di fantascienza anni cinquanta: nel 2009 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. È tratto da Richard Matheson: lo stesso autore si occupò della sceneggiatura. 78 È il celebre monologo finale del film, molto ispirato e letterario. 79 Il divulgatore scientifico Willy Ley e l'illustratore astronomico Chesley Bonestell costruiscono le scene in modo tale che il film si aggiudica nel 1951 l'Oscar per gli 74 I registi prenderanno confidenza con i viaggi spaziali solo gradualmente, nel corso di qualche lustro, con lo sviluppo delle capacità tecniche del mezzo cinematografico. Sembra difficile organizzare visivamente lo sbarco su un altro pianeta: realizzare i fondali, i colori, eventuali forme di vita. Per un lungo periodo i tentativi sono goffi, almeno a livello scenografico. Solo nel 1956 Il pianeta proibito (Forbidden Planet, di Fred McLeod Wilcox) sfodera scenografie grandiose, costumi suggestivi ed effetti speciali di grande efficacia, progettati negli studios della Walt Disney Production, a cui si aggiunge un innovativo robot – Robby, una specie di tenera salsiccia meccanica, che diventa subito una star 80 – al servizio di un film davvero fuori dal comune. Il viaggio è nello spazio, ma anche nell'inconscio, che è lo spazio della mente: « inner space-outer space», si dirà. Nel XXIV secolo, l'incrociatore spaziale C57-D, è inviato in missione sul pianeta Altair IV per cercare i sopravvissuti di una spedizione giunta venti anni prima, ma che non ha più dato notizie. Il dottor Morbius, personaggio ambiguo e travagliato, accoglie l'equipaggio scatenandogli contro una forza misteriosa. Essa deriva dalla «Grande Macchina», uno strumento creato da un'antica razza aliena per proiettare materia con il solo pensiero, cioè fare affiorare l'inconscio dandogli la forma dei «mostri dell'Id». E i mostri sono brutti, mortali, di forma leonina. La mente umana è un pianeta ostile, il peggiore di tutti. Con questo tributo alla psicanalisi, i viaggi di fantascienza si proiettano verso gli orizzonti illimitati degli anni sessanta. effetti speciali. Il produttore è George Pal, che produce anche il film del 1951: Quando i mondi si scontrano (When Worlds Collide, di Rudolph Maté, USA 1951). Nel film di Maté non c'è conflitto fra i mondi, se non per stelle e pianeti che entrano nell'orbita gravitazionale della terra; non c'è nemmeno il viaggio, se non all'ultimo minuto, quando un pugno di esseri umani, scampati alla collisione a bordo di un'astronave, atterrano sul pianeta Zyra. È più, in realtà, un film simil-catastrofico. 80 Il robot Robby è l'oggetto più costoso mai costruito fino a quel momento per il cinema. Ottiene grande popolarità tra il pubblico, tanto da ispirare la produzione di molti giocattoli. Verrà citato molte volte dal cinema successivo, facendo piccole apparizioni. È il primo robot della storia del grande schermo a seguire «le tre leggi della robotica» di Isaac Asimov. 75 Pinwheel distanza dalla Terra: 24 milioni di anni luce 77 Destinazione uomo (1960-1969) «Utilizzo le mie capacità nel modo più completo, il che, per un'entità cosciente, è il massimo che possa sperare» (HAL 9000 in 2001: Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick, 1968) I quadri generali. Michael Valentine Smith è stato allevato su Marte da caritatevoli marziani quando i suoi genitori terrestri, due astronauti, sono morti lasciandolo solo. È ormai un giovanotto extraterrestre a tutti gli effetti quando viene riportato a casa, sul pianeta d'origine, dove si trova «straniero in terra straniera»81. La terra è un posto davvero strano: dominata dai media e dal consumismo, piena di curiose abitudini come la guerra, la gelosia, gli abiti sulla pelle nuda, l'aggressività, il sesso. Mike – intelligentissimo e candido – fatica a comprenderle: appena sbarcato è già un deviante, da cui i terrestri si aspettano guai terribili, perfino di natura patrimoniale. Viene prima isolato e ricoverato in un ospedale, poi aiutato da insospettabili amici, infine spinto a fondare una «Chiesa di tutti i mondi», dove si insegnano il linguaggio marziano e l'immortalità, ma anche materie più difficili: la disciplina interiore, i liberi legami, il rifiuto della monogamia e della proprietà privata. Mike trova la soluzione ai problemi del pianeta: è sufficiente che gli uomini imparino a grokkarsi a vicenda. To groak significa "bere", "comprendere", "amare", "essere una sola cosa con". Una parola adatta ai tempi che si preparano. Benvenuto, Mike. Sotto gli auspici irriverenti dello scrittore Robert A. Heinlein – uno dei guru della letteratura di fantascienza –, gli anni sessanta hanno ufficialmente inizio. La confusione di Mike il migrante è del tutto comprensibile. I sessanta sono anni tumultuosi e contraddittori per tutti i cittadini del mondo, e in particolar modo, per quelli della sua parte occidentale. Le contraddizioni sono provocate, in primo luogo, dal boom economico, che dagli Stati Uniti (dove si è già manifestato fin dagli anni 81 Stranger in a Strange Land (1961) è proprio il titolo di questo romanzo di Robert A. Heinlein. 79 cinquanta) si diffonde al Vecchio Continente, quello capitalista. Anche paesi come l'Italia, che ha faticato a liberarsi da un’atavica miseria, iniziano a godere dei vantaggi dello sviluppo industriale. Nella percezione delle persone, il benessere muta rapidamente la qualità dell'esistenza. In meglio. Con il benessere, anche la scienza e la tecnologia mostrano il loro volto più amichevole. Le loro applicazioni quotidiane – la casa, gli spostamenti: i «beni durevoli» – mirano a sconfiggere la fatica. Le loro realizzazioni di punta – nei campi emergenti dell’elettronica, della robotica, dell’intelligenza artificiale – mirano a sconfiggere l’ignoranza. I primi robot, ibridi tra gli elettrodomestici e i media, sono la sintesi di questi sforzi. Anche i confini dello spazio ( outer space) sembrano aprirsi al volere degli esseri umani, che si immaginano ora padroni del cosmo intero. In effetti, dopo gli oggetti inanimati e gli animali, le prime persone – uomini, donne – vengono mandate in orbita e tornano vive. Da ipotesi visionaria di alcuni scrittori e cineasti, il viaggio sulla luna diventa una realtà: nella prima «mondovisione», gli americani Neil Armstrong e Buzz Aldrin82 scendono a fare quattro salti sul nostro satellite. L’entusiasmo per le nuove conquiste non sembra però contagiare i fabbricanti di fantasie futuribili. La fantascienza letteraria mette in secondo piano la hard sci-fi – teorie e tecniche avveniristiche – per concentrarsi sugli esseri umani, cioè sulla psiche dell'individuo e sulla società. Il cinema la segue con esitazione, tradendo nostalgia per un’epoca più avventurosa e meno intellettualmente contorta: non bastavano a farci felici i mostri dallo spazio profondo? Così, personaggi nati negli anni cinquanta hanno ancora un seguito. Come il dottor Quatermass: le sue vicende – che popolano la prima delle saghe spaziali, le space operas – esaltano la figura dell'eroe scienziato alla scoperta del diverso83. 82 Il primo allunaggio di umani avviene il 20 luglio 1969. Il modulo Eagle atterra alle ore 16:17. Scendono Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, e Buzz Aldrin, che scende per secondo, mentre il loro compagno Michael Collins resta a controllare il modulo di comando Columbia. Anche Buzz Aldrin diventa un giocattolo nel film della Pixar-Walt Disney Toy Story. 83 Escono in successione temporale: nel 1955, L'astronave atomica del dottor Quatermass (The Quatermass Xperiment, di Val Guest, Gran Bretagna 1955); due anni dopo, I vampiri dello spazio (Quatermass II, di Val Guest, Gran Bretagna 1957); nel 1967, L'astronave degli esseri perduti (Quatermass and the Pit, di Roy Ward 80 Non è più tempo, tuttavia, per baloccarsi con sogni infantili. Voci allarmate si levano contro le nuove piaghe della società: il consumismo, il potere mediatico, la massificazione e l'alienazione. Con diversi toni e intenzioni, gli intellettuali, la religione e, talvolta, la stessa politica mettono in guardia dai possibili sviluppi delle nuove tendenze. Si richiamano o si evocano altri tempi, passati o futuri, altri stili di vita possibili e altri modelli di convivenza. Non è forse un caso che, in questo contesto, si riscoprano i viaggi temporali di Herbert G. Wells. Il film di George Pal del 1960, L'uomo che visse nel futuro (The Time Machine)84 insegna che, con la volontà (o una buona macchina del tempo), perfino l'avvenire si può riscrivere prendendo il meglio del passato. Cavalcando questo fermento utopico (in realtà distopico e catastrofista), il cinema colto inizia a mostrare interesse per la fantascienza: in Francia il movimento della Nouvelle Vague si ergerà a capofila di questa riconciliazione. Il tema del futuro immaginato viene declinato in due modi possibili: la rappresentazione di un mondo che non c'è ancora e la riflessione sul destino evolutivo della specie umana. Sull'avvenire, nessun regista sembra davvero ottimista. Come si è detto, «i mitici sessanta» sono tutt’altro che pacifici e luminosi. Le tensioni tra le due superpotenze cominciano a sciogliersi nell’agognato “disgelo”, consentendo lo sbocciare di alcune primavere rimandate da tempo: quella dei diritti civili, poi quella dei movimenti studenteschi. Ma per l'America, in particolare, gli anni sessanta sono anche un’epoca di conflitti e di tragedie collettive: sono gli anni della guerra del Vietnam, della crisi di Cuba e dell'assassinio di John Kennedy. La morte in diretta del presidente presenta tutti i caratteri della fantapolitica: da quel momento, la filmografia sui complotti non sarà più la stessa. Nuove guerra e nuova violenza: l’Occidente reagisce in modi imprevisti, ancora una volta contraddittori. Man mano che il decennio avanza, si diffonde un’aura di libertà che investe la vita privata e sociale degli individui, coinvolgendo la morale, la politica, i modi di Baker, Gran Bretagna 1967); infine, The Quatermass Conclusion: la terra esplode (The Quatermass conclusion, di Piers Haggard, Gran Bretagna 1979). 84 Gli Eloi e i Morlock di Pal, che vivono nell'802.701, sono i due prototipi umani del futuro: ignavi e imbelli i primi, industriosi ma feroci i secondi. Il protagonista George (Rod Taylor), innamorato della eloi Weena, tornerà da lei per rifondare con tre libri una nuova civiltà. 81 conoscere e l’arte stessa, a partire dalla musica per finire col cinema. Non a caso proprio ora viene girato Barbarella (1968): il fumetto erotico di Jean-Claude Forest diventa un film brutto, costosissimo e celebre, in cui la spacegirl Jane Fonda attraversa le galassie e i confini della morale85. Nel Nord del mondo si respira un’atmosfera spesso eccitante, che provoca eccessi e isterismi in chi la esalta e in chi la deplora: per molti il nuovo alieno è il cappellone in tenuta floreale, intontito dalle droghe psichedeliche e dai concerti oceanici sotto il diluvio86. Intanto, si rivendicano spazi per categorie marginali o sfavorite: le donne, i giovani e tutti quelli che, in nome di qualche ideale, rifiutano di vivere secondo le regole codificate. Dalle frange radicali della destra e della sinistra occidentale nascono le controculture giovanili. La più famosa – gli hipsters detti hippies – si ispira alla beat generation degli anni cinquanta: si identifica non solo, però, nell’orgoglio dell’anticonformismo culturale e sociale, ma anche nel rifiuto di ogni violenza87. L'orgoglio per il corpo e le sue potenzialità; l'afflato verso la natura; la ricerca di nuove vie (anche sintetiche) all'ascesi mistica, verso l'espressione artistica e creativa della mente; trasformazione, ricreazione, rigenerazione: queste, per il nuovo anticonformismo giovanile, sono le strade per la felicità. Al tempo stesso, si tratta di atteggiamenti che hanno un loro lato oscuro, impossibile da ignorare. In un modo o nell'altro, gli anni sessanta preannunciano una svolta tragica. Perché c'è un principio – paradossale – che vale per la scienza e la tecnologia, per la politica e per le controculture: la 85 Barbarella (di Roger Vadim, Francia, Italia 1968), è un film, ispirato alle avventure spaziali di una disinibita eroina che fa all'amore con mezzo cosmo, robot e alieni compresi. Il soggetto è tratto dall'omonimo fumetto pubblicato come serie su VMagazine nella primavera del 1962, raccolto due anni dopo in un libro autonomo. Il film è brutto, tenta con troppi sforzi di essere comico e parodistico, ma diventa subito un cult, anche per la sua eterogenea e innovativa colonna sonora. 86 Il festival di Woodstock si svolge a Bethel, una piccola città rurale nello stato di New York, dal 15 agosto al 18 agosto del 1969, all'apice della diffusione della cultura hippy (o hippie), che voleva chiamare a raccolta con «Three Days Of Peace And Music» (da programma). 87 The Summer of Love (L'estate dell'amore) vede nell'estate del 1967 ben 100.000 ragazzi giungere nel distretto di Haight-Ashbury a San Francisco: a questo episodio è ricondotto l’inizio del Sessantotto come stagione di protesta e movimenti. San Francisco è l'epicentro della hippie revolution: musica underground, droghe, sesso, creatività e impegno sono le parole d'ordine. È ritenuta la prima manifestazione della controcultura hippie estesa al grande pubblico. 82 ricerca della consapevolezza è spesso inconsapevole delle conseguenze a cui porta. Carico di queste suggestioni, il cinema si focalizza sui cambiamenti. Sul grande schermo fioriscono mutazioni, metamorfosi e contaminazioni (da contagio alieno, da virus, da radiazioni): l'impotenza della scienza a rimediare agli effetti collaterali del progresso risalta più che non la sua tanto decantata magnificenza. Le stesse conquiste recenti, tanto vagheggiate, finiscono per creare assuefazione e per annoiare: in fondo – l'hanno visto tutti – sulla luna non è successo nulla. L'unica speranza è che i nostri eroi si siano riportati a casa qualche souvenir imprevisto… Mutazioni, metamorfosi e contaminazioni. «Marvin Flynn lesse il seguente annuncio nella piccola pubblicità della "Stanhope Gazette": Marziano 43enne, serio, ordinato, colto, desidera far scambio di corpo con terrestre di tendenze analoghe. Periodo: 1º agosto-1º settembre. Referenziato. Mediatori riconosciuti e autorizzati. Questo normalissimo annuncio fu sufficiente a far galoppare il polso di Flynn. Scambiare il corpo con un marziano... L'idea era eccitante, ma anche repellente sotto certi aspetti» 88. È l'annuncio-tipo degli anni sessanta. Propone l'avventura, il viaggio, l'esperienza anche a chi non può permettersele. È una strana, emozionante deriva del sogno americano. Dieci anni dopo On the road, un qualsiasi hitchhiker, con il pollice in alto, può ottenere un passaggio per il paradiso, lasciare la vecchia esistenza e scambiarla con un'altra. Lo scambio di vita: la scelta tra innumerevoli opzioni. Selezione e trasformazione. È questo che propongono, in fin dei conti, anche la scienza e la tecnologia. Non è solo la robotica a suggerire che un giorno qualcuno si sostituirà a noi, nella fatica e nei doveri, nel lavoro sporco. Cuori artificiali, pompe cardiache e trapianti di donatori89 tentano – con vario successo – di sostituire parti del corpo umano con pezzi di ricambio naturali o artificiali. Modifiche, grandi e piccole, per rendere l'uomo più efficiente. Nel 1966 Richard Fleischer, con il suo Viaggio Allucinante (Fantastic Voyage), realizzerà virtualmente il sogno di ogni spettatore ipocondriaco: un safari riparatore all'interno del 88 È l'inizio dell'esilarante romanzo di Robert Sheckley, Scambio mentale, 1966. Dal 1967 Christiaan Neethling Barnard e Michael Ellis DeBakey danno il via ai trapianti di cuore; il dottor Denton Cooley è invece il primo a impiantare un cuore artificiale in una donna, nel 1969. 89 83 proprio organismo90. Nel 1962 il premio Nobel per la medicina viene assegnato a Watson e Crick per la scoperta della doppia elica del DNA91. Da quel momento la possibilità di modificare il genoma umano passerà dalla finzione letteraria e cinematografica alla pratica quotidiana dei laboratori e degli scienziati. Nel primi anni '60 alcuni film traggono dalla rivoluzione genetica prospettive sinistre e inquietanti. Il villaggio dei dannati (Village of the Damned, di Wolf Rilla)92, racconta di una progenie aliena che "germina" in una cittadina inglese. Un gruppo di splendidi, feroci bimbi biondi tenta di assumere il controllo delle menti dei concittadini, per procedere alla conquista del mondo. Nel film di Rilla, il protagonista Gordon Zellaby, scienziato e loro tutore, li distrugge senza pietà; nel remake del 1995, invece, il regista John Carpenter vorrà salvarne almeno uno. Il film è efficace ancor oggi, inquietante e claustrofobico, anche se all'epoca dovette sembrare agli spettatori ben più pauroso. Il bianco e nero aumenta il carico d'angoscia. I bambini, soprattutto, sono indimenticabili: così uguali, così algidi e saccenti. Così biondi. È l'archetipo cinematografico del bimbo-mostro, mutato, trasformato, che ha perso l'innocenza infantile e vuol fare – con astuzia diabolica – giustizia dei suoi creatori. Che di solito – con buona pace dell’ideologia rassicurante della famiglia americana – sono i genitori. Anche il film del 1961 del grande regista inglese Joseph Losey, Hallucination (The Damned) parla di bambini. Di bambini innocenti, in questo caso, che non hanno parte alcuna nella propria mutazione. Sono figli di madri contaminate da sostanze radioattive, e vivono segregati in un laboratorio militare sotterraneo. Essi servono per sperimentare un genere umano più resistente, poiché si prevede che una guerra nucleare imminente annienti ogni forma di vita sulla Terra. Il professor Bernard è l'insegnante (a distanza televisiva) dei bambini, che non può rispondere alle loro domande sul futuro. Nel laboratorio capita una giovane coppia benintenzionata che, nel 90 Nel film quattro personaggi, a bordo di un sottomarino miniaturizzato, rimuovono un embolo dal cervello di uno scienziato: Jan Benes, che ha passato la cortina di ferro per collaborare con gli Stati Uniti. La sceneggiatura è basata su un racconto di Otto Klement e Jerome Bixby. La 20th Century Fox chiede a Isaac Asimov di scrivere un romanzo omonimo sulla sceneggiatura del film. Il libro uscirà sei mesi prima della pellicola. 91 Franklin e Wilkins sono gli altri due scopritori che però non ricevono il Nobel. 92 La pellicola è ispirata al romanzo I figli dell'invasione (1957) di John Wyndham. 84 tentativo di fuggire da un gruppo di violenti teddy-boys, scopre i ragazzini e cerca di liberarli. Il risultato è disastroso, nel miglior stile di Losey: i due volenterosi non solo non salvano i bambini, che restano a invocare l'aiuto di qualcuno per l'eternità, ma vengono mortalmente contaminati; i militari eliminano i testimoni. A ben guardare Losey e Rilla sembrano essere dello stesso parere: i bambini sono il nostro futuro, per questo dobbiamo guardarci da loro. Altri film, con l'avanzare del decennio, raccontano la storia di mutazioni, spontanee o volontarie. Nel 1962 L’invasione dei mostri verdi (The Day of the Triffids, di Steve Sekely) porta sullo schermo l'incubo di ogni botanico inglese. I trifidi sono piante cresciute da semi spaziali in seguito a una pioggia di meteoriti, che ha accecato gli umani: appena in grado di spostarsi, si diffondono per Londra ammazzandone gli abitanti. Il vero orrore, qua, sono gli effetti speciali. Ma il film tiene, grazie soprattutto alla sequenza paradossale dell'inizio, in cui Bill Masen si risveglia dopo un'operazione agli occhi e trova la città immersa nel buio di una cecità collettiva. I trifidi sono, senza dubbio, uno dei modelli più noti di presenza aliena invasiva, oltre che di pianta infestante. Ma non tutti gli extraterrestri mutano a scopo offensivo. Alcuni si difendono dall'imperialismo degli esseri umani, che imperversano alla scoperta del cosmo con le loro inquinanti navicelle spaziali (non tutte a propellente nucleare). Due di queste astronavi, attirate da uno strano segnale su un desolato pianeta, si trovano in balia di alieni a dir poco ostili, che trasmigrano nei corpi terrestri. All’invasione umana rispondono con un'invasione ancor più penetrante. Ha ragione Marvin Flynn, che vuole scambiarsi con un marziano: il corpo preso in prestito è la somma mutazione, la madre di tutti gli scambi possibili. È questa la trama di un'opera cult, Terrore nello spazio, datata 1965, con cui l'italiano Mario Bava realizza il suo primo e unico film di fantascienza. Distribuito dall'American International Pictures negli Stati Uniti, dove conosce un discreto successo, il film è venerato dagli amanti di Bava, considerato in vita un regista di B-movies, ma rivalutato dopo la sua morte. Viene realizzato a colori, con pochi mezzi e scenografie essenziali. Il regista si lamenta: gli si chiede di accontentarsi di due enormi rocce, che deve far rotolare per tutto il set per ottenere un simulacro di pianeta. Le produzioni risparmiano, con Mario Bava. Eppure alla sua trama e alle sue atmosfere si ispirerà Alien di Ridley Scott: l'ospite più famoso e sgradito della storia del cosmo. 85 Le società immaginate. Che mondo lasceremo ai nostri marziani, quando ci invaderanno? In molti, negli anni sessanta, parlano di declino della società occidentale. Da tempo la «fantascienza sociologica» la giudica severamente, in parallelo alla letteratura mainstream (quella non di genere) e alle scienze umane. Il cinema fantascientifico si adegua lento, con dieci anni di ritardo. Gli ci è voluto del tempo per liberarsi dal ruolo di grande intrattenitore in cui, spesso, si è volontariamente relegato (e i B-movies non sono famosi per le loro raffinate analisi sociologiche). D’altra parte, di fronte all’atomica e alla terza guerra mondiale qualsiasi altra fobia collettiva è sembrata a lungo indegna di essere rappresentata sul grande schermo. Ma gli anni cinquanta sono ormai conclusi, pur accompagnati dalle dolentissime note del film L’ultima spiaggia: guerra nucleare globale, morte per tutti, e che ognuno cerchi per sé la più dignitosa93. Ora il cinema è pronto a mostrare la nuova ossessione, che sopravvivrà (quasi intatta) fino alla fine del secolo: quella del controllo. A parte occasionali alieni, chi tiene in pugno le moltitudini? E, soprattutto, chi controlla i loro controllori? Problema secolare. Già nel 1948 l’inglese George Orwell lo ha riproposto in un’opera memorabile: 1984, il romanzo «distopico» per eccellenza, che vede il Grande Fratello comandare e controllare un terzo del mondo. «The Big Brother» è una deformazione fantapolitica del socialismo reale. Negli anni sessanta la prospettiva cambia, perché l'Occidente realizza l'enorme potere seduttivo e il potenziale di controllo sociale del capitalismo. I leader e i media possono spiare il popolo, dirigerlo, «ricondizionarlo»: ma allettarlo attraverso la promessa del benessere rende il tutto molto più rapido e incisivo. Le vacanze, l'utilitaria, la lavatrice, il frigorifero, la TV, più di due vestiti per cambiarsi tra i giorni feriali e la festa. I beni dominano gli esseri umani, offrendo a tutti – senza distinzioni di classe – nuove parole d'ordine: rapidità, bellezza del corpo, giovinezza, liberazione dalla fatica. Soddisfare i desideri, prevenirli, sembra diventato lo scopo principale della tecnologia. La fantascienza sviluppa il sogno architettonico già 93 L'ultima spiaggia (On the Beach, di Stanley Kramer, USA 1959) è un film di tipo fantapolitico-apocalittico dal cast eccezionale che comprende Gregory Peck, Anthony Perkins, Fred Astaire e Ava Gardner. L'omonimo romanzo da cui è tratto è di Nevil Schute. 86 abbozzato dalla «golden age» della fantascienza letteraria: la casa – supremo bene individuale – viene incontro spontaneamente alle necessità dei suoi abitanti. «Tu vivi nell'era più fortunata del genere umano», recita un famoso libro di Robert Sheckley: «Sei circondato da ogni meraviglia artistica e scientifica. La musica più bella, i libri e i prodotti artistici più grandi, tutto a portata di mano. Tutto ciò che devi fare è schiacciare un bottone»94. Non è solo “domotica”, come la nuova robotica non è solo elettronica. Le case e i robot interpretano il sogno umano più diffuso: quello di venire serviti, di poter essere padroni di una creatura senza sensi di colpa o brutte sorprese. Gli androidi di regola non si ribellano agli ordini: qualche anno prima, il genio di Isaac Asimov ha elaborato le tre leggi della robotica, che impediscono alle macchine di nuocere agli esseri umani 95. Ma le leggi di Asimov non sono leggi ferree. Può capitare – è un incubo ricorrente – che i robot decidano di eccedere, di riorganizzare la società, la giustizia, l'amministrazione, perfino le emozioni: beninteso, nell'interesse del genere umano. È il caso di Alpha 60, costruito dal dottor Von Braun (un tempo prof. Nosferatu), che amministra gelosamente l'ordine ad Alphaville, inibendo la diversità, i sentimenti, l'amore. L'agente Lemmy Caution – un dinamico e ironico Eddie Constantine – sotto le spoglie di un giornalista, distruggerà il computer e conquisterà la bella figlia dello scienziato, Natacha, che infrangendo la legge ha appreso ad amarlo. È il 1965: il film è il celeberrimo Agente Lemmy Caution, missione Alphaville (Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution di JeanLuc Godard) la pellicola che avvicina alla fantascienza la corrente francese della Nouvelle Vague. È un bel film, impeccabile nella regia, superbo nella fotografia, indovinato nella sceneggiatura: quest'ultima è scritta dal poeta Paul Éluard, a fianco dello stesso regista. Eddie Constantine e Anna Karina riescono a essere proprio tutto: contemporanei, avveniristici e anche un po' old fashion. La Parigi 94 Libera dalla fatica ma affogata nel debito, che non si può pagare e impedisce di emigrare, è la società che il protagonista Carrin descrive con orgoglio a suo figlio (Cost of living, 1952). 95 Nel 1950 Isaac Asimov dà alle stampe l'antologia Io, Robot, che comprende racconti pubblicati fra il 1940 ed il 1950. Qui compaiono le tre leggi della robotica: 1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno; 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge; 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. 87 dell'architettura modernista è scelta a interpretare Alphaville, capitale di un pianeta lontano. Esotico, ma domestico, per far dire allo spettatore: «Ecco, sappiamo di cosa si parla». Perfetto, anche se qualcosa in questa perfezione fa rimpiangere gli sgangherati Bmovies, i Trifidi caserecci e i pianeti rattoppati. Più sanguigna è l'altra utopia nera, quella del film di François Truffaut del 1966, ispirato al romanzo di Ray Bradbury del 1953: Fahrenheit 451. Il film è una specie di prova d'autore al contrario: Truffaut sceglie il colore, la produzione straniera, la distribuzione Universal per conquistare il mercato internazionale. Ma il risultato è comunque non commerciale. In una qualsiasi società del futuro il corpo dei pompieri è il custode del conformismo: deve bruciare tutti gli esemplari di libro, considerati il germe del disordine e del crimine. Il potere si serve della televisione, che mantiene i sudditi ebeti e dipendenti dal dialogo vuoto con lo schermo e dalle pillole. Così fa anche la moglie del pompiere Guy Montag, Linda, emblema del controllo, della volontà soggiogata. Il suo contraltare, Clarissa,96 colta contrabbandiera di volumi, mostrerà a Montag il mondo degli uominilibro: persone che per salvare la lettura si nascondono dal governo e ripetono a memoria un'opera, di cui sono diventati custodi. Una prova altrettanto seria, anche se più scanzonata nei toni, è l'opera di Elio Petri del 1965: La decima vittima. Tratta dal racconto The Seventh Victim di Robert Sheckley, viene trasformata per lo schermo da scrittori del calibro di Ennio Flaiano e Tonino Guerra. È un pastiche fantascientifico buffo e godibile, che oscilla tra fantapolitica, noir, commedia all'italiana e dramma. La scenografia – modernissima per i tempi, tra Pop art, iperrealismo, arte informale e concettuale – è lo sfondo perfetto al connubio tra un avveniristico cialtrone, l'ossigenato Marcello Mastroianni, e la fin troppo straniera e marmorea Ursula Andress. Nel mondo è stata indetta una gara, la Grande Caccia, per limitare la violenza individuale e contenere l'aggressività, allo scopo di evitare le guerre. In questa competizione ci sono un Cacciatore e una Vittima: il vincitore è colui che uccide l'altro. I media sono parte del gioco: in realtà esso è diventato un grande spettacolo popolare e i suoi partecipanti sono i nuovi idoli della folla. Così Caroline Meredith (Andress) è giunta alla sua decima caccia, e progetta di ottenere il titolo di Campione Decathon, 96 I due ruoli di Linda e Clarissa sono interpretati da Julie Christie. Oskar Werner è invece uno struggente, melanconico Guy Montag. 88 uccidendo la Vittima – Marcello Poletti, fanfarone romano – in un reality show ante litteram. Imprevisti, cartucce a salve, alligatori e inconvenienti sentimentali renderanno il compito impossibile da realizzare: i due, rinunciando alla fama ma anche a un mondo di guai, fuggiranno insieme. L'amarezza di un futuro da incubo si stempera nel sorriso: in fin dei conti, forse, l'ironia salverà il mondo. L'evoluzione della specie. Magari in chiave umoristica, però Robert Sheckley lo ha sempre sostenuto: il progresso ha costi che spesso non vengono calcolati e che ricadono sulle generazioni future. La tecnologia e la scienza promettono di produrre un uomo migliore: più libero, più sano, più longevo. Ma anche più intelligente, cioè in grado di potenziare incredibilmente quella stessa scienza e quella stessa tecnica che lo hanno reso evoluto. Eppure questo circolo virtuoso "uomo-progressoscienza" sembra pieno di insidie, di effetti collaterali, di conseguenze non previste. Agli umani piacerà essere quello che saranno? Non sembra proprio. Nel 1963 La stirpe dei dannati (Children of the Damned, di Anton Leader) è una pellicola inglese che parla esplicitamente di un salto evolutivo. Altri bambini, anche qui non proprio rassicuranti: sono sei, per fortuna di etnie diverse, cosa che smorza il terrificante effetto "biondo-Villaggio dei dannati". Ma non sono alieni né mutati, sono solo esseri umani molto evoluti: geniali e con capacità psichiche eccezionali, con cui si difendono dagli adulti che vogliono usarli come cavie o come armi da difesa. Inutile dire che non si difendono a sufficienza: l'uomo odia sé stesso per come sarà, entra in competizione con se stesso, inconsciamente vuole distruggersi. Un'altra storia struggente sul circolo virtuoso è tratta dal bel racconto di Daniel Keyes, Fiori per Algernon97. È un film di Ralph Nelson del 1968, I due mondi di Charly (Charly). Charly Gordon è un uomo ritardato, gentile e infantile. Egli accetta di partecipare a un esperimento per aumentare l'intelligenza umana, che ha avuto sul topo Algernon risultati sorprendenti. Dopo poche settimane di sfrenato crescendo, la sua genialità non ha rivali: per questo, quando si rende conto che Algernon è regredito, si butta nella ricerca per 97 Stirling Silliphant scrive la sceneggiatura e vince il Golden Globe nel 1969. Cliff Robertson, nella parte di Charlie Gordon, nel 1968 vince l'Oscar come miglior attore protagonista. 89 trovare una soluzione e bloccare il processo involutivo. Ma è tutto inutile: il poveretto percepisce che la sua mente si va velocemente restringendo e torna a casa, rinunciando anche all'amore. Algernon è di nuovo un topo come gli altri, Charlie un uomo che come gli altri non è mai stato. È la scelta che si para davanti agli esseri umani, quando realizzano le possibilità di una portentosa evoluzione. Intelligenti non vuol dire felici, non vuol dire migliori. Forse la tecnologia, la medicina, le scienze fisiche e chimiche, la cibernetica, l'ingegneria, forse tutte queste discipline unite – e altre ancora – non riusciranno a scongiurare l'inimicizia profonda che l'uomo dimostra verso se stesso, verso i suoi simili, verso la natura. Crudeltà, "cannibalismo", autolesionismo: tratti iscritti nel DNA che non sembrano potersi cancellare. In questa chiave, verso la fine del decennio compare sullo schermo una profezia affascinante e contorta: è l'idea di evoluzione che anima il famoso film di Franklin J. Schaffner del 1968: Il pianeta delle scimmie (Planet of the Apes)98. George Taylor sbarca con i compagni su un pianeta misterioso, dove le scimmie hanno sviluppato una società preindustriale piuttosto evoluta, divisa in tre gruppi – politici, guerrieri e sapienti – che fanno capo ad altrettante famiglie. Gli uomini vivono in tribù primitive, sono incapaci di parlare e forniscono alle scimmie utili cavie per gli esperimenti scientifici. Due scimpanzéscienziati, Cornelius e Zira, difendono l'essere umano perché confermerebbe la loro teoria, proibita dalla scienza ufficiale: le scimmie discendono dall'uomo. Ma, per lo stesso motivo, quando il dottor Zaius scopre che Taylor ha capacità verbali, lo inseguirà per lobotomizzarlo. Il finale è un'amara sorpresa per il nostro protagonista, che pure è riuscito a sottrarsi alla cattura. Insomma, sembra dirci il film, è dura per tutti guardare in faccia la propria 98 Nel film compare come protagonista Charlton Heston. Nel 1969 viene assegnato il premio Oscar alla carriera a John Chambers (Onorario per il Trucco). I sequel sono numerosi e deludenti, perlopiù: L'altra faccia del pianeta delle scimmie (Beneath the Planet of the Apes, di Ted Post, USA 1970); Fuga dal pianeta delle scimmie (Escape From the Planet of the Apes, di Don Taylor, USA 1971); 1999-Conquista della Terra (Conquest of the Planet of the Apes, di Jack Lee Thompson, USA 1972); Anno 2670Ultimo atto (Battle for the Planet of the Apes, di Jack Lee Thompson, USA 1973). Sono nate in seguito anche delle serie tv: Il pianeta delle scimmie, 1974; Ritorno al pianeta delle scimmie, serie animata, 1975. Del film è stato fatto un remake nel 2001, Il pianeta delle scimmie (Planet of the Apes, di Tim Burton, USA 2001) e dieci anni dopo un prequel (un riavvio della serie), diretto da Rupert Wyatt, intitolato L'alba del pianeta delle scimmie (Rise of the Planet of Apes, di Rupert Wyatt, USA 2011). 90 evoluzione. È dura soprattutto sapere che la parte meno evoluta di noi (le scimmie che fummo), quando diventa più evoluta di noi (nel 3978, secondo la finzione) si comporta esattamente come noi: male. Le scimmie sono il rovesciamento ironico del progresso del genere umano: si tratta di capire se noi umani saremo in grado di adattarci all'adattamento della specie, che sembra inevitabile. Nello stesso anno, il 1968, esce per la regia geniale e meticolosissima di Stanley Kubrick il film 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey) uno dei più famosi film della fantascienza di ogni tempo. Lento e ritmato in modo quasi ossessivo 99, il film descrive in quattro parti – quasi degli atti teatrali – i paradossi dell'evoluzione. Nel primo gli scimpanzé-ominidi vivono nelle caverne, raspano una terra arida e ostile (in gara con i tapiri), uccisi dagli stenti e dalle belve. Il richiamo di un monolito nero li rende feroci e micidiali 100: in una parola, umani. Da questo strano oggetto ha origine la storia umana dei primati e il viaggio della nave spaziale Discovery. In effetti, la pietra misteriosa101 ricompare milioni di anni dopo, nel 1999, quando, trovata sulla luna da una spedizione scientifica, al sorgere del sole lancia verso Giove un segnale extraterrestre. Inviata a seguirne le tracce, la Discovery ha al suo comando David Bowman: un uomo solido, determinato, però in balia di progetti altrui. È stato inviato su Giove, ma non conosce il vero scopo della missione. Deve vedersela con HAL 9000, il calcolatore di bordo, raffinatissimo, ma psicopatico e omicida, che tenta di uccidere l'intero equipaggio perché non tollera di aver mentito sulla missione 102. Tutto e tutti – a suo modo anche il monolito – tentano di neutralizzare Dave. Egli viaggia fino alla fine del film: dentro e fuori dell’astronave, nello spazio silenziosissimo; dentro e fuori della sua umanità, padrone e schiavo al tempo stesso di un computer bugiardo; dentro e fuori del 99 Così parlò Zarathustra di Richard Strauss è il poema sinfonico che accompagna la scena prima; Sul bel Danubio blu, op. 314, è il valzer di Johann Strauss jr. che scandisce il moto dei satelliti intorno alla luna secondo una gravitazione rotazionale. 100 Gli ominidi sono dei mimi, diretti dalla coreografia di Daniel Richter (la scimmia leader), affiancati da vere scimmie nel ruolo dei cuccioli. La specie in questione doveva essere glabra e nuda, ma si è deciso per una versione anteriore, pelosa e meno scandalosa. 101 Quando viene ritrovato sulla luna è chiamato (Tycho) Magnetic Anomaly-one. 102 Keir Dullea interpreta David, detto Dave; l'attore teatrale Douglas Rain dà la voce a Hal 9000 nella versione inglese, mentre nella versione italiana il doppiatore è Gianfranco Bellini. L'inquietante voce di Hal è rimasta il più famoso simbolo uditivo (un'icona sonora) nella storia del cinema di fantascienza. 91 tempo – dell'individuo e della specie. Quando riesce a sfuggire al killer elettronico, risucchiato da un gorgo psichedelico, scende sul pianeta, vi muore e vi rinasce, trasformandosi in un istante da vegliardo a bambino primordiale: il feto cosmico. Il progresso è questo: un perenne oscillare da un'innocenza inerme a una consapevolezza aggressiva e crudele. Lo rappresenta HAL, costretto a ingannare i suoi astronauti e perciò a impazzire, ritornando allo stadio infantile. Lo incarnano gli ominidi, che imparano a cacciare e a uccidere i loro simili, infierendo sui cadaveri, per poi evolversi in menzogneri scienziati. Lo interpreta il monolito, presenza emblematica che sollecita l'uomo, uccidendolo e rigenerandolo attraverso il tempo. Dave solo sembra immune dall'evoluzione: retto dal senso del dovere e dall'istinto di sopravvivenza porta avanti la missione e si rassegna a quel misterioso ricongiungersi di spazio e tempo, di passato e futuro. 92 Messier 83 distanza dalla Terra: 15 milioni di anni luce 93 La fine dell’uomo? (1970-1979) «Bel film. E' in programmazione da più di sei anni». (Richard Neville in 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra, di Boris Sagal, 1971) I quadri generali. Gli anni sessanta si chiudono sulla scena iniziale di 2001: Odissea nello spazio. È l’alba della società umana e, come si suol dire, il buongiorno si vede dal mattino. L’ominide peloso colpisce con un femore calcificato i resti di un tapiro: prima piano, poi più forte, poi forsennatamente. Schegge ossee esplodono tutto intorno, mentre lo scimmione scopre i canini, ebbro di gioia crudele, in un crescendo scandito dalle note imperiose di Così parlò Zarathustra103. Gode della violenza. Si evolve. Un brivido percorre gli spettatori. È innegabile: qualche secondo prima il primate sembrava più civile. L'evoluzione non gli ha giovato. Se abbiamo dato a un osso il potere di stravolgere i nostri destini e il nostro comportamento, quale potere avranno in futuro innovazioni ben più sofisticate? Gli anni settanta trascorrono nel tentativo di scrivere a questa scena un degno seguito, di ritrarre la specie umana alla fine del processo evolutivo. Dopo tre anni (1971) ci prova lo stesso Kubrick. Con un budget ridotto e poche, spartane ambientazioni, il regista gira uno dei suoi capolavori, Arancia Meccanica104, in cui disegna per l'essere umano un futuro assurdo che a stento, però, si distingue dal presente. Tratto dal romanzo distopico di Anthony Burgess (A Clockwork Orange, 1962), non è propriamente un film di 103 Guarda-la-Luna (uomo scimmia del Pleistocene) ha in mano un femore; è tuttavia una tibia a roteare in aria, perché Kubrick filma un osso lanciato in cortile (fuori dal set) e aggiunge un'inquadratura non prevista. La scena è una trovata del regista per dare l'impressione di due momenti profondamente distanti, prima e dopo l'evoluzione. 104 Arancia Meccanica (A Clockwork Orange, di Stanley Kubrick, Gran Bretagna 1971), ottiene quattro nomination agli Oscar del 1972: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior montaggio; fu presentato lo stesso anno alla Mostra di Venezia. La colonna sonora utilizza brani molto noti di Rossini e Beethoven, che accompagnano le parti più visionarie. 95 fantascienza, quanto piuttosto un cocktail di generi: fantapolitica, fantasociologia, drammatico, erotico, grottesco, thriller. Lungo una serie di azioni e situazioni esasperate, il raccapricciante Alex (Malcolm MacDowell) e i suoi drughi introducono lo spettatore in una società dominata dalla violenza, a cui lo Stato offre due alternative: il condizionamento del pensiero (che impedisce fisicamente di delinquere) o l'ipocrisia, la finzione della normalità. Alex le prova entrambe, ma trova la seconda chance di gran lunga più soddisfacente. Arancia meccanica è una pietra tombale sul mito del progresso. A tratti, la realtà supera la fantasia. È vero, le ex-colonie si affacciano a una nuova vita: spesso, però, con pessime premesse, come dimostrano i tre milioni di morti della guerra tra il Biafra e la Nigeria. La crisi in Medioriente si diffonde – dal cosiddetto Kippur, alla guerra civile in Libano, al tira e molla tra Israele ed Egitto – e sfocia in uno stato di conflitto permanente. La fame, i cadaveri, i deserti, le epidemie: i classici cavalieri dell'Apocalisse diventano star televisive, inchiodano milioni di persone in tutto il mondo di fronte al piccolo schermo. Il cinema di fantascienza si nutrirà di queste immagini, traendone macabre idee per disegnare catastrofici futuri. Da parte sua, l’Occidente è già governato dal sentimento della fine. La sorprendente conclusione della guerra del Vietnam scardina l’idea dell’onnipotenza americana. Nello scandalo Watergate viene incriminato il presidente, depositario della fiducia di mezzo mondo. Simultaneamente, la crisi economica e poi quella energetica travolgono i paesi industriali, preludendo a un possibile esaurirsi delle risorse del pianeta105. Le cose umane – il potere, le istituzioni, le relazioni, i carburanti, le terre fertili – sembrano destinate a una conclusione. Certo, non è tutto finito: piuttosto, sono in atto radicali trasformazioni, ma verso direzioni sconosciute. I movimenti culturali e la rivoluzione sessuale suggeriscono alla fantascienza le alternative possibili: un altro modo di concepire la politica, di affrontare il sesso e le differenze di genere; altre religioni e devozioni; un'altra maniera di produrre energia per vivere; una nuova geografia degli insediamenti umani, dalle zone desertiche alle città verticali. La letteratura di science-fiction riflette su questi mutamenti scomodando problemi e 105 Si tratta in realtà di una conseguenza della guerra del Kippur in Medio Oriente (1973); l'OPEC, per protesta contro l'Occidente che appoggia Israele, alza i prezzi del petrolio greggio causando una crisi energetica mondiale. 96 tabù mai toccati in precedenza: le droghe, il sesso, il razzismo, il femminismo, il Vietnam. Il genere è dominato dalla New Wave: una vera e propria corrente nata negli anni sessanta, che non solo ha dichiarate ambizioni di sperimentazione letteraria, 106 ma intende affiancare l'esplorazione degli «abissi della mente umana» alla critica politica e sociale al mondo contemporaneo. Tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta, il genere acquisisce un prestigio mai avuto in precedenza. Ormai la fantascienza è un firmamento costellato da stelle luminosissime, scrutate con entusiasmo dai critici, dagli accademici, dai registi "seri".107 Sembra una grande vittoria per la categoria. Eppure la corrente New Wave verrà recepita dal cinema in tempi lunghi e, nella maggior parte dei casi, in modo superficiale. La fantascienza cinematografica ne assume alcuni contenuti, rigettandone altri. Intanto, tra gli anni settanta e gli anni novanta trionfa la spensieratezza e il divertimento infantile con l'affermarsi delle space operas, le grandi saghe fantascientifiche. Tra le più importanti figurano Guerre Stellari (Star Wars, di George Lucas, USA 1977), Star Trek (di Robert Wise, USA 1979) e Interceptor (Mad Max, di George Miller, Australia 1979). Guerre stellari è la più famosa delle space operas: considerato dalla critica un vero orrore, è nondimeno un pezzo significativo della storia del genere. Sui sudditi di un sistema solare sconosciuto governa un tirannico impero galattico. La principessa Leila guida la resistenza ma viene rapita e imprigionata: in suo aiuto – grazie agli insegnamenti di 106 La New Wave spinge molti scrittori a imitare i modelli delle avanguardie del postmodernismo, e a tralasciare lo stile da letteratura di consumo. Nascono riviste specialistiche di critica sulla fantascienza, come «Science-Fiction Studies», «Foundation ed Extrapolation». Vengono però delusi i fan della fantascienza tradizionale, che trovano i nuovi autori troppo cervellotici e angoscianti. 107 Nel Regno Unito la rivista «New Worlds» di Michael Moorcock scopre scrittori come James G. Ballard, Brian W. Aldiss, John Brunner. Sono uomini che non si sentono professionisti del genere, ma veri artisti: Ballard, per esempio, rifiuterà con sdegno l'etichetta di autore New Wave. Negli Stati Uniti Harlan Ellison cura due antologie (Dangerous Visions e Again, Dangerous Visions) che fanno epoca, insieme con i loro autori: Philip K. Dick, Robert Silverberg, Philip José Farmer, Roger Zelazny, Norman Spinrad, R. A. Lafferty, Gene Wolfe. Gli autori del New Wave pescano anche tra le cosiddette minoranze: Samuel R. Delany è nero; Thomas Disch e Delany sono gay dichiarati; Joanna Russ, Kate Wilhelm o Ursula Le Guin sono donne. Altre scrittrici di questi anni sono Lois McMaster Bujold, Marion Zimmer Bradley, Doris Lessing (con il ciclo fantascientifico di Canopus in Argos: Archives) e Alice Sheldon, che fino al 1977 scrive sotto lo pseudonimo maschile di James Tiptree Jr. 97 un anziano cavaliere Jedi, Obi-Wan Kenobi – accorrono il giovane Luke Skywalker, l'avventuriero Ian Solo (Harrison Ford) con il Wookie Chewbecca (alieno dalle sembianze di scimmione) e due simpatici robot. Dopo il duello tra Obi-Wan e Dart Fener, cavaliere del Lato Oscuro della Forza, la truppa salva la principessa e sconfigge il male cosmico. Star Wars è uno dei film che più hanno influenzato l'industria cinematografica, non solo per lo spiegamento straordinario di effetti speciali108: è una favola mitica che sa attingere ai vecchi fumetti di fantascienza (Flash Gordon, Buck Rogers), all'epica e alle saghe letterarie occidentali e orientali, ai grandi registi del passato (da Ejzenštejn a Kurosawa), e perfino alla pittura surrealistica medioevale (per la scena del bar intergalattico) di Hieronymus Bosch. Recensioni ancora peggiori ha avuto il primo Star Trek, per cui la Paramount ha speso quaranta milioni di dollari nel tentativo di riproporre un episodio dell'omonimo serial tv (settantanove episodi, 1966-68). Nel 2300 circa, a bordo della nave spaziale Enterprise, il vecchio equipaggio affronta un oscuro nemico diretto verso il pianeta Terra. Troppi effetti speciali, lunghi e noiosi dialoghi, un ritmo soporifero, attori non indimenticabili, un lieve riscatto al momento del finale: più che un film, un matrimonio. È l'inizio di una saga fantascientifica (ma non spaziale) anche l'australiano Mad Max, che in Italia viene intitolato Interceptor dal nome dell'avveniristica macchina V8 del protagonista Mel Gibson. Gibson è ovviamente un duro-ma-buono che combatte contro i motociclisti pirati in un terribile, desertico mondo futuro. La pellicola non è un capolavoro, ma perlomeno non sembra di entrare in una cesta di giocattoli, come accade per le space-operas: Miller suggerisce una sua idea – non idilliaca – della società futura. Intanto, 108 Il film ottiene uno dei più alti incassi nella storia di Hollywood e ben cinque Oscar: scenografia, musica, montaggio, costumi, effetti visivi più un Oscar speciale per gli effetti sonori (il primo in Dolby SVA–Stereo Variable Area su sei piste). È in realtà il quarto episodio di una saga che prevede nove film. Seguono L'impero colpisce ancora (Star Wars: Episode V - The Empire Strikes Back, di Irvin Kershner, USA 1980), Il ritorno dello Jedi (Star Wars: Episode VI – Return of the Jedi, di Richard Marquand, USA 1983), cioè il quinto e il sesto episodio in ordine cronologico. Poi è Lucas a girare ancora i seguiti: Star Wars. Episodio I: La minaccia fantasma (Star Wars: Episode I The Phantom Menace, di George Lucas, USA 1999), Star Wars. Episodio II: L'attacco dei cloni (Star Wars: Episode II – Attack of the Clones, di George Lucas, USA 2002), Star Wars. Episodio III: La Vendetta dei Sith (Star Wars: Episode III – Revenge of the Sith, di George Lucas, USA 2005). Guerre stellari viene ridistribuito nel 1997 in un'edizione speciale con contenuti extra. 98 negli anni settanta il tema preferito dei registi restano le proiezioni catastrofiche, oppure le utopie negative della fine dell’uomo sospese tra presente e futuro. E, negli agghiaccianti futuri che lo aspettano, il genere umano è sempre il peggior nemico di se stesso. La lotta eterna con le macchine che l’uomo ha costruito è la miglior dimostrazione dell'autolesionismo umano. Mentre Intel produce il 4004, il primo microprocessore della storia, e i calcolatori si apprestano a entrare nell'universo domestico, il cinema dà spazio ai loro colleghi, i robot che da pittoresche figure di contorno si candidano a protagonisti dei film di fantascienza. In questi anni, essi subiscono un processo di umanizzazione, che annuncia la comparsa di androidi e cyborg, ibridi tra macchina e uomo, ma non per questo, la relazione tra creatore e creatura sarà meno burrascosa. In 2001: Odissea nello spazio il computer di bordo HAL 9000 ha inaugurato un vero e proprio stile di resistenza attiva agli umani destinato a fare scuola. Il viaggio spaziale non viene abbandonato, ma riproposto e coltivato con molta cura dal grande schermo. In omaggio alla New Wave – e alla tradizione inaugurata con Il pianeta proibito – la macchina da presa racconta due tipi di spedizione: verso i confini estremi dell'universo noto e verso l'inconscio dell'essere umano, un'interiorità che può rivelarsi tanto sconosciuta e ostica quanto un pianeta inospitale. Ovviamente, un percorso non esclude l'altro. Si può anche cambiare galassia per poi scoprire che i problemi che ci portiamo dietro – i mostri dell'id, i fantasmi della coscienza – sono sempre gli stessi. Il cinema degli anni settanta insegna proprio questo: nessun posto è come casa propria (no place like home). Ovvero: nessun luogo è così oscuro e perverso come la propria mente, così impenetrabile e allo stesso tempo capace di produrre nefandezze. Verso la fine del decennio, in effetti, questa idea già inquietante conosce uno sviluppo ulteriore: l'alieno più terribile si annida dentro di noi. Può covare nella pancia dei terrestri e trovarcisi bene. È vero, ci sono anche gli extraterrestri miti e amichevoli, quelli del grande mago dell'intrattenimento, Steven Spielberg. Ma Alien, il capolavoro di Ridley Scott, lascia negli spettatori la sensazione che i contatti UFO e i rapimenti alieni siano solo favole per ragazzi: mentre l'ospite che abita l'astronave di Sigourney Weaver è indubitabilmente qualcosa di serio, per soli adulti, e non solo perché non indossa vestiti. È l'alieno di nuova generazione. Dopo di lui nessuno guarderà più un condotto di raffreddamento dell'aria nello stesso modo. 99 Prima e dopo la catastrofe. Nel cinema di fantascienza degli anni settanta il futuro e la catastrofe si sovrappongono e si confondono molto spesso. Il catastrofismo classico – l'evento terribile scongiurato – perde un po' di interesse. Anche un film ben confezionato come Andromeda (The Andromeda Strain), diretto nel 1971 da Robert Wise da un'idea del grande romanziere fanta-tecnologico Michael Crichton, diverte, stupisce, affascina talvolta, ma non stimola alla riflessione. L'epidemia arriva dallo spazio a bordo di un satellite artificiale, uccide un intero villaggio ma non resiste al pH dell'atmosfera: belle immagini e bella musica ma anche molto, moltissimo rumore per nulla. I registi sembrano un po' stufi di queste apocalissi annunciate. Sono piuttosto attirati a rappresentare un meccanismo semplice ma efficace: che cosa può succedere quando la civiltà viene azzerata, magari da un evento esterno? Nel 1970 il regista Cornel Wide dà inizio al filone con il film 2000: la fine dell'uomo (No Blade of Grass). Le risorse agricole del pianeta si esauriscono a causa di un virus delle piante. Le grandi città sono le più colpite: gli abitanti sfollano verso le campagne. Una famiglia londinese si mette on the road, e affronta la sua odissea in una società stravolta. Famosissimo e simile nei contenuti è un film del 1973 di Richard Fleischer: 2022: I sopravvissuti (Soylent Green). Una coppia di grandi attori – un ancor giovane Charlton Heston e un superlativo Edward G. Robinson al suo ultimo ruolo – interpretano il romanzo Make Room, Make Room! (1966) di Harry Harrison109. Nel 2022 sono ormai esaurite le risorse del pianeta, desertico e surriscaldato. New York ha 40 milioni di abitanti: i più dormono per le strade e si cibano di un plancton sintetico, il Soylent. Il poliziotto Thorn scopre da un rapporto oceanografico che il plancton non esiste più e tenta di capire che cosa stanno davvero mangiando gli esseri umani. L'intreccio è confuso, ma l'atmosfera apocalittica è splendida, anche grazie al ruolo commovente di Robinson: è l'uomo-libro Solomon Roth (Sol) che, dopo la morte di ogni tecnologia avanzata (manca la corrente!), 109 La sceneggiatura, di Stanley R. Greenberg, è ispirata a una ricerca del Massachusetts Institute of Technology, svolta per conto del Club di Roma e pubblicata nel Rapporto sui limiti dello sviluppo (The Limits to Growth, 1972). Essa dà ufficialmente inizio alla «questione ambientale» riferita all'intero pianeta. 100 fa ricerche a pagamento su libri e manoscritti tenendo viva la memoria del vecchio mondo. La fine è tetra e scontata e, senza dare spazio a una vera soluzione, suggerisce qualcosa che già sospettiamo: dopo aver davvero dato fondo alle risorse del pianeta, gli esseri umani si piaceranno a vicenda ancora di più. In fondo, sono pur sempre onnivori. Nel 1971 Boris Sagal gira un film considerato un grande classico dagli appassionati del genere. Il titolo italiano è – una volta tanto – bello e inquietante: 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man), ma la storia viene dal romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda110. Il film di Sagal è migliore degli altri due tratti da Matheson, anche grazie all'interpretazione superba di Charlton Heston nei panni del medico salvatore dell'umanità, Richard Neville. Neville è l'Omega man, l'ultimo essere davvero umano a Los Angeles (così crede) dopo un'apocalisse batteriologica che ha sterminato l'intero genere. La sua solitudine è fatta di rituali tragici: la partita a scacchi con il manichino, il vestito per il pranzo della domenica, la proiezione di Woodstock (che conosce a memoria, tra nostalgia e sarcasmo) in un cinema deserto. Oltre a lui, però, sopravvive la Famiglia: una specie di setta "genetica" di individui mutati, non più umani, che i veleni della guerra batteriologica hanno reso albini, fotofobici, psicotici e feroci. Il capo è Matthias (Anthony Zerbe), l'ex giornalista televisivo che aveva dato l'allarme batteriologico a masse ormai cadaveri. Asserragliato nel municipio cittadino, dal tramonto all'alba questo gruppo fuoriesce per distruggere i resti della civiltà tecnologica, anche quelli umani. Luce e buio, luce e buio: nelle tenebre, i vendicatori sono bianchi con gli occhiali scuri. Hanno qualche ragione a prendersela con chi ha ridotto la terra in quel modo: questo però rende le notti del nostro eroe solitario più complicate del dovuto. La speranza arriva da due direzioni diverse. Primo: ci sono altri umani che la malattia non ha completamente mutato. Poi, Neville ha sperimentato su se stesso un vaccino che pare arrestare la malattia, cioè la mutazione batteriologica. Peccato 110 I am legend è un romanzo del 1954. Dallo stesso soggetto è già stato tratto nel 1964 L'ultimo uomo della Terra (The Last Man on Earth, di Ubaldo Ragona, Sidney Salkow, USA, Italia 1964), una produzione italoamericana alla cui sceneggiatura partecipa lo stesso Matheson: un film non ignobile, con un Vincent Price, un po' caricaturale. Nel 2007 verrà girato invece il pessimo remake Io sono leggenda (I Am Legend, di Francis Lawrence, USA 2007). Il film è ambientato nel 1977, due anni dopo la guerra tra Cina e Russia che ha causato una catastrofe chimico-batteriologica. 101 che la Famiglia non ne voglia sapere di ritornare del tutto umana. Come darle torto? Il film è pittoresco ma lineare, asciutto, pieno di ritmo; mozza il respiro, ma per brevi tratti. Non si perde in fronzoli. Dà paura, dà speranza. Toglie il sonno. Il futuro immaginato. Nessun brivido, invece, per altri film, sia pure di tutto rispetto, come L'uomo che fuggì dal futuro (THX 1138) del regista di Guerre Stellari, George Lucas. Girato nello stesso anno di Occhi bianchi, il 1971, è una classica distopia (utopia negativa) iperpessimistica. Una società talmente allucinante da sembrare assolutamente improbabile; una spersonalizzazione totale degli individui, ridotti a numeri di matricola, addomesticati dalle droghe; un annientamento dei sentimenti, delle idee, delle pulsioni sessuali. Ogni devianza è punita in «olovisione», il controllo è totale: in questo clima paranoico, tutti si spiano, si sospettano e si tradiscono. È una ricetta monumentale nella sua ossessiva perfezione, a cui mancano misura e ironia. Non basta il bravissimo Robert Duvall (TX 1138) – che ovviamente fugge da quel futuro dopo aver concepito un bambino illecitamente – a dare allo spettatore almeno un appiglio per immedesimarsi nella storia. Non è un caso che due anni dopo Woody Allen ne faccia un'azzeccata parodia del film Il dormiglione (Sleeper, 1973)111. Miles Monroe, ristoratore e clarinettista ibernato per errore, si sveglia nel 2173, in una società analoga a quella di Lucas, dove il dittatore, di cui è rimasto solo il naso, cerca di sopprimere la scarsa resistenza e quindi il nostro eroe. È una pellicola buffa, con una splendida Diane Keaton nel ruolo della poetessa Luna e Allen che, nel ruolo di Miles, è costretto a interpretare un robot-servitore con un rovesciamento comico in cui l'uomo si sostituisce alla macchina). Alla comicità di Woody Allen fa riscontro quella, del tutto involontaria, di un'altra pellicola: il film di John Boorman del 1974, Zardoz. Zardoz è il nome di un idolo112, una grande testa volante che controlla e minaccia il genere umano, per conto di una potente casta di immortali. Essi dominano gli uomini con l'aiuto di un manipolo di bruti in grotteschi mutandoni rossi, gli Sterminatori. Il capo-sterminatore, 111 Nel 2000 l'American Film Institute gli ha assegnato l'ottantesimo posto nella classifica delle migliori cento commedie americane di tutti i tempi. 112 L'idea generale deriva da L. Frank Baum, autore del romanzo Il meraviglioso mago di Oz (1901). La parola «Zardoz» significa «(The Wi)zard (of )Oz». 102 Zed – un terribile Sean Connery in trecce, baffi a manubrio e slip color rubino – si ribella e riporta la conoscenza della mortalità agli immortali – annoiati della loro condizione – e la dignità ai propri simili. Divenuto un cult soprattutto tra gli amanti del kitsch, il film ha pretese filosofiche e sociologiche che non riesce a soddisfare. In effetti, il budget molto basso non giustifica la volgarità della sceneggiatura, gli effetti psichedelici di quart'ordine, la trama confusa, la recitazione esasperata. La verità è che, pur trattandosi di un vero incubo, la società prospettata dall'avventuroso John Boorman è meno brutta del film stesso. Se Zed non è credibile nella parte di salvatore del mondo, il genere distopico può però vantare due ribelli di ben altra serietà. Il primo è l'eroe di un film del 1975, carico di tensione: Rollerball, di Norman Jewison113. Jonathan E. è un campione veterano di rollerball, uno sport praticato nell'anno 2018, quando sul pianeta sono scomparse le nazioni, e con esse la povertà, le guerre e il crimine; a governare e a controllare tutto sono le Corporazioni dirette da Dirigenti onnipotenti. Ogni difformità è repressa. Il rollerball è l'unico sfogo concesso alle masse: prevede due squadre di pattinatori e motociclisti che all'interno di una pista circolare devono infilare una sfera di acciaio in una buca magnetica. È un massacro, una semina di cadaveri; in realtà tutti gli uomini, non solo i giocatori, sono carne da macello per le Corporazioni. Il sistema prevale fatalmente sull'individuo, gli organizza la vita secondo i propri capricci, senza reali ragioni: Jonathan non ci sta, si ribella al suo ritiro e, dopo aver cercato risposte che non trova, scende comunque in pista a giocare la partita finale. Il secondo eroe, reso celebre da una serie televisiva omonima negli anni 1977-78 è il protagonista di un film del 1976: La fuga di Logan (Logan's Run, di Michael Anderson)114. Nel 2274 i sopravvissuti a una guerra nucleare vivono sotto una cupola «bioecologicamente» bilanciata una vita negli agi e nei divertimenti, controllata e automatizzata da un computer. In realtà tutti gli abitanti sono cloni che vengono eliminati a trent'anni di età per far posto ai successori. 113 Nel 2002 viene girato un remake molto più deludente, diretto da John McTiernan. Nel 1976 ottiene per i Saturn Award il premio come miglior film di fantascienza; migliore fotografia a Ernest Laszlo; migliore scenografia a Dale Hennesy e Robert De Vestel; migliori costumi a Bill Thomas e miglior trucco a William Tuttle. Nel 1977 guadagna l'Oscar per i migliori effetti speciali (Oscar Speciale) a L.B. Abbott, Glen Robinson e Matthew Yuricic. 114 103 Anche qui c'è uno spettacolo di grande successo, il Carousel, dove la morte in diretta viene spacciata per rinascita e rigenerazione. Logan 5 (il quinto clone dell'originale Logan) ha il curriculum standard di tutti gli eroi che combattono contro società future aberranti: è un custode, una guardia del conformismo, che vive in seno al sistema ma che finisce col dubitare e combattere. E fugge: fuori dalla cupola, guarda caso, il mondo inizia a rigenerarsi. Bisogna ammetterlo, però: reduci da futuri invivibili, con la fatica che fanno, i protagonisti dei film di fantascienza si meritano pienamente il lieto fine. Outer space-inner space? In un celebre articolo dal titolo Which way to innerspace? (Qual è la strada per lo spazio interiore?) pubblicato nel 1962 su New Worlds, James G. Ballard inventa il termine «innerspace» (letteralmente spazio interno): «I maggiori progressi dell'immediato futuro avranno luogo non sulla Luna o su Marte, ma sulla Terra; è lo spazio interiore, non quello esterno, che dobbiamo esplorare. L'unico pianeta veramente alieno è la Terra». Se negli anni sessanta la fantascienza cinematografica è certamente troppo acerba per recepire il suo appello, nei settanta, quando il genere esplode e conquista il grande pubblico, la lezione di Ballard viene accolta solo a metà. I registi sono riluttanti ad abbandonare gli argomenti cari alla fantascienza classica: il viaggio, in fondo, è uno dei temi che ancora suscitano l'attenzione del pubblico. Il grande schermo si accorge che con rivoluzione tecnologica è mutata la concezione dello spazio. La terra è rimpicciolita: il Boeing 747 dà inizio ai voli commerciali, il mitico Concorde entra in servizio con tutte le ambizioni di un mezzo avveniristico, sebbene di extra-lusso. Il cosmo è più vicino: nasce l'Enterprise, il primo prototipo di space shuttle, e vengono lanciate ai confini del nostro sistema solare due delle prime sonde spaziali, Voyager 1 e Voyager 2. Molto denaro viene ancora investito in questo settore, anche se il mito della conquista spaziale si è almeno in parte dissolto dopo l'allunaggio. Ma il viaggio nei primi anni settanta viene celebrato da un film che con l'avventura spaziale ha poco a che fare, mentre riporta in auge, come avveniva nel Pianeta proibito, i mostri dell'id. La pellicola, del 1972, è opera del grande regista russo Andrei Tarkovskij: Solaris 104 (Солярис, Soljaris)115. Il titolo viene dal nome di un pianeta il cui l'oceano pensa e accoglie i suoi visitatori terrestri – gli astronauti di una stazione orbitante – rendendo reali i fantasmi della loro coscienza: ricordi, desideri e rimpianti. Nel caso del sociopsicologo Kris Kelvin, giunto lì per "dismettere" la colonia, si tratta della moglie Hari morta suicida. Gli "ospiti" minano la salute mentale dei terrestri e rischiano di sterminarli; spariscono all'improvviso quando, grazie a Kelvin, si stabilisce un contatto positivo con il troppo creativo oceano di Solaris. Il nostro eroe, tuttavia, non rinuncia al benessere che la finta moglie gli ha restituito: si consegna spontaneamente al mare, scegliendo di non tornare sulla terra e di vivere circondato dalle proiezioni del proprio inconscio (la dacia, la moglie, i genitori). Con il suo film Tarkovskij non riesce a ottenere il successo di pubblico sperato, né nel suo paese né oltre la cortina di ferro. Il film è formalmente bellissimo – ogni sequenza di immagini è una poesia carica di simboli – la fotografia è perfetta, ma il ritmo è lentissimo e i contenuti filosoficamente troppo densi per un'opera di fantascienza. Il regista ci riproverà nel 1979 con Stalker (Сталкер). Tre cercatori (due intellettuali e uno stalker) percorrono una Zona aliena alla ricerca di una "stanza dei desideri", in cui all'ultimo non oseranno entrare. È un film che della fantascienza ha solo l'ambientazione e le suggestioni, ma che sembra piuttosto una lunga predica sull'esistenza confezionata in superlative immagini.116 Robot, androidi e cyborg. Il mondo dei robot (Westworld, di Michael Crichton, USA 1973)117 è un film scritto e diretto dal genio del futuribile e dei paradossi fantascientifici. Il tema è quello ormai classico della macchina che si 115 Il film è tratto dal romanzo del 1961 del polacco Stanisław Lem. Ha vinto il Gran Premio Speciale della Giuria al 25º Festival di Cannes. Nel 2002 Steven Soderbergh ne gira un remake omonimo con George Clooney, piuttosto deludente. 116 Il suo esatto opposto è girato lo stesso anno in occidente: Il buco nero (The Black Hole, di Gary Nelson, USA 1979), prodotto da Walt Disney. La pellicola sfoggia attori celebri (Maximilian Schell, Anthony Perkins, Robert Forster, Ernest Borgnine) e grandiosi effetti speciali: per il resto, manca un contenuto che vada oltre uno scienziato pazzo di altri tempi e un'astronave ostaggio. 117 Il mondo dei robot è noto come il primo film con effetti speciali realizzati (anche) con grafica computerizzata. Si ritiene che sia stato il primo a parlare di virus in relazione a dei computer in rete. Il film ebbe un seguito tre anni dopo, Futureworld2000 anni nel futuro (Futureworld, di Richard T. Heffron, USA 1976). 105 ribella all'uomo, ma collocato in uno scenario decisamente originale. Come avverrà per Jurassic Park, anche qui Chrichton mette in scena creazioni umane credute perfette – in questo caso, androidi supersensibili – che sono minacciati da effetti collaterali imprevisti (un virus informatico). I robot, soprattutto un terribile Yul Brynner nella parte del Pistolero118, mettono a ferro e fuoco un parco divertimenti che ricrea perfettamente tre mondi perduti: l'antica Roma, il Medioevo, il Far West. Il film diventa un cult, anche per l'eredità che lascia a un'altra celeberrima pellicola, Terminator: l'idea delle macchine che progettano altre macchine contro l'uomo – uno scherzo amaro del progresso tecnologico – e sequenze come l'inseguimento finale in "soggettiva" del robot-Pistolero che si distrugge progressivamente rivelando il meccanismo interno. Nel 1974 viene girato dal regista Michael Hodges il film L’uomo terminale (The Terminal Man), la cui sceneggiatura è tratta da un altro romanzo di Michael Crichton. Qui Harry Benson, un uomo che soffre di epilessia psicomotoria, amnesie momentanee e sporadici attacchi di violenza, viene scelto da un team di scienziati e medici per un esperimento che si rivelerà a dir poco fallimentare: l'impianto di un computer per controllare e moderare le crisi epilettiche. In realtà il terminale prenderà il sopravvento trasformando un personaggio già problematico in uno psicopatico assassino e maniaco sessuale. Più divertente, senza dubbio, è il film Dark Star (1974), il primo lungometraggio del grande John Carpenter, il cui approccio all'intelligenza artificiale si rivela ironico e dissacrante. In uno sconosciuto sistema solare, i membri dell'astronave Dark Star devono far piazza pulita di stelle e pianeti instabili. Per la verità gli instabili sono loro: schizofrenici, ossessivi ed esaltati, hanno conversazioni e passatempi del tutto surreali, anche per dei viaggiatori spaziali. Il loro problema è la bomba 20, innescata e riportata a bordo già molte volte: ora si è stufata e vuole proprio esplodere, ma non può essere sganciata o fatta brillare all'esterno. L'equipaggio si esibisce in tentativi di raffinata retorica persuasiva, ma la bomba ribatte con la caparbietà di un mulo (o di HAL 9000) secondo il noto motto del filosofo Cartesio: «Penso, dunque sono». L'ordigno sa di essere una macchina pensante, dunque, e rivendica la possibilità di autodeterminarsi e di esplodere in piena coscienza. In questa buffa 118 Brynner indossa nel film gli abiti di scena da lui stesso usati nel 1960 per I magnifici sette(The Magnificent Seven, di John Sturges, USA 1960). 106 prova d'autore, Carpenter rivela il suo talento e dà ufficialmente inizio alla primavera dei diritti delle macchine. I nuovi alieni. Come i robot, anche gli alieni degli anni settanta reclamano una qualche forma di riconoscimento. Nel 1976 la rockstar androgina David Bowie interpreta in maniera impeccabile un film altrimenti insipido e deludente, L'uomo che cadde sulla Terra (The Man Who Fell to Earth, di Nicolas Roeg, Gran Bretagna 1976), in cui è però ormai chiara l'immedesimazione del regista-narratore con l'alieno. L'extraterrestre Bowie mira a tornare sul proprio pianeta, devastato dalle guerre nucleari, con un astronave costruita da un suo impiegato, Nathan Bryce. Non è tipo da scatenare odio xenofobo: è un biondo gentiluomo che, con il nome di Thomas Jerome Newton e nove brevetti in tasca, si è arricchito con la tecnologia aliena. Sarebbe irreprensibile, se non fosse un alieno alcolista: ma questo vizio non fa che denunciare la sua solitudine e una tenera nostalgia per la terra d'origine. Peccato: per gli esseri troppo sensibili, da qualunque posto provengano, non c'è lieto fine. CIA e FBI lo catturano e lo seviziano, secondo umanissime consuetudini. L'unica consolazione è che il romanzo omonimo – scritto nel 1963 da Walter Tevis – è molto più triste. Gioioso e pieno di speranza è invece il film del 1977 di Steven Spielberg: Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the Third Kind)119. È una specie di premessa a E.T., ma per adulti. Dopo due contatti e parecchi rapimenti misteriosi, nel Wyoming si aspettano gli UFO. Ed essi arrivano, per una volta con ottime intenzioni, sconvolgendo le vite di un padre di famiglia (Richard Dreyfuss), di una madre di cui rapiscono il bimbo (ma vogliono solo farlo giocare!) e di uno scienziato francese (François Truffaut). Con la fotografia di Vilmos Zsigmond (unico premio Oscar su quattro candidature), gli effetti speciali di Douglas Trumbull, gli automi di Carlo Rambaldi e il set più grande del mondo (una vecchia 119 Il titolo è preso da un'espressione dell'astrofisico e ricercatore ufologico Josef Allen Hynek, che nel 1972 ha definito «incontro ravvicinato del terzo tipo» come un'osservazione di «esseri animati» in associazione con un avvistamento di UFO. Il film è vincitore di due premi Oscar (fotografia e effetti sonori) e un David di Donatello (miglior film straniero). 107 rimessa per dirigibili), la pellicola risulta un capolavoro di pulizia visiva, perfezione scenografica, tensione drammatica. Non è stato saggio, tuttavia, fare l'abitudine a extraterrestri ragionevoli. Nel 1979 il regista Ridley Scott gira il suo primo capolavoro di fantascienza120: nasce così Alien, il più brutto e il più cattivo della storia dell'universo. In un satellite, dal quale è stata chiamata in soccorso l'astronave Nostromo con il suo equipaggio, tre sfortunati astronauti trovano una mostruosa belva "Regina" con le sue uova, che stanno schiudendo. Di ritorno sulla Nostromo, uno di loro, Kane, viene attaccato da un piccolo della nidiata: è un facehugger, una specie di seppia-gamberone grigiastro che aderisce alla faccia dell'involontario ospite per introdurgli, mentre il poveretto è in coma, un altro uovo in bocca. Kane cova per conto del parassita, senza saperlo. Quando il ciclo riproduttivo è concluso, l'ovetto si schiude a sua volta e il neonato fuoriesce dalla pancia del contenitore umano, mentre questo sta pranzando tranquillo in sala mensa. In poche ore, braccato con pessimi risultati dall'equipaggio per tutta l'astronave, il cuccioletto muta in un mostro zannuto, alto più di due metri, che non mostra nessuna gratitudine per il passaggio intergalattico che sta prendendo dai terrestri. Mentre tutti lo inseguono con lanciafiamme e fucili Taser (immobilizzatori), Alien trascina e uccide nei condotti di raffreddamento il comandante Dallas e il tecnico Brett. Il mostro ha un alleato insperato: l'ufficiale scientifico cyborg Ash, che tutti credono umano, e che ha ricevuto ordini dalla «Compagnia» per cui lavorano perché lo porti vivo sulla terra, dove potrebbe essere usato come arma biologica. Ai piani di Ash e dei suoi padroni si ribella Ellen Ripley, l'ufficiale in seconda: una Sigourney Weaver, androgina e potente, il cui sguardo castano – vigile, ma perplesso e seccato – ha fatto storia nel cinema di 120 Il film ha dato origine a film e anche a fumetti che hanno come protagonista la specie aliena parassita, identificata come «xenomorfa» ("di forma estranea"). Alien è il primo film della serie. Ha avuto tre sequel, con Sigourney Weaver come protagonista: Aliens - Scontro finale (Aliens, di James Cameron, USA 1986), Alien3 (di David Fincher, USA 1992) e Alien: la clonazione (Alien Resurrection, di Jean-Pierre Jeunet, USA 1997). Sono stati girati anche due prequel-spin off, Alien vs. Predator (di Paul W. S. Anderson, USA 2004) e Alien vs. Predator 2 (Alien vs. Predator: Requiem, di Colin Strause e Greg Strause, USA 2007), ambientati centinaia di anni prima rispetto al primo film, che si incrociano con un'altra serie cinematografica, Predators, che racconta di altri feroci alieni predatori. Nel 2012 è uscito Prometheus (di Ridley Scott, USA 2012), un prequel/spin-off collegato con l'universo di Alien e Predator, ma dove non compaiono le rispettive creature. 108 fantascienza. Ripley non riesce a salvare gli ultimi compagni di sventura, Parker e Lambert, che vengono smembrati dal predatore extraterrestre: perlomeno, però, dopo aver espulso il mostro dalla navetta di salvataggio, torna a casa col gatto Jones. Alien rivela in ogni dettaglio differenze abissali con i film precedenti. Le ambientazioni gotiche, di color grigio scuro, contrastano con il "bianco NASA" di tutte le altre missioni spaziali. L'architettura della nave è innovativa: non un insieme di forme geometriche regolari, come le altre astronavi, ma un unico, labirintico corridoio, dove qualunque cosa può strisciare e infrattarsi nell'ombra. I disegni allucinati dello svizzero H. R. Giger (il pianeta, il relitto alieno, i mostri) mescolano la materia inorganica e quella viva: questa «architettura biomeccanica» progetterà in futuro per il cinema molti altri fantascientifici bestioni, molte altre scenografie, satelliti, shuttle, condotti di raffreddamento. E poi c'è lei, Ripley, un'eroina atipica anche per la fantascienza. È l'esatto contrario di una caricatura femminile. È asciutta, nervosa, tenacissima, di poche parole. Non è materna: è leale con i compagni. È bella, ma non esplicitamente sexy. Non è moglie o fidanzata di un eroe, non è una femme fatale (se non, alla fine, per Alien). Ed è protagonista indiscussa. Con questo, Ripley distrugge tutti i cliché della donna nella fantascienza. Alla fine del decennio, la giovane ufficiale terrestre e il suo impegnativo cucciolo di alieno sono i veri testimoni del cambiamento del cinema. 109 Orione distanza dalla Terra: 1.270 anni luce 111 Incubi, visioni, paradossi (1980-1989) «Gli insetti non hanno diplomazia, sono molto brutali, non hanno comprensione, non hanno compromessi: non c'è da fidarsi degli insetti. Io, invece, avrei voluto diventare il primo insetto politico. Io... sto dicendo che sono un insetto che aveva sognato di essere un uomo e gli era piaciuto. Ma adesso il sogno è finito, e l'insetto è sveglio». (Seth Brundle in La mosca, di David Cronenberg, 1986) I quadri generali. «Congratulazioni Starfighter! Sei stato reclutato dalla Lega Stellare per difendere la frontiera contro Xur e l'armata di Ko-dan!». Così Alex viene salutato dal suo videogioco «sparatutto» preferito, un simulatore di guerra aerospaziale alle navi aliene. Alex è un giovane sognatore della provincia americana che nella vita non ha quasi nulla, tantomeno le belle speranze. Non sa però che il suo passatempo elettronico è in realtà un simulatore, appositamente ideato per selezionare piloti. Grazie alla sua abilità, il ragazzo viene reclutato come Starfighter nella squadra Gunstar, per la difesa dei confini della galassia e della Lega Stellare. Ovviamente, come recita il titolo originale del film121, resterà l'ultimo nell'intera Via Lattea a respingere Xur122. È la quintessenza del sogno americano, che negli anni ottanta travolge anche la fantascienza. Tutto è possibile, in teoria: anche per quelli che sembrano davvero esclusi dai giochi e che reclamano la loro chance. Per dare una svolta alla propria esistenza, là fuori ci sono interi sistemi solari. Al cinema tutto sembra parlare delle occasioni (perdute o colte al volo) che la vita offre ai giovanotti di buona volontà: perfino i 121 Giochi stellari (The Last Starfighter, di Nick Castle, USA 1984)) è un film di fantascienza passato alla storia del cinema come uno dei primi film a utilizzare interamente la grafica computerizzata (CGI) per gli effetti speciali. 122 Xur è citato in Toy Story (di John Lasseter, USA 1995), celebre film di animazione della Pixar, come il crudele imperatore Zurg, super-cattivo dallo spazio profondo. 113 paradossi temporali, un po' trascurati dalla fantascienza precedente123, raccontano questa storia. Nel 1985 esce nelle sale un film che, come il suo protagonista Michael J. Fox, avrà molta fortuna. È Ritorno al futuro (Back to the Future, di Robert Zemeckis)124, in cui Marty MacFly, il solito intraprendente ragazzo di provincia, si ritrova a bordo di un'improbabile macchina del tempo. Quest’ultima è un'automobile, «truccata» per l’occasione dall'amico "Doc" Emmett L. Brown, moderna e rassicurante caricatura dello scienziato pazzo. Il viaggio temporale porta il giovane Marty nella sua stessa cittadina, ma all'epoca in cui i genitori erano suoi coetanei. Si tratta per lui di forzare il corso del tempo, di cambiare le sorti di due perdenti, di trasformarli in individui di successo, padroni del proprio destino e di un'impresa di famiglia. Solo così il ragazzo potrà smettere di vergognarsi per la miseria spirituale e culturale in cui vivono i suoi. Insomma: il sogno americano ha bisogno di qualche spinta tecnologica. Per il resto, largo agli eroi del domani: come Michael J. Fox, che in poco tempo passa dal ruolo di Marty a icona di una nuova generazione: amichevole, ma tenace e determinata. Tenacia e determinazione, sì: ma anche controllo e disciplina. Sono gli ingredienti del successo, che stanno cambiando insieme con i valori della società. Sembra incredibile, ma nell'anno 1980 gli anni settanta, con il loro slancio libertario e insofferente delle regole, sono già alle spalle. Ne risentono perfino le battaglie spaziali: il seguito di Star Wars, l'Impero colpisce ancora125, è ancora un film gioioso e 123 Fino agli anni ottanta, i film più famosi giocati sui paradossi temporali sono dedicati alla letteratura di Wells. Sono L'uomo che visse nel futuro (The Time Machine, di George Pal, USA, Gran Bretagna 1960) e L'uomo venuto dall'impossibile (Time After Time, di Nicholas Meyer, USA 1979), in cui Meyer, che è scrittore, sceneggiatore e anche regista, mette in scena Herbert G. Wells contro Jack lo Squartatore. 124 La pellicola è interpretata da Michael J. Fox (Marty) e Christopher Lloyd (Doc). Primo episodio di una trilogia, diventa in poco tempo un'icona del cinema degli anni ottanta per adulti e bambini e ottiene l'Oscar al miglior montaggio sonoro. Gioca sui paradossi temporali anche il primo episodio (Time out di John Landis) di un film del 1983: Ai confini della realtà (Twilight Zone, con un prologo e quattro episodi diretti da John Landis, Steven Spielberg, Joe Dante George Miller), tratto da una famosa serie tv omonima che a sua volta si ispirava alla fantascienza classica dei grandi autori. 125 Il film è girato da Irvin Kershner con un budget relativamente basso, $18.000.000, ma ricava incassi per $538.400.000, senza però superare il primo episodio della saga. 114 spettacolare, ma più maturo e riflessivo. La Forza (una sorta di zen per altre galassie, una mistica energia che guida le genti) diventa il requisito per combattere il male. Solo grazie a un lungo training – sotto la guida del piccolo, rugoso, orecchiuto Yoda – Luke può finalmente affrontare Dart Fener (il Lato Oscuro della Forza). Non c’è dubbio: in questo secondo episodio, il nostro golden boy si è fatto davvero un ometto. Questo è però solo il volto umano (e umanoide) del mutamento in atto dentro e fuori dei cinema. Veloci, aggressivi, individualisti: i terrestri degli anni ottanta amano anche presentarsi così. Con la cosiddetta «rivoluzione reaganiana», l'America reagisce al declino geopolitico statunitense; per l'Occidente questo significa una corsa al riarmo. Intanto una forte instabilità economica, accentuata dai capricci del mercato azionario, produce nuovi ricchi e nuovi poveri. La Borsa acquista in breve tempo più potenza di un imperatore intergalattico, più del Lato Oscuro della Forza: spregiudicata, spietata e affamata di proseliti, diventa protagonista di molti film che, ancora una volta, esaltano le capacità individuali di abbattere le frontiere economiche e sociali. Nel 1988 anche Sigourney Weaver, la Ripley di Alien, svestirà la tuta spaziale per indossare il tailleur classico, deporrà il Taser per la ventiquattrore griffata per recitare un ruolo ben più pauroso: Katherine Parker, lo squalo della finanza di Una donna in carriera126. Eppure, alcuni guardano ai cambiamenti culturali con vera preoccupazione. 1997: Fuga da New York, (Escape from New York, di John Carpenter, USA 1981) è un film che già immagina la prospera, esclusiva Manhattan consegnata ai criminali e l'avvento di un nuovo Medioevo sociale127. Le città e le società violente sembrano l'ovvio futuro dell'Occidente. Ottiene nel 1981 due premi Oscar (miglior sonoro e migliori effetti speciali), altre due nomination (migliore scenografia e miglior colonna sonora a John Williams). 126 Una donna in carriera (Working Girl, di Mike Nichols, USA 1988) è una commedia vincitrice di molti Golden Globe e di un Oscar per la migliore canzone; ottiene cinque nomination agli Oscar come miglior film, miglior attrice protagonista a Melanie Griffith e migliori attrici non protagoniste per Sigourney Weaver e Joan Cusack. 127 Gli attori sono Kurt Russell, Lee Van Cleef (il commissario Hauk), Ernest Borgnine (il tassista), Donald Pleasence (il presidente), Isaac Hayes (il Duca) e Harry Dean Stanton. Russel crea una vera icona del cinema di fantascienza con il personaggio di "Snake" Plissken, così detto dai suoi serpenti (snake) tatuati, che in italiano diventa "Jena" Plissken. 115 Sul piano internazionale, invece, l’antagonismo (tra le grandi potenze) conosce due fasi distinte. Nella prima metà del decennio il conflitto ha una violenta recrudescenza grazie alla convergenza di una serie di fattori politico-economici. L'avvento dei neoconservatori, l'elezione di Ronald Reagan, la guerra in Afghanistan e una forte recessione economica interna spingono l'America a una nuova corsa agli armamenti. L'incremento delle spese militari è vertiginoso: 1.600 miliardi di dollari in cinque anni. Le relazioni USA-URSS si deteriorano, fino a raggiungere livelli degli anni sessanta: per Reagan la Russia diventa «l'impero del male». Nella seconda metà, il conflitto si smorza: i rapporti con l'Unione Sovietica si distendono improvvisamente, grazie soprattutto alla recessione economica che la affligge e all'ascesa del presidente Michail Gorbačëv e della sua perestrojka ("ricostruzione"). Nel 1984, mentre ancora si attende una tregua, esce 2010: L'anno del contatto, un film diretto da Peter Hyams128, sequel di 2001: Odissea nello spazio129. La trama lascia intendere che qualcosa sta già cambiando: dopo essersi sfidati a scoprire per primi che cos'è davvero accaduto all'astronave Discovery, russi e americani mettono da parte le vecchie ruggini e cooperano per fuggire da Giove, pianeta-trappola. Certo, gli americani sono più astuti, ma là nello spazio profondo questo si rivela un dettaglio di poco conto. Due film descrivono ancora la realtà sovietica così come è stata a lungo percepita dall'Occidente. 1984 di Michael Radford esce proprio nell'anno 1984 ed è inglese, come il libro omonimo130. È un film impegnativo, in cui recita anche il grande Richard Burton, che compare sullo schermo per l'ultima volta. Come nel romanzo di Orwell, il socialismo reale (qui è l'ingsoc, il socialismo inglese) stronca 128 È tratto dal romanzo 2010: Odissea due, un sequel scritto dallo stesso Arthur C. Clarke, nel 1983, ma con un occhio al film di Kubrick. Nel 1981 esce il western fantascientifico Atmosfera zero (Outland, di Peter Hyams, USA 1981), con Sean Connery (lo sceriffo) e Peter Boyle ("il bandito"). 129 Rispetto al film diretto da Stanley Kubrick nel 1968 ci sono discrepanze, semplificazioni e molti tentativi di spiegazione, con in più la rivalità fra le due superpotenze. 130 Sonia Brownell, vedova di Orwell e titolare dei diritti del libro, acconsente alla riduzione cinematografica del romanzo poco prima di morire (nel 1980) ma esige che non si faccia uso dei moderni effetti speciali fantascientifici. Michael Radford e Roger Deakins vogliono un film in bianco e nero. La produzione si oppone. Viene però adottato un procedimento detto Bleach bypass per rendere un maggior contrasto (con effetto di straniamento) nei filmati di propaganda ingsoc. 116 ogni tentativo di non conformarsi. Sovversivo è anche l'amore fra i due protagonisti Winston e Julia, che alla fine vengono «ricondizionati», cioè ricondotti all'obbedienza della dottrina del Grande Fratello. È un film impeccabilmente fuori tempo, che suona come un omaggio retrospettivo a un’epoca trascorsa, a un lontano «quando eravamo nemici». È vero però che le nuove potenzialità dei media e della comunicazione di massa hanno accentuato l'ossessione del cinema per il controllo delle coscienze e delle vite. Anche il personaggio principale del film Brazil di Terry Gilliam (1985) è un ingenuo che vive in un mondo futuribile, questa volta governato da un'onnipotente burocrazia e da prepotenti di misteriosa provenienza politica. Sam Lowry, impiegato del Ministero dell'Informazione, ha anche lui la sua principessa ribelle al regime, Jill. I suoi sogni di libertà e riscatto individuale finiscono (più o meno) come quelli di Winston. Entrambe le vicende, in effetti, sono ansiogene e strazianti. La differenza sta solo nella mano del regista: compassata e noiosissima quella di Radford, surreale e comicissima quella del suo compatriota Gilliam 131. Il suo mondo di timbri, certificati, chirurgie plastiche e attentati è la versione volutamente demenziale del futuro che ci aspetta. Viene il sospetto che, nel volgere di pochi anni, il totalitarismo abbia smesso di far paura all’Occidente e abbia iniziato a farlo ridere. In effetti, pur nella ripresa dell’antagonismo tra le due superpotenze – che conosce un'impennata nel primo quinquennio – diventa più difficile immedesimarsi nella lotta buoni-contro-cattivi. Ci prova ancora un film del 1984, Dune (di David Lynch, USA 1984), un vero fallimento di pubblico e di critica, che si è però guadagnato un posto non ben precisato nella storia del cinema di fantascienza. È una storia soporifera e contortissima. Solo la mano lugubre e visionaria del celebre regista David Lynch la rende degna di nota, ma ancora più confusa del romanzo originale di Frank Herbert 132. Dune è il nome di 131 Terence Gilliam è l'unico americano (d'origine, ma naturalizzato britannico) del celebre gruppo comico inglese dei Monthy Python e autore dei cartoni che inframmezzavano il celebre spettacolo televisivo Monty Python's Flying Circus. Gilliam è diventato in seguito un regista. 132 Dune costa ben 44 milioni di dollari (quattro volte il budget del primo Star Wars) ma si rivela un flop. La sceneggiatura arricchisce il libro di Herbert di spiegazioni, ma in realtà non fa che confondere la trama. Lynch gira tre ore e mezzo di film ma i produttori ne lasciano solo due, nel tentativo un po' goffo di semplificare: il film è giudicato incomprensibile da critica e pubblico. 117 un pianeta desertico, produttore della spezia melange, una droga custodita da vermi giganti che annulla la dimensione spaziotemporale e permette di viaggiare in economia (di anni luce). Per impadronirsi del potere e della spezia le casate planetarie si combattono sotto un imperatore intergalattico. Buoni e cattivi sono distribuiti equamente in tutta la galassia: sono tutti molto noiosi. Dune è una brutta favola fantasy che però, nei suoi continui richiami a un Medioevo interplanetario, segna l’autunno di quel mondo reale che la fantascienza del dopoguerra aveva come interlocutore. Tuttavia, quando un accordo tra le due superpotenze sembra ormai raggiunto (a spese dell'URSS), il crollo del muro di Berlino sbilancia nuovamente gli assetti politici ed economici dell’intero pianeta. Non solo: nell'immaginario collettivo, la fine dell'Unione Sovietica rappresenta il venir meno della più grande utopia – positiva o negativa – mai realizzata nella storia del genere umano. Questo evento è destinato a segnare la letteratura e il cinema di fantascienza per molto tempo. Incuranti di questi fatti, la scienza e la tecnologia costruiscono utopie individuali. In Occidente il computer diventa un attrezzo domestico: molte persone comuni (oltre a tecnici e informatici) iniziano a servirsene per lavoro, al posto di una calcolatrice, di un archivio cartaceo o di una macchina da scrivere. Intanto, nelle università e nei laboratori, si stanno sviluppando le neuroscienze cognitive, che studiano il dualismo fra mente e cervello e le interazioni fra la mente umana e l'intelligenza artificiale. Anche tra i non specialistici si inizia a parlare di realtà virtuale. Non è solo l’idea, già cara alla fantascienza, di poter vivere in una realtà alternativa. È piuttosto la possibilità di entrare in un computer e agire, nella perfetta integrazione tra cervello umano e macchina, mentre il corpo è seduto su una poltrona e non patisce le conseguenze delle sue stesse azioni. Queste prospettive, ancora acerbe, si fanno però sempre più probabili. La fantascienza letteraria esordisce con un filone che avrà (anche se non subito) grande influenza sul cinema: il cyberpunk. I suoi due indiscussi campioni, William Gibson e Bruce Sterling, disegnano un futuro prossimo in cui l’uomo e la tecnologia interagiscono in modi prima di allora impensabili, dove esseri viventi e macchine si compenetrano grazie ai cosiddetti «innesti». La mutazione serve a resistere in una società anarcoide, in una metropoli forsennata, governata dall’alto da potentati feroci e percorsa, ai piani bassi, da antieroi spregiudicati. Dove il più adatto 118 non è chi sopravvive in natura, ma chi riesce a districarsi in una giungla cibernetica, tra ambienti molteplici, dentro e fuori dei computer. Il cyberpunk ha un illustre precursore, che muore proprio nel 1982 e che viene immediatamente celebrato come un maestro: è l'americano Philip Dick, autore visionario e psichedelico. Nei suoi romanzi è forse meno evidente l'ossessione per la componente tecno-informatica, ma ci sono molte tracce dell'arsenale letterario di Gibson e amici. In una lunga, tormentata carriera, Dick è riuscito a sviscerare quei problemi filosofici sulla società futura e sull'individuo che ora condizionano l'idea stessa di fantascienza. La letteratura cyberpunk, nella sua breve vita, li riscopre e li fa suoi: il cinema, con il consueto ritardo, inizia a prenderli in seria considerazione. Gli esordi della realtà virtuale. Nel 1984 William Gibson dà alle stampe un romanzo destinato a far scalpore: è Neuromante (Neuromancer), stupefacente apripista del genere cyberpunk. Il protagonista, Case, è un cowboy del cyberspazio: quello che normalmente si definisce un hacker, un pirata informatico, un violatore di banche dati. Ma il cyberspazio (detto anche Matrix, o Matrice) non è solo un archivio: è un'infinita megalopoli informatica, «una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano». È il primo luogo dove il sistema binario, l'anima del computer, può incarnare ossessioni, desideri e pulsioni di quella umana. La memoria contro il presente; il conscio contro l'inconscio; lo spazio concreto contro esistenze soggettive, prodotte dalla mente o dalle macchine: sono sfide nuove e insidiose, che il cinema, pian piano, è spinto ad accettare. Nel 1980 il grande regista britannico Ken Russel, gotico e visionario al suo solito, anticipa il cyberspazio nel suo Stati di allucinazione (Altered States)133. Il medico Eddie Jessup si infila in una vasca di deprivazione sensoriale (che serve ad annullare le 133 Stati di allucinazione (Altered States, di Ken Russell, USA 1980), con William Hurt (nel suo primo ruolo) scritto dal commediografo Paddy Chayefsky, è la biografia del ricercatore e psichiatra statunitense John Lilly. Riceve la nomination per l'Oscar alla migliore colonna sonora di John Corigliano. 119 sensazioni) e, non contento, si affida a qualche sciamanica sostanza allucinogena: l'esperimento dovrebbe permettergli di regredire a livello inconscio e di indagare nei meandri del proprio passato. Il mix vasca-droga è forte, anche troppo: il dottore ritorna addirittura australopiteco e poi finisce a bagno nel brodo primordiale, in prossimità del big bang. È una ricetta che riscuote un modesto interesse da parte di pubblico e critica. Più semplice, tra il noir e il film di spionaggio, è l'horror fantascientifico di David Cronenberg del 1981: Scanners. Gli scanners sono persone apparentemente normali, ma dotate di poteri telepatici sorprendenti, tanto che possono far scoppiare la testa al primo maleducato che incontrano senza nemmeno scomporsi. Celebre per le sue esplosive "fughe di cervelli", il film è in realtà cupo e angosciante, ma non spregevole: soprattutto, anticipa la rappresentazione di un universo costruito sulle enormi capacità della mente. L'anno successivo David Cronenberg si cimenta con un'opera, tra le sue più famose, dedicata ancora ai territori di confine. Qui va in scena la fusione tra uomo e macchina, la compenetrazione tra corpo, cervello e tecnologia. Il film è Videodrome (1983)134, dal nome di un canale televisivo pirata che trasmette atrocità e violenze di ogni tipo: spettacolo che attira il cinico produttore Max Renn, proprietario di una TV via cavo in cerca di nuove emozioni per il pubblico. Le troverà, suo malgrado, ma per sé. Videodrome è un canale che provoca tumori allucinogeni al cervello: è il prodotto di una congiura filo-governativa, con cui il sistema vuole sbarazzarsi degli individui "malati", dei pornografi e dei depravati. Max si ammala, ovviamente. Le sue allucinazioni si fanno via via più realistiche e sconvolgenti, fino a quando, per volontà dei produttori dell'emittente assassina, egli non si trasforma in un videoregistratore umano e poi in un cyborg con una mano-pistola in dotazione. Così mutato, viene usato senza pietà dai due principali antagonisti – il governo e la Chiesa catodica – come arma umana per eliminare il nemico. Difficile consolarsi con il fatto che i cattivi faranno una fine pessima. Anche Max – che tanto buono non è – non ne esce bene. Oltretutto, proprio nel finale Cronenberg valica abbondantemente il limite del disgusto che lo spettatore medio possa sopportare. Eppure, i buchi addominali e le esplosioni di intestini non sono nulla in confronto all'angoscia trasmessa dalle ambientazioni e dallo squallore dei personaggi. Non è un futuro 134 È una produzione canadese, che ha ricevuto il BIFFF 1984 per il miglior film di fantascienza e, lo stesso anno, il Genie Awards come miglior regista. 120 radioso, quello che il regista prospetta: fa quasi rimpiangere il tempo in cui le televisioni si limitavano a condizionare la psiche degli individui. Ben altro stile, spensierato e avventuroso, ha il film che costituisce il debutto della realtà virtuale creata dai software. È sempre il 1982; il regista è Steven Lisberger; il film è il disneyano Tron135. Kevin Flynn, giovane e geniale programmatore, è in lotta contro il cattivo Dillinger, che rubandogli dei videogiochi di sua creazione ha fatto carriera come direttore di una grande società informatica. Kevin intende violare la banca dati alla ricerca delle prove per mezzo di un alter ego informatico: una specie di primitivo avatar, che qui è detto «utility di sembianza codificata» (Coded Likeliness Utility, CLU). Ma il software guardiano MCP (oggi diremmo un firewall) deve proteggere il patrimonio di Dillinger. Reagisce però in modo imprevisto e anche creativo: digitalizza il giovane intruso con un laser sperimentale, lo trasforma in codice numerico e poi lo immette all'interno dei suoi circuiti integrati, un universo fatto di videogiochi, programmi e dati. Un ragazzo di carne diventa un personaggio elettronico. Se da fuori sembra uno scherzo, all'interno sopravvivere a un mondo spietato e insidioso come un videogame si rivela un'impresa non da poco. Per fortuna c'è una corrispondenza tra persone di carne e personaggi virtuali: Tron, l'alleato inaspettato che dà il nome al film, nella realtà è Alan, amico e complice di Kevin nell'impresa. Tron regala agli spettatori il primo scenario davvero virtuale dei tanti che saranno offerti, di qui in avanti, dal cinema di fantascienza. È un film divertente, fanciullesco, che mira a costruire un'avventura perfetta, pulita e ritmata. Ma è il primo a porre un problema che appassionerà i registi negli anni successivi: la relazione fra i due piani – vero e artificiale – della coscienza. Se qualcosa ci accade mentre siamo in un universo parallelo al nostro, che ne sarà della nostra identità principale? Il grande schermo impara in fretta una lezione sconcertante: il cyberspazio o le realtà alternative offrono altre 135 È un film prodotto dalla Disney, il primo a fare un uso massiccio della computer grafica (computer graphics, CG, inizialmente detta «grafica digitale»): viene considerato molto all'avanguardia per l'epoca. I protagonisti sono Jeff Bridges, Bruce Boxleitner, David Warner e Cindy Morgan. Riceve due candidature ai Premi Oscar 1983 (migliori costumi e miglior sonoro), ma non viene candidato per gli effetti speciali perché l'Academy considera come "scorretto" nei confronti degli altri film di animazione l'utilizzo della computer grafica. 121 possibilità di vivere e ricordare, modi diversi di combattere per interposta persona, ma non possono fare nulla contro la morte, la sofferenza, l'oblio. Mutazioni, metamorfosi e manipolazioni. È difficile dire se David Cronenberg rappresenti al meglio gli anni ottanta. Certo è che, nel corso del decennio, il cineasta americano si rivela prolifico come pochi altri. Al tempo stesso, si dimostra capace di scioccare il pubblico con idee nuovissime ( Videodrome), oppure riciclandone di vecchie, che sa "riattare" con effetti sconvolgenti. Il vecchio classico della mutazione – grande tema della fantascienza letteraria e cinematografica – diventa nelle sue mani un giocattolo tutto nuovo, un dispositivo inquietante e struggente al tempo stesso. La mosca (The Fly)136 esce nelle sale nel 1986 e consegna definitivamente alla notorietà il regista e il primo attore Jeff Goldblum (lo scienziato Seth Brundle), al fianco di una bravissima Geena Davies (Veronica Quaife). La vicenda è nota. È facile che qualcosa non vada per il verso giusto quando si inventa il teletrasporto. Un piccolo insetto, una mosca, s'infila nella capsula ideata da Seth; ancor più subdolamente si infila nella sua testa – geniale, ma contorta – la passione per la giornalista scientifica Veronica. Brundle è un portentoso scienziato, ma per tutto il tempo del film sembra più preoccupato del comportamento della sua nuova fiamma che della metamorfosi orripilante che sta provocando sul proprio corpo la fusione del DNA della mosca con quello umano. Un ex fidanzato provvidenziale, Stathis Borans, salva Veronica da una fine analoga a quella della mosca («Brundlemosca», come ora ama definirsi Seth con un pizzico di vanità). L’insetto umano viene abbattuto – si direbbe per sua volontà – all'ultimo stadio di una trasformazione ancor più raccapricciante. Il film offre molti moniti all'angosciato spettatore: non sfidare la natura; se vuoi sfidare la natura, almeno non innamorarti; caccia via gli insetti non autorizzati dal tuo laboratorio; non frequentare scienziati eccentrici nei loro luoghi di lavoro. Soprattutto, non 136 La mosca (The Fly, di David Cronenberg, USA 1986), è un remake de L'esperimento del dottor K. (The Fly, di Kurt Neumann, USA 1958). Il film appartiene al filone del cosiddetto "body horror". Ha vinto l'Oscar al miglior trucco 1987, assegnato ai truccatori Chris Walas, poi regista del sequel La mosca 2 (The Fly II, di Chris Walas, USA 1989), e Stephan Dupuis. 122 chiedere alla tua innamorata di porre fine alle tue sofferenze: certamente lo farà. Aldilà delle varie morali che se ne possono trarre, e che forse non ci sono, La Mosca di Cronenberg ha il merito di avere riproposto al cinema le mutazioni e aver focalizzato l'attenzione sul rapporto tra mente e corpo, ma in una chiave ben diversa da quella della fantascienza classica. Nell'epoca del trionfo della chirurgia plastica, della robotica e delle identità alternative, l'essere umano non basta più a se stesso, sembra dirci Seth Brundle. Il corpo esplode, rompe gli argini alla ricerca di nuove forme: il cervello a volte lo segue, ma più spesso cerca (autonomamente) altre dimensioni. La metamorfosi della mosca è solo un incidente, ma prepara la strada ad altre, più consapevoli, più complete metamorfosi, che renderanno difficile distinguere un essere umano da altre creature. O da macchine che ragionano e sentono come creature. È l'ora dei replicanti. Robot, androidi, replicanti e cyborg. Ma gli androidi sognano pecore elettriche? È il titolo del più famoso romanzo di Philip Dick, che in Italia viene semplificato in Cacciatore di androidi137. Quando le macchine saranno simili in tutto e per tutto agli umani, quali desideri, quali speranze e quali diritti ci distingueranno da loro? Domanda legittima. Non è questo, tuttavia, che si chiede il Rick Deckard del libro, quel 3 gennaio del 1992 in cui tutto ha inizio, forse uno degli ultimi giorni della sua vita. Sopravvivere alle radiazioni in una San Francisco post-nucleare è una sfida per tutti gli esseri umani che ancora non sono partiti – con un servo androide elargito dal governo – per le colonie marziane. Deckard ha preoccupazioni più banali: una moglie depressa; un lavoro subordinato a un cinico cacciatore-capo, Phil Resch; il lutto per la morte (per tetano) della sua pecora vera. Deve assolutamente ordinarne un'altra, anche artificiale. In un mondo dove la vita è stata quasi completamente distrutta, un animale vero è un simbolo di status. Ma c'è di più. Solo l'amore e la cura per gli esseri viventi (o simili) dovrebbe distinguere gli umani. Essi sono infatti dotati della capacità di provare «empatia», un sentimento enfatizzato dai media e dalle religioni. Eppure il lavoro che Deckard accetta per poter comprare la pecora elettrica – "ritirare" un gruppo di androidi ribelli 137 Do Androids Dream of Electric Sheep?, è pubblicato in America nel 1968 e in Italia la prima volta nel 1971. 123 Nexus 6, cioè sopprimerli – è di per sé disumanizzante. Non c'è che dire: nel suo mondo, con poche eccezioni, uomini, donne e replicanti fanno a gara per dimostrarsi inumani, crudeli, non empatici. L'androide Rachel Rosen seduce Rick solo per neutralizzarlo, mentre lui se ne innamora. I Nexus 6 ingannano anche il povero J. R. Isidore, un ingenuo il cui grande cuore si spezza quando i suoi nuovi amici vengono "ritirati". È un gioco al ribasso: il cinismo paga, i sentimenti "umani" servono all'identità, non a sopravvivere. Fatti salvi piccoli dettagli, tra il racconto di Dick e Blade Runner – il film di Ridley Scott del 1982138 che ad esso si ispira – c'è di mezzo un mondo intero. Nemmeno il cosiddetto Director's cut (la prima versione, poi modificata dalla produzione per ragioni commerciali139) si avvicina di molto al romanzo. I personaggi, che qui si muovono nella Los Angeles del 2019, sono i protagonisti di un noir claustrofobico, che colpisce per la sua capacità di fare interagire l'azione e le portentose scenografie. Nel film lo spessore psicologico e filosofico è molto ridimensionato. Harrison Ford è un Deckard infinitamente più attraente, meno frustrato e meno profondo di quello dickiano: la sua capacità di provare «empatia» si esaurisce in una scrollata di spalle e qualche sguardo in tralice, di una sensualità un po' bovina. Rachel, un'eterea e geometrica Sean Young, è talmente finta da lasciare dubbi sulla sua natura umana. Tra l'altro, dopo questo ruolo, si è vista raramente: sarà stata ritirata? Non è difficile, però, credere alla loro storia d'amore; né al dramma umano del cacciatore; né all'incubo che avvolge la piovosa, fetida, appiccicosa San Francisco di Ridley Scott. Né, soprattutto, al dramma degli androidi e alla passione dello spietato Roy Batty, il più tormentato del gruppo di ribelli Nexus 6. Il dramma resta coinvolgente e verosimile. I robot pensano, sentono e soprattutto ricordano. Roy non sogna pecore elettriche, ma un posto nell'inferno quotidiano degli esseri umani. Questi, al contrario, mirano ad annullare in loro il sentimento. Al cinema o sulla carta, dunque, la domanda che angoscia Rick Deckard è la stessa. In un mondo disumanizzato, che ne sarà del genere umano quando assomiglierà troppo alle macchine che ha costruito? 138 Il titolo del film è tratto dal romanzo The Bladerunner (1974) di Alan E. Nourse. L'International cut (montaggio per il mercato) è del 1982 e dura un minuto in più del Director's cut (uscito solo nel 1992), che è lungo 116 min. 139 124 Nel 1982 l'uscita di Blade Runner suona come una premonizione sulla fine del genere fantascientifico: senza dubbio, con la loro fusione di parti organiche e inorganiche, di codici innestati e veri sentimenti, gli androidi annunciano la fine dell'umanità come la si conosce. Due anni dopo, nel 1984, lo testimonia il celebre film del regista James Cameron, creatore di costosi e spettacolari kolossal: è Terminator140, che arricchisce il gergo degli anni ottanta con la parola "terminare" (to terminate, cioè "uccidere"). Quella da terminare è Sarah Connor, una normalissima cameriera di Los Angeles, stufa di un'esistenza incolore. La cerca T-800, un implacabile e scrupoloso cyborg (Arnold Schwarzenegger all'acme della sua non eccelsa capacità espressiva) per impedirle di generare John Connor: colui che in un futuro prossimo, quando le macchine prenderanno il sopravvento sugli esseri umani che le hanno create, sarà il leader della resistenza umana. Sarah apprende tutto questo da un compagno di John, giunto dal futuro per salvarla dal terminator: il resto è fuga. Il cyborg non molla, li insegue dappertutto – stazioni di polizia, strade, motel – e con tutti i mezzi. Anche quando i due fanno saltare in aria l'autocisterna che il robot sta guidando; anche, quando, ormai è ridotto a uno scheletro metallico, T-800 li incalza tra macchinari inanimati, per poi finire schiacciato in una pressa idraulica. Gli anni ottanta inventano i finali che non finiscono mai: qui, però, il meccanismo funziona, perché allude all'accanimento che i cyborg da noi creati potrebbero impiegare per distruggerci. Nel 1987 esce un altro buon film di fantascienza; anche questo, come Terminator, non molto sofisticato, ma sorretto dall'intelligenza di sceneggiatori e regista. È Robocop: il futuro della legge (RoboCop, di Paul Verhoeven)141: la storia del poliziotto Alex J. Murphy, interpretato da Peter Weller. In una Detroit del futuro, squallida e selvaggia, dove le multinazionali hanno sostituito l'amministrazione pubblica, dalle membra di un poliziotto, ucciso in 140 Arnold Schwarzenegger ha recitato anche nei seguiti Terminator 2: Il giorno del giudizio (Terminator 2: Judgment Day, di James Cameron, USA 1991) e Terminator 3: Le macchine ribelli (Terminator 3: Rise of the Machines, di Jonathan Mostow, USA, Germania 2003). L'attore di origine austriaca, che è protagonista di Conan il barbaro, grazie a questo film diventa una star hollywoodiana. Il ruolo implica quella certa ironia che contrasta con la brutalità dei modi e dell'aspetto, e che sarà poi una caratteristica dell'attore. 141 Il film diventa famoso per gli effetti speciali di grandissimo impatto visivo (soprattutto, il mostro-robot ED 209) con la supervisione di Phil Tippett. Ha dato origine a due sequel, a un film d'animazione e a una serie TV. 125 servizio da una banda di criminali, sorge un nuovo tipo di cyborg. È corazzato, pieno di optional, praticamente indistruttibile e con una memoria (almeno in teoria) computerizzata. Tuttavia qualcosa va storto: presto ricompaiono ricordi e sentimenti del vecchio Alex, insieme con un istinto, nuovo ma comprensibile, da vendicatore. Il film è ironico a sufficienza per mascherare il suo atroce pessimismo in un'avventura poliziesca fatta di sparatorie, inseguimenti ed esplosioni. Oltretutto, RoboCop non è malvagio: malvagi sono quelli che l'hanno creato. Dal film si leva l’ennesima falsificazione alle prima delle tre leggi della robotica di Asimov. Nessun codice, nessun freno inibitore impedirà a cyborg, androidi, computer e semplici robot di sterminarci tutti al momento opportuno. Alieni da compagnia, alieni da combattimento. Sembra incredibile. In un'epoca in cui l'essere umano è messo a dura prova da identità alternative, stati di alterazione, mutazioni e innesti cibernetici, gli alieni hanno ancora molto da dire al pubblico. Sono la prova, qualche volta rassicurante, che l'umanità esiste, pur nei suoi incerti confini: solo una creatura non-umana può dimostrarlo. Non sempre, tuttavia, il confronto va a favore dell'uomo. Anzi. Gli anni ottanta sono l'epoca in cui gli alieni buoni si scatenano e si fa più dura la competizione con i terrestri su ragione e sentimenti. Questo è il periodo in cui Steven Spielberg decide di invadere ancora una volta la terra con il suo ottimismo. I suoi film, a distanza di anni, sono ancora delicati e rassicuranti. Anche perché, alla fine, gli umani non fanno una pessima figura: contro i persecutori-cacciatori di marziani c'è sempre qualche campione locale che tiene alta la bandiera dell’umanità. E.T. l'Extra-Terrestre (E.T. the Extra-Terrestrial) diventa subito un grande classico per ragazzi, che però inchioda allo schermo anche gli adulti con i suoi effetti speciali e con la storia di una piccola, emozionante amicizia interplanetaria142. Sintesi di tutte le immagini di alieno prodotte fino a questo momento, E.T. si rivela un colpo di genio del designer di pupazzi cinematografici Carlo Rambaldi. Finalmente un essere perfetto. Grandi occhi dolci e celesti come lo spazio, pelle color fango 142 Distribuito dalla Universal Pictures, E.T. (E.T. The Extra Terrestrial, di Steven Spielberg, USA 1982) si rivela un incredibile successo al botteghino, sorpassando Guerre stellari per gli incassi più alti nell'intera storia del cinema fino a quel momento. 126 e della apparente consistenza di un vecchio scarpone, dita lunghissime e collo telescopico, luci rossastre emanate dall'organismo, che all'occasione illuminano ventre e mani. È un prodotto costosissimo di meccanica e ingegneria, ma non molto diverso da quelle viscide interiora ambulanti che erano i marziani degli anni cinquanta. Eppure la bruttezza cosmica di E.T. fa innamorare l'intero pianeta terra, che corre al cinema a deliziarsi e a commuoversi. L'extraterrestre diventa il cucciolo galattico ideale, il migliore amico del piccolo, infelice Elliott, della sua scombinata famiglia e di tutti i bambini che hanno qualche serio problema con gli adulti e con la realtà. Secondo il suo regista, il film E.T. tiene alto il vessillo della tolleranza di ciò che è diverso. Può darsi. Ma soprattutto, per la prima volta nella storia anche esseri stranissimi come i bambini di questo mondo possono godere, senza censure e senza timori, di un vero film di fantascienza. Dopo la fantascienza per l'infanzia, arriva quella per la terza età: Cocoon, l'energia dell'universo (Cocoon, 1985) per la regia di Ron Howard143. Tratta dall'omonimo romanzo di David Saperstein, la vicenda racconta di un gruppo di anziani – Ben, Arthur e Joe – che vivono, senza grandi entusiasmi, in un pensionato della Florida. Malandati, depressi e angosciati dalla morte, grazie ai bagni clandestini in una piscina del vicinato riacquistano forza e salute. Il fattore rigenerante è in alcuni bozzoli che un gruppo di extraterrestri ha messo a bagno, per conservarli, sul fondo della piscina: essi contengono i loro amici, lasciati sulla terra molto tempo prima. Di fronte alla tentazione di sconfiggere la malattia, la vecchiaia e la morte, i nostri attempati terrestri seguono gli alieni sul loro pianeta: non lasciano molto sulla terra, se non un adorato nipotino. Ben recensito dalla critica, è una commedia tenera e indulgente sulle debolezze e sulle paure ataviche degli esseri umani, con qualche effetto (speciale) a sorpresa che stona con la delicatezza del plot. Abitanti di Atlantide o di Antarea, è certo che nessun alieno è più alieno sul nostro pianeta di un gruppo di anziani senza scopo apparente nella vita. O forse no. Forse è vero che chi vive ai margini della società è alieno per vocazione. È la tesi di un film girato sul finire del decennio, Alien 143 Il film consegue ben due premi Oscar nel 1986: miglior attore non protagonista a Don Ameche; migliori effetti speciali a Ken Ralston, Ralph McQuarrie, Scott Farrar e David Berry; nello stesso anno riceve il Golden Globe come miglior film commedia e l'anno precedente al Festival di Venezia Ron Howard riceve il premio Giovani. 127 Nation: nazione di alieni (Alien Nation, di Graham Baker, USA 1988)144, che si presenta in realtà come un poliziesco fantascientifico dal ritmo incalzante. Gli extraterrestri vengono accolti sulla terra, per poi essere segregati in quartieri-ghetto e indotti ad autodistruggersi nella dipendenza da una droga per loro letale. Dagli alieni amichevoli agli alieni alienati il passo è breve, e passa per il lato oscuro degli esseri umani, per la loro ostilità verso ciò che è straniero. Ma gli alieni malvagi, per fortuna, esistono ancora a ricordarci quanto siamo buoni. Anche crudi. Alien sembra aver scoperchiato un verminaio intergalattico, in cui centinaia di mostri parassiti fanno a gara per sfoggiare il loro naturale istinto per le prede umane. Diventa quasi un classico autonomo Aliens - scontro finale (Aliens, 1986)145 in cui James Cameron raccoglie il testimone di Ridley Scott, girando però un film profondamente diverso. L'avventura è garantita, anche se l'algida efficienza di Ripley viene trasformata nell'emotività apprensiva di una madre. La verità è che Ridley Scott ha aperto un incredibile mercato a queste orde di creature dallo spazio, a famiglie di xenomorfi ed extraterrestri single. Molti film non spregevoli, e anche di un certo successo al botteghino, sfruttano l'idea iniziale mutando condizioni, personaggi e musiche. È sulla scorta di Alien che ci assalgono e ci fanno a pezzi i nemici interplanetari degli anni ottanta. Nel 1982, ad esempio, esce il remake di La cosa (The Thing)146 per la regia di John Carpenter, in cui i membri di una spedizione polare, consapevoli di non poter distinguere i propri simili dalla «cosa» 144 Dal film deriva una serie televisiva (Alien Nation) e cinque film per la TV (Alien Nation: Dark Horizon del 1994, Body and Soul del 1995, Millennium del 1996, The Enemy Within del 1996, The Udara Legacy del 1997). 145 Il film vince due Oscar (montaggio sonoro ed effetti speciali) e riceve altre quattro nomination (1987), otto Saturn Award (1986), un Golden Globe a Sigourney Weaver e un BAFTA (l'Oscar britannico). Oltre sedici persone (due all'interno) fanno funzionare e muovere l'enorme regina aliena (alta 420 cm), realizzata dall'équipe di effetti speciali di Stan Winston. 146 La cosa è basato sul racconto breve Who goes there? (Chi va là?) di John W. Campbell da cui già Howard Hawks nel 1951 aveva tratto il classico della fantascienza La cosa da un altro mondo. Fa parte della Trilogia dell'Apocalisse di Carpenter, composta anche da Il signore del male (Prince of Darkness, di John Carpenter, USA 1987) e Il seme della follia (In the Mouth of Madness, di John Carpenter, USA 1995). Il 27 luglio 2012 in Italia esce il prequel (The Thing, di Matthijis van Heijningen Jr., USA 2011) ambientato tre giorni prima degli eventi della storia raccontata da John Carpenter. 128 aliena, iniziano a sospettarsi a vicenda. Nel 1987 L'alieno (The Hidden, di Jack Sholder) racconta del sospettato numero uno (extraterrestre) di un'indagine di polizia per omicidio. Nel 1987 un film di grande successo, Predator (di John McTiernan, USA 1987)147, vede un commando di Forze Speciali della C.I.A. nella giungla di un paese centroamericano (fittizio), Val Verde: lo scopo è uccidere un mostro venuto dallo spazio. Il predator è implacabile, sanguinario e cattivo: come uno xenomorfo, ma più tozzo, volgare e mal vestito. Al confronto, l'infangato Arnold Schwarzenegger sembra un figurino. Il 1989 è invece l'anno dei mostri marini, con tre film sostanzialmente simili: Abyss (The Abyss, di James Cameron, USA 1989); Leviathan (di George Pan Cosmatos, USA, Italia 1989) e Creatura degli abissi (DeepStar Six, di Sean S. Cunningham, USA 1989). Abissali sì, ma non profondi: è una moda fugace, che avrà poco seguito negli anni a venire. 147 Il film è il primo grande successo al botteghino per il regista. Gli effetti speciali sono molto all'avanguardia (basti pensare alla tuta che rende il predator trasparente). Il primo sequel si intitola Predator 2 (di Stephen Hopkins, USA 1990), ed è ambientato nel 1997 a Los Angeles dove un poliziotto indaga su misteriosi omicidi (compiuti da un predator). Il secondo è Predators (di Nimròd Antal, USA 2010) in cui un gruppo di soldati e mercenari si ritrova preda dei cattivissimi alieni su un pianeta sconosciuto, che in realtà è la loro riserva di caccia. 129 Testa di strega distanza dalla Terra: 800 anni luce 131 La trama della realtà (1990-1999) «Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che tu conosci. Il mondo com'era alla fine del XX secolo». (Morpheus in Matrix, di Andy e Larry Wachowski, 1999) I quadri generali. Nello Sprawl, la metropoli dove lavora Johnny Mnemonic 148, la vita umana costa (e conta) ormai pochissimo: quel che conta sono i dati, le informazioni. Nel cinema di fantascienza degli anni novanta è il contrario. La tecnologia – gli effetti speciali digitali – costano ormai pochissimo: quel che conta sono i personaggi, la loro vicenda. Eppure, mentre le pellicole fantascientifiche si moltiplicano a dismisura, i contenuti si disperdono. Si torna alla filosofia del puro intrattenimento: un film deve essere fatto di azione, ritmi veloci e belle immagini, mentre il messaggio passa in secondo piano. Questo approccio – almeno in linea generale – trascina gli spettatori in sala, ma poi non li seduce. Nessuno riesce davvero a immedesimarsi nella fuga spettacolare di Johnny Mnemonic presso i LoTek, la subcultura urbana che lo ospita e lo difende dai sicari. Se ha rubato i dati alla Corporation e alla Yakuza (la mafia che ormai domina tutte le altre), poco male: qualcuno – munito di armi da fuoco e abilità tecnologica – lo tirerà fuori dai guai. Che noia. Belle immagini, certo, ma il pubblico non si fa più coinvolgere così facilmente e i registi sono costretti ad 148 Il film Johnny Mnemonic (di Robert Longo, USA, Canada 1995) è tratto da un omonimo racconto di William Gibson (uscito nel 1982, ma apparso nel 1986 nella raccolta Burning Chrome, La notte che bruciammo Chrome) che è anche lo sceneggiatore. Nel 2021, in un futuro ammorbato da un virus terribile, un corriere elettronico che ha in testa un microchip pieno di dati è ricercato da una multinazionale farmaceutica. Troverà aiuto in una comunità di hackers ribelli. Lo «Sprawl» è un'estensione urbana incontrollata che va da Boston ad Atlanta, presente nella famosa trilogia di Gibson e in alcuni racconti di Burning Chrome. 133 aumentare la dose di effetti speciali perché faticano a raggiungerlo, a sorprenderlo, a spaventarlo. È un circolo vizioso. Ora il cinema di fantascienza procura grandi incassi e poche emozioni, in proporzione spesso inversa: più gente è attirata al cinema, più triviale è il film. Anche nella realtà è così. In Occidente si assiste al processo di democratizzazione dei paesi del Patto di Varsavia, una strada più accidentata del previsto. Gli ex sistemi socialisti si trovano sbalzati di colpo in uno scenario economico-politico che a malapena si distingue da un romanzo cyberpunk: capitalismo selvaggio, mafie in competizione, anarchia, povertà diffusa. Intanto, l'America impone al mondo intero la new economy. Questa si differenzia dall'economia industriale perché vede prevalere i traffici di natura finanziaria – denaro virtuale, in azioni, obbligazioni e prodotti derivati – sugli scambi di merci contro denaro. Oltretutto, la new economy inserisce le imprese in un mercato mondiale, abbatte i costi di gestione, le svincola da uno spazio reale (il territorio) per inserirle in uno virtuale, cioè la rete. A metà degli anni novanta è già sorpassata dai fatti l'idea di banche-dati ambulanti, come Johnny Mnemonic, che trasportino fisicamente i segreti delle società. Soldi, ordini e informazioni viaggiano ormai da soli – via telefono – nell'equivalente del cyberspazio. La globalizzazione (almeno quella contemporanea) fa il suo ingresso nella storia e nel linguaggio degli esseri umani. Tutto questo è reso possibile dalla nuova, straordinaria evoluzione della tecnologia informatica. Nasce internet, il world wide web, la rete informatica mondiale su cui fioriscono immediatamente speranze e riflessioni, anche al cinema. Gli anni novanta sono l'era di Microsoft e di Apple, le due grandi case rivali che producono programmi informatici. La loro sembra una diarchia indistruttibile, come quella delle Corporation di Johnny. Parallelamente, però, nascono i free software: sono proprio i programmi gratuiti, fatti circolare sul web, che ispirano gli hackers come i LoTek e l'intera filosofia della "anarchia elettronica". Anche le abitudini quotidiane cambiano rapidamente. Nel corso del decennio moltissimi individui (in tutto il mondo) iniziano a prendere confidenza con la posta elettronica, l'e-mail. Dopo i computer portatili, anche i cellulari e le playstation entrano nelle vite comuni, affermandosi come oggetti di scena anche nel cinema non fantascientifico. In realtà, ciò che per molti individui è ancora un oggetto ipertecnologico o di lusso (come i telefoni mobili o i laptop), da molti anni fa già parte dell'arsenale immaginifico della 134 fantascienza. Strano a dirsi, ma l'anticipazione banalizza ogni innovazione. Il pubblico di questi film – che ora è molto più vasto di prima – tende a dare per scontate anche invenzioni meravigliose, che cambiano le abitudini dell'intero pianeta: in fondo, le ha già viste al cinema. Il quinto elemento (Le cinquième élément, 1997)149 dell'abile regista francese Luc Besson è una giocosa sintesi dell'armamentario tecnologico trasmesso da settanta anni di fantascienza: città a più livelli, macchine volanti, case iperautomatizzate, clonazioni istantanee, armi mirabolanti e scambi turistici interplanetari. Il film non è solo un divertente fumetto cinematografico, ma una scanzonata presa in giro di quello che – forse incautamente – ci aspettiamo dal futuro. Questa strana assuefazione allo straordinario coinvolge anche la scienza. Una teoria sviluppata nell'ambito della meccanica quantistica – già elaborata da Hugh Everett negli anni cinquanta – diventa popolare anche fuori dall'ambito scientifico150 e rivela le sue sconcertanti implicazioni sull'interpretazione del reale. Negli anni novanta si diffonde così l'ipotesi del multiverso: ci sono mondi paralleli al nostro, che vivono esistenze simili. Siamo soli nell'universo? La risposta è cambiata rispetto a prima. Ora recita: forse siamo soli in questo universo, ma abbiamo buone probabilità di avere compagnia in qualcuno degli altri. Ovviamente, se il trasferimento tra le varie dimensioni non fosse possibile, per il cinema e per la letteratura l'intera faccenda perderebbe di interesse. Ma da molto tempo (almeno dagli anni cinquanta) la fantascienza considera i viaggi da una dimensione all'altra. 151 Insomma, il 149 Il film vede come protagonisti Bruce Willis e Milla Jovovich. È la storia di Korben Dallas, un tassista del futuro che deve salvare il mondo recuperando «il quinto elemento», un ente in forma di ragazza di nome Leeloo. È stato girato in Inghilterra nei Pinewood Studios (set dei film della saga di 007) ed è costato 90 milioni di dollari. Ne ha incassati però oltre 270, soprattutto fuori degli Stati Uniti, anche se è stato realizzato espressamente per il mercato nordamericano. 150 Il multiverso è un'ipotesi sviluppata nell'ambito della meccanica quantistica e fa parte di una Theory of Everything (TOE, Teoria del Tutto), che mira a dare una spiegazione globale della realtà. 151 Il passaggio dimensionale è un tema tipico del genere «ucronico» (l'utopia del tempo), che ha in autori come Philip Dick, Poul Anderson e Harry Turtledove alcuni fra i maggiori rappresentanti. Anche nel romanzo di Michael Crichton Timeline un'applicazione delle teorie di Everett permette il trasferimento tra universi paralleli. La trilogia fantasy Queste Oscure Materie di Philip Pullman è ambientata fra i molti 135 multiverso non è ancora entrato nell'immaginario collettivo che già sembra un vecchio ritornello. Non è strano, dunque, che il cinema rinunci a occuparsene, focalizzandosi piuttosto su un tema analogo: quello della realtà virtuale. Le pellicole più interessanti degli anni novanta sono quelle che proseguono il discorso, già introdotto nel decennio precedente, sui piani paralleli di esistenza. La mente, l'inconscio, le abitudini umane vengono usate per progettare altre dimensioni in cui proiettare i protagonisti dei film. Il ricordo personale, la coscienza e le memorie collettive, i media, i codici di programmazione informatica, i videogiochi, le droghe, le esperienze sensoriali: questi e altri elementi diventano riserva di caccia degli sceneggiatori, che inseguono lo scenario virtuale più emozionante. Alla fine del decennio Matrix, (The Matrix, di Andy e Larry Wachowski, USA 1999), dei fratelli Wachowski, si affermerà come il tentativo di maggior successo tra il pubblico, se non tra i critici. Alle soglie del 2000, evidentemente, il concetto di multidimensionalità è entrato nel senso comune della società dell’informazione e non deve essere spiegato agli spettatori, che sono ormai in grado di apprezzare una vicenda narrata su livelli diversi di realtà. La vita virtuale, non c'è dubbio, oscura la vita reale. Ma se qualcuno si sofferma a giudicare ciò che rimane di quest’ultima, il verdetto è sconfortante. Il pessimismo si fa più tetro verso la fine del decennio, quando è ormai chiaro che le contraddizioni del mondo contemporaneo non sono destinate a scomparire con la globalizzazione, semmai ad accentuarsi. A ben guardare, gli abitanti del pianeta non sono più prosperi, più sicuri o più informati di qualche anno prima. Chi all'inizio del decennio inneggia alla «fine della storia» – come compiutezza del progresso e dell'evoluzione sociale – qualche anno dopo parla invece di «grande distruzione»152: mondi di un multiverso tiranneggiato da un falso Dio. Anche il Ciclo del Campione Eterno di Michael Moorcock accenna al multiverso. 152 Nel suo The End of History and the Last Man (1992), l'americano Francis Fukuyama interpreta la storia dell'umanità come un processo evolutivo che ha l'esito finale dello stato liberale e democratico del tardo Novecento, secondo una visione, se non proprio utopica, non del tutto pessimistica. In La grande distruzione (The Great Disruption 1999) egli descrive invece i mutamenti nella società dovuti alle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione. L'Occidente, raggiunto il culmine economico e produttivo, si appresta a cancellare gli antichi legami sociali con costi assai elevati. 136 disgregazione della società, della morale, dei rapporti fra individui. Il cinema e la letteratura restituiscono un clima apocalittico, che rende le utopie nere più nere che mai. Nell'era globale la terra è un posto troppo grande, troppo complicato per i poveri terrestri. E il fatto che esistano anche (molti?) mondi paralleli non sembra affatto una buona notizia. Il penultimo uomo. Scrittori e cineasti sono concordi: l'essere umano è autoimmune, procura gravi danni a se stesso. La sua nocività pervade l'intero universo, poi lo travalica e si espande negli altri, nello spazio e nel tempo, come un gas nervino. La scienza (almeno qualche teoria piuttosto accreditata) parla di almeno undici dimensioni: tutte, o quasi tutte, ancora da conoscere; poi da invadere; poi da contaminare con la nostra (disumana) umanità. Non c'è multiverso che tenga. Non c'è realtà che, almeno potenzialmente, non possa essere rovinata, inquinata, deturpata, distorta; magari per essere poi venduta con una buona campagna pubblicitaria. Lo sa bene Terry Gilliam, che già negli anni ottanta si è cimentato con la fantascienza e la distopia, e che si serve dei paradossi temporali per lasciar trapelare qualche perplessità sul futuro dell'uomo. Nel 1995 esce il suo L'esercito delle 12 scimmie (Twelve Monkeys)153 che immagina il mondo del 2035, devastato da un virus che ha ucciso la maggior parte degli esseri umani e che li ha costretti a vivere nel sottosuolo. James Cole (l'ironico bisteccone Bruce Willis) è un detenuto che, in cambio della promessa della grazia, accetta di viaggiare nel tempo per scoprire quale operazione terroristica abbia diffuso il morbo letale. Si sospetta sia un gruppo che si autodefinisce «l'esercito delle 12 scimmie». Questo è capeggiato da un mitomane furioso – un Brad Pitt in smoking e ciabatte a forma di coniglio rosa – che è anche figlio di un noto virologo. Il prigioniero Cole viaggia dentro e fuori degli anni novanta – e dentro e fuori di un ospedale psichiatrico – per risolvere il mistero e fermare l'attentatore, con l'aiuto della bella dottoressa Kathryn Railly (Madeleine Stowe). Per onorare il paradosso temporale, sarà a un se stesso bambino che consegnerà il testimone della salvezza del 153 Il film è ispirato al cortometraggio culto La Jetée (di Chris Marker, Francia 1962), su cui è costruita la sceneggiatura di David e Janet Peoples. Prodotto con 29,5 milioni di dollari, è piaciuto alla critica e ha guadagnato ben 169 milioni in tutto il mondo. 137 mondo. Il film di Gilliam non è un capolavoro, anche se è nobilitato dagli attori, dalla eccellente fotografia e da qualche trovata del regista. Tuttavia, in qualche modo, procura ansia e speranza al tempo stesso. Posto che si riesca a distinguere tra follia individuale e collettiva, saremo in grado, un giorno, di porre rimedio alla nostra devastante stupidità? Meno filosofico e più fiabesco è senza dubbio Waterworld, del regista Kevin Reynolds, uscito nello stesso anno (1995), interpretato e coprodotto da Kevin Costner. Questa volta, il futuro post-apocalittico è al mare. In un mondo sommerso dalle acque per lo scioglimento dei ghiacciai, esistono città-atollo (poche) e avventurieri che solcano i mari, tra tecnologie avanzatissime e mutazioni genetiche. Il mutante Mariner cerca, a bordo della sua attrezzatissima imbarcazione (un trimarano), gli ultimi lembi di terra asciutta. Il budget dell'intera operazione supera di molto quello inizialmente preventivato, tanto da renderlo il film più costoso mai prodotto (per l'epoca) 154. È dubbio che ne sia valsa la pena. Forse è vero, come è stato notato dai critici, che tutto fa acqua in Waterworld : più che il nuovo mondo, la regia, gli attori,la sceneggiatura. Anche se bisogna ammettere che l'idea di un destino liquido per l’umanità non è malvagia. Tra tanti futuri improponibili, un paio di pinne o gli arti palmati non sarebbero poi per gli esseri umani la peggiore delle sorti. Dimensioni parallele. Negli anni novanta il filone indubbiamente più prolifico è quello che sfrutta un meccanismo narrativo non certo nuovo, ma intrigante: il personaggio confonde le diverse dimensioni in cui agisce. Perché è questo il destino filmico e letterario della realtà virtuale: rendersi indistinguibile dal mondo vero. Su quest'unico tema – la vita è sogno, potremmo dire – le variazioni prodotte dalla macchina da presa sono davvero tante. Tra i film ispirati alla narrativa di Philip K. Dick155, all'inizio del decennio (1990) si distingue Atto di forza (Total Recall) 154 Data la diserzione del pubblico americano, è spesso segnalato come un vero "flop" del regista, anche se può vantare un buon successo nel resto del mondo, con un guadagno (netto) di quasi 100 milioni di dollari nelle sale. Il film è stato candidato agli Oscar 1996 per il miglior sonoro. 155 Atto di forza è tratto dal racconto di Philip K. Dick We Can Remember It for You Wholesale (Ricordiamo per voi, 1966). 138 dell'olandese Paul Verhoeven. Nel 2084 l'operaio edile Doug Quaid si rivolge all'agenzia Recall per fare del turismo virtuale su Marte. Una volta là, scopre di esserci già stato nei panni di Hauser, agente al servizio del crudele dittatore marziano e, dopo una rapida presa di coscienza, si unisce ai rivoltosi. È un film tipico di questo decennio: non risparmia su nulla, soprattutto sugli effetti speciali 156. Se questo non ne fa un opera di grande classe e sobrietà, certamente ne fa una pellicola suggestiva, divertente, di grande ritmo. Il divario tra mondo concreto e apparenza è giocato su una struttura a matrioska, forse la prima usata per rendere la realtà virtuale. È un meccanismo che gioca sulla confusione dei protagonisti, ma anche su quella degli spettatori, che nel 1990 non sono ancora attrezzati per questi rapidi passaggi di contesto. L'anno successivo (1991) si susseguiranno due prove autoriali, non completamente soddisfacenti. La prima è Il pasto nudo (Naked Lunch) dell'immancabile David Cronenberg, pronto ad assalire il pubblico con le sue trovate repellenti, questa volta basate sull'illeggibile romanzo omonimo di William S. Burroughs157. Il povero Peter Weller vuole fare lo scrittore, ma in realtà è un derattizzatore a New York, costantemente in preda alle peggiori allucinazioni e con una moglie tossica, che per sbaglio uccide. Si rifugia a Tangeri dove crede di essere (o realmente è) coinvolto nel malvagio piano di mostruosi alieni. I mostri nella testa di Cronenberg – realizzati per la pellicola – sono così perversi e raccapriccianti da suscitare una certa tenerezza. Il film, pieno di promesse irrealizzate, ha però un merito indubbio: nemmeno una volta il regista sente il dovere di spiegare quale sia la realtà e quale la fantasia. Così lo spettatore non resta del tutto deluso. La delusione è invece in agguato per chi, nello stesso anno, si aspetta molto dal film di Wim Wenders Fino alla fine del mondo (Bis ans Ende der Welt, Until the End of the World, 1991). È una specie di road movie di fantascienza, ma pesante, contorto, inutilmente 156 La pellicola ottiene nel 1991 l'Oscar per i migliori effetti speciali a Eric Brevig. Il film è tratto dal romanzo Pasto nudo (Naked Lunch, riferito a un'esperienza che segna la vita intera) dello scrittore statunitense William S. Burroughs, pubblicato prima in Francia nel 1959 e solo nel 1962 negli USA, però secondo una redazione diversa, posseduta unicamente da Allen Ginsberg. È un libro di difficile interpretazione: al di sotto dell’apparente non senso trapelano i temi del controllo sulle menti dei cittadini operato dallo Stato e della telepatia, usata per sfuggire al controllo e alla censura. 157 139 complicato. Un satellite artificiale impazzito minaccia la Terra, mentre Claire e Trevor McPhee (alias Sam Farber) viaggiano da Berlino a Lisbona, da Mosca a Tokyo, fino all'Australia. Il padre di Sam ha inventato una macchina per permettere alla madre cieca di vedere (con il cervello) immagini e filmati che Sam ha registrato nelle sue peregrinazioni. Si scopre poi che lo stesso dispositivo può registrare i sogni e proiettarli su uno schermo. Ammirevole invenzione, senza dubbio: ma lascia un po' freddi, così come il film. Negli anni novanta molte pellicole sulla realtà virtuale, in effetti, potrebbero essere classificate come "inutili". Nel 1998 esce Dark City, di Alex Proyas158, un noir perfetto per scenografie e fotografie, ispirato all'oscurità grottesca del miglior Tim Burton. Tutto il resto è dimenticabile. Gli alieni, dotati di grandi poteri telepatici e della capacità di costruire scenari immaginari, usano gli uomini come loro cavie per scongiurare la propria estinzione. Gli uomini in questione, ovviamente, iniziano a confondere i piani della realtà. La storia non è emozionante, ma risulterebbe migliore se non fosse per i dialoghi, la struttura e i tempi del film. La strategia degli extraterrestri non sarà per caso quella di farci morire di noia? Anche l'italiano Gabriele Salvatores, con il film Nirvana del 1997, prova a costruire mondi immaginari e realtà virtuali. Gli esiti sono discutibili. Ambientato nel 2005, il racconto si sviluppa in una metropoli formata da un Centro per le classi alte circondato da periferie pericolose (Marrakech, Shangai Town, Bombay). Si muove nei bassifondi un gruppo di eccentrici amici: Jimi (Christopher Lambert), che inventa il videogioco Nirvana; Solo (Diego Abatantuono), che ne è il protagonista; Joystick (Rubini), un hacker che s'è venduto le cornee, sostituite con protesi elettroniche, per pagarsi i debiti159. Belli gli scenari, bella la fotografia e la colonna sonora, bravo Sergio Rubini. Ma questo costoso baraccone sembra finalizzato a propinare al pubblico italiano la stessa, ossessiva storia di occasioni perdute, giovinezza rimpianta e progetti irrealizzati che governa tutti i film di Salvatores. 158 Il film ha vinto il Saturn Award come miglior film di fantascienza nel 1998. Il film Nirvana è girato nell'area industriale dismessa dell'Alfa Romeo di Milano (e nei sotterranei del macello comunale), dove lo scenografo Giancarlo Basili ha messo in piedi il suo mondo futuro ispirandosi a Bosch, a Escher e alla Pop Art. Nonostante le pessime reazioni della critica, è la pellicola di maggiore successo commerciale del regista Salvatores e anche della fantascienza italiana in generale. 159 140 Non se la caverà meglio, a fine decennio, il solito Cronenberg, con il suo eXistenZ (1999). È il nome di un gioco che nasce da un sistema neurale mutante. Collegato questo «pod» al corpo umano, il giocatore è proiettato in una dimensione virtuale. Anche qui ci sono molteplici livelli paralleli, che confondono lo spettatore su quale sia il piano reale e anche sul reale intento del film. Ma ormai lo spiazzamento sembra di moda. Seguendo la stessa logica nel 1999 viene realizzato un film non brutto, ma passato del tutto inosservato: Il tredicesimo piano (The Thirteenth Floor, di Josef Rusnak, USA, Germania 1999). La realtà virtuale è una Los Angeles del 1937 dalla quale Hannon Fuller tenta di comunicare con un amico, Douglas Hall, prima di essere ucciso nel mondo reale. Non fa in tempo a rivelargli il suo segreto: tutti e due sono entità cibernetiche, prodotte nel futuro da un programmatore assassino. Douglas Hall si trova indagato dalla polizia e sbalzato attraverso piani di esistenza diversi: gli anni trenta, gli anni novanta, il 2024. C'è anche una misteriosa ragazza, Jane, che non è mai chi sembra essere. La matassa è complicatissima, ma alla fine si dipana semplicemente, e non lascia il pubblico insoddisfatto e frustrato. Di dimensione in dimensione, i cattivi non cambiano, ma gli eroi si fanno più astuti. Diverso dai precedenti nella forma esteriore e nella storia, Strange Days (di Kathryn Bigelow, USA 1995)160 si candida a essere il film più originale del decennio, e uno dei migliori degli ultimi decenni. In una Los Angeles non molto futura, ma violenta e allucinata, il 30 e il 31 dicembre 1999 sono gli strange days, gli strani giorni di Lenny Nero (Ralph Fiennes), un ex poliziotto un po' sbandato, che in preda alla depressione è diventato spacciatore di squid. Lo squid è la nuova droga illegale: un dispositivo che riproduce, a tutti i livelli sensoriali, un'esperienza vissuta e registrata da un'altra persona. Al perenne inseguimento di un'indisponente ex, la cantante Faith (Juliette Lewis, che canta davvero), aiutato da un amica che fa la body guard (Angela Bassett), Nero trova le prove dell'omicidio di un rapper di colore da parte di due poliziotti bianchi e riesce a dimostrarlo platealmente. La musica sembra parte integrante delle inquadrature, incalza il ritmo ansiogeno della storia. La regia, il montaggio e le immagini – psichedeliche, sconnesse, quasi isteriche – ne fanno una 160 Kathryn Ann Bigelow (San Carlos, 27 novembre 1951), ex moglie di James Cameron, ha anche prodotto il film e lo ha sceneggiato con Jay Cocks. È stata la prima (e finora unica) donna a ottenere l'Oscar al miglior regista, nel 2010, con The Hurt Locker (di Kathryn Bigelow), di cui è anche produttrice. 141 pellicola straordinaria, in cui la realtà virtuale non è altro che vita vera, e dunque può diventare il peggior incubo di una persona. È precisamente quanto accade in The Truman Show (1998)161 di Peter Weir, dove la vita di Truman Burbank (Jim Carrey) trascorre monotona e incolore, ma tranquilla e prospera, nella comunità suburbana di Seahaven. Tutto va bene, finché Burbank non scopre di vivere in una spettacolare soap opera, allestita in un enorme studio televisivo, di cui è il protagonista assoluto. Lo circondano solo attori al soldo del produttore-demiurgo Christof (Harris). Lo sceneggiatore neozelandese Andrew Niccol e il regista Weir, con mano davvero felice, riescono a sintetizzare le principali distopie dei grandi romanzi di fantascienza del secolo – da Orwell, a Sheckley, a Philip K. Dick – e a tradurle in un incubo per tutti i gusti. L'ironia e l'intelligenza abbondano, anche se la critica ha obiettato che il film poteva essere meno convenzionale. Resta, ad ogni buon conto, una delle prove migliori del decennio. Ma forse il film di fantascienza più rappresentativo degli anni novanta (e anche del decennio successivo) resta il celebre Matrix, uscito nel 1999 per la regia dei fratelli Andy e Larry (dopo l'operazione, Lara) Wachowski162. L'hacker Neo scopre che la cosiddetta "realtà" è solo un impulso elettrico con cui un'intelligenza artificiale inganna il cervello degli esseri umani. Questi si sono affidati alle macchine, che ora li governano, li ingannano con la «matrice» e, intanto, li coltivano per produrre l'energia che serve loro a sopravvivere. La realtà fittizia è un contesto gratificante, inventato dal neuro simulatore per tenere tranquilli gli individui: è uno scenario finto, fatto di impulsi nervosi anziché di cartone. Intanto, però, le persone sono allevate come polli in batteria dai nuovi padroni. L'asettico Neo, con l'aiuto del pirata informatico Morpheus e di un'algida e plastificata Trinity, tenta di mandare all'aria l'orribile programma degli antagonisti dell'uomo. Matrix guadagna nelle prime due settimane di programmazione 73 milioni di dollari nei soli Stati Uniti. In buona parte la straordinaria 161 Il film (nonostante tre nomination) non ottiene l'Oscar ma ben tre Golden Globe nel 1999: miglior attore in un film drammatico a Jim Carrey; miglior attore non protagonista a Ed Harris; miglior colonna sonora a Philip Glass. 162 Nel 2000 il film fa incetta di premi Oscar: miglior montaggio a Zach Staenberg; miglior sonoro a John T. Reitz, Gregg Rudloff, David E. Campbell e David Lee; miglior montaggio sonoro a Dane A. Davis; migliori effetti speciali a John Gaeta, Janek Sirrs, Steve Courtley e Jon Thu. Lo stesso anno vince due Bafta e ottiene nominations per altri premi. 142 affluenza di spettatori è l’effetto di un eccellente marketing, combinato a un prodotto non certo ignobile, anche se incontra prevalentemente i gusti dei giovani. Ma il successo della pellicola si deve soprattutto alla capacità di mescolare ingredienti che, almeno al cinema, non si erano mai incontrati: la filosofia orientale e le arti marziali con il cyberpunk; la mitologia con l'ipertecnologia; l'informatica con le saghe, le leggende popolari e le fiabe. Troppi effetti speciali e, in generale, troppa carne al fuoco. Però non si discute: più di qualsiasi precedente film di fantascienza, Matrix definisce ciò che è cool per un'intera generazione – quella dei non ancora trentenni – e ne condiziona le scelte future in termini di cinema, di stivali, di letteratura, di sport, di tatuaggi, di occhiali da sole, di trench di pelle e perfino di velocità di movenze163. Può non piacere o sembrare ridicolo, ma il futuro immaginato dai fratelli Wachowsky affronta (e con una certa sicurezza) l'idea che la cultura sia fatta di mescolanze strane di elementi e di esperienze. Il giudizio, unanimemente positivo, non si estende tuttavia ai due seguiti164, che vengono stroncati dalla critica e sopportati dal pubblico per inevitabile forza d'inerzia. Altre mutazioni. Non c'è dubbio: la metamorfosi più significativa del decennio è quella operata dai film di fantascienza sul pubblico stesso. La cenerentola della cinematografia è diventata la sua punta di diamante, che nessuno può più fare a meno di considerare come parte del proprio bagaglio culturale. I registi approfittano senza indugi di quest'onda, in cui ogni spettacolo, per quanto banale, può riscuotere incassi e ammirazione. È come se lo scarafaggio di Kafka si fosse trasformato nel principe azzurro. In un cinema in piena trasmutazione – in cui sta cambiando il valore culturale del genere fantascientifico – proprio il tema della 163 Il più efficace stratagemma visivo, ideato da John Gaeta, è il perfezionamento del procedimento noto come time slice («fetta di tempo») nel bullet time, che consente di vedere ogni momento di una scena come se fosse al rallentatore mentre l'inquadratura sembra girare attorno alla scena a velocità regolare. C'è così un effetto di "congelamento dinamico". 164 Matrix Reloaded (The Matrix Reloaded, di Andy e Larry Wachowski, USA 2003), e Matrix Revolutions (The Matrix Revolutions, di Andy e Larry Wachowski, USA 2003), sono usciti lo stesso anno, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. 143 (tras)mutazione trae nuova linfa da una serie nutrita di film. Non sono, perlopiù, opere che lasciano il segno. Nel 1992 il regista del brivido John Carpenter fa il verso al film di James Whale con la commedia Avventure di un uomo invisibile (Memoirs of an Invisible Man), ma senza lasciare il segno. Nel 1992 I nuovi eroi (Universal Soldiers) è il primo film hollywoodiano dell'ex tedesco dell'est (poi americano) Roland Emmerich: in esso è ripresa la vecchia idea dei soldati mutanti165 che diventano macchine per uccidere. È un prodotto cucito a misura sul suo protagonista, Jean-Claude Van Damme: sparatorie, giungla e violenza. Ancor meno amato dalla critica è il film dello spagnolo Álex De la Iglesia: Azione mutante (Acción mutante, 1993) che racconta del rapimento di una giovane riccona da parte di uno sgangherato commando di mutanti. Finanziato dai fratelli Almodóvar come esperimento di comicità demenziale tra la letteratura cyberpunk, il fumetto noir e la cultura pop spagnola, si rivela nondimeno un flop disastroso. Almeno dal punto di vista degli incassi, il panorama delle mutazioni è risollevato dall'uscita nelle sale di Jurassic Park di Steven Spielberg (1993). Il soggetto è tratto da un romanzo di Michael Crichton, che qui riporta in auge i parchi dei divertimenti (come Westworld) da cui gli esseri umani dovrebbero tenersi alla larga. Il miliardario John Hammond (Richard Attenborough) ha eccezionali scienziati al suo soldo: grazie al DNA trovato nel sangue di una zanzara fossile, essi ridanno vita ai dinosauri. L'intento è quello di aprire un Jurassic Park. Per sperimentarne l’impatto Hammond invita un gruppo selezionato di persone. Tra gli ospiti c'è un famoso matematico (Jeff Goldblum), un paleontologo (Sam Neill), una paleobotanica (Laura Dern) e due ragazzini, i nipoti di Hammond. Ma l'informatico del parco (Wayne Knight) neutralizza i sistemi di sicurezza per rubare gli embrioni di dinosauro e rivenderli. I dinosauri non sono tutti perspicaci, ma una volta capita l'antifona (che i recinti sono inutili) si scatenano a danno dei visitatori. Certo, il romanzo è più interessante, ma Spielberg riesce a creare uno spettacolo straordinario. Intanto, la suspense è assicurata. Inoltre, per la prima volta viene realizzata una tale varietà di animali preistorici di stupefacente realismo. È una moltiplicazione di Godzilla, ma con forme, personalità ed esigenze diverse. Il film non si segnala certo per il suo impegno culturale né per la prova degli attori, che pure fanno il loro dovere. Ma Spielberg ha il grande merito 165 Il tema era comparso per la prima volta nel film Va’ e uccidi (The Manchurian Candidate, di John Frankenheimer, USA 1962). 144 di aver riportato in auge i rettili giganteschi non solo nelle sale cinematografiche, ma nei discorsi delle persone comuni e nell'immaginario dei bambini, che da allora (dopo vent'anni) sognano ancora il loro dinosauro166. Una mutazione decisamente più singolare è al centro di un film non bruttissimo, anche se maltrattato dalla critica italiana: L'uomo bicentenario (Bicentennial Man, di Chris Columbus, USA 1999). È una specie di saga familiare (tipo Radici) con un solo protagonista: un robot che, in quanto macchina, vive ben duecento anni a partire dall'anno 2005. Andrew, modello NDR 114, nasce come androide domestico, niente più che una macchina al servizio della famiglia Martin. Attraverso lunghi procedimenti e interventi sperimentali, Andrew intraprende un lungo viaggio alla scoperta dell'umanità e alla ricerca di un riconoscimento come essere umano. Per far questo deve però acquisire, oltre che il sistema nervoso e quello circolatorio, sensazioni e sentimenti umani. La mutazione avviene gradualmente, grazie a una tecnologia amichevole che trasforma un servitore fedele in un nostro simile. Forse un po' eccessivo risulta agli spettatori contemporanei l'umile zelo del robot, impersonato da un attore morbido e simpatico come Robin Williams. Può sembrare strano che il protagonista non riesca a liberarsi da una (consapevole) soggezione nei confronti dei padroni umani e che, ad ogni passo, si dichiari «lieto di poter servire»: anche quando, in realtà, è autonomo da molto tempo. Il soggetto è tratto da un racconto di Isaac Asimov167, che apre la via a moltissime riflessioni più o meno politically correct su che cosa sia l'umanità e sulla rivendicazione dei diritti delle minoranze. Senza contare, poi, che ci insegna a guardare i nostri elettrodomestici con maggior rispetto: un giorno potrebbero essere più ricchi e potenti di noi. 166 Il film riscuote un incasso di oltre 919 milioni di dollari lordi. Spielberg ingaggia gli Stan Winston Studios per creare i progetti animatronici dei dinosauri, che interagiscono con la grafica digitale della Industrial Light & Magic di Lucas. Nonostante la consulenza di molti specialisti (tra cui il famoso paleontologo Jack Horner) oggi l'aspetto dei dinosauri risulterebbe non verisimile, perché nel frattempo sono mutate le teorie sulla loro evoluzione. Il velociraptor e il dilofosauro, si dice ora, sono molto distanti dalla rappresentazione fornita dai tecnici di Spielberg. 167 The Bicentennial Man è un racconto composto da Asimov nel 1976 per celebrare i 200 anni dalla nascita degli Stati Uniti e viene inserito in seguito nel romanzo The Positronic Man, scritto a quattro mani con Robert Silverberg. 145 A questo proposito, ecco una storia di deboli contro potenti. È un film del 1997: Gattaca - La porta dell'universo (Gattaca), scritto e diretto dallo sceneggiatore di The Truman Show, il neozelandese Andrew Niccol. In un futuro «non troppo lontano» l'ingegneria genetica progetta gli esseri umani definiti Validi (concepiti in provetta con una manipolazione genetica), mentre tutti gli altri diventano Non Validi e sono considerati una razza inferiore. Per poter essere inviato su Titano (la luna di Saturno) come astronauta, un Non Valido di nome Vincent (Ethan Hawke) si sostituisce a un Valido, Jerome Morrow (Jude Law), un atleta che un incidente ha costretto su una sedia a rotelle. Costui gli vende la sua vita: Vincent ne prende il sangue e le urine, l'identità anagrafica, i documenti e tutto quello che gli serve per sfuggire ai ferrei controlli di Gattaca 168, l'ente aerospaziale che sovraintende ai viaggi interplanetari. A causa di un omicidio, la verità viene scoperta da più persone, che però decideranno, per un motivo o per l'altro, di non denunciarlo e di lasciargli realizzare il suo sogno. Hawke, Law, Uma Thurman, Ernest Borgnine e perfino lo scrittore Gore Vidal: il cast, dai protagonisti alle comparse, riesce a rendere l'atmosfera di questo possibile futuro gelida e commovente al tempo stesso. Il resto lo fanno la scenografia e la musica169. Il tutto concorre a descrivere il mondo di Gattaca come soggiogato, quasi sedotto da un totalitarismo soffice, ma subdolo e spietato, dove le discriminazioni, pur bandite dalla legge, sono alla base della società. È un buon film, ingiustamente maltrattato dalla critica, che sa combinare sensazioni ansiogene e occasioni di riflessione: non tanto, come potrebbe sembrare, sulle aberrazioni della genetica, quanto piuttosto sulle straordinarie capacità di ogni individuo di superare i limiti imposti dal pensiero dominante, dalle convenzioni e dalla cosiddetta normalità. Contatti extraterrestri. L'idea enunciata in La fine della storia convince molto storici, ma non tutti gli scrittori di sci-fi. Il fenomeno letterario del decennio è Kim 168 Il termine «Gattaca» deriva dalla combinazione delle iniziali delle quattro basi azotate che formano il DNA: la guanina, l'adenina, la timina e la citosina. 169 L'asettica scenografia è opera del direttore della fotografia Slawomir Idziak e della coreografa Nancy Nye; le musiche sono del compositore inglese - preferito da Peter Greenaway - Michael Nyman, autore della colonna sonora del film Lezioni di piano (The Piano, di Jane Campion, Nuova Zelanda, Australia 1993). 146 Stanley Robinson, che conquista il pubblico dei lettori di fantascienza con una trilogia di vere e proprie «cronache marziane». Sono romanzi di impianto corale, straordinari nello stile e nei contenuti scientifici. La vicenda è quella della colonizzazione umana del territorio di Marte, ritratta in epoche diverse, a distanza di secoli. Non è una storia trionfale: piuttosto una realistica vicenda di successi e sconfitte, ascese e decadenze, età dell'oro ed epoche oscure. Economia, politica, ideologie e relazioni si sviluppano e avvizziscono. È un andamento ciclico, che coinvolge tutti gli aspetti dell'esistenza della colonia, oltre che il lento processo di «terraformazione», cioè di adattamento del suolo marziano all'habitat umano170. Potrebbe essere, a tutti gli effetti, un convincente libro di storia su come nascono e tramontano (più e più volte) le civiltà. Per apprezzare la trilogia di Marte occorre mettersi in testa qualche verità scomoda. La prima è che i marziani non esistono. La seconda è che, se esistessero, ci eviterebbero. La terza è che gli uomini – con le loro società – sono talvolta più problematici di qualsiasi extraterrestre, per quanto malvagio. Ma la raffinatezza di Robinson sembra cozzare con una certa rozzezza del cinema fantascientifico. Il quale, da parte sua, negli anni novanta si rifiuta di accettare che le presenze aliene non siano più all'ordine del giorno. I risultati sono vari, ma in media non molto soddisfacenti. Per quanto si possa ricordare qualche pellicola decente, nelle sale non compaiono molti film di fantascienza capaci di affrontare di petto il vero problema: l'estraneità del genere umano a se stesso. Ci prova il regista di origini tedesche Roland Emmerich con ben due opere di tema extraterrestre: Stargate (1994)171 e Independence Day (1996)172. Il risultato è un successo immenso al botteghino, soprattutto per il secondo, e svariate stroncature dalla critica internazionale. Il meno che si possa dire è che sono due film noiosi. Nel primo sono i terrestri a visitare un altro pianeta. Siamo nel 1993: un giovane egittologo, al seguito di una spedizione militare, 170 I tre libri sono Red Mars (Marte rosso, 1992); Green Mars (1994); Blue Mars (1996). Solo il primo è pubblicato in italiano. 171 Dal film è stata creata la serie televisiva Stargate SG-1 e gli altri spin-off, Stargate Atlantis e Stargate Universe. A seguito del primo telefilm sono stati fatti due film per la televisione, Stargate: Continuum e Stargate: L'arca della verità. 172 Il film incassa 306 milioni di dollari solamente negli Stati Uniti e quasi 817 milioni nel resto del mondo. Nel 1997 ottiene l'Oscar ai migliori effetti speciali a Volker Engel, Douglas Smith, Clay Pinney e Joe Viskocil. 147 attraversa una «porta del cielo» – un grande anello di materiale sconosciuto, trovato vicino alla piramide di Cheope a Giza (Cairo) nel 1928 – per giungere su un pianeta ignoto. Qui trovano Ra, un faraone immortale e cattivissimo che è in realtà un banale alieno. Costui tiene in schiavitù il popolo del deserto: all'egittologo e al suo gruppo tocca il solito, oneroso compito di sconfiggerlo e liberare i suoi schiavi. È una favola fantascientifica che adotta – pur senza dichiararlo – la prospettiva delle dimensioni parallele, in cui si confonde presente e passato. Purtroppo è appesantita dalla scenografia, dalla fotografia e perfino dalla morale che trasuda dalla sceneggiatura. Anche il secondo film non è propriamente divertente. Almeno, in questo caso, il regista si toglie dall'impaccio del politically correct e fa di tutto per guadagnarsi la sua naturalizzazione statunitense, che tuttavia non gli era stata contestata. L'attacco alla terra è in grande stile, con dischi volanti e scudo deflettore contro il fuoco nemico. Quasi tutti i monumenti simbolo dell'America vengono polverizzati in poco tempo, cosa che notoriamente indispone i nativi e ne provoca la reazione. Il messaggio è semplice e diretto: gli americani sono buoni e trionfano, gli extraterrestri sono malvagi e perdono. Independence Day è il classico esempio di come una pubblicità martellante, due attori carismatici (Jeff Goldblum e l'emergente Will Smith), molti effetti speciali e una banalità rassicurante possano riempire le sale con un certo agio. Roland Emmerich è un regista soporifero, ma non è facile, di questi tempi, dare agli alieni la giusta importanza. Nel 1997 MIB: Men in Black, di Barry Sonnenfeld173, tenta di abbattere le barriere tra il comico e l'horror, ma senza successo. Il film narra di una sezione speciale del governo americano che controlla l'immigrazione aliena: Tommy Lee Jones e Will Smith – due men in black – devono inseguire un disgustoso insetto di tre metri che invade i corpi umani. Il successo è garantito, ma per un pubblico di soli ragazzi. Non riesce ad essere incisivo come un film che l'ha preceduto di un anno: Mars Attacks! del geniale e irriverente Tim Burton (1996)174. È il solito 173 Nel cast Will Smith, Tommy Lee Jones, Linda Fiorentino e Vincent D'Onofrio. Il film è basato sull'omonima serie a fumetti di Lowell Cunningham e sulla leggenda degli uomini in nero, presenti in alcune teorie complottistiche sugli alieni. Sono stati girati a tutt'oggi due sequel. 174 Il film è una parodia macabra della fantascienza (di Ed Wood e dei film di serie B) degli anni cinquanta. Gli alieni sono ricalcati su quelli brutti e crudeli di una vecchia 148 attacco alieno, condotto con un armamentario degno di Emmerich: molti, moltissimi dischi volanti. Qui però i marziani sono anche permalosi e, allo stesso tempo, dispettosi come dei letali fanciulloni: tanto quanto i terrestri sono stupidi, boriosi e meritevoli del peggior destino. La terra diventa il perverso parco giochi degli orripilanti zuzzerelloni spaziali. Essi bruciano, disintegrano, staccano teste, infieriscono in tutti i modi possibili sullo strepitoso cast che recita, per piccoli cammei, nei brevi capitoletti che compongono il film. Salvo poi, poveri sventurati alieni malvagi, soccombere alle melodie country & western: orrore a cui, evidentemente, non sono abituati. Nel 1997 esce il film Contact 175, di Robert Zemeckis, che si rivela un regista serio, anzi serissimo. Un gioiello visivo, pieno di immagini preziose, ma anche pieno di coraggio per il tema delicato. Che non sono solo gli alieni: è anche e soprattutto la libertà di coscienza e l'autonomia della ricerca. Jodie Foster è l'astronoma Ellie Arroway che crede ferventemente nella possibilità di un contatto alieno e che, nonostante il suo ateismo e l'avversione delle autorità americane, riesce a salire sul teletrasportatore che, attraverso un tunnel spaziotemporale, la porta dai suoi amici extraterrestri. Al ritorno, ovviamente, nessuno le crede, finché in qualche modo non ottiene di farsi ascoltare dalla commissione finanziatrice del programma di ricerca sui "contatti". La rappresentazione visiva del suo coraggio e una fotografia particolarmente suggestiva infondono alla pellicola un ritmo particolare, che procura più di un brivido di emozione. Non merita altrettanta considerazione il film tratto da uno dei più bei romanzi di Michael Crichton, Sfera (Sphere, di Barry Levinson, USA serie di figurine omaggio, vendute con le caramelle in America, ma già negli anni sessanta. Il cast è straordinario, con molti piccoli cammei (cameos) di personaggi famosi: Jack Nicholson, Annette Bening, Glenn Close, Natalie Portman, Sarah Jessica Parker, Danny DeVito, Michael J. Fox, Tom Jones, Pam Grier, Jack Black e molti altri. Gli effetti speciali (della Industrial Light & Magic di George Lucas) non sono realizzati con la tecnica dello stop motion (come voleva Burton) ma con la grafica digitale. La colonna sonora è di Danny Elfman, tranne la canzone del cantante country Slim Whitman, che diventa l'arma contro i marziani. 175 Tratto da un romanzo di Carl Sagan, astronomo famoso, divulgatore scientifico e coproduttore di Contact che gli è dedicato perché Sagan muore durante le riprese. Nel 1997 ha ricevuto un Satellite Awards (migliori effetti visivi), due Saturn Awards (migliore attrice a Jodie Foster, miglior attore emergente a Jena Malone) e il Premio Hugo (migliore rappresentazione drammatica). 149 1998) che pure compie veri miracoli con un budget non altissimo176. Un'astronave, trovata sul fondo del mare, viene inizialmente creduta un reperto alieno, tanto che è spedita ad osservarla un équipe di esperti: lo psicologo Norman Goodman, la biologa Beth Halperin, il matematico Harry Adams e l'astrofisico Ted Fielding. Essi comprendono che si tratta di una nave terrestre del futuro, che trasporta un regalino avvelenato: una sfera che materializza sogni e pulsioni profonde di chi vi si introduce. Gli esperti – che formano un cast eccezionale177 – vengono improvvisamente assaliti da un gran numero di furibondi mostri marini: capiscono che qualcuno di loro, grazie alla sfera, sta dando corpo alle proprie paure inconsce, se non addirittura all'inconfessato desiderio di uccidere i compagni. Il problema è capire chi. Prima che gli esseri umani si decidano a porre un definitivo rimedio alla situazione, interviene il buon senso della sfera, che se ne rotola via (delusa) tornando nello spazio. Gli uomini, evidentemente, non sono degni del dono. Brutta razza, peggio dei mostri marini. Ma bisogna ammettere che anche il film non è un capolavoro. Riscontra un maggior favore tra i cinefili, incredibilmente, lo sgangherato Starship Troopers - Fanteria dello spazio (Starship Troopers, di Paul Verhoeven, USA 1997) 178. Questa pellicola ha tutti gli elementi per essere considerata un B-movie, anzi, un «blockbuster parafascista», come talvolta è stata definita. Non è un lavoro di pregio. Tuttavia i critici ci hanno visto un esempio di buona satira antimilitarista, mascherata sotto la trama classica, che è ispirata all'omonimo romanzo di Robert A. Heinlein. La terra è governata da una dittatura militare, che concede i pieni diritti civili ai soli soldati. I combattenti devono respingere giganteschi scarafaggi alieni che vengono dal pianeta Klendathu. Johnny Rico, giovane argentino, si 176 Il film è girato nella base navale di Mare Island a Vallejo, in California. Ha un budget ridotto e i produttori fanno fretta al regista, perché vogliono evitare la concorrenza con The Abyss, il “kolossal” della 20th Century Fox su cui James Cameron sta impiegando grande profusione di mezzi. 177 I personaggi principali sono interpretati da un cast davvero eccellente: Dustin Hoffman, Sharon Stone, Samuel L. Jackson, Peter Coyote, Queen Latifah. Tra l'altro, fa una comparsa nei panni di un pilota di elicotteri il cantante rock Huey Lewis, autore di colonne sonore di fantascienza. 178 Il soggetto è tratto dal romanzo Fanteria dello spazio del 1959 di Robert A. Heinlein. Ha avuto due sequel: Starship Troopers 2-Eroi della federazione (Starship Troopers 2: Hero of the Federation, di Phil Tippet, USA 2004) e Starship Troopers 3:L'arma segreta (Starship Troopers 3: Marauder, di Edward Neumeier, USA 2008). 150 arruola solo per amore, ma in seguito alla distruzione della sua città natale Buenos Aires e alla morte dei compagni, diventerà un vero patriota. Cosa insegnano gli anni novanta della science fiction cinematografica? A ben guardare, con il passare del tempo, moltissimi tra gli alieni e perfino tra i protagonisti delle peggiori realtà virtuali convergono verso un'unica forma: quella dello scarafaggio. Forse si tratta di un simbolo apocalittico: come dicono alcuni scienziati, un giorno la terra sarà vuota e solo gli scarafaggi la abiteranno. Peggio per loro, tutto sommato. 151 The Helix distanza dalla Terra: 650 anni luce 153 Dove inizia l’infinito179 «Se c'è un difetto, è umano; è sempre così... » (Danny Witwer in Minority Report, di Steven Spielberg, 2002) I quadri generali. A cavallo del nuovo millennio nasce e si afferma un'organizzazione ombra, detta the Concern o L'Expédience. Essa agisce in un multiverso fatto di Terre parallele, cioè di molte realtà possibili tra cui i suoi agenti possono «transitare». I «transizionari» – Madame d'Ortolan, Temudjin Oh, il Paziente 8262, Mrs. Mulverhill, il Filosofo – sono in grado di viaggiare tra le dimensioni180 e operare in quella prescelta, invadendo temporaneamente il corpo di un abitante. The Concern è un'istituzione potentissima, onnipresente, il cui fine (sconosciuto ai più) è respingere la diversità prima che dilaghi. I vertici hanno un'idea molto personale di come dovrebbero girare i mondi: Madame d'Ortolan, che ne è di fatto il capo, ha deciso di bandire i contatti alieni da qualsiasi Terra. Ma non tutti sono d'accordo con questa idea "protezionista". Nelle file dei transizionari si nascondono dei rinnegati. Ed ecco che il multiverso – approdato ormai alla divulgazione e alla cultura popolare – diventa sede di intricate vicende di spionaggio e controspionaggio, in cui a stento si capisce quali sono i fronti. È Transition, di Ian M.181 Banks, ambientato tra la caduta del muro di Berlino e la crisi finanziaria dell'anno 2008. Il passaggio obbligato è la distruzione delle Torri Gemelle, che sancisce il declino dell'Occidente. 179 David Deutsch, The Beginning of Infinity, Allen Lane Science (Penguin UK), Londra 2011. 180 Il viaggio ultradimensionale dei transizionari avviene (salvo in un caso di eccezionale bravura, quello di Temudjin Oh) ingerendo una sostanza misteriosa detta "septus". 181 Ian M. Banks è un autore scozzese, che si firma con l'iniziale M. del secondo nome (Menzies) solo quando scrive romanzi di fantascienza. Il libro è stato pubblicato in Scozia nel settembre del 2009 senza la M., ma negli Stati Uniti, a breve distanza, aggiungendo la M. Realtà o fantascienza? 155 Il romanzo di Banks è una parodia fantascientifica della cronaca degli anni duemila. Di questi tempi, però, la realtà raggiunge la fantasia; a volte la supera di qualche lunghezza. Il «decennio breve», così come è stato definito, riporta il mondo al clima della guerra fredda e dei due blocchi contrapposti. L'antagonismo è ancora una volta esasperato, tanto da alimentare il panico collettivo. Ora però il nemico non è più l'Unione Sovietica, e la minaccia non è più la bomba atomica. È invece il mondo islamico che si contrappone all'Occidente, grazie a un organismo paramilitare denominato Al-Qaeda. Questo gruppo (sorto alla fine degli anni ottanta) si configura, sotto molti aspetti, come una novità eccezionale. La sua struttura a reticolo, costituita da cellule, sembra poter penetrare in ogni angolo della terra, inaugurando un nuovo tipo di guerra globale. In realtà di tratta di guerriglia, ma su larga scala: è basata su un grande potenziale omicida nelle mani di pochi individui suicidi. Il terrorismo internazionale – una vera Mecca per il cinema d'azione – diventa l'incubo dell'era di George W. Bush, il nuovo presidente repubblicano degli Stati Uniti. Dopo la sua elezione, gli eventi si susseguono in una fatale concatenazione: l'attacco al World Trade Center dell'11 settembre 2001; le guerre che l'America scatena contro i presunti colpevoli (Afghanistan, Iraq); gli attentati che, a distanza ravvicinata, funestano ogni parte del globo. Per un po' di anni il pianeta non conosce tregua. La paura è reale, ma la ricerca dell'ispiratore di al-Qaeda, Osama bin Laden, si trasforma in una caccia simbolica, con qualche risvolto grottesco. Insieme con il dittatore iracheno Saddam Hussein, Bin Laden contende il trono a tutti gli «imperatori del male» del cinema di fantascienza. Ma ciò che può far fremere gli sceneggiatori – nuova ispirazione – fa tremare le minoranze nelle società occidentali. Più che altro, il panico e l'isteria collettiva diffondono un atteggiamento paranoico verso tutto ciò che è diverso per etnia, per cultura e per fede. Madame d'Ortolan insegna: l'importante è tener lontani gli alieni. Alla sensazione di accerchiamento contribuiscono le pandemie, adorate dal genere fantascientifico e minacciate (ormai quasi ogni anno) dalle autorità sanitarie mondiali. Contagion (2011), il secondo film di fantascienza girato da Steven Soderbergh dopo il 2000, porta sullo schermo l'ansia da epidemia, che ha travagliato l'intero pianeta per 156 una decina di anni182. Una buona pellicola che reca cattivi auspici. Girano il mondo terroristi e virus, spie e cellule armate: nemici difficili da vedere e da sconfiggere; viaggiano nelle metropolitane, sugli aerei, nelle goccioline di saliva, nelle buste affrancate. Altro che il multiverso di Banks. Chi può fermarli? Il grande schermo fornisce le sue risposte. Da ogni guerra fioriscono nuovi miti e il cinema si rivela, come sempre, sensibile allo schieramento del bene contro il male. Agli eroi della patria si affiancano – e proliferano – i supereroi183. Sono gli amici dei ragazzini 182 I protagonisti costituiscono un grande cast: Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow e Kate Winslet. I medici del CDC (Center for Disease Control and Prevention, Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie), l'organo sanitario americano preposto alle epidemie, cercano contemporaneamente, per trovare una cura, di indagare sui primi pazienti negli Stati Uniti e sul paziente zero in Cina. 183 I supereroi al cinema, dopo Superman (di Richard Donner, USA, Gran Bretagna 1978) e Batman (di Tim Burton, USA, Gran Bretagna 1989), ritornano in grande stile con l'avvento degli effetti speciali digitali, che consentono di rappresentarne al meglio i superpoteri. Spopolano gli eroi della Marvel Comics: nel 2000 X-Men (di Bryan Singer, USA 2000) che è considerato da alcuni, con X-Men 2 (di Bryan Singer, USA 2003), un vero capolavoro del filone; poi Spider-Man (di Sam Raimi, USA 2002) e Daredevil (di Mark Steven Johnson, USA 2003). Rispetto a quelli del passato, i protagonisti sono degli emarginati, che fanno fatica a integrarsi e sono percepiti come una minaccia dagli uomini comuni. Negli anni successivi seguono Spider-Man 2 (di Sam Raimi, USA 2004), Spider-Man 3 (di Sam Raimi, USA 2007), X-Men: Conflitto finale (X-Men: The last Stand, di Brett Ratner, USA 2006), oppure soggetti meno noti come The Punisher (di Jonathan Hensleigh, Usa, Germania 2004, remake di the Punisher, di Mark Goldblatt, Australia 1989), Ghost Rider (di Mark Steven Johnson, USA, Australia 2007), I Fantastici Quattro (Fantastic Four, di Tim Story, USA 2005) e il suo sequel I Fantastici Quattro e Silver Surfer (Fantastic Four: Rise of the Silver Surfer, di Tim Story, USA 2007). Da altre serie di fumetti (non strettamente supereroici) nascono sia La leggenda degli uomini straordinari (The League of Extraordinary Gentlemen, di Stephen Norrington, USA, Germania, Gran Bretagna, Repubblica Ceca 2003) che Van Helsing (di Stephen Sommers, USA 2004), ben recepiti dal pubblico. Risulta invece un vero flop Hulk (di Ang Lee, USA 2003). Nel 2008 escono Iron Man (di Jon Favreau, USA 2008) e un altro L'incredibile Hulk (The Incredible Hulk, di Louis Leterrier, USA 2008). Nel 2009 sono prodotti ulteriori prequels, sequels o spin off: XMen le origini-Wolverine, Punisher-Zona di guerra e Watchmen (di Jack Snyder, USA 2009). Quest'ultimo, tratto dalla graphic novel di Alan Moore, devasta il mito del supereroe americano: i protagonisti non sono granitici campioni del bene, ma esseri fragili, talvolta psicotici, sfruttati (e poi abbandonati) dal governo americano come armi segrete contro i nemici politici. 157 che escono dai fumetti, per riempire l'immaginario collettivo degli adulti e il grande schermo: talvolta con molta ironia, talora con eccessiva serietà. Gli X-Men, Spiderman, Batman, The Avengers, Iron Man, Blade, Watchman; e ancora Push, i Magnifici Quattro, il Calabrone Verde, l'imbranatissimo Defender e perfino un indistruttibile Unbreakable. Ancora per molti anni, sembra, saranno i protagonisti indiscussi del cinema fantastico. Ce n'è per tutti i gusti, per tutti i superpoteri: le sale vengono invase da prequels e da sequels, a getto continuo. Vengono coinvolti nel nuovo business cinematografico anche ottimi registi, come Sam Raimi e Tim Burton, Guillermo del Toro e Michael Gondry, Christopher Nolan e Bryan Singer. A uno sguardo superficiale, si direbbe che i cineasti mettano in scena la peggior propaganda dell'alleanza occidentale. Il mondo cristiano è destinato a vincere sui suoi nemici: sua è la forza militare, sua è la potenza economica, sua la ragione. È questo il messaggio? Non sempre. Il nuovo supereroe, per parafrasare lo Spiderman di Raimi, è un uomo con grandi talenti, ma grandi responsabilità: certamente molti dubbi. Forse non è strano che, insieme con l'eroismo, l'incertezza diventi protagonista. Bombe e nemici a parte, gli affari non girano così bene per l'America di Bush, e nemmeno per i suoi partner europei. Al termine di un decennio di relativo benessere economico, gli anni novanta, la nuova era si apre sotto il segno di una crisi mondiale. Le spese militari, le perdite umane, gli attentati che si moltiplicano, lo spettro (sempre più tangibile con gli anni) di una recessione. Qualcuno parla di fine del capitalismo, o del suo indiscusso dominio. Tutto questo produce reazioni di sfiducia verso una retorica che parla ancora di prosperità, invincibilità e progresso. Tra l'altro, il caso asiatico punta i riflettori su nuovi, inaspettati protagonisti dell'ordine economico mondiale. Al declino del Giappone negli anni novanta segue, qualche anno dopo, l'inesorabile ascesa della Cina. Sono le due facce del conflitto che vede coinvolto l'Occidente contro il resto del mondo: la guerra politica, fatta di bombe e violenza, e quella economica tra il vecchio capitalismo e le economie emergenti, che devono essere assorbite in qualche maniera. I cinesi si propagano ovunque, con una produttività inarrestabile, apparentemente privi di bisogni, di riposo, di diritti. Gli occidentali li temono, non riescono a decifrarne i segreti. Sono più spaventosi, più numerosi, più misteriosi di qualsiasi gruppo migrante prima di loro. Il risultato generale è che chi teme di essere colonizzato e ridotto in schiavitù da una potenza straniera può scegliere tra molti, molti 158 nemici. E se gli alieni ci invadessero alla vecchia maniera, insinuandosi fra noi e, pian piano, sostituendosi agli umani? E se arrivassero in grande stile, con astronavi e armi micidiali che avevano nascosto in qualche galassia lontana, per usarle al momento opportuno? E se invece ci sottomettessero in un modo non ancora previsto, magari conquistando i mercati mondiali? Eroi contro alieni. Gli eventi dell'11 settembre 2001 e i fatti che seguono trovano nei film sugli extraterrestri un ottimo mezzo di espressione. Aldilà di ogni possibile retorica, è vero che l'attacco all'America viene sferrato secondo i canoni classici dell'invasione aliena. Giunge dai cieli in modo inatteso ed è distribuito contro bersagli diversi – ma simbolici – da attentatori che si mescolano alla gente comune; provoca un'ondata di panico che viene amplificata dalle televisioni e da internet, e si propaga in pochi secondi in tutto il globo. Anche ciò che viene dopo si direbbe una trovata cinematografica. Le campagne militari dell'amministrazione Bush introducono strategie belliche e armamenti che sembrano destinati al grande schermo. I droni Predator (dal nome evocativo) creano, in potenza, un nuovo modello di combattente, che può pilotare e colpire a molta distanza dalle sue vittime, tanto da sentirsi sollevato da ogni responsabilità. In Iraq i tradizionali soldati muoiono a decine: è chiaro, però, che in futuro fare la guerra non sarà più impegnativo che giocare a un videogioco. Anche qui le reti televisive e gli altri media contribuiscono a mescolare la realtà alla finzione. È come prendere atto che la vita vera può realizzare solo del pessimo cinema di fantascienza: banale, sanguinario, volgare. Improvvisamente, le sceneggiature e i trucchi da baraccone di Roland Emmerich – Independence Day – acquistano una nuova dignità. Mentre la vita cerca di imitare l'arte, la settima arte cerca di dare un senso all'invasione aliena. Ci provano due strenui difensori della bandiera americana: il regista M. Night Shyamalan e Steven Spielberg. Il primo, nel 2002, esce nelle sale con Signs184. È un film che ha alcune virtù, tra cui la capacità di creare una tensione degna di un thriller della vecchia scuola, ma anche molti difetti: troppa 184 Del film è stata apprezzata soprattutto l'interpretazione dei giovani attori che compongono la famiglia di Mel Gibson (il reverendo Graham Hess): Joaquin Phoenix (Merrill Hess), Rory Culkin (Morgan Hess) e Abigail Breslin (Bo Hess). 159 retorica e troppo sentimentalismo. Un pastore americano (Mel Gibson), che ha perso la fede dopo la morte della moglie, la ritrova dopo un incontro ravvicinato con un alieno, che mette a repentaglio la sua vita familiare. L'extraterrestre è brutto, macilento, cattivo: per fortuna si vede poco. Verrà respinto con armi improvvisate, simboleggianti la migliore americanità: quella che crede in Dio, in se stessa e nelle mazze da baseball, che servono a «colpire forte» («swing away») l'avversario. Si tratta di un film intimista, non necessariamente razzista o anti-islamico. Resta però un fatto inequivocabile: la carità religiosa non contempla gli alieni, che forse sono figli di un Dio minore, forse di nessuno. E vanno colpiti forte. Non meno convinto nel messaggio, ma più movimentato e divertente è il remake dell'ex "irenico" Steven Spielberg, che nel 2005 ripropone La guerra dei mondi (War of the Worlds)185 con tanto di intramontabili tripodi. Tom Cruise, padre cialtrone e avventato, diventa eroe per caso e ricompatta la famiglia grazie a due grandi talenti: la sopravvivenza e la fuga. Spielberg si riconferma maestro delle trame spicce, pulite e piene d'azione, dei crescendo di tensione e orrore, dei biondi bambini prodigio. La retorica filo-americana ci sarà pure, ma è smorzata da una fine improvvisa, che lascia in bocca il sapore del puro caso. Gli alieni sono cattivi, certo. Tuttavia essere ricchi, previdenti, laboriosi e con una buona assicurazione medica non servirà a sconfiggerli. Non è forse vero che un individuo scombinato come Tom Cruise se la cava, mentre l'integratissimo professionista Tim Robbins soccombe? Forse Spielberg, pur nella sua apologia degli Stati Uniti del dopo 11 settembre, vuole dirci qualcosa sulla fine del capitalismo e del sogno americano che non avevamo ancora sentito. Tra l'altro, La guerra dei mondi è l'ultimo film davvero decente che rappresenti alieni cattivi e temibili. Nel 2011 faranno la loro comparsa ben due pellicole che mettono in campo grandi capacità formali e una sconcertante banalità nella narrazione e nel contenuto. Sono Skyline (di Colin Strause, Greg Strause) e World Invasion (Battle: Los Angeles, di Jonathan Liebesman). Lo stesso anno il film Sono il Numero Quattro (I Am Number Four, di Daniel John Caruso) tenta una formula diversa: extraterrestri buoni contro extraterrestri cattivi e terrestri in mezzo. Il risultato è fanciullesco e poco originale. 185 Il film ha riscontrato un buon successo, incassando tre nomination per gli Oscar e soprattutto 591.700.000 dollari in tutto il mondo. Molti premi internazionali come attrice non protagonista ha ricevuto la piccola Dakota Fanning, nel ruolo della bambina Rachel, figlia di Tom Cruise. 160 E se fossero i terrestri a essere nocivi, crudeli, aggressivi? Alla fine del decennio le perplessità già espresse da Spielberg nel 2005 si trasformano in film potenti e pieni di sorprese. Nel 2009 esce District 9, del neozelandese Neill Blomkamp186, estremamente innovativo per le tecniche di ripresa (che fondono molti stili diversi) per il montaggio e per l'abilità nell'uso di ogni tipo di effetto visivo. Anche il contenuto è spiazzante. District 9 racconta, infatti, la bieca disumanità degli esseri umani, in un modo che nella fantascienza non ha precedenti per l'esplicita crudezza. Migliaia di extraterrestri giungono, negli anni ottanta, nei cieli sopra Johannesburg a bordo di un Ufo gigantesco. Sporchi, smarriti e denutriti, vengono trasferiti nel cosiddetto Distretto 9: è un ghetto-lagher dove rimangono per vent'anni, controllati da una multinazionale che vuole impossessarsi della loro tecnologia. Sono brutti e sgradevoli: gli umani li chiamano con disprezzo «prawns» («gamberoni»). Oltretutto, occasionalmente si ribellano, tanto che il Distretto 9, troppo vicino alla città, deve essere sgombrato. Nel momento in cui devono essere deportati in massa, inizia a insinuarsi qualche dubbio nel protagonista, Wikus Van De Merwe, che pur subendo gli effetti di una mutazione genetica li aiuterà a tornare a casa. L'anno successivo, il 2010, esce Monsters, un film di avventura tradizionale, ma ottenuto con mezzi e tecniche d'avanguardia, nonostante il budget ridottissimo. Miracoli della computer graphics, ma anche della creatività e della passione del giovane regista britannico Gareth Edwards, che realizza con pochi soldi tutto quello che serve per divertirsi187. Ci sono alieni grandi, molli e terribili ma in fondo incuranti, che vogliono solo sopravvivere e corteggiarsi fra 186 Il film si presenta come un documentario, con interviste, servizi giornalistici e spezzoni video di telecamere di sorveglianza. È prodotto dal famoso regista neozelandese Peter Jackson con un budget di 30 milioni di dollari. Sceneggiato dal regista e dall'amica Terri Tatchell, deriva dal cortometraggio Alive in Joburg, diretto dallo stesso Blomkamp nel 2005. Il titolo si ispira a episodi avvenuti in Sudafrica durante l'apartheid in un'area residenziale di Città del Capo, District Six. Wikus Van De Merwe è ispirato all'astronauta Caroon del film L'astronave atomica del dottor Quatermass del 1955 (v. nota 83), contaminato da una forma di vita extraterrestre fino a subire una disgustosa metamorfosi. Nel 2010 il film ha ottenuto quattro candidature ai Premi Oscar, tra cui quella per il miglior film. 187 Il film è costato 125.000 dollari circa nella lavorazione, 500.000 dollari in totale. Edwards si è occupato anche di parte del montaggio, degli effetti speciali e dello script. Non ha scritto in realtà una vera e propria sceneggiatura, ma un canovaccio per scene successive, lasciando gli attori liberi di recitare a soggetto. 161 loro; e poi soldati americani che sparano in modo indiscriminato, governati dalla fobia del mostro e dalla cecità delle autorità terrestri; e poi ancora una coppia di giovani che si sposta verso gli Stati Uniti, in un burrascoso road movie che sfocia, ovviamente, in una presa di coscienza. Loro sono brutti, noi siamo cattivi. Nel 2011 ancora un tributo ai classici della fantascienza e soprattutto a Spielberg. È Super 8, di J. J. Abrams188, che riesce a fondere film diversi nella stessa opera: uno che parla dell'adolescenza nella provincia americana (siamo alla fine degli anni settanta), tra la paura e il disagio di infrangere le regole dei padri; uno che si ispira ai contatti alieni della cinematografia del passato, svelati poco a poco, per indizi successivi; uno che critica, con veemenza, l'incapacità dei terrestri di ascoltare e capire il diverso. Fa eccezione, per l'appunto, un gruppo di cineoperatori in erba, dotato di una magnifica macchina da presa 8 mm, come si usava nel 1979. Il mondo salvato dai soliti ragazzini? Non proprio: qui il pessimismo che accompagna l'incontro umani-alieni è tangibile. Gli adolescenti non riescono a evitare una battaglia feroce (i terrestri conto l'extraterrestre), se non alla fine. Spielberg viene devotamente omaggiato, ma poi superato: al suo "umanismo" si sostituisce il "disumanismo" convinto dei suoi successori. In volo verso il futuro. Il cinema di fantasia non partorisce solo supereroi; anche se questi sembrano i grandi favoriti da un vasto pubblico di bambini, ragazzoni e adulti divertiti. È la fantascienza, piuttosto, che si occupa di raccogliere il testimone del pessimismo diffuso che caratterizza questo inizio di millennio. Intanto, non mancano i film che disegnano apocalissi annunciate. Ci prova per ben due volte Roland Emmerich, il maestro tedesco del già visto-già sentito, con tutta la potenza di effetti speciali che sono (davvero) la fine del mondo. La prima volta è nel 2004, con il The Day After Tomorrow - L'alba del giorno 188 Super 8 è diventato famoso anche per l'impiego di contenuti nascosti nelle diverse versioni dei trailer e nei teaser trailer (i prossimamente in versione più breve) e per la proposta di un ARG (in inglese, Alternative Reality Game), che ha incuriosito e richiamato molti spettatori. L'ARG è un gioco enigmistico in cui vari strumenti web (blog, e-mail, minisiti) forniscono indizi (per esempio coordinate spaziali) che rimandano alla realtà (un luogo concreto, come una cabina telefonica), dove risiede la soluzione. 162 dopo189, dove alcuni sopravvissuti si muovono in una New York spopolata dal gelo di una nuova glaciazione. Il secondo tentativo è nel 2009, con un film che si chiama 2012: è la data della distruzione di alcuni continenti a causa del surriscaldamento della superficie terrestre. Intanto, i ricchi scappano a bordo di gigantesche arche, cercando terre non sommerse. Il papa, il presidente del consiglio italiano e il presidente degli Stati Uniti sono i soli capi di Stato a rifiutare la salvezza e sembra, tutto sommato, che il pianeta se ne faccia rapidamente una ragione. L'eroe dell'intero genere umano è solo uno: lo scrittore di fantascienza Jackson, interpretato da John Cusack. Uno sforzo immane ma inutile, il suo. La bravura di pochi individui eccezionali potrebbe forse salvare il mondo, ma non può far nulla per il film. Un vero disastro190. Le visioni apocalittiche rappresentano, senza dubbio, un esercizio difficile. Nemmeno i cineasti più originali riescono a convincere il pubblico e la critica al tempo stesso. Segnali dal futuro (Knowing, 2009), dell'ex regista underground Alex Proyas – a parte qualche trovata eccellente e qualche colpo di scena non scontato – si perde nella consuetudine del catastrofismo hollywoodiano e consegna tutto il film nelle mani del solo, bravissimo Nicholas Cage. Nel 2007 esce un film dello scozzese Danny Boyle, Sunshine. È un'opera che delude rispetto ai primi lavori del regista, perché vuole rendere omaggio a troppi autori e troppi generi e finisce per sembrare una coperta patchwork di film disomogenei. Certo è che si distingue per uno stile particolare – cupo e lievemente grottesco – dalle altre pellicole dedicate alla fine del nostro pianeta191. Forse è questione di proporzioni: qui non è la terra a venire meno, ma il sole, con conseguenze drammatiche per il resto del sistema solare. 189 Il messaggio è decisamente ambientalista, ispirato alle discussioni sul Trattato di Kyoto, che anche nella realtà non è ratificato dagli Stati Uniti. Il regista Roland Emmerich riprende qui la sua prima opera, un film ecologista del 1984 sul conflitto uomo-natura: 1997-Il principio dell'Arca di Noè. Il regista sborsa 200.000 dollari di tasca sua per realizzare una produzione "ecologica", che riduca le emissioni inquinanti o di anidride carbonica producendo energia da fonti alternative. 190 Alcuni collocano nel genere fantascientifico anche il film The Road (2009) diretto da John Hillcoat. La questione è però controversa. È un adattamento del romanzo di Cormac McCarthy La strada, del 2006, vincitore del Premio Pulitzer nel 2007. Viggo Mortensen e Kodi Smit-McPhee sono padre e figlio in viaggio verso sud, mentre cercano di sopravvivere in uno scenario post apocalittico. 191 Nel 2007 esce anche il brutto remake Io sono leggenda, che fa rimpiangere Charlton Heston e il film 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra (v. p. 97). 163 Accanto alle catastrofi che verranno, ci sono pur sempre le società future: luoghi e tempi dove, di solito, non è piacevole vivere. I cineasti degli anni duemila provano a tirare le fila delle tante utopie (o distopie) cinematografiche create dagli esordi della fantascienza. Lo fanno, perlopiù, in modo goffo e poco convincente. Equilibrium, di Kurt Wimmer (2002) e Æon Flux – Il futuro ha inizio, di Karyn Kusama (2006) sono due film commerciali, inconsistenti, che rivelano scarsa immaginazione da parte del regista. Ce ne sono altri, però, che partono con qualche (frustrata) ambizione. Nel 2004 esce FAQ: Frequently Asked Questions, una delle poche distopie spagnole firmate dal semi-sconosciuto Carlos Atanes. Nel 2006, il secondo film dell'ex regista indipendente di Donnie Darko, Richard Kelly: si tratta di Southland Tales - Così finisce il mondo. Sono film banali nelle proposte; perlopiù sconclusionati, faticosi, eccessivi. Un altro cineasta promettente, il francese Mathieu Kassovitz, nel 2008 dà il suo contributo al brutto cinema con Babylon A.D. Poche speranze per gli umani, quasi nessuna per i cineasti. Due utopie nere, per fortuna, tengono alta la bandiera del genere e quella del sottogenere. V per Vendetta (V for Vendetta, 2005)192 è forse l'unica trasposizione cinematografica dei fumetti del celebre Alan Moore che si possa catalogare davvero come fantascienza. Il regista McTeigue disegna a tinte fosche la Gran Bretagna del futuro, totalitaria, intollerante e violenta: al governo si oppone un uomo mascherato, mister V, con l'aiuto della giovane Evey. V. si sente un anarchico radicale, anche se è ispirato curiosamente dalle gesta dell'eroe cattolico Guy Fawkes, l'attentatore di Giacomo I d'Inghilterra. Quel che è certo è che la sua identità è ambigua; così come, in realtà, quella dell'intera pellicola, che si ispira a un fumetto, ma poi lo tradisce completamente. Il risultato è comunque piuttosto felice. Ispirato a un romanzo della scrittrice P.D. James, I figli degli uomini (Children of Men, 2006), di Alfonso Cuarón è forse il tentativo più serio di esprimere l'angoscia per una società in dissoluzione. Il periodo concesso al genere umano sulla terra è agli sgoccioli, e le ragioni non si conoscono: il che, francamente, è peggio. Non si sa cosa sia stato, ma lo abbiamo meritato. L'umanità, per proteggersi da se stessa, ha smesso di riprodursi: è l'ultimo 192 Diretto da James McTeigue, assistente alla regia di Lucas e dei fratelli Wachowski, il film è stato scritto e prodotto proprio dai registi di Matrix. Il risultato è un film visivamente bello, zeppo di effetti speciali scoppiettanti, con un certo ritmo. 164 gradino dell'evoluzione, quello che dà su un precipizio. Mutazioni, guerre atomiche, epidemie: qualsiasi cosa sia successa, da diciotto anni non nascono più bambini. A Theo (Clive Owen) è affidata l'ultima donna incinta, che deve essere scortata fino a un santuario sul mare, attraverso un viaggio pericolosissimo, fatto di rovina, sparatorie e distruzione. La Londra del futuro è un'accozzaglia impressionante di folle allo sbando, vecchi arnesi dismessi (come le macchine) e guerra di tutti contro tutti. È un film con un ritmo strano, discontinuo, ma ben congeniato e originale nell'impostazione. In più il personaggio dell'eroe, principale carburante di molti film di fantascienza, viene messo da parte come fosse un dispositivo arrugginito193. Il vero protagonista sono le masse, le genti che si muovono disordinatamente, confuse e senza meta, verso la fine del mondo. Lo spettatore esce dal cinema decisamente sconfortato. Che potrà mai fare un neonato solo per l'intera umanità? Il ritorno dei classici. L'estinzione del genere umano è un programma un po' tetro, perfino per gli anni duemila. Così, a corto d'idee sulla società futura, il nuovo cinema di fantascienza si focalizza ancora sulla realtà virtuale. L'ambientazione ideale non è più il cyberspazio, che sembra ormai dimenticato, ma sono i recessi più oscuri dell'essere umano: la mente, l'inconscio, le sensazioni. Prosperano, dopo il successo di Matrix, le situazioni parallele alla realtà create dalla memoria, oppure le alternative dettate dalla scelta e dalla capacità di previsione del futuro. Philip K. Dick, il capofila della soft sci-fi (la fantascienza più introspettiva e sociologica), viene selvaggiamente saccheggiato dagli sceneggiatori alla ricerca di una trama appetibile. Non sempre, tuttavia, se ne ricava qualcosa di buono. Gli universi paralleli, nei gusti del pubblico, si usurano con grande rapidità e vanno sostituiti da ipotesi sempre più eccitanti. Ma, come è facile prevedere, si tratta di un gioco al rialzo a cui non tutti i registi riescono a partecipare dignitosamente. In questo inseguimento del pulp e dello spettacolo da baraccone, nasce un fenomeno che si pone controcorrente rispetto ai percorsi dell'ultimo decennio. Non è esattamente un filone alternativo: si 193 Nel film, il cui vero protagonista è la folla, ci sono però dei riusciti cammei di singoli personaggi, come quello dedicato all'attivista Julian (Julianne Moore) o allo scienziato eremita Jasper, interpretato da un irriconoscibile Michael Caine. 165 potrebbe definire un movimento tradizionalista, piuttosto, o nostalgico. Esso recupera i temi cari alla fantascienza precedente agli anni ottanta, affidandoli a remake di vecchie pellicole o a opere di impianto rigidamente classico. Il viaggio spaziale è uno dei più praticati. Nel giro di poco tempo sboccia una quantità eccezionale di film che, effetti visivi a parte, a fatica si distinguerebbero da quelli di un trentennio prima. Nel 2000 esce il film Pianeta rosso (Red Planet, di Anthony Hoffman), che, nel descrivere un fallito tentativo di colonizzazione di Marte, si ispira un po' troppo ad altri film, ma soprattutto a 2001: Odissea nello spazio194. Non tanto più originale si rivela, lo stesso anno, Mission to Mars, di Brian De Palma195, per quanto sostenuto da immagini meravigliose, senza eguali. Né merita il prezzo del biglietto quell'utopia nera un po' volgare, che è Pitch Black196, di David Neil Twohy, che di nuovo ha solo un prototipo davvero sgradevole di antieroe, Richard B. Riddick (Vin Diesel), involuzione feroce del pirata gentiluomo Jena Plissken. Se non altro, Riddick incarna un monito per le generazioni a venire: non si mandano i delinquenti in giro per lo spazio, o a colonizzare i pianeti. Peggiore di tutti i precedenti, nel 2008 esce un film dedicato ai teletrasporti rapidi da un posto all'altro della terra: è Jumper-Senza confini (Jumper), di Doug Liman, un blockbuster di buon successo, giustamente ignorato dai critici. Altri film sul viaggio risultano, invece, ben più divertenti. Nel 2005 la nave mercenaria Serenity, di Joss Whedon, fa sognare le gesta di pirati gentiluomini, grazie a un budget ridotto (e, dunque, pochi effetti speciali), e a una buona potenza immaginifica del regista 197. Lo stesso anno la Guida galattica per autostoppisti (The Hitchhiker's Guide to the Galaxy), di Garth Jennings, riesce a restituire in modo più che dignitoso la comicità, tenera e intelligente, del libro di Douglas Adams, in cui la terra – cose che capitano – è 194 L'eredità di 2001: Odissea nello spazio è esplicita e dichiarata (anche qui il comandante, sebbene donna, si chiama Bowman come il protagonista di Kubrick). I marziani sono, tanto per cambiare, delle specie di scarafaggi. 195 Il film, e soprattutto la regia di Brian de Palma, non hanno ricevuto una buona accoglienza. De Palma è riuscito a ottenere addirittura la nomination al Razzie Award dell'anno 2001 per il peggior regista. 196 The Chronicles of Riddick è il seguito, girato nel 2004 dal regista David Twohy con lo stesso protagonista (Riddick, sempre interpretato da Vin Diesel). 197 Il film è in realtà la conclusione di una serie tv di grande successo ideata da Joss Whedon: Firefly (15 episodi, USA 2002-2003). In Italia il film è arrivato prima delle puntate del serial. 166 stata spianata per costruire un'autostrada intergalattica 198. Nel 2009 Pandorum, di Christian Alvart, racconta di un'astronave che la pazzia di qualcuno (una malattia "professionale" degli astronauti detta pandorum) ha trasformato in una realtà allucinante, piena di mostri e insidie. La pellicola si presenta come uno strano collage di film del passato (primo tra tutti, Solaris di Tarkovskij), ma riesce a passare il vaglio spietato della critica, e perfino quello del pubblico: alla fine, la trama e il ritmo funzionano. Un altro grande tributo alla fantascienza classica proviene dalla riproposta dei viaggi nel tempo. Nel 2002 il deludente remake The Time Machine (del pronipote di H. G. Wells, Simon Wells) mette nuovamente in scena un cult di George Pal del 1960199, che immagina un'umanità posteriore di 800.000 anni. Nel 2004, invece, il film Primer, del regista Shane Carruth, costruisce un intreccio intelligente, basato sui paradossi temporali che i viaggi temporali possono generare. A che cos'altro dovrebbero servire, infatti, se non a speculare in borsa? Anche L'uomo che venne dalla Terra (The Man from Earth, 2007), di Richard Schenkman, è un film intrigante200. Il trasferimento temporale è qui immaginato al contrario e ne è protagonista un uomo di Cro-Magnon di ben 14.000 anni, John Oldman, sopravvissuto fino ai giorni nostri e insignito di una cattedra universitaria. Tutto questo suonerebbe sinistro, se solo Oldman non fosse, in effetti, un brillante intellettuale, che coinvolge i suoi colleghi 198 Il film è tratto dalla celebre serie Guida galattica per gli autostoppisti, ideata per la radio della BBC dallo scrittore umoristico britannico Douglas Adams e in seguito da lui trasformata in una serie di romanzi che costituisce, secondo l'autore, «una trilogia in cinque parti». Sono protagonisti Arthur Dent, un terrestre, il suo amico Ford Prefect e qualche altro extraterrestre (compreso un androide nevrotico), ma soprattutto una guida turistica galattica, scritta come un enciclopedia, che è il fulcro della trama dei romanzi e che svela i misteri del cosmo. 199 È ispirato all'omonimo romanzo La macchina del tempo di H. G. Wells e al film di Pal del 1960 L'uomo che visse nel futuro, di cui conserva pressoché intatti la trama e personaggi. 200 Il film è scritto da Jerome Bixby. La sceneggiatura fu iniziata nei primi anni sessanta e fu completata solo a pochi giorni dalla morte, nell'aprile 1998. La vicenda è ambientata in una casa con veranda ed è affidata alla sola conversazione per lo svolgimento della trama: la storia è altro se non discussione di natura intellettuale tra l'ex uomo di Cro-Magnon (che sta per traslocare) e i suoi amici professori e insegnanti, alcuni esperti di paleo-archeologia, antropologia e biologia. Il protagonista è David Lee Smith nel ruolo di John Oldman, dall'aspetto di un caucasico trentacinquenne. 167 in una discussione filosofica sulla natura umana, sull'evoluzione della specie e sulla religione. Niente effetti speciali mirabolanti: solo una sceneggiatura di stampo teatrale, piena di parole e di senso. Sia il cavernicolo sia il film si rivelano più raffinati e piacevoli di quanto non si possa pensare. Per gli amanti del tempo passato, il cinema riporta in auge un altro grande classico, in realtà mai tramontato. È il tema dei robot, degli androidi e dei replicanti, che continua a ispirarsi, in primo luogo, ai personaggi del grande scrittore Isaac Asimov. Risorgono dalle lamiere i celebri R. o A. (l'iniziale puntata che precede il nome proprio o il modello di robot e androidi), soggetti alle tre leggi della robotica: ricompare, nei panni di Sonny, il più famoso di loro, Daneel Olivaw, automa poliziotto e filantropo che approderà alla Fondazione201. Nel 2004 esce nelle sale Io, Robot (I, Robot), di Alex Proyas. Stroncato dalla critica, il film riscuote un buon successo di pubblico, grazie anche all'onnipresente e acclamato Will Smith, alla magnificenza degli effetti speciali e alla straordinaria animazione di Sonny (alias Daneel). Realizzando una vecchia idea di Stanley Kubrick, il re del melodramma fantascientifico, Steven Spielberg, realizza nel 2001 un film più triste che poetico sull'amore millenario di un robot bambino per la sua mamma umana. È A.I. - Intelligenza Artificiale, che utilizzando generosamente gli effetti digitali e la fiaba di Pinocchio si interroga – in modo un po' irritante – su un futuro senza esseri umani e sulle possibili evoluzioni (sentimentali) degli androidi. I quali, per parafrasare Philip K. Dick, ora sognano Fate Turchine202. E, a proposito di sentimenti tra umani e androidi, in questo stesso periodo approdano nelle sale film che trattano, in maniera non sempre innovativa, un vecchio tema: i limiti leciti della tecnologia e il 201 R. (o A.) Daneel Olivaw è un robot umanoide che compare per la prima volta nel romanzo di Isaac Asimov Abissi d'acciaio, ma che è poi il trait d'union di molti libri successivi, come il Ciclo dei Robot e i più recenti episodi della Fondazione. Si potrebbe dire che Daneel è ciò che lega buona parte della fiction di Asimov in un insieme omogeneo. È lui a enunciare la Legge Zero della Robotica: «Un robot non può nuocere all'umanità o, tramite l'inazione, permettere che l'umanità riceva danno». È lui, quindi, a modificare le tre leggi originali aggiungendo a ciascuna il comma: «Purché non sia in contrasto con la Legge Zero». 202 Il film non ha ricevuto premi Oscar (due nomination per gli effetti speciali e la musica) ma ben cinque Saturn Awards 2001: miglior film di fantascienza, miglior sceneggiatura, miglior attore emergente (Haley Joel Osment), miglior colonna sonora e migliori effetti speciali. Il bimbo David (Osment) è lo stesso straordinario attore del film Il sesto senso diretto da M. Night Shyamalan (1999). 168 confine tra l'umano e l'artificiale. Il primo è ispirato a Blade Runner nella forma e nel contenuto. Natural City (내츄럴 시티, di Amin Byungcheon, Sud Corea 2003) è un prodotto dalle atmosfere ricercate: un paesaggio urbano dark e molto losco. Tuttavia il film riesce a sfiorare il ridicolo grazie alla sceneggiatura traballante e a un poco credibile Ji-tae Yu nel ruolo del poliziotto R, innamorato di una cyborg. Nel 2009 esce invece la trasposizione filmica di un bel fumetto 203: è Il mondo dei replicanti, dell'americano Jonathan Mostow. Si tratta di un prodotto di buona qualità, almeno dal punto di vista delle immagini, che stimola anche qualche doverosa riflessione sulla dipendenza umana dalla tecnologia. Qui i surrogati (repliche dei singoli individui) non sono utilizzati come schiavi o come elettrodomestici evoluti, ma come agenti di una realtà virtuale. Sono acquistati dagli umani per provare paura al loro posto e per affrontare i pericoli della vita quotidiana, accentuati da media ossessivi. Gli automi sono rosei, in forma e sempre ben pettinati. Quello di Bruce Willis (il detective Tom Greer) è biondo, con la frangia. Dopo aver sventato un complotto per la distruzione dell'intero genere umano, Tom Greer, nella sua versione in carne ed ossa (che è calva), libererà il mondo da tutti i surrogati, lasciando il campo libero ai loro intimoriti padroni. Il film ha un'apparenza rigida, legnosa, plastificata, almeno quanto le macchine umanoidi di cui parla. Per quanto sia interessante l'appello a non affidarsi alla tecnologia per sostituire la vita vera, il risultato è abbastanza deludente. È il surrogato di un bel film. Memoria, preveggenza e multiverso. Ogni sognatore ha un sogno solo: quello di sfuggire al presente. Ma il protagonista della fantascienza degli anni duemila ne ha almeno un altro: quello di sfuggire al futuro. Appellandosi al multiverso o alla realtà virtuale, i registi propongono delle alternative a un fenomeno molto impopolare: l'obbligo di pagare per gli errori nostri e altrui, oppure per gli scherzi di un destino spietato. Ci prova il geniale regista indipendente, Richard Kelly, con un film che, uscito nel 2001, dopo poco tempo diventa un cult, almeno secondo i critici e i 203 Il film è basato sulla miniserie a fumetti The Surrogates sceneggiata da Robert Venditti e disegnata da Brett Weldele. La casa di distribuzione è la Walt Disney Pictures. 169 cinefili204. È Donnie Darko, la storia di un adolescente problematico che scampa a un curioso incidente aereo, ma che poi deve porre riparo a ciò che Frank – il gigantesco coniglio che gli appare di frequente – gli ha rivelato. Confortante: la fine del mondo avverrà fra 24 giorni. Forse Donnie non è pazzo, non si è inventato tutto. È una pellicola che sembra una storia di giovinezza inquieta: in realtà parla di morte e dell'angoscia che accompagna la consapevolezza che il tempo sulla terra è limitato. Ma il suo tema sono anche i paradossi temporali. Un'interferenza tra un universo tangente e quello reale rischia di distruggere la vita delle persone che Donnie ama: oppure, a quanto dice il coniglio, di far scomparire l'intero multiverso. La preveggenza (che qui si realizza per piccoli indizi) serve a scongiurare questa possibilità? È davvero un film strano e importante. Ogni volta che lo si rivede, la trama sembra diversa e il mistero sembra infittirsi o, finalmente, risolversi. Più convenzionale, ma comunque interessante e spettacolare, è un film di Steven Spielberg del 2002, tratto da un racconto di Philip K. Dick, che parla di altri futuri possibili. Si chiama Minority Report205: un rapporto di minoranza scaturito da eventi che vengono previsti prima che accadano. Ancora precognizione. Qui non è dovuta al sovrapporsi di universi paralleli, ma alle doti straordinarie di tre esseri umani, lasciati a bagno in una vasca speciale. Essi trasmettono di continuo le loro visioni all'unità operativa comandata da John Anderton (Tom Cruise). Lo scopo dell'intero sistema è solido e reale: debellare il crimine che deve ancora essere commesso. Eppure, ciò che verrà non è dato una volta per tutte. Intanto, esiste un rapporto di minoranza, che significa che permane un'incertezza sul futuro. Poi esiste la possibilità di cambiare con azioni giuste un destino criminale. Ma esiste ancora una terza possibilità, un po' contorta: assecondare il destino proprio mentre tenti di cambiarlo, oppure contribuire a cambiarlo rassegnandoti e accettandolo. Si tratta forse della quintessenza del paradosso temporale. 204 In Italia il film non approda alle sale nel 2002, ma solo nel novembre 2004, dopo la sua presentazione (fuori concorso) alla 61ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2004). Intanto negli Stati Uniti è già uscito il director's cut. A parte il successo veneziano, si tratta del classico caso di viral marketing, in questo caso un semplice passaparola fra quelli che hanno visto il film. 205 Il film ha vinto diversi Saturn Award nel 2003 come miglior film di fantascienza, miglior regia, miglior sceneggiatura e migliore attrice non protagonista a Samantha Morton. 170 Sulla scorta di questo stesso soggetto (ma con altre implicazioni) nel 2007 esce il film Next, del neozelandese Lee Tamahori206. Qui Frank Cadillac (Nicholas Cage) sfoggia una capacità di preveggenza a breve termine: due minuti, abbastanza per mettere a segno qualche piccolo imbroglio nelle sale da gioco, ma forse anche per sventare attentati terroristici. Un film di pura azione, senza grandi pretese, molto liberamente ispirato al racconto di Philip K. Dick Non saremo noi (The Golden Man, 1954). Tuttavia una riflessione, per quanto messa a margine della trama, si impone perfino allo spettatore più distratto: il futuro non è un percorso obbligato. Si potrebbe dire, anzi, che il destino è un concetto vario, articolato in molte possibilità. Chi si pone come osservatore (per esempio, chi lo prevede due minuti in anticipo) può interferire, anche inconsapevolmente, sul suo corso. La preveggenza (precognition) e l'idea di universo multiplo intrecciano le loro sorti, almeno sul grande schermo. Ma in questi anni proliferano anche i film che vincolano le realtà parallele alla facoltà della memoria. Nel 2003 il film Paycheck, di John Woo, rende ancora omaggio al grande Philip K. Dick, ma in un modo abbastanza inefficace e poco originale. C'è una memoria che viene cancellata, una multinazionale cattiva e una macchina che prevede il futuro: ciò che resta è un buon ritmo, una sceneggiatura mediocre e la pessima recitazione di Ben Affleck. Tenero e sorprendente è invece il film del 2004 dell'allora poco conosciuto Michel Gondry, Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind)207. Una sceneggiatura complessa ma comprensibile si aggiunge a un cast eccezionale, a immagini belle e a un montaggio pulito. Clementine (Kate Winslet), si affida alla Lacuna Inc. per farsi cancellare dai ricordi la relazione con Joel (Jim Carrey), che decide di imitarla. La loro storia – un continuo avanti e indietro sulla linea della memoria – si intreccia a quelle di altri individui che lavorano per la Lacuna e che annullano i ricordi di professione. Sono Patrick (Elijah Wood), Stan 206 Il cast è composto da attori di grande richiamo: Nicholas Cage, Jessica Biel, Julianne Moore e perfino, in un breve cammeo, Peter Falk. 207 La sceneggiatura del film (Oscar 2005) è opera di Charlie Kaufman, genio delle visioni inconsce, autore di Essere John Malkovich (Being John Malkovich, di Spike Jonze, USA 1999), Il ladro di orchidee (Adaptation, di Spike Jonze, USA 2002) e Confessioni di una mente pericolosa (Confessions of a Dangerous Mind, di George Clooney, USA 2002). Il titolo italiano viene criticato per la distanza da quello originale e perché inganna il pubblico prospettando il film come una commediola blockbuster. Il titolo inglese, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, è invece preso da un verso del poema inglese di Alexander Pope dal titolo Eloisa to Abelard (1717). 171 (Mark Ruffalo) e la sua fidanzata Mary (Kirsten Dunst), che alla fine saboterà l'intero processo di cancellazione. Sbandati, depressi e opportunisti: questi viaggiatori della memoria sono così. Sono poveracci, come tutti quelli che hanno ottime ragioni per scordarsi interi pezzi del passato. Ma alla fine l'inconscio resiste, mette freni all'oblio, combatte come un leone perché l'essere umano possa ripetere, identici, gli stessi sbagli. È davvero del buon cinema. Ciascuno spettatore è libero di trovarvi un messaggio di speranza o l'indizio del suo essere irrecuperabile. Altri due ottimi film si concentrano sui meandri della memoria, quella propria e quella altrui. Nel 2010 Christopher Nolan dirige mirabilmente Inception208, che forse ha il solo difetto di dover essere guardato con un'attenzione vivissima: non quella che, di solito, si riserva all'intrattenimento. La trama è complessa, perché si svolge a tre livelli diversi: è l'architettura di un sogno speciale, indotto artificialmente nel sonno del miliardario Robert M. Fisher. In questo triplice mondo, l'avventuriero Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) con alcuni complici (un falsario, un'architetta, un anestesista) ha il compito di innestare (“inception” è l'innesto) alcune idee sulla società di Fisher che spianerebbero la strada all'avversario Saito. Dom è un professionista: normalmente estrae dalla testa dei sognatori preziose informazioni che gli vengono pagate. Ora, sotto ricatto, deve fare il contrario. Ma per percorrere i sogni altrui, per quanto fittizi e progettati a tavolino, non occorrerebbe avere scheletri nell'armadio, né mostri dell'id: nulla di mortale in mente, perché potrebbe uccidere davvero. Dom rischia di restare intrappolato e poi di venire ucciso nei sogni di Fisher. In questa storia il piano onirico e quello dei ricordi interferiscono a tal punto da rendere chiaro un messaggio: nessuna realtà virtuale è così blindata rispetto alla vita vera; nessuna verità concreta è al riparo dalla finzione, dall'artificialità, dalle nostre personali proiezioni del reale. La morte e il ricordo del dolore prevalgono su ogni cosa, costringendoci ad aggrapparci a un'esistenza posticcia. È un film mozzafiato, in cui gli scenari si costruiscono e si sgretolano uno dopo l'altro, spesso lasciando lo spettatore appeso tra i vari livelli. Ma soprattutto è un film ansiogeno e tristissimo. 208 Inception è scritto, prodotto e diretto dal regista Christopher Nolan e ha nel cast Leonardo DiCaprio, Ken Watanabe, Joseph Gordon-Levitt, Ellen Page, Marion Cotillard, Cillian Murphy e Michael Caine. Ottiene ben quattro Oscar nel 2011: miglior fotografia, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro e migliori effetti speciali. 172 Un altro esperimento filmico sui gradi di realtà viene condotto nel 2011 dal visionario regista Duncan Jones con il suo movimentato Source Code. È un esperimento riuscito, dove una trama cervellotica si trasforma in divertimento e azione senza pause. Colter Stevens (Jake Gyllenhaal) fa parte, senza avervi aderito, di un sofisticato programma governativo sperimentale, il source code, che ha lo scopo di sventare gli attacchi terroristici. Lui è già pressoché morto (in Afghanistan), ma mentre il suo corpo si trova in una sede militare, il suo cervello è utilizzato per entrare più e più volte nel source code. Nei panni di un insegnante presente al fatto, è costretto a rivivere a ciclo continuo gli stessi otto minuti, quelli che precedono l'esplosione di un treno a Chicago. La sua identità virtuale – scambiata, più che altro – ha il compito di trovare i colpevoli, per evitare attentati ancor più terribili. Otto minuti molte volte: per conoscere meglio i passeggeri, per comprendere la psicologia dell'assassino, per innamorarsi e cercare aiuto, per sapere che fine hanno fatto, nella normale linea spazio-temporale, i suoi resti mortali. Qualche volta, tuttavia, gli universi alternativi possono scongiurare la morte. Una seconda chance fa comodo a tutti. Manipolare è meglio che curare? Gli esseri umani scoprono i cloni, gli avatar, i surrogati e le loro possibilità di utilizzo. I cloni scoprono gli altri cloni, e sentono il dovere di distinguersene. Gli uomini replicati scoprono che, potendo, vorrebbero essere qualcuno. Gli uomini veri scoprono che, potendo, vorrebbero essere (anche) qualcun'altro. È la nuova frontiera dell'ingegneria genetica: si chiama psicanalisi. Al cinema trionfa la regina delle manipolazioni: la duplicazione. Ma sorgono, contemporaneamente, inquietanti questioni legate alla prassi di clonare o sdoppiare gli esseri umani. Per esempio quella dell'identità, della vera essenza dell'individuo. O quella della legittimità di disporre del proprio doppio per colmare mancanze fisiche o per non affrontare il pericolo. O i dilemmi morali dell'agire per interposta persona: se sia giusto agire in un corpo surrogato, attraverso un avatar. In un film mediocre uscito nell'anno 2000, Il sesto giorno (The 6th Day, di Roger Spottiswoode), è già presente la contraddizione che accompagnerà tutti i progetti genetici. Che cosa accade all'ego di un uomo che incontra un altro se stesso? Qui Robert Duvall e Arnold Schwarzenegger ce la mettono tutta per risolvere la questione, e anche con una certa ironia. Un'organizzazione criminale prospera 173 clonando le sue vittime (morte), ma gli incidenti di percorso sono sempre possibili. Adam Gibson, per esempio, è sopravvissuto a un tentato omicidio e si allea con il proprio clone per sfuggire agli inseguitori e sventare i loro piani. Per fortuna, le due copie si piacciono. Non sempre accade. È facile condannare le perversioni del crimine che riguardano la clonazione o le manipolazioni. Esistono, tuttavia, mutazioni legalissime che hanno esiti ancora più cruenti. Due pellicole successive riguardano il tema scottante del trapianto di organi e della rigenerazione del corpo umano. Entrambe, in realtà, disegnano una società futura raccapricciante, che ritiene legittimo e legale l'omicidio a scopo medico o economico. Il primo è un film del 2005, The Island, del regista Michael Bay209. La storia è ispirata alle grandi fughe cinematografiche da strutture allucinanti, a partire da quella celebre di Logan. È piena di contraddizioni e, tuttavia, piuttosto divertente. In un contesto che alleva cloni per usarli (in giovane età) come riserva di organi per gli umani, Lincoln e Jordan (Ewan McGregor e Scarlett Johansson) decidono di fuggire dall'impianto in cui sono stati cresciuti e di riprendersi qualche diritto sulla propria vita. Il secondo è un altro buon prodotto da intrattenimento datato 2010: si tratta di Repo Men, di Miguel Sapochnik. Il Repo-man è un «recuperatore» di costosissimi organi artificiali: esercita quello che oggi si chiama «recupero crediti» (repossession), ma in modo più cruento. La necessità di un trapianto gli farà prendere coscienza della crudeltà del sistema e lo obbligherà a mettersi nei panni dei fuggiaschi. In un bel film del 2009, intitolato Moon, dell'esordiente Duncan Jones (figlio del cantante David Bowie), due cloni con la data di scadenza (tre anni dall'attivazione) si trovano simultaneamente per errore su una base lunare. Credono entrambi di essere umani, con ricordi innestati dall'originale, l'umano Sam Bell. Dopo un iniziale sconforto, progettano di rendere nota la clonazione degli umani da parte della potentissima compagnia che li ha creati, e che manda le povere repliche sulla luna per estrarre l'elio-3, eccellente fonte di energia. 209 The Island (di Michael Bay, USA 2005) è ispirato esplicitamente a La fuga di Logan (Logan’s Run, di Michael Anderson, USA 1976) e L'uomo che fuggì dal futuro (THX 1138, di George Lucas, USA 1971), con Robert Duvall; è stato influenzato anche dal romanzo di Philip K. Dick La penultima verità (1964). I due cloni vivono in una struttura artificiale che pensano essere il mondo vero e fuggono verso l'esterno per liberarsi. 174 Scarso budget, pochi effetti speciali e molta, molta tenerezza per i due cloni che acquisiscono progressivamente tragiche certezze sulla propria identità. Confuso su chi sia veramente è anche l'Impostor di Gary Fleder (2002)210. Il soggetto è tratto dal solito Philip K. Dick. Forse si tratta dello scienziato Spencer Olham, forse della sua replica che gli alieni hanno mandato per compiere un clamoroso attentato contro le colonie terrestri. La ricerca della verità, come è ovvio, risulta scomoda a molti. Dalla metà del primo decennio del duemila una vera, scioccante metamorfosi colpisce anche il cinema di fantascienza. Compaiono i primi film che, per parlare di trasformazioni, mutazioni e realtà virtuali, si appoggiano su una doppia tecnica, quella live action (il film tradizionale) e quella dell'animazione digitale, spesso ricalcata sulle fattezze dei protagonisti reali211. Nel 2006 esce nelle sale una pellicola apprezzata dalla critica e anche da molti amanti di Philip K. Dick: A Scanner Darkly-Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly) di Richard Linklater. Gli attori reali sfumano nei personaggi e negli sfondi di un cartone animato: sono quelli veri, ma sembrano un disegno. Un'assurda tuta ipertecnologica (scrumble suit) permette all'agente infiltrato Bob Arctor di acquisire nuove identità. Soprattutto si identifica con Fred, un tossico che spaccia in California. Fred dà la caccia ai narcotrafficanti di Sostanza M, un acido altamente allucinogeno, ma più che altro letale. Quando diventa, suo malgrado, dipendente dalla M, la sua personalità comincia a vacillare e si confonde con quella di Bob. Le allucinazioni donano però una nuova consapevolezza. Ricoverato in una comunità in Messico, Fred/Bob inizia a comprendere di far parte di un complotto, in cui trafficanti, drogati e autorità sono, ovviamente, agenti di un'unica volontà criminale. È praticamente l'autobiografia di Dick che diventa un'anime e, bisogna ammettere, fa una certa impressione. 210 Il film è tratto dal racconto Impostore (Impostor) dello scrittore Philip K. Dick, e la sceneggiatura risulta piuttosto fedele. 211 Il cast reale (di cui è protagonista Keanu Reeves) è ripreso dal vivo e poi trasformato in disegno animato con il rotoscope, procedimento che permette di ottenere un movimento animato da un filmato reale. L'intento è quello di rendere l'esperienza psichedelica descritta dal romanzo di Philip K. Dick. La tecnica usata, la pittura digitale tratta dalla foto dell’attore, è la rappresentazione visiva dell’identità multipla del protagonista, Fred alias Bob Arctor, variabile anche grazie alla scramble suit (la tuta "frullatore") dickiana. 175 Ma è nel 2009, con il film Avatar di James Cameron212, che si ha sul grande schermo la perfetta fusione del personaggio reale con l'animazione, oltre che quella del kolossal commerciale con il film impegnato. Sbarcato su Pandora per sostituire il fratello scienziato, prematuramente morto, il marine Jake Sully accetta di guidarne l'avatar: un corpo senza coscienza, identico ai nativi del pianeta, i Na'vi, comandato però dagli stimoli cerebrali di esseri umani. Lo scopo è comprendere le intenzioni della popolazione di Pandora per depredarla delle straordinarie risorse energetiche. I Na'vi fanno resistenza. Il film si fonde con il cartone animato, in una foresta irreale ma potente, resa ancor più magica dal 3D. Gli avatar, frutto della migliore grafica digitale, sono belli, blu e giganteschi come i nativi: una combinazione di alieni classici e pantere – colorata di un tono blu-di-metilene – che dà vita ad animazioni eteree ma vigorose, piene dell'energia panica che viene evocata dagli alberi. Accade, e non è strano, che il nostro marine s'innamori di una civilissima pandoriana, e inizi a vedere il furto di materie prime da parte dei terrestri sotto un'altra luce. È vero: sono passati ormai molti anni dall'11 settembre 2001. Non c'è dubbio, però, che James Cameron abbia dimostrato un certo coraggio, con la sua esplicita retorica antiimperialista, a tratti anti-americana. Nell'estrema bellezza formale, Avatar riesce davvero ad affermarsi come il manifesto di una stagione di cinema che ha superato lo choc delle Torri Gemelle e la paura del diverso: degli alieni, dei mutati, del cloni, dei replicanti. Pian piano si insinua – almeno nella fantascienza – un'idea semplice, ma rassicurante: in questo multiverso c'è posto per tutti. 212 Il film è stato prodotto da James Cameron con 237 milioni di dollari. Ha incassato tuttavia quasi tre miliardi di dollari: il maggior incasso nella storia del cinema. È uscito in formato 2D, ma ha visto anche un'ampia diffusione in 3D e in 3D IMAX. Cameron ha dichiarato che è stato progettato appositamente per il 3D. La storia è interpretata da Sigourney Weaver, Sam Worthington, Stephen Lang, Zoë Saldaña, Giovanni Ribisi e Michelle Rodriguez. Avatar si è aggiudicato tre Premi Oscar nel 2010: per la migliore fotografia, la migliore scenografia e i migliori effetti speciali. 176 Elica distanza dalla Terra: 600 anni luce 177 Conclusioni? Anche i protagonisti dei film di fantascienza vanno al cinema, ogni tanto. Nell'horror fantascientifico Blob - Fluido Mortale (The Blob, 1958), l'enorme gelatina aliena, calata a bordo di una meteora su una ridente cittadina della Pennsylvania, si infila in un cineteatro di provincia. Certo, il suo scopo è quello di mangiarsi il proiezionista, non quello di godersi la proiezione. Eppure, nella famosissima scena degli spettatori, che corrono fuori dalla sala inseguiti dal viscido blob, si realizza il più sincero e affettuoso omaggio del regista Irvin Yeaworth al genere fantascientifico. Quello che vedrete di qui in avanti, ci dice, è più di quello che potete sopportare. Urlerete di terrore, correrete a casa calpestando il vostro vicino. Qualcosa di veramente diverso, finalmente, è arrivato sul grande schermo. Charlton Heston si siede solo soletto di fronte a un filmato di Woodstock, salvatosi dalla distruzione in una sala periferica di Los Angeles. Anche lui, il dottor Robert Neville di 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra (v. p.97) è un sopravvissuto alla catastrofe. La città è deserta, come la sala. Il dottore guarda lo schermo con occhi avidi e disincantati, dalla poltrona anticipa le parole sentite migliaia di volte e, intanto, le commenta sarcasticamente. Sono frasi ormai ridicole, perché piene di speranza nel futuro. A Neville/Heston il documentario di Woodstock piace, eccome. L'uomo che nella vita reale è stato a lungo il portavoce dei conservatori americani, nella finzione filmica rinuncia a qualsiasi opinione politica per vedere e rivedere il trionfo degli hippies. Quelle immagini sono tutto ciò che gli resta della società di cui, una volta, faceva parte. Il cinema, pieno di fantasmi di luce e immagini, gli ricorda l'appartenenza al genere umano. Anticonformista e solitario, l'adolescente Donnie Darko ama i film classici. È naturale che scelga di passare la sera di Halloween in un cinema, con la fidanzatina Gretchen, per rivedere La casa (The Evil Dead, 1981) di Sam Raimi. Mentre la ragazza si addormenta, vicino a loro nella fila di poltrone appare Frank, lo strano essere mascherato da coniglio che è venuto dall'universo tangente per preannunciare la fine del mondo. Frank è più spaventoso di qualsiasi horror, soprattutto quando si toglie la maschera e rivela sembianze umane. Donnie non può godersi il cult di Raimi: il suo nuovo amico gli apre sullo schermo una «porta di confine» per l'altra dimensione e lo 179 costringe ad alzarsi per scongiurare la tragedia. Uno spettacolo rovinato. Ma il messaggio è chiaro: un film è un oggetto mistico e potente, e può facilmente aprirci un passaggio verso dimensioni ignote. Cinema e fantascienza, fantascienza e cinema: un'accoppiata vincente, si potrebbe dire dopo centodieci anni. Non è stato sempre così. L'anticonformista James Whale, ritratto da Bill Condon in Demoni e dei (Gods and Monsters, 1998); Edward D. Wood, l'eccentrico travestito, raccontato con affetto da Tim Burton ( Ed Wood, 1994); e perfino il Lawrence Woolsey di Joe Dante in Matinee (1993), che pure, a differenza degli altri due, è un personaggio inventato. Sono cineasti di un'epoca ormai lontana, dove il genere era riservato ai marginali, ai visionari, a registi travagliati da scarni budget, canzonati dai colleghi, schifati dalla grande produzione. Un giro di affari straordinario, molti spettatori entusiasti, ormai anche tra i raffinati cinefili dell'essai: questa è la realtà di oggi, mezzo secolo dopo Ed Wood. Eppure quello fantascientifico non è davvero un genere compiuto: è piuttosto una porta di confine verso altri mondi, come lo schermo «transizionale» di Donnie Darko. È versatile ed elastico: è cinema per ogni tipo di palato. Tutte le altre categorie – dalla commedia al musical – gli si possono adattare. Tutti i toni o i registri linguistici – dall'ironia alla prosa seria e didascalica – gli calzano a pennello. Tutti gli stili – dal tragico al fumettistico – gli si conformano con facilità. Il suo vero, solo talento, quello che lo caratterizza, è la capacità di immaginare un altrove, lontano o vicino, e di raccontarlo in infiniti modi. Infiniti modi, infiniti mondi. Non certo facili, tuttavia, da comprendere e da digerire. I modi, è vero, sono spesso gradevoli e sorprendenti: sono quelli già sognati da Méliès, che li aveva realizzati con scenografie sfarzose, trucchi da illusionista e ballerine ammiccanti e che poi, necessariamente, si sono evoluti, fino ad approdare alle straordinarie creazioni della grafica digitale. I mondi – disegnati dalla letteratura, dagli sceneggiatori, dai fumettisti – sono invece architetture inquiete e inquietanti, che mostrano sullo schermo un profilo ben poco rassicurante. Se la veste formale attira al cinema gli spettatori, e li fa sognare, il contenuto dei film di fantascienza li dovrebbe respingere. Il bilancio dei plot e delle trame è senz'altro negativo. La scienza non è mai del tutto amica, e ha spesso effetti perversi. Gli alieni – buoni, cattivi o indifferenti che siano – provocano ostilità e terrore, almeno 180 in fase iniziale, negli ospiti terrestri. Le catastrofi spazzano via gran parte di coloro ai quali dovrebbero insegnare qualcosa per l'avvenire. I mostri, per la loro stessa natura, si ribellano ai propri creatori e rappresentano un vero pericolo. Le realtà virtuali sono spesso trappole per il corpo o il cervello: ragnatele vischiose che catturano gli uomini, brutalizzandone la vita, la memoria, la psiche. Le metamorfosi non avvengono quasi mai per il meglio, e lacerano l'identità nel profondo. I pianeti lontani sono pieni d'insidie, quelle che giungono dallo spazio profondo e quelle che provengono dalla mente umana. Robot e androidi sono servizievoli, ma esigenti e tendenzialmente ribelli: non si può certo contare su un codice interno (come le tre leggi della robotica) che ci protegga, più che dalle loro richieste, dal loro desiderio di umanità. E poi ci sono le società immaginate: utopie nere, o distopie, nella maggioranza dei casi. Qualsiasi forma e struttura assumano, il loro scopo principale è quello di manipolare gli esseri umani, nel corpo, nella coscienza e nella volontà. Infiniti mondi, dunque, quasi sempre spaventosi. Ci preoccupano, ci angosciano, ci terrorizzano. A un primo sguardo superficiale, la fantascienza potrebbe sembrare il genere adatto ai masochisti, ai pessimisti irriducibili o ai cinici di professione. Eppure il misterioso fattore di attrazione, l'incognita che la rende, in un certo senso, intramontabile, resiste al tempo, all'usura, ai brutti film, ai remake, alle minestre riscaldate. Di che cosa si tratta? Che cosa porta le persone ad affollare le sale quando è in programmazione un film di fantascienza? La risposta non può essere una sola. Intanto: è così vero che la fantascienza fornisce ai problemi dell'umanità una risposta ansiogena, priva di speranze? Non proviamo forse una sensazione di benessere – tra il sollievo e l'euforia – proprio quando, comodamente seduti sulla poltrona di un cinema, possiamo osservare con un sereno distacco scenari di un futuro che ancora non ci appartiene? In fondo, sono ancora lontani, improbabili, irrealizzabili. C'è tempo. E poi, certo, è vero che l'industria cinematografica ha una certa cura del consumatore: chi paga per un posto in sala non deve a nessun costo alzarsi infelice. Mille utopie nere evaporano in finali più che ottimistici. La fine del film, di solito, non può fare a meno di inneggiare alla bellezza, alla forza, alle potenzialità del genere umano. Anche quando l’eroe soccombe, la speranza gli sopravvive. Anche quando soccombe l'intero genere umano, per qualche ragione c'è sempre un eroe che rimane vivo. Apocalissi, armageddon, pandemie o asteroidi non 181 hanno mai vinto contro una major americana nell'imporre la propria (radiosa) conclusione della storia. A meno che non sia previsto un sequel, che giustifica una delusione, l'happy ending è un diritto che gli spettatori, di solito, rivendicano con il prezzo del biglietto. E i registi e le case di produzione hanno il coraggio di scontentarli solo in pochi casi. È da considerare, poi, il fattore "adescamento". Il pubblico viene costantemente sedotto e reagisce in modi imprevisti, spesso positivi, alle novità tecnologiche, ai cambiamenti nello stile narrativo e, ovviamente, alle operazioni di marketing. Spesso le trovate più sensazionali passano attraverso un film di argomento fantascientifico. Da più di vent'anni il cinema sci-fi è diventato cool, è amato dai giovani e considerato dai critici. Forse è stato il bellissimo Blade Runner a inaugurare una tendenza: la fantascienza che può piacere a tutti, adulti o adolescenti, colti o ignoranti. Ci vorrà molto tempo, forse, prima che la moda tramonti, magari facendola tornare ciò che era una volta: un genere riservato ai ragazzini, e nemmeno a quelli troppo svegli. Oppure, ci piacerebbe pensare, c'è dell'altro. È solo una traccia flebile, che riporta a un mondo bello da immaginare. Questa traccia suggerisce una storia, quasi una trama. Forse questa centenaria fabbrica dell'avvenire – tra capolavori e pellicole discutibili – ha lasciato un segno ormai indelebile nei ricordi di chi frequenta le sale cinematografiche. È una testimonianza che si tramanda per generazioni, come i testi degli uomini libro di Bradbury e Truffaut, che porta gli adulti a emozionarsi alla vista di un pianeta rosso e i bambini a commuoversi per un piccolo extraterrestre lontano da casa. È la memoria del futuro, che scatena una passione senza fine, un eterno innamoramento. L'amore per gli infiniti mondi, quali che siano, passa per i grandi capolavori, guarda con interesse ai B-movies e finisce con il tollerare perfino i remake e l'ennesimo prequel di Alien. Un amore così non conosce limiti, se non quelli della stupidità o della volgarità esibita. In poche parole, di questo si tratta: chi è avido di futuro guarda alla fantascienza al cinema come alla vera proiezione dei sogni del genere umano. Non ci stupisca, dunque, la tenerezza e la complicità che ci suscitano Charlton Heston, Donnie Darko e perfino Blob, l'orrenda gelatina aliena, che vuole solo mangiarsi un proiezionista qualsiasi. Noi andiamo al cinema a vedere loro. Ma anche loro sono al cinema. Attenti, divertiti, sedotti dalle immagini che scorrono, sia che debbano 182 sopravvivere tra le rovine di un'epidemia apocalittica, sia che siano imprigionati in un universo tangente. Seduti in sala, si trovano a casa. Proprio come noi. 183 184 Il cinema di fantascienza italiano «A Lucca, mai!». Negli anni cinquanta, con questa affermazione ironica divenuta celebre tra gli addetti ai lavori, Carlo Fruttero definisce la fantascienza italiana un fenomeno marginale, privo di qualsiasi dignità. Un disco volante potrebbe atterrare a New York, a Londra, a Pechino, a Mosca. Ma a Lucca... A Lucca, mai! Mai, cioè, in un posto così poco fantastico, e soprattutto così poco scientifico, come la provincia italiana. Il parere del curatore della collana fantascientifica Urania ha, di fatto, un certo peso. Per lunghi decenni alcuni scrittori e un pugno di cineasti molto motivati provano a smentire la frase di Fruttero, che suona come un sinistro anatema. Indignata e toccata nel vivo, la città di Lucca promuove convegni, meeting, collane librarie e borse di studio ai giovani che vogliano cimentarsi nella letteratura sci-fi. Forse non si vede ancora la fila di marziani fuori dalle librerie, pronti ad accaparrarsi l'ultimo best-seller, con le astronavi parcheggiate malamente in piazza Grande. È innegabile, però: dai tempi di quella storica battuta qualche libro interessante, soprattutto nel campo della novella o del racconto lungo, trova la strada delle case editrici specializzate. Il cinema fantascientifico, invece, resta il modesto fanalino di coda di molte altre categorie. È un genere che l'Italia non pratica con quella costanza, quell'assiduità, quella passione che servono per costruire una grande tradizione e, di conseguenza, per ottenere una risonanza internazionale. Almeno in parte, questo è dovuto alla marginalità di cui la cultura scientifica soffre per lungo tempo nel corso del Novecento. Questo pregiudizio antiscientifico trapela dal neologismo «fantascienza»213, che gli italiani inventano negli anni cinquanta per rendere il termine pressoché universale science-fiction (tradotto letteralmente in molte lingue): è chiaro che ci si aspetta che la finzione prevalga sulla componente tecnico-scientifica. Gli sceneggiatori, gli attori e le case produttrici, ma soprattutto i registi, si cimentano talvolta con questo tipo di film, ma non cercano di fondare una categoria autonoma all'interno del panorama (un tempo poco variegato) della cinematografia nazionale. È invece preponderante, fin dagli esordi, la necessità di trasformare i film di fantascienza in qualcosa d'altro: farse, parodie, horror, commedie 213 Giorgio Monicelli nel primo numero della rivista Urania, 1952. 185 "metaforiche", satira politica e di costume, commedie sexy. La fiction prevale largamente sulla science, volta perlopiù in ridicolo. Fin dagli anni dieci del Novecento vengono realizzate pellicole che non si possono definire fantascientifiche in senso stretto, ma che hanno qualcosa in comune con la fantascienza: uno spunto, un elemento tecnologico, un'ambientazione, un futuro immaginato. Si tratta di commedie farsesche che mirano, tra le altre cose, a volgere in burla le suggestioni fantascientifiche che giungono dall'estero. Tra queste, Un matrimonio interplanetario, di Enrico Novelli (più noto con lo pseudonimo di Yambo), del 1910; Le avventure straordinarissime di Saturnino Farandola del 1913, girato da Marcel Fabre; L'uomo meccanico di André Deed (il personaggio noto in Italia come Cretinetti) del 1921; La bambola vivente, di Luigi Maggi (1924); Mille chilometri al minuto, datato 1939, che è il primo film sonoro di genere di Mario Mattoli; Baracca e burattini di Sergio Corbucci (1954), ispirato all'omonima rivista di Maccari e Amendola; Totò nella luna diretto da Steno nel 1958, con Totò e Ugo Tognazzi. Il mostro di Frankenstein, di Eugenio Testa (1920) è un fantahorror, che si segnala come l'unico film ispirato al genere che non cerchi di far ridere gli spettatori italiani. In realtà, se la fantascienza italiana davvero esistesse, molti la farebbero nascere nel 1958, anno di uscita di La morte viene dallo spazio, di Paolo Heusch. La Terra è minacciata da una pioggia di asteroidi e le superpotenze unite li combattono. Il film è dignitoso: realizzato grazie al genio – rapido e soprattutto economico – di Mario Bava, che qui si occupa della fotografia e degli effetti speciali, è perfino copiato all'estero. Heusch, emulando le produzioni statunitensi, rivendica un piccolo posticino nella genesi della science fiction mondiale, con un'opera drammatica e catastrofica, non buffa o demenziale. Qualche anno dopo gli terrà compagnia Antonio Margheriti con Space Man (1960, girato con lo pseudonimo di Anthony Daisies), con Il pianeta degli uomini spenti (1961), la sua seconda space opera, e soprattutto con la tetralogia della stazione spaziale Gamma 1 (1965). Negli anni sessanta si affermano alcuni film di discreto successo, di solito sostenuti da coproduzioni con paesi esteri: tra questi L'ultimo uomo della terra, di Ubaldo Ragona (1963); Terrore nello spazio, di Mario Bava (1965); La decima vittima, di Elio Petri (1965); ...4..3..2..1...morte, di Primo Zeglio (1967), ispirato a un personaggio dei fumetti della Germania Federale, Perry Rhodan 186 (simile a Flash Gordon). D'altro canto, giunge anche in Italia l'influenza della fantascienza sociologica, che qui prende più le vesti della satira sociologica scoperta o del manifesto politico. Il paese del boom economico, delle ingiustizie sociali e dell'arretratezza culturale, delle lotte sindacali e dei grandi partiti è quello che gli autori mirano a rappresentare e condannare. Escono Omicron (1963), scritto e diretto da Ugo Gregoretti; Il disco volante, di Tinto Brass (1964); Ecce Homo: i sopravvissuti, di Bruno Gaburro (1968), con Irene Papas e Philippe Leroy; Colpo di stato, commedia fantapolitica di Luciano Salce (1968); Il seme dell'uomo (1969), del regista Marco Ferreri e Il tunnel sotto il mondo (1969). Quest'ultimo è tratto da un racconto di Frederik Pohl del 1955: è il primo film di Luigi Cozzi, che diverrà uno dei registi di punta della fantascienza in Italia. Negli anni settanta questo filone di critica sociale e politica dà ancora frutti, con risultati talvolta brillanti, spesso modesti. Liliana Cavani gira nel 1970 I cannibali; Silvano Agosti realizza N.P. Il segreto (1971), con Irene Papas e Francisco Rabal; Emidio Greco esce con L'invenzione di Morel (1974); Pasquale Festa Campanile dirige Conviene far bene l'amore (1975). Forse il film più riuscito è quello di Ugo Tognazzi – qui anche in veste di regista –, che vuole al suo fianco Ornella Vanoni ne I viaggiatori della sera (1979), tratto dal romanzo di Umberto Simonetta. È una distopia ambientata in un futuro non ben precisato, in cui la società si disfa degli anziani facendoli partecipare a un "Grande Gioco", il quale prima o poi ne dispone l'eliminazione fisica. È un film sobrio e triste, ma è indubbiamente fantascienza. Tra la fine degli anni settanta e quella degli anni ottanta, sulla scia delle grandi space operas e delle saghe di successo come Mad Max, i registi si pongono obiettivi più grandiosi, se non altro dal punto di vista commerciale. Nascono molte imitazioni di grandi film, con qualche spunto di originalità. Tra gli autori si distinguono Alfonso Brescia, detto Al Bradley (Anno zero: guerra nello spazio, Cosmo 2000: battaglie negli spazi stellari e La guerra dei robot, tutti girati tra il 1977 e il 1978); Luigi Cozzi, detto Lewis Coates ( Star CrashScontri stellari oltre la Terza Dimensione, 1978; Contamination, 1980); ancora Antonio Margheriti (Il mondo di Yor, 1983; Aliendegli abissi, 1989); Enzo G. Castellari (1990: i guerrieri del Bronx; I nuovi barbari del 1982 e Fuga dal Bronx del 1983); Lucio Fulci (I guerrieri dell'anno 2072, 1984). Spesso girano film non ignobili, che vengono spacciati sull'ignaro mercato estero per produzioni meno caserecce 187 di quanto non siano. L'eredità di Mario Bava – realizzazioni rapide e a basso costo – diventa una caratteristica italiana. Gli anni novanta si segnalano da una parte per il successo (in Italia e all'estero) di Nirvana, la pellicola in stile cyberpunk girata nel 1997 da Gabriele Salvatores; dall'altra, per una serie di produzioni indipendenti, distribuite nel circuito home video (AD Project del 2006, di Eros Puglielli) o in quello web (Dark Resurrection del 2007, una fan fiction, girata da gruppi di volontari). Tra queste ultime spiccano le produzioni non commerciali di Mariano Equizzi (pseudocyberpunk) e un film divenuto a suo modo celebre: InvaXön - Alieni in Liguria (2004), realizzato per beneficenza214 da Massimo Morini, cantante e leader del gruppo musicale che si fa chiamare (significativamente) Buio Pesto. Gli anni duemila si distinguono invece per una satira politica di successo Fascisti su Marte, diretta da Corrado Guzzanti e Igor Skofic, definita un «esercizio di fantarevisionismo storico». Qualche anno dopo compaiono tre film di produzione italiana che tornano a parlare degli alieni: 6 giorni sulla Terra, di Varo Venturi; L'ultimo terrestre, di Gian Alfonso Pacinotti; L'arrivo di Wang, dei Manetti Bros. Filmetti divertenti, senza grandi ambizioni, magari con qualche guizzo di regia che li rende più gradevoli di ciò che ci si potrebbe aspettare. Forse avremo ancora piacevoli sorprese, ma una svolta sembra ancora lontana. Il cinema di fantascienza funziona meglio altrove. Del resto, non si può comparare l'incomparabile. I cineasti stranieri (indipendenti a parte) hanno spesso ben altre energie, ben altre risorse. I risultati sono, di conseguenza, proporzionali. Il vero problema dello spettatore italiano, messo di fronte a un film nazionale, è quello di saper tenere le aspettative basse. Talvolta, bassissime. Il panorama generale sembra voler dare infatti una tragica conferma: a Lucca – ormai è assodato – non è mai atterrato nulla; in compenso, il cinema di fantascienza italiano non è mai decollato davvero. 214 Il film è stato realizzato con 250 attori non professionisti, 41.000 comparse e 23 personaggi famosi. Ha richiesto sette anni di progettazione, sessanta giorni di riprese e quattromila ore di lavorazione. 188 Sole distanza dalla Terra: 8 minuti e 20 secondi luce IL CINEMA RITROVATO 189 Cinema e Microcinema di Roberto Bassano La seconda parte dei Quaderni è tradizionalmente dedicata a Microcinema, alle nostre visioni del mercato, al nostro agire sul mercato, ai nostri risultati e, anche con qualche compiaciuta indulgenza, ai nostri successi per descrivere i quali non manchiamo di utilizzare gli stessi racconti degli esercenti che, insieme con noi, vogliono rivoluzionare i rapporti tra cinema e pubblico. I cinema costituiscono un luogo irrinunciabile per la nostra società, luogo di aggregazione sociale e di arricchimento culturale, e rappresentano vere e proprie Luci della città215 e la loro chiusura, definita da Giuseppe Tornatore un crimine culturale, deve essere impedita ad ogni costo, con l'impegno forte e coraggioso di tutti noi. La questione in campo non è un banale e miope problema mercantile o commerciale inteso a vendere un sistema digitale o noleggiare un film in più. Il cinema è il luogo dove costruiamo il nostro futuro, anche attraverso i sogni, è il luogo dove misuriamo noi stessi con altri - infiniti - mondi. A scomparire sono spesso luoghi storici carichi di memoria, «è come se venisse meno un amico, un conoscente con il quale abbiamo condiviso un pezzo di strada e tante emozioni», osserva il regista di Nuovo Cinema Paradiso, il film che oltre vent´anni fa valse a Tornatore il premio Oscar e il Gran Premio della giuria di Cannes, e che raccontava la poesia di una sala di provincia e la nostalgia per un modo di vivere il cinema perduto forse per sempre.216 E al cinema siamo tutti uguali, ridiamo e piangiamo allo stesso modo, condividiamo esperienze. Insomma al cinema nessuno ci è estraneo e quando si spengono le luci di una sala siamo orfani di un luogo di ritrovo, di un punto di riferimento e di incontro dove non si fa distinzione di età e di ceti sociali, dove non ci sono palchi e loggioni, tribune e curve. Se chiudono i cinema, gli spettatori iniziano un lento percorso di chiusura all'interno delle mura domestiche e il momento degli acquisti, forse solo settimanale, diventa il più importante e impersonale momento di incontro con gli altri. 215 Luci della città, Microcinema, 2010. La Repubblica 10 ottobre 2008 “Addio vecchio cinema Paradiso le città cancellano le sale storiche” di Franco Montini e Carlo Moretti. 216 191 Ormai è emerso con chiarezza come il digitale sia l’unica risposta possibile alla chiusura delle sale. Il digitale è allo stesso tempo una soluzione sostenibile, con il supporto degli aiuti regionali e statali associati al VPF (in particolare il VPF europeo con contratto decennale) e grazie anche alla cedibilità del tax credit, alla formula del noleggio e ai contenuti complementari ad alto valore aggiunto. Tutto deve aiutare la sala cinematografica ad innovarsi e a ritrovare nuove identità attraverso la multiprogrammazione e la molteplicità delle proposte all'interno dello stesso contenitore giornaliero e settimanale. Con il digitale il cinema, sia che abbia uno schermo sia che ne abbia cinque, può e deve trasformarsi in microplex, con l'aiuto di tutti, anche della distribuzione, da cui ci si attende, come da ogni impresa di successo, dei progetti di lungo periodo, lontani dalle più miopi politiche commerciali di breve periodo legate all'effimero successo di un film. Sempre più spesso le politiche commerciali imposte all’esercizio mettono a rischio la sua stessa sopravvivenza: questo, banalmente, significherà uno schermo in meno su cui proiettare il prossimo film, con la ovvia conseguenza di minori margini per il distributore e di maggiori sbocchi di mercato per la pirateria innescata dall’aumento del numero di spettatori senza cinema. Questo argomento non è affrontato solo da noi e continua a rimanere un arcano inspiegabile e tutto italiano, legato al comportamento irrazionale di certe direzioni commerciali. L'imposizione della tenitura alle piccole sale (e non ovviamente ai grandi gruppi) e la guerra contro la “duplicazione” dei film, che porterebbe di fatto alla creazione di quei “ microplex” di cui dicevamo, non potrà mai portare a risultati positivi e risulterà piuttosto negativa per tutte le parti coinvolte nella filiera. Questo atteggiamento vessatorio nei confronti delle sale minori ha come effetto una perdita di incassi nel medio-lungo periodo perché, impedendo ai cinema indipendenti di generare profitto, li si indirizza verso una chiusura certa. Forse solo il grande e indimenticato prof. Cipolla 217 ci potrebbe spiegare le inspiegabili incongruenze del mondo cinema. Ma già Albert Einstein ci aveva illuminato: “Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana. Della prima non sono sicuro”. 217 Carlo Maria Cipolla, "The Basic Laws of Human Stupidity", in Allegro ma non troppo, Il Mulino, 1988. 192 Bene, se siamo certi della formula meno schermi = meno spettatori dovremo tutti, a cominciare dallo Stato, adottare politiche di buon senso, positive, di mantenimento se non di crescita, politiche a volte neppure troppo onerose. Speriamo. Augurandoci che il mondo del cinema non sia soggetto alla sindrome, cara agli ambientalisti, della rana felice218, o bollita che sia, spostiamo ora la nostra attenzione su ciò che Microcinema offre di positivo a esercenti, produttori e distributori. Per cominciare Microcinema nel 2012 si è fatta in due: Digital Network e Distribuzione. Due anime per essere ancora più innovativi. Ma procediamo con ordine. La sala, grazie all'innovazione digitale, deve divenire uno spazio di incontro di soggetti eterogenei, con differenti interessi e curiosità, soggetti che, nello stesso luogo, trovano molteplici occasioni e motivi di interesse e di ritrovo. Per quanto riguarda l'investimento tecnologico, abbiamo aggiunto al sostegno finanziario all'esercizio attraverso la formula del noleggio, il VPF europeo denominato 2.0 in accordo con Arts Alliance Media (AAM): questa opzione, unita al noleggio, porta l'esercente ad ottenere un supporto economico alla digitalizzazione di oltre 60.000 euro. L'offerta ampia e variegata delle tecnologie di tutti i marchi è una scelta precisa che mette al riparo l'esercente da un rischio reale, dal dubbio evidente che si può esprimere con una semplice affermazione: "se mi lego a questo o a quel fornitore rischio di legarmi a questo o quel produttore di apparati e pertanto alle sue code di produzione". Microcinema è stata la prima ad attivare la cedibilità del tax credit permettendo agli esercenti di risolvere, in molti casi, un problema 218 La sindrome della rana identifica l'incapacità di valutare in modo oggettivo una situazione degenerativa ambientale con la conseguente impossibilità di elaborare una strategia di uscita, rivendicando, invece, una falsa capacità di adattamento alla situazione contingente negativa, che in realtà non può avere risvolti positivi. Esempi sono l'inquinamento ambientale cittadino, dove tutti siamo convinti che il nostro corpo si adatterà senza alcun problema alle polveri sottili, oppure i cambiamenti climatici, con ciò che ne conseguirà. 193 altrimenti irrisolvibile. Un altro reale sostegno finanziario per gli esercenti. Sull’altro versante, quello dei contenuti ovvero del carburante che muove gli ingranaggi della favolosa Settima Arte, il laboratorio delle idee, come lo chiamiamo, è già al lavoro per risolvere un problema che riguarda tutti i cinema e che, a partire dal 2013, rivoluzionerà i rapporti tra produttori, distributori ed esercenti. Microcinema Distribuzione ha iniziato la sua attività nel 2012 con Silent Souls (Ovsyanki, di Aleksei Fedorchenko, Russia 2010) e intende lavorare su un filone di film di qualità, italiani ed internazionali, molto richiesti dal pubblico ma che rischiano l'invisibilità e di conseguenza l'oblio. Questo è l'obiettivo: proporre al pubblico una parte della produzione cinematografica mondiale che, nata nell’invisibilità delle idee e dei pensieri dei propri autori e poi resa visibile da un complesso insieme di risorse, registi, attori, produttori, macchinisti, sarti, truccatori (e l'elenco dovrebbe essere lunghissimo), rischia l’invisibilità definitiva per la mancanza di luoghi deputati alla visione, di piattaforme per la distribuzione, di soggetti in grado di gestire il processo che porta i contenuti dalla produzione agli spettatori. Il listino Microcinema conta già parecchi film - e tanti altri ne arriveranno - e ogni film è già una storia a cui appassionarsi, da raccontare col cuore. Fuoriprogramma: l’appuntamento d’autore, è il progetto di Microcinema, patrocinato dal MIBAC e dalla Regione Puglia, che porta al cinema il cinema d'autore e l'opera lirica. E le adesioni sfiorano già il centinaio di schermi, più di quanti ce ne fossimo inizialmente prefissi. Dei successi del progetto Opera al Cinema in Italia e nel mondo siamo ogni anno più fieri e qui, dopo tanti quaderni, lasciamo che siano gli esercenti con le loro soddisfazioni a parlarne. Ecco la sorprendente poliedricità di Microcinema. 194 Il cinema è ritrovato di Silvana Molino "Il cinema può tornare vicino a casa nostra" Luci della città, Microcinema, 2010 Provate a chiedere a un bambino cos’è il cinema o come arriva un film sullo schermo del cinema e scoprirete, con disarmante immediatezza, che il cinema è “naturalmente” digitale. Nell’immaginario collettivo del nuovo pubblico cinematografico nato con i videogiochi, la posta elettronica e la TV satellitare, il cinema è una supertelevisione via satellite che regala emozioni da condividere con gli amici. Il cinema è il luogo in cui si possono vedere i cartoni 3D, la meta dell’uscita scolastica che fa piacere anche le materie più noiose, lo schermo grande in cui perdersi nel buio della sala, una delle prime occasioni per passare un pomeriggio con gli amici senza genitori ma con la benedizione dei genitori, anche i più apprensivi. Al cinema non può succedere nulla di male, soprattutto se quel cinema è vicino a casa, frequentato dalla comunità, gestito con cura e presenza da persone che si conoscono. Forse è quello stesso cinema in cui sono stati giovani anche i genitori… Questa semplice considerazione ci conferma quel legame logico (ormai consolidato nella percezione del pubblico più giovane) tra le nuove tecnologie e i luoghi tradizionali di ritrovo e ci ri-svela il valore unico del binomio novità/continuità. Nuovi mezzi di proiezione, nuovi sistemi di distribuzione ma anche nuove formule di programmazione per i cinema di sempre, i cinema di tutti i giorni, i cinema vicino a casa, i cinema in cui riconoscersi, i cinema che più di tutti sembrano arrancare nel cammino dell’innovazione eppure rimangono, resistono, riaprono…: i cinema ritrovati. In questi anni passati nel mercato, a fianco di tante sale cinematografiche, dietro le quinte dei loro palchi, nella penombra delle loro cabine di proiezione e sul colmo dei loro tetti, Microcinema ha vissuto molte volte l’emozione di una inaugurazione, di una riapertura, di una rinascita. E tutte le volte ha avuto il privilegio di poterci essere, di potersi sentire parte di una bella storia, di una storia a un lieto fine. Proprio come si conviene alla migliore tradizione del grande schermo! 195 La stagione 2011-2012 per il cinema italiano è stata molto difficile a causa delle molte incertezze sulla disponibilità dei contenuti, sulla fruibilità dei sostegni economici pubblici, sull’accessibilità al sistema creditizio, sulle normative che sotto diversi aspetti impattano con l’adozione di nuovi sistemi di visualizzazione dei film e di organizzazione del lavoro nei cinema. Per ogni esigenza abbiamo cercato la migliore soluzione possibile e con tutte le sale che in questa stagione hanno aperto i battenti abbiamo condiviso una storia che ci piace raccontare. Al Cinema Silvio Pellico di Trecate (NO) la storia che vi raccontiamo è appassionante, tortuosa e piena di coraggio. A Trecate, da quarant’anni, mancava “il cinema”, quel motivo che incoraggia le persone ad uscire di casa per vivere insieme ed essere trascinate nelle emozioni di un film. C’erano stati tentativi di riapertura di alcune sale che però si erano risolti solo in azioni architettoniche formali senza sostanza e, soprattutto, senza proiezioni. Non era sufficiente lo spazio, serviva l'anima, il contenuto, l’ emozione, serviva una nuova identità capace di farsi riconoscere dai trecatesi, di farsi ritrovare da loro. Al Silvio Pellico mancava un partner flessibile, con una proposta a tutto tondo che portasse una ventata di innovazione tecnologica e un soffio di personalità culturale. L'identità culturale che diventa vincente per ogni cinema. “Da alcuni anni il Cineteatro Silvio Pellico era utilizzato a livello teatrale e in modo discontinuo. Ed è spesso inservibile in determinati periodi dell’anno come la stagione estiva” afferma Giuseppe Ragaiolo a capo del gruppo di volontari che gestiscono la sala cinematografica e che, insieme allo staff Microcinema, hanno passato settimane a organizzare il cartellone, i manifesti, le promozioni, i trailer e la comunicazione agli amici su Facebook. “Le moderne tecnologie hanno fatto rifiorire l’approccio della nostra sala verso la cultura”, prosegue Ragaiolo.“Stiamo arricchendo l’offerta di cinema di qualità con spettacoli di teatro di prosa, musical, concerti. E poi, con il collegamento satellitare, avremo accesso ad eventi in diretta da tutto il mondo, trasmettendo l’Opera al Cinema e trasformando di fatto il Silvio Pellico in un riferimento culturale per l’intera zona. Questo è il nostro obiettivo e confidiamo nella risposta del pubblico che attende da anni di ritrovare il suo cinema”. 196 Da Agosto 2012 il Cineteatro Silvio Pellico è tornato al pieno regime, ampliando i ricordi del cinema che fu negli anni Settanta con un mix di proiezioni in pellicola e in digitale, con eventi in diretta e in differita, con spettacoli dal vivo e proposte di cinema italiano ed europeo contemporaneo. Per il nuovo cinema di Trecate e per tutti gli altri cinema che ogni giorno aprono le porte e il cuore al proprio pubblico con l'entusiasmo e la dedizione di quanti amano il proprio lavoro, Microcinema propone a partire dalla stagione 2012-2013 un appuntamento speciale e ancora una volta unico nel suo genere. “Fuoriprogramma: l’appuntamento d’autore” ovvero il catalogo di contenuti di qualità ideato per dare sin dal primo giorno - e per 32 settimane consecutive - un programma di proiezioni di grande valore culturale e di sicuro intrattenimento con opere prime, titoli del patrimonio filmico nazionale, opere liriche, documentari, concerti, cortometraggi, film d’autore e commerciali. Perché non basta iniziare, occorre anche partire con il piede giusto e poi… bisogna continuare! Sul finire di Maggio di questo anno 2012, ci ha scosso, insieme al terremoto che per settimane ha fatto tremare la terra emiliana, la storia del Cineteatro Comunale Alice Zeppilli di Pieve di Cento (BO) che ha dimostrato ancora una volta la sua determinazione e la sua capacità di rinnovarsi. Sgombrati i calcinacci dalla soglia e senza aspettare che un corriere recapitasse pellicole, il cinema ha immediatamente riaperto le sue porte per consolare e accogliere, per intrattenere i bambini che non potevano andare a scuola, per distrarre per qualche ora nonni e genitori, per dare un impulso e un incoraggiamento ad una comunità decisa, raccolta e coraggiosa. Il Cineteatro ha una storia che viene da lontano, dal 1785, quando era sede di numerose rappresentazioni dal vivo ed era luogo di incontro e ritrovo della comunità. Numerose vicende storiche e amministrative hanno alternato periodi di grande fermento a periodi di torpore e di completa chiusura. Fino al dicembre 2010 quando, di fronte al rischio di perdere per sempre un luogo cruciale per la vita della comunità e grazie all’azione attenta di un’amministrazione vicina ai suoi cittadini, le tecnologie digitali e satellitari di Microcinema hanno fatto il loro ingresso in sala e hanno svelato le nuove opportunità di una programmazione flessibile, modulare e molto varia. “Il Teatro era principalmente adoperato per la presentazione di libri, rappresentazioni, convegni, incontri e quant’altro” racconta il Dott. 197 Zannarini, Assessore alla Cultura di Pieve di Cento. “Con il digitale la nostra programmazione è diventata regolare e prevede appuntamenti consuetudinari sia per i bambini che per gli adulti. In particolare poi, in questo momento di bisogno, non possiamo certo permettere che la nostra popolazione sia privata del suo Cineteatro o che si riduca anche solo minimamente la sua programmazione”. Guarda con fierezza la facciata del cinema e continua il Dott. Zannarini “La decisione di installare in sala un impianto digitale Microcinema ha rappresentato un investimento che abbiamo voluto affrontare proprio con un occhio rivolto al futuro, anche a questo futuro che è oggi un presente molto incerto. Grazie a Microcinema abbiamo sempre una proposta efficace per il nostro pubblico; il catalogo di film e di eventi ha sempre titoli disponibili per organizzare non solo la stagione ma, in particolar modo, proporre spettacoli che siano sempre di una spanna superiori agli altri”. Sin dal suo ingresso nel Digital Network l’Alice Zeppilli ha dimostrato il suo carattere sicuro e propositivo, pronto a sperimentare contenuti nuovi, generi originali e film d’esordio. Ma l’emozione più grande rimane sempre il cartellone operistico, proiettato in alta definizione nello stesso spazio che fu la Sala del Palazzo Pubblico in cui, nel 1856, gli spettatori potevano assistere con ammirato stupore a “Il Trovatore” o “Il Rigoletto” di Giuseppe Verdi dal vivo. Al posto delle prime donne e delle dame di corte oggi trovano spazio i palchi dei teatri lirici di tutto il mondo, le bacchette dei maestri più acclamati, incredibili orchestre e una varietà di pubblico che spazia dai jeans all’abito da sera, con fiero spirito di partecipazione e con sempre rinnovato interesse. Dall’Emilia alla Sardegna, voliamo nell’isola del mare cristallino per incontrare il Cinema Giordo di Tempio Pausania (OT) e condividere con i suoi gestori la storia di un rinnovamento che ha coniugato orgoglio, tecnologia e perseveranza. “Tempio Pausania, unico capoluogo della regione della Gallura prima che Olbia si espandesse, offriva tutti i servizi alla sua cittadinanza tranne il cinema. Questo prima che arrivassimo noi”, così commenta Tonino Pirrigheddu che rilevò il cinema dagli eredi Giordo nel 1987. In realtà, l’edificio in granito che sovrastava allora i Grandi Magazzini, ospitava negli anni Cinquanta non solo il cinema ma anche i Veglioni della Sei Giorni del Carnevale di Tempio rappresentando il centro della vita, della storia, della tradizione, in una parola del mondo… 198 All'inizio degli anni ottanta la chiusura dei magazzini determinò l’arresto di tutte le altre attività e condannò la sala alla chiusura temporanea. Nel tentativo di rinnovare la sala “uno dei primi cambiamenti apportati fu l’adozione di un proiettore 35mm a lampada, in sostituzione di quello vetusto a carboncino. Ma nemmeno questo bastò ad evitare l’ennesima chiusura del 2005”. Tonino Pirrigheddu, uomo di Sardegna, testardo abbastanza da non arrendersi, ha affrontato con determinazione ulteriori lavori di restyling e ha guardato con coraggio agli investimenti necessari per dare nuova vita al suo cinema. Il Cinema Giordo aveva bisogno di soluzioni finanziarie personalizzate, di flessibilità e scalabilità delle tecnologie, di assistenza e formazione dedicata per affrontare la sfida digitale, di un catalogo di contenuti di alto valore e forte impatto culturale capace di catturare qualsiasi spettatore e di ridare a Tempio Pausania un centro di attrazione per la sua popolazione. “Il Giordo è l’unico cinema attivo a Tempio Pausania”, conclude Tonino Pirrigheddu che segue con cura la programmazione insieme alla figlia Michela. “Il digitale e l’ampio ventaglio di offerte di contenuti ci hanno consentito sin da subito di affermarci sul territorio, affiancando alla regolare proiezione di film, l’opera in diretta satellitare dai grandi teatri lirici italiani e del mondo”. Ancora una volta Microcinema ha potuto essere sostegno e testimone di una storia di cinema ritrovato. La storia di un padre e di una figlia che vogliono fare, ancora e di nuovo, cinema. La storia di una salamonumento. La storia di una terra bellissima e coraggiosa. La storia del cinema in Sardegna ha un nuovo, grande punto di riferimento, ed è a Tempio Pausania. A sbalzo sul lago Massaciuccoli, torniamo sulla penisola per raccontarvi la nostra storia più originale: l’apertura della sala cinema dell’Auditorium Enrico Caruso nel Gran Teatro Giacomo Puccini di Torre del Lago (LU) e l’apertura di un il giro circolare – potremmo dire cinematografico – degli eventi che ha portato l’opera al cinema per portare poi il cinema all’opera. “Voi udrete stasera il capolavoro di Giacomo Puccini. Pensate che egli dorme là dentro”. Con queste sentite e indimenticate parole, il 24 agosto 1930, prima di aprire la partitura de La Bohème Pietro Mascagni ricorda l’amico e compagno di studi scomparso sei anni prima davanti al “cason del lago”, la villa che aveva ospitato per oltre 199 trent’anni il Maestro Puccini e che da quel momento in poi ne avrebbe accolto le spoglie mortali. Poco distante, fra il piazzale Puccini e il Parco delle Torbiere in quel di Torre del Lago, ha trovato spazio parecchi anni più tardi il Parco della Scultura e della Musica, luogo straordinario per ispirazione artistica e profondità culturale che introduce al Gran Teatro lasciando ogni visitatore senza parole. La Grande Arena ospita le opere dal vivo durante il Festival Pucciniano, l’Auditorium e le sale polivalenti interne avrebbero dovuto riempire di appuntamenti i mesi autunnali e invernali in attesa che tornassero le tiepide sere estive per le rappresentazioni all’aperto. Nonostante un timido tentativo nel 2008 di organizzare Puccini al Cinema una rassegna con alcune proiezioni di pellicola legate alle opere pucciniane, fino all’anno 2011 inoltrato, l’Auditorium non era riuscito a trovare la giusta via per lanciare la sua attività cinematografica. Poi, nel caldo giugno 2011, quando erano in pieno fermento le prove per le rappresentazioni operistiche che avrebbero avuto luogo nel Gran Teatro, l’incontro con Microcinema e la visione comune di un profondo rinnovamento attraverso l’apertura di una vera e propria sala cinematografica. Microcinema ha dato tutto il suo supporto, sia in termini tecnologici, sia in termini editoriali, sia in termini finanziari, fino a giungere ad un perfetto equilibrio di cultura e intrattenimento, di tecnologia e tradizione, di finanza e di scalabilità tecnologica. E, sin dalla proiezione di Turandot nel settembre 2011, la scelta si è rivelata felice ed è stata accolta con grande favore da parte del pubblico. “Per mezzo delle straordinarie tecnologie digitali fornite da Microcinema, il Festival affianca alle sue manifestazioni culturali incredibili e prima impensabili iniziative: su tutte la proiezione in diretta satellitare di Opera al Cinema. Così continuiamo a sorprendere il nostro pubblico e arricchiamo ogni giorno sempre più il nostro calendario. La felice collaborazione con Microcinema, inoltre, si è sviluppata successivamente con la produzione delle riprese cinematografiche dell’intero cartellone dell’edizione 2011” racconta la dottoressa Alessandra Delle Fave, responsabile dell’ufficio stampa della Fondazione Festival Pucciniano. Turandot, La Bohème e Madama Butterfly, fra i più noti titoli del più grande musicista del Novecento, sono stati registrati e trasmessi via satellite da Microcinema in oltre duecento cinema in Italia e nel mondo, ottenendo un incredibile seguito nazionale e internazionale. Conclude Alessandra Delle Fave: “Le tre opere non solo sono state 200 rappresentate d’estate nella Grande Arena, ma sono state trasmesse d’inverno anche presso l’Auditorium Enrico Caruso. Con grande entusiasmo abbiamo constatato come tantissime persone siano tornate a vedere da noi queste tre meravigliose opere, pur avendo avuto modo di apprezzarle dal vivo in precedenza: quello che le riprese aggiungono alla già assodata qualità degli spettacoli è la maggiore prossimità e la possibilità di apprezzarne gli infiniti dettagli. Ancora una volta Puccini ha centrato il bersaglio, facendosi breccia nel futuro del cinema.” Concludiamo questo nostro viaggio tra le storie appassionanti del Cinema Ritrovato con la storia, potremmo dire cinematografica, di un film che ha ritrovato con Microcinema la sua vita, la sua luce, la sua strada verso un successo che ha lasciato il segno. E' la storia di un brillante regista russo e del suo film silenzioso e raccolto, permeato di una spiritualità delicata e inattesa - se comparata ai ritmi abituali del mondo occidentale - che alla 67^ Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia ha lasciato senza parole la giuria219 aggiudicandosi il premio della critica internazionale e uno speciale riconoscimento per la fotografia. E' la storia di una storia geniale, originale, folkloristica, che non lascia indifferente nessuno spettatore eppure ha corso il serio rischio di non essere vista in Italia. È la storia di un imprenditore visionario e romantico che, apprezzato il valore narrativo e poetico del film, non ha potuto resistere al desiderio di acquistarlo e poi si è reso conto di avere bisogno di un Network, appassionato quanto lui di contenuti di qualità, capace di restituire al film il calore e l'accoglienza di una condivisione vera del suo messaggio. È la storia di Silent Souls220, di Aleksei Fedorchenko, il film rivelazione della inoltrata primavera 2012 che ha inaugurato l'attività di Microcinema Distribuzione suggellando, con evidente concretezza, il legame tra Microcinema e il Cinema e completando il quadro delle azioni a sostegno di un intero settore. Dario Formisano, il distributore che ha acquisito i diritti del film, ricorda con queste parole prima l’acquisto e poi, non appena riaperti 219 Quentin Tarantino, presidente della giuria, ha affermato sorpreso " Questo film è notevole in ogni sua forma. Grande, semplicemente meraviglioso". 220 Silent Souls (Ovsyanki, Aleksei Fedorchenko, Russia, 2010) è un’esclusiva per l’Italia di Eskimo e Zivago Media distribuito da Microcinema. 201 gli occhi dopo l’ultima riga dei titoli di coda, la sconcertante scoperta dell’aridità del mercato italiano che non avrebbe mai potuto accogliere un capolavoro tanto ricercato e profondo, fino al suo incontro con Microcinema e all’inizio della sua personale avventura di “cinema ritrovato”. Dice Formisano: “Ero reduce - con Rino Sciarretta, partner immancabile in qualsiasi piccola intrapresa culturale che abbia a che fare con la vecchia o con la nuova Russia - da un’esperienza intensa e faticosa, quella relativa all’importazione e alla distribuzione in Italia di un film magnifico, Alexandra di Aleksandr Sokurov, che pur avendo sfiorato una Palma d’oro a Cannes nessuno avrebbe distribuito in Italia...” La figura del distributore, in Italia, è spesso irrigidita da pratiche consolidate che lo costringono a un eccesso di pigrizia, almeno da quando – e sono ormai diversi anni – le televisioni hanno smesso di essere uno sbocco commerciale sicuro e vantaggioso. Oberati da un eccesso di offerta - oltre che dalla sua “globalizzazione” - scelgono strade sempre più sicure, alzano il tiro degli investimenti, per costringere se stessi e i propri partner/compratori alla convivenza con una logica di tipo industriale che con il buon cinema ha spesso molti punti di conflitto. Ma rilanciare la dimensione artigianale della scoperta di un film, della sua importazione/acquisto dei diritti, dell’edizione intelligente dei suoi contenuti, della protezione del suo percorso, è una sfida a volte impossibile. È impensabile o quasi che uno dei distributori di cui sopra, accolga nel suo listino un film che non ha scelto/acquistato direttamente. È impossibile per l’importatore/esclusivista imbarcarsi nell’investimento necessario per il lancio nelle sale se non già impegnato in un’attività continuativa, in un rapporto quotidiano con gli agenti e gli esercenti. E sono queste le ragioni per cui Silent Souls, un gioiello proveniente dalla stessa terra di Sokurov, rischiava di rimanere al buio. Non bastava attendere che il prezzo d’acquisto – dopo il piccolo exploit veneziano – diventasse abbordabile. Non bastavano la decisione di doppiarlo per sottrarlo alle obiezioni, un po’ becere ma vivissime nell’ambiente, secondo cui un film con i sottotitoli è condannato all’invisibilità. E neanche la predisposizione di un piano di lancio, minuziosamente orientato ad una spending review, come si direbbe oggi... “L’incontro con Microcinema - e con l’ambiente fervido culturalmente che si muove dietro Microcinema fatto di sale, comunità, associazioni 202 e tanto altro - è stato da questo punto di vista provvidenziale”, continua Dario Formisano. “Microcinema ha cercato me e Rino Sciarretta chiedendoci proprio di Silent Souls, un film che in quell’area un po’ elitaria di distribuzione alla ricerca del bello, aveva lasciato evidentemente un buon segno. Ed un segno per noi è stata l’intraprendenza di Microcinema, tale da convincerci ad affrettare i tempi dell’edizione italiana, a ragionare sul percorso commerciale - e non solo - che il film avrebbe potuto avere. Non più soli ma, è il caso di dire, con un partner. In una somma/sintesi di competenze, nel segno di una moltiplicazione di impegno e lavoro, che restano nonostante tutto l’unica forza cui affidarsi in momenti di grande crisi e grande confusione come quello attuale”. Nella convinzione di aver iniziato un percorso virtuoso, sta prendendo forma, proprio in queste settimane, l’idea di ripetere questa esperienza comune tenendo ferma questa fruttuosa idea di lavoro comune, di somma di competenze e di propensione al rischio, che ci appaiono oggi l’unico asset su cui costruire responsabilmente qualsiasi attività, in qualsiasi comparto dell’economia della cultura. 203 Chichen Itza, Messico distanza dalla Terra: zero DIZIONARIO ESSENZIALE 205 ADSL: acronimo di Asymmetric Digital Subscriber Line, indica una tecnologia appartenente alla famiglia delle xDSL, utilizzata per l'accesso digitale a Internet ad alta velocità di trasmissione su doppino telefonico. ACATS: acronimo di Advisory Committee on Advanced Television Service, è un organo della FCC che ha il compito di approvare lo standard delle TV di ultima generazione negli Stati Uniti. Anaglifo: indica l’immagine tridimensionale utilizzata agli albori della stereoscopia, costituita da due immagini sovrapposte e colorate diversamente tra loro in modo da far percepire al cervello dello spettatore, dotato di occhialini colorati, l’illusione della tridimensionalità dell’immagine. Ansi Lumen: unità di misura della luminosità standardizzata dall’ANSI, acronimo dell’inglese American National Standard Institute. È comunemente usato per definire la luminosità di un proiettore. Aspect ratio: indica il rapporto matematico tra la larghezza e l'altezza di un'immagine. Il formato, o aspect ratio, cinematografico più utilizzato è il formato 1,85:1. Meno diffuso il Cinemascope 2,35:1 (2,39:1). Battuta: quando si parla di “uscita in battuta” si fa riferimento alla prima uscita nazionale. Bit (b): contrazione del termine binary digit = unità binaria. Un bit può definire due livelli o stati, 0 o 1, acceso o spento, bianco o nero, ecc. Bleach bypass: è un procedimento di sviluppo della pellicola cinematografica che si ottiene saltando il passaggio di bleaching (sbiancatura): in questo modo, i cristalli d'argento si fermano sullo strato di celluloide. Questa tecnica consente di ottenere un maggiore contrasto dell'immagine, a scapito di una riduzione della saturazione. Blockbuster: film che, grazie ad una massiccia promozione commerciale prima dell’uscita, è generalmente candidato ad entrare ai primi posti nelle classifiche di vendita di biglietti a livello internazionale. A livello contenutistico ha un carattere di intrattenimento tout court. Blu-ray Disc: vedi Disco ottico. B-movie: identifica un film di bassa qualità. E’ nato negli anni trenta negli Stati Uniti. Pagando un solo biglietto si poteva vedere un film in più e questo spiega anche la loro durata inferiore ai settanta minuti. Si trattava di film di genere (soprattutto western e noir) girati in pochi giorni e sfruttando scenografie e costumi di altri film ben più costosi. Bollywood: è la fusione dei nomi Bombay e Hollywood. Indica gli studios indiani, che hanno una produzione, in lingua hindi, in costante espansione perché si rivolgono ad un mercato potenziale che sfiora il miliardo di persone, giovani e appassionati di cinema. Gli studios Tamil sono chiamati Kollywood e hanno sede nel sud del paese. Box office: chiamato anche in gergo “botteghino”, identifica il totale 207 incassato da un film in un determinato periodo, dato dalla somma del valore lordo dei biglietti (ovvero il prezzo pagato dal pubblico). Brightness (Luminosità): la quantità totale della luce proveniente dallo schermo sul quale è proiettata un’immagine “tutto bianco”. Viene misurata in “candele per metro quadro” oppure in “foot lambert per metro quadro”. Può indicare anche la proprietà di una superficie di emettere o riflettere luce. Broadcasting: sistema di radiodiffusione che permette la trasmissione di informazioni da un unico punto trasmittente a un insieme di punti riceventi non definito a priori. Byte: insieme di otto bit. Viene utilizzato come unità di misura di spazio in informatica. È la quantità di memoria necessaria per memorizzare un carattere alfanumerico. CD: vedi Disco ottico. Central Library: è un server centrale che permette di immagazzinare grandi quantità di contenuti DCP all’interno di una sola macchina (nell’ordine della decina di Terabyte). Le grandi strutture cinematografiche multisala impiegano tali apparecchiature per archiviare tutti i contenuti DCP (o riceverli direttamente via satellite) e per smistare questi ultimi automaticamente nei server di sala. Chiave di crittografia: algoritmo matematico usato per criptare e decriptare i contenuti rendendoli inaccessibili a chi è sprovvisto della chiave. E’ parte integrante della licenza che autorizza l’uso, la decriptazione e la riproduzione del film digitale per quel determinato cinema, schermo, giorno e ora. Cinemakit: è l’insieme “aperto” di apparati tecnologici che permette la ricezione via satellite dei film e degli eventi del catalogo Microcinema, il loro immagazzinamento, la proiezione e l’utilizzo polifunzionale della sala cinematografica con i contenuti procurati in autonomia dall'esercente. È il primo gradino della digitalizzazione ed è sempre possibile effettuare l’upgrade ai sistemi DCI. Codifica (trattamento dell’immagine): è il processo informatico che consente di ridurre la dimensione dei file video attraverso un algoritmo percettivo di compressione delle informazioni relative alle immagini. La codifica, nel cinema, può generare un file di 720 oppure 1080 pixel. Il cinema digitale usa questi tipi di compressione per ottenere file di dati facilmente gestibili nei successivi processi di masterizzazione, distribuzione e proiezione. Per essere proiettate le immagini devono essere prima decodificate. Nell’accezione comune si usa spesso per identificare programmi o contenuti criptati che necessitano di sistemi di decodifica tipo decoder con smart card. Color grading: è la variazione del bilanciamento dei colori, del contrasto e di altri parametri delle immagini al fine di ottenere un determinato equilibrio cromatico uniforme tra le varie scene. Compressione dell’informazione: è un metodo per ridurre lo spazio 208 occupato da un file audio/video basato generalmente su un algoritmo matematico che elimina tutte quelle informazioni che non sono percepite dal cervello umano, mostrando allo spettatore un’immagine del tutto simile all’originale. Un file compresso occupa meno spazio in un hard disk e impiega meno tempo per essere trasferito via satellite o via ADSL. Content provider: indica il fornitore di contenuti. Contrasto: è la misura del rapporto di luminosità tra l’area a massima luminosità e l’area a minima luminosità dell’immagine proiettata. Cortometraggio: il “corto” è un film di durata massima di 30 minuti. Correttore di trapezio: è un dispositivo che permette di ottenere un’immagine perfettamente rettangolare anche qualora il proiettore non sia in asse con lo schermo. Crominanza (chroma): è la parte dell’immagine che contiene i dati di colore, tonalità e saturazione. D-Cinema: Cinema Digitale. Il sistema di archiviazione e proiezione cinematografica digitale. Gli studios americani e l’SMPTE identificano come cinema digitale la catena produttiva dalla lavorazione del primo master, alla preparazione dei DCDM e DCP, fino alla proiezione. La distribuzione alle sale cinematografiche può essere fatta via satellite, su cavo a banda larga o su media fisico (nastro magnetico, disco ottico o disco magnetico). D5-HD: supporto video in HD caratterizzato da una bassissima compressione dei dati, sviluppato da Panasonic ed utilizzato come master universale (Universal Master) da cui vengono prodotti tutti i contributi per la filiera dello sfruttamento dei diritti audiovisivi: DVD, home video, TV via satellite, TV analogica. Datacine: dispositivo che trasferisce le immagini dalla pellicola al dominio digitale apportando le dovute correzioni di spazio colore. Esso ha ormai soppiantato il vecchio telecine. DC28: vedi SMPTE DC28. DCDM: acronimo di Digital Cinema Distribution Master – È il master non compresso per video/audio e sottotitoli. L’immagine DCDM ha già subito la color correction per la proiezione digitale ed è utilizzata per creare i file compressi utilizzati nella distribuzione del Digital Cinema. Il DCDM è un supporto richiesto da molti festival per la proiezione in digitale. DCI: acronimo di Digital Cinema Initiative. È un’organizzazione volontaria costituita da Disney, Fox, MGM, Paramount, Sony Pictures, Universal e Warner Bros per investigare sulle possibili tecnologie digitali da utilizzare nel settore cinematografico in sostituzione della pellicola tali che il risultato visivo per lo spettatore appaia uguale o superiore a quello della prima proiezione della prima copia stampata. Il risultato dell’investigazione ha generato raccomandazioni sul D-Cinema che riguardano esclusivamente gli aspetti tecnici (trattamento dell’immagine) ma non le implicazioni commerciali dovute 209 alla loro applicazione. Dal 2008, DCI ha rilasciato centinaia di errata corrige al Digital Cinema Specification. DCP: acronimo per Digital Cinema Package. È l'insieme di file ricavati dal risultato del processo di compressione, codifica, criptazione della copia DCDM con eventuale versione audio e sottotitoli. In pratica, è la copia del film digitale che la distribuzione fornisce agli esercenti. La copia DCP può essere memorizzata su media fisico ed inviato via satellite o rete. Digitale: termine che deriva dall’inglese digit (numero) indica sia un insieme finito di elementi sia ogni forma di organizzazione delle informazioni come combinazione di dati rappresentati sotto forma di segnali discreti (on e off) e tradotti nel codice binario 0 e 1. Un oggetto viene reso in formato digitale quando il suo stato analogico, rappresentato da un insieme infinito di elementi, viene trasformato in un insieme numerabile di elementi. Director's cut: versione di un'opera cinematografica mostrata così com'è stata pensata e realizzata dal regista, rispetto a quella varata dalla casa di produzione (montaggio e durata). Esce di solito in un secondo momento, con le scene e il montaggio voluto dall'autore, che per un motivo o per l'altro avevano subito modifiche nella prima versione. Diritto Theatrical: è il diritto di proiezione e sfruttamento del contenuto audiovisivo per proiezione nelle sale cinematografiche. Diritto Theatrical Digitale: diritto di proiezione e sfruttamento del contenuto audiovisivo relativo alle proiezioni digitali nelle sale cinematografiche del Digital Network intermediato da Microcinema. Disco ottico: tipologia di supporto di memoria, costituita da un disco piatto e sottile in genere di policarbonato trasparente. Tra i più utilizzati: - CD: ha una capienza di circa 700 Mb e viene utilizzato soprattutto nell’industria discografica perché nasce come supporto per l’audio digitale di alta qualità. - DVD: può contenere circa 4,5 Gb di informazioni su di un lato e 18 Gb sulla versione a doppia intensità (circa 40 volte più di un normale CD-ROM). - Blu-ray Disc: identifica un disco ottico con maggiore capacità di memoria rispetto al DVD normale, in grado pertanto di contenere file audio/video in alta definizione. - DivX: è una tecnologia multimediale proprietaria basata su una variante dello standard di codifica MPEG-4. Il celebre compressore video sviluppato da DivX Inc. è utilizzato da moltissime persone in tutto il mondo e ha creato un ecosistema alternativo allo standard MPEG-4. Di tale ecosistema fanno parte, oltre ad applicazioni (software) per computer, anche lettori DVD/DivX e macchine fotografiche digitali. La particolarità del DivX sta nella sua versatilità nel produrre file di dimensioni ridotte (come filmati di lunga durata) lasciando pressoché inalterata la qualità dell'immagine. In pratica, con le opportune impostazioni, è possibile convertire un film DVD di circa 2 ore in un file DivX 210 da 700 Mb (la dimensione di un CD-ROM) con una eccellente qualità video e audio. Per questo motivo è stato al centro di controversie per il suo utilizzo nella duplicazione e distribuzione di DVD protetti. DLP: acronimo di Digital Light Processing (DLP). È un sistema digitale di generazione delle immagini basato su tecnologia DMD – Digital Micromirror Device sviluppata dalla Texas Instruments insieme alla Digital Projection e usata dai principali costruttori di proiettori per cinema digitale tra cui Barco, Christie e Nec, ma anche per proiettori digitali ovvero per altre applicazioni non necessariamente relative al cinema digitale. Il dispositivo è formato da una matrice di microscopici specchi oscillanti (ciascuno dei quali corrisponde ad un pixel dell’immagine finale), utilizzati per riflettere il fascio luminoso proveniente da una lampada. Una volta colpiti, gli “specchietti”, variando la propria incidenza, rifrangono la luce in modo da creare l’immagine in movimento. È possibile realizzare immagini in tricromia RGB con una sola matrice ma, per migliorare risoluzione e luminosità, possono essere utilizzate tre matrici o chip, uno per ogni colore primario. DRM: acronimo di Digital Rights Management. Complesso di sistemi tecnologici mediante i quali i titolari dei diritti d'autore possono esercitare e amministrare tali diritti nell'ambiente digitale, grazie alla possibilità di rendere protetti, identificabili e tracciabili tutti gli usi in rete di materiali adeguatamente “marchiati”. Con il temine DRM si fa spesso riferimento al certificato digitale che accompagna il film come una carta d’identità, come un curriculum che rileva, concedendo o negando, ogni utilizzo dello stesso. DVD: vedi Disco ottico. Effetto trapezio: effetto visivo che si crea quando il proiettore non è in asse con lo schermo. L’immagine proiettata risulta deformata negli angoli superiori o inferiori e quindi non perfettamente rettangolare. (vedi “Correttore di trapezio”). Ethernet: è un modo per connettere e collegare apparati digitali in rete. La principale caratteristica è il numero di dati digitali (bits) che possono essere trasmessi in un periodo di tempo. Si adopera una rete a 10BaseT o 100BaseT per trasferire informazioni semplici come le istruzioni di controllo, mentre si adopera una rete veloce Ethernet Gigabit 1.000BaseT o 10.000BaseT per trasferire grandi quantità di dati come, per esempi o, quelli per il film digitale. FCC: acronimo di Federal Communications Commission, è un’agenzia governativa indipendente degli Stati Uniti creata, diretta e autorizzata dallo statuto congressuale. È un’autorità amministrativa indipendente ma ha maggiori poteri delle corrispondenti authority italiane. La FCC è stata definita dal Communications Act del 19 giugno 1934 come successore della Federal Radio Commission ed è incaricata di tutti gli usi dello spettro radio (incluse le trasmissioni radio e televisive) non governative, di tutte le telecomunicazioni interstatali (via cavo, telefoniche e satellitari) e delle comunicazioni internazionali che provengono e sono destinate agli Stati Uniti. 211 File: insieme strutturato di dati caratterizzato da un’etichetta di metadati e da vari pacchetti di dati. Film Commission: uffici e organismi no-profit, creati e sostenuti da enti pubblici locali (regioni, provincie, comuni). Forniscono gratuitamente i propri servizi, che vanno dall'assistenza logistica all'ottenimento dei vari permessi, dalla ricerca di location alla facilitazione nell'accesso a risorse finanziarie locali. Film scanner: indica un'apparecchiatura che crea una versione digitale della pellicola. I film scanner sono in grado di lavorare a risoluzioni maggiori dell'HD (1920 x 1080). Il formato più comunemente usato è il 2K ma anche il 4K, soprattutto per lavorazioni che contemplano effetti visuali come in postproduzione. Foot-lambert: è l’unità di misura della luminosità (luminanza) sullo schermo di proiezione. Society of Motion Picture and Television Engineers (vedi SMPTE) raccomanda la luminosità degli schermi per i cinema commerciali. L'attuale revisione della specifica SMPTE 196m richiede 16 foot-lambert pari a 55 candele per metro quadrato. Foyer: è il locale, adiacente ad una sala teatrale o cinematografica, dove gli spettatori si intrattengono prima, durante e dopo le pause dello spettacolo. Fonografo: pensato e progettato da Thomas Edison nel 1877, rappresenta uno dei primi strumenti inventati con lo scopo di ottenere la riproduzione e la registrazione dei suoni. FPS (o frame rate): acronimo di Frame per Seconds, è il numero di immagini per unità di tempo che vengono visualizzate (frame). Varia da sei a otto immagini al secondo per le vecchie macchine da presa a 120 o più per le nuove videocamere professionali. Gli standard PAL (Europa, Asia, Australia, ecc.) e SECAM (Francia, Russia, parti dell'Africa ecc.) hanno 25 FPS, mentre l'NTSC (USA, Canada, Giappone, ecc.) ha 29.97 FPS. La pellicola ha una registrazione ad un frame rate minore, di 24 FPS. Per raggiungere l'illusione di un' immagine in movimento il frame rate minimo è di circa 10 fotogrammi al secondo. Frame: vedi FPS. Frame rate: vedi FPS. Full digital: è un esercizio cinematografico che sceglie di proiettare solo in digitale abbandonando completamente la pellicola. Full redundant: caratteristica di un dispositivo progettato per essere utilizzato in applicazioni critiche dove è richiesto il minor tempo di fermo possibile. Tutti gli elementi costitutivi sono ridondati per garantire la massima performance. FUS: acronimo del Fondo Unico per lo Spettacolo, è il fondo utilizzato dal governo italiano per regolare l'intervento pubblico nei settori del mondo dello spettacolo (cinema, teatro, musica, ecc). È stato istituito con l'articolo 1 della legge 30 aprile 1985, n.163 per fornire sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese operanti nell’ambito di cinema, musica, 212 danza, teatro, circo e spettacolo viaggiante, nonché per la promozione e il sostegno di manifestazioni e iniziative di carattere e rilevanza nazionale in Italia o all'estero. Ghost Busting: è un tipo di pre-processamento dell’immagine richiesto da Real-D per evitare il fenomeno di ghosting, nel quale un occhio percepisce marginalmente anche l’immagine destinata all’altro occhio. Per ogni film esistono quindi due versioni di Master GB (Ghost Busted) e NGB (Not Ghost Busted) destinate ai diversi sistemi 3D. In un prossimo futuro su raccomandazione di DCI, saranno unificate nel solo formato NGB (Not Ghost Busted). A questo formato Real-D e i produttori di server si stanno adeguando. Hard drive: è più conosciuto con il termine “hard disk” ed è utilizzato per memorizzare grandi quantità di dati digitali. Nel Cinemakit è usato in configurazione RAID per memorizzare i file dati dei film digitali e pronti per la riproduzione. Hard drive rimovibili possono essere anche usati per trasferire film digitali da una sala all’altra. HD: acronimo di High Definition. E’ un formato televisivo e indica formati di immagine 1280x720 pixel o 1920x1080 pixel. HDCP: acronimo di High-Bandwidth Digital Content Protection. E’ un sistema di protezione sviluppato da Intel per contenuti digitali, programmi televisivi e audio. Il sistema applica una codifica ai flussi audio-video che vengono trasferiti tra due dispositivi per evitare intercettazioni e quindi la copia non autorizzata. HD-DVD: acronimo di High Density Digital Versatile Disc. Come il Blu-ray ma realizzato da un diverso consorzio di produttori e per questo basato su un formato di memorizzazione e gestione dell’immagine incompatibile con Bluray. Toshiba ha confermato la cessazione del business HD-DVD, annunciando l'interruzione della produzione. HDSL: High data rate Digital Subscriber Line. Tecnologia xDSL studiata per potenziare la velocità di trasmissione nelle connessioni Internet su doppino telefonico. A differenza della tecnologia ADSL utilizza una linea dedicata per ogni utente. HDTV: acronimo di High Definition TV. Televisione ad alta definizione. Generalmente è costituita da 1920 pixel per ogni linea orizzontale, 1080 pixel in verticale e con un formato immagine 16:9 a differenza della Standard Definition TV che raggiunge al massimo una risoluzione di 720 x 576 pixel. Home theatre: è un sistema audiovideo per uso domestico. Home video: identifica tutte le versioni video per uso domestico (VHS, DVD, DiVX, CD). IEC: acronimo di International Electrotechnical Commission, è una organizzazione internazionale per la definizione di standard in materia di elettricità, elettronica e tecnologie correlate. Molti dei suoi standard sono 213 definiti in collaborazione con l'ISO (Organizzazione internazionale per la normazione). Image compression: indica gli algoritmi e le tecniche che si utilizzano per ridurre la dimensione delle immagini digitali. La compressione è una tecnica utilizzata per memorizzare un'immagine riducendo la quantità di informazioni digitali necessarie per memorizzare elettronicamente l'immagine stessa. Interlacciato: sistema analogico di codifica delle immagini basato sulla scansione di ogni fotogramma in due campi, composti il primo dalle linee dispari e il secondo dalle linee pari che formano l’immagine. In caso di immagini dinamiche possono formarsi effetti come sfarfallio delle righe o effetti scalino. Il sistema interlacciato consente di trasferire in due tempi ogni fotogramma utilizzando risorse limitate di banda. E’ il sistema utilizzato dalla televisione tradizionale sia in Standard Definition sia High Definition. International cut: montaggio di un film per il mercato. Interoperabilità: capacità di fornire un interscambio efficiente di immagini e audio elettronici e dei dati associati tra diversi formati di segnale, tra diversi mezzi di trasmissione, tra diverse applicazioni, tra diversi livelli di prestazione (FCC ACATS). In pratica identifica l’effettiva compatibilità tra apparati e sistemi diversi forniti da diversi costruttori. E’ un’esigenza degli esercenti di vitale importanza per le sale. ITU: acronimo di International Telecommunication Union. È l’agenzia delle telecomunicazioni dell’ONU ovvero l’organismo internazionale, con sede a Ginevra, responsabile della definizione di tutte le normative riguardanti la telecomunicazione (anche il GSM che usiamo per telefonare è normato dall’ITU). ITU.B.709: identifica lo standard della HDTV. ISO: acronimo di International Organization for Standardization, è la più importante organizzazione a livello mondiale per la definizione di norme tecniche. Fondata il 23 febbraio 1947, ha il suo quartier generale a Ginevra in Svizzera. Membri dell'ISO sono gli organismi nazionali di standardizzazione di 157 Paesi del mondo. In Italia le norme ISO vengono recepite, armonizzate e diffuse dall'UNI, il membro che partecipa in rappresentanza dell'Italia all'attività normativa dell'ISO. L'ISO coopera strettamente con l'IEC, responsabile per la standardizzazione degli equipaggiamenti elettrici. JPEG: acronimo di Joint Photographic Expert Group (gruppo di standardizzazione internazionale che lavora sotto ISO e IEC e che sviluppa un consenso internazionale sugli algoritmi della image compression per una continuità di tono e colore delle immagini ferme). Identifica un algoritmo di compressione delle immagini statiche che permette di ridurre lo spazio occupato dal file pur mantenendo buona parte delle caratteristiche di qualità dell’immagine. Sfruttando il funzionamento del cervello umano nel percepire forme e colori, questo formato di codifica semplifica le immagini eliminando minuscoli dettagli, normalmente impercettibili, sostituendole con un modello 214 matematico che consente di rappresentarle con una quantità di informazioni notevolmente inferiore. L’immagine viene così compressa, con un fattore variabile, regolabile a piacere al momento della creazione del file: maggiore sarà la compressione, minori le dimensioni del file. K: numero di pixel di risoluzione orizzontale di un'immagine. "K" è l'abbreviazione di "Kilo" che significa 1000 o abbreviato 1K. KDM: vedi licenza. Kinetoscopio: ideato da Thomas Edison nel 1888, sviluppato negli anni successivi da William Dickson. Sorta di grande cassa sulla cui sommità si trovava un oculare; lo spettatore poggiava l'occhio su di esso, girava la manovella e poteva guardare il film montato nella macchina su rocchetti. Attraverso un piccolo foro situato nella parte superiore dell'apparecchio si poteva vedere un breve filmato, proiettato facendo scorrere la pellicola da 35 mm ad una velocità di 48 immagini per secondo. Kolossal: film in cui tutto è svolto in grandi dimensioni, a partire dal budget, al cast di attori sino alle scenografie, agli effetti speciali ed al lancio pubblicitario. LCD: il Liquid Cristal Display è un tipo di display principalmente utilizzato per monitor è TV. Orientati in modo opportuno, i "cristalli liquidi" possono consentire o meno il passaggio della luce proveniente dalla retroilluminazione del pannello illuminando lo schermo. Licenza: conosciuta anche come Key Delivery Message (KDM) è il metodo standardizzato per spedire le chiavi di sicurezza (key) al server di sala e contiene le chiavi necessarie a decriptare un determinato film in un determinato cinema, oltre a informazioni sul suo uso. Può essere su memoria USB o su rete oppure essere nell'hard drive che contiene il film o contenuto digitale. LSDI: acronimo di Large Screen Digital Imagery, è una famiglia di sistemi digitali di proiezione relativi ai grandi schermi come i cinema, i teatri e le grandi installazioni. Esistono molti sistemi di questo tipo, a seconda delle dimensioni dell’ambiente in cui vengono installati, e sono sempre caratterizzati da dispositivi di alta qualità. Lungometraggio: è un film della durata minima di 60 minuti. M-Box: è il server di sala interoperabile VC-1 / DCI presentato al mercato da Microcinema nel 2008. M-box 2.0: nuova versione 2011 del server M-Box, equipaggiato con processori più potenti e maggiore spazio su disco. Può ricevere, immagazzinare e proiettare oltre 200 titoli tra film e opere del catalogo Microcinema e tutti film in formato DCI. Ad oggi è l'unico sistema interoperabile disponibile sul mercato. Major: è la definizione dei principali studios americani di produzione e distribuzione di film. Universal, Sony Columbia Tri-star Pictures, Warner Bros, 215 Twenty Century Fox, Metro-Goldwyn-Mayer, Dreamworks SKG, Disney Corporation, Paramount. Masterizzazione: le attività in postproduzione per raggiungere la edizione finale di un film (per l'appunto il “master”). Matte painting: tecnica utilizzata prevalentemente in ambito cinematografico che permettere la rappresentazione di paesaggi o luoghi troppo costosi se non impossibili da ricostruire o raggiungere direttamente. Media Block: è l’hardware necessario per decriptare e decodificare i contenuti DCP. Solitamente si trova all’interno dei server DCI ma dal 2011, con la nascita dei proiettori digitali di seconda serie, il consorzio DCI ha raccomandato l’utilizzo degli IMB (Integrated Media Block). Ovvero tale hardware è integrato nel proiettore, aumentando la sicurezza dei dati trasmessi (tra server e proiettore) e abbattendo i costi di acquisto (perché tali dati vengono decriptati, decodificati e decompressi solo nel proiettore e non più anche nei server). DCOSA Technical Overview, Versione 1.0 del 7-10- 2010. Metadata: è una componente fondamentale per archiviare contenuti digitali e semplificare l’accesso agli stessi in una fase successiva. Sono le informazioni sovrascritte sui contenuti stessi che descrivono un insieme di dati come il titolo, durata, ora e data, dettagli sul copyright, formato immagine, tipo audio e via di seguito. MJPEG-2000: (Motion JPEG) formato di compressione delle immagini digitali in movimento basato sullo schema di compressione JPEG utilizzato per le immagini fisse (prevede infatti la compressione di ogni singolo fotogramma individualmente). Si caratterizza per una bassissima perdita di informazioni dovuta alla compressione, che è pur sempre consistente. MPEG-2: standard di codifica dei dati digitali usato principalmente per contenuti LSDI, contenuti alternativi e HDTV. Utilizzato nei DVD e nella TV digitale. MJPEG-2000: metodo scelto da DCI per il cinema digitale. Qualsiasi server DCI deve lavorare con dati compressi MJPEG 2000. Megaplex: indica un esercizio cinematografico con oltre 16 schermi. Microplex: sono gli esercizi cinematografi con meno di 3 schermi. Solitamente si caratterizzano per programmazione flessibile e legata al cinema sia d’essai sia commerciale. MiBAC: sigla del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Fu istituito dal governo Moro nel 1974 con il compito di affidare unitariamente alla specifica competenza di un Ministero appositamente costituito la gestione del patrimonio culturale e dell'ambiente al fine di assicurare l'organica tutela di interessi di estrema rilevanza sul piano interno e nazionale. Multiplex: indica un esercizio cinematografico con numero di schermi compreso tra 4 e 16. 216 Multisala: indica tutti gli esercizi cinematografici con più di 3 schermi. Secondo Mediasalles il termine “multisala” indica le strutture ottenute dal frazionamento di grandi cinema mentre i multiplex o i megaplex nascono sulla base di una progettazione specifica. MXF: acronimo di Material Exchange Format. È il formato utilizzato per l’interscambio dei file di dati tra sistemi e apparati cinema digitale di diversi costruttori. È la base della interoperabilità. NATO: acronimo di National Association of Theater Owners. È l’associazione degli esercenti cinematografici principalmente americani. NTSC: è uno standard per la creazione, trasmissione e ricezione di contenuti video per le aree geografiche Corea, Giappone, Canada, USA e alcuni paesi americani. Il suo nome è la sigla di National Television System(s) Committee, l'ente di standardizzazione industriale che lo ha creato. L'NTSC è un formato di tipo interlacciato con una cadenza di ripresa di 30 fotogrammi al secondo (in realtà la frequenza esatta è di 29,97 Hz) e prevede l'utilizzo di 525 linee per la definizione di un fotogramma completo e di 262,5 linee per ogni semiquadro. Occhiali Attivi: sono occhiali per 3D dotati di otturatori LCD montati in luogo delle lenti che si aprono e chiudono svariate volte al secondo mostrando alternativamente l’immagine per l’occhio destro e quella per il sinistro, creando quindi l’illusione dell’immagine tridimensionale. Occhiali Passivi: sono occhiali per il 3D dotati di lenti polarizzate in grado di filtrare per ogni occhio l’immagine ad esso destinata, senza lasciar passare le informazioni destinate all’altro occhio, creando in tal modo l’illusione dell’immagine tridimensionale. PAL: acronimo di Phase Alternating Line, è un metodo di codifica del colore utilizzato nella televisione analogica, usato in quasi tutto il mondo. Fanno eccezione parte del continente americano, alcune nazioni dell'est asiatico, parte del Medio Oriente, dell'Europa orientale e la Francia. La maggior parte dei Paesi che adottano il PAL utilizzano una scansione interlacciata a 625 linee orizzontali e 50 fotogrammi al secondo. Perfect Film Look: marchio creato da Microcinema per indicare la qualità delle proprie proiezioni, che mantengono, grazie alla particolare codifica dell’immagine, tutta la fluidità delle normali proiezioni in pellicola (vedi Progressivo). Pixel: unità elementare con cui viene rappresentata un’immagine (come la cellula per il corpo umano, come l’atomo per la materia, ecc.). Abbreviazione per “elemento di un’immagine” (PICture Element). Normalmente indica il numero di pixel facenti parte di una linea orizzontale dell’immagine, o dell’intero fotogramma (pixel orizzontali e verticali) di ogni immagine. È considerata l’unità elementare componente tutte le immagini. Per ciascun pixel può essere memorizzata una certa quantità di informazioni, tale da ricostruire il colore e la luminosità dello stesso; maggiore è la quantità di informazioni sui singoli pixel, maggiore la qualità dell’immagine e la fedeltà al 217 colore originale. La dimensione di un pixel dipende dalle dimensioni dello schermo. Polarizzazione: un processo inventato da Polaroid negli anni Trenta per i suoi occhiali destinati a ridurre i riflessi dei fari delle automobili provenienti in senso contrario a quello di guida. La luce viene filtrata in un senso ben preciso eliminando tutte le onde luminose proveniente dalle direzioni che non siano quella prescelta. Comporta una diminuzione di luminosità di ciò che si vede ma anche una diminuzione dei riflessi. Questo processo sta alla base di ogni sistema 3D. Prequel: opposto del sequel. Sconvolge la corrispondenza cronologica tra la produzione di un film e la sua ambientazione, tornando indietro in quello che è l'ordine degli eventi presentato dal film precedente. Progressivo: sistema digitale di codifica delle immagini basato sulla scansione completa di ogni singolo fotogramma (la procedura di generazione del segnale video è infatti denominata “a immagine completa”). È una trasposizione in digitale del comportamento della macchina da presa in pellicola. È un sistema utilizzato sia per la ripresa sia per la proiezione cinematografica. Trova applicazione nella risoluzione HD 720p e 1080p. A parità di frequenza, la scansione progressiva richiede il doppio della banda rispetto a quella interlacciata. Promokit: è il server Microcinema che permette la proiezione degli spot pubblicitari. Si interfaccia con le automazioni di sala e con i proiettori già installati, per garantire il massimo dell’interoperabilità. RAID: acronimo di Redundant Array of Independent Disks. È un’architettura usata nei migliori sistemi di sala per evitare le interruzioni nella proiezione. I file sono memorizzati su hard disk multipli onde assicurare affidabilità da errori o cancellazioni: se un hard disk non funziona, si ha la sicurezza che i dati digitali siano reperibili da altro hard disk del RAID e non si ha alcuna interruzione di proiezione. Refresh Rate: indica il numero di volte in cui viene ripetuta l'immagine su un display nell’arco di un secondo. Di norma più si aumenta la velocità di aggiornamento più si riduce lo sfarfallio dell’immagine defaticando l’occhio, un refresh troppo elevato può però danneggiare il display. La frequenza di aggiornamento più comune per i televisori moderni è di 60Hz per i sistemi basati NTSC e di 50Hz per i sistemi basati PAL. Remake: rifacimento di un film. Risoluzione: la risoluzione indica il grado di qualità di un'immagine stampata. Generalmente si usa questo termine relativamente a immagini digitali, ma anche una qualunque fotografia ha una certa risoluzione. La risoluzione indica la densità dei pixel, ovvero la quantità dei puntini elementari che formano l'immagine rapportata ad una dimensione lineare (ad esempio pixel/cm o pixel/pollice). Le risoluzioni per cinema digitale attualmente specificate dal consorzio DCI sono 2K (2048 pixel orizzontali x 1080 pixel verticali) e 4K (4096 pixel orizzontali x 2160 pixel verticali). 218 Risoluzione di proiezione: è la risoluzione della matrice del proiettore su cui si forma l’immagine ovvero il numero di pixel con cui l’immagine viene rappresentata (all’aumentare della risoluzione, aumenta il numero di pixel che a parità di area diventano più piccoli e per questo rendono l’immagini più definita: linee oblique sempre più rette e meno “a scaletta”). Sbigliettamento nettissimo: indica l’incasso da biglietteria al netto di IVA, SIAE e altre tasse in genere che dovessero gravare a vario titolo sullo spettacolo. SD: acronimo di Standard Definition. Indica formati di immagine di 720x576 pixel. SDTV: acronimo di Standard Definition TeleVision, identifica le trasmissioni televisive con un video simile a quello degli standard analogici maggiormente diffusi nel mondo nella seconda metà del XX secolo. È, in altre parole, un termine che sta a indicare genericamente un livello qualitativo dell'immagine televisiva. I formati più diffusi sono da 576 o 480 linee di risoluzione verticale delle immagini e con frequenza rispettivamente di 25 o 30 immagini al secondo con scansione interlacciata. SECAM: acronimo del francese SÉquentiel Couleur À Mémoire (traduzione letterale: colore sequenziale con memoria), è un sistema di codifica della televisione a colori utilizzato per la prima volta in Francia. La risoluzione e i fotogrammi al secondo sono i medesimi dello standard PAL (576 linee per 50 fotogrammi al secondo). Sequel: film che presenta dei personaggi e/o degli eventi cronologicamente posteriori a quelli già apparsi in un precedente episodio. Server: in informatica il termine indica genericamente un componente informatico che fornisce un qualunque tipo di servizio ad altre componenti attraverso una rete di computer. Con un’altra accezione, viene considerato un computer specifico, caratterizzato da alta affidabilità e prestazioni al top della gamma. Ed è così che viene contestualizzato in ambito cinematografico: i server DCI e il server M-box 2.0 sono dei potenti computer in grado di codificare e visualizzare uno streaming video ad altissima definizione. Silver Screen: schermo cinematografico altamente riflettente e di conseguenza con un alto valore di luminosità, in grado di compensare così la minor luce che arriva allo spettatore a causa della polarizzazione e di mantenere un valore di luminosità specifica dello schermo al di sopra dei parametri stabiliti da SMPTE. Sistemi 3D: sistemi per la gestione delle immagini 3D basati sul diversi protocolli - Dolby: occhiali passivi con filtro ad interferenza. È consigliabile uno schermo bianco ultrabright ad alto guadagno o uno schermo argentato per raggiungere il valore di luminosità specificato SMPTE. - MasterImage e Real-D: occhiali passivi a polarizzazione circolare “usa e getta”. Richiede uno schermo argentato per visualizzare le immagini. 219 - X-Pand e Trivision: occhiali attivi dotati di otturatore LCD riutilizzabili. Può essere impiegato con il tradizionale schermo cinematografico bianco. SMPTE: acronimo di Society for Motion Picture and Television Engineers. Si tratta di una associazione professionale internazionale basata in USA e con sezioni in tutto il mondo, che si occupa di individuare raccomandazioni e linee guida che consentano di predisporre gli standard utilizzati da cinema e televisione insieme ad altri enti sovranazionali quali EBU (European Broadcasting Union) e ITU. SMPTE 274M: standard SMPTE che definisce le varie risoluzioni ammesse per le immagini in alta definizione. SMPTE 412M/VC-1: formato di compressione delle immagini digitali in movimento sviluppato da Microsoft con il nome di Windows Media e successivamente standardizzato da SMPTE. Come formato di compressione di immagini in HD anche per HD-DVD e Blu ray disk. SMPTE-DC28: è il gruppo di studio di SMPTE incaricato di definire gli standard del D-Cinema. Il DC28 è costituito da ben definiti gruppi di lavoro che, strategicamente connessi, preparano standard e raccomandazioni che assicurino, tra l’altro, l’interoperabilità, la compatibilità e la qualità dei componenti e dei sistemi necessari alla transizione al cinema digitale. Spazio colore: è la gamma completa di colori. Nei proiettori per cinema digitale, il color space può essere riprogrammato per creare un look differente per differenti contenuti. Il diagramma generale di riferimento per il color space è quello definito dal diagramma del CIE che include i colori potenzialmente visibili dall’occhio umano. Spin-off: film ricavato elaborando elementi di sfondo di una serie o di un'opera precedente. Stereoscopia: è la definizione tecnica e non commerciale di 3D. Stop – motion: tecnica chiamata anche ripresa a passo uno o animazione a passo uno. E’ una tecnica di ripresa cinematografica e di animazione. Il termine "passo uno" si ricollega alla scelta di quadri per secondo: se i quadri, ovvero i fotogrammi, sono tutti differenti si parla di passo uno. Il passo uno sfrutta una particolare cinepresa che impressiona un fotogramma alla volta, azionata dall'operatore o dall'animatore. Con questo processo è quindi possibile creare il movimento dei cartoni animati. Streaming: indica un flusso di dati audio/video trasmessi da una sorgente a una o più destinazioni tramite una rete telematica. Questi dati vengono riprodotti man mano che arrivano a destinazione. Lo streaming si divide in due categorie: on demand e live. On demand quando i contenuti audio/video sono inizialmente compressi e memorizzati su un server come dei file; non è necessario scaricarli per intero sul PC per poterli riprodurre: i dati ricevuti vengono decompressi e riprodotti pochi secondi dopo l'inizio della ricezione. Live quando la riproduzione è simile alla tradizionale trasmissione radio o video in broadcast con l’introduzione di un lieve ritardo rispetto al tempo dell’evento, dovuto ai tempi di compressione/decompressione dei dati. 220 Studios: in origine erano Universal Studios, 20th Century Fox, Paramount Pictures, MGM Metro-Goldwyn-Mayer. The Walt Disney Company e Warner Bros Pictures producevano solo cartoni animati. Oggi major e studios nell’accezione comune sono sinonimi e includono: The Walt Disney Company (che possiede Miramax e Buenavista), Universal Studios di proprietà General Electric e Vivendi, 20th Century Fox della News Corporation (Murdoch), Warner Bros. Pictures di Time Warner, Paramount Pictures della Viacom, Sony Pictures Entertainment (Columbia Tri-star) che ha un accordo di distribuzione con Warner Bros, MGM Metro-Goldwyn-Mayer che ha un accordo di distribuzione con Sony, DreamWorks SKG legata all’indiana Reliance. Surround: letteralmente circondare. Rappresenta il fronte sonoro alle spalle dell’ascoltatore riprodotto da diffusori acustici posizionati, secondo prestabilite regole, alle spalle dell'ascoltatore stesso. Teaser trailer: Trailer che non mostra una serie di brevi sequenze, ma una sola sequenza di grande effetto in genere di brevissima durata (dai trenta secondi al minuto). Tenitura: indica il periodo, solitamente espresso in giorni, durante il quale un film viene contrattualmente “tenuto in proiezione” in sala. Telecine: dispositivo/procedimento che trasferisce le immagini dalla pellicola a un qualsiasi formato televisivo. Time Slice: in italiano “fetta di tempo". Vecchia tecnica fotografica, nella quale un grande numero di fotocamere è disposto attorno ad un oggetto e viene fatto scattare simultaneamente. Quando la sequenza degli scatti è vista come un filmato, lo spettatore vede come le "fette" bidimensionali formano una scena tridimensionale. Nel cinema l'effetto speciale che consente di vedere ogni momento della scena in slow-motion mentre l’inquadratura sembra girare attorno alla scena alla velocità normale, prende il nome di Bullet time. TMS: acronimo di Theatre Management System. È l’interfaccia grafica che consente la gestione del server di sala e del proiettore da parte dell’esercente. Upgrade: si riferisce alla possibilità di sostituire un componente informatico con uno di livello superiore o di più recente concezione. E’ possibile effettuare un upgrade di fronte ad un’offerta strutturata e modulare, pensata per consentire investimenti incrementali senza rischio di perdita del denaro investito per i livelli inferiori. Naturale nel software, esemplificabile nell’hardware con un parallelo di facile intuizione in campo automobilistico: una volta acquistata un’auto, se si decide di montare un particolare tipo di navigatore si paga solo la cifra necessaria ad installare il nuovo accessorio. UPS: acronimo di Uninterruptable Power Supply. Si riferisce a un dispositivo in grado di garantire la continuità dell’alimentazione elettrica di un appartato anche in mancanza di alimentazione di rete (gruppo di continuità). VC-1: è il nome informale dello standard SMPTE 421M per la compressione dei filmati video in alta definizione sviluppato inizialmente da Microsoft. Le 221 specifiche ufficiali sono state rilasciate il 3 aprile 2006 dalla SMPTE e viene utilizzato negli HD-DVD, Blu-ray. È il formato scelto da Microcinema per la compressione dei suoi contenuti perché garantisce un ottimo rapporto spazio su disco/qualità di visione. VPF: acronimo di Virtual Print Fee – Meccanismo studiato dalle major americane per agevolare la digitalizzazione delle sale cinematografiche attraverso una partecipazione agli investimenti in tecnologia. Negli anni il VPF si è evoluto in tre filoni: - VPF standard: è il modello originario gestito da un soggetto terzo (un integratore di sistemi) che con l’appoggio di una banca acquista le tecnologie e le integra per fornire ad ogni sala cinematografica un sistema capace di gestire la proiezione di film digitali. Il costo delle tecnologie viene sostenuto per il 70/80% dalle major e per il 30/20% dalle sale che hanno aderito all’accordo di VPF. Come contropartita gli apparati rimangono di proprietà della terza parte per 10 anni. La programmazione e il rilascio delle chiavi avviene attraverso l’integratore che si occupa dell’installazione, del training e della manutenzione dei sistemi (i costi di training e di manutenzione non sono compresi negli accordi di VPF ma addebitati direttamente alla sala). Ad oggi esistono in Europa tre operatori con accordi di VPF siglati con major studios: Arts Alliance Media (Inghilterra), XDC (Belgio) e Ymagis (Francia). - VPF “all’italiana”: identifica le linee guida elaborate da ANEC, ANEM, ACEC e ANICA per realizzare, senza intervento di una terza parte, la partecipazione dei distributori all’investimento digitale degli esercenti. Non si tratta di un contratto ma di una serie di raccomandazioni che possono essere o meno messe in pratica su base volontaristica da parte dei distributori nazionali. - VPF 2.0: è l’evoluzione del VPF standard o VPF europeo che prevede l’intervento della terza parte come gestore dei rimborsi dei distributori verso gli esercenti e non più come investitore e integratore tecnologico. VPF 2.0 è la modalità di supporto presentata da Microcinema al mercato nell’anno 2012 per finanziare sistemi nuovi o rifinanziare sistemi già acquistati e installati nelle sale cinematografiche. La proprietà dei sistemi è degli esercenti fin dal primo giorno e tutte le regole di rimborso sono definite in un contratto che tutela i cinema della durata di 10 anni. VPN: acronimo di Virtual Private Network. Una VPN è una rete privata instaurata tra soggetti che utilizzano un sistema di trasmissione pubblico. Le reti VPN utilizzano collegamenti che richiedono qualche forma di autenticazione per garantire che solo gli utenti autorizzati vi possano accedere. Per impedire l’intercettazione e l’utilizzo dei dati inviati da altri non autorizzati, esse utilizzano sistemi di crittografia. Watermarking: tecnica per la sovrapposizione di particolari informazioni alle immagini dei film digitali. Tali informazioni, invisibili all’occhio umano, sono usate per scoprire quando e dove un particolare film è stato piratato in un determinato cinema. 222 Widescreen: indica uno schermo con formato superiore a 4:3, il vecchio standard televisivo. Gli schermi 16:9 sono considerati wide screen che in campo cinematografico corrisponde a 1,78:1. 16:9: rapporto aspetto/immagine usato per l’HDTV e alcuni apparecchi SDTV (di solito digitali). La larghezza dell’immagine corrisponde a 1,8 volte la sua altezza. 5.1: sigla che indica la riproduzione audio a sei canali. Questa configurazione audio è diffusamente utilizzata nel mondo del cinema ma anche nella televisione, nei dischi ottici (vedi “Disco ottico”) e in altri supporti di riproduzione e trasmissione audio. Ha il preciso scopo di collocare l’ascoltatore al centro della scena audio grazie alla presenza di un fronte audio anteriore e di un fronte audio posteriore. 24p: è l’abbreviazione usata per definire la scansione progressiva di immagini a 24 fotogrammi al secondo. Per migliorare la compatibilità tra analogico e digitale, lo standard per un’acquisizione di cinema digitale è stato fissato inizialmente a 24fps (24 fotogrammi progressivi al secondo) ma la SMPTE sta analizzando la possibilità di inserire anche la scansione a 25p, 30p, 50p e 60p nei prossimi anni. 25p: è la scansione progressiva di immagini a 25 fotogrammi al secondo. E’ usato per le produzioni HD in Europa e in altri Paesi che usano sistemi televisivi a 50Hz. 720i: indica il formato HD con risoluzione 1280x720 interlacciato e si riferisce agli standard internazionali SMPTE 274M e ITU 709. Differisce dal formato progressivo per la divisione dell’immagine in due campi consecutivi. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 720p: indica il formato HD con risoluzione 1280x720 progressivo e si riferisce allo standard internazionale di produzione HD ITU-B 709. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 720 indica il numero delle righe orizzontali mentre 1280 indica il numero di pixel orizzontali ovvero il numero delle colonne. Complessivamente si possono così rappresentare quasi 1 milione di pixel. 1080i: indica il formato HD con risoluzione 1920x1080 interlacciato e si riferisce agli standard internazionali SMPTE274M e ITU 709. Differisce dal formato progressivo per la divisione dell’immagine in due campi consecutivi. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 1080 indica il numero delle righe orizzontali dell’immagine mentre 1920 indica il numero di colonne ovvero il numero di pixel orizzontali. Complessivamente possono essere in questo modo rappresentati circa 2 milioni di pixel. 1080p: indica il formato HD con risoluzione 1920x1080 progressivo e si riferisce allo standard internazionale di produzione HD ITU-B 709. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 1080 indica il numero delle righe orizzontali dell’immagine mentre 1920 indica il numero di colonne ovvero il numero di pixel orizzontali. Complessivamente possono essere in questo modo rappresentati circa 2 milioni di pixel. 223 1.3 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 1280x720 pixel. 1.3 K indica la risoluzione orizzontale di 1280 pixel. Nasce per il formato 16:9 pari ad un aspect ratio di 1,77:1. Per il formato cinema (1,85:1) e per il cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce orizzontali nere negli spazi liberi dall’immagine. Il primo proiettore digitale con una tecnologia e chip DLPC 1.3K della Texas fu per la prima volta commercializzato a Marzo 1999 con la distribuzione del film in digitale della 20th Century Fox “Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma”. 1.9 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 1920x1080 pixel. 1.9 K indica la risoluzione orizzontale di 1920 pixel. Nasce per il formato TV 16:9 pari ad un aspect ratio di 1,77:1. Per il formato cinema (1,85:1) e per il cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce orizzontali nere negli spazi liberi dall’immagine. 2K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 2048x1080 pixel. 2K indica la risoluzione orizzontale di 2048 pixel. Si adatta al formato cinema, pari ad un aspect ratio di 1,85:1 con una matrice 1:89:1. Per il formato TV 16:9 viene applicato un letterbox verticale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce verticali nere negli spazi liberi dall’immagine. Per il formato cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale. Un proiettore con un chip DLPC 2K fu per la prima volta commercializzato in USA a novembre 2003 con la distribuzione del film in digitale della Warner Bros “L’ultimo samurai”. 4K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 4096x2160 pixel. 4K indica la risoluzione orizzontale di 4096 pixel. Il 4K garantisce una risoluzione di immagini quattro volte superiore alla risoluzione 2K. Si adatta al formato cinema, pari ad un aspect ratio di 1,85:1 con una matrice 1:89:1. Per il formato TV 16:9 viene applicato un letterbox verticale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce verticali nere negli spazi liberi dall’immagine. Per il formato cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale. 224 USS Titan Star Trek: La nemesi (Star Trek: Nemesis, Stuar Baird, USA 2002) nave spaziale mai mostrata sullo schermo 225 Ringraziamenti La chiusura di questo libro, come ogni anno, mi da l’opportunità di menzionare e ringraziare tutti coloro i quali, con intatta passione, hanno condiviso e continuano a condividere il nostro progetto. Si perché quello di Microcinema non è solo un progetto industriale ma è anche la realizzazione di una speranza, un po’ lungimirante e un po’ onirica, che in questi cinque anni ha preso sempre più corpo. Insomma non siamo più fantascienza e ne siamo molto orgogliosi. E da qui muovendo non posso che esprimere, prima di ogni altro, un forte ringraziamento al mio braccio destro di sempre, a Silvana Molino, alla sua intelligenza e alla sua competenza, al suo impegno e alla sua capacità di sacrificio, al suo ordine e alla sua creatività. Passando alla carta stampata devo ringraziare ancora una volta il motore del progetto editoriale di Microcinema, l’amico Alessandro Firpo, cui non sono certo mancate né le idee né la pazienza. Un ringraziamento particolare va ad Eleonora Belligni che – giudicheranno i lettori – ci ha consegnato un lavoro ineccepibile, rigoroso e leggero, colto e piacevole al tempo stesso. Una menzione speciale la devo riferire al puntuale rispetto degli impegni assunti in ordine alla completezza e alla tempestività nella consegna dell’originale. Hanno collaborato alla realizzazione della sezione “Il cinema ritrovato” Vincenzo Sacco e Cesare Fragnelli, al “Dizionario essenziale” Federico Farinetto. Giulia Zanchetta e Chiara Checchini ci hanno aiutato con una severa rilettura. La grafica della copertina è di Roberto Gobesso che da sempre veste i nostri quaderni in modo tanto vivace quanto rigoroso. Un grazie davvero sentito va a tutti coloro che hanno dato un autentico contributo, nei ruoli più diversi e nelle forme loro più congeniali, ma tutti con una passione davvero unica, all’attività di Microcinema. Un ringraziamento particolarissimo sento proprio di doverlo dal profondo a tutti quegli operatori che hanno creduto in Microcinema e nel suo progetto, e che sono capaci, ogni giorno, di impegnarsi con noi. 227 È stato un anno importante per Microcinema. E un anno indimenticabile per me. Un anno che ha impegnato la mia professionalità, ma anche la mia persona. Sì, un anno molto duro, di conquiste sudate e di rinunce difficili, quasi impossibili. Le normali sfide del mercato e la ferma dolcezza dei miei ricordi, la fatica del lavoro e il peso di una assenza, il quotidiano e l'indimenticabile. Sì - e chiudo subito - con il ricordo intatto e presentissimo di una forza costante e sottile, di una calma attenta, di una continua delicatezza, di un affetto un po' sconosciuto ma davvero profondo. Concludo, anche quest’anno, con un ringraziamento personale alle nostre famiglie, che sopportano il nostro lavoro e Microcinema ogni giorno dell'anno, anche durante i rari momenti liberi, anche nel pieno del periodo estivo. Un grazie particolare ai più piccoli, a Laura, ad Alessandro e a Gregorio. Sono, anno dopo anno, meno piccoli ma ad ogni genitore rimane l’idea, assolutamente fantascientifica, che rimarranno per sempre “piccoli”. Un giorno, spero, apprezzeranno anche loro questa nostra piccola collana. Roberto Bassano Legnano, 15 agosto 2012 228 Bibliografia La bibliografia sulla fantascienza cinematografica in generale e sui singoli temi trattati nei film è sterminata. Un primo orientamento nella letteratura italiana più recente può essere ricavato dalla lettura di: Italo Moscati, 2001: un'altra Odissea. Quando il futuro sedusse il cinema, Marsilio, Venezia 2000; Luca Bandirali, Enrico Terrone, Nell'occhio, nel cielo. Teoria e storia del cinema di fantascienza, Lindau, Torino 2008; Roberto Chiavini, Gian Filippo Pizzo, Michele Tetro, Il grande cinema di Fantascienza: aspettando il monolito nero (1902-1967), Gremese Editore, Roma 2003 e il seguito, degli stessi autori Il grande cinema di Fantascienza: da "2001" al 2001, Gremese Editore, Roma 2001. Opere più manualistiche (o enciclopediche) sono certamente: Roy Menarini, Andrea Meneghelli, Fantascienza in cento film, Le mani-Microart's, Genova 2000; Claudia e Giovanni Mongini, Storia del cinema di fantascienza, 11 voll., Fanucci, Roma 1999-2003; Giovanni Mongini, Storia del cinema di fantascienza, 2 voll., Futuro Saggi, Fanucci, Roma 1976-77. Anche sui singoli temi trattati nei film di fantascienza la bibliografia è vastissima. Sulle invasioni aliene si può leggere, per esempio: Fabio Casagrande Napolin, Ivan Fedrigo, Erik Ursich, Attacco Alieno! Guida al cinema d'invasione spaziale 1950-1970, Tunnel Edizioni, Bologna 1998; Roy Menarini, Il cinema degli alieni, Falsopiano, Alessandria 1999. In un numero minore di pagine c'è anche l'articolo di Riccardo F. Esposito, They Come from Outer Space, «Amarcord», nn. 5, 6 e 7, 1996-97. Sul cinema utopico (e distopico) di fantascienza c'è ancora un articolo di Riccardo F. Esposito, Utopie nel cinema di Sf, «Kronos», n. 13, marzo 1979. Sulla robotica e i cyborg si può leggere il saggio dell'esperto italiano Antonio Caronia, Il corpo virtuale: dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Muzzio, Padova 1997. Sui luoghi della letteratura cyberpunk è più che esaustiva la lettura di Antonio Caronia, Domenico Gallo, Houdini e Faust: breve storia del Cyberpunk, Baldini & Castoldi, Milano 1997. Sulla realtà virtuale c'è (ancora) Antonio Caronia, Archeologie del virtuale. Teorie, scritture, schermi, Ombre Corte, Verona 2001. Per un primo orientamento nella sconfinata bibliografia su Philip Dick e il cinema occorrerebbe leggere: Philip K. Dick: il sogno dei simulacri, a cura di Gianfranco Viviani, Carlo Pagetti, Nord, Milano 229 1989; Franco La Polla, Peter Fitting, Carlo Pagetti e Gabriele Frasca, Philip K. Dick e il cinema, Fanucci Editore, Roma 2002. Sulla fantascienza italiana basti ricordare: Riccardo F. Esposito, Storie di missili e galassie, «Mystero», nn. 26-30, luglio-novembre 2002 (sull'accoglienza in Italia dei film di SF degli anni cinquanta); Enrico Lancia, Roberto Poppi, Fantascienza, fantasy, horror: tutti i film italiani dal 1930 al 2000, Gremese, Roma 2004. 230 Hanno contribuito, in rigoroso ordine alfabetico, alla stesura di questo quinto Quaderno di Microcinema: Roberto Bassano (Torino, 1959) – Dal 1982 imprenditore in aziende meccaniche, tessili e automobilistiche, si è sempre impegnato nella gestione con il ruolo di amministratore delegato. Impegnato nel settore audiovisivo dal 1994, sempre come imprenditore e ricoprendo lo stesso incarico operativo in Gierrevideo e Euphon, partecipa con RAI, Digital Projection e Texas Instruments ai primi esperimenti del progetto denominato Microcinema, per la proiezione di film in digitale distribuiti via satellite. E’ amministratore delegato di Microcinema dal 2006. Eleonora Belligni (Torino, 1973) – È ricercatrice di Storia Moderna all'Università degli Studi di Torino. Le sue ricerche sono nel campo della storia religiosa e politica del Cinque e Seicento. Di tanto in tanto cerca di coniugarle con una grande passione per il cinema. In realtà, ama profondamente tutte e sette le arti, ma lascia che a metterle in pratica siano gli altri. Federico Farinetto (Ciriè, 1991) – Diplomato in Elettronica e Telecomunicazioni ha, in aggiunta, conseguito la specializzazione quale Tecnico Sistemista di Reti. Nel 2011, durante gli studi è entrato in Microcinema con uno stage curricolare. Appassionato di ricerca nel mondo dell'informatica e della tecnologia dal 2012 è responsabile IT e delle trasmissioni satellitari dei contenuti. Alessandro Firpo (Torino, 1946) – Si è occupato di editoria per molti anni ed è stato amministratore e dirigente di diverse case editrici. In particolare è stato direttore commerciale di Einaudi, Garzanti e Utet. Attualmente è direttore marketing di TBS Group, multinazionale italiana con sede a Trieste che si occupa di servizi innovativi per la sanità. Continua ad essere un instancabile e onnivoro lettore di libri. E’ consigliere di amministrazione di Microcinema. Silvana Molino (Chivasso, 1974) – Consulente di direzione ha seguito per dieci anni lo sviluppo di numerose imprese nel settore audiovisivo. Rappresentante nazionale per vari progetti europei, ha guidato con l’incarico di amministratore un consorzio di aziende audiovisive e multimediali. Dal 2004 collabora allo sviluppo del progetto Microcinema, dal 2006 riveste il ruolo di direttore generale e dal 2010 di amministratore delegato. Ha gestito i closing con tutti i fondi d’investimento. 232 Sommario La fantascienza nasce due secoli or sono...................................................... 11 INFINITI MONDI di Eleonora Belligni ........................................................ 13 Premessa ................................................................................................... 15 Il cinema di fantascienza ............................................................................. 23 La scienza nuova (1902-1949) ..................................................................... 43 Noi e gli altri (1950-1959) ........................................................................... 63 Destinazione uomo (1960-1969) .................................................................. 79 La fine dell’uomo? (1970-1979) ................................................................... 95 Incubi, visioni, paradossi (1980-1989) ........................................................ 113 La trama della realtà (1990-1999) .............................................................. 133 Dove inizia l’infinito ................................................................................... 155 Conclusioni? ............................................................................................. 179 IL CINEMA RITROVATO............................................................................. 189 Cinema e Microcinema Il cinema è ritrovato di Roberto Bassano .............................................. 191 di Silvana Molino ..................................................... 195 DIZIONARIO ESSENZIALE ......................................................................... 205 Ringraziamenti .......................................................................................... 227 233 Della stessa collana I Quaderni di Microcinema Q1 - CINEMA E MICROCINEMA - anno 2008 Q2 - NUOVO CINEMA MICROCINEMA - anno 2009 Q3 - LUCI DELLA CITTA’ - anno 2010 Q4 - UNA STORIA D'ITALIA RACCONTATA AL CINEMA - anno 2011 Q5 - INFINITI MONDI - anno 2012 Finito di stampare nel mese di agosto 2012 presso Edicta - Torino