infiniti mondi

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infiniti mondi
INFINITI MONDI
I QUADERNI DI MICROCINEMA
© 2012 Microcinema s.p.a., Legnano (MI)
www.microcinema.eu
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prima edizione
I QUADERNI DI MICROCINEMA
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INFINITI MONDI
Microcinema - un progetto sostenibile
per il cinema digitale italiano
“Di maniera che non è un sol mondo, una sola
terra, un solo sole; ma tanti son mondi quante
veggiamo circa di noi lampade luminose”.
Giordano Bruno, De l'infinito, universo et mondi
(1584)
Prefazione dell’editore
Prefazione dell’editore
Con la pubblicazione di questo quaderno siamo arrivati al nostro
quinto appuntamento editoriale, diventato ormai, non solo una
consuetudine, ma piuttosto un vero e proprio appuntamento con un
pubblico assai vasto.
Benvenuti quindi, cari Lettori, tra le pagine di Infiniti mondi, una
breve storia tascabile del cinema di fantascienza raccontata da
Microcinema. Lo scorso anno avevamo dedicato la nostra attenzione
al cinema italiano, in occasione del 150mo dell'Unità d'Italia e,
lavorando alle note di quel libro, ci eravamo resi conto di quanti
premi e riconoscimenti la nostra cinematografia avesse ricevuto nel
mondo. La nostra speranza era (e resta) quella di un nuovo
"rinascimento", di una novella fioritura culturale che riporti la nostra
cinematografia – perché no? – ai fasti del passato e, non a caso,
siamo impegnati anche noi ad assicurare la migliore visibilità ai
giovani registi emergenti del cinema italiano.
Quest'anno abbiamo voluto tentare qualcosa di diverso. Abbiamo
provato a raccontare la nascita e lo sviluppo di un “genere” che, pur
poco frequentato dalla tradizione italiana, continua a rappresentare
uno snodo centrale della cinematografia mondiale. Da un lato
abbiamo voluto allargare le nostre prospettive fortemente al di fuori
dei confini nazionali e, d’altro canto, ci è sembrato interessante –
perfino entusiasmante – raccontare come si proiettano nel futuro (e
sullo schermo) i problemi, le speranze, le contraddizioni dell'umanità
contemporanea. La fantascienza, dura e poeticissima al tempo
stesso, ci ha rapiti, ci ha trascinati in Infiniti mondi lontani. Vogliamo
sperare che ci teniate compagnia.
L'avventura cartacea di quest'anno è stata portata a termine anche
grazie al vostro aiuto e alla vostra fedeltà. A noi piace l'idea di
contribuire a salvare il cinema dal buco nero che lo sta risucchiando,
proponendo a un settore, troppo spesso penalizzato, alcune soluzioni
concrete per far fronte all'impoverimento culturale, ai disagi pratici,
allo scarsissimo interesse dimostrato dalle istituzioni. Ma a sostenerci
siete voi, lettori, esercenti, distributori, produttori, giornalisti,
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responsabili privati e pubblici: voi appassionati e voi che avete amato
il cinema al punto di farne un mestiere. Voi che ora avete fra le mani
il nostro piccolo libro di squillante arancione, un piccolo segno della
nostra gratitudine nei vostri confronti. Anche queste pagine
raccontano la nostra passione e l'impegno che ci mettiamo. Speriamo
siano degne dell'attenzione che, una volta di più, ci state
dimostrando.
Ancora una cosa: noi ci siamo davvero divertiti, ora tocca a voi.
Poche righe per dare conto di alcune scelte più prettamente editoriali.
Il Quaderno è suddiviso in tre sezioni.
La prima, Infiniti mondi, una vera e propria rassegna del cinema di
fantascienza fino ai giorni nostri, è stata curata da Eleonora Belligni
del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino.
La seconda, che rappresenta ormai un vero e proprio appuntamento
con i nostri lettori, è Il Cinema Ritrovato che affronta, attraverso le
esperienze vissute da alcuni operatori del mondo cinematografico, le
tematiche legate all’idea centrale del nostro lavoro quotidiano: il
sostegno all’esercizio, alla distribuzione, alla produzione e quindi al
pubblico. Un progetto che, malgrado le evoluzioni rese necessarie dai
mutamenti del mercato, rimane sempre fedele a tre parole:
sostenibilità, flessibilità, interoperabilità.
Chiude il libro il consueto, atteso Dizionario essenziale che è stato,
come sempre, aggiornato e integrato.
Per illustrare questo libro abbiamo scelto spettacolari fotografie di
galassie. Il tema trattato era troppo ghiotto e offriva infiniti luoghi
dove spaziare, è proprio il caso di dirlo, con la fantasia. Si tratta di
immagini che a noi sono piaciute molto in sé e nelle quali, tutte,
abbiamo cercato e trovato le ragioni di un qualche “contrappasso” col
tema di quest’anno, ragioni che lasciamo gioiosamente ad ogni più
personale lettura. Nel cielo sono presenti miliardi e miliardi di
galassie, stelle, pianeti e corpi celesti di ogni forma, dimensione e
colore. Un numero che noi, poveri terrestri, non riusciamo neanche a
concepire e tantomeno a scrivere. Ma confessiamo tuttavia che noi
sentiamo quella dimensione, pur così difficilmente immaginabile, più
come una possibilità che non come uno spettro. Sono le distanze che
ci stupiscono e ci acquietano.
Anche questo Quaderno viene pubblicato in 7.500 copie, una tiratura
di tutto rispetto che significa – ne siamo ancora una volta compiaciuti
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– che i quaderni di Microcinema hanno pieno titolo per aspirare al
rango dei bestseller.
E poi, davvero in chiusura, ci vengono in mente alcune fortunate
coincidenze.
Questo è il quinto quaderno di Microcinema, cioè il V in numeri
romani. Ma anche V come Visitors, ricordate? Era il 1983.
E come non notare l'uscita sugli schermi italiani, nello stesso anno nel
quale è edito questo libro, di Hugo Cabret, geniale film di Martin
Scorsese ispirato alle vicende di Georges Méliès, il pioniere del
cinema di fantascienza.
Ancora una coincidenza la troviamo proprio nei nostri quaderni. Lo
scorso anno, il quarto quaderno si apriva con una frase rubata ad
uno dei film che affrontano nel modo più interessante il nostro futuro.
“…E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime
nella pioggia. È tempo di morire”. Non conoscevamo ancora
l'argomento del quinto quaderno, ma forse è stato proprio Ridley
Scott che inconsapevolmente ci ha guidato sin qui.
Probabilmente e, ancora più inconsapevolmente, ci ha condotto alla
fantascienza proprio la fantascientifica avventura di Microcinema,
passata in pochi anni dal sogno alla realtà.
Buona lettura e buon cinema a tutti.
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La fantascienza nasce due secoli or sono
di Roberto Bassano
Georges Méliès il geniale prestigiatore illusionista di fine ottocento
trasferendo sullo schermo le sue idee visionarie ci porta, per primo,
nel mondo della fantascienza. E con Segundo de Chomon che
dipingeva a mano singolarmente ogni fotogramma della pellicola ci
porta nel mondo del cinema a colori.
Méliès e de Chomon realizzano moltissime pellicole, che i due
chiamano “fantasmagorie”. Il montaggio diviene sinonimo di
metamorfosi in un’apoteosi dell’arte delle meraviglie. La fotografia in
movimento dà grande realismo e credibilità ai trucchi mostrati,
cosicché le leggi della natura sembrano annullarsi, in un mondo
fantastico irreale, dove la libertà è totale e le possibilità infinite.
Grazie all’incontro con il tecnico spagnolo Segundo de Chomon,
Méliès riesce a reinventare il cinema, trasformandolo da semplice
riproduzione della realtà in pura magia, grazie ai così detti effetti
speciali. Nasce un "mondo virtuale" dove tutto è possibile.
L’incredibile avventura di Méliès e de Chomon nel magico mondo del
cinema e degli effetti speciali da loro inventati negli ultimi anni del
1800, raggiunge il suo culmine con quello che viene considerato il
capolavoro della filmografia di Georges Méliès: Viaggio nella luna. Il
film è una parodia basata liberamente sul romanzo di Jules Verne
“Dalla Terra alla Luna”. La trama è molto divertente. Un congresso di
astronomi decide di sparare una navicella a forma di proiettile sulla
Luna, alcuni di loro s'imbarcano e vengono sparati da un cannone. Il
proiettile arriva sulla Luna, conficcandosi direttamente nell'occhio
della faccia dell'astro e provocandogli una visibile irritazione. Una
volta scesi, i viaggiatori incontrano i Seleniti, vengono catturati e
presentati al loro Re. Riescono a scappare, e ripartono facendo
cadere il proiettile verso la Terra. La navicella atterra in mare e viene
trascinata in un porto. Proprio come sarebbe avvenuto settant'anni
dopo.
Una delle scene iniziali del film, la navicella spaziale che si schianta
sull'occhio della Luna dal volto umano, entra nell'immaginario
collettivo ed è una delle sequenze che fanno la storia del cinema.
L'immagine la conosciamo tutti. Proprio tutti grazie a Martin Scorsese
e al suo Hugo Cabret.
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Con l’avvento del sonoro, al film viene aggiunto un commento
musicale e le descrizione dei fatti.
Viaggio nella luna è la prima opera di finzione cinematografica ad
avere un successo mondiale, ma ha anche un altro primato: è, infatti,
il primo esempio di pirateria della storia del cinema. Alcuni agenti di
Thomas Edison corrompono il proprietario di un teatro di Londra, per
ottenere una copia del film. Ne fa poi stampare centinaia per
proiettarle a New York, senza pagare nulla a Méliès.
La pirateria, l'ossessione dei nostri giorni ha radici nel passato,
antiche. E possiamo anche dire che la pirateria è nata negli Stati
Uniti, non lontano dai Caraibi, patria dei pirati raccontati al cinema.
A Edison tra le altre mille cose si deve lo standard della pellicola da
35mm: 35 mm di larghezza pari a 1 pollice e 3/8, con 4 fori sul bordo
di ogni immagine.
Sul finire dell'ottocento Segundo de Chomon ritorna nella sua terra di
origine, dove intende portare la sua esperienza e creare un cinema
spagnolo. La sua indubbia abilità lo porta ad essere definito “il Méliès
spagnolo” ed è ricordato per aver inventato il carrello
cinematografico, che viene utilizzato per la prima volta sul set
torinese del colossal muto “Cabiria” del regista Giovanni Pastrone. E
rieccoci in Italia, una delle patrie del cinema.
Non percependo alcun diritto d’autore, Méliès non trae alcun
guadagno dalla riproduzione delle sue pellicole, ma solo dalla vendita
singola e quando, con lo scoppio della prima guerra mondiale, la sua
produzione si deve fermare, il suo Teatro va in bancarotta.
Il grande inventore subisce un tracollo finanziario tremendo, si vede
costretto addirittura a vendere dolci e giocattoli in un chiosco alla
stazione di Paris-Montparnasse e solo anni più avanti viene riabilitato
grazie all’intervento di un giornalista, ricevendo la Legion d’Onore
direttamente dalle mani di Louis Lumière.
I suoi 1500 film e la impagabile collaborazione con Segundo de
Chomon rappresentano tutt’oggi un patrimonio ricchissimo di spunti
incredibili, di fantasia unica e di incredibile capacità creativa.
Liberamente tratto da un casuale ascolto di Radio 24 - Destini incrociati:
Georges Méliès – Segundo de Chomon. “Un incontro dagli effetti decisamente
speciali” di Simona Capodanno.
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Cartwheel
distanza dalla Terra: 500 milioni di anni luce
INFINITI MONDI
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Infiniti mondi
di Eleonora Belligni
Premessa
L'universo e i pianeti. Il tempo e lo spazio. Le ipotesi e gli
esperimenti. I terrestri e gli alieni. Il presente e il futuro. Come dalla
dimora londinese del filosofo cinquecentesco Giordano Bruno, anche
dalla poltrona di un cinema si possono scorgere infiniti mondi.
Questo libro vuole raccontarli, attraverso la storia e l'evoluzione di un
genere cinematografico oggi molto amato e frequentato dal grande
pubblico: la fantascienza. Oggi, appunto. La verità è che l'interesse
degli spettatori è sbocciato lentamente negli anni, frutto di una lunga
assuefazione a temi, a scenari e personaggi che, all'inizio, figuravano
troppo lontani, estranei alla loro sensibilità. Per gli operatori
cinematografici la questione si è posta, fin dagli esordi, in maniera del
tutto diversa. In ben centodieci anni dalla sua nascita, cioè da un
celebre Viaggio nella luna del 1902, la fantascienza non ha mai
smesso di sollecitare l'immaginazione dei registi e dei montatori, di
stimolare gli sceneggiatori e i compositori di colonne sonore, di
stuzzicare i creatori di effetti speciali, gli scenografi e i designers. La
realizzazione di questi film ha sempre costituito per un artista, o per
un artigiano della pellicola, una sfida emozionante a confrontarsi con
trame difficili da rappresentare e scenari impossibili da rendere.
Questa sfida è stata il vero motore del lavoro – accanito, qualche
volta testardo – di pochi eccezionali individui: una nicchia
dell'industria cinematografica che sapeva di cimentarsi con un filone
ostico, spesso destinato ai soli appassionati di letteratura
fantascientifica.
Da qualche tempo, più o meno un trentennio, la situazione è
completamente stravolta. Ora le pellicole di fantascienza si
producono, si girano e si recitano nella certezza del guadagno. Si
affrontano nella sicurezza che il computer risolva la maggior parte dei
problemi tecnici: quelli che, qualche anno fa, rendevano difficile
realizzare ambientazioni così lontane, azioni così speciali ed estreme,
personaggi così inconsueti. Soprattutto, però, questi film si
propongono oggi al pubblico ben sapendo di parlare la sua lingua;
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perché non esiste più una categoria di persone, dai nonni ai bambini,
che possa trovare estranei, scioccanti e paurosi quegli infiniti mondi.
Le ragioni di questo mutato atteggiamento del pubblico – un lento
addomesticamento – vanno cercate in una serie di fattori: un insieme
troppo complesso perché se ne possa trattare in queste pagine non
superficialmente, senza scomodare quelle discipline che vi hanno a
lungo riflettuto. Ciò che si può fare, invece, è disegnare una
fisionomia del cinema di fantascienza attraverso la sua lunga storia:
ripercorrendone per sommi capi le vicende alterne, tra capolavori e
B-movies, tra successi e fiaschi, tra momenti gloriosi e secche sterili,
tra colpi di genio e patetici remake.
Una delle vie possibili, intrapresa in questo libro, è quella di seguire
l'ordine cronologico: è ciò che fanno, perlopiù, i manuali di storia del
cinema. È solo un approccio tra gli altri che permette, però, di
mostrare più facilmente quanto e come è cambiato, dai primi anni del
secolo ventesimo, il film di fantascienza. La scansione per cicli
decennali aiuta a definire il contesto e a considerare come variano nel
tempo alcune coordinate che, fin dagli esordi, si sono rivelate
fondamentali per il genere. A un primo, macroscopico livello bisogna
tenere conto della dimensione internazionale: politica, economica,
sociale. A un secondo livello occorre guardare ai progressi della
scienza e della tecnologia. Questi aspetti possono agire in due modi
sostanzialmente diversi: ispirando e sollecitando temi, contenuti e
trame; oppure, su un piano più sottile, meno evidente, insinuando un
modo di vedere, uno sguardo "filosofico" generale, ottimismo contro
pessimismo, inquietudine contro speranza. C'è poi un terzo livello da
mettere in conto: quello dei progressi del genere letterario
fantascientifico, che con il cinema realizza, fin dagli inizi, un
matrimonio difficile, tuttavia imprescindibile. Un quarto livello, non
meno importante, è quello più propriamente cinematografico:
l'evoluzione della settima arte, intesa come l'impegno delle case di
produzione e poi degli autori, ma anche come l'insieme delle tecniche
di realizzazione dei film. Un discorso a parte, che sarebbe troppo
lungo per un solo libro, è quello degli effetti speciali: ciò che li lega
alla fantascienza è un rapporto complesso di uso-abuso reciproco, per
cui il genere e la sua tecnica si sperimentano reciprocamente,
qualche volta con ben poca delicatezza. Mille altri aspetti, infine,
potrebbero essere considerati per definire un contesto, ma queste
quattro coordinate sono sufficienti a definire il mutamento nel tempo.
Di questi parametri e non di altri, comunque, si è tenuto conto nel
libro.
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Il contesto influisce sui temi trattati nel cinema di fantascienza. Gli
argomenti sono eterogenei: alcuni rappresentano delle situazioni, altri
insistono sulla peculiarità dei personaggi. Lo scenario futuro, dalla
metropoli al deserto; la catastrofe, per mano dell'uomo, della natura
o di entrambi; il viaggio nelle sue varie dimensioni esterne o interne
all'individuo; la realtà virtuale e il multiverso. E poi l'uomo artificiale,
nelle sue varianti possibili, dal robot, all'androide, al cyborg; i
mutanti, tra metamorfosi da contagio e manipolazioni indotte; gli
alieni, amichevoli o ostili, antropomorfi o bestiali, graziosi o orripilanti.
Sono solo alcuni degli elementi che hanno percorso la storia del
genere: quelli che questo libro ha scelto di focalizzare. È stato
necessario considerare che anche questi temi, con il passare dei
decenni, si sono trasformati. Alcuni contenuti, semplicemente, hanno
preso il posto di altri: ma forse è più corretto dire che ne hanno
inglobati altri che, lungi dallo scomparire, sono sopravvissuti al loro
interno. Né i mostri tanto cari agli anni venti, né gli scienziati pazzi
dei primordi si sono del tutto dileguati dall'orizzonte della filmografia.
E non solo perché quella recente è l'epoca dei remake. La verità è
che altri grandi temi – la realtà virtuale, la mutazione, gli universi
multidimensionali – li hanno posseduti, in virtù di quel meccanismo
tanto caro agli ultracorpi di Don Siegel1. Ci sono ancora, ma sono
qualcos'altro.
Contesti e temi forniscono la materia prima della narrazione che
segue, articolata per decenni. Ciascuno dei capitoli è dedicato a dieci
anni di storia del cinema di fantascienza. Il primo, invece, riassume
l'intera epoca dei primordi: un'epoca nebulosa, in cui il genere, alla
ricerca di autonomia, si produceva in una serie di esperimenti, con il
rischio continuo di sconfinare in quelli contigui (il film di paura,
soprattutto, e il film fantastico per ragazzi). Dagli anni cinquanta in
avanti, i capitoli raccontano una vicenda diversa. La situazione è più
lineare: la fantascienza al cinema acquisisce una fisionomia peculiare,
un proprio statuto. Di lì in avanti, essa sarà in espansione, magari
non sempre lineare. Eventuali regressioni sono state finora
compensate da altre evoluzioni: negli ultimi anni, per esempio, la
professionalità degli operatori cinematografici non si è realizzata
tanto nelle sceneggiature e nei contenuti, come avveniva in passato,
quanto nell'esercizio di una tecnologia sempre più sofisticata, di
1
Ne L'invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, di Don Siegel, USA
1956) gli extraterrestri si impossessano degli esseri umani prendendone le fattezze,
dopo uno stadio larvale all'interno di enormi baccelli.
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grande richiamo per il pubblico. Oggi, cioè, le sale proiettano spesso
film poco impegnati, ma esteticamente perfetti; una volta se ne
vedevano magari di molto intelligenti, ma sguarniti, con scenografie
sghembe e alieni rattoppati.
La varietà dei temi, soprattutto dagli anni cinquanta in avanti,
costringe a operare una selezione. Non è sempre possibile definire
con precisione i confini di una categoria che, come si vedrà, ha tra le
sue principali caratteristiche quella di essersi compromessa – in modo
perlopiù fecondo – con quasi tutte le altre. Si è reso necessario, in
queste pagine, operare un taglio netto tra la fantascienza classica,
quella più codificata, e alcuni generi che finiscono con l'assomigliarle
molto. Un film come Alien2, per esempio, non può che essere incluso.
È vero: aderisce in parte alle logiche del film dell'orrore, ma la
fantascienza ha il sopravvento, perché l'ambientazione spaziale non è
un pretesto, ma una necessità narrativa.
Per amor di sintesi non sono qui compresi quei film che
appartengono, esplicitamente o meno, a un altro filone: l'horror, il
filone fantasy3, i film che hanno come protagonisti i supereroi e la
fantascienza di animazione; ma anche i film che derivano
dichiaratamente dalla trama di un videogioco. Nonostante
contengano gli elementi principali del cinema fantascientifico – una
visione del futuro, la scienza immaginata – questi film sono ascrivibili
ad altri generi, anche se la fantascienza deve riconoscere loro un
doveroso tributo. Blob4 è un'informe gelatina che viene proprio dallo
spazio, anche se potrebbe venire da una qualsiasi cucina americana:
2
Alien (di Ridley Scott, USA, Gran Bretagna 1979).
Al pari della fantascienza, il Fantasy parla di mondi immaginati, creature intelligenti
non umane o esseri mostruosi: l'azione non è però, di norma, basata sulla scienza o
sulla tecnologia, bensì sul mito e sulla fiaba. Tuttavia, come nel caso della cosiddetta
science-fantasy, si sono creati filoni ibridi tra i due generi, in cui sono presenti sia la
scienza sia la mitologia. Il cinema rende particolarmente difficile fare una distinzione
quando gli elementi sono mescolati: è il caso, per esempio, della saga di Guerre
Stellari (Star Wars, di George Lucas, USA 1977).
4
Blob- Fluido mortale (The Blob, di Irvin S. Yeaworth Jr., USA 1958) parla di una
creatura aliena vischiosa e senza forma che terrorizza una città della Pennsylvania
inglobandone gli abitanti. Grazie alla sua passione per il cinema (si dirige, infatti, a
mangiare esseri umani in un cineteatro) le è stato dedicata la trasmissione di Rai 3,
Blob. Il programma, nato da un'idea di Angelo Guglielmi e di altri critici e autori, è
fatto interamente dal montaggio di spezzoni audio e video delle televisioni italiane
ed estere.
3
18
non è cinema di fantascienza in senso stretto. Akira5, un film
cyberpunk più coraggioso della maggior parte delle pellicole dei suoi
anni, resta pur sempre un anime, un cartone animato che deriva da
un manga giapponese6, è tale è stato considerato. E così via.
Un altro taglio, forse ancora più drastico, è stato operato in questa
rassegna. Non tutti i film di fantascienza, cioè, sono presenti. Solo
alcuni sono stati citati, selezionati fra una miriade di altri possibili. In
qualche caso il criterio della scelta è stato quello del successo di
critica, in qualche altro quello ottenuto presso il pubblico. Nel
catalogo la fantascienza europea e americana, con qualche sporadica
eccezione, prevale su quella del resto del mondo: così come, per la
verità, la letteratura e il cinema occidentali hanno spesso governato i
destini di questa categoria. La selezione è stata spietata. Ciascuno dei
film considerati in queste pagine si è segnalato all'attenzione degli
spettatori, delle riviste specialistiche o degli storici del settore per
almeno un aspetto: la raffinatezza estetica o tecnologica, la genialità
dell'idea, la profondità del messaggio, il ritmo dell'azione, il pianeta
più rosso, il cyberspazio più ostile, l'utopia più stravagante, l'eroe più
anomalo e originale. Molti buoni film, che qui non sono menzionati,
avrebbero meritato la stessa considerazione. Forse, però, la stanno
ottenendo: in un universo parallelo può essere che altri ne scrivano
proprio ora, coprendo le lacune, gli errori di prospettiva e le
dimenticanze.
5
Akira (アキラ, di Katsuhiro Ōtomo, Giappone 1988) è un film d'animazione scritto
ediretto da Katsuhiro Ōtomo, autore anche dell'omonimo fumetto, molto diverso dal
film. Akira è stato l'anime che ha conquistato l'Occidente all'animazione giapponese
dei lungometraggi: è considerato un capolavoro del genere.
6
Anime, abbreviazione di animēshon (traslitterazione giapponese della parola inglese
animation, "animazione"), è la parola con cui in Giappone, dagli anni settanta, si
indicano i cortometraggi, i film di animazione e le serie di cartoni animati, mentre in
Occidente viene usato per definire la produzione giapponese di animazione.
19
UGC1810
distanza dalla Terra: 300 milioni di anni luce
21
Il cinema di fantascienza
Dopo Blade Runner.
Molti umani se lo ricordano ancora con emozione. Trent'anni fa. Los
Angeles, 2019. Sui tetti della megalopoli allucinata, maledetta da
un'eterna notte e da una pioggia torrenziale, un albino statuario dagli
occhi d'iceberg guarda ansimare, ai suoi piedi, l'avversario che ha
appena salvato da una caduta mortale. Roy Batty, l'androide crudele,
il replicante senza pietà, ha risparmiato la vita di Rick Deckard, il
detective-cacciatore. Un gesto inspiegabile. Deckard ha ucciso i suoi
compagni, lo sta braccando per disattivarlo, per «ritirarlo» dal mondo
perché ne minaccia la sicurezza. Ma in quei suoi ultimi istanti Roy
ama la vita, «qualsiasi vita», anche quella del nemico. «Io ne ho viste
cose che voi umani non potreste immaginarvi», gli confessa prima di
spegnersi per sempre, «navi da combattimento in fiamme al largo dei
bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle
porte di Tannhauser»7. Un inno alla dignità di ogni esistenza, tradotto
in tutte le lingue del mondo, che da quel lontano 1982 – data in cui
Blade Runner fu distribuito – migliaia di persone hanno citato e
recitato. «E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come
lacrime nella pioggia. È tempo di morire». Un addio che suona
struggente tanto nell'asprezza dell'originale quanto nella cantilena più
dolce del doppiatore italiano; così nella forma come nel contenuto.
L'umanità è una splendida invenzione, ci vuole dire l'androide, ma
disumana. Non mantiene le sue promesse. Gli umani non la meritano.
Non ci sono dubbi: Roy, eroe tragico di fine secolo, ha consegnato
alle masse degli spettatori una delle uscite di scena più celebri della
storia del cinema. Famosa quanto quella che più di quarant'anni
prima aveva immortalato Rhett Butler, in Via col vento, nel suo
benservito a Rossella o' Hara,: «Francamente, me ne infischio»8.
7
È la versione doppiata in italiano. Nella versione originale si recita: «I've seen things
you people wouldn't believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched
c-beams glitter in the dark near the Tannhauser Gate. All those... moments will be
lost... in time, like tears... in rain. Time to die» (Roy Batty in Blade Runner, di Ridley
Scott, USA 1982).
8
Via col vento (Gone with the Wind, di Victor Fleming, USA 1939) codiretto da
George Cukor e Sam Wood, è stato prodotto da David O. Selznick e distribuito dalla
Metro-Goldwyn Mayer. La sceneggiatura di Sidney Howard è tratta dal romanzo di
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2019-1982. All'uscita nelle sale, il regista Ridley Scott fu salutato
come un genio: se non da un gran numero di spettatori, dai cinefili e
dagli amanti del genere. In molti pensarono che oltre – oltre quel
triste addio all’umanità, oltre quella filosofica e amara consapevolezza
di un replicante senza speranza – non fosse possibile andare. In
fondo Blade Runner era stato distribuito in tempo per festeggiare gli
ottanta anni dalla nascita del film di fantascienza. Ottant'anni di
futuro già trascorsi. Nel 1902 il francese George Méliès aveva
confezionato, girato e montato il suo irresistibile Le Voyage dans la
lune9 e aveva suggerito a generazioni di spettatori un modo nuovo di
emozionarsi e, al tempo stesso, di interrogarsi. Riflettere sul futuro
possibile, sulla tecnologia e sulla natura umana: soprattutto, su
quanto sia veramente strano ed estraneo lo straniero, a partire dalla
luna, maldestramente accecata dalla navicella spaziale. Molti decenni
più tardi, un biondo replicante sembrava aver chiuso il discorso, tutti i
discorsi possibili. A ruota, a pochi giorni dall'uscita dal film, moriva
Philip Dick, uno dei maggiori scrittori di fantascienza del dopoguerra.
Sembrò un segnale funesto. Blade Runner pareva un traguardo
inarrivabile; sicuramente lo era Dick, da cui il soggetto era stato
tratto con molta libertà. Questo genere cinematografico aveva detto
tutto? Tutto, cosa?
Per rispondere a questa domanda bisogna ripercorrere non solo gli
otto decenni che separano Méliès da Ridley Scott, ma estendere lo
sguardo a quei tre che ormai ci separano dal «cacciatore di androidi»
Rick Deckard, e dalle sue vittime. Occorre cercare di capire che cosa
ha reso il cinema di fantascienza quello che è, che è stato e che
rappresenta, attraverso il suo passato glorioso e le innovazioni, ma
Margaret Mitchell, Gone with the Wind, vincitore del premio Pulitzer nel 1937. È uno
dei film più famosi della storia del cinema per l'enorme successo di pubblico e critica:
nelle intenzioni del produttore voleva essere un grande affresco storico dell'America
della Guerra di Secessione. Finisce tuttavia con l'essere ricordata soprattutto la storia
d'amore dei due protagonisti: la bella e ambiziosa Rossella o'Hara e lo spregiudicato
e ironico Rhett Butler.
9
Viaggio nella luna (Le voyage dans la lune, di George Méliès, Francia 1902) è il
primo film di fantascienza e, contemporaneamente, la prima parodia del genere. Fu
prodotto dalla Star Film, la casa di produzione (con studi annessi) fondata dallo
stesso Méliès. Nel 1904 il regista-illusionista gira il suo secondo film del genere,
Viaggio attraverso l'impossibile (Le Voyage à travers l'impossible, di Georges Méliès,
Francia 1904). In realtà alcuni individuano il primo film di fantascienza ne La
Charcuterie mécanique, (di Louis Lumière, Francia 1895), storia di una macchina
ipertecnologica che trasforma un maiale vivo in vari salumi e prodotti di macelleria.
24
anche attraverso le pause e le repliche di formule trite: banalità,
trivialità, noia, alternate a palpiti, genio, meraviglia.
Per prima cosa bisogna capire di che si tratta. «L'exotisme dans le
temps, l'exotisme dans l'espace»: questo è il punto di partenza dei
primi cineasti, che si avviano alla ricerca del futuro raccogliendo una
vasta eredità: quella pluricentenaria della letteratura utopica e della
letteratura di viaggio; quella ottocentesca del romanzo avventuroso e
del filone avveniristico, rappresentato dalla contrapposizione (in
realtà fittizia) tra il modello di Jules Verne e quello, posteriore, di
Herbert G. Wells. La fantascienza vera e propria si farà avanti con
una certa timidezza e solo qualche anno più tardi: è il difficile
incontro tra un genere letterario che cerca di guadagnare
autorevolezza e un'arte (la settima, detta anche la decima musa) che
cerca di essere riconosciuta come tale.
Quasi contemporaneamente alla nascita del cinema, il mondo
scientifico sta intraprendendo un viaggio che lo porterà ben oltre i
confini del senso comune, nei mondi esotici dell’infinitamente grande
e dell’infinitamente piccolo. Negli stessi anni in cui si sperimentano
ancora le potenzialità del mezzo cinematografico, i registi pionieri del
futuro non possono ignorare le suggestioni che arrivano dal mondo
della scienza. La fine del positivismo coincide sostanzialmente con il
tramonto della Belle Époque, è l'età che prelude ad Albert Einstein, a
Niels Bohr e a Werner Heisenberg, alla meccanica quantistica e alla
relatività10. Le scienze della natura si interrogano
sui propri
fondamenti e sulle proprie possibilità mettendo in luce i paradossi e
l’«indeterminazione» delle leggi che governano l'universo. Per il
popolo del cinematografo delle origini lo scienziato diventa pazzo, o
sfrenato, oppure eroico. Ma c'è di più: sullo schermo il progresso
ripropone i misteri, esoterici e talvolta terrificanti, del mondo magico.
Non a caso è un illusionista di professione come Méliès colui che
intuisce le capacità della macchina da presa di immaginare infiniti
mondi: di fare, in una parola, fantascienza. Il geniale francese è
anche il primo a proporre una codificazione di genere: nei suoi due
film sono già presenti alcune intuizioni sfruttate dalla filmografia
10
Nel 1971 Werner H. Heisenberg scrisse una famosa sintesi di quegli anni di
fermento scientifico: Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti (1920-1965).
25
fantascientifica nei decenni a venire. L'assurdo, il controfattuale11 e il
diverso diventano frequentatori assidui delle sale cinematografiche.
La fascinazione di questa magia sembra, però, prevalere sulla
riflessione. Il cinema di fantascienza fatica a emanciparsi, ad
affrancarsi dalla sua origine ludica e spensierata, alla ricerca dello
stupore puro. Ci vorrà del tempo perché riesca a varcare le soglie del
grande cinema, quello costellato (almeno talvolta) di sublimi registi,
attori eccezionali, sceneggiatori senza rivali. Dovrà dimostrare di
essere una categoria che non mira a perseguire esclusivamente lo
svago e l'evasione. Solo gli sforzi congiunti di molti operatori, la
devozione del pubblico e qualche grande talento permettono, in più
cinquant'anni, che venga considerata una forma d'arte. Stenta ad
affermarsi come genere autonomo, ma finisce col guadagnare la
stima dei critici più severi, mettendosi alla pari con il cinema
cosiddetto colto per la varietà di soggetti e di tematiche, per la
profondità dei problemi affrontati. Ma la sua sensibilità verso i temi
sociali e i dilemmi esistenziali non ha ucciso la sua vocazione
all'intrattenimento. Alcuni dei film migliori possono essere goduti e
capiti a diversi livelli; può anche capitare, nella stessa proiezione, di
morire d'angoscia, di trattenere il respiro per la tensione e di
sorridere (o ridere) per le battute degli attori. Anche se, ovviamente,
non tutti i film di fantascienza sono profondi e divertenti allo stesso
tempo. Anzi, è vero che esiste un mare di opere brutte al punto che
si proiettano e si guardano con imbarazzo.
I soggetti di questo cinema, perlopiù, riflettono luoghi, idee e
personaggi che sono stati trattati dall'omonima letteratura: quella di
fantascienza. La loro sorte sembra la stessa. Libri e film di science
fiction sono distanti anni luce – è il caso di dirlo – dalla rigida serietà
delle arti nobili. Sembrano nati sotto il segno di un esotismo di
seconda scelta. È vero, tuttavia che, dopo un avvio sofferto,
letteratura e cinema fantascientifico si uniscono in un destino
comune: due sottoprodotti, due scarti della produzione artistica
occidentale che generano (qualche volta) dei capolavori.
Carta o celluloide12, i temi sono gli stessi: nascono una mescolanza di
fantasia, da una parte, e di nozioni, teorie, ipotesi scientifiche o
11
È controfattuale qualcosa di soltanto ipotizzato e concepito come un’alternativa
possibile, che non si è però realizzata, rispetto a ciò che è davvero successo o a ciò
che davvero è.
26
invenzioni tecnologiche, dall'altra. È una scienza prefigurata, una
tecnologia immaginata, temuta o auspicata nei suoi sviluppi, che dà
vita a mondi sconosciuti, a fenomeni inaspettati, a esiti imprevisti o
controintuitivi13. Una scienza fantastica, una serie di fantasie
scientifiche. Scienza e futuro sono fatti interagire sul grande schermo,
ripresi nelle loro varianti possibili o impossibili, nelle loro infinite
declinazioni, nelle ricadute sulla natura e, soprattutto, sul genere
umano, inteso come individuo o come società. La vicenda raccontata
nel film prende di regola il suo avvio da una serie di dati su cui si
esercita una proiezione nel futuro: elementi immaginati, ma quasi
mai del tutto improbabili. Altre volte, la narrazione si sviluppa dalla
descrizione di un contesto estraneo agli occhi dello spettatore. Lo
scenario delineato si differenzia per almeno un aspetto dalla realtà
quotidiana: è un tempo di là da venire, prossimo o meno; è uno
spazio sconosciuto, più o meno lontano. Anche i meccanismi narrativi
vengono condivisi a lungo tra la pellicola e la carta stampata. Nel
cinema di fantascienza, come nella letteratura analoga, l'azione si
sviluppa in dipendenza da alcuni elementi che definiscono il contesto:
lo spazio, il tempo, la società, la natura, l'individuo. Di solito è
l'intervento della scienza o della tecnologia a costituire il motore della
vicenda, agendo proprio su tali coordinate: esse sono sottoposte a
trasformazione, la trasformazione genera un conflitto o un paradosso
che, in qualche modo, deve venire risolto o superato.
Nell'arco di qualche decennio – entro gli anni cinquanta – molti, se
non tutti i grandi temi della fantascienza di ogni tempo vengono
adattati alla macchina da presa e consegnati al grande pubblico,
sfruttando le possibilità offerte dalle immagini in movimento e la loro
capacità seduttiva. La maggior parte dei contenuti è già presente nel
cinema delle origini o viene comunque sviluppata nei primi decenni: il
viaggio; l'esperimento scientifico e la sfida tecnologica; gli scenari
12
La celluloide è, per eccellenza, il materiale per la fabbricazione delle pellicole
cinematografiche. In realtà, dal 1954 la celluloide non è più usata, perché troppo
infiammabile. È stata sostituita dal triacetato di cellulosa (ormai non più usato) e poi
dal poliestere (polietilene tereftalato) tuttora utilizzato.
13
L'espressione science fiction è usata per la prima volta da Hugo Gernsback, che nel
1926 fonda negli Stati Uniti la prima rivista della categoria, Amazing Stories.
Gernsback parlò in realtà di scientific fiction, poi contratta in scientifiction, infine
science fiction (nel mondo anglosassone abbreviata in Sci-Fi). La traduzione
«fantascienza» è attribuita a Giorgio Monicelli, primo curatore de I romanzi di
Urania, la più famosa collana italiana dedicata al genere, inaugurata dalla casa
editrice Mondadori il 10 ottobre 1952 con Arthur C. Clarke, Le sabbie di Marte.
27
prossimi venturi (la città del futuro, la catastrofe); l'alieno, inteso non
tanto come extraterrestre, ma come tutto ciò che è diverso, che
scatena orrore, turbamento o pietà. Non a caso alcuni grandi registi
accettano di cimentarsi con la nuova narrativa cinematografica: René
Clair e Fritz Lang raccontano metropoli immaginate14, James Whale si
specializza in mostri (e relativi congiunti) generati da macabri
esperimenti15, George Wilhelm Pabst riproduce la vicenda della regina
Antinea proponendo, dopo Lulù, un'altra delle sue donne fatali 16.
Fin qui, sembrerebbe, si tratta di un processo già noto alla storia
delle immagini in movimento: un filone cinematografico che si
sviluppa come espressione visiva e replica della corrente letteraria da
cui è stato generato. Ma c’è di più. La fantascienza al cinema è un
genere unico, reso tale fin dai suoi esordi da due caratteri peculiari. Il
primo è proprio, aldilà delle apparenze, la costante ricerca di
autonomia dai referenti letterari: uno sforzo che ha avuto, bisogna
riconoscerlo, ottimi risultati. I film di fantascienza sono spesso
indipendenti dai romanzi ai quali si sono ispirati: ancor più di quanto
non lo sia di norma il cinema nei confronti della letteratura. Il
secondo fattore è una straordinaria flessibilità, intesa come capacità
di mescolarsi agli altri generi cinematografici e di dar vita a opere di
grande complessità narrativa, o di notevole spessore filosofico o,
ancora, in grado di colpire l'attenzione di un pubblico molto più vasto
di quello degli appassionati e degli specialisti. Il giallo, il noir, lo
storico, l'horror; e poi lo spionaggio, il dramma sentimentale, la
commedia classica, la parodia, il western; l'umoristico demenziale,
l'avventuroso, il film di guerra, il musical; e ancora, il prison movie, il
road movie, addirittura il peplum (il film in costume) e molti altri a
14
La Parigi surreale e spopolata, ma vera, di Paris qui dort (di René Clair, Francia
1923) inedito in Italia, trova il suo contraltare nella irreale città, tutta artificiale e
avveniristica, ritratta in Metropolis (di Fritz Lang, Germania 1927).
15
Nel giro di cinque anni l'inglese James Whale, trasferitosi negli Stati Uniti, gira il suo
bellissimo Frankenstein (di James Whale, USA 1931) e poi dà in sposa alla creatura
mostruosa una compagna altrettanto attraente, La moglie di Frankenstein (The bride
of Frankenstein, di James Whale, USA 1935). Nel frattempo dà vita a L'uomo invisibile
(The Invisible Man, di James Whale, USA 1933): mostro sì, ma meno ingombrante dei
primi due.
16
I precedenti filmici della leggenda (narrata dal romanzo L'Atlantide di Pierre
Benoît) a cui si è ispirata la vicenda di L’Atlantide (Die Herrin von Atlantis, di Georg
Wilhelm Pabst, Germania, Francia 1932) e i film che vennero realizzati in seguito
sono analizzati nel sito francese dedicato al mito di questa città e alla sua
realizzazione nelle arti http://www.atlantide-films.net/accueil/accueil.htm.
28
seguire. Non c'è quasi categoria cinematografica a cui il cinema di
fantascienza non abbia ammiccato, con cui non si sia compromesso,
con cui non abbia intrecciato ardite relazioni, per dar vita qualche
volta a veri capolavori, qualche volta a polpettoni indigesti e
deplorevoli.
Dalla carta allo schermo.
L'autonomia tra cinema e letteratura fantascientifica è un elemento di
fondamentale importanza per la storia dei film di fantascienza. Ciò
non significa ovviamente che gli autori abbiano rinunciato a ispirarsi a
romanzi e a racconti. Anzi, la trama di ogni pellicola, anche quando il
soggetto è originale e rivendica una totale indipendenza, è tributaria
di un'idea che, nella maggior parte dei casi, è stata concepita o
sviluppata da uno dei grandi scrittori del filone. Questo tipo di cinema
è figlio della pagina scritta quanto altri mai. D’altra parte, per lungo
tempo si è verificata una sfasatura temporale tra film e letteratura:
come se le due arti si inseguissero, senza riuscire mai a raggiungersi,
a identificarsi in modo definitivo.
L'esempio primo, e forse il più significativo, riguarda non tanto gli
esordi del genere, nei primi decenni del Novecento, che scontano
un'ovvia confusione iniziale e diverse sperimentazioni, sia in campo
letterario, sia in campo filmico. Riguarda, invece, la cosiddetta «età
dell'oro» della fantascienza letteraria, gli anni trenta e tutti gli anni
quaranta, quando, dopo i primi timidi successi17, emergono i grandi
autori riuniti intorno alla rivista, Astounding Stories18 come Isaac
Asimov, Ray Bradbury, Robert A. Heinlein, Clifford D. Simak, A. E.
Van Vogt, Theodore Sturgeon. Sulla loro scia si pongono giganti
17
Olaf Stapledon (1886 – 1950), (Last and First Men, 1930; Odd John, 1935; Star
Maker, 1937; Sirius, 1940), fu la prima grande miniera di temi e soggetti
fantascientifici per gli scrittori successivi. Poco dopo di lui, John Wyndham (1903 –
1969) e i suoi pseudonimi si lanciarono alla conquista della critica e del grande
pubblico, varcando i confini dello specialismo di settore.
18
La rivista (il cui nome cambia in Astounding Science-Fiction nel 1938; Analog
Science Fact & Fiction nel 1960; Analog Science Fiction and Fact nel 1992) e la sua
popolarità tra gli amanti del genere è legata al nome di John W. Campbell che, alla
fine del 1937, ne assunse la direzione e ospitò i più grandi autori del momento della
cosiddetta fantascienza hard. È autore di La "cosa" da un altro mondo (Who Goes
There?, 1948) dal quale è stato tratto il film La cosa da un altro mondo (1951). È stato
sostenitore delle carriere di Asimov e Heinlein e delle teorie dianetiche di L. Ron
Hubbard già nel 1950.
29
come Arthur C. Clarke, autore di quel The Sentinel che ispirerà il
capolavoro di Kubrick 2001: Odissea nello spazio. È un ventennio di
idee geniali, di invenzioni di luoghi, soggetti e problemi consegnati,
nella maggior parte dei casi, a una scrittura eccellente. Questi pionieri
diventeranno il riferimento obbligato per tutti gli autori dei decenni
successivi. Paradossalmente però, proprio in questi anni, il cinema di
fantascienza sembra arenarsi, con qualche raro picco d'eccellenza, in
una palude fatta di vuote repliche, spesso ingenue o banali. Lo
spettatore fa conoscenza con un vero esercito di mostri improbabili,
scimmieschi o fantasmatici, da King Kong a L'uomo invisibile; con
qualche scienziato pazzo19 affetto da manie di grandezza, come il
Dottor Cyclops20 che "restringe" i suoi assistenti con un raggio. Altre
volte si tratta di un avvenire sotto le bombe, come nel film
catastrofico di William Cameron Menzies, La vita futura21. Si tratta
spesso di trovate un po' stanche o ripetitive, affidate al virtuosismo
dei registi, degli attori o degli sceneggiatori. Il cinema non sembra
avere la voglia, le capacità o le energie di affiancare la letteratura nel
viaggio avventuroso da questa intrapreso 22: seguire – spesso una
19
Mostri e scienziati pazzi vanno spesso a braccetto, essendo i primi, talvolta, il
prodotto delle aberrazioni dei secondi. Tra i più famosi esperimenti teratogeni (che,
cioè, generano mostri) della prima età della fantascienza cinematografica è d'obbligo
ricordare ancora quello di Frankenstein (v. nota 15) e quello del Dottor Moreau
(interpretato da Charles Laughton) de L'isola delle anime perdute (Island of Lost
Souls, di Erle C. Kenton, USA 1932). Quest'ultimo, in verità, ne produce tantissimi,
un'isola intera, e diventa un vero pioniere della manipolazione su larga scala.
20
Dr. Cyclops (di Ernest B. Schoedsack, USA 1940).
21
La vita futura (Things to Come, di William Cameron Menzies, Gran Bretagna 1936),
prodotto dal regista ungherese Alexander Korda, è ispirato dal romanzo di H. G.
Wells The Shape of Things to Come (1933). Wells viene chiamato nel ruolo di
supervisore per ogni singolo aspetto del film, tanto che nelle locandine è affiancato il
suo nome al titolo La vita che verrà. In Italia è distribuito una prima volta nel 1937
dalla Mander Film e una seconda volta nel 1953, con il titolo Nel 2000 guerra o pace?
(Vita futura), dalla Minerva Film.
22
Riccardo Valla individua tre caratteristiche nella fantascienza della golden age,
valide anche per i decenni successivi: «Secondo i teorici degli anni ‘50, la
caratteristica della fantascienza americana era il suo contenuto di "estrapolazione",
nel senso di riconoscere da alcuni elementi una tendenza in atto e proiettarla nei
suoi sviluppi futuri. Ossia era futurologia romanzata. Altri spunti critici erano il
riferimento al "sense of wonder", che noi tradurremmo "la meraviglia", perché è lo
stesso concetto che faceva dire "è del poeta il fin la meraviglia". [...] In seguito la
definizione più convincente è stata quella di Suvin, che individuava la fantascienza
per il suo "novum", ossia l'innovazione su cui si basava tutta la storia. Questa
definizione dava però l'impressione di potersi applicare solo a un numero limitato di
30
buona dose di capacità profetica, ma anche con perizia e competenza
– le piste tracciate dalla scienza e dalla tecnologia; immaginare il
mondo futuro a partire dai paradossi e dalle contraddizioni originati
dalle nuove teorie o dalla loro applicazione; sconvolgere la
prospettiva dell'uomo del ventesimo secolo aggiungendo coordinate
estranee: il cosmo, la vita aliena, la robotica. Per mettersi alla pari
con queste le nuove sfide del futuro (quelle vere e quelle
immaginate), l'industria cinematografica impiegherà un po' di tempo,
almeno fino agli anni cinquanta.
Eppure, tra gli inizi della Guerra Fredda e il ventennio successivo
questo ritardo permane, sebbene meno pronunciato. Negli anni
cinquanta, la letteratura del genere fantascientifico passa abbastanza
rapidamente dall'«hard sci-fi» (la fantascienza legata alle scienze
esatte, alla logica matematica, allo sviluppo tecnologico) a quella
«soft», un sotto-filone più attento alle implicazioni sociologiche e
psicologiche degli eventi futuri e delle innovazioni possibili. Ancora
una volta, il cinema sembra adeguarsi a questo nuovo modo di
vedere le cose con qualche anno di ritardo. In modo indipendente
(perlopiù) la fantascienza delle immagini in movimento si costruisce
la sua strada: un percorso che si snoda tra prove d'autore – quando
cioè intervengono i grandi registi, per cimentarsi in quello che pare
ormai un filone promettente – e film mediocri, tra produzioni seriali di
B-movies e dimostrazioni di sgangherato dilettantismo. Di tanto in
tanto, di solito per illuminazione di un regista, essa sembra recepire
un contenuto nuovo, che la pagina scritta suggeriva da tempo: la
distopia, per esempio, cioè gli orrori di una società futura; o i
paradossi dell'evoluzione (che spesso si rovescia in involuzione e
ritorno alle origini); o le presenze aliene tra gli umani inconsapevoli o
attoniti.
La verità è che la settima arte reagisce con una certa calma, riflette
con relativa lentezza i cambiamenti di scenario che la parola scritta
racconta. Del resto, lo schermo è un medium che deve tenere conto
dei gusti e delle aspettative di una massa di spettatori molto più
grande di quella costituita dai lettori di fantascienza; e anche,
ovviamente, delle loro fragilità e delle loro paure. Il cinema di
fantascienza può proiettare molte, molte persone in un'altra realtà, a
volte tragicamente, paurosamente diversa da quella che lo spettatore
storie di alto livello, perciò il corollario suviniano che il novum deve essere
totalizzante non corrisponde al concetto comune di "fantascienza"».
31
ha modo di vivere nella sua quotidianità. L'estrema verosimiglianza
del mezzo di comunicazione suggerisce cautela: lo spazio sembra
davvero immenso, i pianeti davvero vicini, gli alieni davvero
inquietanti, voraci e viscidi.
Questo non significa che la fantascienza per compiacere il pubblico, si
ponga come unico obiettivo il distacco dal mondo reale, la
separazione dal presente e dai suoi problemi. Sarebbe un errore
pensare che, nonostante la sua apparenza "spensierata", di genere
d'intrattenimento, non sia in grado di fare ciò che fanno altri generi
dichiaratamente seri: raccogliere con prontezza la sfida che viene
della storia per rielaborarla in un linguaggio specifico. Come e meglio
degli altri film, quelli fantascientifici si fondano sulla consapevolezza
che il ventesimo secolo, dopo un esordio tragico e perfino dopo uno,
poi due conflitti mondiali, si dibatte tra prospettive di miglioramento,
di cui la scienza e la tecnologia possono farsi carico, e segnali di
deriva della condizione umana. Mentre le macchine promettono di
sostituire l'uomo e la medicina di sconfiggere la malattia e la morte,
la guerra si è fatta totale e, almeno così sembra, è diventata l'ultima
guerra prima della fine della specie. Più che dalla letteratura a cui
dovrebbe fare riferimento, il cinema di fantascienza assorbe come
una spugna dagli eventi e dai sussulti della storia, imbevendosi delle
speranze e delle paure del genere umano, che crescono con la
coscienza del potenziale distruttivo dell'uomo. In Occidente come in
Giappone, la logica sembra la stessa. Specchio delle angosce dei suoi
spettatori, il cinema sopra ogni altra cosa obbedisce a loro, ne
interpreta i desideri, le preoccupazioni e le ambizioni, ma anche li
amplifica. Lascia che essi si addomestichino a un'idea – sia essa un
pianeta lontano, una teoria genetica, un contatto alieno o uno
scenario catastrofico – e gliela ripropone in forma esteticamente
trasformata mantenendone i contenuti. Fino a quando l’irruzione di
nuove immagini del futuro non costringerà il vecchio arsenale
fantascientifico a farsi da parte.
La svolta si verifica, per la storia del cinema, quando la Guerra
Fredda è ormai un lontano ricordo: al sopraggiungere, cioè, di
quell'età di relativo ottimismo e prosperità economica per l'Occidente
definita (scherzosamente) «edonismo reaganiano», dal nome di quel
Ronald Reagan che, prima di diventare presidente repubblicano degli
Stati Uniti, aveva a lungo (e non sempre in modo impeccabile)
recitato per il grande schermo. Solo con gli anni ottanta del
ventesimo secolo, funestati dalla tragica fine del replicante Roy Batty,
la fantascienza in pellicola raggiunge la letteratura, la affianca e
32
addirittura la supera, almeno nella percezione del pubblico di massa,
per innovatività e profondità. Siamo di fronte alla fine di un'era, alla
morte di un certo modo di intendere la science fiction e all’insorgere
di un’epoca in cui il cinema smette di adattarsi ai gusti e alle
aspettative di futuro degli spettatori per proporre, di pari passo con
una certa narrativa e una certa saggistica, scenari e problematiche
spesso traumatizzanti. La realtà viene frammentata, decostruita,
riprodotta infinite volte e spesso artificialmente duplicata; stessa
sorte subiscono l'individualità, la memoria, il senso e la logica
dell’esistere. Pian piano, nel corso di un trentennio che sembra
brevissimo, il cinema di fantascienza si fa più difficile da capire, più
impegnativo, a volte solo più complicato; così come il cyberpunk degli
anni ottanta può sembrare meno amichevole della fantascienza
precedente al lettore occasionale. Il cyberspazio, la realtà virtuale, la
matrice: il grande schermo non esita a creare contesti perfino più
estranianti di quanto non lo siano mai stati un satellite lontano, una
base spaziale orbitante, un pianeta arido e ostile. Un alieno nella
pancia sembra una prospettiva meno minacciosa della possibilità di
perdersi con la mente in un universo bidimensionale, mentre il corpo
se ne sta intubato e prigioniero di cavi in qualche materialissima
poltrona23.
Forse è vero che il nuovo cinema appare più profondo, più geniale,
anche laddove è sgangherato e superficiale, anche quando si produce
in semplici remake. Ma questa sensazione, paradossalmente, è un
merito che possiamo assegnare alla tecnologia: non tanto a quella
narrata, delle realtà virtuali e degli innesti di memoria, quanto a
quella molto concreta della grafica computerizzata, degli effetti
speciali.
Negli
ultimi
trent'anni
l'assuefazione
al
trucco
cinematografico ha fatto sì che tecnici e progettisti si siano impegnati
in maniera forsennata per rendere la rappresentazione del futuro
realistica, spettacolare, scioccante: fino all'avvento del 3D, che porta
all’estremo l'immedesimazione dello spettatore davanti allo schermo.
Non c'è quasi più nulla di ingenuo nella scenografia e nell'estetica dei
23
I libri più famosi in traduzione italiana appartengono alla trilogia cosiddetta dello
sprawl (della dispersione urbana) di William Gibson: Neuromante, 1993
(Neuromancer, 1984); Giù nel cyberspazio, 1992 (Count Zero, 1986); Monna Lisa
Cyberpunk, 1991 (Mona Lisa Overdrive, 1988); e ancora la raccolta di novelle di
William Gibson, La notte che bruciammo Chrome (Burning Chrome, 1986). Un cult in
Italia è diventato la raccolta Mirrorshades, a cura di Bruce Sterling, Bompiani, Milano
1986.
33
film di fantascienza: la perfezione alberga nelle città future, nei viaggi
interstellari, nei trifidi (e tripodi) marziani, in tutte le stazioni del
multiverso. Qualche volta è perfino difficile capire se, dietro il
luccichio asettico di pianeti e di universi paralleli, di alieni atletici e di
città future, vi siano contenuti di qualche spessore. Ogni tanto,
ovviamente, capita di trovarne.
Il cinema di fantascienza e gli altri generi.
Posto che la versione musicata da Giorgio Moroder 24 non vi abbia
abbagliato e imbambolato, come usavano fare alle loro vittime certi
scienziati pazzi o certi raggi fantasmatici nei film degli anni venti,
provate a raccontare la trama di Metropolis25. La vicenda è così
intricata, gli elementi in gioco così tanti, i contenuti così complessi
che si fa fatica, almeno sulle prime, a trovare un punto d'inizio, un
motivo conduttore, un'interpretazione coerente, che si adatti
perfettamente a tutte le parti del film senza snaturarne il senso. Non
è un film sui prodigi della tecnica, né sull'intelligenza artificiale, né
sulla città del futuro, né sulla condizione della classe operaia o delle
donne, né sulle aberrazioni dell'umanità. A rigor di logica, non è
un'utopia, ma non è nemmeno il suo contrario, una distopia. È tutto
questo insieme, ovviamente, e molto altro ancora. È uno sguardo
sulla società che non dimentica gli individui, perché è difficile restare
insensibili alla struggente storia dei suoi protagonisti, Maria e Freder
Fredersen, tra cui sboccia un delicato amore che rompe i confini di
classe. I grandi capolavori, è vero, abbattono quasi sempre le
barriere di forma e quelle di sostanza anche più dell'amore. Ma un
fatto bisogna considerare: è anche merito delle straordinarie capacità
del film fantascientifico se non si riesce a riassumere facilmente la
trama di Metropolis.
Fin dai suoi esordi durante l'epoca del muto – a differenza di molti
astronauti sbarcati su pianeti sconosciuti – il cinema di fantascienza
24
Nel 1984 il musicista trentino Moroder, dopo aver collaborato a molte colonne
sonore, fece uscire una versione del film Metropolis da 87 minuti, che restaurò
personalmente con nuovi colori e una nuova colonna sonora rock. Tale versione
suscitò moltissime polemiche per il suo approccio dichiaratamente anti-filologico,
che faceva del film di Lang un'opera nuova, più psichedelica e ansiogena.
25
Di Metropolis, (v. nota 14) si conoscono molte versioni, in cui varia principalmente
la colonna sonora apposta alle immagini e la lunghezza della pellicola, e di
conseguenza il montaggio.
34
non ha mai avuto paura della contaminazione con il diverso. Un
metagenere, è stato definito: cioè un genere che attraversa gli altri.
Ha cercato, senza dubbio, il connubio con gli altri filoni
cinematografici e, con estrema liberalità, ha lasciato spazio nelle
trame dei film a ogni possibile sviluppo della fantasia. Si sono così a
poco a poco inseriti nella fantascienza quegli elementi che, pur
collocati in un contesto futuribile o scientifico-tecnologico,
rappresentano la caratteristica peculiare di altri tipi di film. Prendendo
a prestito temi e modalità narrative, la fantascienza non mostra
alcuna paura di affrontare il diverso. Non tutto ciò che viene dallo
spazio profondo, si potrebbe dire, risulta cattivo: anzi, nella maggior
parte dei casi l'incontro tra culture distinte si rivela fecondo.
Fin dagli anni dieci del Novecento – a partire dal goffo, bellissimo
Frankenstein degli Edison Studios26 – l'invenzione fantascientifica
flirta con categorie di confine. Per primo, in ordine strettamente
cronologico, viene l'horror, sposatosi con la fantascienza proprio
quando ha deciso di raccontare la storia di Mary Shelley: la storia di
un mostro prodotto, con l'ausilio della corrente elettrica, da uno
scienziato pazzo e dalle sue ambizioni di immortalità. A breve altri
matrimoni fecondi seguono quel primo connubio: il mistero tipico del
giallo; l'azione violenta del noir, alla ricerca dei colpevoli di un
misfatto; il sentimento amoroso, che più che la cifra del film
sentimentale sembra essere il lievito di qualsiasi trama che voglia
accattivarsi gli spettatori; l'avventura romanzesca ed esotica à la
Jules Verne. I due grandi film degli anni venti, Paris qui dort di René
Clair e Metropolis di Fritz Lang, sono opere in cui è massimo il livello
di contaminazione. Il documentario urbano, il comico slapstick, il
dramma allegorico, la fantapolitica, il romanzo sentimentale: è questo
impasto di categorie che si mescolano alla fiction di genere che
concorre a farne dei capolavori.
In seguito, altri elementi estranei s'infiltrano progressivamente, come
virus alieni, nella fantascienza del grande schermo, contribuendo a
riprodurre questa proficua mescolanza. Tra questi "dispositivi
infiltrati" vi sono, per esempio, i meccanismi tipici della commedia,
anche dove il lieto fine non risulta poi così lieto: la rivelazione e il
riconoscimento (un padre scomparso, una fidanzata sostituita dai
marziani, un buon diavolo che è in realtà un extraterrestre);
26
Frankenstein (di J. Searle Dawley, USA 1910) è un cortometraggio muto che per
alcuni decenni si credette perduto.
35
l'equivoco e lo scambio di persona (già preannunciati, in qualche
modo, dall'inquietante identificazione tra Maria-umana e Maria-robot
in Metropolis). Oppure si fa avanti, a dettare legge in modo
abbastanza perentorio, l'ossessione per la frontiera, motivo
conduttore del western che, nel film fantascientifico, viene complicata
dalla vastità degli spazi e dalla relazione con la dimensione
temporale. Il viaggio è pur sempre un'impresa, un cimento che, come
l'Ulisse dantesco, costringe l'uomo a seguir «virtute e canoscenza» e
a confrontarsi con l'altro. L'astronauta e il crononauta sono pionieri a
cavallo di macchine, che galoppano nello spazio o nel tempo. Le
stazioni orbitanti sono diligenze o stazioni postali ai confini
dell'esperienza umana, isolate in silenziosi deserti siderali, assediate
da creature certo più originali, ma in fondo non molto diverse dagli
indiani di John Ford in Ombre rosse27. Passeranno molti anni prima
che lo scrittore cyberpunk William Gibson osi scrivere di questa
identità tra spaceman (uomo dello spazio, astronauta, cosmonauta) e
cowboy. È singolare che ciò accada proprio nel momento in cui lo
spazio, così come lo si legge nei romanzi o lo si vede al cinema, si sta
trasformando in cyberspazio, in realtà virtuale28. È un periodo di
svolta: lo stesso in cui muore Roy Batty, lo straniero, il fuorilegge del
futuro, inseguito da Rick Deckard, il cacciatore di taglie.
Il processo di contaminazione si estende rapidamente all'influenza
esercitata dai film di guerra, con la logica amico-nemico, il culto della
battaglia e dell’eroismo, i miti del patriottismo che ne conseguono. La
fantascienza deve così confrontarsi con il tema secolare che la guerra
si porta dietro: quello dell'ambiguità che risiede in ogni conflitto, che
si dibatte tra bellezza e orrore, tra esaltazione della qualità umana e
annullamento del concetto stesso di umanità. Il matrimonio tra i due
generi rivela in poco tempo la sensibilità degli autori e,
probabilmente, quella del pubblico nei confronti delle conseguenze
militari della politica. Con l'avvento dei totalitarismi lo scontro con il
nemico sembra inevitabile, in Europa come in America: eppure fa
paura. Si parla di ordigni potentissimi in grado di uccidere porzioni
gigantesche della vita sulla terra. Il primo film a parlare degli orrori
27
Ombre rosse (Stagecoach, di John Ford, USA 1939) è forse il film più famoso del
cinema western, in cui sia lo spazio esterno (gli indiani che minacciano la diligenza)
sia quello psicologico, dei singoli individui, scatenano il terrore e l'apprensione, poi la
riflessione e infine si aprono a un possibile riscatto.
28
Nel romanzo culto di William Gibson, Neuromancer (1984), Case si definisce un
console cowboy, un cowboy informatico.
36
della guerra – a farne, cioè, il tema conduttore – è quello già citato di
William Cameron Menzies La vita futura (1936): ma il più famoso è
certamente il film di Robert Wise del 1951, Ultimatum alla terra29, che
contiene un messaggio esplicitamente pacifista e identifica la guerra,
nell'avvertimento del saggio, benevolo alieno Klaatu, come sintomo di
stupidità, cecità e arretratezza culturale.
Il conflitto.
Per il cinema di fantascienza, la guerra è un'ambientazione, un
elemento della vicenda come qualsiasi altro. È dalla categoria di
conflitto, invece, che il genere non può prescindere. Sono concetti
ben diversi, anche se sembrano sinonimi. Con buona pace di Robert
Wise e del suo Klaatu, il conflitto è forse ciò che davvero
contrassegna e distingue il film di fantascienza dagli altri. È la sua
cifra: non è, come (quasi) sempre accade al cinema o nella
letteratura, un semplice dispositivo narrativo che, delineando un
protagonista e un antagonista, dà l'avvio alla storia. E non è
nemmeno da identificarsi con la guerra: né quella dei mondi; né
quella che produce un disastro atomico; né quella condotta per
arginare un fenomeno ingovernabile; né quella che si ingaggia contro
gli extraterrestri o contro i mostri, dentro e fuori di noi. Il conflitto è
ciò che si produce dal cambiamento e che, a sua volta, lo produce; è
la conseguenza di una metamorfosi in direzione del futuro; è ciò che
risulta da una tendenza che viene seguita e realizzata. Il conflitto sta
al futuro immaginato come l'Alien di Ridley Scott sta agli esseri
umani: sulle prime non si vede, è solo una presenza percepita,
inquietante. Poi, pian piano, inizia a germinare e crescere nella sua
pancia: ciò succede proprio quando, nella vicenda, si avvia un
processo di trasformazione, quando una variazione minaccia
l'equilibrio degli elementi (tempo, spazio, natura, società, individuo)
che compongono il contesto. Ma è quando Alien esce dal ventre
confortevole che lo aveva ospitato che iniziano davvero i guai.
È qualcosa che non va come dovrebbe. Si tratta di un principio
secolare: una società immaginata (come quella futura) genera
conflitto. Può trattarsi di un meccanismo che si sviluppa al suo
interno, tra le sue singole parti, oppure all'esterno, quando
l'occasionale osservatore, che approva o disapprova la differenza con
il proprio mondo, si trova nei panni di giudice-antagonista. La città
29
Ultimatum alla terra (The Day the Earth Stood Still, di Robert Wise, USA 1951).
37
immaginata, come Metropolis, rivela una falla, oppure la falla è
aperta dallo straniero che vi approda. Qualcosa, appunto, non va
come dovrebbe. Qui risiede la vera affinità tra la fantascienza e la
letteratura dell'utopia (e della distopia), che normalmente disegna
mondi ideali. Si tratta, in entrambi i casi, di sviluppi possibili. Ma
nell'utopia il panorama è immobile: il visitatore può solo giudicare,
restare o fuggire di fronte al conflitto di cui è spettatore. Si tratta di
un'esperienza statica, come la visione di un quadro. Nella letteratura
fantascientifica il lettore partecipa, è chiamato non solo a riflettere su
qualcosa d'improbabile, ma a calarsi in un futuro che è già presente,
che certamente sarà. Nella fantascienza proiettata al cinematografo,
lo spettatore è costretto non solo a immaginare e a pensare, ma a
vedere
e
a
sentire,
grazie
allo
straordinario
potere
d'immedesimazione che lo schermo possiede, primo fra le arti visive.
È anche una questione di gradi di verosimiglianza. Al cinema il
pubblico viene divorato dal futuro, che lo attende senza alcuna
pazienza, per abbracciarlo con i suoi tentacoli verdi, per brancicarlo
con i suoi artigli laceranti.
Il conflitto, amplificato dal medium, è ciò che anima la fantascienza al
cinema e, allo stesso tempo, avvia la riflessione che scaturisce dalla
storia narrata. Per questo, soprattutto, i film fantascientifici
raccontano un futuro prossimo, individuato da una data precisa. È più
facile immaginare l'avvenire quando lo si contestualizza con
esattezza; ancor di più quando lo si rappresenta vicino a chi vede. Il
brivido inizia dal titolo: 2001: Odissea nello spazio; 2000: La fine
dell'uomo; 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra; 2022: I
sopravvissuti; 1997: Fuga da New York; 1984; 2010-L'anno del
contatto; 2012. Sono solo alcune delle date più famose, qualche volta
indicate solo nella traduzione italiana. Non sono anni troppo remoti
per gli spettatori: questo espediente enfatizza la possibilità reale che
quelle determinate circostanze si verifichino, che ciò che si vede sullo
schermo possa essere di monito o di sprone. La New York del 1997
non è molto diversa da quella degli anni ottanta e sembra, pertanto,
a portata di mano.
Tale necessità narrativa – rappresentare un tempo vicino per
collocarvi un conflitto e le sue probabili conseguenze – ben si adatta
al principale problema della fantascienza al cinema: quello di
realizzare una realtà molto diversa da quella in cui ci troviamo a
vivere. Non è un problema della letteratura, che può permettersi,
infatti, di collocare le sue storie in contesti lontani nel tempo e nello
spazio, architettandoli con la forza delle parole senza limite alcuno.
38
Ma è un problema del cinema, che non dispone, talvolta, né delle
tecniche né soprattutto (perfino nell'era della «computer grafica») del
repertorio di immagini adatte a essere tradotte, sullo schermo, in
mostri, scenari, vestiti, armi, strumenti tecnologici. Nei film, molto
spesso, l'immaginazione va riciclata, gli immaginari vanno riutilizzati:
rappresentare visivamente è difficile. Ogni standard di successo
segna le opere successive per almeno una decina d'anni, a volte per
decenni: la città verticale di Metropolis, gli xenomorfi (Alien) di H. R.
Giger, le atmosfere di Blade Runner. Ma sono icone create con
estrema difficoltà, talvolta frutto di talenti inarrivabili e colpi di genio
estemporanei. Costa meno ed è comunque più efficace – anche se
non sempre – ambientare le storie in un realistico dopodomani.
Che cosa avviene, però, quando la data nel titolo viene superata dalla
realtà, quando allo scadere dell'anno fatidico possiamo constatare
che non è successo nulla? Che cosa accade quando comprendiamo
che le aspettative tecnologiche, politiche e sociali che il cinema di
fantascienza riesce a creare sono puntualmente deluse dalla lentezza
del progresso? Di solito si ricomincia, spostando la fantasia un po' più
in là. Anche quando i tempi sembrano ormai compiuti – per esempio,
quelli del fecondo rapporto tra la fantascienza e il grande schermo –
un nuovo inizio è in agguato dietro l'angolo. Il genere fantascientifico
non è morto nemmeno con l'ineguagliabile Roy Batty, nemmeno con
le sue amare parole. Certo, l'epoca dei remake lo ha fatto pensare
più di una volta. La fine della fantascienza era attesa, così come,
nell'ultimo decennio del secolo, sono state profetizzate la fine della
storia30 e la fine della scienza31 e perfino la fine della politica, cioè di
tutti quegli ambiti che, fin dagli esordi, ne hanno costituito la materia
prima. Ma, come è oggi evidente, tutto ciò che sembrava esaurito,
terminato, morto non lo era affatto: le teorie scientifiche, i sistemi
politici, la storia universale, le civiltà continuano a esistere, a
incontrarsi, soprattutto a generare conflitti. Per un po', almeno, è
probabile che lo schermo del cinematografo e i suoi spettatori
insisteranno per farli vivere ancora.
30
Il concetto di fine della storia è il titolo di un celebre saggio di Francis Fukuyama del
1992, The End of History and the last man, pubblicato in italiano come La fine della
storia e l'ultimo uomo. Il testo di Fukuyama trattava la fine della storia universale
dopo il suo culmine nel capitalismo da una parte e nel liberalismo democratico
dall'altra.
31
John Horgan, La fine della scienza, è pubblicato in lingua italiana dal 1998.
39
Collisione
distanza dalla Terra: 69 milioni di anni luce
41
La scienza nuova (1902-1949)
«"Pericolosa"? Povero professore... Lei non
ha mai desiderato fare qualcosa di
"pericoloso"? Dove saremmo, se nessuno
cercasse di scoprire cosa c'è al di là? Non
ha mai desiderato di guardare oltre le
nuvole, le stelle o di scoprire che cosa fa
fiorire gli alberi? E cosa trasforma in luce
l'oscurità? Ma se uno parla così, la gente
dice che è un pazzo».
(Victor Frankenstein in Frankenstein, di
James Whale, 1931)
I quadri generali.
Non è fantascienza, ma le somiglia. Un negozietto polveroso che
vende giocattoli, nascosto in un angolo buio della vecchia gare de
Montparnasse. Sul bancone, un topolino meccanico che si muove
come un automa32. A pochi metri da lì, un treno che per errore non
ferma, schizza fuori dai binari, prosegue la sua corsa oltre la
banchina distruggendo e travolgendo merci e arredi: poi sfonda il
muro di facciata dell'edificio e inizia a volare, cadendo dieci metri più
in basso, sulle rotaie del tram 33. Fuori dalle vetrate, oltre il sottotetto,
vedute aeree quasi spaziali riprendono una Parigi che non esiste più,
in cui le case art nouveau luccicano nuove di zecca e la neve cade a
terra ancora pulita. Dentro, nelle soffitte di Montparnasse, enormi
lancette che ruotano incessantemente, corone che ingranano con i
pignoni, gabbie metalliche che girano, mentre ruote dorate scappano
una dopo l'altra, generando meccanismi a catena. Toc, toc, toc,
scandisce l'impianto sonoro in sala. La macchina del tempo corre.
Sono i giganteschi, implacabili orologi di una stazione degli anni
32
Il regista Martin Scorsese ha chiesto a Rob Legato, creatore di effetti speciali, di
rendere nel movimento del topo meccanico (e degli altri ordigni, i giocattoli e
l'automa) l'effetto "a scatti" del procedimento di animazione noto come stop-motion.
33
È la copia di un famoso incidente avvenuto in quella stessa stazione nel 1895, di cui
resta un'eccezionale fotografia, con i vagoni incastrati nel finestrone infranto e la
locomotiva con il muso a terra. La scena è riprodotta perfettamente nel film.
43
trenta del Novecento. Tra loro, figlio della stessa meccanica, un vero
robot luccicante.
Trucchi, trucchi, trucchi. Oggi si chiamano effetti speciali, o visivi
(visual). Per il film Hugo Cabret (2012)34 diretto dal regista americano
Martin Scorsese, li ha creati Robert Legato, che non è solo un
artigiano o un esecutore materiale, ma un vero inventore di
espedienti filmici: lo ha già dimostrato nell'impresa impossibile di
Avatar35. Risucchiato dal 3D più nitido e sorprendente che si sia mai
visto – una trovata di Legato – lo spettatore s'immerge nell'inganno
di quelle riprese sorprendenti e di quelle sontuose scenografie (in
buona parte frutto della postproduzione) e ne diventa complice. Tutti
i trucchi sono permessi, perché il film di Scorsese è proprio la loro
storia. È la storia, cioè, dell'inventore degli effetti speciali, l'ex
cineasta George Méliès, e del suo piccolo salvatore Hugo, che lo
riscatta dall'oblio e gli permette di recuperare la dignità e le vecchie
pellicole. Il secondo è un personaggio nato dalla penna di uno
scrittore per ragazzi36: il primo fu colui che, centodieci anni fa,
inventò la fantascienza al cinema.
È quasi tutto vero ciò che nel film di Scorsese si racconta su George
Méliès. Illusionista, prestigiatore e genio del varietà 37, negli ultimi
anni dell'Ottocento Méliès vede nel cinema, appena diffuso a Parigi
dai fratelli Lumière, uno strumento più flessibile del teatro, in cui
migliori sono i trucchi – gli effetti speciali, appunto – più efficace
diventa la magia che il pubblico richiede. Il montaggio, in particolare,
gli permette di creare situazioni e azioni irreali e surreali. Per
raccontare una storia la cinepresa non è costretta a riprenderne lo
34
Alla premiazione dei Golden Globe (gennaio 2012), al film Hugo Cabret (di Martin
Scorsese, USA 2012) è assegnato il premio per la miglior regia. Ai Premi Oscar 2012 si
aggiudica cinque statuette su undici nomination (fotografia, scenografia, effetti
speciali, sonoro, montaggio sonoro).
35
Realizzato in 3D con un misto di filmato e animazione, Avatar è il film di James
Cameron campione di incassi del 2009.
36
Il film Hugo Cabret è tratto dal romanzo illustrato per ragazzi La straordinaria
invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, che racconta la storia di un orfano che
vive nella stazione dei treni di Montparnasse a Parigi, facendo la manutenzione degli
orologi.
37
Egli dirige a Parigi il Teatro Robert-Houdin (già di Jean Eugène Robert-Houdin), con
spettacoli di magia, proiezioni di lanterna magica e del kinetoscopio di Thomas
Edison. Presente alla prima del 28 dicembre 1895, s'innamora dell'invenzione dei
fratelli Lumière. Cerca di farsi vendere dai due un apparecchio, ma al loro rifiuto se lo
fa costruire dal suo ingegnere di fiducia e lo impiega a modo suo.
44
svolgimento dall'inizio alla fine: la pellicola permette di compiere salti
spaziali e temporali che l'occhio dello spettatore comprende
naturalmente, senza le difficoltà del cambio scena che il palcoscenico
teatrale comporta. Se questa innovazione avvantaggia tutta la
narrazione cinematografica, non è forse ancor più utile per quegli
spettacoli che raccontano di mondi lontanissimi, di creature
meravigliose e invenzioni mirabolanti? Dopo aver sperimentato per
qualche anno l'invenzione dei Lumière, a Méliès viene l'idea di
cimentarsi con il futuro possibile. Il parere degli storici è unanime: i
suoi film Viaggio sulla luna (Le voyage dans la lune, anche tradotto
Viaggio nella luna, 1902) e Viaggio attraverso l'impossibile (Le
Voyage à travers l'impossible, 1904) rappresentano gli esordi del
cinema di fantascienza.
Sono esordi all'insegna del comico. A dirla tutta, uno spettatore del
XXI secolo potrebbe trovare questi cortometraggi (lunghi una
quindicina di minuti, ma ancora non si chiamano "corti") poco più che
un insieme di buffi, frenetici e spesso sconclusionati "quadri viventi".
Eppure, dietro a una sceneggiatura farsesca, in stile vaudeville, e
molti numeri da cabaret, si può leggere una tradizione recente ma già
grande, quella della letteratura fantastica continentale.
È chiamata in causa una gloria francese, lo scrittore Jules Gabriel
Verne, apprezzato da adulti e ragazzi in tutto il mondo. Verne, da
molti considerato il primo scrittore di fantascienza, agli inizi del
Novecento ha ormai alle spalle una lunga, prolifica carriera, nel corso
della quale ha dimostrato capacità quasi profetiche nel guardare al
progresso scientifico. La sua fantasia ha immaginato sviluppi possibili
per invenzioni tecnologiche che, nella maggior parte dei casi, ancora
riposavano in forma di brevetto o nella testa dei loro inventori: il
sottomarino e la navicella spaziale ne sono gli esempi più famosi. Egli
sa «estrapolare» una tendenza del presente fino a proiettarla nel
futuro: è ciò che, si dirà, fanno i veri autori di fantascienza. È ciò che
fa anche il grande concorrente di Verne: l'inglese Herbert George
Wells. Non è seriamente un antagonista: ha una maniera diversa di
scrivere libri che parlano di progresso scientifico. È più giovane del
collega francese di una generazione ma, agli inizi del secolo, è già da
un pezzo nel Gotha dei lettori d'avventure. Pur essendo uno
scienziato di formazione, è uno scrittore meno tecnico di Verne: gli
interessa il messaggio più delle spiegazioni scientifiche complesse,
dell'armonia narrativa o di una trama mozzafiato. I suoi libri hanno
spesso un'impronta pedagogica, di critica sociale.
45
Figli di un'era in fermento, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, Verne e
Wells rappresentano i due volti di una letteratura in bilico tra realtà
scientifica e avventura, che ispira il cinema di fantascienza degli
esordi, ma che non mancherà di estendere la propria influenza
ancora per lunghi decenni38. Essi interpretano, a dire il vero, due
modi di intendere il rapporto tra la scienza e le altre dimensioni
dell'esistenza umana: da una parte, lo spazio e il tempo; dall'altra, la
natura, l'individuo, la società. I romanzi di Verne (anche grazie
all'intervento dell'editore Pierre-Jules Hetzel) evocano di continuo la
fede nel progresso; Wells registra i primi sintomi della crisi di quella
stessa fede. Non è strano: aldilà dell'appartenenza politica – l'inglese
è socialista – tra di loro ci sono ben trent'anni.
Da Verne deriva la componente ottimistica del cinema di
fantascienza. Egli muore nel 1905, portando con sé l'immagine di
38
I più famosi film di fantascienza (o pseudo-fantastici) tratti da Verne sono: Viaggio
nella Luna (Le voyage dans la Lune, di Georges Méliès, Francia 1902); Viaggio
attraverso l'impossibile (Le voyage à travers l'impossible, di Georges Méliès, Francia
1904), con sceneggiatura tratta da Jules Verne; Ventimila leghe sotto i mari (20,000
lieues sous les mers, di Georges Méliès, Francia 1907); Viaggio nella Luna (A Trip to
the Moon, di Georges Méliès e Vincent Whitman, USA 1914), remake dell’omonimo
film del 1902; Ventimila leghe sotto i mari (20,000 Leagues under the Sea, di Stuart
Paton, USA 1916). E ancora, più avanti: 20.000 leghe sotto i mari (20,000 Leagues
under the Sea, di Richard Fleischer, USA 1954); La diabolica invenzione (Vynález
zkázyìì, di Karel Zeman, Cecoslovacchia 1958); Viaggio al centro della Terra (Journey
to the Center of the Earth, di Henry Levin, USA 1959); Sulla cometa (Na kometě, di
Karel Zeman, Cecoslovacchia 1970), ispirato al romanzo Hector Servadac. E ancora
Viaggio al centro della Terra 3D (Journey to the center of the earth, di Eric Brevig,
USA 2008) e molti altri film meno famosi di questi.
I film più famosi tratti o ispirati da Wells sono: Viaggio nella Luna (v. sopra); The First
Men in the Moon (di Bruce Gordon e J.L.V. Leigh, Gran Bretagna 1919); L'isola delle
anime perdute (Island of Lost Souls, di Erle C. Kenton, USA 1932); L'uomo invisibile
(The Invisible Man, di James Whale, USA 1933); L'uomo dei miracoli (The Man Who
Could Work Miracles, di Lothar Mendes, USA 1936); La vita futura (Things to Come, di
William Cameron Menzies, Gran Bretagna 1936); La guerra dei mondi (The War of
the Worlds, di Byron Haskin, USA 1953); L'uomo che visse nel futuro (The Time
Machine, di George Pal, Gran Bretagna, USA 1960); Base Luna chiama Terra (First
Men in the Moon, di Nathan Juran, Gran Bretagna 1964); L'isola del dottor Moreau
(The Island of Dr. Moreau, di Don Taylor, USA 1977); L'isola perduta (The Island of Dr.
Moreau, di John Frankenheimer, USA 1996); The time machine (di Simon Wells, USA
2002); La guerra dei mondi (War of the Worlds, di Steven Spielberg, USA 2005). Altri
film si ispirano ai suoi romanzi come L'uomo venuto dall'impossibile (Time after Time,
di Nicholas Meyer, USA 1979), ma hanno un soggetto originale.
46
un'epoca dorata, in cui la scienza ha fatto pieno sfoggio del suo
potere salvifico, della magia buona. La Belle Époque, pur nelle
notevoli contraddizioni, ha accompagnato l'ultima parte della sua vita.
Nel giro di pochi decenni, al termine della guerra franco-prussiana, la
sensazione di vivere nel futuro – in un bel futuro, di pace e prosperità
– coinvolge una parte sempre crescente della società: è amplificata
dal progresso tecnologico, dall'espansione dell'industria e del
commercio, che a cavallo del secolo quasi raddoppiano. La rete
ferroviaria mondiale arriva a coprire, prima della guerra, un milione di
chilometri. L'illuminazione elettrica, la radio, il fonografo, oltre
naturalmente all'aeroplano, alle prime carrozze a motore; la
pastorizzazione, il vaccino per la tubercolosi, la lotta sistematica alle
grandi epidemie e, dunque, la ripresa demografica. L'America e
l'Europa, quasi simultaneamente, si danno al cinema. Il divertimento,
l'intrattenimento e la vita notturna iniziano a cambiare i costumi degli
europei. Seducono, soprattutto, il cosiddetto demi-monde, quello
degli artisti, degli intellettuali e dei gaudenti che si entusiasmano per i
balli sfrenati e per le nuove danseuses, che mostrano le calze e i
mutandoni.
Uno di loro è proprio Méliès. Nessuno crede come lui nella nuova
invenzione, il cinema, per rivoluzionare lo spettacolo. Nessuno crede
come lui nel potere delle ballerine – quelle dello Châtelet, nella
fattispecie – per stupire e far ridere, anche quando si tratta di un
viaggio sulla luna. La sua idea di divertimento nasce dall'incontro
della tradizione con l'innovazione. Ma, insieme con i fasti della Belle
Époque, il suo mondo è destinato a spegnersi tragicamente. Il grande
George Méliès va in rovina. Pieno di frustrazione e amarezza, mentre
i suoi film e soprattutto il Voyage dans la lune guadagnano fama in
tutto il mondo, egli è costretto a chiudere gli studi e la casa di
produzione da lui fondata, la Star Film, a causa dei debiti. Non ha
pensato – povero genio sprovveduto – a riscuotere i diritti d'autore
per le proiezioni: le copie vengono vendute singolarmente, per pochi
soldi, mentre gli attori, le danzatrici e le imponenti scenografie ne
richiedono tanti.
La Grande Guerra pone fine a molti sogni, tra i quali quello di Méliès
è solo uno dei più celebri. In effetti, fino agli anni venti il cinema di
fantascienza europeo e americano non consegna ai posteri grandi
capolavori: in senso letterale, perché molti di quei film, forse
eccezionali, sono andati perduti. L'Europa del nord, soprattutto il
mondo anglosassone, sembra voler accogliere la sfida che arriva dalla
Francia. Abbiamo una fine del mondo in versione danese, Verdens
47
Undergang, diretta da August Blom nel 1916, mentre Himmelskibet è
un viaggio su Marte datato 1918, girato dal danese Holger-Madsen.
Sappiamo che nel 1919 in Inghilterra viene proiettato un altro viaggio
sulla luna: The First Men in the Moon, ancora una volta basato sul
romanzo omonimo di Herbert G. Wells. Ci sono film tratti da Verne,
come Ventimila leghe sotto i mari; una serie inglese di fantaaeronautica (con tante bombe, immaginate in tempi non sospetti, nel
1909-1911); perfino due fantahorror con i primi scienziati pazzi e le
loro creature, Homunculus di Otto Rippert (1916) e Alraune (in ben
due versioni, entrambe austroungariche, del 1918 39). Nessun mostro,
però, può competere con il Frankenstein distribuito da Thomas
Edison già nel 1910: la tenerezza che la sua figura contorta e
scarmigliata ispira allo spettatore del XXI secolo è probabilmente
proporzionale alla pena che dovevano provare i contemporanei per la
sua triste vicenda40.
Salta subito agli occhi un dato per certi versi eccezionale: a questi
primi saggi non manca il coraggio di sperimentare molti dei temi che
saranno tipici del cinema di fantascienza successivo. Il viaggio verso
mondi lontani; la creatura mostruosa; la scienza buona e malvagia
(nei suoi intenti e nelle sue conseguenze); la vita nel futuro e perfino,
sebbene marginalmente, la catastrofe: negli anni dieci, almeno in
potenza, questo genere già possiede un arsenale straordinario, se
non completo. Del pubblico, invece, si può dire ben poco.
Soprattutto, non è dato sapere che cosa davvero – se brivido,
apprensione, orrore – queste pellicole suscitassero negli spettatori.
Oggi siamo portati a immaginare mute sequenze di figure che si
muovono a scatti, perse in un silenzio assordante, scandite dallo
sferragliare ritmico di un proiettore, ma la verità è ben diversa. La
proiezione è una situazione caotica, che si anima di mille musiche e
rumori. Le persone entrano alla spicciolata a farsi proporre, come a
una fiera, il progresso e l'avvenire o le loro tragiche conseguenze. Gli
imbonitori e i musicisti di sala diventano, di colpo, mercanti, agenti,
avvocati e giudici di quello stesso futuro: dei mostri, degli scienziati
39
A queste due versioni del film Alraune ne seguiranno altre tre, del 1928 e del 1930
(Repubblica di Weimar) e del 1952 (Germania Est).
40
Il primo Frankenstein (v. nota 26) è un cortometraggio del 1910 prodotto dalla
Edison Studios, scritto e diretto da J. Searle Dawley, con Augustus Phillips, Charles
Ogle e Mary Fuller. Girato in tre giorni, negli studi della Edison nel Bronx, a New York,
è stato creduto perduto più o meno fino agli anni settanta. Thomas Edison ne figura
talvolta come il regista: in realtà non dirige mai i film da lui prodotti.
48
pazzi, di avveniristici bombardamenti e dei razzi che, con la flemma di
un tramvai, scaricano passeggeri dalla terra alla luna.
Il viaggio.
Non è un accoglienza amichevole quella che la luna sembra
promettere ai suoi primi visitatori terrestri, quelli che viaggiano sulla
navicella spaziale ideata da George Méliès. Il faccione lunare – in
realtà quello dell'attore Victor André – è infuriato perché l'astronave
l'ha colpito proprio in un occhio. Il montaggio e i primi trucchi41
consentono al regista – senza dubbio al culmine del divertimento – la
metamorfosi dalla luna alla faccia umana. Il risultato è una delle più
belle e più famose immagini della storia del cinema, datata 1902,
anno in cui esce per la Star Film il Viaggio nella Luna (Le voyage
dans la Lune).
Il razzo vettore è, come in Verne, un proiettile sparato da un cannone
lunghissimo, che lo manda dritto nell'occhio del costernato satellite. A
bordo di questo buffo veicolo, un gruppo di astronomi compie il
primo allunaggio di cui siano giunte le immagini ai posteri. Nessun
problema a respirare: siamo ancora lontani dai caschi spaziali. Il
repertorio delle stranezze è però notevole: stelle in forma umana
scorrazzano nella volta celeste; ovunque fumano crateri, si
materializzano funghi giganti (che fumano anche loro) e meraviglie
d'ogni tipo. Gli astronomi sembrano vagamente perplessi, ma
l'atmosfera lunare è tutt'altro che pesante: diventa tale solo quando i
Seleniti li catturano e li trascinano davanti al proprio re. Costui ha le
chele e non sembra intimidito di fronte agli scienziati: lo choc
culturale secondo Méliès. La fuga e il ritorno alla terra dei nostri eroi
precedono non uno dei primi premi Nobel – per la fisica, visto che la
navicella si lascia cadere dalla luna sulla terra sfidando la gravità –
ma una gloriosa, quasi nostalgica, incoronazione.
È la scienza che trionfa, sì, ma nella sua versione caricaturale. Gli
scienziati sembrano di gran lunga più svampiti (e meno professionali)
delle ballerine. Il Viaggio non vuole essere, forse, una feroce critica
alla mentalità positivistica, ma tradisce una vena sarcastica. In realtà,
41
La scena è la prima conosciuta a mostrare un trucco di tipo cinematografico e non
di tipo teatrale: prima la luna s'ingrandisce nella cornice delle nuvole grazie a una
doppia esposizione con "carrello" nella parte interna, poi, grazie al montaggio,
diventa una faccia. Quando è ormai in primo piano, la navicella le si conficca nell'
occhio.
49
la pellicola fa davvero ridere: spopola anche in America, piratata e
distribuita da Thomas Edison42. I due autori ai quali il film si ispira –
Jules Verne (Dalla terra alla luna, 1865) e Wells (I primi uomini sulla
Luna, 1901) – hanno creato situazioni grottesche, ma non volevano
certo raggiungere risultati comici. Per George Méliès, il grande
intrattenitore del teatro Robert-Houdin, suscitare il riso è, invece, una
questione di abitudine professionale. In più, crede che una storia, per
quanto interessante, debba venire allietata da acrobati e da qualche
figuretta femminile, tra cui le immancabili danzatrici, pronte a
celebrare il trionfo della scienza con le loro arti seduttive.
Pressoché identico – nella struttura e negli intenti – è il secondo
grande film di fantascienza di Méliès, Viaggio attraverso
l'impossibile (Le voyage à travers l'impossible, 1904). In esso la
presa in giro dello scienziato-tipo e delle istituzioni scientifiche è
ancora più evidente. L'Istituto di «Geografia Incoerente» progetta un
nuovo viaggio straordinario affidandosi a uno scienziato pazzo
(l'ingegner Mabouluff nella versione francese o Craziloff, in inglese)
che ha inventato un mezzo di trasporto fantastico, sintesi di tutti i
mezzi di locomozione conosciuti. Come in una frenetica rassegna,
danzante e piroettante, sfilano le ambientazioni, le macchine e le
trovate geniali dei migliori libri di Verne e Wells: automobili che si
riducono, un treno tra le stelle trascinato da mongolfiere, un
sottomarino, un viaggio spaziale.
In Jeanne d'Arcy, che diventerà più tardi sua moglie, Méliès trova la
sua musa ispiratrice, la sua primadonna: la prima, per la verità, che il
neonato cinema abbia mai avuto. Ma né lei, né le ballerine dello
Châtelet o delle Folies-Bergère hanno un ruolo rilevante nella
fantascienza degli esordi. Lo scienziato è uomo, il Selenita è uomo,
dal guerriero al re: maschio, a dispetto del nome, perfino la lune. Il
cinema successivo, tuttavia, cambierà segno rapidamente, o per
meglio dire, cambierà sesso.
Non c'è dubbio: negli anni venti e trenta per i cineasti del genere
fantascientifico, l'avventura è donna, e altrettanto lo è la scoperta
che segue il viaggio. Forse è la concessione, un po' tardiva, a quel
gusto per l'esotismo, «dans le temps et dans l'espace», che muove i
registi verso i soggetti che raccontano storie di donne in paesi
42
È il primo caso di furto di diritto d'autore. Edison se ne procura una copia
corrompendo un operatore in un cinema francese e lo fa proiettare in America senza
corrispondere un soldo a Méliès.
50
lontani. In un mondo ancora dominato dai maschi della specie,
l'universo femminile è il primo grado (o forse l'ultimo) della diversità.
La donna è l'altra faccia del mondo, un pianeta inarrivabile, un
mistero incessante, così nella sua parte angelica come in quella
diabolica. È ormai più strana degli indigeni, dei selvaggi e dei
cannibali: ora, poi, che la moda coloniale ha già detto tutto ed è
venuta a noia anche in quegli Stati europei che hanno iniziato dopo
gli altri la corsa verso «un posto al sole». O forse, nell'epoca del
razzismo, della xenofobia e dell'antisemitismo, si rivaluta l'estraneità
del gentil sesso. O ancora, più semplicemente, i registi di
fantascienza realizzano in men che non si dica quello che già i
romanzieri dell'Ottocento avevano intuito: anche in una storia
avventurosa, una presenza femminile, magari protagonista di un
amore, rende la trama più allettante. Né Wells, né soprattutto Verne
avevano avuto sempre il coraggio di violare questa legge ferrea della
narrativa contemporanea.
Qui non si tratta, però, di uno specchietto per le allodole. Negli anni
quaranta, una bella ragazza (terrestre o extraterrestre) che indossi
un succinto costume spaziale sarà la migliore pubblicità per riviste
destinate a un pubblico di adolescenti e giovani maschi. Ma i film che
vengono girati tra le due guerre non immaginano le loro protagoniste
come un'esca per gli appetiti di spettatori di sesso maschile, frustrati
dall'inflazione o dalla crisi economica. Forse sono i due film dedicati
ad Alraune nel 191843 a ispirare un modello femminile di incredibile
forza suggestiva. Alraune nasce dall'esperimento genetico di uno
scienziato folle e da una radice di Mandragola e cresce irresistibile e
sfrenata per natura: un soggetto che fa impallidire senza difficoltà la
Lola Lola dell'Angelo Azzurro 44. Sulla sua scia nasce la giovane regina
Antinea, seduttrice e predatrice di esploratori: dal 1921 alla fine degli
anni quaranta vengono prodotte ben tre versioni cinematografiche di
Atlantide, il mediocre romanzo di Pierre Benoît (1919): nel 1921
L'Atlantide di Jacques Feyder; nel 1932 L'Atlantide (Die Herrin von
Atlantis) del grande regista austriaco Georg W. Pabst; nel 1948, ben
più convenzionale, L'Atlantide (Siren of Atlantis) di Gregg C. Tallas.
L'Unione Sovietica risponde, nel 1924, con il personaggio di Aelita del
43
Uno di Michael Curtiz, ungherese; l'altro tedesco, di Eugen Illés e Joseph Klein.
L'angelo azzurro (Der Blaue Engel, di Josef von Sternberg, Germania 1930) ,tratto
da un romanzo di Heinrich Mann, racconta la tragica storia del professore tedesco
Rat, insegnante in un ginnasio di provincia, che perde la testa per una disinibita
cantante di varietà, impersonata da Marlene Dietrich, che lo irretisce e poi lo rovina.
44
51
regista Jakov Aleksandrovič Protazanov, tratto dal romanzo di Aleksej
Nikolaevič Tolstoj, che è considerato il primo kolossal sovietico di
fantascienza45. Può darsi che qui prevalga la propaganda: l'idea
dell'esotismo femminile, però, è la stessa. L'Antinea di Pabst,
interpretata dall'algida Brigitte Helm (Maria in Metropolis), e l'Aelita di
Protazanov sono bellissime, nondimeno sono due mantidi dell'altrove:
sembrano un monito contro il progresso o, addirittura, contro la fuga
verso mondi lontani. In piena crisi economica, a un passo dal crollo di
Weimar e subito dopo la morte di Lenin, le due creature non
esprimono tanto la seduzione della donna-archetipo, quanto la paura
per il diverso, per ciò che sta per arrivare a grandi passi.
Ben altro sentimento ispira, tra i film dedicati al viaggio, Una donna
nella Luna (Frau im Mond) del geniale Fritz Lang, uscito nelle sale nel
1928, l'anno dopo Metropolis. La donna in questione è l'assistente di
un impresario: insieme con un eccentrico scienziato, i due partono
alla ricerca di miniere d'oro sulla luna. Friede Velten, interpretata da
Gerda Maurus, non ha nulla delle regine dei mondi lontani: è seria,
ma tenera. La sua posa concentrata mentre, vestita in giacca,
cravatta e calzoni alla zuava, riprende il paesaggio lunare è uno dei
fotogrammi che hanno fatto la storia del cinema. Ciò nondimeno, è
un'immagine che non ha nulla dell'Eterno Femminino: la sua
femminilità è funzionale alla storia d'amore che interpreta.
Non a caso, Una donna nella Luna è stato considerato il prototipo del
melodramma spaziale46. La pellicola contiene di tutto: razzi a perfetta
imitazione degli originali, fabbricati con la consulenza di celebri
"missilisti"; il primo conto alla rovescia, ideato da Lang per
accentuare la suspence; crateri di sabbia creati in studio. Ma anche
tutti gli ingredienti di un romanzo d'appendice: antagonismi, rivalità,
sfide, scazzottate, eroismi dell'ultimo minuto, un amore lunare. E una
notizia: sulla luna si respira benone. Bisognerà attendere il 1936 per
trovare tutto questo in un film solo, e in un solo pianeta: sarà il Flash
45
Nel 1924 la casa cinematografica Mezrabpom decide di produrre film tratti dai
classici e sceglie per il romanzo di Tolstoj il regista Jakov Protazanov (1881-1945),
tornato dalla Francia dove era emigrato nel 1920. Il film viene considerato
propagandistico e la sua diffusione limitata.
46
Il soggetto del film è tratto dall'omonimo romanzo della moglie di Lang, la scrittrice
e sceneggiatrice Thea von Harbou. I consulenti per la costruzione di razzi sono i
celebri Hermann Oberth e Willy Ley, impiegati nel cinema successivo. Fritz Lang
racconta in seguito a Willy Ley di avere inventato proprio in questo film, per
accrescere la suspence della partenza del razzo, il «conto alla rovescia».
52
Gordon di Frederick Stephani47, una pellicola tratta dal fumetto di
Alex Raymond, a ricordare al pubblico che la fantascienza può anche
essere divertimento puro.
Lo scienziato pazzo.
L'amore per l'evasione non è finito con la Belle Époque, né la Grande
Guerra riesce a uccidere le nuove forme di divertimento. Tra i due
conflitti, la gente inizia ad apprezzare la visione del futuro al cinema,
anche quando fa paura; forse perché il futuro vero, quello che
attende fuori dalle sale, ne fa molta di più. I cineasti se ne
accorgono, iniziano a considerare le potenzialità del genere come
forma di intrattenimento, ma non solo. Alcuni grandi registi – il
boemo Georg W. Pabst, il tedesco Fritz Lang, il francese René Clair –
guardano alla fantascienza con occhi nuovi: quelli di chi sa che può
riempire di sostanza una forma che si sta rivelando estremamente
duttile; ma anche di chi sa che la fantascienza sfida l'inventiva degli
operatori e stimola la qualità delle immagini.
Il genere suscita un certo tipo di riflessione, che in anni di ferro e
fuoco non può che riguardare il rapporto tra la scienza, l'individuo e
la società. Il progresso scientifico è solo uno dei tantissimi elementi
che contribuiscono a minare le certezze delle persone comuni. Si
direbbe, anzi, che non è certo il più importante. La maggior parte
della gente ignora quello che sta accadendo alla fisica, alla chimica,
alla genetica, alla matematica, all'astronomia, alla medicina.
L'insicurezza non nasce dal pensiero filosofico o dal dibattito
scientifico. Bastano guerre, disoccupazione, miseria, le ultime
epidemie; e poi razzismo, deportazioni, persecuzioni politiche e stragi
di civili. Nel giro di tre decenni l'Europa compie una drammatica
traversata e dalla Belle Époque approda ai totalitarismi, poi alla
guerra civile; l'America passa dall'ebbrezza del fordismo nelle braccia
funeste di una lunghissima crisi economica e poi, direttamente, alla
paura della bomba atomica.
Però la scienza esiste e mai come ora si rifiuta di rimanere confinata
alla cultura alta. Nella vita di tutti i giorni le scoperte scientifiche
vengono tradotte, grazie a uno sviluppo senza precedenti della
47
Flash Gordon (Spaceship to the Unknown, di Frederick Stephani, USA 1936) è un
film di 97 minuti, ma è un condensato dei 13 episodi di 245 minuti del serial
cinematografico Flash Gordon dello stesso anno. Vede l'atletico Buster Crabbe nel
ruolo di Gordon.
53
tecnologia, in invenzioni che migliorano la vita o provocano eccidi di
massa: spesso non c'è soluzione di continuità tra le conseguenze
positive e quelle funeste di un'innovazione.
E poi, per quanto sembri strano, ciò che accade al mondo scientifico
diventa occasione di angoscia per parti sempre più consistenti della
popolazione. Un processo rivoluzionario è stato innescato dai primi
anni del Novecento: entra in crisi quell’ideale di scienza nato nel XVII
secolo. Max Planck è il primo, nel Novecento, a problematizzare la
fiducia nella ragione, che è non solo un dogma dell’illuminismo e del
positivismo ma, più in generale, la base del pensiero occidentale e dei
suoi miti di progresso. La teoria degli insiemi e la crisi dei fondamenti
in matematica; i raggi X e la radioattività; i quanti e il modello
dell'atomo: le teorie e le scoperte si susseguono in pochi anni a ritmo
incalzante. Albert Einstein, con la relatività “speciale” (1905) e
“generale” (1916), stabilisce che spazio, tempo e velocità non sono
principi assoluti, ma relativi al sistema di riferimento. Dopo il 1927
altri fisici, Bohr, Heisenberg, Pauli e Born, parlano di un mondo
(quello dei fenomeni atomici) che nega la realtà causale e spaziotemporale. Sembra un dibattito tra tecnici: in realtà il «principio di
indeterminazione di Heisenberg» non mette in crisi solo la meccanica
quantistica e la relatività, ma un intero modo di pensare. Gli scienziati
vengono risucchiati dalla politica, qualche volta costretti a tacere,
qualche volta impiegati per contribuire a scopi di morte e distruzione.
È la prima volta nella storia che fanno paura. Quello che dicono fa
paura. Quello che possono fare, soprattutto, fa paura.
La letteratura di fantascienza si appropria rapidamente di queste
meraviglie. Accade, però, uno strano fenomeno, che in men che non
si dica si trasferisce dalla carta stampata allo schermo
cinematografico. Dal momento, cioè, che gli uomini di scienza hanno
incominciato a realizzare che le categorie scientifiche non possono
spiegare tutto quello che accade nell’universo, né possono spiegare
tutto riguardo all’uomo, vengono in primo piano gli aspetti irrazionali
e le pulsioni della natura umana. Il cinema fantascientifico si
appassiona non solo e non tanto a ciò a che è spirituale, interiore,
soggettivo, quanto alla cara, vecchia componente magica, quella
ingovernabile, tipica dell'apprendista stregone. In questi decenni,
mentre nei laboratori e nella società si aprono tutti i possibili vasi di
Pandora, il genere trova nello scienziato pazzo una sorta di capro
espiatorio, di spiegazione universale a tutti i disastri possibili. È una
moda che non tramonterà.
54
Nel 1924 Paris qui dort, del grande René Clair, è una città
addormentata da un criminale, che accidentalmente è anche un
uomo di scienza. Suo complice è un raggio che lascia la città nel
sonno e nel silenzio, per favorire il gioioso saccheggio dei pochi
rimasti svegli48. Più tragica, senza dubbio, l'opera di due autori di
esperimenti fallimentari, nati entrambi dalla penna feconda di Wells.
Il primo, diretto dell'americano Erle C. Kenton nel 1932, è il dottor
Moreau49 – qui impersonato da Charles Laughton – che ne L'isola
delle anime perdute (Island of Lost Souls) decide di dar vita a
un esperimento non di genetica, ma di vivisezione creativa. Grazie al
suo bisturi si mescolano, senza anestesia, uomini e bestie: a volte
con buoni risultati, come nel caso della sensuale Lota, la donna
pantera. Le creature, ovviamente, si ribellano al chirurgo-demiurgo e
lo fanno a pezzi con i suoi stessi strumenti. Il secondo, uscito nelle
sale nel 1933 è L'uomo invisibile (The Invisible Man, di James
Whale): un mad doctor americano che approfitta della sua invisibilità
in tutti i modi non consentiti dalla legge e dalla morale50.
Dopo questi saggi di grande cinema, per un decennio circa
l'esperimento folle diventa un mero pretesto per una bella avventura
e qualche brivido. Nel 1935 esce La città perduta (The lost city, di
Harry Revier) in cui lo scienziato è complice di un criminale, ma solo
perché ne è prigioniero. Perfino Flash Gordon sarà più inquietante di
questo fumetto cinematografico. E poca stima riscuote anche il dottor
Thorkel, creato nel 1940 dalla regia di Ernest B. Schoedsack, che
rimpicciolisce le sue vittime per usarle come cavie: tanto che il film si
intitola Dr. Cyclops, perché lui sembra grande e feroce agli sventurati
48
Il film è una favola fantascientifica sulla libertà e sul senso di responsabilità. È
famoso anche per le meravigliose immagini riprese dalla Tour Eiffel.
49
L'isola del dottor Moreau (The Island of Dr. Moreau) è un romanzo di fantascienza
di Herbert George Wells, scritto nel 1895 e pubblicato nel 1896. Da questo libro sono
stati tratti: L'isola delle anime perdute (The Island of the Lost Souls, di Erle C. Kenton,
USA 1932); L'isola del dottor Moreau (The Island of Dr. Moreau, di Don Taylor, USA
1977); L'isola perduta (The Island of Dr. Moreau, di John Frankenheimer, USA 1996).
50
Tratto da un romanzo omonimo di Wells, il film è noto per gli eccezionali effetti
speciali di John P. Fulton, mago del visual e del trucco (con il supporto di John J.
Mescall e Frank D. Williams). L’invisibilità è realizzata in questo modo: l'attore
protagonista Claude Rains recita coperto interamente da una tuta di velluto nero su
uno sfondo anch'esso nero. Poi viene ripreso il set senza di lui, e infine le due riprese
sono combinate con il matte painting. Nel 2008 il film è stato scelto per essere
conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti:
ha ispirato almeno cinque tra remake e sequel.
55
eroi. Sembra un triste epilogo per i mad doctors. In fondo, violare le
leggi della natura è un lavoro duro, ma qualcuno deve pur farlo. Per
fortuna, a riscattare gli scienziati pazzi, restano i mostri.
I mostri.
Il primo prodotto dello scienziato pazzo, in ordine d'importanza, è
certamente il mostro. Mostro inteso in senso letterale, non come
creatura brutta e orrorifica, ma come cosa che suscita meraviglia, che
non si è mai vista in precedenza. Va da sé, però, che raramente i
laboratori degli scienziati pazzi sfornano grandi bellezze. Eppure, tra
gli anni venti e i trenta, il pubblico inizia ad amarli. Forse perché altri
mostri si avvicinano, ben più tremendi di quelli del grande schermo.
Dopo la depressione post bellica, che mette in ginocchio la Germania,
l'ascesa dei nazionalismi e il dilagare del razzismo investono tutta
Europa e si propagano oltre il continente. Nel 1933 il regista
espressionista Fritz Lang decide che mostri, scienziati pazzi e
catastrofi sono il vero futuro dell'ex repubblica di Weimar, ora
governata da Hitler, e decide di fuggire a Hollywood. Ma l'America
non è un'isola felice: da parte sua, sta trasmettendo al vecchio
continente gli effetti della più grande crisi economica che abbia
toccato il capitalismo fino a quel momento. Il mito del progresso
vacilla ancora. Il cinema di fantascienza registra nuovi orrori e li
traspone sullo schermo, che diventa una specie di inconscio
collettivo.
I mostri sono figli della scienza cattiva: ma per la gente comune,
tutta la scienza è cattiva, dal momento in cui diventa incomprensibile
e abbandona le sue certezze per mondi infinitamente piccoli o
instabili. Darwin e le prime scoperte della genetica, all'inizio del
secolo, autorizzano a pensare che la follia del dottor Moreau sia una
possibilità non così remota. In più, rimbalzano al cinema, con qualche
ritardo, le teorie di un ebreo viennese sull’interiorità umana. Freud
scopre che la psiche altro non è se non un terreno di scontro fra
forze avverse. Un altro colpo all’immagine rinascimentale dell’uomo,
visto come equilibrio e razionalità, che ora coltiva nell'anima pulsioni
oscure. Un altro punto per i mostri, che ormai un'incredibile
somiglianza rende indistinguibili dagli esseri umani. Non è un caso
che essi siano oggetto di una campagna di grande solidarietà da
parte dei registi.
56
La scienza è stupida o avventata o crudele: cavie, vittime e risultati
spesso non si distinguono. Essa è la fabbrica degli infelici. Il cinema,
invece, li riscatta, ridà loro la dignità perduta. Nei primi anni trenta si
affermano due creature che resteranno per sempre nel cuore degli
spettatori e nell'empireo della mostruosità. Nel 1931 nasce per la
regia impeccabile di James Whale il Frankenstein più famoso dopo
quello degli studi Edison. Il successo che riscuote induce il regista a
replicare nel 1935 con La moglie di Frankenstein: certamente per
renderlo ancora più infelice e degno di pietà51. Nel 1933 King Kong,
per la regia di Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, rapisce la
sua prima bionda, una disoccupata della Grande Depressione che si è
riciclata come attrice. La porta sull'Empire State Building, dove si fa
ammazzare dalla solita aviazione statunitense. Conosciamo la storia.
Più interessante è che l'interprete della nobiltà dei suoi sentimenti sia
per l'appunto un regista, Denham, che decreta: «È stata la bellezza
che ha sconfitto la Bestia».52
Questo atteggiamento di indulgenza permane almeno fino agli anni
cinquanta. Il cinema coccola i suoi mostri. Negli anni quaranta
spopolano una serie di film che si collocano a metà tra l'horror e la
fantascienza come Mostro pazzo (The mad monster, di Samuel
Neufeld, USA 1942) in cui la pazzia è contesa tra il dottor Cameron, i
nazisti che combatte e l'uomo lupo che crea in seguito a un
esperimento. Oppure come un filmaccio di George Sherman del 1944:
La donna e il mostro (o La signora e il mostro, riedizione de Il
cervello mostro, ovvero The Lady and the Monster) dove lo scriteriato
professor Mueller, interpretato però da uno splendido Eric von
Stroheim, mantiene in vita il cervello di un miliardario deceduto che,
forse perché abituato a comandare, assume con la telepatia il
controllo di chi gli sta intorno. Quasi sempre, dunque, sullo scienziato
51
Frankenstein è tratto dal capolavoro di Mary Shelley e dal suo adattamento
teatrale Frankenstein: an Adventure in the Macabre di Peggy Webling del 1927. Nel
1991 la pellicola è stata scelta per il National Film Registry della Biblioteca del
Congresso degli Stati Uniti. Jack Pierce, mago del trucco della casa di produzione e
distribuzione Universal Pictures, truccava ogni giorno il protagonista Boris Karloff per
quasi quattro ore: a lui si deve l'immagine più accreditata del mostro, compresi gli
elettrodi ai lati del cranio.
52
Nella realtà, la bestia è un pupazzo articolato alto cinquanta centimetri, ricoperto
di peli di coniglio, filmato, immagine per immagine, da Willis O'Brien e dalla sua
équipe, su modellini in plastica della giungla e di New York. In questa circostanza
vengono inventate tecniche che saranno poi utilizzate fino a quando verranno
soppiantate dagli effetti digitali negli anni '90.
57
ricade gran parte della colpa. La fiducia nella scienza, sullo schermo e
nella vita reale, declina progressivamente. Non perché essa sembri
lontana o inadeguata a risolvere i problemi della gente comune; bensì
perché la seconda guerra mondiale, più della prima, ha mostrato
come il progresso tecnologico e scientifico possano trasformarsi in
armi di distruzione di massa.
Scenari futuri.
Dagli anni venti in avanti spira innegabilmente un'aria di tragedia, che
travolge l'Europa e, piano piano, l'America. In entrambi i continenti (e
in parte dell'Asia) l'odore della crisi economica si mescola a quello
dell'odio e della repressione delle minoranze, religiose, etniche o
razziali. E la situazione volge rapidamente al peggioramento, alla
guerra. È stato chiamato «il secolo breve» ma, appena iniziato,
sembra già un incubo senza fine.
Molta più gente che in passato, in effetti, è informata dei
cambiamenti che stanno avvenendo. Il Novecento rappresenta
l'avvento della società di massa: l'affermarsi dei grandi partiti sulla
scena politica; lo sviluppo del movimento sindacale in occidente; i
media, l'informazione e la cultura che raggiungono la gente comune;
la diffusione dei consumi e della pubblicità su larga scala. Il cinema,
uno dei nuovi mezzi di comunicazione, registra questi cambiamenti.
La fantascienza sembra chiamata in causa più degli altri generi,
perché ad essa spetta il compito di rappresentare per lo schermo la
vita futura.
Nel 1931 il grande regista francese Abel Gance dirige la sua idea di
futuro: il titolo del film, il suo primo sonoro, è La fine del mondo (La
fin du monde, di Abel Gance). Uno scienziato scopre che una cometa
sta per distruggere la terra: quello scienziato, guarda caso, è proprio
Abel Gance, che si riserva una parte tristemente profetica per i
destini del genere umano. Molto meno funesto è il titolo del film
uscito nel 1936 per la regia dello statunitense William Cameron
Menzies: La vita futura (Things to come). Eppure qui le prospettive
sono anche peggiori: protagonista è la città di Everytown, che
assiste, in un intero secolo di guerra (1936-2036), alla completa
devastazione della civiltà e dello sviluppo umano. Famosa è la scena
dei cavalli che trascinano l'automobile, simbolo di un futuro
sciagurato, che ricaccia il progresso in un passato lontanissimo.
Dissipato il patrimonio di sapere ed energia del XX secolo, Everytown
58
sprofonda in un medioevo sociale, dove le risorse dei potenti sono
spese nel trovare i mezzi per un nuovo conflitto: infine gli aerei –
triste premonizione – bombardano le città e le riducono in macerie. Il
genio di Herbert G. Wells, da cui il film è tratto, ha previsto ancora
una volta un avvenire (la guerra aerea) che si realizza nel giro di
pochi anni53. Il domani sembra amaro, oltre che vicino.
Nel 1927 esce in Germania il capolavoro espressionista dell'austriaco
Fritz Lang, Metropolis, che, a quell'amarezza, aggiunge il frutto di
una riflessione politica. Il film, che ha ispirato pellicole quali Blade
Runner e Guerre stellari è riconosciuto come modello del cinema di
fantascienza successivo. La megalopoli del futuro è spietata,
incalzante, gerarchica: è costruita per livelli (i ricchi verso il cielo, i
miserabili nell'abisso), ruota intorno alle macchine industriali e il loro
ritmo non ha tregua. La geniale fotografia di Karl Freund; le
costruzioni tecnico-architettoniche ispirate a correnti diverse del
Novecento, europeo e americano; gli espedienti del teatro
d'avanguardia, le scale di Jesner e gli ascensori di Piscator. Cultura,
tecnica e ispirazione concorrono a creare la città avveniristica per
eccellenza, quella che plasma l’immaginario fantascientifico di tutto il
ventesimo secolo. In più, gli effetti speciali di Eugen Schüfftan
utilizzano modellini della metropoli in cui gli attori vengono collocati
grazie a un gioco di specchi (una tecnica detta «effetto Schüfftan»),
rendendo iperrealistiche le scene di massa e di distruzione. La
fantascienza sfodera ambizioni che, fino a quel momento, non aveva
mai dimostrato. Metropolis costa alla Repubblica di Weimar oltre
cinque milioni di marchi (un record), richiede migliaia di comparse e
più di un anno di lavorazione54.
In Metropolis c'è proprio tutto, anche il messaggio. La megalopoli
verticale è sintesi di tutte le possibili tensioni, sociali e individuali: ci
sono i proletari sfruttati, il capitalista cattivo, il leader carismatico
(un'insegnante, Maria), il traditore in cerca di vendetta, il figlio
53
Wells parla della guerra aerea nei suoi Anticipations (1901), The War in the Air
(1908) e The World Set Free (1914), dove spunta la bomba atomica. Si dice che alle
prime proiezioni il pubblico, a pochi anni dal secondo conflitto mondiale, deridesse il
film per il suo contenuto catastrofista.
54
Girato dal 22 maggio 1925 al 30 ottobre 1926, scritto da Lang a partire da un
romanzo della stessa Thea Von Harbou, il film si avvale di operatori prestigiosi: il
direttore della fotografia Karl Freund, considerato il vero autore delle scene più belle
della città, e il compositore Gottfried Huppertz, che scrive un’imponente colonna
sonora per orchestra per la versione originale.
59
pentito del padrone. Mentre disegna l'esatto contrario della città
ideale, Lang dimostra un'attenzione notevole al tema del riscatto
sociale delle classi povere. Peccato che a Metropolis la rivoluzione
scoppi per sbaglio, per un inganno degno di un feuilleton, ordito da
un cattivo – lo scienziato pazzo, ovviamente – e che tutto poi si
sistemi in un'improbabile pacificazione tra operai e padrone, secondo
una morale riformista e cristiana. Il film in effetti piace molto al
partito nazista, meno al resto del pubblico e alla critica. In effetti, è
un fumetto espressionista ingenuo e paternalistico, se ci si ferma alla
trama; zeppo, tra l'altro, di simboli fin troppo leggibili che richiamano
la Bibbia (la macchina-Moloch, la torre di Babele, il robot-Maria che
diventa Meretrice di Babilonia, l'Apocalissi dell'ultima parte). Non è un
film molto sottile, Metropolis, o che lusinghi l'intelligenza dello
spettatore. Ma non può non piacere: la sua sconvolgente bellezza –
di immagini, di scenografie, di ritmo narrativo – ha segnato la storia.
Il suo Maschinenmensch («uomo-macchina»), il robot femmina55 che
è la copia di Maria, è il prototipo di tutti i successivi androidi. E il
padroncino Freder che, scambiandosi con un operaio, per un turno di
dieci ore combatte con le gigantesche lancette di una «macchina
orologio», aggrappato, trascinato, quasi crocifisso, ci riporta fino a
Martin Scorsese, al suo bambino Hugo Cabret che in fuga dagli adulti
si appende all'enorme orologio di Montparnasse, restando sospeso su
Parigi. Altri tempi, altri trucchi, lo stesso amore per la cinepresa.
55
Nel romanzo originale di Thea Von Harbou si chiama Parodia o Futura, e viene
progettato da uno scultore, Walter Schulze-Mittendorff, secondo modelli art decò e
influenze tecno-futuristiche. Ha ispirato la realizzazione dell’androide C3PO (D3BO) di
Guerre stellari, che però è un maschio.
60
Sombrero
distanza dalla Terra: 29 milioni di anni luce
61
Noi e gli altri (1950-1959)
«Klaatu barada nikto!»
(Helen Benson in Ultimatum alla terra, di
Robert Wise, 1951)
I quadri generali.
«Questo giorno quando ha fatto chiaro la mamma mi ha chiamato
vomito. "Vomito" ha detto. Le ho visto negli occhi la rabbia. Mi chiedo
che cosa è un "vomito"». Gli anni cinquanta si aprono con l'angoscia
di questo piccolo, che come tutti i bambini desidera solo essere
amato dai suoi, e che invece viene respinto e maltrattato. Nel 1950
Richard Matheson, autore di fantascienza tra i più amati dal grande
schermo56, ne consegna la storia straziante alle pagine di Nato
d'uomo e di donna. E, intanto, rivolge ai lettori del «Magazine of
Fantasy and Science Fiction» la domanda che sarà il motivo
conduttore di un intero decennio nell'occidente post-bellico. Come
dobbiamo trattare ciò che è differente, ciò che è altro da noi?
Il piccolo chiuso in cantina riscuote tutta la tenerezza di chi legge, ma
non è tanto piccolo. È gigantesco, per la verità, e si attacca alle pareti
e perde bava verdastra. I genitori si possono capire, se non scusare
perché, come dice papà, «Ha solo otto anni». La sensazione,
comunque, è che se la caverà: «Mi metterò a gridare e a ridere forte.
Mi arrampicherò su per i muri. Alla fine penderò per le gambe con la
testa all’ingiù e gocciolerò verde tutt’attorno finché non saranno
dispiaciuti di non essere stati gentili con me. Se proveranno a
battermi di nuovo farò loro del male. Lo farò». Povero mostro, vuole
solo giocare e stare in compagnia, ma nasce in un periodo
sfortunato, circospetto e diffidente. Negli anni cinquanta in Occidente
prevale l'idea che il diverso sia nemico e che il nemico si possa
annidare ovunque: anche nella propria casa, in cantina o in salotto.
56
È il primo racconto di Matheson. Già negli anni cinquanta egli diventa uno degli
scrittori più amati dal cinema. Nel 1954 scrive Io sono leggenda (I am Legend), che
avrà alcune famose trasposizioni cinematografiche. Nel 1956 esce Tre millimetri al
giorno (The Shrinking Man), di cui la Universal acquista subito i diritti per realizzare il
film Radiazioni BX: distruzione uomo (The Incredible Shrinking Man, di Jack Arnold,
USA 1957). Nel 1959 il produttore televisivo Rod Serling convoca Matheson per le
sceneggiature di Ai confini della realtà (The Twilight Zone).
63
A ben guardare, le percentuali dicono il contrario: Stati Uniti ed
Europa controllano una bella fetta di pianeta. Però, a cavallo tra gli
anni quaranta e cinquanta, la situazione è in rapido, inarrestabile
cambiamento. Il dominio delle potenze europee si sta sfaldando,
anche per merito (o per colpa, a seconda dei punti di vista) della
Seconda Guerra Mondiale, che pure le ha viste vittoriose. I mezzi di
comunicazione – la radio, la stampa, i primi apparecchi tv, i
cinegiornali – riportano le notizie della terra in rivolta contro le
antiche potenze. Lo smantellamento degli imperi è lungo e
sanguinoso, la decolonizzazione ha costi impensati: un'idea che Stati
Uniti e URSS cavalcano con piacere, per estendere le proprie sfere
d'influenza.
L'autodeterminazione dei popoli non è più solo un espediente
retorico: è ormai considerato un diritto come altri – in un'epoca di
rivendicazione dei diritti civili – e contrasta non solo con il vecchio
colonialismo, ma anche con la politica di "influenza" delle due
superpotenze. Il monito giunge all'America dal suo interno: come
accade alla Galassia Centrale, gli imperi collassano e decadono,
racconta il grande scrittore Isaac Asimov nella trilogia della
Fondazione57. L'imperialismo spaziale sarà il tema di decine di
romanzi e racconti, oltre che di film epocali come Guerre Stellari58. Da
docili schiavi, i colonizzati (e perfino i coloni) possono diventare
nemici duri a morire, infrangendo la solidità di un potere che si
credeva eterno e intoccabile. Nel 1950 lo scrittore di fantascienza Ray
Bradbury pubblica gli struggenti racconti di Cronache marziane: gli
esseri umani (gli americani in particolare) sono colonizzatori violenti e
grossolani che, messi di fronte a una civiltà più raffinata (quella
marziana), prima la distruggono per trasformare Marte a loro
immagine e somiglianza, poi lasciano tutto per andare a combattere
sulla Terra un'altra guerra atomica.
57
È composta da Fondazione o Cronache della galassia o Prima fondazione
(Foundation, 1951); Fondazione e Impero o Il crollo della galassia centrale
(Foundation and Empire, 1952); Seconda Fondazione o L'altra faccia della spirale
(Second Foundation, 1953).
58
Il principale ispiratore pare di Jack Williamson con il ciclo Legione dello Spazio
(Legion of Space): è anche il nome del primo romanzo, del 1934, seguito da Quelli
della cometa (The Cometeers, 1936) e L'enigma del basilisco (One Against the Legion,
1939). Considerato uno dei classici della space opera, ripreso dopo molto tempo da
L'incognita di spazio-no (Nowhere Near, 1967), e da un romanzo del 1983 intitolato
La regina della Legione (The Queen of the Legion).
64
Appena scampata alla Grande Depressione, l'America ricomincia a
preoccuparsi dei nemici interni ed esterni. La Seconda Guerra
Mondiale è stata un'occasione non solo per uscire dalla crisi
dell’economia, ma per esercitare il controllo sul Vecchio Continente e,
in accordo con la «teoria del dominio» del presidente Truman – che
teme l'effetto domino del comunismo – su tutta la terra. Peccato che
l'Unione Sovietica l'abbia intesa allo stesso modo 59. L'Europa non è
più l'antagonista per eccellenza degli Stati Uniti: esiste il Secondo
Mondo, un pianeta ancora più lontano e alieno, dove tutto è diverso,
dall'economia al sistema politico all'ideologia. E i suoi marziani non
sembrano languidi, azzurri e arrendevoli, come quelli di Bradbury.
All'interno dei confini americani il senatore repubblicano Joseph
McCarthy promuove una «caccia alle streghe» per prevenire o
smascherare presunti «complotti comunisti» contro gli Stati Uniti: è il
famigerato Maccartismo. In questo clima, la fantascienza nel cinema
americano finisce con il recepire e ritrasmettere a un pubblico di
massa (con diversa efficacia, a seconda degli autori) il messaggio
d'inquietudine, quando non di vero e proprio terrore, che arriva dalla
politica e dalle relazioni internazionali. Sembra un paradosso: mentre
il grande schermo – con piogge di UFO, «ultracorpi» e «ultimatum
alla terra» – si affanna a esorcizzare la paura per il diverso, l'America
è percorsa dal red scare (la paura rossa), che si trasforma in
un'isteria collettiva anticomunista e che travolge Hollywood,
mettendo a repentaglio la vita e il lavoro di molti cineasti. Con la fine
del maccartismo e con l'avvento alla presidenza dell’URSS di Nikita
Kruscev comincia a farsi strada la prospettiva di una «distensione»
fra le grandi potenze antagoniste. Ma per lo storico incontro di Camp
David bisognerà aspettare la fine del decennio.
Per lungo tempo il futuro dei rapporti USA-URSS sembra essere uno
solo: il conflitto. «Guerra fredda» è chiamato questo scontro tra
mondi che, in attesa di collidere, si attrezzano con arsenali atomici. Il
nuovo elettrodomestico da intrattenimento, la televisione, amplifica le
notizie rispetto alla radio: nei primi anni cinquanta inizia a diffondersi
nelle case degli americani e, a ruota, in quelle del vecchio continente,
portando nei salotti la coscienza della precarietà e il senso
59
Negli anni cinquanta la morte di Stalin non sembra avere effetti negativi per
l'Unione Sovietica. La Germania si spacca in due; nasce il Patto di Varsavia contro il
Patto Atlantico; Cuba sotto Fidel Castro si propone come naturale alleata dell'URSS.
La Cina di Mao Tse Tung – prese di distanza a parte – diventa per la Russia un'ideale
"sorella" politica per condizioni e intenzioni.
65
d'impotenza. Con vero terrore la gente comune apprende del
potenziamento della bomba atomica, la cosiddetta H all'idrogeno, che
nel giro di pochissimo tempo viene sperimentata da tutto l'Occidente;
anche se in posti lontani, come le isole Marshall 60. L'ordigno evoca la
distruzione dell'intero genere umano, e suggerisce un'idea tremenda:
una volta innescata la macchina bellica, non vi sarà un vincitore e
uno sconfitto, come nel caso di Hiroshima, perché i due mondi
risponderanno bomba su bomba, annientandosi a vicenda. A questo
si aggiunge un'altra angoscia: il pericolo delle radiazioni e dei loro
effetti sconosciuti. Comunque le si consideri, non sono prospettive
rosee quelle che si aprono al mondo. Lo scrittore Philip Dick, agli
esordi della sua carriera, ritrae le due superpotenze che, nella foga di
distruggersi, alle bombe atomiche fanno seguire un'arma ancor più
micidiale, l'essenza dell'autolesionismo: gli screamers, resi famosi
dall'omonimo film nel 199561, macchine umanoidi (almeno nel più
sofisticato degli aspetti che assumono) che hanno l’inconveniente di
voler sterminare gli umani creatori.
Alcuni ambiti dell'esistenza umana sembrano ispirare particolare
diffidenza: insieme con la politica – che sembra consegnata alle male
arti dell’inganno e dello spionaggio – c'è sicuramente la scienza.
L’uomo della strada identifica le conseguenze del progresso
scientifico con la bomba e le radiazioni. In realtà, anche altre
questioni sono in ballo. La biologia approda alla scoperta della doppia
elica, cioè della struttura della vita, facendone intravvedere possibili
inquietanti sviluppi. La tecnologia registra uno sviluppo che sembra
inarrestabile: si rivolge ai consumi e alla comunicazione di massa (la
tv), ma prospetta orizzonti ben più fantascientifici, come la conquista
dello spazio. Il 4 ottobre 1957 viene lanciato dall'URSS lo Sputnik 1, il
primo satellite artificiale. Ma lo spazio non è il solo territorio che
prema agli scienziati in questo decennio: da Berkeley, a Pisa, a
Ginevra i fisici sferrano un massiccio attacco al mondo subatomico,
per studiarne con l'aiuto dei nuovi acceleratori gli abitanti (le
60
Ivy Mike è il test statunitense della prima bomba all'idrogeno, o bomba H, fatta
esplodere sull'atollo di Enewetak (nelle isole Marshall, occupate militarmente
dall'esercito americano) il 1º novembre 1952: essa libera 10,4-12 megatoni,
un'energia quasi mille volte superiore a quella della bomba di Hiroshima.
61
Screamers di Christian Duguay è un film canadese del 1995 liberamente ispirato al
racconto di Philip K. Dick, Modello Due (Second Variety, 1952). L'attore Peter Weller
interpreta il colonnello Joseph A. Hendricksson, primo a rendersi conto che i soldati
dei due blocchi sono stati abbandonati dai loro alleati.
66
particelle) e i meccanismi (le forze che li legano). La ricerca si
concentra su alcune parole chiave: energia, intensità, frontiere
spaziali; esse rappresenteranno, fino almeno agli anni settanta, gli
stessi campi d'interesse della letteratura e del cinema fantascientifico.
Nello stesso tempo, con gradualità, avviene il passaggio dai
calcolatori elettromeccanici ai computer elettronici: quasi subito,
come avevano predetto gli scrittori, queste macchine iniziano a
rivelare le loro possibilità, ben oltre il calcolo. Grandi passi per la
scienza, un salto enorme per la fantascienza: le nuove scoperte, una
volta digerite e assimilate, saranno un potentissimo carburante per
l'immaginazione degli autori, dei registi e degli sceneggiatori. In
questo periodo, però, il cinema sembra impegnato su un solo fronte:
quello dell'alterità. Restano, è vero, i temi cari agli anni quaranta: il
viaggio e i mostri, pur con qualche differenza; ma le questioni che
s'impongono su tutte le altre sono senza dubbio due: la guerra dei
mondi e il contatto con gli alieni.
La guerra dei mondi.
Negli anni cinquanta circola un'idea ossessiva: l'ultima parola spetterà
agli Stati Uniti o all'Unione Sovietica. Ma le armi nucleari, potendo
raggiungere qualsiasi parte del mondo trasportate dai razzi
intercontinentali, minacciano la sopravvivenza non di due Stati, bensì
di tutti gli esseri umani62. E la minaccia è per sempre: indietro non si
torna. Quarant'anni di esperimenti di fisica teorica e applicata hanno
lasciato al mondo una sinistra eredità.
Il cinema di fantascienza negli anni cinquanta è ancora,
prevalentemente, un genere di serie B, che è riuscito a succhiare solo
in minima parte la linfa della sontuosa science fiction letteraria degli
anni quaranta, la cosiddetta «golden age». Non è ancora capace di
emanciparsi, di sondare a pieno i misteri del cosmo (sopra e sotto la
luna) per ricondurli all'esistenza umana: cosa che già fanno da un
decennio i racconti e i romanzi dei grandi scrittori di Sci-Fi. Risulta
spesso ridicolo, triviale, tristemente debitore dei film horror e della
paura a basso costo, speculando sulle fobie e sulle paranoie che
ormai sono diventate parte dell'inconscio collettivo, almeno in
Occidente. C'è un messaggio semplice da trasmettere, che è la fuori,
62
«Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso» (Robert Oppenheimer,
direttore scientifico del «Progetto Manhattan» dal 1942 al 1945).
67
pronto per fare paura: la tecnologia è mortale, la guerra dei mondi
può iniziare da un momento all'altro; la civiltà – la nostra - può
essere distrutta dal nemico completamente, irrevocabilmente.
Partendo da queste premesse, molti film di fantascienza non si
guadagnano una buona reputazione. Per la verità, i limiti tecnologici
(e, dunque, di budget) nelle realizzazioni sono spesso tali da
stroncare qualsiasi velleità d'impegno o anche solo di decoro. Fanno
eccezione alcuni casi, come i film finanziati dal produttore George Pal,
che influenza le scelte di registi e sceneggiatori. Gli altri, quelli più
poveri, rischiano invece risultati imbarazzanti. Emblema di questa
china è un film del 1959: Plan 9 From Outer Space, del celebre Ed
Wood, noto come «il peggior regista di tutti i tempi» 63. Questa
pellicola, diventata un vero cult per la sua inaudita bruttezza, mostra
degli extraterrestri permalosi che, offesi per essere stati ignorati dai
terrestri, attuano il famoso Piano 9: una bomba solare per
distruggere l'universo, onde elettromagnetiche per riportare in vita i
morti. Zombie, ghouls.
Con intenti ben più ambiziosi, tratto da un soggetto
dell'intramontabile Wells, nel 1953 esce il film emblema di questa
stagione: La guerra dei mondi (The War of the Worlds, di Byron
Haskin)64. È un film che sembra mettere in scena tutti gli stereotipi
della guerra fredda, mescolati a quelli della fantascienza: nemici
mostruosi e crudeli, bombe atomiche, il genere umano minacciato. Gli
extraterrestri giungono da Marte a bordo di meteoriti: quando ne
escono, sfoggiando macchine da guerra che si muovono su tre raggi,
dimostrano di avere poca pazienza e scarsa considerazione nei
confronti degli ospiti terrestri. Gli umani scappano, lasciano le città in
grandi scene di panico collettivo. I protagonisti si barcamenano in
63
Edward Davis Wood Jr. (Poughkeepsie, 10 ottobre 1924-Hollywood, 10 dicembre
1978) è un regista, attore, montatore, sceneggiatore e produttore cinematografico
statunitense con la passione per il travestitismo e le produzioni low budget. È amico
dell'attore ungherese di horror Bela Lugosi, che conosce quando questi è ormai in
pieno declino, e che vuole interprete dei suoi film, tra cui Bride of the Monster (1955)
e Plan 9 from Outer Space (di Edward D. Wood Jr., USA 1959. È considerato uno dei
padri del genere dei B-movies. La sua storia è raccontata da Ed Wood (di Tim Burton,
USA 1994), con Johnny Depp nella parte del regista e con Martin Landau in quella di
Bela Lugosi. Il film è liberamente tratto dalla biografia di Rudolph Grey.
64
Del film viene creata una trasposizione radiofonica, trasmessa l'8 febbraio 1955 per
il programma Lux Radio Theatre: è ispirata a quella più celebre di Orson Welles del
1938, che ha scatenato il panico tra i radioascoltatori simulando (involontariamente)
un attacco alla terra.
68
una Los Angeles apocalittica, abbozzando rimedi di ogni tipo. Invano:
i marziani vengono fermati solo da un istantaneo, provvidenziale
shock microbico, di quelli che di solito ammazzano i conquistati e
favoriscono i conquistatori. Non un trionfo: nemmeno per l'America,
che deve dir grazie non ai soldati, non agli scienziati del Progetto
Manhattan65, ma ai virus e ai batteri che «Dio nella sua infinita
saggezza aveva messo su questa Terra». La semplicità del messaggio
contrasta però con la meraviglia degli effetti speciali, grazie a cui il
film vince il premio Oscar l'anno successivo. Sono belli i tripodi
volanti; ma addirittura bellissimi sono i marziani, di colore rosa
antico, creature a metà tra un polmone e un tubo digerente, con le
vene a fior di pelle e i due occhi diversi, luminescenti. Essi forniscono
un irrinunciabile canone estetico per la fantascienza successiva:
primo fra tutti, per l'E.T. di Steven Spielberg.
Sulla scia di questo film ne escono altri con pretese simili, ma pochi
contenuti. Giocano sul terrore del diverso e sull'emergenza
dell'invasione straniera Gli invasori spaziali (Invaders from Mars, di
William Cameron Menzies)66, uscito sempre nel 1953, e il film che
sedimenta l'immagine degli UFO così come li conosciamo ancor oggi:
La Terra contro i Dischi Volanti (Earth vs. the Flying Saucers, di Fred
F. Sears, USA 1956)67. Sarà la fine del decennio a portare una
speranza di conciliazione nello scontro tra civiltà. Nel 1958 esce I figli
dello spazio (The Space Children, di Jack Arnold), in cui un gruppo di
bambini aiuta un alieno (che ha la forma di un cervello) a sventare un
piano militare distruttivo per l'intero universo. Il film non è bello, ma
l'aria che si respira è meno catastrofica che in precedenza. Per brutti
che siano, di qui fino a E.T. anche gli alieni potranno giocare con i
bambini.
65
Il Progetto Manhattan (Manhattan Engineering District) è il programma di ricerca
condotto dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale che realizza le prime
bombe atomiche.
66
Ben diverso dalla prima prova del genere di Menzies, La vita futura, questo film è
considerato un saggio di fantascienza per ragazzi: la storia è vista con gli occhi del
piccolo David e la mente suprema extraterrestre è immaginata in modo francamente
puerile (un volto con tentacoli in una boccia di cristallo).
67
Il film verrà citato (con spezzoni interi) da Tim Burton in Mars attacks! del 1996.
69
L'alieno.
Sentinella (Sentry) è forse il più celebre racconto di fantascienza di
tutti i tempi. Scritto da Fredric Brown nel 1954, è stato letto da
migliaia di ragazzi nelle antologie scolastiche. Sentinella è il prototipo
di una fantascienza pedagogica, che prima costringe chi legge a
identificarsi col protagonista, poi lo rimprovera: ne mette in
discussione i pregiudizi, utilizzando il fantastico per rovesciare la
prospettiva, per presentare altri punti di vista su questioni concrete
(la guerra, il ribrezzo per un «nemico disgustoso»). La sentinella in
questione – lo sappiamo – combatte in una guerra interplanetaria
contro gli alieni, di stanza su uno sperduto pianeta, a cinquantamila
anni luce da casa. Sorveglia la sua posizione in trincea, mentre
avverte i disagi, la lontananza, la paura. Ci immedesimiamo: è un
povero diavolo, ha ragione lui, è tutti noi. Ma il nemico che si avvicina
troppo, e che il soldato impaurito riesce a uccidere, è nientemeno che
un essere umano: «con solo due braccia e due gambe e la pelle di un
bianco ributtante e senza squame». Il nemico siamo noi. Ancora
sorpresi, non riusciamo a rientrare subito nei panni degli umani:
percepiamo l'orrore della sentinella e lo condividiamo.
È il miracolo della fantascienza, reso ancora più potente dal cinema. È
un miracolo che già inizia a funzionare negli anni cinquanta, quando i
mezzi a disposizione dei cineasti sono pochissimi, gli appassionati non
molti e i preconcetti sul genere davvero tanti. È il miracolo di un
mondo razzista, aggressivo, fobico, chiuso, che pian piano inizia a
riconoscere agli alieni, ai diversi, all'altro da sé una qualche forma se
non di cittadinanza, quantomeno di diritto all’esistenza. Nel 1947 è
stato avvistato il primo UFO e l'industria missilistica e aerospaziale è
in pieno fermento. Siamo soli nell'universo? diventa una domanda
ricorrente. Alcuni film raccontano di alieni buoni, collaborativi o,
talvolta, fraintesi nelle loro intenzioni, guardinghi ma miti: una
presenza benigna dallo spazio. Altri invece narrano di alieni ostili, che
vogliono prendere possesso (letteralmente) del genere umano. Ma
anche il loro, per quanto discutibile, è pur sempre un tentativo di
integrazione che occorre considerare: lo scopo è quello di rendersi
simili ai terrestri.
Tra gli alieni buoni, la palma d'oro spetta senza dubbio a Klaatu, il
protagonista di un famosissimo film del 1951: Ultimatum alla Terra
(The Day the Earth Stood Still, di Robert Wise). L'alieno
dall'aspetto umano sbarca da un disco volante in compagnia di un
robot alto e minaccioso, Gort: il suo scopo è avvertire che la
70
Confederazione Galattica ha predisposto la distruzione della terra (per
mezzo di automi come Gort) se non cesseranno tutti i conflitti.
Trattato come un nemico, inseguito, colpito dalle armi terrestri,
Klaatu trova però in altri individui marginali (una vedova, suo figlio,
uno scienziato screditato) dei validi alleati, con i quali riesce a
scongiurare la fine del mondo. Per fermare il robot giustiziere,
l'attrice Patricia Neal pronuncia la prima frase marziana comparsa in
un film: «Klaatu, barada, nikto!». A parte la formula non molto
chiara,
il
contenuto
è
evidente:
orrore
del
conflitto,
dell'emarginazione, della caccia alle streghe; paura dell'ostilità verso
l'altro, paura della paura stessa. Una distensione a tutto campo: un
vero sospiro di sollievo.
Il clima di distensione diventa vera e propria collaborazione in due
altri grandi classici della fantascienza cinematografica. Il primo è del
1953 e in italiano prende il titolo Destinazione... Terra (It came from
Outer Space, di Jack Arnold)68. Ma la destinazione è già stata
raggiunta e non è quella corretta: gli alieni hanno sbagliato pianeta,
forse galassia, e dalla terra non riescono a ripartire. Clonano gli
umani, ma solo perché ne hanno bisogno. Niente di personale. L'eroe
del caso, John Putnam, grazie alla sua opera di mediazione, sventa la
possibilità di una guerra. C’è un’ironia involontaria nel fatto che la
prima occasione di contatto tra terrestri e alieni sia una panne
spaziale.
Nel 1955 esce un film ancora più pacifista negli intenti: Cittadino dello
spazio (This Island Earth, di Joseph M. Newman)69. Un scienziato
terrestre, che ha ordinato per posta un misterioso «interocitor», si
trova coinvolto nel tentativo di un extraterrestre di salvare il suo
pianeta, Metaluna, che soffre per mancanza di energia e per l'attacco
di forze nemiche. Non ci riesce, ma è il pensiero che conta. Alla fine
del film ciò che resta è una sensazione inquietante: che anche gli
68
Fu il primo film della Universal ad essere girato in 3-D. È considerato uno dei
classici del cinema di fantascienza. È un film «umanista» e tollerante (c'è una
soggettiva della terra vista dall'alieno): infatti la sceneggiatura è di Ray Bradbury.
69
È considerato la prima vera space opera cinematografica, tratta da Il cittadino dello
spazio (This Island Earth) di Raymond F. Jones. In questo film appare uno dei più
strani congegni della fantascienza, l'«interocitor», arma, apparecchio radio, TV e
ancora, con raggi neutrini, strumento per attraversare il piombo. Può fare tutto,
anche le strade, come recita il catalogo arrivato nel laboratorio di Cal Meacham:
«Non ci sono limiti a ciò che può fare».
71
alieni abbiano i loro alieni; che da qualche parte, nello spazio, ci sia
sempre un alieno cattivo.
Ed eccoli, i cattivi. Nel 1951 La cosa da un altro mondo (The Thing
from Another World, diretto ufficialmente da Christian Nyby, ma in
realtà dal grande Howard Hawks) ci presenta un alieno in forma
vegetale, che viene casualmente risvegliato dai membri di una
spedizione in Alaska70. Il meccanismo ben noto del vaso di Pandora,
che libera il caos. A volte, tuttavia, il caos si presenta
spontaneamente. Nel 1956 esce il celeberrimo L'invasione degli
Ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, di Don Siegel)71,
diventato un cult per la storia del cinema. Gli alieni replicano gli
esseri umani covando la nuova forma in giganteschi baccelli, e
iniziano dalla cittadina americana di Santa Mira. I sostituti sono gelidi,
senza emozioni, e uccidono gli originali: i baccelli si preparano a
invadere il resto del mondo. Il film è incalzante, claustrofobico e ha
una meravigliosa fotografia: con una spesa ridottissima, a parte il
costo degli enormi baccelli, trasmette a meraviglia il crescendo di
orrore che anima il racconto del dottor Miles J. Bennel, il
protagonista, l'unico sopravvissuto di Santa Mira. È un clima noto, in
quegli anni. Se dobbiamo credere a Don Siegel, il regista, il film non è
stato pensato né in chiave anticomunista, né antimaccartista72: è solo
lo specchio della generale angoscia, dell'incapacità di distinguere tra
amico e nemico. Anche nella propria casa. Anche in camera da letto?
Due anni dopo, nel 1958, esce a questo proposito un film molto più
scadente, che però a Don Siegel deve tutto: Ho sposato un mostro
venuto dallo Spazio (I Married a Monster from Outer Space, di Gene
Fowler Jr.). Il titolo della pellicola, sintesi esauriente della trama,
trattiene anche lo spettatore più distratto dal fare gli auguri alla
giovane sposa.
70
Basato sul racconto breve Chi va là? (Who goes there?) di John W. Campbell, è
considerato uno dei classici del genere. Il regista John Carpenter ha girato nel 1982
un altro adattamento del racconto, dal titolo La cosa (The Thing).
71
Nell'epoca dei kolossal, L'invasione degli ultracorpi viene girato in bianco e nero e
con pochi soldi. La sceneggiatura è revisionata da Sam Peckinpah e dallo stesso
produttore Walter Wanger. All'uscita nelle sale, gli incassi sono modesti, ma la
pellicola diviene in breve un film culto, di cui si sottolinea la mancanza di effetti
speciali (dovuta al modesto budget della piccola casa di produzione, la Allied Artists)
per evidenziare la bellezza della sola regia.
72
Don Siegel, anni dopo, dichiara: «Né lo sceneggiatore, né io pensavamo a un
qualunque simbolismo politico. Nostra intenzione era attaccare un'abulica
concezione della vita».
72
Mostri davvero mostruosi.
Ben più ridicoli degli alieni, negli anni cinquanta i mostri perdono la
tragica compostezza che avevano avuto nei decenni precedenti.
Spuntano mostri d'acqua dolce e salata: come Il mostro della
laguna nera (Creature from the Black Lagoon, di Jack Arnold,
USA 1954)73 e Il mostro dei mari (It Came from Beneath the Sea, di
Robert Gordon, USA 1955). Si scatenano insetti mortiferi, come in
Tarantola (Tarantula, di Jack Arnold, USA 195574); come in Assalto
alla Terra (Them!, di Gordon Douglas, USA 1954) con delle formiche
davvero notevoli; o come nel famoso film del 1958: L'esperimento
del dottor K (The Fly, di Kurt Neumann), celebre anche per il
remake La Mosca che ne ha fatto David Cronenberg nel 198675. Il
vantaggio dei nuovi mostri è che non sempre sono animali, per
quanto immaginari: nel film del 1957 La meteora infernale (The
Monolith Monsters), del regista John Sherwood, le creature orrorifiche
sono dei sassi dallo spazio che succhiano il silicio dalla pelle dagli
esseri umani, disseccandoli a morte. Per quanto assurti alla storia dei
B-movies, questi film sono davvero terribili. Un certo interesse
possono destare, invece, altre mostruosità degli stessi anni: il primo
Godzilla giapponese del 1954 diretto da Ishiro Honda76 in cui – nel
ricordo di Hiroshima - è presente una vibrante denuncia agli
armamenti nucleari e alle loro funeste conseguenze.
Fa mostro a sé l'ennesima creatura del regista Jack Arnold. Appare in
un film del 1957 che ha un brutto titolo – Radiazioni BX:
73
Viene girato in bianco e nero e in formato stereoscopico ed è subito considerato un
film cult del genere. Dal suo successo scaturisce la produzione di due seguiti e Jack
Arnold si specializza in mostri di ogni tipo.
74
I ragni sono uno degli animali preferiti del regista Arnold, come si nota dalla loro
presenza in due altri film del periodo: Destinazione...terra e Radiazioni BX.
75
Il film parla di due grandi temi del cinema successivo: il DNA modificato e il
teletrasporto. La moglie (Patricia Owens) dello scienziato-mosca (David Hedison) lo
schiaccia in una pressa (come una mosca, appunto) sotto gli occhi di un compassato
cognato, Vincent Price.
76
Godzilla (ゴジラ Gojira, di Ishiro Honda, Giappone 1954) ha inaugurato il genere
Kaiju Eiga (cinema dei mostri) e ha meritato una lunga serie di sequel (oltre al
recente Godzilla di Roland Emmerich). Vi compare il «dinosauro atomico» (detto
Showa) che, nel primo progetto, doveva invece assomigliare a un'enorme piovra. Il
verso della bestia è stato ottenuto unendo il suono di un contrabbasso a quello di
una corda da strumento di un'ottava sotto la norma e strofinata con un guanto di
cuoio grezzo. Il produttore Tomoyuki Tanaka ha insistito per entrare in diverse scene
nel costume di Godzilla.
73
distruzione uomo (The Incredible Shrinking Man) – ma un
grande valore cinematografico. Tratto da un racconto di Richard
Matheson, il film racconta l'esperienza dell'infinito, e più precisamente
dell'infinitamente piccolo, attraverso la storia di Scott Carrey 77.
L'uomo subisce le conseguenze di una nube tossica: il suo corpo
rimpicciolisce progressivamente, causandogli problemi con il lavoro,
poi con la moglie, poi con un'amica nana, poi con il gatto di casa che
vuole mangiarselo, poi con un ragno a cui contende una briciola di
torta. A ogni riduzione corrisponde una difficoltà da superare e,
soprattutto, un nuovo senso di frustrazione e impotenza. Il film si
conclude con una nuova consapevolezza: «Più piccolo del più piccolo
avevo un significato anch’io. Giunti a Dio non vi è il nulla: io esisto
ancora»78.
Uomini nello spazio.
Almeno fino al 1956 e alla rivolta ungherese, una buona parte del
mondo, quello di simpatie socialiste, guarda con attenzione e
speranza al modello sovietico. Aldilà della politica, la competizione tra
i blocchi investe il progresso scientifico e tecnologico. La corsa allo
spazio, che culmina con il lancio dello Sputnik e il trionfo dell’URSS in
questo campo, suscita reazioni in Occidente che rimbalzano nella
science fiction cinematografica, dove gli astronauti americani pian
piano diventeranno antagonisti dei loro colleghi russi, i cosmonauti.
Nel 1950 il film Uomini sulla Luna (Destination Moon, di Irving
Pichel) diventa sinonimo di viaggio spaziale. Alcuni lo considerano il
vero esordio della fantascienza al cinema, per il massiccio uso di
effetti speciali che, per una volta, vengono impiegati per ricostruire lo
spazio cosiddetto outer, quello cosmico, stellare, profondo, esterno
alla terra. La storia non è davvero appassionante, ma illustra
perfettamente l'iter di un'impresa spaziale: l'aspetto finanziario,
l'organizzazione, i problemi scientifici e tecnologici che la
preparazione e la realizzazione comportano79.
77
È una delle più celebri pellicole del cinema di fantascienza anni cinquanta: nel 2009
è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del
Congresso degli Stati Uniti. È tratto da Richard Matheson: lo stesso autore si occupò
della sceneggiatura.
78
È il celebre monologo finale del film, molto ispirato e letterario.
79
Il divulgatore scientifico Willy Ley e l'illustratore astronomico Chesley Bonestell
costruiscono le scene in modo tale che il film si aggiudica nel 1951 l'Oscar per gli
74
I registi prenderanno confidenza con i viaggi spaziali solo
gradualmente, nel corso di qualche lustro, con lo sviluppo delle
capacità tecniche del mezzo cinematografico. Sembra difficile
organizzare visivamente lo sbarco su un altro pianeta: realizzare i
fondali, i colori, eventuali forme di vita. Per un lungo periodo i
tentativi sono goffi, almeno a livello scenografico. Solo nel 1956 Il
pianeta proibito (Forbidden Planet, di Fred McLeod Wilcox)
sfodera scenografie grandiose, costumi suggestivi ed effetti speciali di
grande efficacia, progettati negli studios della Walt Disney
Production, a cui si aggiunge un innovativo robot – Robby, una
specie di tenera salsiccia meccanica, che diventa subito una star 80 –
al servizio di un film davvero fuori dal comune. Il viaggio è nello
spazio, ma anche nell'inconscio, che è lo spazio della mente: « inner
space-outer space», si dirà. Nel XXIV secolo, l'incrociatore spaziale C57-D, è inviato in missione sul pianeta Altair IV per cercare i
sopravvissuti di una spedizione giunta venti anni prima, ma che non
ha più dato notizie. Il dottor Morbius, personaggio ambiguo e
travagliato, accoglie l'equipaggio scatenandogli contro una forza
misteriosa. Essa deriva dalla «Grande Macchina», uno strumento
creato da un'antica razza aliena per proiettare materia con il solo
pensiero, cioè fare affiorare l'inconscio dandogli la forma dei «mostri
dell'Id». E i mostri sono brutti, mortali, di forma leonina. La mente
umana è un pianeta ostile, il peggiore di tutti. Con questo tributo alla
psicanalisi, i viaggi di fantascienza si proiettano verso gli orizzonti
illimitati degli anni sessanta.
effetti speciali. Il produttore è George Pal, che produce anche il film del 1951:
Quando i mondi si scontrano (When Worlds Collide, di Rudolph Maté, USA 1951). Nel
film di Maté non c'è conflitto fra i mondi, se non per stelle e pianeti che entrano
nell'orbita gravitazionale della terra; non c'è nemmeno il viaggio, se non all'ultimo
minuto, quando un pugno di esseri umani, scampati alla collisione a bordo di
un'astronave, atterrano sul pianeta Zyra. È più, in realtà, un film simil-catastrofico.
80
Il robot Robby è l'oggetto più costoso mai costruito fino a quel momento per il
cinema. Ottiene grande popolarità tra il pubblico, tanto da ispirare la produzione di
molti giocattoli. Verrà citato molte volte dal cinema successivo, facendo piccole
apparizioni. È il primo robot della storia del grande schermo a seguire «le tre leggi
della robotica» di Isaac Asimov.
75
Pinwheel
distanza dalla Terra: 24 milioni di anni luce
77
Destinazione uomo (1960-1969)
«Utilizzo le mie capacità nel modo più
completo, il che, per un'entità cosciente, è
il massimo che possa sperare»
(HAL 9000 in 2001: Odissea nello spazio,
di Stanley Kubrick, 1968)
I quadri generali.
Michael Valentine Smith è stato allevato su Marte da caritatevoli
marziani quando i suoi genitori terrestri, due astronauti, sono morti
lasciandolo solo. È ormai un giovanotto extraterrestre a tutti gli effetti
quando viene riportato a casa, sul pianeta d'origine, dove si trova
«straniero in terra straniera»81. La terra è un posto davvero strano:
dominata dai media e dal consumismo, piena di curiose abitudini
come la guerra, la gelosia, gli abiti sulla pelle nuda, l'aggressività, il
sesso. Mike – intelligentissimo e candido – fatica a comprenderle:
appena sbarcato è già un deviante, da cui i terrestri si aspettano guai
terribili, perfino di natura patrimoniale. Viene prima isolato e
ricoverato in un ospedale, poi aiutato da insospettabili amici, infine
spinto a fondare una «Chiesa di tutti i mondi», dove si insegnano il
linguaggio marziano e l'immortalità, ma anche materie più difficili: la
disciplina interiore, i liberi legami, il rifiuto della monogamia e della
proprietà privata. Mike trova la soluzione ai problemi del pianeta: è
sufficiente che gli uomini imparino a grokkarsi a vicenda. To groak
significa "bere", "comprendere", "amare", "essere una sola cosa con".
Una parola adatta ai tempi che si preparano. Benvenuto, Mike. Sotto
gli auspici irriverenti dello scrittore Robert A. Heinlein – uno dei guru
della letteratura di fantascienza –, gli anni sessanta hanno
ufficialmente inizio.
La confusione di Mike il migrante è del tutto comprensibile. I sessanta
sono anni tumultuosi e contraddittori per tutti i cittadini del mondo, e
in particolar modo, per quelli della sua parte occidentale. Le
contraddizioni sono provocate, in primo luogo, dal boom economico,
che dagli Stati Uniti (dove si è già manifestato fin dagli anni
81
Stranger in a Strange Land (1961) è proprio il titolo di questo romanzo di Robert A.
Heinlein.
79
cinquanta) si diffonde al Vecchio Continente, quello capitalista. Anche
paesi come l'Italia, che ha faticato a liberarsi da un’atavica miseria,
iniziano a godere dei vantaggi dello sviluppo industriale. Nella
percezione delle persone, il benessere muta rapidamente la qualità
dell'esistenza. In meglio.
Con il benessere, anche la scienza e la tecnologia mostrano il loro
volto più amichevole. Le loro applicazioni quotidiane – la casa, gli
spostamenti: i «beni durevoli» – mirano a sconfiggere la fatica. Le
loro realizzazioni di punta – nei campi emergenti dell’elettronica, della
robotica, dell’intelligenza artificiale – mirano a sconfiggere
l’ignoranza. I primi robot, ibridi tra gli elettrodomestici e i media,
sono la sintesi di questi sforzi. Anche i confini dello spazio ( outer
space) sembrano aprirsi al volere degli esseri umani, che si
immaginano ora padroni del cosmo intero. In effetti, dopo gli oggetti
inanimati e gli animali, le prime persone – uomini, donne – vengono
mandate in orbita e tornano vive. Da ipotesi visionaria di alcuni
scrittori e cineasti, il viaggio sulla luna diventa una realtà: nella prima
«mondovisione», gli americani Neil Armstrong e Buzz Aldrin82
scendono a fare quattro salti sul nostro satellite.
L’entusiasmo per le nuove conquiste non sembra però contagiare i
fabbricanti di fantasie futuribili. La fantascienza letteraria mette in
secondo piano la hard sci-fi – teorie e tecniche avveniristiche – per
concentrarsi sugli esseri umani, cioè sulla psiche dell'individuo e sulla
società. Il cinema la segue con esitazione, tradendo nostalgia per
un’epoca più avventurosa e meno intellettualmente contorta: non
bastavano a farci felici i mostri dallo spazio profondo? Così,
personaggi nati negli anni cinquanta hanno ancora un seguito. Come
il dottor Quatermass: le sue vicende – che popolano la prima delle
saghe spaziali, le space operas – esaltano la figura dell'eroe
scienziato alla scoperta del diverso83.
82
Il primo allunaggio di umani avviene il 20 luglio 1969. Il modulo Eagle atterra alle
ore 16:17. Scendono Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, e Buzz
Aldrin, che scende per secondo, mentre il loro compagno Michael Collins resta a
controllare il modulo di comando Columbia. Anche Buzz Aldrin diventa un giocattolo
nel film della Pixar-Walt Disney Toy Story.
83
Escono in successione temporale: nel 1955, L'astronave atomica del dottor
Quatermass (The Quatermass Xperiment, di Val Guest, Gran Bretagna 1955); due
anni dopo, I vampiri dello spazio (Quatermass II, di Val Guest, Gran Bretagna 1957);
nel 1967, L'astronave degli esseri perduti (Quatermass and the Pit, di Roy Ward
80
Non è più tempo, tuttavia, per baloccarsi con sogni infantili. Voci
allarmate si levano contro le nuove piaghe della società: il
consumismo, il potere mediatico, la massificazione e l'alienazione.
Con diversi toni e intenzioni, gli intellettuali, la religione e, talvolta, la
stessa politica mettono in guardia dai possibili sviluppi delle nuove
tendenze. Si richiamano o si evocano altri tempi, passati o futuri, altri
stili di vita possibili e altri modelli di convivenza.
Non è forse un caso che, in questo contesto, si riscoprano i viaggi
temporali di Herbert G. Wells. Il film di George Pal del 1960, L'uomo
che visse nel futuro (The Time Machine)84 insegna che, con la
volontà (o una buona macchina del tempo), perfino l'avvenire si può
riscrivere prendendo il meglio del passato. Cavalcando questo
fermento utopico (in realtà distopico e catastrofista), il cinema colto
inizia a mostrare interesse per la fantascienza: in Francia il
movimento della Nouvelle Vague si ergerà a capofila di questa
riconciliazione. Il tema del futuro immaginato viene declinato in due
modi possibili: la rappresentazione di un mondo che non c'è ancora e
la riflessione sul destino evolutivo della specie umana.
Sull'avvenire, nessun regista sembra davvero ottimista. Come si è
detto, «i mitici sessanta» sono tutt’altro che pacifici e luminosi. Le
tensioni tra le due superpotenze cominciano a sciogliersi
nell’agognato “disgelo”, consentendo lo sbocciare di alcune primavere
rimandate da tempo: quella dei diritti civili, poi quella dei movimenti
studenteschi. Ma per l'America, in particolare, gli anni sessanta sono
anche un’epoca di conflitti e di tragedie collettive: sono gli anni della
guerra del Vietnam, della crisi di Cuba e dell'assassinio di John
Kennedy. La morte in diretta del presidente presenta tutti i caratteri
della fantapolitica: da quel momento, la filmografia sui complotti non
sarà più la stessa.
Nuove guerra e nuova violenza: l’Occidente reagisce in modi
imprevisti, ancora una volta contraddittori. Man mano che il decennio
avanza, si diffonde un’aura di libertà che investe la vita privata e
sociale degli individui, coinvolgendo la morale, la politica, i modi di
Baker, Gran Bretagna 1967); infine, The Quatermass Conclusion: la terra esplode (The
Quatermass conclusion, di Piers Haggard, Gran Bretagna 1979).
84
Gli Eloi e i Morlock di Pal, che vivono nell'802.701, sono i due prototipi umani del
futuro: ignavi e imbelli i primi, industriosi ma feroci i secondi. Il protagonista George
(Rod Taylor), innamorato della eloi Weena, tornerà da lei per rifondare con tre libri
una nuova civiltà.
81
conoscere e l’arte stessa, a partire dalla musica per finire col cinema.
Non a caso proprio ora viene girato Barbarella (1968): il fumetto
erotico di Jean-Claude Forest diventa un film brutto, costosissimo e
celebre, in cui la spacegirl Jane Fonda attraversa le galassie e i
confini della morale85. Nel Nord del mondo si respira un’atmosfera
spesso eccitante, che provoca eccessi e isterismi in chi la esalta e in
chi la deplora: per molti il nuovo alieno è il cappellone in tenuta
floreale, intontito dalle droghe psichedeliche e dai concerti oceanici
sotto il diluvio86. Intanto, si rivendicano spazi per categorie marginali
o sfavorite: le donne, i giovani e tutti quelli che, in nome di qualche
ideale, rifiutano di vivere secondo le regole codificate. Dalle frange
radicali della destra e della sinistra occidentale nascono le
controculture giovanili. La più famosa – gli hipsters detti hippies – si
ispira alla beat generation degli anni cinquanta: si identifica non solo,
però, nell’orgoglio dell’anticonformismo culturale e sociale, ma anche
nel rifiuto di ogni violenza87.
L'orgoglio per il corpo e le sue potenzialità; l'afflato verso la natura;
la ricerca di nuove vie (anche sintetiche) all'ascesi mistica, verso
l'espressione artistica e creativa della mente; trasformazione,
ricreazione, rigenerazione: queste, per il nuovo anticonformismo
giovanile, sono le strade per la felicità. Al tempo stesso, si tratta di
atteggiamenti che hanno un loro lato oscuro, impossibile da ignorare.
In un modo o nell'altro, gli anni sessanta preannunciano una svolta
tragica. Perché c'è un principio – paradossale – che vale per la
scienza e la tecnologia, per la politica e per le controculture: la
85
Barbarella (di Roger Vadim, Francia, Italia 1968), è un film, ispirato alle avventure
spaziali di una disinibita eroina che fa all'amore con mezzo cosmo, robot e alieni
compresi. Il soggetto è tratto dall'omonimo fumetto pubblicato come serie su VMagazine nella primavera del 1962, raccolto due anni dopo in un libro autonomo. Il
film è brutto, tenta con troppi sforzi di essere comico e parodistico, ma diventa
subito un cult, anche per la sua eterogenea e innovativa colonna sonora.
86
Il festival di Woodstock si svolge a Bethel, una piccola città rurale nello stato di
New York, dal 15 agosto al 18 agosto del 1969, all'apice della diffusione della cultura
hippy (o hippie), che voleva chiamare a raccolta con «Three Days Of Peace And
Music» (da programma).
87
The Summer of Love (L'estate dell'amore) vede nell'estate del 1967 ben 100.000
ragazzi giungere nel distretto di Haight-Ashbury a San Francisco: a questo episodio è
ricondotto l’inizio del Sessantotto come stagione di protesta e movimenti. San
Francisco è l'epicentro della hippie revolution: musica underground, droghe, sesso,
creatività e impegno sono le parole d'ordine. È ritenuta la prima manifestazione della
controcultura hippie estesa al grande pubblico.
82
ricerca della consapevolezza è spesso inconsapevole delle
conseguenze a cui porta. Carico di queste suggestioni, il cinema si
focalizza sui cambiamenti. Sul grande schermo fioriscono mutazioni,
metamorfosi e contaminazioni (da contagio alieno, da virus, da
radiazioni): l'impotenza della scienza a rimediare agli effetti collaterali
del progresso risalta più che non la sua tanto decantata
magnificenza. Le stesse conquiste recenti, tanto vagheggiate,
finiscono per creare assuefazione e per annoiare: in fondo – l'hanno
visto tutti – sulla luna non è successo nulla. L'unica speranza è che i
nostri eroi si siano riportati a casa qualche souvenir imprevisto…
Mutazioni, metamorfosi e contaminazioni.
«Marvin Flynn lesse il seguente annuncio nella piccola pubblicità della
"Stanhope Gazette": Marziano 43enne, serio, ordinato, colto, desidera
far scambio di corpo con terrestre di tendenze analoghe. Periodo: 1º
agosto-1º settembre. Referenziato. Mediatori riconosciuti e
autorizzati. Questo normalissimo annuncio fu sufficiente a far
galoppare il polso di Flynn. Scambiare il corpo con un marziano...
L'idea era eccitante, ma anche repellente sotto certi aspetti» 88.
È l'annuncio-tipo degli anni sessanta. Propone l'avventura, il viaggio,
l'esperienza anche a chi non può permettersele. È una strana,
emozionante deriva del sogno americano. Dieci anni dopo On the
road, un qualsiasi hitchhiker, con il pollice in alto, può ottenere un
passaggio per il paradiso, lasciare la vecchia esistenza e scambiarla
con un'altra. Lo scambio di vita: la scelta tra innumerevoli opzioni.
Selezione e trasformazione.
È questo che propongono, in fin dei conti, anche la scienza e la
tecnologia. Non è solo la robotica a suggerire che un giorno qualcuno
si sostituirà a noi, nella fatica e nei doveri, nel lavoro sporco. Cuori
artificiali, pompe cardiache e trapianti di donatori89 tentano – con
vario successo – di sostituire parti del corpo umano con pezzi di
ricambio naturali o artificiali. Modifiche, grandi e piccole, per rendere
l'uomo più efficiente. Nel 1966 Richard Fleischer, con il suo Viaggio
Allucinante (Fantastic Voyage), realizzerà virtualmente il sogno di
ogni spettatore ipocondriaco: un safari riparatore all'interno del
88
È l'inizio dell'esilarante romanzo di Robert Sheckley, Scambio mentale, 1966.
Dal 1967 Christiaan Neethling Barnard e Michael Ellis DeBakey danno il via ai
trapianti di cuore; il dottor Denton Cooley è invece il primo a impiantare un cuore
artificiale in una donna, nel 1969.
89
83
proprio organismo90. Nel 1962 il premio Nobel per la medicina viene
assegnato a Watson e Crick per la scoperta della doppia elica del
DNA91. Da quel momento la possibilità di modificare il genoma umano
passerà dalla finzione letteraria e cinematografica alla pratica
quotidiana dei laboratori e degli scienziati.
Nel primi anni '60 alcuni film traggono dalla rivoluzione genetica
prospettive sinistre e inquietanti. Il villaggio dei dannati (Village
of the Damned, di Wolf Rilla)92, racconta di una progenie aliena che
"germina" in una cittadina inglese. Un gruppo di splendidi, feroci
bimbi biondi tenta di assumere il controllo delle menti dei
concittadini, per procedere alla conquista del mondo. Nel film di Rilla,
il protagonista Gordon Zellaby, scienziato e loro tutore, li distrugge
senza pietà; nel remake del 1995, invece, il regista John Carpenter
vorrà salvarne almeno uno. Il film è efficace ancor oggi, inquietante e
claustrofobico, anche se all'epoca dovette sembrare agli spettatori
ben più pauroso. Il bianco e nero aumenta il carico d'angoscia. I
bambini, soprattutto, sono indimenticabili: così uguali, così algidi e
saccenti. Così biondi. È l'archetipo cinematografico del bimbo-mostro,
mutato, trasformato, che ha perso l'innocenza infantile e vuol fare –
con astuzia diabolica – giustizia dei suoi creatori. Che di solito – con
buona pace dell’ideologia rassicurante della famiglia americana –
sono i genitori.
Anche il film del 1961 del grande regista inglese Joseph Losey,
Hallucination (The Damned) parla di bambini. Di bambini
innocenti, in questo caso, che non hanno parte alcuna nella propria
mutazione. Sono figli di madri contaminate da sostanze radioattive, e
vivono segregati in un laboratorio militare sotterraneo. Essi servono
per sperimentare un genere umano più resistente, poiché si prevede
che una guerra nucleare imminente annienti ogni forma di vita sulla
Terra. Il professor Bernard è l'insegnante (a distanza televisiva) dei
bambini, che non può rispondere alle loro domande sul futuro. Nel
laboratorio capita una giovane coppia benintenzionata che, nel
90
Nel film quattro personaggi, a bordo di un sottomarino miniaturizzato, rimuovono
un embolo dal cervello di uno scienziato: Jan Benes, che ha passato la cortina di ferro
per collaborare con gli Stati Uniti. La sceneggiatura è basata su un racconto di Otto
Klement e Jerome Bixby. La 20th Century Fox chiede a Isaac Asimov di scrivere un
romanzo omonimo sulla sceneggiatura del film. Il libro uscirà sei mesi prima della
pellicola.
91
Franklin e Wilkins sono gli altri due scopritori che però non ricevono il Nobel.
92
La pellicola è ispirata al romanzo I figli dell'invasione (1957) di John Wyndham.
84
tentativo di fuggire da un gruppo di violenti teddy-boys, scopre i
ragazzini e cerca di liberarli. Il risultato è disastroso, nel miglior stile
di Losey: i due volenterosi non solo non salvano i bambini, che
restano a invocare l'aiuto di qualcuno per l'eternità, ma vengono
mortalmente contaminati; i militari eliminano i testimoni. A ben
guardare Losey e Rilla sembrano essere dello stesso parere: i
bambini sono il nostro futuro, per questo dobbiamo guardarci da loro.
Altri film, con l'avanzare del decennio, raccontano la storia di
mutazioni, spontanee o volontarie. Nel 1962 L’invasione dei mostri
verdi (The Day of the Triffids, di Steve Sekely) porta sullo
schermo l'incubo di ogni botanico inglese. I trifidi sono piante
cresciute da semi spaziali in seguito a una pioggia di meteoriti, che
ha accecato gli umani: appena in grado di spostarsi, si diffondono per
Londra ammazzandone gli abitanti. Il vero orrore, qua, sono gli effetti
speciali. Ma il film tiene, grazie soprattutto alla sequenza paradossale
dell'inizio, in cui Bill Masen si risveglia dopo un'operazione agli occhi e
trova la città immersa nel buio di una cecità collettiva.
I trifidi sono, senza dubbio, uno dei modelli più noti di presenza
aliena invasiva, oltre che di pianta infestante. Ma non tutti gli
extraterrestri mutano a scopo offensivo. Alcuni si difendono
dall'imperialismo degli esseri umani, che imperversano alla scoperta
del cosmo con le loro inquinanti navicelle spaziali (non tutte a
propellente nucleare). Due di queste astronavi, attirate da uno strano
segnale su un desolato pianeta, si trovano in balia di alieni a dir poco
ostili, che trasmigrano nei corpi terrestri. All’invasione umana
rispondono con un'invasione ancor più penetrante. Ha ragione Marvin
Flynn, che vuole scambiarsi con un marziano: il corpo preso in
prestito è la somma mutazione, la madre di tutti gli scambi possibili.
È questa la trama di un'opera cult, Terrore nello spazio, datata 1965,
con cui l'italiano Mario Bava realizza il suo primo e unico film di
fantascienza. Distribuito dall'American International Pictures negli
Stati Uniti, dove conosce un discreto successo, il film è venerato dagli
amanti di Bava, considerato in vita un regista di B-movies, ma
rivalutato dopo la sua morte. Viene realizzato a colori, con pochi
mezzi e scenografie essenziali. Il regista si lamenta: gli si chiede di
accontentarsi di due enormi rocce, che deve far rotolare per tutto il
set per ottenere un simulacro di pianeta. Le produzioni risparmiano,
con Mario Bava. Eppure alla sua trama e alle sue atmosfere si ispirerà
Alien di Ridley Scott: l'ospite più famoso e sgradito della storia del
cosmo.
85
Le società immaginate.
Che mondo lasceremo ai nostri marziani, quando ci invaderanno? In
molti, negli anni sessanta, parlano di declino della società
occidentale. Da tempo la «fantascienza sociologica» la giudica
severamente, in parallelo alla letteratura mainstream (quella non di
genere) e alle scienze umane. Il cinema fantascientifico si adegua
lento, con dieci anni di ritardo. Gli ci è voluto del tempo per liberarsi
dal ruolo di grande intrattenitore in cui, spesso, si è volontariamente
relegato (e i B-movies non sono famosi per le loro raffinate analisi
sociologiche). D’altra parte, di fronte all’atomica e alla terza guerra
mondiale qualsiasi altra fobia collettiva è sembrata a lungo indegna di
essere rappresentata sul grande schermo. Ma gli anni cinquanta sono
ormai conclusi, pur accompagnati dalle dolentissime note del film
L’ultima spiaggia: guerra nucleare globale, morte per tutti, e che
ognuno cerchi per sé la più dignitosa93. Ora il cinema è pronto a
mostrare la nuova ossessione, che sopravvivrà (quasi intatta) fino alla
fine del secolo: quella del controllo.
A parte occasionali alieni, chi tiene in pugno le moltitudini? E,
soprattutto, chi controlla i loro controllori? Problema secolare. Già nel
1948 l’inglese George Orwell lo ha riproposto in un’opera
memorabile: 1984, il romanzo «distopico» per eccellenza, che vede il
Grande Fratello comandare e controllare un terzo del mondo. «The
Big Brother» è una deformazione fantapolitica del socialismo reale.
Negli anni sessanta la prospettiva cambia, perché l'Occidente realizza
l'enorme potere seduttivo e il potenziale di controllo sociale del
capitalismo. I leader e i media possono spiare il popolo, dirigerlo,
«ricondizionarlo»: ma allettarlo attraverso la promessa del benessere
rende il tutto molto più rapido e incisivo. Le vacanze, l'utilitaria, la
lavatrice, il frigorifero, la TV, più di due vestiti per cambiarsi tra i
giorni feriali e la festa. I beni dominano gli esseri umani, offrendo a
tutti – senza distinzioni di classe – nuove parole d'ordine: rapidità,
bellezza del corpo, giovinezza, liberazione dalla fatica.
Soddisfare i desideri, prevenirli, sembra diventato lo scopo principale
della tecnologia. La fantascienza sviluppa il sogno architettonico già
93
L'ultima spiaggia (On the Beach, di Stanley Kramer, USA 1959) è un film di tipo
fantapolitico-apocalittico dal cast eccezionale che comprende Gregory Peck, Anthony
Perkins, Fred Astaire e Ava Gardner. L'omonimo romanzo da cui è tratto è di Nevil
Schute.
86
abbozzato dalla «golden age» della fantascienza letteraria: la casa –
supremo bene individuale – viene incontro spontaneamente alle
necessità dei suoi abitanti. «Tu vivi nell'era più fortunata del genere
umano», recita un famoso libro di Robert Sheckley: «Sei circondato
da ogni meraviglia artistica e scientifica. La musica più bella, i libri e i
prodotti artistici più grandi, tutto a portata di mano. Tutto ciò che
devi fare è schiacciare un bottone»94. Non è solo “domotica”, come la
nuova robotica non è solo elettronica. Le case e i robot interpretano il
sogno umano più diffuso: quello di venire serviti, di poter essere
padroni di una creatura senza sensi di colpa o brutte sorprese. Gli
androidi di regola non si ribellano agli ordini: qualche anno prima, il
genio di Isaac Asimov ha elaborato le tre leggi della robotica, che
impediscono alle macchine di nuocere agli esseri umani 95.
Ma le leggi di Asimov non sono leggi ferree. Può capitare – è un
incubo ricorrente – che i robot decidano di eccedere, di riorganizzare
la società, la giustizia, l'amministrazione, perfino le emozioni:
beninteso, nell'interesse del genere umano. È il caso di Alpha 60,
costruito dal dottor Von Braun (un tempo prof. Nosferatu), che
amministra gelosamente l'ordine ad Alphaville, inibendo la diversità, i
sentimenti, l'amore. L'agente Lemmy Caution – un dinamico e ironico
Eddie Constantine – sotto le spoglie di un giornalista, distruggerà il
computer e conquisterà la bella figlia dello scienziato, Natacha, che
infrangendo la legge ha appreso ad amarlo. È il 1965: il film è il
celeberrimo Agente Lemmy Caution, missione Alphaville
(Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution di JeanLuc Godard) la pellicola che avvicina alla fantascienza la corrente
francese della Nouvelle Vague. È un bel film, impeccabile nella regia,
superbo nella fotografia, indovinato nella sceneggiatura: quest'ultima
è scritta dal poeta Paul Éluard, a fianco dello stesso regista. Eddie
Constantine e Anna Karina riescono a essere proprio tutto:
contemporanei, avveniristici e anche un po' old fashion. La Parigi
94
Libera dalla fatica ma affogata nel debito, che non si può pagare e impedisce di
emigrare, è la società che il protagonista Carrin descrive con orgoglio a suo figlio
(Cost of living, 1952).
95
Nel 1950 Isaac Asimov dà alle stampe l'antologia Io, Robot, che comprende
racconti pubblicati fra il 1940 ed il 1950. Qui compaiono le tre leggi della robotica: 1.
Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa
del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno; 2. Un robot deve
obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non
contravvengano alla Prima Legge; 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza,
purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
87
dell'architettura modernista è scelta a interpretare Alphaville, capitale
di un pianeta lontano. Esotico, ma domestico, per far dire allo
spettatore: «Ecco, sappiamo di cosa si parla». Perfetto, anche se
qualcosa in questa perfezione fa rimpiangere gli sgangherati Bmovies, i Trifidi caserecci e i pianeti rattoppati.
Più sanguigna è l'altra utopia nera, quella del film di François Truffaut
del 1966, ispirato al romanzo di Ray Bradbury del 1953: Fahrenheit
451. Il film è una specie di prova d'autore al contrario: Truffaut
sceglie il colore, la produzione straniera, la distribuzione Universal per
conquistare il mercato internazionale. Ma il risultato è comunque non
commerciale. In una qualsiasi società del futuro il corpo dei pompieri
è il custode del conformismo: deve bruciare tutti gli esemplari di
libro, considerati il germe del disordine e del crimine. Il potere si
serve della televisione, che mantiene i sudditi ebeti e dipendenti dal
dialogo vuoto con lo schermo e dalle pillole. Così fa anche la moglie
del pompiere Guy Montag, Linda, emblema del controllo, della
volontà soggiogata. Il suo contraltare, Clarissa,96 colta
contrabbandiera di volumi, mostrerà a Montag il mondo degli uominilibro: persone che per salvare la lettura si nascondono dal governo e
ripetono a memoria un'opera, di cui sono diventati custodi.
Una prova altrettanto seria, anche se più scanzonata nei toni, è
l'opera di Elio Petri del 1965: La decima vittima. Tratta dal
racconto The Seventh Victim di Robert Sheckley, viene trasformata
per lo schermo da scrittori del calibro di Ennio Flaiano e Tonino
Guerra. È un pastiche fantascientifico buffo e godibile, che oscilla tra
fantapolitica, noir, commedia all'italiana e dramma. La scenografia –
modernissima per i tempi, tra Pop art, iperrealismo, arte informale e
concettuale – è lo sfondo perfetto al connubio tra un avveniristico
cialtrone, l'ossigenato Marcello Mastroianni, e la fin troppo straniera e
marmorea Ursula Andress. Nel mondo è stata indetta una gara, la
Grande Caccia, per limitare la violenza individuale e contenere
l'aggressività, allo scopo di evitare le guerre. In questa competizione
ci sono un Cacciatore e una Vittima: il vincitore è colui che uccide
l'altro. I media sono parte del gioco: in realtà esso è diventato un
grande spettacolo popolare e i suoi partecipanti sono i nuovi idoli
della folla. Così Caroline Meredith (Andress) è giunta alla sua decima
caccia, e progetta di ottenere il titolo di Campione Decathon,
96
I due ruoli di Linda e Clarissa sono interpretati da Julie Christie. Oskar Werner è
invece uno struggente, melanconico Guy Montag.
88
uccidendo la Vittima – Marcello Poletti, fanfarone romano – in un
reality show ante litteram. Imprevisti, cartucce a salve, alligatori e
inconvenienti sentimentali renderanno il compito impossibile da
realizzare: i due, rinunciando alla fama ma anche a un mondo di
guai, fuggiranno insieme. L'amarezza di un futuro da incubo si
stempera nel sorriso: in fin dei conti, forse, l'ironia salverà il mondo.
L'evoluzione della specie.
Magari in chiave umoristica, però Robert Sheckley lo ha sempre
sostenuto: il progresso ha costi che spesso non vengono calcolati e
che ricadono sulle generazioni future. La tecnologia e la scienza
promettono di produrre un uomo migliore: più libero, più sano, più
longevo. Ma anche più intelligente, cioè in grado di potenziare
incredibilmente quella stessa scienza e quella stessa tecnica che lo
hanno reso evoluto. Eppure questo circolo virtuoso "uomo-progressoscienza" sembra pieno di insidie, di effetti collaterali, di conseguenze
non previste. Agli umani piacerà essere quello che saranno? Non
sembra proprio. Nel 1963 La stirpe dei dannati (Children of the
Damned, di Anton Leader) è una pellicola inglese che parla
esplicitamente di un salto evolutivo. Altri bambini, anche qui non
proprio rassicuranti: sono sei, per fortuna di etnie diverse, cosa che
smorza il terrificante effetto "biondo-Villaggio dei dannati". Ma non
sono alieni né mutati, sono solo esseri umani molto evoluti: geniali e
con capacità psichiche eccezionali, con cui si difendono dagli adulti
che vogliono usarli come cavie o come armi da difesa. Inutile dire che
non si difendono a sufficienza: l'uomo odia sé stesso per come sarà,
entra in competizione con se stesso, inconsciamente vuole
distruggersi.
Un'altra storia struggente sul circolo virtuoso è tratta dal bel racconto
di Daniel Keyes, Fiori per Algernon97. È un film di Ralph Nelson del
1968, I due mondi di Charly (Charly). Charly Gordon è un uomo
ritardato, gentile e infantile. Egli accetta di partecipare a un
esperimento per aumentare l'intelligenza umana, che ha avuto sul
topo Algernon risultati sorprendenti. Dopo poche settimane di
sfrenato crescendo, la sua genialità non ha rivali: per questo, quando
si rende conto che Algernon è regredito, si butta nella ricerca per
97
Stirling Silliphant scrive la sceneggiatura e vince il Golden Globe nel 1969. Cliff
Robertson, nella parte di Charlie Gordon, nel 1968 vince l'Oscar come miglior attore
protagonista.
89
trovare una soluzione e bloccare il processo involutivo. Ma è tutto
inutile: il poveretto percepisce che la sua mente si va velocemente
restringendo e torna a casa, rinunciando anche all'amore. Algernon è
di nuovo un topo come gli altri, Charlie un uomo che come gli altri
non è mai stato. È la scelta che si para davanti agli esseri umani,
quando realizzano le possibilità di una portentosa evoluzione.
Intelligenti non vuol dire felici, non vuol dire migliori. Forse la
tecnologia, la medicina, le scienze fisiche e chimiche, la cibernetica,
l'ingegneria, forse tutte queste discipline unite – e altre ancora – non
riusciranno a scongiurare l'inimicizia profonda che l'uomo dimostra
verso se stesso, verso i suoi simili, verso la natura. Crudeltà,
"cannibalismo", autolesionismo: tratti iscritti nel DNA che non
sembrano potersi cancellare.
In questa chiave, verso la fine del decennio compare sullo schermo
una profezia affascinante e contorta: è l'idea di evoluzione che anima
il famoso film di Franklin J. Schaffner del 1968: Il pianeta delle
scimmie (Planet of the Apes)98. George Taylor sbarca con i compagni
su un pianeta misterioso, dove le scimmie hanno sviluppato una
società preindustriale piuttosto evoluta, divisa in tre gruppi – politici,
guerrieri e sapienti – che fanno capo ad altrettante famiglie. Gli
uomini vivono in tribù primitive, sono incapaci di parlare e forniscono
alle scimmie utili cavie per gli esperimenti scientifici. Due scimpanzéscienziati, Cornelius e Zira, difendono l'essere umano perché
confermerebbe la loro teoria, proibita dalla scienza ufficiale: le
scimmie discendono dall'uomo. Ma, per lo stesso motivo, quando il
dottor Zaius scopre che Taylor ha capacità verbali, lo inseguirà per
lobotomizzarlo. Il finale è un'amara sorpresa per il nostro
protagonista, che pure è riuscito a sottrarsi alla cattura. Insomma,
sembra dirci il film, è dura per tutti guardare in faccia la propria
98
Nel film compare come protagonista Charlton Heston. Nel 1969 viene assegnato il
premio Oscar alla carriera a John Chambers (Onorario per il Trucco). I sequel sono
numerosi e deludenti, perlopiù: L'altra faccia del pianeta delle scimmie (Beneath the
Planet of the Apes, di Ted Post, USA 1970); Fuga dal pianeta delle scimmie (Escape
From the Planet of the Apes, di Don Taylor, USA 1971); 1999-Conquista della Terra
(Conquest of the Planet of the Apes, di Jack Lee Thompson, USA 1972); Anno 2670Ultimo atto (Battle for the Planet of the Apes, di Jack Lee Thompson, USA 1973). Sono
nate in seguito anche delle serie tv: Il pianeta delle scimmie, 1974; Ritorno al pianeta
delle scimmie, serie animata, 1975. Del film è stato fatto un remake nel 2001, Il
pianeta delle scimmie (Planet of the Apes, di Tim Burton, USA 2001) e dieci anni dopo
un prequel (un riavvio della serie), diretto da Rupert Wyatt, intitolato L'alba del
pianeta delle scimmie (Rise of the Planet of Apes, di Rupert Wyatt, USA 2011).
90
evoluzione. È dura soprattutto sapere che la parte meno evoluta di
noi (le scimmie che fummo), quando diventa più evoluta di noi (nel
3978, secondo la finzione) si comporta esattamente come noi: male.
Le scimmie sono il rovesciamento ironico del progresso del genere
umano: si tratta di capire se noi umani saremo in grado di adattarci
all'adattamento della specie, che sembra inevitabile.
Nello stesso anno, il 1968, esce per la regia geniale e meticolosissima
di Stanley Kubrick il film 2001: Odissea nello spazio (2001: A
Space Odyssey) uno dei più famosi film della fantascienza di ogni
tempo. Lento e ritmato in modo quasi ossessivo 99, il film descrive in
quattro parti – quasi degli atti teatrali – i paradossi dell'evoluzione.
Nel primo gli scimpanzé-ominidi vivono nelle caverne, raspano una
terra arida e ostile (in gara con i tapiri), uccisi dagli stenti e dalle
belve. Il richiamo di un monolito nero li rende feroci e micidiali 100: in
una parola, umani. Da questo strano oggetto ha origine la storia
umana dei primati e il viaggio della nave spaziale Discovery. In
effetti, la pietra misteriosa101 ricompare milioni di anni dopo, nel
1999, quando, trovata sulla luna da una spedizione scientifica, al
sorgere del sole lancia verso Giove un segnale extraterrestre. Inviata
a seguirne le tracce, la Discovery ha al suo comando David Bowman:
un uomo solido, determinato, però in balia di progetti altrui. È stato
inviato su Giove, ma non conosce il vero scopo della missione. Deve
vedersela con HAL 9000, il calcolatore di bordo, raffinatissimo, ma
psicopatico e omicida, che tenta di uccidere l'intero equipaggio
perché non tollera di aver mentito sulla missione 102. Tutto e tutti – a
suo modo anche il monolito – tentano di neutralizzare Dave. Egli
viaggia fino alla fine del film: dentro e fuori dell’astronave, nello
spazio silenziosissimo; dentro e fuori della sua umanità, padrone e
schiavo al tempo stesso di un computer bugiardo; dentro e fuori del
99
Così parlò Zarathustra di Richard Strauss è il poema sinfonico che accompagna la
scena prima; Sul bel Danubio blu, op. 314, è il valzer di Johann Strauss jr. che
scandisce il moto dei satelliti intorno alla luna secondo una gravitazione rotazionale.
100
Gli ominidi sono dei mimi, diretti dalla coreografia di Daniel Richter (la scimmia
leader), affiancati da vere scimmie nel ruolo dei cuccioli. La specie in questione
doveva essere glabra e nuda, ma si è deciso per una versione anteriore, pelosa e
meno scandalosa.
101
Quando viene ritrovato sulla luna è chiamato (Tycho) Magnetic Anomaly-one.
102
Keir Dullea interpreta David, detto Dave; l'attore teatrale Douglas Rain dà la voce
a Hal 9000 nella versione inglese, mentre nella versione italiana il doppiatore è
Gianfranco Bellini. L'inquietante voce di Hal è rimasta il più famoso simbolo uditivo
(un'icona sonora) nella storia del cinema di fantascienza.
91
tempo – dell'individuo e della specie. Quando riesce a sfuggire al
killer elettronico, risucchiato da un gorgo psichedelico, scende sul
pianeta, vi muore e vi rinasce, trasformandosi in un istante da
vegliardo a bambino primordiale: il feto cosmico.
Il progresso è questo: un perenne oscillare da un'innocenza inerme a
una consapevolezza aggressiva e crudele. Lo rappresenta HAL,
costretto a ingannare i suoi astronauti e perciò a impazzire,
ritornando allo stadio infantile. Lo incarnano gli ominidi, che imparano
a cacciare e a uccidere i loro simili, infierendo sui cadaveri, per poi
evolversi in menzogneri scienziati. Lo interpreta il monolito, presenza
emblematica che sollecita l'uomo, uccidendolo e rigenerandolo
attraverso il tempo. Dave solo sembra immune dall'evoluzione: retto
dal senso del dovere e dall'istinto di sopravvivenza porta avanti la
missione e si rassegna a quel misterioso ricongiungersi di spazio e
tempo, di passato e futuro.
92
Messier 83
distanza dalla Terra: 15 milioni di anni luce
93
La fine dell’uomo? (1970-1979)
«Bel film. E' in programmazione da più di
sei anni».
(Richard Neville in 1975: Occhi bianchi sul
pianeta terra, di Boris Sagal, 1971)
I quadri generali.
Gli anni sessanta si chiudono sulla scena iniziale di 2001: Odissea
nello spazio. È l’alba della società umana e, come si suol dire, il
buongiorno si vede dal mattino. L’ominide peloso colpisce con un
femore calcificato i resti di un tapiro: prima piano, poi più forte, poi
forsennatamente. Schegge ossee esplodono tutto intorno, mentre lo
scimmione scopre i canini, ebbro di gioia crudele, in un crescendo
scandito dalle note imperiose di Così parlò Zarathustra103. Gode della
violenza. Si evolve. Un brivido percorre gli spettatori. È innegabile:
qualche secondo prima il primate sembrava più civile. L'evoluzione
non gli ha giovato. Se abbiamo dato a un osso il potere di stravolgere
i nostri destini e il nostro comportamento, quale potere avranno in
futuro innovazioni ben più sofisticate?
Gli anni settanta trascorrono nel tentativo di scrivere a questa scena
un degno seguito, di ritrarre la specie umana alla fine del processo
evolutivo. Dopo tre anni (1971) ci prova lo stesso Kubrick. Con un
budget ridotto e poche, spartane ambientazioni, il regista gira uno dei
suoi capolavori, Arancia Meccanica104, in cui disegna per l'essere
umano un futuro assurdo che a stento, però, si distingue dal
presente. Tratto dal romanzo distopico di Anthony Burgess (A
Clockwork Orange, 1962), non è propriamente un film di
103
Guarda-la-Luna (uomo scimmia del Pleistocene) ha in mano un femore; è tuttavia
una tibia a roteare in aria, perché Kubrick filma un osso lanciato in cortile (fuori dal
set) e aggiunge un'inquadratura non prevista. La scena è una trovata del regista per
dare l'impressione di due momenti profondamente distanti, prima e dopo
l'evoluzione.
104
Arancia Meccanica (A Clockwork Orange, di Stanley Kubrick, Gran Bretagna 1971),
ottiene quattro nomination agli Oscar del 1972: miglior film, miglior regia, miglior
sceneggiatura non originale e miglior montaggio; fu presentato lo stesso anno alla
Mostra di Venezia. La colonna sonora utilizza brani molto noti di Rossini e Beethoven,
che accompagnano le parti più visionarie.
95
fantascienza, quanto piuttosto un cocktail di generi: fantapolitica,
fantasociologia, drammatico, erotico, grottesco, thriller. Lungo una
serie di azioni e situazioni esasperate, il raccapricciante Alex (Malcolm
MacDowell) e i suoi drughi introducono lo spettatore in una società
dominata dalla violenza, a cui lo Stato offre due alternative: il
condizionamento del pensiero (che impedisce fisicamente di
delinquere) o l'ipocrisia, la finzione della normalità. Alex le prova
entrambe, ma trova la seconda chance di gran lunga più
soddisfacente.
Arancia meccanica è una pietra tombale sul mito del progresso. A
tratti, la realtà supera la fantasia. È vero, le ex-colonie si affacciano a
una nuova vita: spesso, però, con pessime premesse, come
dimostrano i tre milioni di morti della guerra tra il Biafra e la Nigeria.
La crisi in Medioriente si diffonde – dal cosiddetto Kippur, alla guerra
civile in Libano, al tira e molla tra Israele ed Egitto – e sfocia in uno
stato di conflitto permanente. La fame, i cadaveri, i deserti, le
epidemie: i classici cavalieri dell'Apocalisse diventano star televisive,
inchiodano milioni di persone in tutto il mondo di fronte al piccolo
schermo. Il cinema di fantascienza si nutrirà di queste immagini,
traendone macabre idee per disegnare catastrofici futuri. Da parte
sua, l’Occidente è già governato dal sentimento della fine. La
sorprendente conclusione della guerra del Vietnam scardina l’idea
dell’onnipotenza americana. Nello scandalo Watergate viene
incriminato il presidente, depositario della fiducia di mezzo mondo.
Simultaneamente, la crisi economica e poi quella energetica
travolgono i paesi industriali, preludendo a un possibile esaurirsi delle
risorse del pianeta105. Le cose umane – il potere, le istituzioni, le
relazioni, i carburanti, le terre fertili – sembrano destinate a una
conclusione.
Certo, non è tutto finito: piuttosto, sono in atto radicali
trasformazioni, ma verso direzioni sconosciute. I movimenti culturali e
la rivoluzione sessuale suggeriscono alla fantascienza le alternative
possibili: un altro modo di concepire la politica, di affrontare il sesso e
le differenze di genere; altre religioni e devozioni; un'altra maniera di
produrre energia per vivere; una nuova geografia degli insediamenti
umani, dalle zone desertiche alle città verticali. La letteratura di
science-fiction riflette su questi mutamenti scomodando problemi e
105
Si tratta in realtà di una conseguenza della guerra del Kippur in Medio Oriente
(1973); l'OPEC, per protesta contro l'Occidente che appoggia Israele, alza i prezzi del
petrolio greggio causando una crisi energetica mondiale.
96
tabù mai toccati in precedenza: le droghe, il sesso, il razzismo, il
femminismo, il Vietnam. Il genere è dominato dalla New Wave: una
vera e propria corrente nata negli anni sessanta, che non solo ha
dichiarate ambizioni di sperimentazione letteraria, 106 ma intende
affiancare l'esplorazione degli «abissi della mente umana» alla critica
politica e sociale al mondo contemporaneo. Tra la fine degli anni
sessanta e l'inizio dei settanta, il genere acquisisce un prestigio mai
avuto in precedenza. Ormai la fantascienza è un firmamento
costellato da stelle luminosissime, scrutate con entusiasmo dai critici,
dagli accademici, dai registi "seri".107
Sembra una grande vittoria per la categoria. Eppure la corrente New
Wave verrà recepita dal cinema in tempi lunghi e, nella maggior parte
dei casi, in modo superficiale. La fantascienza cinematografica ne
assume alcuni contenuti, rigettandone altri. Intanto, tra gli anni
settanta e gli anni novanta trionfa la spensieratezza e il divertimento
infantile con l'affermarsi delle space operas, le grandi saghe
fantascientifiche. Tra le più importanti figurano Guerre Stellari (Star
Wars, di George Lucas, USA 1977), Star Trek (di Robert Wise, USA
1979) e Interceptor (Mad Max, di George Miller, Australia 1979).
Guerre stellari è la più famosa delle space operas: considerato dalla
critica un vero orrore, è nondimeno un pezzo significativo della storia
del genere. Sui sudditi di un sistema solare sconosciuto governa un
tirannico impero galattico. La principessa Leila guida la resistenza ma
viene rapita e imprigionata: in suo aiuto – grazie agli insegnamenti di
106
La New Wave spinge molti scrittori a imitare i modelli delle avanguardie del
postmodernismo, e a tralasciare lo stile da letteratura di consumo. Nascono riviste
specialistiche di critica sulla fantascienza, come «Science-Fiction Studies»,
«Foundation ed Extrapolation». Vengono però delusi i fan della fantascienza
tradizionale, che trovano i nuovi autori troppo cervellotici e angoscianti.
107
Nel Regno Unito la rivista «New Worlds» di Michael Moorcock scopre scrittori
come James G. Ballard, Brian W. Aldiss, John Brunner. Sono uomini che non si
sentono professionisti del genere, ma veri artisti: Ballard, per esempio, rifiuterà con
sdegno l'etichetta di autore New Wave. Negli Stati Uniti Harlan Ellison cura due
antologie (Dangerous Visions e Again, Dangerous Visions) che fanno epoca, insieme
con i loro autori: Philip K. Dick, Robert Silverberg, Philip José Farmer, Roger Zelazny,
Norman Spinrad, R. A. Lafferty, Gene Wolfe. Gli autori del New Wave pescano anche
tra le cosiddette minoranze: Samuel R. Delany è nero; Thomas Disch e Delany sono
gay dichiarati; Joanna Russ, Kate Wilhelm o Ursula Le Guin sono donne. Altre scrittrici
di questi anni sono Lois McMaster Bujold, Marion Zimmer Bradley, Doris Lessing (con
il ciclo fantascientifico di Canopus in Argos: Archives) e Alice Sheldon, che fino al
1977 scrive sotto lo pseudonimo maschile di James Tiptree Jr.
97
un anziano cavaliere Jedi, Obi-Wan Kenobi – accorrono il giovane
Luke Skywalker, l'avventuriero Ian Solo (Harrison Ford) con il Wookie
Chewbecca (alieno dalle sembianze di scimmione) e due simpatici
robot. Dopo il duello tra Obi-Wan e Dart Fener, cavaliere del Lato
Oscuro della Forza, la truppa salva la principessa e sconfigge il male
cosmico. Star Wars è uno dei film che più hanno influenzato
l'industria cinematografica, non solo per lo spiegamento straordinario
di effetti speciali108: è una favola mitica che sa attingere ai vecchi
fumetti di fantascienza (Flash Gordon, Buck Rogers), all'epica e alle
saghe letterarie occidentali e orientali, ai grandi registi del passato
(da Ejzenštejn a Kurosawa), e perfino alla pittura surrealistica
medioevale (per la scena del bar intergalattico) di Hieronymus Bosch.
Recensioni ancora peggiori ha avuto il primo Star Trek, per cui la
Paramount ha speso quaranta milioni di dollari nel tentativo di
riproporre un episodio dell'omonimo serial tv (settantanove episodi,
1966-68). Nel 2300 circa, a bordo della nave spaziale Enterprise, il
vecchio equipaggio affronta un oscuro nemico diretto verso il pianeta
Terra. Troppi effetti speciali, lunghi e noiosi dialoghi, un ritmo
soporifero, attori non indimenticabili, un lieve riscatto al momento del
finale: più che un film, un matrimonio.
È l'inizio di una saga fantascientifica (ma non spaziale) anche
l'australiano Mad Max, che in Italia viene intitolato Interceptor dal
nome dell'avveniristica macchina V8 del protagonista Mel Gibson.
Gibson è ovviamente un duro-ma-buono che combatte contro i
motociclisti pirati in un terribile, desertico mondo futuro. La pellicola
non è un capolavoro, ma perlomeno non sembra di entrare in una
cesta di giocattoli, come accade per le space-operas: Miller
suggerisce una sua idea – non idilliaca – della società futura. Intanto,
108
Il film ottiene uno dei più alti incassi nella storia di Hollywood e ben cinque Oscar:
scenografia, musica, montaggio, costumi, effetti visivi più un Oscar speciale per gli
effetti sonori (il primo in Dolby SVA–Stereo Variable Area su sei piste). È in realtà il
quarto episodio di una saga che prevede nove film. Seguono L'impero colpisce ancora
(Star Wars: Episode V - The Empire Strikes Back, di Irvin Kershner, USA 1980), Il
ritorno dello Jedi (Star Wars: Episode VI – Return of the Jedi, di Richard Marquand,
USA 1983), cioè il quinto e il sesto episodio in ordine cronologico. Poi è Lucas a girare
ancora i seguiti: Star Wars. Episodio I: La minaccia fantasma (Star Wars: Episode I The Phantom Menace, di George Lucas, USA 1999), Star Wars. Episodio II: L'attacco
dei cloni (Star Wars: Episode II – Attack of the Clones, di George Lucas, USA 2002),
Star Wars. Episodio III: La Vendetta dei Sith (Star Wars: Episode III – Revenge of the
Sith, di George Lucas, USA 2005). Guerre stellari viene ridistribuito nel 1997 in
un'edizione speciale con contenuti extra.
98
negli anni settanta il tema preferito dei registi restano le proiezioni
catastrofiche, oppure le utopie negative della fine dell’uomo sospese
tra presente e futuro. E, negli agghiaccianti futuri che lo aspettano, il
genere umano è sempre il peggior nemico di se stesso.
La lotta eterna con le macchine che l’uomo ha costruito è la miglior
dimostrazione dell'autolesionismo umano. Mentre Intel produce il
4004, il primo microprocessore della storia, e i calcolatori si
apprestano a entrare nell'universo domestico, il cinema dà spazio ai
loro colleghi, i robot che da pittoresche figure di contorno si
candidano a protagonisti dei film di fantascienza. In questi anni, essi
subiscono un processo di umanizzazione, che annuncia la comparsa
di androidi e cyborg, ibridi tra macchina e uomo, ma non per questo,
la relazione tra creatore e creatura sarà meno burrascosa. In 2001:
Odissea nello spazio il computer di bordo HAL 9000 ha inaugurato un
vero e proprio stile di resistenza attiva agli umani destinato a fare
scuola.
Il viaggio spaziale non viene abbandonato, ma riproposto e coltivato
con molta cura dal grande schermo. In omaggio alla New Wave – e
alla tradizione inaugurata con Il pianeta proibito – la macchina da
presa racconta due tipi di spedizione: verso i confini estremi
dell'universo noto e verso l'inconscio dell'essere umano, un'interiorità
che può rivelarsi tanto sconosciuta e ostica quanto un pianeta
inospitale. Ovviamente, un percorso non esclude l'altro. Si può anche
cambiare galassia per poi scoprire che i problemi che ci portiamo
dietro – i mostri dell'id, i fantasmi della coscienza – sono sempre gli
stessi. Il cinema degli anni settanta insegna proprio questo: nessun
posto è come casa propria (no place like home). Ovvero: nessun
luogo è così oscuro e perverso come la propria mente, così
impenetrabile e allo stesso tempo capace di produrre nefandezze.
Verso la fine del decennio, in effetti, questa idea già inquietante
conosce uno sviluppo ulteriore: l'alieno più terribile si annida dentro
di noi. Può covare nella pancia dei terrestri e trovarcisi bene. È vero,
ci sono anche gli extraterrestri miti e amichevoli, quelli del grande
mago dell'intrattenimento, Steven Spielberg. Ma Alien, il capolavoro
di Ridley Scott, lascia negli spettatori la sensazione che i contatti UFO
e i rapimenti alieni siano solo favole per ragazzi: mentre l'ospite che
abita l'astronave di Sigourney Weaver è indubitabilmente qualcosa di
serio, per soli adulti, e non solo perché non indossa vestiti. È l'alieno
di nuova generazione. Dopo di lui nessuno guarderà più un condotto
di raffreddamento dell'aria nello stesso modo.
99
Prima e dopo la catastrofe.
Nel cinema di fantascienza degli anni settanta il futuro e la catastrofe
si sovrappongono e si confondono molto spesso. Il catastrofismo
classico – l'evento terribile scongiurato – perde un po' di interesse.
Anche un film ben confezionato come Andromeda (The Andromeda
Strain), diretto nel 1971 da Robert Wise da un'idea del grande
romanziere fanta-tecnologico Michael Crichton, diverte, stupisce,
affascina talvolta, ma non stimola alla riflessione. L'epidemia arriva
dallo spazio a bordo di un satellite artificiale, uccide un intero
villaggio ma non resiste al pH dell'atmosfera: belle immagini e bella
musica ma anche molto, moltissimo rumore per nulla.
I registi sembrano un po' stufi di queste apocalissi annunciate. Sono
piuttosto attirati a rappresentare un meccanismo semplice ma
efficace: che cosa può succedere quando la civiltà viene azzerata,
magari da un evento esterno? Nel 1970 il regista Cornel Wide dà
inizio al filone con il film 2000: la fine dell'uomo (No Blade of Grass).
Le risorse agricole del pianeta si esauriscono a causa di un virus delle
piante. Le grandi città sono le più colpite: gli abitanti sfollano verso le
campagne. Una famiglia londinese si mette on the road, e affronta la
sua odissea in una società stravolta.
Famosissimo e simile nei contenuti è un film del 1973 di Richard
Fleischer: 2022: I sopravvissuti (Soylent Green). Una coppia di grandi
attori – un ancor giovane Charlton Heston e un superlativo Edward G.
Robinson al suo ultimo ruolo – interpretano il romanzo Make Room,
Make Room! (1966) di Harry Harrison109. Nel 2022 sono ormai
esaurite le risorse del pianeta, desertico e surriscaldato. New York ha
40 milioni di abitanti: i più dormono per le strade e si cibano di un
plancton sintetico, il Soylent. Il poliziotto Thorn scopre da un
rapporto oceanografico che il plancton non esiste più e tenta di capire
che cosa stanno davvero mangiando gli esseri umani. L'intreccio è
confuso, ma l'atmosfera apocalittica è splendida, anche grazie al
ruolo commovente di Robinson: è l'uomo-libro Solomon Roth (Sol)
che, dopo la morte di ogni tecnologia avanzata (manca la corrente!),
109
La sceneggiatura, di Stanley R. Greenberg, è ispirata a una ricerca del
Massachusetts Institute of Technology, svolta per conto del Club di Roma e
pubblicata nel Rapporto sui limiti dello sviluppo (The Limits to Growth, 1972). Essa dà
ufficialmente inizio alla «questione ambientale» riferita all'intero pianeta.
100
fa ricerche a pagamento su libri e manoscritti tenendo viva la
memoria del vecchio mondo. La fine è tetra e scontata e, senza dare
spazio a una vera soluzione, suggerisce qualcosa che già
sospettiamo: dopo aver davvero dato fondo alle risorse del pianeta,
gli esseri umani si piaceranno a vicenda ancora di più. In fondo, sono
pur sempre onnivori.
Nel 1971 Boris Sagal gira un film considerato un grande classico dagli
appassionati del genere. Il titolo italiano è – una volta tanto – bello e
inquietante: 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man),
ma la storia viene dal romanzo di Richard Matheson Io sono
leggenda110. Il film di Sagal è migliore degli altri due tratti da
Matheson, anche grazie all'interpretazione superba di Charlton
Heston nei panni del medico salvatore dell'umanità, Richard Neville.
Neville è l'Omega man, l'ultimo essere davvero umano a Los Angeles
(così crede) dopo un'apocalisse batteriologica che ha sterminato
l'intero genere. La sua solitudine è fatta di rituali tragici: la partita a
scacchi con il manichino, il vestito per il pranzo della domenica, la
proiezione di Woodstock (che conosce a memoria, tra nostalgia e
sarcasmo) in un cinema deserto. Oltre a lui, però, sopravvive la
Famiglia: una specie di setta "genetica" di individui mutati, non più
umani, che i veleni della guerra batteriologica hanno reso albini,
fotofobici, psicotici e feroci. Il capo è Matthias (Anthony Zerbe), l'ex
giornalista televisivo che aveva dato l'allarme batteriologico a masse
ormai cadaveri. Asserragliato nel municipio cittadino, dal tramonto
all'alba questo gruppo fuoriesce per distruggere i resti della civiltà
tecnologica, anche quelli umani. Luce e buio, luce e buio: nelle
tenebre, i vendicatori sono bianchi con gli occhiali scuri. Hanno
qualche ragione a prendersela con chi ha ridotto la terra in quel
modo: questo però rende le notti del nostro eroe solitario più
complicate del dovuto. La speranza arriva da due direzioni diverse.
Primo: ci sono altri umani che la malattia non ha completamente
mutato. Poi, Neville ha sperimentato su se stesso un vaccino che
pare arrestare la malattia, cioè la mutazione batteriologica. Peccato
110
I am legend è un romanzo del 1954. Dallo stesso soggetto è già stato tratto nel
1964 L'ultimo uomo della Terra (The Last Man on Earth, di Ubaldo Ragona, Sidney
Salkow, USA, Italia 1964), una produzione italoamericana alla cui sceneggiatura
partecipa lo stesso Matheson: un film non ignobile, con un Vincent Price, un po'
caricaturale. Nel 2007 verrà girato invece il pessimo remake Io sono leggenda (I Am
Legend, di Francis Lawrence, USA 2007). Il film è ambientato nel 1977, due anni dopo
la guerra tra Cina e Russia che ha causato una catastrofe chimico-batteriologica.
101
che la Famiglia non ne voglia sapere di ritornare del tutto umana.
Come darle torto? Il film è pittoresco ma lineare, asciutto, pieno di
ritmo; mozza il respiro, ma per brevi tratti. Non si perde in fronzoli.
Dà paura, dà speranza. Toglie il sonno.
Il futuro immaginato.
Nessun brivido, invece, per altri film, sia pure di tutto rispetto, come
L'uomo che fuggì dal futuro (THX 1138) del regista di Guerre Stellari,
George Lucas. Girato nello stesso anno di Occhi bianchi, il 1971, è
una classica distopia (utopia negativa) iperpessimistica. Una società
talmente allucinante da sembrare assolutamente improbabile; una
spersonalizzazione totale degli individui, ridotti a numeri di matricola,
addomesticati dalle droghe; un annientamento dei sentimenti, delle
idee, delle pulsioni sessuali. Ogni devianza è punita in «olovisione», il
controllo è totale: in questo clima paranoico, tutti si spiano, si
sospettano e si tradiscono. È una ricetta monumentale nella sua
ossessiva perfezione, a cui mancano misura e ironia. Non basta il
bravissimo Robert Duvall (TX 1138) – che ovviamente fugge da quel
futuro dopo aver concepito un bambino illecitamente – a dare allo
spettatore almeno un appiglio per immedesimarsi nella storia. Non è
un caso che due anni dopo Woody Allen ne faccia un'azzeccata
parodia del film Il dormiglione (Sleeper, 1973)111. Miles Monroe,
ristoratore e clarinettista ibernato per errore, si sveglia nel 2173, in
una società analoga a quella di Lucas, dove il dittatore, di cui è
rimasto solo il naso, cerca di sopprimere la scarsa resistenza e quindi
il nostro eroe. È una pellicola buffa, con una splendida Diane Keaton
nel ruolo della poetessa Luna e Allen che, nel ruolo di Miles, è
costretto a interpretare un robot-servitore con un rovesciamento
comico in cui l'uomo si sostituisce alla macchina).
Alla comicità di Woody Allen fa riscontro quella, del tutto involontaria,
di un'altra pellicola: il film di John Boorman del 1974, Zardoz. Zardoz
è il nome di un idolo112, una grande testa volante che controlla e
minaccia il genere umano, per conto di una potente casta di
immortali. Essi dominano gli uomini con l'aiuto di un manipolo di bruti
in grotteschi mutandoni rossi, gli Sterminatori. Il capo-sterminatore,
111
Nel 2000 l'American Film Institute gli ha assegnato l'ottantesimo posto nella
classifica delle migliori cento commedie americane di tutti i tempi.
112
L'idea generale deriva da L. Frank Baum, autore del romanzo Il meraviglioso mago
di Oz (1901). La parola «Zardoz» significa «(The Wi)zard (of )Oz».
102
Zed – un terribile Sean Connery in trecce, baffi a manubrio e slip
color rubino – si ribella e riporta la conoscenza della mortalità agli
immortali – annoiati della loro condizione – e la dignità ai propri
simili. Divenuto un cult soprattutto tra gli amanti del kitsch, il film ha
pretese filosofiche e sociologiche che non riesce a soddisfare. In
effetti, il budget molto basso non giustifica la volgarità della
sceneggiatura, gli effetti psichedelici di quart'ordine, la trama
confusa, la recitazione esasperata. La verità è che, pur trattandosi di
un vero incubo, la società prospettata dall'avventuroso John Boorman
è meno brutta del film stesso.
Se Zed non è credibile nella parte di salvatore del mondo, il genere
distopico può però vantare due ribelli di ben altra serietà. Il primo è
l'eroe di un film del 1975, carico di tensione: Rollerball, di Norman
Jewison113. Jonathan E. è un campione veterano di rollerball, uno
sport praticato nell'anno 2018, quando sul pianeta sono scomparse le
nazioni, e con esse la povertà, le guerre e il crimine; a governare e a
controllare tutto sono le Corporazioni dirette da Dirigenti onnipotenti.
Ogni difformità è repressa. Il rollerball è l'unico sfogo concesso alle
masse: prevede due squadre di pattinatori e motociclisti che
all'interno di una pista circolare devono infilare una sfera di acciaio in
una buca magnetica. È un massacro, una semina di cadaveri; in
realtà tutti gli uomini, non solo i giocatori, sono carne da macello per
le Corporazioni. Il sistema prevale fatalmente sull'individuo, gli
organizza la vita secondo i propri capricci, senza reali ragioni:
Jonathan non ci sta, si ribella al suo ritiro e, dopo aver cercato
risposte che non trova, scende comunque in pista a giocare la partita
finale.
Il secondo eroe, reso celebre da una serie televisiva omonima negli
anni 1977-78 è il protagonista di un film del 1976: La fuga di Logan
(Logan's Run, di Michael Anderson)114. Nel 2274 i sopravvissuti a una
guerra nucleare vivono sotto una cupola «bioecologicamente»
bilanciata una vita negli agi e nei divertimenti, controllata e
automatizzata da un computer. In realtà tutti gli abitanti sono cloni
che vengono eliminati a trent'anni di età per far posto ai successori.
113
Nel 2002 viene girato un remake molto più deludente, diretto da John McTiernan.
Nel 1976 ottiene per i Saturn Award il premio come miglior film di fantascienza;
migliore fotografia a Ernest Laszlo; migliore scenografia a Dale Hennesy e Robert De
Vestel; migliori costumi a Bill Thomas e miglior trucco a William Tuttle. Nel 1977
guadagna l'Oscar per i migliori effetti speciali (Oscar Speciale) a L.B. Abbott, Glen
Robinson e Matthew Yuricic.
114
103
Anche qui c'è uno spettacolo di grande successo, il Carousel, dove la
morte in diretta viene spacciata per rinascita e rigenerazione. Logan 5
(il quinto clone dell'originale Logan) ha il curriculum standard di tutti
gli eroi che combattono contro società future aberranti: è un custode,
una guardia del conformismo, che vive in seno al sistema ma che
finisce col dubitare e combattere. E fugge: fuori dalla cupola, guarda
caso, il mondo inizia a rigenerarsi. Bisogna ammetterlo, però: reduci
da futuri invivibili, con la fatica che fanno, i protagonisti dei film di
fantascienza si meritano pienamente il lieto fine.
Outer space-inner space?
In un celebre articolo dal titolo Which way to innerspace? (Qual è la
strada per lo spazio interiore?) pubblicato nel 1962 su New Worlds,
James G. Ballard inventa il termine «innerspace» (letteralmente
spazio interno): «I maggiori progressi dell'immediato futuro avranno
luogo non sulla Luna o su Marte, ma sulla Terra; è lo spazio interiore,
non quello esterno, che dobbiamo esplorare. L'unico pianeta
veramente alieno è la Terra». Se negli anni sessanta la fantascienza
cinematografica è certamente troppo acerba per recepire il suo
appello, nei settanta, quando il genere esplode e conquista il grande
pubblico, la lezione di Ballard viene accolta solo a metà.
I registi sono riluttanti ad abbandonare gli argomenti cari alla
fantascienza classica: il viaggio, in fondo, è uno dei temi che ancora
suscitano l'attenzione del pubblico. Il grande schermo si accorge che
con rivoluzione tecnologica è mutata la concezione dello spazio. La
terra è rimpicciolita: il Boeing 747 dà inizio ai voli commerciali, il
mitico Concorde entra in servizio con tutte le ambizioni di un mezzo
avveniristico, sebbene di extra-lusso. Il cosmo è più vicino: nasce
l'Enterprise, il primo prototipo di space shuttle, e vengono lanciate ai
confini del nostro sistema solare due delle prime sonde spaziali,
Voyager 1 e Voyager 2. Molto denaro viene ancora investito in questo
settore, anche se il mito della conquista spaziale si è almeno in parte
dissolto dopo l'allunaggio.
Ma il viaggio nei primi anni settanta viene celebrato da un film che
con l'avventura spaziale ha poco a che fare, mentre riporta in auge,
come avveniva nel Pianeta proibito, i mostri dell'id. La pellicola, del
1972, è opera del grande regista russo Andrei Tarkovskij: Solaris
104
(Солярис, Soljaris)115. Il titolo viene dal nome di un pianeta il cui
l'oceano pensa e accoglie i suoi visitatori terrestri – gli astronauti di
una stazione orbitante – rendendo reali i fantasmi della loro
coscienza: ricordi, desideri e rimpianti. Nel caso del sociopsicologo
Kris Kelvin, giunto lì per "dismettere" la colonia, si tratta della moglie
Hari morta suicida. Gli "ospiti" minano la salute mentale dei terrestri e
rischiano di sterminarli; spariscono all'improvviso quando, grazie a
Kelvin, si stabilisce un contatto positivo con il troppo creativo oceano
di Solaris. Il nostro eroe, tuttavia, non rinuncia al benessere che la
finta moglie gli ha restituito: si consegna spontaneamente al mare,
scegliendo di non tornare sulla terra e di vivere circondato dalle
proiezioni del proprio inconscio (la dacia, la moglie, i genitori). Con il
suo film Tarkovskij non riesce a ottenere il successo di pubblico
sperato, né nel suo paese né oltre la cortina di ferro. Il film è
formalmente bellissimo – ogni sequenza di immagini è una poesia
carica di simboli – la fotografia è perfetta, ma il ritmo è lentissimo e i
contenuti filosoficamente troppo densi per un'opera di fantascienza. Il
regista ci riproverà nel 1979 con Stalker (Сталкер). Tre cercatori
(due intellettuali e uno stalker) percorrono una Zona aliena alla
ricerca di una "stanza dei desideri", in cui all'ultimo non oseranno
entrare. È un film che della fantascienza ha solo l'ambientazione e le
suggestioni, ma che sembra piuttosto una lunga predica sull'esistenza
confezionata in superlative immagini.116
Robot, androidi e cyborg.
Il mondo dei robot (Westworld, di Michael Crichton, USA 1973)117
è un film scritto e diretto dal genio del futuribile e dei paradossi
fantascientifici. Il tema è quello ormai classico della macchina che si
115
Il film è tratto dal romanzo del 1961 del polacco Stanisław Lem. Ha vinto il Gran
Premio Speciale della Giuria al 25º Festival di Cannes. Nel 2002 Steven Soderbergh
ne gira un remake omonimo con George Clooney, piuttosto deludente.
116
Il suo esatto opposto è girato lo stesso anno in occidente: Il buco nero (The Black
Hole, di Gary Nelson, USA 1979), prodotto da Walt Disney. La pellicola sfoggia attori
celebri (Maximilian Schell, Anthony Perkins, Robert Forster, Ernest Borgnine) e
grandiosi effetti speciali: per il resto, manca un contenuto che vada oltre uno
scienziato pazzo di altri tempi e un'astronave ostaggio.
117
Il mondo dei robot è noto come il primo film con effetti speciali realizzati (anche)
con grafica computerizzata. Si ritiene che sia stato il primo a parlare di virus in
relazione a dei computer in rete. Il film ebbe un seguito tre anni dopo, Futureworld2000 anni nel futuro (Futureworld, di Richard T. Heffron, USA 1976).
105
ribella all'uomo, ma collocato in uno scenario decisamente originale.
Come avverrà per Jurassic Park, anche qui Chrichton mette in scena
creazioni umane credute perfette – in questo caso, androidi supersensibili – che sono minacciati da effetti collaterali imprevisti (un virus
informatico). I robot, soprattutto un terribile Yul Brynner nella parte
del Pistolero118, mettono a ferro e fuoco un parco divertimenti che
ricrea perfettamente tre mondi perduti: l'antica Roma, il Medioevo, il
Far West. Il film diventa un cult, anche per l'eredità che lascia a
un'altra celeberrima pellicola, Terminator: l'idea delle macchine che
progettano altre macchine contro l'uomo – uno scherzo amaro del
progresso tecnologico – e sequenze come l'inseguimento finale in
"soggettiva" del robot-Pistolero che si distrugge progressivamente
rivelando il meccanismo interno.
Nel 1974 viene girato dal regista Michael Hodges il film L’uomo
terminale (The Terminal Man), la cui sceneggiatura è tratta da un
altro romanzo di Michael Crichton. Qui Harry Benson, un uomo che
soffre di epilessia psicomotoria, amnesie momentanee e sporadici
attacchi di violenza, viene scelto da un team di scienziati e medici per
un esperimento che si rivelerà a dir poco fallimentare: l'impianto di
un computer per controllare e moderare le crisi epilettiche. In realtà il
terminale prenderà il sopravvento trasformando un personaggio già
problematico in uno psicopatico assassino e maniaco sessuale.
Più divertente, senza dubbio, è il film Dark Star (1974), il primo
lungometraggio del grande John Carpenter, il cui approccio
all'intelligenza artificiale si rivela ironico e dissacrante. In uno
sconosciuto sistema solare, i membri dell'astronave Dark Star devono
far piazza pulita di stelle e pianeti instabili. Per la verità gli instabili
sono loro: schizofrenici, ossessivi ed esaltati, hanno conversazioni e
passatempi del tutto surreali, anche per dei viaggiatori spaziali. Il loro
problema è la bomba 20, innescata e riportata a bordo già molte
volte: ora si è stufata e vuole proprio esplodere, ma non può essere
sganciata o fatta brillare all'esterno. L'equipaggio si esibisce in
tentativi di raffinata retorica persuasiva, ma la bomba ribatte con la
caparbietà di un mulo (o di HAL 9000) secondo il noto motto del
filosofo Cartesio: «Penso, dunque sono». L'ordigno sa di essere una
macchina pensante, dunque, e rivendica la possibilità di
autodeterminarsi e di esplodere in piena coscienza. In questa buffa
118
Brynner indossa nel film gli abiti di scena da lui stesso usati nel 1960 per I
magnifici sette(The Magnificent Seven, di John Sturges, USA 1960).
106
prova d'autore, Carpenter rivela il suo talento e dà ufficialmente inizio
alla primavera dei diritti delle macchine.
I nuovi alieni.
Come i robot, anche gli alieni degli anni settanta reclamano una
qualche forma di riconoscimento. Nel 1976 la rockstar androgina
David Bowie interpreta in maniera impeccabile un film altrimenti
insipido e deludente, L'uomo che cadde sulla Terra (The Man Who
Fell to Earth, di Nicolas Roeg, Gran Bretagna 1976), in cui è però
ormai chiara l'immedesimazione del regista-narratore con l'alieno.
L'extraterrestre Bowie mira a tornare sul proprio pianeta, devastato
dalle guerre nucleari, con un astronave costruita da un suo
impiegato, Nathan Bryce. Non è tipo da scatenare odio xenofobo: è
un biondo gentiluomo che, con il nome di Thomas Jerome Newton e
nove brevetti in tasca, si è arricchito con la tecnologia aliena.
Sarebbe irreprensibile, se non fosse un alieno alcolista: ma questo
vizio non fa che denunciare la sua solitudine e una tenera nostalgia
per la terra d'origine. Peccato: per gli esseri troppo sensibili, da
qualunque posto provengano, non c'è lieto fine. CIA e FBI lo
catturano e lo seviziano, secondo umanissime consuetudini. L'unica
consolazione è che il romanzo omonimo – scritto nel 1963 da Walter
Tevis – è molto più triste.
Gioioso e pieno di speranza è invece il film del 1977 di Steven
Spielberg: Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters
of the Third Kind)119. È una specie di premessa a E.T., ma per
adulti. Dopo due contatti e parecchi rapimenti misteriosi, nel
Wyoming si aspettano gli UFO. Ed essi arrivano, per una volta con
ottime intenzioni, sconvolgendo le vite di un padre di famiglia
(Richard Dreyfuss), di una madre di cui rapiscono il bimbo (ma
vogliono solo farlo giocare!) e di uno scienziato francese (François
Truffaut). Con la fotografia di Vilmos Zsigmond (unico premio Oscar
su quattro candidature), gli effetti speciali di Douglas Trumbull, gli
automi di Carlo Rambaldi e il set più grande del mondo (una vecchia
119
Il titolo è preso da un'espressione dell'astrofisico e ricercatore ufologico Josef
Allen Hynek, che nel 1972 ha definito «incontro ravvicinato del terzo tipo» come
un'osservazione di «esseri animati» in associazione con un avvistamento di UFO. Il
film è vincitore di due premi Oscar (fotografia e effetti sonori) e un David di
Donatello (miglior film straniero).
107
rimessa per dirigibili), la pellicola risulta un capolavoro di pulizia
visiva, perfezione scenografica, tensione drammatica.
Non è stato saggio, tuttavia, fare l'abitudine a extraterrestri
ragionevoli. Nel 1979 il regista Ridley Scott gira il suo primo
capolavoro di fantascienza120: nasce così Alien, il più brutto e il più
cattivo della storia dell'universo. In un satellite, dal quale è stata
chiamata in soccorso l'astronave Nostromo con il suo equipaggio, tre
sfortunati astronauti trovano una mostruosa belva "Regina" con le
sue uova, che stanno schiudendo. Di ritorno sulla Nostromo, uno di
loro, Kane, viene attaccato da un piccolo della nidiata: è un facehugger, una specie di seppia-gamberone grigiastro che aderisce alla
faccia dell'involontario ospite per introdurgli, mentre il poveretto è in
coma, un altro uovo in bocca. Kane cova per conto del parassita,
senza saperlo. Quando il ciclo riproduttivo è concluso, l'ovetto si
schiude a sua volta e il neonato fuoriesce dalla pancia del contenitore
umano, mentre questo sta pranzando tranquillo in sala mensa. In
poche ore, braccato con pessimi risultati dall'equipaggio per tutta
l'astronave, il cuccioletto muta in un mostro zannuto, alto più di due
metri, che non mostra nessuna gratitudine per il passaggio
intergalattico che sta prendendo dai terrestri. Mentre tutti lo
inseguono con lanciafiamme e fucili Taser (immobilizzatori), Alien
trascina e uccide nei condotti di raffreddamento il comandante Dallas
e il tecnico Brett. Il mostro ha un alleato insperato: l'ufficiale
scientifico cyborg Ash, che tutti credono umano, e che ha ricevuto
ordini dalla «Compagnia» per cui lavorano perché lo porti vivo sulla
terra, dove potrebbe essere usato come arma biologica. Ai piani di
Ash e dei suoi padroni si ribella Ellen Ripley, l'ufficiale in seconda:
una Sigourney Weaver, androgina e potente, il cui sguardo castano –
vigile, ma perplesso e seccato – ha fatto storia nel cinema di
120
Il film ha dato origine a film e anche a fumetti che hanno come protagonista la
specie aliena parassita, identificata come «xenomorfa» ("di forma estranea"). Alien è
il primo film della serie. Ha avuto tre sequel, con Sigourney Weaver come
protagonista: Aliens - Scontro finale (Aliens, di James Cameron, USA 1986), Alien3 (di
David Fincher, USA 1992) e Alien: la clonazione (Alien Resurrection, di Jean-Pierre
Jeunet, USA 1997). Sono stati girati anche due prequel-spin off, Alien vs. Predator (di
Paul W. S. Anderson, USA 2004) e Alien vs. Predator 2 (Alien vs. Predator: Requiem, di
Colin Strause e Greg Strause, USA 2007), ambientati centinaia di anni prima rispetto
al primo film, che si incrociano con un'altra serie cinematografica, Predators, che
racconta di altri feroci alieni predatori. Nel 2012 è uscito Prometheus (di Ridley
Scott, USA 2012), un prequel/spin-off collegato con l'universo di Alien e Predator, ma
dove non compaiono le rispettive creature.
108
fantascienza. Ripley non riesce a salvare gli ultimi compagni di
sventura, Parker e Lambert, che vengono smembrati dal predatore
extraterrestre: perlomeno, però, dopo aver espulso il mostro dalla
navetta di salvataggio, torna a casa col gatto Jones.
Alien rivela in ogni dettaglio differenze abissali con i film precedenti.
Le ambientazioni gotiche, di color grigio scuro, contrastano con il
"bianco NASA" di tutte le altre missioni spaziali. L'architettura della
nave è innovativa: non un insieme di forme geometriche regolari,
come le altre astronavi, ma un unico, labirintico corridoio, dove
qualunque cosa può strisciare e infrattarsi nell'ombra. I disegni
allucinati dello svizzero H. R. Giger (il pianeta, il relitto alieno, i
mostri) mescolano la materia inorganica e quella viva: questa
«architettura biomeccanica» progetterà in futuro per il cinema molti
altri fantascientifici bestioni, molte altre scenografie, satelliti, shuttle,
condotti di raffreddamento. E poi c'è lei, Ripley, un'eroina atipica
anche per la fantascienza. È l'esatto contrario di una caricatura
femminile. È asciutta, nervosa, tenacissima, di poche parole. Non è
materna: è leale con i compagni. È bella, ma non esplicitamente
sexy. Non è moglie o fidanzata di un eroe, non è una femme fatale
(se non, alla fine, per Alien). Ed è protagonista indiscussa. Con
questo, Ripley distrugge tutti i cliché della donna nella fantascienza.
Alla fine del decennio, la giovane ufficiale terrestre e il suo
impegnativo cucciolo di alieno sono i veri testimoni del cambiamento
del cinema.
109
Orione
distanza dalla Terra: 1.270 anni luce
111
Incubi, visioni, paradossi (1980-1989)
«Gli insetti non hanno diplomazia, sono
molto brutali, non hanno comprensione,
non hanno compromessi: non c'è da fidarsi
degli insetti. Io, invece, avrei voluto
diventare il primo insetto politico. Io... sto
dicendo che sono un insetto che aveva
sognato di essere un uomo e gli era
piaciuto. Ma adesso il sogno è finito, e
l'insetto è sveglio».
(Seth Brundle in La mosca, di David
Cronenberg, 1986)
I quadri generali.
«Congratulazioni Starfighter! Sei stato reclutato dalla Lega Stellare
per difendere la frontiera contro Xur e l'armata di Ko-dan!». Così Alex
viene salutato dal suo videogioco «sparatutto» preferito, un
simulatore di guerra aerospaziale alle navi aliene. Alex è un giovane
sognatore della provincia americana che nella vita non ha quasi nulla,
tantomeno le belle speranze. Non sa però che il suo passatempo
elettronico è in realtà un simulatore, appositamente ideato per
selezionare piloti. Grazie alla sua abilità, il ragazzo viene reclutato
come Starfighter nella squadra Gunstar, per la difesa dei confini della
galassia e della Lega Stellare. Ovviamente, come recita il titolo
originale del film121, resterà l'ultimo nell'intera Via Lattea a respingere
Xur122. È la quintessenza del sogno americano, che negli anni ottanta
travolge anche la fantascienza. Tutto è possibile, in teoria: anche per
quelli che sembrano davvero esclusi dai giochi e che reclamano la
loro chance. Per dare una svolta alla propria esistenza, là fuori ci
sono interi sistemi solari.
Al cinema tutto sembra parlare delle occasioni (perdute o colte al
volo) che la vita offre ai giovanotti di buona volontà: perfino i
121
Giochi stellari (The Last Starfighter, di Nick Castle, USA 1984)) è un film di
fantascienza passato alla storia del cinema come uno dei primi film a utilizzare
interamente la grafica computerizzata (CGI) per gli effetti speciali.
122
Xur è citato in Toy Story (di John Lasseter, USA 1995), celebre film di animazione
della Pixar, come il crudele imperatore Zurg, super-cattivo dallo spazio profondo.
113
paradossi temporali, un po' trascurati dalla fantascienza
precedente123, raccontano questa storia. Nel 1985 esce nelle sale un
film che, come il suo protagonista Michael J. Fox, avrà molta fortuna.
È Ritorno al futuro (Back to the Future, di Robert Zemeckis)124,
in cui Marty MacFly, il solito intraprendente ragazzo di provincia, si
ritrova a bordo di un'improbabile macchina del tempo. Quest’ultima è
un'automobile, «truccata» per l’occasione dall'amico "Doc" Emmett L.
Brown, moderna e rassicurante caricatura dello scienziato pazzo. Il
viaggio temporale porta il giovane Marty nella sua stessa cittadina,
ma all'epoca in cui i genitori erano suoi coetanei. Si tratta per lui di
forzare il corso del tempo, di cambiare le sorti di due perdenti, di
trasformarli in individui di successo, padroni del proprio destino e di
un'impresa di famiglia. Solo così il ragazzo potrà smettere di
vergognarsi per la miseria spirituale e culturale in cui vivono i suoi.
Insomma: il sogno americano ha bisogno di qualche spinta
tecnologica. Per il resto, largo agli eroi del domani: come Michael J.
Fox, che in poco tempo passa dal ruolo di Marty a icona di una nuova
generazione: amichevole, ma tenace e determinata.
Tenacia e determinazione, sì: ma anche controllo e disciplina. Sono
gli ingredienti del successo, che stanno cambiando insieme con i
valori della società. Sembra incredibile, ma nell'anno 1980 gli anni
settanta, con il loro slancio libertario e insofferente delle regole, sono
già alle spalle. Ne risentono perfino le battaglie spaziali: il seguito di
Star Wars, l'Impero colpisce ancora125, è ancora un film gioioso e
123
Fino agli anni ottanta, i film più famosi giocati sui paradossi temporali sono
dedicati alla letteratura di Wells. Sono L'uomo che visse nel futuro (The Time
Machine, di George Pal, USA, Gran Bretagna 1960) e L'uomo venuto dall'impossibile
(Time After Time, di Nicholas Meyer, USA 1979), in cui Meyer, che è scrittore,
sceneggiatore e anche regista, mette in scena Herbert G. Wells contro Jack lo
Squartatore.
124
La pellicola è interpretata da Michael J. Fox (Marty) e Christopher Lloyd (Doc).
Primo episodio di una trilogia, diventa in poco tempo un'icona del cinema degli anni
ottanta per adulti e bambini e ottiene l'Oscar al miglior montaggio sonoro. Gioca sui
paradossi temporali anche il primo episodio (Time out di John Landis) di un film del
1983: Ai confini della realtà (Twilight Zone, con un prologo e quattro episodi diretti
da John Landis, Steven Spielberg, Joe Dante George Miller), tratto da una famosa
serie tv omonima che a sua volta si ispirava alla fantascienza classica dei grandi
autori.
125
Il film è girato da Irvin Kershner con un budget relativamente basso, $18.000.000,
ma ricava incassi per $538.400.000, senza però superare il primo episodio della saga.
114
spettacolare, ma più maturo e riflessivo. La Forza (una sorta di zen
per altre galassie, una mistica energia che guida le genti) diventa il
requisito per combattere il male. Solo grazie a un lungo training –
sotto la guida del piccolo, rugoso, orecchiuto Yoda – Luke può
finalmente affrontare Dart Fener (il Lato Oscuro della Forza). Non c’è
dubbio: in questo secondo episodio, il nostro golden boy si è fatto
davvero un ometto.
Questo è però solo il volto umano (e umanoide) del mutamento in
atto dentro e fuori dei cinema. Veloci, aggressivi, individualisti: i
terrestri degli anni ottanta amano anche presentarsi così. Con la
cosiddetta «rivoluzione reaganiana», l'America reagisce al declino
geopolitico statunitense; per l'Occidente questo significa una corsa al
riarmo. Intanto una forte instabilità economica, accentuata dai
capricci del mercato azionario, produce nuovi ricchi e nuovi poveri. La
Borsa acquista in breve tempo più potenza di un imperatore
intergalattico, più del Lato Oscuro della Forza: spregiudicata, spietata
e affamata di proseliti, diventa protagonista di molti film che, ancora
una volta, esaltano le capacità individuali di abbattere le frontiere
economiche e sociali.
Nel 1988 anche Sigourney Weaver, la Ripley di Alien, svestirà la tuta
spaziale per indossare il tailleur classico, deporrà il Taser per la
ventiquattrore griffata per recitare un ruolo ben più pauroso:
Katherine Parker, lo squalo della finanza di Una donna in carriera126.
Eppure, alcuni guardano ai cambiamenti culturali con vera
preoccupazione. 1997: Fuga da New York, (Escape from New
York, di John Carpenter, USA 1981) è un film che già immagina la
prospera, esclusiva Manhattan consegnata ai criminali e l'avvento di
un nuovo Medioevo sociale127. Le città e le società violente sembrano
l'ovvio futuro dell'Occidente.
Ottiene nel 1981 due premi Oscar (miglior sonoro e migliori effetti speciali), altre due
nomination (migliore scenografia e miglior colonna sonora a John Williams).
126
Una donna in carriera (Working Girl, di Mike Nichols, USA 1988) è una commedia
vincitrice di molti Golden Globe e di un Oscar per la migliore canzone; ottiene cinque
nomination agli Oscar come miglior film, miglior attrice protagonista a Melanie
Griffith e migliori attrici non protagoniste per Sigourney Weaver e Joan Cusack.
127
Gli attori sono Kurt Russell, Lee Van Cleef (il commissario Hauk), Ernest Borgnine
(il tassista), Donald Pleasence (il presidente), Isaac Hayes (il Duca) e Harry Dean
Stanton. Russel crea una vera icona del cinema di fantascienza con il personaggio di
"Snake" Plissken, così detto dai suoi serpenti (snake) tatuati, che in italiano diventa
"Jena" Plissken.
115
Sul piano internazionale, invece, l’antagonismo (tra le grandi
potenze) conosce due fasi distinte. Nella prima metà del decennio il
conflitto ha una violenta recrudescenza grazie alla convergenza di
una serie di fattori politico-economici. L'avvento dei neoconservatori,
l'elezione di Ronald Reagan, la guerra in Afghanistan e una forte
recessione economica interna spingono l'America a una nuova corsa
agli armamenti. L'incremento delle spese militari è vertiginoso: 1.600
miliardi di dollari in cinque anni. Le relazioni USA-URSS si
deteriorano, fino a raggiungere livelli degli anni sessanta: per Reagan
la Russia diventa «l'impero del male». Nella seconda metà, il conflitto
si smorza: i rapporti con l'Unione Sovietica si distendono
improvvisamente, grazie soprattutto alla recessione economica che la
affligge e all'ascesa del presidente Michail Gorbačëv e della sua
perestrojka ("ricostruzione").
Nel 1984, mentre ancora si attende una tregua, esce 2010: L'anno
del contatto, un film diretto da Peter Hyams128, sequel di 2001:
Odissea nello spazio129. La trama lascia intendere che qualcosa sta
già cambiando: dopo essersi sfidati a scoprire per primi che cos'è
davvero accaduto all'astronave Discovery, russi e americani mettono
da parte le vecchie ruggini e cooperano per fuggire da Giove,
pianeta-trappola. Certo, gli americani sono più astuti, ma là nello
spazio profondo questo si rivela un dettaglio di poco conto.
Due film descrivono ancora la realtà sovietica così come è stata a
lungo percepita dall'Occidente. 1984 di Michael Radford esce proprio
nell'anno 1984 ed è inglese, come il libro omonimo130. È un film
impegnativo, in cui recita anche il grande Richard Burton, che
compare sullo schermo per l'ultima volta. Come nel romanzo di
Orwell, il socialismo reale (qui è l'ingsoc, il socialismo inglese) stronca
128
È tratto dal romanzo 2010: Odissea due, un sequel scritto dallo stesso Arthur C.
Clarke, nel 1983, ma con un occhio al film di Kubrick. Nel 1981 esce il western
fantascientifico Atmosfera zero (Outland, di Peter Hyams, USA 1981), con Sean
Connery (lo sceriffo) e Peter Boyle ("il bandito").
129
Rispetto al film diretto da Stanley Kubrick nel 1968 ci sono discrepanze,
semplificazioni e molti tentativi di spiegazione, con in più la rivalità fra le due
superpotenze.
130
Sonia Brownell, vedova di Orwell e titolare dei diritti del libro, acconsente alla
riduzione cinematografica del romanzo poco prima di morire (nel 1980) ma esige che
non si faccia uso dei moderni effetti speciali fantascientifici. Michael Radford e Roger
Deakins vogliono un film in bianco e nero. La produzione si oppone. Viene però
adottato un procedimento detto Bleach bypass per rendere un maggior contrasto
(con effetto di straniamento) nei filmati di propaganda ingsoc.
116
ogni tentativo di non conformarsi. Sovversivo è anche l'amore fra i
due protagonisti Winston e Julia, che alla fine vengono
«ricondizionati», cioè ricondotti all'obbedienza della dottrina del
Grande Fratello. È un film impeccabilmente fuori tempo, che suona
come un omaggio retrospettivo a un’epoca trascorsa, a un lontano
«quando eravamo nemici».
È vero però che le nuove potenzialità dei media e della
comunicazione di massa hanno accentuato l'ossessione del cinema
per il controllo delle coscienze e delle vite. Anche il personaggio
principale del film Brazil di Terry Gilliam (1985) è un ingenuo che vive
in un mondo futuribile, questa volta governato da un'onnipotente
burocrazia e da prepotenti di misteriosa provenienza politica. Sam
Lowry, impiegato del Ministero dell'Informazione, ha anche lui la sua
principessa ribelle al regime, Jill. I suoi sogni di libertà e riscatto
individuale finiscono (più o meno) come quelli di Winston. Entrambe
le vicende, in effetti, sono ansiogene e strazianti. La differenza sta
solo nella mano del regista: compassata e noiosissima quella di
Radford, surreale e comicissima quella del suo compatriota Gilliam 131.
Il suo mondo di timbri, certificati, chirurgie plastiche e attentati è la
versione volutamente demenziale del futuro che ci aspetta. Viene il
sospetto che, nel volgere di pochi anni, il totalitarismo abbia smesso
di far paura all’Occidente e abbia iniziato a farlo ridere.
In effetti, pur nella ripresa dell’antagonismo tra le due superpotenze
– che conosce un'impennata nel primo quinquennio – diventa più
difficile immedesimarsi nella lotta buoni-contro-cattivi. Ci prova
ancora un film del 1984, Dune (di David Lynch, USA 1984), un vero
fallimento di pubblico e di critica, che si è però guadagnato un posto
non ben precisato nella storia del cinema di fantascienza. È una storia
soporifera e contortissima. Solo la mano lugubre e visionaria del
celebre regista David Lynch la rende degna di nota, ma ancora più
confusa del romanzo originale di Frank Herbert 132. Dune è il nome di
131
Terence Gilliam è l'unico americano (d'origine, ma naturalizzato britannico) del
celebre gruppo comico inglese dei Monthy Python e autore dei cartoni che
inframmezzavano il celebre spettacolo televisivo Monty Python's Flying Circus.
Gilliam è diventato in seguito un regista.
132
Dune costa ben 44 milioni di dollari (quattro volte il budget del primo Star Wars)
ma si rivela un flop. La sceneggiatura arricchisce il libro di Herbert di spiegazioni, ma
in realtà non fa che confondere la trama. Lynch gira tre ore e mezzo di film ma i
produttori ne lasciano solo due, nel tentativo un po' goffo di semplificare: il film è
giudicato incomprensibile da critica e pubblico.
117
un pianeta desertico, produttore della spezia melange, una droga
custodita da vermi giganti che annulla la dimensione spaziotemporale e permette di viaggiare in economia (di anni luce). Per
impadronirsi del potere e della spezia le casate planetarie si
combattono sotto un imperatore intergalattico. Buoni e cattivi sono
distribuiti equamente in tutta la galassia: sono tutti molto noiosi.
Dune è una brutta favola fantasy che però, nei suoi continui richiami
a un Medioevo interplanetario, segna l’autunno di quel mondo reale
che la fantascienza del dopoguerra aveva come interlocutore.
Tuttavia, quando un accordo tra le due superpotenze sembra ormai
raggiunto (a spese dell'URSS), il crollo del muro di Berlino sbilancia
nuovamente gli assetti politici ed economici dell’intero pianeta. Non
solo: nell'immaginario collettivo, la fine dell'Unione Sovietica
rappresenta il venir meno della più grande utopia – positiva o
negativa – mai realizzata nella storia del genere umano. Questo
evento è destinato a segnare la letteratura e il cinema di fantascienza
per molto tempo.
Incuranti di questi fatti, la scienza e la tecnologia costruiscono utopie
individuali. In Occidente il computer diventa un attrezzo domestico:
molte persone comuni (oltre a tecnici e informatici) iniziano a
servirsene per lavoro, al posto di una calcolatrice, di un archivio
cartaceo o di una macchina da scrivere. Intanto, nelle università e nei
laboratori, si stanno sviluppando le neuroscienze cognitive, che
studiano il dualismo fra mente e cervello e le interazioni fra la mente
umana e l'intelligenza artificiale. Anche tra i non specialistici si inizia a
parlare di realtà virtuale. Non è solo l’idea, già cara alla fantascienza,
di poter vivere in una realtà alternativa. È piuttosto la possibilità di
entrare in un computer e agire, nella perfetta integrazione tra
cervello umano e macchina, mentre il corpo è seduto su una poltrona
e non patisce le conseguenze delle sue stesse azioni.
Queste prospettive, ancora acerbe, si fanno però sempre più
probabili. La fantascienza letteraria esordisce con un filone che avrà
(anche se non subito) grande influenza sul cinema: il cyberpunk. I
suoi due indiscussi campioni, William Gibson e Bruce Sterling,
disegnano un futuro prossimo in cui l’uomo e la tecnologia
interagiscono in modi prima di allora impensabili, dove esseri viventi
e macchine si compenetrano grazie ai cosiddetti «innesti». La
mutazione serve a resistere in una società anarcoide, in una
metropoli forsennata, governata dall’alto da potentati feroci e
percorsa, ai piani bassi, da antieroi spregiudicati. Dove il più adatto
118
non è chi sopravvive in natura, ma chi riesce a districarsi in una
giungla cibernetica, tra ambienti molteplici, dentro e fuori dei
computer.
Il cyberpunk ha un illustre precursore, che muore proprio nel 1982 e
che viene immediatamente celebrato come un maestro: è l'americano
Philip Dick, autore visionario e psichedelico. Nei suoi romanzi è forse
meno evidente l'ossessione per la componente tecno-informatica, ma
ci sono molte tracce dell'arsenale letterario di Gibson e amici. In una
lunga, tormentata carriera, Dick è riuscito a sviscerare quei problemi
filosofici sulla società futura e sull'individuo che ora condizionano
l'idea stessa di fantascienza. La letteratura cyberpunk, nella sua
breve vita, li riscopre e li fa suoi: il cinema, con il consueto ritardo,
inizia a prenderli in seria considerazione.
Gli esordi della realtà virtuale.
Nel 1984 William Gibson dà alle stampe un romanzo destinato a far
scalpore: è Neuromante (Neuromancer), stupefacente apripista del
genere cyberpunk. Il protagonista, Case, è un cowboy del
cyberspazio: quello che normalmente si definisce un hacker, un pirata
informatico, un violatore di banche dati. Ma il cyberspazio (detto
anche Matrix, o Matrice) non è solo un archivio: è un'infinita
megalopoli informatica, «una rappresentazione grafica di dati ricavati
dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile
complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente,
ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si
allontanano». È il primo luogo dove il sistema binario, l'anima del
computer, può incarnare ossessioni, desideri e pulsioni di quella
umana.
La memoria contro il presente; il conscio contro l'inconscio; lo spazio
concreto contro esistenze soggettive, prodotte dalla mente o dalle
macchine: sono sfide nuove e insidiose, che il cinema, pian piano, è
spinto ad accettare. Nel 1980 il grande regista britannico Ken Russel,
gotico e visionario al suo solito, anticipa il cyberspazio nel suo Stati di
allucinazione (Altered States)133. Il medico Eddie Jessup si infila in
una vasca di deprivazione sensoriale (che serve ad annullare le
133
Stati di allucinazione (Altered States, di Ken Russell, USA 1980), con William Hurt
(nel suo primo ruolo) scritto dal commediografo Paddy Chayefsky, è la biografia del
ricercatore e psichiatra statunitense John Lilly. Riceve la nomination per l'Oscar alla
migliore colonna sonora di John Corigliano.
119
sensazioni) e, non contento, si affida a qualche sciamanica sostanza
allucinogena: l'esperimento dovrebbe permettergli di regredire a
livello inconscio e di indagare nei meandri del proprio passato. Il mix
vasca-droga è forte, anche troppo: il dottore ritorna addirittura
australopiteco e poi finisce a bagno nel brodo primordiale, in
prossimità del big bang. È una ricetta che riscuote un modesto
interesse da parte di pubblico e critica. Più semplice, tra il noir e il
film di spionaggio, è l'horror fantascientifico di David Cronenberg del
1981: Scanners. Gli scanners sono persone apparentemente
normali, ma dotate di poteri telepatici sorprendenti, tanto che
possono far scoppiare la testa al primo maleducato che incontrano
senza nemmeno scomporsi. Celebre per le sue esplosive "fughe di
cervelli", il film è in realtà cupo e angosciante, ma non spregevole:
soprattutto, anticipa la rappresentazione di un universo costruito sulle
enormi capacità della mente.
L'anno successivo David Cronenberg si cimenta con un'opera, tra le
sue più famose, dedicata ancora ai territori di confine. Qui va in
scena la fusione tra uomo e macchina, la compenetrazione tra corpo,
cervello e tecnologia. Il film è Videodrome (1983)134, dal nome di
un canale televisivo pirata che trasmette atrocità e violenze di ogni
tipo: spettacolo che attira il cinico produttore Max Renn, proprietario
di una TV via cavo in cerca di nuove emozioni per il pubblico. Le
troverà, suo malgrado, ma per sé. Videodrome è un canale che
provoca tumori allucinogeni al cervello: è il prodotto di una congiura
filo-governativa, con cui il sistema vuole sbarazzarsi degli individui
"malati", dei pornografi e dei depravati. Max si ammala, ovviamente.
Le sue allucinazioni si fanno via via più realistiche e sconvolgenti, fino
a quando, per volontà dei produttori dell'emittente assassina, egli non
si trasforma in un videoregistratore umano e poi in un cyborg con
una mano-pistola in dotazione. Così mutato, viene usato senza pietà
dai due principali antagonisti – il governo e la Chiesa catodica – come
arma umana per eliminare il nemico. Difficile consolarsi con il fatto
che i cattivi faranno una fine pessima. Anche Max – che tanto buono
non è – non ne esce bene. Oltretutto, proprio nel finale Cronenberg
valica abbondantemente il limite del disgusto che lo spettatore medio
possa sopportare. Eppure, i buchi addominali e le esplosioni di
intestini non sono nulla in confronto all'angoscia trasmessa dalle
ambientazioni e dallo squallore dei personaggi. Non è un futuro
134
È una produzione canadese, che ha ricevuto il BIFFF 1984 per il miglior film di
fantascienza e, lo stesso anno, il Genie Awards come miglior regista.
120
radioso, quello che il regista prospetta: fa quasi rimpiangere il tempo
in cui le televisioni si limitavano a condizionare la psiche degli
individui.
Ben altro stile, spensierato e avventuroso, ha il film che costituisce il
debutto della realtà virtuale creata dai software. È sempre il 1982; il
regista è Steven Lisberger; il film è il disneyano Tron135. Kevin Flynn,
giovane e geniale programmatore, è in lotta contro il cattivo Dillinger,
che rubandogli dei videogiochi di sua creazione ha fatto carriera
come direttore di una grande società informatica. Kevin intende
violare la banca dati alla ricerca delle prove per mezzo di un alter ego
informatico: una specie di primitivo avatar, che qui è detto «utility di
sembianza codificata» (Coded Likeliness Utility, CLU). Ma il software
guardiano MCP (oggi diremmo un firewall) deve proteggere il
patrimonio di Dillinger. Reagisce però in modo imprevisto e anche
creativo: digitalizza il giovane intruso con un laser sperimentale, lo
trasforma in codice numerico e poi lo immette all'interno dei suoi
circuiti integrati, un universo fatto di videogiochi, programmi e dati.
Un ragazzo di carne diventa un personaggio elettronico. Se da fuori
sembra uno scherzo, all'interno sopravvivere a un mondo spietato e
insidioso come un videogame si rivela un'impresa non da poco. Per
fortuna c'è una corrispondenza tra persone di carne e personaggi
virtuali: Tron, l'alleato inaspettato che dà il nome al film, nella realtà
è Alan, amico e complice di Kevin nell'impresa.
Tron regala agli spettatori il primo scenario davvero virtuale dei tanti
che saranno offerti, di qui in avanti, dal cinema di fantascienza. È un
film divertente, fanciullesco, che mira a costruire un'avventura
perfetta, pulita e ritmata. Ma è il primo a porre un problema che
appassionerà i registi negli anni successivi: la relazione fra i due piani
– vero e artificiale – della coscienza. Se qualcosa ci accade mentre
siamo in un universo parallelo al nostro, che ne sarà della nostra
identità principale? Il grande schermo impara in fretta una lezione
sconcertante: il cyberspazio o le realtà alternative offrono altre
135
È un film prodotto dalla Disney, il primo a fare un uso massiccio della computer
grafica (computer graphics, CG, inizialmente detta «grafica digitale»): viene
considerato molto all'avanguardia per l'epoca. I protagonisti sono Jeff Bridges, Bruce
Boxleitner, David Warner e Cindy Morgan. Riceve due candidature ai Premi Oscar
1983 (migliori costumi e miglior sonoro), ma non viene candidato per gli effetti
speciali perché l'Academy considera come "scorretto" nei confronti degli altri film di
animazione l'utilizzo della computer grafica.
121
possibilità di vivere e ricordare, modi diversi di combattere per
interposta persona, ma non possono fare nulla contro la morte, la
sofferenza, l'oblio.
Mutazioni, metamorfosi e manipolazioni.
È difficile dire se David Cronenberg rappresenti al meglio gli anni
ottanta. Certo è che, nel corso del decennio, il cineasta americano si
rivela prolifico come pochi altri. Al tempo stesso, si dimostra capace
di scioccare il pubblico con idee nuovissime ( Videodrome), oppure
riciclandone di vecchie, che sa "riattare" con effetti sconvolgenti. Il
vecchio classico della mutazione – grande tema della fantascienza
letteraria e cinematografica – diventa nelle sue mani un giocattolo
tutto nuovo, un dispositivo inquietante e struggente al tempo stesso.
La mosca (The Fly)136 esce nelle sale nel 1986 e consegna
definitivamente alla notorietà il regista e il primo attore Jeff Goldblum
(lo scienziato Seth Brundle), al fianco di una bravissima Geena Davies
(Veronica Quaife). La vicenda è nota. È facile che qualcosa non vada
per il verso giusto quando si inventa il teletrasporto. Un piccolo
insetto, una mosca, s'infila nella capsula ideata da Seth; ancor più
subdolamente si infila nella sua testa – geniale, ma contorta – la
passione per la giornalista scientifica Veronica. Brundle è un
portentoso scienziato, ma per tutto il tempo del film sembra più
preoccupato del comportamento della sua nuova fiamma che della
metamorfosi orripilante che sta provocando sul proprio corpo la
fusione del DNA della mosca con quello umano. Un ex fidanzato
provvidenziale, Stathis Borans, salva Veronica da una fine analoga a
quella della mosca («Brundlemosca», come ora ama definirsi Seth
con un pizzico di vanità). L’insetto umano viene abbattuto – si
direbbe per sua volontà – all'ultimo stadio di una trasformazione
ancor più raccapricciante.
Il film offre molti moniti all'angosciato spettatore: non sfidare la
natura; se vuoi sfidare la natura, almeno non innamorarti; caccia via
gli insetti non autorizzati dal tuo laboratorio; non frequentare
scienziati eccentrici nei loro luoghi di lavoro. Soprattutto, non
136
La mosca (The Fly, di David Cronenberg, USA 1986), è un remake de L'esperimento
del dottor K. (The Fly, di Kurt Neumann, USA 1958). Il film appartiene al filone del
cosiddetto "body horror". Ha vinto l'Oscar al miglior trucco 1987, assegnato ai
truccatori Chris Walas, poi regista del sequel La mosca 2 (The Fly II, di Chris Walas,
USA 1989), e Stephan Dupuis.
122
chiedere alla tua innamorata di porre fine alle tue sofferenze:
certamente lo farà. Aldilà delle varie morali che se ne possono trarre,
e che forse non ci sono, La Mosca di Cronenberg ha il merito di avere
riproposto al cinema le mutazioni e aver focalizzato l'attenzione sul
rapporto tra mente e corpo, ma in una chiave ben diversa da quella
della fantascienza classica. Nell'epoca del trionfo della chirurgia
plastica, della robotica e delle identità alternative, l'essere umano non
basta più a se stesso, sembra dirci Seth Brundle. Il corpo esplode,
rompe gli argini alla ricerca di nuove forme: il cervello a volte lo
segue, ma più spesso cerca (autonomamente) altre dimensioni. La
metamorfosi della mosca è solo un incidente, ma prepara la strada ad
altre, più consapevoli, più complete metamorfosi, che renderanno
difficile distinguere un essere umano da altre creature. O da
macchine che ragionano e sentono come creature. È l'ora dei
replicanti.
Robot, androidi, replicanti e cyborg.
Ma gli androidi sognano pecore elettriche? È il titolo del più famoso
romanzo di Philip Dick, che in Italia viene semplificato in Cacciatore di
androidi137. Quando le macchine saranno simili in tutto e per tutto
agli umani, quali desideri, quali speranze e quali diritti ci
distingueranno da loro? Domanda legittima. Non è questo, tuttavia,
che si chiede il Rick Deckard del libro, quel 3 gennaio del 1992 in cui
tutto ha inizio, forse uno degli ultimi giorni della sua vita.
Sopravvivere alle radiazioni in una San Francisco post-nucleare è una
sfida per tutti gli esseri umani che ancora non sono partiti – con un
servo androide elargito dal governo – per le colonie marziane.
Deckard ha preoccupazioni più banali: una moglie depressa; un
lavoro subordinato a un cinico cacciatore-capo, Phil Resch; il lutto per
la morte (per tetano) della sua pecora vera. Deve assolutamente
ordinarne un'altra, anche artificiale. In un mondo dove la vita è stata
quasi completamente distrutta, un animale vero è un simbolo di
status. Ma c'è di più. Solo l'amore e la cura per gli esseri viventi (o
simili) dovrebbe distinguere gli umani. Essi sono infatti dotati della
capacità di provare «empatia», un sentimento enfatizzato dai media e
dalle religioni. Eppure il lavoro che Deckard accetta per poter
comprare la pecora elettrica – "ritirare" un gruppo di androidi ribelli
137
Do Androids Dream of Electric Sheep?, è pubblicato in America nel 1968 e in Italia
la prima volta nel 1971.
123
Nexus 6, cioè sopprimerli – è di per sé disumanizzante. Non c'è che
dire: nel suo mondo, con poche eccezioni, uomini, donne e replicanti
fanno a gara per dimostrarsi inumani, crudeli, non empatici.
L'androide Rachel Rosen seduce Rick solo per neutralizzarlo, mentre
lui se ne innamora. I Nexus 6 ingannano anche il povero J. R.
Isidore, un ingenuo il cui grande cuore si spezza quando i suoi nuovi
amici vengono "ritirati". È un gioco al ribasso: il cinismo paga, i
sentimenti "umani" servono all'identità, non a sopravvivere.
Fatti salvi piccoli dettagli, tra il racconto di Dick e Blade Runner – il
film di Ridley Scott del 1982138 che ad esso si ispira – c'è di mezzo un
mondo intero. Nemmeno il cosiddetto Director's cut (la prima
versione, poi modificata dalla produzione per ragioni commerciali139)
si avvicina di molto al romanzo. I personaggi, che qui si muovono
nella Los Angeles del 2019, sono i protagonisti di un noir
claustrofobico, che colpisce per la sua capacità di fare interagire
l'azione e le portentose scenografie. Nel film lo spessore psicologico e
filosofico è molto ridimensionato. Harrison Ford è un Deckard
infinitamente più attraente, meno frustrato e meno profondo di quello
dickiano: la sua capacità di provare «empatia» si esaurisce in una
scrollata di spalle e qualche sguardo in tralice, di una sensualità un
po' bovina. Rachel, un'eterea e geometrica Sean Young, è talmente
finta da lasciare dubbi sulla sua natura umana. Tra l'altro, dopo
questo ruolo, si è vista raramente: sarà stata ritirata? Non è difficile,
però, credere alla loro storia d'amore; né al dramma umano del
cacciatore; né all'incubo che avvolge la piovosa, fetida, appiccicosa
San Francisco di Ridley Scott. Né, soprattutto, al dramma degli
androidi e alla passione dello spietato Roy Batty, il più tormentato del
gruppo di ribelli Nexus 6. Il dramma resta coinvolgente e verosimile.
I robot pensano, sentono e soprattutto ricordano. Roy non sogna
pecore elettriche, ma un posto nell'inferno quotidiano degli esseri
umani. Questi, al contrario, mirano ad annullare in loro il sentimento.
Al cinema o sulla carta, dunque, la domanda che angoscia Rick
Deckard è la stessa. In un mondo disumanizzato, che ne sarà del
genere umano quando assomiglierà troppo alle macchine che ha
costruito?
138
Il titolo del film è tratto dal romanzo The Bladerunner (1974) di Alan E. Nourse.
L'International cut (montaggio per il mercato) è del 1982 e dura un minuto in più
del Director's cut (uscito solo nel 1992), che è lungo 116 min.
139
124
Nel 1982 l'uscita di Blade Runner suona come una premonizione sulla
fine del genere fantascientifico: senza dubbio, con la loro fusione di
parti organiche e inorganiche, di codici innestati e veri sentimenti, gli
androidi annunciano la fine dell'umanità come la si conosce. Due anni
dopo, nel 1984, lo testimonia il celebre film del regista James
Cameron, creatore di costosi e spettacolari kolossal: è
Terminator140, che arricchisce il gergo degli anni ottanta con la
parola "terminare" (to terminate, cioè "uccidere"). Quella da
terminare è Sarah Connor, una normalissima cameriera di Los
Angeles, stufa di un'esistenza incolore. La cerca T-800, un
implacabile e scrupoloso cyborg (Arnold Schwarzenegger all'acme
della sua non eccelsa capacità espressiva) per impedirle di generare
John Connor: colui che in un futuro prossimo, quando le macchine
prenderanno il sopravvento sugli esseri umani che le hanno create,
sarà il leader della resistenza umana. Sarah apprende tutto questo da
un compagno di John, giunto dal futuro per salvarla dal terminator: il
resto è fuga. Il cyborg non molla, li insegue dappertutto – stazioni di
polizia, strade, motel – e con tutti i mezzi. Anche quando i due fanno
saltare in aria l'autocisterna che il robot sta guidando; anche,
quando, ormai è ridotto a uno scheletro metallico, T-800 li incalza tra
macchinari inanimati, per poi finire schiacciato in una pressa
idraulica. Gli anni ottanta inventano i finali che non finiscono mai:
qui, però, il meccanismo funziona, perché allude all'accanimento che i
cyborg da noi creati potrebbero impiegare per distruggerci.
Nel 1987 esce un altro buon film di fantascienza; anche questo, come
Terminator, non molto sofisticato, ma sorretto dall'intelligenza di
sceneggiatori e regista. È Robocop: il futuro della legge
(RoboCop, di Paul Verhoeven)141: la storia del poliziotto Alex J.
Murphy, interpretato da Peter Weller. In una Detroit del futuro,
squallida e selvaggia, dove le multinazionali hanno sostituito
l'amministrazione pubblica, dalle membra di un poliziotto, ucciso in
140
Arnold Schwarzenegger ha recitato anche nei seguiti Terminator 2: Il giorno del
giudizio (Terminator 2: Judgment Day, di James Cameron, USA 1991) e Terminator 3:
Le macchine ribelli (Terminator 3: Rise of the Machines, di Jonathan Mostow, USA,
Germania 2003). L'attore di origine austriaca, che è protagonista di Conan il barbaro,
grazie a questo film diventa una star hollywoodiana. Il ruolo implica quella certa
ironia che contrasta con la brutalità dei modi e dell'aspetto, e che sarà poi una
caratteristica dell'attore.
141
Il film diventa famoso per gli effetti speciali di grandissimo impatto visivo
(soprattutto, il mostro-robot ED 209) con la supervisione di Phil Tippett. Ha dato
origine a due sequel, a un film d'animazione e a una serie TV.
125
servizio da una banda di criminali, sorge un nuovo tipo di cyborg. È
corazzato, pieno di optional, praticamente indistruttibile e con una
memoria (almeno in teoria) computerizzata. Tuttavia qualcosa va
storto: presto ricompaiono ricordi e sentimenti del vecchio Alex,
insieme con un istinto, nuovo ma comprensibile, da vendicatore. Il
film è ironico a sufficienza per mascherare il suo atroce pessimismo in
un'avventura poliziesca fatta di sparatorie, inseguimenti ed esplosioni.
Oltretutto, RoboCop non è malvagio: malvagi sono quelli che l'hanno
creato. Dal film si leva l’ennesima falsificazione alle prima delle tre
leggi della robotica di Asimov. Nessun codice, nessun freno inibitore
impedirà a cyborg, androidi, computer e semplici robot di sterminarci
tutti al momento opportuno.
Alieni da compagnia, alieni da combattimento.
Sembra incredibile. In un'epoca in cui l'essere umano è messo a dura
prova da identità alternative, stati di alterazione, mutazioni e innesti
cibernetici, gli alieni hanno ancora molto da dire al pubblico. Sono la
prova, qualche volta rassicurante, che l'umanità esiste, pur nei suoi
incerti confini: solo una creatura non-umana può dimostrarlo. Non
sempre, tuttavia, il confronto va a favore dell'uomo.
Anzi. Gli anni ottanta sono l'epoca in cui gli alieni buoni si scatenano
e si fa più dura la competizione con i terrestri su ragione e
sentimenti. Questo è il periodo in cui Steven Spielberg decide di
invadere ancora una volta la terra con il suo ottimismo. I suoi film, a
distanza di anni, sono ancora delicati e rassicuranti. Anche perché,
alla fine, gli umani non fanno una pessima figura: contro i
persecutori-cacciatori di marziani c'è sempre qualche campione locale
che tiene alta la bandiera dell’umanità. E.T. l'Extra-Terrestre (E.T.
the Extra-Terrestrial) diventa subito un grande classico per
ragazzi, che però inchioda allo schermo anche gli adulti con i suoi
effetti speciali e con la storia di una piccola, emozionante amicizia
interplanetaria142. Sintesi di tutte le immagini di alieno prodotte fino a
questo momento, E.T. si rivela un colpo di genio del designer di
pupazzi cinematografici Carlo Rambaldi. Finalmente un essere
perfetto. Grandi occhi dolci e celesti come lo spazio, pelle color fango
142
Distribuito dalla Universal Pictures, E.T. (E.T. The Extra Terrestrial, di Steven
Spielberg, USA 1982) si rivela un incredibile successo al botteghino, sorpassando
Guerre stellari per gli incassi più alti nell'intera storia del cinema fino a quel
momento.
126
e della apparente consistenza di un vecchio scarpone, dita
lunghissime e collo telescopico, luci rossastre emanate
dall'organismo, che all'occasione illuminano ventre e mani. È un
prodotto costosissimo di meccanica e ingegneria, ma non molto
diverso da quelle viscide interiora ambulanti che erano i marziani
degli anni cinquanta. Eppure la bruttezza cosmica di E.T. fa
innamorare l'intero pianeta terra, che corre al cinema a deliziarsi e a
commuoversi. L'extraterrestre diventa il cucciolo galattico ideale, il
migliore amico del piccolo, infelice Elliott, della sua scombinata
famiglia e di tutti i bambini che hanno qualche serio problema con gli
adulti e con la realtà. Secondo il suo regista, il film E.T. tiene alto il
vessillo della tolleranza di ciò che è diverso. Può darsi. Ma
soprattutto, per la prima volta nella storia anche esseri stranissimi
come i bambini di questo mondo possono godere, senza censure e
senza timori, di un vero film di fantascienza.
Dopo la fantascienza per l'infanzia, arriva quella per la terza età:
Cocoon, l'energia dell'universo (Cocoon, 1985) per la regia di
Ron Howard143. Tratta dall'omonimo romanzo di David Saperstein, la
vicenda racconta di un gruppo di anziani – Ben, Arthur e Joe – che
vivono, senza grandi entusiasmi, in un pensionato della Florida.
Malandati, depressi e angosciati dalla morte, grazie ai bagni
clandestini in una piscina del vicinato riacquistano forza e salute. Il
fattore rigenerante è in alcuni bozzoli che un gruppo di extraterrestri
ha messo a bagno, per conservarli, sul fondo della piscina: essi
contengono i loro amici, lasciati sulla terra molto tempo prima. Di
fronte alla tentazione di sconfiggere la malattia, la vecchiaia e la
morte, i nostri attempati terrestri seguono gli alieni sul loro pianeta:
non lasciano molto sulla terra, se non un adorato nipotino. Ben
recensito dalla critica, è una commedia tenera e indulgente sulle
debolezze e sulle paure ataviche degli esseri umani, con qualche
effetto (speciale) a sorpresa che stona con la delicatezza del plot.
Abitanti di Atlantide o di Antarea, è certo che nessun alieno è più
alieno sul nostro pianeta di un gruppo di anziani senza scopo
apparente nella vita.
O forse no. Forse è vero che chi vive ai margini della società è alieno
per vocazione. È la tesi di un film girato sul finire del decennio, Alien
143
Il film consegue ben due premi Oscar nel 1986: miglior attore non protagonista a
Don Ameche; migliori effetti speciali a Ken Ralston, Ralph McQuarrie, Scott Farrar e
David Berry; nello stesso anno riceve il Golden Globe come miglior film commedia e
l'anno precedente al Festival di Venezia Ron Howard riceve il premio Giovani.
127
Nation: nazione di alieni (Alien Nation, di Graham Baker, USA
1988)144, che si presenta in realtà come un poliziesco fantascientifico
dal ritmo incalzante. Gli extraterrestri vengono accolti sulla terra, per
poi essere segregati in quartieri-ghetto e indotti ad autodistruggersi
nella dipendenza da una droga per loro letale. Dagli alieni amichevoli
agli alieni alienati il passo è breve, e passa per il lato oscuro degli
esseri umani, per la loro ostilità verso ciò che è straniero.
Ma gli alieni malvagi, per fortuna, esistono ancora a ricordarci quanto
siamo buoni. Anche crudi. Alien sembra aver scoperchiato un
verminaio intergalattico, in cui centinaia di mostri parassiti fanno a
gara per sfoggiare il loro naturale istinto per le prede umane. Diventa
quasi un classico autonomo Aliens - scontro finale (Aliens,
1986)145 in cui James Cameron raccoglie il testimone di Ridley Scott,
girando però un film profondamente diverso. L'avventura è garantita,
anche se l'algida efficienza di Ripley viene trasformata nell'emotività
apprensiva di una madre. La verità è che Ridley Scott ha aperto un
incredibile mercato a queste orde di creature dallo spazio, a famiglie
di xenomorfi ed extraterrestri single. Molti film non spregevoli, e
anche di un certo successo al botteghino, sfruttano l'idea iniziale
mutando condizioni, personaggi e musiche. È sulla scorta di Alien che
ci assalgono e ci fanno a pezzi i nemici interplanetari degli anni
ottanta.
Nel 1982, ad esempio, esce il remake di La cosa (The Thing)146 per
la regia di John Carpenter, in cui i membri di una spedizione polare,
consapevoli di non poter distinguere i propri simili dalla «cosa»
144
Dal film deriva una serie televisiva (Alien Nation) e cinque film per la TV (Alien
Nation: Dark Horizon del 1994, Body and Soul del 1995, Millennium del 1996, The
Enemy Within del 1996, The Udara Legacy del 1997).
145
Il film vince due Oscar (montaggio sonoro ed effetti speciali) e riceve altre quattro
nomination (1987), otto Saturn Award (1986), un Golden Globe a Sigourney Weaver
e un BAFTA (l'Oscar britannico). Oltre sedici persone (due all'interno) fanno
funzionare e muovere l'enorme regina aliena (alta 420 cm), realizzata dall'équipe di
effetti speciali di Stan Winston.
146
La cosa è basato sul racconto breve Who goes there? (Chi va là?) di John W.
Campbell da cui già Howard Hawks nel 1951 aveva tratto il classico della fantascienza
La cosa da un altro mondo. Fa parte della Trilogia dell'Apocalisse di Carpenter,
composta anche da Il signore del male (Prince of Darkness, di John Carpenter, USA
1987) e Il seme della follia (In the Mouth of Madness, di John Carpenter, USA 1995). Il
27 luglio 2012 in Italia esce il prequel (The Thing, di Matthijis van Heijningen Jr., USA
2011) ambientato tre giorni prima degli eventi della storia raccontata da John
Carpenter.
128
aliena, iniziano a sospettarsi a vicenda. Nel 1987 L'alieno (The
Hidden, di Jack Sholder) racconta del sospettato numero uno
(extraterrestre) di un'indagine di polizia per omicidio. Nel 1987 un
film di grande successo, Predator (di John McTiernan, USA 1987)147,
vede un commando di Forze Speciali della C.I.A. nella giungla di un
paese centroamericano (fittizio), Val Verde: lo scopo è uccidere un
mostro venuto dallo spazio. Il predator è implacabile, sanguinario e
cattivo: come uno xenomorfo, ma più tozzo, volgare e mal vestito. Al
confronto, l'infangato Arnold Schwarzenegger sembra un figurino. Il
1989 è invece l'anno dei mostri marini, con tre film sostanzialmente
simili: Abyss (The Abyss, di James Cameron, USA 1989); Leviathan
(di George Pan Cosmatos, USA, Italia 1989) e Creatura degli abissi
(DeepStar Six, di Sean S. Cunningham, USA 1989). Abissali sì, ma
non profondi: è una moda fugace, che avrà poco seguito negli anni a
venire.
147
Il film è il primo grande successo al botteghino per il regista. Gli effetti speciali
sono molto all'avanguardia (basti pensare alla tuta che rende il predator
trasparente). Il primo sequel si intitola Predator 2 (di Stephen Hopkins, USA 1990), ed
è ambientato nel 1997 a Los Angeles dove un poliziotto indaga su misteriosi omicidi
(compiuti da un predator). Il secondo è Predators (di Nimròd Antal, USA 2010) in cui
un gruppo di soldati e mercenari si ritrova preda dei cattivissimi alieni su un pianeta
sconosciuto, che in realtà è la loro riserva di caccia.
129
Testa di strega
distanza dalla Terra: 800 anni luce
131
La trama della realtà (1990-1999)
«Che vuol dire reale? Dammi una
definizione di reale. Se ti riferisci a quello
che percepiamo, a quello che possiamo
odorare, toccare e vedere, quel reale sono
semplici segnali elettrici interpretati dal
cervello. Questo è il mondo che tu conosci.
Il mondo com'era alla fine del XX secolo».
(Morpheus in Matrix, di Andy e Larry
Wachowski, 1999)
I quadri generali.
Nello Sprawl, la metropoli dove lavora Johnny Mnemonic 148, la vita
umana costa (e conta) ormai pochissimo: quel che conta sono i dati,
le informazioni. Nel cinema di fantascienza degli anni novanta è il
contrario. La tecnologia – gli effetti speciali digitali – costano ormai
pochissimo: quel che conta sono i personaggi, la loro vicenda.
Eppure, mentre le pellicole fantascientifiche si moltiplicano a
dismisura, i contenuti si disperdono. Si torna alla filosofia del puro
intrattenimento: un film deve essere fatto di azione, ritmi veloci e
belle immagini, mentre il messaggio passa in secondo piano. Questo
approccio – almeno in linea generale – trascina gli spettatori in sala,
ma poi non li seduce. Nessuno riesce davvero a immedesimarsi nella
fuga spettacolare di Johnny Mnemonic presso i LoTek, la subcultura
urbana che lo ospita e lo difende dai sicari. Se ha rubato i dati alla
Corporation e alla Yakuza (la mafia che ormai domina tutte le altre),
poco male: qualcuno – munito di armi da fuoco e abilità tecnologica –
lo tirerà fuori dai guai. Che noia. Belle immagini, certo, ma il pubblico
non si fa più coinvolgere così facilmente e i registi sono costretti ad
148
Il film Johnny Mnemonic (di Robert Longo, USA, Canada 1995) è tratto da un
omonimo racconto di William Gibson (uscito nel 1982, ma apparso nel 1986 nella
raccolta Burning Chrome, La notte che bruciammo Chrome) che è anche lo
sceneggiatore. Nel 2021, in un futuro ammorbato da un virus terribile, un corriere
elettronico che ha in testa un microchip pieno di dati è ricercato da una
multinazionale farmaceutica. Troverà aiuto in una comunità di hackers ribelli. Lo
«Sprawl» è un'estensione urbana incontrollata che va da Boston ad Atlanta, presente
nella famosa trilogia di Gibson e in alcuni racconti di Burning Chrome.
133
aumentare la dose di effetti speciali perché faticano a raggiungerlo, a
sorprenderlo, a spaventarlo. È un circolo vizioso. Ora il cinema di
fantascienza procura grandi incassi e poche emozioni, in proporzione
spesso inversa: più gente è attirata al cinema, più triviale è il film.
Anche nella realtà è così. In Occidente si assiste al processo di
democratizzazione dei paesi del Patto di Varsavia, una strada più
accidentata del previsto. Gli ex sistemi socialisti si trovano sbalzati di
colpo in uno scenario economico-politico che a malapena si distingue
da un romanzo cyberpunk: capitalismo selvaggio, mafie in
competizione, anarchia, povertà diffusa. Intanto, l'America impone al
mondo intero la new economy. Questa si differenzia dall'economia
industriale perché vede prevalere i traffici di natura finanziaria –
denaro virtuale, in azioni, obbligazioni e prodotti derivati – sugli
scambi di merci contro denaro. Oltretutto, la new economy inserisce
le imprese in un mercato mondiale, abbatte i costi di gestione, le
svincola da uno spazio reale (il territorio) per inserirle in uno virtuale,
cioè la rete. A metà degli anni novanta è già sorpassata dai fatti l'idea
di banche-dati ambulanti, come Johnny Mnemonic, che trasportino
fisicamente i segreti delle società. Soldi, ordini e informazioni
viaggiano ormai da soli – via telefono – nell'equivalente del
cyberspazio. La globalizzazione (almeno quella contemporanea) fa il
suo ingresso nella storia e nel linguaggio degli esseri umani.
Tutto questo è reso possibile dalla nuova, straordinaria evoluzione
della tecnologia informatica. Nasce internet, il world wide web, la rete
informatica mondiale su cui fioriscono immediatamente speranze e
riflessioni, anche al cinema. Gli anni novanta sono l'era di Microsoft e
di Apple, le due grandi case rivali che producono programmi
informatici. La loro sembra una diarchia indistruttibile, come quella
delle Corporation di Johnny. Parallelamente, però, nascono i free
software: sono proprio i programmi gratuiti, fatti circolare sul web,
che ispirano gli hackers come i LoTek e l'intera filosofia della
"anarchia elettronica".
Anche le abitudini quotidiane cambiano rapidamente. Nel corso del
decennio moltissimi individui (in tutto il mondo) iniziano a prendere
confidenza con la posta elettronica, l'e-mail. Dopo i computer
portatili, anche i cellulari e le playstation entrano nelle vite comuni,
affermandosi come oggetti di scena anche nel cinema non
fantascientifico. In realtà, ciò che per molti individui è ancora un
oggetto ipertecnologico o di lusso (come i telefoni mobili o i laptop),
da molti anni fa già parte dell'arsenale immaginifico della
134
fantascienza. Strano a dirsi, ma l'anticipazione banalizza ogni
innovazione. Il pubblico di questi film – che ora è molto più vasto di
prima – tende a dare per scontate anche invenzioni meravigliose, che
cambiano le abitudini dell'intero pianeta: in fondo, le ha già viste al
cinema. Il quinto elemento (Le cinquième élément, 1997)149
dell'abile regista francese Luc Besson è una giocosa sintesi
dell'armamentario tecnologico trasmesso da settanta anni di
fantascienza: città a più livelli, macchine volanti, case iperautomatizzate, clonazioni istantanee, armi mirabolanti e scambi
turistici interplanetari. Il film non è solo un divertente fumetto
cinematografico, ma una scanzonata presa in giro di quello che –
forse incautamente – ci aspettiamo dal futuro.
Questa strana assuefazione allo straordinario coinvolge anche la
scienza. Una teoria sviluppata nell'ambito della meccanica quantistica
– già elaborata da Hugh Everett negli anni cinquanta – diventa
popolare anche fuori dall'ambito scientifico150 e rivela le sue
sconcertanti implicazioni sull'interpretazione del reale. Negli anni
novanta si diffonde così l'ipotesi del multiverso: ci sono mondi
paralleli al nostro, che vivono esistenze simili. Siamo soli
nell'universo? La risposta è cambiata rispetto a prima. Ora recita:
forse siamo soli in questo universo, ma abbiamo buone probabilità di
avere compagnia in qualcuno degli altri. Ovviamente, se il
trasferimento tra le varie dimensioni non fosse possibile, per il
cinema e per la letteratura l'intera faccenda perderebbe di interesse.
Ma da molto tempo (almeno dagli anni cinquanta) la fantascienza
considera i viaggi da una dimensione all'altra. 151 Insomma, il
149
Il film vede come protagonisti Bruce Willis e Milla Jovovich. È la storia di Korben
Dallas, un tassista del futuro che deve salvare il mondo recuperando «il quinto
elemento», un ente in forma di ragazza di nome Leeloo. È stato girato in Inghilterra
nei Pinewood Studios (set dei film della saga di 007) ed è costato 90 milioni di dollari.
Ne ha incassati però oltre 270, soprattutto fuori degli Stati Uniti, anche se è stato
realizzato espressamente per il mercato nordamericano.
150
Il multiverso è un'ipotesi sviluppata nell'ambito della meccanica quantistica e fa
parte di una Theory of Everything (TOE, Teoria del Tutto), che mira a dare una
spiegazione globale della realtà.
151
Il passaggio dimensionale è un tema tipico del genere «ucronico» (l'utopia del
tempo), che ha in autori come Philip Dick, Poul Anderson e Harry Turtledove alcuni
fra i maggiori rappresentanti. Anche nel romanzo di Michael Crichton Timeline
un'applicazione delle teorie di Everett permette il trasferimento tra universi paralleli.
La trilogia fantasy Queste Oscure Materie di Philip Pullman è ambientata fra i molti
135
multiverso non è ancora entrato nell'immaginario collettivo che già
sembra un vecchio ritornello.
Non è strano, dunque, che il cinema rinunci a occuparsene,
focalizzandosi piuttosto su un tema analogo: quello della realtà
virtuale. Le pellicole più interessanti degli anni novanta sono quelle
che proseguono il discorso, già introdotto nel decennio precedente,
sui piani paralleli di esistenza. La mente, l'inconscio, le abitudini
umane vengono usate per progettare altre dimensioni in cui
proiettare i protagonisti dei film. Il ricordo personale, la coscienza e le
memorie collettive, i media, i codici di programmazione informatica, i
videogiochi, le droghe, le esperienze sensoriali: questi e altri elementi
diventano riserva di caccia degli sceneggiatori, che inseguono lo
scenario virtuale più emozionante. Alla fine del decennio Matrix,
(The Matrix, di Andy e Larry Wachowski, USA 1999), dei fratelli
Wachowski, si affermerà come il tentativo di maggior successo tra il
pubblico, se non tra i critici. Alle soglie del 2000, evidentemente, il
concetto di multidimensionalità è entrato nel senso comune della
società dell’informazione e non deve essere spiegato agli spettatori,
che sono ormai in grado di apprezzare una vicenda narrata su livelli
diversi di realtà.
La vita virtuale, non c'è dubbio, oscura la vita reale. Ma se qualcuno
si sofferma a giudicare ciò che rimane di quest’ultima, il verdetto è
sconfortante. Il pessimismo si fa più tetro verso la fine del decennio,
quando è ormai chiaro che le contraddizioni del mondo
contemporaneo non sono destinate a scomparire con la
globalizzazione, semmai ad accentuarsi. A ben guardare, gli abitanti
del pianeta non sono più prosperi, più sicuri o più informati di
qualche anno prima. Chi all'inizio del decennio inneggia alla «fine
della storia» – come compiutezza del progresso e dell'evoluzione
sociale – qualche anno dopo parla invece di «grande distruzione»152:
mondi di un multiverso tiranneggiato da un falso Dio. Anche il Ciclo del Campione
Eterno di Michael Moorcock accenna al multiverso.
152
Nel suo The End of History and the Last Man (1992), l'americano Francis Fukuyama
interpreta la storia dell'umanità come un processo evolutivo che ha l'esito finale
dello stato liberale e democratico del tardo Novecento, secondo una visione, se non
proprio utopica, non del tutto pessimistica. In La grande distruzione (The Great
Disruption 1999) egli descrive invece i mutamenti nella società dovuti alle nuove
tecnologie della comunicazione e dell’informazione. L'Occidente, raggiunto il culmine
economico e produttivo, si appresta a cancellare gli antichi legami sociali con costi
assai elevati.
136
disgregazione della società, della morale, dei rapporti fra individui. Il
cinema e la letteratura restituiscono un clima apocalittico, che rende
le utopie nere più nere che mai. Nell'era globale la terra è un posto
troppo grande, troppo complicato per i poveri terrestri. E il fatto che
esistano anche (molti?) mondi paralleli non sembra affatto una buona
notizia.
Il penultimo uomo.
Scrittori e cineasti sono concordi: l'essere umano è autoimmune,
procura gravi danni a se stesso. La sua nocività pervade l'intero
universo, poi lo travalica e si espande negli altri, nello spazio e nel
tempo, come un gas nervino. La scienza (almeno qualche teoria
piuttosto accreditata) parla di almeno undici dimensioni: tutte, o
quasi tutte, ancora da conoscere; poi da invadere; poi da
contaminare con la nostra (disumana) umanità. Non c'è multiverso
che tenga. Non c'è realtà che, almeno potenzialmente, non possa
essere rovinata, inquinata, deturpata, distorta; magari per essere poi
venduta con una buona campagna pubblicitaria.
Lo sa bene Terry Gilliam, che già negli anni ottanta si è cimentato
con la fantascienza e la distopia, e che si serve dei paradossi
temporali per lasciar trapelare qualche perplessità sul futuro
dell'uomo. Nel 1995 esce il suo L'esercito delle 12 scimmie
(Twelve Monkeys)153 che immagina il mondo del 2035, devastato
da un virus che ha ucciso la maggior parte degli esseri umani e che li
ha costretti a vivere nel sottosuolo. James Cole (l'ironico bisteccone
Bruce Willis) è un detenuto che, in cambio della promessa della
grazia, accetta di viaggiare nel tempo per scoprire quale operazione
terroristica abbia diffuso il morbo letale. Si sospetta sia un gruppo
che si autodefinisce «l'esercito delle 12 scimmie». Questo è
capeggiato da un mitomane furioso – un Brad Pitt in smoking e
ciabatte a forma di coniglio rosa – che è anche figlio di un noto
virologo. Il prigioniero Cole viaggia dentro e fuori degli anni novanta
– e dentro e fuori di un ospedale psichiatrico – per risolvere il mistero
e fermare l'attentatore, con l'aiuto della bella dottoressa Kathryn
Railly (Madeleine Stowe). Per onorare il paradosso temporale, sarà a
un se stesso bambino che consegnerà il testimone della salvezza del
153
Il film è ispirato al cortometraggio culto La Jetée (di Chris Marker, Francia 1962),
su cui è costruita la sceneggiatura di David e Janet Peoples. Prodotto con 29,5 milioni
di dollari, è piaciuto alla critica e ha guadagnato ben 169 milioni in tutto il mondo.
137
mondo. Il film di Gilliam non è un capolavoro, anche se è nobilitato
dagli attori, dalla eccellente fotografia e da qualche trovata del
regista. Tuttavia, in qualche modo, procura ansia e speranza al
tempo stesso. Posto che si riesca a distinguere tra follia individuale e
collettiva, saremo in grado, un giorno, di porre rimedio alla nostra
devastante stupidità?
Meno filosofico e più fiabesco è senza dubbio Waterworld, del regista
Kevin Reynolds, uscito nello stesso anno (1995), interpretato e
coprodotto da Kevin Costner. Questa volta, il futuro post-apocalittico
è al mare. In un mondo sommerso dalle acque per lo scioglimento
dei ghiacciai, esistono città-atollo (poche) e avventurieri che solcano i
mari, tra tecnologie avanzatissime e mutazioni genetiche. Il mutante
Mariner cerca, a bordo della sua attrezzatissima imbarcazione (un
trimarano), gli ultimi lembi di terra asciutta. Il budget dell'intera
operazione supera di molto quello inizialmente preventivato, tanto da
renderlo il film più costoso mai prodotto (per l'epoca) 154. È dubbio
che ne sia valsa la pena. Forse è vero, come è stato notato dai critici,
che tutto fa acqua in Waterworld : più che il nuovo mondo, la regia,
gli attori,la sceneggiatura. Anche se bisogna ammettere che l'idea di
un destino liquido per l’umanità non è malvagia. Tra tanti futuri
improponibili, un paio di pinne o gli arti palmati non sarebbero poi
per gli esseri umani la peggiore delle sorti.
Dimensioni parallele.
Negli anni novanta il filone indubbiamente più prolifico è quello che
sfrutta un meccanismo narrativo non certo nuovo, ma intrigante: il
personaggio confonde le diverse dimensioni in cui agisce. Perché è
questo il destino filmico e letterario della realtà virtuale: rendersi
indistinguibile dal mondo vero. Su quest'unico tema – la vita è sogno,
potremmo dire – le variazioni prodotte dalla macchina da presa sono
davvero tante.
Tra i film ispirati alla narrativa di Philip K. Dick155, all'inizio del
decennio (1990) si distingue Atto di forza (Total Recall)
154
Data la diserzione del pubblico americano, è spesso segnalato come un vero "flop"
del regista, anche se può vantare un buon successo nel resto del mondo, con un
guadagno (netto) di quasi 100 milioni di dollari nelle sale. Il film è stato candidato agli
Oscar 1996 per il miglior sonoro.
155
Atto di forza è tratto dal racconto di Philip K. Dick We Can Remember It for You
Wholesale (Ricordiamo per voi, 1966).
138
dell'olandese Paul Verhoeven. Nel 2084 l'operaio edile Doug Quaid si
rivolge all'agenzia Recall per fare del turismo virtuale su Marte. Una
volta là, scopre di esserci già stato nei panni di Hauser, agente al
servizio del crudele dittatore marziano e, dopo una rapida presa di
coscienza, si unisce ai rivoltosi. È un film tipico di questo decennio:
non risparmia su nulla, soprattutto sugli effetti speciali 156. Se questo
non ne fa un opera di grande classe e sobrietà, certamente ne fa una
pellicola suggestiva, divertente, di grande ritmo. Il divario tra mondo
concreto e apparenza è giocato su una struttura a matrioska, forse la
prima usata per rendere la realtà virtuale. È un meccanismo che
gioca sulla confusione dei protagonisti, ma anche su quella degli
spettatori, che nel 1990 non sono ancora attrezzati per questi rapidi
passaggi di contesto.
L'anno successivo (1991) si susseguiranno due prove autoriali, non
completamente soddisfacenti. La prima è Il pasto nudo (Naked
Lunch) dell'immancabile David Cronenberg, pronto ad assalire il
pubblico con le sue trovate repellenti, questa volta basate
sull'illeggibile romanzo omonimo di William S. Burroughs157. Il povero
Peter Weller vuole fare lo scrittore, ma in realtà è un derattizzatore a
New York, costantemente in preda alle peggiori allucinazioni e con
una moglie tossica, che per sbaglio uccide. Si rifugia a Tangeri dove
crede di essere (o realmente è) coinvolto nel malvagio piano di
mostruosi alieni. I mostri nella testa di Cronenberg – realizzati per la
pellicola – sono così perversi e raccapriccianti da suscitare una certa
tenerezza. Il film, pieno di promesse irrealizzate, ha però un merito
indubbio: nemmeno una volta il regista sente il dovere di spiegare
quale sia la realtà e quale la fantasia. Così lo spettatore non resta del
tutto deluso.
La delusione è invece in agguato per chi, nello stesso anno, si aspetta
molto dal film di Wim Wenders Fino alla fine del mondo (Bis ans
Ende der Welt, Until the End of the World, 1991). È una specie
di road movie di fantascienza, ma pesante, contorto, inutilmente
156
La pellicola ottiene nel 1991 l'Oscar per i migliori effetti speciali a Eric Brevig.
Il film è tratto dal romanzo Pasto nudo (Naked Lunch, riferito a un'esperienza che
segna la vita intera) dello scrittore statunitense William S. Burroughs, pubblicato
prima in Francia nel 1959 e solo nel 1962 negli USA, però secondo una redazione
diversa, posseduta unicamente da Allen Ginsberg. È un libro di difficile
interpretazione: al di sotto dell’apparente non senso trapelano i temi del controllo
sulle menti dei cittadini operato dallo Stato e della telepatia, usata per sfuggire al
controllo e alla censura.
157
139
complicato. Un satellite artificiale impazzito minaccia la Terra, mentre
Claire e Trevor McPhee (alias Sam Farber) viaggiano da Berlino a
Lisbona, da Mosca a Tokyo, fino all'Australia. Il padre di Sam ha
inventato una macchina per permettere alla madre cieca di vedere
(con il cervello) immagini e filmati che Sam ha registrato nelle sue
peregrinazioni. Si scopre poi che lo stesso dispositivo può registrare i
sogni e proiettarli su uno schermo. Ammirevole invenzione, senza
dubbio: ma lascia un po' freddi, così come il film.
Negli anni novanta molte pellicole sulla realtà virtuale, in effetti,
potrebbero essere classificate come "inutili". Nel 1998 esce Dark City,
di Alex Proyas158, un noir perfetto per scenografie e fotografie,
ispirato all'oscurità grottesca del miglior Tim Burton. Tutto il resto è
dimenticabile. Gli alieni, dotati di grandi poteri telepatici e della
capacità di costruire scenari immaginari, usano gli uomini come loro
cavie per scongiurare la propria estinzione. Gli uomini in questione,
ovviamente, iniziano a confondere i piani della realtà. La storia non è
emozionante, ma risulterebbe migliore se non fosse per i dialoghi, la
struttura e i tempi del film. La strategia degli extraterrestri non sarà
per caso quella di farci morire di noia?
Anche l'italiano Gabriele Salvatores, con il film Nirvana del 1997,
prova a costruire mondi immaginari e realtà virtuali. Gli esiti sono
discutibili. Ambientato nel 2005, il racconto si sviluppa in una
metropoli formata da un Centro per le classi alte circondato da
periferie pericolose (Marrakech, Shangai Town, Bombay). Si muove
nei bassifondi un gruppo di eccentrici amici: Jimi (Christopher
Lambert), che inventa il videogioco Nirvana; Solo (Diego
Abatantuono), che ne è il protagonista; Joystick (Rubini), un hacker
che s'è venduto le cornee, sostituite con protesi elettroniche, per
pagarsi i debiti159. Belli gli scenari, bella la fotografia e la colonna
sonora, bravo Sergio Rubini. Ma questo costoso baraccone sembra
finalizzato a propinare al pubblico italiano la stessa, ossessiva storia
di occasioni perdute, giovinezza rimpianta e progetti irrealizzati che
governa tutti i film di Salvatores.
158
Il film ha vinto il Saturn Award come miglior film di fantascienza nel 1998.
Il film Nirvana è girato nell'area industriale dismessa dell'Alfa Romeo di Milano (e
nei sotterranei del macello comunale), dove lo scenografo Giancarlo Basili ha messo
in piedi il suo mondo futuro ispirandosi a Bosch, a Escher e alla Pop Art. Nonostante
le pessime reazioni della critica, è la pellicola di maggiore successo commerciale del
regista Salvatores e anche della fantascienza italiana in generale.
159
140
Non se la caverà meglio, a fine decennio, il solito Cronenberg, con il
suo eXistenZ (1999). È il nome di un gioco che nasce da un sistema
neurale mutante. Collegato questo «pod» al corpo umano, il
giocatore è proiettato in una dimensione virtuale. Anche qui ci sono
molteplici livelli paralleli, che confondono lo spettatore su quale sia il
piano reale e anche sul reale intento del film. Ma ormai lo
spiazzamento sembra di moda. Seguendo la stessa logica nel 1999
viene realizzato un film non brutto, ma passato del tutto inosservato:
Il tredicesimo piano (The Thirteenth Floor, di Josef Rusnak, USA,
Germania 1999). La realtà virtuale è una Los Angeles del 1937 dalla
quale Hannon Fuller tenta di comunicare con un amico, Douglas Hall,
prima di essere ucciso nel mondo reale. Non fa in tempo a rivelargli il
suo segreto: tutti e due sono entità cibernetiche, prodotte nel futuro
da un programmatore assassino. Douglas Hall si trova indagato dalla
polizia e sbalzato attraverso piani di esistenza diversi: gli anni trenta,
gli anni novanta, il 2024. C'è anche una misteriosa ragazza, Jane, che
non è mai chi sembra essere. La matassa è complicatissima, ma alla
fine si dipana semplicemente, e non lascia il pubblico insoddisfatto e
frustrato. Di dimensione in dimensione, i cattivi non cambiano, ma gli
eroi si fanno più astuti.
Diverso dai precedenti nella forma esteriore e nella storia, Strange
Days (di Kathryn Bigelow, USA 1995)160 si candida a essere il film più
originale del decennio, e uno dei migliori degli ultimi decenni. In una
Los Angeles non molto futura, ma violenta e allucinata, il 30 e il 31
dicembre 1999 sono gli strange days, gli strani giorni di Lenny Nero
(Ralph Fiennes), un ex poliziotto un po' sbandato, che in preda alla
depressione è diventato spacciatore di squid. Lo squid è la nuova
droga illegale: un dispositivo che riproduce, a tutti i livelli sensoriali,
un'esperienza vissuta e registrata da un'altra persona. Al perenne
inseguimento di un'indisponente ex, la cantante Faith (Juliette Lewis,
che canta davvero), aiutato da un amica che fa la body guard
(Angela Bassett), Nero trova le prove dell'omicidio di un rapper di
colore da parte di due poliziotti bianchi e riesce a dimostrarlo
platealmente. La musica sembra parte integrante delle inquadrature,
incalza il ritmo ansiogeno della storia. La regia, il montaggio e le
immagini – psichedeliche, sconnesse, quasi isteriche – ne fanno una
160
Kathryn Ann Bigelow (San Carlos, 27 novembre 1951), ex moglie di James
Cameron, ha anche prodotto il film e lo ha sceneggiato con Jay Cocks. È stata la prima
(e finora unica) donna a ottenere l'Oscar al miglior regista, nel 2010, con The Hurt
Locker (di Kathryn Bigelow), di cui è anche produttrice.
141
pellicola straordinaria, in cui la realtà virtuale non è altro che vita
vera, e dunque può diventare il peggior incubo di una persona.
È precisamente quanto accade in The Truman Show (1998)161 di
Peter Weir, dove la vita di Truman Burbank (Jim Carrey) trascorre
monotona e incolore, ma tranquilla e prospera, nella comunità
suburbana di Seahaven. Tutto va bene, finché Burbank non scopre di
vivere in una spettacolare soap opera, allestita in un enorme studio
televisivo, di cui è il protagonista assoluto. Lo circondano solo attori
al soldo del produttore-demiurgo Christof (Harris). Lo sceneggiatore
neozelandese Andrew Niccol e il regista Weir, con mano davvero
felice, riescono a sintetizzare le principali distopie dei grandi romanzi
di fantascienza del secolo – da Orwell, a Sheckley, a Philip K. Dick – e
a tradurle in un incubo per tutti i gusti. L'ironia e l'intelligenza
abbondano, anche se la critica ha obiettato che il film poteva essere
meno convenzionale. Resta, ad ogni buon conto, una delle prove
migliori del decennio.
Ma forse il film di fantascienza più rappresentativo degli anni novanta
(e anche del decennio successivo) resta il celebre Matrix, uscito nel
1999 per la regia dei fratelli Andy e Larry (dopo l'operazione, Lara)
Wachowski162. L'hacker Neo scopre che la cosiddetta "realtà" è solo
un impulso elettrico con cui un'intelligenza artificiale inganna il
cervello degli esseri umani. Questi si sono affidati alle macchine, che
ora li governano, li ingannano con la «matrice» e, intanto, li coltivano
per produrre l'energia che serve loro a sopravvivere. La realtà fittizia
è un contesto gratificante, inventato dal neuro simulatore per tenere
tranquilli gli individui: è uno scenario finto, fatto di impulsi nervosi
anziché di cartone. Intanto, però, le persone sono allevate come polli
in batteria dai nuovi padroni. L'asettico Neo, con l'aiuto del pirata
informatico Morpheus e di un'algida e plastificata Trinity, tenta di
mandare all'aria l'orribile programma degli antagonisti dell'uomo.
Matrix guadagna nelle prime due settimane di programmazione 73
milioni di dollari nei soli Stati Uniti. In buona parte la straordinaria
161
Il film (nonostante tre nomination) non ottiene l'Oscar ma ben tre Golden Globe
nel 1999: miglior attore in un film drammatico a Jim Carrey; miglior attore non
protagonista a Ed Harris; miglior colonna sonora a Philip Glass.
162
Nel 2000 il film fa incetta di premi Oscar: miglior montaggio a Zach Staenberg;
miglior sonoro a John T. Reitz, Gregg Rudloff, David E. Campbell e David Lee; miglior
montaggio sonoro a Dane A. Davis; migliori effetti speciali a John Gaeta, Janek Sirrs,
Steve Courtley e Jon Thu. Lo stesso anno vince due Bafta e ottiene nominations per
altri premi.
142
affluenza di spettatori è l’effetto di un eccellente marketing,
combinato a un prodotto non certo ignobile, anche se incontra
prevalentemente i gusti dei giovani. Ma il successo della pellicola si
deve soprattutto alla capacità di mescolare ingredienti che, almeno al
cinema, non si erano mai incontrati: la filosofia orientale e le arti
marziali con il cyberpunk; la mitologia con l'ipertecnologia;
l'informatica con le saghe, le leggende popolari e le fiabe. Troppi
effetti speciali e, in generale, troppa carne al fuoco. Però non si
discute: più di qualsiasi precedente film di fantascienza, Matrix
definisce ciò che è cool per un'intera generazione – quella dei non
ancora trentenni – e ne condiziona le scelte future in termini di
cinema, di stivali, di letteratura, di sport, di tatuaggi, di occhiali da
sole, di trench di pelle e perfino di velocità di movenze163. Può non
piacere o sembrare ridicolo, ma il futuro immaginato dai fratelli
Wachowsky affronta (e con una certa sicurezza) l'idea che la cultura
sia fatta di mescolanze strane di elementi e di esperienze. Il giudizio,
unanimemente positivo, non si estende tuttavia ai due seguiti164, che
vengono stroncati dalla critica e sopportati dal pubblico per inevitabile
forza d'inerzia.
Altre mutazioni.
Non c'è dubbio: la metamorfosi più significativa del decennio è quella
operata dai film di fantascienza sul pubblico stesso. La cenerentola
della cinematografia è diventata la sua punta di diamante, che
nessuno può più fare a meno di considerare come parte del proprio
bagaglio culturale. I registi approfittano senza indugi di quest'onda,
in cui ogni spettacolo, per quanto banale, può riscuotere incassi e
ammirazione. È come se lo scarafaggio di Kafka si fosse trasformato
nel principe azzurro.
In un cinema in piena trasmutazione – in cui sta cambiando il valore
culturale del genere fantascientifico – proprio il tema della
163
Il più efficace stratagemma visivo, ideato da John Gaeta, è il perfezionamento del
procedimento noto come time slice («fetta di tempo») nel bullet time, che consente
di vedere ogni momento di una scena come se fosse al rallentatore mentre
l'inquadratura sembra girare attorno alla scena a velocità regolare. C'è così un effetto
di "congelamento dinamico".
164
Matrix Reloaded (The Matrix Reloaded, di Andy e Larry Wachowski, USA 2003), e
Matrix Revolutions (The Matrix Revolutions, di Andy e Larry Wachowski, USA 2003),
sono usciti lo stesso anno, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro.
143
(tras)mutazione trae nuova linfa da una serie nutrita di film. Non
sono, perlopiù, opere che lasciano il segno. Nel 1992 il regista del
brivido John Carpenter fa il verso al film di James Whale con la
commedia Avventure di un uomo invisibile (Memoirs of an Invisible
Man), ma senza lasciare il segno. Nel 1992 I nuovi eroi (Universal
Soldiers) è il primo film hollywoodiano dell'ex tedesco dell'est (poi
americano) Roland Emmerich: in esso è ripresa la vecchia idea dei
soldati mutanti165 che diventano macchine per uccidere. È un
prodotto cucito a misura sul suo protagonista, Jean-Claude Van
Damme: sparatorie, giungla e violenza. Ancor meno amato dalla
critica è il film dello spagnolo Álex De la Iglesia: Azione mutante
(Acción mutante, 1993) che racconta del rapimento di una giovane
riccona da parte di uno sgangherato commando di mutanti.
Finanziato dai fratelli Almodóvar come esperimento di comicità
demenziale tra la letteratura cyberpunk, il fumetto noir e la cultura
pop spagnola, si rivela nondimeno un flop disastroso.
Almeno dal punto di vista degli incassi, il panorama delle mutazioni è
risollevato dall'uscita nelle sale di Jurassic Park di Steven Spielberg
(1993). Il soggetto è tratto da un romanzo di Michael Crichton, che
qui riporta in auge i parchi dei divertimenti (come Westworld) da cui
gli esseri umani dovrebbero tenersi alla larga. Il miliardario John
Hammond (Richard Attenborough) ha eccezionali scienziati al suo
soldo: grazie al DNA trovato nel sangue di una zanzara fossile, essi
ridanno vita ai dinosauri. L'intento è quello di aprire un Jurassic Park.
Per sperimentarne l’impatto Hammond invita un gruppo selezionato
di persone. Tra gli ospiti c'è un famoso matematico (Jeff Goldblum),
un paleontologo (Sam Neill), una paleobotanica (Laura Dern) e due
ragazzini, i nipoti di Hammond. Ma l'informatico del parco (Wayne
Knight) neutralizza i sistemi di sicurezza per rubare gli embrioni di
dinosauro e rivenderli. I dinosauri non sono tutti perspicaci, ma una
volta capita l'antifona (che i recinti sono inutili) si scatenano a danno
dei visitatori. Certo, il romanzo è più interessante, ma Spielberg
riesce a creare uno spettacolo straordinario. Intanto, la suspense è
assicurata. Inoltre, per la prima volta viene realizzata una tale varietà
di animali preistorici di stupefacente realismo. È una moltiplicazione
di Godzilla, ma con forme, personalità ed esigenze diverse. Il film non
si segnala certo per il suo impegno culturale né per la prova degli
attori, che pure fanno il loro dovere. Ma Spielberg ha il grande merito
165
Il tema era comparso per la prima volta nel film Va’ e uccidi (The Manchurian
Candidate, di John Frankenheimer, USA 1962).
144
di aver riportato in auge i rettili giganteschi non solo nelle sale
cinematografiche, ma nei discorsi delle persone comuni e
nell'immaginario dei bambini, che da allora (dopo vent'anni) sognano
ancora il loro dinosauro166.
Una mutazione decisamente più singolare è al centro di un film non
bruttissimo, anche se maltrattato dalla critica italiana: L'uomo
bicentenario (Bicentennial Man, di Chris Columbus, USA 1999). È una
specie di saga familiare (tipo Radici) con un solo protagonista: un
robot che, in quanto macchina, vive ben duecento anni a partire
dall'anno 2005. Andrew, modello NDR 114, nasce come androide
domestico, niente più che una macchina al servizio della famiglia
Martin. Attraverso lunghi procedimenti e interventi sperimentali,
Andrew intraprende un lungo viaggio alla scoperta dell'umanità e alla
ricerca di un riconoscimento come essere umano. Per far questo deve
però acquisire, oltre che il sistema nervoso e quello circolatorio,
sensazioni e sentimenti umani. La mutazione avviene gradualmente,
grazie a una tecnologia amichevole che trasforma un servitore fedele
in un nostro simile. Forse un po' eccessivo risulta agli spettatori
contemporanei l'umile zelo del robot, impersonato da un attore
morbido e simpatico come Robin Williams. Può sembrare strano che il
protagonista non riesca a liberarsi da una (consapevole) soggezione
nei confronti dei padroni umani e che, ad ogni passo, si dichiari «lieto
di poter servire»: anche quando, in realtà, è autonomo da molto
tempo. Il soggetto è tratto da un racconto di Isaac Asimov167, che
apre la via a moltissime riflessioni più o meno politically correct su
che cosa sia l'umanità e sulla rivendicazione dei diritti delle
minoranze. Senza contare, poi, che ci insegna a guardare i nostri
elettrodomestici con maggior rispetto: un giorno potrebbero essere
più ricchi e potenti di noi.
166
Il film riscuote un incasso di oltre 919 milioni di dollari lordi. Spielberg ingaggia gli
Stan Winston Studios per creare i progetti animatronici dei dinosauri, che
interagiscono con la grafica digitale della Industrial Light & Magic di Lucas.
Nonostante la consulenza di molti specialisti (tra cui il famoso paleontologo Jack
Horner) oggi l'aspetto dei dinosauri risulterebbe non verisimile, perché nel frattempo
sono mutate le teorie sulla loro evoluzione. Il velociraptor e il dilofosauro, si dice ora,
sono molto distanti dalla rappresentazione fornita dai tecnici di Spielberg.
167
The Bicentennial Man è un racconto composto da Asimov nel 1976 per celebrare i
200 anni dalla nascita degli Stati Uniti e viene inserito in seguito nel romanzo The
Positronic Man, scritto a quattro mani con Robert Silverberg.
145
A questo proposito, ecco una storia di deboli contro potenti. È un film
del 1997: Gattaca - La porta dell'universo (Gattaca), scritto e
diretto dallo sceneggiatore di The Truman Show, il neozelandese
Andrew Niccol. In un futuro «non troppo lontano» l'ingegneria
genetica progetta gli esseri umani definiti Validi (concepiti in provetta
con una manipolazione genetica), mentre tutti gli altri diventano Non
Validi e sono considerati una razza inferiore. Per poter essere inviato
su Titano (la luna di Saturno) come astronauta, un Non Valido di
nome Vincent (Ethan Hawke) si sostituisce a un Valido, Jerome
Morrow (Jude Law), un atleta che un incidente ha costretto su una
sedia a rotelle. Costui gli vende la sua vita: Vincent ne prende il
sangue e le urine, l'identità anagrafica, i documenti e tutto quello che
gli serve per sfuggire ai ferrei controlli di Gattaca 168, l'ente
aerospaziale che sovraintende ai viaggi interplanetari. A causa di un
omicidio, la verità viene scoperta da più persone, che però
decideranno, per un motivo o per l'altro, di non denunciarlo e di
lasciargli realizzare il suo sogno. Hawke, Law, Uma Thurman, Ernest
Borgnine e perfino lo scrittore Gore Vidal: il cast, dai protagonisti alle
comparse, riesce a rendere l'atmosfera di questo possibile futuro
gelida e commovente al tempo stesso. Il resto lo fanno la scenografia
e la musica169. Il tutto concorre a descrivere il mondo di Gattaca
come soggiogato, quasi sedotto da un totalitarismo soffice, ma
subdolo e spietato, dove le discriminazioni, pur bandite dalla legge,
sono alla base della società. È un buon film, ingiustamente
maltrattato dalla critica, che sa combinare sensazioni ansiogene e
occasioni di riflessione: non tanto, come potrebbe sembrare, sulle
aberrazioni della genetica, quanto piuttosto sulle straordinarie
capacità di ogni individuo di superare i limiti imposti dal pensiero
dominante, dalle convenzioni e dalla cosiddetta normalità.
Contatti extraterrestri.
L'idea enunciata in La fine della storia convince molto storici, ma non
tutti gli scrittori di sci-fi. Il fenomeno letterario del decennio è Kim
168
Il termine «Gattaca» deriva dalla combinazione delle iniziali delle quattro basi
azotate che formano il DNA: la guanina, l'adenina, la timina e la citosina.
169
L'asettica scenografia è opera del direttore della fotografia Slawomir Idziak e della
coreografa Nancy Nye; le musiche sono del compositore inglese - preferito da Peter
Greenaway - Michael Nyman, autore della colonna sonora del film Lezioni di piano
(The Piano, di Jane Campion, Nuova Zelanda, Australia 1993).
146
Stanley Robinson, che conquista il pubblico dei lettori di fantascienza
con una trilogia di vere e proprie «cronache marziane». Sono romanzi
di impianto corale, straordinari nello stile e nei contenuti scientifici. La
vicenda è quella della colonizzazione umana del territorio di Marte,
ritratta in epoche diverse, a distanza di secoli. Non è una storia
trionfale: piuttosto una realistica vicenda di successi e sconfitte,
ascese e decadenze, età dell'oro ed epoche oscure. Economia,
politica, ideologie e relazioni si sviluppano e avvizziscono. È un
andamento ciclico, che coinvolge tutti gli aspetti dell'esistenza della
colonia, oltre che il lento processo di «terraformazione», cioè di
adattamento del suolo marziano all'habitat umano170. Potrebbe
essere, a tutti gli effetti, un convincente libro di storia su come
nascono e tramontano (più e più volte) le civiltà.
Per apprezzare la trilogia di Marte occorre mettersi in testa qualche
verità scomoda. La prima è che i marziani non esistono. La seconda è
che, se esistessero, ci eviterebbero. La terza è che gli uomini – con le
loro società – sono talvolta più problematici di qualsiasi
extraterrestre, per quanto malvagio. Ma la raffinatezza di Robinson
sembra cozzare con una certa rozzezza del cinema fantascientifico. Il
quale, da parte sua, negli anni novanta si rifiuta di accettare che le
presenze aliene non siano più all'ordine del giorno. I risultati sono
vari, ma in media non molto soddisfacenti. Per quanto si possa
ricordare qualche pellicola decente, nelle sale non compaiono molti
film di fantascienza capaci di affrontare di petto il vero problema:
l'estraneità del genere umano a se stesso.
Ci prova il regista di origini tedesche Roland Emmerich con ben due
opere di tema extraterrestre: Stargate (1994)171 e Independence
Day (1996)172. Il risultato è un successo immenso al botteghino,
soprattutto per il secondo, e svariate stroncature dalla critica
internazionale. Il meno che si possa dire è che sono due film noiosi.
Nel primo sono i terrestri a visitare un altro pianeta. Siamo nel 1993:
un giovane egittologo, al seguito di una spedizione militare,
170
I tre libri sono Red Mars (Marte rosso, 1992); Green Mars (1994); Blue Mars
(1996). Solo il primo è pubblicato in italiano.
171
Dal film è stata creata la serie televisiva Stargate SG-1 e gli altri spin-off, Stargate
Atlantis e Stargate Universe. A seguito del primo telefilm sono stati fatti due film per
la televisione, Stargate: Continuum e Stargate: L'arca della verità.
172
Il film incassa 306 milioni di dollari solamente negli Stati Uniti e quasi 817 milioni
nel resto del mondo. Nel 1997 ottiene l'Oscar ai migliori effetti speciali a Volker
Engel, Douglas Smith, Clay Pinney e Joe Viskocil.
147
attraversa una «porta del cielo» – un grande anello di materiale
sconosciuto, trovato vicino alla piramide di Cheope a Giza (Cairo) nel
1928 – per giungere su un pianeta ignoto. Qui trovano Ra, un
faraone immortale e cattivissimo che è in realtà un banale alieno.
Costui tiene in schiavitù il popolo del deserto: all'egittologo e al suo
gruppo tocca il solito, oneroso compito di sconfiggerlo e liberare i
suoi schiavi. È una favola fantascientifica che adotta – pur senza
dichiararlo – la prospettiva delle dimensioni parallele, in cui si
confonde presente e passato. Purtroppo è appesantita dalla
scenografia, dalla fotografia e perfino dalla morale che trasuda dalla
sceneggiatura.
Anche il secondo film non è propriamente divertente. Almeno, in
questo caso, il regista si toglie dall'impaccio del politically correct e fa
di tutto per guadagnarsi la sua naturalizzazione statunitense, che
tuttavia non gli era stata contestata. L'attacco alla terra è in grande
stile, con dischi volanti e scudo deflettore contro il fuoco nemico.
Quasi tutti i monumenti simbolo dell'America vengono polverizzati in
poco tempo, cosa che notoriamente indispone i nativi e ne provoca la
reazione. Il messaggio è semplice e diretto: gli americani sono buoni
e trionfano, gli extraterrestri sono malvagi e perdono. Independence
Day è il classico esempio di come una pubblicità martellante, due
attori carismatici (Jeff Goldblum e l'emergente Will Smith), molti
effetti speciali e una banalità rassicurante possano riempire le sale
con un certo agio.
Roland Emmerich è un regista soporifero, ma non è facile, di questi
tempi, dare agli alieni la giusta importanza. Nel 1997 MIB: Men in
Black, di Barry Sonnenfeld173, tenta di abbattere le barriere tra il
comico e l'horror, ma senza successo. Il film narra di una sezione
speciale del governo americano che controlla l'immigrazione aliena:
Tommy Lee Jones e Will Smith – due men in black – devono
inseguire un disgustoso insetto di tre metri che invade i corpi umani.
Il successo è garantito, ma per un pubblico di soli ragazzi. Non riesce
ad essere incisivo come un film che l'ha preceduto di un anno: Mars
Attacks! del geniale e irriverente Tim Burton (1996)174. È il solito
173
Nel cast Will Smith, Tommy Lee Jones, Linda Fiorentino e Vincent D'Onofrio. Il film
è basato sull'omonima serie a fumetti di Lowell Cunningham e sulla leggenda degli
uomini in nero, presenti in alcune teorie complottistiche sugli alieni. Sono stati girati
a tutt'oggi due sequel.
174
Il film è una parodia macabra della fantascienza (di Ed Wood e dei film di serie B)
degli anni cinquanta. Gli alieni sono ricalcati su quelli brutti e crudeli di una vecchia
148
attacco alieno, condotto con un armamentario degno di Emmerich:
molti, moltissimi dischi volanti. Qui però i marziani sono anche
permalosi e, allo stesso tempo, dispettosi come dei letali fanciulloni:
tanto quanto i terrestri sono stupidi, boriosi e meritevoli del peggior
destino. La terra diventa il perverso parco giochi degli orripilanti
zuzzerelloni spaziali. Essi bruciano, disintegrano, staccano teste,
infieriscono in tutti i modi possibili sullo strepitoso cast che recita, per
piccoli cammei, nei brevi capitoletti che compongono il film. Salvo
poi, poveri sventurati alieni malvagi, soccombere alle melodie country
& western: orrore a cui, evidentemente, non sono abituati.
Nel 1997 esce il film Contact 175, di Robert Zemeckis, che si rivela un
regista serio, anzi serissimo. Un gioiello visivo, pieno di immagini
preziose, ma anche pieno di coraggio per il tema delicato. Che non
sono solo gli alieni: è anche e soprattutto la libertà di coscienza e
l'autonomia della ricerca. Jodie Foster è l'astronoma Ellie Arroway che
crede ferventemente nella possibilità di un contatto alieno e che,
nonostante il suo ateismo e l'avversione delle autorità americane,
riesce a salire sul teletrasportatore che, attraverso un tunnel
spaziotemporale, la porta dai suoi amici extraterrestri. Al ritorno,
ovviamente, nessuno le crede, finché in qualche modo non ottiene di
farsi ascoltare dalla commissione finanziatrice del programma di
ricerca sui "contatti". La rappresentazione visiva del suo coraggio e
una fotografia particolarmente suggestiva infondono alla pellicola un
ritmo particolare, che procura più di un brivido di emozione.
Non merita altrettanta considerazione il film tratto da uno dei più bei
romanzi di Michael Crichton, Sfera (Sphere, di Barry Levinson, USA
serie di figurine omaggio, vendute con le caramelle in America, ma già negli anni
sessanta. Il cast è straordinario, con molti piccoli cammei (cameos) di personaggi
famosi: Jack Nicholson, Annette Bening, Glenn Close, Natalie Portman, Sarah Jessica
Parker, Danny DeVito, Michael J. Fox, Tom Jones, Pam Grier, Jack Black e molti altri.
Gli effetti speciali (della Industrial Light & Magic di George Lucas) non sono realizzati
con la tecnica dello stop motion (come voleva Burton) ma con la grafica digitale. La
colonna sonora è di Danny Elfman, tranne la canzone del cantante country Slim
Whitman, che diventa l'arma contro i marziani.
175
Tratto da un romanzo di Carl Sagan, astronomo famoso, divulgatore scientifico e
coproduttore di Contact che gli è dedicato perché Sagan muore durante le riprese.
Nel 1997 ha ricevuto un Satellite Awards (migliori effetti visivi), due Saturn Awards
(migliore attrice a Jodie Foster, miglior attore emergente a Jena Malone) e il Premio
Hugo (migliore rappresentazione drammatica).
149
1998) che pure compie veri miracoli con un budget non altissimo176.
Un'astronave, trovata sul fondo del mare, viene inizialmente creduta
un reperto alieno, tanto che è spedita ad osservarla un équipe di
esperti: lo psicologo Norman Goodman, la biologa Beth Halperin, il
matematico Harry Adams e l'astrofisico Ted Fielding. Essi
comprendono che si tratta di una nave terrestre del futuro, che
trasporta un regalino avvelenato: una sfera che materializza sogni e
pulsioni profonde di chi vi si introduce. Gli esperti – che formano un
cast eccezionale177 – vengono improvvisamente assaliti da un gran
numero di furibondi mostri marini: capiscono che qualcuno di loro,
grazie alla sfera, sta dando corpo alle proprie paure inconsce, se non
addirittura all'inconfessato desiderio di uccidere i compagni. Il
problema è capire chi. Prima che gli esseri umani si decidano a porre
un definitivo rimedio alla situazione, interviene il buon senso della
sfera, che se ne rotola via (delusa) tornando nello spazio. Gli uomini,
evidentemente, non sono degni del dono. Brutta razza, peggio dei
mostri marini. Ma bisogna ammettere che anche il film non è un
capolavoro.
Riscontra un maggior favore tra i cinefili, incredibilmente, lo
sgangherato Starship Troopers - Fanteria dello spazio (Starship
Troopers, di Paul Verhoeven, USA 1997) 178. Questa pellicola ha tutti
gli elementi per essere considerata un B-movie, anzi, un «blockbuster
parafascista», come talvolta è stata definita. Non è un lavoro di
pregio. Tuttavia i critici ci hanno visto un esempio di buona satira
antimilitarista, mascherata sotto la trama classica, che è ispirata
all'omonimo romanzo di Robert A. Heinlein. La terra è governata da
una dittatura militare, che concede i pieni diritti civili ai soli soldati. I
combattenti devono respingere giganteschi scarafaggi alieni che
vengono dal pianeta Klendathu. Johnny Rico, giovane argentino, si
176
Il film è girato nella base navale di Mare Island a Vallejo, in California. Ha un
budget ridotto e i produttori fanno fretta al regista, perché vogliono evitare la
concorrenza con The Abyss, il “kolossal” della 20th Century Fox su cui James
Cameron sta impiegando grande profusione di mezzi.
177
I personaggi principali sono interpretati da un cast davvero eccellente: Dustin
Hoffman, Sharon Stone, Samuel L. Jackson, Peter Coyote, Queen Latifah. Tra l'altro,
fa una comparsa nei panni di un pilota di elicotteri il cantante rock Huey Lewis,
autore di colonne sonore di fantascienza.
178
Il soggetto è tratto dal romanzo Fanteria dello spazio del 1959 di Robert A.
Heinlein. Ha avuto due sequel: Starship Troopers 2-Eroi della federazione (Starship
Troopers 2: Hero of the Federation, di Phil Tippet, USA 2004) e Starship Troopers
3:L'arma segreta (Starship Troopers 3: Marauder, di Edward Neumeier, USA 2008).
150
arruola solo per amore, ma in seguito alla distruzione della sua città
natale Buenos Aires e alla morte dei compagni, diventerà un vero
patriota.
Cosa insegnano gli anni novanta della science fiction
cinematografica? A ben guardare, con il passare del tempo,
moltissimi tra gli alieni e perfino tra i protagonisti delle peggiori realtà
virtuali convergono verso un'unica forma: quella dello scarafaggio.
Forse si tratta di un simbolo apocalittico: come dicono alcuni
scienziati, un giorno la terra sarà vuota e solo gli scarafaggi la
abiteranno. Peggio per loro, tutto sommato.
151
The Helix
distanza dalla Terra: 650 anni luce
153
Dove inizia l’infinito179
«Se c'è un difetto, è umano; è sempre
così... »
(Danny Witwer in Minority Report, di
Steven Spielberg, 2002)
I quadri generali.
A cavallo del nuovo millennio nasce e si afferma un'organizzazione
ombra, detta the Concern o L'Expédience. Essa agisce in un
multiverso fatto di Terre parallele, cioè di molte realtà possibili tra cui
i suoi agenti possono «transitare». I «transizionari» – Madame
d'Ortolan, Temudjin Oh, il Paziente 8262, Mrs. Mulverhill, il Filosofo –
sono in grado di viaggiare tra le dimensioni180 e operare in quella
prescelta, invadendo temporaneamente il corpo di un abitante. The
Concern è un'istituzione potentissima, onnipresente, il cui fine
(sconosciuto ai più) è respingere la diversità prima che dilaghi. I
vertici hanno un'idea molto personale di come dovrebbero girare i
mondi: Madame d'Ortolan, che ne è di fatto il capo, ha deciso di
bandire i contatti alieni da qualsiasi Terra. Ma non tutti sono
d'accordo con questa idea "protezionista". Nelle file dei transizionari
si nascondono dei rinnegati. Ed ecco che il multiverso – approdato
ormai alla divulgazione e alla cultura popolare – diventa sede di
intricate vicende di spionaggio e controspionaggio, in cui a stento si
capisce quali sono i fronti. È Transition, di Ian M.181 Banks,
ambientato tra la caduta del muro di Berlino e la crisi finanziaria
dell'anno 2008. Il passaggio obbligato è la distruzione delle Torri
Gemelle, che sancisce il declino dell'Occidente.
179
David Deutsch, The Beginning of Infinity, Allen Lane Science (Penguin UK), Londra
2011.
180
Il viaggio ultradimensionale dei transizionari avviene (salvo in un caso di
eccezionale bravura, quello di Temudjin Oh) ingerendo una sostanza misteriosa detta
"septus".
181
Ian M. Banks è un autore scozzese, che si firma con l'iniziale M. del secondo nome
(Menzies) solo quando scrive romanzi di fantascienza. Il libro è stato pubblicato in
Scozia nel settembre del 2009 senza la M., ma negli Stati Uniti, a breve distanza,
aggiungendo la M. Realtà o fantascienza?
155
Il romanzo di Banks è una parodia fantascientifica della cronaca degli
anni duemila. Di questi tempi, però, la realtà raggiunge la fantasia; a
volte la supera di qualche lunghezza. Il «decennio breve», così come
è stato definito, riporta il mondo al clima della guerra fredda e dei
due blocchi contrapposti. L'antagonismo è ancora una volta
esasperato, tanto da alimentare il panico collettivo. Ora però il
nemico non è più l'Unione Sovietica, e la minaccia non è più la bomba
atomica. È invece il mondo islamico che si contrappone all'Occidente,
grazie a un organismo paramilitare denominato Al-Qaeda. Questo
gruppo (sorto alla fine degli anni ottanta) si configura, sotto molti
aspetti, come una novità eccezionale. La sua struttura a reticolo,
costituita da cellule, sembra poter penetrare in ogni angolo della
terra, inaugurando un nuovo tipo di guerra globale. In realtà di tratta
di guerriglia, ma su larga scala: è basata su un grande potenziale
omicida nelle mani di pochi individui suicidi.
Il terrorismo internazionale – una vera Mecca per il cinema d'azione –
diventa l'incubo dell'era di George W. Bush, il nuovo presidente
repubblicano degli Stati Uniti. Dopo la sua elezione, gli eventi si
susseguono in una fatale concatenazione: l'attacco al World Trade
Center dell'11 settembre 2001; le guerre che l'America scatena
contro i presunti colpevoli (Afghanistan, Iraq); gli attentati che, a
distanza ravvicinata, funestano ogni parte del globo. Per un po' di
anni il pianeta non conosce tregua. La paura è reale, ma la ricerca
dell'ispiratore di al-Qaeda, Osama bin Laden, si trasforma in una
caccia simbolica, con qualche risvolto grottesco. Insieme con il
dittatore iracheno Saddam Hussein, Bin Laden contende il trono a
tutti gli «imperatori del male» del cinema di fantascienza.
Ma ciò che può far fremere gli sceneggiatori – nuova ispirazione – fa
tremare le minoranze nelle società occidentali. Più che altro, il panico
e l'isteria collettiva diffondono un atteggiamento paranoico verso
tutto ciò che è diverso per etnia, per cultura e per fede. Madame
d'Ortolan insegna: l'importante è tener lontani gli alieni. Alla
sensazione di accerchiamento contribuiscono le pandemie, adorate
dal genere fantascientifico e minacciate (ormai quasi ogni anno) dalle
autorità sanitarie mondiali. Contagion (2011), il secondo film di
fantascienza girato da Steven Soderbergh dopo il 2000, porta sullo
schermo l'ansia da epidemia, che ha travagliato l'intero pianeta per
156
una decina di anni182. Una buona pellicola che reca cattivi auspici.
Girano il mondo terroristi e virus, spie e cellule armate: nemici difficili
da vedere e da sconfiggere; viaggiano nelle metropolitane, sugli
aerei, nelle goccioline di saliva, nelle buste affrancate. Altro che il
multiverso di Banks. Chi può fermarli?
Il grande schermo fornisce le sue risposte. Da ogni guerra fioriscono
nuovi miti e il cinema si rivela, come sempre, sensibile allo
schieramento del bene contro il male. Agli eroi della patria si
affiancano – e proliferano – i supereroi183. Sono gli amici dei ragazzini
182
I protagonisti costituiscono un grande cast: Marion Cotillard, Matt Damon,
Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow e Kate Winslet. I medici del CDC
(Center for Disease Control and Prevention, Centro per il controllo e la prevenzione
delle malattie), l'organo sanitario americano preposto alle epidemie, cercano
contemporaneamente, per trovare una cura, di indagare sui primi pazienti negli Stati
Uniti e sul paziente zero in Cina.
183
I supereroi al cinema, dopo Superman (di Richard Donner, USA, Gran Bretagna
1978) e Batman (di Tim Burton, USA, Gran Bretagna 1989), ritornano in grande stile
con l'avvento degli effetti speciali digitali, che consentono di rappresentarne al
meglio i superpoteri. Spopolano gli eroi della Marvel Comics: nel 2000 X-Men (di
Bryan Singer, USA 2000) che è considerato da alcuni, con X-Men 2 (di Bryan Singer,
USA 2003), un vero capolavoro del filone; poi Spider-Man (di Sam Raimi, USA 2002) e
Daredevil (di Mark Steven Johnson, USA 2003). Rispetto a quelli del passato, i
protagonisti sono degli emarginati, che fanno fatica a integrarsi e sono percepiti
come una minaccia dagli uomini comuni. Negli anni successivi seguono Spider-Man 2
(di Sam Raimi, USA 2004), Spider-Man 3 (di Sam Raimi, USA 2007), X-Men: Conflitto
finale (X-Men: The last Stand, di Brett Ratner, USA 2006), oppure soggetti meno noti
come The Punisher (di Jonathan Hensleigh, Usa, Germania 2004, remake di the
Punisher, di Mark Goldblatt, Australia 1989), Ghost Rider (di Mark Steven Johnson,
USA, Australia 2007), I Fantastici Quattro (Fantastic Four, di Tim Story, USA 2005) e il
suo sequel I Fantastici Quattro e Silver Surfer (Fantastic Four: Rise of the Silver Surfer,
di Tim Story, USA 2007). Da altre serie di fumetti (non strettamente supereroici)
nascono sia La leggenda degli uomini straordinari (The League of Extraordinary
Gentlemen, di Stephen Norrington, USA, Germania, Gran Bretagna, Repubblica Ceca
2003) che Van Helsing (di Stephen Sommers, USA 2004), ben recepiti dal pubblico.
Risulta invece un vero flop Hulk (di Ang Lee, USA 2003). Nel 2008 escono Iron Man (di
Jon Favreau, USA 2008) e un altro L'incredibile Hulk (The Incredible Hulk, di Louis
Leterrier, USA 2008). Nel 2009 sono prodotti ulteriori prequels, sequels o spin off: XMen le origini-Wolverine, Punisher-Zona di guerra e Watchmen (di Jack Snyder, USA
2009). Quest'ultimo, tratto dalla graphic novel di Alan Moore, devasta il mito del
supereroe americano: i protagonisti non sono granitici campioni del bene, ma esseri
fragili, talvolta psicotici, sfruttati (e poi abbandonati) dal governo americano come
armi segrete contro i nemici politici.
157
che escono dai fumetti, per riempire l'immaginario collettivo degli
adulti e il grande schermo: talvolta con molta ironia, talora con
eccessiva serietà. Gli X-Men, Spiderman, Batman, The Avengers, Iron
Man, Blade, Watchman; e ancora Push, i Magnifici Quattro, il
Calabrone Verde, l'imbranatissimo Defender e perfino un
indistruttibile Unbreakable. Ancora per molti anni, sembra, saranno i
protagonisti indiscussi del cinema fantastico. Ce n'è per tutti i gusti,
per tutti i superpoteri: le sale vengono invase da prequels e da
sequels, a getto continuo. Vengono coinvolti nel nuovo business
cinematografico anche ottimi registi, come Sam Raimi e Tim Burton,
Guillermo del Toro e Michael Gondry, Christopher Nolan e Bryan
Singer. A uno sguardo superficiale, si direbbe che i cineasti mettano
in scena la peggior propaganda dell'alleanza occidentale. Il mondo
cristiano è destinato a vincere sui suoi nemici: sua è la forza militare,
sua è la potenza economica, sua la ragione. È questo il messaggio?
Non sempre. Il nuovo supereroe, per parafrasare lo Spiderman di
Raimi, è un uomo con grandi talenti, ma grandi responsabilità:
certamente molti dubbi.
Forse non è strano che, insieme con l'eroismo, l'incertezza diventi
protagonista. Bombe e nemici a parte, gli affari non girano così bene
per l'America di Bush, e nemmeno per i suoi partner europei. Al
termine di un decennio di relativo benessere economico, gli anni
novanta, la nuova era si apre sotto il segno di una crisi mondiale. Le
spese militari, le perdite umane, gli attentati che si moltiplicano, lo
spettro (sempre più tangibile con gli anni) di una recessione.
Qualcuno parla di fine del capitalismo, o del suo indiscusso dominio.
Tutto questo produce reazioni di sfiducia verso una retorica che parla
ancora di prosperità, invincibilità e progresso. Tra l'altro, il caso
asiatico punta i riflettori su nuovi, inaspettati protagonisti dell'ordine
economico mondiale. Al declino del Giappone negli anni novanta
segue, qualche anno dopo, l'inesorabile ascesa della Cina. Sono le
due facce del conflitto che vede coinvolto l'Occidente contro il resto
del mondo: la guerra politica, fatta di bombe e violenza, e quella
economica tra il vecchio capitalismo e le economie emergenti, che
devono essere assorbite in qualche maniera. I cinesi si propagano
ovunque, con una produttività inarrestabile, apparentemente privi di
bisogni, di riposo, di diritti. Gli occidentali li temono, non riescono a
decifrarne i segreti. Sono più spaventosi, più numerosi, più misteriosi
di qualsiasi gruppo migrante prima di loro.
Il risultato generale è che chi teme di essere colonizzato e ridotto in
schiavitù da una potenza straniera può scegliere tra molti, molti
158
nemici. E se gli alieni ci invadessero alla vecchia maniera,
insinuandosi fra noi e, pian piano, sostituendosi agli umani? E se
arrivassero in grande stile, con astronavi e armi micidiali che avevano
nascosto in qualche galassia lontana, per usarle al momento
opportuno? E se invece ci sottomettessero in un modo non ancora
previsto, magari conquistando i mercati mondiali?
Eroi contro alieni.
Gli eventi dell'11 settembre 2001 e i fatti che seguono trovano nei
film sugli extraterrestri un ottimo mezzo di espressione. Aldilà di ogni
possibile retorica, è vero che l'attacco all'America viene sferrato
secondo i canoni classici dell'invasione aliena. Giunge dai cieli in
modo inatteso ed è distribuito contro bersagli diversi – ma simbolici –
da attentatori che si mescolano alla gente comune; provoca
un'ondata di panico che viene amplificata dalle televisioni e da
internet, e si propaga in pochi secondi in tutto il globo. Anche ciò che
viene dopo si direbbe una trovata cinematografica. Le campagne
militari dell'amministrazione Bush introducono strategie belliche e
armamenti che sembrano destinati al grande schermo. I droni
Predator (dal nome evocativo) creano, in potenza, un nuovo modello
di combattente, che può pilotare e colpire a molta distanza dalle sue
vittime, tanto da sentirsi sollevato da ogni responsabilità. In Iraq i
tradizionali soldati muoiono a decine: è chiaro, però, che in futuro
fare la guerra non sarà più impegnativo che giocare a un videogioco.
Anche qui le reti televisive e gli altri media contribuiscono a
mescolare la realtà alla finzione. È come prendere atto che la vita
vera può realizzare solo del pessimo cinema di fantascienza: banale,
sanguinario, volgare. Improvvisamente, le sceneggiature e i trucchi
da baraccone di Roland Emmerich – Independence Day – acquistano
una nuova dignità.
Mentre la vita cerca di imitare l'arte, la settima arte cerca di dare un
senso all'invasione aliena. Ci provano due strenui difensori della
bandiera americana: il regista M. Night Shyamalan e Steven
Spielberg. Il primo, nel 2002, esce nelle sale con Signs184. È un film
che ha alcune virtù, tra cui la capacità di creare una tensione degna
di un thriller della vecchia scuola, ma anche molti difetti: troppa
184
Del film è stata apprezzata soprattutto l'interpretazione dei giovani attori che
compongono la famiglia di Mel Gibson (il reverendo Graham Hess): Joaquin Phoenix
(Merrill Hess), Rory Culkin (Morgan Hess) e Abigail Breslin (Bo Hess).
159
retorica e troppo sentimentalismo. Un pastore americano (Mel
Gibson), che ha perso la fede dopo la morte della moglie, la ritrova
dopo un incontro ravvicinato con un alieno, che mette a repentaglio
la sua vita familiare. L'extraterrestre è brutto, macilento, cattivo: per
fortuna si vede poco. Verrà respinto con armi improvvisate,
simboleggianti la migliore americanità: quella che crede in Dio, in se
stessa e nelle mazze da baseball, che servono a «colpire forte»
(«swing away») l'avversario. Si tratta di un film intimista, non
necessariamente razzista o anti-islamico. Resta però un fatto
inequivocabile: la carità religiosa non contempla gli alieni, che forse
sono figli di un Dio minore, forse di nessuno. E vanno colpiti forte.
Non meno convinto nel messaggio, ma più movimentato e divertente
è il remake dell'ex "irenico" Steven Spielberg, che nel 2005 ripropone
La guerra dei mondi (War of the Worlds)185 con tanto di
intramontabili tripodi. Tom Cruise, padre cialtrone e avventato,
diventa eroe per caso e ricompatta la famiglia grazie a due grandi
talenti: la sopravvivenza e la fuga. Spielberg si riconferma maestro
delle trame spicce, pulite e piene d'azione, dei crescendo di tensione
e orrore, dei biondi bambini prodigio. La retorica filo-americana ci
sarà pure, ma è smorzata da una fine improvvisa, che lascia in bocca
il sapore del puro caso. Gli alieni sono cattivi, certo. Tuttavia essere
ricchi, previdenti, laboriosi e con una buona assicurazione medica non
servirà a sconfiggerli. Non è forse vero che un individuo scombinato
come Tom Cruise se la cava, mentre l'integratissimo professionista
Tim Robbins soccombe? Forse Spielberg, pur nella sua apologia degli
Stati Uniti del dopo 11 settembre, vuole dirci qualcosa sulla fine del
capitalismo e del sogno americano che non avevamo ancora sentito.
Tra l'altro, La guerra dei mondi è l'ultimo film davvero decente che
rappresenti alieni cattivi e temibili. Nel 2011 faranno la loro comparsa
ben due pellicole che mettono in campo grandi capacità formali e una
sconcertante banalità nella narrazione e nel contenuto. Sono Skyline
(di Colin Strause, Greg Strause) e World Invasion (Battle: Los
Angeles, di Jonathan Liebesman). Lo stesso anno il film Sono il
Numero Quattro (I Am Number Four, di Daniel John Caruso) tenta
una formula diversa: extraterrestri buoni contro extraterrestri cattivi e
terrestri in mezzo. Il risultato è fanciullesco e poco originale.
185
Il film ha riscontrato un buon successo, incassando tre nomination per gli Oscar e
soprattutto 591.700.000 dollari in tutto il mondo. Molti premi internazionali come
attrice non protagonista ha ricevuto la piccola Dakota Fanning, nel ruolo della
bambina Rachel, figlia di Tom Cruise.
160
E se fossero i terrestri a essere nocivi, crudeli, aggressivi? Alla fine
del decennio le perplessità già espresse da Spielberg nel 2005 si
trasformano in film potenti e pieni di sorprese. Nel 2009 esce District
9, del neozelandese Neill Blomkamp186, estremamente innovativo per
le tecniche di ripresa (che fondono molti stili diversi) per il montaggio
e per l'abilità nell'uso di ogni tipo di effetto visivo. Anche il contenuto
è spiazzante. District 9 racconta, infatti, la bieca disumanità degli
esseri umani, in un modo che nella fantascienza non ha precedenti
per l'esplicita crudezza. Migliaia di extraterrestri giungono, negli anni
ottanta, nei cieli sopra Johannesburg a bordo di un Ufo gigantesco.
Sporchi, smarriti e denutriti, vengono trasferiti nel cosiddetto
Distretto 9: è un ghetto-lagher dove rimangono per vent'anni,
controllati da una multinazionale che vuole impossessarsi della loro
tecnologia. Sono brutti e sgradevoli: gli umani li chiamano con
disprezzo «prawns» («gamberoni»). Oltretutto, occasionalmente si
ribellano, tanto che il Distretto 9, troppo vicino alla città, deve essere
sgombrato. Nel momento in cui devono essere deportati in massa,
inizia a insinuarsi qualche dubbio nel protagonista, Wikus Van De
Merwe, che pur subendo gli effetti di una mutazione genetica li
aiuterà a tornare a casa.
L'anno successivo, il 2010, esce Monsters, un film di avventura
tradizionale, ma ottenuto con mezzi e tecniche d'avanguardia,
nonostante il budget ridottissimo. Miracoli della computer graphics,
ma anche della creatività e della passione del giovane regista
britannico Gareth Edwards, che realizza con pochi soldi tutto quello
che serve per divertirsi187. Ci sono alieni grandi, molli e terribili ma in
fondo incuranti, che vogliono solo sopravvivere e corteggiarsi fra
186
Il film si presenta come un documentario, con interviste, servizi giornalistici e
spezzoni video di telecamere di sorveglianza. È prodotto dal famoso regista
neozelandese Peter Jackson con un budget di 30 milioni di dollari. Sceneggiato dal
regista e dall'amica Terri Tatchell, deriva dal cortometraggio Alive in Joburg, diretto
dallo stesso Blomkamp nel 2005. Il titolo si ispira a episodi avvenuti in Sudafrica
durante l'apartheid in un'area residenziale di Città del Capo, District Six. Wikus Van
De Merwe è ispirato all'astronauta Caroon del film L'astronave atomica del dottor
Quatermass del 1955 (v. nota 83), contaminato da una forma di vita extraterrestre
fino a subire una disgustosa metamorfosi. Nel 2010 il film ha ottenuto quattro
candidature ai Premi Oscar, tra cui quella per il miglior film.
187
Il film è costato 125.000 dollari circa nella lavorazione, 500.000 dollari in totale.
Edwards si è occupato anche di parte del montaggio, degli effetti speciali e dello
script. Non ha scritto in realtà una vera e propria sceneggiatura, ma un canovaccio
per scene successive, lasciando gli attori liberi di recitare a soggetto.
161
loro; e poi soldati americani che sparano in modo indiscriminato,
governati dalla fobia del mostro e dalla cecità delle autorità terrestri;
e poi ancora una coppia di giovani che si sposta verso gli Stati Uniti,
in un burrascoso road movie che sfocia, ovviamente, in una presa di
coscienza. Loro sono brutti, noi siamo cattivi.
Nel 2011 ancora un tributo ai classici della fantascienza e soprattutto
a Spielberg. È Super 8, di J. J. Abrams188, che riesce a fondere film
diversi nella stessa opera: uno che parla dell'adolescenza nella
provincia americana (siamo alla fine degli anni settanta), tra la paura
e il disagio di infrangere le regole dei padri; uno che si ispira ai
contatti alieni della cinematografia del passato, svelati poco a poco,
per indizi successivi; uno che critica, con veemenza, l'incapacità dei
terrestri di ascoltare e capire il diverso. Fa eccezione, per l'appunto,
un gruppo di cineoperatori in erba, dotato di una magnifica macchina
da presa 8 mm, come si usava nel 1979. Il mondo salvato dai soliti
ragazzini? Non proprio: qui il pessimismo che accompagna l'incontro
umani-alieni è tangibile. Gli adolescenti non riescono a evitare una
battaglia feroce (i terrestri conto l'extraterrestre), se non alla fine.
Spielberg viene devotamente omaggiato, ma poi superato: al suo
"umanismo" si sostituisce il "disumanismo" convinto dei suoi
successori.
In volo verso il futuro.
Il cinema di fantasia non partorisce solo supereroi; anche se questi
sembrano i grandi favoriti da un vasto pubblico di bambini, ragazzoni
e adulti divertiti. È la fantascienza, piuttosto, che si occupa di
raccogliere il testimone del pessimismo diffuso che caratterizza
questo inizio di millennio. Intanto, non mancano i film che disegnano
apocalissi annunciate. Ci prova per ben due volte Roland Emmerich, il
maestro tedesco del già visto-già sentito, con tutta la potenza di
effetti speciali che sono (davvero) la fine del mondo. La prima volta è
nel 2004, con il The Day After Tomorrow - L'alba del giorno
188
Super 8 è diventato famoso anche per l'impiego di contenuti nascosti nelle diverse
versioni dei trailer e nei teaser trailer (i prossimamente in versione più breve) e per la
proposta di un ARG (in inglese, Alternative Reality Game), che ha incuriosito e
richiamato molti spettatori. L'ARG è un gioco enigmistico in cui vari strumenti web
(blog, e-mail, minisiti) forniscono indizi (per esempio coordinate spaziali) che
rimandano alla realtà (un luogo concreto, come una cabina telefonica), dove risiede
la soluzione.
162
dopo189, dove alcuni sopravvissuti si muovono in una New York
spopolata dal gelo di una nuova glaciazione. Il secondo tentativo è
nel 2009, con un film che si chiama 2012: è la data della distruzione
di alcuni continenti a causa del surriscaldamento della superficie
terrestre. Intanto, i ricchi scappano a bordo di gigantesche arche,
cercando terre non sommerse. Il papa, il presidente del consiglio
italiano e il presidente degli Stati Uniti sono i soli capi di Stato a
rifiutare la salvezza e sembra, tutto sommato, che il pianeta se ne
faccia rapidamente una ragione. L'eroe dell'intero genere umano è
solo uno: lo scrittore di fantascienza Jackson, interpretato da John
Cusack. Uno sforzo immane ma inutile, il suo. La bravura di pochi
individui eccezionali potrebbe forse salvare il mondo, ma non può far
nulla per il film. Un vero disastro190.
Le visioni apocalittiche rappresentano, senza dubbio, un esercizio
difficile. Nemmeno i cineasti più originali riescono a convincere il
pubblico e la critica al tempo stesso. Segnali dal futuro (Knowing,
2009), dell'ex regista underground Alex Proyas – a parte qualche
trovata eccellente e qualche colpo di scena non scontato – si perde
nella consuetudine del catastrofismo hollywoodiano e consegna tutto
il film nelle mani del solo, bravissimo Nicholas Cage. Nel 2007 esce
un film dello scozzese Danny Boyle, Sunshine. È un'opera che delude
rispetto ai primi lavori del regista, perché vuole rendere omaggio a
troppi autori e troppi generi e finisce per sembrare una coperta
patchwork di film disomogenei. Certo è che si distingue per uno stile
particolare – cupo e lievemente grottesco – dalle altre pellicole
dedicate alla fine del nostro pianeta191. Forse è questione di
proporzioni: qui non è la terra a venire meno, ma il sole, con
conseguenze drammatiche per il resto del sistema solare.
189
Il messaggio è decisamente ambientalista, ispirato alle discussioni sul Trattato di
Kyoto, che anche nella realtà non è ratificato dagli Stati Uniti. Il regista Roland
Emmerich riprende qui la sua prima opera, un film ecologista del 1984 sul conflitto
uomo-natura: 1997-Il principio dell'Arca di Noè. Il regista sborsa 200.000 dollari di
tasca sua per realizzare una produzione "ecologica", che riduca le emissioni
inquinanti o di anidride carbonica producendo energia da fonti alternative.
190
Alcuni collocano nel genere fantascientifico anche il film The Road (2009) diretto
da John Hillcoat. La questione è però controversa. È un adattamento del romanzo di
Cormac McCarthy La strada, del 2006, vincitore del Premio Pulitzer nel 2007. Viggo
Mortensen e Kodi Smit-McPhee sono padre e figlio in viaggio verso sud, mentre
cercano di sopravvivere in uno scenario post apocalittico.
191
Nel 2007 esce anche il brutto remake Io sono leggenda, che fa rimpiangere
Charlton Heston e il film 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra (v. p. 97).
163
Accanto alle catastrofi che verranno, ci sono pur sempre le società
future: luoghi e tempi dove, di solito, non è piacevole vivere. I
cineasti degli anni duemila provano a tirare le fila delle tante utopie
(o distopie) cinematografiche create dagli esordi della fantascienza.
Lo fanno, perlopiù, in modo goffo e poco convincente. Equilibrium, di
Kurt Wimmer (2002) e Æon Flux – Il futuro ha inizio, di Karyn
Kusama (2006) sono due film commerciali, inconsistenti, che rivelano
scarsa immaginazione da parte del regista. Ce ne sono altri, però, che
partono con qualche (frustrata) ambizione. Nel 2004 esce FAQ:
Frequently Asked Questions, una delle poche distopie spagnole
firmate dal semi-sconosciuto Carlos Atanes. Nel 2006, il secondo film
dell'ex regista indipendente di Donnie Darko, Richard Kelly: si tratta
di Southland Tales - Così finisce il mondo. Sono film banali nelle
proposte; perlopiù sconclusionati, faticosi, eccessivi. Un altro cineasta
promettente, il francese Mathieu Kassovitz, nel 2008 dà il suo
contributo al brutto cinema con Babylon A.D. Poche speranze per gli
umani, quasi nessuna per i cineasti.
Due utopie nere, per fortuna, tengono alta la bandiera del genere e
quella del sottogenere. V per Vendetta (V for Vendetta, 2005)192
è forse l'unica trasposizione cinematografica dei fumetti del celebre
Alan Moore che si possa catalogare davvero come fantascienza. Il
regista McTeigue disegna a tinte fosche la Gran Bretagna del futuro,
totalitaria, intollerante e violenta: al governo si oppone un uomo
mascherato, mister V, con l'aiuto della giovane Evey. V. si sente un
anarchico radicale, anche se è ispirato curiosamente dalle gesta
dell'eroe cattolico Guy Fawkes, l'attentatore di Giacomo I
d'Inghilterra. Quel che è certo è che la sua identità è ambigua; così
come, in realtà, quella dell'intera pellicola, che si ispira a un fumetto,
ma poi lo tradisce completamente. Il risultato è comunque piuttosto
felice.
Ispirato a un romanzo della scrittrice P.D. James, I figli degli
uomini (Children of Men, 2006), di Alfonso Cuarón è forse il
tentativo più serio di esprimere l'angoscia per una società in
dissoluzione. Il periodo concesso al genere umano sulla terra è agli
sgoccioli, e le ragioni non si conoscono: il che, francamente, è
peggio. Non si sa cosa sia stato, ma lo abbiamo meritato. L'umanità,
per proteggersi da se stessa, ha smesso di riprodursi: è l'ultimo
192
Diretto da James McTeigue, assistente alla regia di Lucas e dei fratelli Wachowski,
il film è stato scritto e prodotto proprio dai registi di Matrix. Il risultato è un film
visivamente bello, zeppo di effetti speciali scoppiettanti, con un certo ritmo.
164
gradino dell'evoluzione, quello che dà su un precipizio. Mutazioni,
guerre atomiche, epidemie: qualsiasi cosa sia successa, da diciotto
anni non nascono più bambini. A Theo (Clive Owen) è affidata
l'ultima donna incinta, che deve essere scortata fino a un santuario
sul mare, attraverso un viaggio pericolosissimo, fatto di rovina,
sparatorie e distruzione. La Londra del futuro è un'accozzaglia
impressionante di folle allo sbando, vecchi arnesi dismessi (come le
macchine) e guerra di tutti contro tutti. È un film con un ritmo strano,
discontinuo, ma ben congeniato e originale nell'impostazione. In più il
personaggio dell'eroe, principale carburante di molti film di
fantascienza, viene messo da parte come fosse un dispositivo
arrugginito193. Il vero protagonista sono le masse, le genti che si
muovono disordinatamente, confuse e senza meta, verso la fine del
mondo. Lo spettatore esce dal cinema decisamente sconfortato. Che
potrà mai fare un neonato solo per l'intera umanità?
Il ritorno dei classici.
L'estinzione del genere umano è un programma un po' tetro, perfino
per gli anni duemila. Così, a corto d'idee sulla società futura, il nuovo
cinema di fantascienza si focalizza ancora sulla realtà virtuale.
L'ambientazione ideale non è più il cyberspazio, che sembra ormai
dimenticato, ma sono i recessi più oscuri dell'essere umano: la
mente, l'inconscio, le sensazioni. Prosperano, dopo il successo di
Matrix, le situazioni parallele alla realtà create dalla memoria, oppure
le alternative dettate dalla scelta e dalla capacità di previsione del
futuro. Philip K. Dick, il capofila della soft sci-fi (la fantascienza più
introspettiva e sociologica), viene selvaggiamente saccheggiato dagli
sceneggiatori alla ricerca di una trama appetibile. Non sempre,
tuttavia, se ne ricava qualcosa di buono. Gli universi paralleli, nei
gusti del pubblico, si usurano con grande rapidità e vanno sostituiti
da ipotesi sempre più eccitanti. Ma, come è facile prevedere, si tratta
di un gioco al rialzo a cui non tutti i registi riescono a partecipare
dignitosamente.
In questo inseguimento del pulp e dello spettacolo da baraccone,
nasce un fenomeno che si pone controcorrente rispetto ai percorsi
dell'ultimo decennio. Non è esattamente un filone alternativo: si
193
Nel film, il cui vero protagonista è la folla, ci sono però dei riusciti cammei di
singoli personaggi, come quello dedicato all'attivista Julian (Julianne Moore) o allo
scienziato eremita Jasper, interpretato da un irriconoscibile Michael Caine.
165
potrebbe definire un movimento tradizionalista, piuttosto, o
nostalgico. Esso recupera i temi cari alla fantascienza precedente agli
anni ottanta, affidandoli a remake di vecchie pellicole o a opere di
impianto rigidamente classico. Il viaggio spaziale è uno dei più
praticati. Nel giro di poco tempo sboccia una quantità eccezionale di
film che, effetti visivi a parte, a fatica si distinguerebbero da quelli di
un trentennio prima. Nel 2000 esce il film Pianeta rosso (Red Planet,
di Anthony Hoffman), che, nel descrivere un fallito tentativo di
colonizzazione di Marte, si ispira un po' troppo ad altri film, ma
soprattutto a 2001: Odissea nello spazio194. Non tanto più originale si
rivela, lo stesso anno, Mission to Mars, di Brian De Palma195, per
quanto sostenuto da immagini meravigliose, senza eguali. Né merita
il prezzo del biglietto quell'utopia nera un po' volgare, che è Pitch
Black196, di David Neil Twohy, che di nuovo ha solo un prototipo
davvero sgradevole di antieroe, Richard B. Riddick (Vin Diesel),
involuzione feroce del pirata gentiluomo Jena Plissken. Se non altro,
Riddick incarna un monito per le generazioni a venire: non si
mandano i delinquenti in giro per lo spazio, o a colonizzare i pianeti.
Peggiore di tutti i precedenti, nel 2008 esce un film dedicato ai
teletrasporti rapidi da un posto all'altro della terra: è Jumper-Senza
confini (Jumper), di Doug Liman, un blockbuster di buon successo,
giustamente ignorato dai critici.
Altri film sul viaggio risultano, invece, ben più divertenti. Nel 2005 la
nave mercenaria Serenity, di Joss Whedon, fa sognare le gesta di
pirati gentiluomini, grazie a un budget ridotto (e, dunque, pochi
effetti speciali), e a una buona potenza immaginifica del regista 197. Lo
stesso anno la Guida galattica per autostoppisti
(The
Hitchhiker's Guide to the Galaxy), di Garth Jennings, riesce a
restituire in modo più che dignitoso la comicità, tenera e intelligente,
del libro di Douglas Adams, in cui la terra – cose che capitano – è
194
L'eredità di 2001: Odissea nello spazio è esplicita e dichiarata (anche qui il
comandante, sebbene donna, si chiama Bowman come il protagonista di Kubrick). I
marziani sono, tanto per cambiare, delle specie di scarafaggi.
195
Il film, e soprattutto la regia di Brian de Palma, non hanno ricevuto una buona
accoglienza. De Palma è riuscito a ottenere addirittura la nomination al Razzie Award
dell'anno 2001 per il peggior regista.
196
The Chronicles of Riddick è il seguito, girato nel 2004 dal regista David Twohy con
lo stesso protagonista (Riddick, sempre interpretato da Vin Diesel).
197
Il film è in realtà la conclusione di una serie tv di grande successo ideata da Joss
Whedon: Firefly (15 episodi, USA 2002-2003). In Italia il film è arrivato prima delle
puntate del serial.
166
stata spianata per costruire un'autostrada intergalattica 198. Nel 2009
Pandorum, di Christian Alvart, racconta di un'astronave che la pazzia
di qualcuno (una malattia "professionale" degli astronauti detta
pandorum) ha trasformato in una realtà allucinante, piena di mostri e
insidie. La pellicola si presenta come uno strano collage di film del
passato (primo tra tutti, Solaris di Tarkovskij), ma riesce a passare il
vaglio spietato della critica, e perfino quello del pubblico: alla fine, la
trama e il ritmo funzionano.
Un altro grande tributo alla fantascienza classica proviene dalla
riproposta dei viaggi nel tempo. Nel 2002 il deludente remake The
Time Machine (del pronipote di H. G. Wells, Simon Wells) mette
nuovamente in scena un cult di George Pal del 1960199, che
immagina un'umanità posteriore di 800.000 anni. Nel 2004, invece, il
film Primer, del regista Shane Carruth, costruisce un intreccio
intelligente, basato sui paradossi temporali che i viaggi temporali
possono generare. A che cos'altro dovrebbero servire, infatti, se non
a speculare in borsa? Anche L'uomo che venne dalla Terra (The
Man from Earth, 2007), di Richard Schenkman, è un film
intrigante200. Il trasferimento temporale è qui immaginato al contrario
e ne è protagonista un uomo di Cro-Magnon di ben 14.000 anni, John
Oldman, sopravvissuto fino ai giorni nostri e insignito di una cattedra
universitaria. Tutto questo suonerebbe sinistro, se solo Oldman non
fosse, in effetti, un brillante intellettuale, che coinvolge i suoi colleghi
198
Il film è tratto dalla celebre serie Guida galattica per gli autostoppisti, ideata per la
radio della BBC dallo scrittore umoristico britannico Douglas Adams e in seguito da
lui trasformata in una serie di romanzi che costituisce, secondo l'autore, «una trilogia
in cinque parti». Sono protagonisti Arthur Dent, un terrestre, il suo amico Ford
Prefect e qualche altro extraterrestre (compreso un androide nevrotico), ma
soprattutto una guida turistica galattica, scritta come un enciclopedia, che è il fulcro
della trama dei romanzi e che svela i misteri del cosmo.
199
È ispirato all'omonimo romanzo La macchina del tempo di H. G. Wells e al film di
Pal del 1960 L'uomo che visse nel futuro, di cui conserva pressoché intatti la trama e
personaggi.
200
Il film è scritto da Jerome Bixby. La sceneggiatura fu iniziata nei primi anni
sessanta e fu completata solo a pochi giorni dalla morte, nell'aprile 1998. La vicenda
è ambientata in una casa con veranda ed è affidata alla sola conversazione per lo
svolgimento della trama: la storia è altro se non discussione di natura intellettuale tra
l'ex uomo di Cro-Magnon (che sta per traslocare) e i suoi amici professori e
insegnanti, alcuni esperti di paleo-archeologia, antropologia e biologia. Il
protagonista è David Lee Smith nel ruolo di John Oldman, dall'aspetto di un caucasico
trentacinquenne.
167
in una discussione filosofica sulla natura umana, sull'evoluzione della
specie e sulla religione. Niente effetti speciali mirabolanti: solo una
sceneggiatura di stampo teatrale, piena di parole e di senso. Sia il
cavernicolo sia il film si rivelano più raffinati e piacevoli di quanto non
si possa pensare.
Per gli amanti del tempo passato, il cinema riporta in auge un altro
grande classico, in realtà mai tramontato. È il tema dei robot, degli
androidi e dei replicanti, che continua a ispirarsi, in primo luogo, ai
personaggi del grande scrittore Isaac Asimov. Risorgono dalle lamiere
i celebri R. o A. (l'iniziale puntata che precede il nome proprio o il
modello di robot e androidi), soggetti alle tre leggi della robotica:
ricompare, nei panni di Sonny, il più famoso di loro, Daneel Olivaw,
automa poliziotto e filantropo che approderà alla Fondazione201. Nel
2004 esce nelle sale Io, Robot (I, Robot), di Alex Proyas. Stroncato
dalla critica, il film riscuote un buon successo di pubblico, grazie
anche all'onnipresente e acclamato Will Smith, alla magnificenza degli
effetti speciali e alla straordinaria animazione di Sonny (alias Daneel).
Realizzando una vecchia idea di Stanley Kubrick, il re del
melodramma fantascientifico, Steven Spielberg, realizza nel 2001 un
film più triste che poetico sull'amore millenario di un robot bambino
per la sua mamma umana. È A.I. - Intelligenza Artificiale, che
utilizzando generosamente gli effetti digitali e la fiaba di Pinocchio si
interroga – in modo un po' irritante – su un futuro senza esseri umani
e sulle possibili evoluzioni (sentimentali) degli androidi. I quali, per
parafrasare Philip K. Dick, ora sognano Fate Turchine202.
E, a proposito di sentimenti tra umani e androidi, in questo stesso
periodo approdano nelle sale film che trattano, in maniera non
sempre innovativa, un vecchio tema: i limiti leciti della tecnologia e il
201
R. (o A.) Daneel Olivaw è un robot umanoide che compare per la prima volta nel
romanzo di Isaac Asimov Abissi d'acciaio, ma che è poi il trait d'union di molti libri
successivi, come il Ciclo dei Robot e i più recenti episodi della Fondazione. Si
potrebbe dire che Daneel è ciò che lega buona parte della fiction di Asimov in un
insieme omogeneo. È lui a enunciare la Legge Zero della Robotica: «Un robot non
può nuocere all'umanità o, tramite l'inazione, permettere che l'umanità riceva
danno». È lui, quindi, a modificare le tre leggi originali aggiungendo a ciascuna il
comma: «Purché non sia in contrasto con la Legge Zero».
202
Il film non ha ricevuto premi Oscar (due nomination per gli effetti speciali e la
musica) ma ben cinque Saturn Awards 2001: miglior film di fantascienza, miglior
sceneggiatura, miglior attore emergente (Haley Joel Osment), miglior colonna sonora
e migliori effetti speciali. Il bimbo David (Osment) è lo stesso straordinario attore del
film Il sesto senso diretto da M. Night Shyamalan (1999).
168
confine tra l'umano e l'artificiale. Il primo è ispirato a Blade Runner
nella forma e nel contenuto. Natural City (내츄럴 시티, di Amin Byungcheon, Sud Corea 2003) è un prodotto dalle atmosfere ricercate: un
paesaggio urbano dark e molto losco. Tuttavia il film riesce a sfiorare
il ridicolo grazie alla sceneggiatura traballante e a un poco credibile
Ji-tae Yu nel ruolo del poliziotto R, innamorato di una cyborg. Nel
2009 esce invece la trasposizione filmica di un bel fumetto 203: è Il
mondo dei replicanti, dell'americano Jonathan Mostow. Si tratta di un
prodotto di buona qualità, almeno dal punto di vista delle immagini,
che stimola anche qualche doverosa riflessione sulla dipendenza
umana dalla tecnologia. Qui i surrogati (repliche dei singoli individui)
non sono utilizzati come schiavi o come elettrodomestici evoluti, ma
come agenti di una realtà virtuale. Sono acquistati dagli umani per
provare paura al loro posto e per affrontare i pericoli della vita
quotidiana, accentuati da media ossessivi. Gli automi sono rosei, in
forma e sempre ben pettinati. Quello di Bruce Willis (il detective Tom
Greer) è biondo, con la frangia. Dopo aver sventato un complotto per
la distruzione dell'intero genere umano, Tom Greer, nella sua
versione in carne ed ossa (che è calva), libererà il mondo da tutti i
surrogati, lasciando il campo libero ai loro intimoriti padroni. Il film ha
un'apparenza rigida, legnosa, plastificata, almeno quanto le macchine
umanoidi di cui parla. Per quanto sia interessante l'appello a non
affidarsi alla tecnologia per sostituire la vita vera, il risultato è
abbastanza deludente. È il surrogato di un bel film.
Memoria, preveggenza e multiverso.
Ogni sognatore ha un sogno solo: quello di sfuggire al presente. Ma il
protagonista della fantascienza degli anni duemila ne ha almeno un
altro: quello di sfuggire al futuro. Appellandosi al multiverso o alla
realtà virtuale, i registi propongono delle alternative a un fenomeno
molto impopolare: l'obbligo di pagare per gli errori nostri e altrui,
oppure per gli scherzi di un destino spietato. Ci prova il geniale
regista indipendente, Richard Kelly, con un film che, uscito nel 2001,
dopo poco tempo diventa un cult, almeno secondo i critici e i
203
Il film è basato sulla miniserie a fumetti The Surrogates sceneggiata da Robert
Venditti e disegnata da Brett Weldele. La casa di distribuzione è la Walt Disney
Pictures.
169
cinefili204. È Donnie Darko, la storia di un adolescente problematico
che scampa a un curioso incidente aereo, ma che poi deve porre
riparo a ciò che Frank – il gigantesco coniglio che gli appare di
frequente – gli ha rivelato. Confortante: la fine del mondo avverrà fra
24 giorni. Forse Donnie non è pazzo, non si è inventato tutto. È una
pellicola che sembra una storia di giovinezza inquieta: in realtà parla
di morte e dell'angoscia che accompagna la consapevolezza che il
tempo sulla terra è limitato. Ma il suo tema sono anche i paradossi
temporali. Un'interferenza tra un universo tangente e quello reale
rischia di distruggere la vita delle persone che Donnie ama: oppure, a
quanto dice il coniglio, di far scomparire l'intero multiverso. La
preveggenza (che qui si realizza per piccoli indizi) serve a scongiurare
questa possibilità? È davvero un film strano e importante. Ogni volta
che lo si rivede, la trama sembra diversa e il mistero sembra infittirsi
o, finalmente, risolversi.
Più convenzionale, ma comunque interessante e spettacolare, è un
film di Steven Spielberg del 2002, tratto da un racconto di Philip K.
Dick, che parla di altri futuri possibili. Si chiama Minority Report205:
un rapporto di minoranza scaturito da eventi che vengono previsti
prima che accadano. Ancora precognizione. Qui non è dovuta al
sovrapporsi di universi paralleli, ma alle doti straordinarie di tre esseri
umani, lasciati a bagno in una vasca speciale. Essi trasmettono di
continuo le loro visioni all'unità operativa comandata da John
Anderton (Tom Cruise). Lo scopo dell'intero sistema è solido e reale:
debellare il crimine che deve ancora essere commesso. Eppure, ciò
che verrà non è dato una volta per tutte. Intanto, esiste un rapporto
di minoranza, che significa che permane un'incertezza sul futuro. Poi
esiste la possibilità di cambiare con azioni giuste un destino criminale.
Ma esiste ancora una terza possibilità, un po' contorta: assecondare il
destino proprio mentre tenti di cambiarlo, oppure contribuire a
cambiarlo rassegnandoti e accettandolo. Si tratta forse della
quintessenza del paradosso temporale.
204
In Italia il film non approda alle sale nel 2002, ma solo nel novembre 2004, dopo la
sua presentazione (fuori concorso) alla 61ª Mostra internazionale d'arte
cinematografica di Venezia (2004). Intanto negli Stati Uniti è già uscito il director's
cut. A parte il successo veneziano, si tratta del classico caso di viral marketing, in
questo caso un semplice passaparola fra quelli che hanno visto il film.
205
Il film ha vinto diversi Saturn Award nel 2003 come miglior film di fantascienza,
miglior regia, miglior sceneggiatura e migliore attrice non protagonista a Samantha
Morton.
170
Sulla scorta di questo stesso soggetto (ma con altre implicazioni) nel
2007 esce il film Next, del neozelandese Lee Tamahori206. Qui Frank
Cadillac (Nicholas Cage) sfoggia una capacità di preveggenza a breve
termine: due minuti, abbastanza per mettere a segno qualche piccolo
imbroglio nelle sale da gioco, ma forse anche per sventare attentati
terroristici. Un film di pura azione, senza grandi pretese, molto
liberamente ispirato al racconto di Philip K. Dick Non saremo noi (The
Golden Man, 1954). Tuttavia una riflessione, per quanto messa a
margine della trama, si impone perfino allo spettatore più distratto: il
futuro non è un percorso obbligato. Si potrebbe dire, anzi, che il
destino è un concetto vario, articolato in molte possibilità. Chi si pone
come osservatore (per esempio, chi lo prevede due minuti in
anticipo) può interferire, anche inconsapevolmente, sul suo corso. La
preveggenza (precognition) e l'idea di universo multiplo intrecciano le
loro sorti, almeno sul grande schermo.
Ma in questi anni proliferano anche i film che vincolano le realtà
parallele alla facoltà della memoria. Nel 2003 il film Paycheck, di John
Woo, rende ancora omaggio al grande Philip K. Dick, ma in un modo
abbastanza inefficace e poco originale. C'è una memoria che viene
cancellata, una multinazionale cattiva e una macchina che prevede il
futuro: ciò che resta è un buon ritmo, una sceneggiatura mediocre e
la pessima recitazione di Ben Affleck. Tenero e sorprendente è invece
il film del 2004 dell'allora poco conosciuto Michel Gondry, Se mi
lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind)207.
Una sceneggiatura complessa ma comprensibile si aggiunge a un cast
eccezionale, a immagini belle e a un montaggio pulito. Clementine
(Kate Winslet), si affida alla Lacuna Inc. per farsi cancellare dai
ricordi la relazione con Joel (Jim Carrey), che decide di imitarla. La
loro storia – un continuo avanti e indietro sulla linea della memoria –
si intreccia a quelle di altri individui che lavorano per la Lacuna e che
annullano i ricordi di professione. Sono Patrick (Elijah Wood), Stan
206
Il cast è composto da attori di grande richiamo: Nicholas Cage, Jessica Biel,
Julianne Moore e perfino, in un breve cammeo, Peter Falk.
207
La sceneggiatura del film (Oscar 2005) è opera di Charlie Kaufman, genio delle
visioni inconsce, autore di Essere John Malkovich (Being John Malkovich, di Spike
Jonze, USA 1999), Il ladro di orchidee (Adaptation, di Spike Jonze, USA 2002) e
Confessioni di una mente pericolosa (Confessions of a Dangerous Mind, di George
Clooney, USA 2002). Il titolo italiano viene criticato per la distanza da quello originale
e perché inganna il pubblico prospettando il film come una commediola blockbuster.
Il titolo inglese, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, è invece preso da un verso del
poema inglese di Alexander Pope dal titolo Eloisa to Abelard (1717).
171
(Mark Ruffalo) e la sua fidanzata Mary (Kirsten Dunst), che alla fine
saboterà l'intero processo di cancellazione. Sbandati, depressi e
opportunisti: questi viaggiatori della memoria sono così. Sono
poveracci, come tutti quelli che hanno ottime ragioni per scordarsi
interi pezzi del passato. Ma alla fine l'inconscio resiste, mette freni
all'oblio, combatte come un leone perché l'essere umano possa
ripetere, identici, gli stessi sbagli. È davvero del buon cinema.
Ciascuno spettatore è libero di trovarvi un messaggio di speranza o
l'indizio del suo essere irrecuperabile.
Altri due ottimi film si concentrano sui meandri della memoria, quella
propria e quella altrui.
Nel 2010 Christopher Nolan dirige
mirabilmente Inception208, che forse ha il solo difetto di dover
essere guardato con un'attenzione vivissima: non quella che, di
solito, si riserva all'intrattenimento. La trama è complessa, perché si
svolge a tre livelli diversi: è l'architettura di un sogno speciale, indotto
artificialmente nel sonno del miliardario Robert M. Fisher. In questo
triplice mondo, l'avventuriero Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) con
alcuni complici (un falsario, un'architetta, un anestesista) ha il
compito di innestare (“inception” è l'innesto) alcune idee sulla società
di Fisher che spianerebbero la strada all'avversario Saito. Dom è un
professionista: normalmente estrae dalla testa dei sognatori preziose
informazioni che gli vengono pagate. Ora, sotto ricatto, deve fare il
contrario. Ma per percorrere i sogni altrui, per quanto fittizi e
progettati a tavolino, non occorrerebbe avere scheletri nell'armadio,
né mostri dell'id: nulla di mortale in mente, perché potrebbe uccidere
davvero. Dom rischia di restare intrappolato e poi di venire ucciso nei
sogni di Fisher. In questa storia il piano onirico e quello dei ricordi
interferiscono a tal punto da rendere chiaro un messaggio: nessuna
realtà virtuale è così blindata rispetto alla vita vera; nessuna verità
concreta è al riparo dalla finzione, dall'artificialità, dalle nostre
personali proiezioni del reale. La morte e il ricordo del dolore
prevalgono su ogni cosa, costringendoci ad aggrapparci a
un'esistenza posticcia. È un film mozzafiato, in cui gli scenari si
costruiscono e si sgretolano uno dopo l'altro, spesso lasciando lo
spettatore appeso tra i vari livelli. Ma soprattutto è un film ansiogeno
e tristissimo.
208
Inception è scritto, prodotto e diretto dal regista Christopher Nolan e ha nel cast
Leonardo DiCaprio, Ken Watanabe, Joseph Gordon-Levitt, Ellen Page, Marion
Cotillard, Cillian Murphy e Michael Caine. Ottiene ben quattro Oscar nel 2011:
miglior fotografia, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro e migliori effetti speciali.
172
Un altro esperimento filmico sui gradi di realtà viene condotto nel
2011 dal visionario regista Duncan Jones con il suo movimentato
Source Code. È un esperimento riuscito, dove una trama
cervellotica si trasforma in divertimento e azione senza pause. Colter
Stevens (Jake Gyllenhaal) fa parte, senza avervi aderito, di un
sofisticato programma governativo sperimentale, il source code, che
ha lo scopo di sventare gli attacchi terroristici. Lui è già pressoché
morto (in Afghanistan), ma mentre il suo corpo si trova in una sede
militare, il suo cervello è utilizzato per entrare più e più volte nel
source code. Nei panni di un insegnante presente al fatto, è costretto
a rivivere a ciclo continuo gli stessi otto minuti, quelli che precedono
l'esplosione di un treno a Chicago. La sua identità virtuale –
scambiata, più che altro – ha il compito di trovare i colpevoli, per
evitare attentati ancor più terribili. Otto minuti molte volte: per
conoscere meglio i passeggeri, per comprendere la psicologia
dell'assassino, per innamorarsi e cercare aiuto, per sapere che fine
hanno fatto, nella normale linea spazio-temporale, i suoi resti mortali.
Qualche volta, tuttavia, gli universi alternativi possono scongiurare la
morte. Una seconda chance fa comodo a tutti.
Manipolare è meglio che curare?
Gli esseri umani scoprono i cloni, gli avatar, i surrogati e le loro
possibilità di utilizzo. I cloni scoprono gli altri cloni, e sentono il
dovere di distinguersene. Gli uomini replicati scoprono che, potendo,
vorrebbero essere qualcuno. Gli uomini veri scoprono che, potendo,
vorrebbero essere (anche) qualcun'altro. È la nuova frontiera
dell'ingegneria genetica: si chiama psicanalisi. Al cinema trionfa la
regina delle manipolazioni: la duplicazione. Ma sorgono,
contemporaneamente, inquietanti questioni legate alla prassi di
clonare o sdoppiare gli esseri umani. Per esempio quella dell'identità,
della vera essenza dell'individuo. O quella della legittimità di disporre
del proprio doppio per colmare mancanze fisiche o per non affrontare
il pericolo. O i dilemmi morali dell'agire per interposta persona: se sia
giusto agire in un corpo surrogato, attraverso un avatar.
In un film mediocre uscito nell'anno 2000, Il sesto giorno (The 6th
Day, di Roger Spottiswoode), è già presente la contraddizione che
accompagnerà tutti i progetti genetici. Che cosa accade all'ego di un
uomo che incontra un altro se stesso? Qui Robert Duvall e Arnold
Schwarzenegger ce la mettono tutta per risolvere la questione, e
anche con una certa ironia. Un'organizzazione criminale prospera
173
clonando le sue vittime (morte), ma gli incidenti di percorso sono
sempre possibili. Adam Gibson, per esempio, è sopravvissuto a un
tentato omicidio e si allea con il proprio clone per sfuggire agli
inseguitori e sventare i loro piani. Per fortuna, le due copie si
piacciono. Non sempre accade.
È facile condannare le perversioni del crimine che riguardano la
clonazione o le manipolazioni. Esistono, tuttavia, mutazioni
legalissime che hanno esiti ancora più cruenti. Due pellicole
successive riguardano il tema scottante del trapianto di organi e della
rigenerazione del corpo umano. Entrambe, in realtà, disegnano una
società futura raccapricciante, che ritiene legittimo e legale l'omicidio
a scopo medico o economico. Il primo è un film del 2005, The
Island, del regista Michael Bay209. La storia è ispirata alle grandi
fughe cinematografiche da strutture allucinanti, a partire da quella
celebre di Logan. È piena di contraddizioni e, tuttavia, piuttosto
divertente. In un contesto che alleva cloni per usarli (in giovane età)
come riserva di organi per gli umani, Lincoln e Jordan (Ewan
McGregor e Scarlett Johansson) decidono di fuggire dall'impianto in
cui sono stati cresciuti e di riprendersi qualche diritto sulla propria
vita. Il secondo è un altro buon prodotto da intrattenimento datato
2010: si tratta di Repo Men, di Miguel Sapochnik. Il Repo-man è un
«recuperatore» di costosissimi organi artificiali: esercita quello che
oggi si chiama «recupero crediti» (repossession), ma in modo più
cruento. La necessità di un trapianto gli farà prendere coscienza della
crudeltà del sistema e lo obbligherà a mettersi nei panni dei
fuggiaschi.
In un bel film del 2009, intitolato Moon, dell'esordiente Duncan Jones
(figlio del cantante David Bowie), due cloni con la data di scadenza
(tre anni dall'attivazione) si trovano simultaneamente per errore su
una base lunare. Credono entrambi di essere umani, con ricordi
innestati dall'originale, l'umano Sam Bell. Dopo un iniziale sconforto,
progettano di rendere nota la clonazione degli umani da parte della
potentissima compagnia che li ha creati, e che manda le povere
repliche sulla luna per estrarre l'elio-3, eccellente fonte di energia.
209
The Island (di Michael Bay, USA 2005) è ispirato esplicitamente a La fuga di Logan
(Logan’s Run, di Michael Anderson, USA 1976) e L'uomo che fuggì dal futuro (THX
1138, di George Lucas, USA 1971), con Robert Duvall; è stato influenzato anche dal
romanzo di Philip K. Dick La penultima verità (1964). I due cloni vivono in una
struttura artificiale che pensano essere il mondo vero e fuggono verso l'esterno per
liberarsi.
174
Scarso budget, pochi effetti speciali e molta, molta tenerezza per i
due cloni che acquisiscono progressivamente tragiche certezze sulla
propria identità. Confuso su chi sia veramente è anche l'Impostor di
Gary Fleder (2002)210. Il soggetto è tratto dal solito Philip K. Dick.
Forse si tratta dello scienziato Spencer Olham, forse della sua replica
che gli alieni hanno mandato per compiere un clamoroso attentato
contro le colonie terrestri. La ricerca della verità, come è ovvio, risulta
scomoda a molti.
Dalla metà del primo decennio del duemila una vera, scioccante
metamorfosi colpisce anche il cinema di fantascienza. Compaiono i
primi film che, per parlare di trasformazioni, mutazioni e realtà
virtuali, si appoggiano su una doppia tecnica, quella live action (il film
tradizionale) e quella dell'animazione digitale, spesso ricalcata sulle
fattezze dei protagonisti reali211. Nel 2006 esce nelle sale una
pellicola apprezzata dalla critica e anche da molti amanti di Philip K.
Dick: A Scanner Darkly-Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly)
di Richard Linklater. Gli attori reali sfumano nei personaggi e negli
sfondi di un cartone animato: sono quelli veri, ma sembrano un
disegno. Un'assurda tuta ipertecnologica (scrumble suit) permette
all'agente infiltrato Bob Arctor di acquisire nuove identità. Soprattutto
si identifica con Fred, un tossico che spaccia in California. Fred dà la
caccia ai narcotrafficanti di Sostanza M, un acido altamente
allucinogeno, ma più che altro letale. Quando diventa, suo malgrado,
dipendente dalla M, la sua personalità comincia a vacillare e si
confonde con quella di Bob. Le allucinazioni donano però una nuova
consapevolezza. Ricoverato in una comunità in Messico, Fred/Bob
inizia a comprendere di far parte di un complotto, in cui trafficanti,
drogati e autorità sono, ovviamente, agenti di un'unica volontà
criminale. È praticamente l'autobiografia di Dick che diventa un'anime
e, bisogna ammettere, fa una certa impressione.
210
Il film è tratto dal racconto Impostore (Impostor) dello scrittore Philip K. Dick, e la
sceneggiatura risulta piuttosto fedele.
211
Il cast reale (di cui è protagonista Keanu Reeves) è ripreso dal vivo e poi
trasformato in disegno animato con il rotoscope, procedimento che permette di
ottenere un movimento animato da un filmato reale. L'intento è quello di rendere
l'esperienza psichedelica descritta dal romanzo di Philip K. Dick. La tecnica usata, la
pittura digitale tratta dalla foto dell’attore, è la rappresentazione visiva dell’identità
multipla del protagonista, Fred alias Bob Arctor, variabile anche grazie alla scramble
suit (la tuta "frullatore") dickiana.
175
Ma è nel 2009, con il film Avatar di James Cameron212, che si ha sul
grande schermo la perfetta fusione del personaggio reale con
l'animazione, oltre che quella del kolossal commerciale con il film
impegnato. Sbarcato su Pandora per sostituire il fratello scienziato,
prematuramente morto, il marine Jake Sully accetta di guidarne
l'avatar: un corpo senza coscienza, identico ai nativi del pianeta, i
Na'vi, comandato però dagli stimoli cerebrali di esseri umani. Lo
scopo è comprendere le intenzioni della popolazione di Pandora per
depredarla delle straordinarie risorse energetiche. I Na'vi fanno
resistenza. Il film si fonde con il cartone animato, in una foresta
irreale ma potente, resa ancor più magica dal 3D. Gli avatar, frutto
della migliore grafica digitale, sono belli, blu e giganteschi come i
nativi: una combinazione di alieni classici e pantere – colorata di un
tono blu-di-metilene – che dà vita ad animazioni eteree ma vigorose,
piene dell'energia panica che viene evocata dagli alberi. Accade, e
non è strano, che il nostro marine s'innamori di una civilissima
pandoriana, e inizi a vedere il furto di materie prime da parte dei
terrestri sotto un'altra luce. È vero: sono passati ormai molti anni
dall'11 settembre 2001. Non c'è dubbio, però, che James Cameron
abbia dimostrato un certo coraggio, con la sua esplicita retorica antiimperialista, a tratti anti-americana. Nell'estrema bellezza formale,
Avatar riesce davvero ad affermarsi come il manifesto di una stagione
di cinema che ha superato lo choc delle Torri Gemelle e la paura del
diverso: degli alieni, dei mutati, del cloni, dei replicanti. Pian piano si
insinua – almeno nella fantascienza – un'idea semplice, ma
rassicurante: in questo multiverso c'è posto per tutti.
212
Il film è stato prodotto da James Cameron con 237 milioni di dollari. Ha incassato
tuttavia quasi tre miliardi di dollari: il maggior incasso nella storia del cinema. È uscito
in formato 2D, ma ha visto anche un'ampia diffusione in 3D e in 3D IMAX. Cameron
ha dichiarato che è stato progettato appositamente per il 3D. La storia è interpretata
da Sigourney Weaver, Sam Worthington, Stephen Lang, Zoë Saldaña, Giovanni Ribisi
e Michelle Rodriguez. Avatar si è aggiudicato tre Premi Oscar nel 2010: per la
migliore fotografia, la migliore scenografia e i migliori effetti speciali.
176
Elica
distanza dalla Terra: 600 anni luce
177
Conclusioni?
Anche i protagonisti dei film di fantascienza vanno al cinema, ogni
tanto. Nell'horror fantascientifico Blob - Fluido Mortale (The Blob,
1958), l'enorme gelatina aliena, calata a bordo di una meteora su una
ridente cittadina della Pennsylvania, si infila in un cineteatro di
provincia. Certo, il suo scopo è quello di mangiarsi il proiezionista,
non quello di godersi la proiezione. Eppure, nella famosissima scena
degli spettatori, che corrono fuori dalla sala inseguiti dal viscido blob,
si realizza il più sincero e affettuoso omaggio del regista Irvin
Yeaworth al genere fantascientifico. Quello che vedrete di qui in
avanti, ci dice, è più di quello che potete sopportare. Urlerete di
terrore, correrete a casa calpestando il vostro vicino. Qualcosa di
veramente diverso, finalmente, è arrivato sul grande schermo.
Charlton Heston si siede solo soletto di fronte a un filmato di
Woodstock, salvatosi dalla distruzione in una sala periferica di Los
Angeles. Anche lui, il dottor Robert Neville di 1975: Occhi bianchi sul
pianeta terra (v. p.97) è un sopravvissuto alla catastrofe. La città è
deserta, come la sala. Il dottore guarda lo schermo con occhi avidi e
disincantati, dalla poltrona anticipa le parole sentite migliaia di volte
e, intanto, le commenta sarcasticamente. Sono frasi ormai ridicole,
perché piene di speranza nel futuro. A Neville/Heston il documentario
di Woodstock piace, eccome. L'uomo che nella vita reale è stato a
lungo il portavoce dei conservatori americani, nella finzione filmica
rinuncia a qualsiasi opinione politica per vedere e rivedere il trionfo
degli hippies. Quelle immagini sono tutto ciò che gli resta della
società di cui, una volta, faceva parte. Il cinema, pieno di fantasmi di
luce e immagini, gli ricorda l'appartenenza al genere umano.
Anticonformista e solitario, l'adolescente Donnie Darko ama i film
classici. È naturale che scelga di passare la sera di Halloween in un
cinema, con la fidanzatina Gretchen, per rivedere La casa (The Evil
Dead, 1981) di Sam Raimi. Mentre la ragazza si addormenta, vicino a
loro nella fila di poltrone appare Frank, lo strano essere mascherato
da coniglio che è venuto dall'universo tangente per preannunciare la
fine del mondo. Frank è più spaventoso di qualsiasi horror,
soprattutto quando si toglie la maschera e rivela sembianze umane.
Donnie non può godersi il cult di Raimi: il suo nuovo amico gli apre
sullo schermo una «porta di confine» per l'altra dimensione e lo
179
costringe ad alzarsi per scongiurare la tragedia. Uno spettacolo
rovinato. Ma il messaggio è chiaro: un film è un oggetto mistico e
potente, e può facilmente aprirci un passaggio verso dimensioni
ignote.
Cinema e fantascienza, fantascienza e cinema: un'accoppiata
vincente, si potrebbe dire dopo centodieci anni. Non è stato sempre
così. L'anticonformista James Whale, ritratto da Bill Condon in
Demoni e dei (Gods and Monsters, 1998); Edward D. Wood,
l'eccentrico travestito, raccontato con affetto da Tim Burton ( Ed
Wood, 1994); e perfino il Lawrence Woolsey di Joe Dante in Matinee
(1993), che pure, a differenza degli altri due, è un personaggio
inventato. Sono cineasti di un'epoca ormai lontana, dove il genere era
riservato ai marginali, ai visionari, a registi travagliati da scarni
budget, canzonati dai colleghi, schifati dalla grande produzione.
Un giro di affari straordinario, molti spettatori entusiasti, ormai anche
tra i raffinati cinefili dell'essai: questa è la realtà di oggi, mezzo
secolo dopo Ed Wood. Eppure quello fantascientifico non è davvero
un genere compiuto: è piuttosto una porta di confine verso altri
mondi, come lo schermo «transizionale» di Donnie Darko. È versatile
ed elastico: è cinema per ogni tipo di palato. Tutte le altre categorie
– dalla commedia al musical – gli si possono adattare. Tutti i toni o i
registri linguistici – dall'ironia alla prosa seria e didascalica – gli
calzano a pennello. Tutti gli stili – dal tragico al fumettistico – gli si
conformano con facilità. Il suo vero, solo talento, quello che lo
caratterizza, è la capacità di immaginare un altrove, lontano o vicino,
e di raccontarlo in infiniti modi.
Infiniti modi, infiniti mondi. Non certo facili, tuttavia, da comprendere
e da digerire. I modi, è vero, sono spesso gradevoli e sorprendenti:
sono quelli già sognati da Méliès, che li aveva realizzati con
scenografie sfarzose, trucchi da illusionista e ballerine ammiccanti e
che poi, necessariamente, si sono evoluti, fino ad approdare alle
straordinarie creazioni della grafica digitale. I mondi – disegnati dalla
letteratura, dagli sceneggiatori, dai fumettisti – sono invece
architetture inquiete e inquietanti, che mostrano sullo schermo un
profilo ben poco rassicurante. Se la veste formale attira al cinema gli
spettatori, e li fa sognare, il contenuto dei film di fantascienza li
dovrebbe respingere.
Il bilancio dei plot e delle trame è senz'altro negativo. La scienza non
è mai del tutto amica, e ha spesso effetti perversi. Gli alieni – buoni,
cattivi o indifferenti che siano – provocano ostilità e terrore, almeno
180
in fase iniziale, negli ospiti terrestri. Le catastrofi spazzano via gran
parte di coloro ai quali dovrebbero insegnare qualcosa per l'avvenire.
I mostri, per la loro stessa natura, si ribellano ai propri creatori e
rappresentano un vero pericolo. Le realtà virtuali sono spesso
trappole per il corpo o il cervello: ragnatele vischiose che catturano
gli uomini, brutalizzandone la vita, la memoria, la psiche. Le
metamorfosi non avvengono quasi mai per il meglio, e lacerano
l'identità nel profondo. I pianeti lontani sono pieni d'insidie, quelle
che giungono dallo spazio profondo e quelle che provengono dalla
mente umana. Robot e androidi sono servizievoli, ma esigenti e
tendenzialmente ribelli: non si può certo contare su un codice interno
(come le tre leggi della robotica) che ci protegga, più che dalle loro
richieste, dal loro desiderio di umanità. E poi ci sono le società
immaginate: utopie nere, o distopie, nella maggioranza dei casi.
Qualsiasi forma e struttura assumano, il loro scopo principale è quello
di manipolare gli esseri umani, nel corpo, nella coscienza e nella
volontà.
Infiniti mondi, dunque, quasi sempre spaventosi. Ci preoccupano, ci
angosciano, ci terrorizzano. A un primo sguardo superficiale, la
fantascienza potrebbe sembrare il genere adatto ai masochisti, ai
pessimisti irriducibili o ai cinici di professione. Eppure il misterioso
fattore di attrazione, l'incognita che la rende, in un certo senso,
intramontabile, resiste al tempo, all'usura, ai brutti film, ai remake,
alle minestre riscaldate. Di che cosa si tratta? Che cosa porta le
persone ad affollare le sale quando è in programmazione un film di
fantascienza?
La risposta non può essere una sola. Intanto: è così vero che la
fantascienza fornisce ai problemi dell'umanità una risposta ansiogena,
priva di speranze? Non proviamo forse una sensazione di benessere –
tra il sollievo e l'euforia – proprio quando, comodamente seduti sulla
poltrona di un cinema, possiamo osservare con un sereno distacco
scenari di un futuro che ancora non ci appartiene? In fondo, sono
ancora lontani, improbabili, irrealizzabili. C'è tempo. E poi, certo, è
vero che l'industria cinematografica ha una certa cura del
consumatore: chi paga per un posto in sala non deve a nessun costo
alzarsi infelice. Mille utopie nere evaporano in finali più che ottimistici.
La fine del film, di solito, non può fare a meno di inneggiare alla
bellezza, alla forza, alle potenzialità del genere umano. Anche quando
l’eroe soccombe, la speranza gli sopravvive. Anche quando soccombe
l'intero genere umano, per qualche ragione c'è sempre un eroe che
rimane vivo. Apocalissi, armageddon, pandemie o asteroidi non
181
hanno mai vinto contro una major americana nell'imporre la propria
(radiosa) conclusione della storia. A meno che non sia previsto un
sequel, che giustifica una delusione, l'happy ending è un diritto che
gli spettatori, di solito, rivendicano con il prezzo del biglietto. E i
registi e le case di produzione hanno il coraggio di scontentarli solo in
pochi casi.
È da considerare, poi, il fattore "adescamento". Il pubblico viene
costantemente sedotto e reagisce in modi imprevisti, spesso positivi,
alle novità tecnologiche, ai cambiamenti nello stile narrativo e,
ovviamente, alle operazioni di marketing. Spesso le trovate più
sensazionali passano attraverso un film di argomento fantascientifico.
Da più di vent'anni il cinema sci-fi è diventato cool, è amato dai
giovani e considerato dai critici. Forse è stato il bellissimo Blade
Runner a inaugurare una tendenza: la fantascienza che può piacere a
tutti, adulti o adolescenti, colti o ignoranti. Ci vorrà molto tempo,
forse, prima che la moda tramonti, magari facendola tornare ciò che
era una volta: un genere riservato ai ragazzini, e nemmeno a quelli
troppo svegli.
Oppure, ci piacerebbe pensare, c'è dell'altro. È solo una traccia
flebile, che riporta a un mondo bello da immaginare. Questa traccia
suggerisce una storia, quasi una trama. Forse questa centenaria
fabbrica dell'avvenire – tra capolavori e pellicole discutibili – ha
lasciato un segno ormai indelebile nei ricordi di chi frequenta le sale
cinematografiche. È una testimonianza che si tramanda per
generazioni, come i testi degli uomini libro di Bradbury e Truffaut,
che porta gli adulti a emozionarsi alla vista di un pianeta rosso e i
bambini a commuoversi per un piccolo extraterrestre lontano da
casa. È la memoria del futuro, che scatena una passione senza fine,
un eterno innamoramento. L'amore per gli infiniti mondi, quali che
siano, passa per i grandi capolavori, guarda con interesse ai B-movies
e finisce con il tollerare perfino i remake e l'ennesimo prequel di
Alien. Un amore così non conosce limiti, se non quelli della stupidità o
della volgarità esibita. In poche parole, di questo si tratta: chi è avido
di futuro guarda alla fantascienza al cinema come alla vera proiezione
dei sogni del genere umano.
Non ci stupisca, dunque, la tenerezza e la complicità che ci suscitano
Charlton Heston, Donnie Darko e perfino Blob, l'orrenda gelatina
aliena, che vuole solo mangiarsi un proiezionista qualsiasi. Noi
andiamo al cinema a vedere loro. Ma anche loro sono al cinema.
Attenti, divertiti, sedotti dalle immagini che scorrono, sia che debbano
182
sopravvivere tra le rovine di un'epidemia apocalittica, sia che siano
imprigionati in un universo tangente. Seduti in sala, si trovano a casa.
Proprio come noi.
183
184
Il cinema di fantascienza italiano
«A Lucca, mai!». Negli anni cinquanta, con questa affermazione
ironica divenuta celebre tra gli addetti ai lavori, Carlo Fruttero
definisce la fantascienza italiana un fenomeno marginale, privo di
qualsiasi dignità. Un disco volante potrebbe atterrare a New York,
a Londra, a Pechino, a Mosca. Ma a Lucca... A Lucca, mai! Mai,
cioè, in un posto così poco fantastico, e soprattutto così poco
scientifico, come la provincia italiana. Il parere del curatore della
collana fantascientifica Urania ha, di fatto, un certo peso. Per
lunghi decenni alcuni scrittori e un pugno di cineasti molto motivati
provano a smentire la frase di Fruttero, che suona come un
sinistro anatema. Indignata e toccata nel vivo, la città di Lucca
promuove convegni, meeting, collane librarie e borse di studio ai
giovani che vogliano cimentarsi nella letteratura sci-fi. Forse non si
vede ancora la fila di marziani fuori dalle librerie, pronti ad
accaparrarsi l'ultimo best-seller, con le astronavi parcheggiate
malamente in piazza Grande. È innegabile, però: dai tempi di
quella storica battuta qualche libro interessante, soprattutto nel
campo della novella o del racconto lungo, trova la strada delle case
editrici specializzate.
Il cinema fantascientifico, invece, resta il modesto fanalino di coda di
molte altre categorie. È un genere che l'Italia non pratica con quella
costanza, quell'assiduità, quella passione che servono per costruire
una grande tradizione e, di conseguenza, per ottenere una risonanza
internazionale. Almeno in parte, questo è dovuto alla marginalità di
cui la cultura scientifica soffre per lungo tempo nel corso del
Novecento. Questo pregiudizio antiscientifico trapela dal neologismo
«fantascienza»213, che gli italiani inventano negli anni cinquanta per
rendere il termine pressoché universale science-fiction (tradotto
letteralmente in molte lingue): è chiaro che ci si aspetta che la
finzione prevalga sulla componente tecnico-scientifica. Gli
sceneggiatori, gli attori e le case produttrici, ma soprattutto i registi,
si cimentano talvolta con questo tipo di film, ma non cercano di
fondare una categoria autonoma all'interno del panorama (un tempo
poco variegato) della cinematografia nazionale. È invece
preponderante, fin dagli esordi, la necessità di trasformare i film di
fantascienza in qualcosa d'altro: farse, parodie, horror, commedie
213
Giorgio Monicelli nel primo numero della rivista Urania, 1952.
185
"metaforiche", satira politica e di costume, commedie sexy. La
fiction prevale largamente sulla science, volta perlopiù in ridicolo.
Fin dagli anni dieci del Novecento vengono realizzate pellicole che
non si possono definire fantascientifiche in senso stretto, ma che
hanno qualcosa in comune con la fantascienza: uno spunto, un
elemento tecnologico, un'ambientazione, un futuro immaginato. Si
tratta di commedie farsesche che mirano, tra le altre cose, a volgere
in burla le suggestioni fantascientifiche che giungono dall'estero. Tra
queste, Un matrimonio interplanetario, di Enrico Novelli (più noto
con lo pseudonimo di Yambo), del 1910; Le avventure
straordinarissime di Saturnino Farandola del 1913, girato da Marcel
Fabre; L'uomo meccanico di André Deed (il personaggio noto in
Italia come Cretinetti) del 1921; La bambola vivente, di Luigi Maggi
(1924); Mille chilometri al minuto, datato 1939, che è il primo film
sonoro di genere di Mario Mattoli; Baracca e burattini di Sergio
Corbucci (1954), ispirato all'omonima rivista di Maccari e Amendola;
Totò nella luna diretto da Steno nel 1958, con Totò e Ugo Tognazzi.
Il mostro di Frankenstein, di Eugenio Testa (1920) è un fantahorror,
che si segnala come l'unico film ispirato al genere che non cerchi di
far ridere gli spettatori italiani.
In realtà, se la fantascienza italiana davvero esistesse, molti la
farebbero nascere nel 1958, anno di uscita di La morte viene
dallo spazio, di Paolo Heusch. La Terra è minacciata da una
pioggia di asteroidi e le superpotenze unite li combattono. Il film è
dignitoso: realizzato grazie al genio – rapido e soprattutto
economico – di Mario Bava, che qui si occupa della fotografia e degli
effetti speciali, è perfino copiato all'estero. Heusch, emulando le
produzioni statunitensi, rivendica un piccolo posticino nella genesi
della science fiction mondiale, con un'opera drammatica e
catastrofica, non buffa o demenziale. Qualche anno dopo gli terrà
compagnia Antonio Margheriti con Space Man (1960, girato con lo
pseudonimo di Anthony Daisies), con Il pianeta degli uomini spenti
(1961), la sua seconda space opera, e soprattutto con la tetralogia
della stazione spaziale Gamma 1 (1965).
Negli anni sessanta si affermano alcuni film di discreto successo, di
solito sostenuti da coproduzioni con paesi esteri: tra questi L'ultimo
uomo della terra, di Ubaldo Ragona (1963); Terrore nello spazio, di
Mario Bava (1965); La decima vittima, di Elio Petri (1965);
...4..3..2..1...morte, di Primo Zeglio (1967), ispirato a un
personaggio dei fumetti della Germania Federale, Perry Rhodan
186
(simile a Flash Gordon). D'altro canto, giunge anche in Italia
l'influenza della fantascienza sociologica, che qui prende più le vesti
della satira sociologica scoperta o del manifesto politico. Il paese del
boom economico, delle ingiustizie sociali e dell'arretratezza culturale,
delle lotte sindacali e dei grandi partiti è quello che gli autori mirano
a rappresentare e condannare. Escono Omicron (1963), scritto e
diretto da Ugo Gregoretti; Il disco volante, di Tinto Brass (1964);
Ecce Homo: i sopravvissuti, di Bruno Gaburro (1968), con Irene
Papas e Philippe Leroy; Colpo di stato, commedia fantapolitica di
Luciano Salce (1968); Il seme dell'uomo (1969), del regista Marco
Ferreri e Il tunnel sotto il mondo (1969). Quest'ultimo è tratto da un
racconto di Frederik Pohl del 1955: è il primo film di Luigi Cozzi, che
diverrà uno dei registi di punta della fantascienza in Italia.
Negli anni settanta questo filone di critica sociale e politica dà
ancora frutti, con risultati talvolta brillanti, spesso modesti. Liliana
Cavani gira nel 1970 I cannibali; Silvano Agosti realizza N.P. Il
segreto (1971), con Irene Papas e Francisco Rabal; Emidio Greco
esce con L'invenzione di Morel (1974); Pasquale Festa Campanile
dirige Conviene far bene l'amore (1975). Forse il film più riuscito è
quello di Ugo Tognazzi – qui anche in veste di regista –, che vuole al
suo fianco Ornella Vanoni ne I viaggiatori della sera (1979), tratto
dal romanzo di Umberto Simonetta. È una distopia ambientata in un
futuro non ben precisato, in cui la società si disfa degli anziani
facendoli partecipare a un "Grande Gioco", il quale prima o poi ne
dispone l'eliminazione fisica. È un film sobrio e triste, ma è
indubbiamente fantascienza.
Tra la fine degli anni settanta e quella degli anni ottanta, sulla scia
delle grandi space operas e delle saghe di successo come Mad Max,
i registi si pongono obiettivi più grandiosi, se non altro dal punto di
vista commerciale. Nascono molte imitazioni di grandi film, con
qualche spunto di originalità. Tra gli autori si distinguono Alfonso
Brescia, detto Al Bradley (Anno zero: guerra nello spazio, Cosmo
2000: battaglie negli spazi stellari e La guerra dei robot, tutti girati
tra il 1977 e il 1978); Luigi Cozzi, detto Lewis Coates ( Star CrashScontri stellari oltre la Terza Dimensione, 1978; Contamination,
1980); ancora Antonio Margheriti (Il mondo di Yor, 1983; Aliendegli
abissi, 1989); Enzo G. Castellari (1990: i guerrieri del Bronx; I nuovi
barbari del 1982 e Fuga dal Bronx del 1983); Lucio Fulci (I guerrieri
dell'anno 2072, 1984). Spesso girano film non ignobili, che vengono
spacciati sull'ignaro mercato estero per produzioni meno caserecce
187
di quanto non siano. L'eredità di Mario Bava – realizzazioni rapide e
a basso costo – diventa una caratteristica italiana.
Gli anni novanta si segnalano da una parte per il successo (in Italia e
all'estero) di Nirvana, la pellicola in stile cyberpunk girata nel 1997
da Gabriele Salvatores; dall'altra, per una serie di produzioni
indipendenti, distribuite nel circuito home video (AD Project del
2006, di Eros Puglielli) o in quello web (Dark Resurrection del 2007,
una fan fiction, girata da gruppi di volontari). Tra queste ultime
spiccano le produzioni non commerciali di Mariano Equizzi (pseudocyberpunk) e un film divenuto a suo modo celebre: InvaXön - Alieni
in Liguria (2004), realizzato per beneficenza214 da Massimo Morini,
cantante e leader del
gruppo musicale che si fa chiamare
(significativamente) Buio Pesto. Gli anni duemila si distinguono
invece per una satira politica di successo Fascisti su Marte, diretta
da Corrado Guzzanti e Igor Skofic, definita un «esercizio di fantarevisionismo storico». Qualche anno dopo compaiono tre film di
produzione italiana che tornano a parlare degli alieni: 6 giorni sulla
Terra, di Varo Venturi; L'ultimo terrestre, di Gian Alfonso Pacinotti;
L'arrivo di Wang, dei Manetti Bros. Filmetti divertenti, senza grandi
ambizioni, magari con qualche guizzo di regia che li rende più
gradevoli di ciò che ci si potrebbe aspettare.
Forse avremo ancora piacevoli sorprese, ma una svolta sembra
ancora lontana. Il cinema di fantascienza funziona meglio altrove.
Del resto, non si può comparare l'incomparabile. I cineasti stranieri
(indipendenti a parte) hanno spesso ben altre energie, ben altre
risorse. I risultati sono, di conseguenza, proporzionali. Il vero
problema dello spettatore italiano, messo di fronte a un film
nazionale, è quello di saper tenere le aspettative basse. Talvolta,
bassissime. Il panorama generale sembra voler dare infatti una
tragica conferma: a Lucca – ormai è assodato – non è mai atterrato
nulla; in compenso, il cinema di fantascienza italiano non è mai
decollato davvero.
214
Il film è stato realizzato con 250 attori non professionisti, 41.000 comparse e 23
personaggi famosi. Ha richiesto sette anni di progettazione, sessanta giorni di riprese
e quattromila ore di lavorazione.
188
Sole
distanza dalla Terra: 8 minuti e 20 secondi luce
IL CINEMA RITROVATO
189
Cinema e Microcinema
di Roberto Bassano
La seconda parte dei Quaderni è tradizionalmente dedicata a
Microcinema, alle nostre visioni del mercato, al nostro agire sul
mercato, ai nostri risultati e, anche con qualche compiaciuta
indulgenza, ai nostri successi per descrivere i quali non manchiamo di
utilizzare gli stessi racconti degli esercenti che, insieme con noi,
vogliono rivoluzionare i rapporti tra cinema e pubblico.
I cinema costituiscono un luogo irrinunciabile per la nostra società, luogo
di aggregazione sociale e di arricchimento culturale, e rappresentano
vere e proprie Luci della città215 e la loro chiusura, definita da Giuseppe
Tornatore un crimine culturale, deve essere impedita ad ogni costo, con
l'impegno forte e coraggioso di tutti noi. La questione in campo non è un
banale e miope problema mercantile o commerciale inteso a vendere un
sistema digitale o noleggiare un film in più.
Il cinema è il luogo dove costruiamo il nostro futuro, anche attraverso
i sogni, è il luogo dove misuriamo noi stessi con altri - infiniti - mondi.
A scomparire sono spesso luoghi storici carichi di memoria, «è come
se venisse meno un amico, un conoscente con il quale abbiamo
condiviso un pezzo di strada e tante emozioni», osserva il regista di
Nuovo Cinema Paradiso, il film che oltre vent´anni fa valse a
Tornatore il premio Oscar e il Gran Premio della giuria di Cannes, e
che raccontava la poesia di una sala di provincia e la nostalgia per un
modo di vivere il cinema perduto forse per sempre.216
E al cinema siamo tutti uguali, ridiamo e piangiamo allo stesso modo,
condividiamo esperienze. Insomma al cinema nessuno ci è estraneo e
quando si spengono le luci di una sala siamo orfani di un luogo di
ritrovo, di un punto di riferimento e di incontro dove non si fa
distinzione di età e di ceti sociali, dove non ci sono palchi e loggioni,
tribune e curve. Se chiudono i cinema, gli spettatori iniziano un lento
percorso di chiusura all'interno delle mura domestiche e il momento
degli acquisti, forse solo settimanale, diventa il più importante e
impersonale momento di incontro con gli altri.
215
Luci della città, Microcinema, 2010.
La Repubblica 10 ottobre 2008 “Addio vecchio cinema Paradiso le città cancellano
le sale storiche” di Franco Montini e Carlo Moretti.
216
191
Ormai è emerso con chiarezza come il digitale sia l’unica risposta
possibile alla chiusura delle sale. Il digitale è allo stesso tempo una
soluzione sostenibile, con il supporto degli aiuti regionali e statali
associati al VPF (in particolare il VPF europeo con contratto
decennale) e grazie anche alla cedibilità del tax credit, alla formula
del noleggio e ai contenuti complementari ad alto valore aggiunto.
Tutto deve aiutare la sala cinematografica ad innovarsi e a ritrovare
nuove identità attraverso la multiprogrammazione e la molteplicità
delle proposte all'interno dello stesso contenitore giornaliero e
settimanale. Con il digitale il cinema, sia che abbia uno schermo sia
che ne abbia cinque, può e deve trasformarsi in microplex, con l'aiuto
di tutti, anche della distribuzione, da cui ci si attende, come da ogni
impresa di successo, dei progetti di lungo periodo, lontani dalle più
miopi politiche commerciali di breve periodo legate all'effimero
successo di un film. Sempre più spesso le politiche commerciali
imposte all’esercizio mettono a rischio la sua stessa sopravvivenza:
questo, banalmente, significherà uno schermo in meno su cui
proiettare il prossimo film, con la ovvia conseguenza di minori
margini per il distributore e di maggiori sbocchi di mercato per la
pirateria innescata dall’aumento del numero di spettatori senza
cinema.
Questo argomento non è affrontato solo da noi e continua a
rimanere un arcano inspiegabile e tutto italiano, legato al
comportamento irrazionale di certe direzioni commerciali.
L'imposizione della tenitura alle piccole sale (e non ovviamente ai
grandi gruppi) e la guerra contro la “duplicazione” dei film, che
porterebbe di fatto alla creazione di quei “ microplex” di cui
dicevamo, non potrà mai portare a risultati positivi e risulterà
piuttosto negativa per tutte le parti coinvolte nella filiera. Questo
atteggiamento vessatorio nei confronti delle sale minori ha come
effetto una perdita di incassi nel medio-lungo periodo perché,
impedendo ai cinema indipendenti di generare profitto, li si
indirizza verso una chiusura certa.
Forse solo il grande e indimenticato prof. Cipolla 217 ci potrebbe
spiegare le inspiegabili incongruenze del mondo cinema. Ma già
Albert Einstein ci aveva illuminato: “Due cose sono infinite: l'universo
e la stupidità umana. Della prima non sono sicuro”.
217
Carlo Maria Cipolla, "The Basic Laws of Human Stupidity", in Allegro ma non
troppo, Il Mulino, 1988.
192
Bene, se siamo certi della formula
meno schermi = meno spettatori
dovremo tutti, a cominciare dallo Stato, adottare politiche di buon
senso, positive, di mantenimento se non di crescita, politiche a volte
neppure troppo onerose. Speriamo.
Augurandoci che il mondo del cinema non sia soggetto alla sindrome,
cara agli ambientalisti, della rana felice218, o bollita che sia, spostiamo
ora la nostra attenzione su ciò che Microcinema offre di positivo a
esercenti, produttori e distributori.
Per cominciare Microcinema nel 2012 si è fatta in due: Digital
Network e Distribuzione.
Due anime per essere ancora più innovativi. Ma procediamo con
ordine.
La sala, grazie all'innovazione digitale, deve divenire uno spazio di
incontro di soggetti eterogenei, con differenti interessi e curiosità,
soggetti che, nello stesso luogo, trovano molteplici occasioni e motivi
di interesse e di ritrovo.
Per quanto riguarda l'investimento tecnologico, abbiamo aggiunto al
sostegno finanziario all'esercizio attraverso la formula del noleggio, il
VPF europeo denominato 2.0 in accordo con Arts Alliance Media
(AAM): questa opzione, unita al noleggio, porta l'esercente ad
ottenere un supporto economico alla digitalizzazione di oltre 60.000
euro. L'offerta ampia e variegata delle tecnologie di tutti i marchi è
una scelta precisa che mette al riparo l'esercente da un rischio reale,
dal dubbio evidente che si può esprimere con una semplice
affermazione: "se mi lego a questo o a quel fornitore rischio di
legarmi a questo o quel produttore di apparati e pertanto alle sue
code di produzione".
Microcinema è stata la prima ad attivare la cedibilità del tax credit
permettendo agli esercenti di risolvere, in molti casi, un problema
218
La sindrome della rana identifica l'incapacità di valutare in modo oggettivo una
situazione degenerativa ambientale con la conseguente impossibilità di elaborare
una strategia di uscita, rivendicando, invece, una falsa capacità di adattamento alla
situazione contingente negativa, che in realtà non può avere risvolti positivi. Esempi
sono l'inquinamento ambientale cittadino, dove tutti siamo convinti che il nostro
corpo si adatterà senza alcun problema alle polveri sottili, oppure i cambiamenti
climatici, con ciò che ne conseguirà.
193
altrimenti irrisolvibile. Un altro reale sostegno finanziario per gli
esercenti.
Sull’altro versante, quello dei contenuti ovvero del carburante che
muove gli ingranaggi della favolosa Settima Arte, il laboratorio delle
idee, come lo chiamiamo, è già al lavoro per risolvere un problema
che riguarda tutti i cinema e che, a partire dal 2013, rivoluzionerà i
rapporti tra produttori, distributori ed esercenti.
Microcinema Distribuzione ha iniziato la sua attività nel 2012 con
Silent Souls (Ovsyanki, di Aleksei Fedorchenko, Russia 2010) e
intende lavorare su un filone di film di qualità, italiani ed
internazionali, molto richiesti dal pubblico ma che rischiano
l'invisibilità e di conseguenza l'oblio.
Questo è l'obiettivo: proporre al pubblico una parte della produzione
cinematografica mondiale che, nata nell’invisibilità delle idee e dei
pensieri dei propri autori e poi resa visibile da un complesso insieme
di risorse, registi, attori, produttori, macchinisti, sarti, truccatori (e
l'elenco dovrebbe essere lunghissimo), rischia l’invisibilità definitiva
per la mancanza di luoghi deputati alla visione, di piattaforme per la
distribuzione, di soggetti in grado di gestire il processo che porta i
contenuti dalla produzione agli spettatori. Il listino Microcinema conta
già parecchi film - e tanti altri ne arriveranno - e ogni film è già una
storia a cui appassionarsi, da raccontare col cuore.
Fuoriprogramma:
l’appuntamento d’autore, è il progetto di
Microcinema, patrocinato dal MIBAC e dalla Regione Puglia, che porta
al cinema il cinema d'autore e l'opera lirica. E le adesioni sfiorano già
il centinaio di schermi, più di quanti ce ne fossimo inizialmente
prefissi.
Dei successi del progetto Opera al Cinema in Italia e nel mondo
siamo ogni anno più fieri e qui, dopo tanti quaderni, lasciamo che
siano gli esercenti con le loro soddisfazioni a parlarne.
Ecco la sorprendente poliedricità di Microcinema.
194
Il cinema è ritrovato
di Silvana Molino
"Il cinema può tornare vicino a casa nostra"
Luci della città, Microcinema, 2010
Provate a chiedere a un bambino cos’è il cinema o come arriva un
film sullo schermo del cinema e scoprirete, con disarmante
immediatezza, che il cinema è “naturalmente” digitale.
Nell’immaginario collettivo del nuovo pubblico cinematografico nato
con i videogiochi, la posta elettronica e la TV satellitare, il cinema è
una supertelevisione via satellite che regala emozioni da condividere
con gli amici. Il cinema è il luogo in cui si possono vedere i cartoni
3D, la meta dell’uscita scolastica che fa piacere anche le materie più
noiose, lo schermo grande in cui perdersi nel buio della sala, una
delle prime occasioni per passare un pomeriggio con gli amici senza
genitori ma con la benedizione dei genitori, anche i più apprensivi. Al
cinema non può succedere nulla di male, soprattutto se quel cinema
è vicino a casa, frequentato dalla comunità, gestito con cura e
presenza da persone che si conoscono. Forse è quello stesso cinema
in cui sono stati giovani anche i genitori…
Questa semplice considerazione ci conferma quel legame logico
(ormai consolidato nella percezione del pubblico più giovane) tra le
nuove tecnologie e i luoghi tradizionali di ritrovo e ci ri-svela il valore
unico del binomio novità/continuità. Nuovi mezzi di proiezione, nuovi
sistemi di distribuzione ma anche nuove formule di programmazione
per i cinema di sempre, i cinema di tutti i giorni, i cinema vicino a
casa, i cinema in cui riconoscersi, i cinema che più di tutti sembrano
arrancare nel cammino dell’innovazione eppure rimangono, resistono,
riaprono…: i cinema ritrovati.
In questi anni passati nel mercato, a fianco di tante sale
cinematografiche, dietro le quinte dei loro palchi, nella penombra
delle loro cabine di proiezione e sul colmo dei loro tetti, Microcinema
ha vissuto molte volte l’emozione di una inaugurazione, di una
riapertura, di una rinascita. E tutte le volte ha avuto il privilegio di
poterci essere, di potersi sentire parte di una bella storia, di una
storia a un lieto fine. Proprio come si conviene alla migliore tradizione
del grande schermo!
195
La stagione 2011-2012 per il cinema italiano è stata molto difficile a
causa delle molte incertezze sulla disponibilità dei contenuti, sulla
fruibilità dei sostegni economici pubblici, sull’accessibilità al sistema
creditizio, sulle normative che sotto diversi aspetti impattano con
l’adozione di nuovi sistemi di visualizzazione dei film e di
organizzazione del lavoro nei cinema. Per ogni esigenza abbiamo
cercato la migliore soluzione possibile e con tutte le sale che in
questa stagione hanno aperto i battenti abbiamo condiviso una storia
che ci piace raccontare.
Al Cinema Silvio Pellico di Trecate (NO) la storia che vi
raccontiamo è appassionante, tortuosa e piena di coraggio. A
Trecate, da quarant’anni, mancava “il cinema”, quel motivo che
incoraggia le persone ad uscire di casa per vivere insieme ed essere
trascinate nelle emozioni di un film. C’erano stati tentativi di
riapertura di alcune sale che però si erano risolti solo in azioni
architettoniche formali senza sostanza e, soprattutto, senza
proiezioni. Non era sufficiente lo spazio, serviva l'anima, il contenuto,
l’ emozione, serviva una nuova identità capace di farsi riconoscere dai
trecatesi, di farsi ritrovare da loro. Al Silvio Pellico mancava un
partner flessibile, con una proposta a tutto tondo che portasse una
ventata di innovazione tecnologica e un soffio di personalità culturale.
L'identità culturale che diventa vincente per ogni cinema.
“Da alcuni anni il Cineteatro Silvio Pellico era utilizzato a livello
teatrale e in modo discontinuo. Ed è spesso inservibile in determinati
periodi dell’anno come la stagione estiva” afferma Giuseppe Ragaiolo
a capo del gruppo di volontari che gestiscono la sala cinematografica
e che, insieme allo staff Microcinema, hanno passato settimane a
organizzare il cartellone, i manifesti, le promozioni, i trailer e la
comunicazione agli amici su Facebook.
“Le moderne tecnologie hanno fatto rifiorire l’approccio della nostra
sala verso la cultura”, prosegue Ragaiolo.“Stiamo arricchendo l’offerta
di cinema di qualità con spettacoli di teatro di prosa, musical,
concerti. E poi, con il collegamento satellitare, avremo accesso ad
eventi in diretta da tutto il mondo, trasmettendo l’Opera al Cinema e
trasformando di fatto il Silvio Pellico in un riferimento culturale per
l’intera zona. Questo è il nostro obiettivo e confidiamo nella risposta
del pubblico che attende da anni di ritrovare il suo cinema”.
196
Da Agosto 2012 il Cineteatro Silvio Pellico è tornato al pieno regime,
ampliando i ricordi del cinema che fu negli anni Settanta con un mix
di proiezioni in pellicola e in digitale, con eventi in diretta e in
differita, con spettacoli dal vivo e proposte di cinema italiano ed
europeo contemporaneo. Per il nuovo cinema di Trecate e per tutti
gli altri cinema che ogni giorno aprono le porte e il cuore al proprio
pubblico con l'entusiasmo e la dedizione di quanti amano il proprio
lavoro, Microcinema propone a partire dalla stagione 2012-2013 un
appuntamento speciale e ancora una volta unico nel suo genere.
“Fuoriprogramma: l’appuntamento d’autore” ovvero il catalogo di
contenuti di qualità ideato per dare sin dal primo giorno - e per 32
settimane consecutive - un programma di proiezioni di grande valore
culturale e di sicuro intrattenimento con opere prime, titoli del
patrimonio filmico nazionale, opere liriche, documentari, concerti,
cortometraggi, film d’autore e commerciali. Perché non basta iniziare,
occorre anche partire con il piede giusto e poi… bisogna continuare!
Sul finire di Maggio di questo anno 2012, ci ha scosso, insieme al
terremoto che per settimane ha fatto tremare la terra emiliana, la
storia del Cineteatro Comunale Alice Zeppilli di Pieve di Cento
(BO) che ha dimostrato ancora una volta la sua determinazione e la
sua capacità di rinnovarsi. Sgombrati i calcinacci dalla soglia e senza
aspettare che un corriere recapitasse pellicole, il cinema ha
immediatamente riaperto le sue porte per consolare e accogliere, per
intrattenere i bambini che non potevano andare a scuola, per
distrarre per qualche ora nonni e genitori, per dare un impulso e un
incoraggiamento ad una comunità decisa, raccolta e coraggiosa.
Il Cineteatro ha una storia che viene da lontano, dal 1785, quando
era sede di numerose rappresentazioni dal vivo ed era luogo di
incontro e ritrovo della comunità. Numerose vicende storiche e
amministrative hanno alternato periodi di grande fermento a periodi
di torpore e di completa chiusura. Fino al dicembre 2010 quando, di
fronte al rischio di perdere per sempre un luogo cruciale per la vita
della comunità e grazie all’azione attenta di un’amministrazione vicina
ai suoi cittadini, le tecnologie digitali e satellitari di Microcinema
hanno fatto il loro ingresso in sala e hanno svelato le nuove
opportunità di una programmazione flessibile, modulare e molto
varia.
“Il Teatro era principalmente adoperato per la presentazione di libri,
rappresentazioni, convegni, incontri e quant’altro” racconta il Dott.
197
Zannarini, Assessore alla Cultura di Pieve di Cento. “Con il digitale la
nostra programmazione è diventata regolare e prevede appuntamenti
consuetudinari sia per i bambini che per gli adulti. In particolare poi,
in questo momento di bisogno, non possiamo certo permettere che la
nostra popolazione sia privata del suo Cineteatro o che si riduca
anche solo minimamente la sua programmazione”. Guarda con
fierezza la facciata del cinema e continua il Dott. Zannarini “La
decisione di installare in sala un impianto digitale Microcinema ha
rappresentato un investimento che abbiamo voluto affrontare proprio
con un occhio rivolto al futuro, anche a questo futuro che è oggi un
presente molto incerto. Grazie a Microcinema abbiamo sempre una
proposta efficace per il nostro pubblico; il catalogo di film e di eventi
ha sempre titoli disponibili per organizzare non solo la stagione ma, in
particolar modo, proporre spettacoli che siano sempre di una spanna
superiori agli altri”.
Sin dal suo ingresso nel Digital Network l’Alice Zeppilli ha dimostrato
il suo carattere sicuro e propositivo, pronto a sperimentare contenuti
nuovi, generi originali e film d’esordio. Ma l’emozione più grande
rimane sempre il cartellone operistico, proiettato in alta definizione
nello stesso spazio che fu la Sala del Palazzo Pubblico in cui, nel
1856, gli spettatori potevano assistere con ammirato stupore a “Il
Trovatore” o “Il Rigoletto” di Giuseppe Verdi dal vivo. Al posto delle
prime donne e delle dame di corte oggi trovano spazio i palchi dei
teatri lirici di tutto il mondo, le bacchette dei maestri più acclamati,
incredibili orchestre e una varietà di pubblico che spazia dai jeans
all’abito da sera, con fiero spirito di partecipazione e con sempre
rinnovato interesse.
Dall’Emilia alla Sardegna, voliamo nell’isola del mare cristallino per
incontrare il Cinema Giordo di Tempio Pausania (OT) e
condividere con i suoi gestori la storia di un rinnovamento che ha
coniugato orgoglio, tecnologia e perseveranza.
“Tempio Pausania, unico capoluogo della regione della Gallura prima
che Olbia si espandesse, offriva tutti i servizi alla sua cittadinanza
tranne il cinema. Questo prima che arrivassimo noi”, così commenta
Tonino Pirrigheddu che rilevò il cinema dagli eredi Giordo nel 1987.
In realtà, l’edificio in granito che sovrastava allora i Grandi Magazzini,
ospitava negli anni Cinquanta non solo il cinema ma anche i Veglioni
della Sei Giorni del Carnevale di Tempio rappresentando il centro
della vita, della storia, della tradizione, in una parola del mondo…
198
All'inizio degli anni ottanta la chiusura dei magazzini determinò
l’arresto di tutte le altre attività e condannò la sala alla chiusura
temporanea. Nel tentativo di rinnovare la sala “uno dei primi
cambiamenti apportati fu l’adozione di un proiettore 35mm a
lampada, in sostituzione di quello vetusto a carboncino. Ma nemmeno
questo bastò ad evitare l’ennesima chiusura del 2005”.
Tonino Pirrigheddu, uomo di Sardegna, testardo abbastanza da non
arrendersi, ha affrontato con determinazione ulteriori lavori di
restyling e ha guardato con coraggio agli investimenti necessari per
dare nuova vita al suo cinema. Il Cinema Giordo aveva bisogno di
soluzioni finanziarie personalizzate, di flessibilità e scalabilità delle
tecnologie, di assistenza e formazione dedicata per affrontare la sfida
digitale, di un catalogo di contenuti di alto valore e forte impatto
culturale capace di catturare qualsiasi spettatore e di ridare a Tempio
Pausania un centro di attrazione per la sua popolazione.
“Il Giordo è l’unico cinema attivo a Tempio Pausania”, conclude
Tonino Pirrigheddu che segue con cura la programmazione insieme
alla figlia Michela. “Il digitale e l’ampio ventaglio di offerte di
contenuti ci hanno consentito sin da subito di affermarci sul territorio,
affiancando alla regolare proiezione di film, l’opera in diretta
satellitare dai grandi teatri lirici italiani e del mondo”.
Ancora una volta Microcinema ha potuto essere sostegno e testimone
di una storia di cinema ritrovato. La storia di un padre e di una figlia
che vogliono fare, ancora e di nuovo, cinema. La storia di una salamonumento. La storia di una terra bellissima e coraggiosa. La storia
del cinema in Sardegna ha un nuovo, grande punto di riferimento, ed
è a Tempio Pausania.
A sbalzo sul lago Massaciuccoli, torniamo sulla penisola per
raccontarvi la nostra storia più originale: l’apertura della sala cinema
dell’Auditorium Enrico Caruso nel Gran Teatro Giacomo
Puccini di Torre del Lago (LU) e l’apertura di un il giro circolare –
potremmo dire cinematografico – degli eventi che ha portato l’opera
al cinema per portare poi il cinema all’opera.
“Voi udrete stasera il capolavoro di Giacomo Puccini. Pensate che egli
dorme là dentro”. Con queste sentite e indimenticate parole, il 24
agosto 1930, prima di aprire la partitura de La Bohème Pietro
Mascagni ricorda l’amico e compagno di studi scomparso sei anni
prima davanti al “cason del lago”, la villa che aveva ospitato per oltre
199
trent’anni il Maestro Puccini e che da quel momento in poi ne
avrebbe accolto le spoglie mortali. Poco distante, fra il piazzale
Puccini e il Parco delle Torbiere in quel di Torre del Lago, ha trovato
spazio parecchi anni più tardi il Parco della Scultura e della Musica,
luogo straordinario per ispirazione artistica e profondità culturale che
introduce al Gran Teatro lasciando ogni visitatore senza parole. La
Grande Arena ospita le opere dal vivo durante il Festival Pucciniano,
l’Auditorium e le sale polivalenti interne avrebbero dovuto riempire di
appuntamenti i mesi autunnali e invernali in attesa che tornassero le
tiepide sere estive per le rappresentazioni all’aperto.
Nonostante un timido tentativo nel 2008 di organizzare Puccini al
Cinema una rassegna con alcune proiezioni di pellicola legate alle
opere pucciniane, fino all’anno 2011 inoltrato, l’Auditorium non era
riuscito a trovare la giusta via per lanciare la sua attività
cinematografica. Poi, nel caldo giugno 2011, quando erano in pieno
fermento le prove per le rappresentazioni operistiche che avrebbero
avuto luogo nel Gran Teatro, l’incontro con Microcinema e la visione
comune di un profondo rinnovamento attraverso l’apertura di una
vera e propria sala cinematografica. Microcinema ha dato tutto il suo
supporto, sia in termini tecnologici, sia in termini editoriali, sia in
termini finanziari, fino a giungere ad un perfetto equilibrio di cultura e
intrattenimento, di tecnologia e tradizione, di finanza e di scalabilità
tecnologica. E, sin dalla proiezione di Turandot nel settembre 2011, la
scelta si è rivelata felice ed è stata accolta con grande favore da
parte del pubblico.
“Per mezzo delle straordinarie tecnologie digitali fornite da
Microcinema, il Festival affianca alle sue manifestazioni culturali
incredibili e prima impensabili iniziative: su tutte la proiezione in
diretta satellitare di Opera al Cinema. Così continuiamo a sorprendere
il nostro pubblico e arricchiamo ogni giorno sempre più il nostro
calendario. La felice collaborazione con Microcinema, inoltre, si è
sviluppata successivamente con la produzione delle riprese
cinematografiche dell’intero cartellone dell’edizione 2011” racconta la
dottoressa Alessandra Delle Fave, responsabile dell’ufficio stampa
della Fondazione Festival Pucciniano.
Turandot, La Bohème e Madama Butterfly, fra i più noti titoli del più
grande musicista del Novecento, sono stati registrati e trasmessi via
satellite da Microcinema in oltre duecento cinema in Italia e nel
mondo, ottenendo un incredibile seguito nazionale e internazionale.
Conclude Alessandra Delle Fave: “Le tre opere non solo sono state
200
rappresentate d’estate nella Grande Arena, ma sono state trasmesse
d’inverno anche presso l’Auditorium Enrico Caruso. Con grande
entusiasmo abbiamo constatato come tantissime persone siano
tornate a vedere da noi queste tre meravigliose opere, pur avendo
avuto modo di apprezzarle dal vivo in precedenza: quello che le
riprese aggiungono alla già assodata qualità degli spettacoli è la
maggiore prossimità e la possibilità di apprezzarne gli infiniti dettagli.
Ancora una volta Puccini ha centrato il bersaglio, facendosi breccia
nel futuro del cinema.”
Concludiamo questo nostro viaggio tra le storie appassionanti del
Cinema Ritrovato con la storia, potremmo dire cinematografica, di un
film che ha ritrovato con Microcinema la sua vita, la sua luce, la sua
strada verso un successo che ha lasciato il segno.
E' la storia di un brillante regista russo e del suo film silenzioso e
raccolto, permeato di una spiritualità delicata e inattesa - se
comparata ai ritmi abituali del mondo occidentale - che alla 67^
Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia ha lasciato
senza parole la giuria219 aggiudicandosi il premio della critica
internazionale e uno speciale riconoscimento per la fotografia. E' la
storia di una storia geniale, originale, folkloristica, che non lascia
indifferente nessuno spettatore eppure ha corso il serio rischio di non
essere vista in Italia. È la storia di un imprenditore visionario e
romantico che, apprezzato il valore narrativo e poetico del film, non
ha potuto resistere al desiderio di acquistarlo e poi si è reso conto di
avere bisogno di un Network, appassionato quanto lui di contenuti di
qualità, capace di restituire al film il calore e l'accoglienza di una
condivisione vera del suo messaggio.
È la storia di Silent Souls220, di Aleksei Fedorchenko, il film
rivelazione della inoltrata primavera 2012 che ha inaugurato l'attività
di Microcinema Distribuzione suggellando, con evidente concretezza,
il legame tra Microcinema e il Cinema e completando il quadro delle
azioni a sostegno di un intero settore.
Dario Formisano, il distributore che ha acquisito i diritti del film,
ricorda con queste parole prima l’acquisto e poi, non appena riaperti
219
Quentin Tarantino, presidente della giuria, ha affermato sorpreso " Questo film è
notevole in ogni sua forma. Grande, semplicemente meraviglioso".
220
Silent Souls (Ovsyanki, Aleksei Fedorchenko, Russia, 2010) è un’esclusiva per
l’Italia di Eskimo e Zivago Media distribuito da Microcinema.
201
gli occhi dopo l’ultima riga dei titoli di coda, la sconcertante scoperta
dell’aridità del mercato italiano che non avrebbe mai potuto
accogliere un capolavoro tanto ricercato e profondo, fino al suo
incontro con Microcinema e all’inizio della sua personale avventura di
“cinema ritrovato”. Dice Formisano: “Ero reduce - con Rino Sciarretta,
partner immancabile in qualsiasi piccola intrapresa culturale che
abbia a che fare con la vecchia o con la nuova Russia - da
un’esperienza intensa e faticosa, quella relativa all’importazione e alla
distribuzione in Italia di un film magnifico, Alexandra di Aleksandr
Sokurov, che pur avendo sfiorato una Palma d’oro a Cannes nessuno
avrebbe distribuito in Italia...”
La figura del distributore, in Italia, è spesso irrigidita da pratiche
consolidate che lo costringono a un eccesso di pigrizia, almeno da
quando – e sono ormai diversi anni – le televisioni hanno smesso di
essere uno sbocco commerciale sicuro e vantaggioso. Oberati da un
eccesso di offerta - oltre che dalla sua “globalizzazione” - scelgono
strade sempre più sicure, alzano il tiro degli investimenti, per
costringere se stessi e i propri partner/compratori alla convivenza con
una logica di tipo industriale che con il buon cinema ha spesso molti
punti di conflitto.
Ma rilanciare la dimensione artigianale della scoperta di un film, della
sua importazione/acquisto dei diritti, dell’edizione intelligente dei suoi
contenuti, della protezione del suo percorso, è una sfida a volte
impossibile. È impensabile o quasi che uno dei distributori di cui
sopra, accolga nel suo listino un film che non ha scelto/acquistato
direttamente. È impossibile per l’importatore/esclusivista imbarcarsi
nell’investimento necessario per il lancio nelle sale se non già
impegnato in un’attività continuativa, in un rapporto quotidiano con
gli agenti e gli esercenti.
E sono queste le ragioni per cui Silent Souls, un gioiello proveniente
dalla stessa terra di Sokurov, rischiava di rimanere al buio. Non
bastava attendere che il prezzo d’acquisto – dopo il piccolo exploit
veneziano – diventasse abbordabile. Non bastavano la decisione di
doppiarlo per sottrarlo alle obiezioni, un po’ becere ma vivissime
nell’ambiente, secondo cui un film con i sottotitoli è condannato
all’invisibilità. E neanche la predisposizione di un piano di lancio,
minuziosamente orientato ad una spending review, come si direbbe
oggi...
“L’incontro con Microcinema - e con l’ambiente fervido culturalmente
che si muove dietro Microcinema fatto di sale, comunità, associazioni
202
e tanto altro - è stato da questo punto di vista provvidenziale”,
continua Dario Formisano. “Microcinema ha cercato me e Rino
Sciarretta chiedendoci proprio di Silent Souls, un film che in quell’area
un po’ elitaria di distribuzione alla ricerca del bello, aveva lasciato
evidentemente un buon segno. Ed un segno per noi è stata
l’intraprendenza di Microcinema, tale da convincerci ad affrettare i
tempi dell’edizione italiana, a ragionare sul percorso commerciale - e
non solo - che il film avrebbe potuto avere. Non più soli ma, è il caso
di dire, con un partner. In una somma/sintesi di competenze, nel
segno di una moltiplicazione di impegno e lavoro, che restano
nonostante tutto l’unica forza cui affidarsi in momenti di grande crisi
e grande confusione come quello attuale”.
Nella convinzione di aver iniziato un percorso virtuoso, sta prendendo
forma, proprio in queste settimane, l’idea di ripetere questa
esperienza comune tenendo ferma questa fruttuosa idea di lavoro
comune, di somma di competenze e di propensione al rischio, che ci
appaiono oggi l’unico asset su cui costruire responsabilmente
qualsiasi attività, in qualsiasi comparto dell’economia della cultura.
203
Chichen Itza, Messico
distanza dalla Terra: zero
DIZIONARIO ESSENZIALE
205
ADSL: acronimo di Asymmetric Digital Subscriber Line, indica una tecnologia
appartenente alla famiglia delle xDSL, utilizzata per l'accesso digitale a
Internet ad alta velocità di trasmissione su doppino telefonico.
ACATS: acronimo di Advisory Committee on Advanced Television Service, è
un organo della FCC che ha il compito di approvare lo standard delle TV di
ultima generazione negli Stati Uniti.
Anaglifo: indica l’immagine tridimensionale utilizzata agli albori della
stereoscopia, costituita da due immagini sovrapposte e colorate diversamente
tra loro in modo da far percepire al cervello dello spettatore, dotato di
occhialini colorati, l’illusione della tridimensionalità dell’immagine.
Ansi Lumen: unità di misura della luminosità standardizzata dall’ANSI,
acronimo dell’inglese American National Standard Institute. È comunemente
usato per definire la luminosità di un proiettore.
Aspect ratio: indica il rapporto matematico tra la larghezza e l'altezza di
un'immagine. Il formato, o aspect ratio, cinematografico più utilizzato è il
formato 1,85:1. Meno diffuso il Cinemascope 2,35:1 (2,39:1).
Battuta: quando si parla di “uscita in battuta” si fa riferimento alla prima
uscita nazionale.
Bit (b): contrazione del termine binary digit = unità binaria. Un bit può
definire due livelli o stati, 0 o 1, acceso o spento, bianco o nero, ecc.
Bleach bypass: è un procedimento di sviluppo della pellicola cinematografica
che si ottiene saltando il passaggio di bleaching (sbiancatura): in questo
modo, i cristalli d'argento si fermano sullo strato di celluloide. Questa tecnica
consente di ottenere un maggiore contrasto dell'immagine, a scapito di una
riduzione della saturazione.
Blockbuster: film che, grazie ad una massiccia promozione commerciale
prima dell’uscita, è generalmente candidato ad entrare ai primi posti nelle
classifiche di vendita di biglietti a livello internazionale. A livello contenutistico
ha un carattere di intrattenimento tout court.
Blu-ray Disc: vedi Disco ottico.
B-movie: identifica un film di bassa qualità. E’ nato negli anni trenta negli
Stati Uniti. Pagando un solo biglietto si poteva vedere un film in più e questo
spiega anche la loro durata inferiore ai settanta minuti. Si trattava di film di
genere (soprattutto western e noir) girati in pochi giorni e sfruttando
scenografie e costumi di altri film ben più costosi.
Bollywood: è la fusione dei nomi Bombay e Hollywood. Indica gli studios
indiani, che hanno una produzione, in lingua hindi, in costante espansione
perché si rivolgono ad un mercato potenziale che sfiora il miliardo di persone,
giovani e appassionati di cinema. Gli studios Tamil sono chiamati Kollywood e
hanno sede nel sud del paese.
Box office: chiamato anche in gergo “botteghino”, identifica il totale
207
incassato da un film in un determinato periodo, dato dalla somma del valore
lordo dei biglietti (ovvero il prezzo pagato dal pubblico).
Brightness (Luminosità): la quantità totale della luce proveniente dallo
schermo sul quale è proiettata un’immagine “tutto bianco”. Viene misurata in
“candele per metro quadro” oppure in “foot lambert per metro quadro”. Può
indicare anche la proprietà di una superficie di emettere o riflettere luce.
Broadcasting: sistema di radiodiffusione che permette la trasmissione di
informazioni da un unico punto trasmittente a un insieme di punti riceventi
non definito a priori.
Byte: insieme di otto bit. Viene utilizzato come unità di misura di spazio in
informatica. È la quantità di memoria necessaria per memorizzare un carattere
alfanumerico.
CD: vedi Disco ottico.
Central Library: è un server centrale che permette di immagazzinare grandi
quantità di contenuti DCP all’interno di una sola macchina (nell’ordine della
decina di Terabyte). Le grandi strutture cinematografiche multisala impiegano
tali apparecchiature per archiviare tutti i contenuti DCP (o riceverli
direttamente via satellite) e per smistare questi ultimi automaticamente nei
server di sala.
Chiave di crittografia: algoritmo matematico usato per criptare e decriptare
i contenuti rendendoli inaccessibili a chi è sprovvisto della chiave. E’ parte
integrante della licenza che autorizza l’uso, la decriptazione e la riproduzione
del film digitale per quel determinato cinema, schermo, giorno e ora.
Cinemakit: è l’insieme “aperto” di apparati tecnologici che permette la
ricezione via satellite dei film e degli eventi del catalogo Microcinema, il loro
immagazzinamento, la proiezione e l’utilizzo polifunzionale della sala
cinematografica con i contenuti procurati in autonomia dall'esercente. È il
primo gradino della digitalizzazione ed è sempre possibile effettuare l’upgrade
ai sistemi DCI.
Codifica (trattamento dell’immagine): è il processo informatico che
consente di ridurre la dimensione dei file video attraverso un algoritmo
percettivo di compressione delle informazioni relative alle immagini. La
codifica, nel cinema, può generare un file di 720 oppure 1080 pixel. Il cinema
digitale usa questi tipi di compressione per ottenere file di dati facilmente
gestibili nei successivi processi di masterizzazione, distribuzione e proiezione.
Per essere proiettate le immagini devono essere prima decodificate.
Nell’accezione comune si usa spesso per identificare programmi o contenuti
criptati che necessitano di sistemi di decodifica tipo decoder con smart card.
Color grading: è la variazione del bilanciamento dei colori, del contrasto e di
altri parametri delle immagini al fine di ottenere un determinato equilibrio
cromatico uniforme tra le varie scene.
Compressione dell’informazione: è un metodo per ridurre lo spazio
208
occupato da un file audio/video basato generalmente su un algoritmo
matematico che elimina tutte quelle informazioni che non sono percepite dal
cervello umano, mostrando allo spettatore un’immagine del tutto simile
all’originale. Un file compresso occupa meno spazio in un hard disk e impiega
meno tempo per essere trasferito via satellite o via ADSL.
Content provider: indica il fornitore di contenuti.
Contrasto: è la misura del rapporto di luminosità tra l’area a massima
luminosità e l’area a minima luminosità dell’immagine proiettata.
Cortometraggio: il “corto” è un film di durata massima di 30 minuti.
Correttore di trapezio: è un dispositivo che permette di ottenere
un’immagine perfettamente rettangolare anche qualora il proiettore non sia in
asse con lo schermo.
Crominanza (chroma): è la parte dell’immagine che contiene i dati di
colore, tonalità e saturazione.
D-Cinema: Cinema Digitale. Il sistema di archiviazione e proiezione
cinematografica digitale. Gli studios americani e l’SMPTE identificano come
cinema digitale la catena produttiva dalla lavorazione del primo master, alla
preparazione dei DCDM e DCP, fino alla proiezione. La distribuzione alle sale
cinematografiche può essere fatta via satellite, su cavo a banda larga o su
media fisico (nastro magnetico, disco ottico o disco magnetico).
D5-HD: supporto video in HD caratterizzato da una bassissima compressione
dei dati, sviluppato da Panasonic ed utilizzato come master universale
(Universal Master) da cui vengono prodotti tutti i contributi per la filiera dello
sfruttamento dei diritti audiovisivi: DVD, home video, TV via satellite, TV
analogica.
Datacine: dispositivo che trasferisce le immagini dalla pellicola al dominio
digitale apportando le dovute correzioni di spazio colore. Esso ha ormai
soppiantato il vecchio telecine.
DC28: vedi SMPTE DC28.
DCDM: acronimo di Digital Cinema Distribution Master – È il master non
compresso per video/audio e sottotitoli. L’immagine DCDM ha già subito la
color correction per la proiezione digitale ed è utilizzata per creare i file
compressi utilizzati nella distribuzione del Digital Cinema. Il DCDM è un
supporto richiesto da molti festival per la proiezione in digitale.
DCI: acronimo di Digital Cinema Initiative. È un’organizzazione volontaria
costituita da Disney, Fox, MGM, Paramount, Sony Pictures, Universal e Warner
Bros per investigare sulle possibili tecnologie digitali da utilizzare nel settore
cinematografico in sostituzione della pellicola tali che il risultato visivo per lo
spettatore appaia uguale o superiore a quello della prima proiezione della
prima copia stampata. Il risultato dell’investigazione ha generato
raccomandazioni sul D-Cinema che riguardano esclusivamente gli aspetti
tecnici (trattamento dell’immagine) ma non le implicazioni commerciali dovute
209
alla loro applicazione. Dal 2008, DCI ha rilasciato centinaia di errata corrige al
Digital Cinema Specification.
DCP: acronimo per Digital Cinema Package. È l'insieme di file ricavati dal
risultato del processo di compressione, codifica, criptazione della copia DCDM
con eventuale versione audio e sottotitoli. In pratica, è la copia del film
digitale che la distribuzione fornisce agli esercenti. La copia DCP può essere
memorizzata su media fisico ed inviato via satellite o rete.
Digitale: termine che deriva dall’inglese digit (numero) indica sia un insieme
finito di elementi sia ogni forma di organizzazione delle informazioni come
combinazione di dati rappresentati sotto forma di segnali discreti (on e off) e
tradotti nel codice binario 0 e 1. Un oggetto viene reso in formato digitale
quando il suo stato analogico, rappresentato da un insieme infinito di
elementi, viene trasformato in un insieme numerabile di elementi.
Director's cut: versione di un'opera cinematografica mostrata così com'è
stata pensata e realizzata dal regista, rispetto a quella varata dalla casa di
produzione (montaggio e durata). Esce di solito in un secondo momento, con
le scene e il montaggio voluto dall'autore, che per un motivo o per l'altro
avevano subito modifiche nella prima versione.
Diritto Theatrical: è il diritto di proiezione e sfruttamento del contenuto
audiovisivo per proiezione nelle sale cinematografiche.
Diritto Theatrical Digitale: diritto di proiezione e sfruttamento del
contenuto audiovisivo relativo alle proiezioni digitali nelle sale
cinematografiche del Digital Network intermediato da Microcinema.
Disco ottico: tipologia di supporto di memoria, costituita da un disco piatto e
sottile in genere di policarbonato trasparente. Tra i più utilizzati:
- CD: ha una capienza di circa 700 Mb e viene utilizzato soprattutto
nell’industria discografica perché nasce come supporto per l’audio digitale di
alta qualità.
- DVD: può contenere circa 4,5 Gb di informazioni su di un lato e 18 Gb
sulla versione a doppia intensità (circa 40 volte più di un normale CD-ROM).
- Blu-ray Disc: identifica un disco ottico con maggiore capacità di memoria
rispetto al DVD normale, in grado pertanto di contenere file audio/video in
alta definizione.
- DivX: è una tecnologia multimediale proprietaria basata su una variante
dello standard di codifica MPEG-4. Il celebre compressore video sviluppato da
DivX Inc. è utilizzato da moltissime persone in tutto il mondo e ha creato un
ecosistema alternativo allo standard MPEG-4. Di tale ecosistema fanno parte,
oltre ad applicazioni (software) per computer, anche lettori DVD/DivX e
macchine fotografiche digitali. La particolarità del DivX sta nella sua versatilità
nel produrre file di dimensioni ridotte (come filmati di lunga durata) lasciando
pressoché inalterata la qualità dell'immagine. In pratica, con le opportune
impostazioni, è possibile convertire un film DVD di circa 2 ore in un file DivX
210
da 700 Mb (la dimensione di un CD-ROM) con una eccellente qualità video e
audio. Per questo motivo è stato al centro di controversie per il suo utilizzo
nella duplicazione e distribuzione di DVD protetti.
DLP: acronimo di Digital Light Processing (DLP). È un sistema digitale di
generazione delle immagini basato su tecnologia DMD – Digital Micromirror
Device sviluppata dalla Texas Instruments insieme alla Digital Projection e
usata dai principali costruttori di proiettori per cinema digitale tra cui Barco,
Christie e Nec, ma anche per proiettori digitali ovvero per altre applicazioni
non necessariamente relative al cinema digitale. Il dispositivo è formato da
una matrice di microscopici specchi oscillanti (ciascuno dei quali corrisponde
ad un pixel dell’immagine finale), utilizzati per riflettere il fascio luminoso
proveniente da una lampada. Una volta colpiti, gli “specchietti”, variando la
propria incidenza, rifrangono la luce in modo da creare l’immagine in
movimento. È possibile realizzare immagini in tricromia RGB con una sola
matrice ma, per migliorare risoluzione e luminosità, possono essere utilizzate
tre matrici o chip, uno per ogni colore primario.
DRM: acronimo di Digital Rights Management. Complesso di sistemi
tecnologici mediante i quali i titolari dei diritti d'autore possono esercitare e
amministrare tali diritti nell'ambiente digitale, grazie alla possibilità di rendere
protetti, identificabili e tracciabili tutti gli usi in rete di materiali
adeguatamente “marchiati”. Con il temine DRM si fa spesso riferimento al
certificato digitale che accompagna il film come una carta d’identità, come un
curriculum che rileva, concedendo o negando, ogni utilizzo dello stesso.
DVD: vedi Disco ottico.
Effetto trapezio: effetto visivo che si crea quando il proiettore non è in asse
con lo schermo. L’immagine proiettata risulta deformata negli angoli superiori
o inferiori e quindi non perfettamente rettangolare. (vedi “Correttore di
trapezio”).
Ethernet: è un modo per connettere e collegare apparati digitali in rete.
La principale caratteristica è il numero di dati digitali (bits) che possono
essere trasmessi in un periodo di tempo. Si adopera una rete a 10BaseT o
100BaseT per trasferire informazioni semplici come le istruzioni di
controllo, mentre si adopera una rete veloce Ethernet Gigabit 1.000BaseT
o 10.000BaseT per trasferire grandi quantità di dati come, per esempi o,
quelli per il film digitale.
FCC: acronimo di Federal Communications Commission, è un’agenzia
governativa indipendente degli Stati Uniti creata, diretta e autorizzata dallo
statuto congressuale. È un’autorità amministrativa indipendente ma ha
maggiori poteri delle corrispondenti authority italiane. La FCC è stata definita
dal Communications Act del 19 giugno 1934 come successore della Federal
Radio Commission ed è incaricata di tutti gli usi dello spettro radio (incluse le
trasmissioni radio e televisive) non governative, di tutte le telecomunicazioni
interstatali (via cavo, telefoniche e satellitari) e delle comunicazioni
internazionali che provengono e sono destinate agli Stati Uniti.
211
File: insieme strutturato di dati caratterizzato da un’etichetta di metadati e da
vari pacchetti di dati.
Film Commission: uffici e organismi no-profit, creati e sostenuti da enti
pubblici locali (regioni, provincie, comuni). Forniscono gratuitamente i propri
servizi, che vanno dall'assistenza logistica all'ottenimento dei vari permessi,
dalla ricerca di location alla facilitazione nell'accesso a risorse finanziarie locali.
Film scanner: indica un'apparecchiatura che crea una versione digitale della
pellicola. I film scanner sono in grado di lavorare a risoluzioni maggiori dell'HD
(1920 x 1080). Il formato più comunemente usato è il 2K ma anche il 4K,
soprattutto per lavorazioni che contemplano effetti visuali come in postproduzione.
Foot-lambert: è l’unità di misura della luminosità (luminanza) sullo schermo
di proiezione. Society of Motion Picture and Television Engineers (vedi SMPTE)
raccomanda la luminosità degli schermi per i cinema commerciali. L'attuale
revisione della specifica SMPTE 196m richiede 16 foot-lambert pari a 55
candele per metro quadrato.
Foyer: è il locale, adiacente ad una sala teatrale o cinematografica, dove gli
spettatori si intrattengono prima, durante e dopo le pause dello spettacolo.
Fonografo: pensato e progettato da Thomas Edison nel 1877, rappresenta
uno dei primi strumenti inventati con lo scopo di ottenere la riproduzione e la
registrazione dei suoni.
FPS (o frame rate): acronimo di Frame per Seconds, è il numero di immagini per
unità di tempo che vengono visualizzate (frame). Varia da sei a otto immagini al
secondo per le vecchie macchine da presa a 120 o più per le nuove videocamere
professionali. Gli standard PAL (Europa, Asia, Australia, ecc.) e SECAM (Francia,
Russia, parti dell'Africa ecc.) hanno 25 FPS, mentre l'NTSC (USA, Canada,
Giappone, ecc.) ha 29.97 FPS. La pellicola ha una registrazione ad un frame rate
minore, di 24 FPS. Per raggiungere l'illusione di un' immagine in movimento il
frame rate minimo è di circa 10 fotogrammi al secondo.
Frame: vedi FPS.
Frame rate: vedi FPS.
Full digital: è un esercizio cinematografico che sceglie di proiettare solo in
digitale abbandonando completamente la pellicola.
Full redundant: caratteristica di un dispositivo progettato per essere
utilizzato in applicazioni critiche dove è richiesto il minor tempo di fermo
possibile. Tutti gli elementi costitutivi sono ridondati per garantire la massima
performance.
FUS: acronimo del Fondo Unico per lo Spettacolo, è il fondo utilizzato dal
governo italiano per regolare l'intervento pubblico nei settori del mondo dello
spettacolo (cinema, teatro, musica, ecc). È stato istituito con l'articolo 1 della
legge 30 aprile 1985, n.163 per fornire sostegno finanziario a enti, istituzioni,
associazioni, organismi e imprese operanti nell’ambito di cinema, musica,
212
danza, teatro, circo e spettacolo viaggiante, nonché per la promozione e il
sostegno di manifestazioni e iniziative di carattere e rilevanza nazionale in
Italia o all'estero.
Ghost Busting: è un tipo di pre-processamento dell’immagine richiesto da
Real-D per evitare il fenomeno di ghosting, nel quale un occhio percepisce
marginalmente anche l’immagine destinata all’altro occhio. Per ogni film
esistono quindi due versioni di Master GB (Ghost Busted) e NGB (Not Ghost
Busted) destinate ai diversi sistemi 3D.
In un prossimo futuro su raccomandazione di DCI, saranno unificate nel solo
formato NGB (Not Ghost Busted). A questo formato Real-D e i produttori di
server si stanno adeguando.
Hard drive: è più conosciuto con il termine “hard disk” ed è utilizzato per
memorizzare grandi quantità di dati digitali. Nel Cinemakit è usato in
configurazione RAID per memorizzare i file dati dei film digitali e pronti per la
riproduzione. Hard drive rimovibili possono essere anche usati per trasferire
film digitali da una sala all’altra.
HD: acronimo di High Definition. E’ un formato televisivo e indica formati di
immagine 1280x720 pixel o 1920x1080 pixel.
HDCP: acronimo di High-Bandwidth Digital Content Protection. E’ un sistema
di protezione sviluppato da Intel per contenuti digitali, programmi televisivi e
audio. Il sistema applica una codifica ai flussi audio-video che vengono
trasferiti tra due dispositivi per evitare intercettazioni e quindi la copia non
autorizzata.
HD-DVD: acronimo di High Density Digital Versatile Disc. Come il Blu-ray ma
realizzato da un diverso consorzio di produttori e per questo basato su un
formato di memorizzazione e gestione dell’immagine incompatibile con Bluray. Toshiba ha confermato la cessazione del business HD-DVD, annunciando
l'interruzione della produzione.
HDSL: High data rate Digital Subscriber Line. Tecnologia xDSL studiata per
potenziare la velocità di trasmissione nelle connessioni Internet su doppino
telefonico. A differenza della tecnologia ADSL utilizza una linea dedicata per
ogni utente.
HDTV: acronimo di High Definition TV. Televisione ad alta definizione.
Generalmente è costituita da 1920 pixel per ogni linea orizzontale, 1080 pixel
in verticale e con un formato immagine 16:9 a differenza della Standard
Definition TV che raggiunge al massimo una risoluzione di 720 x 576 pixel.
Home theatre: è un sistema audiovideo per uso domestico.
Home video: identifica tutte le versioni video per uso domestico (VHS, DVD,
DiVX, CD).
IEC: acronimo di International Electrotechnical Commission, è una
organizzazione internazionale per la definizione di standard in materia di
elettricità, elettronica e tecnologie correlate. Molti dei suoi standard sono
213
definiti in collaborazione con l'ISO (Organizzazione internazionale per la
normazione).
Image compression: indica gli algoritmi e le tecniche che si utilizzano per
ridurre la dimensione delle immagini digitali. La compressione è una tecnica
utilizzata per memorizzare un'immagine riducendo la quantità di informazioni
digitali necessarie per memorizzare elettronicamente l'immagine stessa.
Interlacciato: sistema analogico di codifica delle immagini basato sulla
scansione di ogni fotogramma in due campi, composti il primo dalle linee
dispari e il secondo dalle linee pari che formano l’immagine. In caso di
immagini dinamiche possono formarsi effetti come sfarfallio delle righe o
effetti scalino. Il sistema interlacciato consente di trasferire in due tempi ogni
fotogramma utilizzando risorse limitate di banda. E’ il sistema utilizzato dalla
televisione tradizionale sia in Standard Definition sia High Definition.
International cut: montaggio di un film per il mercato.
Interoperabilità: capacità di fornire un interscambio efficiente di immagini e
audio elettronici e dei dati associati tra diversi formati di segnale, tra diversi
mezzi di trasmissione, tra diverse applicazioni, tra diversi livelli di prestazione
(FCC ACATS). In pratica identifica l’effettiva compatibilità tra apparati e
sistemi diversi forniti da diversi costruttori. E’ un’esigenza degli esercenti di
vitale importanza per le sale.
ITU: acronimo di International Telecommunication Union. È l’agenzia delle
telecomunicazioni dell’ONU ovvero l’organismo internazionale, con sede a
Ginevra, responsabile della definizione di tutte le normative riguardanti la
telecomunicazione (anche il GSM che usiamo per telefonare è normato
dall’ITU).
ITU.B.709: identifica lo standard della HDTV.
ISO: acronimo di International Organization for Standardization, è la più
importante organizzazione a livello mondiale per la definizione di norme
tecniche. Fondata il 23 febbraio 1947, ha il suo quartier generale a Ginevra in
Svizzera. Membri dell'ISO sono gli organismi nazionali di standardizzazione di
157 Paesi del mondo. In Italia le norme ISO vengono recepite, armonizzate e
diffuse dall'UNI, il membro che partecipa in rappresentanza dell'Italia
all'attività normativa dell'ISO. L'ISO coopera strettamente con l'IEC,
responsabile per la standardizzazione degli equipaggiamenti elettrici.
JPEG: acronimo di Joint Photographic Expert Group (gruppo di
standardizzazione internazionale che lavora sotto ISO e IEC e che sviluppa un
consenso internazionale sugli algoritmi della image compression per una
continuità di tono e colore delle immagini ferme). Identifica un algoritmo di
compressione delle immagini statiche che permette di ridurre lo spazio
occupato dal file pur mantenendo buona parte delle caratteristiche di qualità
dell’immagine. Sfruttando il funzionamento del cervello umano nel percepire
forme e colori, questo formato di codifica semplifica le immagini eliminando
minuscoli dettagli, normalmente impercettibili, sostituendole con un modello
214
matematico che consente di rappresentarle con una quantità di informazioni
notevolmente inferiore. L’immagine viene così compressa, con un fattore
variabile, regolabile a piacere al momento della creazione del file: maggiore
sarà la compressione, minori le dimensioni del file.
K: numero di pixel di risoluzione orizzontale di un'immagine. "K" è
l'abbreviazione di "Kilo" che significa 1000 o abbreviato 1K.
KDM: vedi licenza.
Kinetoscopio: ideato da Thomas Edison nel 1888, sviluppato negli anni
successivi da William Dickson. Sorta di grande cassa sulla cui sommità si
trovava un oculare; lo spettatore poggiava l'occhio su di esso, girava la
manovella e poteva guardare il film montato nella macchina su rocchetti.
Attraverso un piccolo foro situato nella parte superiore dell'apparecchio si
poteva vedere un breve filmato, proiettato facendo scorrere la pellicola da 35
mm ad una velocità di 48 immagini per secondo.
Kolossal: film in cui tutto è svolto in grandi dimensioni, a partire dal budget,
al cast di attori sino alle scenografie, agli effetti speciali ed al lancio
pubblicitario.
LCD: il Liquid Cristal Display è un tipo di display principalmente utilizzato per
monitor è TV. Orientati in modo opportuno, i "cristalli liquidi" possono
consentire o meno il passaggio della luce proveniente dalla retroilluminazione
del pannello illuminando lo schermo.
Licenza: conosciuta anche come Key Delivery Message (KDM) è il metodo
standardizzato per spedire le chiavi di sicurezza (key) al server di sala e
contiene le chiavi necessarie a decriptare un determinato film in un
determinato cinema, oltre a informazioni sul suo uso. Può essere su memoria
USB o su rete oppure essere nell'hard drive che contiene il film o contenuto
digitale.
LSDI: acronimo di Large Screen Digital Imagery, è una famiglia di sistemi
digitali di proiezione relativi ai grandi schermi come i cinema, i teatri e le
grandi installazioni. Esistono molti sistemi di questo tipo, a seconda delle
dimensioni dell’ambiente in cui vengono installati, e sono sempre caratterizzati
da dispositivi di alta qualità.
Lungometraggio: è un film della durata minima di 60 minuti.
M-Box: è il server di sala interoperabile VC-1 / DCI presentato al mercato da
Microcinema nel 2008.
M-box 2.0: nuova versione 2011 del server M-Box, equipaggiato con
processori più potenti e maggiore spazio su disco. Può ricevere,
immagazzinare e proiettare oltre 200 titoli tra film e opere del catalogo
Microcinema e tutti film in formato DCI. Ad oggi è l'unico sistema
interoperabile disponibile sul mercato.
Major: è la definizione dei principali studios americani di produzione e
distribuzione di film. Universal, Sony Columbia Tri-star Pictures, Warner Bros,
215
Twenty Century Fox, Metro-Goldwyn-Mayer, Dreamworks SKG, Disney
Corporation, Paramount.
Masterizzazione: le attività in postproduzione per raggiungere la edizione
finale di un film (per l'appunto il “master”).
Matte painting:
tecnica
utilizzata
prevalentemente
in
ambito
cinematografico che permettere la rappresentazione di paesaggi o luoghi
troppo costosi se non impossibili da ricostruire o raggiungere direttamente.
Media Block: è l’hardware necessario per decriptare e decodificare i
contenuti DCP. Solitamente si trova all’interno dei server DCI ma dal 2011,
con la nascita dei proiettori digitali di seconda serie, il consorzio DCI ha
raccomandato l’utilizzo degli IMB (Integrated Media Block). Ovvero tale
hardware è integrato nel proiettore, aumentando la sicurezza dei dati
trasmessi (tra server e proiettore) e abbattendo i costi di acquisto (perché tali
dati vengono decriptati, decodificati e decompressi solo nel proiettore e non
più anche nei server). DCOSA Technical Overview, Versione 1.0 del 7-10-
2010.
Metadata: è una componente fondamentale per archiviare contenuti digitali
e semplificare l’accesso agli stessi in una fase successiva. Sono le informazioni
sovrascritte sui contenuti stessi che descrivono un insieme di dati come il
titolo, durata, ora e data, dettagli sul copyright, formato immagine, tipo audio
e via di seguito.
MJPEG-2000: (Motion JPEG) formato di compressione delle immagini digitali
in movimento basato sullo schema di compressione JPEG utilizzato per le
immagini fisse (prevede infatti la compressione di ogni singolo fotogramma
individualmente). Si caratterizza per una bassissima perdita di informazioni
dovuta alla compressione, che è pur sempre consistente.
MPEG-2: standard di codifica dei dati digitali usato principalmente per
contenuti LSDI, contenuti alternativi e HDTV. Utilizzato nei DVD e nella TV
digitale.
MJPEG-2000: metodo scelto da DCI per il cinema digitale. Qualsiasi server
DCI deve lavorare con dati compressi MJPEG 2000.
Megaplex: indica un esercizio cinematografico con oltre 16 schermi.
Microplex: sono gli esercizi cinematografi con meno di 3 schermi.
Solitamente si caratterizzano per programmazione flessibile e legata al cinema
sia d’essai sia commerciale.
MiBAC: sigla del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Fu istituito dal
governo Moro nel 1974 con il compito di affidare unitariamente alla specifica
competenza di un Ministero appositamente costituito la gestione del
patrimonio culturale e dell'ambiente al fine di assicurare l'organica tutela di
interessi di estrema rilevanza sul piano interno e nazionale.
Multiplex: indica un esercizio cinematografico con numero di schermi
compreso tra 4 e 16.
216
Multisala: indica tutti gli esercizi cinematografici con più di 3 schermi.
Secondo Mediasalles il termine “multisala” indica le strutture ottenute dal
frazionamento di grandi cinema mentre i multiplex o i megaplex nascono sulla
base di una progettazione specifica.
MXF: acronimo di Material Exchange Format. È il formato utilizzato per
l’interscambio dei file di dati tra sistemi e apparati cinema digitale di diversi
costruttori. È la base della interoperabilità.
NATO: acronimo di National Association of Theater Owners. È l’associazione
degli esercenti cinematografici principalmente americani.
NTSC: è uno standard per la creazione, trasmissione e ricezione di contenuti
video per le aree geografiche Corea, Giappone, Canada, USA e alcuni paesi
americani. Il suo nome è la sigla di National Television System(s) Committee,
l'ente di standardizzazione industriale che lo ha creato. L'NTSC è un formato di
tipo interlacciato con una cadenza di ripresa di 30 fotogrammi al secondo (in
realtà la frequenza esatta è di 29,97 Hz) e prevede l'utilizzo di 525 linee per la
definizione di un fotogramma completo e di 262,5 linee per ogni semiquadro.
Occhiali Attivi: sono occhiali per 3D dotati di otturatori LCD montati in luogo
delle lenti che si aprono e chiudono svariate volte al secondo mostrando
alternativamente l’immagine per l’occhio destro e quella per il sinistro,
creando quindi l’illusione dell’immagine tridimensionale.
Occhiali Passivi: sono occhiali per il 3D dotati di lenti polarizzate in grado di
filtrare per ogni occhio l’immagine ad esso destinata, senza lasciar passare le
informazioni destinate all’altro occhio, creando in tal modo l’illusione
dell’immagine tridimensionale.
PAL: acronimo di Phase Alternating Line, è un metodo di codifica del colore
utilizzato nella televisione analogica, usato in quasi tutto il mondo. Fanno
eccezione parte del continente americano, alcune nazioni dell'est asiatico,
parte del Medio Oriente, dell'Europa orientale e la Francia. La maggior parte
dei Paesi che adottano il PAL utilizzano una scansione interlacciata a 625 linee
orizzontali e 50 fotogrammi al secondo.
Perfect Film Look: marchio creato da Microcinema per indicare la qualità
delle proprie proiezioni, che mantengono, grazie alla particolare codifica
dell’immagine, tutta la fluidità delle normali proiezioni in pellicola (vedi
Progressivo).
Pixel: unità elementare con cui viene rappresentata un’immagine (come la
cellula per il corpo umano, come l’atomo per la materia, ecc.). Abbreviazione
per “elemento di un’immagine” (PICture Element). Normalmente indica il
numero di pixel facenti parte di una linea orizzontale dell’immagine, o
dell’intero fotogramma (pixel orizzontali e verticali) di ogni immagine. È
considerata l’unità elementare componente tutte le immagini. Per ciascun
pixel può essere memorizzata una certa quantità di informazioni, tale da
ricostruire il colore e la luminosità dello stesso; maggiore è la quantità di
informazioni sui singoli pixel, maggiore la qualità dell’immagine e la fedeltà al
217
colore originale. La dimensione di un pixel dipende dalle dimensioni dello
schermo.
Polarizzazione: un processo inventato da Polaroid negli anni Trenta per i suoi
occhiali destinati a ridurre i riflessi dei fari delle automobili provenienti in senso
contrario a quello di guida. La luce viene filtrata in un senso ben preciso
eliminando tutte le onde luminose proveniente dalle direzioni che non siano quella
prescelta. Comporta una diminuzione di luminosità di ciò che si vede ma anche
una diminuzione dei riflessi. Questo processo sta alla base di ogni sistema 3D.
Prequel: opposto del sequel. Sconvolge la corrispondenza cronologica tra la
produzione di un film e la sua ambientazione, tornando indietro in quello che
è l'ordine degli eventi presentato dal film precedente.
Progressivo: sistema digitale di codifica delle immagini basato sulla
scansione completa di ogni singolo fotogramma (la procedura di generazione
del segnale video è infatti denominata “a immagine completa”). È una
trasposizione in digitale del comportamento della macchina da presa in
pellicola. È un sistema utilizzato sia per la ripresa sia per la proiezione
cinematografica. Trova applicazione nella risoluzione HD 720p e 1080p. A
parità di frequenza, la scansione progressiva richiede il doppio della banda
rispetto a quella interlacciata.
Promokit: è il server Microcinema che permette la proiezione degli spot
pubblicitari. Si interfaccia con le automazioni di sala e con i proiettori già
installati, per garantire il massimo dell’interoperabilità.
RAID: acronimo di Redundant Array of Independent Disks. È un’architettura
usata nei migliori sistemi di sala per evitare le interruzioni nella proiezione. I
file sono memorizzati su hard disk multipli onde assicurare affidabilità da errori
o cancellazioni: se un hard disk non funziona, si ha la sicurezza che i dati
digitali siano reperibili da altro hard disk del RAID e non si ha alcuna
interruzione di proiezione.
Refresh Rate: indica il numero di volte in cui viene ripetuta l'immagine su un
display nell’arco di un secondo. Di norma più si aumenta la velocità di
aggiornamento più si riduce lo sfarfallio dell’immagine defaticando l’occhio, un
refresh troppo elevato può però danneggiare il display. La frequenza di
aggiornamento più comune per i televisori moderni è di 60Hz per i sistemi
basati NTSC e di 50Hz per i sistemi basati PAL.
Remake: rifacimento di un film.
Risoluzione: la risoluzione indica il grado di qualità di un'immagine
stampata. Generalmente si usa questo termine relativamente a immagini
digitali, ma anche una qualunque fotografia ha una certa risoluzione. La
risoluzione indica la densità dei pixel, ovvero la quantità dei puntini elementari
che formano l'immagine rapportata ad una dimensione lineare (ad esempio
pixel/cm o pixel/pollice). Le risoluzioni per cinema digitale attualmente
specificate dal consorzio DCI sono 2K (2048 pixel orizzontali x 1080 pixel
verticali) e 4K (4096 pixel orizzontali x 2160 pixel verticali).
218
Risoluzione di proiezione: è la risoluzione della matrice del proiettore su
cui si forma l’immagine ovvero il numero di pixel con cui l’immagine viene
rappresentata (all’aumentare della risoluzione, aumenta il numero di pixel che
a parità di area diventano più piccoli e per questo rendono l’immagini più
definita: linee oblique sempre più rette e meno “a scaletta”).
Sbigliettamento nettissimo: indica l’incasso da biglietteria al netto di IVA, SIAE
e altre tasse in genere che dovessero gravare a vario titolo sullo spettacolo.
SD: acronimo di Standard Definition. Indica formati di immagine di 720x576
pixel.
SDTV: acronimo di Standard Definition TeleVision, identifica le trasmissioni
televisive con un video simile a quello degli standard analogici maggiormente
diffusi nel mondo nella seconda metà del XX secolo. È, in altre parole, un
termine che sta a indicare genericamente un livello qualitativo dell'immagine
televisiva. I formati più diffusi sono da 576 o 480 linee di risoluzione verticale
delle immagini e con frequenza rispettivamente di 25 o 30 immagini al
secondo con scansione interlacciata.
SECAM: acronimo del francese SÉquentiel Couleur À Mémoire (traduzione
letterale: colore sequenziale con memoria), è un sistema di codifica della
televisione a colori utilizzato per la prima volta in Francia. La risoluzione e i
fotogrammi al secondo sono i medesimi dello standard PAL (576 linee per 50
fotogrammi al secondo).
Sequel: film che presenta dei personaggi e/o degli eventi cronologicamente
posteriori a quelli già apparsi in un precedente episodio.
Server: in informatica il termine indica genericamente un componente
informatico che fornisce un qualunque tipo di servizio ad altre componenti
attraverso una rete di computer. Con un’altra accezione, viene considerato un
computer specifico, caratterizzato da alta affidabilità e prestazioni al top della
gamma. Ed è così che viene contestualizzato in ambito cinematografico: i
server DCI e il server M-box 2.0 sono dei potenti computer in grado di
codificare e visualizzare uno streaming video ad altissima definizione.
Silver Screen: schermo cinematografico altamente riflettente e di
conseguenza con un alto valore di luminosità, in grado di compensare così la
minor luce che arriva allo spettatore a causa della polarizzazione e di
mantenere un valore di luminosità specifica dello schermo al di sopra dei
parametri stabiliti da SMPTE.
Sistemi 3D: sistemi per la gestione delle immagini 3D basati sul diversi
protocolli
- Dolby: occhiali passivi con filtro ad interferenza. È consigliabile uno
schermo bianco ultrabright ad alto guadagno o uno schermo argentato per
raggiungere il valore di luminosità specificato SMPTE.
- MasterImage e Real-D: occhiali passivi a polarizzazione circolare “usa e
getta”. Richiede uno schermo argentato per visualizzare le immagini.
219
- X-Pand e Trivision: occhiali attivi dotati di otturatore LCD riutilizzabili.
Può essere impiegato con il tradizionale schermo cinematografico bianco.
SMPTE: acronimo di Society for Motion Picture and Television Engineers. Si tratta
di una associazione professionale internazionale basata in USA e con sezioni in
tutto il mondo, che si occupa di individuare raccomandazioni e linee guida che
consentano di predisporre gli standard utilizzati da cinema e televisione insieme ad
altri enti sovranazionali quali EBU (European Broadcasting Union) e ITU.
SMPTE 274M: standard SMPTE che definisce le varie risoluzioni ammesse
per le immagini in alta definizione.
SMPTE 412M/VC-1: formato di compressione delle immagini digitali in
movimento sviluppato da Microsoft con il nome di Windows Media e
successivamente standardizzato da SMPTE. Come formato di compressione di
immagini in HD anche per HD-DVD e Blu ray disk.
SMPTE-DC28: è il gruppo di studio di SMPTE incaricato di definire gli
standard del D-Cinema. Il DC28 è costituito da ben definiti gruppi di lavoro
che, strategicamente connessi, preparano standard e raccomandazioni che
assicurino, tra l’altro, l’interoperabilità, la compatibilità e la qualità dei
componenti e dei sistemi necessari alla transizione al cinema digitale.
Spazio colore: è la gamma completa di colori. Nei proiettori per cinema
digitale, il color space può essere riprogrammato per creare un look differente
per differenti contenuti. Il diagramma generale di riferimento per il color
space è quello definito dal diagramma del CIE che include i colori
potenzialmente visibili dall’occhio umano.
Spin-off: film ricavato elaborando elementi di sfondo di una serie o di
un'opera precedente.
Stereoscopia: è la definizione tecnica e non commerciale di 3D.
Stop – motion: tecnica chiamata anche ripresa a passo uno o animazione a
passo uno. E’ una tecnica di ripresa cinematografica e di animazione. Il
termine "passo uno" si ricollega alla scelta di quadri per secondo: se i quadri,
ovvero i fotogrammi, sono tutti differenti si parla di passo uno. Il passo uno
sfrutta una particolare cinepresa che impressiona un fotogramma alla volta,
azionata dall'operatore o dall'animatore. Con questo processo è quindi
possibile creare il movimento dei cartoni animati.
Streaming: indica un flusso di dati audio/video trasmessi da una sorgente a
una o più destinazioni tramite una rete telematica. Questi dati vengono
riprodotti man mano che arrivano a destinazione. Lo streaming si divide in due
categorie: on demand e live. On demand quando i contenuti audio/video sono
inizialmente compressi e memorizzati su un server come dei file; non è
necessario scaricarli per intero sul PC per poterli riprodurre: i dati ricevuti
vengono decompressi e riprodotti pochi secondi dopo l'inizio della ricezione.
Live quando la riproduzione è simile alla tradizionale trasmissione radio o
video in broadcast con l’introduzione di un lieve ritardo rispetto al tempo
dell’evento, dovuto ai tempi di compressione/decompressione dei dati.
220
Studios: in origine erano Universal Studios, 20th Century Fox, Paramount
Pictures, MGM Metro-Goldwyn-Mayer. The Walt Disney Company e Warner
Bros Pictures producevano solo cartoni animati. Oggi major e studios
nell’accezione comune sono sinonimi e includono: The Walt Disney Company
(che possiede Miramax e Buenavista), Universal Studios di proprietà General
Electric e Vivendi, 20th Century Fox della News Corporation (Murdoch),
Warner Bros. Pictures di Time Warner, Paramount Pictures della Viacom, Sony
Pictures Entertainment (Columbia Tri-star) che ha un accordo di distribuzione
con Warner Bros, MGM Metro-Goldwyn-Mayer che ha un accordo di
distribuzione con Sony, DreamWorks SKG legata all’indiana Reliance.
Surround: letteralmente circondare. Rappresenta il fronte sonoro alle spalle
dell’ascoltatore riprodotto da diffusori acustici posizionati, secondo prestabilite
regole, alle spalle dell'ascoltatore stesso.
Teaser trailer: Trailer che non mostra una serie di brevi sequenze, ma una
sola sequenza di grande effetto in genere di brevissima durata (dai trenta
secondi al minuto).
Tenitura: indica il periodo, solitamente espresso in giorni, durante il quale un
film viene contrattualmente “tenuto in proiezione” in sala.
Telecine: dispositivo/procedimento che trasferisce le immagini dalla pellicola
a un qualsiasi formato televisivo.
Time Slice: in italiano “fetta di tempo". Vecchia tecnica fotografica, nella
quale un grande numero di fotocamere è disposto attorno ad un oggetto e
viene fatto scattare simultaneamente. Quando la sequenza degli scatti è vista
come un filmato, lo spettatore vede come le "fette" bidimensionali formano
una scena tridimensionale. Nel cinema l'effetto speciale che consente di
vedere ogni momento della scena in slow-motion mentre l’inquadratura
sembra girare attorno alla scena alla velocità normale, prende il nome di
Bullet time.
TMS: acronimo di Theatre Management System. È l’interfaccia grafica che
consente la gestione del server di sala e del proiettore da parte dell’esercente.
Upgrade: si riferisce alla possibilità di sostituire un componente informatico
con uno di livello superiore o di più recente concezione. E’ possibile effettuare
un upgrade di fronte ad un’offerta strutturata e modulare, pensata per
consentire investimenti incrementali senza rischio di perdita del denaro
investito per i livelli inferiori. Naturale nel software, esemplificabile
nell’hardware con un parallelo di facile intuizione in campo automobilistico:
una volta acquistata un’auto, se si decide di montare un particolare tipo di
navigatore si paga solo la cifra necessaria ad installare il nuovo accessorio.
UPS: acronimo di Uninterruptable Power Supply. Si riferisce a un dispositivo
in grado di garantire la continuità dell’alimentazione elettrica di un appartato
anche in mancanza di alimentazione di rete (gruppo di continuità).
VC-1: è il nome informale dello standard SMPTE 421M per la compressione
dei filmati video in alta definizione sviluppato inizialmente da Microsoft. Le
221
specifiche ufficiali sono state rilasciate il 3 aprile 2006 dalla SMPTE e viene
utilizzato negli HD-DVD, Blu-ray. È il formato scelto da Microcinema per la
compressione dei suoi contenuti perché garantisce un ottimo rapporto spazio
su disco/qualità di visione.
VPF: acronimo di Virtual Print Fee – Meccanismo studiato dalle major
americane per agevolare la digitalizzazione delle sale cinematografiche
attraverso una partecipazione agli investimenti in tecnologia. Negli anni il VPF
si è evoluto in tre filoni:
- VPF standard: è il modello originario gestito da un soggetto terzo (un
integratore di sistemi) che con l’appoggio di una banca acquista le tecnologie
e le integra per fornire ad ogni sala cinematografica un sistema capace di
gestire la proiezione di film digitali. Il costo delle tecnologie viene sostenuto
per il 70/80% dalle major e per il 30/20% dalle sale che hanno aderito
all’accordo di VPF. Come contropartita gli apparati rimangono di proprietà
della terza parte per 10 anni. La programmazione e il rilascio delle chiavi
avviene attraverso l’integratore che si occupa dell’installazione, del training e
della manutenzione dei sistemi (i costi di training e di manutenzione non sono
compresi negli accordi di VPF ma addebitati direttamente alla sala). Ad oggi
esistono in Europa tre operatori con accordi di VPF siglati con major studios:
Arts Alliance Media (Inghilterra), XDC (Belgio) e Ymagis (Francia).
- VPF “all’italiana”: identifica le linee guida elaborate da ANEC, ANEM,
ACEC e ANICA per realizzare, senza intervento di una terza parte, la
partecipazione dei distributori all’investimento digitale degli esercenti. Non si
tratta di un contratto ma di una serie di raccomandazioni che possono essere
o meno messe in pratica su base volontaristica da parte dei distributori
nazionali.
- VPF 2.0: è l’evoluzione del VPF standard o VPF europeo che prevede
l’intervento della terza parte come gestore dei rimborsi dei distributori verso
gli esercenti e non più come investitore e integratore tecnologico. VPF 2.0 è la
modalità di supporto presentata da Microcinema al mercato nell’anno 2012
per finanziare sistemi nuovi o rifinanziare sistemi già acquistati e installati
nelle sale cinematografiche. La proprietà dei sistemi è degli esercenti fin dal
primo giorno e tutte le regole di rimborso sono definite in un contratto che
tutela i cinema della durata di 10 anni.
VPN: acronimo di Virtual Private Network. Una VPN è una rete privata
instaurata tra soggetti che utilizzano un sistema di trasmissione pubblico. Le
reti VPN utilizzano collegamenti che richiedono qualche forma di
autenticazione per garantire che solo gli utenti autorizzati vi possano
accedere. Per impedire l’intercettazione e l’utilizzo dei dati inviati da altri non
autorizzati, esse utilizzano sistemi di crittografia.
Watermarking: tecnica per la sovrapposizione di particolari informazioni alle
immagini dei film digitali. Tali informazioni, invisibili all’occhio umano, sono
usate per scoprire quando e dove un particolare film è stato piratato in un
determinato cinema.
222
Widescreen: indica uno schermo con formato superiore a 4:3, il vecchio
standard televisivo. Gli schermi 16:9 sono considerati wide screen che in
campo cinematografico corrisponde a 1,78:1.
16:9: rapporto aspetto/immagine usato per l’HDTV e alcuni apparecchi SDTV
(di solito digitali). La larghezza dell’immagine corrisponde a 1,8 volte la sua
altezza.
5.1: sigla che indica la riproduzione audio a sei canali. Questa configurazione
audio è diffusamente utilizzata nel mondo del cinema ma anche nella
televisione, nei dischi ottici (vedi “Disco ottico”) e in altri supporti di
riproduzione e trasmissione audio. Ha il preciso scopo di collocare l’ascoltatore
al centro della scena audio grazie alla presenza di un fronte audio anteriore e
di un fronte audio posteriore.
24p: è l’abbreviazione usata per definire la scansione progressiva di immagini
a 24 fotogrammi al secondo. Per migliorare la compatibilità tra analogico e
digitale, lo standard per un’acquisizione di cinema digitale è stato fissato
inizialmente a 24fps (24 fotogrammi progressivi al secondo) ma la SMPTE sta
analizzando la possibilità di inserire anche la scansione a 25p, 30p, 50p e 60p
nei prossimi anni.
25p: è la scansione progressiva di immagini a 25 fotogrammi al secondo. E’
usato per le produzioni HD in Europa e in altri Paesi che usano sistemi
televisivi a 50Hz.
720i: indica il formato HD con risoluzione 1280x720 interlacciato e si riferisce
agli standard internazionali SMPTE 274M e ITU 709. Differisce dal formato
progressivo per la divisione dell’immagine in due campi consecutivi. Vedere
separatamente la definizione delle sigle.
720p: indica il formato HD con risoluzione 1280x720 progressivo e si riferisce allo
standard internazionale di produzione HD ITU-B 709. Vedere separatamente la
definizione delle sigle. 720 indica il numero delle righe orizzontali mentre 1280
indica il numero di pixel orizzontali ovvero il numero delle colonne.
Complessivamente si possono così rappresentare quasi 1 milione di pixel.
1080i: indica il formato HD con risoluzione 1920x1080 interlacciato e si
riferisce agli standard internazionali SMPTE274M e ITU 709. Differisce dal
formato progressivo per la divisione dell’immagine in due campi consecutivi.
Vedere separatamente la definizione delle sigle. 1080 indica il numero delle
righe orizzontali dell’immagine mentre 1920 indica il numero di colonne ovvero
il numero di pixel orizzontali. Complessivamente possono essere in questo
modo rappresentati circa 2 milioni di pixel.
1080p: indica il formato HD con risoluzione 1920x1080 progressivo e si
riferisce allo standard internazionale di produzione HD ITU-B 709. Vedere
separatamente la definizione delle sigle. 1080 indica il numero delle righe
orizzontali dell’immagine mentre 1920 indica il numero di colonne ovvero il
numero di pixel orizzontali. Complessivamente possono essere in questo modo
rappresentati circa 2 milioni di pixel.
223
1.3 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 1280x720 pixel. 1.3 K
indica la risoluzione orizzontale di 1280 pixel. Nasce per il formato 16:9 pari
ad un aspect ratio di 1,77:1. Per il formato cinema (1,85:1) e per il
cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale, cioè l’immagine
proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano
delle strisce orizzontali nere negli spazi liberi dall’immagine. Il primo proiettore
digitale con una tecnologia e chip DLPC 1.3K della Texas fu per la prima volta
commercializzato a Marzo 1999 con la distribuzione del film in digitale della
20th Century Fox “Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma”.
1.9 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 1920x1080 pixel. 1.9 K
indica la risoluzione orizzontale di 1920 pixel. Nasce per il formato TV 16:9
pari ad un aspect ratio di 1,77:1. Per il formato cinema (1,85:1) e per il
cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale, cioè l’immagine
proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano
delle strisce orizzontali nere negli spazi liberi dall’immagine.
2K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 2048x1080 pixel. 2K indica
la risoluzione orizzontale di 2048 pixel. Si adatta al formato cinema, pari ad un
aspect ratio di 1,85:1 con una matrice 1:89:1. Per il formato TV 16:9 viene
applicato un letterbox verticale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area
inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce verticali nere negli
spazi liberi dall’immagine. Per il formato cinemascope (2,35:1) viene applicato
un letterbox orizzontale. Un proiettore con un chip DLPC 2K fu per la prima
volta commercializzato in USA a novembre 2003 con la distribuzione del film in
digitale della Warner Bros “L’ultimo samurai”.
4K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 4096x2160 pixel. 4K indica
la risoluzione orizzontale di 4096 pixel. Il 4K garantisce una risoluzione di
immagini quattro volte superiore alla risoluzione 2K. Si adatta al formato
cinema, pari ad un aspect ratio di 1,85:1 con una matrice 1:89:1. Per il
formato TV 16:9 viene applicato un letterbox verticale, cioè l’immagine
proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano
delle strisce verticali nere negli spazi liberi dall’immagine. Per il formato
cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale.
224
USS Titan
Star Trek: La nemesi (Star Trek: Nemesis, Stuar Baird, USA 2002)
nave spaziale mai mostrata sullo schermo
225
Ringraziamenti
La chiusura di questo libro, come ogni anno, mi da l’opportunità di
menzionare e ringraziare tutti coloro i quali, con intatta passione,
hanno condiviso e continuano a condividere il nostro progetto. Si
perché quello di Microcinema non è solo un progetto industriale ma è
anche la realizzazione di una speranza, un po’ lungimirante e un po’
onirica, che in questi cinque anni ha preso sempre più corpo.
Insomma non siamo più fantascienza e ne siamo molto orgogliosi.
E da qui muovendo non posso che esprimere, prima di ogni altro, un
forte ringraziamento al mio braccio destro di sempre, a Silvana
Molino, alla sua intelligenza e alla sua competenza, al suo impegno e
alla sua capacità di sacrificio, al suo ordine e alla sua creatività.
Passando alla carta stampata devo ringraziare ancora una volta il
motore del progetto editoriale di Microcinema, l’amico Alessandro
Firpo, cui non sono certo mancate né le idee né la pazienza.
Un ringraziamento particolare va ad Eleonora Belligni che –
giudicheranno i lettori – ci ha consegnato un lavoro ineccepibile,
rigoroso e leggero, colto e piacevole al tempo stesso. Una menzione
speciale la devo riferire al puntuale rispetto degli impegni assunti in
ordine alla completezza e alla tempestività nella consegna
dell’originale.
Hanno collaborato alla realizzazione della sezione “Il cinema
ritrovato” Vincenzo Sacco e Cesare Fragnelli, al “Dizionario
essenziale” Federico Farinetto. Giulia Zanchetta e Chiara Checchini ci
hanno aiutato con una severa rilettura.
La grafica della copertina è di Roberto Gobesso che da sempre veste i
nostri quaderni in modo tanto vivace quanto rigoroso.
Un grazie davvero sentito va a tutti coloro che hanno dato un
autentico contributo, nei ruoli più diversi e nelle forme loro più
congeniali, ma tutti con una passione davvero unica, all’attività di
Microcinema.
Un ringraziamento particolarissimo sento proprio di doverlo dal
profondo a tutti quegli operatori che hanno creduto in Microcinema e
nel suo progetto, e che sono capaci, ogni giorno, di impegnarsi con
noi.
227
È stato un anno importante per Microcinema. E un anno
indimenticabile per me. Un anno che ha impegnato la mia
professionalità, ma anche la mia persona. Sì, un anno molto duro, di
conquiste sudate e di rinunce difficili, quasi impossibili. Le normali
sfide del mercato e la ferma dolcezza dei miei ricordi, la fatica del
lavoro e il peso di una assenza, il quotidiano e l'indimenticabile. Sì - e
chiudo subito - con il ricordo intatto e presentissimo di una forza
costante e sottile, di una calma attenta, di una continua delicatezza,
di un affetto un po' sconosciuto ma davvero profondo.
Concludo, anche quest’anno, con un ringraziamento personale alle
nostre famiglie, che sopportano il nostro lavoro e Microcinema ogni
giorno dell'anno, anche durante i rari momenti liberi, anche nel pieno
del periodo estivo. Un grazie particolare ai più piccoli, a Laura, ad
Alessandro e a Gregorio. Sono, anno dopo anno, meno piccoli ma ad
ogni genitore rimane l’idea, assolutamente fantascientifica, che
rimarranno per sempre “piccoli”.
Un giorno, spero, apprezzeranno anche loro questa nostra piccola
collana.
Roberto Bassano
Legnano, 15 agosto 2012
228
Bibliografia
La bibliografia sulla fantascienza cinematografica in generale e sui
singoli temi trattati nei film è sterminata. Un primo orientamento
nella letteratura italiana più recente può essere ricavato dalla lettura
di: Italo Moscati, 2001: un'altra Odissea. Quando il futuro sedusse il
cinema, Marsilio, Venezia 2000; Luca Bandirali, Enrico Terrone,
Nell'occhio, nel cielo. Teoria e storia del cinema di fantascienza,
Lindau, Torino 2008; Roberto Chiavini, Gian Filippo Pizzo, Michele
Tetro, Il grande cinema di Fantascienza: aspettando il monolito nero
(1902-1967), Gremese Editore, Roma 2003 e il seguito, degli stessi
autori Il grande cinema di Fantascienza: da "2001" al 2001, Gremese
Editore, Roma 2001. Opere più manualistiche (o enciclopediche) sono
certamente: Roy Menarini, Andrea Meneghelli, Fantascienza in cento
film, Le mani-Microart's, Genova 2000; Claudia e Giovanni Mongini,
Storia del cinema di fantascienza, 11 voll., Fanucci, Roma 1999-2003;
Giovanni Mongini, Storia del cinema di fantascienza, 2 voll., Futuro
Saggi, Fanucci, Roma 1976-77.
Anche sui singoli temi trattati nei film di fantascienza la bibliografia è
vastissima. Sulle invasioni aliene si può leggere, per esempio: Fabio
Casagrande Napolin, Ivan Fedrigo, Erik Ursich, Attacco Alieno! Guida al cinema d'invasione spaziale 1950-1970, Tunnel Edizioni,
Bologna 1998; Roy Menarini, Il cinema degli alieni, Falsopiano,
Alessandria 1999. In un numero minore di pagine c'è anche l'articolo
di Riccardo F. Esposito, They Come from Outer Space, «Amarcord»,
nn. 5, 6 e 7, 1996-97. Sul cinema utopico (e distopico) di
fantascienza c'è ancora un articolo di Riccardo F. Esposito, Utopie nel
cinema di Sf, «Kronos», n. 13, marzo 1979. Sulla robotica e i cyborg
si può leggere il saggio dell'esperto italiano Antonio Caronia, Il corpo
virtuale: dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Muzzio,
Padova 1997. Sui luoghi della letteratura cyberpunk è più che
esaustiva la lettura di Antonio Caronia, Domenico Gallo, Houdini e
Faust: breve storia del Cyberpunk, Baldini & Castoldi, Milano 1997.
Sulla realtà virtuale c'è (ancora) Antonio Caronia, Archeologie del
virtuale. Teorie, scritture, schermi, Ombre Corte, Verona 2001.
Per un primo orientamento nella sconfinata bibliografia su Philip Dick
e il cinema occorrerebbe leggere: Philip K. Dick: il sogno dei
simulacri, a cura di Gianfranco Viviani, Carlo Pagetti, Nord, Milano
229
1989; Franco La Polla, Peter Fitting, Carlo Pagetti e Gabriele Frasca,
Philip K. Dick e il cinema, Fanucci Editore, Roma 2002.
Sulla fantascienza italiana basti ricordare: Riccardo F. Esposito, Storie
di missili e galassie, «Mystero», nn. 26-30, luglio-novembre 2002
(sull'accoglienza in Italia dei film di SF degli anni cinquanta); Enrico
Lancia, Roberto Poppi, Fantascienza, fantasy, horror: tutti i film
italiani dal 1930 al 2000, Gremese, Roma 2004.
230
Hanno contribuito, in rigoroso ordine alfabetico, alla stesura di questo
quinto Quaderno di Microcinema:
Roberto Bassano (Torino, 1959) – Dal 1982 imprenditore in aziende
meccaniche, tessili e automobilistiche, si è sempre impegnato nella
gestione con il ruolo di amministratore delegato. Impegnato nel settore
audiovisivo dal 1994, sempre come imprenditore e ricoprendo lo stesso
incarico operativo in Gierrevideo e Euphon, partecipa con RAI, Digital
Projection e Texas Instruments ai primi esperimenti del progetto
denominato Microcinema, per la proiezione di film in digitale distribuiti via
satellite. E’ amministratore delegato di Microcinema dal 2006.
Eleonora Belligni (Torino, 1973) – È ricercatrice di Storia Moderna
all'Università degli Studi di Torino. Le sue ricerche sono nel campo della
storia religiosa e politica del Cinque e Seicento. Di tanto in tanto cerca di
coniugarle con una grande passione per il cinema. In realtà, ama
profondamente tutte e sette le arti, ma lascia che a metterle in pratica
siano gli altri.
Federico Farinetto (Ciriè, 1991) – Diplomato in Elettronica e
Telecomunicazioni ha, in aggiunta, conseguito la specializzazione quale
Tecnico Sistemista di Reti. Nel 2011, durante gli studi è entrato in
Microcinema con uno stage curricolare. Appassionato di ricerca nel
mondo dell'informatica e della tecnologia dal 2012 è responsabile IT e
delle trasmissioni satellitari dei contenuti.
Alessandro Firpo (Torino, 1946) – Si è occupato di editoria per molti anni
ed è stato amministratore e dirigente di diverse case editrici. In
particolare è stato direttore commerciale di Einaudi, Garzanti e Utet.
Attualmente è direttore marketing di TBS Group, multinazionale italiana
con sede a Trieste che si occupa di servizi innovativi per la sanità.
Continua ad essere un instancabile e onnivoro lettore di libri. E’
consigliere di amministrazione di Microcinema.
Silvana Molino (Chivasso, 1974) – Consulente di direzione ha seguito per
dieci anni lo sviluppo di numerose imprese nel settore audiovisivo.
Rappresentante nazionale per vari progetti europei, ha guidato con
l’incarico di amministratore un consorzio di aziende audiovisive e
multimediali. Dal 2004 collabora allo sviluppo del progetto Microcinema,
dal 2006 riveste il ruolo di direttore generale e dal 2010 di amministratore
delegato. Ha gestito i closing con tutti i fondi d’investimento.
232
Sommario
La fantascienza nasce due secoli or sono...................................................... 11
INFINITI MONDI
di Eleonora Belligni ........................................................ 13
Premessa ................................................................................................... 15
Il cinema di fantascienza ............................................................................. 23
La scienza nuova (1902-1949) ..................................................................... 43
Noi e gli altri (1950-1959) ........................................................................... 63
Destinazione uomo (1960-1969) .................................................................. 79
La fine dell’uomo? (1970-1979) ................................................................... 95
Incubi, visioni, paradossi (1980-1989) ........................................................ 113
La trama della realtà (1990-1999) .............................................................. 133
Dove inizia l’infinito ................................................................................... 155
Conclusioni? ............................................................................................. 179
IL CINEMA RITROVATO............................................................................. 189
Cinema e Microcinema
Il cinema è ritrovato
di Roberto Bassano .............................................. 191
di Silvana Molino ..................................................... 195
DIZIONARIO ESSENZIALE ......................................................................... 205
Ringraziamenti .......................................................................................... 227
233
Della stessa collana
I Quaderni di Microcinema
Q1 - CINEMA E MICROCINEMA - anno 2008
Q2 - NUOVO CINEMA MICROCINEMA - anno 2009
Q3 - LUCI DELLA CITTA’ - anno 2010
Q4 - UNA STORIA D'ITALIA RACCONTATA AL CINEMA - anno 2011
Q5 - INFINITI MONDI - anno 2012
Finito di stampare nel mese di agosto 2012 presso
Edicta - Torino